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R. A. SALVATORE L'ESILIO DI DRIZZT (Sojourn, 1991) È venuto per me il momento di dire grazie alle due persone che, con la loro fiducia e con la loro forza creativa, hanno contribuito a rendere possibili le storie di Drizzt. Dedico L'esilio di Drizzt a Mary Kirchoff e J. Eric Severson, redattori e amici, con tutto il mio affetto. Preludio L'elfo scuro sedeva sul brullo fianco della montagna, osservava con ansia la fascia rossa che saliva sull'orizzonte orientale. Questa era forse la centesima alba a cui assisteva, e lui conosceva bene il dolore acuto che la luce bruciante avrebbe causato ai suoi occhi color lavanda - occhi che per più di quarant'anni avevano conosciuto soltanto l'oscurità del Buio Profondo. Tuttavia il drow non si volse per ritrarsi quando l'orlo superiore del sole fiammeggiante raggiunse il livello dell'orizzonte. Accettò la luce come suo purgatorio, un dolore necessario per seguire la strada che aveva scelto, per divenire una creatura del mondo della superficie. Un fumo grigio si alzò davanti al volto dalla pelle scura del drow. Lui capì che cosa significasse senza neppure abbassare lo sguardo. Il suo piwafwi, il mantello magico realizzato dai drow che tante volte nel Buio Profondo l'aveva schermato da penetranti occhi nemici, aveva finalmente ceduto alla luce del giorno. La magia del mantello era iniziata a svanire settimane prima, e il tessuto stava semplicemente dissolvendosi. Comparvero ampi fori mentre parti dell'indumento si dissolvevano, e il drow strinse forte le braccia per salvare quanto poteva. Sapeva che non avrebbe fatto alcuna differenza; il mantello era destinato alla distruzione in questo mondo così diverso da quello in cui era stato creato. Il drow vi si avvinghiò disperatamente, considerando in qualche modo quell'episodio come un'analogia con il proprio destino. Il sole salì più in alto e lacrime sgorgarono dagli occhi color lavanda, socchiusi, del drow. Non riusciva più a vedere il fumo, non poteva vedere nulla, a parte il bagliore accecante di quella terribile palla di fuoco. Tuttavia rimase seduto a osservare, fino alla fine dell'alba.
Per sopravvivere, doveva adattarsi. Spinse la punta del piede dolorosamente giù, contro una sporgenza della pietra e concentrò la propria attenzione lontano dagli occhi, dalla vertigine che minacciava di sopraffarlo. Pensò a come quegli stivali finemente realizzati fossero diventati sottili e si rese conto che anch'essi si sarebbero ben presto dissolti nel nulla. Poi sarebbe forse toccato alle scimitarre? Quelle magnifiche armi drow, che l'avevano sostenuto attraverso tante vicissitudini, avrebbero cessato di esistere? Quale destino attendeva Guenhwyvar, la pantera magica sua compagna? Inconsciamente il drow introdusse una mano nella bisaccia per toccare la meravigliosa statuina, così perfetta in ogni particolare, che lui usava per chiamare il felino. La sua solidità lo rassicurò in quel momento di dubbio, ma se anch'essa era stata realizzata dagli elfi scuri, imbevuta di una magia così tipica del loro regno, lui avrebbe perso ben presto anche Guenhwyvar? «Che creatura pietosa diventerò» si lamentò il drow nella sua lingua madre. Si chiese, non per la prima volta e certamente non per l'ultima, se fosse stata saggia la sua decisione di lasciare il Buio Profondo, di abbandonare il mondo del suo popolo malvagio. La testa gli pulsava, il sudore gli scendeva negli occhi, aumentando il bruciore. Il sole continuò la sua ascesa e il drow non poté sopportarlo oltre. Si alzò e si volse verso la piccola grotta che aveva scelto come abitazione, e ancora una volta posò una mano con aria assorta sulla statuina della pantera. Il piwafwi gli pendeva addosso a brandelli, scarsa protezione dalla gelida morsa del freddo vento di montagna. Nel Buio Profondo non c'era vento, tranne lievi correnti che salivano da pozze di magma, e non esisteva gelo, tranne il tocco di ghiaccio di un mostro non morto. Questo mondo della superficie, che il drow conosceva ormai da vari mesi, gli mostrava molte differenze, molte variabili e spesso gli sembrava fossero troppe. Drizzt Do'Urden non si sarebbe arreso. Il Buio Profondo era il mondo dei suoi simili, della sua famiglia, e in quell'oscurità lui non avrebbe trovato pace. Seguendo gli imperativi dei suoi principi, lui si era ribellato a Lloth, la Regina Ragno, la malvagia divinità che il suo popolo venerava al di sopra della vita stessa. Gli elfi scuri, la famiglia di Drizzt, non avrebbero perdonato il suo comportamento blasfemo, e il Buio Profondo non aveva cavità abbastanza profonde per sfuggire al loro lungo braccio. Anche se Drizzt credeva che il sole l'avrebbe distrutto bruciandolo, co-
me aveva distrutto gli stivali e il prezioso piwafwi, anche se lui fosse divenuto inconsistente, e si fosse trasformato in fumo grigio soffiato via nella gelida brezza montana, lui avrebbe mantenuto i propri principi e la propria dignità, quegli elementi che rendevano la sua vita degna d'essere vissuta. Drizzt si tolse i resti del mantello e li gettò in un profondo burrone. Il vento pungente gli gelò la fronte imperlata di sudore, ma il drow camminava eretto e orgoglioso, la mandibola ferma e gli occhi color lavanda spalancati. Questo era il destino che auspicava. *
*
*
Lungo il fianco di un'altra montagna, non molto lontano, un'altra creatura osservava il sorgere del sole. Anche Ulgulu aveva lasciato il suo luogo natale, le sordide, fumose fenditure a pendii scoscesi che contrassegnavano il piano di Gehenna, ma questo mostro non era venuto spontaneamente. Era il destino di Ulgulu, la sua pena, crescere in questo mondo finché non avesse raggiunto la forza sufficiente per ritornare a casa propria. La sorte di Ulgulu era assassinare, nutrirsi della forza vitale dei deboli mortali che lo circondavano. Ora stava avvicinandosi al raggiungimento della maturità: enorme, forte e terribile. Ogni uccisione lo rendeva più forte. Parte 1 Levar del sole Mi bruciava gli occhi e recava dolore a ogni parte del mio corpo. Mi distruggeva il piwafwi e gli stivali, annientava la magia della mia armatura, e indeboliva le fidate scimitarre. Tuttavia, ogni giorno, senza fallo, io ero lì, seduto sulla sporgenza, il mio seggio del giudizio, ad attendere il levar del sole. Mi giungeva ogni giorno in modo paradossale. Il bruciore era innegabile, ma non potevo neppure negare la bellezza dello spettacolo. I colori poco prima della comparsa del sole mi stringevano l'anima in un modo che nessuna scia di calore nel Buio Profondo aveva mai potuto raggiungere. Inizialmente pensavo la mia estasi risultasse dalla stranezza della scena, ma ancora adesso, molti anni più tardi, sento balzarmi il cuore alla sottile luminosità che precede l'alba.
Ora so che il mio momento d'esposizione al sole - la mia pena quotidiana - era più di un semplice desiderio d'adattarmi alle consuetudini del mondo della superficie. Il sole divenne il simbolo della differenza tra il Buio Profondo e il mio nuovo mondo. La società da cui ero fuggito, un luogo di rapporti segreti e cospirazioni di tradimento, non poteva esistere negli spazi aperti, alla luce del giorno. Questo sole, per tutta la sofferenza che mi arrecava fisicamente, giunse a rappresentare la negazione di quell'altro mondo oscuro. I raggi di luce rivelatrice rafforzarono i miei principi con la stessa sicurezza con cui indebolirono gli oggetti magici fatti dai drow. Alla luce del sole, il piwafwi, il mantello magico che sconfiggeva gli occhi penetranti, l'indumento dei ladri e degli assassini, non divenne altro che uno straccio privo di valore, di stoffa a brandelli. Drizzt Do'Urden 1 Lezioni pungenti Drizzt avanzò furtivamente oltre i cespugli che lo nascondevano e sulla pietra piatta e spoglia che conduceva alla grotta che ora gli serviva da abitazione. Sapeva che qualcosa gli aveva attraversato la strada di recente molto di recente. Non c'erano tracce in vista, ma la traccia olfattiva era intensa. Guenhwyvar girava sulle rocce al di sopra della grotta sul fianco della collina. La vista della pantera trasmise al drow un certo conforto. Drizzt era giunto a fidarsi incondizionatamente di Guenhwyvar e sapeva che il felino avrebbe fatto fuggire qualsiasi nemico che incombesse in agguato. Drizzt scomparve nell'oscura apertura e sorrise udendo la pantera che scendeva dietro di lui, osservandolo dall'alto. Drizzt si fermò dietro a una pietra appena oltrepassato l'ingresso, consentendo ai propri occhi di abituarsi all'oscurità. Il sole era ancora luminoso, anche se stava scendendo rapidamente nella parte occidentale del cielo, ma la grotta era molto più buia - abbastanza oscura perché Drizzt consentisse alla propria vista di passare allo spettro infrarosso. Non appena l'adattamento fu completato, Drizzt individuò l'intruso. Il chiaro bagliore di una fonte di calore, una creatura vivente, emanava da dietro un'altra roccia, più in profondità nella grotta costituita da un'unica stanza. Drizzt si rilassò
notevolmente. Guenhwyvar ora era soltanto a qualche passo di distanza e, considerate le dimensioni della roccia, l'intruso non poteva essere un animale molto grosso. Tuttavia, Drizzt era stato allevato nel Buio Profondo, dove ogni creatura vivente, indipendentemente dalle sue dimensioni, veniva rispettata e considerata pericolosa. Fece cenno a Guenhwyvar di restare in posizione accanto all'uscita e strisciò intorno per osservare l'intruso da una migliore angolazione. Drizzt non aveva mai visto prima un animale del genere. Sembrava simile a un gatto, ma la testa era molto più piccola e decisamente appuntita. Nella sua totalità non poteva pesare più di qualche chilo. Questo fatto, e la coda cespugliosa della creatura, nonché la sua folta pelliccia, indicavano che era più portato a cercare il cibo rovistando che a procurarselo da predatore. Ora stava frugando in un involto di cibo, apparentemente ignaro della presenza del drow. «Stai tranquilla, Guenhwyvar» disse dolcemente Drizzt, riponendo le scimitarre nei foderi. Fece un passo verso l'intruso per poterlo osservare meglio, pur tenendosi a una cauta distanza per non spaventarlo, pensando che forse aveva trovato un altro compagno. Se solo fosse riuscito a conquistarsi la fiducia dell'animale... L'animaletto si volse di scatto al richiamo di Drizzt, le sue corte zampe anteriori lo fecero retrocedere contro la parete. «Stai tranquillo» disse dolcemente Drizzt, questa volta rivolto all'intruso. «Non ti farò del male.» Drizzt effettuò un altro passo avanti e la creatura soffiò e si volse di scatto, con le zampette posteriori che pestavano il fondo di pietra. Drizzt scoppiò quasi a ridere forte, pensando che la bestiola avesse intenzione di spingersi direttamente attraverso la parete di fondo della grotta. Allora Guenhwyvar balzò avanti, e l'immediata afflizione della pantera eliminò l'allegria dal volto del drow. La coda dell'animale si rizzò verso l'alto; Drizzt notò alla debole luce che la bestiola aveva delle strisce evidenti che le attraversavano il dorso. Guenhwyvar gemette e si volse per fuggire, ma era troppo tardi... Circa un'ora dopo, Drizzt e Guenhwyvar camminavano lungo i sentieri della montagna, più in basso, alla ricerca di una nuova casa. Avevano recuperato quel che avevano potuto, nonostante non fosse molto. Guenhwyvar si teneva a una buona distanza a fianco di Drizzt. La vicinanza non faceva che rendere l'odore ancora peggiore.
Drizzt prese la cosa con calma, nonostante il fetore del suo corpo rendesse la lezione un po' più pungente di quanto avrebbe desiderato. Non conosceva il nome dell'animaletto, naturalmente, ma aveva osservato con attenzione il suo aspetto. Al suo prossimo incontro con una moffetta si sarebbe comportato diversamente. «Come saranno gli altri miei compagni in questo strano mondo?» sussurrò Drizzt tra sé. Non era la prima volta che il drow dava voce a tali preoccupazioni. Sapeva pochissimo della superficie e ancor meno delle creature che vi vivevano. Aveva trascorso i mesi nella grotta e nei paraggi, con escursioni soltanto occasionali nelle regioni inferiori e più popolate. Lì, alla ricerca di cibo, aveva visto degli animali, di solito da lontano, e aveva anche osservato alcuni umani. Tuttavia non aveva ancora trovato il coraggio d'uscire allo scoperto a salutare i suoi vicini, temendo un potenziale rifiuto e sapendo che non gli restava altro posto dove fuggire. Il suono dell'acqua corrente condusse il drow e la pantera maleodoranti a un ruscello che scorreva rapidamente. Drizzt trovò subito un riparo protettivo e iniziò a spogliarsi dell'armatura e degli abiti, mentre Guenhwyvar scendeva più a valle per pescare un po'. Il rumore della pantera che si dimenava nell'acqua portò un sorriso sui severi lineamenti del drow. Stasera avrebbero mangiato bene. Drizzt sganciò la fibbia della cintura e posò le armi realizzate con maestria accanto alla cotta di maglia metallica - non le avrebbe mai poste così lontano dalla sua portata nel Buio Profondo - ma erano trascorsi molti mesi da quando Drizzt aveva avuto bisogno di loro. Guardò le scimitarre e fu pervaso dai ricordi dolorosi ma dolci al tempo stesso, dell'ultima volta che le aveva usate. Allora aveva combattuto Zaknafein, suo padre e mentore e migliore amico. Soltanto Drizzt era sopravvissuto all'incontro. Il leggendario maestro d'armi ora era morto, ma il trionfo in quel combattimento apparteneva a Zak quanto a Drizzt, perché non era stato veramente Zaknafein colui che era giunto all'inseguimento di Drizzt sui ponti della grotta colma d'acido. Piuttosto era lo spettro di Zaknafein, sotto il controllo della malvagia madre di Drizzt, Matrona Malice. Lei aveva cercato di vendicarsi del proprio figlio a causa del biasimo di Drizzt nei confronti di Lloth e della caotica società drow in generale. Drizzt aveva trascorso più di trent'anni a Menzoberranzan, ma non aveva mai accettato le consuetudini maligne e crudeli che erano la norma nella città drow. Lui era stato una costante fonte di disagio per Casa Do'Urden, nonostante la sua considerevole abilità con le
armi. Quando era fuggito dalla città per vivere un'esistenza da esiliato nelle regioni selvagge del Buio Profondo, Drizzt aveva fatto perdere a sua madre, somma sacerdotessa, il favore di Lloth. Perciò Matrona Malice Do'Urden aveva resuscitato lo spirito di Zaknafein, il maestro d'armi che lei aveva sacrificato a Lloth, e mandato l'essere non morto all'inseguimento di suo figlio. Malice aveva effettuato un errore di valutazione, tuttavia, perché nel corpo di Zak restava un barlume d'anima sufficiente a negare l'attacco contro Drizzt. Nell'istante in cui Zak era riuscito a strappare il controllo a Malice, aveva gridato trionfante e si era gettato nel lago d'acido. «Mio padre» sussurrò Drizzt, traendo forza da quelle semplici parole. Era riuscito dove Zaknafein aveva fallito; aveva abbandonato le malvagie consuetudini dei drow, in cui Zak era rimasto intrappolato per secoli, agendo come una pedina nei giochi di potere di Matrona Malice. Dal fallimento di Zaknafein e dalla sua morte conclusiva, il giovane Drizzt aveva derivato la forza; dalla vittoria di Zak nella grotta d'acido, Drizzt aveva tratto la determinazione. Drizzt aveva ignorato la rete di bugie che i suoi ex maestri all'Accademia di Menzoberranzan avevano cercato di tessere, e lui era venuto in superficie per iniziare una nuova vita. Drizzt rabbrividì entrando nel ruscello gelato. Nel Buio Profondo aveva sperimentato temperature relativamente uniformi e un'oscurità invariabile. Qui, tuttavia, il mondo lo sorprendeva a ogni svolta. Aveva già notato che i periodi di luce e d'oscurità non erano costanti; il sole tramontava ogni giorno prima e la temperatura, che sembrava cambiare d'ora in ora, era scesa regolarmente nel corso delle ultime settimane. Anche all'interno di quei periodi di luce e di buio si verificavano incongruenze. Alcune notti erano visitate da una sfera di un bagliore argenteo e alcuni giorni presentavano una coltre grigia invece di una volta azzurro brillante. Nonostante tutto, Drizzt si sentiva per lo più a proprio agio riguardo alla decisione di venire in questo mondo sconosciuto. Guardando ora le armi e l'armatura, che giacevano all'ombra ad alcuni metri di distanza dal punto in cui stava bagnandosi, Drizzt dovette ammettere che la superficie, nonostante tutte le sue stranezze, offriva più pace e tranquillità di quanta poteva darne un punto qualsiasi del Buio Profondo. Ora Drizzt era inquieto, nonostante la sua calma. Aveva trascorso quattro mesi sulla superficie ed era ancora solo, tranne quando poteva chiamare la sua magica compagna felina. Ora, nudo fatta eccezione per i pantaloni a brandelli, con gli occhi che gli bruciavano per lo spruzzo della moffetta, il
senso dell'olfatto perduto nella nuvola del proprio aroma acre, e l'acuto senso dell'udito intorpidito dal fragore dell'acqua corrente, il drow era veramente vulnerabile. «Che aspetto disastroso devo avere» rifletté Drizzt, passandosi energicamente le dita sottili attraverso il groviglio di folti capelli bianchi. Quando si volse a guardare la propria attrezzatura, tuttavia, quel pensiero fu subito allontanato dalla mente di Drizzt. Cinque figure goffe e pesanti incombevano a gambe larghe sui suoi averi e indubbiamente importava loro ben poco dell'aspetto disordinato dell'elfo scuro. Drizzt osservò la pelle grigiastra e i musi scuri degli umanoidi dal volto canino, alti più di due metri, ma più in particolare osservò le lance e le spade che essi stavano puntando verso di lui. Lui conosceva questo tipo di mostri, perché aveva visto simili creature servire come schiavi a Menzoberranzan. In questa situazione, tuttavia, gli gnoll sembravano molto diversi, più minacciosi di quanto Drizzt li ricordasse. Drizzt pensò per un attimo di correre verso le scimitarre, ma allontanò l'idea sapendo che una lancia l'avrebbe trafitto ancora prima che lui si avvicinasse. Il più grosso della banda di gnoll, un gigante di quasi due metri e mezzo con notevoli capelli rossi, guardò Drizzt per un lungo attimo, diede un'occhiata all'attrezzatura del drow, poi lo guardò nuovamente. «A che cosa stai pensando?» mormorò Drizzt a bassa voce. Drizzt sapeva veramente molto poco degli gnoll. All'Accademia di Menzoberranzan gli era stato insegnato che gli gnoll erano una razza simile ai folletti, malvagia, imprevedibile e decisamente pericolosa. Tuttavia gli era stato detto lo stesso anche degli elfi della superficie e degli umani e, ora se ne rendeva conto, praticamente di ogni razza che non fosse drow. Drizzt si mise quasi a ridere forte nonostante la situazione critica in cui si trovava. Ironicamente, la razza che meritava maggiormente quel manto di malvagia imprevedibilità erano i drow stessi! Gli gnoll non effettuarono nessun'altra mossa. Drizzt comprese la loro esitazione alla vista di un elfo scuro, e capì di dover approfittare di quella paura naturale se voleva avere qualche possibilità. Facendo appello alle abilità innate del suo magico retaggio, Drizzt agitò la mano scura e profilò tutti e cinque gli gnoll d'innocue fiamme dal bagliore viola. Una delle creature bestiali si lasciò cadere immediatamente a terra, come Drizzt aveva sperato, ma gli altri si fermarono a un segnale della mano tesa del loro capo, che aveva un'esperienza maggiore. Si guardarono intorno nervosamente, apparentemente chiedendosi se fosse opportuno protrarre
quest'incontro. Il capitano degli gnoll, tuttavia, aveva già visto altre volte l'innocuo fuoco fatato, in un combattimento con uno sfortunato guardaboschi ormai morto, e sapeva cosa fosse. Drizzt si preparò in attesa e cercò di determinare la sua prossima mossa. Il capo degli gnoll si guardò intorno, osservò i compagni come per studiare in che misura fossero delineati dalle fiamme guizzanti. A giudicare dalla completezza dell'incantesimo, quello che si trovava nel bel mezzo del ruscello non era un comune contadino drow - o per lo meno questo era ciò che Drizzt sperava stesse pensando il capo. Drizzt si rilassò un po' mentre il capitano abbassava la lancia e faceva segno agli altri di fare altrettanto. Poi lo gnoll sbraitò un'accozzaglia di parole che per il drow risultarono incomprensibili. Vedendo l'evidente confusione di Drizzt, lo gnoll gridò qualcosa nella lingua gutturale dei folletti. Drizzt capiva la lingua dei folletti, ma il dialetto dello gnoll era talmente strano che lui riuscì a decifrare soltanto alcune parole, tra cui: «amico» e «capo». Con circospezione Drizzt fece un passo verso la riva. Gli gnoll si spostarono, aprendogli un passaggio verso i suoi averi. Drizzt effettuò un altro passo esitante, poi si sentì più a suo agio quando notò una nera forma felina acquattata tra i cespugli a poca distanza. Al suo ordine, Guenhwyvar, in un grande balzo, sarebbe piombata sulla banda di gnoll. «Tu e io camminare insieme?» chiese Drizzt al capo degli gnoll, usando la lingua dei folletti e cercando di simulare il dialetto della creatura. Lo gnoll rispose con un rapido grido, e l'unica cosa che a Drizzt parve di aver capito fu l'ultima parola della domanda: «...alleato?» Drizzt annuì lentamente, sperando di aver compreso il pieno significato di ciò che aveva detto la creatura. «Alleato!» gracchiò lo gnoll, e tutti i suoi compagni sorrisero e risero sollevati, dandosi delle manate sulla schiena. Allora Drizzt si avvicinò alla sua attrezzatura e si fissò immediatamente alla cintola le scimitarre. Vedendo che gli gnoll erano distratti, di drow diede un'occhiata a Guenhwyvar e fece un cenno con il capo, indicando la folta vegetazione lungo il sentiero davanti a loro. Rapidamente e silenziosamente, Guenhwyvar assunse una nuova posizione. Drizzt pensò che non ci fosse alcuna necessità di rivelare tutti i suoi segreti, non finché non avesse completamente capito le intenzioni dei suoi nuovi compagni. Drizzt scese insieme agli gnoll lungo i passi serpeggianti che scendevano dalla montagna. Gli gnoll si tenevano lontani, di fianco a Drizzt, o per
rispetto nei confronti di Drizzt e della fama della sua razza, o per qualche altra ragione, che lui non poteva conoscere. Drizzt sospettava che con maggiore probabilità essi si tenessero a una certa distanza semplicemente a causa dell'odore che emanava, dato che era diminuito ben poco nonostante il bagno. Il capo degli gnoll di tanto in tanto si rivolgeva a Drizzt, accentuando le proprie parole eccitate con un ammiccamento malizioso o sfregandosi improvvisamente le mani grosse e carnose. Drizzt non aveva la minima idea di che cosa stesse parlando lo gnoll, ma diede per scontato, dall'impaziente schioccare di labbra della creatura, che lo stesse conducendo a qualche genere di banchetto. Drizzt indovinò ben presto la destinazione del gruppo, perché aveva spesso osservato da picchi sporgenti, dall'alto delle montagne, le luci di una piccola comunità agricola umana nella valle. Drizzt poteva soltanto immaginare il rapporto esistente tra gli gnoll e gli agricoltori umani, ma intuì che non fosse amichevole. Quando si avvicinarono al villaggio, gli gnoll si distribuirono in posizioni difensive, seguirono file di cespugli e si mantennero il più possibile nell'ombra. Il crepuscolo stava avvicinandosi rapidamente mentre il gruppo avanzava intorno all'area centrale del villaggio per guardare dall'alto una fattoria isolata a occidente. Il capo degli gnoll sussurrò a Drizzt, pronunciando lentamente ogni parola in modo che il drow potesse capire. «Una famiglia» gracchiò. «Tre uomini, due donne...» «Una giovane donna» aggiunse entusiasticamente un altro. Il capitano gnoll emise un ringhio. «E tre giovani maschi» concluse. Drizzt pensò ora di capire lo scopo del viaggio, e l'espressione sorpresa e interrogativa sul suo volto spinse lo gnoll a una conferma al di là di ogni dubbio. «Nemici» dichiarò il capo. Drizzt, non sapendo praticamente nulla delle due razze, si trovava in preda a un dilemma. Gli gnoll erano razziatori - quello era chiaro - e avevano intenzione di piombare sulla fattoria non appena l'ultima luce del giorno fosse svanita. Drizzt non aveva alcuna intenzione di unirsi a loro nel combattimento, prima di ottenere molte altre informazioni riguardo alla natura del conflitto. «Nemici?» chiese. Il capo degli gnoll aggrottò la fronte in evidente costernazione. Pronunciò un fiotto di parole incomprensibili in cui a Drizzt parve di sentire: «u-
mano... debole... schiavo». Tutti gli gnoll intuirono l'improvviso disagio del drow, e iniziarono a toccare le proprie armi e a guardarsi nervosamente. «Tre uomini» disse Drizzt. Lo gnoll finse di conficcare selvaggiamente la lancia verso terra. «Uccidere il più vecchio! Prendere gli altri due!» «Donne?» Il sorriso malvagio che si allargò sul volto dello gnoll rispose alla domanda al di là di ogni dubbio, e Drizzt iniziò a comprendere da che parte schierarsi in quel conflitto. «E i bambini?» Guardò negli occhi il capo degli gnoll e pronunciò distintamente ogni parola. Non poteva esserci alcun fraintendimento. La sua domanda finale confermò tutto, perché mentre Drizzt poteva accettare la tipica ferocia che riguardava nemici mortali, non avrebbe mai potuto dimenticare la volta in cui aveva partecipato a una simile razzia. Quel giorno aveva salvato una bambina elfo, aveva nascosto la ragazzina sotto al corpo della madre per salvarla dall'ira dei suoi compagni drow. Di tutte le molte azioni malvagie a cui Drizzt aveva assistito, l'assassinio dei bambini era stato il peggiore. Lo gnoll abbassò la lancia verso il terreno, il suo volto canino era contorto da una perfida gioia. «Non credo» disse semplicemente Drizzt, mentre i suoi occhi color lavanda si accendevano. Gli gnoll notarono che in qualche modo gli erano comparse in mano le scimitarre. Il muso dello gnoll si deformò nuovamente, questa volta in un'espressione confusa. Cercò di alzare la lancia in segno di difesa, non sapendo che cosa avrebbe fatto poi questo strano drow, ma era troppo tardi. Lo slancio di Drizzt fu troppo rapido. Prima che la punta della lancia dello gnoll si fosse neppure mossa, il drow attaccò risolutamente l'avversario, con le scimitarre spianate. Gli altri quattro gnoll osservarono stupefatti mentre le lame di Drizzt colpivano due volte, squarciando la gola del loro potente capo. Il gigantesco gnoll cadde all'indietro senza un suono, portandosi inutilmente le mani alla gola. Uno gnoll posto lateralmente reagì per primo, sollevando la lancia e caricando verso Drizzt. L'agile drow sviò facilmente l'attacco diretto ma fece attenzione a non rallentare lo slancio dello gnoll. Mentre l'enorme creatura gli passava accanto pesantemente e goffamente, Drizzt si girò, dandole un calcio sulle caviglie. Sbilanciato, lo gnoll inciampò ma continuò ad avan-
zare, affondando la lancia nel petto di un compagno sbalordito. Lo gnoll diede uno strattone all'arma, ma questa era affondata saldamente, la sua punta uncinata era agganciata alla spina dorsale dell'altro gnoll. Lo gnoll non aveva alcuna preoccupazione per il suo compagno morente; tutto quel che voleva era la sua arma. Tirò, torse, imprecò e sputò sulle espressioni agonizzanti che attraversavano il volto del suo compagno, finché una scimitarra non colpì con violenza il cranio di quell'essere bestiale. Un altro gnoll, vedendo il drow distratto e pensando fosse più saggio impegnare il nemico da lontano, alzò la sua arma per lanciarla. Il braccio si sollevò in alto, ma prima ancora che l'arma partisse, Guenhwyvar effettuò un balzo e lo gnoll e la pantera rotolarono via. Lo gnoll indirizzò pesanti pugni sul fianco muscoloso della pantera, ma gli artigli graffianti della pantera erano di gran lunga più efficaci. Nella frazione di secondo che Drizzt impiegò per volgere le spalle ai tre gnoll morti ai suoi piedi, il quarto della banda giaceva morto sotto alla grande pantera. Il quinto si era dato alla fuga. Guenhwyvar si strappò dalla presa ostinata dello gnoll morto. I muscoli lisci del felino s'incresparono ansiosamente mentre attendeva l'ordine. Drizzt osservò la carneficina che lo circondava, il sangue sulle scimitarre, le orribili espressioni sui volti dei morti. Desiderò lasciare che finisse, perché si rese conto di essere entrato in una situazione al di là della sua esperienza, aveva attraversato il cammino di due razze di cui conosceva molto poco. Dopo un attimo di riflessione, tuttavia, l'unica idea che si stagliò nella mente del drow fu l'allegra promessa di morte per i bambini umani, da parte del capo degli gnoll. C'era troppo in ballo. Drizzt si volse verso Guenhwyvar, la sua voce era più decisa che rassegnata. «Vai a prenderlo». *
*
*
Lo gnoll s'inerpicava lungo i sentieri, i suoi occhi guizzavano avanti e indietro mentre lui immaginava sagome scure dietro a ogni albero o pietra. «Drow!» gracchiava ripetutamente con voce stridula, usando la parola stessa come incoraggiamento durante la fuga. «Drow! Drow!» Sbuffando e ansimando, lo gnoll giunse a un boschetto che si allungava lungo due ripide pareti di roccia nuda. Inciampò su un tronco caduto, scivolò e si scorticò le costole sull'angolo di una pietra ricoperta di muschio. Tuttavia queste lesioni di scarsa importanza non rallentarono minimamente
la creatura spaventata. Lo gnoll sapeva di essere inseguito, intuiva una presenza che scivolava dentro e fuori dall'ombra appena al di là dei limiti della sua portata visiva. Mentre si avvicinava alla fine del boschetto, circondato dalla fonda oscurità della sera, lo gnoll individuò un paio di occhi gialli, accesi, che lo osservavano. Lo gnoll aveva visto il suo compagno abbattuto dalla pantera e poteva intuire che cosa stesse bloccandogli la strada. Gli gnoll erano mostri codardi, ma sapevano combattere con sorprendente tenacia una volta messi alle strette. Proprio come in questo caso. Rendendosi conto di non avere possibilità di fuga - certamente non poteva volgersi in direzione dell'elfo scuro - lo gnoll ringhiò e sollevò la sua pesante lancia. Lo gnoll udì un fruscio, un tonfo, e un grido di dolore mentre la lancia colpiva. Gli occhi gialli scomparvero per un attimo, poi una forma fuggì frettolosamente verso un albero. Si muoveva bassa sul terreno, quasi felina, ma lo gnoll si rese immediatamente conto di non aver colpito una pantera. Quando l'animale ferito giunse all'albero, si volse a guardare e lo gnoll lo riconobbe chiaramente. «Un procione lavatore» sbottò lo gnoll, e si mise a ridere. «Sono fuggito da un procione!» Lo gnoll scrollò il capo e sbuffò tutta la sua allegria in un respiro profondo. La vista del procione gli aveva apportato un certo sollievo, ma lo gnoll non poteva dimenticare quello che era successo più indietro, lungo il sentiero. Ora doveva tornare alla propria tana, a riferire del drow a Ulgulu, il suo gigantesco padrone folletto, il suo essere divino. Fece un passo per recuperare la lancia, poi si fermò all'improvviso, intuendo un movimento da dietro. Lentamente lo gnoll volse il capo. Poteva vedere la propria spalla e la roccia ricoperta di muschio, dietro. Lo gnoll raggelò. Nulla si muoveva dietro di lui, neppure un suono proveniva da qualche parte del boschetto, ma la bestia sapeva che laggiù c'era qualcosa. Il respiro dell'essere simile a un folletto si fece corto e nervoso; stringeva e apriva le grasse mani posate sui fianchi. Lo gnoll si volse rapidamente e ruggì, ma il grido di rabbia divenne un urlo di terrore quando duecentosessanta chili di pantera balzarono su di lui da un basso ramo. L'urto fece cadere lo gnoll lungo disteso, ma non si trattava di una creatura debole. Ignorando i dolori brucianti degli artigli crudeli della pantera, lo gnoll afferrò la testa di Guenhwyvar, che stava piegandosi verso di lui, la trattenne disperatamente per impedire alla mascella letale di trovare una
presa sul suo collo. Per quasi un minuto lo gnoll lottò, le sue braccia tremavano sotto alla pressione dei muscoli potenti del collo della pantera. Poi la testa scese e Guenhwyvar trovò una presa. Grandi denti si agganciarono sul collo dello gnoll e strinsero fino a togliere il fiato alla creatura condannata. Lo gnoll agitava le braccia e si dimenava selvaggiamente; in qualche modo riuscì a rovesciarsi di nuovo sulla pantera. Guenhwyvar continuò a serrarlo in una morsa, indifferente. La mandibola restò chiusa. Dopo pochi minuti lo gnoll smise d'agitarsi. 2 Questioni di coscienza Drizzt effettuò la transizione della propria vista nello spettro infrarosso, la visione notturna che registrava le gradazioni di calore con la stessa chiarezza con cui vedeva gli oggetti alla luce. Ai suoi occhi, ora le scimitarre brillavano intensamente per il calore del sangue fresco, e i corpi straziati degli gnoll riversavano il loro calore all'aria aperta. Drizzt cercò di distogliere gli occhi, cercò d'osservare il sentiero che Guenhwyvar aveva preso all'inseguimento del quinto gnoll ma, ogni volta, il suo sguardo ricadeva sugli gnoll morti e sulle armi insanguinate. «Che cos'ho fatto?» si chiese Drizzt a voce alta. In verità non lo sapeva. Gli gnoll avevano parlato di massacrare i bambini, un pensiero che aveva evocato rabbia nel cuore di Drizzt, ma che cosa sapeva Drizzt del conflitto tra gli gnoll e gli esseri umani del villaggio? Gli umani, anche i bambini umani, non potevano essere mostri? Forse avevano razziato il villaggio gnoll e ucciso senza pietà. Forse gli gnoll avevano intenzione di reagire perché non avevano altra scelta, perché dovevano difendersi. Drizzt fuggì da quella scena raccapricciante alla ricerca di Guenhwyvar, nella speranza di poter raggiungere la pantera prima che il quinto gnoll fosse morto. Se avesse potuto trovare lo gnoll e catturarlo, avrebbe potuto conoscere alcune delle risposte che aveva disperatamente bisogno di sapere. Si mosse con passi rapidi e aggraziati, producendo appena un fruscio mentre scivolava attraverso la boscaglia, lungo il sentiero. Trovò facilmente segni del passaggio dello gnoll, e vide, con suo spavento, che anche Guenhwyvar aveva scoperto il sentiero. Quando infine giunse al bosco stretto, si aspettava pienamente che la sua ricerca fosse giunta al termine.
Tuttavia Drizzt ebbe un tuffo al cuore quando vide il felino, reclinato accanto all'ultima vittima. Guenhwyvar guardò Drizzt con curiosità mentre si avvicinava, il passo del drow era evidentemente agitato. «Che cosa abbiamo fatto, Guenhwyvar?» sussurrò Drizzt. La pantera piegò il capo come se non capisse. «Chi sono io per giudicare in questo modo?» proseguì Drizzt, parlando più tra sé che al felino. Si staccò da Guenhwyvar e dallo gnoll morto e andò verso un cespuglio frondoso, dove poté detergere il sangue dalle sue lame. «Gli gnoll non mi hanno attaccato, ma ero in loro balia quando mi hanno trovato per la prima volta nel ruscello. E io li ho ripagati facendo sgorgare il loro sangue!» Drizzt si volse di scatto verso Guenhwyvar pronunciando tali parole, come se si aspettasse, addirittura sperasse, che la pantera lo rimproverasse in qualche modo, lo condannasse e giustificasse il suo rimorso. Guenhwyvar non si era mossa di un centimetro e non lo fece ora, e gli occhi grandi e rotondi della pantera, che brillavano di una luce verde giallastra nella notte, non osservavano Drizzt con sguardo penetrante, non lo incriminavano in nessun modo per le sue azioni. Drizzt iniziò a protestare, desiderava crogiolarsi nel suo rimorso, ma Guenhwyvar non poteva essere scossa dalla sua calma accettazione. Quando erano vissuti da soli nelle regioni selvagge del Buio Profondo, quando Drizzt aveva perduto se stesso in preda agli impulsi selvaggi che lo spingevano a godere nell'uccidere, Guenhwyvar a volte gli aveva disubbidito, una volta era perfino ritornata nel Piano Astrale senza essere congedata. Ora, tuttavia, la pantera non accennò minimamente ad andarsene, né diede segno di delusione. Guenhwyvar si alzò in piedi, si scrollò lo sporco e i rametti dal mantello nero e liscio e andò a strofinare il muso contro Drizzt. Drizzt si rilassò gradualmente. Pulì ancora una volta le scimitarre, ora sull'erba folta, e le ripose nei foderi, poi posò una mano piena di gratitudine sull'enorme testa di Guenhwyvar. «Le loro parole li contrassegnavano come malvagi» sussurrò il drow per rassicurarsi. «Le loro intenzioni mi hanno costretto ad agire così.» Le sue stesse parole erano prive di convinzione ma, in quel momento, Drizzt doveva credervi. Effettuò un respiro profondo per calmarsi e guardò dentro di sé per trovare la forza di cui sapeva avrebbe avuto bisogno. Rendendosi poi conto che Guenhwyvar era stata al suo fianco per molto tempo e aveva bisogno di ritornare nel Piano Astrale a riposare, infilò la mano nella pic-
cola borsa che portava al fianco. Prima che Drizzt tirasse fuori la statuina d'onice dalla bisaccia, tuttavia, la pantera alzò la zampa e l'allontanò dalla sua presa. Drizzt guardò Guenhwyvar con curiosità, e il felino si appoggiò pesantemente contro di lui, facendogli quasi perdere l'equilibrio. «Mia fedele amica» disse Drizzt, rendendosi conto del fatto che la pantera stanca aveva intenzione di rimanergli accanto. Tirò fuori la mano dalla borsa e s'inginocchiò, stringendo Guenhwyvar in un grande abbraccio. Poi i due, fianco a fianco, si allontanarono dal cadavere. Quella notte Drizzt non dormì affatto, ma osservò le stelle e rifletté. Guenhwyvar intuì la sua ansia e gli rimase vicino per tutto il sorgere e il calare della luna, e quando Drizzt uscì per salutare l'alba successiva, Guenhwyvar avanzò a fatica al suo fianco, tirata e stanca. Trovarono una cresta rocciosa sulle colline pedemontane e sedettero a osservare lo spettacolo imminente. Sotto di loro le ultime luci svanirono dalle finestre del villaggio di contadini. Il cielo a oriente divenne rosa, poi rosso, ma Drizzt era distratto. Il suo sguardo indugiava sulle fattorie lontane, in basso; la sua mente cercò di riflettere sulle abitudini di questa comunità sconosciuta e cercò di trovarvi qualche giustificazione agli avvenimenti del giorno prima. Gli umani erano agricoltori, quello Drizzt lo sapeva, e inoltre agricoltori diligenti, perché molti di loro erano già fuori a lavorare i campi. Anche se quei fatti erano promettenti, tuttavia, Drizzt non poteva iniziare ad avanzare ipotesi radicali sulla condotta generale della razza umana. Allora Drizzt giunse a una decisione, mentre la luce del giorno si allargava, illuminando le strutture di legno della città e gli ampi campi di grano. «Devo sapere di più, Guenhwyvar» disse piano. «Se io... se noi... dobbiamo rimanere in questo mondo, dobbiamo giungere a capire le consuetudini dei nostri vicini.» Drizzt annuì, riflettendo sulle sue parole. Era già stato provato, provato dolorosamente, che non poteva restare un osservatore neutrale di ciò che avveniva nel mondo della superficie. Drizzt veniva spesso chiamato ad agire dalla propria coscienza, una potenza che lui non aveva la forza di negare. Eppure con una conoscenza così limitata delle razze che convivevano in questa regione, la sua coscienza poteva facilmente sviarlo. Poteva provocare danni agli innocenti, sconfiggendo perciò i principi stessi in nome dei quali Drizzt aveva intenzione di battersi. Drizzt socchiuse gli occhi alla luce del mattino, osservando il lontano
villaggio come per riceverne un accenno di risposta. «Mi recherò lì» disse alla pantera. «Andrò a osservare e a imparare». Guenhwyvar restò seduta in silenzio per tutto il tempo. Drizzt non riusciva a capire se la pantera approvasse o disapprovasse, o anche se comprendesse le intenzioni di Drizzt. Questa volta, tuttavia, Guenhwyvar non effettuò alcuna mossa di protesta quando Drizzt cercò di prendere la statuina d'onice. Alcuni attimi più tardi, la grande pantera stava correndo via lungo il tunnel planare per raggiungere la sua dimora astrale, e Drizzt camminava lungo i sentieri che conducevano al villaggio umano e alle sue risposte. Si fermò soltanto una volta, presso il corpo dello gnoll solitario, per prendere il mantello della creatura. Quel furto mise Drizzt notevolmente a disagio, ma la notte gelida gli ricordò che la perdita del suo piwafwi poteva rivelarsi grave. A questo punto, la conoscenza degli umani e della loro società da parte di Drizzt era gravemente limitata. Nelle viscere del Buio Profondo gli elfi scuri comunicavano e s'interessavano scarsamente di coloro che vivevano in superficie. L'unica volta in cui a Menzoberranzan Drizzt aveva saputo qualcosa degli umani era stato durante il periodo trascorso all'Accademia, i sei mesi passati a Sorcere, la scuola dei maghi. I maestri drow avevano messo in guardia gli studenti affinché non usassero la magia «come fanno gli umani», sottintendendo una pericolosa sventatezza generalmente associata a quella razza dalla vita breve. «I maghi umani», avevano detto i maestri, «non hanno minori ambizioni dei maghi drow, ma mentre un drow può impiegare cinque secoli per raggiungere tali obiettivi, un umano ha soltanto pochi brevi decenni.» Drizzt aveva portato con sé per una ventina d'anni i sottintesi relativi a quell'affermazione, in particolare negli ultimi mesi, quando aveva osservato quasi quotidianamente dall'alto il villaggio umano. Se tutti gli umani, non soltanto i maghi, erano ambiziosi come moltissimi drow - fanatici che potevano trascorrere la maggior parte di un millennio per raggiungere i propri obiettivi - erano forse consumati dal proseguimento di un unico scopo fino a rasentare l'isteria? O forse, sperava Drizzt, le storie che aveva sentito all'Accademia riguardo agli umani erano soltanto altre tipiche menzogne che avviluppavano la sua società in una rete d'intrigo e di paranoia. Forse gli umani ponevano i propri obiettivi a livelli più ragionevoli e trovavano godimento e soddisfazione nei piccoli piaceri dei brevi giorni della loro esistenza.
Drizzt aveva incontrato un umano soltanto una volta nel corso dei suoi viaggi nel Buio Profondo. Quell'uomo era un mago, si era comportato in modo irrazionale e imprevedibile, e infine pericoloso. Il mago aveva trasformato l'amico di Drizzt, un pech, innocua creaturina umanoide, in un mostro orribile. Quando Drizzt e i suoi compagni erano andati a rimettere a posto le cose alla torre del mago, erano stati accolti dal fragoroso scoppio d'un fulmine. Alla fine l'umano era rimasto ucciso e l'amico di Drizzt, Clacker, era stato lasciato al suo tormento. Drizzt aveva provato un amaro senso di vuoto; quell'uomo era un esempio che sembrava confermare la verità degli avvertimenti dei maestri drow. Perciò ora Drizzt viaggiava con cautela verso lo stanziamento umano, i suoi passi erano appesantiti dalla crescente paura di aver sbagliato nell'uccidere gli gnoll. Drizzt decise d'osservare la stessa fattoria isolata al confine occidentale della cittadina che gli gnoll avevano scelto per la propria razzia. Si trattava di una struttura di tronchi lunga e bassa con un'unica porta e varie finestre munite d'imposte. Un portico coperto dal tetto e aperto sui lati correva lungo tutta la parte anteriore. Accanto a questo si ergeva un granaio, alto due piani, con porte ampie e alte che facevano passare un grande carro. Staccionate di varie fogge e dimensioni punteggiavano il cortile più vicino all'abitazione, molte contenevano polli o maiali, una raccoglieva un'oca, e altre circondavano file diritte di piante frondose che Drizzt non riconobbe. Il cortile era delimitato da campi sui tre lati, ma il retro dell'abitazione era vicino alla folta boscaglia e ai massi tondeggianti alle falde della montagna. Drizzt penetrò sotto ai bassi rami di un pino, di lato all'angolo posteriore dell'abitazione, postazione che gli consentiva di vedere la maggior parte del cortile. I tre uomini adulti della casa - tre generazioni, immaginò Drizzt dal loro aspetto - lavoravano i campi, troppo lontano dagli alberi perché Drizzt riuscisse a individuare molti particolari. Più vicino all'abitazione, tuttavia, quattro bambini, una figlia appena alle soglie della maturità e tre ragazzi più giovani, si occupavano tranquillamente delle loro faccende, badavano ai polli e ai maiali e toglievano le erbacce dall'orto. Lavorarono separatamente e con una minima interazione per la maggior parte del mattino, così che Drizzt apprese ben poco sui loro rapporti familiari. Quando una donna robusta con gli stessi capelli color del grano di tutti e cinque i bambini uscì sul portico e suonò una gigantesca campana, parve che tutto lo spirito che era stato costretto all'interno dei lavoratori, esplodesse incontrollabilmente.
Con grida e urla i tre ragazzi si lanciarono verso l'abitazione, fermandosi appena il tempo sufficiente per gettare della verdura marcia alla sorella maggiore. Inizialmente Drizzt pensò che il bombardamento fosse un preludio a un conflitto più serio, ma quando la giovane donna rispose allo stesso modo, tutti e quattro scoppiarono fragorosamente a ridere e lui riconobbe il gioco per quel che era.. Un attimo più tardi il più giovane degli uomini nel campo, probabilmente un fratello maggiore, arrivò di gran carriera nel cortile, urlando e agitando una zappa di ferro. La giovane donna gridò un incoraggiamento a questo nuovo alleato e i tre ragazzi si tuffarono verso il portico. Tuttavia l'uomo fu più rapido, raccolse l'ultimo dei monelli con le braccia robuste e lo lasciò prontamente cadere nel trogolo dei maiali. Per tutto il tempo la donna con la campana continuò a scrollare la testa impotente e pronunciò un fiume infinito di brontolii esasperati. Una donna più anziana, dai capelli grigi e magrissima, uscì per porsi vicino a lei, agitando minacciosamente un mestolo di legno. Apparentemente soddisfatto, il giovane mise un braccio intorno alle spalle della giovane donna ed essi seguirono i primi due ragazzi in casa. Il ragazzino rimasto fuori uscì dall'acqua fangosa e fece per seguirli, ma il cucchiaio di legno lo tenne a bada. Naturalmente Drizzt non riusciva a capire una parola di quello che stavano dicendo, ma immaginava che le donne non volessero lasciare entrare in casa il piccolo finché non si fosse asciugato. Il giovane turbolento mormorò qualcosa alle spalle di colei che aveva il cucchiaio, mentre lei entrava in casa, ma il suo tempismo non fu molto buono. Gli altri due uomini, uno dei quali vantava una barba grigia mentre l'altro aveva il volto rasato, arrivarono dal campo e seguirono furtivamente il ragazzo che brontolava. Il giovane finì nuovamente per aria e atterrò ancora nel trogolo sollevando un bel po' di spruzzi. Congratulandosi reciprocamente di cuore, gli uomini entrarono in casa tra le grida esultanti degli altri. Il ragazzo grondante si limitò a brontolare di nuovo e spruzzò un po' d'acqua in faccia a una scrofa venuta a indagare. Drizzt osservò il tutto con crescente meraviglia. Non aveva visto nulla di definitivo, ma i modi giocosi della famiglia e l'accettazione rassegnata anche da parte del perdente del gioco, lo incoraggiarono. Drizzt intuì nel gruppo uno spirito unitario, con tutti i membri che lavoravano verso un obiettivo comune. Se quest'ultima fattoria si rivelava un'immagine dell'intero villaggio, allora sicuramente il luogo assomigliava a Blingdenstone,
una città comunitaria degli gnomi del profondo, molto più che a Menzoberranzan. Il pomeriggio continuò più o meno allo stesso modo, con un misto di lavoro e di gioco, evidente in tutta la fattoria. La famiglia si ritirò presto, spensero le lampade subito dopo il tramonto e Drizzt si spinse maggiormente nel profondo del boschetto sul fianco della montagna per riflettere sulle proprie osservazioni. Il drow non poteva ancora essere certo di nulla, ma dormì più tranquillamente quella notte, indisturbato da dubbi molesti riguardanti gli gnoll morti. *
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Per tre giorni il drow si acquattò nell'ombra dietro alla fattoria, osservando la famiglia che lavorava e giocava. L'affiatamento del gruppo divenne sempre più evidente, e ogni qualvolta scoppiava un vero litigio tra i bambini, l'adulto più vicino si affrettava ad intervenire e faceva da mediatore, riportando le cose a un livello di ragionevolezza. Invariabilmente i contendenti tornavano a giocare insieme in breve tempo. Drizzt aveva abbandonato ogni dubbio. «Guardatevi dalle mie lame, razziatori» sussurrò una notte verso le montagne silenziose. Il giovane drow rinnegato aveva deciso che se qualsiasi gnoll o folletto - o creature di qualsiasi altra razza in assoluto - avesse cercato di calare su questa particolare famiglia d'agricoltori, prima avrebbe dovuto competere con le scimitarre vorticanti di Drizzt Do'Urden. Drizzt comprendeva il rischio che stava correndo osservando la famiglia della fattoria. Se gli agricoltori l'avessero notato, e questo era possibilissimo, sicuramente sarebbero stati colti dal panico. A questo punto della sua esistenza, tuttavia, Drizzt era disposto a correre il rischio. Una parte di lui poteva anche sperare che lo scoprissero. Presto, il mattino del quarto giorno, prima che il sole si fosse fatto strada nel cielo occidentale, Drizzt partì per il suo quotidiano giro di pattuglia, passò intorno alle colline e ai boschi che circondavano la fattoria solitaria. Quando il drow fu tornato alla sua postazione, la fattoria era nel pieno della giornata lavorativa. Drizzt sedette comodamente su un letto di muschio e dall'ombra sbirciò nella luminosità della giornata limpida. Meno di un'ora più tardi, una figura solitaria strisciò dalla fattoria in direzione di Drizzt. Era il più giovane dei figli, il ragazzino dai capelli bion-
do rossicci che sembrava trascorrere quasi la metà del suo tempo nel trogolo, di solito non per sua scelta. Drizzt girò dietro il tronco di un vicino albero, incerto riguardo alle intenzioni del bambino. Si rese ben presto conto del fatto che il giovane non l'aveva visto, perché il ragazzo scivolò nel boschetto, sbuffò volgendosi verso la fattoria, e si diresse verso il bosco scosceso, fischiando continuamente. Allora Drizzt comprese che il ragazzo stava evitando i suoi compiti, e quasi approvò l'atteggiamento spensierato del ragazzo. Ciò nonostante, tuttavia, Drizzt non era convinto che fosse una cosa saggia da parte del bambino vagare lontano da casa in un territorio così pericoloso. Il ragazzo non poteva avere più di dieci anni; appariva sottile e delicato, con innocenti occhi azzurri che sbirciavano da dietro i riccioli ambrati. Drizzt attese qualche attimo, per lasciare che il bambino gli passasse davanti e per vedere se qualcuno lo seguisse, poi prese la sua stessa strada, lasciandosi guidare dal fischiettio. Il ragazzo si spostava infallibilmente dalla fattoria, su per le montagne, e Drizzt lo seguiva a un centinaio di passi di distanza, deciso a tenere il ragazzo lontano dal pericolo. Negli oscuri tunnel del Buio Profondo Drizzt avrebbe potuto strisciare direttamente dietro al ragazzo - o dietro a un folletto o praticamente dietro a qualsiasi altra creatura - e dargli una sculacciata prima di essere scoperto. Ma dopo soltanto circa mezz'ora di tale inseguimento, i movimenti e gli strani cambiamenti di velocità lungo il sentiero, uniti al fatto che il fischiettio era cessato, rivelarono a Drizzt che il ragazzo sapeva d'essere seguito. Chiedendosi se il ragazzo avesse intuito la presenza di una terza persona, Drizzt convocò Guenhwyvar con la statuina d'onice e mandò la pantera a effettuare una manovra laterale. Drizzt ripartì avanzando con andatura circospetta. Un attimo più tardi, quando la voce del bambino gridò d'angoscia, il drow estrasse le scimitarre e abbandonò ogni cautela. Drizzt non capiva nessuna delle parole del ragazzo, ma il tono disperato risuonava con sufficiente chiarezza. «Guenhwyvar!» gridò il drow, cercando di ricondurre al proprio fianco la pantera lontana. Drizzt non poteva fermarsi ad aspettare il felino, tuttavia, e si lanciò alla carica. Il sentiero saliva lungo un'erta, usciva improvvisamente dagli alberi e finiva sull'orlo di un'ampia gola, larga ben sei metri. Un unico tronco attra-
versava il crepaccio, e da questo pendeva il ragazzo, quasi dalla parte opposta. I suoi occhi si spalancarono notevolmente alla vista dell'elfo dalla pelle d'ebano, scimitarre alla mano. Balbettò alcune parole che Drizzt non riuscì minimamente a decifrare. Un'ondata di rimorso sommerse Drizzt alla vista del bambino in pericolo; il ragazzo era finito in questa situazione catastrofica a causa dell'inseguimento di Drizzt. La gola era profonda soltanto quanto la sua larghezza, ma alla base del salto c'erano rocce frastagliate e rovi. Dapprima Drizzt esitò, colto impreparato dall'improvviso incontro e dalle sue inevitabili conseguenze, poi il drow allontanò rapidamente dalla propria mente i suoi problemi. Rimise nei foderi le scimitarre e, piegando le braccia sul petto in un segnale di pace, drow posò un piede sul tronco. Il ragazzo aveva altre idee. Non appena si fu ripreso dal trauma di vedere quello strano elfo, oscillò fino a raggiungere una sporgenza sul bordo di pietra dalla parte opposta di Drizzt e spinse il tronco giù dal suo sostegno. Drizzt si affrettò a ritirarsi dal tronco mentre questo rotolava giù nel crepaccio. Allora il drow comprese che il ragazzo non si era mai trovato in pericolo effettivo, ma aveva finto d'essere angosciato per infervorare il proprio inseguitore. E, Drizzt presunse, se l'inseguitore fosse stato un componente della famiglia, come il ragazzo aveva indubbiamente sospettato, la situazione critica avrebbe potuto deviare qualsiasi idea di punizione. Ora era Drizzt a trovarsi nei guai. Era stato scoperto. Cercò di pensare a un modo per comunicare con il ragazzo, per spiegare la sua presenza ed evitare il panico. Tuttavia il ragazzo non attese alcuna spiegazione. Con gli occhi spalancati e terrorizzato, salì sul bordo - attraverso un sentiero che ovviamente conosceva bene - e schizzò tra gli arbusti. Drizzt si guardò intorno impotente. «Aspetta!» gridò in lingua drow, pur sapendo che il ragazzo non avrebbe capito e non si sarebbe fermato comunque neppure se l'avesse potuto comprendere. Una scura forma felina giunse di corsa accanto al drow e balzò in aria, oltrepassando il crepaccio con facilità. Guenhwyvar avanzò piano dall'altra parte e scomparve nel folto degli alberi. «Guenhwyvar!» gridò Drizzt, cercando di fermare la pantera. Drizzt non aveva la minima idea di come avrebbe reagito Guenhwyvar di fronte al bambino. Per quel che ne sapeva Drizzt, la pantera aveva incontrato un essere umano soltanto una volta, prima d'allora, il mago che in seguito i compagni di Drizzt avevano ucciso. Drizzt si guardò intorno alla ricerca di un modo per seguirla. Poteva scendere lungo il fianco della gola, attraver-
sarla sul fondo e arrampicarsi nuovamente dall'altra parte, ma avrebbe impiegato troppo tempo. Drizzt corse indietro di qualche passo, poi si lanciò alla carica verso la gola e balzò per aria, facendo appello ai suoi innati poteri di levitazione. Drizzt fu veramente sollevato quando sentì il proprio corpo liberarsi dalla gravità del terreno. Non aveva più usato quell'incantesimo di levitazione da quando era venuto sulla superficie. Quella magia non aveva alcuno scopo per un drow che si nascondeva sotto il cielo aperto. Gradualmente, lo slancio iniziale di Drizzt lo portò vicino alla sponda opposta. Iniziò a concentrarsi per scendere sulla pietra, ma l'incantesimo finì improvvisamente e Drizzt cadde giù con un tonfo. Il drow ignorò le escoriazioni sulle ginocchia, e le domande sul perché l'incantesimo non avesse funzionato, e si alzò correndo, chiamando disperatamente Guenhwyvar, affinché si fermasse. Drizzt fu sollevato quando trovò il felino. Guenhwyvar sedeva con calma in una radura, bloccando con naturalezza il ragazzo a volto in giù sul terreno, con una zampa. Il bambino aveva ripreso a gridare - Drizzt immaginò che stesse chiamando aiuto - ma sembrava incolume. «Vieni, Guenhwyvar!» disse Drizzt, con calma. «Lascia stare il bambino.» Guenhwyvar sbadigliò pigramente e ubbidì, attraversando con lentezza la radura per porsi al fianco del padrone. Il ragazzo restò giù per un lungo attimo. Poi, facendo appello al suo coraggio, si mosse improvvisamente, balzando in piedi e volgendosi di scatto ad affrontare l'elfo scuro e la pantera. I suoi occhi sembravano ancora più grandi, quasi una caricatura del terrore, balenavano nel volto ormai sporco. «Che cosa sei?» chiese il ragazzo nella lingua umana comune. Drizzt allargò le braccia lungo i fianchi per indicare che non capiva. D'impulso si puntò un dito sul petto e rispose: «Drizzt Do'Urden». Notò che il ragazzo stava muovendosi impercettibilmente, spostando in segreto un piede dietro l'altro e poi facendo scivolare l'altro di nuovo a posto. Drizzt non fu sorpreso - e stavolta si assicurò di tenere a bada Guenhwyvar - quando il ragazzo girò sui tacchi e schizzò via, urlando: «Aiuto! È un drizzit!» a ogni passo. Drizzt guardò Guenhwyvar e scrollò le spalle, il felino parve scrollarle a sua volta. 3 Giovani Mostri
Nathak, un folletto dalle braccia lunghe e sottili, si fece strada lentamente su per la ripida pendenza rocciosa, gravato di paura a ogni passo. Il folletto doveva riferire ciò che aveva rinvenuto - cinque gnoll morti non potevano essere ignorati - ma la sfortunata creatura dubitava seriamente che Ulgulu e Kempfana avrebbero accettato di buon grado la novità. Tuttavia, quali alternative aveva Nathak? Poteva scappare via, fuggire lungo l'altro lato della montagna, e allontanarsi nelle regioni selvagge. Tuttavia quella sembrava un'alternativa ancora più disperata, perché il folletto conosceva bene il gusto di Ulgulu per la vendetta. Il grande padrone dalla pelle viola poteva sradicare un albero da terra con le mani nude, poteva strappare manciate di pietra dalla parete della grotta, e poteva prontamente lacerare la gola di un folletto disertore. Mentre Nathak oltrepassava i cespugli di mimetizzazione, ogni passo gli provocava un brivido nella stanzetta d'ingresso del complesso ricavato da una grotta, in cui viveva il suo padrone. «Era ora che tornassi» sbuffò uno degli altri due folletti presenti nella stanza. «Sei via da due giorni!» Nathak si limitò ad annuire ed effettuò un respiro profondo. «Che cos'hai combinato?» chiese il terzo folletto. «Hai trovato gli gnoll?» Nathak impallidì, e per quanto respirasse profondamente non riuscì a mitigare l'attacco che l'aveva colto. «C'è Ulgulu?» chiese con un senso di nausea. Le due guardie folletto si guardarono con curiosità, poi riportarono l'attenzione su Nathak. «Ha trovato gli gnoll» osservò uno di loro, indovinando il problema. «Gnoll morti.» «Ulgulu non sarà felice» intervenne l'altro, e i due si spostarono, uno di loro sollevò la pesante tenda che separava la stanza d'ingresso dalla sala d'udienza. Nathak esitò e iniziò a guardarsi alle spalle, come se stesse riconsiderando la piega che stavano prendendo le cose. Forse la fuga sarebbe stata preferibile, pensò. Le guardie folletto afferrarono il loro compagno spilungone e lo spinsero rudemente nella sala d'udienza, incrociando le lance dietro a Nathak per impedirgli qualsiasi ritirata. Nathak riuscì a trovare una certa compostezza quando vide che Kempfana, e non Ulgulu, era seduto nell'enorme poltrona situata sul lato opposto della stanza. Tra i folletti, Kempfana aveva fama d'essere il più calmo dei
due fratelli dominatori, benché anche Kempfana avesse divorato impulsivamente un numero di suoi scagnozzi sufficiente per guadagnarsi il loro vigoroso rispetto. Kempfana prese a malapena in considerazione l'ingresso del folletto, dato che era impegnato a conversare con Lagerbottoms, il grasso gigante di collina che precedentemente rivendicava il possesso del complesso della grotta. Nathak attraversò la stanza strascicandosi, attirando gli sguardi del gigante e dell'enorme essere dalla pelle rossa, simile a un folletto, che era quasi grande quanto il gigante delle colline. «Sì, Nathak» lo esortò Kempfana, zittendo l'imminente protesta del gigante delle colline con un semplice gesto della mano. «Che cos'hai da riferire?» «Me... me» balbettò Nathak. I grandi occhi di Kempfana brillarono improvvisamente di una luce arancione, un chiaro segno di pericolosa eccitazione. «Me trovato gli gnoll!» sbottò Nathak. «Morti ammazzati.» Lagerbottoms emise un basso ringhio minaccioso, ma Kempfana afferrò strettamente il braccio del gigante delle colline, ricordandogli chi comandava. «Morti?» chiese tranquillamente il folletto dalla pelle scarlatta. Nathak annuì. Kempfana lamentò la perdita di simili schiavi affidabili, ma i pensieri del giovane spirito infausto in quel momento erano più centrati sull'inevitabile reazione capricciosa del fratello a tale notizia. Kempfana non dovette attendere molto. «Morti!» giunse uno strepito che spaccò quasi la pietra. Tutti e tre i mostri presenti nella stanza abbassarono istintivamente il capo e si volsero di lato, appena in tempo per vedere un enorme masso, la rozza porta che conduceva in un'altra stanza, aprirsi di scatto e schizzare violentemente di lato. «Ulgulu!» strillò Nathak, e il piccolo folletto cadde faccia a terra sul pavimento, non osando guardare. L'enorme creatura dalla pelle viola, simile a un folletto, entrò precipitosamente nella sala d'udienza, con gli occhi arancione brillante fiammeggianti di rabbia. Tre grandi passi portarono Ulgulu proprio accanto al gigante delle colline, e Lagerbottoms parve improvvisamente molto piccolo e vulnerabile. «Morti!» ruggì nuovamente Ulgulu, in preda alla rabbia. Dato che la sua tribù di folletti era diminuita, uccisa dagli umani del villaggio o da altri
mostri - o mangiata dallo stesso Ulgulu durante i suoi abituali attacchi di rabbia - il gruppetto di gnoll era divenuto la principale forza di cattura per la tana. Kempfana lanciò un'orribile occhiata furiosa al fratello più grosso di lui. Erano venuti nel Piano Materiale insieme, due giovani spiriti infausti, per mangiare e crescere. Ulgulu aveva prontamente preteso il predominio, divorando le più forti delle loro vittime e, perciò, diventando più grande e più forte. Dal colore della pelle di Ulgulu, dalle sue dimensioni e dalla sua forza pura, era evidente che il giovane mostro sarebbe ben presto stato in grado di ritornare alle fetide fenditure della valle di Gehenna. Kempfana sperava che quel giorno fosse prossimo. Quando Ulgulu se ne sarebbe andato, lui avrebbe avuto il predominio; avrebbe mangiato e sarebbe divenuto più forte. Poi anche Kempfana sarebbe potuto sfuggire al suo interminabile periodo di svezzamento su questo piano maledetto, sarebbe potuto ritornare a competere tra gli spiriti infausti sul loro legittimo piano d'esistenza. «Morti» ringhiò di nuovo Ulgulu. «Alzati, disgraziato folletto, e dimmi come! Che cosa ha fatto questo ai miei gnoll?» Nathak rimase prono un minuto più del dovuto, poi riuscì ad alzarsi in ginocchio. «Me non sa» gemette il folletto. «Gnoll morti, dilaniati e straziati.» Ulgulu vacillò all'indietro, facendo perno sulle caviglie dei suoi piedi giganteschi e flosci. Gli gnoll erano andati a razziare una fattoria, con l'ordine di ritornare portando il capofamiglia e il figlio maggiore. Quei due robusti pasti umani avrebbero rafforzato considerevolmente il grande spirito infausto, forse addirittura portando Ulgulu al livello di maturazione necessario per ritornare a Gehenna. Ora, alla luce di quanto riferito da Nathak, Ulgulu avrebbe dovuto mandare Lagerbottoms, o forse andare lui stesso, e la vista del gigante o della mostruosità dalla pelle viola poteva spingere lo stanziamento umano a un'azione pericolosa e organizzata. «Tephanis!» ruggì improvvisamente Ulgulu. Sulla lontana parete, dalla parte opposta rispetto al luogo in cui Ulgulu aveva fatto il suo ingresso fragoroso, si staccò un sassolino, e cadde. Il salto fu solo di alcune decine di centimetri, ma quando il sassolino toccò terra, un esile spiritello era già schizzato fuori dal cantuccio che usava come camera da letto, aveva percorso i sei metri della sala d'udienza ed era corso direttamente su per il fianco di Ulgulu, per sedere comodamente sull'immensa spalla dello spirito infausto.
«Mi-hai-chiamato, sì, proprio così, padrone-mio?» ronzò Tephanis, troppo rapidamente. Gli altri non si erano neppure resi conto del fatto che lo spiritello alto sessanta centimetri era entrato nella stanza. Kempfana si volse dall'altra parte, scrollando il capo stupefatto. Ulgulu rideva fragorosamente; adorava talmente assistere allo spettacolo di Tephanis, il suo servitore più stimato. Tephanis era uno sveltelfo, un minuscolo spiritello che si muoveva in una dimensione che trascendeva il normale concetto di tempo. Poiché possedevano un'energia illimitata e un'agilità che avrebbe eclissato il più abile ladro mezzelfo, gli sveltelfi erano in grado di effettuare molti compiti che nessun'altra razza poteva neppure tentare. Ulgulu aveva aiutato Tephanis molto presto nel periodo trascorso sul Piano Materiale - Tephanis era l'unico, tra i vari occupanti del covo, su cui lo spirito infausto non pretendesse d'esercitare il proprio dominio - e quel legame aveva conferito al giovane mostro un netto vantaggio sul fratello. Con Tephanis che scovava vittime potenziali, Ulgulu sapeva esattamente quali divorare e quali lasciare a Kempfana, e sapeva esattamente come vincere contro gli avventurieri più potenti di lui. «Caro Tephanis» disse amorevolmente Ulgulu, producendo uno strano suono rauco, «Nathak, il povero Nathak», al folletto non sfuggirono i sottintesi di quel riferimento, «mi ha informato che i miei gnoll hanno fatto una fine disastrosa.» «E-tu-vuoi-che-vada-a-vedere-che-cosa-è-successo-loro, mio-padrone» rispose Tephanis. Ulgulu impiegò un attimo per decifrare la sfilza di parole quasi incomprensibili, poi annuì entusiasticamente. «Subito, mio-padrone. Tornerò-presto.» Ulgulu sentì un lieve brivido sulla spalla, ma quando lui o gli altri si furono resi conto di quel che aveva detto Tephanis, il pesante drappeggio che separava la cavità della stanza d'ingresso stava tornando fluttuando nella posizione originaria. Uno dei folletti infilò la testa all'interno soltanto per un attimo, per vedere se Kempfana o Ulgulu l'avessero convocato, poi tornò alla propria posizione, pensando che il movimento del drappeggio fosse stato uno scherzo del vento. Ulgulu si mise di nuovo a ridere fragorosamente; Kempfana gli lanciò un'occhiata disgustata e furiosa. Kempfana odiava lo spiritello e l'avrebbe ucciso molto tempo prima, solo che non poteva ignorare i potenziali lati positivi, dato che immaginava che Tephanis avrebbe lavorato per lui, quando Ulgulu sarebbe ritornato a Gehenna. Nathak fece scivolare un piede dietro l'altro, con l'intenzione di ritirarsi
silenziosamente dalla stanza. Ulgulu bloccò il folletto con uno sguardo. «Il tuo rapporto mi è stato utile» iniziò lo spirito infausto. Nathak si rilassò, ma soltanto per l'attimo impiegato dalla grande mano di Ulgulu per guizzare in avanti, afferrare il folletto per la gola e sollevare Nathak dal pavimento. «Ma mi sarebbe stato più utile se tu avessi aspettato di scoprire quello che era accaduto ai miei gnoll!» Nathak si accasciò e quasi svenne, e quando la metà del suo corpo venne infilata nell'avida bocca di Ulgulu, il folletto dalle braccia lunghe e sottili desiderò essere venuto meno veramente. *
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«Strofinare il sedere, allevia il dolore. Frustarlo lo fa tornare. Strofinare il sedere allevia il dolore. Frustarlo lo fa tornare» Liam Thistledown ripeté più e più volte la litania, per distogliere la propria concentrazione dalla sensazione di bruciore che provava dietro ai calzoni, una litania che Liam, il birboncello, conosceva fin troppo bene. Però questa volta era diverso, perché dopo un po' Liam ammise tra sé che era veramente fuggito via per sottrarsi ai suoi compiti. «Ma il drizzit era vero» ringhiò il bambino con aria di sfida. Come in risposta alla sua affermazione, la porta del fabbricato annesso si aprì appena di una fessura e Shawno, il secondo figlio più giovane prima di Liam, ed Eleni, l'unica sorella, scivolarono all'interno. «Questa volta te la sei voluta» lo sgridò Eleni con la sua migliore voce da sorella maggiore. «È abbastanza brutto che tu te ne sia scappato via quando c'era del lavoro da fare, ma tornarsene a casa con storie simili!» «Il drizzit era vero» protestò Liam, che non apprezzava l'atteggiamento pseudomaterno di Eleni. Liam era già abbastanza nei guai per via delle sgridate dei suoi genitori; non aveva bisogno del giudizio retrospettivo e sempre aspro di Eleni. «Nero come l'incudine di Connor e con un leone altrettanto nero!» «State buoni, voi due» li mise in guardia Shawno. «Se papà venisse a sapere che siamo qui fuori a parlare di cose simili, ci frusterebbe tutti.» «Drizzit» sbuffò Eleni, dubbiosa. «È vero!» protestò Liam troppo forte, prendendosi uno schiaffo bruciante da Shawno. I tre si volsero, pallidi in volto, quando la porta si aprì. «Vieni dentro!» sussurrò aspramente Eleni, afferrando per il colletto
Flanny, che era un po' più grande di Shawno, ma tre anni più giovane di Eleni, e tirandolo nella legnaia. Shawno, sempre quello che provocava preoccupazioni all'interno del gruppo, si affrettò a sporgere fuori la testa per assicurarsi che nessuno stesse osservando, poi chiuse piano la porta. «Non dovresti spiarci!» protestò Eleni. «Come potevo sapere che eravate qui dentro?» sbottò di rimando Flanny. «Sono venuto soltanto per stuzzicare il piccoletto.» Guardò Liam, torse la bocca e agitò minacciosamente le dita per aria. «Attenti, attenti» mormorò Flanny. «Sono il drizzit, venuto a mangiare i bambini!» Liam si volse dall'altra parte, ma Shawno non rimase così impressionato. «Piantala!» ringhiò a Flanny, sottolineando le proprie parole con una sberla dietro alla testa del fratello. Flanny si volse per reagire, ma Eleni si pose tra loro. «Smettetela!» gridò Eleni, così forte che tutti e quattro i bambini Thistledown si portarono un dito sulle labbra e dissero: «Sssst!» «Il drizzit era vero» protestò nuovamente Liam. «Posso provarlo... se non avete troppa paura!» I tre fratelli di Liam lo guardarono con curiosità. Era un rinomato bugiardello, lo sapevano tutti, ma ora che cos'aveva da guadagnare? Loro padre non aveva creduto a Liam, e quello era tutto ciò che importava per quanto riguardava la punizione. Tuttavia Liam era inflessibile, e il suo tono diceva a tutti loro che c'era una consistenza dietro a quell'affermazione. «Come puoi provare l'esistenza del drizzit?» chiese Flanny. «Domani non abbiamo faccende da svolgere» rispose Liam. «Andremo a raccogliere mirtilli sulle montagne.» «Mamma e papà non ci lascerebbero mai» s'intromise Eleni. «Lo faranno se riusciamo a convincere Connor a venire con noi» disse Liam, riferendosi al fratello maggiore. «Connor non ti crederebbe» affermò Eleni. «Ma crederebbe a te» rispose aspramente Liam, provocando un altro «Sssst!» collettivo. «Io non ti credo» replicò tranquillamente Eleni. «T'immagini sempre le cose più impensate, provochi sempre dei guai e poi menti per venirne fuori!» Liam incrociò le braccine sul petto e pestò un piede con impazienza contro il continuo fiume di logica della sorella. «Ma mi crederete», ringhiò Liam, «se riuscirai a fare venire Connor!» «Sì, fallo» implorò Flanny a Eleni, anche se Shawno, pensando alle po-
tenziali conseguenze, scrollava il capo. «Allora andiamo sulle montagne» disse Eleni a Liam, esortandolo a continuare e rivelando così il suo consenso. Liam ebbe un largo sorriso e s'inginocchiò, raccogliendo un mucchietto di segatura in cui disegnare una cartina rudimentale dell'area dove aveva incontrato il drizzit. Il suo piano era semplice, avrebbe usato Eleni come esca, la ragazza avrebbe dovuto raccogliere lamponi con indifferenza. I quattro fratelli l'avrebbero seguita in segreto e avrebbero osservato mentre lei fingeva di slogarsi una caviglia o di procurarsi qualche altro danno. Una situazione critica aveva spinto il drizzit a rivelarsi in precedenza; sicuramente una graziosa giovanetta usata come esca avrebbe attirato nuovamente il drizzit. Eleni esitò all'idea, per nulla esaltata dal fatto di essere messa come un verme su un amo. «Ma tu non mi credi comunque» si affrettò a sottolineare Liam. Il suo inevitabile sorriso, completo di spazio rimasto libero nel punto in cui gli era stato fatto cadere un dente con un colpo, mostrava che l'ostinazione della sorella l'aveva messo con le spalle al muro. «Perciò lo farò, allora!» sbuffò Eleni. «E non credo al tuo drizzit, Liam Thistledown! Ma se il leone è vero, e io vengo morsa, ti concerò per le feste!» Con questo, Eleni si volse e uscì furiosamente dalla legnaia. Liam e Flanny si sputarono sulle mani, poi indirizzarono occhiate di sfida a Shawno, finché lui non superò i propri timori. Poi i tre fratelli unirono i palmi delle loro mani in una stretta trionfante e umida. Qualsiasi disaccordo tra loro sembrava sempre svanire ogni qualvolta uno dei tre trovava un modo per infastidire Eleni. Nessuno di loro disse a Connor della caccia al drizzit che avevano organizzato. Piuttosto, Eleni gli ricordò i molti favori che le doveva e promise di considerare il debito completamente pagato - ma solo dopo che Liam ebbe accettato d'assumersi il debito di Connor se non avessero trovato il drizzit - soltanto se Connor avesse portato lei e i ragazzi a raccogliere mirtilli. Connor brontolò e si tirò indietro, lamentandosi di dover ferrare una delle cavalle, ma non poteva mai resistere ai dolci occhi azzurri della sorellina e al suo ampio, luminoso sorriso, e la promessa da parte di Eleni di cancellare il suo notevole debito aveva segnato il suo destino. Con il benestare dei genitori, Connor condusse i ragazzini Thistledown su per la montagna, i bambini portavano dei secchielli e lui aveva una rozza spada legata al
fianco. *
*
*
Drizzt comprese l'astuzia ancora prima che la giovane figlia dell'agricoltore si fosse spinta da sola nella macchia di lamponi. Inoltre vide i quattro ragazzi Thistledown, acquattati nell'ombra di un vicino boschetto d'aceri, con Connor che brandiva la rozza spada in modo piuttosto inesperto. Drizzt sapeva che era stato il più giovane a condurli lì. Il giorno prima, il drow aveva visto che il ragazzo veniva portato nella legnaia. Grida di «drizzit!» erano risuonate a ogni frustata, per lo meno all'inizio. Ora l'ostinato ragazzino voleva provare la sua storia esagerata. La raccoglitrice di mirtilli ebbe uno scatto improvviso, poi cadde a terra e gridò. Drizzt riconobbe «Aiuto!» come lo stesso grido d'angoscia che aveva usato il ragazzo dai capelli biondo rossicci, e un sorriso si allargò sul suo volto scuro. Dal modo ridicolo in cui la ragazza era caduta, Drizzt vide il gioco per quel che era. La ragazza non si era fatta male; stava semplicemente gridando per attirare il drizzit. Scrollando con incredulità la folta capigliatura bianca, Drizzt stava per allontanarsi, ma fu colto da un impulso. Si volse a guardare la macchia di mirtilli, dove la ragazza sedeva strofinandosi la caviglia, continuando a guardarsi nervosamente intorno o volgendosi verso i fratelli nascosti. In quel momento qualcosa fece appello ai sentimenti di Drizzt, un impulso a cui non poté resistere. Per quanto tempo era stato solo, aveva vagabondato senza compagnia? In quel momento desiderò avere accanto Belwar, lo svirfnebli che l'aveva accompagnato attraverso molte prove nelle regioni selvagge del Buio Profondo. Sentì la mancanza di Zaknafein, suo padre e amico. Vedere l'interazione tra i fratelli, affezionati l'uno all'altro, fu più di quanto Drizzt Do'Urden potesse sopportare. Per Drizzt era venuto il momento di conoscere i suoi vicini. Drizzt si tirò sulla testa il cappuccio del mantello dello gnoll, troppo grande per lui, anche se l'indumento a brandelli faceva ben poco per nascondere la verità della sua provenienza, e attraversò il prato a balzi. Sperò di poter almeno sviare la reazione iniziale della ragazza alla sua vista, avrebbe potuto trovare qualche modo per comunicare con lei. Le sue speranze erano a dir poco inverosimili. «Il drizzit!» annaspò Eleni senza fiato quando lo vide arrivare. Voleva gridare forte ma non ne trovò la forza; voleva correre, ma il terrore la bloc-
cava. Dal boschetto d'alberi, Liam parlò per lei. «Il drizzit!» gridò il ragazzo. «Ve l'avevo detto! Ve l'avevo detto!» Guardò i suoi fratelli, e Flanny e Shawno stavano avendo le previste reazioni eccitate. Il volto di Connor, tuttavia, era chiuso in un'espressione di terrore così profonda che un solo sguardo bastò a eliminare ogni gioia di Liam. «Per gli dei» mormorò il maggiore dei figli Thistledown. Connor si era avventurato con suo padre ed era stato addestrato a individuare i nemici. Ora guardò i suoi tre fratelli confusi e mormorò una singola parola che non spiegava nulla ai ragazzi privi d'esperienza. «Drow.» Drizzt si fermò a una dozzina di passi dalla ragazza spaventata, la prima donna umana che avesse visto da vicino, e la studiò. Eleni era graziosa per gli standard di qualsiasi razza, con grandi occhi dolci, guance con le fossette e una pelle liscia e dorata. Drizzt capì che non ci sarebbe stato nessun combattimento da parte di lei. Lui sorrise a Eleni e incrociò le braccia sul petto, con dolcezza. «Drizzt» la corresse, puntandosi il dito contro il petto. Un movimento laterale lo distolse dalla ragazza. «Corri, Eleni!» urlò Connor Thistledown, agitando la spada e avanzando verso il drow. «È un elfo scuro! Un drow! Corri, ne va della tua vita!» Di tutto quello che aveva gridato Connor, Drizzt comprese soltanto la parola «drow». L'atteggiamento del giovane e il suo intento non potevano essere fraintesi, tuttavia, perché Connor si lanciò direttamente alla carica tra Drizzt ed Eleni, con la punta della spada diretta verso Drizzt. Eleni riuscì ad alzarsi in piedi dietro al fratello, ma non fuggì come lui le aveva ordinato. Anche lei aveva sentito parlare degli elfi scuri, e non avrebbe lasciato Connor ad affrontarne uno da solo. «Vattene, elfo scuro» ringhiò Connor. «Sono un esperto spadaccino e molto più forte di te.» Drizzt aprì le mani in un gesto d'impotenza, non capendo una parola. «Vattene!» urlò Connor. D'impulso, Drizzt cercò di rispondere nel codice silenzioso dei drow, un intricato linguaggio di gesti delle mani e del volto. «Sta effettuando un incantesimo!» esclamò Eleni, e si tuffò tra i mirtilli. Connor gridò e si lanciò alla carica. Prima ancora che Connor si rendesse conto della mossa di contrasto, Drizzt lo afferrò per l'avambraccio, usò l'altra mano per torcere il polso del ragazzo e togliergli la spada, fece vorticare tre volte la rozza arma al di sopra della testa di Connor, la fece guizzare nella propria mano sottile, poi
la porse nuovamente al giovane, dalla parte dell'elsa. Drizzt allargò le braccia davanti a sé e sorrise. Secondo la consuetudine drow, una tale dimostrazione di superiorità senza danneggiare l'avversario segnalava invariabilmente un desiderio d'amicizia. Al figlio maggiore dell'agricoltore Bartholemew Thistledown, l'accecante dimostrazione del drow arrecò soltanto un enorme terrore. Connor rimase fermo, a bocca aperta, per un lungo attimo. La spada gli cadde di mano ma lui non se ne accorse; i pantaloni, insudiciati, gli aderivano alle cosce, ma lui non se ne accorse. Un urlo esplose da qualche parte dentro Connor. Afferrò Eleni, che si unì al suo grido, e fuggirono via verso il boschetto per raccogliere gli altri, poi continuarono a correre finché non varcarono la soglia della loro abitazione. Drizzt rimase lì, con il sorriso che si dileguava rapidamente e le braccia allargate, in piedi tutto solo nella macchia di mirtilli. *
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Due occhi che guizzavano vorticosamente avevano osservato l'incontro nella macchia di mirtilli con un interesse più che occasionale. L'inaspettata comparsa di un elfo scuro, in particolare di uno che indossava il mantello di uno gnoll, per Tephanis significava una risposta a molte domande. Lo sveltelfo indagatore aveva già esaminato i cadaveri degli gnoll ma non riusciva proprio a far quadrare le ferite fatali degli gnoll con le rozze armi che usavano di solito i semplici agricoltori del villaggio. Vedendo le magnifiche scimitarre gemelle allacciate con tanta naturalezza sui fianchi dell'elfo scuro e la facilità con cui il drow aveva liquidato il ragazzo della fattoria, Tephanis capì la verità. La traccia di polvere lasciata dallo sveltelfo avrebbe confuso i migliori esploratori dei Reami. Tephanis, che non era mai stato uno spiritello semplice, schizzò su per i sentieri della montagna, vorticando intorno ad alcuni alberi, correndo su e giù per i fianchi di altri, e generalmente percorrendo due e anche tre volte il tragitto. La distanza non preoccupava mai Tephanis; si trovò davanti al giovane spirito infausto dalla pelle viola ancora prima che Drizzt, prendendo in esame le conseguenze del suo disastroso incontro, avesse lasciato la macchia di mirtilli. 4
Preoccupazioni La prospettiva dell'agricoltore Bartholemew Thistledown cambiò considerevolmente quando Connor, il figlio maggiore, ridefinì elfo scuro il «drizzit» di Liam. L'agricoltore Thistledown aveva trascorso tutti i suoi quarantacinque anni a Maldobar, un villaggio cinquanta miglia a monte del Fiume Orco Morto, a nord di Sundabar. Il padre di Bartholemew era vissuto qui, e il padre di suo padre prima di lui. In tutto quel tempo, le uniche notizie che qualsiasi agricoltore della famiglia Thistledown avesse mai sentito riguardo agli elfi scuri, erano i racconti di una presunta razzia drow contro un piccolo stanziamento di elfi selvatici, un centinaio di miglia a nord, a Boscofresco. Quella razzia, se mai era stata perpetrata dai drow, aveva avuto luogo più di un decennio prima. Il fatto di non avere avuto esperienze personali con la razza drow non diminuì le paure dell'agricoltore Thistledown all'udire il racconto dei suoi figlioli, riguardo all'incontro nella macchia di mirtilli. Connor ed Eleni, due fonti sicure, grandi abbastanza per conservare la testa sulle spalle in un momento di crisi, avevano visto l'elfo da vicino, e non avevano alcun dubbio riguardo al colore della sua pelle. «L'unica cosa che non riesco a figurarmi giustamente», disse Bartholemew a Benson Delmo, il grasso e allegro sindaco di Maldobar e a vari altri agricoltori raccolti a casa sua quella notte, «è perché questo drow abbia lasciato andare liberamente i bambini. Non sono un esperto riguardo alle consuetudini degli elfi scuri, ma ho sentito raccontare abbastanza al loro riguardo per aspettarmi un diverso genere d'azione.» «Forse nel suo attacco Connor se l'è cavata meglio di quanto abbia creduto» ipotizzò Delmo con discrezione. Tutti loro avevano sentito raccontare come fosse stato disarmato Connor; Liam e gli altri figli Thistledown, tranne il povero Connor, naturalmente, si divertivano particolarmente a ripetere quella parte della storia. Pur apprezzando il voto di fiducia del sindaco, tuttavia, Connor scrollò energicamente il capo a tale ipotesi. «Mi ha preso» ammise Connor. «Forse sono rimasto eccessivamente sorpreso alla sua vista, ma mi ha preso disarmato.» «E non si tratta di un'impresa facile» s'intromise Bartholemew, sviando qualsiasi imminente risata repressa da parte dei presenti più scortesi. «Tutti noi abbiamo visto combattere Connor. Proprio l'inverno scorso ha abbattuto tre folletti e i lupi che essi stavano cavalcando!»
«Calma, mio buon fattore Thistledown» disse il sindaco. «Non abbiamo dubbi riguardo alla prodezza di vostro figlio.» «Io ho i miei dubbi riguardo alla verità del nemico!» s'intromise Roddy McGristle, un omaccione peloso come un orso, il più avvezzo al combattimento del gruppo. Roddy trascorreva più tempo su per le montagne che a occuparsi della sua famiglia, un compito recente che non gli piaceva particolarmente, e ogni qualvolta qualcuno poneva una taglia sulla testa di alcuni orchi, Roddy invariabilmente raccoglieva la maggior parte del bottino, spesso più del resto della cittadina nel suo complesso. «Non scaldarti» disse Roddy a Connor mentre il ragazzo iniziava ad alzarsi, evidentemente sul punto di protestare aspramente. «So quel che dici d'aver visto, e credo che tu abbia visto quel che dici. Ma hai detto che si trattava di un drow, e quella designazione implica più di quanto tu possa immaginare di sapere. Se fosse stato un drow quello che avete trovato, immagino che tu e i tuoi fratelli ora sareste tutti morti, distesi in quella macchia di mirtilli. No, immagino che non si trattasse di un drow, ma ci sono altri esseri su quelle montagne, che potrebbero fare quel che tu riferisci riguardo a questa creatura.» «Per esempio?» disse Bartholemew in tono irascibile, non apprezzando i dubbi che Roddy aveva proiettato sulla storia di suo figlio. Comunque a Bartholemew Roddy non piaceva molto. L'agricoltore Thistledown aveva una famiglia rispettabile, e ogni volta che il volgare e chiassoso Roddy McGristle veniva a far loro visita, Bartholemew e sua moglie impiegavano molti giorni per ricordare ai bambini, e in particolare a Liam, quale fosse un comportamento adeguato. Roddy si limitò a scrollare le spalle, senza offendersi per il tono di Bartholemew. «Folletti, troll - potrebbe essere un elfo dei boschi che ha preso troppo sole.» La sua risata, che esplose dopo l'ultima affermazione, contagiò tutto il gruppo, sminuendo la loro serietà. «Allora come possiamo saperlo per certo?» disse Delmo. «Lo scopriremo trovandolo» propose Roddy. «Domattina», sottolineò girandosi verso ogni uomo seduto alla tavola di Bartholemew, «andremo a vedere che cosa c'è da vedere.» Considerando giunta al termine la riunione improvvisata, Roddy sbatté le mani sul tavolo e fece forza spingendosi in piedi. Tuttavia prima di giungere alla porta della fattoria, si volse a lanciare al gruppo un ammiccamento esagerato e un sorriso praticamente sdentato. «E, ragazzi», disse «non dimenticate le vostre armi!» La risata roca di Roddy continuò a risuonare nel gruppo molto dopo che
il rude montanaro se n'era andato. «Potremmo chiamare un guardaboschi» propose speranzosamente uno degli altri agricoltori, mentre il gruppo depresso iniziava ad andarsene. «Ho sentito dire che ce n'è uno a Sundabar, una delle sorelle di Lady Alustriel.» «È un po' troppo presto per questo» rispose il sindaco Delmo, annullando qualsiasi sorriso ottimistico. «È mai troppo presto quando si parla di drow?» s'affrettò a intromettersi Bartholemew. Il sindaco scrollò le spalle. «Andiamo con McGristle» rispose. «Se qualcuno può trovare una verità sulle montagne, quello è lui.» Poi si rivolse con discrezione a Connor. «Io credo alla tua storia, Connor. Veramente. Ma dobbiamo esserne certi prima di mandare a chiamare un aiuto distinto come la sorella della Signora di Lunargentea.» Il sindaco e gli altri agricoltori giunti in visita se ne andarono, lasciando Bartholemew, suo padre Markhe e Connor, soli nella cucina dei Thistledown. «Non era un folletto, né un elfo dei boschi» disse Connor in un tono basso che lasciava intravedere rabbia e imbarazzo. Bartholemew diede una manata sulla schiena al figlio, non dubitava minimamente di lui. *
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In una grotta sulle montagne, anche Ulgulu e Kempfana trascorsero una notte di preoccupazione per la comparsa di un elfo scuro. «Se è un elfo scuro, allora è un avventuriero d'esperienza» disse Kempfana al fratello più grosso. «Forse sufficientemente esperto da portare Ulgulu alla maturità.» «E nuovamente a Gehenna!» terminò Ulgulu al posto del suo indulgente fratello. «Desideri così intensamente assistere alla mia partenza.» «Anche tu speri che giunga il giorno in cui potrai ritornare nei crepacci fumosi» gli ricordò Kempfana. Ulgulu ringhiò e non rispose. La comparsa di un elfo scuro ispirava molte considerazioni e timori al di là della semplice affermazione logica di Kempfana. Gli spiriti infausti, come tutte le creature intelligenti su quasi ogni piano d'esistenza, conoscevano i drow e conservavano un vigoroso rispetto per quella razza. Anche se un drow poteva non rappresentare un
problema eccessivo, Ulgulu sapeva che una spedizione di guerra di elfi scuri, magari anche un esercito, poteva rivelarsi disastrosa. I giovani mostri non erano invulnerabili. Il villaggio degli umani aveva fornito facili prede per i giovani spiriti infausti e avrebbe potuto continuare a farlo per un certo periodo di tempo se Ulgulu e Kempfana facevano attenzione con i loro attacchi. Ma se spuntava un gruppo d'elfi scuri, quelle facili uccisioni potevano scomparire in modo decisamente improvviso. «Dobbiamo occuparci di questo drow» osservò Kempfana. «Se è un ricognitore, allora non deve ritornare a riferire.» Ulgulu lanciò una fredda occhiata furiosa al fratello, poi chiamò il suo sveltelfo. «Tephanis» gridò, e lo sveltelfo fu sulla sua spalla ancora prima che lui avesse finito di pronunciare la parola. «Hai-bisogno-che-vada-a-uccidere-il-drow, mio-padrone» rispose lo sveltelfo. «Capisco-quel-che-vuoi-che-io-faccia!» «No!» urlò subito Ulgulu, intendendo che lo sveltelfo aveva intenzione di lanciarsi direttamente fuori. Tephanis era già quasi arrivato alla porta quando Ulgulu finì la sillaba, ma lo sveltelfo ritornò sulla spalla di Ulgulu prima che si fosse dileguata l'ultima nota del grido. «No» ripeté Ulgulu, con maggiore facilità. «Ci può essere un vantaggio nella comparsa del drow.» Kempfana lesse il ghigno malvagio di Ulgulu e comprese l'intento del fratello. «Un nuovo nemico per la gente della cittadina» rifletté il più giovane. «Un nuovo nemico per coprire gli assassinii di Ulgulu?» «Ogni cosa può essere volta a nostro vantaggio», rispose malvagiamente il grosso spirito infausto dalla pelle viola, «perfino l'apparizione di un elfo scuro.» Ulgulu si rivolse nuovamente a Tephanis. «Vuoi-sapere-di-più-sul-drow, padrone-mio» disse eccitatamente Tephanis, senza un attimo di respiro. «È solo?» chiese Ulgulu. «È un perlustratore mandato in avanscoperta da un gruppo più ampio, come temiamo, o un guerriero solitario? Quali sono le sue intenzioni verso la gente del villaggio?» «Avrebbe-potuto-uccidere-i-bambini» ripeté Tephanis. «Immagino-checerchi-amicizia.» «Lo so» ringhiò Ulgulu. «Questo l'hai già detto in precedenza. Ora vai a scoprire di più! Non mi bastano le tue ipotesi, Tephanis, e a detta di tutti le azioni di un drow rivelano raramente il suo vero intento!» Tephanis schizzò giù dalla spalla di Ulgulu e si fermò, aspettandosi ulteriori istruzioni.
«Davvero, caro Tephanis» disse languidamente Ulgulu. «Vedi se puoi appropriarti di una delle armi del drow per me. Si rivelerebbe uti...» Ulgulu si fermò quando notò ondeggiare la pesante tenda che bloccava la stanza d'ingresso. «Uno spiritello eccitabile» notò Kempfana. «Ma con una sua utilità» rispose Ulgulu e Kempfana dovette annuire, dichiarandosi d'accordo. *
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Drizzt li vide arrivare da un miglio di distanza. Dieci agricoltori armati seguivano il giovane che lui aveva incontrato nella macchia di mirtilli il giorno prima. Benché parlassero e scherzassero, la loro andatura era decisa e le loro armi erano messe in mostra in modo cospicuo, ovviamente pronte per venire usate. Ancora più insidioso, camminava a fianco del gruppo principale un uomo dal torace ben sviluppato, dal volto torvo, avvolto in folte pellicce, che brandiva un'ascia finemente realizzata e conduceva due grossi cani bastardi ringhiosi, legati a spesse catene. Drizzt desiderava stabilire ulteriori contatti con gli abitanti del villaggio, desiderava intensamente dare un seguito agli avvenimenti che aveva messo in moto il giorno prima e apprendere se avrebbe potuto, finalmente, trovare un luogo da poter chiamare casa, ma si rese conto che il gruppo che gli stava venendo incontro non gli avrebbe portato alcun vantaggio. Se gli agricoltori l'avessero trovato, sicuramente ci sarebbero stati guai, e anche se Drizzt non era troppo preoccupato per la propria sicurezza contro quella banda scalcinata, nonostante il combattente dal volto truce, temeva che uno degli agricoltori potesse venir ferito. Drizzt decise che oggi la sua missione sarebbe stata quella d'evitare il gruppo e di deviare la loro curiosità. Il drow conosceva un diversivo perfetto per raggiungere tali obiettivi. Posò la statuina d'onice per terra davanti a sé e chiamò Guenhwyvar. Un ronzio proveniente da un lato, seguito da un improvviso fruscio nella boscaglia, distrasse il drow appena per un attimo, mentre la consueta nebbiolina vorticava intorno alla statuina. Tuttavia Drizzt non vide avvicinarsi nulla di minaccioso, e allontanò rapidamente quel pensiero. Aveva problemi più pressanti, pensò. Quando arrivò Guenhwyvar, Drizzt e il felino si spostarono lungo il sentiero al di là della macchia di mirtilli, dove Drizzt immaginava che gli a-
gricoltori avrebbero iniziato la loro caccia. Il suo piano era semplice: avrebbe lasciato che gli agricoltori girassero disordinatamente in tondo intorno alla zona per un po', che il figlio dell'agricoltore raccontasse di nuovo la storia dell'incontro. Poi Guenhwyvar sarebbe comparsa al limitare della macchia e avrebbe condotto il gruppo in un inutile inseguimento. La pantera dal manto nero avrebbe potuto gettare alcuni dubbi sul racconto del figlio dell'agricoltore; magari gli uomini più anziani avrebbero ipotizzato che i bambini avessero incontrato il felino e non un elfo scuro e che la loro immaginazione avesse fornito il resto dei particolari. Si trattava di giocare d'azzardo, Drizzt lo sapeva, ma per lo meno Guenhwyvar avrebbe proiettato alcuni dubbi sull'esistenza dell'elfo scuro e avrebbe condotto il gruppo d'inseguitori lontano da Drizzt per un po'. Gli agricoltori giunsero in orario alla macchia di mirtilli, alcuni torvi in volto e pronti a combattere, ma la maggior parte del gruppo era impegnata con disinvoltura in conversazioni piene di risate. Trovarono la spada abbandonata, e Drizzt osservò, annuendo, mentre il figlio dell'agricoltore narrava gli avvenimenti del giorno prima. Il drow notò inoltre che il grosso portatore d'ascia, che ascoltava la storia con scarso entusiasmo, girava intorno al gruppo con i suoi cani, indicando vari punti nella macchia e blandendo i cani affinché annusassero intorno. Drizzt non aveva alcuna esperienza pratica con i cani, ma sapeva che molte creature avevano sensi superiori e potevano essere usate per aiutare in una caccia. «Vai, Guenhwyvar» sussurrò il drow, senza aspettare che i cani trovassero una chiara traccia olfattiva. La grande pantera si mosse a lunghi balzi lungo il sentiero e si appostò su uno degli alberi, niello stesso boschetto in cui i ragazzi si erano nascosti il giorno precedente. L'improvviso ruggito di Guenhwyvar zittì in un istante la crescente conversazione del gruppo, le teste di tutti si rivolsero di scatto agli alberi. La pantera balzò fuori nella macchia, si lanciò direttamente al di là degli umani sbalorditi, e sfrecciò attraverso le rocce che salivano lungo i pendii della montagna. Gli agricoltori gridarono e intrapresero l'inseguimento, urlando affinché l'uomo con i cani prendesse il comando. Ben presto l'intero gruppo, con i cani che abbaiavano selvaggiamente, si allontanò e Drizzt scese nel boschetto accanto alla macchia di mirtilli per riflettere sugli avvenimenti del giorno e sul da farsi. Gli parve d'essere seguito da un ronzio, ma minimizzò, pensando si trattasse di un insetto.
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Dalle azioni confuse dei suoi cani, Roddy McGristle non impiegò molto a immaginare che la pantera non era la stessa creatura che aveva lasciato la propria traccia olfattiva nella macchia di mirtilli. Inoltre Roddy si rese conto che i suoi scalcinati compagni, in particolare l'obeso sindaco, anche con il suo aiuto avevano ben poche possibilità di prendere il grosso felino; la pantera era in grado d'attraversare con un balzo burroni che gli agricoltori avrebbero impiegato molti minuti ad aggirare. «Avanti!» disse Roddy al resto del gruppo. «Inseguite l'animale lungo questo tragitto. Io prenderò i miei cani e mi spingerò lontano, lateralmente, per tagliare la strada all'animale, per farla ritornare da voi!» Gli agricoltori gridarono il proprio consenso e corsero via, così Roddy tirò indietro le catene e volse i cani lateralmente. I cani, addestrati per la caccia, volevano andare avanti, ma il loro padrone aveva in mente un altro percorso. Vari pensieri preoccupavano Roddy in quel momento. Era stato su queste montagne per trent'anni ma non aveva mai visto, né sentito parlare, di un felino del genere. Inoltre, benché la pantera avesse potuto distanziare gli inseguitori con facilità, sembrava sempre uscire all'aperto a una distanza non eccessivamente elevata, come se stesse tirandosi dietro volutamente gli agricoltori. Roddy riconosceva una diversione quando ne vedeva una, e aveva una buona idea di dove potesse nascondersi il responsabile. Mise la museruola ai cani per farli stare zitti e si diresse nuovamente nella direzione da cui era venuto, ancora alla macchia di mirtilli. *
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Drizzt era appoggiato a un albero all'ombra del folto boschetto e si chiedeva come si sarebbe potuto rivelare ulteriormente agli agricoltori senza causare altro panico tra loro. Nei giorni che aveva trascorso osservando quell'unica famiglia di contadini, Drizzt si era convinto di poter trovare un posto tra gli umani, di questo o di qualche altro stanziamento, se solo fosse riuscito a convincerli che le sue intenzioni non erano pericolose. Un ronzio sulla sinistra di Drizzt lo distolse bruscamente dalle proprie riflessioni. Estrasse veloce le proprie scimitarre, poi qualcosa passò in un lampo accanto a lui, troppo rapidamente perché lui potesse reagire. Gridò
per un improvviso dolore al polso e la scimitarra fu strappata dalla sua presa. Confuso, Drizzt abbassò lo sguardo sulla propria ferita, aspettandosi di vedere una freccia o il dardo di una balestra conficcato profondamente nel suo braccio. La ferita era pulita e vuota. Una risata squillante fece volgere di scatto Drizzt a destra. Lì si trovava lo spiritello, con la scimitarra di Drizzt gettata con disinvoltura su una spalla, che quasi toccava il terreno dietro alla minuscola creatura, e un pugnale, gocciolante di sangue, nell'altra mano. Drizzt rimase assolutamente immobile, cercando d'indovinare la prossima mossa di quell'essere. Non aveva mai visto uno sveltelo, né sentito parlare delle insolite creature, ma aveva già una buona idea del vantaggio del suo rapidissimo avversario. Prima che il drow potesse formulare alcun piano per sconfiggere lo sveltelfo, tuttavia, si manifestò un'altra nemesi. Non appena udì l'ululato, Drizzt capì che il suo grido di dolore l'aveva smascherato. Il primo dei cani da caccia ringhianti di Roddy McGristle entrò con impeto nella boscaglia, gettandosi alla carica, basso, contro il drow. Il secondo, che correva pochi passi dietro al primo, giunse alto, balzando verso la gola di Drizzt. Questa volta, tuttavia, fu Drizzt il più veloce. Colpì verso il basso con la scimitarra che gli restava, colpendo di taglio la testa del primo cane e urtandogli il cranio con violenza. Senza esitare, Drizzt si gettò all'indietro, rovesciando la propria presa sulla lama e portandola su, davanti al proprio volto, in linea con il cane che stava balzando. L'elsa della scimitarra si serrò contro il tronco dell'albero, e il cane, non potendo volgersi in volo, finì in pieno sull'altra estremità dell'arma pronta, infilzandosi attraverso la gola e il petto. L'urto violento strappò la scimitarra di mano a Drizzt, e cane e lama volarono via, finendo in qualche cespuglio lateralmente all'albero. Drizzt si era a malapena ripreso quando Roddy McGristle irruppe con violenza. «Hai ucciso i miei cani!» ruggì l'enorme montanaro, menando un colpo della sua grande ascia da battaglia sul capo del drow. Il fendente giunse ingannevolmente rapido, ma Drizzt riuscì a schivarlo spostandosi di lato. Il drow non riusciva a capire una parola del fiume continuo d'imprecazioni di McGristle, e sapeva che quell'uomo corpulento non avrebbe compreso una parola di qualsiasi spiegazione Drizzt potesse cercare di offrirgli. Ferito e disarmato, l'unica difesa di Drizzt era di continuare a schivare.
Fu quasi colto da un altro forte colpo, che strappò il mantello dello gnoll che indossava, ma il drow tirò in dentro lo stomaco, e l'ascia rimbalzò, rasentandogli la fine cotta di maglia. Drizzt danzò di lato, verso un fitto gruppo d'alberi più piccoli, dove credeva che la sua maggiore agilità potesse conferirgli un certo vantaggio. Doveva cercare di stancare l'umano infuriato, o per lo meno di fare in modo che l'uomo riprendesse in considerazione il suo attacco brutale. L'ira di McGristle non diminuì, tuttavia. Si lanciò alla carica direttamente dietro a Drizzt, ringhiando e ondeggiando a ogni passo. Ora Drizzt capì i limiti del suo piano. Pur potendo tenersi lontano dal corpo massiccio di quell'uomo enorme, tra gli alberi molto ravvicinati l'ascia di McGristle poteva piombare tra le piante con notevole agio. L'arma possente gli arrivò lateralmente a livello della spalla. Drizzt si lasciò cadere appiattendosi a terra disperatamente, evitando di poco la morte. McGristle non poté rallentare in tempo il suo slancio, e l'arma pesante, affondata, andò a conficcarsi nel tronco di dieci centimetri di un giovane acero, abbattendo l'albero. L'angolazione sempre più stretta del tronco che si piegava teneva stretta l'ascia di Roddy. Roddy grugnì e cercò di strappare via l'arma, liberandola, ma non si rese conto del pericolo in cui si trovava se non all'ultimo minuto. Riuscì a saltare via dal grosso del peso del tronco, ma rimase sepolto sotto alla chioma dell'acero. Rami gli graffiarono il volto e il lato del capo, formando una rete intorno a lui e bloccandolo fermamente al terreno. «Che tu sia maledetto, drow!» ruggì McGristle, scrollando inutilmente la sua prigione naturale. Drizzt strisciò via, continuando a stringersi il polso ferito. Trovò la sua restante scimitarra, affondata fino all'elsa nel povero cane. Lo spettacolo addolorò Drizzt; conosceva il valore dei compagni animali. Impiegò vari affranti momenti per liberare la lama, momenti resi ancora più drammatici dall'altro cane che, semplicemente stordito, stava riprendendo a muoversi. «Che tu sia maledetto, drow!» ruggì nuovamente McGristle. Drizzt comprese il riferimento alle sue origini, e poteva immaginare il resto. Voleva aiutare l'uomo caduto, pensando che un simile gesto potesse influire nell'apertura di qualche forma di comunicazione più civile, ma non pensava che il cane che si stava risvegliando sarebbe stato così pronto a porgergli la zampa. Guardandosi intorno per l'ultima volta, alla ricerca dello spiritello che aveva scatenato tutto questo, Drizzt si trascinò fuori dal boschetto e fuggì sulle montagne.
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«Avremmo dovuto prendere l'animale!» brontolò Bartholemew Thistledown mentre il gruppo ritornava alla macchia di mirtilli. «Se McGristle fosse arrivato nel punto in cui aveva detto che ci avrebbe raggiunti, avremmo sicuramente preso il felino! Comunque, dov'è il capo della muta di cani?» Un successivo ruggito: «Drow! Drow!» proveniente dal boschetto d'aceri, rispose alla domanda di Bartholemew. Gli agricoltori corsero in quella direzione, per trovare Roddy ancora impotentemente bloccato dall'acero abbattuto. «Maledetto drow!» urlava Roddy. «Ha ucciso il mio cane! Maledetto drow!» Si toccò l'orecchio sinistro quando il suo braccio fu libero, ma scoprì che l'orecchio non era più attaccato. «Maledetto drow!» ruggì di nuovo. Connor Thistledown lasciò che tutti vedessero il ritorno del suo orgoglio alla conferma della storia da lui raccontata e di cui spesso si era dubitato, ma il maggiore dei figli Thistledown fu l'unico lieto dell'inaspettata affermazione da parte di Roddy. Gli altri agricoltori erano più vecchi di Connor; si rendevano conto delle fosche conseguenze derivanti dal fatto di avere un elfo scuro che infestava la regione. Benson Delmo, tergendosi il sudore dalla fronte, non fece mistero di come avesse preso la notizia. Si volse immediatamente verso l'agricoltore che aveva al fianco, un uomo più giovane conosciuto per la sua abilità nell'allevare e montare i cavalli. «Vai a Sundabar!» ordinò il sindaco. «Trovaci immediatamente un guardaboschi!» In pochi minuti Roddy fu liberato. Ormai il suo cane ferito l'aveva raggiunto, ma il sapere che uno dei suoi preziosi animali era sopravvissuto, fece ben poco per calmare il rozzo personaggio. «Maledetto drow!» ruggì Roddy, forse per la millesima volta, asciugandosi il sangue dalla guancia. «Prenderò il maledetto drow!» Sottolineò le proprie parole lanciando con una mano la sua ascia, Sanguinaria, contro il tronco di un altro acero vicino, quasi abbattendo anche quello. 5 L'incedere furtivo della morte Le guardie folletto si tuffarono lateralmente mentre il possente Ulgulu
passava con violenza attraverso la tenda e usciva dal complesso della grotta. L'aria aperta e frizzante della gelida notte montana risultò gradevole allo spirito infausto, ancor più quando Ulgulu pensò al compito che lo attendeva. Guardò la scimitarra che Tephanis aveva consegnato, l'arma finemente realizzata sembrava piccola nell'enorme mano dalla pelle scura di Ulgulu. Ulgulu lasciò inconsapevolmente cadere l'arma per terra. Non voleva usarla stanotte; lo spirito infausto voleva usare le proprie armi fatali, artigli e denti, per assaporare le vittime e divorare la loro essenza vitale in modo da poter divenire più forte. Ulgulu era una creatura intelligente, tuttavia, e la sua razionalità prevalse sui bassi istinti che desideravano talmente il sapore del sangue. C'era uno scopo nel lavoro di questa notte, un metodo che prometteva vantaggi maggiori e l'eliminazione della minaccia estremamente reale rappresentata dall'inaspettata comparsa dell'elfo scuro. Con un ringhio gutturale, una piccola protesta da parte degli spregevoli impulsi di Ulgulu, lo spirito infausto afferrò nuovamente la scimitarra e scese saltellando lungo il fianco della montagna, coprendo lunghe distanze a ogni passo. L'essere bestiale si fermò sul bordo di un precipizio, dove un unico stretto sentiero scendeva serpeggiando lungo il ripido bordo dell'abisso. Avrebbe impiegato molti minuti per scendere lungo il pericoloso sentiero. Ma Ulgulu aveva fame. La consapevolezza di Ulgulu si ripiegò su se stessa, concentrandosi su quel punto del suo essere che fluttuava d'energia magica. Lui non era una creatura del Piano Materiale, e le creature extra-planari recavano inevitabilmente in sé poteri che sarebbero sembrati magici alle creature del piano che li ospitava. Gli occhi di Ulgulu brillarono di luce arancione per l'eccitazione, quando emerse dal proprio stato di trance appena qualche attimo dopo. Sbirciò giù dalla rupe, visualizzando un punto sul terreno piatto che si trovava più in basso, a circa quattrocento metri di distanza. Davanti a Ulgulu apparve una porta multicolore, scintillante, sospesa nell'aria al di là dell'orlo del precipizio. La sua risata risuonò più simile a un ruggito e Ulgulu aprì la porta e trovò, appena varcata la soglia, il punto che aveva visualizzato. L'attraversò, girando intorno alla distanza materiale che lo separava dal fondo del precipizio, con un unico passo tridimensionale. Ulgulu corse avanti, giù per la montagna e verso il villaggio umano, cor-
se entusiasticamente per metter in moto gli ingranaggi del suo piano crudele. Mentre lo spirito infausto si avvicinava ai pendii più bassi della montagna, trovò nuovamente quell'angolo magico della sua mente. I passi di Ulgulu rallentarono, poi la creatura si fermò del tutto, sobbalzando spasmodicamente e gorgogliando in modo indecifrabile. Le sue ossa si fusero insieme producendo degli scoppi, la pelle si strappò e si riformò, scurendosi fino a diventare quasi nera. Quando Ulgulu riprese il proprio cammino, i suoi passi - i passi di un altro elfo scuro - non erano più così lunghi. *
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Quella sera Bartholemew Thistledown sedeva con suo padre, Markhe, e il figlio maggiore nella cucina della fattoria solitaria, alla periferia occidentale di Maldobar. La moglie e la madre di Bartholemew erano uscite per andare nel granaio a sistemare gli animali per la notte, e i quattro figli più piccoli erano rincalzati al sicuro nei loro letti nella cameretta vicina alla cucina. In una notte normale il resto della famiglia Thistledown, tutte e tre le generazioni, si sarebbe a sua volta trovato a russare comodamente nei propri letti, ma Bartholemew temeva che sarebbero trascorse molte notti prima che la tranquilla fattoria ritornasse a una parvenza di normalità. Un elfo scuro era stato individuato nella zona, e sebbene Bartholemew non fosse convinto che questo straniero avesse cattive intenzioni - il drow avrebbe potuto facilmente uccidere Connor e gli altri bambini - lui sapeva che per un bel po' di tempo la comparsa del drow avrebbe provocato scompiglio a Maldobar. «Potremmo tornare alla città vera e propria» propose Connor. «Ci troverebbero un posto, e allora avremmo tutta Maldobar a proteggerci le spalle.» «Proteggerci le spalle?» rispose Bartholemew con sarcasmo. «E pensi che lascerebbero ogni giorno le loro fattorie per venire qui ad aiutarci a tenere il passo con il nostro lavoro? Chi di loro pensi cavalcherebbe fino a qui ogni giorno per occuparsi degli animali?» Connor piegò il capo al rimprovero di suo padre. Fece scivolare la mano sull'elsa della spada, ricordando a se stesso che non era un bambino. Tuttavia Connor fu silenziosamente grato per la mano di consolazione che suo
nonno gli posò con semplicità sulla spalla. «Devi pensare, ragazzo, prima di fare simili affermazioni» continuò Bartholemew, in tono più morbido quando iniziò a rendersi conto dell'effetto profondo che le sue parole aspre avevano avuto sul figlio. «La fattoria è la tua linfa vitale, l'unica cosa che importi.» «Potremmo mandare i piccoli» s'intromise Markhe. «Il ragazzo ha il diritto d'aver paura, con un elfo scuro nei paraggi e tutto il resto.» Bartholemew si volse dall'altra parte e si lasciò cadere il mento sul palmo della mano, con aria rassegnata. Odiava il pensiero di dividere la famiglia. La famiglia era la loro fonte di forza, ed era passata attraverso cinque generazioni di Thistledown e oltre. Eppure, in questo Bartholemew stava rimproverando Connor, anche se il ragazzo aveva parlato soltanto per il bene della famiglia. «Avrei dovuto pensarci meglio, papà» udì Connor sussurrare, e capì che il suo orgoglio non poteva resistere alla consapevolezza del dolore di Connor. «Mi dispiace.» «Non devi» rispose Bartholemew, volgendosi nuovamente verso gli altri. «Sono io che dovrei scusarmi. Tutti noi abbiamo avuto la pelle d'oca con questo elfo scuro nei paraggi. Hai ragione a pensarla così, Connor. Qui siamo troppo isolati per essere al sicuro.» Come in risposta, giunse un secco rumore di legno che si spaccava e un grido soffocato proveniente dall'esterno della casa, dal granaio. In quell'unico, orribile momento, Bartholemew Thistledown capì che sarebbe dovuto giungere a questa decisione prima, quando la luce rivelatrice del giorno offriva ancora alla sua famiglia una certa protezione. Connor reagì per primo, correndo alla porta e aprendola di scatto. L'aia era mortalmente tranquilla; neppure lo stridio di un grillo disturbava la scena surreale. Una luna silenziosa incombeva bassa nel cielo, proiettando ombre lunghe e ingannevoli da ogni palo del recinto e da ogni albero. Connor scrutò fuori, non osando respirare, nel trascorrere di un secondo che parve un'ora. La porta del granaio scricchiolò e si rovesciò. Un elfo scuro uscì nel cortile della fattoria. Connor chiuse la porta e vi si appoggiò contro, aveva bisogno del suo tangibile sostegno. «Mamma» sussurrò verso i volti sbalorditi del padre e del nonno. «Drow.» I più anziani uomini Thistledown esitarono, le loro menti vorticanti in preda al tumulto di mille orribili pensieri. Balzarono simultaneamente dai
loro posti, Bartholemew per prendere un'arma e Markhe per dirigersi verso Connor e la porta. La loro azione improvvisa liberò Connor dalla sua paralisi. Estrasse la spada dalla cintola e aprì la porta facendola oscillare, con l'intenzione di correre fuori ad affrontare l'intruso. Un unico balzo delle sue possenti gambe aveva portato Ulgulu direttamente alla porta della fattoria. Connor si lanciò alla carica oltre la soglia, ciecamente, andò a urtare contro la creatura - che non sembrava altro che un esile drow - e rimbalzò, attonito, in cucina. Prima che uno degli uomini potesse reagire, la scimitarra calò sulla testa di Connor, manovrata da tutta la forza dello spirito infausto, spaccando quasi a metà il giovane. Ulgulu avanzò in cucina senza impedimenti. Vide il vecchio - il minore dei nemici restanti - che tentava di raggiungerlo, e fece appello alla sua natura magica per sconfiggere l'attacco. Un'ondata d'emozione trasmessa sommerse Markhe Thistledown, un'ondata di disperazione e di terrore così grande che lui non poté contrastarla. La sua bocca grinzosa si aprì di scatto in un urlo silenzioso e lui barcollò all'indietro, andando a sbattere contro una parete e stringendosi inutilmente il petto. La carica di Batholemew Thistledown recava dietro di sé il peso di una rabbia sfrenata. L'agricoltore ringhiò e ansò suoni incomprensibili mentre abbassava il forcone per conficcarlo nell'intruso che aveva assassinato suo figlio. L'esile struttura fittizia che conteneva lo spirito infausto non diminuiva la forza gigantesca di Ulgulu. Mentre le punte del forcone percorrevano gli ultimi centimetri verso il petto della creatura, Ulgulu abbassò un'unica mano sull'asta dell'arma. Bartholemew si bloccò, mentre l'estremità del manico del forcone si conficcava profondamente nel suo stomaco, togliendogli il fiato. Ulgulu alzò rapidamente il braccio, sollevando direttamente da terra Bartholemew e sbattendo la testa dell'agricoltore contro una trave del soffitto, con forza sufficiente a spezzargli il collo. Lo spirito infausto lanciò con disinvoltura Bartholemew e la sua misera arma attraverso la cucina e camminò sopra al vecchio. Forse Markhe lo vide arrivare; forse il vecchio era troppo lacerato dal dolore e dall'angoscia per rendersi conto di ciò che stava accadendo nella stanza. Ulgulu andò verso di lui e gli aprì del tutto la bocca. Voleva divorare il vecchio, banchettare con la sua forza vitale come aveva fatto con la donna più giovane fuori nel granaio. Ulgulu si era rammaricato delle pro-
prie azioni nel granaio non appena l'estasi dell'uccisione era svanita. Ancora una volta la razionalità dello spirito infausto subentrò alle sue infime pulsioni. Con un ringhio di frustrazione, Ulgulu affondò la scimitarra nel petto di Markhe, ponendo fine al dolore del vecchio. Ulgulu si guardò intorno, esaminando il proprio raccapricciante operato, rimpiangendo di non aver banchettato con i forti giovani agricoltori, ma ricordando a se stesso i maggiori vantaggi che le sue azioni di stanotte avrebbero arrecato. Un pianto confuso lo portò nella stanza laterale dove dormivano i bambini. *
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Il giorno dopo Drizzt scese dalle montagne a titolo di prova. Il polso, dove lo spiritello l'aveva pugnalato, gli palpitava, ma la ferita era pulita e Drizzt confidava nella guarigione. Si acquattò nella boscaglia sul fianco della collina, dietro alla fattoria Thistledown, pronto a tentare un altro incontro con i bambini. Drizzt aveva visto troppo della comunità umana, e aveva trascorso troppo tempo da solo, per rinunciare. Era qui che lui aveva intenzione di trovare casa, se fosse riuscito a superare le ovvie barriere di pregiudizi, personificate più acutamente dall'omaccione con i cani ringhianti. Dalla postazione in cui si trovava, Drizzt non poteva vedere la porta del granaio distrutta, e nella fattoria tutto sembrava a posto nel bagliore che precedeva l'alba. Gli agricoltori non uscirono con il sole, tuttavia, mentre in precedenza erano sempre già usciti non più tardi del suo arrivo. Un gallo cantò e vari animali si mossero nell'aia, ma la casa restò silenziosa. Drizzt sapeva che questo era insolito, ma immaginava che l'incontro sulle montagne, il giorno prima, avesse spinto gli agricoltori a nascondersi. Forse la famiglia aveva abbandonato la fattoria, cercando rifugio nei più grandi gruppi di case nel villaggio vero e proprio. Quei pensieri gravarono pesantemente su Drizzt; ancora una volta aveva scombussolato la vita di coloro che lo circondavano, semplicemente mostrando il proprio volto. Ricordò Blingdenstone, la città degli gnomi svirfnebli, e il tumulto e il potenziale pericolo che la sua comparsa aveva attirato su di loro. La giornata soleggiata si illuminò, ma una gelida brezza soffiò giù dalle montagne. Ancora neppure una persona si muoveva nel cortile o all'interno dell'abitazione, per quanto poteva vedere Drizzt. Il drow osservò tutto,
preoccupandosi sempre più a ogni secondo che passava. Un ronzio familiare scosse Drizzt dalle sue riflessioni. Lui sfoderò la sua unica scimitarra e si guardò intorno. Desiderò di poter chiamare Guenhwyvar, ma non era trascorso abbastanza tempo dall'ultima visita del felino. La pantera aveva bisogno di riposare nella sua dimora astrale per un altro giorno prima di avere la forza sufficiente a muoversi al fianco di Drizzt. Non vedendo nulla nelle immediate vicinanze, Drizzt si portò tra i tronchi di due grandi alberi, una posizione più difendibile contro l'accecante velocità dello spiritello. Il ronzio era scomparso un istante più tardi e lo spiritello non si vedeva da nessuna parte. Drizzt trascorse il resto di quella giornata muovendosi nella boscaglia, tendendo a terra fili che facevano scattare delle trappole e scavando buche poco profonde. Se lui e lo spiritello si fossero dovuti scontrare nuovamente, il drow era deciso a cambiare il risultato finale. Le ombre che si allungavano e il cielo color cremisi a occidente, riportarono l'attenzione di Drizzt sulla fattoria Thistledown. All'interno della fattoria non furono accese candele per sconfiggere l'oscurità che si faceva più profonda. Drizzt iniziò a preoccuparsi ancora di più. Il ritorno del malvagio spiritello gli aveva ricordato ancora una volta i pericoli della regione, e con la continua inattività nel cortile, una grave apprensione sbocciò dentro di lui, mise radici e crebbe rapidamente fino a divenire un senso di terrore. Il crepuscolo si oscurò trasformandosi in notte. La luna sorse e salì regolarmente nel cielo orientale. Tuttavia nessuna candela era accesa nell'abitazione, e nessun suono giungeva dalle finestre oscurate. Drizzt scivolò fuori dalla boscaglia e guizzò attraverso il breve cortile posteriore. Non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi all'abitazione; voleva soltanto vedere se fosse possibile capire qualcosa. Forse i cavalli e il piccolo carro dell'agricoltore non ci sarebbero stati, e questo avrebbe confermato il sospetto iniziale di Drizzt, che gli agricoltori si fossero rifugiati al villaggio. Quando giunse a svoltare l'angolo del granaio e vide la porta rotta, Drizzt capì istintivamente che le cose non erano andate come lui aveva ipotizzato. I suoi timori crebbero a ogni passo. Sbirciò attraverso la porta del granaio e non fu sorpreso a vedere il carro nel bel mezzo del granaio e le stalle piene di cavalli. Di fianco al carro, tuttavia, giaceva la donna più anziana, accasciata e
coperta del proprio sangue rappreso. Drizzt le si avvicinò e capì immediatamente che era morta, uccisa da qualche arma dalla lama affilata. Immediatamente i suoi pensieri andarono allo spiritello malvagio e alla sua scimitarra perduta. Quando trovò l'altro cadavere, dietro al carro, capì che era in azione qualche altro mostro, qualcosa di più perfido e potente. Drizzt non fu neppure in grado d'identificare questo secondo corpo, mezzo mangiato. Drizzt corse dal granaio all'abitazione della fattoria, abbandonando ogni cautela. Trovò i corpi degli uomini Thistledown in cucina e, con suo supremo orrore, i bambini che giacevano troppo immobili nei loro letti. Ondate di repulsione e di rimorso sommersero il drow quando osservò i giovani corpi. La parola «drizzit» risuonò dolorosamente nella sua mente alla vista del ragazzino dai capelli biondo rossicci. Il tumulto delle emozioni di Drizzt fu troppo per lui. Si coprì gli orecchi contro quella parola incriminante, «drizzit!», ma essa echeggiava all'infinito, ossessionandolo. Senza fiato, Drizzt corse via dall'abitazione. Se avesse perquisito la stanza con maggiore attenzione, avrebbe trovato sotto al letto la scimitarra che aveva perduto, spezzata a metà e lasciata lì perché la trovassero gli abitanti del villaggio. Parte 2 Il guardaboschi Esiste forse qualcosa, sulla faccia della terra, di più pesante del rimorso sulle spalle di qualcuno? Io ne ho sentito spesso il fardello, l'ho portato per molti passi, su lunghe strade. Il rimorso assomiglia a una spada con due fili. Da una parte taglia per la giustizia, imponendo la moralità pratica su coloro che la temono. Il rimorso, la conseguenza della coscienza, è ciò che separa le persone buone dal male. Data una situazione che promette un vantaggio, la maggior parte dei drow possono ucciderne un altro, che sia o meno un proprio simile, e allontanarsi senza portare alcun peso emozionale. L'assassino drow può temere la vendetta, ma non versa lacrime per la sua vittima. Per gli umani - e per gli elfi della superficie, e per tutte le altre razze buone - la sofferenza imposta dalla coscienza, di solito è molto più rilevante di qualsiasi minaccia esterna. Alcuni concluderebbero che il rimorso - la coscienza - è la principale differenza tra le diverse razze dei Reami.
A questo proposito, il rimorso deve essere considerato una forza positiva. Ma c'è un altro aspetto di quella gravosa emozione. La coscienza non si mantiene sempre fedele al giudizio razionale. Il rimorso è sempre un peso autoimposto, ma non è sempre giustamente imposto. Così è stato per me lungo la strada da Menzoberranzan alle Lande di Ghiaccio. Ho portato fuori da Menzoberranzan il rimorso per Zaknafein, mio padre, sacrificato per me. Ho portato a Blingdenstone il rimorso per Belwar Dissengulp, lo svirfnebli che mio fratello aveva mutilato. Man mano che percorrevo molte lunghe strade giungevano molti altri fardelli: Clacker, ucciso dal mostro che era al mio inseguimento; gli gnoll, assassinati dalla mia stessa mano; e gli agricoltori - l'episodio più doloroso in assoluto - quella semplice famiglia della fattoria, assassinata dal giovane spirito infausto. Razionalmente io sapevo che non andavo biasimato, che le azioni erano al di là della mia influenza, o che in alcuni casi, come con gli gnoll, io avevo agito giustamente. Ma la razionalità è una scarsa difesa contro il peso del rimorso. Con l'andare del tempo, sostenuto dalla fiducia di amici fidati, sono giunto a gettare lontano molti di quei fardelli. Altri restano e resteranno sempre. Accetto questo fatto come inevitabile, e utilizzo quel peso per guidare i miei passi futuri. Credo che questo sia il vero scopo della coscienza. Drizzt Do'Urden. 6 Sundabar «Oh, basta, Cruccio» disse la donna alta al nano dalla veste bianca e dalla barba bianca, allontanando le mani di lui con dei colpetti. Lei si passò le dita tra i folti capelli castani, spettinandoli notevolmente. Il nano sbuffò, riportando immediatamente le mani sulla macchia presente sul mantello della donna. Lui strofinava freneticamente, ma i continui movimenti della guardaboschi gli impedivano di combinare molto. «Signora Manodifalco, credo che fareste bene a consultare qualche libro sul comportamento corretto.» «Sono appena arrivata a cavallo da Lunargentea» rispose indignata Colomba, ammiccando rivolta a Gabriel, l'altro guerriero presente nella stanza, un uomo alto e dal volto severo. «Si tende a raccogliere un po' di pol-
vere lungo la strada.» «Quasi una settimana fa!» protestò il nano. «Avete partecipato al banchetto ieri sera con questo stesso mantello!» Il nano poi notò che nel preoccuparsi del mantello di Colomba aveva macchiato anche le proprie vesti di seta, e quella catastrofe distolse la sua attenzione dalla guardaboschi. «Caro Cruccio,» proseguì Colomba leccandosi un dito e strofinandolo con indifferenza sulla macchia che aveva sul mantello, «sei il più strano dei servitori.» Il volto del nano divenne rosso come un peperone e lui pestò una delle sue pantofoline sul pavimento a mattonelle. «Servitore?» sbuffò. «Direi...» «Allora fallo!» rise Colomba. «Sono il più - uno dei più - raffinati saggi del nord! La mia tesi riguardante la corretta etichetta dei banchetti razziali...» «O mancanza di corretta etichetta...» non poté fare a meno di interromperlo Gabriel. Il nano si volse stizzosamente verso di lui. «Almeno per quanto riguarda i nani» terminò scrollando innocentemente le spalle l'alto guerriero. Il nano tremò visibilmente e le sue pantofole iniziarono a battere con intensità sul duro pavimento. «Oh, caro Cruccio» intervenne Colomba, posando una mano di conforto sulla spalla del nano e passandola lungo tutta la sua barba gialla, perfettamente in ordine. «Fred!» replicò aspramente il nano, allontanando la mano della giovane guardaboschi. «Fredegar!» Colomba e Gabriel si guardarono reciprocamente per un breve attimo d'intesa, poi pronunciarono a gran voce il cognome del nano in un'esplosione di risate. «Schiacciasassi!» «Fredegar Intingicalamo sarebbe più appropriato!» aggiunse Gabriel. Un'occhiata al nano fumante di rabbia fece capire all'uomo che era ora d'andarsene, perciò raccolse il suo zaino e si allontanò rapidamente dalla stanza, fermandosi soltanto per indirizzare un ammiccamento furtivo in direzione di Colomba. «Desideravo soltanto rendermi utile.» Il nano infilò le mani in tasche impossibilmente profonde e abbassò notevolmente il capo. «È quel che hai fatto!» esclamò Colomba per confortarlo. «Voglio dire, hai un'udienza con Elmo Amico dei Nani», proseguì Cruccio, riacquistando un certo orgoglio. «Sarebbe opportuno presentarsi dignitosamente di fronte al Signore di Sundabar.»
«Sarebbe davvero opportuno» ne convenne prontamente Colomba. «Tuttavia tutto ciò che ho da indossare lo vedi davanti a te, caro Cruccio, macchiato e sporcato dalla strada. Temo che non farò una gran bella figura agli occhi del Signore di Sundabar. Lui e mia sorella sono diventati così amici.» Toccava a Colomba fingere un'espressione preoccupata e vulnerabile, e benché la sua spada avesse trasformato molti giganti in cibo per avvoltoi, la forte guardaboschi era in grado di portare avanti quella messinscena meglio di molti altri. «Che cosa posso fare?» Piegò il capo con aria curiosa, osservando il nano. «Forse» lo allettò lei. «Se solo...» il volto di Cruccio iniziò a illuminarsi a quell'accenno. «No» disse Colomba con un profondo sospiro. «Non potrei mai approfittare così di te.» Cruccio in verità saltellò per la gioia, battendo le mani paffute. «Potete, invece, Signora Manodifalco! Potete davvero!» Colomba si morse il labbro per prevenire qualsiasi ulteriore risata poco educata mentre il nano, tutto esaltato, schizzava fuori dalla stanza. Anche se si burlava spesso di Cruccio, Colomba avrebbe ammesso prontamente che voleva bene al nanetto. Cruccio aveva trascorso molti anni a Lunargentea, dove regnava la sorella di Colomba, e aveva apportato molti contributi alla famosa biblioteca che c'era lì. Cruccio era veramente un celebre saggio, conosciuto per la sua approfondita ricerca sulle usanze di varie razze, sia buone che malvagie, ed era un esperto di questioni semiumane. Era inoltre un ottimo compositore. Quante volte, rifletté Colomba con sincera umiltà, lei aveva cavalcato lungo un sentiero montano, fischiando un'allegra melodia composta proprio da questo nano? «Caro Cruccio» sussurrò la guardaboschi sottovoce quando il nano fu di ritorno con un abito di seta posato su un braccio - ma delicatamente piegato in modo che non si trascinasse sul pavimento! - gioielli assortiti e un paio di scarpe eleganti nell'altra mano, una dozzina di spilli che gli spuntavano dalle labbra increspate e un metro da sarto passato sopra a un orecchio. Colomba nascose il proprio sorriso e decise di dare vinta al nano questa battaglia. Lei sarebbe entrata in punta di piedi nella sala d'udienza di Elmo Amico dei Nani avvolta da un abito di seta, l'immagine della femminilità, con il minuscolo saggio che sbuffava orgogliosamente al suo fianco. Colomba sapeva che per tutto il tempo le scarpe le avrebbero pizzicato e stretto i piedi in una morsa, e l'abito avrebbe trovato il modo di farle il sol-
letico in qualche punto che lei non avrebbe potuto raggiungere. Colomba pensò con rammarico ai doveri imposti dal rango mentre fissava l'abito e gli accessori. Poi guardò il volto raggiante di Cruccio e si rese conto che valeva la pena di affrontare quella seccatura. Colomba pensò con rammarico anche ai doveri dell'amicizia. *
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L'agricoltore aveva cavalcato ininterrottamente per più di un giorno per giungere fino a lì; l'avvistamento di un elfo scuro aveva spesso simili effetti sui semplici abitanti dei villaggi. Era partito da Maldobar con due cavalli, uno l'aveva lasciato una ventina di miglia più indietro, a metà strada tra le due città. Se era fortunato avrebbe trovato l'animale incolume durante il viaggio di ritorno. Il secondo cavallo, il prezioso stallone dell'agricoltore, stava iniziando a stancarsi. Tuttavia il contadino si piegò sulla sella, spronando il destriero ad avanzare. Le torce della guardia notturna di Sundabar, alte sulle spesse mura di pietra della città, erano in vista. «Fermati e rivela il tuo nome!» fu il grido formale del capitano delle guardie del portone quando il cavaliere si avvicinò mezz'ora più tardi. *
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Colomba si appoggiò a Cruccio per trarne sostegno mentre seguivano il servitore di Elmo lungo il corridoio ornato che conduceva alla sala d'udienza. La guardaboschi era in grado di attraversare un ponte di corda senza corrimano, poteva tirare con l'arco con precisione mortale in sella a un destriero alla carica, sapeva arrampicarsi su un albero in completa armatura di maglia metallica, spada e scudo alla mano. Ma non era in grado, nonostante tutta la sua esperienza e agilità, di cavarsela con le elegantissime scarpe in cui Cruccio aveva costretto i suoi piedi. «E quest'abito» sussurrò Colomba esasperata, sapendo che quell'indumento privo di praticità si sarebbe strappato in sei o sette punti se lei avesse avuto occasione di brandire la spada mentre lo indossava, per non parlare se avesse respirato troppo bruscamente. Cruccio sollevò lo sguardo su di lei, ferito. «Quest'abito è certamente il più bello...» balbettò Colomba, attenta a non provocare un attacco di stizza al compunto nanetto. «Davvero non riesco a trovare le parole adatte per esprimerti la mia gratitudine, caro Cruccio.»
Gli occhi grigi del nano brillarono luccicanti, benché non fosse certo di credere a una parola. Comunque, Cruccio immaginava che a Colomba importasse abbastanza di lui per adattarsi ai suoi suggerimenti, e quel fatto era l'unico ad avere veramente importanza per lui. «Vi chiedo mille volte perdono, mia signora» giunse una voce da dietro. L'intero seguito si volse per vedere il capitano della guardia notturna, con un contadino al suo fianco, che avanzava a passo veloce lungo l'oscuro corridoio. «Mio buon capitano!» protestò Cruccio alla violazione del protocollo. «Se desiderate udienza con la signora, dovete effettuare una presentazione nel salone. Allora, e soltanto se il signore lo consente, potrete...» Colomba posò una mano sulla spalla del nano per zittirlo. Riconobbe l'impellenza della situazione delineata sui volti degli uomini, un'espressione che l'avventurosa eroina aveva visto molte volte. «Continuate, capitano» lo esortò. Per placare Cruccio, aggiunse: «Abbiamo pochi attimi prima che l'udienza abbia inizio. Il Signor Elmo non verrà fatto aspettare.» L'agricoltore fece un passo avanti, con audacia. «Vi chiedo mille volte perdono per me stesso, mia signora» iniziò, torcendosi nervosamente il copricapo tra le mani. «Non sono che un contadino proveniente da Maldobar, un piccolo villaggio a nord di...» «Conosco Maldobar» gli garantì Colomba. «Molte volte ho osservato quel luogo dalle montagne. Una bella comunità solida.» L'agricoltore s'illuminò alla sua descrizione. «Mi auguro che nulla di male sia accaduto a Maldobar.» «Non ancora, mia signora», rispose l'agricoltore, «ma abbiamo avvistato guai incombenti di cui non dubitiamo.» Si fermò e guardò il capitano per trarne sostegno. «Drow.» Gli occhi di Colomba si spalancarono alla notizia. Perfino Cruccio, che stava battendo il piede con impazienza per tutta la conversazione, si fermò e prestò attenzione. «Quanti?» chiese Colomba. «Soltanto uno, per quanto abbiamo visto. Temiamo che sia un ricognitore o una spia e che non abbia buone intenzioni.» Colomba assentì. «Chi ha visto il drow?» «Inizialmente dei bambini» rispose il contadino. Cruccio accolse tale affermazione con un sospiro e riprese a battere il piede con impazienza. «Bambini?» sbuffò il nano. La decisione dell'agricoltore non vacillò. «Poi l'ha visto McGristle», dis-
se, guardando direttamente Colomba, «e McGristle ha visto molto!». «Che cos'è un McGristle?» sbuffò Cruccio. «Roddy McGristle» rispose Colomba, piuttosto irritata, prima che l'agricoltore potesse spiegare. «Un celebre cacciatore di taglie e di pellicce.» «Il drow ha ucciso uno dei cani di Roddy», s'intromise l'agricoltore con aria esaltata, «e ha quasi abbattuto Roddy! Gli ha fatto cadere addosso un albero! McGristle ha perduto un orecchio nell'esperienza.» Non capì affatto di che cosa stesse parlando l'agricoltore, ma non era realmente necessario. Era stato confermato l'avvistamento di un elfo scuro nella regione, e quel fatto di per sé mise in moto la guardaboschi. Si tolse le scarpe eleganti e le porse a Cruccio, poi disse a uno dei servitori di andare direttamente a cercare i suoi compagni di viaggio e pregò l'altro di porgere le sue scuse al Signore di Sundabar. «Ma Signora Manodifalco!» esclamò Cruccio. «Non c'è tempo per gli scherzi» rispose Colomba, e Cruccio capì dalla sua evidente eccitazione, che non era poi troppo delusa dal fatto di cancellare l'udienza con Elmo. Lei stava già dimenandosi per aprire il fermaglio sulla schiena del magnifico abito. «Vostra sorella non ne sarà felice.» Brontolò Cruccio a voce alta al di sopra del battito prodotto dal suo stivale. «Mia sorella ha appeso al chiodo il suo zaino molto tempo fa», replicò Colomba, «ma il mio reca ancora la polvere fresca della strada!» «Sicuro» brontolò il nano, in tono nient'affatto complimentoso. «Avete intenzione di venire, dunque?» chiese il contadino, in tono speranzoso. «Naturalmente» rispose Colomba. «Nessun guardaboschi che si rispetti potrebbe ignorare l'avvistamento di un elfo scuro! I miei tre compagni e io partiremo per Maldobar questa notte stessa, tuttavia vi imploro di restare qui, buonuomo. È evidente che avete cavalcato molto e che avete bisogno di dormire.» Colomba si guardò intorno con curiosità per un attimo, poi si portò un dito alle labbra increspate. «Che cosa c'è?» le chiese il nano infastidito. Il volto di Colomba s'illuminò mentre il suo sguardo si posava su Fred. «Ho scarsa esperienza con gli elfi scuri», iniziò, «e i miei compagni, per quanto io ne sappia, non hanno mai avuto a che fare con uno di loro.» Il suo sorriso sempre più radioso risollevò Cruccio. «Vieni, caro Cruccio» disse Colomba in modo suadente. Con i piedi nudi che sbattevano sul pavimento di mattonelle, lei condusse Cruccio, il
capitano e il contadino proveniente da Maldobar, lungo il corridoio che portava alla sala d'udienza di Elmo. Per un attimo Cruccio fu confuso e speranzoso a causa dell'improvviso cambio di direzione di Colomba. Non appena Colomba iniziò a parlare a Elmo, il signore di Cruccio, scusandosi per l'inaspettato inconveniente e chiedendo a Elmo di mandare con loro una persona che poteva essere d'aiuto nella missione a Maldobar, il nano iniziò a capire. *
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Il mattino dopo, quando il sole cominciava la sua ascesa al di sopra dell'orizzonte orientale, il gruppo di Colomba, che includeva un arciere elfo e due potenti guerrieri umani, stava già cavalcando da più di dieci miglia, dal pesante portone di Sundabar. «Puah!» brontolò Cruccio quando la luce aumentò. Cavalcava un robusto pony Adbar a fianco di Colomba. «Guardate come il fango ha sporcato i miei bei vestiti! Certamente sarà la fine di tutti noi! Moriremo insudiciati su una strada dimenticata dagli dei!» «Scrivi una canzone al riguardo» suggerì Colomba, rispondendo ai larghi sorrisi degli altri tre compagni. «Verrà chiamata la Ballata dei Cinque Avventurieri Soffocati.» Lo sguardo furioso e stizzito di Cruccio durò soltanto un attimo, perché Colomba gli ricordò che era stato Elmo Amico dei Nani, il Signore di Sundabar stesso, a incaricare Fred di viaggiare con loro. 7 Rabbia ribollente La stessa mattina in cui il gruppo di Colomba partì sulla strada per Maldobar, Drizzt si mise a sua volta in viaggio. L'orrore iniziale della sua raccapricciante scoperta della notte precedente non era diminuito, e il drow temeva che non sarebbe mai svanito, ma un'altra emozione era entrata a sua volta nei pensieri di Drizzt. Non poteva fare nulla per gli agricoltori innocenti e per i loro bambini, nulla tranne vendicare le loro morti. Quel pensiero non era così gradevole per Drizzt; aveva sperato di essersi lasciato alle spalle il Buio Profondo, e anche la ferocia. Con le immagini della carneficina ancora così orribilmente chiare nella sua mente, e tutto solo com'era, Drizzt poteva rivolgersi soltanto alla propria scimitarra per otte-
nere giustizia. Drizzt prese due precauzioni prima di mettersi sulle tracce dell'assassino. Prima strisciò di nuovo furtivamente nel cortile della fattoria, sul retro dell'abitazione, dove i contadini avevano lasciato un vomere rotto. La lama di metallo era pesante, ma il drow, risoluto, la sollevò e la portò via senza pensare minimamente al disagio. Poi Drizzt chiamò Guenhwyvar. Non appena la pantera arrivò e si accorse del corruccio di Drizzt, si acquattò all'erta. Guenhwyvar era stata insieme a Drizzt abbastanza a lungo per riconoscere quell'espressione e per sapere che avrebbero dovuto combattere prima che lei tornasse nella sua dimora astrale. Partirono prima dell'alba, con Guenhwyvar che seguiva facilmente la chiara traccia dello spirito infausto, come Ulgulu aveva sperato. Il loro passo era lento, perché Drizzt era ostacolato dal vomere, ma tuttavia procedevano in modo uniforme, e non appena Drizzt colse il suono di un lontano ronzio, capì di aver fatto bene a portare quell'oggetto ingombrante. Tuttavia il resto della mattinata trascorse senza incidenti. La traccia portò i due compagni a un precipizio roccioso e alla base di un'alta rupe frastagliata. Drizzt temette di dover scalare la parete rocciosa - e lasciarsi alle spalle il vomere - ma ben presto individuò un unico stretto sentiero che serpeggiava verso l'alto lungo la parete. Il sentiero che saliva si manteneva agevole mentre girava intorno a ripide svolte sulla parete di roccia, curve cieche e pericolose. Desiderando utilizzare il terreno a proprio vantaggio, Drizzt mandò Guenhwyvar molto avanti e proseguì da solo, trascinando il vomere e sentendosi vulnerabile sulla rupe esposta. Tuttavia quella sensazione non fece nulla per spegnere i fuochi che covavano negli occhi color lavanda di Drizzt, chiaramente brucianti da sotto il cappuccio tirato basso sul capo, dell'enorme mantello appartenuto allo gnoll. Se la vista del precipizio che incombeva proprio di lato innervosiva il drow, Drizzt non doveva fare altro che ricordarsi degli agricoltori. Poco tempo dopo, quando Drizzt udì l'atteso ronzio da qualche parte, più in basso sullo stretto sentiero, si limitò a sorridere. Il ronzio si avvicinò rapidamente da dietro. Drizzt si appiattì contro la parete della rupe e sfoderò di scatto la scimitarra, valutando attentamente il tempo impiegato dallo spiritello ad avvicinarsi. Tephanis balenò accanto al drow, mentre il piccolo pugnale dello sveltelfo guizzava e affondava alla ricerca di un varco negli avvitamenti difensivi della scimitarra ondeggiante. Lo spiritello era sparito in un istante,
spostandosi verso l'alto, davanti a Drizzt, ma Tephanis aveva messo a segno un colpo, scalfendo Drizzt su una spalla. Drizzt esaminò la ferita e annuì gravemente, accettandola come un inconveniente di scarsa importanza. Sapeva di non poter sconfiggere l'attacco accecante, e sapeva anche che concedere questo primo colpo era stato necessario per la sua vittoria finale. Un ringhio più in alto, lungo il sentiero davanti a sé, riportò rapidamente Drizzt all'erta. Guenhwyvar aveva incontrato lo spiritello e la pantera, con zampate repentine che erano in grado di eguagliare la rapidità dello sveltelfo, aveva indubbiamente messo in difficoltà quell'essere. Ancora una volta Drizzt si mise con le spalle alla parete, valutando il ronzio che si avvicinava. Proprio mentre lo spiritello svoltava l'angolo, Drizzt balzò fuori nel bel mezzo dello stretto sentiero, con la scimitarra pronta. L'altra mano del drow attirava meno l'attenzione e teneva con fermezza un oggetto di metallo, pronta a scagliarlo fuori per bloccare l'apertura. Il veloce spiritello rientrò tagliando verso la parete, facilmente in grado, come si rese conto Drizzt, di evitare la scimitarra. Ma nella messa a fuoco ravvicinata del suo obiettivo, lo spiritello non poté notare l'altra mano di Drizzt. Drizzt registrò a malapena i movimenti dello spiritello, ma l'improvviso colpo risonante e le aspre vibrazioni nella sua mano mentre la creatura sbatteva contro il vomere, gli portarono sulle labbra un largo sorriso soddisfatto. Lasciò cadere il vomere e sollevò lo spiritello privo di sensi, prendendolo per la gola, tenendolo sollevato da terra. Guenhwyvar svoltò l'angolo con un balzo, più o meno nello stesso momento in cui lo spiritello si scrollava il senso di stordimento dalla testa dai lineamenti aguzzi, e i suoi orecchi lunghi e appuntiti pendevano di lato al capo a ogni movimento. «Che creatura sei?» chiese Drizzt nella lingua dei folletti, il linguaggio con cui era riuscito a comunicare con il gruppo di gnoll. Con sua sorpresa scoprì che lo spiritello capiva, anche se la sua risposta stridula e confusa giunse troppo rapidamente perché Drizzt riuscisse minimamente a comprenderla. Diede allo spiritello un rapido strattone per zittirlo, poi ringhiò: «Una parola alla volta! Come ti chiami?» «Tephanis» disse lo spiritello, indignato. Tephanis poteva muovere le gambe cento volte al secondo, ma non gli servì a molto finché restava sospeso per aria. Lo spiritello abbassò lo sguardo sulla stretta sporgenza e
vide il suo piccolo pugnale che giaceva accanto al vomere ammaccato. La scimitarra di Drizzt avanzò pericolosamente. «Sei stato tu a uccidere gli agricoltori?» chiese senza mezzi termini. Fu quasi sul punto di colpire, alla susseguente risata dello spiritello. «No!» disse svelto Tephanis. «Chi è stato?» «Ulgulu!» proclamò lo spiritello. Tephanis indicò su per il sentiero e sbottò in un fiume di parole eccitate. Drizzt riuscì a distinguerne alcune tra le più allarmanti: «Ulgulu... aspettando... cena». Drizzt non sapeva davvero che cosa fare dello spiritello catturato. Tephanis era semplicemente troppo veloce perché Drizzt potesse occuparsene in modo sicuro. Guardò Guenhwyvar che sedeva con naturalezza qualche metro più in alto, lungo il sentiero, ma la pantera si limitò a sbadigliare e a stiracchiarsi. Drizzt stava per porre un'altra domanda, per cercare di capire quale fosse il ruolo di Tephanis nell'intera faccenda, ma lo spiritello impertinente decise di averne abbastanza dell'incontro. Con le mani che si muovevano troppo veloci perché Drizzt potesse reagire, Tephanis infilò una mano nello stivale, estrasse un altro pugnale e colpì il polso già ferito di Drizzt. Questa volta lo spiritello impudente aveva sottovalutato il suo avversario. Drizzt non era in grado di uguagliare la velocità dello spiritello, non poteva neppure seguire il piccolo pugnale guizzante. Per quanto fossero dolorose le ferite, tuttavia, Drizzt era troppo sopraffatto dalla rabbia per accorgersene. Si limitò a stringere la presa intorno al collo dello spiritello e affondò la scimitarra davanti a sé. Perfino con una possibilità di movimento così limitata, Tephanis fu sufficientemente rapido e agile da schivarlo, ridendo in modo selvaggio per tutto il tempo. Lo spiritello colpì di rimando, penetrando più profondamente nell'avambraccio di Drizzt. Infine, Drizzt scelse una tattica a cui Tephanis non poté controbattere, una tattica che eliminava il vantaggio dello spiritello. Scaraventò Tephanis contro la parete, poi gettò la creatura stupefatta giù dal precipizio. *
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Un po' più tardi, Drizzt e Guenhwyvar si acquattarono nella boscaglia alla base di un ripido pendio roccioso. Sulla sommità, dietro a cespugli e rami posizionati con cautela, c'era una grotta da cui, di tanto in tanto, fuo-
riuscivano voci di folletti. Accanto alla grotta, lateralmente al terreno in pendenza, c'era un ripido precipizio. Al di là della grotta la montagna si ergeva a un'angolazione ancora maggiore. Le tracce, pur essendo talvolta scarse sulla nuda pietra, avevano condotto Drizzt e Guenhwyvar in questo punto; non ci poteva essere alcun dubbio che il mostro che aveva assassinato gli agricoltori fosse nella grotta. Drizzt lottò ancora una volta contro la propria decisione di vendicare la morte degli agricoltori. Avrebbe preferito una giustizia più civile, un tribunale legittimo, ma che cosa doveva fare? Certamente non poteva recarsi dagli abitanti del villaggio con i suoi sospetti, né da nessun altro. Appostandosi nella boscaglia, Drizzt ripensò ai contadini, al ragazzino dai capelli biondo rossiccio, alla graziosa ragazza, appena diventata donna, e al giovane che aveva disarmato nella macchia di mirtilli. Drizzt lottò intensamente per mantenere l'uniformità della propria respirazione. Nel selvaggio Buio Profondo talvolta aveva ceduto alle proprie pulsioni istintive, un lato più oscuro di lui stesso che combatteva con efficienza brutale e fatale, e Drizzt riusciva a sentire quell'alter-ego scaturire nuovamente dentro di lui. Inizialmente cercò di sublimare la rabbia, ma poi ricordò le lezioni che aveva imparato. Questo lato più oscuro costituiva una parte di lui, uno strumento per la sopravvivenza, e non era del tutto negativo. Era necessario. Tuttavia Drizzt comprendeva il suo svantaggio nella situazione. Non aveva la minima idea di quanti nemici avrebbe incontrato, né di quale tipo di mostri potesse trattarsi. Sentiva dei folletti, ma la carneficina della fattoria indicava il coinvolgimento di qualcosa di molto più potente. Il buonsenso di Drizzt gli suggerì di sedersi ad aspettare, per apprendere di più riguardo ai suoi nemici. Un altro fugace istante di ricordo, la scena alla fattoria, gettò da parte quel buonsenso. Con la scimitarra in una mano, il pugnale dello spiritello nell'altra, Drizzt avanzò furtivamente su per il pendio roccioso. Non rallentò quando si avvicinò alla grotta, ma si limitò a strappare via i cespugli e a entrare direttamente. Guenhwyvar esitò e osservò da dietro, confusa dalle tattiche lampanti del drow. *
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Tephanis sentì l'aria fresca che gli soffiava sul volto e pensò per un attimo di godere di un sogno piacevole. Tuttavia lo spiritello abbandonò rapidamente la propria illusione, e si rese conto che stava avvicinandosi rapidamente a terra. Per fortuna Tephanis non si trovava lontano dalla parete dello strapiombo. Fece vorticare le mani e i piedi in modo sufficientemente rapido da produrre un costante ronzio e graffiò e calciò la roccia nel tentativo di rallentare la sua caduta. Nel frattempo, iniziò a pronunciare le formule di un incantesimo di levitazione, forse l'unico in grado di salvarlo. Trascorsero alcuni secondi angosciosamente lenti prima che lo spiritello sentisse il proprio corpo sorretto dall'incantesimo. Toccò ugualmente terra con violenza, ma si rese conto che le sue ferite erano di scarsa gravità. Tephanis si alzò in piedi con relativa lentezza e si tolse di dosso la polvere. Il suo primo pensiero fu di andare a mettere in guardia Ulgulu del fatto che il drow stava arrivando, ma cambiò immediatamente idea. Non poteva levitare su fino al complesso della grotta in tempo per mettere in guardia lo spirito infausto, e c'era soltanto un sentiero che saliva lungo la parete di roccia, e su quel sentiero si trovava il drow. Tephanis non aveva alcun desiderio di affrontarlo di nuovo. *
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Ulgulu non aveva assolutamente cercato di coprire le sue tracce. L'elfo scuro era servito agli scopi dello spirito infausto; ora il mostro aveva intenzione di mangiarsi Drizzt, un essere che poteva portarlo alla maturità e consentirgli di ritornare a Gehenna. Le due guardie folletto di Ulgulu non furono troppo sorprese all'ingresso di Drizzt. Ulgulu aveva detto loro che il drow sarebbe arrivato, e aveva dato ordini di farlo indugiare nella sala d'ingresso finché lo spirito infausto non si fosse potuto occupare di lui. I folletti interruppero bruscamente la loro conversazione, abbassarono le lance in una croce volta a impedire l'ingresso al di là della tenda, e gonfiarono gli scarni toraci, seguendo scioccamente le istruzioni del loro capo mentre Drizzt si avvicinava. «Nessuno può entrare...» iniziò uno di loro, ma poi, con un unico colpo violento della scimitarra di Drizzt, sia il folletto che il suo compagno barcollarono a terra, portandosi le mani alla gola squarciata. La barriera di lance crollò e Drizzt non rallentò neppure mentre oltrepassava la tenda. Nel mezzo della stanza interna, il drow vide il suo nemico. Con la pelle scarlatta e dimensioni gigantesche, lo spirito infausto attendeva a braccia
incrociate e con un ghigno malvagio e sicuro. Drizzt tirò il pugnale e si lanciò alla carica subito dopo. Quel lancio salvò la vita del drow, perché quando il pugnale attraversò in modo innocuo il corpo del suo nemico, Drizzt comprese la natura della trappola. Avanzò comunque, incapace di frenare il proprio slancio, e la sua scimitarra penetrò nell'immagine senza trovare nulla di tangibile in cui affondare. Il vero spirito infausto era dietro al trono di pietra in fondo alla stanza. Usando un altro potere del suo notevole repertorio magico, Kempfana aveva inviato un'immagine di se stesso nel mezzo della stanza per tenere il drow al posto giusto. Immediatamente gli istinti di Drizzt gli rivelarono che era stato ingannato. Quello che si trovava ad affrontare non era un vero mostro, ma un'apparizione volta a tenerlo all'aperto e vulnerabile. La stanza era scarsamente ammobiliata; non c'era nulla a portata di mano che gli potesse offrire alcuna copertura. Ulgulu, levitando al di sopra del drow, scese rapidamente, posandosi con leggerezza dietro di lui. Il piano era perfetto e il bersaglio era al posto giusto. Drizzt, i cui riflessi e i cui muscoli erano addestrati e affinati per raggiungere la perfezione nel combattimento, intuì la presenza e si tuffò in avanti contro l'immagine mentre Ulgulu sferrava un pesante colpo. L'enorme mano dello spirito infausto si limitò ad afferrare i capelli fluenti di Drizzt, ma quel fatto soltanto strappò quasi lateralmente la testa del drow. Drizzt volse parzialmente il proprio corpo tuffandosi, rotolando nuovamente in piedi ad affrontare Ulgulu. Incontrò un mostro ancora più grande dell'immagine gigantesca, ma quel fatto non intimidì in alcun modo il drow infuriato. Come una corda tesa, Drizzt scattò direttamente all'indietro contro lo spirito infausto. Quando Ulgulu si riprese dall'aver inaspettatamente mancato il colpo, l'unica scimitarra di Drizzt l'aveva infilzato tre volte nel ventre e aveva praticato un piccolo foro perfetto sotto al suo mento. Lo spirito infausto ruggì di rabbia ma non era ferito troppo gravemente, perché l'arma di Drizzt, realizzata dai drow, aveva perduto la maggior parte della propria magia sulla superficie, e soltanto le armi magiche - come gli artigli e i denti di Guenhwyvar - potevano danneggiare veramente una creatura proveniente dai crepacci di Gehenna. L'enorme pantera piombò sulla nuca di Ulgulu con forza sufficiente da far cadere lo spirito infausto a faccia in giù sul pavimento. Ulgulu non a-
veva mai provato un dolore simile a quello provocatogli dagli artigli di Guenhwyvar che gli si infilarono nella testa. Drizzt si mosse per unirsi alla lotta, quando udì un fruscio proveniente dal fondo della stanza. Kempfana uscì alla carica da dietro il trono, urlando in protesta. Toccava a Drizzt utilizzare un po' di magia. Lanciò un globo di tenebre sulla strada dello spirito infausto dalla pelle scarlatta, poi lui stesso vi si gettò all'interno, acquattandosi con mani e piedi a terra. Incapace di rallentare, Kempfana avanzò ruggendo, inciampò sul drow prono - calciando Drizzt così forte da togliergli l'aria dai polmoni - e cadde pesantemente fuori dall'oscurità, dalla parte opposta. Kempfana scrollò il capo per schiarirsi le idee e piantò le enormi mani per alzarsi. Drizzt fu sulla schiena dello spirito infausto in un baleno, menando colpi selvaggi con la sua terribile scimitarra. Quando Kempfana fu in grado di sostenersi abbastanza per spingere giù il drow, aveva ormai i capelli ricoperti di sangue. Vacillò in piedi, in preda alle vertigini e si volse ad affrontare il drow. *
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Dall'altra parte della stanza Ulgulu strisciava e cadeva, rotolava e si divincolava. La pantera era troppo rapida e affusolata per le goffe reazioni del gigante. Una dozzina di squarci deturpavano il volto di Ulgulu e ora Guenhwyvar aveva le proprie zanne piantate sulla nuca del gigante e tutte e quattro le zampe che gli si conficcavano nella schiena. Tuttavia Ulgulu aveva un'ennesima alternativa. Ossa si fusero e si riformarono. Il volto segnato di Ulgulu divenne un muso allungato con perfidi canini. Un folto pelo spuntò su tutto il gigante, proteggendolo dagli attacchi degli artigli di Guenhwyvar. Le braccia che si agitavano divennero zampe che calciavano. Guenhwyvar si ritrovò a combattere contro un lupo gigantesco e il vantaggio della pantera ebbe vita breve. *
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Kempfana avanzò con cautela, lentamente, mostrando a Drizzt un nuovo rispetto. «Li hai uccisi tutti» disse Drizzt nella lingua dei folletti, con voce così
totalmente fredda da bloccare sui suoi passi lo spirito infausto dalla pelle rossa. Kempfana non era una creatura stupida. Lo spirito infausto riconobbe la rabbia esplosiva in questo drow e aveva sentito il taglio aguzzo della sua scimitarra. Kempfana pensò bene di non avanzare direttamente, perciò fece di nuovo appello alle sue capacità ultraterrene. In un lampo del suo occhio arancione fiammeggiante, lo spirito infausto dalla pelle scarlatta scomparve, passando attraverso una porta extradimensionale e ricomparendo proprio dietro a Drizzt. Non appena Kempfana fu scomparso, Drizzt balzò istintivamente di lato. Il colpo da dietro giunse più veloce, tuttavia, finendo direttamente sulla schiena di Drizzt e buttandolo dall'altra parte della stanza. Drizzt andò a sbattere contro la base di una parete e si alzò in ginocchio, annaspando per prendere aria. Kempfana questa volta avanzò direttamente; il drow aveva lasciato cadere la propria scimitarra a metà strada dalla parete, troppo lontano perché Drizzt potesse afferrarla. *
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L'enorme lupo-spirito infausto, grande quasi il doppio di Guenhwyvar, si rovesciò e si mise a cavalcioni sulla pantera. Fauci gigantesche scattarono accanto alla gola e al muso di Guenhwyvar, mentre la pantera colpiva selvaggiamente. Guenhwyvar non poteva sperare di vincere un combattimento alla pari contro il lupo. L'unico vantaggio che la pantera conservava ancora era la mobilità. Come una freccia dall'asta nera, Guenhwyvar guizzò via da sotto il lupo e si diresse verso la tenda. Ulgulu ululò e la inseguì, strappando giù la tenda e continuando nella sua carica, verso la luce del giorno calante. Guenhwyvar giunse fuori dalla grotta mentre Ulgulu passava con violenza attraverso la tenda, svoltò all'istante e balzò direttamente su per i pendii al di sopra dell'ingresso. Quando il grande lupo uscì, la pantera piombò di nuovo sul dorso di Ulgulu e riprese a graffiarlo e a colpirlo. *
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«È stato Ulgulu a uccidere gli agricoltori, non io» ringhiò Kempfana mentre si avvicinava. Il mostro diede un calcio alla scimitarra di Drizzt,
che finì dall'altra parte della stanza. «Ulgulu vuole te - tu che hai ucciso i suoi gnoll. Ma sarò io a ucciderti, guerriero drow. Sarò io a banchettare con la tua forza vitale in modo da poter divenire più forte!» Drizzt, che stava ancora cercando di riprendere fiato, udì a malapena quelle parole. Gli unici pensieri che gli vennero alla mente furono le immagini degli agricoltori morti, immagini che gli diedero coraggio. Lo spirito infausto si fece più vicino e Drizzt gli lanciò uno sguardo di disprezzo, uno sguardo deciso, per nulla attenuato dalla situazione ovviamente disperata del drow. Kempfana esitò alla vista di quegli occhi socchiusi, intensi, e il ritardo dello spirito infausto diede a Drizzt tutto il tempo di cui aveva bisogno. Aveva già combattuto contro mostri giganteschi in precedenza, in particolare con orrori uncinati. Le scimitarre di Drizzt avevano sempre posto fine a quei combattimenti, ma per i colpi iniziali lui aveva, ogni volta, usato soltanto il proprio corpo. Il dolore alla schiena non era paragonabile alla sua rabbia crescente. Corse via dalla parete, restando acquattato, e si tuffò in mezzo alle gambe di Kempfana, vorticando e facendo presa dietro al ginocchio dello spirito infausto. Kempfana, indifferente, si abbassò barcollando per afferrare il drow che si contorceva. Drizzt sfuggì alla stretta del gigante il tempo sufficiente a trovare un punto su cui fare leva. Tuttavia, Kempfana accettava gli attacchi come semplici inconvenienti. Quando Drizzt fece sbilanciare lo spirito infausto, Kempfana si lasciò cadere ben volentieri, con l'intenzione di schiacciare il piccolo elfo sottile. Ancora una volta Drizzt fu troppo veloce per lo spirito infausto. Si divincolò da sotto al gigante che cadeva, riacquistò l'equilibrio e schizzò verso l'estremità opposta della cavità. «No, non lo farai!» urlò Kempfana, strisciando e poi correndo all'inseguimento. Proprio mentre Drizzt raccoglieva la scimitarra, braccia gigantesche si avvolsero intorno a lui e lo sollevarono da terra con facilità. «Ti schiaccerò e ti masticherò!» ruggì Kempfana, e Drizzt sentì veramente una della proprie costole che s'infrangeva. Cercò di dimenarsi per volgersi ad affrontare il suo nemico, poi abbandonò l'idea, concentrandosi invece nel tentativo di liberare il braccio che teneva la spada. Un'altra costola si spezzò; le enormi braccia di Kempfana si strinsero. Lo spirito infausto non voleva semplicemente uccidere il drow, tuttavia, rendendosi conto dei grandi vantaggi verso il raggiungimento della maturità, che potevano derivargli dal divorare un nemico così potente, nutrendosi della forza vitale di Drizzt.
«Ti mastico, drow!» Rise il gigante. «Banchetto!» Drizzt afferrò la scimitarra con entrambe le mani con la forza ispiratagli dalle immagini della fattoria. Liberò l'arma strappandola via e colpì direttamente all'indietro al di sopra della propria testa. La lama entrò nella bocca aperta e bramosa di Kempfana e affondò lungo la gola del mostro. Drizzt la girò e la voltò. Kempfana iniziò a vorticare a tutta velocità e i muscoli e le articolazioni di Drizzt rischiarono quasi di lacerarsi per la tensione. Tuttavia il drow aveva trovato il suo fulcro, l'elsa della scimitarra, e continuò a girare e a voltare. Kempfana cadde pesantemente, gorgogliando, e rotolò su Drizzt, cercando di spremergli di dosso la vita. Il dolore iniziò a filtrare all'interno della consapevolezza di Drizzt. «No!» gridò, aggrappandosi all'immagine del ragazzino dai capelli biondo rossicci, assassinato nel suo letto. Drizzt continuò a girare e a voltare la lama. Il gorgoglio continuò, un suono affannoso d'aria che saliva attraverso sangue soffocante. Drizzt capì che la battaglia era vinta quando la creatura sopra di lui non si mosse più. Drizzt voleva soltanto accoccolarsi e riprendere fiato, ma si disse che non aveva ancora finito. Strisciò fuori da sotto Kempfana, si asciugò il sangue, il proprio sangue, dalle labbra; senza tante cerimonie strappò via la scimitarra, liberandola dalla bocca di Kempfana, e recuperò il pugnale. Sapeva che queste ferite erano gravi, che si sarebbero potute rivelare fatali se non se ne fosse occupato immediatamente. Il suo respiro continuava a giungere in ansiti forzati e insanguinati. Tuttavia la cosa non lo preoccupava, perché Ulgulu, il mostro che aveva ucciso gli agricoltori, viveva ancora. *
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Guenhwyvar balzò via dal dorso del lupo gigantesco, trovando nuovamente un sottile equilibrio sul ripido pendio al di sopra dell'ingresso della grotta. Ulgulu si volse di scatto, ringhiando, e balzò verso la pantera, graffiando e grattando le pietre nello sforzo di giungere più in alto. Guenhwyvar saltò fuori al di sopra dello spirito infausto-lupo, ruotò immediatamente, e colpì la parte posteriore di Ulgulu. Il lupo si volse di scatto, ma Guenhwyvar balzò via, ancora una volta sul pendio. Il gioco di colpire e fuggire continuò per vari attimi, Guenhwyvar colpi-
va, poi sfrecciava via. Infine, però, il lupo anticipò l'espediente della pantera. Ulgulu atterrò la pantera afferrandola con le fauci enormi. Guenhwyvar si divincolò e si liberò di scatto, ma giunse vicino al ripido precipizio. Ulgulu incombeva al di sopra del felino, bloccando ogni via di fuga. Drizzt uscì dalla grotta mentre il grande lupo premeva, spingendo all'indietro Guenhwyvar. Sassolini rotolarono giù nella gola; le zampe posteriori della pantera scivolavano e poi si aggrappavano di nuovo, nel tentativo di trovare una presa. Neppure la possente Guenhwyvar poteva tener duro contro il peso e la forza dello spirito infausto-lupo, Drizzt lo sapeva. Il drow vide immediatamente che non poteva liberare in tempo Guenhwyvar dal grande lupo. Estrasse la statuina d'onice e la gettò accanto ai combattenti. «Vai, Guenhwyvar!» ordinò. In condizioni normali Guenhwyvar non avrebbe abbandonato il suo padrone in un simile momento di pericolo, ma la pantera comprese quel che Drizzt aveva in mente. Ulgulu avanzò con forza, deciso a far cadere Guenhwyvar giù dalla sporgenza. Poi la bestia si trovò a spingere soltanto vapori intangibili. Ulgulu vacillò in avanti e si agitò selvaggiamente, calciando altre pietre e la figurina d'onice nella gola. Sbilanciato, il lupo non poté trovare un appiglio, poi Ulgulu cadde. Si udì nuovamente l'esplosione delle ossa, e la pelliccia canina si assottigliò; Ulgulu non poteva effettuare un incantesimo di levitazione nella sua forma canina. Disperato, lo spirito infausto si concentrò, raggiungendo la sua forma appartenente alla specie dei folletti. L'uomo lupo si accorciò in un volto dai lineamenti piatti; le zampe si consolidarono e si riformarono in braccia. La creatura parzialmente trasformata non riuscì a farcela e si schiantò contro la pietra. Drizzt fece un passo nel vuoto al di là della sporgenza, entrò in un incantesimo di levitazione, scendendo lentamente e vicino alla parete rocciosa. Come era accaduto in precedenza, l'incantesimo ben presto svanì. Drizzt fece un balzo e si aggrappò alla roccia negli ultimi sei metri di caduta, fermandosi bruscamente sul fondo roccioso. Vide lo spirito infausto che si contorceva appena a qualche metro di distanza e cercò di alzarsi per difendersi, ma fu sopraffatto dalle tenebre. *
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Drizzt non poteva sapere quante ore fossero trascorse quando un ruggito tonante lo svegliò un po' di tempo dopo. Ora era buio e la notte era nuvolosa. Lentamente i ricordi dello scontro ritornarono alla mente del drow stordito e ferito. Con suo sollievo, vide che Ulgulu giaceva immobile sulla pietra accanto a lui, mezzo folletto e mezzo lupo, decisamente morto. Un secondo ruggito, ancora su nella grotta, fece volgere il drow verso la sporgenza sopra di lui. Lì si ergeva Lagerbottoms, il gigante delle colline, tornato da una battuta di caccia e indignato per la carneficina che aveva trovato. Drizzt capì non appena riuscì a strisciare in piedi, che oggi non poteva combattere un'altra battaglia. Cercò intorno per un attimo, trovò la statuina d'onice e se l'infilò in tasca. Non era troppo preoccupato per Guenhwyvar. Aveva visto la pantera attraversare peggiori calamità; era rimasta vittima dell'esplosione di una bacchetta magica, era stata attirata nel Piano Terrestre da un elementare infuriato, era perfino piombata in un lago d'acido. La statuina appariva illesa, e Drizzt era sicuro che ora Guenhwyvar stesse riposando comodamente nella propria dimora astrale. Drizzt, tuttavia, non poteva permettersi un simile riposo. Il gigante aveva già iniziato a farsi strada giù per il pendio roccioso. Con un'occhiata finale a Ulgulu, Drizzt provò un senso di vendetta che fece ben poco per sconfiggere i tormentosi, amari ricordi degli agricoltori massacrati. Partì, inoltrandosi nelle montagne selvagge, fuggendo dal gigante e dal rimorso. 8 Tracce ed enigmi Era trascorso più di un giorno dal massacro quando il primo dei vicini dei Thistledown cavalcò fino alla loro fattoria isolata. Il fetore della morte avvertì del massacro l'agricoltore giunto in visita, ancora prima che lui guardasse nell'abitazione o nel granaio. Tornò un'ora più tardi con il sindaco Delmo e vari altri contadini armati al suo fianco. Strisciarono con cautela nell'abitazione dei Thistledown e in cortile, coprendosi il volto con dei fazzoletti per combattere il terribile odore. «Chi potrebbe aver fatto questo?» chiese il sindaco. «Quale mostro?» Come in risposta uno degli agricoltori uscì dalla camera da letto ed entrò in cucina, tenendo tra le mani la scimitarra spezzata. «Un'arma drow?» chiese l'agricoltore. «Dovremmo far venire McGri-
stle.» Delmo esitò. Si aspettava che il gruppo proveniente da Sundabar giungesse da un giorno all'altro e riteneva che la celebre guardaboschi Colomba Manodifalco sarebbe stata più all'altezza della situazione rispetto al volubile e incontrollabile montanaro. Tuttavia la discussione non ebbe mai veramente inizio, perché il ringhio di un cane avvertì tutti i presenti nell'abitazione che McGristle era arrivato. L'uomo corpulento e sporco entrò a lunghi passi nella cucina, con un lato del volto orribilmente deturpato e incrostato di sangue marrone, rappreso. «Un'arma drow!» sbottò, riconoscendo la scimitarra fin troppo chiaramente. «La stessa che ha usato contro di me!» «La guardaboschi sarà qui ben presto» iniziò Delmo, ma McGristle lo ascoltò a malapena. Girò silenziosamente per la stanza ed entrò nella camera da letto contigua, colpendo in modo burbero i corpi con il piede e piegandosi a ispezionare alcuni particolari di minore importanza. «Ho visto le tracce fuori» affermò scontrosamente McGristle. «Ne individuo due serie.» «Il drow ha un alleato» rifletté il sindaco. «Un motivo in più per aspettare il gruppo proveniente da Sundabar.» «Bah, non sapete neppure se verranno!» sbuffò McGristle. «Dobbiamo inseguire il drow adesso, finché la traccia è fresca per il fiuto del mio cane!» Vari degli agricoltori raccolti annuirono dichiarandosi d'accordo - finché Delmo non ricordò loro prudentemente quello che potevano esattamente trovarsi ad affrontare. «Un unico drow ti ha abbattuto, McGristle» disse il sindaco. «Ora pensi che ce ne siano due, forse di più, e vuoi che ci mettiamo a inseguirli?» «È stata la sfortuna ad abbattermi!» replicò Roddy di scatto. Si guardò intorno, facendo appello agli agricoltori ben lungi dall'essere entusiasti. «Avevo preso quel drow, l'avevo messo nel sacco!» Gli agricoltori girarono disordinatamente in tondo sussurrando tra loro mentre il sindaco prendeva Roddy per il braccio e lo conduceva da una parte, nella stanza. «Aspetta un giorno» lo implorò Delmo. «Avremo maggiori opportunità se arriva la guardaboschi.» Roddy non parve convinto. «Questa battaglia devo combatterla io» ringhiò. «Ha ucciso il mio cane e mi ha deturpato.» «Lo vuoi e lo avrai», promise il sindaco, «ma qui potrebbe esserci in
ballo molto più del tuo cane o del tuo orgoglio.» Il volto di Roddy si contorse minacciosamente, ma il sindaco fu irremovibile. Se un gruppo di guerrieri drow stava veramente operando nella zona, tutta Maldobar si trovava esposta a un pericolo imminente. La maggiore difesa del gruppetto, finché non fosse arrivato l'aiuto da Sundabar, era restare uniti, e quella difesa sarebbe venuta meno se Roddy avesse guidato un gruppo di uomini - combattenti che erano già poco numerosi - in una caccia sulle montagne. Tuttavia Benson Delmo era abbastanza astuto da sapere di non poter fare appello a Roddy in quei termini. Anche se il montanaro era rimasto a Maldobar per un paio d'anni, era essenzialmente un girovago e non doveva alcuna obbedienza alla città. Roddy si allontanò, decidendo che l'incontro era giunto al termine, ma il sindaco gli afferrò audacemente il braccio e lo fece volgere di nuovo. Il cane di Roddy scoprì i denti e abbaiò, ma quella minaccia fu ben poca cosa per l'uomo grassoccio, in rapporto allo sgradevole cipiglio con cui Roddy si volse a guardarlo. «Avrai il drow», si affrettò a dire il sindaco, «ma aspetta l'aiuto da Sundabar, ti prego.» Poi passò a proporre gli unici termini che Roddy fosse veramente in grado di apprezzare. «Sono un uomo di non pochi mezzi, McGristle, e tu eri un cacciatore di taglie prima di arrivare qui, e lo sei ancora, immagino.» L'espressione di Roddy passò rapidamente dall'indignazione alla curiosità. «Attendi l'aiuto, poi vai a catturare il drow.» Il sindaco si fermò, riflettendo su quale dovesse essere la sua offerta imminente. Non aveva veramente alcuna esperienza in questo genere di cose e, pur non volendo tenersi troppo basso per non rovinare l'interesse che aveva acceso, non desiderava neppure tassare i cordoni della propria borsa più di quanto fosse necessario. «Mille pezzi d'oro per la testa del drow.» Roddy aveva giocato molte volte a contrattare la determinazione del prezzo. Nascose bene il suo entusiasmo; l'offerta del sindaco era cinque volte più alta della sua normale tariffa e lui si sarebbe messo alle costole del drow comunque, con o senza pagamento. «Duemila!» brontolò il montanaro senza perdere un colpo, sospettando di poter estorcere di più per il suo disturbo. Il sindaco vacillò all'indietro ma ricordò a se stesso varie volte che poteva essere in ballo l'esistenza stessa della città. «E non una monetina di rame di meno!» aggiunse Roddy, incrociandosi
sul petto le braccia robuste. «Aspetta Signora Manodifalco», disse mitemente Delmo, «e avrai i tuoi duemila.» *
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Per tutta la notte Lagerbottoms seguì la traccia del drow ferito. L'enorme gigante delle colline non era ancora sicuro di quel che provava per la morte di Ulgulu e Kempfana, i padroni non invitati che si erano impossessati della sua tana e della sua vita. Benché Lagerbottoms temesse qualsiasi nemico in grado di sconfiggere quei due, il gigante sapeva che il drow era gravemente ferito. Drizzt si rese conto di essere seguito, ma poteva fare ben poco per nascondere le sue tracce. Trascinava dolorosamente una gamba, danneggiatasi nella brusca discesa nel precipizio, e Drizzt faceva tutto quel che poteva per tenersi davanti al gigante. Quando giunse l'alba, luminosa e chiara, Drizzt capì che il suo svantaggio era aumentato. Non poteva sperare di sfuggire al gigantesco mostro delle colline nel corso della protratta luce rivelatrice del giorno. Il sentiero piombava in un piccolo raggruppamento di alberi di varie dimensioni, che spuntavano ovunque riuscissero a trovare fenditure fra i vari massi tondeggianti. Drizzt aveva intenzione di attraversarlo direttamente non vedeva nessuna alternativa, a parte continuare la sua fuga - ma mentre si appoggiava a uno degli alberi più grandi per averne sostegno e riprendere fiato, gli venne un'idea. I rami degli alberi pendevano mollemente, flessibili e simili a funi. Drizzt si volse a dare un'occhiata lungo il sentiero. Più in alto, impegnato ad attraversare una spoglia distesa di roccia, l'inesorabile gigante delle colline avanzava pesantemente. Drizzt sfoderò la scimitarra con l'unico braccio che sembrava ancora funzionargli e tagliò il ramo più lungo che poté trovare. Poi cercò un masso tondeggiante e adatto allo scopo. Il gigante entrò fragorosamente nel boschetto circa mezz'ora più tardi, brandendo un'enorme clava con il braccio massiccio. Lagerbottoms si fermò all'improvviso quando il drow comparve da dietro un albero, bloccandogli la strada. Drizzt sospirò facendosi quasi sentire quando il gigante si fermò, esattamente nell'area stabilita. Aveva temuto che l'enorme mostro si limitasse a continuare ad avanzare e lo schiacciasse, perché Drizzt, ferito com'era,
avrebbe potuto offrire scarsa resistenza. Cogliendo il momento dell'esitazione del mostro, Drizzt gridò: «Alt!» nella lingua dei folletti ed effettuò un semplice incantesimo, profilando il gigante di fiamme azzurre, brillanti e innocue. Lagerbottoms si spostò a disagio ma non effettuò alcuna mossa di avvicinamento verso questo nemico sconosciuto e pericoloso. Con un interesse più che casuale, Drizzt notò che il gigante strascicava i piedi. «Perché mi segui?» chiese Drizzt. «Desideri unirti agli altri nel sonno della morte?» Lagerbottoms si passò la lingua grassoccia sulle labbra asciutte. Finora quest'incontro non era andato come si era aspettato. Ora il gigante rifletté al di là di quei primi impulsi istintivi che l'avevano condotto lì e cercò di prendere in considerazione le alternative. Ulgulu e Kempfana erano morti; Lagerbottoms era tornato in possesso della sua grotta. Ma erano spariti anche i folletti e gli gnoll, e quel fastidioso spiritello sveltelfo non si era visto nei paraggi da un po'. Il mostro fu colto da un'idea improvvisa. «Amici?» chiese speranzosamente il gigante. Pur sentendosi sollevato allo scoprire che il combattimento poteva essere evitato, Drizzt era notevolmente scettico di fronte a quella proposta. La banda di gnoll gli aveva fatto un'offerta analoga, con conseguenze disastrose, e questo gigante era evidentemente collegato agli altri mostri che Drizzt aveva appena ucciso, coloro che avevano assassinato la famiglia alla fattoria. «Amici con quale scopo?» chiese Drizzt a titolo di prova, sperando al di là di ogni apparenza, di poter scoprire che questa creatura fosse motivata da principi e non soltanto dal desiderio di sangue. «Per uccidere» replicò Lagerbottoms, come se la risposta fosse stata ovvia. Drizzt ringhiò e agitò la testa a scatti in un furioso gesto di diniego, facendo ondeggiare selvaggiamente la chioma bianca. Estrasse la scimitarra dal fodero, quasi non pensò se il piede del gigante avesse trovato il cappio della sua trappola. «Ti uccido!» esclamò Lagerbottoms, vedendo l'improvvisa piega che stavano prendendo le cose, e il gigante sollevò la propria clava ed effettuò un enorme passo in avanti, un passo raccorciato dal ramo simile a una liana, che gli si era stretto intorno alla caviglia e che lo stava tirando. Drizzt frenò il desiderio di lanciarsi in avanti, ricordando a se stesso che la trappola era stata messa in moto, e ricordando inoltre a se stesso che
nella sua attuale condizione avrebbe avuto notevoli problemi a sopravvivere contro il formidabile gigante. Lagerbottoms abbassò lo sguardo sul laccio e ringhiò indignato. Il ramo non costituiva veramente una fune adatta allo scopo e il laccio non era poi così stretto. Se Lagerbottoms avesse semplicemente abbassato la mano, il gigante avrebbe potuto facilmente far scivolare il cappio fuori dal piede. I giganti delle colline, tuttavia, non sono mai stati famosi per la loro intelligenza. «Ti uccido!» esclamò nuovamente il gigante, e calciò forte contro il ramo teso. Spinta dalla notevole forza del calcio, la grande roccia legata all'altra estremità del ramo, dietro al gigante, si precipitò in avanti attraverso il sottobosco e finì sulla schiena di Lagerbottoms. Lagerbottoms aveva iniziato a gridare per la terza volta, ma la minaccia che stava per pronunciare si trasformò in un ansito, era rimasto senza fiato. La pesante clava cadde a terra e il gigante, afferrandosi l'area dei reni, cadde in ginocchio. Drizzt esitò un momento, non sapendo se scappare o se infliggergli il colpo di grazia. Non temeva per la propria incolumità; il gigante non l'avrebbe potuto inseguire in un futuro immediato, ma non poteva dimenticare l'espressione spaventosa sul volto del gigante quando il mostro aveva detto che avrebbero potuto uccidere insieme. «Quante altre famiglie massacrerai?» chiese Drizzt nella lingua drow. Lagerbottoms non era assolutamente in grado di capire quella lingua. Si limitò a grugnire attraverso il dolore bruciante. «Quante?» chiese nuovamente Drizzt, mentre la sua mano si torceva sul pomo della scimitarra e i suoi occhi si socchiudevano minacciosi. Si lanciò rapidamente e con decisione. *
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Con assoluto sollievo da parte di Benson Delmo, il gruppo da Sundabar - Colomba Manodifalco, i suoi tre compagni guerrieri e Cruccio, il saggio nano - giunsero più tardi nel corso di quella stessa giornata. Il sindaco offrì al gruppo cibo e riposo, ma non appena Colomba seppe del massacro della famiglia Thistledown, lei e i suoi compagni partirono direttamente, seguiti dappresso dal sindaco, da Roddy McGristle e da vari contadini curiosi. Colomba rimase apertamente delusa quando arrivarono alla fattoria isolata. Un centinaio di serie di tracce confondevano indizi cruciali, e molti
degli oggetti presenti nell'abitazione, perfino i corpi, erano stati toccati e spostati. Tuttavia, Colomba e i suoi esperti compagni agirono metodicamente, cercando di decifrare quello che potevano da quella scena raccapricciante. «Gente sciocca!» disse Cruccio, rimproverando gli agricoltori quando Colomba e gli altri ebbero completato la loro indagine. «Avete favorito i nostri nemici!» Molti contadini e anche il sindaco si guardarono intorno a disagio per quel rimprovero, ma Roddy ringhiò e sovrastò l'ordinato nanetto. Colomba si affrettò a intercedere. «La vostra precedente presenza qui ha rovinato alcuni degli indizi» spiegò con calma al sindaco Colomba, in modo disarmante, mettendosi prudentemente tra Cruccio e il corpulento montanaro. In precedenza Colomba aveva sentito molte storie riguardo a McGristle, e la sua fama non era certo di calma e prevedibilità. «Non lo sapevamo» cercò di spiegare il sindaco. «Certo che no» rispose Colomba. «Avete reagito come avrebbe fatto chiunque.» «Come qualsiasi novellino» osservò Cruccio. «Chiudi il becco!» ringhiò McGristle, e lo stesso fece il suo cane. «State calmo, buonuomo» gli ordinò Colomba. «Abbiamo troppi nemici al di là della città per aver bisogno di averne altri anche all'interno.» «Novellino?» le abbaiò contro McGristle. «Ho braccato un centinaio di uomini, e so abbastanza su questo maledetto drow per trovarlo.» «Siamo certi che sia stato il drow?» chiese Colomba, che francamente ne dubitava. A un cenno del capo da parte di Roddy, un agricoltore in piedi su un lato della stanza mostrò la scimitarra spezzata. «Un'arma drow» disse Roddy aspramente, indicando il suo volto ferito. «L'ho vista da vicino!» Un'occhiata alla ferita irregolare del montanaro rivelò a Colomba che non era stata la scimitarra affilata a provocarla, ma la guardaboschi gli concesse quel punto, non vedendo alcun vantaggio in ulteriori discussioni. «E trucchi drow» insistette Roddy. «Le impronte di stivali corrispondono a quelle rilevate nei pressi della macchia di mirtilli, dove abbiamo visto il drow!» Lo sguardo di Colomba portò gli occhi di tutti verso il granaio. «Quella porta è stata rotta da un essere possente» osservò. «E la donna più giovane
all'interno non è stata uccisa da un elfo scuro.» Roddy rimase imperterrito. «Il drow ha con sé un animale» insistette. «Una grande pantera nera. Un maledetto felino enorme!» Colomba conservò i propri sospetti. Non aveva visto orme che corrispondessero alle zampe di una pantera, e il modo in cui era stata divorata una parte della donna, ossa e tutto, non corrispondeva a ciò che lei sapeva sui grandi felini. Tuttavia tenne i propri pensieri per sé, rendendosi conto che il burbero montanaro non voleva che alcun mistero offuscasse le conclusioni che aveva già tratto. «Ora, se ne avete avuto abbastanza di questo luogo, mettiamoci a seguire la pista» tuonò Roddy. «Il mio cane ha fiutato una traccia, e il drow ha già un vantaggio sufficientemente elevato!» Colomba lanciò uno sguardo preoccupato al sindaco, che si volse dall'altra parte, imbarazzato sotto al suo sguardo penetrante. «Roddy McGristle verrà con voi» spiegò Delmo, a malapena in grado di pronunciare le parole e desiderando non aver stipulato con Roddy quel patto ispirato dalle emozioni. Vedendo l'imperturbabilità della guardaboschi e del suo gruppo, così drasticamente diversi dall'ira violenta di Roddy, ora il sindaco pensava fosse meglio che Colomba e i suoi compagni si occupassero della situazione a modo loro. Ma un patto era un patto. «Sarà l'unico di Maldobar a unirsi al vostro gruppo» continuò Delmo. «È un esperto cacciatore e conosce questa zona meglio di chiunque altro.» Ancora una volta Colomba, con sconcerto di Cruccio, fece anche quella concessione. «Il giorno sta declinando rapidamente» disse Colomba, poi aggiunse esplicitamente, rivolta a McGristle: «Partiremo alle prime luci del giorno». «Il drow ha un vantaggio già fin troppo grosso!» protestò Roddy. «Dovremmo inseguirlo ora!» «Voi date per scontato che il drow stia fuggendo» rispose Colomba, ancora una volta con calma, ma questa volta con una severa incisività nella voce. «Quanti uomini morti hanno ipotizzato lo stesso dei propri nemici?» Questa volta Roddy, perplesso, non rispose urlando come al suo solito. «Il drow, o la banda di drow, potrebbe essere rintanata qui vicino. Vi piacerebbe imbattervi in loro inaspettatamente, McGristle? Sareste lieto di combattere contro degli elfi scuri nell'oscurità della notte?» Roddy si limitò ad alzare in aria le mani, ringhiò, e si allontanò a grandi passi, seguito dappresso dal cane. Il sindaco offrì a Colomba e al suo gruppo ospitalità a casa propria, ma
la guardaboschi e i suoi compagni preferirono restare alla fattoria dei Thistledown. Colomba sorrise mentre gli agricoltori partivano, e Roddy si accampò a una breve distanza, ovviamente per tenerla d'occhio. Lei si chiese semplicemente quanto avesse in ballo McGristle in tutto questo e sospettò che ci fosse sotto più della vendetta per il volto sfregiato e l'orecchio perduto. «Avete veramente intenzione di lasciare che quel bestione venga con noi?» chiese più tardi Cruccio, mentre il nano, Colomba e Gabriel sedevano intorno al fuoco ardente nel cortile della fattoria. L'arciere elfo e gli altri membri del gruppo erano fuori a pattugliare il perimetro della fattoria. «È la loro città, caro Cruccio» spiegò Colomba. «E io non posso confutare la conoscenza della regione da parte di McGristle.» «Ma è così sporco» brontolò il nano. Colomba e Gabriel si scambiarono dei sorrisi e Cruccio, rendendosi conto che non avrebbe ottenuto nessun risultato con questa discussione, srotolò il suo giaciglio e vi scivolò dentro, girandosi volutamente dalla parte opposta rispetto agli altri. «Buon vecchio Intingicalamo» mormorò Gabriel, ma notò che il successivo sorriso sul volto di Colomba fece ben poco per diminuire la sincera preoccupazione dipinta sul volto di lei. «Avete un problema, Lady Manodifalco?» chiese. Colomba scrollò le spalle. «In questa faccenda alcune cose non rientrano al posto giusto nell'ordine delle cose» iniziò lei. «Non è stata una pantera a uccidere la donna nel granaio» osservò Gabriel, perché anche lui aveva notato alcune discrepanze. «Né è stato un drow a uccidere l'agricoltore, quello che chiamavano Bartholemew, in cucina» disse Colomba. «La trave che gli ha rotto il collo era a sua volta quasi spezzata in due. Soltanto un gigante possiede un forza simile.» «Magia?» chiese Gabriel. Colomba scrollò nuovamente le spalle. «La magia drow di solito è più sottile, secondo il nostro saggio» disse lei, guardando dalla parte di Cruccio, che stava già russando piuttosto sonoramente. «E più completa. Cruccio non crede che la magia drow abbia ucciso Bartholemew o la donna, o distrutto la porta del granaio. E c'è un altro mistero sulla questione delle orme.» «Due serie», disse Gabriel, «e lasciate quasi a un giorno di distanza.» «E di diversa profondità» aggiunse Colomba. «Una serie, la seconda, potrebbe davvero essere stata lasciata da un elfo scuro, ma l'altra, la serie
dell'assassino, era troppo profonda per corrispondere ai passi leggeri di un elfo.» «Un agente dei drow?» propose Gabriel. «Forse un abitante dei piani inferiori, evocato? L'elfo scuro potrebbe essere sceso il giorno dopo per controllare l'opera del suo mostro?» Questa volta Gabriel si unì a Colomba nello scrollare le spalle, confuso. «È quello che scopriremo» disse Colomba. Poi Gabriel si accese una pipa, e Colomba si lasciò cogliere dal sonno. *
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«Oh padrone, padrone mio» gemeva Tephanis, vedendo la forma grottesca dello spirito infausto distrutto, trasformato a metà. Allo sveltelfo non importava veramente poi così tanto di Ulgulu o del fratello dello spirito infausto, ma le loro morti avevano gravi conseguenze per il futuro dello spiritello. Tephanis si era unito al gruppo di Ulgulu perché entrambi potevano trarre reciproco vantaggio l'uno dall'altro. Prima che arrivasse lo spirito infausto, lo spiritello aveva trascorso i suoi giorni in solitudine, rubando ogni qualvolta poteva dai villaggi vicini. Se l'era cavata bene da solo, ma la sua vita era stata un'esistenza solitaria e priva d'avvenimenti eccitanti. Ulgulu aveva cambiato tutto questo. L'esercito dello spirito infausto offriva protezione e compagnia, e Ulgulu, che tramava in continuazione nuove subdole uccisioni, aveva assegnato a Tephanis un numero infinito di missioni importanti. Ora lo sveltelfo doveva abbandonare quella esistenza, perché Ulgulu era morto e Kempfana era morto, e Tephanis non poteva fare nulla per modificare quei semplici dati di fatto. «E Lagerbottoms?» si chiese improvvisamente lo sveltelfo. Pensò che il gigante delle colline, l'unico membro della tana che mancava all'appello, potesse rivelarsi un ottimo compagno. Tephanis vide con sufficiente chiarezza le tracce del gigante, che si dirigevano lontano dall'area della grotta e fuori, nel più profondo delle montagne. Batté le mani eccitato, forse un centinaio di volte nel secondo successivo, poi partì, schizzando via per trovare un nuovo amico. *
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Lontano, su sulle montagne, Drizzt Do'Urden guardò dall'alto per l'ultima volta le luci di Maldobar. Da quando era sceso dalle alte vette dopo il suo sgradevole incontro con la moffetta, il drow aveva trovato un mondo di ferocia quasi uguale a quello del reame oscuro che si era lasciato alle spalle. Tutte le speranze che Drizzt aveva formulato nei giorni trascorsi a osservare la famiglia di agricoltori, ormai erano per lui perdute, sepolte sotto al peso del rimorso e delle orribili immagini della carneficina che lui sapeva l'avrebbero ossessionato per sempre. Il dolore fisico del drow era un po' diminuito; ora poteva respirare in modo completo, anche se lo sforzo gli provocava un dolore penosamente acuto, e i tagli sulle braccia e le gambe si erano rimarginati. Sarebbe sopravvissuto. Guardando dall'alto Maldobar, un altro luogo che non avrebbe mai potuto considerare casa sua, Drizzt si chiese se non fosse meglio così. 9 Braccato «Che cos'è?» chiese Cruccio, spostandosi prudentemente dietro le pieghe del mantello color verde foresta di Colomba. Colomba, e perfino Roddy, si mossero a loro volta con cautela, perché anche se la creatura sembrava morta, non avevano mai visto un essere simile. Sembrava essere uno strano mutante di dimensioni gigantesche, una via di mezzo tra un folletto e un lupo. Acquisirono coraggio man mano che si avvicinavano al corpo, convinti che fosse veramente morto. Colomba si piegò e lo toccò con la spada. «È morto da più di un giorno, secondo la mia ipotesi» annunciò lei. «Ma che cos'è?» chiese di nuovo Cruccio. Colomba esaminò da vicino le strane articolazioni della creatura. Lei notò inoltre le molte ferite inflitte all'essere - lacerazioni, come quelle provocate dai graffi di un grande felino. «Un mutante di forma» ipotizzò Gabriel, tenendo d'occhio il limitare della zona rocciosa. Colomba annuì. «Ucciso a metà dell'opera.» «Non ho mai sentito parlare di maghi folletti» protestò Roddy. «Oh, sì» iniziò Cruccio, lisciandosi le maniche della tunica di morbida stoffa. «Naturalmente c'era Sudicione lo Scapestrato, finto arcimago, che...»
Un fischio dall'alto, sopra di loro, interruppe il nano. Sulla cengia si ergeva Kellindil, l'arciere elfo, che agitava le braccia. «Quassù c'è dell'altro» gridò l'elfo quand'ebbe ottenuto la loro attenzione. «Due folletti e un gigante dalla pelle rossa, non ne ho mai visti di simili!» Colomba scrutò la rupe. Pensò che sarebbe stata in grado di scalarla, ma un'occhiata al povero Cruccio le fece comprendere che sarebbero dovuti scendere lungo il sentiero, un percorso lungo più di un miglio. «Tu resta qui» disse lei a Gabriel. L'uomo dal volto severo annuì e si pose in posizione difensiva tra alcuni massi tondeggianti, mentre Colomba, Roddy e Cruccio tornavano indietro lungo il burrone. A metà strada su per il sentiero serpeggiante che saliva lungo la rupe, incontrarono Darda, l'altro guerriero del gruppo. Era un uomo basso e notevolmente muscoloso, si grattò la barba ispida ed esaminò quello che sembrava un vomere. «Questo è di Thistledown!» esclamò Roddy. «L'ho visto fuori, sul retro della sua fattoria, doveva aggiustarlo!» «Perché si trova quassù?» chiese Colomba. «E perché mai è insanguinato?» aggiunse Darda, mostrando loro le macchie sul lato concavo. Il combattente guardò al di là della sporgenza nella gola, poi osservò nuovamente il vomere. «Qualche sfortunata creatura è andata a sbatterci contro in pieno», rifletté Darda, «poi probabilmente è finita nel precipizio.» Gli occhi di tutti si concentrarono su Colomba mentre la guardaboschi si scostava dal volto i folti capelli, posava il mento sulla mano delicata ma callosa, e cercava di far luce su quest'ultimo rompicapo. Gli indizi erano troppo pochi, e un attimo più tardi Colomba levò le mani al cielo esasperata e riprese il sentiero. La strada si avvolgeva e lasciava la rupe, livellandosi vicino alla cima, ma Colomba tornò ad avvicinarsi al margine del precipizio, proprio al di sopra del punto in cui avevano lasciato Gabriel. Il guerriero la individuò immediatamente e il suo gesto con la mano disse alla guardaboschi che lì sotto tutto era calmo. «Venite» ordinò loro Kellindil, e condusse il gruppo nella grotta. Colomba ottenne chiaramente alcune risposte non appena vide la carneficina nella stanza più interna. «Uno spirito infausto non ancora giunto alla maturità!» esclamò Cruccio, osservando il cadavere del gigante dalla pelle rossa. «Spirito infausto?» chiese Roddy, perplesso. «Naturalmente» s'intromise Cruccio. «Questo spiega il lupo gigantesco
nella gola.» «Bloccato mentre stava mutando forma» arguì Darda. «Le sue molteplici ferite e il fondo pietroso del precipizio l'hanno fermato prima che potesse completare la transizione.» «Spirito infausto?» chiese nuovamente Roddy, questa volta furiosamente, non apprezzando l'idea di essere lasciato al di fuori di una discussione che lui non poteva capire. «Una creatura da un altro piano d'esistenza» spiegò Cruccio. «Gehenna, pare. Gli spiriti infausti mandano i loro giovani immaturi su altri piani, talvolta nel nostro, perché si nutrano e crescano.» Tacque un momento, meditabondo. «Perché si nutrano» disse di nuovo, guidando gli altri con il suo tono. «La donna nel granaio!» disse Colomba con voce pacata. I membri della squadra di Colomba fecero dei cenni d'assenso con il capo all'improvvisa rivelazione, ma McGristle, torvo in volto, restò ostinatamente legato alla sua teoria originaria. «Li ha uccisi il drow!» ringhiò. «Avete la scimitarra spezzata?» chiese Colomba. Roddy estrasse l'arma da sotto a una delle molte pieghe dei suoi indumenti di pelle stratificati. Colomba prese l'arma e si piegò a esaminare lo spirito infausto morto. La lama corrispondeva senza possibilità d'errore alle ferite inflitte alla bestia, specialmente la ferita fatale nella gola dello spirito infausto. «Avete detto che il drow portava due di queste» osservò Colomba, rivolgendosi a Roddy mentre sollevava la scimitarra. «L'ha detto il sindaco», la corresse Roddy, «in base alla storia raccontata dal figlio di Thistledown. Quando io ho visto il drow...» Riprese l'arma, «...aveva soltanto questa, quella che ha usato per uccidere la famiglia dei Thistledown!» Roddy non accennò volutamente al fatto che il drow, mentre teneva soltanto quell'arma, portava alla cintura i foderi per due scimitarre. Colomba scrollò il capo, dubitando della teoria. «Il drow ha ucciso questo spirito infausto» disse. «Le ferite corrispondono alla lama, la lama gemella di quella che avete voi, immagino. E se controllate i folletti nella sala anteriore, scoprirete che le loro gole sono state squarciate da un'analoga scimitarra ricurva.» «Come le ferite sui Thistledown!» ringhiò Roddy. Colomba pensò che fosse meglio non formulare la propria ipotesi nascente, ma Cruccio, che non sopportava quell'omaccione, diede voce a ciò che pensavano tutti tranne McGristle.
«Uccisi dallo spirito infausto» proclamò il nano, ricordando le due serie d'impronte nel cortile della fattoria. «Con le sembianze del drow!» Roddy gli lanciò un'occhiata bieca e Colomba indirizzò a Cruccio un'occhiata che era un ordine, desiderando che il nano tacesse. Tuttavia Cruccio interpretò erroneamente lo sguardo della guardaboschi, pensando che si trattasse di stupore per la sua forza di raziocinio, e continuò con orgoglio. «Questo spiega le due serie di tracce, la serie più pesante, lasciata prima dallo spi...» «E la creatura nella gola?» chiese Darda a Colomba, comprendendo che lei desiderava far tacere Cruccio. «Anche le sue ferite potrebbero forse corrispondere alle lame ricurve?» Colomba pensò per un attimo e riuscì a ringraziare sottilmente Darda con un cenno del capo. «Forse alcune» rispose lei. «Con maggiore probabilità quello spirito infausto è stato ucciso dalla pantera...» Guardò direttamente Roddy. «...il felino che avete affermato che il drow aveva come compagno.» Roddy diede un calcio allo spirito infausto morto, «è stato il drow a uccidere la famiglia Thistledown!» ringhiò. Roddy aveva perduto un cane e un orecchio a causa dell'elfo scuro e non avrebbe accettato alcuna conclusione che diminuisse le sue possibilità di pretendere la taglia di duemila pezzi d'oro che il sindaco aveva offerto. Un richiamo dall'esterno della grotta pose fine alla discussione e sia Colomba che Roddy ne furono lieti. Dopo aver guidato il gruppo nella tana, Kellindil era ritornato fuori, seguendo alcuni ulteriori indizi che aveva scoperto. «Un'impronta di stivale» spiegò l'elfo, indicando una piccola macchia muschiosa, quando gli altri furono usciti. «È qui» mostrò loro dei graffi sulla pietra, chiaro segno di una colluttazione. «Credo che il drow si sia recato alla rupe. E poi che sia saltato, forse all'inseguimento dello spirito infausto e della pantera, anche se a questo riguardo le mie non sono che supposizioni.» Dopo aver seguito per un attimo la traccia ricostruita da Kellindil, Colomba e Darda, e anche Roddy, si dichiararono d'accordo con tale ipotesi. «Dovremmo ritornare al burrone» propose Colomba. «Forse troveremo una traccia al di là della gola pietrosa, che ci condurrà verso qualche risposta più chiara.» Roddy si grattò le croste che aveva sul capo e lanciò a Colomba uno sguardo sdegnoso che le rivelò le emozioni di quell'uomo. A Roddy non
importava assolutamente nulla di nessuna delle «risposte più chiare» promesse dalla guardaboschi, avendo tratto molto tempo prima tutte le conclusioni di cui aveva bisogno. Roddy era deciso - al di là di qualsiasi altra cosa - a riportare la testa dell'elfo scuro. Colomba Manodifalco non era così sicura dell'identità dell'assassino. Restavano molte domande sia per la guardaboschi che per gli altri membri della sua squadra. Perché il drow non aveva ucciso i bambini Thistledown quando si erano incontrati sulle montagne, in precedenza? Se la storia che Connor aveva raccontato al sindaco era vera, allora perché il drow aveva restituito l'arma al ragazzo? Colomba era fermamente convinta che fosse stato lo spirito infausto, e non il drow, a massacrare la famiglia Thistledown, ma perché il drow a quanto pareva si era messo alla ricerca del covo dello spirito infausto? Il drow era forse in combutta con gli spiriti infausti, un'alleanza che si era rapidamente inasprita? Fatto ancora più intrigante per la guardaboschi il cui credo era quello di proteggere i civili in una guerra perpetua tra le razze buone e i mostri - il drow aveva forse cercato lo spirito infausto per vendicare il massacro alla fattoria? Colomba sospettava che quest'ultima fosse la verità, ma non riusciva a capire le motivazioni del drow. Lo spirito infausto, uccidendo la famiglia, aveva forse messo sul chi vive Maldobar, rovinando perciò una razzia progettata dai drow? Ancora una volta i pezzi non corrispondevano correttamente. Se gli elfi scuri progettavano di razziare Maldobar, allora certamente nessuno di loro si sarebbe rivelato prima del tempo. Qualcosa all'interno di Colomba le disse che quest'unico drow aveva agito da solo, si era messo in moto per vendicare gli agricoltori massacrati. Lei allontanò l'idea con una scrollata di spalle, pensando potesse essere uno scherzo del suo ottimismo e ricordò a se stessa che gli elfi scuri erano raramente noti per simili azioni, più degne di un guardaboschi. Quando i cinque giunsero alla fine dello stretto sentiero e ritornarono in presenza del cadavere più grande, Gabriel aveva già trovato la traccia, che si dirigeva nel folto delle montagne. Erano evidenti due serie di tracce, quelle del drow e quelle più fresche appartenenti a un gigante, una creatura bipede, possibilmente un terzo spirito infausto. «Che cos'è successo alla pantera?» chiese Cruccio, che iniziava a sentirsi un po' sopraffatto dalla sua prima spedizione sul campo, dopo molti anni. Colomba rise forte e scrollò il capo impotente. Ogni risposta sembrava portare molte altre domande.
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Drizzt continuava a muoversi di notte, fuggendo come aveva fatto per molti anni, da un'altra triste realtà. Non aveva ucciso gli agricoltori - in effetti li aveva salvati dalla banda di gnoll - ma ora erano morti. Drizzt non poteva sfuggire a quel fatto. Era entrato nelle loro vite, decisamente per propria volontà, e ora essi erano morti. La seconda notte dopo il suo incontro con il gigante della collina, Drizzt vide un distante fuoco d'accampamento giù in lontananza, in fondo ai serpeggianti sentieri montani, in direzione della tana degli spiriti infausti. Sapendo che quest'immagine non era una semplice coincidenza, il drow chiamò Guenhwyvar al suo fianco, poi mandò la pantera a dare un'occhiata più da vicino. Instancabilmente, il grande felino corse, la sua forma nera e affusolata era invisibile nelle tenebre notturne mentre copriva rapidamente la distanza che la separava dall'accampamento. *
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Colomba e Gabriel riposarono facilmente accanto al fuoco del bivacco, divertiti dai comportamenti continuamente ridicoli di Cruccio, che si affaccendava a pulire il suo morbido farsetto con una spazzola rigida, brontolando in continuazione. Roddy si teneva sulle sue dalla parte opposta, chiuso al sicuro in una nicchia tra un albero caduto e una grande roccia, con il cane accoccolato ai suoi piedi. «Oh, che fastidio questo sporco!» brontolava Fred. «Mai, mai riuscirò a far tornare pulito questo completo! Dovrò comprarne uno di nuovo.» Guardò Colomba, che stava cercando inutilmente di mantenere un'espressione seria. «Ridete pure se volete, Signora Manodifalco» la rimproverò il nano. «Il prezzo uscirà dalla vostra borsa, non dubitatene!» «È un giorno triste quello in cui si devono acquistare fronzoli per un nano» osservò Gabriel, e alle sue parole Colomba scoppiò a ridere. «Ridete pure!» ripeté Fred, e strofinò più forte con la spazzola, praticando un foro sull'indumento. «Accidenti, maledizione!» imprecò, poi gettò a terra la spazzola. «Chiudete il becco!» borbottò Roddy contro di loro, annullando l'allegri-
a. «Volete che il drow ci piombi addosso?» L'occhiataccia successiva di Gabriel fu intransigente, ma Colomba si rese conto che il consiglio del montanaro, benché dato rozzamente, era appropriato. «Riposiamo, Gabriel» disse la guardaboschi al suo compagno di combattimenti. «Darda e Kellindil torneranno presto e verrà il nostro turno di sorveglianza. Immagino che la strada di domani non sarà meno faticosa...» Guardò Cruccio e ammiccò, «...e non meno sporca di quella di oggi.» Gabriel scrollò le spalle, si mise la pipa in bocca e intrecciò le mani dietro alla testa. Questa era la vita che piaceva a lui e a tutti i suoi compagni avventurosi; accamparsi sotto le stelle con il canto del vento della montagna negli orecchi. Cruccio, tuttavia, si agitava e rigirava sul duro terreno, brontolando e bofonchiando, passando da una posizione scomoda all'altra. Non occorreva che Gabriel guardasse Colomba per sapere che lei condivideva il suo sorriso. Né era necessario che guardasse Roddy per sapere che il montanaro era furente per il continuo rumore. Indubbiamente quel chiasso sembrava trascurabile agli orecchi di un nano che viveva in città, ma risuonava cospicuamente a quelli più abituati alla strada. Un fischio dall'oscurità risuonò contemporaneamente al fatto che il cane di Roddy rizzasse il pelo e ringhiasse. Colomba e Gabriel si alzarono e si portarono in un secondo su un lato dell'accampamento, spostandosi al limite della luce del fuoco, in direzione del grido di Darda. Allo stesso modo Roddy, tirandosi dietro il cane, scivolò intorno alla grande roccia, fuori dalla luce diretta, in modo che i loro occhi potessero adattarsi alle tenebre. Cruccio, troppo impegnato nel proprio sconforto, alla fine notò i movimenti. «Cosa?» chiese il nano con curiosità. «Cosa?» Dopo una conversazione breve e sussurrata con Darda, Colomba e Gabriel si divisero, girando intorno all'accampamento in direzioni opposte per garantire l'integrità del perimetro. «L'albero» giunse un basso sussurro, e Colomba si acquattò. In un attimo individuò Roddy, astutamente nascosto tra la roccia e alcuni arbusti. Anche l'omaccione aveva pronte le armi, e l'altra sua mano teneva stretto il muso del cane, per zittire l'animale. Colomba seguì il cenno del capo di Roddy verso i grandi rami di un olmo solitario. Inizialmente la guardaboschi non poté distinguere nulla d'insolito tra i rami frondosi, ma poi notò il bagliore giallo di due occhi felini.
«La pantera del drow?» sussurrò Colomba. Roddy annuì, confermando. Rimasero seduti assolutamente immobili a osservare, sapendo che il minimo movimento avrebbe potuto mettere in stato d'allarme il felino. Qualche secondo più tardi Gabriel si unì a loro, acquattandosi silenziosamente e seguendo i loro occhi fino allo stesso punto più scuro sull'olmo. Tutti e tre compresero che il tempo era loro alleato; già in quel momento, Darda e Kellindil stavano indubbiamente portandosi in posizione. La loro trappola avrebbe sicuramente preso Guenhwyvar, ma un attimo dopo il nano uscì rumorosamente dall'accampamento, andando direttamente a inciampare addosso a Roddy. Il montanaro rischiò quasi di cadere, e quando lui mosse di riflesso la propria mano senz'arma per sorreggersi, il suo cane si lanciò fuori di corsa, abbaiando selvaggiamente. Come una freccia dall'asta nera, la pantera guizzò dall'albero e volò via nella notte. Tuttavia la fortuna non era dalla parte di Guenhwyvar, perché passò direttamente davanti al punto in cui si trovava Kellindil, e l'arciere elfo dalla vista acuta la vide chiaramente. Kellindil udì l'abbaiare e le grida in lontananza, nell'accampamento, ma non aveva modo di sapere che cosa fosse successo. Qualsiasi esitazione potesse avere l'elfo, tuttavia, venne rapidamente dissipata quando una voce gridò con chiarezza. «Uccidete quell'animale assassino!» gridò Roddy. Poi, pensando che la pantera o il suo compagno drow avessero attaccato l'accampamento, Kellindil scoccò la sua freccia. Il dardo incantato affondò profondamente nel fianco di Guenhwyvar mentre la pantera passava di corsa. Poi giunse il grido di Colomba, che rimproverava Roddy. «No!» gridò la guardaboschi. «La pantera non ha fatto nulla per meritare la nostra ira!» Kellindil corse sulle tracce della pantera. Con i suoi sensibili occhi d'elfo che vedevano nello spettro infrarosso, notò chiaramente il colore del sangue che punteggiava la zona in cui la pantera era stata colpita e che si trascinava lontano dall'accampamento. Colomba e gli altri gli furono accanto un attimo dopo. I lineamenti d'elfo di Kellindil, sempre affilati e belli, parvero spigolosi mentre il suo sguardo furioso si posava su Roddy. «Avete fuorviato il mio colpo, McGristle» disse furioso. «Seguendo le vostre parole ho colpito una creatura che non meritava una freccia! Vi metto in guardia una volta per tutte di non farlo mai più.» Dopo un ultimo sguardo furioso per dimostrare al montanaro che cosa significasse con
quelle parole, Kellindil si allontanò a lunghi passi seguendo la traccia insanguinata. Fiamme furibonde si addensarono nell'animo di Roddy, ma lui le sublimò, comprendendo che si trovava da solo contro il formidabile quartetto e l'impeccabile nano. Tuttavia Roddy posò il proprio sguardo su Cruccio, sapendo che nessuno degli altri poteva contrastarlo nel suo giudizio. «Tenete a freno la lingua quando il pericolo si avvicina!» ringhiò Roddy. «E tenete i vostri stivali puzzolenti giù dalla mia schiena!» Cruccio si guardò intorno con incredulità mentre il gruppo iniziava a mettersi sui passi di Kellindil. «Puzzolenti?» chiese il nano a voce alta. Abbassò lo sguardo, ferito, sui suoi stivali perfettamente lucidati. «Puzzolenti?» disse a Colomba, che si fermò per porgergli un sorriso di consolazione. «Sarebbe più opportuno dire che sono stati sporcati dalla schiena di quell'individuo!» *
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Guenhwyvar tornò zoppicando da Drizzt subito dopo che i primi raggi dell'alba penetrarono tra le montagne a oriente. Drizzt scrollò il capo impotente, quasi privo di sorpresa di fronte alla freccia che spuntava dal fianco di Guenhwyvar. Con riluttanza, ma sapendo che si trattava di una saggia decisione, Drizzt estrasse il pugnale che aveva preso allo sveltelfo e praticò un'incisione, liberando la freccia. Guenhwyvar ringhiò piano nel corso della procedura ma rimase immobile e non oppose resistenza. Poi Drizzt, pur volendo tenere Guenhwyvar al proprio fianco, consentì alla pantera di ritornare nella sua dimora astrale, dove la ferita sarebbe guarita più rapidamente. La freccia aveva rivelato al drow tutto ciò che aveva bisogno di conoscere sui suoi inseguitori, e Drizzt pensò che avrebbe avuto bisogno della pantera fin troppo presto. Salì su un affioramento roccioso e sbirciò attraverso la crescente luminosità verso i sentieri posti più in basso, verso l'avvicinamento previsto di un altro nemico. Naturalmente non vide nulla; anche ferita, Guenhwyvar aveva facilmente distanziato gli inseguitori e, per un uomo o un essere simile, l'accampamento era a molte ore di viaggio. Ma Drizzt sapeva che sarebbero venuti, costringendolo a un altro combattimento che lui non desiderava. Il drow si guardò intorno, chiedendosi quali subdole trappole potesse preparare per loro, quali vantaggi potesse
ottenere nel momento in cui nello scontro sarebbe giunto il momento di colpire, come sembrava accadere ogni volta. Ricordi del suo ultimo scambio con gli umani, dell'uomo con i cani e degli altri agricoltori, alterarono improvvisamente il pensiero di Drizzt. In quell'occasione il combattimento era stato ispirato da un malinteso, una barriera che Drizzt dubitava di riuscire mai a superare. Drizzt non aveva nutrito alcun desiderio di combattere contro gli umani e non ne nutriva alcuno ora, nonostante la ferita di Guenhwyvar. La luce stava aumentando e il drow ancora ferito, benché avesse riposato nel corso della notte, avrebbe desiderato trovare un posto buio e confortevole in cui rifugiarsi. Ma Drizzt non poteva permettersi ritardi, non se voleva tenersi pronto per l'imminente combattimento. «Fino a dove mi seguirete?» sussurrò Drizzt nella brezza mattutina. Giurò in tono grave ma deciso: «Vedremo.» 10 Una questione d'onore «La pantera ha trovato il drow» concluse Colomba dopo che lei e i suoi compagni avevano trascorso del tempo a ispezionare la regione vicino all'affioramento roccioso. La freccia di Kellindil giaceva spezzata a terra più o meno nello stesso punto in cui terminavano le tracce della pantera. «E poi la pantera è scomparsa.» «Così sembrerebbe» ne convenne Gabriel, grattandosi la testa e abbassando lo sguardo su quella traccia sconcertante. «È un felino infernale» ringhiò Roddy McGristle. «È tornato nella sua lurida dimora!» Cruccio voleva chiedergli: «Casa vostra?» ma tenne saggiamente per sé quel pensiero sarcastico. Anche gli altri lasciarono perdere l'affermazione del montanaro. Non avevano risposte a questo rompicapo, e l'ipotesi di Roddy era valida quanto qualunque altra potessero fornire loro. La pantera ferita e la traccia di sangue fresco erano sparite, ma il cane di Roddy fiutò ben presto l'odore di Drizzt. Abbaiando eccitato, il cane li condusse avanti, e Colomba e Kellindil, entrambi abili cacciatori, scoprirono spesso altre prove che confermarono la validità della direzione. La traccia passava lungo il fianco della montagna, penetrava tra alcuni alberi fitti, e continuava ad avanzare attraverso una distesa di nuda pietra,
terminando bruscamente in corrispondenza di un altro precipizio. Il cane di Roddy si portò direttamente sul bordo e scese di qualche passo lungo la discesa rocciosa e infida. «Maledetta magia drow» brontolò Roddy. Si guardò intorno e si diede un pugno sulla coscia, immaginando che avrebbe impiegato molte ore per aggirare quella ripida parete. «La luce del giorno svanisce» fece notare Colomba. «Accampiamoci qui e troveremo il modo per scendere domattina.» Gabriel e Cruccio assentirono, ma Roddy si dichiarò in disaccordo. «Ora la traccia è fresca!» arguì il montanaro. «Dovremmo portare il cane laggiù e fargliela fiutare di nuovo, per lo meno, prima di metterci a dormire.» «Potrebbe richiedere ore...» iniziò a protestare Cruccio, ma Colomba zittì il lindo nanetto. «Venite» ordinò la guardaboschi agli altri, e si diresse a occidente, fino a dove il terreno scendeva lungo un pendio ripido ma su cui era possibile scendere in arrampicata. Colomba non era d'accordo con il modo di ragionare di Roddy, ma non voleva ulteriori discussioni con il rappresentante incaricato da Maldobar. In fondo al precipizio trovarono soltanto altri interrogativi. Roddy spronò il proprio cane in ogni direzione, ma non riuscì a trovare alcuna traccia dello sfuggente drow. Dopo molti minuti di riflessione, nella mente di Colomba si accese una scintilla di verità e il suo sorriso rivelò tutto ai suoi esperti compagni. «Ci ha doppiati!» rise Gabriel, indovinando la fonte dell'allegria di Colomba. «Ci ha condotti direttamente alla rupe, sapendo che noi avremmo dato per scontato che lui avesse usato una magia per scendere!» «Di che cosa state parlando?» chiese Roddy furente, anche se l'esperto cacciatore di taglie comprendeva esattamente che cosa fosse successo. «Volete dire che dobbiamo arrampicarci di nuovo fin lassù?» chiese Cruccio, con voce lamentosa. Colomba rise di nuovo ma si moderò rapidamente guardando Roddy, e disse: «Domattina». Questa volta il montanaro non presentò alcuna obiezione. Prima che spuntasse l'alba successiva, il gruppo si era portato in cima al precipizio e Roddy aveva rimesso il suo cane sulle tracce di Drizzt, ripercorrendo la traccia a ritroso, in direzione dell'affioramento roccioso dove l'avevano trovata inizialmente. Il trucco era stato abbastanza semplice, ma lo stesso interrogativo continuava a tormentare tutti gli esperti cacciatori:
come aveva fatto il drow a staccarsi dalle sue orme in modo sufficientemente pulito da ingannare completamente il cane? Quando giunsero di nuovo tra gli alberi fitti, Colomba capì quale fosse la risposta. Lei fece un cenno del capo a Kellindil, che stava già posando il pesante zaino. L'agile elfo prese un ramo che pendeva in basso e lo fece oscillare sugli alberi, alla ricerca di possibili piste che il drow potesse aver seguito arrampicandosi. I rami di molti alberi s'intrecciavano tra loro, così le alternative sembravano varie, ma dopo un po', Kellindil guidò correttamente Roddy e il suo cane alla nuova pista, che deviava lateralmente rispetto al boschetto e scendeva ancora lungo il fianco della montagna, svoltando e tornando indietro, di nuovo in direzione di Maldobar. «La città!» esclamò Cruccio, afflitto, ma gli altri non sembrarono preoccupati. «Non si è diretto verso la città» spiegò Roddy, troppo affascinato dalla strategia del drow per mantenere la sua furente aggressività. Come cacciatore di taglie, Roddy gradiva avere un avversario degno di lui, per lo meno durante l'inseguimento. «Il ruscello» spiegò Roddy, pensando di aver capito le intenzioni del drow. «Il drow si è diretto verso il ruscello, per seguirlo e sfuggire senza lasciare tracce, per tornare nel terreno più selvaggio.» «Il drow è un avversario astuto» osservò Darda, dimostrandosi cordialmente d'accordo con le conclusioni di Roddy. «E ora ha almeno un giorno di vantaggio su di noi» osservò Gabriel. Quando finalmente Cruccio smise di sospirare disgustato, Colomba cercò d'incoraggiare il nano con qualche speranza. «Non temere» disse. «Noi siamo ben equipaggiati, ma il drow non lo è. Deve fermarsi a cacciare o a raccogliere cibo, ma noi possiamo proseguire.» «Dormiremo soltanto quando sarà indispensabile!» s'intromise Roddy, deciso a non farsi rallentare dagli altri membri del gruppo. «E soltanto per periodi brevi!» Cruccio sospirò di nuovo profondamente. «E iniziamo immediatamente a razionare le nostre provviste» aggiunse Colomba, sia per placare Roddy, sia perché lo riteneva prudente. «Avremo già abbastanza difficoltà ad avvicinarci al drow. Non voglio nessun ritardo.» «Razionamento» mormorò Cruccio sottovoce. Sospirò per la terza volta e si posò una mano confortante sul ventre. Con quanta intensità l'ordinato nano desiderava poter essere di nuovo nella sua linda stanzetta nel castello di Elmo, a Sundabar!
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Drizzt aveva tutte le intenzioni di continuare a penetrare più profondamente nelle montagne finché il gruppo che lo braccava non avesse perso l'entusiasmo per la caccia. Continuò a seguire la tattica di spingerli a seguire la direzione sbagliata, spesso tornando indietro e passando tra gli alberi per iniziare un secondo percorso in un senso completamente diverso. Molti ruscelli di montagna fornirono ulteriori barriere alla traccia olfattiva, ma gli inseguitori di Drizzt non erano novellini, e il cane di Roddy era valido quanto un cane da caccia di razza. Non solo il gruppo si mantenne legato alla traccia di Drizzt, ma colmò realmente la distanza nei pochi giorni successivi. Drizzt credeva ancora di poterli eludere, ma la loro continua vicinanza suscitò nel drow altre preoccupazioni più sottili. Non aveva fatto nulla per meritare un inseguimento così accanito; aveva perfino vendicato le morti della famiglia di agricoltori. E nonostante Drizzt avesse giurato furiosamente di andarsene da solo e di non mettere più in pericolo nessuno, lui aveva conosciuto la solitudine, era stata per lui un'intima compagna per troppi anni. Non poteva fare a meno di guardarsi dietro le spalle, spinto dalla curiosità e non dalla paura, e lo struggimento non diminuiva. Alla fine Drizzt non poté negare il proprio interesse per il gruppo che lo braccava. Mentre studiava le figure che si muovevano intorno al fuoco dell'accampamento in una notte scura, il drow si rese conto che quella curiosità poteva rivelarsi la sua rovina. Tuttavia, la comprensione di questo e il giudizio retrospettivo, giunsero troppo tardi perché il drow facesse qualcosa in proposito. Le sue necessità l'avevano trascinato indietro e ora l'accampamento degli inseguitori incombeva ad appena una ventina di metri di distanza. Le punzecchiature scherzose tra Colomba, Cruccio e Gabriel fecero appello ai suoi sentimenti più profondi, benché non potesse comprendere le loro parole. Ogni volta che il drow desiderava entrare nell'accampamento, i suoi impulsi venivano sempre temperati dal passaggio davanti alla luce di Roddy e del suo cane dal perfido carattere. Drizzt sapeva che quei due non si sarebbero mai fermati ad ascoltare le sue spiegazioni. Il gruppo aveva posto due guardie, un elfo e un uomo alto. Drizzt era passato di soppiatto accanto all'umano, immaginando correttamente che l'uomo non fosse esperto quanto l'elfo nell'oscurità. Tuttavia ora, abbando-
nando ogni cautela, il drow si fece strada intorno all'altro lato dell'accampamento, dirigendosi verso la sentinella elfo. Drizzt aveva incontrato i suoi cugini che vivevano in superficie soltanto un'altra volta prima d'allora. Era stata un'occasione disastrosa. La squadra di razziatori in cui Drizzt svolgeva il ruolo d'esploratore, aveva massacrato ogni membro di un raduno di elfi della superficie, tranne un'unica bambina elfo, che Drizzt era riuscito a nascondere. Guidato da quei ricordi ossessionanti, Drizzt aveva bisogno di vedere nuovamente un elfo, un elfo vivente e vitale. Kellindil ebbe il primo indizio della presenza di qualcos'altro nella zona quando un piccolo pugnale gli passò fischiando davanti al petto, mozzando di netto la corda del suo arco. L'elfo si volse di scatto e guardò negli occhi color lavanda del drow. Drizzt era in piedi soltanto a pochi passi di distanza. Il bagliore rosso nello sguardo di Kellindil mostrò che stava vedendo Drizzt nello spettro infrarosso. Il drow incrociò le mani sul petto in un segnale di pace del Buio Profondo. «Finalmente ci siamo incontrati, mio oscuro cugino» sussurrò aspramente Kellindil in lingua drow, la voce esacerbata da una rabbia evidente e gli occhi brillanti che si socchiudevano pericolosamente. Veloce come un gatto, Kellindil estrasse dalla cintura una spada finemente realizzata, la cui lama brillava di una luce rossa infuocata. Drizzt provò un senso di stupore e di speranza quando apprese che l'elfo era in grado di parlare la sua lingua, e per il semplice fatto che l'elfo non avesse parlato abbastanza forte da mettere sul chi vive il resto dell'accampamento. L'elfo della superficie era grande quanto Drizzt e i suoi lineamenti erano altrettanto appuntiti, ma gli occhi erano più ravvicinati e i capelli dorati non erano lunghi e folti come la chioma bianca di Drizzt. «Sono Drizzt Do'Urden» iniziò Drizzt a titolo di prova. «Non m'importa nulla di come ti chiami!» replicò Kellindil. «Sei un drow. Non mi serve sapere altro! Vieni dunque, drow. Vieni e vediamo chi è il più forte!» Drizzt non aveva ancora estratto la sua lama e non aveva intenzione di farlo. «Non ho alcun desiderio di combattere con te...» la voce di Drizzt si strascicò, mentre si rendeva conto che le sue parole erano futili quanto l'intenso odio che l'elfo della superficie provava per lui. Drizzt voleva spiegare tutto all'elfo, raccontargli tutta la sua storia ed essere giustificato da una voce diversa dalla propria. Se soltanto un altro es-
sere - in particolare un elfo della superficie - fosse venuto a conoscenza delle ardue prove che lui aveva dovuto superare, e si fosse dichiarato d'accordo con la sua decisione, se avesse ammesso che si era comportato giustamente nel corso della sua vita, di fronte a tali orrori, allora il fardello del rimorso sarebbe stato sollevato dalle spalle di Drizzt. Se solo avesse potuto essere accettato tra coloro che odiavano talmente - come lui stesso le odiava - le consuetudini del suo popolo oscuro, allora Drizzt Do'Urden avrebbe trovato la pace. Ma la punta della spada dell'elfo non scivolò di un centimetro verso il terreno e il bel volto dell'elfo conservò la sua smorfia, benché fosse un viso più abituato a sorridere. Drizzt non sarebbe stato accettato qui, né ora né mai, probabilmente. Si chiese se fosse destinato a essere valutato erroneamente per sempre. O forse era lui che valutava erroneamente coloro che lo circondavano, giudicando più meritevoli e più equi di quanto meritassero sia gli umani che quest'elfo? Quelle due idee turbarono Drizzt, ma se ne sarebbe dovuto occupare un altro giorno, perché la pazienza di Kellindil era giunta al termine. L'elfo si lanciò verso il drow con la spada spianata. Drizzt non fu sorpreso - come avrebbe potuto esserlo? Effettuò un balzo all'indietro, fuori dalla portata immediata dell'avversario, e fece appello alla sua innata magia, facendo piombare un globo di impenetrabili tenebre sull'elfo che avanzava. Non essendo un novellino in questioni di magia, Kellindil comprese il trucco del drow. L'elfo invertì la propria direzione, tuffandosi lateralmente fuori dal globo e atterrando con la spada pronta. Gli occhi color lavanda erano spariti. «Drow!» gridò forte Kellindil, e coloro che erano presenti nell'accampamento balzarono subito in azione. Il cane di Roddy iniziò a ululare, e quell'uggiolio eccitato e minaccioso seguì ancora Drizzt sulle montagne, condannandolo a continuare il suo esilio. Kellindil si appoggiò a un albero, all'erta ma non troppo preoccupato che il drow fosse ancora in zona. In quel momento Drizzt non poteva saperlo, ma le sue parole e le sue azioni successive - fuggire invece di combattere avevano davvero instillato un certo dubbio nella mente per nulla ristretta dell'elfo dall'animo gentile. *
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«Perderà il suo vantaggio alla luce dell'alba» disse speranzosamente Colomba, dopo varie ore infruttuose durante le quali cercarono di tenersi al passo con il drow. Ora si trovavano in una valle rocciosa, a forma di conca, e il percorso scelto dal drow portava su per il fianco estremo, in un'arrampicata piuttosto ripida e pendente. Cruccio, che non riusciva quasi più a stare in piedi tant'era spossato, le stava al fianco e si affrettò a replicare a quell'osservazione. «Vantaggio?» gemette il nano. Guardò la parete della montagna e scrollò il capo. «Cadremo tutti morti di stanchezza prima di trovare questo drow infernale!» «Se non riusciamo a stargli dietro, allora meglio cadere e morire!» ringhiò Roddy. «Questa volta non dobbiamo lasciarci sfuggire quel drow puzzolente!» Non fu Cruccio, tuttavia, ma un altro membro del gruppo a cadere inaspettatamente. Una grande roccia piombò all'improvviso sul gruppo, colpendo la spalla di Darda con forza sufficiente a sollevare l'uomo da terra e a catapultarlo fuori, nel vuoto. Non ebbe neppure l'opportunità di gridare prima di cadere con il volto nella polvere. Colomba afferrò Cruccio e rotolò fino a un vicino macigno tondeggiante, mentre Roddy e Gabriel facevano altrettanto. Un'altra pietra, e poi molte ancora, rimbombarono fracassandosi nella zona. «Una frana?» chiese il nano, stordito, quando si fu ripreso dal trauma. Colomba, troppo in ansia per Darda, non si preoccupò di rispondere, benché conoscesse la vera natura della loro situazione e capisse che non si trattava di una frana. «È vivo» gridò Gabriel da sotto la sua roccia protettiva, a circa tre metri e mezzo di distanza da quella di Colomba. Un'altra pietra schizzò giù, mancando di poco la testa di Darda. «Maledizione» mormorò Colomba. Sbirciò al di sopra del bordo del suo masso tondeggiante, scrutando sia il fianco della montagna che i dirupi inferiori alla sua base. «Ora, Kellindil» sussurrò tra sé. «Facci guadagnare un po' di tempo.» Come in risposta, giunse la lontana vibrazione dell'arco nuovamente incordato dell'elfo, seguito da un ruggito furioso. Colomba e Gabriel si guardarono l'un l'altro e sorrisero gravemente. «Giganti di pietra!» gridò Roddy, riconoscendo il timbro stridulo e profondo della voce ruggente. Colomba si accovacciò e attese, con la schiena contro il masso e lo zaino
aperto in mano. Nell'area non rimbalzarono altre pietre; piuttosto fragori tonanti ebbero inizio davanti a loro, nei pressi della postazione di Kellindil. Colomba corse fuori verso Darda, e rovesciò l'uomo con cautela. «Mi ha fatto male» sussurrò Darda, sforzandosi di sorridere in un evidente tentativo di sminuire la cosa. «Non parlare» rispose Colomba, frugando nel suo zaino alla ricerca di una boccetta di pozione. Ma la guardaboschi esaurì il tempo a disposizione. I giganti, vedendola esposta, ripresero il loro attacco nell'area inferiore. «Torna alla pietra!» gridò Gabriel. Colomba passò il braccio sotto alla spalla dell'uomo caduto per sostenere Darda mentre questi, inciampando a ogni movimento, strisciava verso la roccia. Colomba si curvò improvvisamente su Darda, appiattendolo giù a terra mentre un'altra roccia schizzava proprio sopra di loro mentre abbassavano la testa. Cruccio iniziò a mordersi le unghie, poi si rese conto di quello che stava facendo e smise, con un'espressione disgustata sul volto. «Sbrigatevi!» gridò nuovamente ai suoi amici. Un'altra roccia rimbalzò lì accanto, troppo vicina. Poco prima che Colomba e Darda raggiungessero Cruccio, una pietra atterrò proprio sul lato posteriore del macigno. Cruccio, con la schiena appiattita contro la barriera di roccia, schizzò fuori in un folle volo, allontanandosi dai compagni che avanzavano strisciando. Colomba stese Darda dietro al macigno, poi si volse, pensando di dover uscire di nuovo a riprendere il nano caduto. Ma Cruccio era già tornato su, imprecando e brontolando, e più preoccupato per un nuovo buco nel suo bell'abito, che per qualsiasi danno fisico. «Torna qui!» gli urlò Colomba. «Accidenti, maledizione a questi stupidi giganti!» fu tutto ciò che le rispose Cruccio, tornando al masso pestando deliberatamente i piedi, i pugni stretti stizzosamente ai fianchi. Il fuoco di fila di rocce continuò, sia davanti ai compagni bloccati, sia nella zona. Poi Kellindil si mosse di slancio, tuffandosi fino alla roccia accanto a Roddy e al suo cane. «Giganti di pietra» spiegò l'elfo. «Almeno una dozzina.» Indicò una cresta a metà strada lungo il fianco della montagna. «Il drow ci ha sistemati» ringhiò Roddy, sbattendo il pugno sulla pietra. Kellindil non ne era convinto, ma tenne a freno la lingua.
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Sulla cima dell'erta rocciosa Drizzt osservava lo svolgersi della battaglia. Aveva attraversato un'ora prima i sentieri più in basso, prima dell'alba. Al buio, i giganti in attesa non avevano rappresentato alcun ostacolo per il drow, che si era mosso con andatura furtiva; Drizzt era scivolato attraverso le loro linee senza molti problemi. Ora, socchiudendo gli occhi di fronte alla luce del mattino, Drizzt si chiedeva come si sarebbe dovuto comportare. Quando aveva oltrepassato i giganti, non aveva avuto dubbi che i suoi inseguitori avrebbero avuto problemi. Si chiese se avrebbe dovuto cercare di metterli in guardia in qualche modo. O forse si sarebbe dovuto tenere alla larga dalla regione, conducendo gli umani e l'elfo fuori dalla portata dei giganti? Ancora una volta Drizzt non comprendeva quale fosse il suo ruolo nell'ambito delle consuetudini di questo mondo strano e brutale. «Che combattano tra loro» disse con asprezza, come se cercasse di convincere se stesso. Il drow ripensò deliberatamente al suo incontro della notte precedente. L'elfo aveva attaccato nonostante lui avesse proclamato di non voler combattere. Ricordò inoltre la freccia che aveva conficcato nel fianco di Guenhwyvar. «Che si uccidano tra loro» disse Drizzt, e si volse per andare. Si guardò dietro alle spalle per un'ultima volta e notò che alcuni dei giganti stavano per muoversi. Un gruppo rimase in cresta, a riversare sul fondo della valle una serie apparentemente interminabile di rocce, mentre altri due gruppi, uno a sinistra e uno a destra, si erano distribuiti a ventaglio, spostandosi per accerchiare la banda intrappolata. Allora Drizzt capì che i suoi inseguitori non sarebbero sfuggiti. Una volta che i giganti li avessero accerchiati, essi non avrebbero trovato alcuna protezione contro il tiro incrociato. In quel momento qualcosa si mosse all'interno del drow, le stesse emozioni che l'avevano spinto all'azione contro la banda degli gnoll. Non poteva saperlo per certo ma, come nel caso degli gnoll e dei loro piani d'aggressione alla fattoria, Drizzt sospettava che i giganti fossero i malvagi in questo combattimento. Altri pensieri addolcirono la smorfia decisa di Drizzt, ricordi dei bambini umani che giocavano alla fattoria, del ragazzino dai capelli biondo rossicci che finiva nel trogolo d'acqua. Drizzt lasciò cadere a terra la statuina d'onice. «Vieni, Guenhwyvar» or-
dinò. «C'è bisogno di noi.» *
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«Stiamo per essere circondati!» ringhiò Roddy McGristle, vedendo le bande di giganti che si muovevano lungo i sentieri più elevati. Colomba, Gabriel e Kellindil si guardarono tutt'intorno e l'un l'altro, alla ricerca di qualche via d'uscita. Avevano combattuto contro i giganti molte volte, nei loro viaggi, insieme e con altri gruppi. Sempre, prima d'ora, si erano lanciati nella mischia con ardore, lieti di liberare il mondo da alcuni mostri importuni. Questa volta, tuttavia, tutti loro sospettavano che il risultato potesse essere diverso. I giganti di pietra avevano fama d'essere i migliori lanciatori di rocce in tutti i reami, e un unico colpo poteva cogliere il più robusto degli uomini. Inoltre, Darda, pur essendo vivo, non poteva fuggire, e nessuno degli altri aveva intenzione d'abbandonarlo. «Fuggite, montanaro» disse Kellindil a Roddy. «Voi non ci dovete nulla.» Roddy guardò l'arciere con aria incredula. «Io non fuggo", elfo» ringhiò. «Da nulla!» Kellindil annuì e infilò una freccia nel suo arco. «Se raggiungono il fianco, siamo spacciati» spiegò Colomba a Cruccio. «T'imploro di perdonarmi, caro Cruccio. Non avrei dovuto portarti via da casa tua.» Cruccio allontanò il pensiero con una scrollata di spalle. Infilò la mano sotto alle proprie vesti ed estrasse un piccolo ma robusto martello d'argento. Colomba sorrise al vederlo, pensando quanto il martello risultasse strano nelle mani morbide del nano, più abituate a tenere la penna. *
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Sulla cresta superiore, Drizzt e Guenhwyvar seguivano i movimenti della banda di giganti di pietra che giravano intorno al fianco sinistro del gruppo intrappolato. Drizzt era deciso ad aiutare gli umani, ma non era certo di quanto sarebbe stato efficace contro nientemeno che quattro giganti armati. Tuttavia immaginava che con Guenhwyvar al suo fianco avrebbe potuto trovare qualche modo per gettare il disordine nel gruppo di giganti, il tempo sufficiente a permettere al gruppo intrappolato di fuggire. La vallata si estendeva con maggiore ampiezza nel senso della longitu-
dine e Drizzt si rese conto che la banda di giganti che girava nell'altra direzione, verso il fianco destro del gruppo intrappolato, probabilmente non sarebbe stata in grado di raggiungerli, pur lanciando rocce. «Vieni, amica mia» sussurrò Drizzt alla pantera; estrasse la sua scimitarra e abbassò lo sguardo su un pendio pietroso, spezzato e frastagliato. Un attimo più tardi, tuttavia, non appena notò il terreno a breve distanza, più avanti rispetto alla banda dei giganti, Drizzt afferrò Guenhwyvar per la collottola e ricondusse la pantera sulla cresta superiore. Qui il terreno era frastagliato e spaccato ma innegabilmente solido. Appena al di sopra, tuttavia, grandi massi tondeggianti e centinaia di rocce sciolte e più piccole erano sparse intorno al ripido pendio. Drizzt non era molto esperto riguardo alla dinamica del suolo lungo il fianco di una montagna, ma perfino lui era in grado di capire che il paesaggio ripido e instabile era sul punto di franare. Il drow e il felino corsero avanti, passando ancora una volta al di sopra della banda di giganti. I giganti erano quasi in posizione; alcuni di loro avevano perfino iniziato a lanciare rocce contro il gruppo intrappolato. Drizzt strisciò giù fino a un grosso masso tondeggiante e vi si appoggiò contro, spingendolo. Le tattiche di Guenhwyvar non andavano tanto per il sottile. La pantera si lanciò alla carica giù per il fianco della montagna, dislocando pietre a ogni balzo, saltando sulla parte posteriore delle rocce e guizzando via quando esse iniziavano a rotolare. Massi rotolavano e rimbalzavano. Rocce più piccole schizzavano tra questi, aumentando lo slancio. Drizzt, impegnato nell'azione, corse giù nel mezzo della frana crescente, lanciando pietre, spingendone altre, fece tutto il possibile per aumentare la corsa. Ben presto al drow iniziò a mancare il terreno sotto ai piedi, che si dislocava e l'intera sezione del fianco della montagna parve venire giù. Guenhwyvar avanzava rapidamente in testa alla frana, un faro di condanna per i giganti colti di sorpresa. La pantera balzò sopra di loro, ma i mostri si accorsero del grande felino soltanto momentaneamente, mentre tonnellate di rocce saltellanti si fracassavano contro di loro. Drizzt capì di essere nei guai; non era neppure lontanamente agile e svelto quanto Guenhwyvar e non poteva sperare di correre più veloce della frana, o di togliersi dalla sua traiettoria. Balzò verso l'alto dalla sommità di una piccola cresta e così facendo fece appello a un incantesimo di levitazione. Drizzt lottò faticosamente per mantenere la propria concentrazione nello
sforzo. L'incantesimo l'aveva abbandonato già due volte in precedenza, e se non riusciva a mantenerlo ora, se fosse ricaduto nella corsa precipitosa delle pietre, sapeva che sarebbe sicuramente morto. Nonostante la sua determinazione, Drizzt sentiva il peso del proprio corpo crescere mentre lui si trovava a mezz'aria. Agitò inutilmente le braccia, cercò quell'energia magica all'interno del proprio essere - ma stava precipitando. *
*
*
«Gli unici in grado di colpirci sono su in alto, davanti a noi!» esclamò Roddy mentre un masso lanciato rimbalzava corto sul fianco destro. «Quelli a destra sono troppo lontani per raggiungerci, e quelli a sinistra...» Colomba seguì la logica di Roddy e il suo sguardo verso la crescente nuvola di polvere sul loro fianco sinistro. Lei fissò intensamente e a lungo le rocce che precipitavano, e quella che sembrava la sagoma di un elfo dal mantello scuro. Quando riportò lo sguardo su Gabriel, lei capì che anche lui aveva visto il drow. «Ora dobbiamo andare» gridò Colomba all'elfo. Kellindil annuì e schizzò lateralmente rispetto al masso che gli fungeva da barriera, con la corda dell'arco tesa. «Presto», aggiunse Gabriel, «prima che il gruppo a destra torni a portata di tiro.» L'arco di Kellindil vibrò una volta e poi di nuovo. Più avanti un gigante ululò di dolore. «Resta qui con Darda» ordinò Colomba a Cruccio, poi lei, Gabriel e Roddy, che teneva il cane con il guinzaglio corto, sfrecciarono fuori dal loro rifugio e si lanciarono alla carica contro il gigante, diritto davanti a sé. Rotolarono da una roccia all'altra, tagliando la propria avanzata, zigzagando confusamente per impedire ai giganti d'anticipare i loro movimenti. Per tutto il tempo le frecce di Kellindil si levarono in alto sopra di loro, tenendo i giganti più occupati a schivarle che a lanciare massi. Profondi dirupi caratterizzavano i pendii inferiori del fianco della montagna, dirupi che offrivano copertura ma che al tempo stesso isolavano tra loro i tre combattenti. Nessuno di loro poteva vedere i giganti, ma conoscevano la direzione generale e sceglievano i propri diversi percorsi come meglio potevano. Girando intorno a un'aspra curva tra due pareti di pietra, Roddy piombò
su uno dei giganti. Il montanaro liberò immediatamente il suo cane, e il feroce animale si lanciò indomito alla carica e balzò in alto, raggiungendo a malapena la vita del colosso alto sei metri. Sorpreso dall'improvviso attacco, il gigante lasciò cadere la grande mazza e colse il cane a mezz'aria. Avrebbe schiacciato in un istante il fastidioso bastardo se Sanguinaria, la terribile ascia di Roddy, non fosse affondata nella sua coscia con tutta la forza a cui poteva fare appello il corpulento montanaro. Il gigante barcollò e il cane di Roddy si contorse liberandosi, arrampicandosi e graffiando e poi mordendo il volto e il collo dell'enorme mostro. In basso, Roddy lo colpiva con l'ascia, abbattendolo come avrebbe fatto con un albero. *
*
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In parte fluttuando e in parte danzando sulle pietre rimbalzanti, Drizzt cavalcò la frana di rocce. Vide un gigante emergere dal tumulto, inciampando, ma Guenhwyvar gli fu subito incontro. Ferito e stordito, il gigante si accasciò. Drizzt non ebbe il tempo per assaporare il successo del suo piano disperato. L'incantesimo di levitazione continuava a essere valido in parte, lo manteneva abbastanza leggero, consentendogli di avanzare tenendosi parzialmente sospeso. Ma anche al di sopra della frana principale, rocce balzarono pesantemente addosso al drow e la polvere lo soffocò facendogli bruciare gli occhi sensibili. Quasi accecato, Drizzt riuscì a individuare una cresta che poteva fornire un certo riparo, ma l'unico modo per raggiungerla sarebbe stato abbandonare il proprio incantesimo di levitazione e inerpicarsi fin lassù. Drizzt fu colpito da un'altra roccia, che lo fece quasi roteare a mezz'aria. Lui intuì che l'incantesimo stava svanendo e capì che gli restava quell'unica opportunità. Riacquistò il proprio equilibrio, uscì dall'incantesimo e toccò terra correndo. Rotolò e s'incespicò, giungendo in alto in una corsa disperata. Una roccia rimbalzò contro il ginocchio della gamba che aveva già ferita, gettandolo a terra lungo disteso. Drizzt stava rotolando di nuovo, cercando come meglio poteva di raggiungere la salvezza rappresentata dalla cresta. Il suo slancio ebbe termine quand'era di gran lunga troppo lontano. Tornò in piedi, con l'intenzione di lanciarsi in avanti per coprire la distanza finale, ma la gamba di Drizzt non aveva forza e si piegò immediatamente,
lasciandolo arenato ed esposto. Lui sentì l'impatto sulla schiena e pensò che la sua vita fosse giunta al termine. Un attimo più tardi, stordito, il drow si rese conto soltanto che in qualche modo era atterrato dietro alla cresta e che era sepolto da qualcosa, ma che non si trattava di pietre o di terra. Guenhwyvar rimase sul suo padrone, riparando Drizzt finché l'ultima delle rocce saltellanti non fu rotolata giù, fino a fermarsi. *
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Dove i dirupi lasciarono posto a un terreno più aperto, Colomba e Gabriel tornarono a scorgersi l'un l'altra. Notarono qualcosa che si muoveva direttamente davanti a loro, dietro a un precario muro di massi accumulati, alto circa tre metri e mezzo e lungo circa quindici metri. Un gigante comparve in cima al muro, ruggendo di rabbia e reggendo una roccia sopra alla testa, pronto a lanciarla. Il mostro aveva varie frecce che gli uscivano dal collo e dal petto, ma non sembrava preoccuparsene. Tuttavia il colpo successivo di Kellindil colse di sicuro l'attenzione del gigante, perché l'elfo infilò una freccia direttamente nel gomito del mostro. L'enorme essere ululò e si afferrò il braccio, apparentemente dimentico della roccia, che gli cadde prontamente sulla testa con un tonfo. Il gigante restò immobile, stordito, e altre due frecce gli colpirono il volto. Esso vacillò per un attimo, poi si fracassò nella polvere. Colomba e Gabriel si scambiarono rapidi sorrisi, entrambi riconoscenti all'abile arciere elfo, poi continuarono la propria carica, lanciandosi verso le estremità opposte del muro. Colomba colse un gigante di sorpresa, proprio dietro l'angolo. Il mostro cercò di prendere la propria clava, ma la spada di Colomba lo colpì nel mentre e gli mozzò di netto la mano. I giganti di pietra erano nemici terribili, con pugni che potevano affondare direttamente nella terra una persona, e con una pelle dura come la roccia che conferiva loro il nome. Ma ferito, sorpreso e senza il suo randello, il gigante in questione non fu all'altezza dell'abile guardaboschi. Lei balzò in cima al muro, portandosi sullo stesso piano del volto del gigante, e mise metodicamente all'opera la sua spada. In due affondi, il gigante fu accecato. Il terzo, un rapido colpo laterale, praticò un sorriso di taglio nella gola del mostro. Poi Colomba si mise sulla difensiva, schivando e parando gli ultimi colpi disperati del colosso mo-
rente. Gabriel non fu così fortunato come la sua compagna. L'altro titano non era vicino all'angolo del muro di rocce sovrapposte. Benché Gabriel avesse sorpreso il mostro lanciandosi alla carica non appena ebbe svoltato l'angolo, il gigante ebbe il tempo sufficiente - e una pietra in mano - per reagire. Gabriel alzò la spada per deviare il sasso volante, e tale gesto gli salvò la vita. La pietra fece cadere di mano la spada al guerriero e inoltre giunse con forza tale da gettare Gabriel a terra. Gabriel era un veterano stagionato, e il motivo principale per cui era ancora vivo dopo così tante battaglie, consisteva nel sapere quando ritirarsi. Costrinse se stesso a superare quel momento di dolore ottundente e trovò il proprio equilibrio, poi si tuffò di nuovo dietro al muro. Il gigante, con in mano la pesante mazza, lo seguì direttamente. Una freccia accolse il mostro mentre usciva all'aperto, ma lui gettò da parte il dardo fastidioso come se non fosse altro che qualcosa di importuno e si lanciò sul guerriero. Gabriel rimase ben presto senza spazio. Cercò di ritornare sui sentieri frastagliati, ma il gigante lo bloccò, intrappolandolo in un canyon ristretto, delimitato da enormi massi. Gabriel estrasse il pugnale e maledì la sua cattiva sorte. Ormai Colomba si era liberata dal suo colosso e corse fuori da dietro il muro di pietra, individuando immediatamente Gabriel e il gigante. Anche Gabriel vide la guardaboschi, ma si limitò a scrollare le spalle, quasi in segno di scusa, sapendo che Colomba non poteva in nessun modo raggiungerlo in tempo per salvarlo. Il gigante ringhiante avanzò di un passo, con l'intenzione di infliggere all'uomo il colpo di grazia, ma poi si udì un forte schianto e il mostro si bloccò all'improvviso. I suoi occhi guizzarono intorno in modo strano per un paio d'attimi, poi cadde ai piedi di Gabriel, decisamente morto. Gabriel sollevò lo sguardo di lato, verso la cima del muro di massi e scoppiò quasi a ridere forte. Il martello di Cruccio non era una grossa arma - la sua testa era larga soltanto cinque centimetri - ma era un oggetto solido, e con un unico colpo il nano l'aveva pestato direttamente sullo spesso cranio del gigante di pietra. Colomba si avvicinò, inguainando la spada, altrettanto stupefatta. Quando Cruccio vide le loro espressioni incredule non fu divertito. «Sono un nano, dopo tutto!» sbottò rivolto a loro, incrociando le braccia
indignato. Il suo gesto portò il martello sudicio di cervello a contatto con la tunica di Cruccio, e il nano perse la sua spavalderia in un attacco di panico. Si leccò le dita tozze e si pulì la macchia rivoltante, poi guardò il sangue sulla sua mano con orrore ancora maggiore. Colomba e Gabriel risero forte. «Sappiate che pagherete per questa tunica!» inveì Cruccio, rivolto a Colomba. «Oh, lo farete, potete esserne sicura!» Un grido proveniente di lato li distolse dal sollievo momentaneo. I quattro giganti restanti, avendo visto un gruppo dei loro compagni sepolto da una valanga e un altro gruppo abbattuto in modo così efficiente, avevano perduto interesse per l'agguato e si erano messi in fuga. Roddy McGristle con il suo cane ululante si lanciò direttamente dietro di loro, all'inseguimento. *
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Un unico gigante era sfuggito sia al rombo della valanga che ai terribili artigli della pantera. Ora correva selvaggiamente lungo il fianco della montagna, cercando di raggiungere la cresta superiore. Drizzt diresse Guenhwyvar in un rapido inseguimento, poi trovò un bastone per sorreggersi e riuscì ad alzarsi in piedi. Ammaccato, impolverato e ancora con le ferite inflittegli nella battaglia dallo spirito infausto - e ora una decina di più dalla sua corsa sulla montagna - Drizzt ripartì. Tuttavia un movimento in fondo al pendio colse la sua attenzione e lo trattenne. Si volse e trovò l'elfo davanti a sé, più esplicitamente Drizzt notò la freccia accoccata nell'arco teso dell'elfo. Drizzt si guardò intorno ma non c'era nessun luogo in cui potesse nascondersi. Forse avrebbe potuto creare un globo di tenebre in qualche punto, tra sé e l'elfo, ma si rese conto che l'abile arciere, avendo preso bene la mira su di lui, non l'avrebbe mancato neppure con quell'ostacolo. Drizzt raddrizzò le spalle e si volse lentamente, affrontando l'elfo in modo diretto e con orgoglio. Kellindil allentò di nuovo la corda dell'arco ed estrasse la freccia dalla cocca. Anche Kellindil aveva visto la forma ammantata di scuro che fluttuava al di sopra della frana di rocce. «Gli altri sono tornati da Darda», disse Colomba, raggiungendo l'elfo in quel momento, «e McGristle sta inseguendo...» Kellindil non rispose, né si volse verso la guardaboschi. Annuì laconi-
camente, guidando lo sguardo di Colomba su per il pendio, verso la forma scura che stava muovendosi di nuovo su per il fianco della montagna. «Lascialo andare» propose Colomba. «Non è mai stato nostro nemico.» «Mi preoccupa lasciare libero un drow» rispose Kellindil. «Anch'io provo il tuo stesso timore», rispose Colomba, «ma temo maggiormente le conseguenze di un incontro tra il drow e McGristle.» «Torneremo a Maldobar e ci libereremo di quell'uomo», propose Kellindil, «poi tu e gli altri potrete ritornare a Sundabar per il tuo impegno. Io ho dei parenti tra queste montagne; insieme a loro veglierò sul nostro amico dalla pelle nera, in modo da essere sicuro che non causi alcun male.» «D'accordo» disse Colomba. Lei si allontanò e Kellindil, non avendo bisogno di convincersi ulteriormente, si volse per seguirla. L'elfo si fermò a guardarsi indietro per l'ultima volta. Cercò nel suo zaino ed estrasse una borraccia, poi la posò per terra, bene in vista. Quasi per un ripensamento, Kellindil estrasse un secondo oggetto, questo dalla cintola, e lo lasciò cadere accanto alla borraccia. Soddisfatto, si volse e seguì la guardaboschi. *
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Quando Roddy McGristle ritornò dal suo inseguimento selvaggio e infruttuoso, Colomba e gli altri avevano raccolto tutte le loro cose e stavano preparandosi per partire. «Riprendiamo l'inseguimento del drow» proclamò Roddy. «Ha guadagnato un po' di tempo, ma lo raggiungeremo rapidamente.» «Il drow se n'è andato» disse Colomba con asprezza. «Non lo perseguiteremo oltre.» Il volto di Roddy si deformò in un'espressione d'incredulità e lui parve sul punto d'esplodere. «Darda ha un gran bisogno di riposare!» ringhiò Colomba, senza cedere di un punto. «Le frecce di Kellindil sono quasi esaurite e lo stesso vale per le nostre provviste.» «Non dimenticherò così facilmente i Thistledown!» dichiarò Roddy. «Neppure il drow li ha dimenticati» s'intromise Kellindil. «I Thistledown sono già stati vendicati», aggiunse Colomba, «e voi sapete che è vero, McGristle. Non è stato il drow a ucciderli, ma siamo assolutamente certi che sia stato lui a eliminare i loro assassini!»
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Roddy ringhiò e si volse da un'altra parte. Era un cacciatore di taglie d'esperienza e, perciò, un investigatore competente. Naturalmente aveva capito la verità molto tempo prima, ma Roddy non poteva ignorare la cicatrice sul suo volto o la perdita dell'orecchio - o l'ingente taglia sulla testa del drow. Colomba anticipò e comprese la sua silenziosa riflessione. «Gli abitanti di Maldobar non saranno così ansiosi di vedersi riconsegnare il drow, quando apprenderanno la verità riguardo al massacro», disse lei, «e non sarà così disposta a pagare, immagino.» Roddy le lanciò un'occhiata furiosa, ma ancora una volta non poté contrastare la sua logica. Quando il gruppo di Colomba si rimise in viaggio per tornare a Maldobar, McGristle andò con loro. *
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Più tardi, quello stesso giorno, Drizzt tornò giù lungo il fianco della montagna, alla ricerca di qualcosa che gli rivelasse l'ubicazione dei suoi inseguitori. Trovò la borraccia di Kellindil e vi si avvicinò con cautela, poi si rilassò quando notò l'altro oggetto che si trovava accanto a essa, il piccolo pugnale che lui aveva preso allo spiritello, lo stesso che aveva usato per recidere la corda dell'arco dell'elfo, in occasione del loro primo incontro. Il liquido all'interno della borraccia aveva un dolce profumo, e il drow, la cui gola era ancora inaridita a causa della polvere delle rocce, fu lieto di berne una sorsata. Brividi elettrizzanti si diffusero nel corpo di Drizzt, rinfrescandolo e rivitalizzandolo. Aveva a malapena mangiato per vari giorni, ma la forza che aveva abbandonato la sua forma ormai fragile, ritornò rapidamente in un'esplosione improvvisa. La sua gamba lacerata s'intorpidì per un attimo, e Drizzt sentì che anche quella si rafforzava. Poi Drizzt fu sommerso da un'ondata di vertigini, si trascinò all'ombra di un masso vicino e sedette a riposare. Quando si svegliò, il cielo era buio e pieno di stelle e lui si sentiva molto meglio. Anche la sua gamba, così massacrata nella cavalcata al di sopra della frana, avrebbe nuovamente sostenuto il suo peso. Drizzt sapeva chi gli aveva lasciato la borraccia e il pugnale, e comprendere la natura della pozione guaritrice non fece che accrescere la sua confusione e la sua indecisione.
Parte 3 Montolio Per tutte le svariate genti del mondo, nulla è così irraggiungibile e tuttavia così profondamente personale come il concetto di divinità. La mia esperienza nel luogo in cui sono nato mi ha mostrato ben poco di tali esseri soprannaturali, se non gli influssi della spregevole divinità drow, la Regina Ragno, Lloth. Dopo aver assistito alla carneficina a opera di Lloth, non sono più stato molto pronto ad abbracciare il concetto di qualunque divinità, di nessun essere che potesse dettare in tal modo codici di comportamento e precetti per un 'intera società. La moralità non è forse una forza interiore? E in tal caso i principi debbono essere dettati o sentiti? Così segue la questione delle divinità stesse: queste rinomate entità, in verità, sono esseri esistenti o sono manifestazioni di convinzioni comuni? Gli elfi scuri sono malvagi perché seguono i precetti della Regina Ragno, o Lloth è il culmine della naturale condotta malvagia dei drow? Allo stesso modo, quando i barbari delle Lande di Ghiaccio si lanciano alla carica attraverso la tundra per portare guerra, gridando il nome di Tempus, Signore delle Battaglie, stanno seguendo i precetti di Tempus, o Tempus è puramente il nome idealizzato che conferiscono alle loro azioni? A questo non posso rispondere, e sono giunto a rendermi conto che non può farlo nessun altro, indipendentemente dalla intensità con cui essi - in particolare i sacerdoti di alcune divinità - possano sostenere il contrario. Alla fine, con dolore supremo di un predicatore, la scelta di un dio è qualcosa di personale, e il fatto di schierarsi con un essere è in accordo con il codice interiore dei principi di una persona. Un missionario potrebbe forzare e ingannare possibili discepoli, ma nessun essere razionale può seguire veramente gli ordini determinati di qualsiasi figura divina, se quegli ordini sono contrari ai suoi principi. Né io, Drizzt Do'Urden, né mio padre, Zaknafein, saremmo mai potuti divenire discepoli della Regina Ragno. E Wulfgar delle Lande di Ghiaccio, un amico che mi fu vicino in anni successivi, benché possa ancora levare il suo grido al dio delle battaglie, non soddisfa quest'entità chiamata Tempus, tranne in quelle occasioni in cui utilizza il suo possente martello d'arme. Le divinità dei reami sono molteplici e varie - o sono i molti nomi e le svariate entità attribuiti allo stesso essere.
Io non so - e non m'importa - a quale. Drizzt Do'Urden 11 Inverno Drizzt si fece strada attraverso le montagne rocciose e incombenti per molti giorni, ponendo quanta più strada poté tra sé e il villaggio della fattoria - e gli orribili ricordi. La decisione di fuggire non era stata consapevole; se Drizzt fosse stato meno abbattuto, avrebbe potuto scorgere la carità nei doni dell'elfo, la pozione guaritrice e il pugnale che gli aveva restituito, come una possibile guida per un rapporto futuro. Ma i ricordi di Maldobar e il rimorso che piegava le spalle del drow non si potevano allontanare così facilmente. Il villaggio di agricoltori era divenuto soltanto una breve sosta intermedia nella ricerca di una casa, ricerca che lui riteneva sempre più futile. Drizzt si chiedeva addirittura come sarebbe potuto scendere al prossimo villaggio che avrebbe incontrato. La potenziale tragedia si era per lui delineata fin troppo chiaramente. Non si fermò a considerare che la presenza dello spirito infausto sarebbe potuta essere una circostanza insolita e che, forse, in assenza di simili spiriti maligni il suo incontro si sarebbe potuto risolvere diversamente. In questo momento della sua vita in cui regnava una grande depressione, gli interi pensieri di Drizzt si concentravano intorno a un'unica parola che echeggiava interminabilmente nella sua testa e che gli trafiggeva il cuore: «drizzit». In seguito il tragitto di Drizzt lo condusse a un ampio passo sulle montagne e a una gola ripida e rocciosa colmata dalla nebbiolina di qualche fiume che rumoreggiava in basso. L'aria si era fatta più fredda, Drizzt non capiva perché, e il vapore umido diede al drow una bella sensazione. Si fece strada giù per la rupe rocciosa, un tratto che richiese la maggior parte del giorno, e trovò la riva del fiume che scorreva impetuoso. Drizzt aveva visto dei fiumi nel Buio Profondo, ma nessuno di paragonabile a questo. Il Rauvin saltava sulle pietre, sollevando spruzzi in alto, nell'aria. Brulicava intorno a grandi massi, schizzava sbiancandosi su distese di pietre più piccole, e piombava improvvisamente in cascate alte cinque volte il drow. Drizzt fu incantato dallo spettacolo e dal suono, ma vide anche le possibilità offerte da questo luogo come rifugio. Molti canali
bordavano il fiume, pozze tranquille dove l'acqua era stata deviata dalla spinta della corrente principale. Qui, inoltre, si raccoglieva il pesce, a riposare dopo le lotte contro la forte corrente. Lo spettacolo provocò un brontolio nel ventre di Drizzt. Il drow s'inginocchiò presso una pozza, le mani pronte a colpire. Impiegò molti tentativi per valutare la rifrazione della luce del sole attraverso l'acqua, ma fu sufficientemente veloce e furbo da imparare il segreto del gioco. La mano di Drizzt affondò improvvisamente e uscì stringendo con fermezza una trota lunga più di trenta centimetri. Drizzt gettò il pesce lontano dall'acqua, lasciandolo saltare intorno, sulle pietre, e ben presto ne ebbe preso un altro. Avrebbe mangiato bene, quella sera, per la prima volta da quando era fuggito dalla regione del villaggio di agricoltori, e aveva abbastanza acqua chiara e fresca per soddisfare ogni sete. Questo luogo era chiamato Passo dell'Orco Morto da coloro che conoscevano la regione. Il titolo era in qualche modo improprio, tuttavia, perché anche se centinaia di orchi erano veramente morti in questa vallata rocciosa nel corso di numerosi combattimenti contro schiere di uomini, altre migliaia di quei mostri continuavano a vivere nella zona, incombendo nelle molte grotte di montagna, pronti a gettarsi sugli intrusi. Poche persone venivano qui, e nessuna saggiamente. A Drizzt, ignaro, la gola parve un ritiro perfetto, con la facile riserva di cibo e d'acqua e la gradevole nebbiolina che contrastava il gelo sorprendente dell'aria. Il drow trascorse i suoi giorni rannicchiato nelle ombre protettrici delle molte rocce e delle piccole grotte, preferendo pescare e raccogliere cibo nelle buie ore notturne. Non considerava questo stile di vita notturno come un ritorno alla vita di un tempo. Quand'era uscito per la prima volta dal Buio Profondo, aveva deciso di vivere tra gli abitanti della superficie come un abitante della superficie, e così aveva fatto molti sforzi per acclimatarsi al sole del giorno. Ora Drizzt non nutriva nessuna illusione del genere. Sceglieva le notti per le sue attività perché erano meno dolorose per i suoi occhi sensibili e perché sapeva che meno la sua scimitarra veniva esposta al sole, più a lungo avrebbe conservato il suo filo di magia. Tuttavia Drizzt non impiegò molto tempo a capire perché gli abitanti della superficie sembrassero preferire la luce del giorno. Sotto ai caldi raggi del sole l'aria era ancora tollerabile, anche se un po' gelida. Durante la notte Drizzt scoprì che spesso doveva mettersi al riparo dalla brezza mor-
dente che sferzava le ripide sporgenze della gola piena di nebbiolina. L'inverno stava avvicinandosi rapidamente alle regioni del nord, ma il drow, cresciuto nel mondo privo di stagioni del Buio Profondo, non poteva saperlo. In una di queste notti, con il vento che spingeva una raffica brutale da nord, che intirizziva le mani del drow, Drizzt constatò qualcosa d'importante. Anche con Guenhwyvar accanto a sé, accoccolato sotto a una bassa sporgenza, il drow provava un forte dolore crescente alle estremità. L'alba era a molte ore di distanza e Drizzt si chiese seriamente se sarebbe sopravvissuto per vedere sorgere il sole. «Troppo freddo, Guenhwyvar» balbettò tra i denti che battevano. «Troppo freddo.» Flesse i propri muscoli e li mosse vigorosamente, cercando di ripristinare la circolazione perduta. Poi si preparò mentalmente, pensando a momenti passati in cui aveva caldo, cercando di sconfiggere la disperazione e d'ingannare il proprio corpo per fargli dimenticare il freddo. Un unico pensiero si stagliò chiaramente, un ricordo delle cucine dell'Accademia di Menzoberranzan. Nel Buio Profondo in cui faceva sempre caldo, Drizzt non aveva mai preso in considerazione il fuoco come una fonte di calore. Sempre, prima d'ora, Drizzt aveva visto il fuoco semplicemente come un metodo di cottura, un mezzo per produrre la luce, e un'arma offensiva. Ora il fuoco assunse importanza ancora maggiore per il drow. Mentre i venti continuavano a soffiare, sempre più freddi, Drizzt si rese conto, con suo orrore, che soltanto il calore di un fuoco avrebbe potuto mantenerlo in vita. Si guardò intorno alla ricerca di sterpi. Nel Buio Profondo aveva bruciato gambi di funghi, ma sulla superficie non crescevano funghi abbastanza grandi. C'erano piante, tuttavia, alberi ancora più massicci dei funghi del Buio Profondo. «Portami... ramo» balbettò Drizzt a Guenhwyvar. La pantera lo guardò con curiosità. «Fuoco» implorò Drizzt. Cercò d'alzarsi ma sentì che le gambe e i piedi erano divenuti insensibili. Poi la pantera comprese. Guenhwyvar ringhiò una volta e schizzò fuori nella notte. Il grande felino rischiò d'inciampare su una pila di rami e rametti che erano stati sistemati - da chi, Guenhwyvar non sapeva - appena fuori dall'ingresso. Drizzt, in quel momento troppo preoccupato per la sua sopravvivenza, non si chiese neppure come mai il felino fosse ritornato così rapidamente.
Per molti minuti Drizzt cercò senza successo di accendere un fuoco, sbattendo il suo pugnale contro una pietra. Infine comprese che il vento impediva alle scintille d'attizzare il fuoco, perciò spostò il tutto in un'area più riparata. Ora le gambe gli dolevano e la saliva gli si ghiacciava lungo le labbra e il mento. Poi una scintilla incendiò la pila asciutta e Drizzt sventolò con cautela la fiammella, riparandola con le mani a coppa per impedire al vento di penetrare con troppa forza. *
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«Le fiamme si sono levate» disse un elfo al suo compagno. Kellindil annuì gravemente, non era ancora sicuro se lui e i suoi compagni elfi avessero fatto bene ad aiutare il drow. Kellindil era ripartito direttamente da Maldobar, mentre Colomba e gli altri si erano diretti a Sundabar, e aveva incontrato una piccola famiglia di elfi, suoi parenti, che viveva tre le montagne vicino al Passo dell'Orco Morto. Con il loro aiuto esperto, l'elfo aveva avuto ben pochi problemi a individuare il drow, e lui e i suoi parenti l'avevano osservato insieme, con curiosità, nel corso delle settimane successive. L'innocuo stile di vita di Drizzt non aveva dissipato tutti i dubbi dell'elfo diffidente, tuttavia. Drizzt era un drow, dopo tutto, scuro di pelle per l'aspetto e scuro di cuore per fama. Tuttavia il sospiro di Kellindil fu di sollievo quando anche lui notò il lieve bagliore lontano. Il drow non sarebbe congelato; Kellindil credeva che quest'elfo scuro non meritasse un simile destino. *
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Dopo aver mangiato, più tardi nel corso di quella notte, Drizzt si appoggiò a Guenhwyvar - e la pantera accettò di buon grado di condividere il suo calore corporeo - e alzò lo sguardo alle stelle, che brillavano luminose nell'aria fredda. «Ti ricordi Menzoberranzan?» chiese alla pantera. «Ti ricordi quando ci siamo conosciuti per la prima volta?» Se Guenhwyvar lo comprendeva, non diede comunque alcun segno. Con uno sbadiglio la pantera rotolò contro Drizzt e posò il capo tra due zampe tese. Drizzt sorrise e strofinò rudemente l'orecchio della pantera. Aveva in-
contrato Guenhwyvar a Sorcere, la scuola di magia dell'Accademia, quando la pantera apparteneva a Masoj Hun'ett, l'unico drow che Drizzt avesse mai ucciso. Drizzt cercò volutamente di non pensare a quell'incidente, ora; con il fuoco che bruciava vivacemente, riscaldandogli le dita dei piedi, questa non era una notte adatta a ricordi sgradevoli. Nonostante i molti orrori che aveva affrontato nella sua città natale, lì Drizzt aveva anche avuto esperienze piacevoli e aveva imparato molte lezioni utili. Perfino Masoj gli aveva insegnato cose che ora l'aiutavano più di quanto avesse mai creduto. Riportando lo sguardo sulle fiamme scoppiettanti, Drizzt rifletté sul fatto che se non fosse stato per i suoi compiti d'apprendista, che comprendevano l'accensione delle candele, non avrebbe neppure saputo come fare un fuoco. Era innegabile che quella conoscenza lo aveva salvato da una morte per congelamento. Il sorriso di Drizzt ebbe vita breve mentre i suoi pensieri continuavano lungo quei binari. Non molti mesi dopo quella lezione particolarmente utile, Drizzt era stato costretto a uccidere Masoj. Drizzt si appoggiò nuovamente con la schiena e sospirò. Senza pericolo e senza che sembrasse imminente la comparsa di compagnia in grado di generare confusione, questo sembrava forse il periodo più semplice della sua vita, ma mai, prima d'allora, le complessità della sua esistenza l'avevano sopraffatto così completamente. Venne distolto dalla sua tranquillità un attimo dopo, quando un grande uccello, un gufo con penne a ciuffo, simili a un corno sulla testa rotonda, svolazzò improvvisamente sopra di lui. Drizzt rise per la propria incapacità di rilassarsi; nel secondo che aveva impiegato a capire che l'uccello non rappresentava una minaccia, era già balzato in piedi e aveva estratto la scimitarra e il pugnale. Anche Guenhwyvar aveva reagito all'uccello sorprendente, ma in modo di gran lunga diverso. Con Drizzt improvvisamente in piedi e lontano, la pantera rotolò più vicina al calore del fuoco, si stiracchiò languidamente, e sbadigliò di nuovo. *
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Il gufo si lasciò trasportare silenziosamente da brezze invisibili, sollevandosi con la nebbiolina della valle del fiume, dalla parte opposta rispetto alla parete da cui Drizzt era sceso in origine. L'uccello continuò a volare nella notte fino a un fitto boschetto sul fianco di una montagna, posandosi su un ponte di corda e di legno costruito tra i rami più elevati di tre alberi.
Dopo alcuni momenti impiegati a lisciarsi le penne, l'uccello suonò un campanellino d'argento attaccato al ponte proprio per simili occasioni. Un attimo più tardi l'uccello suonò nuovamente la campana. «Sto arrivando» giunse una voce da sotto. «Pazienza, Grido. Lascia che un cieco si muova all'andatura più adatta a lui!» Come se comprendesse e si divertisse a quel gioco, il gufo suonò la campanella per la terza volta. Un vecchio comparve sul ponte, aveva enormi baffi grigi arruffati e gli occhi bianchi. Si fece strada a balzi e a salti verso l'uccello. Un tempo Montolio era un guardaboschi di grande fama, che ora viveva i suoi ultimi anni - per propria scelta - segregato sulle montagne e circondato dalle creature che amava di più (e non considerava gli umani, gli elfi, i nani o nessun'altra razza intelligente tra queste). Nonostante la sua notevole età, Montolio era ancora alto e diritto, benché gli anni avessero chiesto il loro tributo all'eremita. «Pazienza, Grido» mormorava ripetutamente. Chiunque l'avesse osservato mentre si faceva strada con scioltezza attraverso il ponte piuttosto infido, non avrebbe mai immaginato che fosse cieco, e coloro che conoscevano Montolio certamente non l'avrebbero descritto come tale. Piuttosto, avrebbero potuto dire che i suoi occhi non funzionavano, ma si sarebbero affrettati ad aggiungere che non gli servivano. Con le sue capacità, la sua conoscenza e con i molti amici animali, il vecchio guardaboschi riusciva a «vedere» il mondo che lo circondava meglio della maggior parte di coloro che avevano una vista normale. Montolio tese il braccio, e il grande gufo vi saltò prontamente sopra, trovando con cautela il proprio equilibrio sulla pesante manica di pelle dell'uomo. «Hai visto il drow?» chiese Montolio. Il gufo rispose con un whoo, poi si lanciò in una complicata serie di grida e whoo ciarlieri, Montolio prese nota di tutto, soppesando ogni particolare. Con l'aiuto dei suoi amici, in particolare di questo gufo piuttosto loquace, il guardaboschi aveva controllato il drow per vari giorni, curioso di sapere per quale motivo un elfo scuro fosse giunto nella vallata. Inizialmente Montolio aveva ipotizzato che il drow fosse in qualche modo collegato a Graul, il capo orco della regione, ma con il passare del tempo il guardaboschi iniziò a sospettare che le cose stessero diversamente. «Un buon segno» notò Montolio quando il gufo gli ebbe garantito che il drow non aveva ancora stabilito un contatto con le tribù degli orchi. Graul era sufficientemente pericoloso senza avere alleati potenti come gli elfi
scuri! Tuttavia il guardaboschi non riusciva a capire perché gli orchi non avessero scovato il drow. Forse non l'avevano visto; il drow aveva cercato in tutti i modi di non farsi notare, evitando d'accendere fuochi (prima di questa stessa notte) e uscendo soltanto dopo il tramonto. Con più probabilità, Montolio rifletté mentre pensava ulteriormente alla faccenda, gli orchi avevano visto il drow ma non avevano ancora trovato il coraggio di stabilire un contatto. Comunque stessero le cose, l'intero episodio si stava rivelando un gradito diversivo per il guardaboschi, mentre si occupava delle faccende quotidiane necessarie per sistemare la sua abitazione per il prossimo inverno. Non temeva la comparsa del drow - Montolio non aveva paura di nulla - e se il drow e gli orchi non erano alleati, allora poteva valere la pena di osservare il prossimo conflitto. «Con il mio permesso» disse il guardaboschi per placare il gufo che si lamentava. «Vai a cacciare dei topi!» Il gufo si lanciò a capofitto, girò una volta sotto e poi tornò sopra il ponte e si diresse fuori nella notte. «Fai solo attenzione a non mangiare nessuno dei topi che ho incaricato di sorvegliare il drow!» Montolio gridò dietro all'uccello, e poi ridacchiò, si scrollò i riccioli grigi incolti e si volse nuovamente verso la scala alla fine del ponte. Giurò, mentre scendeva, che avrebbe ben presto preso la propria spada e scoperto che interessi potesse avere questo particolare elfo scuro nella regione. Il vecchio guardaboschi faceva spesso simili giuramenti. *
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Le raffiche di preavviso dell'autunno lasciarono ben presto il posto all'attacco furioso dell'inverno. Drizzt non aveva impiegato molto a capire il significato delle nuvole grigie, ma quando questa volta la tempesta esplose in forma di neve invece che di pioggia, il drow rimase realmente stupefatto. Aveva visto il biancore lungo le cime delle montagne, ma non era mai salito abbastanza in alto da poterlo esaminare, e aveva semplicemente dato per scontato che si trattasse di una colorazione delle rocce. Ora Drizzt osservava i fiocchi bianchi che scendevano sulla valle; scomparivano nel tumulto del fiume ma si raccoglievano sulle pietre. Quando la neve iniziò a salire e le nuvole scesero ancora più in basso nel cielo, Drizzt giunse a una terribile conclusione. Convocò rapidamente
Guenhwyvar al proprio fianco. «Dobbiamo trovare un riparo migliore» spiegò alla pantera stanca. Guenhwyvar era ritornata alla sua dimora astrale il giorno precedente. «E dobbiamo creare una riserva di legna per i nostri fuochi.» Varie grotte punteggiavano la parete della valle su questo lato del fiume. Drizzt ne trovò una, non solo profonda e buia, ma riparata dal vento che soffiava da un'elevata cresta di pietra. Entrò, fermandosi subito all'interno per consentire ai suoi occhi d'adattarsi al bagliore lucente della neve. Il fondo della grotta era irregolare e il suo soffitto poco elevato. Grandi massi erano sparsi a caso intorno, e lateralmente, vicino a uno di questi, Drizzt notò un punto più buio, che indicava la presenza di una seconda cavità. Lui posò i rametti di cui aveva piene le braccia e vi si diresse, poi si fermò improvvisamente, sia lui che Guenhwyvar intuivano un'altra presenza. Drizzt estrasse la scimitarra, scivolò verso il masso e vi guardò intorno. Con l'infravista non gli risultò difficile individuare l'altro inquilino della grotta, una massa tondeggiante e brillante di calore, di dimensioni considerevolmente più grande del drow. Drizzt capì immediatamente che cosa fosse, benché non avesse un nome da attribuirgli. Aveva visto questa creatura da lontano varie volte, l'aveva osservata mentre abilmente - e con stupefacente rapidità, considerata la sua mole - afferrava il pesce dal fiume. Indipendentemente da come potesse chiamarsi, Drizzt non aveva nessun desiderio di combattere con essa per la grotta; c'erano altri rifugi nella zona, più facili da ottenere. Il grande orso bruno, tuttavia, sembrava avere idee diverse. La creatura si mosse all'improvviso e si alzò sulle zampe posteriori, il suo ringhio simile a una valanga echeggiò in tutta la grotta e gli artigli e i denti dell'animale erano fin troppo evidenti. Guenhwyvar, l'entità astrale della pantera, conosceva l'orso come antico rivale, era un essere che i felini saggi facevano grande attenzione a evitare. Tuttavia la coraggiosa pantera balzò direttamente davanti a Drizzt, disposta a sfidare la creatura più grande in modo che il suo padrone potesse salvarsi. «No, Guenhwyvar!» ordinò Drizzt, e afferrò il felino, riportandosi in prima linea. L'orso, un altro dei molti amici di Montolio, non effettuò alcuna mossa per attaccare, ma mantenne con ferocia la propria posizione, non gradendo l'interruzione del sonno atteso da lungo tempo.
In questo Drizzt intuì qualcosa che non riuscì a spiegare - non si trattava di un'amicizia con l'orso, ma di una comprensione misteriosa del punto di vista della creatura. Si giudicò sciocco mentre riponeva nel fodero la propria lama, eppure non poteva negare il senso di solidarietà che stava provando, gli sembrava quasi di vedere la situazione attraverso gli occhi dell'orso. Con cautela, Drizzt si avvicinò, attirando completamente l'orso nel proprio sguardo. L'orso parve quasi sorpreso, ma gradualmente abbassò gli artigli, e la sua smorfia ringhiosa divenne un'espressione che Drizzt interpretò come curiosità. Drizzt mise lentamente la mano nella propria bisaccia ed estrasse un pesce che aveva tenuto da parte per cena. Lo gettò all'orso che lo annusò una volta, poi lo inghiottì con un unico morso. Seguì un altro lungo momento in cui si fissarono, ma la tensione era sparita. L'orso ruttò una volta, tornò ad accoccolarsi a terra e ben presto riprese a russare soddisfatto. Drizzt guardò Guenhwyvar e scrollò le spalle impotente, non avendo la minima idea di come avesse potuto comunicare in modo così intenso con l'animale. A quanto pareva anche la pantera aveva compreso le connotazioni dello scambio, perché la pelliccia di Guenhwyvar non aveva più il pelo irto. Per il resto del tempo che Drizzt trascorse in quella grotta, ebbe cura, ogni qualvolta avanzava del cibo, di lanciarne un boccone accanto all'orso sonnecchiante. Talvolta, soprattutto se Drizzt aveva lanciato un pesce, l'orso l'annusava e si svegliava appena il tempo sufficiente a ingoiare il pasto. Più spesso, tuttavia, l'animale ignorava completamente il cibo, russando ritmicamente e sognando miele, bacche, femmine d'orso, e tutto ciò che sognano di solito gli orsi in letargo. *
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«È andato ad abitare con Uragano?» disse Montolio, sbalordito, quando apprese da Grido che il drow e l'irascibile orso stavano condividendo la grotta composta da due cavità. Montolio rischiò quasi di cadere - e l'avrebbe fatto se non fosse stato così vicino al tronco d'albero che lo sosteneva. Il vecchio guardaboschi vi si appoggiò stupefatto, grattandosi l'ispida barba e tirandosi i baffi. Conosceva l'orso da vari anni, e perfino lui non era sicuro che sarebbe stato disposto a condividere un alloggio con l'animale. Uraga-
no era una creatura facilmente irritabile, come avevano appreso nel corso degli anni molti degli stupidi orchi di Graul. «Immagino che Uragano sia troppo stanco per discutere» razionalizzò Montolio, ma sapeva che in quella faccenda c'era in ballo qualcosa di più. Se un orco o un folletto fossero entrati in quella grotta, Uragano li avrebbe appiattiti, uccidendoli senza pensarci due volte. Eppure il drow e la sua pantera erano lì dentro, giorno dopo giorno, che accendevano il fuoco nella spelonca esterna, mentre Uragano russava soddisfatto in quella più interna. In veste di guardaboschi, e conoscendo molti altri guardaboschi, Montolio aveva visto e sentito cose più strane. Finora, tuttavia, aveva sempre considerato quell'innata capacità di mettersi mentalmente in contatto con gli animali selvatici, dominio esclusivo di elfi della superficie, spiritelli, mezzelfi, gnomi e umani che erano stati addestrati secondo le consuetudini dei boschi. «Come potrebbe un elfo scuro sapere di un orso?» chiese Montolio a voce alta, continuando a grattarsi la barba. Il guardaboschi prese in considerazione due possibilità: o c'era qualcosa che lui non sapeva riguardo alla razza drow, oppure questo particolare elfo scuro non era simile ai suoi simili. Dato il comportamento già strano dell'elfo, Montolio diede per scontato che fosse corretta la seconda ipotesi, benché desiderasse enormemente scoprirlo per certo. Tuttavia la sua investigazione avrebbe dovuto attendere. La prima neve era già scesa, e il guardaboschi sapeva che la seconda nevicata, la terza, e molte altre, non erano molto lontane. Sulle montagne intorno al Passo dell'Orco Morto, una volta iniziate le nevicate si muoveva ben poco. *
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Guenhwyvar si rivelò la salvezza di Drizzt nel corso delle settimane future. Nelle occasioni in cui la pantera si trovava nel Piano Materiale, Guenhwyvar usciva di continuo nelle fredde nevi profonde, cacciando e, fatto ancora più importante, portando legna per il fuoco vitale. Tuttavia le cose non erano facili per l'esule drow. Ogni giorno Drizzt doveva scendere al fiume e rompere il ghiaccio che si formava sulle pozze più lente, quelle pozze in cui Drizzt pescava, lungo la riva. Non doveva spingersi lontano, ma la neve era ben presto profonda e infida, e spesso scivolava giù lungo il pendio, alle spalle di Drizzt, e lo affondava in un abbraccio raggelante. Varie volte Drizzt tornò strisciando alla sua grotta,
avendo perso ogni sensibilità alle gambe e alle mani. Il drow imparò rapidamente a far ardere il fuoco prima di uscire, perché al suo ritorno non aveva la forza di reggere il pugnale e la pietra per scoccare una scintilla. Anche quando il ventre di Drizzt era pieno e lui era circondato dal bagliore del fuoco e dalla pelliccia di Guenhwyvar, aveva freddo ed era assolutamente infelice. Per la prima volta in molte settimane, il drow mise in discussione la decisione di lasciare il Buio Profondo, e man mano che la sua disperazione cresceva, metteva in discussione anche la decisione di lasciare Menzoberranzan. «Sicuramente sono uno sventurato senza casa» si lamentava spesso nei non più rari momenti di autocommiserazione. «E sicuramente morirò qui, solo e al freddo.» Drizzt non aveva la minima idea di quel che stava accadendo nello strano mondo che lo circondava. Si chiedeva se la terra avrebbe mai riacquistato il calore che lui aveva trovato quando era giunto per la prima volta nel mondo della superficie. Temeva che si trattasse di qualche terribile maledizione, forse diretta contro di lui dai suoi potenti nemici di Menzoberranzan. Questa confusione portò Drizzt a un fastidioso dilemma: doveva rimanere nella grotta e cercare d'aspettare che terminasse la bufera (perché in quale altro modo poteva chiamare la stagione invernale)? O doveva andarsene dalla valle del fiume e cercare un clima più caldo? Sarebbe partito e il viaggio attraverso le montagne l'avrebbe sicuramente ucciso, ma notò che un altro avvenimento coincideva con la rigidità del tempo. Le ore del giorno erano diminuite e le ore della notte erano aumentate. Il sole sarebbe scomparso completamente, sommergendo la superficie in un'oscurità eterna e in un freddo senza fine? Drizzt dubitava di quella possibilità, perciò, usando della sabbia e una borraccia vuota che aveva nello zaino, iniziò a misurare il tempo della luce e dell'oscurità. Le sue speranze crollavano ogni volta che i suoi calcoli mostravano un tramonto più precoce, e man mano che la stagione s'inoltrava, la disperazione di Drizzt aumentava. Anche la sua salute si fece più precaria. Era veramente un essere disgraziato, magro e tremante, quando notò per la prima volta il volgersi della stagione, il solstizio d'inverno. Quasi non credeva alle sue scoperte - le sue misure non erano così precise - ma dopo i pochi giorni successivi, Drizzt non poté negare quello che gli rivelava la sabbia che scendeva. I giorni stavano allungandosi. La speranza di Drizzt ritornò. Aveva sospettato una variazione stagiona-
le da quando i primi venti avevano iniziato a soffiare mesi prima. Aveva osservato l'orso pescare più diligentemente man mano che il tempo peggiorava e ora capì che la creatura aveva anticipato il freddo e si era fatta una riserva di grasso per poterlo consumare dormendo. Quella convinzione e le sue scoperte riguardo alla luce del giorno convinsero Drizzt che questa gelida desolazione non sarebbe durata. Il solstizio non portò nessun sollievo immediato, tuttavia. I venti soffiavano più forte e la neve continuava ad accumularsi. Ma Drizzt riacquistò la propria sicurezza, e ci sarebbe voluto più di un inverno per sconfiggere l'indomito drow. Poi accadde, e sembrò quasi che succedesse all'improvviso. Le nevi diminuirono, il fiume si mise a scorrere più libero dal ghiaccio, e il vento iniziò a portare aria più calda. Drizzt sentì un'ondata di vitalità e di speranza, uno sfogo dal dolore e dal rimorso, che non riusciva a spiegare. Drizzt non poteva rendersi conto di quali impulsi lo avvinghiassero, non aveva alcun nome né concetto per definirli, ma era preso altrettanto completamente dalla primavera, quanto tutte le creature naturali del mondo della superficie. Una mattina, mentre Drizzt stava terminando il suo pasto e si stava preparando ad andare a letto, il suo compagno di stanza che dormiva da lungo tempo uscì con passo pesante dalla cavità laterale, evidentemente più magro ma ancora decisamente formidabile. Drizzt osservò con cautela l'orso che camminava lentamente, chiedendosi se dovesse convocare Guenhwyvar o sfoderare la scimitarra. Tuttavia l'orso non gli diede retta. Si trascinò proprio accanto a lui, si fermò ad annusare e poi a leccare la pietra liscia che Drizzt usava come piatto, e poi uscì lentamente alla calda luce del sole, fermandosi all'uscita della grotta per sbadigliare e stiracchiarsi in modo talmente profondo, che Drizzt comprese che il suo sonnellino invernale era giunto al termine. Il drow capì anche che fra non molto la grotta si sarebbe affollata, con il pericoloso animale sveglio e nei paraggi, e decise che forse, dato che il clima si stava facendo più mite, poteva non valere la pena di combattere per la grotta. Drizzt se ne andò prima che l'orso fosse di ritorno ma, con delizia dell'animale, gli lasciò un ultimo pasto a base di pesce. Ben presto Drizzt andò a sistemarsi in una grotta meno profonda e meno protetta, a poche centinaia di metri più in là, lungo la parete di roccia che delimitava la valle. 12
Conoscere i propri nemici L'inverno se ne andò rapidamente com'era venuto. Le nevi diminuirono quotidianamente e il vento del sud portò un'aria non più gelida. Ben presto Drizzt assunse comode abitudini; il più grosso problema che doveva affrontare era il bagliore del sole, che di giorno si rifletteva sul terreno ancora ricoperto di neve. Il drow si era adattato piuttosto bene al sole nei suoi primi mesi sulla superficie, si era mosso - aveva anche combattuto - alla luce del giorno. Ora, tuttavia, con la neve bianca che gli proiettava il bagliore sul volto, Drizzt poteva difficilmente avventurarsi all'esterno. Usciva soltanto di notte e lasciava il giorno all'orso e ad altre simili creature. Drizzt non era troppo preoccupato; la neve sarebbe ben presto scomparsa, credeva, e lui sarebbe potuto ritornare alla facile vita che aveva contrassegnato gli ultimi giorni prima dell'inverno. Ben nutrito, ben riposato e sotto alla morbida luce di una seducente luna scintillante, una notte Drizzt guardò dall'altra parte del fiume, verso la lontana parete della vallata. «Che cosa c'è lassù?» sussurrò il drow tra sé. Nonostante il fiume scorresse in piena per il disgelo primaverile, in precedenza, nel corso di quella notte, Drizzt aveva trovato un possibile modo per attraversarlo, una serie di grandi rocce non lontane tra loro, che sbucavano fuori dall'acqua tumultuosa. La notte era ancora giovane; la luna non era ancora salita a metà strada nel cielo. Pieno di voglia di girovagare e dello spirito così tipico della stagione, Drizzt decise di dare un'occhiata. Saltellò giù fino alla riva del fiume e balzò con agilità e leggerezza sulle pietre. A un uomo o a un orco - o alla maggior parte delle altre razze del mondo - attraversare poggiando su pietre umide, irregolarmente distanziate e spesso arrotondate, sarebbe potuto sembrare troppo difficile e pericoloso perfino da tentare, ma l'agile drow vi riuscì piuttosto facilmente. Arrivò sull'altra riva di corsa, balzando sopra o passando intorno alle molte rocce e fenditure, senza il minimo pensiero o la più piccola preoccupazione. Come sarebbe stato diverso il suo comportamento se avesse saputo che ora si trovava nella parte della valle appartenente a Graul, il grande capo orco! *
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Una pattuglia di orchi individuò il drow saltellante prima che fosse a metà strada su per la parete della valle. Gli orchi avevano visto il drow in precedenza, in occasioni in cui Drizzt stava pescando al fiume. Timoroso nei confronti degli elfi scuri, Graul aveva ordinato ai suoi scagnozzi di tenersi a distanza, pensando che le nevi avrebbero spinto l'intruso ad andarsene. Ma l'inverno era trascorso e questo drow solitario restava, e ora aveva attraversato il fiume. Graul si torse nervosamente le mani dalle dita grassocce quando gli vennero comunicate le novità. Il grande orco fu un po' confortato dalla convinzione che questo drow fosse solo e non facesse parte di una banda più consistente. Poteva essere un esploratore o un rinnegato; Graul non poteva saperlo per certo, e le implicazioni derivanti da entrambe le possibilità non risultarono gradite al capitano orco. Se il drow era un esploratore, sarebbero potuti giungere altri elfi scuri, e se invece era un rinnegato, avrebbe potuto considerare gli orchi come possibili alleati. Graul era stato capitano per molti anni, la sua carica era durata per un periodo insolitamente lungo, per i caotici orchi. Il grande orco era sopravvissuto evitando di prendere rischi, e Graul non aveva intenzione di prenderne alcuno ora. Un elfo scuro poteva usurpargli il comando della tribù, una posizione che Graul desiderava conservare ardentemente. Questo, Graul non l'avrebbe permesso. Due pattuglie d'orchi uscirono furtivamente da buchi scuri dopo poco, con espliciti ordini d'uccidere il drow. *
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Un vento gelido soffiava al di sopra della parete della vallata, e lassù la neve era più profonda, ma a Drizzt non importava. Grandi chiazze di sempreverdi si stendevano davanti a lui, oscurando le valli montuose e invitandolo all'esplorazione, dopo un inverno trascorso al chiuso della grotta. Aveva percorso quasi un miglio da quando era partito, quando iniziò a rendersi conto d'essere seguito. Non vide mai effettivamente nulla, tranne forse un'ombra fuggevole con la coda dell'occhio, ma gli intangibili sensi del guerriero rivelarono a Drizzt la verità al di là di ogni dubbio. Si mosse su per il fianco di una ripida pendenza, si arrampicò al di sopra di un boschetto di alberi folti e si lanciò a tutta velocità verso la cresta elevata. Quando l'ebbe raggiunta scivolò dietro a un masso tondeggiante e si volse a guardare. Sette forme scure, sei umanoidi e un grosso canide, uscirono dagli alberi
dietro di lui, seguendo il suo percorso attentamente e metodicamente. Da questa distanza, Drizzt non poteva individuare a quale razza appartenessero, benché sospettasse che fossero umani. Si guardò tutt'intorno, alla ricerca della via migliore per battere la ritirata, o della migliore postazione da cui difendersi. Drizzt notò a malapena di avere in una mano la scimitarra e il pugnale nell'altra. Quando si rese completamente conto di aver estratto le armi, e che il gruppo che l'inseguiva stava avvicinandosi in modo preoccupante, si fermò a riflettere. Poteva affrontare gli inseguitori direttamente lì e colpirli mentre scalavano gli ultimi pochi metri difficoltosi dell'erta sdrucciolevole. «No» borbottò Drizzt, allontanando quella possibilità non appena gli venne in mente. Poteva attaccare, e probabilmente vincere, ma poi quale fardello avrebbe ricavato dallo scontro? Drizzt non voleva combattere, né desiderava assolutamente alcun contatto. Non era in grado di farsi gravare da altro rimorso. Udì le voci dei suoi inseguitori, toni gutturali che ricordavano la lingua dei folletti. «Orchi» disse piano il drow, associando la lingua alle dimensioni umane delle creature. Tuttavia il fatto di averli riconosciuti non cambiò in alcun modo gli atteggiamenti del drow. Drizzt non aveva alcun affetto per gli orchi - aveva visto abbastanza di quegli esseri puzzolenti a Menzoberranzan - ma non aveva neppure alcuna ragione, alcuna giustificazione per affrontare questa banda. Si volse e scelse un percorso, allontanandosi velocemente nella notte. L'inseguimento fu accanito; gli orchi erano troppo vicini perché Drizzt riuscisse a distanziarli. Vide sorgere un problema, perché se gli orchi erano ostili, e dalle loro grida e dai ringhi Drizzt immaginò che le cose stessero proprio così, allora il drow aveva perduto l'opportunità di combattere contro di loro su un terreno favorevole. La luna era tramontata da tempo e il cielo aveva assunto la tipica tonalità azzurra che precede l'alba: Gli orchi non preferivano la luce del sole, ma con il bagliore della neve tutt'intorno a sé, Drizzt sarebbe stato quasi impotente. Caparbiamente, il drow ignorò l'opzione della battaglia e cercò di sottrarsi agli inseguitori, volgendosi e tornando verso la valle. A questo punto Drizzt commise il suo secondo errore, perché un'altra banda d'orchi, questa accompagnata sia da un lupo che da una forma molto più grande, un gigante di pietra, lo stava attendendo.
Il sentiero era piuttosto uniforme, un lato piombava ripidamente giù per un pendio roccioso alla sinistra del drow e l'altro si ergeva alla sua destra in modo altrettanto ripido e su un terreno altrettanto roccioso. Drizzt sapeva che i suoi inseguitori avrebbero avuto pochi problemi a seguirlo lungo un percorso così prevedibile, ma a quel punto decise di affidarsi unicamente alla velocità, cercando di tornare alla grotta, da cui gli sarebbe stato più facile difendersi, prima che sorgesse il sole accecante. Un ringhio lo mise in guardia un attimo prima che un enorme lupo dal pelo ispido, chiamato worg, balzasse intorno ai massi tondeggianti appena al di sopra di lui, piombandogli davanti. Il worg gli si gettò contro, cercando di mordergli il capo con le fauci spalancate. Drizzt si buttò giù, sotto l'assalto, ed estrasse in un lampo la scimitarra, colpendo di taglio per allargare ulteriormente l'enorme mandibola della bestia. Il worg rotolò giù pesantemente dietro al drow che si volgeva, mentre la sua lingua lambiva selvaggiamente il suo stesso sangue che sgorgava a fiotti. Drizzt lo colpì di nuovo con forza, abbattendolo, ma i sei orchi giunsero di corsa, brandendo lance e mazze. Drizzt si volse per fuggire, poi si abbassò di nuovo, appena in tempo, mentre un masso lanciato da sopra, volava su di lui, saltellando lungo il pendio roccioso. Senza pensarci una seconda volta, Drizzt fece calare sulla propria testa un globo di tenebre. I quattro orchi che guidavano gli altri si tuffarono all'interno del globo senza rendersene conto. I loro due compagni restanti si ritrassero, stringendo le lance e guardandosi nervosamente intorno. Non riuscivano a vedere nulla all'interno dell'oscurità magica, ma dai tonfi impetuosi di lame e clave, e dalle grida selvagge, sembrava che lì dentro stesse combattendo un intero esercito. Poi dall'oscurità provenne un altro suono, un ringhiante verso felino. I due orchi indietreggiarono, guardandosi alle spalle e desiderando che il gigante di pietra si sbrigasse a scendere, raggiungendoli. Uno dei loro compagni, e poi un altro, uscì con violenza dall'oscurità, urlando di terrore. Il primo passò rapidamente accanto al suo amico stupefatto, ma il secondo non ce la fece. Guenhwyvar afferrò lo sfortunato orco e lo gettò a terra, straziandolo fino a ucciderlo. La pantera quasi non rallentò affatto, balzando fuori e abbattendo uno dei due mostri in attesa, mentre questo incespicava freneticamente per allontanarsi. Gli orchi restanti fuori dal globo inciamparono e scivolarono sulle rocce, e Guenhwyvar, avendo portato a termine la secon-
da uccisione, si lanciò all'inseguimento. Drizzt uscì illeso dall'altra parte del globo, con la scimitarra e il pugnale gocciolanti di sangue d'orco. Il gigante, enorme e dalle spalle quadrate, con gambe grandi come tronchi d'albero, uscì per affrontarlo, e Drizzt non esitò minimamente. Balzò su una grossa pietra, poi saltò via, con la scimitarra spianata. L'agilità e la velocità del drow sorpresero il gigante di pietra; il colosso non riuscì neppure ad alzare la mazza o la mano libera per bloccarlo. Ma questa volta la fortuna non fu dalla parte dell'elfo scuro. La sua scimitarra, incantata con la magia del Buio Profondo, era stata colpita da un'eccessiva quantità di luce nel periodo trascorso in superficie. L'arma incontrò la pelle simile a pietra del gigante alto quattro metri e mezzo, si piegò quasi a metà e si spezzò all'elsa. Drizzt balzò all'indietro, tradito per la prima volta dalla sua fedele arma. Il gigante ululò e sollevò la mazza, ghignando malignamente finché una forma nera non si staccò dalla sua vittima prescelta e non si precipitò con violenza contro il petto del colosso, graffiando con quattro perfide zampe artigliate. Guenhwyvar aveva salvato Drizzt nuovamente, ma il gigante non aveva certo finito la sua opera. Colpì con la mazza e agitò le braccia con violenza finché la pantera non si liberò, fuggendo. Guenhwyvar cercò di volgersi e di rituffarsi nella mischia, ma atterrò in posizione più bassa, sul pendio, e il suo slancio spezzò il manto nevoso. Il felino scivolò e capitombolò, e infine si liberò dalla valanga, illeso, ma molto più in basso, lungo il fianco della montagna, rispetto a Drizzt e al luogo del combattimento. Il gigante questa volta non sorrideva affatto. Il sangue gli filtrava da una dozzina di graffi profondi che gli attraversavano il petto e il volto. Dietro di lui, lungo il sentiero, l'altro gruppo d'orchi, guidato da un secondo worg ululante, stava avvicinandosi rapidamente. Come qualsiasi saggio guerriero che si trovi in svantaggio numerico, Drizzt si volse e fuggì. Se i due orchi che erano scappati da Guenhwyvar fossero scesi direttamente giù, lungo il pendio, avrebbero potuto bloccare il drow. Tuttavia gli orchi non sono mai stati famosi per il loro coraggio, e quelli che avevano già raggiunto la sommità dell'erta e stavano ancora correndo, non si volsero neppure a guardare. Drizzt corse rapidamente lungo il sentiero, alla ricerca di un modo per poter scendere e raggiungere la pantera. Tuttavia nessun punto del pendio
sembrava promettente, perché si sarebbe dovuto fare strada lentamente e con cautela, ed era indubbio che il gigante gli avrebbe lanciato contro una pioggia di massi. Salire parve altrettanto inutile con il mostro che gli stava alle calcagna, perciò il drow si limitò a correre avanti, lungo il sentiero, nella speranza che questo proseguisse per un po'. Poi il sole sbucò dall'orizzonte orientale, un ulteriore problema - improvvisamente uno dei tanti - per il drow disperato. Comprendendo che la fortuna gli aveva voltato le spalle, in qualche modo Drizzt capì, ancora prima di effettuare l'ultima svolta del sentiero, di essere giunto alla fine della strada. Una frana di rocce aveva da tempo bloccato il sentiero. Drizzt si fermò di scatto e si tolse lo zaino, sapendo che il tempo era contro di lui. La banda di orchi guidata dal lupo raggiunse il gigante, ed entrambi trassero fiducia dalla reciproca presenza. Si misero insieme alla carica, con il terribile worg che schizzava avanti per guidarli. Svoltato di netto l'angolo, la creatura acquistò velocità, inciampando e cercando di fermarsi, ma improvvisamente si ingarbugliò in una corda annodata. I worg non erano creature stupide, ma questo non comprese completamente le terribili conseguenze che lo aspettavano, mentre il drow spingeva giù dalla sporgenza una pietra tondeggiante. Il worg non comprese, finché la corda non scattò, tendendosi, e la pietra tirò giù la bestia, facendola volare dietro di sé. La semplice trappola era funzionata alla perfezione, ma era l'unico vantaggio che Drizzt poteva sperare di ottenere. Dietro di sé il sentiero era completamente bloccato e, sui lati, i pendii si ergevano e piombavano troppo bruscamente perché lui potesse fuggire. Quando gli orchi e il gigante girarono l'angolo, con cautela dopo aver osservato il loro worg intraprendere un volo piuttosto accidentato, Drizzt si pose ad affrontarli soltanto con un pugnale in mano. Il drow cercò di parlamentare, usando la lingua dei folletti, ma gli orchi non vollero neppure ascoltarlo. Prima che Drizzt riuscisse a pronunciare una sola parola, uno di loro aveva giù tirato la propria lancia. L'arma giunse confusamente verso il drow accecato dal sole, ma si trattava di un'asta ricurva, buttata da una goffa creatura. Drizzt la schivò facilmente e poi restituì il colpo con il pugnale. L'orco era in grado di vedere meglio del drow, ma non era altrettanto rapido. Il pugnale lo colse in pieno, proprio in gola. Gorgogliando, l'orco cadde, e il suo compagno più vicino afferrò il pugnale e lo strappò via, non per salvare l'altro orco, ma
semplicemente per impadronirsi di un'arma così bella. Drizzt raccolse la rozza lancia e si piantò fermamente in attesa mentre il gigante di pietra avanzava a lunghi passi. All'improvviso un gufo scese davanti al gigante ed emise un grido, che non distrasse il mostro, pieno di determinazione. Un attimo dopo, tuttavia, il gigante piombò in avanti, spostato dal peso di una freccia che gli si era improvvisamente conficcata nella schiena. Drizzt vide la tremante asta dalle penne nere mentre il gigante furioso si volgeva di scatto. Il drow non fece domande sull'aiuto inaspettato. Conficcò la lancia con tutta la sua forza proprio nel posteriore del mostro. Il gigante si sarebbe girato per reagire, ma il gufo piombò di nuovo in scena, gridò e, puntualmente, giunse fischiando un'altra freccia, che si piantò nel petto del gigante. Un altro grido, e un'altra freccia trovò il bersaglio. Gli orchi stupefatti si guardarono tutt'intorno per scorgere l'assalitore invisibile, ma la brillante lucentezza del sole mattutino sulla neve offriva scarso aiuto a quelle bestie notturne. Il gigante, colpito al cuore, si limitò a restare lì in piedi, a fissare nel vuoto, senza neppure capire che la sua vita era giunta al termine. Il drow affondò di nuovo la lancia da dietro, ma quell'azione servì soltanto a far cadere il mostro lontano da Drizzt. Gli orchi si guardarono reciprocamente e poi tutt'intorno, chiedendosi da che parte potessero fuggire. Lo strano gufo piombò di nuovo, questa volta al di sopra di un orco, e lanciò un quarto grido. L'orco, comprendendo quali sarebbero state le conseguenze, agitò le braccia e strillò, poi cadde silenziosamente con una freccia che gli usciva dal volto. I quattro restanti orchi ruppero le fila e fuggirono, uno su per il pendio, un altro, correndo nuovamente da dove era venuto, e due lanciandosi verso Drizzt. Un'abile rotazione della lancia guidò l'estremità smussata contro il volto di un orco, poi Drizzt completò pienamente il movimento vorticante per deviare la punta della lancia dell'altro orco verso terra. L'orco lasciò cadere l'arma, rendendosi conto di non poterla rimettere in linea in tempo per fermare il drow. *
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L'orco che si arrampicava su per il pendio comprese di essere condanna-
to quando il gufo di segnalazione si avvicinò. La creatura terrorizzata si tuffò dietro a una roccia all'udire il grido, ma se fosse stata più furba si sarebbe resa conto del proprio errore. Dall'angolazione dei tiri che avevano abbattuto il gigante, l'arciere doveva essere in posizione elevata, da qualche parte su per questo pendio. Una freccia gli colpì la coscia mentre si accovacciava, abbattendolo, in preda agli spasimi, sulla schiena. L'orco ringhiò e si agitò, così l'arciere non visto e non vedente non ebbe certo bisogno del prossimo grido per mettere a segno il secondo colpo, e questo colse l'orco direttamente nel petto e lo zittì per sempre. *
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Drizzt rovesciò subito la propria posizione, bloccando il secondo orco con l'estremità smussata della lancia. In un batter d'occhio il drow rovesciò la propria presa una terza volta e guidò la punta della lancia nella gola della creatura, penetrandogli verso l'alto nel cervello. Il primo orco che Drizzt aveva colpito barcollò e scrollò violentemente il capo, cercando d'orientarsi di nuovo verso il combattimento. Sentì la mano del drow afferrare la parte anteriore della sua lurida tunica di pelle d'orso, poi sentì l'aria sferzante che gli andava addosso, mentre volava fuori al di là della sporgenza, seguendo la stessa traiettoria del worg precedentemente intrappolato. *
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Udendo le grida dei suoi compagni morenti, l'orco sul sentiero abbassò la testa e aumentò la velocità, ritenendosi decisamente intelligente per aver scelto quella strada. Tuttavia cambiò bruscamente idea quando svoltò un angolo e finì proprio tra le grinfie di un'enorme pantera nera in attesa. *
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Drizzt si appoggiò all'indietro, esausto, contro la pietra, tenendo pronta la lancia per colpire lo strano gufo che stava tornando giù dal fianco della montagna. Tuttavia il gufo si tenne alla larga, atterrando sull'affioramento che provocava l'aspra svolta del sentiero a una dozzina di passi di distanza. Un movimento in alto, sopra di lui, colse l'attenzione del drow. Nella lu-
ce accecante gli risultava difficile vedere, ma individuò una forma umana che si faceva strada con cautela verso di lui. Il gufo ripartì, volando in cerchio al di sopra del drow e gridando, e Drizzt si acquattò, all'erta e snervato, mentre l'uomo scivolava giù, dietro allo sperone di roccia. Nessuna freccia fischiò al grido del gufo, tuttavia. Giunse invece l'arciere. Era alto, diritto, e molto vecchio, con enormi baffi grigi e capelli grigi incolti. Ancora più strani erano i suoi occhi bianchi come il latte e privi di pupille. Se Drizzt non avesse assistito alla dimostrazione di tiro con l'arco dell'uomo, avrebbe creduto che fosse cieco. Inoltre le membra del vecchio sembravano piuttosto fragili, ma Drizzt non si lasciò ingannare dalle apparenze. L'esperto arciere teneva il pesante arco lungo teso e pronto, con una freccia saldamente incoccata, in pratica senza alcuno sforzo. Non era necessario che il drow guardasse lontano per rendersi conto dell'efficienza mortale con cui l'umano era in grado di utilizzare la sua arma potente. Il vecchio disse qualcosa in una lingua che Drizzt non riuscì a capire, poi in una seconda lingua, poi nel linguaggio dei folletti, che Drizzt comprese. «Chi sei?» «Drizzt Do'Urden» rispose il drow con voce pacata, traendo una certa speranza dal fatto di poter almeno comunicare con il suo avversario. «È un nome?» chiese il vecchio. Ridacchiò e scrollò le spalle. «Qualunque cosa sia e chiunque tu possa essere, e indipendentemente dal motivo per cui ti trovi qui, è di scarsa importanza.» Il gufo, notando movimento, iniziò a gridare e a svolazzare selvaggiamente, ma era troppo tardi per il vecchio. Dietro di lui Guenhwyvar svoltò l'angolo di soppiatto e si avvicinò con un facile balzo, gli orecchi appiattiti e i denti scoperti. Apparentemente incurante del pericolo, il vecchio terminò il suo pensiero. «Ora sei mio prigioniero.» Guenhwyvar emise un basso ringhio dalla gola e il drow ebbe un largo sorriso. «Non credo» replicò Drizzt. 13 Montolio «Un tuo amico?» chiese il vecchio con calma. «Guenhwyvar» spiegò Drizzt.
«Un grosso felino?» «Oh, sì» rispose Drizzt. Il vecchio allentò la corda dell'arco e lasciò che la freccia scivolasse lentamente, con la punta verso il basso. Chiuse gli occhi, rovesciò il capo all'indietro e parve ripiegarsi interiormente. Un attimo dopo Drizzt notò che gli orecchi di Guenhwyvar si rizzavano improvvisamente, e il drow comprese che questo strano umano stava in qualche modo stabilendo un collegamento telepatico con la pantera. «Ed è anche un buon felino» disse il vecchio un attimo più tardi. Guenhwyvar uscì da dietro l'affioramento - facendo svolazzare freneticamente il gufo, che si allontanò - e con disinvoltura passò accanto al vecchio per avvicinarsi a Drizzt. A quanto pareva la pantera aveva abbandonato ogni preoccupazione per il fatto che il vecchio potesse essere un nemico. Drizzt considerò strane le azioni di Guenhwyvar, guardandole con la stessa perplessità con cui si era reso conto di aver stabilito un accordo mentale con l'orso della grotta, una stagione prima. «Un buon felino» ripeté il vecchio. Drizzt si appoggiò nuovamente contro la pietra e rilassò la presa sulla lancia. «Io sono Montolio» spiegò orgogliosamente il vecchio, come se il nome dovesse recare qualche peso per il drow. «Montolio DeBrouchee.» «Ben incontrato e addio» disse categoricamente Drizzt. «Se abbiamo finito con le presentazioni, allora possiamo andarcene per la nostra strada.» «Possiamo», ne convenne Montolio, «se entrambi decidiamo di farlo.» «Devo essere nuovamente... tuo prigioniero?» chiese Drizzt con un certo sarcasmo nella voce. La sincerità della successiva risata di Montolio portò un sorriso sul volto del drow, nonostante il suo cinismo. «Mio?» chiese incredulo l'uomo. «No, no, credo che quella questione sia sistemata. Ma oggi tu hai ucciso alcuni scagnozzi di Graul, un'azione che il sovrano orco vorrà punire. Lascia che ti offra una stanza nel mio castello. Gli orchi non si avvicineranno al luogo.» Mostrò un sorriso beffardo e si piegò verso Drizzt per sussurrare, come per fare in modo che le sue prossime parole restassero un segreto tra loro. «Sai, non mi vengono vicino» Montolio indicò i suoi strani occhi. «Credono che io pratichi una magia malvagia a causa della mia...» Montolio cercò di trovare una parola in grado di trasmettere l'idea, ma la lingua gutturale dei folletti era limitata e lui provò ben presto un senso di frustrazione.
Drizzt ripensò al corso del combattimento, poi rimase a bocca aperta in un innegabile stupore, quando si rese conto della verità di quanto era trapelato. Il vecchio era veramente cieco! Il gufo, girando al di sopra dei nemici e gridando, aveva guidato i suoi tiri. Drizzt si guardò intorno, vide il gigante ucciso e l'orco, e il suo stupore non fece che aumentare; il vecchio non aveva mancato un colpo. «Verrai?» chiese Montolio. «Vorrei capire gli...» Ancora una volta dovette cercare un termine adatto. «Scopi... che può avere un elfo scuro per vivere un inverno in una grotta con Uragano, l'orso.» Montolio si vergognava della propria incapacità di conversare con il drow, ma dal contesto Drizzt riuscì sufficientemente a capire quel che voleva dire il vecchio, riuscendo perfino a risalire a termini scarsamente familiari come «inverno» e «orso». «Il sovrano orco Graul ha altri mille guerrieri da mandarti contro» osservò Montolio, intuendo che il drow non sapeva se accettare l'offerta. «Non verrò con te» dichiarò Drizzt alla fine. Il drow desiderava veramente andare, desiderava scoprire alcune cose riguardo a quest'uomo notevole, ma troppe tragedie erano capitate a coloro che avevano attraversato la strada di Drizzt. Il basso ringhio di Guenhwyvar rivelò a Drizzt che la pantera non approvava la sua decisione. «Io attiro guai» cercò di spiegare Drizzt al vecchio, alla pantera e a se stesso. «Faresti meglio, Montolio DeBrouchee, a tenerti lontano da me.» «È forse una minaccia?» «Un avvertimento» rispose Drizzt. «Se mi porti con te, se addirittura mi consenti di restarti accanto, allora sarai condannato, com'è accaduto agli agricoltori del villaggio.» Montolio rizzò gli orecchi all'accenno al lontano villaggio di contadini. Aveva sentito che una famiglia a Maldobar era stata brutalmente uccisa e che una guardaboschi, Colomba Manodifalco, era stata chiamata in aiuto. «Io non temo la morte» disse Montolio, con un sorriso forzato. «Sono sopravvissuto a molti... conflitti, Drizzt Do'Urden. Ho combattuto in una decine di guerre sanguinose e ho trascorso un intero inverno intrappolato sul fianco di una montagna con una gamba spezzata. Ho ucciso un gigante soltanto con un pugnale e... aiutato... ogni animale nel giro di cinquemila passi in ogni direzione. Non temere per me.» Ancora una volta giunse quel sorriso ironico, sagace. «Ma allora», disse lentamente Montolio, «non è per me che tu temi.»
Drizzt si sentì confuso e un po' insultato. «Temi per te stesso» continuò Montolio, imperterrito. «Autocommiserazione? Non si addice a un prode del tuo stampo. Abbandonala e vieni con me.» Se Montolio avesse visto il cipiglio di Drizzt, avrebbe indovinato la sua risposta. Guenhwyvar lo notò, e urtò forte Drizzt, sulla gamba. Dalla reazione di Guenhwyvar, Montolio comprese l'intento del drow. «Il felino vuole che tu venga» osservò lui. «Sarà meglio di una grotta», promise, «e il cibo sarà migliore di pesce mezzo crudo.» Drizzt abbassò lo sguardo su Guenhwyvar e ancora una volta la pantera lo colpì, questa volta rafforzando l'azione con un ringhio più forte e più insistente. Drizzt rimase inflessibile, ricordando a se stesso ed evocando chiaramente un'immagine di carneficina in una fattoria molto lontana. «Non verrò» disse con fermezza. «Allora devo considerarti un nemico, e un prigioniero!» ruggì Montolio, riportando di scatto l'arco in posizione. «Questa volta il felino non ti aiuterà, Drizzt Do'Urden!» Montolio si piegò, il sorriso gli balenò sul volto e lui sussurrò: «Il felino è d'accordo con me». Fu troppo per Drizzt. Sapeva che il vecchio non l'avrebbe colpito, ma ben presto il fascino sfuggente di Montolio annullò le difese mentali del drow, per quanto fossero notevoli. Quello che Montolio aveva descritto come un castello, si rivelò una serie di grotte di legno, scavate intorno alle radici di sempreverdi enormi e fitti tra loro. Tettoie a falda, costituite da rametti intrecciati aumentavano la protezione e in qualche modo collegavano le grotte tra loro, e un basso muro di rocce accumulate circondava l'intero complesso. Mentre Drizzt si avvicinava al luogo, notò veri ponti di corda e di legno che passavano da un albero all'altro, a varie altezze, con scale a pioli che conducevano su, e con balestre montate per sicurezza a intervalli piuttosto regolari. Il drow non si lamentò del fatto che il castello fosse di legno e di terra, tuttavia. Drizzt aveva trascorso trent'anni a Menzoberranzan, vivendo in un meraviglioso palazzo di pietra e circondato da molte strutture ancor più mozzafiato, ma nessuna di esse sembrava accogliente quanto la dimora di Montolio. Uccelli cinguettarono il loro benvenuto all'avvicinarsi del vecchio guardaboschi. Scoiattoli e perfino un procione saltellarono eccitati tra i rami degli alberi per avvicinarsi a lui - anche se mantennero la propria distanza
quando notarono che un'enorme pantera accompagnava Montolio. «Ho molte stanze» spiegò Montolio a Drizzt. «Molte coperte e molto cibo.» Montolio odiava la limitata lingua dei folletti. Aveva tante cose da dire al drow, tante cose che voleva sapere dal drow. Questo sembrava impossibile, se non eccessivamente noioso, in una lingua così vile e negativa per natura, inadatta a esprimere pensieri o concetti complessi. La lingua dei folletti vantava più di cento parole per uccidere e per odio, ma neppure una per emozioni più elevate come la compassione. Il termine usato dai folletti per significare amicizia poteva essere tradotto per significare una temporanea alleanza militare o la schiavitù a un folletto più forte, e quelle due definizioni erano inadeguate per formulare le intenzioni di Montolio verso il solitario elfo scuro. Il guardaboschi decise quindi che il primo compito dovesse essere quello d'insegnare al drow la lingua comune. «Non possiamo parlare...» Nella lingue dei folletti non c'era una parola per dire «adeguatamente», perciò Montolio dovette improvvisare, «... bene...in questa lingua», spiegò a Drizzt, «ma ci servirà mentre t'insegno la lingua degli umani, se vuoi impararla.» Drizzt esitò ad accettare. Quando se n'era andato dal villaggio di agricoltori, aveva deciso che il suo destino nella vita sarebbe stato quello di eremita, e finora se l'era cavata decisamente bene - meglio di quanto si fosse aspettato. Tuttavia l'offerta lo tentava, e a un livello di praticità, Drizzt sapeva che conoscere la lingua comune della regione poteva tenerlo lontano dai guai. Il sorriso di Montolio arrivava quasi agli orecchi del vecchio quando il drow accettò. Tuttavia Grido, il gufo, non parve così lieto. Con il drow, o meglio con la pantera del drow nei paraggi, il gufo avrebbe potuto trascorrere meno tempo sui comodi rami inferiori dei sempreverdi. *
*
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«Cugino, Montolio DeBrouchee ha accolto il drow!» esclamò un elfo in tono esaltato, rivolto a Kellindil. Tutto il gruppo era stato fuori alla ricerca delle tracce di Drizzt da quando l'inverno era terminato. Quando il drow se n'era andato dal Passo dell'Orco Morto, gli elfi, in particolare Kellindil, avevano temuto dei guai, avevano temuto che magari il drow avesse fatto combutta con Graul e con i suoi scagnozzi orchi. Kellindil balzò in piedi, a malapena in grado di afferrare le stupefacenti
novità. Sapeva dell'esistenza di Montolio, il guardaboschi leggendario, anche se piuttosto eccentrico, e sapeva inoltre che Montolio, con tutti i suoi contatti tra gli animali, era in grado di giudicare gli intrusi piuttosto accuratamente. «Quando? Come?» chiese Kellindil, sapendo a malapena da dove incominciare. Se il drow l'aveva confuso nei mesi precedenti, ora l'elfo della superficie era assolutamente scombussolato. «Una settimana fa» rispose l'altro elfo. «Non so come sia successo, ma ora il drow gira per il boschetto di Montolio, apertamente e con la pantera accanto a sé.» «Montolio è...?» L'altro elfo interruppe Kellindil, comprendendo la sua preoccupazione. «Montolio è illeso e ha il pieno controllo della situazione» garantì a Kellindil. «Ha accolto il drow di sua spontanea volontà, sembrerebbe, e ora pare che il vecchio guardaboschi stia insegnando all'elfo scuro la lingua comune.» «Stupefacente» fu tutto ciò che Kellindil poté rispondere. «Potremmo mettere una sentinella di guardia al boschetto di Montolio» propose l'altro elfo. «Se temi per la sicurezza del vecchio guardaboschi...» «No» rispose Kellindil. «No, il drow ha dimostrato ancora una volta di non essere un nemico. Ho sospettato le sue intenzioni amichevoli da quando l'ho incontrato vicino a Maldobar. Ora sono soddisfatto. Continuiamo con le nostre faccende e lasciamo il drow e il guardaboschi alle loro.» L'altro elfo assentì, ma una minuscola creatura che stava ascoltando fuori dalla tenda di Kellindil non fu altrettanto d'accordo. Tephanis veniva nell'accampamento degli elfi di notte, per rubare cibo e altri oggetti che gli avrebbero reso la vita più comoda. Lo spiritello aveva sentito parlare dell'elfo scuro alcuni giorni prima, quando gli elfi avevano ripreso la loro ricerca di Drizzt, e da allora lui si era fatto in quattro per ascoltare le loro conversazioni, molto curioso di scoprire dove si trovasse colui che aveva distrutto Ulgulu e Kempfana. Tephanis scrollò con violenza il capo dagli orecchi flosci. «Maledetto-ilgiorno-in-cui-quello-è-ritornato!» sussurrò, simile a un'ape eccitata. Poi corse via, con i piedini che praticamente non toccarono terra. Tephanis aveva stabilito un altro collegamento nei mesi successivi alla scomparsa di Ulgulu, un altro potente alleato che lui non voleva perdere. Nel giro di alcuni minuti trovò Caroak, il grande lupo invernale dal manto argentato, sull'alto picco dove abitavano.
«Il-drow-è-con-il-ranger» disse Tephanis tutto d'un fiato, e il lupo parve capire. «Attento-a-quello-che-ti-dico! È-stato-lui-a-uccidere-i-mieiprecedenti-padroni. Morti!» Caroak scese con lo sguardo lungo l'ampia distesa, fino alla montagna dove si trovava il boschetto di Montolio. Il lupo invernale conosceva bene quel luogo, al punto di tenersene alla larga. Montolio DeBrouchee era amico di ogni genere di animali, ma i lupi invernali erano più mostri che animali, e non andavano d'accordo con i guardaboschi. Anche Tephanis guardò in direzione dell'abitazione di Montolio, preoccupato di potersi trovare a dover affrontare lo spregevole drow. Il semplice pensiero d'incontrarlo nuovamente provocava allo spiritello dei dolori alla testa (e la contusione causata dal vomere non era mai completamente scomparsa). *
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Man mano che l'inverno si addolciva trasformandosi in primavera, nel corso delle settimane successive, crebbe l'amicizia tra Drizzt e Montolio. La lingua comune della regione non era poi così diversa da quella dei folletti, si trattava più di un cambiamento d'inflessione che di un'alterazione di parole complete, e Drizzt vi si abituò rapidamente, imparando anche a leggere e a scrivere. Montolio si rivelò un bravo insegnante, e la terza settimana parlava con Drizzt esclusivamente nella lingua comune e si accigliava impazientemente ogni qualvolta Drizzt ritornava a usare la lingua dei folletti per riuscire a spiegare un punto. Per Drizzt questo fu un periodo divertente, di vita facile e di piaceri comuni. La collezione di libri di Montolio era vasta, e il drow si trovò assorbito in avventure dell'immaginazione, in libri sui draghi e resoconti di combattimenti epici. Qualsiasi dubbio che Drizzt potesse aver avuto era da lungo tempo scomparso, come i suoi dubbi riguardo a Montolio. Il rifugio tra i sempreverdi era veramente un castello e il vecchio era il miglior ospite che Drizzt avesse mai conosciuto. Drizzt imparò molte altre cose da Montolio durante quelle prime settimane, lezioni pratiche che l'avrebbero aiutato per il resto della sua vita. Montolio confermò i sospetti di Drizzt riguardo a un cambiamento atmosferico stagionale, e inoltre insegnò a Drizzt come prevedere il tempo di giorno in giorno osservando gli animali, il cielo e il vento. Anche in questo Drizzt apprese rapidamente, come Montolio aveva so-
spettato. Montolio non l'avrebbe mai creduto finché non vi avesse assistito personalmente, ma quest'insolito drow aveva la condotta di un elfo della superficie, e forse perfino il cuore di un guardaboschi. «Come sei riuscito a calmare l'orso?» chiese un giorno Montolio, domanda che l'aveva tormentato dal primissimo giorno in cui aveva saputo che Drizzt e Uragano condividevano una grotta. Onestamente Drizzt non sapeva come rispondere, perché non capiva ancora che cosa fosse successo in occasione di quell'incontro. «Nello stesso modo in cui tu hai calmato Guenhwyvar quando ci siamo incontrati per la prima volta» spiegò infine il drow. Il sorriso di Montolio rivelò a Drizzt che il vecchio comprendeva meglio di lui. «Il cuore di un guardaboschi» sussurrò Montolio, volgendosi dall'altra parte. Con il suo udito eccezionale, Drizzt colse il commento, ma non comprese pienamente. Le lezioni di Drizzt si svolgevano più rapidamente man mano che passavano i giorni. Ora Montolio si concentrava sulla vita intorno a loro, gli animali e le piante. Mostrò a Drizzt come trovare il cibo e come comprendere le emozioni di un animale semplicemente osservando i suoi movimenti. La prima prova reale giunse subito dopo, quando Drizzt, spostando i rami esterni di un cespuglio di bacche, trovò l'ingresso di una piccola tana e venne prontamente affrontato da un tasso furioso. Grido, in cielo sopra di lui, lanciò una serie di grida per avvertire Montolio, e il primo istinto del guardaboschi fu quello di andare ad aiutare l'amico drow. Forse i tassi erano le creature più irascibili della regione, anche più degli orchi, s'infuriavano più rapidamente dell'orso Uragano ed erano prontissimi a prendere l'offensiva contro qualsiasi avversario, indipendentemente dalle sue dimensioni. Tuttavia Montolio non intervenne, e ascoltò le continue descrizioni della scena da parte di Grido. Il primo istinto di Drizzt portò in un lampo la sua mano al pugnale. Il tasso arretrò e mostrò i perfidi denti e gli artigli, soffiando e borbottando un migliaio di lamentele. Drizzt si ritrasse tranquillamente, ripose perfino il pugnale nel fodero. All'improvviso considerò l'incontro dal punto di vista del tasso, capì che l'animale si sentiva molto minacciato. In qualche modo Drizzt si rese anche conto che il tasso aveva scelto la tana come luogo in cui crescere i cuccioli che sarebbero nati ben presto. Il tasso parve confuso dai movimenti deliberati del drow. Alla fine della gravidanza, la madre in attesa non voleva combattere, e mentre Drizzt fa-
ceva scivolare nuovamente al suo posto, con cautela, il cespuglio di bacche volto a nascondere la tana, il tasso si tranquillizzò e si rimise a quattro zampe, annusò l'aria in modo da poter ricordare l'odore dell'elfo scuro e tornò nel proprio buco. Quando Drizzt si volse, trovò Montolio che sorrideva e applaudiva. «Perfino un guardaboschi avrebbe trovato difficoltà a calmare un tasso irritato» spiegò il vecchio. «Il tasso aspettava i cuccioli» rispose Drizzt. «Era ancora meno propenso a combattere di me.» «Come lo sai?» chiese Montolio, pur non dubitando delle percezioni del drow. Drizzt stava per rispondere, poi si rese conto di non essere in grado di farlo. Riportò lo sguardo sul cespuglio di bacche, poi su Montolio, impotente. Montolio rise forte e tornò al proprio lavoro. Lui, che aveva seguito le consuetudini della dea Mielikki per moltissimi anni, sapeva che cosa stava succedendo, anche se Drizzt non ne era consapevole. «Il tasso ti avrebbe potuto fare a pezzi, sai» disse ironicamente il guardaboschi quando Drizzt gli si avvicinò. «Aspettava i cuccioli», gli ricordò Drizzt, «e non era un nemico così grosso.» La risata di Montolio si burlò di lui. «Non era così grosso?» gli fece eco il guardaboschi. «Fidati di me, Drizzt, è preferibile scontrarsi con Uragano che con una femmina di tasso in attesa!» Drizzt si limitò a scrollare le spalle in risposta, non avendo argomentazioni per contrastare l'uomo di maggiore esperienza. «Credi veramente che quell'inconsistente coltello sarebbe stato una difesa contro di lei?» chiese Montolio, che ora desiderava portare la discussione in una direzione diversa. Drizzt osservò il pugnale che aveva preso allo spiritello. Ancora una volta non fu in grado di replicare; il coltello era veramente piccolo. Rise sia di se stesso che con se stesso. «Temo che sia tutto quel che ho» rispose. «Questo lo vedremo» promise il guardaboschi, poi non disse più nulla al riguardo. Montolio, nonostante tutta la sua calma e la sua sicurezza, conosceva bene i pericoli di questa regione selvaggia e montuosa. Il guardaboschi era giunto a fidarsi di Drizzt senza riserva. *
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Montolio svegliò Drizzt poco dopo il tramonto del sole e condusse il drow a un ampio albero nell'estremità settentrionale del boschetto. Un grande foro, quasi una grotta, si trovava alla base dell'albero, astutamente nascosto da cespugli e da una coperta colorata, in modo da somigliare al tronco dell'albero. Non appena Montolio la spostò di lato, Drizzt comprese il motivo di tanta segretezza. «Una sala d'armi?» chiese il drow, stupefatto. «Tu preferisci la scimitarra» rispose Montolio, ricordando l'arma che Drizzt aveva spezzato sul gigante di pietra. «Ne ho una, ed è anche ottima.» Strisciò all'interno e cercò in giro per un po', poi tornò con una bella lama ricurva. Drizzt entrò nel foro per ispezionare la meravigliosa esposizione mentre il ranger usciva. Montolio possedeva un'enorme varietà d'attrezzature da combattimento, da pugnali ornamentali a grandi asce, a balestre, leggere e pesanti, tutte lucidate e meticolosamente curate. Allineate contro il tronco dell'albero, internamente, e poi anche su per l'albero cavo, c'erano una varietà di lance, compreso un ranseur dall'asta di metallo, una picca lunga tre metri con la sommità lunga e appuntita, nonché due punte uncinate più piccole che sporgevano lateralmente vicino alla punta. «Preferisci uno scudo o forse un pugnale scozzese per l'altra mano?» chiese Montolio quando il drow, mormorando tra sé in sincera ammirazione, ricomparve. «Puoi avere quello che vuoi, tranne le armi che recano il gufo artigliato. Quelle, scudo, spada ed elmo, sono mie.» Drizzt esitò un momento, cercando di immaginare il guardaboschi cieco, così equipaggiato per una mischia ravvicinata. «Una spada», disse lui alla fine, «o un'altra scimitarra, se ne hai una.» Montolio lo guardò con curiosità. «Due lame lunghe per combattere» osservò. «Direi che è probabile che tu t'ingarbugli.» «Si tratta di uno stile di combattimento nient'affatto insolito tra i drow» disse Drizzt. Montolio scrollò le spalle, non ne dubitava, e tornò dentro. «Temo che questa sia più che altro ornamentale» disse tornando con una lama eccessivamente ornata. «Puoi usarla se decidi di farlo, o prendere una spada, di quelle ne ho parecchie.» Drizzt prese la scimitarra per valutarne l'equilibrio. Era un po' troppo leggera e forse un po' troppo fragile. Tuttavia il drow decise di tenerla, pensando che la lama ricurva si adattasse meglio all'altra scimitarra, rispetto a una spada diritta e ingombrante.
«Avrò cura di queste come ne hai tu» promise Drizzt, rendendosi conto del grande regalo fattogli dall'uomo. «E le userò», aggiunse, sapendo ciò che Montolio voleva veramente sentire, «soltanto quando sarò costretto.» «Allora prega di non doverne mai aver bisogno, Drizzt Do'Urden» rispose Montolio. «Ho visto la pace e ho visto la guerra, e posso dirti che preferisco la prima! Ora vieni, amico. Ci sono così tante altre cose che desidero mostrarti.» Drizzt guardò le scimitarre per un'ultima volta, poi le infilò nei foderi che portava alla cintura e seguì Montolio. Con il rapido avvicinarsi dell'estate e con una compagnia così bella ed eccitante, sia il maestro che il suo insolito allievo erano d'ottimo umore, prevedendo una stagione di valide lezioni e avvenimenti meravigliosi. *
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Come si sarebbero smorzati i loro sorrisi se avessero saputo che un certo sovrano orco, infuriato per la perdita di dieci soldati, due worg, e un valido gigante alleato, stava scrutando la regione con gli occhi gialli iniettati di sangue, alla ricerca del drow. Il grande orco stava iniziando a chiedersi se Drizzt fosse ritornato nel Buio Profondo o se si fosse unito a qualche altro gruppo, forse alle piccole bande d'elfi diffuse nella regione, o al detestabile guardaboschi cieco, Montolio. Se il drow si trovava ancora in zona, Graul intendeva trovarlo. Il capitano orco non voleva rischiare e la pura presenza del drow costituiva un rischio. 14 La prova di Montolio «Bene, ho atteso abbastanza a lungo!» disse severamente Montolio, in un tardo pomeriggio. Diede al drow un'altra scrollata. «Atteso?» chiese Drizzt, strofinandosi gli occhi per svegliarsi. «Sei un combattente o un mago?» continuò Montolio. «O entrambi? Uno di quei tipi dai molteplici talenti? Gli elfi della superficie sono rinomati per questo.» Drizzt fece una smorfia, era confuso. «Non sono un mago» disse con una risata. «Stai mantenendo dei segreti, vero?» lo rimproverò Montolio, benché il
continuo sorriso furbo ne attenuasse l'espressione burbera. Si raddrizzò esplicitamente fuori dal buco della camera da letto di Drizzt e incrociò le braccia sul petto. «Così non va. Io ti ho accolto e se sei un mago devi confessarmelo!» «Perché dici questo?» chiese il drow, perplesso. «Dove mai hai...?» «Me l'ha detto Grido!» sbottò Montolio. Drizzt era veramente confuso. «Durante il combattimento, quando ci siamo incontrati per la prima volta», spiegò Montolio, «tu hai oscurato l'area che circondava te e alcuni orchi. Non negarlo, mago. Me l'ha detto Grido!» «Quello non era un incantesimo da mago», protestò Drizzt impotente, «e io non sono un mago.» «Non era un incantesimo?» gli fece eco Montolio. «Allora si trattava di uno stratagemma? Bene, fammelo vedere!» «Non era uno stratagemma», replicò Drizzt, «ma una capacità innata. Tutti i drow, anche quelli di rango inferiore, possono creare globi di tenebre. Non si tratta di un compito così difficile.» Montolio rifletté per un attimo su tale rivelazione. Non aveva avuto alcuna esperienza con gli elfi scuri prima che Drizzt entrasse nella sua esistenza. «Quali altre "capacità" possiedi?» «Il fuoco fatato» rispose Drizzt. «È una fascia di...» «Conosco quell'incantesimo» gli disse Montolio. «È comunemente usato dai sacerdoti dei boschi. Tutti i drow sono in grado di effettuare anche questo?» «Non lo so» rispose onestamente Drizzt. «Inoltre sono... o ero... in grado di levitare. Soltanto i nobili drow possono effettuare tale impresa. Temo di aver perso quel potere, o che lo perderò ben presto. Quella capacità ha iniziato ad abbandonarmi da quando sono giunto in superficie, come mi hanno abbandonato il piwafwi, gli stivali e le scimitarre, tutti oggetti realizzati dai drow.» «Provaci» propose Montolio. Drizzt si concentrò per un lungo attimo. Si sentì divenire più leggero, poi si sollevò da terra. Non appena fu salito, tuttavia, il suo peso ritornò e lui tornò a posare i piedi a terra. Si era alzato non più di otto centimetri. «Impressionante» mormorò Montolio. Drizzt si limitò a ridere e a scrollare la chioma bianca. «Posso tornare a dormire, adesso?» chiese, volgendosi di nuovo verso il proprio giaciglio. Montolio aveva altre idee. Era giunto a saggiare ulteriormente l'abilità del suo compagno, per trovare i limiti delle capacità di Drizzt, in magia e
altro. Il guardaboschi ideò un nuovo piano, ma doveva metterlo in moto prima del calar del sole. «Aspetta» ordinò a Drizzt. «Potrai riposare più tardi, dopo il tramonto. Adesso ho bisogno di te, e delle tue "capacità". Potresti evocare un globo di tenebre, o hai bisogno di tempo per realizzare l'incantesimo?» «Pochi secondi» rispose Drizzt. «Allora prendi la tua armatura e le armi», disse Montolio, «e vieni con me. Fai alla svelta. Non voglio perdere il vantaggio della luce del giorno.» Drizzt scrollò le spalle e si vestì, poi seguì il guardaboschi all'estremità settentrionale del boschetto, una sezione poco usata del complesso silvestre. Montolio s'inginocchiò e attirò Drizzt accanto a sé, indicando un piccolo foro sul fianco di una collinetta erbosa. «Un cinghiale selvaggio ha iniziato a vivere lì dentro» spiegò il vecchio guardaboschi. «Non voglio fargli del male, ma temo di avvicinarmi per effettuare il contatto con la creatura. I cinghiali sono imprevedibili, nel migliore dei casi.» Trascorse un lungo attimo di silenzio. Drizzt si chiese se Montolio avesse semplicemente intenzione di attendere che il cinghiale uscisse. «Forza, allora» lo esortò il guardaboschi. Drizzt si volse incredulo verso di lui, pensando che Montolio si aspettasse che lui andasse direttamente ad accogliere il loro ospite non invitato e imprevedibile. «Fallo» continuò il guardaboschi. «Crea il tuo globo di tenebre - proprio davanti all'apertura - per favore.» Drizzt comprese, e il suo sospiro di sollievo fece sì che Montolio si mordesse il labbro per nascondere la risata che l'avrebbe smascherato. Un attimo dopo l'area antistante la collinetta erbosa scomparve nell'oscurità. Montolio fece cenno a Drizzt di aspettare dietro di lui e vi entrò. Drizzt entrò in tensione, si mise a osservare, in ascolto. Varie grida stridule provennero improvvisamente dall'oscurità, poi Montolio gridò di dolore. Drizzt balzò su e si lanciò alla carica precipitosamente, quasi inciampando sulla forma prostrata dell'amico. Il vecchio guardaboschi gemeva, si contorceva e non rispondeva a nessuno dei tranquilli richiami del drow. Poiché nei dintorni non era possibile sentire la presenza di nessun cinghiale, Drizzt si piegò per scoprire che cosa fosse accaduto e si ritrasse quando trovò Montolio raggomitolato, che si stringeva il petto.
«Montolio» sussurrò Drizzt, pensando che il vecchio fosse gravemente ferito. Si protese per parlare, avvicinandosi al volto del guardaboschi, poi si raddrizzò più rapidamente di quanto avesse voluto mentre lo scudo di Montolio sbatteva contro la parte laterale del suo capo. «Sono Drizzt!» esclamò il drow, strofinandosi il bernoccolo che si stava formando. Udì Montolio balzare in piedi davanti a lui, poi sentì che la spada del guardaboschi usciva dal fodero. «Certo che lo sei!» rise forte Montolio. «Ma che ne è del cinghiale?» «Cinghiale?» gli fece eco Montolio. «Non c'è nessun cinghiale, sciocco drow. Non ce n'è mai stato uno. Qui siamo avversari. È venuto il momento di divertirci un po'!» A questo punto Drizzt comprese pienamente. Montolio l'aveva spinto con l'inganno a usare l'oscurità, semplicemente per eliminare il suo vantaggio visivo. Montolio lo stava sfidando, in termini di parità. «Si colpisce di piatto!» replicò Drizzt, decisamente disposto a giocare. Come aveva adorato Drizzt simili prove d'abilità quando si trovava ancora a Menzoberranzan, con Zaknafein! «Ne va della tua vita!» replicò Montolio con una risata che gli giunse direttamente dal ventre. Il guardaboschi abbassò la propria spada descrivendo un arco, e la scimitarra di Drizzt la deviò al largo, rendendola innocua. Drizzt rispose con due colpi rapidi e brevi, direttamente in mezzo, un attacco che avrebbe sconfitto la maggior parte dei nemici, ma che non fece altro che suonare una melodia di due note sullo scudo ben posizionato di Montolio. Certo della collocazione di Drizzt, il guardaboschi si lanciò con lo scudo in avanti. Drizzt fu spinto all'indietro e sbilanciato, prima di riuscire a togliersi dalla sua traiettoria. La spada di Montolio giunse nuovamente di lato, e Drizzt la bloccò. Lo scudo del vecchio sbatté ancora davanti, e Drizzt sviò il suo slancio, piantandosi caparbiamente in piedi. Allora l'abile e anziano guardaboschi spinse lo scudo verso l'alto, cogliendo una delle lame di Drizzt e sbilanciando notevolmente il drow con tale gesto, poi lanciò con violenza la propria spada verso lo stomaco di Drizzt. In qualche modo Drizzt intuì l'attacco. Balzò all'indietro in punta di piedi, ritrasse lo stomaco e spinse in fuori il posteriore dietro di sé. Nonostante tutta la sua disperazione, sentì comunque lo spostamento d'aria mentre la spada gli guizzava accanto.
Drizzt passò all'offensiva, effettuando varie strategie d'attacco astute ed intricate, che credeva avrebbero posto fine a questa gara. Montolio anticipò ognuna di esse, tuttavia, perché tutti gli sforzi di Drizzt furono premiati con lo stesso suono delle scimitarre sullo scudo. Poi toccò al guardaboschi avanzare, e Drizzt si trovò penosamente in difficoltà. Il drow non era un novellino nel combattimento alla cieca, ma Montolio viveva ogni ora di ogni giorno da cieco e agiva con la stessa facilità e la stessa efficienza della maggior parte degli uomini con una vista perfetta. Ben presto Drizzt si rese conto di non potere vincere all'interno del globo. Pensò di far spostare il guardaboschi fuori dall'area dell'incantesimo, ma poi la situazione cambiò improvvisamente quando l'oscurità svanì. Pensando che il gioco fosse terminato, Drizzt arretrò di vari passi, tastando il terreno con i piedi fino alla radice sporgente di un albero. Montolio considerò il suo avversario con curiosità per un attimo, notando il cambiamento d'atteggiamento nella lotta, poi avanzò, con impeto e basso. Drizzt si ritenne molto intelligente quando si tuffò a capofitto sul guardaboschi, con l'intenzione di rotolare in piedi dietro a Montolio e di tornare nella mischia da un lato o dall'altro, mentre l'umano confuso girava intorno, disorientato. Tuttavia Drizzt non ottenne quel che si aspettava. Lo scudo di Montolio incontrò il volto del drow mentre lui era a metà strada. Quando l'elfo scuro riuscì a scrollarsi di dosso il senso di vertigine, si rese conto che Montolio stava seduto comodamente sulla sua schiena, con la spada posata sulle spalle di Drizzt. «Come...» iniziò a chiedere Drizzt. La voce di Montolio era più aspra di quanto Drizzt l'avesse mai udita. «Tu mi sottovaluti, drow. Mi hai considerato cieco e impotente. Non farlo mai più!» Drizzt si chiese onestamente, appena per una frazione di secondo, se Montolio avesse intenzione di ucciderlo, tanto il guardaboschi era furioso. Sapeva che la sua condiscendenza aveva ferito l'uomo, e allora si rese conto che Montolio DeBrouchee, così sicuro e abile, portava il proprio fardello sulle vecchie spalle. Per la prima volta da quanto aveva incontrato il guardaboschi, Drizzt rifletté su quando dovesse essere stato doloroso per l'uomo perdere la propria vista. Che cos'altro, si chiese, Montolio aveva perso? «È stato così evidente» disse poi Montolio, dopo una breve pausa. La
sua voce si era nuovamente addolcita. «Dato che io caricavo basso, come ho fatto.» «Evidente soltanto se avevi intuito che l'incantesimo di tenebre era svanito» rispose Drizzt, chiedendosi fino a che punto Montolio fosse veramente invalido. «Non avrei mai tentato la strategia di tuffarmi nell'oscurità, senza gli occhi per guidarmi, eppure come ha potuto un cieco sapere che l'incantesimo non c'era più?» «Me l'hai detto tu stesso!» protestò Montolio, continuando a non effettuare alcuna mossa per scendere dalla schiena di Drizzt. «Con il tuo atteggiamento! L'improvviso strascichio dei tuoi piedi - troppo leggero per essere effettuato nell'oscurità assoluta - e il tuo sospiro, drow! Quel sospiro ha tradito che provavi un senso di sollievo, perché ormai sapevi di non potermi battere senza la tua vista.» Montolio si alzò dalla schiena di Drizzt, ma il drow restò prono, ad assimilare le rivelazioni. Si rese conto di sapere molto poco sul suo compagno, di aver dato per scontato molto, per quanto riguardava Montolio. «Vieni, dunque» disse Montolio. «La prima lezione di stasera è finita. È stata proficua, ma abbiamo altre cose da fare.» «Hai detto che avrei potuto dormire» gli ricordò Drizzt. «Ti avevo creduto più competente» rispose immediatamente Montolio, lanciando un sorriso compiaciuto in direzione del drow. *
*
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Mentre Drizzt assorbiva avidamente le lezioni che Montolio aveva preparato per lui, quella notte e i giorni che seguirono, il vecchio guardaboschi raccolse informazioni sul drow. La loro opera riguardava per lo più il presente, Montolio istruiva Drizzt sul mondo che lo circondava e sul modo per sopravvivere. Invariabilmente uno degli altri, di solito Drizzt, era solito introdurre qualche commento riguardo al proprio passato. Divenne quasi un gioco tra i due, effettuare delle osservazioni su qualche avvenimento lontano, più per valutare l'espressione sconvolta dell'altro, che per puntualizzare qualcosa di rilevante. Montolio aveva begli aneddoti sui suoi molti anni trascorsi sulla strada, racconti di valorosi combattimenti contro folletti, e di divertenti tiri mancini che i guardaboschi solitamente seri, spesso si giocavano reciprocamente. Drizzt si mantenne un po' sulla difensiva riguardo al suo passato, ma tuttavia i suoi racconti di Menzoberranzan, della sinistra e insidiosa Accademia e delle guerre selvagge che opponevano una
famiglia all'altra, andavano di gran lunga al di là di qualsiasi cosa Montolio avesse mai immaginato. Per quanto i racconti del drow fossero notevoli, tuttavia, Montolio sapeva che Drizzt evitava di parlare di alcuni argomenti e che portava un grande peso sulle spalle. Inizialmente il guardaboschi non insistette con Drizzt. Portò pazienza, gli bastava che lui e Drizzt condividessero principi e - come giunse a capire con il drastico miglioramento delle abilità di guardaboschi di Drizzt - un modo analogo di vedere il mondo. Una notte, sotto alla luce argentea della luna, Drizzt e Montolio si riposavano in poltrone di legno costruite dal guardaboschi, in alto, tra i rami di un grande sempreverde. La lucentezza della luna calante, mentre sprofondava e faceva capolino dietro a nuvole sparse in rapido movimento, incantava il drow. Montolio non poteva vedere la luna, naturalmente, ma il vecchio guardaboschi, con Guenhwyvar comodamente abbandonata sul suo grembo, si godeva ciò nondimeno la vivace nottata. Strofinava una mano con aria distratta sulla folta pelliccia del collo muscoloso di Guenhwyvar e ascoltava i molti suoni portati dalla brezza, il chiacchierio di un migliaio di creature che il drow non notava neppure mai, sebbene il senso dell'udito di Drizzt fosse superiore a quello di Montolio. Di tanto in tanto Montolio ridacchiava, una volta quando udì un topo campestre che squittiva furiosamente a un gufo - probabilmente Grido - perché aveva interrotto il suo pasto e l'aveva costretto a fuggire nella propria tana. Osservando il ranger e Guenhwyvar, così a proprio agio e in piena accettazione reciproca, Drizzt provò le fitte dell'amicizia e del rimorso. «Forse non sarei mai dovuto venire» sussurrò, volgendo nuovamente il proprio sguardo alla luna. «Perché?» chiese tranquillamente Montolio. «Non ti piace il mio cibo?» Il suo sorriso disarmò Drizzt mentre il drow si volgeva gravemente verso di lui. «In superficie, intendo dire» spiegò Drizzt, riuscendo a produrre una risata nonostante la propria malinconia. «Talvolta penso che la mia scelta sia un atto egoistico.» «Di solito la sopravvivenza lo è» rispose Montolio. «Io stesso mi sono sentito in questo modo in alcune occasioni. Una volta sono stato costretto ad affondare la mia spada nel cuore di un uomo. L'asprezza del mondo porta un grande rimorso, ma misericordiosamente si tratta di un rimpianto transitorio e certamente non da portare in battaglia.»
«Come vorrei che fosse transitorio» osservò Drizzt, più tra sé o rivolto alla luna, che a Montolio. Ma l'osservazione colpì in pieno Montolio. Più intimi diventavano lui e Drizzt, più il guardaboschi condivideva l'ignoto fardello del drow. Drizzt era giovane, come elfo, ma era già esperto delle cose della vita, e più abile in battaglia della maggior parte dei soldati di professione. Innegabilmente un individuo con l'oscuro passato di Drizzt avrebbe trovato delle barriere nel mondo della superficie, poco disposto ad accettarlo. Tuttavia Montolio riteneva che Drizzt dovesse essere in grado di superare tali pregiudizi e di vivere un'esistenza lunga e prospera, dati i suoi notevoli talenti. Montolio si chiedeva che cosa opprimesse a tal punto quest'elfo. Drizzt soffriva più di quanto non sorridesse, e si puniva più di quanto dovesse. «Il tuo rammarico è sincero?» gli chiese Montolio. «La maggior parte non lo sono, sai. La maggior parte dei fardelli che ci imponiamo autonomamente sono fondati su false percezioni. Noi - per lo meno noi di carattere sincero - giudichiamo sempre noi stessi secondo criteri più severi di quelli a cui ci aspettiamo si attengano gli altri. Immagino sia una maledizione, o una benedizione, a seconda di come viene vista la cosa.» Rivolse il suo sguardo cieco verso Drizzt. «Prendila come una benedizione, amico mio, un appello interiore che ti costringe a lottare per raggiungere livelli impossibili da conseguire.» «Una benedizione frustrante» rispose Drizzt con semplicità. «Soltanto se non ti fermi a riflettere sui miglioramenti che tale sforzo ti ha apportato» si affrettò a rispondere Montolio, come se si fosse aspettato le parole del drow. «Coloro che hanno aspirazioni minori, realizzano meno. È indubbio. È meglio, credo, cercare di afferrare le stelle che restare seduto, agitandosi perché non è possibile raggiungerle.» Lanciò a Drizzt il suo tipico sorriso ironico. «Per lo meno colui che cerca di raggiungerle avrà effettuato un ottimo esercizio, avrà goduto di un'ottima veduta e forse avrà anche raccolto una mela che pendeva bassa, come premio per il suo sforzo!» «E forse anche una freccia tirata bassa, lanciata da qualche invisibile aggressore» osservò Drizzt con amarezza. Montolio inclinò la testa impotente contro l'infinito fiume di pessimismo di Drizzt. Lo addolorava profondamente vedere il drow, un essere così di buon cuore, talmente segnato. «Forse», disse Montolio, un po' più aspramente di quanto avesse voluto, «ma la perdita della vita è grande soltanto per coloro che rischiano di viverla! Io dico: "Lascia che la tua freccia
scenda bassa e prenda colui che striscia a terra. La sua morte non è poi così tragica!"» Drizzt non poté negare la sua logica, né il conforto che gli forniva il vecchio guardaboschi. Nelle ultime settimane la semplice filosofia di Montolio e il suo modo pragmatico di guardare il mondo, al tempo stesso profilato di giovanile esuberanza, misero Drizzt a suo agio come non era più stato dai primi giorni d'addestramento nella palestra di Zaknafein. Ma Drizzt al tempo stesso non poteva negare la durata inevitabilmente breve di quel conforto. Le parole potevano lenire, ma non potevano cancellare i ricordi ossessionanti del passato di Drizzt, le voci lontane di chi era morto, Zaknafein, Clacker, gli agricoltori. Un'unica eco mentale di «drizzit» annientava ore intere di consigli a fin di bene da parte di Montolio. «Basta con queste inutili chiacchiere strampalate» proseguì Montolio, apparentemente turbato. «Io ti considero un amico, Drizzt Do'Urden, e spero che tu mi valuti allo stesso modo. Che razza d'amico potrei essere, per contrastare questo peso che ti curva le spalle, se non vengo a sapere di più al riguardo? Sono tuo amico, o non lo sono. Sta a te prendere la decisione, ma se non lo sono, allora non vedo alcuno scopo nel condividere con te notti così splendide. Parlami, Drizzt, o vattene da casa mia!» Drizzt riusciva a malapena a credere che Montolio, normalmente così paziente e rilassato, l'avesse posto dinnanzi a una simile alternativa. La prima reazione del drow fu quella di ritrarsi, d'innalzare una parete di rabbia in faccia alle presunzioni del vecchio e di restare legato a ciò che considerava personale. Mentre i momenti passavano, tuttavia, e Drizzt ebbe superato la sorpresa iniziale e avuto il tempo di vagliare l'affermazione di Montolio, giunse a comprendere una verità fondamentale che scusava quelle presunzioni. Lui e Montolio erano divenuti veramente amici, per lo più grazie agli sforzi del guardaboschi. Montolio voleva condividere il passato di Drizzt, in modo da poter comprendere meglio il suo amico, e confortarlo. «Sai di Menzoberranzan, la città in cui sono nato e dove vivono i miei simili?» chiese piano Drizzt. Perfino pronunciare quel nome lo addolorava. «E conosci le consuetudini del mio popolo, i decreti della Regina Ragno?» La voce di Montolio era grave quando rispose. «Parlami di tutto questo, te ne prego.» Drizzt annuì - Montolio intuì il movimento anche se non poté vederlo - e si rilassò contro l'albero. Fissò la luna, ma in realtà guardò direttamente al di là di essa. La sua mente ricordò le sue avventure, ripercorse la strada
che portava a Menzoberranzan, all'Accademia, e a Casa Do'Urden. Tenne lì i suoi pensieri per un po', indugiando sulle complessità della vita familiare drow e sulla bene accetta semplicità dei momenti trascorsi nella sala d'addestramento con Zaknafein. Montolio attese pazientemente, indovinando che Drizzt era alla ricerca di un punto da cui incominciare. Da quello che aveva appreso dalle fugaci osservazioni di Drizzt, la vita del drow era stata piena d'avventure e d'episodi turbolenti, e Montolio sapeva che non sarebbe stata un'impresa facile per Drizzt, con la sua padronanza ancora limitata della lingua comune, riferire tutto accuratamente. Inoltre, dati i fardelli, il rimorso e il dolore che evidentemente il drow recava dentro di sé, Montolio sospettava che Drizzt potesse esitare. «Nacqui in un giorno importante nella storia della mia famiglia» iniziò Drizzt. «Quel giorno Casa Do'Urden eliminò Casa DeVir.» «Eliminò?» «Massacrò» spiegò Drizzt. Gli occhi ciechi di Montolio non rivelarono nulla, ma l'espressione del guardaboschi era di chiara repulsione, come Drizzt s'era aspettato. Il drow voleva che il suo compagno comprendesse le orribili complessità della società drow, perciò aggiunse esplicitamente: «E inoltre quel giorno mio fratello Dinin affondò la sua spada nel cuore dell'altro nostro fratello, Nalfein». Un brivido percorse la spina dorsale di Montolio e lui scrollò il capo. Si rese conto che stava soltanto iniziando a capire i fardelli che Drizzt portava sulle spalle. «Si tratta della consuetudine dei drow» disse Drizzt con calma, in modo realistico, cercando di trasmettere all'amico l'atteggiamento indifferente degli elfi scuri nei confronti dell'omicidio. «A Menzoberranzan esiste una severa struttura di rango. Per scalarla, per raggiungere un rango superiore, sia come individuo che come famiglia, semplicemente si elimina chi si trova in posizione più elevata rispetto alla propria.» Un lieve tremito della voce tradì al guardaboschi il pensiero di Drizzt. Montolio comprese chiaramente che il giovane non accettava quelle perfide pratiche, e che non l'aveva mai fatto. Drizzt proseguì con la propria storia, raccontandola in modo completo e accurato, almeno per i quarant'anni e oltre che aveva trascorso nel Buio Profondo. Raccontò dei suoi giorni sotto la severa tutela della sorella Vierna, a pulire un numero infinito di volte la cappella della casa e ad apprendere i propri poteri innati e il proprio posto nella società drow. Drizzt tra-
scorse molto tempo a spiegare a Montolio quella particolare struttura sociale, le gerarchie basate strettamente sul rango e l'ipocrisia della «legge» drow, una crudele apparenza che celava una città di caos totale. Il guardaboschi inorridì al sentire delle guerre familiari. Erano conflitti brutali che non consentivano ai nobili la sopravvivenza, neppure ai bambini. Montolio inorridì ancora di più quando Drizzt gli spiegò la «giustizia» drow, la distruzione inflitta a una casa che aveva fallito nel suo tentativo di sradicare un'altra famiglia. Il racconto si fece meno sinistro quando Drizzt raccontò di Zaknafein, suo padre e migliore amico. Naturalmente i ricordi felici che il drow aveva di suo padre non furono che un breve momento di tregua, un preludio agli orrori della dipartita di Zaknafein. «Mia madre uccise mio padre», spiegò Drizzt con gravità ed evidente dolore, «lo sacrificò a Lloth per i miei crimini, poi animò il suo cadavere e lo mandò a uccidermi, per punirmi d'aver tradito la famiglia e la Regina Ragno». Drizzt impiegò un po' di tempo per riprendere, ma quando lo fece parlò ancora una volta con sincerità, rivelando anche i propri insuccessi nei giorni trascorsi da solo nelle regioni selvagge del Buio Profondo. «Temevo di aver perso me stesso e i miei principi, di essere diventato una specie di mostro selvaggio e istintivo» disse Drizzt, sull'orlo della disperazione. Ma poi l'ondata emotiva che aveva caratterizzato la sua esistenza salì nuovamente, e sul suo volto comparve un sorriso mentre lui raccontava il tempo trascorso accanto allo svirfnebli Belwar, l'illustrissimo guardiano del cunicolo, e a Clacker, il pech che era stato trasformato in orrore uncinato in seguito a un incantesimo polimorfo. Com'era prevedibile il suo sorriso ebbe vita breve, perché il racconto di Drizzt in seguito lo portò al momento in cui Clacker cadde sotto i colpi del mostro non morto di Matrona Malice. Un altro amico era morto per Drizzt. Appropriatamente, quando Drizzt giunse alla sua uscita dal Buio Profondo, l'alba spuntò da dietro le montagne orientali. Ora il drow scelse le parole più attentamente, non era pronto a rivelare la tragedia della famiglia di agricoltori, per paura che Montolio lo giudicasse e lo ritenesse colpevole, distruggendo il loro nuovo legame. Razionalmente Drizzt poteva ricordare a se stesso che non era stato lui a uccidere i contadini, che aveva anche vendicato le loro morti, ma il rimorso era di rado un'emozione razionale e Drizzt proprio non riusciva a trovare le parole - non ancora. Montolio, vecchio e saggio e con esploratori animali in tutta la regione, sapeva che Drizzt stava nascondendo qualcosa. Quando si erano incontrati
per la prima volta, il drow aveva accennato a una disgraziata famiglia di agricoltori morti, e Montolio aveva sentito parlare di una famiglia trucidata nel villaggio di Maldobar. Montolio non pensò neppure per un minuto che Drizzt potesse essere il responsabile, ma sospettava che il drow vi fosse coinvolto in qualche modo. Tuttavia non insistette. Drizzt era stato più sincero e più dettagliato di quanto Montolio si fosse aspettato, e il guardaboschi era sicuro che a suo tempo il drow avrebbe colmato i vuoti evidenti. «È un ottimo racconto» disse infine Montolio. «Ne hai passate più tu nei tuoi pochi decenni di vita, della maggior parte degli elfi in trecento anni. Ma le ferite sono poche, e si rimargineranno.» Drizzt, che non ne era così sicuro, lo guardò con aria dolorosa, e Montolio poté offrirgli soltanto una confortante pacca sulla spalla mentre si alzava e si allontanava per andare a letto. *
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Drizzt stava ancora dormendo quando Montolio svegliò Grido e legò un voluminoso messaggio alla zampa del gufo. Grido non fu molto lieto degli ordini del ranger; il viaggio poteva richiedere una settimana, tempo prezioso e godibile a questo punto della stagione della caccia ai topi e dell'accoppiamento. Nonostante tutte le sue grida lamentose, tuttavia, il gufo non avrebbe disubbidito. Grido arruffò le penne, colse il primo soffio di vento, e planò senza sforzo, attraversando la catena montuosa ricoperta di neve, fino ai passi che l'avrebbero portato a Maldobar - e oltre, a Sundabar, se necessario. Una certa guardaboschi di fama notevole, una sorella di Lady di Lunargentea, si trovava ancora nella regione, Montolio lo sapeva grazie ai suoi amici animali, e incaricò Grido di cercarla. *
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«Non-finirà-mai?» gemette lo spiritello, osservando l'umano corpulento che attraversava il sentiero. «Prima-il-perfido-drow-e-ora-questo-bruto! Riuscirò-mai-a-liberarmi-di-questi-guastafeste?» Tephanis scrollò il capo e pestò i piedi così rapidamente da scavare un piccolo foro sotto di sé. Lungo il sentiero, il grosso cane bastardo sfregiato ringhiava e scopriva i denti e Tephanis, rendendosi conto di essersi lamentato troppo forte, schizzò via, descrivendo un ampio semicerchio, attraversando il sentiero molto
indietro rispetto al viandante e salendo per l'altro fianco. Il cane bastardo, che stava ancora guardando nella direzione opposta, piegò il capo e guaì, in preda allo sconcerto. 15 Un'ombra sul rifugio Drizzt e Montolio non dissero nulla del racconto del drow nel corso dei due giorni successivi. Drizzt rimuginava sui ricordi dolorosamente risvegliati, e Montolio, con estremo tatto, gli lasciava lo spazio di cui aveva bisogno. Si occuparono metodicamente delle loro faccende quotidiane, a distanza e con meno entusiasmo, ma la separazione fu solo passeggera, cosa di cui si resero conto entrambi. Gradualmente si riavvicinarono, più di prima, e Drizzt rimase con la speranza di aver trovato un amico sincero quanto Belwar o addirittura Zaknafein. Una mattina, tuttavia, il drow fu svegliato da una voce che riconobbe fin troppo bene, e pensò immediatamente che il suo periodo di tempo con Montolio fosse giunto rovinosamente al termine. Strisciò fino alla parete di legno che proteggeva il suo rifugio e vi sbirciò attraverso. «Un elfo drow, Mooshie» stava dicendo Roddy, mostrando al guardaboschi una scimitarra spezzata. Il corpulento montanaro, che sembrava ancora più grosso per i molti strati di pellicce che indossava, sedeva in sella a un cavallo piccolo ma muscoloso, appena al di fuori della parete di roccia che circondava il boschetto. «L'hai visto?» «Visto?» gli fece eco sarcasticamente Montolio, spalancando in modo esagerato gli occhi bianco latte. Roddy non fu divertito. «Tu sai che cosa intendo» ringhiò. «Tu vedi più del resto di noi, perciò non fare lo scemo!» Il cane di Roddy, che presentava una brutta cicatrice dove Drizzt l'aveva colpito, in quel momento fiutò una traccia familiare e iniziò ad annusare in modo eccitato e a correre avanti e indietro lungo i sentieri del boschetto. Drizzt si acquattò, pronto, una scimitarra in una mano e sul volto uno sguardo di timore e di perplessità. Non desiderava minimamente combattere - non voleva neppure colpire di nuovo il cane. «Richiama il cane al tuo fianco!» disse Montolio, stizzito. La curiosità di McGristle era evidente. «Hai visto l'elfo scuro, Mooshie?» chiese di nuovo, questa volta in tono sospettoso.
«Forse sì» rispose Montolio. Si volse ed emise un fischio acuto, che si udì a malapena. Immediatamente, il cane di Roddy, recependo la chiara espressione d'ira del guardaboschi in termini fin troppo chiari, tornò indietro con la coda tra le gambe e si pose accanto al cavallo del suo padrone. «Ho una cucciolata di volpacchiotti lì dentro» mentì furiosamente il guardaboschi. «Se il tuo cane li assale...» Montolio lasciò che la minaccia restasse sospesa, limitandosi a questo, e apparentemente Roddy ne fu colpito. Fece passare un cappio intorno alla testa del cane e lo tirò strettamente accanto a sé. «Un drow, dev'essere lo stesso, è passato di qui prima della prima neve» proseguì Montolio. «Faticherai parecchio a trovarlo, cacciatore di taglie.» Rise. «Per quel che ne so ha avuto dei problemi con Graul, poi è ripartito, immagino per ritornare nel luogo oscuro in cui vive. Hai intenzione di seguire il drow giù nel Buio Profondo? Certamente la tua fama crescerebbe considerevolmente, cacciatore di taglie, anche se tale impresa potrebbe costarti la vita stessa!» Drizzt si rilassò a quelle parole; Montolio aveva mentito per lui! Vedeva che il ranger non aveva un'alta considerazione di McGristle, e anche quel fatto diede conforto a Drizzt. Poi Roddy tornò alla carica con forza, spiattellando la storia della tragedia di Maldobar in un modo secco e distorto che pose a dura prova l'amicizia tra Drizzt e Montolio. «Il drow ha ucciso i Thistledown!» ruggì Roddy di fronte al sorriso soddisfatto del guardaboschi, che svanì in un batter d'occhio. «Li ha massacrati, e la sua pantera ha sbranato uno di loro. Tu conoscevi Bartholemew Thistledown, guardaboschi. Vergognati di parlare con leggerezza del suo assassino!» «È stato il drow a ucciderli?» chiese Montolio con severità. Roddy gli mostrò nuovamente la scimitarra spezzata. «Li ha massacrati» ringhiò. «Ci sono duemila pezzi d'oro sulla testa di quel drow - te ne darò cinquecento se puoi scoprire dell'altro per me.» «Non ho alcun bisogno del tuo oro» si affrettò a rispondere Montolio. «Ma non t'interessa veder consegnato l'assassino?» replicò aspramente Roddy. «Non piangi la morte della famiglia Thistledown, la migliore del mondo?» La successiva pausa di Montolio portò Drizzt a credere che il guardaboschi potesse tradirlo. Allora Drizzt decise che non sarebbe fuggito, indipendentemente dalla decisione di Montolio. Se il guardaboschi l'avesse accusato, Drizzt l'avrebbe affrontato per venir giudicato.
«Un giorno triste» mormorò Montolio. «Una bella famiglia veramente. Prendi il drow, McGristle. Sarà la taglia migliore che tu ti sia mai guadagnato.» «Da dove parto?» chiese Roddy con calma, evidentemente credendo di averla avuta vinta su Montolio. Drizzt la pensò così soprattutto quando Montolio si volse a guardare verso il boschetto. «Hai sentito parlare della Grotta di Morueme?» chiese Montolio. A quella domanda Roddy assunse un'espressione di sgomento. La Grotta di Morueme, ai margini del grande deserto Anauroch, veniva così chiamata per la famiglia di draghi azzurri che vi viveva. «Centocinquanta miglia» gemette McGristle. «Attraverso i Nethers - una catena molto dura da attraversare.» «Il drow si è recato lì, o in quei paraggi, all'inizio dell'inverno» mentì Montolio. «Il drow è andato dai draghi?» chiese Roddy, sorpreso. «Più probabilmente il drow si è recato verso qualche altra tana in quella regione» rispose Montolio. «I draghi di Morueme potrebbero sapere qualcosa di lui. Dovresti chiedere lì.» «Non ho molta voglia di trattare con i draghi» disse gravemente Roddy. «Eccessivamente rischioso, e per di più il viaggio fin laggiù, beh, costa troppo!» «Allora pare che Roddy McGristle abbia perduto la sua preda migliore» disse Montolio. «Un bel tentativo, comunque, contro un individuo dello stampo di un elfo scuro.» Roddy frenò il proprio cavallo e fece voltare l'animale. «Non scommettere contro di me, Mooshie!» ruggì di rimando, dietro alle spalle. «Non lascerò che quest'elfo fugga, neppure se dovrò cercarlo in ogni buco dei Nethers, da solo!» «Sembra un impegno notevole per duemila pezzi d'oro» notò Montolio, per nulla colpito. «Il drow ha preso il mio cane, il mio orecchio e mi ha lasciato questa cicatrice!» replicò Roddy, indicando il suo volto sfregiato. Il cacciatore di taglie si rese conto dell'assurdità delle sue azioni - naturalmente il guardaboschi cieco non poteva vederlo - e si volse, lanciando il cavallo alla carica e uscendo dal boschetto. Montolio agitò disgustato una mano dietro alle spalle di McGristle, poi si volse per vedere il drow. Drizzt gli andò incontro al margine della radura, non sapeva come ringraziare Montolio.
«Quel tipo non mi è mai piaciuto» spiegò Montolio. «La famiglia Thistledown è stata assassinata» ammise Drizzt senza mezzi termini. Montolio annuì. «Lo sapevi?» «Lo sapevo prima che tu venissi qui» rispose il guardaboschi. «Sinceramente all'inizio mi chiedevo se fossi stato tu.» «No» disse Drizzt. Montolio annuì di nuovo. Per Drizzt era giunto il momento di colmare i particolari dei suoi primi mesi sulla superficie. Fu nuovamente aggredito dal rimorso quando riferì la battaglia con il gruppo di gnoll, e fu investito nuovamente dal dolore, concentrato nel termine «drizzit», quando raccontò dei Thistledown e della sua orrenda scoperta. Montolio identificò lo spiritello veloce con uno sveltelfo, ma non fu assolutamente in grado di spiegare le creature gigantesche in forma di folletto e di lupo contro le quali Drizzt aveva combattuto nella grotta. «Hai fatto bene a uccidere gli gnoll» disse Montolio quando Drizzt ebbe finito. «Abbandona il tuo rimorso per quell'atto e lascialo cadere nel nulla.» «Come potevo sapere?» chiese Drizzt onestamente. «Tutto ciò che so è legato a Menzoberranzan, e non ho ancora separato la verità dalle menzogne.» «Si è trattato di un viaggio che ti ha disorientato» disse Montolio, e il suo sorriso sincero allentò notevolmente la tensione. «Vieni e lascia che ti spieghi la natura delle varie razze e il motivo per cui le tue scimitarre hanno colpito per la giustizia quando hanno abbattuto gli gnoll.» In veste di guardaboschi, Montolio aveva dedicato la sua esistenza all'interminabile lotta tra le razze buone - di cui gli umani, gli elfi, i nani, gli gnomi e i mezzelfi erano i membri più importanti - e i malvagi derivati dalla razza dei folletti e dal genere dei giganti, che vivevano soltanto per distruggere e per provocare sventure agli innocenti. «Gli orchi sono quelli che detesto in modo particolare» spiegò Montolio. «Perciò ora mi accontento di tenere d'occhio - un occhio di gufo, naturalmente - Graul e i suoi simili puzzolenti.» A quel punto Drizzt si spiegò molte cose. Il drow fu sommerso da un senso di conforto, perché gli istinti di Drizzt si erano rivelati corretti e ora lui poteva, per un po' e finalmente in misura notevole, liberarsi dal rimor-
so. «E che mi dici del cacciatore di taglie e di quelli come lui?» chiese Drizzt. «Non sembrano rientrare così nettamente nella tua descrizione delle razze.» «C'è il buono e il cattivo in ogni razza» spiegò Montolio. «Io ho parlato soltanto della condotta generale, e non dubitare che la condotta generale di coloro che derivano dai folletti e dai giganti è malvagia!» «Come possiamo saperlo?» insistette Drizzt. «Devi soltanto guardare i loro piccoli» rispose Montolio. Continuò a spiegare le differenze non troppo sottili tra i figli delle razze buone e quelli delle razze malvagie. Drizzt lo ascoltò, ma con distacco, non aveva bisogno di chiarimenti. Sembrava sempre che si ritornasse ai bambini. Drizzt si era sentito meglio riguardo alle sue azioni contro gli gnoll quando aveva osservato i figli dei Thistledown che giocavano. E a Menzoberranzan, in un periodo che sembrava soltanto a pochi giorni di distanza e al tempo stesso lontano migliaia d'anni, il padre di Drizzt aveva espresso convinzioni analoghe. «Tutti i figli dei drow sono malvagi?» si era chiesto Zaknafein, e per tutta la sua tormentata esistenza, il padre di Drizzt era stato ossessionato dalle urla dei bambini morenti, nobili drow presi in mezzo nella guerra tra famiglie rivali. Un lungo momento silenzioso seguì quando Montolio ebbe finito, entrambi gli amici impiegarono un po' di tempo per assimilare le molte rivelazioni della giornata. Montolio capì che Drizzt si sentiva sollevato quando il drow, in modo decisamente inaspettato, si volse verso di lui, sorrise ampiamente e lasciò di punto in bianco quell'argomento serio. «Mooshie?» chiese Drizzt, ricordando il nome con cui McGristle aveva chiamato Montolio presso il muro di pietra. «Montolio DeBrouchee.» Il vecchio guardaboschi rise in modo roco, indirizzando a Drizzt un ammiccamento grottesco. «Mooshie per gli amici e per coloro che, come McGristle, non riescono a pronunciare parole più lunghe di "sputo", "orso" o "uccidi!"» «Mooshie» mormorò Drizzt sottovoce, divertendosi alle spalle di Montolio. «Non hai niente da fare, Drizzit?» sbuffò il vecchio guardaboschi. Drizzt annuì e si allontanò di buon grado. Questa volta il suono di «drizzit» non bruciava così intensamente. *
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«La Grotta di Morueme» brontolò Montolio. «Maledizione alla Grotta di Morueme!» Una frazione di secondo più tardi, uno spiritello sedette in groppa al cavallo di Roddy, fissando in volto il cacciatore di taglie stupefatto. Tephanis aveva osservato la conversazione nel boschetto di Montolio e aveva imprecato contro la sua sfortuna quando il guardaboschi aveva allontanato il cacciatore di taglie. Se Roddy poteva prendere Drizzt, immaginava lo sveltelfo, si sarebbero tolti di mezzo entrambi, fatto che certo non allarmava Tephanis. «Spero-che-tu-non-sia-così-stupido-da-credere-a-quel-vecchiobugiardo» sbottò Tephanis. «Ehi!» esclamò Roddy, cercando d'afferrare goffamente lo spiritello, che si limitò a balzare giù, a guizzare all'indietro, passando accanto al cane stupefatto, e a salire in sella sedendosi dietro a Roddy. «Che razza di essere sei, per i Nove Inferni?» ruggì il cacciatore di taglie. «E stai fermo!» «Sono un amico» disse Tephanis, più lentamente che poté. Roddy lo osservò con cautela, volgendosi a guardare. «Se-vuoi-il-drow, stai-andando-dalla-parte-sbagliata» disse lo spiritello compiaciuto. Poco tempo dopo Roddy si accovacciò tra i picchi scoscesi a sud del boschetto di Montolio e osservò il guardaboschi e il suo ospite dalla pelle scura, che si occupavano delle proprie faccende. «Buona caccia!» augurò Tephanis, poi scomparve, tornò da Caroak, il grande lupo che aveva un odore più gradevole di questo particolare umano. Roddy, con gli occhi fissi sulla scena lontana, si accorse a malapena della partenza dello sveltelfo. «Pagherai per le tue menzogne, guardaboschi» mormorò tra i denti. Un sorriso malvagio si tese sul suo volto mentre pensava a un modo per mettere le mani sui due compagni. Si sarebbe trattato di un compito delicato. Ma del resto era sempre così quando trattava con Graul. *
*
*
Il messaggero di Montolio ritornò due giorni più tardi con un biglietto da parte di Colomba Manodifalco. Grido cercò di riferire la risposta della guardaboschi, ma l'eccitabile gufo era assolutamente incapace di trasmettere storie così lunghe e complesse. Innervosito, e non avendo alternativa,
Montolio porse la lettera a Drizzt e disse al drow di leggerla ad alta voce. Non essendo ancora un abile lettore, Drizzt dovette scorrere varie righe del foglio spiegazzato prima di rendersi conto di che cosa si trattasse. Il biglietto riferiva dettagliatamente quello che era accaduto a Maldobar e nel corso dell'inseguimento successivo. La versione di Colomba si avvicinava alla verità, discolpava Drizzt e indicava come assassini gli spiriti infausti non ancora giunti alla maturità. Il sollievo di Drizzt fu così grande che lui riuscì a malapena a pronunciare le parole mentre la lettera proseguiva per esprimere il piacere e la gratitudine di Colomba per il fatto che il «meritevole drow» si fosse aggregato al vecchio guardaboschi. «Alla fine ricevi il giusto riconoscimento, amico mio» fu tutto ciò che Montolio trovò necessario dire. Parte 4 Fermi propositi Ora considero la mia lunga strada come una ricerca della verità - la verità nel mio cuore, nel mondo che mi circonda, e nelle più ampie questioni dello scopo dell'esistenza. Come si può definire il bene e il male? Io ho portato con me un codice interiore d'insegnamenti morali lungo il mio cammino, anche se non potrò mai sapere se sono nato con esso o se mi è stato impartito da Zaknafein - o se semplicemente si è sviluppato dalle mie percezioni. Questo codice mi ha costretto a lasciare Menzoberranzan, perché anche se non ero certo di quali potessero essere quelle verità, io sapevo al di là d'ogni dubbio che non le avrei trovate nel regno di Lloth. Dopo molti anni trascorsi nel Buio Profondo fuori da Menzoberranzan e dopo le mie prime orribili esperienze in superficie, giunsi a dubitare dell'esistenza di qualsiasi verità universale, giunsi a chiedermi se ci fosse, dopo tutto, uno scopo all'esistenza. Nel mondo dei drow l'ambizione era l'unico scopo, il ricercare guadagni materiali che giungevano come conseguenza di un rango superiore. Anche allora quella mi sembrava ben poca cosa, non potevo vedere in essa una ragione per esistere. Ti ringrazio, Montolio DeBrouchee, per aver confermato i miei sospetti. Ho imparato che l'ambizione di coloro che seguono precetti egoistici non è altro che uno spreco caotico, un guadagno finito che dev'essere seguito da una perdita infinita. Perché esiste veramente un'armonia nell'universo, un canto concorde di prosperità comune. Per unirsi a quel canto è necessario
trovare un 'armonia interiore, le note che risultano sincere. Esiste un altro punto da sottolineare riguardo a quella verità: le creature malvagie non possono cantare. Drizzt Do'Urden 16 Gli dei e il fine Le lezioni continuarono ad andare decisamente bene. Il vecchio guardaboschi aveva alleviato il notevole peso emotivo del drow, e Drizzt imparava le consuetudini del mondo naturale meglio di chiunque altro Montolio avesse mai conosciuto. Ma Montolio intuiva che c'era ancora qualcosa che preoccupava il drow, pur non avendo la minima idea di che cosa potesse essere. «Tutti gli umani posseggono un udito così fine?» gli chiese improvvisamente Drizzt mentre trascinavano un enorme ramo caduto fuori del boschetto. «O il tuo è forse un dono per compensare la cecità?» La franchezza un po' rude della domanda sorprese Montolio, ma solo nell'attimo che lui impiegò per riconoscere la frustrazione del drow, un'agitazione causata dall'impossibilità da parte di Drizzt di comprendere le capacità dell'uomo. «O forse la tua cecità è un espediente, un inganno che usi per guadagnare un vantaggio?» insistette inesorabilmente Drizzt. «Se lo fosse?» rispose Montolio con disinvoltura. «Allora è un ottimo espediente, Montolio DeBrouchee» rispose Drizzt. «Sicuramente ti aiuta contro i tuoi nemici... e ugualmente contro gli amici.» Le parole ebbero un sapore amaro per Drizzt, e lui sospettò di aver consentito all'orgoglio di avere la meglio su di lui. «Non ti è accaduto spesso d'essere superato in battaglia» replicò Montolio, individuando nel loro incontro di scherma la fonte delle frustrazioni di Drizzt. Se in quel momento il guardaboschi avesse potuto vedere il drow, l'espressione di Drizzt gli avrebbe rivelato molto. «La prendi troppo sul serio» continuò Montolio dopo un silenzio pieno di disagio. «Non ti ho sconfitto veramente.» «Mi hai abbattuto e ridotto all'impotenza.» «Sei stato tu ad abbattere te stesso» spiegò Montolio. «Io sono veramente cieco, ma non impotente come tu sembri pensare. Mi hai sottovalutato.
Inoltre io sapevo che l'avresti fatto, benché difficilmente credessi che tu potessi essere cieco a tal punto.» Drizzt si fermò di punto in bianco e Montolio si arrestò a sua volta quando sentì che il peso del ramo che trascinava aumentava improvvisamente. Il vecchio guardaboschi scrollò il capo e ridacchiò in modo chioccio. Poi estrasse un pugnale, lo fece volteggiare in alto, per aria, lo prese e, urlando: «Betulla!», lo lanciò in pieno contro una delle poche betulle presso il boschetto di sempreverdi. «Potrebbe un cieco fare una cosa del genere?» fu la domanda retorica di Montolio. «Allora sei in grado di vedere» affermò Drizzt. «Naturalmente no» replicò aspramente Montolio. «I miei occhi non funzionano da cinque anni. Ma non sono neppure cieco, Drizzt, specialmente in questo luogo che chiamo casa!» «Tuttavia tu mi hai ritenuto cieco» proseguì il guardaboschi, la cui voce era ritornata calma. «Nel nostro incontro, quando il tuo incantesimo di tenebre è venuto meno, tu credevi d'aver colmato lo svantaggio. Pensavi che tutte le mie azioni - azioni efficaci, devo dire - sia nel combattimento contro gli orchi che nella nostra lotta, fossero semplicemente preparate e ripetute? Se fossi così invalido come Drizzt Do'Urden mi crede, come potrei sopravvivere un altro giorno in queste montagne?» «Io non...» iniziò Drizzt, ma il suo imbarazzo lo zittì. Montolio diceva la verità, e Drizzt lo sapeva. Per lo meno a livello inconscio, lui aveva ritenuto il guardaboschi menomato fin dal loro primissimo incontro. Drizzt credeva di non dimostrare alcuna mancanza di rispetto all'amico - a dire il vero aveva una grande opinione dell'uomo - ma aveva dato Montolio per scontato e ritenuto le limitazioni del guardaboschi maggiori delle proprie. «L'hai fatto», lo corresse Montolio, «e io ti perdono per questo. A tuo merito, mi hai trattato più equamente di chiunque mi abbia conosciuto prima, anche di coloro che hanno viaggiato accanto a me nel corso d'innumerevoli campagne. Ora siediti» ordinò a Drizzt. «Tocca a me raccontare la mia storia, come tu hai raccontato la tua.» «Da dove cominciare?» rifletté Montolio, grattandosi il mento. Ora gli sembrava tutto così lontano, un'altra vita che si era lasciato alle spalle. Tuttavia conservava un legame con il passato: il suo addestramento come guardaboschi della dea Mielikki. Drizzt, analogamente istruito da Montolio, avrebbe capito. «Ho dato la mia vita alla foresta, all'ordine naturale, in giovanissima e-
tà» iniziò Montolio. «Come ho iniziato a insegnarti, ho appreso le consuetudini del mondo selvaggio e ho deciso abbastanza presto che avrei difeso quella perfezione, quell'armonia di cicli troppo vasta e fantastica per essere compresa. È per questo che mi diverto a combattere gli orchi e i loro simili. Come ti ho detto prima, sono i nemici dell'ordine naturale, i nemici degli alberi e degli animali, quanto degli uomini e delle razze buone. Esseri malvagi, in tutto e per tutto, e io non provo alcun rimorso nell'annientarli!» Poi Montolio trascorse molte ore raccontando alcune delle sue campagne, spedizioni in cui agiva singolarmente o come esploratore per eserciti enormi. Raccontò a Drizzt della sua insegnante, Dilamon, una guardaboschi così abile con l'arco che non l'aveva mai vista mancare l'obiettivo, neppure una volta in diecimila colpi. «Lei morì in battaglia», spiegò Montolio, «difendendo una fattoria da una banda di giganti razziatori. Tuttavia non piangere per Signora Dilamon, perché nessun contadino fu ferito, e nessuno dei pochi giganti che fuggirono strisciando mostrò di nuovo la sua brutta faccia in quella regione!» La voce di Montolio calò notevolmente quando iniziò a raccontare il suo passato più recente. Parlò dei Guardiani della Catena Montuosa, la sua ultima compagnia d'avventurieri, e di come giunsero a combattere contro un drago rosso che razziava i villaggi. Il drago fu ucciso, come tre dei Guardiani della Catena Montuosa, e Montolio ebbe il volto distrutto dalle fiamme. «I religiosi mi sistemarono bene» disse gravemente Montolio. «Neppure una cicatrice che mostrasse la mia sofferenza.» Si arrestò, e Drizzt vide, per la prima volta da quando aveva incontrato il vecchio guardaboschi, una nuvola di dolore attraversare il volto di Montolio. «Tuttavia non poterono fare nulla per i miei occhi. Le ferite andavano al di là delle loro capacità.» «Sei venuto qui a morire» disse Drizzt, in tono più accusatorio di quanto avesse voluto. Montolio non confutò l'affermazione. «Ho sopportato l'alito di draghi, le lance di orchi, la rabbia di uomini malvagi, e l'avidità di coloro che sono propensi a depredare la terra per i propri vantaggi» disse il guardaboschi. «Nessuno di quegli elementi feriva profondamente quanto la pietà. Anche i miei compagni, i Guardiani della Catena Montuosa che avevano combattuto accanto a me così tante volte, mi compativano. Anche tu.» «Io non...» cercò d'intromettersi Drizzt. «Invece l'hai fatto» replicò Montolio. «Nel corso del nostro combattimento tu ti sei ritenuto superiore. È per questo che hai perduto! La forza di
qualsiasi guardaboschi è la saggezza, Drizzt. Un guardaboschi comprende se stesso, i suoi nemici, e i suoi amici. Tu mi ritenevi menomato, altrimenti non avresti mai tentato una manovra così arrogante come quella di saltare su di me. Ma io ti ho capito e ho anticipato la mossa.» Quel sorriso beffardo balenò maliziosamente. «Ti fa ancora male la testa?» «Sì», ammise Drizzt, strofinandosi il bernoccolo, «benché i miei pensieri sembrino schiarirsi.» «Per quanto riguarda la tua domanda originaria», disse Montolio, soddisfatto per aver chiarito il punto che gli stava a cuore, «non c'è nulla d'eccezionale riguardo al mio udito, o a qualsiasi altro dei miei sensi. Mi limito a fare più attenzione a quello che gli altri dicono, piuttosto che a quello che fanno, e mi guidano bene, come ti sarai reso conto. In verità, io stesso non ero a conoscenza delle loro abilità quando sono venuto qui per la prima volta, e hai ragione nell'ipotizzare il motivo per cui l'ho fatto. Senza i miei occhi mi credevo un uomo morto, e volevo andarmene qui, in questo boschetto che ero giunto a conoscere e ad amare nei miei primi viaggi.» «Forse fu a causa di Mielikki, la Signora della Foresta - anche se più probabilmente fu Graul, un nemico così a portata di mano - ma non impiegai molto a cambiare le mie intenzioni riguardo alla mia vita. Trovai un fine qui fuori, da solo e menomato - ed ero menomato in quei primi giorni. Con quel fine giunse un significato rinnovato nella mia esistenza, e quello a sua volta mi condusse a rendermi nuovamente conto dei miei limiti. Ora sono vecchio e stanco, e cieco. Se fossi morto cinque anni fa, come volevo, me ne sarei andato senza aver completato la mia vita-esistenza. Non avrei mai saputo fino a che punto potevo arrivare. Soltanto nell'avversità, al di là di tutto ciò che Montolio DeBrouchee avesse mai immaginato, io sarei potuto giungere a conoscere così bene me stesso e la mia dea.» Montolio si fermò per prendere in considerazione Drizzt. Udì un fruscio quando accennò alla sua divinità, e lo considerò come un movimento di disagio. Volendo esplorare questa rivelazione, Montolio infilò una mano sotto alla cotta di maglia e alla giubba ed estrasse un ciondolo a forma di testa d'unicorno. «Non è bello?» chiese esplicitamente. Drizzt esitò. L'unicorno era realizzato perfettamente e di foggia splendida, ma le connotazioni di un simile ciondolo non si confacevano facilmente al drow. A Menzoberranzan, Drizzt aveva assistito alla follia derivante dal seguire gli ordini delle divinità, e non gli piaceva assolutamente quel che aveva visto.
«Chi è il tuo dio, drow?» chiese Montolio. Nel corso di tutte le settimane trascorse insieme da lui e Drizzt, non avevano mai discusso veramente di religione. «Non ho alcun dio» rispose audacemente Drizzt «né ne voglio uno.» Toccò a Montolio restare in silenzio. Drizzt si alzò e si allontanò di qualche passo. «La mia gente segue Lloth» iniziò lui. «Lei, se non la causa, è certamente il sistema attraverso il quale vengono perpetuate le loro malvagità, come lo è questo Gruumsh per gli orchi, e come altri dei lo sono per altri popoli. Seguire un dio è follia. Io invece seguirò il mio cuore.» La bassa risatina di Montolio annullò la forza di quanto proclamato da Drizzt. «Tu hai un dio, Drizzt Do'Urden» disse. «Il mio dio è il mio cuore» dichiarò Drizzt, volgendogli le spalle. «Anche il mio.» «Tu hai chiamato il tuo dio Mielikki» protestò Drizzt. «E tu non hai ancora trovato un nome per il tuo dio» sbottò di rimando Montolio. «Questo non significa che tu non abbia alcun dio. Il tuo dio è il tuo cuore, e che cosa ti dice il tuo cuore?» «Non lo so» ammise Drizzt dopo aver preso in considerazione quella domanda importuna. «Allora pensaci!» esclamò Montolio. «Che cosa ti hanno detto i tuoi istinti riguardo alla banda di gnoll, o agli agricoltori di Maldobar? Lloth non è la tua divinità - questo è certo. Allora quale dio o dea corrisponde a quello che si trova nel cuore di Drizzt Do'Urden?» Montolio riusciva quasi a sentire Drizzt che continuava a scrollare le spalle. «Non lo sai?» chiese il vecchio guardaboschi. «Ma io sì.» «Tu presumi molto» rispose Drizzt, sempre per nulla convinto. «Osservo molto» disse Montolio con una risata. «Hai un cuore simile a quello di Guenhwyvar?» «Non ho mai dubitato di quel fatto» rispose onestamente Drizzt. «Guenhwyvar segue Mielikki.» «Come puoi saperlo?» arguì Drizzt, alterandosi un po'. Non gli importava che Montolio effettuasse delle supposizioni riguardo a lui, ma Drizzt considerava una simile classificazione come un attacco alla pantera. In qualche modo, a Drizzt sembrava che Guenhwyvar fosse al di sopra degli dei e di tutto ciò che comportava seguirne uno. «Come posso saperlo?» gli fece eco Montolio in tono incredulo. «Naturalmente me l'ha detto il felino! Guenhwyvar è l'entità della pantera, una
creatura del regno di Mielikki.» «Guenhwyvar non ha bisogno delle tue definizioni» replicò Drizzt con asprezza, portandosi vivacemente a sedere accanto al guardaboschi. «Naturalmente no» ne convenne Montolio. «Ma ciò non cambia il fatto. Tu non capisci, Drizzt Do'Urden. Tu sei cresciuto in mezzo alla perversione di una divinità.» «E la tua è quella vera?» chiese Drizzt in modo sarcastico. «Sono tutte vere, e sono tutte una, temo» rispose Montolio. Drizzt dovette dichiararsi d'accordo con l'osservazione iniziale di Montolio. Non capiva. «Tu vedi gli dei come entità esterne» cercò di spiegare Montolio. «Tu li vedi come esseri fisici che cercano di controllare le nostre azioni per i propri fini, e così, nella tua ostinata indipendenza, li respingi. Io ti dico che le divinità sono dentro di noi, che tu dia loro un nome o meno. Tu hai seguito Mielikki per tutta la tua esistenza, Drizzt. Semplicemente non hai mai avuto un nome da dare al tuo cuore.» All'improvviso Drizzt fu più incuriosito che scettico. «Che cosa hai provato la prima volta che sei uscito dal Buio Profondo?» chiese Montolio. «Che cosa ti ha detto il tuo cuore quando hai guardato per la prima volta il sole o le stelle, o la verde foresta?» Drizzt ripensò a quel giorno lontano, quando lui e la sua pattuglia drow erano usciti dal Buio Profondo per piombare su un raduno di elfi. Si trattava di ricordi dolorosi in cui però indugiava un unico senso di consolazione, un'unica memoria di giubilo meraviglioso alla sensazione del vento e dei profumi dei fiori appena sbocciati. «E come hai parlato a Uragano?» continuò Montolio. «Un'impresa non facile, condividere una grotta con quell'orso! Che tu lo voglia ammettere o meno, hai il cuore di un guardaboschi. E il cuore di un guardaboschi è il cuore di Mielikki.» Una conclusione così formale ripropose a Drizzt alcuni dubbi. «E che cosa richiede la tua dea?» chiese lui, e nella sua voce era ritornata l'asprezza furiosa. Fece nuovamente per alzarsi, ma Montolio gli diede una manata sulle gambe e lo tenne giù. «Richiedere?» Il guardaboschi rise. «Io non sono un missionario che diffonde belle parole e impone regole di comportamento! Non ti ho forse appena detto che gli dei sono dentro di noi? Tu conosci le regole di Mielikki come le conosco io. Le hai seguite per tutta la vita. Ti offro un nome da dare a questo, nient'altro, e un ideale di comportamento personificato, un
esempio che tu possa seguire nei momenti in cui ti allontanerai da quella che tu sai essere la verità.» Con questo, Montolio raccolse il ramo e il drow lo seguì. Drizzt rifletté a lungo su quelle parole. Quel giorno non dormì, pur restando nella propria tana, a pensare. «Desidero sapere di più sulla tua... la nostra... dea» ammise Drizzt la notte successiva, quando trovò Montolio che cucinava la cena. «E io desidero insegnarti» rispose Montolio. *
*
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Un centinaio di paia d'occhi gialli e iniettati di sangue si posero a fissare l'umano corpulento mentre questo si faceva strada attraverso l'accampamento, stringendosi al fianco il cane bastardo. A Roddy non piaceva recarsi in quel luogo, la fortezza del sovrano orco Graul, ma questa volta non aveva alcuna intenzione di consentire al drow di fuggire. Roddy si era occupato di Graul varie volte nel corso degli ultimi anni; il sovrano orco, con tanti utili osservatori tra i monti selvaggi, si era rivelato un alleato prezioso, benché costoso, nella sua attività di cacciatore di taglie. Molti orchi massicci tagliarono intenzionalmente la strada a Roddy, standogli gomito a gomito e facendo infuriare il suo cane. Roddy tenne saggiamente fermo il suo beniamino, benché anche lui desiderasse aggredire gli orchi puzzolenti. Si comportavano in questo modo ogni volta che lui arrivava nel loro territorio, lo urtavano, gli sputavano addosso, facevano di tutto per provocare una zuffa. Gli orchi erano sempre pieni di coraggio quand'erano più numerosi dei propri avversari, in un rapporto di cento a uno. L'intero gruppo si raccolse dietro a McGristle e lo seguì da vicino mentre lui percorreva gli ultimi cinquanta metri, fino a un pendio roccioso che conduceva all'ingresso della grotta di Graul. Due grossi orchi balzarono fuori dall'entrata, brandendo lance, per intercettare l'intruso. «Perché sei venuto?» chiese uno di loro nella sua lingua nativa. L'altro tese la mano, come se si aspettasse d'essere pagato. «Niente denaro, questa volta» rispose Roddy, imitando perfettamente il loro dialetto. «Questa volta paga Graul!» Gli orchi si guardarono sconcertati, poi si volsero verso Roddy ed emisero dei ringhi che all'improvviso vennero interrotti bruscamente da un orco ancora più grosso emerso dalla grotta.
Graul uscì precipitosamente e spostò di lato le guardie, avanzando a grandi passi fino a portare l'umido grugno a un paio di centimetri dal naso di Roddy. «Paga Graul?» sbuffò, e il suo alito rischiò quasi di sopraffare Roddy. La risatina di Roddy fu udita solamente dagli eccitati orchi comuni che gli stavano più vicini. Qui non poteva mostrare alcuna debolezza; come cani rabbiosi, gli orchi attaccavano in men che non si dica chiunque non si opponesse loro con fermezza. «Ho un'informazione, Re Graul» disse il cacciatore di taglie in tono risoluto. «Un'informazione che Graul desidera conoscere.» «Parla» ordinò Graul. «Paghi?» chiese Roddy, pur sospettando di spingere troppo oltre la fortuna. «Parla!» ringhiò nuovamente Graul. «Se le tue parole hanno valore, Graul ti lascerà vivere.» Roddy si lamentò tra sé del fatto che con Graul sembrava che le cose funzionassero sempre così. Era difficile concludere un affare vantaggioso con il capitano maleodorante circondato da un centinaio di guerrieri armati. Tuttavia Roddy rimase imperterrito. Non era venuto qui per denaro anche se aveva sperato di poterne ricavare un po' - ma per vendetta. Roddy non avrebbe colpito Drizzt apertamente finché il drow si trovava con Mooshie. Tra queste montagne, circondato dai suoi amici animali, Mooshie rappresentava una forza formidabile, e anche se Roddy fosse riuscito a evitarlo e a mettere comunque le mani sul drow, i molti alleati di Mooshie, veterani come Colomba Manodifalco, avrebbero sicuramente vendicato l'azione. «C'è un elfo scuro nel tuo regno, possente sovrano orco!» proclamò Roddy. Non ricavò dalla rivelazione lo stupore in cui aveva sperato. «Un rinnegato» chiarì Graul. «Lo sai?» Roddy spalancò gli occhi, tradendo la propria incredulità. «Il drow ha ucciso i guerrieri di Graul» disse arcignamente il capitano orco. Tutti gli orchi raccolti iniziarono a pestare i piedi e a sputare, maledendo l'elfo scuro. «Allora perché il drow vive?» chiese senza mezzi termini Roddy. Gli occhi del cacciatore di taglie si socchiusero quando iniziò a sospettare che Graul non sapesse dove si trovava il drow. Forse aveva ancora qualche elemento per trattare. «I miei perlustratori non riescono a trovarlo!» ruggì Graul, ed era vero.
Ma la frustrazione ostentata dal sovrano orco era una finzione finemente recitata. Graul sapeva dov'era Drizzt, anche se i suoi perlustratori lo ignoravano. «Io l'ho trovato!» ruggì Roddy, e tutti gli orchi balzarono su e gridarono, bramosi e giubilanti. Graul alzò le braccia per tranquillizzarli. Questa era la parte critica, il sovrano degli orchi sapeva. Lui scrutò tra i presenti radunati per individuare lo sciamano, il capo spirituale della tribù, e trovò l'orco dalla veste rossa che ascoltava attentamente, come Graul aveva sperato. Su consiglio dello sciamano, Graul aveva evitato qualsiasi azione contro Montolio in tutti questi anni. Lo sciamano riteneva che l'invalido che non era così invalido, rappresentasse un presagio di magia negativa, e con le ammonizioni del capo religioso, tutta la tribù degli orchi si faceva piccola per la paura ogni qualvolta Montolio si trovava nelle vicinanze. Ma alleandosi con il drow e, se i sospetti di Graul erano corretti, aiutando il drow a vincere il combattimento sulla cresta della montagna, Montolio si era intromesso in affari che non lo riguardavano, aveva violato il dominio di Graul proprio come aveva fatto il drow rinnegato. Ormai convinto che il drow fosse veramente da solo - perché nella regione non c'erano altri elfi scuri, il sovrano degli orchi aspettava soltanto la scusa più adatta per spronare i suoi scagnozzi a un'azione contro il boschetto. Ora Graul sapeva che Roddy poteva fornire quella scusa. «Parla!» gridò Graul in faccia a Roddy, per bloccare qualsiasi tentativo d'esigere un pagamento. «Il drow si trova con il guardaboschi» rispose Roddy. «È nel boschetto del guardaboschi cieco!» Se Roddy aveva sperato che la sua affermazione ispirasse un altro scoppio di maledizioni, balzi e sputi, rimase sicuramente deluso. L'accenno al guardaboschi cieco fece calare una cappa pesante sull'assembramento, e ora tutti gli orchi guardavano alternativamente dallo sciamano a Graul per ricevere qualche indicazione. Per Roddy era venuto il momento d'intessere una storia di cospirazione, e Graul sapeva che l'avrebbe fatto. «Dovete andare a sistemarli!» esclamò Roddy. «Non sono...» Graul alzò le braccia per zittire sia i mormorii che Roddy. «È stato il guardaboschi cieco a uccidere il gigante?» chiese pacatamente a Roddy il sovrano orco. «E ad aiutare il drow a uccidere i miei guerrieri?» Roddy, naturalmente, non aveva la minima idea di che cosa stesse parlando Graul, ma fu abbastanza sveglio da cogliere l'intento del sovrano orco.
«Sì!» dichiarò a voce alta. «E ora il drow e il guardaboschi stanno tramando contro noi tutti! Dovete colpirli con violenza e annientarli prima che essi vengano a colpire voi con violenza! Il guardaboschi porterà i suoi animali, ed elfi - moltissimi elfi - e anche nani, contro Graul!» L'accenno agli amici di Montolio, in particolare agli elfi e ai nani, che il popolo di Graul odiava al di sopra di ogni altra cosa al mondo, provocò espressioni aspre sui volti di tutti e fece sì che più di un orco si guardasse nervosamente alle spalle, come se si aspettasse che l'esercito del guardaboschi potesse circondare l'accampamento proprio in quel momento. Graul fissò direttamente lo sciamano. «Colui-Che-Osserva deve benedire l'attacco» rispose lo sciamano alla domanda inespressa. «Con la luna nuova!» annuì Graul, e l'orco dalla veste rossa si volse, convocò al suo fianco una ventina d'orchi comuni e se ne andò per iniziare i preparativi. Graul mise una mano in una borsa ed estrasse una manciata di monete d'argento per Roddy. Roddy non aveva fornito alcuna informazione che il sovrano non conoscesse già, ma il fatto che il cacciatore di taglie avesse annunciato una cospirazione contro la tribù degli orchi, aveva offerto a Graul un notevole aiuto nel tentativo di sollevare il superstizioso sciamano contro il guardaboschi cieco. Roddy prese il misero pagamento senza lamentarsi, pensando fosse già più che sufficiente che lui avesse raggiunto il suo scopo, e si volse per andarsene. «Tu devi restare» gli disse improvvisamente Graul dietro alle spalle. A un movimento del sovrano orco varie guardie si avvicinarono al cacciatore di taglie. Roddy guardò sospettosamente Graul. «Sarai nostro ospite» spiegò con calma il sovrano orco. «Unisciti al combattimento.» A Roddy non restavano molte alternative. Graul fece spostare le sue guardie con un gesto della mano e tornò da solo nella grotta. Le guardie orco si limitarono a scrollare le spalle e a sorridersi reciprocamente, non avendo alcun desiderio di tornare dentro ad affrontare gli ospiti del sovrano, in particolare l'enorme lupo dal manto argentato. Quando Graul fu ritornato dentro, al suo posto, si volse a parlare all'altro suo ospite. «Avevi ragione» disse Graul al minuscolo spiritello. «Sono-bravissimo-a-raccogliere-informazioni.» Tephanis sorrideva raggiante e aggiunse tra sé: «E-a-creare-situazioni-favorevoli!»
In quel momento Tephanis si credeva intelligente, perché non solo aveva informato Roddy del fatto che il drow si trovava nel boschetto di Montolio, ma aveva anche organizzato le cose insieme a Re Graul, affinché Roddy li aiutasse entrambi. Tephanis sapeva che Graul non sopportava il guardaboschi cieco, e con la presenza del drow che fungeva da scusa, finalmente Graul poteva persuadere il suo sciamano a benedire l'attacco. «Caroak contribuirà al combattimento?» chiese Graul, guardando sospettosamente l'enorme e imprevedibile lupo argentato. «Naturalmente» si affrettò a dire Tephanis, «è-anche-nel-nostrointeresse-vedere-quei-nemici-annientati!» Caroak, comprendendo ogni parola che i due si scambiavano, si alzò e uscì lentamente dalla grotta. Le guardie all'ingresso non cercarono di bloccargli la strada. «Caroak-solleverà-i-worg» spiegò Tephanis. «Una-forza-potente-siradunerà-contro-il-ranger-cieco. Lui-è-stato-per-troppo-tempo-un-nemicodi-Caroak.» Graul annuì e rifletté tra sé sulle settimane future. Se si fosse potuto liberare del guardaboschi e del drow, la sua valle sarebbe stata più sicura di quanto non fosse da molti anni - da prima dell'arrivo di Montolio. Di rado il guardaboschi ingaggiava personalmente battaglia con gli orchi, ma Graul sapeva che erano sempre le spie presenti tra gli animali del guardaboschi ad avvisare le carovane di passaggio. Graul non riusciva a ricordare l'ultima volta che i suoi guerrieri avevano colto di sorpresa una carovana, secondo il metodo preferito dagli orchi. Se il guardaboschi fosse sparito, tuttavia... Con il rapido avvicinarsi dell'estate, il culmine della stagione degli scambi, quest'anno gli orchi sarebbero riusciti a depredare per bene. Ora Graul aveva bisogno soltanto della conferma da parte dello sciamano, occorreva che Colui-Che-Osserva, il dio orco Gruumsh dall'Unico Occhio, approvasse l'attacco. La luna nuova, un momento sacro per gli orchi e un momento in cui lo sciamano credeva di poter venire a conoscenza dei piaceri degli dei, era a più di due settimane di distanza. Ansioso e impaziente, Graul si lamentava del ritardo, ma sapeva che avrebbe semplicemente dovuto aspettare. Graul, di gran lunga meno religioso di quanto non credessero gli altri, aveva intenzione di attaccare indipendentemente dalla decisione dello sciamano, ma l'astuto sovrano orco non desiderava sfidare apertamente il capo spirituale della tribù, a meno che non fosse assolutamente necessario.
La luna nuova non era molto lontana, si disse Graul. Allora si sarebbe liberato del guardaboschi cieco e del misterioso drow. 17 Svantaggio numerico «Sembri turbato» disse Drizzt a Montolio quando vide il guardaboschi in piedi su un ponte di corda, il mattino seguente. Grido era appollaiato su un ramo sopra di lui. Montolio, perduto nei suoi pensieri, non rispose immediatamente. Drizzt non se ne preoccupò. Si limitò a scrollare le spalle e ad allontanarsi, rispettando l'intimità del guardaboschi, ed estrasse la statuina d'onice dalla tasca. «Guenhwyvar e io andremo fuori per una breve caccia», spiegò Drizzt, dandogli le spalle, «prima che il sole s'innalzi troppo nel cielo. Poi mi riposerò e la pantera condividerà la giornata con te.» Montolio continuava ad ascoltare il drow soltanto a metà, ma quando il guardaboschi notò che Drizzt posava la statuina d'onice sul ponte di corda, le parole del drow giunsero più chiaramente a destinazione e lui abbandonò le proprie riflessioni. «Aspetta» disse Montolio, tendendo una mano. «Lascia che la pantera continui a riposare.» Drizzt non capiva. «Guenhwyvar è lontana da un giorno e più» disse. «Tra non molto potremmo aver bisogno di Guenhwyvar, e non certo per cacciare» iniziò a spiegare Montolio. «Lascia che la pantera continui a riposare.» «Qual è il problema?» chiese Drizzt, improvvisamente serio. «Che cos'ha visto Grido?» «La notte scorsa siamo entrati nella luna nuova» disse Montolio. Drizzt annuì, ormai comprendeva il susseguirsi dei cicli lunari. «Un giorno sacro per gli orchi» continuò Montolio. «Il loro accampamento è a miglia di distanza, ma la notte scorsa li ho uditi gridare.» Ancora una volta Drizzt annuì, in segno di comprensione. «Ho sentito i loro canti, ma mi sono chiesto se non fosse soltanto la voce tranquilla del vento.» «Era il lamento degli orchi» gli garantì Montolio. «Ogni mese si radunano, grugniscono e danzano selvaggiamente nel loro tipico stato di stordimento - sai, gli orchi non hanno bisogno di pozioni per indurlo. Inizialmente non ci ho fatto caso, anche se era più forte del solito. Di solito da
qui non si sentono. Immaginavo che un vento favorevole... sfavorevole... avesse trasportato il canto.» «Poi hai scoperto che c'era dell'altro dietro a quei canti?» ipotizzò Drizzt. «Anche Grido li ha sentiti» spiegò Montolio. «Sta sempre all'erta per me.» Guardò il gufo. «È volato laggiù per dare un'occhiata.» Anche Drizzt sollevò lo sguardo verso l'uccello meraviglioso, che sedeva gonfio e orgoglioso come se comprendesse i complimenti di Montolio. Nonostante le gravi preoccupazioni del guardaboschi, tuttavia, Drizzt si chiese fino a che punto Montolio fosse in grado di comprendere Grido, e fino a che punto il gufo fosse in grado di comprendere ciò che gli accadeva intorno. «Gli orchi sono scesi sul sentiero di guerra» disse Montolio, grattandosi la barba ispida. «Pare che Graul si sia svegliato dal lungo inverno con propositi di vendetta.» «Come puoi saperlo?» chiese Drizzt. «Grido è in grado di comprendere le loro parole?» «No, no, naturalmente no!» rispose Montolio, divertito all'idea. «Allora come puoi saperlo?» «Si è aggregato a loro un branco di worg, Grido mi ha detto questo» spiegò Montolio. «Gli orchi e i worg non sono i migliori tra gli amici, ma si alleano in vista di guai. Il festeggiamento degli orchi della notte scorsa era selvaggio, e con la presenza dei worg ci possono essere ben pochi dubbi.» «C'è un villaggio nelle vicinanze?» chiese Drizzt. «Nessuno più vicino di Maldobar» rispose Montolio. «Dubito che gli orchi intendano spingersi così lontano, ma il disgelo è quasi giunto al termine e le carovane attraverseranno il passo, per lo più da Sundabar alla Fortezza di Adbar e viceversa. Dev'essercene una in arrivo da Sundabar, anche se non credo che Graul sarebbe sufficientemente audace, o sufficientemente stupido, da attaccare una carovana di nani armati fino ai denti, proveniente da Adbar.» «Quanti guerrieri ha il sovrano orco?» «Graul potrebbe raccoglierne migliaia se avesse il tempo e la voglia di farlo», disse Montolio, «ma ci vorrebbero settimane, e Graul non è mai stato famoso per la sua pazienza. Inoltre, non avrebbe chiamato i worg così presto se avesse avuto intenzione di aspettare di radunare le sue schiere. Gli orchi tendono a scomparire quando i worg sono nelle vicinanze, e i
worg tendono a impigrirsi e a ingrassare con tanti orchi nelle vicinanze, non so se mi capisci.» Il brivido di Drizzt mostrò che aveva sicuramente compreso. «Immagino che Graul abbia circa un centinaio di combattenti», proseguì Montolio, «forse da una dozzina a una ventina di worg, secondo il conteggio di Grido, e probabilmente un paio di giganti.» «Una forza notevole per colpire una carovana» disse Drizzt, ma sia il drow che il guardaboschi avevano in mente altri sospetti. Quando si erano incontrati inizialmente, due mesi prima, Graul ne era uscito malconcio. «Impiegheranno un paio di giorni per prepararsi» disse Montolio dopo una pausa, a disagio. «Grido li osserverà più attentamente stanotte, e io chiamerò anche altre spie.» «Mi recherò in perlustrazione dagli orchi» aggiunse Drizzt. Vide che il volto di Montolio era attraversato dalla preoccupazione, ma l'allontanò rapidamente. «Molte volte mi sono stati riservati simili compiti come ricognitore di pattuglia, a Menzoberranzan» disse. «Mi sento decisamente sicuro nel portare a termine tale compito. Non temere.» «Questo accadeva nel Buio Profondo» gli ricordò Montolio. «La notte è forse così diversa?» rispose ironicamente Drizzt, indirizzando un ammiccamento e un sorriso confortante a Montolio. «Otterremo le nostre risposte.» Quindi Drizzt gli diede il «buon giorno» e si allontanò per riposarsi. Montolio ascoltò con sincera ammirazione i passi dell'amico che si allontanava, appena un fruscio attraverso gli alberi folti, e pensò che fosse un buon piano. La giornata trascorse lentamente e priva di avvenimenti per il guardaboschi. Si affaccendò come meglio poté, a considerare i suoi piani di difesa per il boschetto. Montolio non aveva mai difeso prima il luogo, tranne una volta, quando una banda di stupidi ladri vi si era introdotta per errore, ma aveva trascorso molte ore a formulare e a sperimentare diverse strategie, ritenendo inevitabile che un giorno o l'altro Graul si sarebbe stancato dell'ingerenza del guardaboschi e avrebbe trovato il coraggio d'attaccare. Se quel giorno era venuto, Montolio era sicuro che lui sarebbe stato pronto. Ora si poteva fare poco, tuttavia - le difese non potevano essere sistemate prima che Montolio fosse sicuro delle intenzioni di Graul - e il guardaboschi trovò l'attesa interminabile. Infine Grido informò Montolio che il drow si stava muovendo.
«Allora vado» disse Drizzt non appena incontrò il guardaboschi, notando il sole basso a occidente. «Vediamo che cosa stanno tramando i nostri poco amichevoli vicini.» «Fai attenzione, Drizzt» disse Montolio, e la sincera preoccupazione nella sua voce toccò il drow. «Graul sarà anche un orco, ma è un orco astuto. Può darsi benissimo che si aspetti che uno di noi vada a spiarlo.» Drizzt estrasse le scimitarre ancora poco familiari e le fece vorticare per trarre fiducia dal loro movimento. Poi se le pose di nuovo alla cintura e si mise una mano in tasca, traendo ulteriore conforto dalla presenza della statuina d'onice. Con un'ultima pacca sulla schiena del guardaboschi, l'esploratore partì. «Grido sarà nei paraggi!» gli gridò dietro Montolio. «E altri amici che potresti non aspettarti. Lancia un richiamo se ti trovi ad affrontare più problemi di quanti tu non possa sistemare da solo!» *
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L'accampamento orco non fu difficile da individuare, contrassegnato com'era da un enorme falò che divampava nel cielo notturno. Drizzt vide le forme, compresa quella di un gigante, che danzavano intorno alle fiamme, e udì i ringhi e i guaiti di lupi enormi, worg, come li aveva chiamati Montolio. L'accampamento si trovava in una piccola valle, in una radura circondata da enormi aceri e delimitata da pareti di roccia. Drizzt riusciva a sentire piuttosto bene le voci degli orchi nella notte tranquilla, perciò decise di non avvicinarsi troppo. Scelse un albero massiccio e si concentrò su un ramo più basso, facendo appello alla sua innata capacità di levitazione per sollevarsi. L'incantesimo fallì completamente, perciò Drizzt, nient'affatto sorpreso, s'infilò le scimitarre nella cintura e si arrampicò. Il tronco si diramava varie volte, in basso e in alto, fino a sei metri. Drizzt si diresse verso l'interruzione più elevata e stava proprio per salire su un ramo lungo e serpeggiante, quando udì un respiro. Con cautela, Drizzt guardò dietro al grande tronco. Dalla parte opposta a quella in cui lui si trovava, sistemato comodamente nell'angolo formato dal tronco e da un altro ramo, era disteso un orco di sentinella, con le mani allacciate dietro la testa e un'espressione vuota e annoiata sul volto. A quanto pareva la creatura era ignara dell'elfo scuro che si muoveva silenziosamente e che era appollaiato a poco più di mezzo
metro di distanza. Drizzt strinse l'elsa di una scimitarra, poi, acquistando sicurezza dal fatto che la stupida creatura stesse troppo comoda per guardarsi intorno, cambiò idea e ignorò l'orco. Si concentrò invece su ciò che avveniva nella radura. La lingua degli orchi era simile a quella dei folletti per struttura e inflessione, ma Drizzt, che non parlava molto bene neppure la lingua dei folletti, riuscì a capire soltanto poche parole sparse. Tuttavia gli orchi erano sempre stati una razza piuttosto portata alla rappresentazione visiva. Due modelli, effigi di un elfo scuro e di un umano sottile e baffuto, mostrarono ben presto a Drizzt le intenzioni del gruppo. L'orco più grosso dell'assembramento, probabilmente Re Graul, sputacchiò sui modelli e li maledì. Poi i soldati orchi e i worg si alternarono a bersagliarli, con la gioia degli spettatori deliranti, una letizia che si trasformò in pura estasi quando il gigante di pietra si avvicinò e appiattì a terra il falso elfo scuro. La farsa continuò per ore, e Drizzt sospettò che si sarebbe protratta fino all'alba. Graul e vari altri orchi si allontanarono dal gruppo principale e iniziarono a disegnare per terra, probabilmente preparando piani di battaglia. Drizzt non poteva sperare di giungere abbastanza vicino da distinguere le loro conversazioni confuse, e non aveva nessuna intenzione di rimanere sull'albero mentre la luce rivelatrice dell'alba si avvicinava rapidamente. Prima di scendere prese in considerazione la sentinella orco sull'altro lato del tronco, che ora stava respirando profondamente, sonnecchiando. Gli orchi avevano intenzione d'attaccare il rifugio di Montolio, Drizzt lo sapeva; ora lui non avrebbe forse dovuto sferrare il primo colpo? La coscienza di Drizzt lo tradì. Scese dall'enorme acero e fuggì dall'accampamento, lasciando l'orco a sonnecchiare nel suo comodo cantuccio. *
*
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Montolio, con Grido sulla spalla, sedeva su uno dei ponti di corda, in attesa del ritorno di Drizzt. «Stanno venendo per noi» dichiarò il vecchio guardaboschi quando infine il drow arrivò. «Graul è irritato per qualcosa, probabilmente un piccolo incidente al Picco di Rogee.» Montolio indicò a ovest, verso la cresta della montagna dove lui e Drizzt si erano incontrati. «Hai un rifugio sicuro per momenti come questo?» chiese Drizzt. «Credo che gli orchi verranno stanotte stessa, quasi un centinaio, forti e con potenti alleati.»
«Fuggire?» esclamò Montolio. Afferrò una corda vicina e si lasciò oscillare giù fino a scendere accanto al drow, mentre Grido si afferrava alla sua giacca, rovesciandosi lungo il tragitto. «Fuggire dagli orchi? Non ti ho forse detto che gli orchi sono il mio flagello preferito? Nulla al mondo ha un suono più dolce della lama che squarcia il ventre di un orco!» «È necessario che io ti ricordi il nostro svantaggio numerico?» disse Drizzt, sorridendo nonostante la preoccupazione. «Dovresti ricordarlo a Graul!» rise Montolio. «Il vecchio orco deve aver perso il lume della ragione, oppure deve aver coltivato una smisurata forza d'animo, per attaccarci quando è così evidentemente in svantaggio!» L'unica risposta di Drizzt, l'unica possibile risposta a un'affermazione così assurda, fu uno scoppio di risa. «Ma del resto», continuò Montolio, senza perdere un colpo, «scommetto un secchio di trote appena pescate e tre splendidi stalloni che il vecchio Graul non parteciperà al combattimento. Resterà in disparte, tra gli alberi, a osservare e a torcersi le grasse mani, e quando avrà esaurito le sue forze, sarà il primo a fuggire! Non ha mai avuto il coraggio di combattere veramente, non da quando è divenuto sovrano, per lo meno. Direi che ha troppe comodità e che ha troppo da perdere. Bene, gli faremo perdere un po' della sua spavalderia!» Ancora una volta Drizzt non riuscì a trovare le parole per rispondere, e comunque non avrebbe potuto smettere di ridere per quell'assurdità. Tuttavia, Drizzt dovette ammettere l'effetto di scuotimento e di conforto che gli trasmisero le divagazioni di Montolio. «Tu vai a riposarti un po'» disse Montolio, grattandosi il mento ispido e girandosi completamente su se stesso, per prendere di nuovo in considerazione ciò che lo circondava. «Io inizierò i preparativi - resterai stupefatto, te lo prometto - e ti sveglierò tra poche ore.» Gli ultimi mormorii che il drow udì mentre s'infilava nel proprio giaciglio nella tana oscura, conferirono una nuova prospettiva al tutto. «Sì, Grido, era da molto che attendevo quest'occasione» disse Montolio eccitato, e Drizzt non ne dubitò minimamente. *
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Era stata una primavera tranquilla per Kellindil e per i suoi parenti elfi. Erano un gruppo di nomadi, che vagavano per tutta la regione e si riparavano dove trovavano rifugio, tra gli alberi o nelle grotte. La loro passione
era il mondo aperto, danzare sotto le stelle, cantare in armonia con i tumultuosi torrenti montani, cacciare cervi maschi e cinghiali selvatici tra i folti alberi sui fianchi delle montagne. Kellindil riconobbe la paura sul volto del cugino, un'emozione presente di rado all'interno del gruppo spensierato. La vide non appena l'altro elfo entrò nell'accampamento una notte, a tarda ora. Tutti gli altri gli si raccolsero intorno. «Gli orchi si stanno agitando» spiegò l'elfo. «Graul ha trovato una carovana?» chiese Kellindil. Il cugino scrollò il capo e parve confuso. «È troppo tardi per i mercanti» rispose. «Graul ha in mente un'altra preda.» «Il boschetto» dissero vari elfi, all'unisono. Allora l'intero gruppo si volse verso Kellindil, apparentemente ritenendo che il drow fosse sua responsabilità. «Non credo che il drow sia in combutta con Graul» rispose Kellindil alla loro silenziosa domanda. «Con tutti i suoi perlustratori, Montolio l'avrebbe saputo. Se il drow è un amico del guardaboschi, allora non è nostro nemico.» «Il boschetto è a molte miglia da qui» intervenne uno degli altri. «Se vogliamo osservare più da vicino le mosse del sovrano orco, e arrivare in tempo per aiutare il vecchio guardaboschi, allora dobbiamo partire immediatamente.» Senza una parola di dissenso, gli elfi nomadi raccolsero il materiale necessario, soprattutto archi lunghi e frecce di riserva. Partirono appena pochi minuti più tardi, correndo nei boschi e sui sentieri di montagna, senza fare più rumore di una dolce brezza. *
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Drizzt si svegliò presto, nel pomeriggio, e si trovò dinnanzi uno spettacolo sbalorditivo. La giornata si era oscurata con nuvole grigie, ma sembrava ancora luminosa al drow mentre strisciava fuori dalla sua tana e si stiracchiava. In alto, sopra di lui, vide il guardaboschi che strisciava intorno ai rami superiori di un alto pino. La curiosità di Drizzt si trasformò in orrore quando Montolio, ululando come un lupo selvaggio, saltò giù dall'albero a braccia e gambe aperte. Montolio indossava un'imbracatura di corda, fissata al tronco sottile del pino. Mentre si librava, il suo slancio piegò l'albero, e il guardaboschi sce-
se con leggerezza, piegando il pino quasi a metà. Non appena toccò terra, si alzò in piedi e fissò l'imbracatura di corda intorno ad alcune grosse radici. Drizzt osservò la scena e si rese conto del fatto che vari pini erano stati piegati in questo modo, tutti puntavano verso occidente ed erano fissati da corde collegate. Mentre si faceva strada con cautela verso Montolio, Drizzt passò vicino a una rete, vari fili tesi a terra che facevano scattare delle trappole e una corda particolarmente pericolosa, su cui erano fissati una decina o più di coltelli a doppia lama. Allo scattare della trappola, gli alberi sarebbero tornati su e lo stesso avrebbe fatto questa corda, a rischio e pericolo di qualsiasi creatura vi si trovasse accanto. «Drizzt?» chiese Montolio, udendo i passi leggeri. «Adesso stai attento a dove metti i piedi. Non vorrei dover piegare nuovamente tutti questi alberi, anche se ammetto che è piuttosto divertente.» «Sembra che tu abbia portato i preparativi a buon punto» disse Drizzt, avvicinandosi al guardaboschi. «È da molto che aspetto questo giorno» rispose Montolio. «Ho ripercorso questa battaglia cento volte nella mia mente, e so quale corso prenderà.» Si accovacciò e disegnò per terra un ovale allungato, più o meno della forma del boschetto di pini. «Lascia che ti mostri» spiegò, e procedette a disegnare il paesaggio intorno al boschetto con tali particolari e precisione che Drizzt scrollò il capo e guardò di nuovo per assicurarsi che il guardaboschi fosse cieco. Il boschetto consisteva di varie decine d'alberi, situati da nord a sud per circa cinquanta metri e meno della metà di questi in ampiezza. Il terreno s'inclinava in una pendenza graduale ma notevole, e l'estremità settentrionale del boschetto era più bassa della metà dell'altezza di un albero, rispetto all'estremità meridionale. Più a nord il terreno era accidentato e disseminato di massi tondeggianti, con macchie d'erba irregolari, improvvisi dislivelli, ed era attraversato da sentieri molto serpeggianti. «La loro forza principale giungerà da occidente» spiegò Montolio, indicando al di là della parete di roccia e dall'altra parte del praticello, verso un paio di folti boschetti costretti tra le molte sporgenze di roccia e le pareti a picco. «È l'unico punto da cui possono giungere insieme.» Drizzt esaminò rapidamente l'area circostante e non si dichiarò in disaccordo. Dall'altra parte del boschetto, a est, il terreno era scabro e accidentato. Un esercito che caricasse da quella direzione sarebbe giunto nel prato d'erba alta quasi in fila indiana, direttamente tra due alti cumuli di pietre, e
sarebbe stato un facile bersaglio per l'arco micidiale di Montolio. A sud, al di là del boschetto, il pendio si faceva più ripido, un luogo perfetto per gli orchi lanciatori di lance e per gli arcieri, se non fosse stato per il fatto che proprio sopra alla cresta più vicina incombeva un profondo burrone con una parete praticamente impossibile da scalare. «Non avremo nessun problema da sud» disse Montolio, quasi come se avesse letto nei pensieri di Drizzt. «E se essi provengono da nord, correranno in salita per raggiungerci. Conosco Graul. Con una tale preponderanza numerica caricherà il suo nemico direttamente da occidente, cercando di annientarci.» «Per questo hai preparato gli alberi» notò Drizzt pieno d'ammirazione. «E la rete e la corda con i coltelli.» «Astuzia». Montolio si congratulò con se stesso. «Ma ricorda, ho avuto cinque anni per prepararmi a questo. Vieni, adesso. Gli alberi non sono che l'inizio. Ho dei compiti per te mentre finisco con la trappola d'alberi.» Montolio condusse Drizzt a un'altra tana segreta e celata da una coperta. All'interno erano appesi fili di strani oggetti di metallo, che assomigliavano a fauci d'animali, con una solida catena collegata alla base. «Trappole» spiegò Montolio. «I cacciatori di pellicce le sistemano sulle montagne. Perfidi oggetti. Io le trovo - Grido è particolarmente abile nell'individuarle - e le porto via. Avrei voluto avere gli occhi per vedere il cacciatore che si grattava la testa quando andava a riprenderle una settimana più tardi!» «Questa apparteneva a Roddy McGristle» continuò Montolio, tirando giù il più vicino di quegli aggeggi. Il guardaboschi la pose per terra e usò i piedi con cautela per separare le ganasce fino a farle aprire completamente. «Questo dovrebbe rallentare un orco» disse Montolio, afferrando un vicino bastone e battendo intorno finché non colpì il meccanismo di scatto. Le fauci di ferro della trappola si chiusero di scatto, la forza del colpo spezzò di netto il bastone e strappò di mano a Montolio la restante metà. «Ne ho raccolte più di una ventina» disse arcignamente Montolio, ritraendosi al perfido suono delle fauci di ferro. «Non ho mai pensato di usarle perfidi oggetti - ma contro Graul e i suoi, le trappole potrebbero semplicemente compensare parte del danno che hanno provocato.» Drizzt non ebbe bisogno d'ulteriori istruzioni. Portò le trappole nel prato occidentale, le sistemò e le nascose, e fissò con picchetti le catene a qualche metro di distanza. Ne pose alcune anche appena al di là del muro di pietra, pensando che il dolore che potevano causare ai primi orchi in arrivo
avrebbe sicuramente rallentato quelli che seguivano. Ormai Montolio aveva finito con gli alberi; ne aveva piegati e legati più di una dozzina. Ora il guardaboschi si trovava su un ponte di corda che correva da nord a sud, stava fissando una fila di balestre lungo i sostegni occidentali. Una volta sistemate e caricate, Montolio o Drizzt potevano semplicemente passare di corsa lungo la fila, scoccando le frecce al proprio passaggio. Drizzt aveva intenzione d'andarlo ad aiutare, ma prima aveva in mente un altro trucco. Tornò al nascondiglio delle armi e prese il ranseur alto e pesante che aveva visto in precedenza. Trovò una robusta radice nell'area dove progettava d'opporre resistenza e scavò un foro dietro a questa. Posò giù l'arma, con l'asta di metallo di traverso rispetto a questa radice, lasciando soltanto più o meno trenta centimetri dell'estremità smussata che fuoriuscivano al di sopra del buco, poi la coprì completamente con erba e foglie. Aveva appena finito quando il guardaboschi lo chiamò di nuovo. «Qui c'è ancora il meglio» disse Montolio, e sul suo volto balenò il sorriso ironico. Condusse Drizzt a un tronco spaccato, era cavo ed era stato bruciato fino a divenire liscio, e ricoperto di pece per sigillare tutte le eventuali fessure. «Un'ottima imbarcazione per quando il fiume è in piena e fluisce lento» spiegò Montolio. «E ottima per contenere il brandy di Adbar» aggiunse con un altro sorriso. Drizzt, non comprendendo, l'osservò con curiosità. Più di una settimana prima Montolio aveva mostrato a Drizzt i suoi barilotti di quella forte bevanda, un dono che il guardaboschi aveva ricevuto per aver messo in guardia i membri di una carovana di Sundabar, avvertendoli dell'intenzione di Graul di tendere loro un'imboscata, ma l'elfo scuro non capì quale scopo avesse Montolio nel versare la bevanda in un tronco cavo. «Il brandy di Adbar è roba potente» spiegò Montolio. «Brucia meglio dell'olio migliore.» Ora Drizzt capiva. Insieme, lui e Montolio trasportarono fuori il tronco e lo sistemarono all'estremità dell'unico passaggio da oriente. Vi versarono del brandy, poi lo coprirono di foglie ed erba. Quando tornarono al ponte di corda, Drizzt vide che Montolio aveva già effettuato i preparativi su quest'estremità. Un'unica balestra era posta verso oriente, il suo quadrello carico aveva avvolto in punta uno straccio inzuppato d'olio e vicino c'erano una pietra focaia e un acciarino. «Dovrai mirare tu» spiegò Montolio. «Senza Grido non posso essere si-
curo, e anche con l'uccello, talvolta miro troppo in alto.» Ora la luce del giorno era quasi completamente scomparsa, e l'acuta vista notturna di Drizzt individuò ben presto il tronco spaccato. Montolio aveva costruito molto bene i sostegni lungo il ponte di corda, proprio con questo scopo in mente, e dopo alcuni adattamenti di minore importanza, Drizzt puntò l'arma sull'obiettivo. Tutte le principali difese erano al loro posto, e Drizzt e Montolio si affaccendavano a ultimare le loro strategie. Di tanto in tanto Grido o qualche altro gufo giungevano di corsa, a comunicare notizie. Uno arrivò con l'attesa conferma: Re Graul e la sua banda erano in marcia. «Ora puoi chiamare Guenhwyvar» disse Montolio. «Verranno stanotte.» «Sciocchi» disse Drizzt. «La notte ci è favorevole. Tu sei comunque cieco e non hai bisogno della luce del giorno, e io preferisco sicuramente l'oscurità.» Il gufo gridò di nuovo. «La schiera principale giungerà da occidente» disse Montolio a Drizzt, compiaciuto. «Proprio come avevo previsto. Ventine di orchi e per di più un gigante! Grido sta tenendo d'occhio un altro gruppo più piccolo che si è staccato dal primo.» L'accenno al gigante mandò un brivido lungo la spina dorsale di Drizzt, ma lui aveva tutte le intenzioni di combatterlo personalmente, aveva già pronto un piano. «Voglio attirare il gigante verso di me» disse. Montolio si volse verso di lui con curiosità. «Vediamo quale piega prende la battaglia» propose il guardaboschi. «C'è un unico gigante - uno di noi due lo sistemerà.» «Voglio attirare il gigante verso di me» ripeté Drizzt, con maggiore fermezza. Montolio non poteva vedere la tensione nella mandibola del drow o i fuochi brucianti negli occhi color lavanda di Drizzt, ma il guardaboschi non poté opporsi alla determinazione insita nella voce di Drizzt. «Mangura bok woklok» disse il vecchio, e sorrise nuovamente, sapendo che la strana espressione aveva colto di sorpresa il drow. «Mangura bok woklok» dichiarò nuovamente Montolio. «"Stupido testa di legno", tradotto letteralmente. I giganti di pietra odiano quella frase - li spinge ogni volta a lanciarsi alla carica!» «Mangura bok woklok» pronunciò piano Drizzt tra sé. Doveva ricordarselo. 18
La battaglia del boschetto di Mooshie Drizzt notò che Montolio appariva notevolmente turbato dopo che Grido, tornato con altre notizie, ripartì. «Le forze di Graul si sono divise?» chiese. Montolio annuì, con espressione torva. «Orchi che cavalcano worg - appena un pugno d'individui - stanno aggirandoci a occidente.» Drizzt guardò fuori al di là del muro di pietra, verso il passo difeso dal trogolo di brandy. «Possiamo fermarli» disse. Tuttavia l'espressione del guardaboschi rivelava altre cattive notizie. «Un altro gruppo di worg - una ventina o più - sta arrivando da sud.» A Drizzt non sfuggì la preoccupazione del guardaboschi, mentre aggiungeva: «Li sta guidando Caroak. Non avrei mai pensato che anche lui si unisse a Graul.» «Un gigante?» chiese Drizzt. «No, un lupo invernale» rispose Montolio. A quelle parole Guenhwyvar appiattì gli orecchi e ringhiò furiosamente. «La pantera sa» disse Montolio mentre Drizzt continuava a osservare stupefatto. «Un lupo invernale è una perversione della natura, un influsso malefico contrario alle creature che seguono l'ordine naturale, e perciò nemico di Guenhwyvar.» La pantera nera ringhiò di nuovo. «Si tratta di una grossa bestia», proseguì Montolio, «e troppo furba per essere un lupo. Ho combattuto contro Caroak in precedenza. Solo lui potrebbe metterci in grave difficoltà! Con i worg che lo sostengono, e noi impegnati nella lotta contro gli orchi, potrebbe averla vinta.» Guenhwyvar ringhiò per la terza volta e graffiò il terreno con i grandi artigli. «Guenhwyvar si occuperà di Caroak» notò Drizzt. Montolio si avvicinò e afferrò la pantera per gli orecchi, trattenendo lo sguardo di Guenhwyvar con la sua espressione cieca. «Guardati dall'alito del lupo» disse il guardaboschi. «È un cono di ghiaccio che ti congelerà i muscoli fino alle ossa. L'ho visto stroncare un gigante in quel modo!» Montolio si volse verso Drizzt e capì che il drow aveva un'espressione preoccupata. «Guenhwyvar deve tenerli lontani da noi finché non saremo in grado di respingere Graul e il suo gruppo», disse il guardaboschi, «poi potremo occuparci di Caroak.» Lasciò gli orecchi della pantera e accarezzò forte
Guenhwyvar sulla collottola. Guenhwyvar ruggì per la quarta volta e schizzò via attraverso il boschetto, una freccia nera mirata al cuore del destino avverso. *
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La principale forza d'attacco di Graul giunse da ovest, come previsto, gridando, urlando e calpestando il sottobosco nella sua avanzata. Le truppe si avvicinarono in due gruppi, distribuiti in entrambi i fitti boschetti. «Mira al gruppo a sud!» gridò Montolio a Drizzt, in posizione sul ponte di corda carico di balestre. «Abbiamo amici nell'altro!» Come a conferma di quanto ordinato dal guardaboschi, nel boschetto settentrionale esplosero improvvisamente urla d'orchi, più simili a grida terrorizzate che a richiami di battaglia. Un coro di ringhi gutturali accompagnava le urla. Drizzt capì che Uragano, l'orso, era giunto puntuale alla chiamata di Montolio, e dai suoni provenienti dal boschetto aveva portato con sé parecchi amici. Drizzt non aveva intenzione d'interrogare la fortuna. Si posizionò dietro la balestra più vicina e lasciò volare il quadrello, mentre i primi orchi uscivano dal boschetto meridionale. Il drow corse rapidamente lungo la fila, facendo scattare i colpi in rapida successione. Da giù, sotto di lui, Montolio lanciò alcune frecce con l'arco, indirizzandole al di là del muro. Tra l'improvviso brulicare d'orchi, Drizzt non riuscì a capire quanti colpi avessero effettivamente colpito il bersaglio, ma le saette sibilanti rallentarono la carica degli orchi e smembrarono le loro fila. Vari orchi si lasciarono cadere sul ventre; alcuni si volsero e si diressero subito tra gli alberi. Tuttavia il grosso del gruppo avanzò, insieme ad alcuni di coloro che correvano fuori dall'altro boschetto per unirsi agli altri. Montolio lanciò un ultimo colpo, poi si fece strada a tentoni e tornò in un recinto riparato posto in posizione arretrata rispetto al punto centrale in cui erano sistemate le trappole costituite dagli alberi piegati; lì sarebbe stato protetto sui tre lati da pareti di legno e alberi. Con l'arco in una mano controllò la spada, poi allungò intorno una mano per toccare una corda situata dalla parte opposta rispetto al punto in cui si trovava. Drizzt notò che il guardaboschi si metteva in posizione sei metri sotto di lui e lateralmente, e immaginò che questa potesse essere la sua ultima opportunità. Individuò un oggetto che pendeva al di sopra della testa di Montolio e vi proiettò un incantesimo.
I quadrelli avevano arrecato una confusione minima alle schiere d'orchi alla carica, ma le trappole si rivelarono più efficaci. Furono calpestate prima da un orco, poi da un altro, e le loro grida s'innalzarono al di sopra del baccano della carica. Mentre altri orchi osservavano il dolore e il pericolo in cui erano incorsi i loro compagni, rallentarono notevolmente o si fermarono del tutto. Con la crescente confusione nel campo, Drizzt effettuò una pausa e prese attentamente in considerazione il suo colpo finale. Notò un grande orco ben equipaggiato, che osservava dai rami più vicini del boschetto settentrionale. Drizzt capì che si trattava di Graul, ma la sua attenzione si spostò immediatamente sulla figura che si trovava in piedi accanto al sovrano orco. «Dannazione» mormorò il drow, riconoscendo McGristle. A questo punto non seppe più che decisione prendere, e iniziò a spostare la mira della balestra da un avversario all'altro. Drizzt voleva colpire Roddy, voleva porre fine lì, immediatamente, al suo tormento personale. Ma Roddy non era un orco, e Drizzt scoprì di provare un senso di repulsione al pensiero di uccidere un umano. «Graul è il bersaglio più importante» si disse il drow, più per sviare il suo tormento interiore che per qualche altra ragione. Rapidamente, prima di poter cambiare nuovamente idea, prese la mira e colpì. Il quadrello fischiò lungo e lontano, andando a piantarsi nel tronco di un albero, pochi centimetri al di sopra della testa di Graul. Roddy afferrò prontamente il sovrano orco e lo attirò nell'ombra più profonda. Al loro posto giunse un gigante di pietra ringhiante, con una roccia in mano. Il masso abbatté gli alberi accanto a Drizzt, scuotendo sia i rami che il ponte. Seguì immediatamente un secondo colpo, questo colse in pieno un palo di sostegno e fece crollare la prima metà del ponte. Drizzt l'aveva visto arrivare, benché fosse rimasto stupefatto e inorridito per la mira prodigiosa a una tale distanza. Mentre la prima metà del ponte cadeva giù sotto di lui, Drizzt balzò fuori, afferrando un groviglio di rami. Quando infine ebbe ripreso contatto con la realtà, si trovò ad affrontare un nuovo problema. Da oriente giungevano gli orchi a cavallo dei worg, brandendo torce. Drizzt guardò prima verso la trappola costituita dal tronco, poi verso la balestra. Questa e il palo che la fissava erano sopravvissuti al colpo del masso, ma il drow non poteva più sperare di raggiungerla, attraversando il ponte vacillante. I capi della schiera principale, che ora si trovavano dietro a Drizzt, in
quel momento raggiunsero il muro di pietra. Fortunatamente il primo orco che balzò in avanti atterrò in pieno su un'altra delle terribili tagliole, e i suoi compagni non si dimostrarono più così bramosi di seguirlo. *
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Guenhwyvar aggirava e superava a balzi le molte fenditure di pietra spaccata che caratterizzavano la discesa a nord. La pantera colse le prime lontane grida di battaglia al boschetto, ma con maggiore attenzione Guenhwyvar udì i ringhi successivi del branco di lupi in avvicinamento. La pantera balzò su una bassa sporgenza e si mise in attesa. Guidava la carica Caroak, l'enorme lupo argentato. Concentrato sul lontano boschetto, la sorpresa del lupo invernale fu completa quando Guenhwyvar gli piombò addosso, graffiando e dilaniando selvaggiamente. Grumi di pelliccia argentata volarono intorno sotto all'assalto. Guaendo, Caroak si tuffò lateralmente, raggomitolandosi su se stesso. Guenhwyvar cavalcava il lupo come un boscaiolo avrebbe potuto far rotolare con i piedi un tronco in un corso d'acqua, graffiando e calciando a ogni passo. Ma Caroak era un vecchio lupo smaliziato, veterano di cento combattimenti. Mentre il mostro rotolava sulla schiena, la pantera fu investita da una raffica di gelo ghiacciato. Guenhwyvar schivò lateralmente, sia per evitare il gelo che per sottrarsi al violento assalto di vari worg. Tuttavia il ghiaccio colse la pantera sul lato del volto, intorpidendo la mascella di Guenhwyvar. Poi iniziò l'inseguimento, con Guenhwyvar che balzava e ruzzolava intorno al branco di lupi, e i worg, con Caroak furibondo, che cercavano di mordere la pantera, standole alle calcagna. *
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A Drizzt e a Montolio non restava molto tempo. Soprattutto il drow sapeva di dover proteggere il loro fianco posteriore. Con movimenti sincronizzati, Drizzt buttò via con un calcio i suoi stivali, prese la pietra focaia in una mano, si mise in bocca l'acciarino e balzò su un ramo che l'avrebbe portato al di sopra della balestra solitaria. La raggiunse un attimo dopo. Tenendosi con una mano, colpì con forza la pietra focaia. Le scintille guizzarono verso il basso, vicino al bersaglio. Drizzt colpì più volte e infine una scintilla raggiunse con sufficiente accu-
ratezza gli stracci inzuppati di petrolio che ricoprivano la punta del quadrello caricato, e li incendiò. Ma a questo punto il drow non fu più molto fortunato. Dondolava e si contorceva, ma non riusciva a portare il piede abbastanza vicino al meccanismo di scatto. Naturalmente Montolio non era in grado di vedere nulla, ma conosceva sufficientemente bene la situazione generale. Udì i worg in avvicinamento nella parte posteriore del boschetto e capì che quelli in posizione frontale avevano varcato il muro. Con l'arco lanciò un'altra freccia attraverso la folta volta d'alberi piegati, semplicemente per maggior sicurezza, e gridò forte per tre volte. In risposta, uno stormo di gufi si precipitò giù dai pini, piombando sugli orchi lungo il muro di pietra. Come le trappole, gli uccelli poterono causare soltanto un minimo danno effettivo, ma la confusione fece guadagnare altro tempo ai difensori. *
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A questo punto l'unico chiaro vantaggio per i difensori del boschetto giunse dalla boscaglia più a nord, dove Uragano e tre dei suoi più cari e più grossi amici orsi avevano abbattuto una decina d'orchi e ne avevano fatti fuggire alla cieca più di una ventina. Un orco in fuga da un orso girò intorno a un albero e andò quasi a sbattere contro Uragano. L'orco si mantenne sufficientemente calmo da protendere in avanti la lancia, ma la creatura non ebbe la forza d'infilare quell'arma rudimentale nella folta pelliccia di Uragano. Uragano rispose con un pesante colpo che fece volare via tra gli alberi la testa dell'orco. Un altro grosso orso arrivò lentamente, con le enormi braccia conserte davanti a sé. L'unico indizio del fatto che l'orso teneva un orco nel suo abbraccio stritolante, erano i piedi dell'orco, che pendevano fuori e scalciavano selvaggiamente sotto alla pelliccia che lo avvolgeva. Uragano vide un altro nemico, più piccolo e più rapido di un orso. L'orso ruggì e si lanciò alla carica, ma la minuscola creatura era sparita da tempo prima che lui riuscisse neppure ad avvicinarsi. Tephanis non aveva alcuna intenzione di prendere parte al combattimento. Era venuto con il gruppo proveniente da nord, soltanto per tenersi lontano dalla vista di Graul, e aveva progettato fin dal principio di rimanere
tra gli alberi e di attendere fuori dalla mischia. Gli alberi non sembravano più così sicuri, perciò lo spiritello se la svignò, con l'intenzione d'entrare nel boschetto meridionale. A circa metà strada, mentre era diretto agli altri boschi, i piani dello spiritello furono nuovamente resi vani. La pura velocità lo portò quasi al di là della trappola prima che si chiudessero le fauci di ferro, ma i perfidi denti afferrarono proprio l'estremità del suo piede. Il susseguente sobbalzo lo lasciò senza fiato e del tutto stordito, a faccia in giù nell'erba. *
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Drizzt sapeva che la fiammella sul quadrello sarebbe stata alquanto rivelatrice, perciò non fu affatto sorpreso al tuonante arrivo di un'altra roccia lanciata da un gigante. Colpì il ramo piegato su cui si trovava Drizzt, e con una serie di schianti, il ramo cadde oscillando. Drizzt agganciò la balestra con il piede mentre cadeva e colpì immediatamente il meccanismo di scatto, prima che l'arma fosse deviata troppo lontano, di lato. Poi mantenne caparbiamente la sua posizione e osservò. Il quadrello infuocato sfrecciò nell'oscurità al di là del muro di pietra orientale. Schizzò basso, sollevando scintille tra l'erba alta, poi andò a sbattere contro il lato esterno del trogolo pieno di brandy. La prima metà degli orchi che cavalcavano i worg passarono attraverso la trappola, ma gli altri tre non furono così fortunati, poiché arrivarono proprio mentre le fiamme lambivano il lato della canoa. Il brandy e la miccia s'incendiarono con gran fragore mentre i cavalieri vi si tuffavano sopra. Worg e orchi s'agitarono nell'erba alta, creando altri focolai d'incendio. Coloro che erano già passati si volsero di scatto all'improvvisa esplosione. Un cavaliere orco venne sbalzato pesantemente e atterrò sulla propria torcia, gli altri due riuscirono a malapena a restare in sella. Al di sopra di qualsiasi altra cosa, i worg odiavano il fuoco, e la vista di tre dei loro compagni che rotolavano intorno, raggomitolati e simili a pelose sfere infiammate, fece ben poco per rafforzare la loro determinazione in questa battaglia. *
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Guenhwyvar giunse a una piccola radura pianeggiante dominata da un unico acero. Eventuali osservatori della corsa della pantera avrebbero sbat-
tuto le palpebre con aria incredula chiedendosi se il tronco dell'albero, verticale, non fosse in realtà un tronco steso sul fianco, tanta fu la rapidità con cui Guenhwyvar vi si arrampicò di corsa. Il branco di worg giunse subito dopo, le bestie si misero ad annusare e a girare vorticosamente intorno, sicure che il felino fosse sull'albero, ma incapaci d'individuare la forma nera di Guenhwyvar tra i rami scuri. La pantera si mostrò ben presto, tuttavia, piombando di nuovo pesantemente sul dorso del lupo invernale, e questa volta facendo attenzione a bloccare le proprie mandibole sull'orecchio di Caroak. Il lupo invernale si dimenò e guaì mentre gli artigli di Guenhwyvar entravano in azione. Caroak riuscì a volgersi e Guenhwyvar lo udì inspirare aspramente, proprio come aveva fatto prima della precedente raffica raggelante. Gli enormi muscoli del collo di Guenhwyvar si flessero, costringendo lateralmente le mandibole di Caroak. Il fiato letale fuoriuscì comunque, investendo direttamente in volto tre worg che stavano giungendo alla carica. I muscoli di Guenhwyvar si torsero e si piegarono di nuovo all'improvviso, la pantera udì il collo di Caroak che si spezzava. Il lupo invernale cadde giù con un tonfo, con Guenhwyvar ancora sopra di sé. I tre worg più vicini a Guenhwyvar, le vittime del fiato ghiacciato di Caroak, non presentavano alcuna minaccia. Uno giaceva sul fianco, ansava cercando di prendere aria, ma questa non si muoveva attraverso i suoi polmoni ghiacciati, un altro girava descrivendo circoli stretti, completamente accecato, e l'ultimo restava perfettamente immobile e si fissava le zampe anteriori che, per qualche ragione, non rispondevano al suo richiamo, rifiutando di muoversi. Il resto del branco, tuttavia, forte di quasi una ventina d'elementi, stava arrivando con metodo, circondando la pantera in un accerchiamento mortale. Guenhwyvar si guardò intorno alla ricerca di qualche via di fuga, ma la corsa dei worg era frenetica e non lasciava spazi aperti. Quei perfidi animali agivano in armonia, spalla a spalla, stringendo il cerchio. *
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Gli orchi al comando giravano disordinatamente in tondo in prossimità del groviglio d'alberi piegati, cercando un modo per passarvi attraverso. Alcuni avevano iniziato ad avanzare, ma l'intera trappola era collegata, e
uno qualunque di una dozzina di fili tesi a terra avrebbe fatto scattare in alto tutti i pini. Poi uno degli orchi trovò la rete di Montolio, nel modo peggiore. Inciampò su una corda, cadde a faccia in giù sulla rete, poi finì per aria, insieme a uno dei suoi compagni. Nessuno dei due avrebbe potuto immaginare come la loro posizione fosse infinitamente migliore rispetto a quella di coloro che si erano lasciati alle spalle, in particolare l'orco che era passato senza sospettare nulla, a gambe larghe, sulla corda piena di coltelli. Quando gli alberi schizzarono verso l'alto, la trappola diabolica fece altrettanto, sventrando la creatura e sollevandola in aria per le caviglie, a testa in giù. Neppure gli orchi che non erano stati presi dalle trappole secondarie fecero una bella fine. Rami intrecciati, irti di spinosi aghi di pino, guizzarono verso l'alto tutt'intorno a loro, mandandone alcuni a fare un bel volo, e disorientando gli altri. Ancor peggio per gli orchi, Montolio usò il suono degli alberi che scattavano, come segnale per aprire il fuoco. Una freccia dopo l'altra scese fischiando dal recinto riparato, e furono più quelle che colpirono il bersaglio che quelle che non lo fecero. Un orco alzò la lancia per tirarla, poi prese una freccia in volto e una nel petto. Un altro essere bestiale si volse e fuggì, gridando freneticamente: «Magia malvagia!» A coloro che stavano attraversando il muro di pietra l'orco urlante parve volare, i suoi piedi sembravano sospesi da terra e velocissimi. Il suo compagno spaventato comprese il motivo di tanta agitazione quando l'orco si accasciò, con l'asta tremante di una freccia che gli fuoriusciva dalla schiena. Drizzt, ancora sul suo precario piedistallo, non ebbe il tempo d'estasiarsi per l'efficiente esecuzione dei piani ben organizzati di Montolio. Da occidente, il gigante si stava muovendo e dietro, dalla parte opposta, i due ultimi orchi a cavallo dei worg si erano ripresi abbastanza da lanciarsi di nuovo alla carica, tenendo alte le torce. *
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L'anello dei worg ringhianti si stringeva. Guenhwyvar riusciva a sentire l'odore dei loro fiati puzzolenti. La pantera non poteva sperare di caricare attraverso i ranghi serrati, né il felino poteva riuscire a passare sopra di loro abbastanza velocemente da fuggire.
Guenhwyvar trovò un'altra strada. Le sue zampe posteriori fecero perno sul corpo ancora fremente di Caroak, e la pantera sfrecciò direttamente verso l'alto, per sei metri e più. Guenhwyvar colse il ramo inferiore dell'acero con i lunghi artigli anteriori e vi si agganciò, issandosi. Poi la pantera scomparve tra i rami, lasciando il branco frustrato a ululare e a ringhiare. Tuttavia Guenhwyvar riapparve rapidamente, uscì di lato, tornò a terra e il branco intraprese l'inseguimento. La pantera era giunta a conoscere il terreno piuttosto bene nelle ultime settimane, e ora aveva pensato al luogo esatto dove condurre i lupi. Corsero lungo una cresta, con un vuoto oscuro e incombente sul fianco sinistro. Guenhwyvar tenne ben conto dei massi e dei pochi alberi sparsi. La pantera non poteva vedere il bordo opposto del precipizio e dovette fidarsi completamente della propria memoria. Incredibilmente veloce, Guenhwyvar ruotò all'improvviso e balzò fuori nella notte, atterrando con leggerezza dall'altra parte dell'ampia voragine e lanciandosi velocemente verso il boschetto. I worg avrebbero dovuto effettuare un lungo salto troppo lungo per la maggior parte di loro - o sarebbero dovuti girare intorno per un lungo tratto, se avevano intenzione di seguirla. I worg salirono lentamente, ringhiando e grattando il terreno. Uno di loro si puntò sul bordo del precipizio con l'intenzione di tentare il balzo, ma una freccia gli penetrò con violenza nel fianco, annullando la sua determinazione. I worg non erano creature stupide, e la vista della freccia li pose sulla difensiva. La scarica successiva da parte di Kellindil e dei suoi compagni, fu più di quanto essi si fossero aspettati. Dozzine di frecce giunsero fischiando, abbattendo i worg dove si trovavano. Soltanto alcuni sfuggirono a quel fuoco di fila, e si disseminarono senz'indugio negli angoli della notte. *
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Drizzt fece appello a un altro trucco magico per fermare gli orchi che portavano le torce. Fuoco fatato, fiamme guizzanti e innocue, apparvero improvvisamente sotto ai fuochi delle torce, scendendo lungo gli strumenti di legno, fino a lambire le mani degli orchi. Il fuoco fatato non bruciava non era neppure caldo - ma quando gli orchi videro le fiamme che avvolgevano le loro mani, non erano certo in condizioni di comportarsi razionalmente. Uno di loro lanciò lontano la torcia, e quello scatto gli costò l'equilibrio
in sella. Rotolò giù nell'erba, e il worg si volse un'altra volta ancora e ringhiò pieno di frustrazione. L'altro orco si limitò a lasciar cadere la propria torcia, che finì sulla testa dell'animale. Scintille e fiamme sprizzarono dal folto mantello del worg, bruciandogli occhi e orecchi, e la bestia impazzì. Si lasciò cadere rotolando a capofitto, piombando proprio sull'orco stupefatto. L'orco tornò in piedi vacillando, stordito e ammaccato, allargando le braccia come per scusarsi. Tuttavia il worg ustionato non era minimamente interessato alle sue scuse. Balzò subito sull'orco e serrò le possenti mascelle sul volto del malcapitato. Drizzt non vide nulla di tutto questo. Il drow poteva soltanto sperare che il suo trucco avesse funzionato, perché non appena ebbe lanciato l'incantesimo, abbandonò l'appiglio del suo piede sulla balestra e lasciò che il ramo spezzato lo portasse giù a terra. Due orchi, vedendo finalmente un obiettivo, corsero verso il drow mentre lui atterrava, ma non appena le mani di Drizzt furono libere dal ramo, lui impugnò le scimitarre. Gli orchi avanzarono, ignari, e Drizzt sbatté di lato le loro armi e li abbatté. Il drow incontrò altra resistenza sparsa mentre si faceva strada verso il luogo che aveva accuratamente predisposto. Sul suo volto si dipinse un sorriso torvo quando finalmente sentì l'asta di metallo del ranseur sotto ai piedi nudi. Ricordò i giganti di Maldobar, che avevano massacrato la famiglia innocente, e trasse conforto dal fatto che ora avrebbe ucciso un altro membro della loro malvagia specie. «Mangura bok woklok!» gridò Drizzt, ponendo un piede sul fulcro della radice e l'altro sull'estremità smussata dell'arma nascosta. *
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Montolio sorrise quando udì il richiamo del drow, acquistando fiducia dalla vicinanza del potente alleato. Il suo arco vibrò qualche volta ancora, ma il guardaboschi intuì che gli orchi stavano arrivando verso di lui girandogli intorno, usando i folti alberi come copertura. Il vecchio attese, allettandoli ad avanzare. Poi, poco prima che gli piombassero addosso, Montolio lasciò cadere il suo arco, estrasse con gesto rapido la spada e colpì la corda al suo fianco, appena sotto a un grosso nodo. La corda recisa guizzò in aria, il nodo si bloccò in corrispondenza di una biforcazione nel ramo più basso, e lo scudo di Montolio scese, restando appeso precisamente all'altezza giusta per il braccio del guardaboschi, che non aspettava altro.
L'oscurità aveva scarsa rilevanza per il guardaboschi cieco, ma i pochi orchi arrivati contro Montolio si ritrovarono in una posizione precaria. Essi si urtarono e ondeggiarono selvaggiamente - uno abbatté il proprio fratello - mentre Montolio classificava la mischia e si poneva metodicamente all'opera. Nel giro di un minuto, quattro dei cinque che erano giunti contro di lui erano morti o moribondi, e il quinto era fuggito. Lungi dall'essere soddisfatto, il guardaboschi e la sua sfera di tenebre portatile si lanciarono all'inseguimento, alla ricerca di voci o di suoni che lo guidassero verso altri orchi. Ancora una volta giunse il grido che fece sorridere Montolio. *
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«Mangura bok woklok!» gridò di nuovo Drizzt. Un orco tirò una lancia al drow, e Drizzt la deviò prontamente di lato con un colpo. Ora l'orco lontano era disarmato, ma Drizzt non volle inseguirlo, mantenendo decisamente la propria posizione. «Mangura bok woklok!» gridò di nuovo Drizzt. «Vieni, stupido testa di legno!» Questa volta il gigante, che si stava avvicinando al muro in direzione di Montolio, udì le parole. Il grande mostro esitò un attimo, osservando il drow con curiosità. Drizzt non mancò l'opportunità. «Mangura bok woklok!» Con un urlo e un pestone che fece tremare la terra, il gigante praticò una breccia con un calcio nel muro di pietra e avanzò a lunghi passi verso Drizzt. «Mangura bok woklok!» disse Drizzt per sicurezza, piantandosi bene in equilibrio. Il gigante si mise a correre all'impazzata, sbaragliando orchi terrorizzati davanti a sé e sbattendo insieme furiosamente la pietra e la clava che portava. Farfugliò un migliaio di maledizioni a Drizzt in quei pochi secondi, parole che il drow non avrebbe mai decifrato. Tre volte più alto del drow e notevolmente più pesante, il gigante incombeva su Drizzt, e la sua corsa parve sicuramente destinata a seppellire Drizzt nel punto in cui lui lo attendeva con calma. Quando il gigante giunse a soli due lunghi passi da Drizzt, pienamente impegnato sulla sua rotta di collisione, Drizzt spostò tutto il suo peso sul piede arretrato. L'estremità smussata del ranseur piombò nel buco. La sua punta s'inclinò verso l'alto.
Drizzt balzò all'indietro non appena il gigante finì sul ranseur. La sommità dell'arma e le sue punte uncinate affondarono nel ventre del gigante, salirono verso l'alto attraverso il suo diaframma e dentro al cuore e ai polmoni. L'asta di metallo s'inarcò e sembrò che si rompesse mentre la sua estremità smussata si conficcava per più di trenta centimetri nel terreno. Il ranseur resistette e il gigante fu freddato. Lasciò cadere la mazza e la roccia, cercò inutilmente d'afferrare l'asta di metallo con mani che non avevano neppure la forza di stringersi intorno a essa. Gli occhi enormi parvero uscirgli dalle orbite in un'espressione di rifiuto, terrore e assoluta sorpresa. La grande bocca si aprì del tutto e si contorse stranamente, ma non riuscì neppure a trovare il fiato per urlare. Anche Drizzt quasi gridò, ma bloccò le proprie parole prima di pronunciarle. «Stupefacente» disse, volgendosi di nuovo a guardare verso il punto in cui Montolio stava combattendo, perché il grido che stava per lanciare era di lode alla dea Mielikki. Drizzt scrollò il capo impotente e sorrise, sbigottito di fronte alle acute percezioni del compagno che non era poi così cieco. Con quei pensieri in mente e un senso di rettitudine nel cuore, Drizzt corse lungo l'asta e colpì la gola del gigante con entrambe le armi. Continuò. Salì direttamente sulla spalla del gigante e sulla sua testa e poi balzò giù verso un gruppo d'orchi che osservavano, gridando mentre così faceva. La vista del gigante, il loro punto di forza, ridotto in quello stato, tremante e ansante, aveva già innervosito gli orchi, ma quando il mostro drow dalla pelle d'ebano e dagli occhi selvaggi balzò verso di loro, essi ruppero completamente le fila. La carica di Drizzt lo portò ai due più vicini, che abbatté prontamente proseguendo la sua corsa. Sei metri alla sinistra del drow, una sfera di tenebre rotolò fuori dagli alberi, spingendo davanti a sé una dozzina d'orchi spaventati. Gli orchi sapevano che cadere all'interno di quel globo impenetrabile significava trovarsi alla portata dell'eremita cieco, e di conseguenza morire. *
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Due orchi e tre worg, tutto ciò che restava degli orchi che recavano le torce, si raggrupparono e scivolarono silenziosamente verso l'estremità orientale del boschetto. Essi credevano che se fossero riusciti a giungere alle spalle dei nemici, avrebbero potuto ancora vincere il combattimento. L'orco più a nord non vide la forma nera che gli si lanciava contro.
Guenhwyvar lo abbatté e continuò la carica, sicura che non si sarebbe mai rialzato. Un worg era il prossimo della fila. Più rapido a reagire dell'orco, il worg si volse di scatto e affrontò la pantera, con i denti scoperti e le mandibole scattanti. Guenhwyvar ringhiò, arrestandosi proprio a breve distanza da esso. Grandi artigli colpirono alternativamente in una serie di sventole. Il worg non era in grado di competere con la velocità del felino. Spostò le fauci da una parte all'altra, sempre un attimo troppo tardi per tenere il ritmo con le zampe guizzanti. Dopo soltanto cinque zampate, il worg fu sconfitto. Un occhio gli si era chiuso per sempre, la lingua, mezza strappata, gli penzolava inutilmente da un lato della bocca, e la mandibola inferiore non era più in linea con quella superiore. Soltanto la presenza di altri obiettivi salvò il worg, perché quando esso si volse e fuggì da dove era venuto, Guenhwyvar, vedendo una preda più vicina, non lo seguì. *
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Drizzt e Montolio avevano spinto nuovamente la maggior parte della forza d'invasione al di là del muro di pietra. «Magia funesta!» era il grido generale degli orchi, in preda alla disperazione. Grido e i suoi compagni gufi contribuirono ad aumentare la frenesia del gruppo, piombando improvvisamente sui volti degli orchi, pizzicando con un artiglio o un becco, poi volando via di nuovo precipitosamente in cielo. Un altro orco ancora scoprì una delle trappole mentre cercava di fuggire. Cadde ululando e strillando, e le sue grida non fecero che accrescere il terrore dei suoi compagni. «No!» gridò incredulo Roddy McGristle. «Hai lasciato che due individui sconfiggessero tutte le tue forze!» Lo sguardo furioso di Graul si posò sull'uomo corpulento. «Possiamo bloccare la ritirata degli orchi» disse Roddy. «Se ti vedono torneranno nella mischia.» La valutazione del montanaro non era sbagliata. Se Graul e Roddy avessero effettuato il loro ingresso allora, gli orchi, che erano ancora in più di cinquanta, si sarebbero potuti raggruppare nuovamente. Avendo esaurito la maggior parte delle loro trappole, Drizzt e Montolio si sarebbero trovati davvero in una posizione precaria! Ma il sovrano orco aveva notato che a nord si stava preparando un altro problema e aveva deciso, nonostante le proteste di Roddy, che semplicemente non valeva la pena di rischiare tanto per il vecchio e l'elfo scuro.
La maggior parte degli orchi nel campo udirono il nuovo pericolo prima di vederlo, perché Uragano e i suoi amici erano un gruppo rumoroso. L'ostacolo più grosso che gli orsi trovarono attraversando le fila degli orchi, fu quello di scegliere un unico obiettivo nella propria folle corsa. Annientavano gli orchi mentre passavano, poi li inseguivano nel boschetto e oltre, direttamente fino alle tane presso il fiume. Era primavera inoltrata; l'aria era carica d'energia ed eccitazione, e a questi orsi giocherelloni piaceva immensamente schiacciare gli orchi! *
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L'intera orda di corpi in fuga sciamò direttamente accanto allo sveltelfo caduto. Quando Tephanis si svegliò, scoprì di essere l'unico rimasto vivo sul campo inondato di sangue. Gemiti e grida si diffondevano da occidente, la banda in fuga, e clamori di battaglia risuonavano ancora nel boschetto del guardaboschi. Tephanis capì che il suo ruolo nella battaglia, per quanto fosse stato minore, era terminato. Un dolore tremendo si diffondeva lungo la gamba dello spiritello, un dolore superiore a qualsiasi altro avesse mai provato. Abbassò lo sguardo sul piede maciullato, e con orrore si rese conto che l'unico modo per uscire da quella trappola terribile era completare quel taglio raccapricciante, e così facendo avrebbe perso l'estremità del piede e tutte le cinque dita. Non si trattava di un compito difficile - il piede era rimasto appeso soltanto per un sottile pezzetto di pelle - e Tephanis non esitò, temendo che il drow giungesse da un momento all'altro e lo trovasse. Lo sveltelfo soffocò il grido e coprì la ferita con la camicia strappata, poi si allontanò zoppicando - lentamente - tra gli alberi. *
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L'orco strisciò avanzando in silenzio, lieto d'essere coperto dal fragore della lotta tra la pantera e un worg. Tutti i pensieri d'uccidere il vecchio e il drow avevano ormai abbandonato quest'orco; aveva visto i suoi compagni inseguiti da un branco d'orsi. Ora quell'essere bestiale desiderava soltanto trovare una via d'uscita, compito non facile nel folto e basso groviglio di rami di pino. Passò su alcune foglie secche mentre giungeva in una radura, e rimase raggelato a causa del crepitio prodotto. L'orco guardò a sinistra, poi riportò
lentamente la testa a destra. All'improvviso saltò e si volse di scatto, aspettandosi un attacco da dietro. Ma tutto era libero per quanto poteva vedere, e tutto era tranquillo, tranne i distanti ringhi della pantera lontana e i guaiti del worg. L'orco emise un profondo sospiro di sollievo e cercò di nuovo il sentiero. Si fermò improvvisamente d'istinto e gettò la testa all'indietro per guardare verso l'alto. Una forma scura era acquattata su un ramo proprio sopra la testa dell'orco, e il bagliore argenteo guizzò giù prima che lui potesse iniziare a reagire. La curva della lama della scimitarra si rivelò perfetta per scivolare intorno al mento dell'orco e per affondarsi nella gola. L'orco rimase immobile, le braccia allargate, in preda agli spasmi, cercò d'urlare, ma aveva la laringe lacerata in due in tutta la sua lunghezza. La scimitarra venne ritratta in un lampo e l'orco cadde all'indietro, tra le braccia della morte. A non molta distanza, un altro orco riuscì finalmente a uscire dalla rete penzolante e liberò con rapidità il suo compagno, tagliandola. I due, infuriati e nient'affatto ansiosi di fuggire senza combattere, avanzarono strisciando furtivi. «Nell'oscurità» spiegò il primo mentre attraversavano un gruppo d'alberi e trovavano il paesaggio offuscato da un globo impenetrabile. «Dentro.» Insieme, gli orchi sollevarono le lance e tirarono, ringhiando selvaggiamente per lo sforzo. Le lance scomparvero nel globo di tenebre, proprio nel mezzo, una andò a sbattere contro un oggetto di metallo, ma l'altra colpì qualcosa di più morbido. Le grida di vittoria degli orchi vennero troncate di netto da due vibrazioni d'arco. Una delle creature vacillò in avanti, morta prima di toccare terra, ma l'altra, mantenendo caparbiamente il proprio equilibrio, riuscì ad abbassare lo sguardo sul proprio petto, verso la punta di una freccia che fuoriusciva. Visse abbastanza a lungo per vedere Montolio che gli passava accanto con indifferenza e scompariva nell'oscurità per recuperare il suo scudo. Drizzt osservò il vecchio da lontano, scuotendo la testa e meravigliandosi. *
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«È finita» disse il ricognitore elfo agli altri, quando lo raggiunsero tra i massi tondeggianti appena a sud del boschetto di Mooshie.
«Non ne sono così sicuro» rispose Kellindil, volgendosi a guardare con curiosità a occidente e udendo l'eco di ringhi d'orso e urla d'orco. Kellindil sospettava che dietro a quest'attacco non ci fosse soltanto Graul e, sentendosi in qualche modo responsabile per il drow, voleva sapere di che cosa potesse trattarsi. «Il guardaboschi e il drow hanno vinto nel boschetto» spiegò il ricognitore. «D'accordo», disse Kellindil, «e perciò la vostra parte è terminata. Tornate tutti all'accampamento.» «E tu ci raggiungerai?» chiese uno degli elfi, pur avendo già indovinato la risposta. «Se il destino lo vorrà» rispose Kellindil. «Per ora ho altre faccende di cui occuparmi.» Gli altri non interrogarono ulteriormente Kellindil. Lui si recava di rado nel loro reame e non restava mai per molto. Kellindil era un avventuriero, la strada era la sua casa. Partì immediatamente, correndo per raggiungere gli orchi in fuga, poi ponendosi parallelo ai loro movimenti, restando un po' a sud. *
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«Erano solo in due e ti sei lasciato sconfiggere!» brontolò Roddy quando lui e Graul ebbero un momento per fermarsi a riprendere il fiato. «Due soli!» La risposta di Graul giunse con una pesante mazzata. Roddy bloccò parzialmente il colpo, ma il suo peso lo gettò all'indietro. «Pagherai per questo!» ringhiò il montanaro, strappandosi Sanguinaria dalla cintura. Allora una decina degli scagnozzi di Graul apparvero accanto al sovrano orco e compresero immediatamente la situazione. «Tu hai portato la rovina su di noi!» scattò Graul contro Roddy. Poi urlò ai propri orchi: «Uccidetelo!» Il cane di Roddy fece inciampare il più vicino del gruppo e Roddy non aspettò che gli altri lo raggiungessero. Si volse e fuggì nella notte, usando ogni trucco a lui noto per restare alla testa della banda d'inseguitori. I suoi sforzi si rivelarono rapidamente validi - gli orchi non avevano realmente voglia di combattere ancora, quella notte - e Roddy avrebbe fatto bene a smettere di guardarsi alle spalle. Udì un fruscio in alto, davanti a sé, e si volse appena in tempo per venir
colpito in pieno volto dal pomo d'una spada oscillante. Il peso del colpo, moltiplicato dallo slancio stesso di Roddy, fece piombare il montanaro direttamente a terra e in uno stato d'incoscienza. «Non sono affatto sorpreso» disse Kellindil, incombendo sul corpo che si dibatteva. 19 Strade che si dividono Il trascorrere di otto giorni non aveva alleviato minimamente il dolore al piede di Tephanis. Lo spiritello camminava lentamente come meglio poteva, ma ogni qualvolta cercava di guizzare via, girava inevitabilmente di lato e molto spesso andava a sbattere contro un cespuglio o, peggio, contro l'inflessibile tronco di un albero. «Vuoi-smettere-di-ringhiarmi-contro, stupido-cane!» disse aspramente Tephanis rivolto al cane bastardo con cui stava dal giorno successivo alla battaglia. Nessuno dei due si trovava ancora a proprio agio con l'altro. Tephanis si lamentava spesso del fatto che questo brutto bastardo non somigliava minimamente a Caroak. Ma Caroak era morto; lo sveltelfo aveva trovato il corpo straziato del lupo invernale. Un altro compagno annientato, e ora lo spiritello era nuovamente solo. «Solo-se-non-fosse-per-te, stupido-cane!» si lamentava. Il cane scoprì i denti e ringhiò. Tephanis desiderò aprirgli la gola, desiderò correre su e giù per tutta la lunghezza dell'animale rognoso, tagliando e squarciando ogni centimetro della sua pelle. Vide il sole basso nel cielo, tuttavia, e capì che il cane si sarebbe ben presto potuto rivelare utile. «È-ora-che-io-vada!» disse in un lampo lo sveltelfo. Più velocemente di come il cane potesse reagire, Tephanis guizzò accanto a lui, afferrò la corda che aveva legato intorno al collo del cane ed effettuò rapidamente tre giri completi di un albero vicino. Il cane lo seguì, ma Tephanis si mantenne facilmente lontano dalla sua portata finché il guinzaglio non si tese di scatto, tirandosi direttamente dietro il cane. «Torno-subito, stupidoessere!» Tephanis percorse rapidamente i sentieri della montagna, sapendo che quella di questa notte poteva essere la sua ultima opportunità. Le luci di Maldobar ardevano in lontananza, ma fu una luce diversa, quella del fuoco di un accampamento, a guidare lo sveltelfo. Giunse al bivacco appena po-
chi minuti più tardi, lieto di vedere che l'elfo non si trovava nelle vicinanze. Trovò Roddy McGristle seduto alla base di un albero enorme, le braccia dietro di sé, legate ai polsi e passate intorno al tronco. Il montanaro sembrava un essere miserabile - miserabile quanto il cane - ma Tephanis non aveva alternative. Ulgulu e Kempfana erano morti, Caroak era morto, e Graul, dopo il disastro al boschetto, aveva addirittura posto una taglia sulla testa dello sveltelfo. Perciò restava soltanto Roddy - una scelta di ripiego, ma Tephanis non aveva alcun desiderio di doversi guadagnare da vivere da solo. Giunse velocemente, senza farsi notare, passò dietro l'albero e sussurrò all'orecchio del montanaro: «Domani-sarai-a-Maldobar.» Roddy rimase raggelato all'udire quella voce inattesa e stridula. «Domani sarai a Maldobar» ripeté Tephanis, più lentamente che poté. «Vattene» gli ringhiò contro Roddy, pensando che lo spiritello lo stesse prendendo in giro. «Dovresti-essere-più-gentile-con-me, oh-sì-dovresti!» Scattò di rimando Tephanis. «Sai, l'elfo-ha-intenzione-d'incarcerarti. Per-crimini-contro-ilguardaboschi-cieco.» «Chiudi il becco» ringhiò McGristle, più forte di quanto avesse voluto. «Che cosa c'è?» gridò Kellindil, da non molto lontano. «Ecco, adesso-l'hai-fatta-grossa, stupido-uomo!» sussurrò Tephanis. «Ti avevo detto di andare via!» rispose Roddy. «Potrei, e-poi-dove-finiresti? In-prigione?» disse furiosamente Tephanis. «Posso-aiutarti-ora, se-vuoi-il-mio-aiuto.» Roddy stava cominciando a capire. «Slegami le mani» ordinò. «Sono-già-sciolte» rispose Tephanis, e Roddy scoprì che le parole dello spiritello erano vere. Iniziò ad alzarsi ma cambiò improvvisamente idea quando Kellindil entrò nell'accampamento. «Resta-immobile» lo consigliò Tephanis. «Distrarrò-l'elfo-che-ti-hacatturato.» Tephanis si era spostato mentre pronunciava quelle parole e Roddy udì soltanto un mormorio indecifrabile. Tenne le mani dietro di sé, tuttavia, non avendo alternativa, dato che l'elfo pesantemente armato si stava avvicinando. «La nostra ultima notte per strada» osservò Kellindil, lasciando cadere accanto al fuoco il coniglio che aveva ucciso per cena. «Quando saremo arrivati a Maldobar manderò a chiamare Lady Manodifalco» disse. «Mon-
tolio DeBrouchee è suo amico e lei sarà interessata a conoscere quant'è accaduto nel boschetto.» «Che cosa ne sai?» gli disse Roddy con violenza. «Il guardaboschi era anche amico mio!» «Se sei amico del sovrano orco Graul, allora non puoi essere amico del guardaboschi del boschetto» replicò Kellindil. Roddy non confutò immediatamente quelle parole, ma lo fece Tephanis. Kellindil sentì provenire un ronzio da dietro e si volse di scatto, posando una mano sulla spada. «Che razza di essere sei?» chiese allo sveltelfo, gli occhi spalancati per la sorpresa. Kellindil non conobbe mai la risposta, perché Roddy si alzò improvvisamente dietro di lui e lo gettò a terra con un gran colpo. Kellindil era un guerriero esperto, ma nel corpo a corpo non era in grado di contrastare la pura forza bruta di Roddy McGristle. Le mani enormi e sporche di Roddy si chiusero intorno alla gola sottile dell'elfo. «Ho-il-tuo-cane» disse Tephanis a Roddy quando ebbe completato quel crimine infame. «L'ho-legato-a-un-albero.» «Chi sei?» chiese Roddy, cercando di nascondere il suo giubilo, sia per la libertà che per la notizia che il suo cane era ancora vivo. «E che cosa vuoi da me?» «Sono-un-piccolo-essere, lo-vedi-da-te» spiegò Tephanis. «Mi-piaceavere-degli-amici-grossi.» Roddy prese in considerazione l'offerta per un attimo. «Bene, te lo sei guadagnato» disse con una risata. Trovò Sanguinaria, la sua fedele ascia, tra gli oggetti appartenenti all'elfo morto e si alzò, enorme e con espressione torva. «Vieni, allora, torniamo sulle montagne. Devo occuparmi di un drow.» Un'espressione di stizza attraversò i lineamenti delicati dello sveltelfo, ma Tephanis la nascose prima che Roddy potesse notarla. Tephanis non aveva assolutamente alcun desiderio di recarsi in prossimità del boschetto del guardaboschi cieco. A parte il fatto che il sovrano orco aveva posto una taglia sulla sua testa, sapeva che gli altri elfi si sarebbero potuti insospettire se Roddy fosse giunto senza Kellindil. Soprattutto, Tephanis sentì che il suo dolore alla testa e al piede s'inaspriva al semplice pensiero d'affrontare nuovamente l'elfo scuro. «No!» sbottò lo spiritello. Roddy, non essendo abituato alla disubbidienza, lo guardò pericolosamente.
«È inutile» mentì Tephanis. «Il-drow-è-morto, ucciso-da-un-worg.» Roddy non parve convinto. «Già-in un'altra-occasione-ti-ho-portato-dal-drow» gli ricordò Tephanis. Roddy era veramente deluso, ma non dubitò più dello sveltelfo. Se non fosse stato per Tephanis, Roddy sapeva che non avrebbe mai individuato Drizzt. Si sarebbe recato a più di cento miglia di distanza, a fiutare nei pressi della Grotta di Morueme e a spendere tutto il suo oro in menzogne di draghi. «E il guardaboschi cieco?» chiese Roddy. «Lui-è-vivo, ma-lascialo-vivere» rispose Tephanis. «Molti-amicipotenti-l'hanno-raggiunto.» Portò lo sguardo di Roddy sul corpo di Kellindil. «Elfi, molti-elfi.» Roddy annuì con il capo. Non nutriva nessun risentimento reale contro Mooshie e non aveva alcun desiderio di affrontare i compagni di Kellindil. Seppellirono Kellindil e tutte le provviste che non poterono portare con sé, trovarono il cane di Roddy, e partirono più tardi, quella stessa notte, verso le vaste lande a ovest. *
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Al boschetto di Mooshie l'estate trascorreva in modo tranquillo e produttivo, con Drizzt che assimilava le consuetudini e i metodi di un guardaboschi, con facilità ancora maggiore di quanto avesse creduto l'ottimistico Montolio. Drizzt imparò il nome di ogni albero o cespuglio nella regione, di ogni animale, e fatto più importante, imparò a imparare, a osservare le indicazioni di Mielikki. Quando s'imbatteva in un animale che non aveva mai incontrato prima, scoprì di poterne rapidamente discernere le intenzioni, il comportamento e lo stato d'animo, semplicemente osservandone i movimenti e le azioni. «Vai a toccargli il mantello» gli sussurrò un giorno Montolio nel crepuscolo grigio e burrascoso. Il vecchio guardaboschi indicò dall'altra parte di un prato; verso il limitare degli alberi s'intravedeva il bianco tremolio della coda di un daino. Benché la luce fosse soffusa, Drizzt faceva fatica a vedere il daino, ma ne intuì la presenza, come ovviamente aveva fatto Montolio. «Me lo consentirà?» sussurrò Drizzt in risposta. Montolio sorrise e scrollò le spalle. Drizzt strisciò fuori silenziosamente e con cautela, seguendo le ombre lungo il margine del prato. Decise d'avvicinarsi da nord, sottovento, ma per
porsi a settentrione rispetto al daino doveva aggirarlo da est. Capì il proprio errore quando era ancora a una ventina di metri dall'animale. Esso sollevò improvvisamente la testa, annusò e fece balenare la coda bianca. Drizzt s'immobilizzò e attese a lungo mentre il daino riprendeva a brucare. Ora la pavida creatura era all'erta, e non appena Drizzt effettuò un altro passo misurato, il daino schizzò via, ma non prima che Montolio, che aveva scelto d'avvicinarsi da sud, fosse giunto abbastanza vicino da posargli una mano sul posteriore mentre gli correva accanto. Drizzt sbatté le palpebre stupefatto. «Il vento mi era favorevole!» protestò rivolto al guardaboschi compiaciuto. Montolio scrollò il capo. «Soltanto negli ultimi venti metri, quando sei giunto a nord del daino» spiegò. «Fino a quel momento era preferibile giungere da ovest, e non da est.» «Ma non era possibile giungere a nord del daino da occidente» disse Drizzt. «Non è stato necessario» rispose Montolio. «C'è una costa alta e ripida laggiù» indicò a sud. «Taglia il vento a quest'angolazione - lo fa vorticare e tornare indietro.» «Non lo sapevo.» «Devi saperlo» disse Montolio con leggerezza. «È questo il trucco. Devi guardare come farebbe un uccello e scrutare dall'alto tutta la regione prima di decidere che cosa fare.» «Non ho imparato a volare» rispose Drizzt in tono sarcastico. «Neppure io!» ruggì il vecchio guardaboschi. «Guarda sopra di te.» Drizzt socchiuse gli occhi mentre li rivolgeva al cielo grigio. Individuò una forma solitaria, che scivolava con facilità, con le grandi ali spiegate per cogliere la brezza. «Un falco» disse il drow. «Si è fatto portare dalla brezza da sud» spiegò Montolio «poi ha virato a ovest sulle correnti di frattura intorno alla costa alta e ripida. Se avessi osservato il suo volo, avresti potuto sospettare il cambiamento di terreno.» «È impossibile» disse Drizzt, impotente. «Davvero?» chiese Montolio, e si allontanò - per nascondere il proprio sorriso. Naturalmente il drow aveva ragione; non era possibile capire la topografia del terreno seguendo gli schemi di volo di un falco. Montolio aveva saputo che il vento sarebbe cambiato grazie a un certo gufo, giunto furtivamente chiamato dal guardaboschi subito dopo che Drizzt si era accinto ad attraversare il prato, ma non era necessario che Drizzt lo sapesse.
Il vecchio guardaboschi decise di lasciare che il drow riflettesse per un po' su quella bugia innocente. La riflessione, il riepilogo di tutto ciò che aveva imparato, sarebbe stata una valida lezione. «Te l'ha detto Grido» disse Drizzt mezz'ora più tardi, mentre ritornavano al boschetto, lungo il sentiero. «Grido ti ha detto del vento e del falco.» «Sembri sicuro di te stesso.» «Lo sono» disse Drizzt con fermezza. «Il falco non ha gridato - sono diventato sufficientemente attento da saperlo. Non potevi vedere l'uccello, e io so che non hai sentito il fruscio del vento sulle sue ali, indipendentemente da quello che puoi dire tu!» La risata di Montolio portò un sorriso di conferma sul volto del drow. «Oggi te la sei cavata bene» disse il vecchio guardaboschi. «Non sono riuscito ad avvicinarmi al daino» gli ricordò Drizzt. «Non era quella la prova» rispose Montolio. «Ti sei fidato della tua conoscenza per controbattere a ciò che io sostenevo. Sei sicuro delle lezioni che hai imparato. Ora ascolta qualcos'altro. Lascia che ti riveli alcuni trucchi quando ti avvicini a un pavido daino.» Parlarono per tutta la strada di ritorno al boschetto e poi per buona parte della notte. Drizzt ascoltava con entusiasmo, assorbendo ogni parola man mano che veniva reso partecipe di altri portentosi segreti del mondo. Una settimana più tardi, in un altro prato, Drizzt posò una mano sul posteriore di una cerva, l'altra sul posteriore del suo cerbiatto macchiettato. Entrambi gli animali fuggirono a quel tocco inaspettato, ma Montolio «vide» il sorriso di Drizzt da cento metri di distanza. Le lezioni di Drizzt erano ben lungi dall'essere complete quando l'estate svanì, ma Montolio non trascorse più molto tempo a istruire il drow. Drizzt aveva imparato abbastanza, ormai era in grado d'uscire e imparare per proprio conto, ascoltando e osservando le voci tranquille e i segni sottili degli alberi e degli animali. Drizzt era talmente impegnato nelle sue infinite scoperte, che notò a malapena i profondi cambiamenti in Montolio. Ora il guardaboschi si sentiva molto più vecchio. Nelle fredde mattinate la sua schiena si raddrizzava a fatica e le sue mani spesso s'intorpidivano. Montolio manteneva un atteggiamento stoico riguardo a tutto questo, non era certo il tipo che si commiserava e non si lamentava di sicuro, pur sapendo che cosa stesse per arrivare. Aveva vissuto a lungo e in modo intenso, aveva realizzato molto, e aveva sperimentato la vita più vivacemente di quanto avrebbe mai fatto la maggior parte degli uomini.
«Quali sono i tuoi progetti?» disse inaspettatamente a Drizzt una notte mentre cenavano con uno stufato di verdure preparato da Drizzt. La domanda colpì Drizzt con forza. Non aveva progetti al di là del presente, e perché avrebbe dovuto averne, quando la vita era così facile e piacevole - più di quanto non fosse mai stata per il tormentato rinnegato drow? Drizzt non voleva porsi realmente quella domanda, perciò gettò un biscotto a Guenhwyvar per cambiare argomento. La pantera stava sistemandosi un po' troppo comodamente sul giaciglio di Drizzt, avvolgendosi nelle coperte al punto che Drizzt temette di doverla mandare nuovamente nel piano astrale per riuscire a liberarla dal groviglio. Montolio insistette. «Quali sono i tuoi progetti, Drizzt Do'Urden?» ripeté con fermezza il vecchio guardaboschi. «Dove e come vivrai?» «Mi stai mandando via?» chiese Drizzt. «Naturalmente no.» «Allora vivrò con te» rispose Drizzt con calma. «Voglio dire dopo» disse Montolio, che iniziava a spazientirsi. «Dopo che cosa?» chiese Drizzt, pensando che Montolio fosse a conoscenza di qualcosa che lui ignorava. La risata di Montolio si fece beffe dei suoi sospetti. «Io sono un vecchio», spiegò il guardaboschi, «e tu sei un giovane elfo. Io sono più vecchio di te, ma anche se fossi un neonato, i tuoi anni distanzierebbero di gran lunga i miei. Dove andrà Drizzt Do'Urden quando Montolio DeBrouchee non ci sarà più?» Drizzt si volse dall'altra parte. «Io non...» iniziò esitante. «Io resterò qui.» «No» rispose gravemente Montolio. «Spero che tu abbia molto più di questo davanti a te. Questa vita non sarebbe sufficiente.» «Per te è stata soddisfacente» replicò Drizzt di scatto, più vigorosamente di quanto avesse inteso. «Per cinque anni» disse Montolio con calma, senz'offendersi. «Cinque anni dopo un'esistenza avventurosa ed esaltante.» «La mia vita non è stata così tranquilla» gli ricordò Drizzt. «Ma tu sei ancora un bambino» disse Montolio. «Cinque anni non sono cinquecento, e cinquecento è quanto ti resta. Promettimi ora che prenderai nuovamente in considerazione la tua decisione quando io non ci sarò più. C'è un vasto mondo là fuori, amico mio, pieno di dolore, ma anche pieno di gioia. Il primo ti mantiene sulla strada della crescita, e la seconda rende il viaggio tollerabile.»
«Promettimi ora», disse Montolio, «che quando Mooshie non ci sarà più, Drizzt andrà alla ricerca del proprio posto.» Drizzt voleva controbattere, chiedere al guardaboschi come potesse essere certo del fatto che questo boschetto non fosse il «posto» di Drizzt. In quel momento una bilancia mentale scese e salì all'interno di Drizzt, poi scese di nuovo. Lui pesò i ricordi di Maldobar, le morti degli agricoltori, e tutte le memorie che li precedevano, le prove che lui aveva affrontato e i mali che l'avevano così persistentemente seguito. Contro questo, Drizzt prese in considerazione il suo sincero desiderio di tornare a vivere nel mondo. Quanti altri Mooshie avrebbe potuto trovare? Quanti amici? E come sarebbe stato vuoto questo boschetto quando lui e Guenhwyvar sarebbero rimasti soli? Montolio accettò il silenzio, conoscendo la confusione del drow. «Promettimi per lo meno che quando verrà il momento prenderai in considerazione quello che ho detto.» Fidandosi di Drizzt, Montolio non ebbe bisogno di vedere il cenno affermativo del capo del suo amico. *
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La prima neve giunse presto quell'anno, appena un leggero spolverio sceso da nuvole spezzate che giocavano a nascondino con la luna piena. Drizzt, che era fuori con Guenhwyvar, gioì del cambiamento stagionale, godette della riaffermazione del ciclo infinito. Era d'ottimo umore quando tornò saltellando al boschetto, scrollando la neve dai folti rami di pino mentre si faceva strada per entrare. Il fuoco dell'accampamento bruciava basso; Grido sedeva immobile su un ramo basso, e neppure il vento sembrava produrre il minimo rumore. Drizzt guardò Guenhwyvar per riceverne una spiegazione, ma la pantera si limitava a sedere accanto al fuoco, immobile e malinconica. Il terrore è una strana emozione, un culmine d'indizi troppo sottili che portano al tempo stesso confusione e paura. «Mooshie?» chiamò piano Drizzt, avvicinandosi al rifugio del vecchio guardaboschi. Spostò di lato la coperta e la usò per schermare la luce della brace, nel fuoco morente dell'accampamento, lasciando che i suoi occhi effettuassero la transizione nello spettro infrarosso. Rimase lì per un periodo di tempo molto lungo, a osservare gli ultimi frammenti di calore abbandonare il corpo del guardaboschi. Ma se Moo-
shie era freddo, il suo sorriso soddisfatto emanava calore. Drizzt ricacciò molte volte le lacrime nel corso dei pochi giorni successivi, ma ogni qualvolta ricordava quell'ultimo sorriso, la pace finale che era scesa sul vecchio, lui ricordava a se stesso che le lacrime erano per la propria perdita e non per Mooshie. Drizzt seppellì il guardaboschi in un tumulo accanto al boschetto, poi trascorse l'inverno tranquillamente, occupandosi delle sue faccende quotidiane e riflettendo. Grido si faceva vivo con sempre minor frequenza, e in un'occasione lo sguardo d'addio che il gufo lanciò a Drizzt rivelò al drow al di là di ogni dubbio che Grido non sarebbe mai ritornato al boschetto. In primavera Drizzt giunse a capire i sentimenti di Grido. Per più di un decennio aveva cercato una casa, e ne aveva trovata una con Montolio. Ma ora che il guardaboschi era morto, il boschetto non sembrava più così ospitale. Questo era il posto di Mooshie, non quello di Drizzt. «Come ho promesso» mormorò Drizzt una mattina. Montolio gli aveva chiesto di prendere attentamente in considerazione la strada da intraprendere quando il guardaboschi non ci fosse stato più, e ora Drizzt si atteneva alle sue parole. Si era abituato comodamente nel boschetto, e vi veniva ancora accettato, ma non era più casa sua. La sua casa era là fuori, lui lo sapeva, fuori in quel vasto mondo che Montolio gli aveva descritto come «Pieno di dolore, ma anche pieno di gioia». Drizzt raccolse alcuni oggetti - articoli d'equipaggiamento e alcuni dei libri più interessanti del guardaboschi - si fissò alla cintura le scimitarre e si gettò l'arco di traverso sulle spalle. Poi effettuò un'ultima passeggiata intorno al boschetto, osservando per l'ultima volta i ponti di corda, l'armeria, il barile di brandy e il trogolo, la radice dell'albero dove aveva fermato il gigante alla carica, il recinto riparato da dove Mooshie si era difeso. Chiamò Guenhwyvar e la pantera capì non appena fu arrivata. Non si volsero mai a guardare mentre scendevano lungo il sentiero di montagna, diretti verso il vasto mondo di dolori e di gioie. Parte 5 Un luogo in cui restare Come sembrava diverso il sentiero mentre me ne andavo dal boschetto di Mooshie, rispetto alla strada che mi aveva condotto lì. Ero nuovamente solo, tranne quando Guenhwyvar giungeva al mio richiamo. Su questa strada, tuttavia, non ero solo che fisicamente. Nella mia mente portavo un
nome, la personificazione dei miei preziosi principi. Mooshie aveva definito Mielikki una dea; per me era un sistema di vita. Lei mi camminò sempre accanto lungo le molte strade che attraversai sul mondo della superficie. Mi condusse alla salvezza e fugò la mia disperazione quando venni cacciato via e poi inseguito dai nani della Fortezza d'Adbar, una roccaforte a nord est del boschetto di Mooshie. Mielikki e la convinzione personale del mio valore mi diedero il coraggio d'avvicinarmi a una città dopo l'altra in tutte le lande del nord. Venivo accolto sempre allo stesso modo: lo sconvolgimento e la paura si trasformavano rapidamente in rabbia. I più generosi di coloro che incontrai si limitarono a dirmi d'andare via; altri mi cacciarono ad armi spianate. In due occasioni fui costretto a combattere, anche se riuscii a fuggire senza che nessuno restasse gravemente ferito. Le scalfitture e i graffi di scarso rilievo furono un minimo prezzo da pagare. Mooshie mi aveva invitato a non vivere come aveva fatto lui, e le percezioni del vecchio guardaboschi, come sempre, si erano rivelate vere. Nei miei viaggi in tutte le lande del nord conservai qualcosa - la speranza - che non avrei mai conservato se fossi rimasto a vivere da eremita nel boschetto di sempreverdi. Man mano che ogni villaggio appariva all'orizzonte, un fremito d'aspettativa rendeva più veloci i miei passi. Un giorno, ero deciso, sarei stato accettato e avrei trovato la mia casa. Immaginavo che sarebbe successo all'improvviso. Mi sarei avvicinato a un cancello, avrei pronunciato un saluto formale, e poi mi sarei rivelato come elfo scuro. Anche la mia fantasia era mitigata dalla realtà, perché il cancello non si apriva quando mi avvicinavo. Piuttosto mi veniva concesso d'entrare con circospezione, per un periodo di prova molto simile a quello che avevo sostenuto a Blingdenstone, la città degli svirfnebli. Sospetti sarebbero indugiati al mio riguardo per molti mesi, ma alla fine i principi sarebbero stati considerati e accettati per quel che erano, il carattere della persona avrebbe avuto più importanza del colore della sua pelle e della reputazione legata alla sua provenienza. Ho rivissuto quella fantasia innumerevoli volte nel corso degli anni. Ogni parola di ogni incontro nella mia città immaginaria diventava una litania contro i continui rifiuti. Non sarebbe stato sufficiente, ma c'era sempre Guenhwyvar, e ora anche Mielikki. Drizzt Do'Urden
20 Anni e miglia La Locanda del Raccolto a Westbridge era un luogo di ritrovo prediletto dai viandanti che percorrevano la Lunga Strada che si allargava tra le due grandi città del nord, Acquaprofonda e Mirabar. A parte i comodi giacigli a prezzi ragionevoli, la Locanda del Raccolto offriva la Taverna di Derry, un famoso locale in cui si raccontavano storie, dove ogni notte di ogni settimana un ospite poteva trovare avventurieri provenienti da regioni varie come Luskan e Sundabar. Il focolare ardeva vivacemente e dava calore, c'era da bere in abbondanza, e i lunghi racconti narrati da Derry erano del tipo che sarebbe stato raccontato più e più volte in tutti i reami. Roddy teneva il cappuccio del logoro mantello da viaggio tirato basso, nascondendo il volto sfregiato, mentre divorava montone e gallette. Il vecchio cane bastardo sedeva sul pavimento accanto a lui, ringhiava, e di tanto in tanto Roddy gli tirava con indifferenza un pezzo di carne. Il famelico cacciatore di taglie sollevava raramente la testa dal piatto, ma gli occhi iniettati di sangue di Roddy sbirciavano sospettosamente dall'ombra del cappuccio. Conosceva alcuni dei furfanti riuniti da Derry quella notte, personalmente o di fama, e non si sarebbe fidato di loro più di quanto loro, se erano saggi, si sarebbero fidati di lui. Un uomo alto riconobbe il cane di Roddy mentre passava accanto al tavolo e si fermò, pensando di salutare il cacciatore di taglie. L'uomo alto si allontanò in silenzio, tuttavia, rendendosi conto che non valeva veramente la pena di fare quello sforzo per il miserabile McGristle. Nessuno sapeva esattamente che cosa fosse accaduto anni prima sulle montagne vicino a Maldobar, ma Roddy era uscito da quella regione profondamente segnato, sia fisicamente che emotivamente. McGristle, che era sempre stato burbero, ora trascorreva più tempo a brontolare che a parlare. Roddy continuò a rosicchiare ancora per un po', poi lasciò cadere il grosso osso al suo cane e si pulì le mani unte sul mantello, spostando inavvertitamente all'indietro il lato del cappuccio che nascondeva le orribili cicatrici. Roddy si risistemò rapidamente il cappuccio, mentre il suo sguardo guizzava intorno per vedere se qualcuno se ne fosse accorto. Un unico sguardo disgustato era costato la vita a vari uomini, per quanto riguardava le cicatrici di Roddy. Nessuno parve notare, tuttavia, non questa volta. La maggior parte di coloro che non erano indaffarati a mangiare, erano al bar e stavano discuten-
do a voce alta. «Non è mai accaduto!» brontolò un uomo. «Ti ho riferito quel che ho visto!» sbottò di rimando un altro. «E ti dico il vero!» «Per i tuoi occhi!» gridò in risposta il primo, e un altro ancora s'intromise: «Non ne riconosceresti uno se lo vedessi!» Molti degli uomini si avvicinarono, urtandosi reciprocamente con il torace. «State tranquilli!» esclamò una voce. Un uomo si spinse fuori dalla folla e indicò direttamente Roddy che, non riconoscendolo, posò istintivamente la mano su Sanguinaria, la sua vecchia ascia. «Chiedete a McGristle!» esclamò l'uomo. «Roddy McGristle. Sa più di chiunque altro riguardo agli elfi scuri.» Una dozzina di conversazioni si accesero immediatamente mentre l'intero gruppo, simile a una macchia amorfa e sgusciante, scivolò verso Roddy. La mano di Roddy si era nuovamente staccata da Sanguinaria, e si trovava intrecciata all'altra sul tavolo davanti al cacciatore di taglie. «Siete McGristle, non è così?» chiese l'uomo a Roddy, dimostrandogli una notevole dose di rispetto. «Potrebbe essere» rispose Roddy con calma, gradendo l'attenzione. Non era stato circondato da un gruppo così interessato a ciò che aveva da dire, da quando la famiglia Thistledown era stata trovata assassinata. «Che cosa sa sugli elfi scuri?» s'intromise una voce contrariata, proveniente da qualche parte, da dietro. L'occhiataccia di Roddy fece retrocedere di un passo coloro che si trovavano davanti a lui, e lui notò il movimento. Gli piaceva quella sensazione, gli piaceva essere nuovamente importante, rispettato. «Un elfo drow ha ucciso il mio cane» disse aspramente. Abbassò la mano e sollevò la testa del vecchio cane da caccia bastardo, mostrando la cicatrice. «E ha ammaccato la testa a questo. Maledetto elfo scuro...» disse deliberatamente, togliendosi il cappuccio dal volto... «a me ha lasciato questo.» Normalmente Roddy nascondeva le orribili cicatrici, ma le espressioni stupefatte e i mormorii della folla risultarono immensamente gratificanti allo sciagurato cacciatore di taglie. Lui si volse di lato, fornì loro una visione completa, e assaporò la reazione quanto più poté. «Con la pelle nera e i capelli bianchi?» chiese un uomo basso, dal ventre grasso, quello che aveva iniziato il dibattito al bar, con il suo racconto di un elfo scuro. «Doveva essere così, se si trattava di un elfo scuro» sbuffò Roddy, in ri-
sposta. L'uomo si guardò intorno con aria trionfante. «È quello che cercavo di dire loro» disse a Roddy. «Sostengono che io abbia visto un elfo sporco, o magari un orco, ma io sapevo che era un drow!» «Quando si vede un drow», disse Roddy con aria torva e deliberatamente, caricando d'importanza ogni parola, «allora si è sicuri di averlo visto. È un'esperienza che non si dimentica! E se qualcuno dubita delle tue parole, che vada a trovarsi un drow. Tornerà a chiederti scusa!» «Bene, io ho visto un elfo scuro» proclamò l'uomo. «Ero accampato a Bosconascosto, a nord di Grunwald. Pensavo che fosse una notte abbastanza tranquilla, perciò ho lasciato che il fuoco ardesse un po' di più, per combattere il vento freddo. Be', è arrivato questo straniero senza un avvertimento, senza una parola!» Ora ogni uomo del gruppo pendeva dalle sue labbra, ascoltava le sue parole considerandole in una luce diversa, dato che lo straniero sfregiato dal drow aveva confermato la storia. «Senza una parola, o il grido di un uccello, o niente!» proseguì l'uomo dalla pancia grassa. «Aveva il mantello tirato basso sul volto, sospettoso, perciò io gli dissi: "Che cosa cerchi?" "Cerco un luogo in cui i miei compagni e io possiamo accamparci per la notte" rispose, calmo come potreste essere voi. Mi parve sufficientemente ragionevole, ma quel cappuccio tirato basso continuava a non piacermi. "Togliti il cappuccio, allora", gli dissi. "Io non divido nulla senza vedere il volto di un uomo". Lui prese in considerazione le mie parole per un minuto, poi sollevò le mani, molto lentamente - l'uomo imitò il movimento in modo teatrale, guardandosi intorno per essere sicuro di avere l'attenzione di tutti. «Non ho avuto bisogno di vedere altro!» esclamò improvvisamente l'uomo, e tutti, anche se avevano sentito lo stesso racconto narrato allo stesso modo soltanto un attimo prima, balzarono all'indietro per la sorpresa. «Le sue mani erano nere come il carbone e magre come quelle di un elfo. Allora compresi, e non so come ho fatto a capirlo con tanta sicurezza, che avevo davanti a me un drow. Un drow, vi dico, e che chiunque dubiti delle mie parole vada a trovarsi un elfo scuro per proprio conto!» Roddy annuì, dimostrando così la sua approvazione mentre l'uomo dal ventre grasso guardava dall'alto in basso coloro che avevano dubitato di lui. «Pare che io abbia sentito parlare troppo di elfi scuri, ultimamente» brontolò il cacciatore di taglie.
«Io ho sentito parlare solo di quello» s'intromise un altro. «Finché non abbiamo incontrato voi, voglio dire, e ci avete raccontato del vostro combattimento. Con questo arriviamo a due drow in sei anni.» «È quel che ho detto», osservò Roddy con aria torva, «mi pare di aver sentito parlare troppo di elfi...» Roddy non riuscì mai a terminare la frase dato che il gruppo che lo circondava esplose in risate esagerate. Al cacciatore di taglie parve di essere ritornato ai bei vecchi tempi, quando tutti coloro che gli stavano intorno pendevano dalle sue labbra pieni di tensione. L'unico uomo che non stava ridendo era il narratore dal ventre grasso, era troppo scosso dalla storia del proprio incontro con il drow. «Ancora adesso», disse al di sopra della confusione, «quando penso a quegli occhi viola che mi fissano da sotto quel cappuccio!» Il sorriso di Roddy scomparve in un batter d'occhio. «Occhi viola?» riuscì a malapena ad ansare. Roddy aveva incontrato molte creature che usavano l'infravista, la visione sensibile al colore più comune tra gli abitanti del Buio Profondo, e sapeva che normalmente tali occhi si mostravano come punti rossi. Roddy ricordava ancora intensamente gli occhi viola che lo guardavano dall'alto mentre lui era intrappolato sotto all'acero. Allora aveva capito, proprio come ora, che quegli occhi dalla strana tonalità erano rari anche tra gli elfi scuri. Gli appartenenti al gruppo più vicini a Roddy smisero di ridere, pensando che la domanda del cacciatore di taglie mettesse in dubbio la verità del racconto dell'uomo. «Erano viola» insistette l'uomo dal ventre grasso, anche se c'era ben poca convinzione nella sua voce tremante. Coloro che lo circondavano attendevano la conferma o la confutazione di Roddy, non sapendo se ridere o meno del narratore della storia. «Che armi portava il drow?» chiese Roddy arcignamente, alzandosi in piedi con aria minacciosa. L'uomo pensò per un attimo. «Spade ricurve» sbottò. «Scimitarre?» «Scimitarre» assentì l'altro. «Il drow ha detto il suo nome?» chiese Roddy, e quando l'uomo esitò, Roddy l'afferrò per il colletto e lo tirò dall'altra parte del tavolo. «Il drow ha forse detto il suo nome?» ripeté il cacciatore di taglie, con il fiato caldo sul volto dell'uomo dal ventre grasso. «No... ehm, mmm, Driz...» «Drizzt?»
L'uomo scrollò le spalle impotente, e Roddy lo mollò giù di nuovo, in piedi. «Dove?» ruggì il cacciatore di taglie. «E quando?» «Bosconascosto» ripeté l'uomo tremante, dal ventre pieno. «Tre settimane fa. Il drow si sta recando a Mirabar con i Frati Penitenziali, immagino.» La maggior parte della folla ebbe un mormorio di disapprovazione all'accenno al gruppo religioso di fanatici. I Frati Penitenziali erano una banda scalcinata di sofferenti che chiedevano l'elemosina e credevano - o sostenevano di credere - che ci fosse una quantità limitata di dolore nel mondo. I frati dicevano che più sofferenza prendevano su di sé, meno ne restava da sopportare al resto del mondo. Praticamente tutti disprezzavano l'ordine. Alcuni frati erano sinceri, ma altri chiedevano l'elemosina per inezie, promettendo di soffrire orribilmente per il bene di colui che dava. «Quelli erano i compagni del drow» continuò l'uomo dal ventre grasso. «Vanno sempre a Mirabar, verso il freddo, man mano che si avvicina l'inverno.» «È lunga» osservò qualcuno. «Lunghissima» disse un altro. «I Frati Penitenziali prendono sempre la strada del tunnel.» «Trecento miglia» s'intromise il primo uomo che aveva riconosciuto Roddy, cercando di calmare l'agitato cacciatore di taglie. Ma Roddy non lo udì neppure. Con il cane alle calcagna, si volse di scatto e uscì con impeto dalla locanda di Derry, sbattendo la porta dietro di sé e lasciando i membri dell'intero gruppo a brontolare, assolutamente sorpresi. «È stato Drizzt a prendere il cane e l'orecchio di Roddy» proseguì l'uomo, ora volgendo la propria attenzione al gruppo. Non aveva mai conosciuto prima il nome del drow sconosciuto; l'aveva semplicemente dedotto basandosi sulla reazione di Roddy. Ora il gruppo si raccolse intorno a lui, tutti trattenevano il fiato perché lui raccontasse la storia di Roddy McGristle e del drow dagli occhi viola. Come qualunque avventore di Derry che si rispettasse, l'uomo non lasciò che la mancanza di un'effettiva conoscenza gli impedisse di raccontare la storia. Si agganciò i pollici alla cintura e iniziò, colmando i notevoli vuoti con tutto ciò che gli parve più appropriato. Un altro centinaio di osservazioni di stupore e di applausi di apprezzamento e di meraviglia deliziata echeggiarono nella strada fuori da Derry quella notte, ma Roddy McGristle e il suo cane bastardo, su un carro le cui ruote recavano già uno spesso strato di fango della Lunga Strada, non le sentirono.
«Ehi, che-cosa-stai-facendo?» giunse uno stanco lamento da un sacco dietro alla panca di Roddy. Tephanis strisciò fuori. «Perché-ce-ne-stiamoandando?» Roddy si volse e gli sferrò un colpo, ma Tephanis, pur con gli occhi assonnati, non ebbe alcun problema a guizzare via dal pericolo. «Mi hai mentito, tu, cugino di un coboldo!» ringhiò Roddy. «Mi hai detto che il drow era morto. Ma non lo è! È sulla strada per Mirabar, e ho intenzione di prenderlo!» «Mirabar?» esclamò Tephanis. «Troppo-lontano, troppo-lontano!» Lo sveltelfo e Roddy erano passati per Mirabar la primavera precedente. Tephanis lo riteneva un luogo assolutamente miserabile, pieno di nani dai volti torvi, uomini dallo sguardo penetrante, e un vento di gran lunga troppo freddo per i suoi gusti. «Dobbiamo-andare-a-sud-per-l'inverno. A-suddov'è-caldo!» La successiva occhiata furiosa di Roddy zittì lo spiritello. «Dimenticherò quel che mi hai fatto» ringhiò, poi aggiunse un avvertimento minaccioso, «se prendiamo il drow.» Poi volse le spalle a Tephanis, e lo spiritello strisciò nuovamente nel suo sacco, sentendosi infelice e chiedendosi se valesse la pena di stare con Roddy McGristle. Roddy guidò nella notte, piegandosi molto per spronare in avanti il suo cavallo e mormorando più e più volte: «Sei anni!» *
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Drizzt si rannicchiò vicino al fuoco che crepitava in un vecchio barile di minerale trovato dal gruppo. Questo sarebbe stato il settimo inverno passato in superficie dal drow, ma lui continuava a sentirsi a disagio al freddo. Aveva trascorso decenni, e il suo popolo aveva vissuto per molti millenni, nel Buio Profondo, caldo e privo di stagioni. Benché l'inverno fosse ancora a mesi di distanza, era evidente che si stava avvicinando, perché venti gelidi soffiavano giù dalle Montagne della Spina Dorsale del Mondo. Drizzt indossava soltanto una vecchia coperta, logora e consunta, sopra ai propri indumenti, alla cotta di maglia e alla cintura con le armi. Il drow sorrise quando notò che i suoi compagni s'inquietavano e si risentivano per decidere chi dovesse essere il prossimo a bere da una bottiglia di vino che avevano ricevuto in elemosina, e per stabilire quanto ne avesse preso l'ultimo che aveva bevuto. Ora Drizzt era solo accanto al barile; i Frati Penitenziali, anche se non evitavano propriamente il drow, non
gli si avvicinavano spesso. Drizzt accettava la cosa e sapeva che i fanatici apprezzavano la sua compagnia per ragioni pratiche, se non estetiche. Alcuni degli appartenenti alla banda gradivano realmente subire attacchi da parte dei vari mostri delle regioni, considerandoli opportunità d'autentica sofferenza, ma i più pragmatici del gruppo apprezzavano la presenza di quel drow, abile e armato, che li proteggeva. Per Drizzt il rapporto era accettabile, se non soddisfacente. Lui aveva lasciato gli anni al Boschetto di Mooshie pieno di speranza, ma la speranza veniva temperata dalle realtà della sua esistenza. Dopo un certo tempo, ogni qualvolta Drizzt si avvicinava a un villaggio gli veniva issata davanti una barriera di parole dure, maledizioni, e armi sguainate. Ogni volta, Drizzt scrollava le spalle di fronte a tale rifiuto. Fedele al suo spirito di guardaboschi - perché ora Drizzt era veramente un guardaboschi, nell'addestramento oltre che nel cuore - accettava stoicamente il suo destino. Tuttavia l'ultimo rifiuto aveva fatto capire a Drizzt che la sua determinazione stava assottigliandosi. Era stato mandato via da Luskan, sulla Costa della Spada, ma non dalle guardie, perché non si era neppure avvicinato al luogo. Le paure personali di Drizzt l'avevano tenuto lontano, e quel fatto l'aveva spaventato più di qualsiasi spada avesse mai dovuto affrontare. Sulla strada fuori dalla città, Drizzt aveva incontrato questo gruppetto di Frati Penitenziali, e i vagabondi l'avevano accettato a titolo di prova, sia perché non avevano mezzi per tenerlo lontano, sia perché erano troppo intenti nella propria squallida condizione per preoccuparsi di alcuna differenza razziale. Due del gruppo si erano perfino gettati ai piedi di Drizzt, implorandolo di scatenare le sue «terrificanti torture di elfo scuro» e di farli soffrire. Nel corso della primavera e dell'estate, il rapporto si era evoluto, Drizzt fungeva da guardiano silenzioso e i frati continuavano nelle proprie consuetudini di sofferenze ed elemosine. Tutto considerato, al drow pieno di principi la cosa risultava piuttosto disgustosa e talvolta ingannevole, ma Drizzt non aveva trovato alternative. Drizzt fissò le fiamme guizzanti e rifletté sul suo destino. Aveva ancora Guenhwyvar a disposizione e aveva utilizzato opportunamente molte volte le scimitarre e l'arco. Ogni giorno ripeteva a se stesso che oltre ai fanatici in qualche modo indifesi, lui stava servendo bene Mielikki e il proprio cuore. Tuttavia non teneva i frati in somma considerazione e non li considerava amici. Osservando ora i cinque uomini ubriachi, che sbavavano l'uno sull'altro, Drizzt sospettò che non l'avrebbe mai fatto.
«Colpiscimi! Frustami!» esclamò all'improvviso uno dei frati, e corse verso il barile, inciampando addosso a Drizzt. Il drow lo prese e lo raddrizzò, ma solo per un attimo. «Scatena la tua perfidia drow sulla mia testa!» farfugliò il frate sporco, dalla barba lunga, e il suo corpo dinoccolato si accasciò in un mucchio spigoloso. Drizzt si allontanò, scrollò il capo e s'introdusse inconsciamente una mano in tasca per sentire la statuina d'onice, aveva bisogno di toccarla per ricordarsi che non era veramente solo. Stava sopravvivendo, combattendo una battaglia interminabile e solitaria, ma era lungi dall'essere soddisfatto. Aveva trovato un luogo, forse, ma non una casa. «Come il boschetto senza Montolio» rifletté il drow. «Non poteva essere casa mia.» «Hai detto qualcosa?» chiese un frate corpulento, Fratello Mateus, venuto a raccogliere il compagno ubriaco. «Ti prego, scusa Fratello Jankin, amico. Temo che abbia bevuto troppo.» Il sorriso confuso di Drizzt gli rivelò che non si era offeso, ma le sue parole successive colsero di sorpresa Fratello Mateus, il capo e il membro più razionale del gruppo, se non il più onesto. «Completerò il viaggio fino a Mirabar con voi», spiegò Drizzt, «poi me ne andrò.» «Te ne andrai?» chiese Mateus, preoccupato. «Questo non è il mio posto» spiegò Drizzt. «Ten-Towns è il luogo!» sbottò Jankin. «Se qualcuno ti ha offeso...» disse Mateus a Drizzt, senza badare all'ubriaco. «Nessuno» disse Drizzt, e sorrise di nuovo. «C'è altro per me in questa vita, Fratello Mateus. Non arrabbiarti, ti prego, ma ho intenzione di andarmene. Non è stata una decisione a cui sono giunto con leggerezza.» Mateus impiegò un momento per prendere in considerazione le sue parole. «Come preferisci», disse, «ma potresti per lo meno scortarci attraverso il tunnel sotterraneo che porta a Mirabar?» «Ten-Towns!» insisteva Jankin. «Quello è il posto per soffrire! Piacerebbe anche a te, drow. Terra di rinnegati, dove un rinnegato potrebbe trovare il suo posto!» «Spesso nell'ombra si annidano furfanti che depredano i frati inermi» lo interruppe Mateus, dando a Jankin una rude scrollata. Drizzt si fermò per un attimo, paralizzato dalle parole di Jankin. Tuttavia
Jankin era crollato, e il drow sollevò lo sguardo su Mateus. «Non è per questo che prendete la strada del tunnel che conduce alla città?» chiese Drizzt al frate corpulento. Il passaggio sotterraneo era normalmente riservato ai carri minerari, che scendevano dalla Spina Dorsale del Mondo, ma i frati passavano sempre per di lì, anche in situazioni come questa, quando dovevano effettuare un giro completo della città solo per giungere all'ingresso della lunga strada. «Per diventare vittime e soffrire?» continuò Drizzt. «Sicuramente la strada è libera e più conveniente con l'inverno ancora a mesi di distanza.» A Drizzt non piaceva il tunnel per Mirabar. Qualsiasi vagabondo incontrassero sulla strada sarebbe stato troppo vicino perché il drow potesse nascondere la propria identità. Attraversandolo, Drizzt era stato avvicinato nel corso di entrambi i suoi viaggi precedenti. «Gli altri insistono per passare attraverso il tunnel, anche se è lontano molte miglia dalla nostra strada» rispose Mateus, con asprezza. «Ma io preferisco forme di sofferenza più personali e apprezzerei la tua compagnia fino a Mirabar.» Drizzt desiderò urlare contro il frate ipocrita. Mateus considerava un'aspra sofferenza saltare anche un solo pasto e usava questa facciata perché molte persone ingenue davano monete ai fanatici ammantati, nella maggior parte dei casi semplicemente per liberarsi dalla presenza di quegli individui maleodoranti. Drizzt annuì e osservò Mateus che trascinava via Jankin. «Poi me ne vado» sussurrò sottovoce. Poteva ripetersi varie volte che stava servendo la sua dea e il suo cuore proteggendo quel gruppo apparentemente indifeso, ma il loro comportamento sfidava spesso apertamente quelle parole. «Drow! Drow!» biascicava Jankin mentre Mateus lo trascinava nuovamente dagli altri. 21 Efesto Tephanis osservò il gruppo composto da sei persone - i cinque frati e Drizzt - farsi strada lentamente verso il tunnel sotterraneo per l'accesso occidentale a Mirabar. Roddy aveva mandato avanti lo sveltelfo perché perlustrasse la regione, dicendo a Tephanis di fare in modo che il drow, se l'avesse trovato, si dirigesse nuovamente verso Roddy. «Ci penserà Sanguinaria a quello» aveva ringhiato Roddy, battendo la terribile ascia sul palmo della mano.
Tephanis non ne era così sicuro. Lo spiritello aveva assistito all'eliminazione da parte del drow di Ulgulu, un padrone indiscutibilmente più potente di Roddy McGristle, e un altro suo forte padrone, Caroak, era stato straziato dalla pantera nera del drow. Se Roddy avesse ottenuto quel che voleva e avesse affrontato il drow in battaglia, tanto valeva che Tephanis si cercasse subito un altro padrone. «Non-questa-volta, drow» sussurrò improvvisamente lo spiritello, mentre gli veniva in mente un'idea. «Questa-volta-ti-sistemo-io!» Tephanis conosceva il passaggio sotterraneo che conduceva a Mirabar - lui e Roddy l'avevano usato due inverni prima, quando la neve aveva sepolto la strada occidentale - e aveva imparato molti dei suoi segreti, compreso uno che ora lo spiritello progettava di utilizzare a proprio vantaggio. Lo sveltelfo effettuò un ampio giro intorno al gruppo, non volendo mettere in guardia il drow, il cui udito era estremamente acuto, e raggiunse comunque l'ingresso del tunnel molto prima degli altri. Alcuni minuti più tardi, lo spiritello aveva già percorso più di un miglio all'interno e stava armeggiando con una serratura complessa, che all'abile sveltelfo sembrò mal costruita, posta su una saracinesca a manovella. *
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Fratello Mateus faceva strada lungo il tunnel, con un altro frate al suo fianco, mentre i tre restanti erano distribuiti in un cerchio protettivo intorno a Drizzt. Drizzt aveva richiesto questo espediente in modo da poter destare il meno possibile l'attenzione se capitava che qualcuno passasse vicino a loro. Teneva il cappuccio del mantello tirato sulla testa e le spalle ricurve. Restava basso nel mezzo del gruppo. Non incontrarono altri viandanti e avanzarono a passo uniforme lungo il passaggio illuminato da torce. Giunsero a un incrocio e Mateus si fermò bruscamente, vedendo la saracinesca sollevata che conduceva a un corridoio sul lato destro. A una dozzina di passi all'interno di questo si aprì una porta di ferro, e il passaggio al di là di quella porta era immerso nell'oscurità più totale, non essendo illuminato dalle torce come la galleria principale. «Che strano» osservò Mateus. «La solita incuria» lo corresse un altro. «Preghiamo che nessun viandante, che magari non conosce bene la strada come noi, non capiti qui vicino e non prenda la via sbagliata!»
«Forse dovremmo chiudere la porta» propose un altro ancora. «No» s'interpose rapidamente Mateus. «Ci può essere qualcuno laggiù, magari mercanti, che non sarebbero così lieti se noi lo facessimo.» «No!» esclamò improvvisamente Fratello Jankin, e corse davanti al gruppo. «È un segno! Un segno divino! Fratelli miei, siamo chiamati, da Festo, la suprema sofferenza!» Jankin si volse per lanciarsi alla carica lungo il tunnel, ma Mateus e un altro, per nulla sorpresi dalla consueta esuberanza selvaggia di Jankin, balzarono immediatamente su di lui e lo bloccarono a terra. «Festo!» esclamò selvaggiamente Jankin, con i capelli neri lunghi e arruffati che gli svolazzavano tutt'intorno al volto. «Sto arrivando!» «Che cos'è?» dovette chiedere Drizzt, non avendo la minima idea di che cosa stessero parlando i frati, anche se gli parve di ricordare il riferimento. «Chi, o che cosa è Festo?» «Efesto» corresse Fratello Mateus. Drizzt conosceva quel nome. Uno dei libri che aveva preso dal boschetto di Mooshie parlava di draghi, ed Efesto, un venerabile drago rosso che viveva sulle montagne a nordovest di Mirabar, aveva una sezione a lui dedicata. «Naturalmente quello non è il vero nome del drago» proseguì Mateus brontolando, mentre lottava con Jankin. «Quello vero non lo conosco, né lo conosce nessun altro.» Jankin si divincolò improvvisamente, gettando da parte l'altro monaco, e pestò con prontezza il sandalo di Mateus. «Efesto è un vecchio drago rosso che vive nelle grotte a occidente di Mirabar da tempo immemorabile perfino per i nani» spiegò un altro frate, Fratello Herschel, che era meno impegnato di Mateus. «La città lo tollera perché è pigro e stupido, anche se non mi azzarderei a dirglielo. La maggior parte delle città, presumo, deciderebbero di tollerare un drago rosso, se in tal modo si potesse evitare di combattere contro una simile creatura! Ma Efesto non è un razziatore molto pericoloso - nessuno ricorda l'ultima volta che è uscito dalla sua tana - e a pagamento è perfino disposto a effettuare la fusione del minerale metallifero, benché la sua tariffa sia molto elevata.» «Tuttavia alcuni la pagano», aggiunse Mateus, che aveva ripreso il controllo di Jankin, «soprattutto alla fine della stagione, in vista della partenza dell'ultima carovana verso sud. Nulla è in grado di separare bene il metallo come l'alito di un drago rosso!» La sua risata si dissolse rapidamente quando Jankin lo colpì con forza, buttandolo a terra.
Jankin si liberò di scatto, appena per un attimo. Velocissimo, prima che chiunque altro riuscisse a reagire, Drizzt gettò via il proprio mantello e corse dietro al monaco in fuga, prendendolo non appena ebbe oltrepassato la pesante porta di ferro. Un unico passo e un'abile torsione atterrarono con forza Jankin sulla schiena, lasciando senza fiato il frate dallo sguardo folle. «Andiamocene immediatamente da questa zona» propose il drow, abbassando lo sguardo sul frate attonito. «Sto iniziando a stancarmi delle pagliacciate di Jankin - avrei potuto semplicemente lasciare che corresse dal drago!» Due degli altri si avvicinarono a raccogliere Jankin, poi l'intero gruppo si volse per andarsene. «Aiuto!» giunse un grido, più avanti, nel tunnel oscuro. Drizzt estrasse le scimitarre. I frati si raccolsero tutt'intorno a lui, sbirciando nell'oscurità. «Vedi qualcosa?» chiese Mateus al drow, sapendo che la vista notturna di Drizzt era più acuta della propria. «No, ma il tunnel svolta a breve distanza da qui» rispose Drizzt. «Aiuto!» giunse nuovamente il grido. Dietro al gruppo, svoltato l'angolo del tunnel principale, Tephanis dovette reprimere la propria risata. Gli sveltelfi erano abili ventriloqui, e il problema principale di Tephanis nell'ingannare il gruppo, era quello di pronunciare le proprie grida con sufficiente lentezza, in modo che venissero comprese. Drizzt effettuò un cauto passo in avanti e i frati, anche Jankin, calmatosi di fronte a quella richiesta d'aiuto, lo seguirono dappresso. Drizzt fece loro cenno di tornare indietro, proprio mentre si rendeva improvvisamente conto che poteva trattarsi di una trappola potenziale. Ma Tephanis era troppo rapido. La porta sbatté con un tonfo risonante e prima che il drow, a due passi di distanza, potesse farsi largo a spintoni tra i frati stupefatti, lo spiritello aveva già chiuso a chiave la porta. Un attimo più tardi Drizzt e i frati udirono un secondo fragore e la saracinesca calò giù. Tephanis tornò alla luce del giorno alcuni minuti più tardi, ritenendosi decisamente intelligente e ricordando a se stesso di mantenere un'espressione perplessa nello spiegare a Roddy che il gruppo del drow era introvabile. *
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I frati si stancarono di gridare non appena Drizzt ricordò loro che le loro urla avrebbero potuto attirare l'essere che abitava all'altra estremità del tunnel. «Anche se qualcuno passasse per caso accanto alla saracinesca, non vi sentirebbe attraverso questa porta» disse il drow, ispezionando il pesante portale con l'unica candela accesa da Mateus. Realizzata in ferro, pietra e cuoio, e perfettamente fissata sui cardini, la porta era stata realizzata da nani. Drizzt cercò di picchiarvi contro con l'impugnatura di una scimitarra, ma questo non fece che produrre un tonfo sordo che non riusciva a trasmettersi più in là delle grida. «Siamo perduti» gemette Mateus. «Non abbiamo via d'uscita, e le nostre provviste non sono molto abbondanti.» «Un altro segno!» sbottò improvvisamente Jankin, ma due dei frati lo colpirono, atterrandolo, e sedettero su di lui prima che potesse correre via verso la tana del drago. «Forse c'è un senso nel ragionamento di Fratello Jankin» disse Drizzt dopo una lunga pausa. Mateus lo guardò con sospetto. «Stai pensando che le nostre provviste durerebbero più a lungo se Fratello Jankin andasse incontro a Efesto?» chiese. Drizzt non poté trattenere la propria risata. «Non ho intenzione di sacrificare nessuno» disse e guardò Jankin che lottava sotto ai frati. «Indipendentemente da quanto possa essere pronto a offrirsi! Ma abbiamo soltanto una via d'uscita, sembrerebbe.» Mateus seguì lo sguardo di Drizzt lungo il tunnel scuro. «Se non prevedi sacrifici, allora stai guardando dalla parte sbagliata» sbuffò il frate corpulento. «Spero che tu non stia pensando di passare accanto al drago!» «Vedremo» fu l'unica risposta del drow. Accese un'altra candela dalla prima e si spostò, avanzando per un breve tratto lungo il tunnel. Il buonsenso di Drizzt contrastava con l'innegabile eccitazione che provava alla prospettiva d'affrontare Efesto, ma lui immaginò che la semplice necessità avrebbe avuto la meglio in tale contrasto. Drizzt ricordava che Montolio aveva combattuto contro un drago rosso e aveva perduto la vista. I ricordi della battaglia da parte del guardaboschi, a parte le ferite, non erano così terribili. Drizzt stava iniziando a comprendere quello che gli aveva detto il guardaboschi cieco riguardo alle differenze tra il sopravvivere e il sentirsi realizzati. Che valore potevano avere i cinquecento anni che restavano da vivere al drow? Per il bene dei frati, Drizzt sperava che arrivasse qualcuno ad aprire la
saracinesca e la porta. Tuttavia le dita del drow fremevano di promettente eccitazione al pensiero di brividi futuri, quando introdusse la mano nella bisaccia ed estrasse un libro di storie di draghi che aveva preso dal boschetto. Gli occhi sensibili del drow avevano bisogno di poca luce, e lui riuscì a individuare il testo con relativa facilità. Come sospettava, c'era un accenno al venerabile drago rosso che viveva a occidente di Mirabar. Il libro confermava che Efesto non era il vero nome del drago, ma piuttosto il nome datogli con riferimento a qualche oscuro dio dei fabbri ferrai. Lo scritto riguardante questo drago non era esteso, si basava per lo più sui racconti dei mercanti che andavano ad assumere il drago per utilizzarne l'alito, e su altre storie di mercanti che a quanto pareva avevano detto qualcosa di sbagliato o che mercanteggiavano troppo sul prezzo - o forse il drago era semplicemente affamato o di cattivo umore - perché non tornarono mai fuori. Fatto d'estrema importanza per Drizzt, lo scritto confermava ciò che aveva detto il frate, che aveva descritto la bestia come pigra e piuttosto stupida. Secondo le note, Efesto era eccessivamente orgoglioso, caratteristica dei draghi, ed era in grado di parlare la lingua comune, ma «carente nell'area dell'intuito sospettoso normalmente associato alla razza, in particolare per quanto riguarda i venerabili draghi rossi.» «Fratello Herschel sta tentando d'aprire la serratura» disse Mateus, avvicinandosi a Drizzt. «Le tue dita sono agili. Vorresti provare?» «Né Herschel né io potremmo aprire quella serratura» disse Drizzt con aria assente, senza alzare lo sguardo dal libro. «Per lo meno Herschel ci sta provando», brontolò Mateus, «e non se ne sta raggomitolato per proprio conto sprecando candele e leggendo un volume inutile!» «Non così inutile per chiunque di noi voglia uscire vivo di qui» disse Drizzt, sempre senza sollevare lo sguardo. Ottenne l'attenzione del frate corpulento. «Che cos'è?» chiese Mateus, protendendosi al di sopra della spalla di Drizzt, anche se non sapeva leggere. «Parla della vanità» rispose Drizzt. «Vanità? Che cosa ha a che vedere la vanità con...» «La vanità dei draghi» spiegò Drizzt. «Un punto forse molto importante. Tutti i draghi la possiedono in eccesso, quelli malvagi più di quelli buoni.» «Avendo artigli lunghi come spade e un alito che può fondere la pietra, possono permetterselo!» borbottò Mateus.
«Forse», ammise Drizzt, «ma la vanità è una debolezza - non dubitarne perfino per un drago. Vari eroi hanno sfruttato questa caratteristica per uccidere draghi.» «Ora stai pensando di uccidere la creatura?» disse Mateus, guardandolo con aria interdetta. «Se sarà necessario» disse Drizzt, di nuovo con aria assente. Mateus levò le braccia al cielo e si allontanò, scrollando il capo per rispondere agli sguardi fissi e interrogativi degli altri. Drizzt sorrise tra sé e riprese a leggere. Ora i suoi piani stavano prendendo definitivamente forma. Lesse varie volte l'intero brano, imparandone a memoria ogni parola. Tre candele più tardi, Drizzt stava ancora leggendo e i frati stavano spazientendosi e iniziavano ad avere fame. Sollecitarono Mateus, che si alzò in piedi, si alzò la cintura sul ventre, e si diresse verso Drizzt. «Altra vanità?» chiese con sarcasmo. «Ho finito con quella parte» rispose Drizzt. Alzò il libro, mostrando a Mateus il disegno di un enorme drago nero avvolto intorno a vari alberi caduti, in una densa palude. «Ora sto studiando il drago che può aiutare la nostra causa.» «Efesto è un drago rosso», osservò sprezzantemente Mateus, «non nero.» «Questo è un altro drago» spiegò Drizzt. «Mergandevinasander di Chult, potrebbe essere un visitatore in grado di conversare con Efesto.» Fratello Mateus era rimasto completamente senza parole. «Rossi e neri non vanno d'accordo» tagliò netto. «Anche uno sciocco lo sa.» «Io do raramente retta agli sciocchi» rispose Drizzt, e ancora una volta il frate si volse e si allontanò, scrollando il capo. «C'è qualcos'altro che tu non sai, ma che con estrema probabilità Efesto saprà» disse piano Drizzt, troppo a bassa voce perché qualcuno potesse sentire. «Mergandevinasander ha gli occhi viola!» Drizzt chiuse il libro, certo che gli avesse fornito una comprensione sufficiente a consentirgli di effettuare il suo tentativo. Se avesse mai visto prima la terribile magnificenza di un venerabile drago rosso, in quel momento non avrebbe sorriso. Ma l'ignoranza e i ricordi di Montolio alimentarono il coraggio del giovane guerriero drow che aveva così poco da perdere, e Drizzt non aveva alcuna intenzione di cedere alla morte per fame, per paura di un pericolo sconosciuto. Comunque non aveva ancora intenzione di farsi avanti, era troppo presto.
Doveva ancora esercitarsi a produrre una voce il più possibile simile a quella di un drago. *
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Di tutti gli splendori che Drizzt aveva visto nella sua avventurosa esistenza, nessuno - non le grandi case di Menzoberranzan, non la grotta degli illithid, neppure il lago d'acido - potevano minimamente avvicinarsi allo spettacolo imponente, costituito dalla tana del drago. Mucchi d'oro e di gemme riempivano l'enorme cavità, distribuiti a ondate in successione, simili alla scia di una nave gigantesca sul mare. Armi e corazze, che luccicavano splendidamente, erano accumulate tutt'intorno, e l'abbondanza di oggetti elaborati - calici, coppe e simili - avrebbe potuto riempire completamente le sale del tesoro di un centinaio di ricchi sovrani. Drizzt dovette ricordare a se stesso di respirare mentre osservava quello splendore. Non erano le ricchezze a estasiarlo in quel modo - gli importava ben poco delle cose materiali - ma le avventure a cui si ricollegavano oggetti così meravigliosi e tale ricchezza, trascinavano Drizzt in un centinaio di direzioni diverse. Osservare la tana del drago sminuiva la sua semplice sopravvivenza sulla strada con i Frati Penitenziali e il suo semplice desiderio di trovare un luogo di pace e tranquillità da chiamare casa. Pensò nuovamente alla storia del drago di Montolio, e a tutti gli altri racconti avventurosi che gli aveva narrato il guardaboschi cieco. Improvvisamente sentì a sua volta il bisogno di sperimentare simili avventure. Drizzt voleva una casa, e voleva essere accettato, ma guardando i bottini si rese anche conto di desiderare un proprio posto nei libri dei bardi. Sperò di percorrere strade pericolose ed eccitanti, e perfino di scrivere le proprie storie. La spelonca di per sé era immensa e irregolare, si snodava descrivendo angoli ciechi. Era completamente illuminata in modo fioco, con un bagliore fumoso, rossastro dorato. Era calda, e questo mise Drizzt e gli altri a disagio quando si presero la briga di riflettere sulla provenienza di quel calore. Drizzt si volse verso i frati in attesa e ammiccò, poi indicò alla sua sinistra, verso l'unica uscita. «Conoscete il segnale» disse muovendo le labbra, ma senza pronunciare le parole. Mateus annuì in modo esitante, continuando a chiedersi se fosse stato saggio fidarsi del drow. Sulla strada, in questi ultimi mesi, Drizzt era stato
un valido alleato per il frate pragmatico, ma un drago era sempre un drago. Drizzt scrutò nuovamente la stanza, questa volta guardando al di là dei tesori. Tra due pile d'oro individuò il suo obiettivo, che non era meno splendido dei gioielli e delle gemme. Steso tra quei cumuli preziosi c'era un enorme drago dalla coda a scaglie, rosso-oro come il colore della luce, che muoveva il proprio corpo come una sferza, con un gesto lieve e ritmico, avanti e indietro, e ogni forte colpo accumulava l'oro più profondamente intorno a lui. Drizzt aveva già visto immagini di draghi in precedenza; uno dei maghi che aveva avuto come insegnanti all'Accademia aveva anche creato illusioni dei vari tipi di drago, perché gli studenti potessero osservarli. Nulla, tuttavia, avrebbe potuto preparare il drow a questo momento, la prima esperienza visiva di un drago vivente. In tutti i reami conosciuti, non c'era nulla di più impressionante, e tra tutti i tipi di drago, gli enormi draghi rossi erano forse i più imponenti. Quando alla fine Drizzt riuscì a staccare lo sguardo dalla coda, individuò la via che avrebbe dovuto seguire per entrare nella spelonca. Il tunnel sboccava in posizione elevata sul lato di una parete, ma un chiaro sentiero portava giù sul fondo della grotta. Drizzt lo studiò per un lungo attimo, memorizzando ogni passo. Poi raccolse due manciate di terra e se le mise in tasca, estrasse una freccia dalla propria faretra, e vi formulò un incantesimo di tenebre. Con cautela e silenziosamente, Drizzt si fece strada alla cieca lungo il sentiero, guidato dalle continue sferzate della coda a scaglie. Rischiò quasi d'inciampare quando raggiunse la prima pila di gemme e udì la coda fermarsi all'improvviso. «Avventura» ricordò Drizzt a se stesso, tranquillamente, e proseguì, concentrandosi sull'immagine mentale del luogo in cui si trovava. Immaginò il drago che s'impennava davanti a lui, vedendo attraverso il globo di tenebre che lo celava. Sussultò istintivamente, aspettandosi che un'esplosione di fiamme lo avvolgesse e bruciasse sul posto. Ma continuò ad avanzare, e quando infine giunse al di sopra della pila d'oro, fu lieto d'udire il respiro regolare e tonante del drago che dormiva. Drizzt iniziò a salire lentamente su per il secondo ammasso, lasciando che nei suoi pensieri si formasse un incantesimo di levitazione. Non si aspettava veramente che l'incantesimo funzionasse molto bene - era fallito in modo sempre più completo a ogni suo ennesimo tentativo. Qualsiasi aiuto lui potesse ottenere avrebbe migliorato l'effetto del suo inganno. Quando giunse a metà strada su per l'ammasso, Drizzt si mise a correre,
sollevando intorno a ogni passo monete e gemme. Udì il drago che si destava, ma non rallentò, afferrando l'arco mentre avanzava. Quando raggiunse la sommità, balzò fuori e mise in atto la levitazione, restando sospeso immobile nell'aria per una frazione di secondo, prima che l'incantesimo svanisse. Poi Drizzt cadde giù, tirando con l'arco e lanciando il globo di tenebre, che si librò attraverso la cavità. Non avrebbe mai creduto che un mostro di tali dimensioni potesse essere così agile, ma quando andò a schiantarsi pesantemente su una pila di coppe e di ninnoli ingemmati, si trovò a fissare in volto una bestia estremamente furiosa. Quegli occhi! Simile a due analoghi raggi di dannazione, il loro sguardo s'impossessava di Drizzt, lo penetrava direttamente, lo spingeva ad appiattirsi sul ventre e a strisciare implorando pietà, nonché a rivelare ogni inganno, a confessare ogni peccato a Efesto, questo essere divino. Il grande collo serpentino del drago si piegò lievemente di lato, ma lo sguardo non abbandonò mai il drow, trattenendolo con la stessa fermezza di un abbraccio dell'orso Uragano. Una voce risuonò lievemente ma con fermezza nei pensieri di Drizzt, la voce di un guardaboschi cieco che intesseva racconti di battaglie e d'eroismo. Inizialmente Drizzt la sentì con difficoltà, ma si trattava di una voce insistente, che ricordava al drow in un modo speciale, che ora altri cinque uomini dipendevano da lui. Se avesse fallito, i frati sarebbero morti. Questa parte del piano non fu troppo difficile per Drizzt, perché il drow credeva veramente alle proprie parole. «Efesto!» gridò nella lingua comune. «Può essere, finalmente? Oh, somma magnificenza! Di gran lunga più magnifico che nelle storie!» La testa del drago si ritrasse di circa tre metri da Drizzt, e un'espressione confusa penetrò in quegli occhi onniscenti, smascherando l'apparenza. «Mi conosci?» tuonò Efesto, mentre il fiato bollente del drago soffiava all'indietro la bianca chioma di Drizzt. «Tutti ti conoscono, possente Efesto!» esclamò Drizzt, inciampando e finendo in ginocchio, ma non osando alzarsi in piedi. «Era te che cercavo, e ora ti ho trovato e non sono deluso!» Il drago socchiuse sospettosamente gli occhi terribili. «Perché un elfo scuro dovrebbe cercare Efesto, Distruttore di Cockleby, Divoratore di Diecimila Capi di Bestiame, Colui Che Ha Annientato Angalander lo Stupido Argenteo, Colui Che...» Proseguì per molti minuti, mentre Drizzt sopportava stoicamente l'alito pestilenziale, continuando per tutto il tempo a fin-
gersi incantato dall'elenco delle molteplici imprese malvagie del drago. Quando Efesto ebbe finito, Drizzt dovette effettuare un attimo di pausa per ricordare la domanda iniziale. In quel momento la sua effettiva confusione non fece che contribuire all'inganno. «Elfo scuro?» chiese come se non capisse. Sollevò lo sguardo sul drago e ripeté le parole, ancora più confuso. «Elfo scuro?» Il drago si guardò tutt'intorno, il suo sguardo si proiettò sui mucchi di tesori, simile a due fari, poi indugiò per un po' sul globo di tenebre di Drizzt, nel bel mezzo della stanza. «Sto parlando di te!» ruggì improvvisamente Efesto, e la forza dell'urlo fece cadere Drizzt all'indietro. «Elfo scuro!» «Drow?» disse Drizzt, riprendendosi alla svelta e ora osando alzarsi in piedi. «No, non io.» Si osservò e annuì, come se comprendesse improvvisamente. «Sì, naturalmente» disse. «Dimentico così spesso queste spoglie che indosso!» Efesto emise un lungo ringhio, sempre più impaziente, e Drizzt capì che avrebbe fatto meglio a muoversi alla svelta. «Non sono un drow» disse. «Anche se potrei diventarlo presto se Efesto non mi può aiutare!» Drizzt poteva sperare soltanto d'aver suscitato la curiosità del drago. «Hai sentito parlare di me, ne sono certo, possente Efesto. Io sono, o ero e spero di tornare a esserlo, Mergandevinasander di Chult, un vecchio drago nero di non poca fama.» «Mergandevin...?» iniziò Efesto, ma non concluse la parola. Naturalmente Efesto aveva sentito parlare del drago nero; i draghi conoscevano i nomi della maggior parte degli altri draghi in tutto il mondo. Efesto sapeva anche, come Drizzt aveva sperato, che Mergandevinasander aveva occhi viola. Per aiutarlo nella spiegazione, Drizzt ricordò le sue esperienze con Clacker, lo sfortunato pech a cui un mago, grazie a una trasformazione, aveva dato le spoglie di un orrore uncinato. «Un mago mi ha sconfitto» iniziò gravemente. «Un gruppo d'avventurieri è entrato nella mia tana. Ladri! Tuttavia ho annientato uno di loro, un paladino!» Efesto sembrò gradire questo piccolo particolare, e Drizzt, che ci aveva pensato al momento, si congratulò silenziosamente con se stesso. «Come friggeva la sua argentea armatura sotto all'acido del mio fiato!» «Un peccato sprecarlo così» l'interruppe Efesto. «I paladini sono un ottimo pasto!» Drizzt sorrise per nascondere il suo disagio al pensiero. Non poté fare a meno di chiedersi quale potesse essere il sapore di un elfo scuro, con la
bocca del drago così vicina. «Li avrei uccisi tutti - e mi sarei impossessato di un bel tesoro - se non fosse stato per quel maledetto mago! È stato lui a farmi questa cosa terribile!» Drizzt guardò con disgusto la sua forma drow. «Polimorfo?» chiese Efesto, e Drizzt notò un po' di solidarietà - pensò in quella voce. Drizzt annuì solennemente. «Un perfido incantesimo. Mi ha tolto la forma, le ali e il fiato. Ma restavo pur sempre Mergandevinasander nel pensiero, tuttavia...» Efesto spalancò gli occhi alla pausa, e l'occhiata pietosa e confusa che Drizzt gli lanciò, sostenne veramente quella del drago. «Ho scoperto quest'improvvisa affinità con i ragni» mormorò Drizzt. «Desidero vezzeggiarli e baciarli...» Dunque questo è l'aspetto di un drago rosso disgustato, pensò Drizzt quando rivolse nuovamente lo sguardo sulla bestia. Monete e gingilli tintinnarono per tutta la stanza mentre un brivido involontario percorreva la spina dorsale del drago. *
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I frati nel basso tunnel non potevano assistere all'incontro, ma riuscivano a sentire abbastanza bene la conversazione e compresero che cos'avesse in mente il drow. Per la prima volta, per quanto potessero ricordare, Fratello Jankin era rimasto raggelato, senza parole, ma Mateus riuscì a sussurrare qualcosa, riecheggiando i sentimenti di tutti. «Costui possiede una notevole forza d'animo!» ridacchiò il frate corpulento, e si chiuse subito la bocca con la mano, temendo di aver parlato troppo forte. *
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«Perché sei venuto da me?» ruggì furiosamente Efesto. Drizzt scivolò all'indietro per l'urto, ma questa volta riuscì a mantenere il proprio equilibrio. «Ti prego, possente Efesto!» implorò Drizzt. «Non ho scelta. Mi sono recato a Menzoberranzan, la città dei drow, ma mi hanno detto che l'incantesimo di questo mago era potente e che non potevano fare nulla per annullarlo. Perciò vengo da te, grande ed eminente Efesto, famoso per le tue capacità con gli incantesimi di trasformazione. Forse uno della mia stessa specie...» «Un drago nero?» giunse il ruggito tonante, e questa volta Drizzt cadde.
«Della tua stessa specie?» «No, no, un drago» si affrettò a dire Drizzt, ritrattando l'insulto evidente e balzando di nuovo in piedi - pensando che forse ben presto si sarebbe dovuto mettere a correre. Il ringhio di Efesto si protraeva e rivelò a Drizzt che aveva bisogno di un diversivo; il drow lo trovò dietro al drago, nei profondi segni di bruciature lungo le pareti e la parte posteriore dell'alcova rettangolare. Drizzt immaginò che questo fosse il luogo in cui Efesto si guadagnava le sue elevate tariffe, fondendo minerale metallico. Il drow non poté fare a meno di rabbrividire chiedendosi quanti sfortunati mercanti o avventurieri fossero andati incontro alla propria fine tra quelle pareti bruciacchiate. «Che cos'ha causato un simile cataclisma?» esclamò Drizzt, intimorito. Efesto non osò allontanarsi, sospettando il tradimento. Un attimo più tardi, tuttavia, il drago si rese conto di quello che l'elfo scuro aveva notato, e il ringhio scomparve. «Quale divinità è scesa presso di te, possente Efesto, e ti ha benedetto con un simile spettacolo di potere? Da nessuna parte in tutti i reami la pietra è dilaniata in questo modo! Non più, da quando il mondo è stato formato con il fuoco...» «Basta!» tuonò Efesto. «Tu che sei così erudito non conosci l'alito di un drago rosso?» «Certamente il fuoco è il mezzo utilizzato da un drago rosso», rispose Drizzt, senza mai staccare il proprio sguardo dall'alcova, «Ma quale intensità possono avere le fiamme? Sicuramente non saranno forti al punto di causare una tale devastazione!» «Vuoi vedere?» giunse la risposta del drago, in un sibilo sinistro e fumoso. «Sì!» esclamò Drizzt, poi: «No!» disse, lasciandosi cadere piegato su se stesso in posizione fetale. Sapeva che stava muovendosi su un terreno rischioso, ma sapeva che si trattava di un azzardo necessario. «Vorrei veramente assistere a una simile esplosione, ma ne temo molto il calore.» «Allora osserva, Mergandevinasander di Chult» strepitò Efesto. «Osserva chi è migliore di te!» L'aspra inalazione del fiato del drago attirò Drizzt due passi avanti, gli portò i capelli bianchi e brucianti intorno agli occhi, e quasi gli strappò dalla schiena la coperta che gli fungeva da mantello. Sul mucchio dietro di lui, monete si rovesciarono in avanti in un'ondata rumorosa. Poi il collo serpentino del drago ondeggiò, descrivendo un arco lungo e
ampio, ponendo la testa del grande drago rosso in linea con l'alcova. L'esplosione successiva tolse l'aria dalla stanza, i polmoni di Drizzt bruciavano e gli occhi gli pungevano, sia per il calore che per la luminosità. Tuttavia continuò a osservare, mentre il fuoco del drago bruciava l'alcova avvolgendola in una vampata ruggente e tonante. Drizzt notò inoltre che Efesto chiudeva strettamente gli occhi quando alitava il proprio fuoco. Quando la conflagrazione fu terminata, Efesto si volse oscillando, trionfante. Drizzt, che continuava a guardare l'alcova, mentre la roccia fusa colava lungo le pareti e gocciolava dal soffitto, non dovette fingere la propria soggezione. «Per gli dei!» sussurrò aspramente. Riuscì a riportare lo sguardo sull'espressione compiaciuta del drago. «Per gli dei» ripeté. «Mergandevinasander di Chult, che si riteneva supremo, è umiliato.» «E così dev'essere!» tuonò Efesto. «Nessun drago nero è pari a un drago rosso! Sappilo ora, Mergandevinasander. È un fatto che potrebbe salvarti la vita se mai un drago rosso venisse alla tua porta!» «Davvero» assentì prontamente Drizzt. «Ma temo che non avrò alcuna porta.» Ancora una volta abbassò lo sguardo sulla sua forma e si accigliò, pieno di sdegno. «Nessuna porta se non una nella città degli elfi scuri!» «Quello è il tuo destino, non il mio» disse Efesto. «Ma avrò pietà di te. Ti lascerò andar via vivo, anche se questo è più di quanto tu meriti per aver disturbato il mio sonno!» Drizzt sapeva che questo era il momento critico. Avrebbe potuto accettare l'offerta di Efesto; in quel momento non desiderava altro che trovarsi fuori di lì. Ma i suoi principi e la memoria di Mooshie non gli permisero d'andare. Che ne sarebbe stato dei suoi compagni nel tunnel? E delle avventure nei libri dei bardi? «Allora divorami» disse al drago, anche se riusciva a malapena a credere alle sue parole mentre le pronunciava. «Io che ho conosciuto la gloria di appartenere alla razza dei draghi non posso accontentarmi di un'esistenza da elfo scuro.» Le enormi fauci di Efesto si spostarono gradualmente in avanti. «Ahimè per la stirpe dei draghi!» gemette Drizzt. «Il nostro numero è in costante diminuzione, mentre gli umani si moltiplicano come parassiti. Ahimè per i tesori dei draghi, che verranno rubati da maghi e paladini!» Il modo in cui pronunciò con forza l'ultima parola fece fermare Efesto. «E ahimè per Megandevinasander», continuò Drizzt in modo teatrale, «che viene abbattuto in questo modo da un mago umano il cui potere eclis-
sa perfino quello di Efesto, il più illustre della stirpe dei draghi!» «Eclissa!» esclamò Efesto, e l'intera spelonca tremò per la forza di quel ruggito. «Che cosa dovrei pensare?» urlò Drizzt di rimando, un urlo piuttosto pietoso se paragonato al volume del drago. «Forse che Efesto non aiuterebbe un membro della sua stessa specie in estinzione? No, questo non posso crederlo, questo il mondo non lo crederà!» Drizzt rivolse un dito affusolato verso il soffitto sopra di sé, pregando con tutta la sua anima. Non occorreva che gli venisse ricordato il prezzo del suo fallimento. «Diranno, all'unisono e in tutti gli ampi reami, che Efesto non ha osato annullare la magia del mago, che il grande drago rosso non ha osato rivelare la propria debolezza contro un incantesimo così possente, per timore che la sua impotenza invitasse a nord quello stesso gruppo guidato da un mago, per saccheggiare il bottino di un altro drago!» «Ah!» gridò Drizzt, con gli occhi sbarrati, «Ma il fatto di credere che Efesto si sia arreso, non darà anche al mago e ai suoi malvagi amici ladroni la speranza di un tale saccheggio? E quale drago possiede più tesori da rubare di Efesto, il drago rosso della ricca Mirabar?» Il drago non sapeva come comportarsi. A Efesto piaceva il suo tenore di vita, dormire su tesori sempre più ingenti, versati da mercanti che pagavano somme notevoli. Non aveva bisogno che eroici avventurieri o simili gironzolassero per la sua tana! Quelli erano gli esatti sentimenti a cui Drizzt aveva sperato di fare appello. «Domani!» ruggì il drago. «Oggi rifletterò sull'incantesimo, e domani Mergandevinasander tornerà a essere di nuovo un drago nero! Poi se ne andrà, con la coda in fiamme, se oserà pronunciare un'altra parola blasfema! Ora devo riposarmi per ricordare l'incantesimo. Non muoverti, drago in forma di drow. Fiuto la tua posizione e il mio udito è il migliore del mondo. Non dormo profondamente come avrebbero voluto molti ladri!» Naturalmente Drizzt non dubitò neppure una parola, perciò anche se le cose erano andate bene, proprio come aveva sperato, ora si trovava in una situazione piuttosto critica. Non poteva aspettare un giorno per riprendere la conversazione con il drago rosso, né potevano farlo i suoi amici. Come avrebbe reagito l'orgoglioso Efesto, quando avrebbe cercato d'annullare un incantesimo che non esisteva neppure? Drizzt era sull'orlo del panico. E che cosa avrebbe fatto lui se Efesto l'avesse trasformato davvero in un drago nero? «Naturalmente l'alito di un drago nero presenta dei vantaggi rispetto a
quello di un drago rosso» sbottò Drizzt mentre Efesto si allontanava ondeggiando. Il drago rosso tornò da lui in un lampo spaventoso e con furia tremenda. «Vuoi provare il mio alito?» ringhiò Efesto. «Mi chiedo se continueresti a vantarti in tal modo.» «No, quello no» rispose Drizzt. «Non prendertela a male, potente Efesto. Lo spettacolo dei tuoi fuochi ha veramente annientato il mio orgoglio! Ma l'alito di un drago nero non può essere sottovalutato. Possiede qualità che vanno anche al di là della forza infuocata di un drago rosso!» «Che cosa intendi?» «Acido, O Efesto l'Incredibile, Divoratore di Diecimila Capi di Bestiame» rispose Drizzt. «L'acido intacca l'armatura di un cavaliere, vi penetra in un tormento che si protrae.» «Al pari del metallo gocciolante?» chiese Efesto con sarcasmo. «Il metallo fuso dal fuoco di un drago rosso?» «Più a lungo, temo» ammise Drizzt, abbassando lo sguardo. «Il fiato di un drago rosso giunge in una raffica di distruzione, ma quello di un drago nero indugia, con sgomento del nemico.» «Una raffica?» ringhiò Efesto. «Per quanto tempo può durare il tuo fiato, miserabile drago nero? Io so di poter alitare più a lungo!» «Ma...» iniziò Drizzt, indicando l'alcova. Questa volta l'improvvisa inalazione del drago attirò Drizzt avanti di vari passi e lo trascinò quasi a terra. Il drow si mantenne sufficientemente lucido da gridare il segnale stabilito: «Fuochi dei Nove Inferni!» mentre Efesto faceva oscillare nuovamente la testa in linea con l'alcova. *
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«Il segnale!» disse Mateus al di sopra del tumulto. «Correte, ne va della vostra vita! Correte!» «Mai!» esclamò Fratello Herschel, terrorizzato, e gli altri, tranne Jankin, non obiettarono. «Oh, soffrire così!» gemette il fanatico dai capelli arruffati, uscendo dal tunnel. «Dobbiamo farlo! È una questione di vita o di morte!» ricordò loro Mateus, afferrando Jankin per i capelli per impedirgli d'andare nella direzione sbagliata. Lottarono per vari secondi all'uscita del tunnel e poi gli altri frati, ren-
dendosi conto che forse la loro unica speranza sarebbe ben presto sfumata, uscirono precipitosamente dal tunnel e l'intero gruppo incespicò lungo il sentiero in pendenza, che scendeva dalla parete. Quando si ripresero, erano certamente nei guai, e saltarono intorno inutilmente, senza sapere se arrampicarsi di nuovo verso il tunnel, o se svignarsela verso l'uscita. Cercare d'inerpicarsi disperatamente consentì loro di fare ben pochi progressi su per il pendio, in particolar modo con Mateus che continuava a cercare di trattenere Jankin, così l'uscita restò l'unica via possibile. Inciampando l'uno contro l'altro, i frati attraversarono la stanza fuggendo. Neppure il terrore impedì a ognuno di loro, perfino a Jankin, di raccogliere una manciata di gingilli al loro passaggio. *
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Non si era mai verificata una simile raffica di fuoco di drago! Efesto, con gli occhi chiusi, continuava a rumoreggiare, disintegrando la pietra dell'alcova. Enormi fiotti infuocati esplosero nella stanza - Drizzt fu quasi sopraffatto dal calore - ma il drago furioso non si placò, deciso a umiliare una volta per tutte il fastidioso visitatore. Il drago sbirciò una volta, per assistere agli effetti della sua dimostrazione. I draghi conoscevano le loro sale del tesoro meglio di qualsiasi altra cosa al mondo, ed Efesto non mancò di notare l'immagine di cinque figure fugaci che schizzavano attraverso la cavità principale, dirette all'uscita. L'alito si arrestò bruscamente e il drago si volse. «Ladri!» ruggì, spaccando la pietra con la sua voce tonante. Drizzt capì che il gioco era finito. Le grandi fauci piene di denti aguzzi come lance scattarono verso il drow. Drizzt si spostò di lato e balzò, non potendo andare da nessun'altra parte. Afferrò una delle corna del drago e salì verso l'alto, aggrappato alla testa della bestia. Drizzt riuscì ad arrampicarsi sulla sommità e tenne duro per salvarsi la vita, mentre il drago infuriato cercava di liberarsi di lui a scrolloni. Drizzt cercò di prendere una scimitarra, ma invece trovò una tasca, ed estrasse una manciata di terra. Senza la minima esitazione, il drow gettò la terra nell'occhio maligno del drago. Efesto fu colto da una cieca frenesia, iniziò a muovere la testa di scatto, con violenza, su, giù, tutt'intorno. Drizzt tenne duro cocciutamente, e il subdolo drago individuò un metodo migliore. Drizzt comprese l'intento di Efesto mentre la testa guizzava in aria a tut-
ta velocità. Il soffitto non era così elevato - non se paragonato al collo serpentino di Efesto. Si trattava di una pericolosa caduta, ma era un destino di gran lunga preferibile, e Drizzt si lasciò piombare giù poco prima che la testa del drago andasse a sbattere contro la roccia. Drizzt si rimise in piedi, in preda alle vertigini, mentre Efesto, a malapena rallentato dall'impatto schiacciante, tratteneva il fiato. La fortuna salvò il drow, e non per la prima o per l'ultima volta, mentre un grosso pezzo di pietra cadeva dal soffitto malconcio e andava a fracassarsi sulla testa del drago. Efesto emise uno sbuffo innocuo e Drizzt schizzò via a tutta velocità al di sopra del mucchio di tesori, tuffandosi di sotto. Efesto ruggì di rabbia e liberò il resto del suo alito, senza pensare, direttamente sull'ammasso. Monete d'oro si fusero insieme, gemme enormi si spezzarono a causa della pressione elevata. L'ammasso era spesso ben venti piedi, e saldamente compresso, ma Drizzt, dal lato opposto, si sentì la schiena in fiamme. Balzò via dal mucchio, lasciando il suo mantello fumante attaccato indissolubilmente all'oro fuso. Drizzt uscì, con le scimitarre alla mano, mentre il drago si ergeva. Il drow si lanciò proprio contro di lui, coraggiosamente, stupidamente, menando colpi con tutte le sue forze. Si fermò, stupefatto, dopo soltanto due colpi, con entrambe le scimitarre che gli vibravano dolorosamente nelle mani; sarebbe stato lo stesso se le avesse sbattute contro una parete di pietra! Efesto, a testa alta, non aveva fatto caso all'attacco. «Il mio oro!» gemeva il drago. Poi la bestia guardò giù, il suo sguardo simile alla luce di una lampada penetrò ancora una volta attraverso il drow. «Il mio oro!» ripeté Efesto, con perfidia. Drizzt scrollò timidamente le spalle, poi si mise a correre. Efesto sbatté la coda intorno, percuotendo un altro accumulo di tesori e spargendo nella spelonca monete d'oro e d'argento e pietre preziose. «Il mio oro!» ruggì ripetutamente il drago, mentre si faceva largo a colpi di coda tra le strette pile di tesori. Drizzt cadde dietro a un altro cumulo. «Aiutami, Guenhwyvar» implorò, lasciando cadere la statuina. «Sento il tuo odore, ladro!» Il drago esprimeva la propria soddisfazione facendo le fusa - come se un uragano potesse, fare le fusa - non lontano dal mucchio dietro al quale si trovava Drizzt. In risposta, la pantera giunse in cima al monticello, ruggì con aria di sfida, poi balzò via. Drizzt, alla base, ascoltò attentamente, misurando i passi,
mentre Efesto si lanciava in avanti. «Ti morderò spezzandoti a metà, mutante!» urlò il drago, e la sua bocca aperta cercò di mordere Guenhwyvar. Ma i denti, perfino i denti di drago, avevano un effetto ben scarso sulla nebbiolina inconsistente in cui Guenhwyvar si era improvvisamente trasformata. Drizzt riuscì a infilarsi in tasca alcuni ninnoli mentre correva fuori, la sua ritirata venne coperta dallo strepito della collera del drago in preda alla frustrazione. La spelonca era grande e Drizzt non era ancora uscito quando Efesto si riprese e lo individuò. Confuso ma non meno infuriato, il drago ruggì e si mise all'inseguimento di Drizzt. Nella lingua dei folletti, sapendo dal libro che Efesto la parlava, ma sperando che il drago non sapesse che lui lo sapeva, Drizzt urlò: «Quando la stupida bestia mi seguirà all'esterno, uscite fuori e prendete il resto!» Efesto si bloccò di scatto e si volse rapidamente, osservando il basso tunnel che conduceva alle miniere. Lo stupido drago era in preda a un accesso tremendo, voleva mangiarsi l'ingannevole drow ma temeva un furto alle spalle. Efesto si diresse a lunghi passi verso il tunnel e sbatté la testa squamosa contro la parete che si trovava sopra a questo, per sicurezza, poi si ritrasse per riflettere su quanto era accaduto. Il drago sapeva che ormai i ladri erano giunti all'uscita; sarebbe dovuto uscire sotto al vasto cielo se voleva prenderli - un proposito per nulla saggio in questo periodo dell'anno, considerati i lucrosi affari che poteva portare a termine. Alla fine Efesto risolse il dilemma com'era solito risolvere ogni problema: giurò di mangiarsi completamente il prossimo gruppo di mercanti che si fosse recato da lui. Ripristinato il proprio orgoglio con quella decisione, decisione che avrebbe indubbiamente dimenticato una volta rimessosi a dormire, il drago tornò a girare per la propria cavità, sistemando nuovamente le pile d'oro e salvando quel che poteva dai mucchi che aveva inavvertitamente fuso. 22 Verso casa «Ci hai portati fuori!» esclamò Fratello Herschel. Tutti i frati, tranne Jankin, abbracciarono forte Drizzt non appena il drow li ebbe raggiunti in una valletta rocciosa a ovest dell'ingresso dell'antro del drago. «Se possiamo fare qualcosa per sdebitarci...!»
Drizzt si svuotò le tasche in risposta, e cinque paia d'occhi bramosi si spalancarono, mentre rotolavano giù ciondoli e ninnoli d'oro, luccicanti nel sole pomeridiano. Una gemma in particolare, un rubino di cinque centimetri, prometteva una ricchezza impensabile per i frati. «È per voi» spiegò Drizzt. «Tutto. Io non ho bisogno di tesori.» I frati si guardarono l'un l'altro con aria colpevole, nessuno di loro voleva rivelare il bottino nascosto nelle proprie tasche. «Forse dovresti tenerne un po'», propose Mateus, «se hai ancora intenzione d'andartene per tuo conto.» «Sì» disse Drizzt con fermezza. «Non puoi restare qui» arguì Mateus. «Dove andrai?» Drizzt non ci aveva pensato molto. L'unica cosa che sapesse con certezza era che il suo posto non si trovava tra i Frati Penitenziali. Rifletté per un po', ricordando le molte strade senza sbocco che aveva percorso. Gli balenò un pensiero. «L'hai detto tu» ricordò Drizzt a Jankin. «Tu hai accennato al posto giusto, una settimana prima che entrassimo nel tunnel.» Jankin lo guardò con curiosità, ricordava a fatica. «Ten-Towns» disse Drizzt. «Terra di rinnegati, dove un rinnegato potrebbe trovare il suo posto.» «Ten-Towns?» esitò Mateus. «Faresti sicuramente meglio a riprendere in considerazione le tue intenzioni, amico. Le Lande di Ghiaccio non sono un luogo invitante, né lo sono i temerari assassini di Ten-Towns.» «Il vento soffia sempre», aggiunse Jankin con uno sguardo malinconico negli occhi scuri e incavati, «pieno di sabbia pungente, una sferza gelata. Verrò con te!» «E i mostri!» aggiunse uno degli altri, schiaffeggiando Jankin sulla nuca. «Yeti della tundra e orsi bianchi, e barbari feroci! No, non mi recherei a Ten-Towns neppure se Efesto stesso cercasse d'inseguirmi fino a lì!» «Be', il drago potrebbe» disse Herschel, volgendosi nervosamente verso la tana non troppo lontana. «Qui nelle vicinanze ci sono alcune fattorie. Forse potremmo restare lì la notte e tornare al tunnel domani.» «Non verrò con voi» ripeté Drizzt. «Voi definite Ten-Towns un luogo inospitale, ma troverei forse un'accoglienza migliore a Mirabar?» «Stanotte andremo dagli agricoltori» rispose Mateus, riflettendo di nuovo sulle sue parole. «Lì ti compreremo un cavallo e le provviste di cui avrai bisogno. Non desidero affatto che tu te ne vada», disse, «ma TenTowns sembra una buona scelta...» Guardò esplicitamente Jankin. «...per
un drow. Molti hanno trovato lì il loro posto. È veramente una casa per chi non ne ha alcuna.» Drizzt comprese la sincerità nella voce del frate e apprezzò la gentilezza di Mateus. «Come la trovo?» chiese. «Segui le montagne» rispose Mateus. «Tienile sempre alla portata della tua mano destra. Quando arrivi intorno alla catena, sei entrato nelle Lande di Ghiaccio. Un'unica cima segna la regione piatta a nord della Spina Dorsale del Mondo. Le città sono costruite intorno a essa. Ti auguro di trovare lì tutto ciò che speri!» Con ciò i frati si prepararono a partire. Drizzt intrecciò le mani dietro alla testa e appoggiò la schiena contro la parete che delimitava la valle. Sapeva che era davvero venuto il momento di separarsi dai frati, ma non poteva negare né il rimorso né la solitudine che la prospettiva gli presentava. Le piccole ricchezze che avevano preso dalla tana del drago avrebbero cambiato enormemente le esistenze dei suoi compagni, avrebbero dato loro riparo e colmato ogni necessità, ma la ricchezza non poteva far nulla per alterare le barriere che Drizzt si trovava davanti. Ten-Towns, il luogo che Jankin aveva definito la casa degli sbandati, un terreno di raccolta per coloro che non avevano nessun altro luogo dove recarsi, diede al drow una certa speranza. Quante volte il destino lo aveva preso a calci? A quanti portoni si era avvicinato speranzoso soltanto per venir respinto dalla punta di una lancia? Drizzt si disse che questa volta sarebbe stato diverso, perché se non poteva trovare un posto nella terra dei fuoriusciti, allora dove sarebbe potuto andare? Per il drow tormentato, che aveva trascorso così tanto tempo a fuggire dalla tragedia, dal rimorso e da pregiudizi a cui non poteva sottrarsi, la speranza non era un'emozione facile. *
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Quella notte Drizzt si accampò in un boschetto, mentre i frati si recavano nel piccolo villaggio di agricoltori. Tornarono il mattino dopo portando un bel cavallo, ma era evidente l'assenza di uno del gruppo. «Dov'è Jankin?» chiese Drizzt, preoccupato. «Legato in un fienile» rispose Mateus. «Ha cercato di fuggire la notte scorsa, di tornare...» «Da Efesto» terminò per lui Drizzt. «Se oggi avrà ancora intenzione di tornarci, potremmo semplicemente
lasciarlo andare» aggiunse Herschel, disgustato. «Ecco il tuo cavallo», disse Mateus, «se la notte non ti ha fatto cambiare idea.» «Ed ecco un nuovo indumento» aggiunse Herschel. Porse a Drizzt un bel mantello bordato di pelliccia. Drizzt si rese conto di come i frati si stessero comportando in modo insolitamente generoso, e cambiò quasi idea. Tuttavia non poteva cancellare le altre sue esigenze, e non le avrebbe soddisfatte all'interno di questo gruppo. Per mostrare la sua decisione, il drow si diresse verso l'animale, con l'intenzione di salire subito in sella. Drizzt aveva già visto prima un cavallo, ma mai così da vicino. Rimase stupefatto dalla pura forza dell'animale, con i muscoli del collo in evidenza, e rimase stupefatto anche dall'altezza della groppa dell'animale. Trascorse un attimo a fissare negli occhi del cavallo, comunicando il suo intento meglio che poteva. Poi, con stupore di tutti, anche di Drizzt, il cavallo si piegò in basso, consentendo al drow di salire facilmente in sella. «Ci sai fare con i cavalli» notò Mateus. «Non hai mai detto di essere un abile cavaliere.» Drizzt si limitò a fare un cenno con il capo e cercò di restare in sella come meglio poté quando il cavallo partì al trotto. Il drow impiegò molti attimi a riflettere su come controllare la bestia, e si spinse molto a est dalla parte sbagliata - prima di riuscire a girarsi. Lungo tutto il percorso circolare, Drizzt cercò in tutti i modi di salvare la faccia e i frati, che a loro volta non erano affatto esperti di cavalli, si limitarono ad annuire e a sorridere. Ore più tardi, Drizzt stava cavalcando veloce a occidente, seguendo il margine meridionale della Spina Dorsale del Mondo. *
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«I Frati Penitenziali» sussurrò Roddy McGristle, guardando giù da una costa scoscesa e pietrosa, verso il gruppetto che faceva ritorno verso il tunnel di Mirabar, più tardi nel corso della stessa settimana. «Che cosa?» esclamò Tephanis con aria sciocca, uscendo precipitosamente dal sacco per unirsi a Roddy. Per la primissima volta la velocità dello spiritello si rivelò un inconveniente. Prima ancora che lui si rendesse conto di quello che stava dicendo, Tephanis sbottò: «Non-può-essere! Ildrago...»
L'occhiataccia di Roddy piombò su Tephanis come l'ombra di una nuvola di tempesta. «Voglio-dire-che-supponevo...» farfugliò Tephanis, ma si rese conto che Roddy, che conosceva il tunnel meglio di lui e che sapeva anche come lo spiritello fosse abile con le serrature, aveva immaginato praticamente tutto, partendo da quell'indiscrezione. «Ti sei occupato tu stesso di uccidere il drow» disse Roddy con calma. «Ti-prego, mio-padrone» rispose Tephanis. «Io-non-intendevo... Iotemevo-per-te. Il-drow-è-un-demonio, ti-dico! Li-ho-mandati-lungo-iltunnel-del-drago. Pensavo-che-tu...» «Basta» ringhiò Roddy. «Quel che è stato è stato e non parliamone più. Ora entra nel tuo sacco. Forse potremo sistemare quel che hai fatto, se il drow non è morto.» Tephanis annuì, sollevato, e guizzò nuovamente nel sacco. Roddy lo raccolse e chiamò al proprio fianco il cane. «Farò parlare i frati», giurò il cacciatore di taglie, «ma prima...» Roddy lanciò il sacco intorno a sé, sbattendolo contro la parete di pietra. «Padrone!» giunse il grido soffocato dello spiritello. «Tu, ladro di drow...» Sbuffò Roddy, e percosse spietatamente il sacco contro la dura pietra. Tephanis si contorse per i primi pochi colpi, riuscì perfino a iniziare a praticare uno strappo con il suo piccolo pugnale. Ma poi il sacco si oscurò, inumidendosi, e lo spiritello cessò di dibattersi. «Mutante ladro di drow» mormorò Roddy, gettando via l'involucro insanguinato. «Vieni, cane. Se il drow è vivo, i frati sapranno dove trovarlo.» *
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I Frati Penitenziali erano un ordine dedicato alla sofferenza, e un paio di loro, in particolare Jankin, avevano davvero sofferto molto durante l'esistenza. Nessuno di loro, tuttavia, aveva mai immaginato un livello di crudeltà pari a quello che conobbero per mano di Roddy McGristle, il cacciatore di taglie dallo sguardo folle, e prima che fosse trascorsa un'ora, anche Roddy stava dirigendosi a tutta velocità a occidente, lungo il margine meridionale della catena montuosa. *
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Il freddo vento orientale gli riempì gli orecchi con la sua melodia infinita. Drizzt l'aveva sentita per ogni secondo da quando aveva oltrepassato l'estremità occidentale della Spina Dorsale del Mondo e aveva girato a nord e poi a est, nella spoglia fascia di terra che veniva chiamata Lande di Ghiaccio. Accettava volentieri il lugubre gemito e il morso ghiacciato del vento, perché a Drizzt la sferza dell'aria giungeva come un fiotto di libertà. Un altro simbolo di quella libertà, la vista del vasto mare, giunse quando il drow girò intorno alla catena montuosa. Drizzt aveva visitato la riva del mare una volta, passando per Luskan, e ora desiderò fermarsi e percorrere di nuovo le poche miglia che lo separavano dalla riva. Ma il vento freddo gli ricordò l'inverno incombente e lui comprese la difficoltà che avrebbe trovato a percorrere le lande alle prime nevicate. Drizzt individuò il Monte Kelvin, la vetta solitaria nella tundra, a nord della grande catena montuosa, il primo giorno dopo il suo ingresso nelle lande. Vi si diresse con ansia, visualizzando la sua strana cima, come contrassegno della terra che avrebbe chiamato casa. Una speranza incerta lo colmava ogni qualvolta si concentrava su quel monte. Passò accanto a vari gruppetti, carri solitari o un pugno d'uomini a cavallo, mentre si avvicinava alla regione di Ten-Towns lungo il percorso delle carovane, una via d'accesso sudoccidentale. Il sole era basso a occidente e fioco, e Drizzt teneva tirato basso il cappuccio del bel mantello, per nascondere la pelle color dell'ebano. Annuiva brevemente al passaggio di ogni viandante. Tre laghi dominavano la regione, insieme alla cima del roccioso Monte Kelvin, che s'innalzava per trecento metri sulla piana irregolare, e che era incappucciato di neve anche durante la breve estate. Delle dieci città che davano il nome alla zona, soltanto quella principale, Bryn Shander, era staccata dai laghi. Stava appollaiata sulla pianura, su una collina poco elevata, la sua bandiera sventolava con aria di sfida contro il rigido vento. La via delle carovane, il percorso di Drizzt, portava a questa città, il principale mercato della regione. Drizzt capì dal fumo che saliva da fuochi lontani che nel giro di poche miglia dalla città sulla collina, c'erano varie altre comunità. Rifletté per un attimo sul da farsi, chiedendosi se dovesse andare verso una di queste città più piccole e più isolate, invece di continuare direttamente verso la principale. «No» disse il drow con fermezza, infilandosi una mano nella sacca per sentire la statuina d'onice. Drizzt spronò avanti il cavallo, su per la collina
e fino ai portali minacciosi della città fortificata. «Mercante?» chiese una delle due guardie, che se ne stava con aria annoiata davanti al portale dai cardini di ferro. «Quest'anno siete giunto un po' tardi per commerciare.» «Non sono un mercante» rispose piano Drizzt, perdendo buona parte della sua sicurezza ora che era giunto il momento cruciale. Sollevò lentamente la mano, portandola al cappuccio, cercando di non farla tremare. «Da quale città provenite, allora?» chiese l'altra guardia. Drizzt riportò giù la mano, il suo coraggio era stato sviato dal tono rude della domanda. «Da Mirabar» rispose lui sinceramente, e poi, prima di potersi fermare e prima che le guardie gli ponessero altre domande che lo distraessero, alzò le mani e si tirò indietro il cappuccio. I due spalancarono gli occhi e portarono immediatamente le mani alle spade che recavano alla cintura. «No!» replicò immediatamente Drizzt. «No, vi prego.» Nella sua voce e nei suoi gesti si diffuse una stanchezza che le guardie non riuscirono a capire. A Drizzt non restava la forza per combattimenti senza senso provocati da incomprensioni. Contro un'orda di folletti o un gigante dedito al saccheggio, il drow impugnava con facilità le scimitarre, ma di fronte a una persona che combatteva contro di lui soltanto a causa di false percezioni, le lame gli risultavano davvero pesanti. «Sono giunto da Mirabar a Ten-Towns», continuò Drizzt, la cui voce si faceva più ferma a ogni sillaba, «per risiedervi in pace.» Allargò le mani, non presentava alcuna minaccia. Le guardie non sapevano proprio come reagire. Nessuna di loro aveva mai visto un elfo scuro, tuttavia sapevano al di là d'ogni dubbio che Drizzt era un drow. Entrambe non conoscevano altro riguardo alla razza in questione, a parte i racconti narrati intorno al fuoco, dell'antico conflitto che aveva scisso il popolo degli elfi. «Aspetta qui» sussurrò una delle guardie all'altra, che non parve gradire l'ordine. «Andrò a informare il Consigliere Cassio.» Batté sul portale rinforzato di ferro e scivolò all'interno non appena fu aperto abbastanza da lasciarlo passare. L'altra guardia continuò a fissare Drizzt senza battere ciglio, la sua mano non abbandonò mai l'elsa della spada. «Se mi uccidi, cento balestre ti abbatteranno» dichiarò, cercando di risultare sicuro, senza riuscirci assolutamente. «Perché dovrei?» chiese Drizzt con aria innocente, tenendo le mani sempre aperte e mantenendo una posizione per nulla minacciosa. Gli parve
che fino a quel momento l'incontro fosse andato bene. In ogni altro villaggio a cui aveva osato avvicinarsi, coloro che l'avevano visto per primi erano fuggiti terrorizzati o l'avevano cacciato ad armi spianate. L'altra guardia tornò poco più tardi con un uomo piccolo e magro, rasato e con luminosi occhi azzurri che scrutavano continuamente, prendendo nota di ogni particolare. Indossava begli abiti, e dal rispetto che le due guardie gli tributavano, Drizzt capì immediatamente che era di rango elevato. Studiò Drizzt a lungo, considerando ogni sua mossa e ogni caratteristica. «Sono Cassio» disse infine. «Consigliere di Bryn Shander e Principale Rappresentante del Consiglio Dominante di Ten-Towns.» Drizzt effettuò un breve inchino. «Io sono Drizzt Do'Urden», disse, «vengo da Mirabar e da altri luoghi, e ora sono giunto a Ten-Towns.» «Perché?» chiese Cassio aspramente, cercando di prenderlo in contropiede. Drizzt scrollò le spalle. «C'è bisogno di una ragione?» «Per un elfo scuro, forse» rispose onestamente Cassio. Il sorriso d'accettazione di Drizzt disarmò il consigliere e tranquillizzò le due guardie, che ora gli si erano poste accanto protettivamente. «Non posso presentare alcuna ragione per la mia venuta, al di là del mio desiderio di giungere qui» continuò Drizzt. «La mia strada è stata lunga, Consigliere Cassio. Sono stanco e ho bisogno di riposo. Mi è stato detto che TenTowns è il luogo degli sbandati, e non dubitate che un elfo scuro sia uno sbandato tra gli abitanti della superficie.» Sembrava sufficientemente logico, e la sincerità di Drizzt risultò chiara al consigliere osservatore. Cassio posò il mento sul palmo della mano e rifletté a lungo. Non temeva il drow, né dubitava delle parole dell'elfo, ma non aveva alcuna intenzione d'affrontare l'agitazione che un drow avrebbe causato nella sua città. «Bryn Shander non è il vostro posto» disse senza mezzi termini Cassio, e gli occhi color lavanda di Drizzt si socchiusero a quell'ingiusta proclamazione. Imperterrito, Cassio indicò verso nord. «Vai a Boscosolitario, nella foresta sulle rive nord di Maer Dualdon» propose. Spostò lo sguardo a sudest. «O a Belprato o a Fossa di Dougan, sul lago meridionale, Acquerosse. Queste sono città più piccole, dove provocherai meno trambusto e avrai meno problemi.» «E quando mi rifiuteranno l'ingresso?» chiese Drizzt. «Dove andrò allora, mio buon consigliere? Fuori nel vento, a morire sulla pianura desola-
ta?» «Voi non sapete...» «Lo so» l'interruppe Drizzt. «Ho già fatto molte volte questo gioco. Chi volete che accolga un drow, anche se ha abbandonato la sua gente e le loro consuetudini, e non desidera altro che pace?» La voce di Drizzt era seria e non mostrava autocommiserazione, e Cassio comprese nuovamente che le sue parole erano sincere. Cassio era veramente solidale. Una volta lui stesso era stato uno sbandato ed era stato costretto a recarsi ai confini del mondo, nelle sperdute Lande di Ghiaccio, per trovare una casa. Non c'erano regioni più estreme di queste; le Lande di Ghiaccio erano l'ultima occasione per un fuoriuscito. Allora a Cassio venne un'altra idea, una possibile soluzione al dilemma, che non gli tormentasse la coscienza. «Per quanto tempo avete vissuto sulla superficie?» chiese Cassio, sinceramente interessato. Drizzt considerò per un attimo la domanda, chiedendosi dove il consigliere volesse arrivare. «Sette anni» rispose. «Nelle regioni del nord?» «Sì.» «E tuttavia non avete trovato alcuna casa, nessun villaggio che vi accogliesse» disse Cassio. «Siete sopravvissuto agli inverni ostili e, indubbiamente, a nemici più diretti. Siete abile con le lame che portate alla cintura?» «Sono un guardaboschi» disse Drizzt con voce pacata. «Una professione insolita per un drow» osservò Cassio. «Sono un guardaboschi», ripeté Drizzt più vigorosamente, «ben addestrato in ciò che riguarda la natura, e nell'uso delle mie armi.» «Non ne dubito» osservò Cassio. Attese, poi disse. «C'è un luogo che offre riparo, ed è appartato.» Il portavoce guidò lo sguardo di Drizzt a nord, verso i pendii rocciosi del Monte Kelvin. «Al di là della valle dei nani c'è la montagna», spiegò Cassio, «e al di là di quella, la vasta tundra. Sarebbe un bene per Ten-Towns avere un esploratore sui pendii settentrionali della montagna. Il pericolo sembra provenire sempre da quella direzione.» «Sono venuto per trovarmi una casa» lo interruppe Drizzt. «Voi mi offrite un buco in un mucchio di roccia e un impegno nei confronti di persone a cui non devo nulla.» In verità la proposta faceva appello allo spirito di guardaboschi di Drizzt. «Vorreste sentirmi dire che le cose stanno diversamente?» rispose Cas-
sio. «Non lascerò entrare a Bryn Shander un drow errante.» «A un uomo chiedereste di provare d'essere degno?» «Un uomo non porta con sé una reputazione così sinistra» rispose uniformemente Cassio, senz'esitazione. «Se fossi così magnanimo, se vi accogliessi basandomi soltanto sulle vostre parole e aprissi i miei portoni, voi entrereste e trovereste la vostra casa? Sappiamo entrambi che non sarebbe così, drow. Vi assicuro che non tutti a Bryn Shander sarebbero così magnanimi. Provochereste lo scompiglio ovunque andaste e, indipendentemente dalla vostra condotta e dalle vostre intenzioni, sareste costretto a combattere.» «Sarebbe lo stesso in qualsiasi altra città» proseguì Cassio, immaginando che le sue parole avessero fatto vibrare una nota di verità nel drow senza casa. «Vi offro un buco in un mucchio di roccia, all'interno dei confini di Ten-Towns, dove le vostre azioni, buone o cattive, faranno la vostra fama al di là del colore della vostra pelle. La mia offerta vi sembra ancora così priva d'interesse?» «Avrò bisogno di provviste» disse Drizzt, accettando la verità delle parole di Cassio. «E che ne sarà del mio cavallo? Non credo che i pendii di una montagna siano adatti a un animale del genere.» «Barattate il vostro cavallo, allora» propose Cassio. «La mia guardia otterrà un buon prezzo e tornerà qui con le provviste di cui avrete bisogno.» Drizzt pensò per un attimo al suggerimento, poi porse le redini a Cassio. A quel punto il consigliere se ne andò, ritenendosi decisamente intelligente. Non solo aveva evitato qualsiasi problema immediato, ma aveva convinto Drizzt a difendere i suoi confini, il tutto in un luogo in cui Bruenor Martello di Guerra e la sua tribù di nani dal volto severo sarebbero stati certamente in grado d'impedire al drow di provocare guai. *
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Roddy McGristle guidò il suo carro in un piccolo villaggio annidato nell'ombra dell'estremità occidentale della catena montuosa. Il cacciatore di taglie sapeva che la neve sarebbe giunta presto, e lui non aveva alcun desiderio d'essere sorpreso a metà strada su per le lande, quando fosse iniziato a nevicare. Sarebbe rimasto qui con gli agricoltori e avrebbe aspettato la fine dell'inverno. Nulla poteva uscire dalle lande senza passare per quella zona, e se Drizzt si era recato lì, come i frati avevano rivelato, non gli restava nessun altro luogo dove fuggire.
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Drizzt partì dai portoni quella notte, preferendo viaggiare con il buio, nonostante il freddo. Il suo avvicinamento diretto alla montagna lo portò lungo il margine orientale della gola rocciosa, che i nani avevano rivendicato come casa. Drizzt fu due volte più attento a evitare qualsiasi guardia il popolo barbuto avesse potuto appostare. Aveva incontrato dei nani soltanto una volta, quando aveva oltrepassato la Fortezza d'Adbar nei suoi primi vagabondaggi, dopo aver lasciato il boschetto di Mooshie, e non era stata un'esperienza piacevole. Pattuglie di nani lo avevano cacciato senz'attendere nessuna spiegazione, e l'avevano inseguito per molti giorni sulle montagne. Nonostante tutta la sua prudenza nell'attraversare la valle, tuttavia, Drizzt non poté ignorare un elevato cumulo di roccia in cui s'imbatté, un'erta con gradini sbozzati nelle pietre sovrapposte. Si trovava a meno di metà strada dalla montagna, e gli restavano ancora varie miglia e ore di cammino da percorrere di notte, ma Drizzt salì lungo quella deviazione, passo dopo passo, incantato dal panorama che si allargava intorno a lui, punteggiato dalle luci delle città. La salita non era elevata, soltanto circa quindici metri, ma con la tundra piatta e la notte chiara, Drizzt fu in grado di godere della vista di cinque città: due sulle rive del lago a est, due a ovest sul lago più grande, e Bryn Shander, sul poggio, qualche miglio a sud. Drizzt non si rese conto di quanti minuti fossero trascorsi, perché il panorama luccicava di troppe speranze e fantasie perché lui notasse il passare del tempo. Era stato a Ten-Towns semplicemente per un giorno, ma si stava già sentendo a suo agio di fronte a quelle vedute, sapendo che migliaia di persone intorno alla montagna avrebbero sentito parlare di lui e forse sarebbero giunte ad accettarlo. Uno stridulo brontolio scrollò Drizzt dalle sue riflessioni. Si acquattò in posizione difensiva e si spostò dietro a una roccia. Il fiotto di lamentele contrassegnava chiaramente la figura che si avvicinava. Aveva le spalle larghe ed era più basso di Drizzt di circa trenta centimetri, anche se evidentemente più pesante del drow. Drizzt capì che si trattava di un nano ancora prima che la figura si fermasse a sistemarsi l'elmo - sbattendo la testa contro una pietra. «Maledizione» mormorò il nano, «sistemandosi» l'elmo per la seconda
volta. Drizzt era certamente incuriosito, ma anche abbastanza furbo da rendersi conto che con molta probabilità un nano brontolone non avrebbe accolto favorevolmente un drow non invitato, nel mezzo di una notte scura. Mentre il nano procedeva a un'altra sistemazione, Drizzt balzò via, correndo con leggerezza e in silenzio lungo il margine del sentiero. Passò vicino al nano ma poi sparì senza produrre un fruscio superiore a quello dell'ombra di una nuvola. «Eh?» mormorò il nano quando si alzò di nuovo, questa volta soddisfatto per come gli stava il copricapo. «Chi va là? Che cosa vuoi?» Si cimentò in una serie di brevi saltelli vorticanti, con gli occhi che guizzavano all'erta, tutt'intorno. C'erano soltanto l'oscurità, le pietre e il vento. 23 Un rinnovato ricordo La prima neve della stagione cadde pigramente sulle Lande di Ghiaccio, grossi fiocchi scendevano a zigzag in danze mesmerizzanti, così diversi dalle bufere di neve sferzate dal vento, più comuni nella regione. La ragazzina evidentemente incantata, Catti-brie, osservava la neve dalla soglia della grotta in cui abitava, e il colore dei suoi occhi azzurro intenso sembrava ancora più puro grazie al riflesso della coltre bianca sul terreno. «Tarda a venire, ma dura quando arriva qui» brontolò Bruenor Martello di Guerra, un nano dalla barba rossa, mentre si avvicinava da dietro a Catti-brie, la figlia adottiva. «Sarà sicuramente una stagione rigida, come tutte in questo luogo per draghi bianchi!» «Oh, papà!» rispose severamente Catti-brie. «Smettila di lamentarti! Sicuramente è una bella nevicata, e sufficientemente innocua senza la sferza del vento.» «Umani» sbuffò derisoriamente il nano, ancora dietro alla ragazza. Cattibrie non poteva vedere la sua espressione, tenera verso di lei perfino mentre brontolava, ma la ragazzina non ne aveva bisogno. Bruenor era per nove decimi spavalderia e per un decimo irritazione, secondo la valutazione di Catti-brie. Catti-brie si volse improvvisamente verso il nano, e i riccioli castani che le ricadevano sulle spalle si mossero intorno al suo volto. «Posso uscire a giocare?» chiese, con un sorriso speranzoso sul volto. «Oh, ti prego, pa-
pà!» Bruenor si sforzò di produrre la sua smorfia migliore. «Uscire!» ruggì. «Soltanto uno sciocco potrebbe considerare un inverno nelle Lande di Ghiaccio un luogo per giocare! Dimostra un po' di buon senso, ragazza! Il freddo ti gelerebbe le ossa!» Il sorriso di Catti-brie scomparve, ma lei rifiutò di arrendersi così facilmente. «Ben detto per un nano» replicò lei, suscitando l'orrore di Bruenor. «Tu sei sufficientemente adatto a questi buchi, e meno vedi il cielo, più sorridi! Ma io ho un lungo inverno che mi aspetta, e questa potrebbe essere la mia ultima opportunità di vedere il cielo. Ti prego, papà!» Bruenor non poté mantenere l'espressione stizzosa sul volto di fronte al fascino di sua figlia, ma non voleva che lei uscisse. «Temo che ci sia qualcosa che si aggira furtivamente là fuori» spiegò, cercando di risultare autoritario. «L'ho sentito sull'erta alcune notti fa, anche se non l'ho mai visto. Potrebbe trattarsi di un leone bianco o di un orso bianco. Meglio...» Bruenor non terminò mai perché lo sguardo scorato di Catti-brie dissolse in un attimo le paure immaginarie del nano. Catti-brie non era una novellina ai pericoli della regione. Aveva vissuto con Bruenor e con la sua tribù di nani per più di sette anni. Una banda di folletti razziatori aveva ucciso i genitori di Catti-brie quando lei era soltanto una bambina ai primi passi e, benché fosse umana, Bruenor l'aveva allevata come se fosse stata sua. «Mi rendi le cose difficili, ragazza mia» disse Bruenor in risposta all'espressione implacabile e addolorata di Catti-brie. «Esci a giocare, allora, ma non allontanarti troppo! Sulla tua parola, ragazzina vivace, tieni le grotte in vista e porta una spada e un corno alla cintura.» Catti-brie corse da lui e stampò un umido bacio sulla guancia di Bruenor, che il nano taciturno si affrettò ad asciugare, brontolando alle spalle della ragazza mentre scompariva nel tunnel. Bruenor era il capo della tribù, ed era duro come la pietra che estraevano. Ma ogni volta che Catti-brie gli stampava un bacio riconoscente sulla guancia, il nano si rendeva conto di averle ceduto. «Umani!» bofonchiò nuovamente il nano, e si diresse con passo pesante lungo il tunnel che conduceva alla miniera, pensando di battere qualche pezzo di ferro, semplicemente per ricordare a se stesso quanto fosse duro. *
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Fu facile per la vivace ragazzina razionalizzare la sua disubbidienza quando si volse a guardare la valle dai pendii inferiori del Monte Kelvin, a più di tre miglia di distanza dalla porta d'ingresso di Bruenor. Bruenor aveva detto a Catti-brie di non perdere di vista le grotte, ed era così, o per lo meno questo valeva per il terreno più ampio che le circondava, da questo punto d'osservazione. Ma Catti-brie, scivolando felicemente giù per una distesa accidentata, ben presto scoprì un inconveniente nel fatto di non essersi attenuta agli avvertimenti del suo saggio genitore. Era giunta in fondo, dopo una scivolata deliziosa, e stava strofinandosi vivacemente le mani che le pungevano per il gelo, quando udì un ringhio prolungato e minaccioso. «Un leone bianco» pensò Catti-brie, ricordando i sospetti di Bruenor. Quando sollevò lo sguardo, vide che la supposizione di suo padre non aveva proprio colto nel segno. Era veramente un grosso felino quello che la ragazza vide osservarla dall'alto di un monticello spoglio e pietroso, ma il felino era nero, non bianco, ed era un'enorme pantera, non un leone. In modo provocatorio, Catti-brie estrasse il coltello dal fodero. «Stai indietro, felino!» disse, con un minimo tremito nella voce, perché sapeva che la paura incoraggiava gli animali selvatici ad attaccare. Guenhwyvar appiattì gli orecchi e si gettò sul ventre, poi emise un ruggito prolungato e risonante che echeggiò per tutta la regione rocciosa. Catti-brie non poteva rispondere alla forza in quel ruggito, o ai denti lunghissimi e abbondanti mostrati dalla pantera. Si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga, ma sapeva che indipendentemente da dove fuggisse, non sarebbe potuta andare oltre il primo balzo possente della pantera. «Guenhwyvar!» giunse un richiamo da sopra. Catti-brie si volse a guardare su per la distesa nevosa e vide una forma sottile e ammantata che si faceva strada con cautela verso di lei. «Guenhwyvar!» chiamò ancora il nuovo arrivato. «Via di qui!» La pantera ringhiò una risposta gutturale, poi balzò via, saltando i massi tondeggianti ricoperti di neve e guizzando su piccole rupi, facilmente come se stesse attraversando correndo un prato liscio e piatto. Nonostante avesse ancora paura, Catti-brie osservò con sincera ammirazione la pantera che si allontanava. Aveva sempre amato gli animali e li aveva studiati spesso, ma l'azione reciproca dei muscoli lisci di Guenhwyvar era più maestosa di quanto lei avesse mai immaginato. Quando finalmente fu uscita dal suo stato di stupore, si rese conto che la figura
sottile era direttamente dietro di lei. La ragazza si volse di scatto, con il coltello ancora in mano. La lama le cadde di mano e la sua respirazione si bloccò bruscamente non appena vide il drow. Anche Drizzt rimase stordito da quell'incontro. Voleva assicurarsi che la ragazza stesse bene, ma quando guardò Catti-brie, tutte le sue intenzioni svanirono in un fiume di ricordi. Aveva più o meno la stessa età del ragazzino dai capelli biondo rossicci della fattoria, notò Drizzt inizialmente, e quel pensiero gli suscitò inevitabilmente i ricordi dolorosi di Maldobar. Tuttavia quando Drizzt guardò più attentamente negli occhi di Catti-brie, i suoi pensieri tornarono al volo al suo passato, ai giorni in cui lui marciava a fianco del suo sinistro popolo d'appartenenza. Gli occhi di Catti-brie possedevano quella stessa luminosità gioiosa e innocente che Drizzt aveva visto negli occhi di una bambina elfo, una ragazzina che aveva salvato dalle lame selvagge dei suoi simili, impegnati in una razzia. Il ricordo sopraffece Drizzt, lo rispedì vorticando in quella radura insanguinata nel bosco degli elfi, dove suo fratello e i compagni drow avevano assassinato brutalmente i partecipanti a un raduno di elfi. Nella frenesia, Drizzt aveva quasi ucciso la bambina elfo, si era quasi posto per sempre sulla stessa strada oscura che i suoi simili percorrevano così di buon grado. Drizzt si liberò da quei ricordi scrollandoseli di dosso, e ricordò a se stesso che questa era una bambina diversa, di una razza diversa. Aveva intenzione di salutarla, ma la ragazzina era sparita. Quella parola incriminante, «drizzit», riecheggiò varie volte nei pensieri del drow mentre lui si faceva nuovamente strada verso la grotta in cui aveva deciso d'abitare, sulla parete settentrionale della montagna. *
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Quella stessa notte, la stagione iniziò in pieno il suo assalto violento. Il freddo vento orientale che soffiava dal Ghiacciaio Reghed spingeva la neve, creando cumuli elevati e insormontabili. Catti-brie osservò desolatamente la neve, temendo che potessero trascorrere molte settimane prima che lei potesse recarsi di nuovo al Monte Kelvin. Non aveva parlato del drow né a Bruenor, né a nessuno degli altri nani, per paura d'essere punita e temendo che Bruenor cacciasse via l'elfo scuro. Osservando la neve che si accumulava, Catti-brie desiderò essere
stata più coraggiosa, essere rimasta a parlare con lo sconosciuto. Ogni ululato del vento accresceva quel desiderio e spingeva la ragazza a chiedersi se non avesse perduto la sua unica opportunità. *
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«Vado a Bryn Shander» annunciò Bruenor una mattina, più di due mesi più tardi. Una pausa inaspettata era giunta nel normale inverno di sette mesi delle Lande di Ghiaccio, un raro disgelo di gennaio. Bruenor osservò sospettosamente sua figlia per un lungo attimo. «Hai intenzione d'uscire anche tu, oggi?» chiese. «Se posso» rispose Catti-brie. «Mi sento chiusa, qui nella grotta, e il vento non è così freddo.» «Farò in modo che un paio di nani vengano con te» propose Bruenor. Catti-brie, pensando che questa potesse essere la sua opportunità di tornare a indagare sul drow, si dimostrò recalcitrante all'idea. «Stanno tutti riparando le loro porte!» replicò lei, più aspramente di quanto avesse inteso. «Non infastidirli per me!» Bruenor socchiuse gli occhi. «Sei troppo ostinata.» «Assomiglio al mio papà» disse Catti-brie con un ammiccamento che troncò altre discussioni imminenti. «Stai attenta, allora», iniziò Bruenor, «e tieni in vista...» «...le grotte!» terminò per lui Catti-brie. Bruenor si volse di scatto e uscì con passo pesante dalla grotta, brontolando impotente e maledicendo il giorno in cui aveva accolto come figlia un'umana. Catti-brie si limitò a ridere nei confronti di quell'atteggiamento burbero che sembrava non avere mai fine. Ancora una volta fu Guenhwyvar a incontrare per prima la ragazzina dai capelli castani. Catti-brie si era diretta verso la montagna e stava facendosi strada lungo i sentieri più occidentali, quando individuò la pantera nera sopra di sé, che la osservava da uno sperone di roccia. «Guenhwyvar!» gridò la ragazza, ricordando il nome che aveva usato il drow. La pantera emise un ringhio sordo, e scese dallo sperone, avvicinandosi. «Guenhwyvar?» ripeté Catti-brie, meno sicura, perché la pantera era soltanto a una dozzina di passi di distanza. Gli orecchi di Guenhwyvar si rizzarono alla seconda menzione del suo nome e i muscoli tesi del felino si rilassarono visibilmente.
Catti-brie si avvicinò con lentezza, effettuando deliberatamente un cauto passo alla volta. «Dov'è l'elfo scuro, Guenhwyvar?» chiese piano. «Puoi portarmi da lui?» «E perché vorresti andare da lui?» giunse una domanda da dietro. Catti-brie rimase raggelata lì dove si trovava, ricordando la voce dal tono uniforme, melodico, poi si volse lentamente ad affrontare il drow. Lui era soltanto tre passi dietro di lei, i suoi occhi color lavanda si fissarono su quelli della bambina non appena i loro sguardi s'incontrarono. Catti-brie non aveva la minima idea di cosa dire, e Drizzt, assorbito ancora una volta dai ricordi, rimase zitto, a osservare e ad aspettare. «Sei un drow?» chiese Catti-brie dopo che il silenzio divenne insopportabile. Non appena lei udì le proprie parole, si rimproverò in privato per aver posto una domanda così stupida. «Sì» rispose Drizzt. «Che cosa significa questo per te?» Catti-brie scrollò le spalle alla strana risposta. «Ho sentito che i drow sono malvagi, ma non mi sembra che tu lo sia.» «Allora hai rischiato grosso a venire qui fuori tutta sola» notò Drizzt. «Ma non temere», si affrettò ad aggiungere, vedendo l'improvviso disagio della fanciulla, «perché io non sono malvagio e non ti farò alcun male.» Dopo i mesi trascorsi da solo nella sua grotta confortevole ma vuota, Drizzt non voleva che quest'incontro terminasse subito. Catti-brie annuì, credendo alle sue parole. «Mi chiamo Catti-brie» disse lei. «Mio padre è Bruenor, Sovrano della tribù del Martello di Guerra.» Drizzt piegò il capo di lato, curioso. «I nani» spiegò Catti-brie, indicando verso la valle. Lei comprese la confusione di Drizzt non appena pronunciò quelle parole. «Non è il mio vero padre» disse. «Bruenor mi adottò quand'ero appena una bimba, quando i miei veri genitori furono...» Non poté terminare, e Drizzt non ebbe bisogno che lei lo facesse, comprendendo la sua espressione addolorata. «Io sono Drizzt Do'Urden» s'interpose il drow. «Lieto di conoscerti, Catti-brie, figlia di Bruenor. È bello avere un'altra persona con cui parlare. Per tutte queste settimane invernali ho avuto soltanto Guenhwyvar, vedi, quando il felino è nei paraggi, e naturalmente la mia amica non dice molto!» Il sorriso di Catti-brie le arrivò quasi agli orecchi. Guardò dietro di sé, verso la pantera che ora era pigramente distesa sul sentiero. «È un bel felino» osservò Catti-brie.
Drizzt non dubitò della sincerità del tono della ragazza, o dello sguardo ammirato che lei posò su Guenhwyvar. «Vieni qui, Guenhwyvar» disse Drizzt, e la pantera si stiracchiò e si alzò lentamente. Guenhwyvar si portò proprio accanto a Catti-brie, e Drizzt annuì per rispondere al desiderio evidente ma non formulato della ragazzina. Inizialmente in modo esitante, ma poi con fermezza, Catti-brie accarezzò il manto liscio della pantera, sentendo la forza e la perfezione dell'animale. Guenhwyvar accettò le carezze senza lamentarsi, urtò perfino il fianco di Catti-brie quando lei si fermò per un attimo, esortandola a continuare. «Sei sola?» chiese Drizzt. Catti-brie annuì. «Il mio papà mi ha detto di restare in vista delle grotte.» Lei rise. «Le posso vedere sufficientemente bene, per come la penso io!» Drizzt si volse a guardare nella valle, verso la lontana parete di roccia a varie miglia di distanza. «Tuo padre non sarebbe contento. Questo territorio non è così privo di pericoli. Sono stato sulla montagna soltanto per due mesi e ho già combattuto due volte contro bestie bianche dal pelo lungo e ispido che non conosco». «Yeti della tundra» rispose Catti-brie. «Allora devi trovarti sul lato settentrionale. Lo yeti della tundra non giunge intorno alla montagna.» «Ne sei così sicura?» chiese Drizzt con sarcasmo. «Non ne ho mai visto uno», rispose Catti-brie, «ma non ho paura di loro. Sono venuta per trovare te, e così è stato.» «Così è stato», disse Drizzt, «e ora?» Catti-brie scrollò le spalle e riprese ad accarezzare il liscio mantello di Guenhwyvar. «Vieni» propose Drizzt. «Troviamo un luogo più comodo per parlare. Il riflesso della neve mi ferisce gli occhi.» «Sei abituato ai tunnel bui?» chiese speranzosamente Catti-brie, ansiosa di sentire racconti di terre al di là dei confini di Ten-Towns, l'unico luogo che Catti-brie avesse mai conosciuto. Drizzt e la ragazzina trascorsero insieme una giornata meravigliosa. Drizzt narrò a Catti-brie di Menzoberranzan e Catti-brie rispose alle sue storie con racconti delle Lande di Ghiaccio, della sua vita con i nani. Drizzt era particolarmente interessato a sapere di Bruenor e dei suoi compagni, dato che i nani erano i suoi vicini più prossimi e più temuti. «Quando parla Bruenor è duro come la pietra, ma io lo conosco troppo bene perché possa ingannarmi con quell'atteggiamento!» garantì al drow
Catti-brie. «È proprio una brava persona, e lo stesso vale per il resto della tribù.» Drizzt fu lieto di sentirlo, e anche lieto di aver stretto questa conoscenza, per le conseguenze che potevano derivare dall'avere una simile amica e ancora di più perché godeva veramente della compagnia dell'affascinante e vivace ragazzina. L'energia e l'entusiasmo vitale di Catti-brie erano davvero traboccanti. In sua presenza il drow non poteva richiamare alla memoria i ricordi angoscianti che l'ossessionavano, poteva soltanto provare felicità per aver deciso di salvare la bambina elfo, tanti anni prima. La voce melodiosa di Catti-brie e il modo spontaneo con cui lei faceva guizzare i capelli fluenti intorno alle sue spalle, sollevò il fardello del rimorso dalle spalle di Drizzt, proprio come un gigante avrebbe potuto sollevare una roccia. I loro racconti sarebbero potuti continuare per tutto il giorno e la notte, e per molte settimane seguenti, ma quando Drizzt notò che il sole scendeva basso sull'orizzonte occidentale, si rese conto che per la ragazza era giunto il momento di tornare a casa. «Ti accompagnerò io» propose Drizzt. «No» rispose Catti-brie. «È meglio che tu non lo faccia. Bruenor non capirebbe, e mi metteresti in un monte di guai. Sono in grado di tornare, non preoccuparti! Conosco questi sentieri meglio di te, Drizzt Do'Urden, e non riusciresti a starmi dietro se ci provassi!» Drizzt rise a quella vanteria, ma quasi ci credette. Lui e la ragazza partirono immediatamente, giungendo allo sperone più a sud della montagna e poi salutandosi con promesse che si sarebbero incontrati ancora durante il prossimo disgelo, oppure in primavera, se non ne fosse giunto alcuno prima. La ragazza stava veramente saltellando con leggerezza quando entrò nel complesso dei nani, ma un'occhiata al burbero padre eliminò parte della sua allegria. Bruenor quella mattina era andato a Bryn Shander per una faccenda da sbrigare con Cassio. Il nano non era rimasto entusiasta all'apprendere che un elfo scuro era andato ad abitare così vicino alla sua porta, ma immaginava che la sua curiosa figliola - troppo curiosa - l'avrebbe trovata una splendida notizia. «Tienti lontana dalla montagna» disse Bruenor non appena vide Cattibrie, e lei piombò nella disperazione. «Ma papà...» cercò di protestare. «Prometti, ragazza!» pretese il nano. «Non metterai piede di nuovo su quella montagna senza il mio permesso! C'è un elfo scuro lì, secondo
quanto mi ha detto Cassio. Prometti!» Catti-brie annuì impotente, poi seguì di nuovo Bruenor in direzione del complesso dei nani, sapendo che avrebbe dovuto faticare molto per far cambiare idea a suo padre, ma sapendo anche che Bruenor aveva opinioni lungi dall'essere giustificate per quanto riguardava Drizzt Do'Urden. *
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Un mese più tardi ci fu un altro disgelo e Catti-brie mantenne la sua promessa. Non posò mai piede sul Monte Kelvin, ma dai sentieri della valle intorno a esso, lei chiamò Drizzt e Guenhwyvar. Drizzt e la pantera, che dato il miglioramento del tempo si erano messi alla ricerca della ragazza, furono presto accanto a lei, questa volta nella valle, e si scambiarono altre storie e fecero una scampagnata con il pranzo che aveva portato Catti-brie. Quando Catti-brie tornò alle miniere dei nani, quella sera, Bruenor era molto sospettoso e le chiese soltanto una volta se aveva prestato fede alla sua parola. Il nano si era sempre fidato di sua figlia, ma quando Catti-brie rispose che non era stata sul Monte Kelvin, i suoi sospetti non diminuirono. 24 Rivelazioni Bruenor avanzò lentamente lungo i pendii inferiori del Monte Kelvin per quasi tutta la mattina. La maggior parte della neve ora si era sciolta, dato che nell'aria si sentiva la primavera, ma chiazze ostinate continuavano a rendere difficoltosi i sentieri. Con l'ascia in una mano e lo scudo blasonato con l'insegna del boccale spumeggiante del Clan Martello di Guerra nell'altra, Bruenor continuò ad avanzare a fatica, sputando maledizioni contro ogni punto scivoloso, contro ogni masso tondeggiante che l'ostacolava, e contro gli elfi scuri in generale. Girò intorno alla sporgenza più a nordovest della montagna, con il lungo naso appuntito color rosso ciliegia a causa del vento sferzante, e con il fiato corto. «È venuto il momento di fermarsi un attimo» mormorò il nano, individuando una nicchia di pietra, riparata dal vento incessante da pareti elevate. Bruenor non era stato l'unico a notare quel punto confortevole. Poco
prima che lui raggiungesse l'apertura ampia tre metri sulla parete rocciosa, un improvviso sbatter d'ali di pelle, portò un'enorme testa da insetto a sollevarsi davanti a lui. Il nano si ritrasse, stupefatto e diffidente. Riconobbe nella bestia un remorhaz, un verme polare, e non fu così entusiasta di balzargli contro. Il remorhaz uscì dal buco lanciandosi all'inseguimento, con il corpo serpentino, lungo dodici metri, che si snodava come un nastro azzurro ghiaccio, dietro di sé. Occhi sporgenti e sfaccettati, brillanti di un bianco lucente, osservavano il nano con sguardo bramoso. Corte ali di pelle tenevano la metà anteriore della creatura sollevata e pronta a colpire, mentre dozzine di gambe brulicanti si agitavano spingendo il resto del lungo tronco. Bruenor sentì il calore crescente mentre il dorso della creatura agitata iniziava ad avvampare, diventando prima di un marrone smorto, che poi si ravvivò fino a trasformarsi in rosso incandescente. «Quello fermerà il vento per un po'!» ridacchiò il nano, rendendosi conto di non poter correre più veloce della bestia. Smise di fuggire e agitò minacciosamente l'ascia. Il remorhaz avanzò direttamente su di lui, sbattendo verso il basso con aria affamata le formidabili fauci, sufficientemente larghe da inghiottire intero il minuscolo obiettivo. Bruenor balzò di lato e piegò lo scudo e il corpo, per impedire alla mandibola di tranciargli via le gambe, mentre sbatteva con forza la sua ascia direttamente tra le corna del mostro. Le ali si agitarono ferocemente, sollevando di nuovo in alto la testa. Il remorhaz, ben poco danneggiato, si preparò a colpire di nuovo rapidamente, ma Bruenor lo batté sul posto. Il nano afferrò la grossa ascia con la mano che reggeva lo scudo, estrasse un lungo pugnale e si tuffò in avanti, direttamente tra la prima serie di gambe del mostro. L'enorme bestia scese precipitosamente, ma Bruenor era già scivolato sotto al basso ventre, il punto più vulnerabile del mostro. «Hai capito le mie intenzioni?» lo punzecchiò Bruenor, dirigendo il pugnale verso l'alto, tra la cresta squamosa. Bruenor era troppo tenace e troppo ben protetto dall'armatura per venir gravemente danneggiato dalle percosse del verme, ma poi la creatura iniziò a rotolare, con l'intenzione di portare il suo dorso incandescente contro il nano. «No, nient'affatto, tu, accozzaglia di drago-verme-uccello-cimice!» ululò Bruenor, cercando freneticamente di tenersi lontano dal calore. Giunse a
fianco della creatura e spinse con tutta la sua forza, facendo rotolare direttamente dalla parte opposta il remorhaz, squilibrandolo. La neve crepitò e sfrigolò quando il dorso infuocato toccò terra. Bruenor si fece strada calciando e colpendo con le mani tra le zampe che si agitavano, per giungere al vulnerabile lato sottostante. L'ascia del nano, intaccata in molti punti, si fracassò contro di esso, aprendo uno squarcio ampio e profondo. Il remorhaz si abbisciò e fece scattare il suo lungo corpo avanti e indietro, lanciando lateralmente Bruenor. Il nano si alzò in un istante, ma non abbastanza rapidamente, mentre il verme polare rotolava verso di lui. Il dorso bruciante colse Bruenor sulla coscia mentre cercava di balzare via, e il nano uscì fuori zoppicando, afferrandosi i gambali di cuoio fumanti. Poi i due si affrontarono di nuovo, entrambi mostrando un rispetto notevolmente maggiore nei confronti dell'altro. Le fauci si spalancarono di nuovo, con un rapido scatto l'ascia di Bruenor distrusse un dente del mostro e ne deviò lateralmente la testa. Tuttavia la gamba ferita del nano si piegò per il colpo e Bruenor, inciampando, non riuscì a togliersi di mezzo. Un lungo corno agganciò Bruenor sotto al braccio e lo lanciò lontano, lateralmente. Lui atterrò con violenza in mezzo a un piccolo campo di rocce, si riprese, e sbatté volutamente la testa contro una grossa pietra, per sistemarsi l'elmo e allontanare con un colpo il senso di vertigine. Il remorhaz lasciò una scia di sangue, ma non si calmò. L'enorme mandibola si aprì e la creatura soffiò, così che Bruenor le gettò prontamente una pietra giù per la gola. *
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Guenhwyvar avvertì Drizzt dei problemi in prossimità dello sperone di nordovest. Il drow non aveva mai visto prima un verme polare, ma non appena individuò i contendenti, da un'alta sporgenza sovrastante, capì che il nano era nei guai. Rammaricandosi per aver lasciato l'arco nella grotta, Drizzt estrasse le scimitarre e seguì la pantera lungo il fianco della montagna, con tutta la rapidità consentitagli dai sentieri scivolosi. *
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«Vieni, dunque!» ruggì il nano caparbio al remorhaz, e il mostro caricò
davvero. Bruenor si preparò, con l'intenzione di mettere a segno per lo meno un buon colpo prima di finire in pasto al verme. La grande testa scese verso di lui, ma poi il remorhaz, udendo un ruggito da dietro, esitò e distolse lo sguardo. «Stupida mossa!» esclamò il nano, giubilante, e Bruenor diresse un colpo d'ascia alla mandibola inferiore del mostro, spaccandola nettamente tra due grandi incisivi. Il remorhaz strillò di dolore, le sue ali di pelle sbatterono selvaggiamente, cercando di portare la testa lontano dalla portata del terribile nano. Bruenor lo colpì di nuovo, e poi una terza volta, ogni colpo gli praticava enormi fenditure nella mascella e gli spingeva giù la testa. «Pensi di mordermi, vero?» esclamò il nano. Colpì con la mano che teneva lo scudo e afferrò un corno mentre la testa del remorhaz iniziava a sollevarsi di nuovo. Un rapido scatto volse la testa del mostro a un'angolazione vulnerabile, e i muscoli nodosi nel braccio di Bruenor scattarono malignamente, conficcando la potente ascia nel cranio del verme polare. La creatura rabbrividì e si agitò ancora per un secondo, poi giacque immobile, con il dorso che continuava a divampare di calore. Un secondo ruggito da parte di Guenhwyvar staccò gli occhi dell'orgoglioso nano soddisfatto dalla sua vittima. Bruenor, ferito ed esitante, sollevò lo sguardo e vide Drizzt e la pantera che si avvicinavano rapidamente, il drow con entrambe le scimitarre sguainate. «Venite!» ruggì Bruenor a entrambi, interpretando male la loro corsa. Sbatté l'ascia contro il pesante scudo. «Venite a sentire la mia lama!» Drizzt si fermò di colpo e gridò a Guenhwyvar di fare altrettanto. La pantera continuò ad avanzare silenziosamente, tuttavia, con gli orecchi appiattiti. «Sparisci, Guenhwyvar!» ordinò Drizzt. La pantera ringhiò indignata per l'ultima volta e schizzò via. Lieto che il felino fosse sparito, Bruenor portò di scatto il suo sguardo furioso su Drizzt, che si ergeva all'altra estremità del verme polare abbattuto. «Tu e io, allora?» sbottò il nano. «Hai il fegato di affrontare la mia ascia, drow, o le ragazzine sono più di tuo gradimento?» L'evidente riferimento a Catti-brie portò una luce furiosa negli occhi di Drizzt, che strinse le armi con più forza. Bruenor fece oscillare con facilità la sua ascia. «Forza» lo punzecchiò ironicamente. «Hai il fegato di venire a giocare con un nano?»
Drizzt voleva urlare in modo che tutto il mondo lo sentisse. Voleva balzare sul mostro morto e frantumare il nano, negare le parole del nano con forza pura e brutale, ma non poteva. Drizzt non poteva respingere Mielikki e non poteva tradire Mooshie. Dovette sublimare la propria rabbia ancora una volta, dovette prendere gli insulti stoicamente e ricordare a se stesso che lui e la sua dea conoscevano la verità, riguardo a quello che albergava nel suo cuore. Le scimitarre vorticarono nei loro foderi e Drizzt si allontanò, seguito da Guenhwyvar. Bruenor osservò con curiosità la coppia che se ne andava. Inizialmente pensò che il drow fosse un codardo, ma poi, mentre l'eccitazione della battaglia diminuiva gradualmente, Bruenor iniziò a riflettere sull'intento del drow. Era sceso per finire entrambi i contendenti, come Bruenor aveva inizialmente dato per scontato? Oppure forse era sceso per aiutare Bruenor? «No» mormorò il nano, negando quella possibilità. «Un elfo scuro non lo farebbe mai!» La strada del ritorno fu lunga per il nano zoppicante, e offrì a Bruenor molte opportunità di ripercorrere ciò che era avvenuto nei pressi dello sperone di nordovest. Quando infine fu di ritorno alle miniere, il sole era tramontato da un bel po' e Catti-brie e vari nani si erano radunati, pronti per uscire a cercarlo. «Sei ferito» notò uno dei nani. Catti-brie immaginò immediatamente una lotta tra Drizzt e suo padre. «Un verme polare» spiegò con semplicità il nano. «L'ho sistemato per bene, ma mi sono un po' bruciacchiato nello sforzo.» Gli altri nani annuirono con ammirazione per la prodezza guerriera del loro capo - un verme polare non era una vittima facile da uccidere - e Catti-brie sospirò in modo evidente. «Ho visto il drow!» ringhiò Bruenor rivolto a lei, sospettando l'origine di quel sospiro. Il nano era ancora interdetto riguardo all'incontro con l'elfo scuro, e confuso riguardo al ruolo di Catti-brie in tutto questo. Si chiese se Catti-brie avesse effettivamente incontrato l'elfo scuro. «L'ho visto, proprio così!» continuò Bruenor, ora parlando più che altro agli altri nani. «Il drow e il felino più grosso e più nero su cui si siano mai posati i miei occhi. È sceso contro di me, proprio quando ho abbattuto il verme.» «Drizzt non lo farebbe mai!» l'interruppe Catti-brie prima che suo padre
potesse iniziare a narrare il suo flusso continuo di storie. «Drizzt?» chiese Bruenor, e la ragazza si volse dall'altra parte, rendendosi conto che la sua bugia era stata scoperta. Bruenor lasciò perdere la cosa - per il momento. «Ha fatto così, vi dico!» continuò il nano. «È venuto verso di me con entrambe le lame sguainate! Ho messo in fuga sia lui che il felino!» «Potremmo scovarlo» propose uno dei nani. «Scacciarlo dalla montagna!» Gli altri annuirono e mormorarono, dichiarandosi d'accordo, ma Bruenor, che continuava a non essere certo dell'intento del drow, tagliò corto. «La montagna è il suo territorio» disse loro Bruenor. «Glielo ha affidato Cassio e noi non abbiamo bisogno di guai con Bryn Shander. Finché il drow rimane buono e si tiene alla larga da noi, lo lasceremo stare. «Ma», continuò Bruenor, guardando direttamente Catti-brie, «non devi più parlare, né avvicinarti a lui!» «Ma...» iniziò inutilmente Catti-brie. «Mai!» ruggì Bruenor. «Voglio la tua parola ora, ragazza, o per Moradin, avrò la testa di quell'elfo scuro!» Catti-brie esitò, orribilmente alle strette. «Dimmelo!» pretese Bruenor. «Hai la mia parola» mormorò la ragazza, e corse via verso l'oscuro riparo della grotta. *
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«Cassio, Consigliere di Bryn Shander, mi ha mandato da voi» spiegò l'uomo burbero. «Ha detto che qualcuno conosce il drow, e voi siete l'unico che può averlo visto.» Bruenor si guardò intorno nella sala d'udienza formale, osservò i molti altri nani presenti, nessuno di loro era eccessivamente colpito dal rozzo straniero. Bruenor posò il proprio mento barbuto sul palmo della mano e sbadigliò ampiamente, deciso a restare fuori da quest'evidente conflitto. Lui sarebbe riuscito a ingannare quell'uomo volgare e il suo cane puzzolente, in modo che uscissero dalla sala senza ulteriori fastidi, ma Catti-brie, seduta a fianco del padre, si spostò a disagio. A Roddy McGristle non sfuggì quel movimento rivelatore. «Cassio dice che voi dovete aver visto il drow, dato che è così vicino.» «Se qualcuno del mio popolo l'ha visto», rispose Bruenor con aria assen-
te, «non ne ha fatto minimamente parola. Se il vostro drow è nei paraggi, non ci procura alcun fastidio.» Catti-brie guardò suo padre con curiosità, e riprese a respirare più agevolmente. «Nessun fastidio?» mormorò Roddy, mentre uno sguardo scaltro gli illuminava gli occhi. «Quello non ne procura mai, finché non vi aspettate quel che vi accadrà!» «È stato il drow a provocarvi quelle?» chiese Bruenor, non eccessivamente allarmato o colpito. «Belle cicatrici - tra le migliori che abbia mai visto.» «Ha ucciso il mio cane!» ringhiò Roddy. «Non mi sembra morto» lo punzecchiò Bruenor, provocando risate da ogni angolo. «L'altro mio cane» ringhiò Roddy, comprendendo quale fosse la propria posizione di fronte a questo nano ostinato. «A voi non importa nulla di me, e non vedo perché dovrebbe essere altrimenti. Ma non è per me stesso che sto inseguendo costui, né per alcuna taglia che possa avere sulla testa. Avete mai sentito parlare di Maldobar?» Bruenor scrollò le spalle. «È a nord di Sundabar» spiegò Roddy. «Un luogo piccolo e tranquillo. Tutti agricoltori. Una famiglia, i Thistledown, viveva su questo lato della città, tre generazioni in un'unica abitazione, come accade nelle buone famiglie. Bartholemew Thistledown era un brav'uomo, posso assicurarvelo, come suo padre prima di lui, e i suoi figli, quattro ragazzi e una ragazzina molto simile alla vostra - alti e diritti, con cuore allegro e amore per il mondo.» Bruenor immaginò dove voleva andare a parare quell'uomo corpulento, e poiché Catti-brie si muoveva a disagio accanto a lui, immaginò che lo sospettasse anche la sua sensibile figliola. «Bella famiglia» rifletté Roddy, fingendo un'espressione tenera, lontana. «Erano nove in quella casa.» Il volto del montanaro s'inasprì all'improvviso mentre lui fissava corrucciato Bruenor, direttamente. «E in quella casa ne sono morti nove» dichiarò. «Falciati dal vostro drow, e uno è stato mangiato dal suo felino demoniaco!» Catti-brie cercò di reagire, ma le sue parole uscirono in uno strillo distorto. Bruenor fu lieto della confusione della bambina, perché se lei avesse parlato con chiarezza, la sua argomentazione avrebbe rivelato al montanaro più di quanto Bruenor volesse fargli sapere. Il nano posò una mano
sulle spalle della figlia, poi rispose con calma a Roddy. «Siete venuto da noi con un racconto terribile. Avete sconvolto mia figlia, e a me non piace vedere scossa mia figlia!» «Imploro il vostro perdono, nano regale», disse Roddy con un inchino, «ma è necessario che siate messo al corrente del pericolo incombente alla vostra porta. Quel drow è malvagio, e lo stesso vale per il suo perfido felino! Non desidero che si ripeta la tragedia di Maldobar.» «Qui da noi non accadrà nulla del genere» gli garantì Bruenor. «Noi non siamo semplici agricoltori, tenetelo a mente. Il drow non ci infastidirà più di quanto abbiate già fatto voi.» Roddy non rimase sorpreso per il fatto che Bruenor non lo volesse aiutare, ma sapeva bene che il nano, o per lo meno la ragazza, sapevano più di quanto avessero rivelato, riguardo all'ubicazione di Drizzt. «Se non per me, allora per Bartholemew Thistledown, vi prego, buon nano. Ditemi se sapete dove posso trovare quel demonio nero. O se non lo sapete, allora datemi alcuni soldati che mi aiutino a scovarlo.» «I miei nani hanno molto da fare con la fusione del metallo» spiegò Bruenor. «Non possono perdere tempo a inseguire i nemici altrui.» A Bruenor non importava realmente nulla della disputa di Roddy con il drow, ma la storia del montanaro confermava la convinzione del nano che l'elfo scuro dovesse essere evitato, in particolare da sua figlia. Bruenor in effetti avrebbe potuto aiutare Roddy, e farla finita con quella storia, più per allontanare dalla valle entrambi i contendenti, che per ragioni morali, ma non poteva ignorare l'evidente afflizione di Catti-brie. Roddy tentò senza successo di nascondere la propria rabbia, cercando qualche alternativa. «Dove andreste se steste fuggendo, Re Bruenor?» chiese. «Conoscete la montagna meglio di chiunque, così mi ha detto Cassio. Dove dovrei cercare?» Bruenor scoprì che gli piaceva vedere quell'uomo sgradevole così in difficoltà. «La valle è grande» disse in tono enigmatico. «La montagna è vasta. Ci sono molti nascondigli.» Rimase seduto in silenzio per un lungo attimo, scrollando il capo. Roddy abbandonò completamente ogni apparenza. «Aiutereste il drow assassino?» ruggì. «Vi definite sovrano, ma voi...» Bruenor balzò su dal trono di pietra, e Roddy indietreggiò con cautela di un passo, e posò una mano sull'impugnatura di Sanguinaria. «Ho la parola di un furfante contro quella di un altro furfante!» gli ringhiò contro Bruenor. «Una vale - o non vale - quanto l'altra, per quanto
posso immaginare!» «Non per quanto ha potuto immaginare Thistledown!» esclamò Roddy, e il suo cane, intuendo la sua indignazione, scoprì i denti e ringhiò minacciosamente. Bruenor guardò con curiosità la strano bastardo. Stava avvicinandosi l'ora di cena e le discussioni facevano venire una tale fame a Bruenor! Come gli avrebbe riempito la pancia un cane come quello? «Non avete nient'altro da darmi?» chiese Roddy. «Potrei darvi un calcio» brontolò di rimando Bruenor. Vari soldati nani ben armati si avvicinarono per assicurarsi che quell'uomo instabile non commettesse nulla d'azzardato. «Vi offrirei la cena», continuò Bruenor, «ma puzzate troppo per la mia tavola, e non sembrate il tipo disposto a fare un bagno.» Roddy diede uno strattone alla corda del cane e si allontanò precipitosamente, pestando i pesanti stivali e sbattendo ogni porta che oltrepassò. A un cenno del capo di Bruenor, quattro soldati seguirono il montanaro per assicurarsi che se ne andasse senza sfortunati incidenti. Nella sala d'udienza formale, gli altri risero e ulularono esultanti per il modo in cui il loro sovrano aveva trattato quell'uomo. Bruenor notò che Catti-brie non si univa all'allegria, e il nano pensò di sapere perché. Il racconto di Roddy, che fosse autentico o meno, aveva infuso alcuni dubbi nella ragazza. «Così adesso lo sai» le disse bruscamente Bruenor, cercando di spingerla oltre il limite, nella loro discussione ricorrente. «Il drow è un assassino ricercato. Ora prenderai a cuore i miei avvertimenti , ragazza!» Catti-brie strinse amaramente le labbra. Drizzt non le aveva raccontato molto della sua vita sulla superficie, ma lei non poteva credere che questo drow che lei era giunta a conoscere fosse stato capace di commettere un omicidio. Né Catti-brie poteva negare l'evidenza: Drizzt era un elfo scuro, e almeno per suo padre, che aveva più esperienza di lei, quel semplice fatto dava credito alla storia di McGristle. «Mi senti, ragazza?» ringhiò Bruenor. «Devi chiamarli per un confronto» disse improvvisamente Catti-brie. «Il drow e Cassio, e l'orribile Roddy McGristle. Devi...» «Non è un problema mio!» ruggì Bruenor, tagliando corto. Subito gli occhi dolci di Catti-brie si riempirono di lacrime, di fronte alla rabbia improvvisa di suo padre. Il mondo intero sembrava rovesciarsi davanti a lei. Drizzt era in pericolo, e ancora di più lo era la verità riguardo al suo passa-
to. Fatto altrettanto bruciante per Catti-brie, suo padre, che lei aveva amato e ammirato da quando aveva memoria, ora sembrava fare orecchio da mercante alle esigenze della giustizia. In quell'orribile momento Catti-brie fece l'unica cosa che un'undicenne poteva fare contro tali circostanze avverse - si allontanò da Bruenor e fuggì. *
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Catti-brie non aveva intenzioni precise quando si trovò a correre lungo i sentieri più bassi del Monte Kelvin, infrangendo la promessa che aveva fatto a Bruenor. Catti-brie non poteva fare a meno di recarsi da Drizzt, anche se aveva poco da offrirgli, a parte avvertirlo che McGristle lo stava cercando. Lei non riusciva a porre ordine tra tutte le preoccupazioni che provava, ma poi si trovò di fronte al drow e capì il vero motivo per cui si era avventurata fuori. Non era per Drizzt che era venuta, anche se voleva che lui si salvasse. Era per la propria tranquillità. «Non hai mai parlato dei Thistledown di Maldobar» disse freddamente la bambina, come saluto, annullando il sorriso del drow. L'espressione tetra che attraversò il volto di Drizzt mostrò chiaramente il suo dolore. Pensando che Drizzt, con la sua malinconia, avesse accettato la responsabilità della tragedia, la ragazza ferita si volse e cercò di fuggire. Drizzt la prese per la spalla, tuttavia, la fece girare e la tenne stretta. Sarebbe stata una cosa davvero terribile se questa fanciulla, che l'aveva accettato con tutto il cuore, fosse giunta a credere a simili menzogne. «Non ho ucciso nessuno», sussurrò Drizzt al di sopra dei singhiozzi di Catti-brie, «tranne i mostri che hanno trucidato i Thistledown. Lo giuro!» Poi riferì la storia, completamente, raccontando anche la sua fuga dal gruppo di Colomba Manodifalco. «E ora sono qui», concluse, «desidero lasciarmi alle spalle quell'esperienza, anche se non la dimenticherò mai, sulla mia parola!» «Raccontate due storie diverse» rispose Catti-brie. «Tu e McGristle, intendo.» «McGristle?» ansò Drizzt come se gli fosse stato strappato il fiato dal corpo. Erano anni che Drizzt non vedeva quell'omaccione, e aveva pensato che Roddy appartenesse ormai al suo lontano passato. «È arrivato oggi» spiegò Catti-brie. «Un uomo grosso con un cane ba-
stardo. Ti sta cercando.» La conferma annientò Drizzt. Sarebbe mai sfuggito al suo passato? In caso contrario, avrebbe mai potuto sperare di venir accettato? «McGristle ha detto che li hai uccisi tu» continuò Catti-brie. «Allora hai soltanto le nostre parole», rifletté Drizzt, «e non esistono prove a favore di nessuna delle due storie.» Il silenzio che seguì parve protrarsi per ore. «Non mi è mai piaciuto quell'orribile bruto» disse Catti-brie arricciando il naso, e riuscì a produrre il suo primo sorriso da quando aveva incontrato McGristle. L'affermazione della loro amicizia colpì profondamente Drizzt, ma lui non poteva dimenticare il problema che ora incombeva su di lui. Avrebbe dovuto combattere contro Roddy, e forse contro altri se il cacciatore di taglie fosse stato in grado d'attizzare risentimento nei suoi confronti - un compito non difficile, considerato il retaggio di Drizzt. Oppure Drizzt sarebbe dovuto scappare via, accettare nuovamente la strada come casa. «Che cosa farai?» chiese Catti-brie, intuendo il suo tormento. «Non temere per me» la rassicurò Drizzt, e così dicendo l'abbracciò, sapendo che quell'abbraccio poteva essere il suo modo di dirle addio. «Si sta facendo tardi. Devi tornare a casa tua.» «Ti troverà» rispose tristemente Catti-brie. «No» disse Drizzt con calma. «Non molto presto, comunque. Con Guenhwyvar al mio fianco terremo lontano Roddy McGristle finché non riuscirò a decidere la cosa migliore da farsi. Ora vai! La notte scende rapidamente e non credo che tuo padre apprezzerebbe il fatto che tu sia venuta qui.» Il pensiero di dover affrontare nuovamente Bruenor mise in moto Cattibrie. La fanciulla disse addio a Drizzt e si allontanò, poi corse nuovamente dal drow e lo abbracciò. Il suo passo era più leggero mentre scendeva lungo la montagna. Non aveva risolto nulla per Drizzt, almeno per quanto poteva saperne, ma i problemi del drow sembravano lontani e di secondaria importanza se paragonati al suo sollievo per il fatto che il suo amico non fosse un mostro, come alcuni sostenevano. La notte sarebbe stata veramente buia per Drizzt Do'Urden. Aveva ritenuto che McGristle fosse un problema allontanato da tempo, ma ora la minaccia era qui, e nessuno tranne Catti-brie era balzato in sua difesa. Si sarebbe dovuto arrangiare da solo - di nuovo - se proprio voleva affrontare la cosa. Non aveva alleati a parte Guenhwyvar e le sue scimitarre,
e le prospettive di combattere contro McGristle - che vincesse o perdesse non l'allettavano. «Questa non è casa mia» mormorò Drizzt al vento ghiacciato. Estrasse la statuina d'onice e chiamò la pantera sua compagna. «Vieni, amica mia» disse al felino. «Andiamo via prima che il nostro avversario ci piombi addosso.» Guenhwyvar rimase di guardia, all'erta, mentre Drizzt raccoglieva i suoi averi, mentre il drow stanco di vivere per strada svuotava la sua dimora. 25 Un nano scherzoso Catti-brie udì il cane ringhiare, ma non ebbe il tempo di reagire quando quell'uomo enorme balzò fuori da dietro un masso tondeggiante e la afferrò rudemente per il braccio. «Sapevo che tu sapevi!» esclamò McGristle, alitando il suo fiato puzzolente direttamente in faccia alla ragazza. Catti-brie gli diede un calcio sulla tibia. «Lasciami andare!» replicò lei. Roddy rimase sorpreso per il fatto che nella voce della fanciulla non ci fosse traccia di paura. Le diede una bella scrollata quando lei cercò di tirargli un altro calcio. «Sei venuta alla montagna per un motivo» disse Roddy con voce pacata, senza rilassare la stretta. «Sei venuta a vedere il drow - sapevo che eri sua amica. L'ho visto nei tuoi occhi!» «Tu non sai niente!» gli sputò in faccia Catti-brie. «Le tue non sono altro che menzogne.» «Così il drow ti ha raccontato la sua storia dei Thistledown, non è così?» rispose Roddy, immaginando facilmente che cosa volesse dire la ragazza. Allora Catti-brie capì di aver sbagliato a dimostrarsi così furiosa, aveva fornito a quell'essere ignobile conferma della sua destinazione. «Il drow?» disse Catti-brie con aria assente. «Non so proprio di che cosa stai parlando.» La risata di Roddy si burlò di lei. «Sei stata con il drow, ragazza. L'hai detto in modo molto chiaro. E ora porterai me a trovarlo.» Catti-brie lo schernì, attirandosi un altro rude scrollone. Poi la smorfia di Roddy si addolcì improvvisamente e a Catti-brie piacque ancor meno lo sguardo dei suoi occhi. «Sei una ragazza vivace, vero?» disse Roddy, con aria compiaciuta, afferrando l'altra spalla di Catti-brie e volgendola perché lo guardasse direttamente in volto. «Piena di vita, vero?
Mi porterai dal drow, bambina, non dubitarne. Ma prima potremmo fare altre cose, per insegnarti a non fare arrabbiare uno come Roddy McGristle.» La sua carezza sulla guancia di Catti-brie parve ridicola e grottesca, ma orribilmente e innegabilmente minacciosa, e Catti-brie fu quasi colta da conati di vomito. Catti-brie dovette impiegare ogni frammento della propria forza d'animo per affrontare Roddy McGristle in quel momento. Lei era soltanto una ragazzina giovane ma era stata allevata tra i nani dal volto severo della tribù del Martello di Guerra, un gruppo orgoglioso e rigoroso. Bruenor era un guerriero, e lo stesso valeva per sua figlia. Il ginocchio di Catti-brie trovò l'inguine di Roddy, e mentre la stretta di lui si rilassava improvvisamente, la ragazza sollevò una mano per graffiargli il volto. Gli diede una seconda ginocchiata, meno efficace, ma la torsione difensiva di Roddy le consentì di strapparsi via, quasi di liberarsi. La morsa d'acciaio di Roddy si strinse improvvisamente intorno al polso di lei, ed essi lottarono appena per un attimo. Poi Catti-brie sentì che qualcuno le afferrava altrettanto duramente la mano libera, e prima che lei potesse capire che cosa fosse successo, venne strappata dalla stretta di Roddy e una forma scura le si avvicinò. «Così sei venuto ad affrontare il tuo destino» ringhiò Roddy a Drizzt, giubilante. «Corri via» disse Drizzt a Catti-brie. «Tu non c'entri.» Catti-brie, scossa e terribilmente spaventata, non discusse. Le mani nodose di Roddy afferrarono l'impugnatura di Sanguinaria. Il cacciatore di taglie aveva affrontato il drow in battaglia in precedenza e non aveva nessuna intenzione di cercare di tenersi alla pari con gli agili passi e gli avvitamenti dell'elfo scuro. Con un cenno del capo liberò il suo il cane. Questo giunse a metà strada da Drizzt, stava per balzare contro di lui, quando Guenhwyvar lo seppellì, facendolo rotolare lateralmente, lontano. Il cane tornò in piedi, non era ferito seriamente, ma arretrò di vari passi ogni volta che la pantera gli ruggì sul muso. «Ne ho abbastanza» disse Drizzt, improvvisamente serio. «Mi hai perseguitato per anni, percorrendo enormi distanze. Onoro la tua tenacia, ma la tua rabbia è fuorviata, te l'assicuro. Non ho ucciso i Thistledown. Non avrei mai alzato una lama contro di loro!» «Ai Nove Inferni i Thistledown!» ruggì Roddy in risposta. «Credi che si tratti di quello?»
«La mia testa non ti fornirà la taglia che cerchi» replicò Drizzt. «Ai Nove Inferni l'oro!» urlò Roddy. «Hai ucciso il mio cane, drow, e ti sei preso il mio orecchio!» Indicò con il dito sporco il lato del suo volto sfregiato. Drizzt voleva replicare, voleva ricordare a Roddy che era stato lui a iniziare il combattimento, e che era stato il suo stesso colpo d'ascia ad abbattere l'albero che gli aveva sfregiato il volto. Ma Drizzt comprendeva la motivazione di Roddy e sapeva che semplici parole non l'avrebbero placato. Drizzt aveva ferito l'orgoglio di Roddy, e per un uomo come Roddy quell'offesa superava di gran lunga qualsiasi dolore fisico. «Non voglio combattere» spiegò Drizzt con fermezza. «Prendi il tuo cane e sparisci, voglio soltanto la tua parola che non mi perseguiterai più.» La risata beffarda di Roddy mandò un brivido lungo la spina dorsale di Drizzt. «T'inseguirò fino alla fine del mondo, drow!» ruggì Roddy. «E ti troverò sempre. Nessun buco è abbastanza profondo per tenermi lontano da te. Nessun mare è abbastanza vasto! Ti prenderò drow. Ti prenderò ora o, se fuggirai, ti prenderò più tardi!» Sul volto di Roddy balenò un sorriso dai denti gialli e lui avanzò con cautela verso Drizzt. «Ti prenderò, drow» ringhiò di nuovo tranquillamente il cacciatore di taglie. Si avvicinò con una corsa precipitosa e improvvisa e menò un colpo selvaggio con Sanguinaria. Drizzt balzò all'indietro. Un secondo colpo promise risultati analoghi, ma Roddy, invece di seguitare allo stesso modo, percosse ingannevolmente e in modo rapido di rovescio, deviando il mento di Drizzt. Fu su Drizzt in un istante, agitando furiosamente l'ascia da ogni parte. «Resta fermo!» gridò Roddy mentre Drizzt si spostava di lato, saltava e si abbassava sotto a ogni colpo. Drizzt sapeva che stava rischiando pericolosamente, non rispondendo ai perfidi colpi, ma sperava che se fosse riuscito a stancare l'uomo corpulento, avrebbe potuto ancora trovare una soluzione pacifica. Roddy era agile e rapido per essere un uomo così grosso, ma Drizzt era di gran lunga più veloce, e il drow riteneva di poter continuare quel gioco molto più a lungo. Sanguinaria piombò in un colpo laterale, il taglio era diretto trasversalmente verso il petto di Drizzt. L'attacco era una finta, Roddy voleva che Drizzt si abbassasse in modo da poter dare un calcio in faccia al drow. Drizzt capì l'inganno. Saltò invece d'abbassarsi, effettuò una capriola al di sopra dell'ascia affilata e atterrò con leggerezza ancora più vicino a
Roddy. A questo punto Drizzt passò all'attacco, colpendo Roddy diritto in volto con l'elsa di entrambe le scimitarre. Il cacciatore di taglie vacillò all'indietro, sentendo il sangue caldo che gli sgorgava dal naso. «Vattene» disse sinceramente Drizzt. «Prendi il tuo cane e torna a Maldobar, o in qualsiasi altro posto si trovi la tua casa.» Se Drizzt credeva che Roddy si arrendesse di fronte a ulteriori umiliazioni, si sbagliava di grosso. Roddy urlò di rabbia e si lanciò direttamente alla carica, abbassando la spalla nel tentativo di sopraffare il drow. Drizzt picchiò con violenza le else delle sue armi sulla testa piegata di Roddy e si lanciò in avanti raggomitolato su se stesso, direttamente al di sopra della schiena di Roddy. Il cacciatore di taglie cadde pesantemente ma si alzò rapidamente in ginocchio, estraendo un pugnale e lanciandolo verso Drizzt mentre il drow si volgeva. Drizzt vide il guizzo argenteo all'ultimo istante e abbassò una lama per deviare l'arma. Seguì un altro pugnale, e un altro dopo di quello, e ogni volta Roddy avanzava di un passo verso il drow distratto. «Conosco i tuoi trucchi, drow» disse Roddy con un ghigno malvagio. Due rapidi passi lo portarono vicinissimo a Drizzt, e il cacciatore di taglie usò nuovamente Sanguinaria. Drizzt piombò lateralmente, raggomitolato su se stesso, e si allontanò di poco più di un metro. Il fatto che Roddy continuasse a sentirsi così sicuro iniziò a snervare Drizzt; aveva colpito il bruto con colpi che avrebbero abbattuto la maggior parte degli uomini, e si chiedeva quante lesioni potesse sopportare quell'omaccione. Il pensiero portò Drizzt all'inevitabile conclusione che avrebbe dovuto iniziare a colpire Roddy senza limitarsi a usare solo le impugnature delle scimitarre. Sanguinaria arrivò nuovamente da un lato. Questa volta Drizzt non la schivò. Avanzò nell'arco della lama dell'ascia e la bloccò con un'arma, lasciando Roddy indifeso per un colpo con l'altra scimitarra. Tre rapidi fendenti a destra chiusero uno degli occhi di Roddy, ma il cacciatore di taglie si limitò a produrre una smorfia e si lanciò alla carica, afferrando Drizzt e portando a terra l'avversario, più leggero di lui. Drizzt si contorse e menò colpi di piatto, comprendendo che la sua coscienza l'aveva tradito. In uno spazio così limitato non poteva contrastare la forza di Roddy, e i suoi movimenti ridotti eliminarono il suo vantaggio, rappresentato dalla velocità. Roddy mantenne la sua posizione sopra di lui e mosse un braccio per menare un gran colpo con Sanguinaria. Un uggiolio dal suo cane bastardo fu l'unico avvertimento che ricevette,
e non gli fu sufficiente per rendersi conto di quanto stava succedendo e per evitare la corsa della pantera. Guenhwyvar fece rotolare Roddy giù da Drizzt, sbattendolo a terra. L'uomo robusto si mantenne sufficientemente lucido da colpire la pantera mentre questa passava oltre nello slancio, ferendo leggermente Guenhwyvar sulla parte posteriore del fianco. Il cane ostinato giunse di corsa, ma Guenhwyvar si riprese, ruotò direttamente intorno a Roddy e lo allontanò. Quando Roddy si volse di nuovo verso Drizzt, fu accolto da un turbinio selvaggio di colpi di scimitarra che non fu in grado di seguire né di contrastare. Drizzt aveva visto il colpo inferto alla pantera e i suoi occhi color lavanda si accesero, indicando che aveva deciso d'abbandonare ogni compromesso. Un'elsa colpì con violenza il volto di Roddy, seguita dall'altra lama, di piatto. Gli diede un calcio nello stomaco, nel petto e poi all'inguine, in quello che parve un unico movimento. Impenetrabile, Roddy accettò il tutto con un ringhio, ma il drow infuriato insistette. Una scimitarra colpì nuovamente sotto la lama dell'ascia, e Roddy si lanciò alla carica, pensando ancora una volta di portare a terra Drizzt. La seconda arma di Drizzt colpì per prima, tuttavia, ferendo Roddy all'avambraccio. Il cacciatore di taglie si ritrasse, afferrandosi l'arto colpito, mentre Sanguinaria cadeva a terra. Drizzt non rallentò. La sua avanzata colse Roddy di sorpresa, e vari calci e pugni ridussero l'uomo ad annaspare. Poi Drizzt balzò alto, volando in aria e calciò con entrambi i piedi, colpendo in pieno la mascella di Roddy e facendolo crollare pesantemente a terra. Roddy cercò ancora di scuotersi e tentò d'alzarsi, ma questa volta il cacciatore di taglie sentì le lame taglienti di due scimitarre posarsi sui lati opposti della sua gola. «Ti ho detto d'andartene» disse severamente Drizzt, senza muovere di un centimetro le lame, ma lasciando che Roddy sentisse acutamente il freddo metallo. «Uccidimi», disse Roddy con calma, intuendo una debolezza nel suo avversario, «se hai il fegato per farlo!» Drizzt esitò, ma il suo sguardo minaccioso non si addolcì. «Vattene» disse con tutta la calma a cui riuscì a fare appello, calma che negava la prova imminente che sapeva di dover affrontare. Roddy gli rise in faccia. «Uccidimi, demonio dalla pelle nera!» ruggì, facendosi largo verso Drizzt, pur restando in ginocchio. «Uccidimi o ti prenderò! Non dubitarne, drow. T'inseguirò fino ai confini del mondo e anche oltre, se sarà necessario!»
Drizzt sbiancò e diede un'occhiata a Guenhwyvar per riceverne sostegno. «Uccidimi!» gridò Roddy, al limite dell'isterismo. Afferrò i polsi di Drizzt e li tirò in avanti. Linee di sangue vivo comparvero su entrambi i lati del collo dell'uomo. «Uccidimi come hai ucciso il mio cane!» Inorridito, Drizzt cercò di ritrarsi, ma la presa di Roddy era come l'acciaio. «Non hai il fegato per farlo?» urlò il cacciatore di taglie. «Allora ti aiuterò io!» Diede un forte strattone ai polsi, forzando Drizzt, praticando linee più profonde, e se l'uomo in preda alla follia sentì dolore, questo non fu evidente nel suo ghigno ostinato. Ondate d'emozioni caotiche assalirono Drizzt. Voleva uccidere Roddy in quel momento, più spinto da una frustrazione stordita che per vendetta, eppure si rendeva conto di non poterlo fare. Per quanto ne sapeva Drizzt, l'unico crimine di Roddy era quello d'averlo inseguito basandosi su motivi infondati, e quella non era una ragione sufficiente. Per tutto ciò che considerava caro, Drizzt doveva rispettare una vita umana, seppure miserabile come quella di Roddy McGristle. «Uccidimi!» continuava a ripetere Roddy, traendo un lascivo piacere dal crescente disgusto del drow. «No!» urlò Drizzt in faccia a Roddy, con forza sufficiente da zittire il cacciatore di taglie. Infuriato al punto di non poter contenere il proprio tremito, Drizzt non attese di vedere se Roddy avrebbe ripreso il suo folle grido. Diede una ginocchiata sul mento a Roddy, liberò i propri polsi dalla stretta dell'omaccione, poi sbatté simultaneamente le else delle sue armi contro le tempie del cacciatore di taglie. Roddy incrociò gli occhi ma non svenne, continuò caparbiamente a cercare di scrollarsi di dosso gli effetti del colpo. Drizzt lo percosse più volte, e infine lo abbatté, inorridito dalle proprie azioni e dalla continua provocazione dell'uomo. Quand'ebbe sfogato la sua rabbia, Drizzt rimase in piedi, incombendo sull'uomo tarchiato, tremante e con gli occhi color lavanda cerchiati di lacrime. «Allontana quel cane!» urlò a Guenhwyvar. Poi lasciò cadere le proprie armi insanguinate, inorridito, e si piegò per assicurarsi che Roddy non fosse morto. *
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Roddy si svegliò e trovò il suo cane bastardo in piedi accanto a sé. La notte stava scendendo rapidamente e il vento era ripreso. La testa e le braccia gli facevano male, ma lui allontanò il dolore, desiderando soltanto riprendere la caccia, ormai sicuro che Drizzt non avrebbe mai trovato la forza di ucciderlo. Il suo cane fiutò immediatamente la pista, ritornava a sud, e partirono. Il sangue freddo di Roddy si dissipò soltanto in parte quando girò intorno a un affioramento roccioso e trovò ad attenderlo un nano dalla barba rossa e una ragazza. «Non devi toccare mia figlia, McGristle» disse Bruenor con voce pacata. «Semplicemente non devi toccare mia figlia.» «È in combutta con il drow!» protestò Roddy. «Ha avvertito quel demonio assassino della mia venuta!» «Drizzt non è un assassino!» gli gridò di rimando Catti-brie. «Non ha mai ucciso gli agricoltori! Dice che racconti queste storie soltanto perché altri ti aiutino a prenderlo!» Catti-brie si rese improvvisamente conto di avere appena ammesso a sua padre d'aver incontrato il drow. Quando Catti-brie aveva trovato Bruenor, gli aveva detto soltanto del rozzo trattamento di McGristle. «Sei andata da lui» disse Bruenor, evidentemente ferito. «Mi hai mentito e sei andata dal drow! Ti avevo detto di non farlo. Avevi detto che non saresti...» Il rammarico di Bruenor ferì profondamente Catti-brie, ma lei restò saldamente legata alle proprie convinzioni. Bruenor l'aveva educata all'onestà nei riguardi di ciò che lei sapeva essere giusto. «Una volta tu mi hai detto che ognuno riceve quel che gli è dovuto» replicò Catti-brie. «Mi hai detto che ognuno è diverso e ognuno dovrebbe essere visto per quello che è. Io ho visto Drizzt e ti posso dire che l'ho visto sincero. Non è un assassino! E lui è...» Indicò McGristle con aria accusatoria... «un bugiardo! Io non traggo alcun vanto dalla mia menzogna, ma non potrei mai permettere che Drizzt venisse preso da quest'individuo!» Bruenor rifletté per un attimo sulle parole della figlia, poi le passò un braccio intorno alla vita e l'abbracciò forte. L'inganno della fanciulla bruciava ancora, ma il nano era orgoglioso che la sua ragazza avesse preso posizione per ciò in cui credeva. In verità, Bruenor non era uscito lì fuori alla ricerca di Catti-brie, che credeva se ne stesse imbronciata nelle miniere, ma per trovare il drow. Più ripensava al suo combattimento con il remorhaz, più Bruenor si convinceva del fatto che Drizzt era sceso ad aiutarlo, non a combatterlo. Ora, alla luce degli avvenimenti recenti, restavano
pochi dubbi. «Drizzt è venuto a liberarmi da costui» proseguì Catti-brie. «Mi ha salvata.» «Il drow l'ha confusa» disse Roddy, intuendo l'atteggiamento crescente di Bruenor e non desiderando lottare contro il pericoloso nano. «Vi dico che è un cane assassino e lo stesso vi confermerebbe Bartholemew Thistledown, se un uomo morto potesse farlo!» «Bah!» sbuffò Bruenor. «Non conosci la mia ragazza, altrimenti ci penseresti due volte prima di chiamarla bugiarda. E ti ho detto prima, McGristle, che non mi piace che mia figlia sia scossa! Penso che dovresti andartene dalla mia valle. Penso che dovresti andartene ora.» Roddy ringhiò e il suo cane fece altrettanto, balzando tra il montanaro e il nano e scoprendo i denti contro Bruenor. Bruenor scrollò le spalle, indifferente, e ringhiò di rimando alla bestia, provocandola ulteriormente. Il cane balzò in avanti per mordere il nano alla caviglia, e Bruenor gli mise prontamente in bocca un pesante stivale e gli bloccò a terra la mandibola inferiore. «E porta con te il tuo cane maleodorante!» ruggì Bruenor, anche se ammirando il fianco polposo del cane pensò nuovamente che avrebbe potuto utilizzare meglio quella bestia scorbutica. «Io vado dove voglio, nano!» replicò Roddy. «Ho intenzione di prendere un drow, e se il drow si trova nella vostra valle, allora ci sto anch'io!» Bruenor riconobbe la chiara frustrazione nella voce dell'uomo, e osservò con più attenzione i lividi sul volto di Roddy e lo squarcio che aveva sul braccio. «Il drow ti è sfuggito» disse il nano, e la sua risata ferì intensamente Roddy. «Non per molto» promise Roddy. «E nessun nano mi ostacolerà!» «Torna alle miniere» disse Bruenor a Catti-brie. «Dì agli altri che forse tarderò un po' per cena.» Bruenor prese l'ascia che portava sulla spalla. «Sistemalo per bene» mormorò Catti-brie sottovoce, senza dubitare minimamente della prodezza del padre. Baciò Bruenor in cima all'elmo, poi corse via felice. Suo padre si era fidato di lei; nulla in assoluto poteva andare di traverso. *
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Roddy McGristle e il suo cane con tre zampe lasciarono la valle poco più tardi. Roddy aveva visto una debolezza in Drizzt e pensava di poter vincere contro il drow, ma non aveva visto nessun segno del genere in
Bruenor Martello di Guerra. Quando Bruenor aveva abbattuto Roddy, impresa che non aveva impiegato molto tempo a compiere, Roddy non dubitò per un secondo che se avesse chiesto al nano d'ucciderlo, Bruenor sarebbe stato lieto d'accontentarlo. Dalla sommità dell'erta meridionale, dove si era recato per dare l'ultima occhiata a Ten-Towns, Drizzt osservò il carro che abbandonava la valle, sospettando che fosse quello del cacciatore di taglie. Non sapendo che cosa significasse tutto ciò, ma stentando a credere che Roddy avesse cambiato le proprie intenzioni, Drizzt abbassò lo sguardo sui suoi averi nello zaino e si chiese quale sarebbe stata la sua prossima meta. Le luci delle città ora stavano accendendosi, e Drizzt le osservò con emozioni contrastanti. Era stato su quest'erta varie volte, incantato da ciò che lo circondava e pensando di aver trovato la propria casa. Com'era diversa, ora, questa veduta! La comparsa di McGristle aveva fornito a Drizzt una pausa e gli aveva ricordato che era ancora uno sbandato, e che lo sarebbe sempre stato. «Drizzit» mormorò tra sé, una parola veramente incriminante. In quel momento Drizzt non credeva che avrebbe mai trovato una casa, non credeva che un drow che non era un drow nell'animo, avesse un posto in tutti i reami, sulla superficie o nel Buio Profondo. La speranza, sempre effimera nel cuore stanco di Drizzt, era completamente scomparsa. «Questo luogo è chiamato Colle di Bruenor» disse una voce burbera dietro a Drizzt. Lui si volse di scatto, pensando di fuggire, ma il nano dalla barba rossa era troppo vicino perché lui riuscisse a dileguarsi. Guenhwyvar corse al fianco del drow, scoprendo i denti. «Tieni calmo il tuo animale, elfo» disse Bruenor. «Se il felino ha un sapore sgradevole come il cane, non voglio saperne!» «Questo posto è mio», proseguì il nano, «io sono Bruenor e questo è il Colle di Bruenor!» «Non ho visto alcun segno di proprietà» rispose Drizzt sdegnato, aveva esaurito la pazienza per via della lunga strada che ora sembrava farsi più lunga. «Ora so che lo rivendichi, e perciò me ne andrò. Stai tranquillo, nano. Non ritornerò.» Bruenor alzò una mano, sia per zittire il drow che per impedirgli di andarsene. «È soltanto un mucchio di sassi» disse; si trattava più o meno di una scusa da parte di Bruenor. «L'ho definito mio, ma questo lo rende forse tale? È soltanto un maledetto mucchio di sassi!» Drizzt piegò la testa di lato all'inaspettata divagazione del nano.
«Nulla è ciò che sembra, drow!» dichiarò Bruenor. «Nulla! Tu cerchi di seguire quel che conosci, lo sai? Ma poi scopri di non sapere quel che pensavi di sapere! Credevo che un cane avesse un buon sapore - sembrava piuttosto buono - ma ora il mio ventre mi sta maledendo per quest'idea!» Il secondo accenno al cane accese un'improvvisa luce rivelatrice sulla partenza di Roddy McGristle. «Lo hai mandato via» disse Drizzt, indicando giù, verso la strada della valle. «Hai spinto McGristle a smettere d'inseguirmi.» Bruenor lo udì a malapena, e in ogni caso non avrebbe certamente ammesso quell'azione dettata dalla bontà d'animo. «Non mi sono mai fidato degli umani» disse pacatamente. «Non sai mai che intenzioni abbiano, e quando lo scopri, molte volte è troppo tardi per porvi rimedio! Un elfo è un elfo, dopo tutto, e lo stesso vale per uno gnomo. E gli orchi sono incondizionatamente stupidi e brutti. Non ne ho mai conosciuto uno di diverso, e ne ho incontrati parecchi!» Bruenor diede dei colpetti alla sua ascia, e a Drizzt non sfuggì quel che voleva significare. «Lo stesso pensavo dei drow» continuò Bruenor. «Non ne ho mai conosciuto uno - non ho mai desiderato farlo. Chi vorrebbe, mi chiedo? I drow sono cattivi, abietti, così mi è stato detto da mio padre e dal padre di mio padre e da chiunque me ne abbia parlato.» Guardò le luci di Termalaine su Maer Dualdon a ovest, crollò il capo e diede un calcio a una pietra. «Ora ho sentito che un drow si aggira nella mia valle, e che cosa deve fare un sovrano? Poi mia figlia va da lui!» Un fuoco improvviso illuminò gli occhi di Bruenor, ma lui lo mitigò rapidamente, quasi si sentisse a disagio, non appena guardò Drizzt. «Mi mente in faccia - non l'ha mai fatto prima, e non lo farà più se è furba!» «Non è stata colpa sua» iniziò Drizzt, ma Bruenor agitò selvaggiamente le mani per allontanare l'intera faccenda. «Pensavo di sapere quel che sapevo» continuò Bruenor dopo una breve pausa, la sua voce era quasi un lamento. «Avevo immaginato il mondo in un certo modo, con una certa sicurezza. Facile farlo quando te ne stai nel tuo buco.» Si volse a guardare Drizzt, direttamente nella luce fioca degli occhi color lavanda del drow. «Il Colle di Bruenor?» chiese il nano scrollando le spalle rassegnato. «Che cosa significa, drow, dare un nome a un mucchio di sassi? Pensavo di saperlo, certo, e pensavo che un cane fosse buono da mangiare.» Bruenor si strofinò una mano sul ventre e aggrottò la fronte. «Chiamalo mucchio di sassi, allora, e io non ho alcun diritto su di esso, più
di quanto non ne abbia tu! Chiamalo Colle di Drizzt, allora, e così mi scalzeresti!» «Non lo farei» rispose Drizzt tranquillamente. «Non so se potrei farlo, neppure se volessi!» «Chiamalo come vuoi!» esclamò Bruenor, improvvisamente esausto. «E chiama vacca un cane - questo non cambia il sapore della sua carne!» Bruenor alzò le braccia, in preda all'agitazione, e si volse per andarsene, pestando rumorosamente i piedi mentre scendeva lungo il sentiero di roccia, brontolando a ogni passo. «E tieni d'occhio mia figlia», sentì brontolare Bruenor al di sopra del suo borbottio generale, «se lei è così testa d'orco da continuare a salire su quella montagna piena di yeti puzzolenti e di vermi! Sappi che ritengo...» Il resto svanì mentre Bruenor scompariva dietro a una svolta. Drizzt non sapeva come interpretare quel dialogo sconnesso, ma non aveva bisogno di riordinare perfettamente il discorso di Bruenor. Posò una mano su Guenhwyvar, nella speranza che la pantera condividesse il panorama improvvisamente meraviglioso. Allora Drizzt capì che si sarebbe seduto molte volte sulla sommità di quell'erta, il Colle di Bruenor, e che avrebbe osservato le luci accendersi tremolando, perché, sommando tutto ciò che aveva detto il nano, Drizzt considerò chiaramente una frase, parole che aveva atteso d'udire per tanti anni: «Benvenuto a casa.» Epilogo Di tutte le razze dei reami conosciuti, nessuna confonde o è più confusa degli umani. Mooshie mi convinse che gli dei, invece di essere entità esterne, sono personificazioni di ciò che si trova nei nostri cuori. Se questo è vero, allora le molteplici, varie divinità delle sette umane - divinità dalle condotte alquanto diverse - rivelano molto riguardo alla razza. Avvicinando un mezzelfo, o un elfo, o un nano, o un membro di una qualsiasi delle altre razze, buone o cattive, si ha un'idea ragionevole di che cosa aspettarsi. Naturalmente esistono eccezioni; io mi considero una di queste con estremo fervore! Ma è probabile che un nano sia scontroso, anche se onesto, e io non ho mai conosciuto un elfo, né ho mai sentito parlare di un membro di questa razza, che preferisse una grotta al cielo aperto. La preferenza di un umano, tuttavia, è dato a lui solo conoscerla sempre che riesca a decifrarla.
In termini di bene e di male, quindi, la razza umana dev'essere giudicata con maggiore attenzione. Ho combattuto contro vili assassini umani, ho visto maghi umani talmente in balia del loro potere da distruggere senza pietà tutti gli altri esseri che attraversavano il loro cammino, e ho visto città dove gruppi d'umani truffavano sfortunati membri della loro razza, vivendo in palazzi regali mentre altri uomini e donne, e perfino bambini, morivano di fame in bassifondi fangosi. Ma ho incontrato altri umani Catti-brie, Mooshie, Wulfgar, Agorwal di Termalaine - il cui onore era indiscutibile e i cui contributi al bene dei reami, nel corso della loro breve esistenza, saranno molto più rilevanti di quelli della maggior parte dei nani e degli elfi che potrebbero vivere mezzo millennio e più. Sono veramente una razza che disorienta, e il destino del mondo si trova sempre di più nelle loro mani, che si spingono sempre più lontano. Può rivelarsi un delicato equilibrio, ma certamente non sarà monotono. Gli umani racchiudono in sé la gamma delle personalità, più completamente di qualsiasi altro essere; sono l'unica razza «buona» che faccia guerra a se stessa - con frequenza allarmante. Gli elfi della superficie sperano che questo abbia fine. Loro che hanno vissuto più a lungo e visto la nascita di molti secoli, credono che la razza umana maturerà fino a raggiungere la bontà, che il male dentro di essa si frantumerà fino a scomparire nel nulla, lasciando il mondo a coloro che restano. Nella mia città natale ho assistito ai limiti insiti nel male, all'autodistruzione e all'incapacità di raggiungere obiettivi più elevati, anche obiettivi basati sull'acquisizione del potere. Per questa ragione anch'io avrò speranza per gli umani, e per i reami. Come essi sono estremamente diversi, lo stesso vale per gli umani, i più duttili, i più abili a essere in disaccordo con ciò che scoprono falso all'interno di se stessi. La mia stessa sopravvivenza è stata basata sulla convinzione che ci sia uno scopo più elevato per quest'esistenza; che i principi siano un premio di per se stessi. Io non posso, perciò, guardare avanti nella disperazione, ma piuttosto nutrendo speranze superiori per tutto ciò che ho in mente e con la determinazione di poter contribuire a raggiungere quelle vette. Questa è la mia storia, quindi, raccontata nel modo più approfondito, per quanto ho saputo ricordare, e con tutta la completezza che ho deciso di divulgare. Il mio è stato un percorso lungo, pieno di solchi e barriere, e soltanto ora che mi sono lasciato alle spalle così tanto e così tanta strada, sono in grado di riferirlo onestamente.
Non guarderò mai a quei giorni ridendo; il tributo è stato troppo ingente perché possa filtrare l'umorismo. Ricordo spesso Zaknafein, tuttavia, e Belwar e Mooshie, e tutti gli altri amici che mi sono lasciato alle spalle. Inoltre mi sono posto spesso il problema dei molti nemici che ho affrontato, delle molte esistenze a cui le mie lame hanno posto fine. La mia è stata una vita violenta in un mondo violento, pieno di nemici miei e di coloro che mi sono cari. Sono stato lodato per il taglio perfetto delle mie scimitarre, per le mie capacità in battaglia, e devo ammettere che molte volte ho consentito a me stesso di provare orgoglio per quelle abilità imparate duramente. Ogni qualvolta mi allontano dall'eccitazione e considero la cosa nel complesso, tuttavia, mi rammarico che le cose non siano potute andare diversamente. Mi addolora ricordare Masoj Hun'ett, l'unico drow che io abbia mai ucciso; è stato lui a iniziare il nostro combattimento e mi avrebbe certamente eliminato se io non mi fossi rivelato il più forte. Posso giustificare le mie azioni in quel giorno fatale, ma non sarò mai a mio agio per il fatto che siano state necessarie. Dovrebbe esserci un modo migliore della spada. In un mondo così pieno di pericoli, dove apparentemente a ogni angolo di strada incombono orchi e troll, colui che è in grado di combattere è spesso acclamato come un eroe e gli vengono tributati generosi consensi. Io dico che l'alloro dell'eroe non si limita a comprendere la forza del braccio o la prodezza in battaglia. Mooshie era un eroe, veramente, perché superava le avversità, perché non esitava mai di fronte alle circostanze sfavorevoli, e soprattutto perché agiva all'interno di un codice di principi chiaramente definiti. Si può forse dire meno di Belwar Dissengulp, lo gnomo del profondo privo di mani che ha aiutato un rinnegato drow? O di Clacker, che ha offerto la propria vita piuttosto che mettere in pericolo i suoi amici? Allo stesso modo, io definisco eroe Wulfgar delle Lande di Ghiaccio, che ha aderito a un principio che va al di là della brama di battaglia. Wulfgar ha superato le false percezioni della sua fanciullezza selvaggia, ha imparato a vedere il mondo come un luogo di speranza invece che un campo di potenziali conquiste. E Bruenor, il nano che ha insegnato a Wulfgar quell'importante differenza, è il sovrano più legittimo che sia mai esistito in tutti i reami. Incarna i principi che il suo popolo ha più cari, e i suoi nani sarebbero lieti di difendere Bruenor con la loro vita stessa, cantandogli una canzone perfino con gli ultimi respiri d'agonia.
Alla fine, quando trovò la forza di opporsi a Matrona Malice, anche mio padre fu un eroe. Zaknafein, che aveva perduto la sua battaglia per i principi e l'identità nel corso della maggior parte della sua esistenza, alla fine vinse. Nessuno di questi guerrieri, tuttavia, supera in splendore una giovane ragazza che ho conosciuto quando sono giunto per la prima volta a TenTowns. Tra tutte le persone da me conosciute, nessuna si è mantenuta su livelli d'onore e di decenza più elevati di Catti-brie. Lei ha visto molte battaglie, eppure i suoi occhi rifulgono chiaramente d'innocenza e il suo sorriso brilla incontaminato. Sarà triste il giorno, e che tutto il mondo lo compianga, in cui un tono discordante di cinismo rovinerà l'armonia della sua voce melodica. Spesso coloro che mi definiscono un eroe parlano unicamente della mia prodezza in battaglia e non sanno nulla dei principi che guidano le mie lame. Io accetto il loro alloro per quel che vale, per la loro soddisfazione e non per la mia. Quando Catti-brie mi definirà tale, allora consentirò al mio cuore di gonfiarsi di soddisfazione derivante dalla consapevolezza che sono stato giudicato per il mio cuore e non per il braccio che regge la spada; allora oserò credere che tale alloro sia giustificato. E così la mia storia termina qui - oso dire questo? Ora siedo comodamente accanto al mio amico, il legittimo sovrano di Mithril, e tutto è tranquillità, pace e prosperità. Questo drow ha trovato davvero la sua casa e il suo posto. Ma devo ricordare a me stesso che sono giovane. Possono restarmi dieci volte tanti anni quanti quelli che sono già trascorsi. E nonostante tutta la mia attuale soddisfazione, il mondo rimane un luogo pericoloso, dove un guardaboschi deve tenere fede ai suoi principi, ma anche alle sue armi. Devo credere che la mia storia sia narrata completamente? Credo di no. Drizzt Do'Urden FINE