Sprechi Da Torino a Cortina abbandonati alberghi e impianti da sci p.48 iPad I mille usi della tecnologia che ha rivoluzionato il modo di vivere p.100 Esclusivo L'ombra del riciclaggio su un regalo milionario a Dell’Utri p.46
Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03(conv.in legge 27/02/04 n.46)art.1comma 1-DCB Roma - Austria - Belgio - Francia - Germania - Grecia - Lussemburgo - Olanda - Portogallo - Principato di Monaco - Slovenia - Spagna € 5,10 - C.T. Sfr. 6,20 - Svizzera Sfr. 6,50 - Inghilterra £ 3,80
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Settimanale di politica cultura economia - www.espressonline.it
N.4 anno LVII
27 gennaio 2011
ARCORE BYNIGHT UN HAREM DI GIOVANISSIME RAGAZZE PRONTE A TUTTO. FESTINI, ORGE, ESIBIZIONI EROTICHE, SESSO. L’INCREDIBILE SPACCATO DELLE SERATE DI BERLUSCONI NELLE SUE VILLE. TRA RICATTI E RELAZIONI PERICOLOSE
ALTAN
Il sommario di questo numero è a pagina 22
L’espresso 27 gennaio 2011
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GIORGIO BOCCA L’ANTITALIANO
ono stato in una borgata alpina durante le feste di Natale e mi sono chiesto: c’è ancora la crisi economica o non c’è più? In apparenza la crisi se n’è andata. Sul piazzale della borgata lungo la strada che ci scende dalla provinciale un lastricato metallico di auto, forse 200 auto, nuove, senza graffi nelle verniciature, che ci si poteva muovere a stento. Ne scendevano famiglie ben vestite di panni invernali, pellicciotti e maglione di lana, scarpe da sci impermeabili e calzettoni ricamati alla nordica. Uno spetta- Una baita in Trentino colo confortante? Direi il contrario, uno spettacolo di gente in bilico fra l’ultimo consumo di massa e l’incertezza del futuro, per i giovani il buio di un futuro dove le possibilità di un lavoro ben retribuito sembrano essere letteralmente scomparse. In montagna per una grande festa di fine anno. L’ultima grassa o proprio l’ultima? Fa uno strano effetto vivere in un mondo che non sa bene che ne sarà di lui nei prossimi anni, un mondo di cui abbiamo perso il controllo o la falsa certezza di averlo, il controllo dell’economia, della scienza, del nostro numero demografico fra noi ignari e incerti. Solo qualche finto sapiente alla Marchionne che continua a immaginare un futuro di produzione incessante e crescente e per convincerci se ne va in giro vestito da uomo tranquillo con un pullover nero e un po’ slabbrato e un faccione rotondo alla buona. Ma chi sono questi italiani in vacanza alcune ore per l’ultima festa grassa? Quasi tutti provvisti di una riserva del grasso che colava negli anni dei miracoli veri o creduti tali. Li vedete quei giovani che alloggiano nel condominio più alto, nell’al-
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Foto: G. Simeone - Simephoto
LA FESTA ∂ FINITA
L’espresso 27 gennaio 2011
loggio del padre di uno di loro? Laureati di fresco in cerca di un lavoro che non trovano, quasi una merce che evapora nell’aria, introvabile. I soldi per le funivie e per mangiare glieli hanno passati i genitori, loro ci mettono la loro voglia di vivere i loro vent’anni che sono sempre una bella risorsa. E quegli altri che scendono da un pulmino e bisogna correre dietro ai bambini che sono entrati in un garage. Lui è un giovane architetto, appena licenziato dallo studio del famoso architetto che ha dovuto tirare i remi in barca per
Fa uno strano effetto vivere in un mondo che non sa bene che ne sarà di lui nei prossimi anni e di cui abbiamo perso il controllo
una crisi e una settimana fa li ha riuniti nel suo studio per dire che il lavoro è scomparso, se n’era andato nell’aria, volatilizzato. Lui ha resistito finché ha potuto, ma ora ha dovuto dare il sciogliete le fila. Non è allegro, ma si può finire l’anno senza andare in vacanza nella borgata dove si è andati da quando si era bambini? Nella casa dell’editore di letteratura popolare le luci sono accese. Tempi duri anche per lui, ha appena venduto una parte dello studio di Milano, ma poteva passare l’ultimo dell’anno in città, poteva non invitare la segretaria amante? In tutte le case della borgata ci sono gli italiani della crisi che nessuno sa quando è arrivata e quando se ne andrà. Tutti per questa forse ultima vacanza hanno tagliato qualcosa nei regali, nelle spese, tutti hanno fatto i conti e sono riusciti, almeno credono, a farli. Gli unici che siano riusciti a fare un Natale grasso, incredibile, sono stati gli impiegati regionali della regione autonoma che quest’anno li ha mandati in crociera nel Mar Rosso e adesso sono lì che raccontano ad amici e parenti com’era azzurra l’acqua del golfo di Aqaba o com’erano verdi le palme del Negev. La crisi non è finita, il futuro è incerto ma la gente ci ha fatto l’abitudine. Prendete i milanesi. Vivono nella regione più ricca d’Italia, ma proprio a Milano c’è un fiumiciattolo di nome Seveso, un rigagnolo non navigabile che al minimo temporale esonda, allaga interi quartieri, e per vie sotterranee arriva in tutte le cantine e nei negozi per le riprese dei telegiornali.
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SOLI OZEL SENZA FRONTIERE
LE AMBIZIONI DI ANKARA
prescindere da tutto ciò che si può ancora dire della direzione imboccata dalla Turchia in politica estera di questi tempi, è innegabile che essa è ambiziosa. La Turchia punta a esercitare la propria autorità negli affari internazionali ed è cristallina nella sua intenzione a essere coinvolta in tutti gli sviluppi che interessano la sua regione. Dal momento che l’ordine internazionale sta subendo una sostanziale trasformazione, Ankara ritiene di avere il diritto di assumere questo ruolo. In sintesi, se si dovrà costruire un nuovo ordine, la Turchia aspira a esserne uno degli artefici principali. Come ha espressamente dichiarato l’iperattivo ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, «obiettivo della nostra diplomazia lungimirante è rendere l’ordine globale più inclusivo, maggiormente in grado di coinvolgere e abbracciare tutti con maggiore equità». Il ministro ha chiesto alla popolazione di aver fiducia nella nuova missione della Turchia, che consiste nel diventare un «Paese equilibrato, interessato alle questioni globali, in grado di prevedere gli sviluppi internazionali e anticipare e formulare le soluzioni adatte, proponendo anche approcci alternativi». Nelle sue nuove vesti di ministro, Davutoglu ha preso in mano completamente le redini della politica estera turca dopo essere stato consigliere del primo ministro per sei anni. Per tutto questo tempo ha sempre cercato di portare la Turchia alla ribalta internazionale. L’attivo impegno e il coinvolgimento assiduo nelle questioni mediorientali del suo Paese hanno attirato grande attenzione e dato il via a un dibattito sull’orientamento della sua politica estera. Ankara, in ogni caso, è stata molto attiva anche nei Balcani e ha allacciato rapporti di maggiore collaborazione con la Russia. La capacità di portare avanti una politica estera così dinamica è stata possibile grazie a tre sviluppi: lo spostamento dall’Europa all’Est del centro
Foto: L. Rampelotto - Corbis
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Sarei dell’opinione che, al contrario di quanto credono molti turchi, questo allontanamento non renderà la Turchia più libera di perseguire i propri obiettivi di politica estera con maggior vigore. È infatti caratteristica precipua della Turchia quella di saper giocare in campi diversi simultaneamente. Ankara riuscirebbe a ricavarsi una zona autonoma d’azione con maggiore facilità qualora mantenesse i rapporti con l’Occidente. Quest’anno potrebbe rivelarsi di importanza cruciale per il posto che in futuro la Turchia occuperà nel mondo occidentale. Washington e Ankara hanno troppi interessi in comune per permettere che i loro rapporti si deteriorino oltre un certo punto. È vero che lo stato pressoché comatoso della normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Turchia offende gli americani. Le tensioni tra Israele e Turchia, oltretutto, hanno alimentato fortemente l’astio che il Congresso nutre nei confronti di quest’ultima e hanno messo a disagio l’Amministrazione che vorrebbe vedere i due Paesi tornare a un rapporto che abbia quanto meno una parvenza di civiltà. Eppure, per ciò che concerne Iraq, Afghanistan e Pakistan e le questioni energetiche, Washington e Ankara sono in sintonia, e l’Amministrazione Usa, che pensa in termini strategici, ha investito parecchio tempo e parecchi soldi a occuparsi della Turchia.
di gravità dell’ordine internazionale; il crollo dell’equilibrio dei poteri in Medio Oriente sulla scia della guerra in Iraq; e ultime, ma non meno importanti, le necessità espansionistiche e le spinte delle aziende turche alla ricerca di nuovi mercati. In realtà, la motivazione più trascinante della politica estera turca nella zona a lei vicina è stata sicuramente l’imperativo economico. Ciò spiega per quale motivo sono stati abrogati i visti con la Giordania, la Siria e il Libano non appena si è costituito il Levant Eastern Mediterranean Quartet per la cooperazione economica. Gli interessi economici in Iran spiegano almeno in parte l’incessante tentativo da parte di Ankara di approdare a una soluzione diplomatica per lo stallo legato al programma nucleare iraniano. Indipendentemente dall’efficacia di questi tentativi istituzionali, che potrebbero funzionare come non funzionare, questi sviluppi dimostrano che non ci si può più aspettare che la Turchia sia arrendevole nei confronti delle intenzioni dei suoi alleati negli affari regionali. Né si può continuare a sostenere con grande semplicità che la Turchia non ha altre opzioni a sua disposizione se non l’Ue. Malgrado il fatto che il cosiddetto soft power turco include il suo processo di adesione all’Unione, l’allontanamento di Unione e Turchia è imputabile agli sviluppi in corso in entrambe. Se da un punto di vista ufficiale la traduzione di Anna Bissanti Turchia non sta cambiando menta- Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu lità, di fatto quella dell’opinione pubblica turca è in piena evoluzione. Senza un’iniziativa politica mirata e deliberata, i rapporti tra le controparti continueranno a deteriorarsi sempre più a discapito di entrambe.
Oggi la Turchia punta a esercitare la propria autorità negli affari internazionali
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PIERO IGNAZI POTERE&POTERI
L’UTOPIA DI UN PATTO SOCIALE
l voto di Mirafiori porta in superficie un sottofondo di frustrazione e di rabbia di dimensioni impreviste. Il prendere o lasciare imposto dalla Fiat ha rimandato a tempi antichi, quasi pre-industriali, tempi dei racconti dolenti di Ignazio Silone e Corrado Alvaro dove i cafoni andavano col cappello in mano a genuflettersi per un tozzo di pane. Ora Marchionne, Marcegaglia, Sacconi e newco cantante fanno festa, ma l’esito del referendum crea le condizioni per una conflittualità esasperata. Il sistema delle relazioni industriali è andato in pezzi e i tanti marchionnini d’Italia si sentiranno liberi di imporre condizioni sempre più iugulatorie visto che l’esercito di riserva si ingrossa a vista d’occhio. Solo che nessuno ha il carisma e l’aura “global” dell’ad di Fiat, né ci saranno sempre sindacalisti esperti e con la testa sulle spalle a tenere a bada i più arrabbiati. Rischia di aprirsi una stagione di conflitti aspri in cui comunque gli operai perderanno perché i rapporti di forza sono oggi terribilmente sbilanciati e, non dimentichiamolo, c’è un governo di destra al potere. (Basta vedere il bel film sulla lotta per la parità salariale delle operaie della Ford nell’Inghilterra degli anni Sessanta “We Want Sex”- per capire la differenza tra un governo pro-labour e un ministro del lavoro coi fiocchi come Barbara Castle, e un governo con ministri come un Sacconi e un Romani). La sconfitta dei lavoratori potrà soddisfare la pancia reazionaria di un padronato da ferriere ma inquieta tutti quelli che, anche nella classe imprenditoriale, hanno a cuore una “società giusta”, come l’aveva delineata Edmondo Berselli. Anche perché l’umiliazione di un gruppo sociale produce danni di lungo periodo. Non vedremo rivolte di piazza come a Tunisi, tuttavia la disperazione di una crisi economica che falcia i redditi e che fin qui è tamponata solo dai patrimoni accumulati dalle generazioni più anziane, porta a
Foto: G. Giansanti - Contrasto
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L’espresso 27 gennaio 2011
gesti estremi. Gesti persino autolesionisti, come il suicido di tanti piccoli imprenditori del Nord, incapaci di tirare avanti e sopraffatti dalla vergogna del fallimento. L’Italia è un paese diviso, attraversato da una quantità innumerevole di conflitti di cui quello di Torino non è che un esempio, per quanto macroscopico. Ricondurre ad unità tutto questo, iniettare mastice sociale ad un tessuto già così frammentato e a rischio di ulteriori lacerazioni, è compito da grandi leader di riconosciuta autorità morale. L’unica personalità che risponde a queste caratteristiche è il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma il suo è un ruolo simbolico che, per quanto importante, rimane giustamente confinato in questo ambito. Nessun altro, e men che meno il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, può assurgere a “unificatore” di un Paese così frazionato. Lo stile da campagna elettorale permanente, l’aggressività e la faziosità quasi surreale con cui la maggioranza si rivolge all’opposizione minano ogni possibilità di intesa sopra le parti, o almeno di un coinvolgimento a un tavolo di ri-
flessione. Invece non c’è provvedimento governativo che venga apertamente e dialogicamente contrattato con l’opposizione: prevale sempre e comunque la logica della delegittimazione e dello scontro. L’impostazione berlusconiana è quella del conflitto permanente, e quella di Bossi prevede addirittura l’apartheid, prima i “padani” poi tutti gli altri secondo un ordine di gerarchia razziale. I toni bassi e cauti dei leghisti in questi mesi non riflettono un cambiamento della loro cultura politica; è mera tattica per portare a casa il federalismo e poi passare alla secessione. Il bel risultato della crisi economica e del disprezzo-delegittimazione dell’unità nazionale è di trovarci a breve con tensioni sociali crescenti unite a tensioni territoriali. E tutto ciò in assenza di una autorità politica e morale che possa ricomporre i tasselli di questo quadro. Del resto persino il demiurgo più abile necessita di un consenso di fondo e corale sui principi “repubblicani”. I veri responsabili, oggi, non sono quelli che affluiscono alla corte di Re Silvio per puntellarne le sorti, bensì coloro che trovano il coraggio di scuotersi dall’incantesimo berlusconiano e si propongono per un nuovo patto sociale: un patto che celebri in maniera degna i nostri 150 anni, nel segno della coesione nazionale di tutte le sue componenti, sociali, economiche e territoriali. Ma il vento sembra soffiare in direzione opposta.
Non c’è personalità che possa assurgere a unificatore di un Paese così frazionato
Veduta notturna di Montecitorio
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L’espresso
IN EDICOLA LA PROSSIMA SETTIMANA
Città d’arte
SPEAKNOW! di Roberto Calabrò
ROMA
ivertirsi mentre si apprende: è questo il segreto di “Speak Now!”, il nuovo e rivoluzionario metodo per imparare l’inglese messo a punto da John Peter Sloan. Un corso pensato appositamente per gli italiani da un simpaticissimo cittadino britannico che da molti anni vive e insegna nel nostro paese. Con leggerezza e simpatia, Sloan ci spiega le norme grammaticali e le espressioni più comuni della lingua inglese per metterci in condizione di parlare bene il prima possibile. E lo fa a suo modo: attraverso una serie di sketch divertentissimi grazie ai quali apprendere fonetica e regole grammaticali risulta semplicissimo. Nella terza uscita di “Speak Now!” l’attenzione è puntata sulle preposizioni (di luogo, di tempo, di moto, di scopo), sull’uso degli aggettivi e sui comparativi. Nel libro troviamo approfondimenti ed esercizi immediati per fissare subito ciò che si è appreso.
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ANTICA
Lunedì 24 gennaio terzo Dvd + libro a 12,90 euro in più con L’espresso o Repubblica
di Rita Tripodi
asciando Roma per le sue “Passeggiate in Campania e in Puglia”, Ferdinand Gregorovius scriveva nel 1853: «A Roma non c’è niente che sia privo del gusto per il bello». La tensione verso il bello il celebre storico tedesco la coglieva nelle più semplici manifestazioni della vita quotidiana. Roma è oggi una metropoli. Ma con il suo centro storico re-
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sta il più grande museo “aperto” del mondo. Nella nostra collana “Le città d’arte”, Roma è raccontata in due volumi di 384 pagine ognuno. Il primo è dedicato a Roma antica. Dalle origini fino alla dissoluzione dell’impero e alla cristianità. Tante immagini e informazioni sui capolavori dell’architettura: il Pantheon, la Curia, le Terme di Caracalla. Gli acquedotti, gli obelischi, gli archi di Trionfo. Le dimore
Venerdì 28 gennaio il secondo volume al 9,90 euro in più con L’espresso + Repubblica sui colli. Le chiese. Le Catacombe. Con le preziose collezioni e le statue dei musei. Dalla Lupa in bronzo al busto di Apollo del Museo etrusco di Valle Giulia il cui volto ricorda quello di Alessandro Magno. E con la mappa di Roma antica.
Claudio Abbado
L’Italia del gusto RICETTE E PRODOTTI DEL NOSTRO TERRITORIO
PANE, FOCACCE E PIZZA
MOZART
Abbado dirige due sinfonie di Mozart, la “Jupiter”, ovvero la quarantunesima e ultima completata del catalogo Köchel, e la trentottesima, soprannominata “Praga” in quanto, per molto tempo si è ritenuto che Mozart avesse composto il brano per il suo primo soggiorno a Praga nel gennaio 1787. Sempre a Mozart si rifà, nel suo nome, l’orchestra di Bologna che esegue questi brani, che nasce da un’idea di Carlo Maria Badini e di cui Abbado fin dall’inizio ha assunto la direzione artistica, ne ha delineato il profilo, invitando strumentisti di rilievo internazionale, come Giuliano Carmignola, Danusha Waskiewicz, Wolfram Christ, Enrico Bronzi, Mario Brunello, Alois Posch, Jacques Zoon, Alessandro Carbonare, Alessio Allegrini, Reinhold Friedrich a farne parte.
Venerdì 28 gennaio il quinto Cd a 9,90 euro in più con L’espresso + Repubblica
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L’espresso
Martedì 25 gennaio quinto volume a 12,90 euro più L’espresso o Repubblica
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Se provassimo a chiedere a uno straniero quali sono i cibi tipici dell’Italia, con ogni probabilità risponderebbe con le tre “p”: pane, pasta e pizza. La sacra triade dell’identità gastronomica tricolore. Certo è che pane, pizza e focacce rappresentano il trionfo della fantasia popolare, in grado di trasformare ingredienti poveri (acqua, sale, farina, lievito) in prodotti gustosi che ormai fanno parte della nostra quotidianità. Il pane è il simbolo della ricchezza culinaria italiana: spesso contrassegnato e tutelato dal marchio d’origine (Altamura, Lariano, Genzano), viene declinato in un’infinità di forme e ricette, dalla michetta milanese al baule mantovano, dalla mafalda siciliana alla spaccatina di Padova. Della pizza, il più internazionale dei nostri piatti, sono svelati storia e segreti. E così anche della focaccia, nata dalla tradizione ligure ma ormai diffusa e apprezzata in tutta Italia. Roberto Calabrò
E INOLTRE...
“Shoah” di Claude Lanzmann
Dvd - Prima parte L’opera più importante sull’esperienza più tragica dell’uomo moderno. Un monumentale docu-film per non dimenticare.
Vedi articolo a pag. 85 Mercoledì 26 gennaio 1° doppio Dvd a 9,90 euro più L’espresso o Repubblica
L’età de l’Impressionismo Fattori e i Macchiaioli A richiesta con L’espresso o Repubblica
Gianna Nannini Dispetto Sabato 29 gennaio nono Cd + libretto a 9,90 euro in più con L’espresso o Repubblica
Il Caffè Letterario Ferraris racconta Proust Venerdì 28 gennaio a 7 euro più L’espresso + Repubblica
Tex - Collezione storica a colori La morte nel buio Giovedì 27 gennaio a 6,90 euro in più con L’espresso o Repubblica
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BILL EMMOTT
COME SALVARE L’EURO
euro è come un bel palazzo moderno, uno di quelli che continuano ad attrarre nuovi inquilini (l’Estonia è entrata a farne parte il 1° gennaio), sulla terrazza del quale vengono organizzate mega feste per i residenti più facoltosi e di successo (i tedeschi). Ma giù in cantina c’è una gigantesca bomba ad orologeria, con il ticchettio dell’orologio che scandisce il tempo. A meno che quella bomba non venga disinnescata, e presto, il palazzo rischia di essere distrutto. La bomba è il debito sovrano di Grecia, Irlanda e Portogallo. Chi pensa che della faccenda ci si era già occupati lo scorso anno con la creazione del tanto sbandierato Fondo europeo di stabilità e dei prestiti del Fondo monetario internazionale, sbaglia: i pacchetti per la Grecia e l’Irlanda sono solo serviti a prendere tempo rifinanziando parte del debito di questi paesi. È come se il proprietario del nostro palazzo cambiasse l’orario al timer della bomba con l’idea che l’arma diventi così meno potente. Certo, il problema di questi paesi tanto indebitati è semplice da descrivere ma difficile da risolvere. A causa della recessione 2008-10 e al crollo delle proprietà immobiliari, molti paesi tra cui certamente Grecia e Irlanda, ma forse anche Portogallo e Spagna - hanno accumulato un debito pubblico di tale portata che ora, per essere in grado di pagarlo, avrebbero bisogno di una forte crescita economica. Ma le misure che vanno prese per ridurre il prestito e ripristinarne la competitività - tagli al budget e agli stipendi - ne stanno indebolendo la crescita. Nel frattempo, i possessori di obbligazioni governative chiedono tassi di interesse più elevati (vedi rendimento delle obbligazioni) cercando di tutelarsi contro la possibilità che uno o più di questi paesi diventi inadempiente sul prestito. Non si fidano delle promesse dei leader europei che sostengono di voler mettere in campo ogni azione possibile per proteggere l’euro ed evitare eventuali inadempienze nei confronti del debito, perché una cosa simile sarebbe difficilmente accettabile politicamente: i soldi dei contribuenti tedeschi, francesi e di altri paesi utilizzati per finanziare i debiti di irlandesi, greci, portoghesi o di altri ancora. Inoltre i sottoscrittori dei bonds sospettano che la crescita economica di questi paesi indebitati sarà troppo lenta perché siano in grado di accumulare il denaro necessario alla copertura dei debiti. Sospettano anche che le politiche di que-
Foto: F. Cavassi - Agf
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sti paesi possano ribaltarsi a favore dell’inadempienza o di una rinegoziazione del debito. La disoccupazione in Grecia è drammaticamente in crescita. L’Irlanda si sta preparando ad affrontare le elezioni in primavera e i possibili nuovi partiti al governo si sono già espressi a favore della rinegoziazione. Quindi l’euro è spacciato? Non credo, anche se solo un folle potrebbe negare che si trovi in pericolo. Un grande punto a suo favore è che questa valuta sta attualmente aiutando la crescita del maggior pagatore dell’Unione europea, la Germania. La ripresa tedesca nel 2010, con un tasso di crescita del Pil del 3,6 per cento (l’Italia è circa all’1,1 per cento), è tra le più notevoli storie di successo che l’Occidente ricordi. Con la disoccupazione in calo (al 7,5 per cento contro l’ 8,6 per cento dell’Italia), i redditi in aumento e un’esplosione delle esportazioni, perché la Germania dovrebbe prendersela per quel paio di problemucci dell’eurozona? La maggior parte delle teorie sulle possibili soluzioni al problema si sono concentrate su un percepito bisogno di una maggiore interferenza nelle politiche fiscali dei membri e su una “transfer union”, che renda possibile l’utilizzo di parte del denaro proveniente dalle tasse dei paesi più ricchi per sostenere quelli più deboli. Tuttavia, una maggior interferenza è irrilevante rispetto alla crisi attuale: forse basterebbe convincere gli elettori e i sottoscrittori del debito pubblico che la crisi non si ripeterà. L’idea dei trasferimenti fiscali a me sembra destinata al fallimento: se a questo argomento sono politicamente sensibili perfino in Italia, perché gli elettori tedeschi, olandesi o appunto italiani dovrebbero accettare trasferimenti fiscali fuori dai confini nazionali? No, la soluzione più pulita e politicamente fattibile è la ristrutturazione del debito. Non è certo una soluzione facile: implica che i paesi debitori accettino di trasformare il debito esistente in una valuta più bassa, con obbligazioni meno costose. I possessori delle vecchie obbligazioni banche straniere in testa - dovrebbero così af-
frontare una perdita. Questo solleva due grandi problemi: come evitare che una ristrutturazione del debito in Grecia o in Irlanda scateni il panico sul mercato che coinvolge Spagna, Belgio, Italia o gli altri grandi euro-debitori; e come far sì che i paesi debitori tornino in futuro a essere creditori sui mercati dei capitali essendo stati causa di queste perdite. Per risolvere la questione, la ristrutturazione del debito deve essere robusta. Piuttosto che organizzarla paese per paese, dovrebbe essere offerta ad ogni paese dell’eurozona che abbia un debito superiore ad una certa porzione del Pil, forse il 100 per cento. Ci vorrebbero poi anche delle sanzioni che rendano la cosa poco attraente per gli altri paesi che vogliono diventare membri: per esempio la riduzione del diritto di voto nei consigli Ue, una liberalizzazione rafforzata dei mercati domestici e le privatizzazioni. Qualcosa di simile è stata fatta in America Latina negli anni Ottanta. Le perdite che una simile soluzione procurerebbe automaticamente alle banche potrebbe costringere i governi nazionali a sostenerle ricorrendo ai soldi dei contribuenti, proprio come avvenuto dopo il crollo di Lehman Brothers nel 2008. Ancora una faccenda controversa - ma almeno questa volta si tratterebbe di banche nazionali salvate dai contribuenti nazionali. È una soluzione che andrebbe applicata anche all’Inghilterra: pur non aderendo all’euro, le sue banche possiedono una larga fetta del debito irlandese, greco e di altri paesi. È importante che qualcosa di simile si faccia al più presto, prima che i debiti crescano ulteriormente, ma anche prima che ci si possa trovare davanti a qualche altro evento cruciale. Come per esempio la crescita dell’inflazione in Germania. Per il momento l’euro sta aiutando la crescita tedesca. Ma se i bassi tassi di interesse e una valuta poco costosa si mescolano con l’aumento dei prezzi globali di petrolio e generi alimentari per far crescere l’inflazione nel paese, questo potrebbe far diventare selvagge le politiche dell’euro. Ai tedeschi la storia ha insegnato ad aver paura dell’inflazione, per questo essi potrebbero ribellarsi all’euro. Ecco perché la bomba va disinnescata ora e accettato il dolore che provocherà la rinegoziazione del debito e un ulteriore soccorso alle banche europee: l’alternativa è davvero la morte dell’euro.
La soluzione più pulita e politicamente fattibile è la ristrutturazione del debito. Una decisione non facile specie per i paesi debitori
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RISERVATO
a cura di Enrico Arosio e Primo Di Nicola
TOSCANA / SINDACI CONTRO SINDACI
LE DISCARICHE DI RENZI l più inviperito con Matteo Renzi, proclamato da un sondaggio del “Sole 24 Ore” il sindaco più amato d’Italia, è il presidente della provincia di Livorno Giorgio Kutufà, Pd: «Renzi? Facile far bella figura con i cittadini e mandare i rifiuti a smaltire a Peccioli, in provincia di Pisa, e scaricare i liquami civili in Arno perché metà Firenze è senza depuratore». Già, perché ancora oggi, inizio 2011, ben 140 mila fiorentini non sono collegati all’impianto di San Colombano. Così Renzi sarà pure amato dai fiorentini, ma i suoi colleghi toscani del Pd non perdono occasione per polemizzare con lui. Dai sindaci limitrofi di Sesto e Campi Bisenzio, Gianni Giannassi e Andrea Chini, critici sulla costruzione della seconda pista dell’aeroporto, a Gianni Anselmi, della lontana Piombino, che rincara: «La costa tirrenica non può essere vista né come la discarica né come la spiaggia di Firenze». Toni simili dal livornese Alessandro Cosimi: «Renzi primo? Complimenti. Solo che Firenze si deve dare una mossa. È nei fatti che deve dimostrare di essere capitale della Toscana». Mentre da Pisa Marco Filippeschi critica l’accordo tra Berlusconi e Renzi per la tassa di scopo e i musei fiorentini: «Da sei mesi attendo risposta dal governo sul museo delle antiche navi romane, un’intesa firmata dieci anni fa. Non accetto che ci siano disparità tra chi, come Renzi, va in visita ad Arcore e gli altri sindaci che non ci vanno». M. La.
I
ALEMANNO E VATICANO
Illustrazione: David Hughes. Foto: A. Dadi - Agf
∂ Isabella che detta legge Smacco per Gianni Alemanno. E a infliggerlo è stato nientemeno che il papa. Nelll’udienza del 14 gennaio, Benedetto XVI ha speso parole di elogio per il quoziente familiare. Complimenti che il sindaco di Roma pensava indirizzati alla sua giunta, che di recente ha deliberato a sostegno dei nuclei familiari più numerosi. Invece il papa non si riferiva al Campidoglio, bensì alla legge che sta per essere varata dalla Regione Lazio e che porta la firma del consigliere Isabella Rauti, moglie di Alemanno, presente all’udienza. Papa Ratzinger ha infatti parlato di legge e non di delibera, soffermandosi sul fatto che anche il nascituro verrà considerato membro della famiglia. Come prevede la legge della Regione e non la delibera del Comune. V. D.
Reality show
In onda l’Isola dei problemi
Nel disegno: Matteo Renzi. In basso: Isabella Rauti
Protesta in Rete lanciata dal mensile “Altreconomia” contro il programma di Rai2 “L’isola dei Famosi 8”. Dal 14 febbraio le isole Cayos Cochinos al largo dell’Honduras tornano a ospitare il reality show condotto da Simona Ventura, che era stato spostato l’anno scorso in Nicaragua dopo il golpe che il 28 giugno 2009 aveva deposto il presidente Manuel Zelaya. Forse i dirigenti di Rai e Magnolia (produttrice del format) non sanno che le organizzazioni per i diritti umani denunciano da mesi l’uccisione di esponenti della società civile, giornalisti inclusi, e il bavaglio all’informazione. Sarebbero oltre settemila le vittime di soprusi, torture, detenzioni illegali e sparizioni. Negli Stati Uniti, trenta deputati democratici hanno chiesto al governo di sospendere gli aiuti al’Honduras in assenza di garanzie sui diritti umani. M. S.
FAZIO ALL’AMATRICIANA Si presenta asciutto e composto, il ministro della Sanità Ferruccio Fazio, il contrario del crapulone. In realtà è un fedelissimo della Gensola, osteria per ghiottoni nel cuore di Trastevere, all’angolo con piazza in Piscinula: gran pesce e grandi piatti romaneschi, dalla coda alla vaccinara all’amatriciana.
MONTECITORIO
Poveri onorevoli a questo mese i nostri parlamentari sono (si fa per dire) più poveri. Nella busta paga di gennaio, infatti, deputati e senatori hanno trovato mille euro in meno: è entrata in vigore la decurtazione per i prossimi tre anni di 500 euro sulla diaria di soggiorno (fino all’anno scorso pari a 4.003 euro, da oggi sono 3.503) e di altri 500 sulla somma destinata al “rapporto eletto-elettore” (erano 4.190 euro, ora 3.690) destinati anche ai portaborse decisa dagli uffici di presidenza di Camera e Senato dopo il decreto anticrisi di luglio. Invariata, invece, l’indennità parlamentare, prevista dalla Costituzione: 5.486,58 euro netti. Se il taglio delle competenze per i parlamentari è stato votato a suo tempo all’unanimità dai rispettivi uffici di presidenza, c’è chi mugugna per la riduzione generalizzata della diaria. «Al solito», si lamenta Andrea Sarubbi deputato del Pd, «resta fregato chi lavora ed è sempre presente in commissione: per gli assenteisti non cambia nulla». B. C.
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RISERVATO PRESIDENZA DEL SENATO
NEO ARTISTI
AUTOSTRADE
SCHIFANI CERCA UFFICIO S
Brigliadori Reale
600 MILIONI PER NULLA
opo il pittore e scultore Loris Nelson Ricci, amico personale del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, tocca ora a Eleonora Brigliadori conquistare le sale del Vittoriano per la sua prima esposizione in assoluto (“Ewolwing art”, scritto proprio così). L’attrice-presentatrice è arrivata all’Altare della Patria, a piazza Venezia, dopo aver convinto della bontà delle sue opere il gestore del complesso monumentale, Alessandro Nicosia. Ma Eleonora non si ferma qui. Dopo la capitale, la Brigliadori punta ora a Milano: per le sue opere cosmico-mistiche sarebbe pronta addirittura la Villa Reale. A metterla a disposizione, il responsabile mostre Domenico Piraina, lo stesso che vi portò le sculture di Angiola Tremonti, sorella del più noto Giulio. Forse Roma e Milano non sono poi così lontane come si dice. P. Fa.
D
arà che da qualche mese si respira aria di fine anticipata della legislatura, ma nel dubbio Renato SchiIl presidente del fani comincia a pensare al suo fuSenato Renato turo da ex presidente del Senato. A partire Schifani. A destra: dal lussuoso ufficio che Palazzo Madama l’attrice Eleonora riserva ai propri ex primi inquilini a Palaz- Brigliadori; in basso: zo Giustiniani, con annessa squadra di colcerimonia di magistrati laboratori pagata dal Senato. Il presidente normalmente sceglie, e Schifani avrebbe già fatto un pensierino sui locali che ospitavaComunicazione no l’ufficio del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Uno spazio Occasioni perdute per i pubblicitari di casa nostra. Unicredit sta studiando, per la vasto all’ultimo piano di palazzo Giustiniaprimavera, le nuove strategie di comunicazione in Italia e all’estero, dove la sua ni arricchito da boiseries cui si accede diretimmagine è affidata soprattutto alla sponsorizzazione della Champions League. La gara tamente da un ascensore privato azionato per la scelta della nuova agenzia si sta concludendo a favore della Bbh, boutique con la chiave. Diverse stanze che costituiinglese pluripremiata ai festival pubblicitari, ma nemmeno presente nel nostro Paese. scono quasi un’ala a sé del prestigioso imNotizia poco gradita dalle agenzie nostrane: sono le conseguenze della globalizzazione. mobile, una delle quali, quella dello studio Del resto, anche Tim, per il suo nuovo format, che subentrerà da marzo a quello con di Cossiga, con terrazzino che si affaccia su Belen e Christian De Sica, ha pescato l’argentina Santo: altra sigla assente dal nostro piazza della Rotonda e da cui si gode di una mercato ma, almeno, già attiva per il gruppo Telecom Italia in Sud America. Vi. P. splendida vista sul Pantheon. B. C.
Per Giovanni Bisignani gli aerei sono molto più di un lavoro. Chi gli fa visita, nell’ufficio con vista sulla pista più suggestiva dello scalo di Ginevra, se ne accorge immediatamente. Accanto alla scrivania, su un ripiano, il direttore generale di Iata, l’organizzazione internazionale che rappresenta oltre 200 compagnie, tiene una nutritissima collezione di aeromodellini. Agli ospiti, Bisignani ha confessato di cambiare la disposizione a seconda degli incontri in agenda. Così al manager messicano salta subito agli occhi, in primo piano, il modellino con aquila stilizzata della compagnia di bandiera. E il thailandese è colpito dalla riproduzione in prima fila, con il logo floreale, di un jet della Thai Airways. Bisignani non tradisce però le origini italiane: il modellino Alitalia, compagnia di cui è stato amministratore delegato, sembra sia il più grande della collezione. M. D. B.
SIGNORNÒ
E la Brambilla non rispose
Ma quale scontro
Ecco come i ministri in carica reagiscono alle interrogazioni parlamentari Incarico
Interrogazioni ricevute
ha risposto
deve rispondere
% di risposte
CHI RISPONDE DI PIÙ Elio Vito (Pdl) Renato Brunetta (Pdl) Altero Matteoli (Pdl) Franco Frattini (Pdl) Claudio Scajola (Pdl) Paolo Romani (Pdl)
Rapporti con il parlamento Pubblica amministrazione Infrastrutture e trasporti Affari esteri Sviluppo economico
32 269 1.801 787 1.606
29 189 1.210 508 1.032
3 80 591 279 574
90,63 70,26 67,18 64,55 64,26
CHI RISPONDE DI MENO Michela Brambilla (Pdl) Andrea Ronchi (Fli) Angelino Alfano (Pdl) Ferruccio Fazio (Pdl) Silvio Berlusconi (Pdl)
Turismo Politiche europee Giustizia Salute Presidenza consiglio ministri
43 48 2.025 814 1.578
4 5 296 180 377
39 43 1.729 634 1.201
9,30 10,42 14,62 22,11 23,89
Fonte: www.openparlamento.it (ultimo aggiornamento 13 gennaio 2011)
L’INTERROGAZIONE
QUI CI VUOLE UN AVVOCATO Il ministro del Turismo Michela Brambilla ha denunciato per diffamazione “Il Fatto quotidiano”. Non è piaciuto al ministro che alla conferenza stampa di fine anno sia stato chiesto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di esprimersi sulla correttezza del suo
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operato. Per questo si è rivolta alla magistratura facendosi assistere all’Avvocatura dello Stato. La cosa non è andata giù alla senatrice Roberta Pinotti (Pd) che si è appellata al governo chiedendo non solo di verificare la gestione del dicastero del Turismo, ma anche di non permettere di utilizzare in modo improprio l’Avvocatura dello Stato (interrogazione S.3/01840). a cura dell'Associazione Openpolis
L’espresso
DI MARCO TRAVAGLIO
Foto: C. Laruffa - Agf, E. Gandolfi - Olycom, A. Cristofari - A3
Ministro
I
L’aeroplanino di Bisignani
UNICREDIT SI SERVE A LONDRA
Alla fine c’è cascato pure il presidente dell’Anm Luca Palamara. A furia di sentirlo ripetere da politici e opinionisti al seguito, sul caso Berlusconi-Ruby ha lanciato un appello a «uscire dallo scontro tra politica e magistratura». Scontro? Quale scontro? Sono vent’anni, da Mani Pulite, che ogni indagine o processo sui reati di un politico diventa «scontro fra magistratura e politica». Da sempre in tutto il mondo il mestiere delle toghe è indagare per scoprire se Tizio, sia esso un medico, un calciatore, un metalmeccanico, un banchiere, un netturbino, un trapezista, ha commesso un delitto. E a nessuno è mai venuto in mente di invocare la fine dello «scontro fra medicina/calcio/classe operaia/alta finanza/nettezza urbana/circo equestre e giustizia». Quando si tratta di politici e amici loro, invece, è “scontro”. Il Tribunale di Roma reintegra al Tg1 Tiziana Ferrario, rimossa dal video per leso Minzolini («Grave lesione della professionalità per motivi di discriminazione politica»). Subito il direttorissimo strilla all’«intreccio perverso fra politica, magistratura e baronati tv», rifiutando di restituirle la conduzione. Il “Giornale” titola: «Il giudice sostituisce Minzolini. La casta delle toghe consolida vecchie posizioni e privilegi». E “Libero”, con lo stampino: «Al Tg1 comandano i giudici». Un mese dopo, un giudice di Londra reintegra in
l festival del contenzioso sui lavori pubblici segna un nuovo record: 600 milioni di euro per un’autostrada, la Roma-Latina, che neppure esiste. Lo sanno bene i pendolari del Lazio costretti a tribolare ogni giorno sulla statale Pontina, fra le più pericolose d’Italia. Il rimborso per mancato guadagno è stato chiesto allo Stato dai soci privati di Arcea Lazio, società concessionaria dei lavori costituita dall’ex governatore Francesco Storace, con Autostrade, Erasmo Cinque, Ccc (lega Coop), Mario Salabè, ed estromessa con Piero Marrazzo presidente. Arcea è poi stata sostituita da una seconda concessionaria formata dall’Anas e dalla Regione. L’anno scorso il Cipe aveva dato via libera all’opera ma, in seguito a un servizio de “L’espresso” (n. 8, 2010), la Corte dei conti del Lazio ha bloccato il bando per danno erariale, visto che Arcea ha comunque incassato decine di milioni per consulenze e spese di progettazione. G. T.
video Miriam O’Reilly, conduttrice del programma cult “Countryfile” sulla Bbc, cacciata con la scusa dei raggiunti limiti di età (51 anni). Nessuno parla di «scontro fra Bbc e giustizia»: anzi, l’indomani la O’Reilly rientra al suo posto, con le pubbliche scuse della Bbc. Qualche buontempone, tipo Piero Ostellino, dirà che per i politici il discorso cambia. Soprattutto per uno, a caso: «Il capo del governo, a ragione delle sue funzioni, non è un cittadino come gli altri anche di fronte alla legge» (“Corriere della sera”, 15 gennaio). Infatti la Costituzione, per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni, subordina i relativi processi all’autorizzazione delle Camere. Se invece il premier corrompe testimoni, falsifica bilanci, froda il fisco, traffica nella prostituzione minorile, minaccia funzionari di questura - tutte attività estranee alle funzioni istituzionali - è un cittadino come gli altri. E subisce processi, non scontri. Come in tutto il mondo. Nel 2007 finì sott’inchiesta il capo dello Stato d’Israele, Moshe Katsav, per reati sessuali su nove segretarie. Poteva avvalersi dell’immunità presidenziale, invece si dimise, andò a giudizio e l’altro giorno è stato condannato: rischia 16 anni di galera. Lo stesso fece due anni fa il premier Ehud Olmert (privo di immunità), inquisito per un modesto finanziamento elettorale. Anche la sua sentenza lo raggiungerà in veste di ex politico: così non avrà conseguenze istituzionali e non innescherà alcuno “scontro”. In Italia chi fa domanda per un concorso pubblico deve garantire di non avere condanne né procedimenti penali. Se invece ne ha, si butta in politica e li chiama “scontri”.
RISERVATO BRUXELLES
EURO-DIARI SENZA NATALE
uei diari sono un’indecenza!», si è sfogato il ministro degli Esteri Franco Frattini col presidente della Commissione europea Manuel Barroso. Il riferimento è ai tre milioni di agende spedite dalla Commissione a 21 mila scuole del Vecchio continente, in cui sono riportate le principali festività religiose nel mondo ma non il Natale e la Pasqua. «Solo un errore», si è giustificata Bruxelles. Ma il caso sta montando. I senatori cattolici del Pd hanno presentato un’interrogazione per sapere come Frattini intenda «difendere la cultura cristiana, all’origine della Ue» e magari chiedere «il rimborso della quota italiana» (l’operazione è costata 5 milioni). La Regione Lazio si è spinta oltre: con un voto bipartisan la commissione Scuola ha chiesto alle sue province di sospendere la distribuzione delle agende e di ritirare le copie già consegnate. Resta da vedere se da Viterbo a Frosinone le amministrazioni accoglieranno l’invito. P. Fa.
Q
Milano: la Galleria non ama la libreria
IMPRENDITORI
LUNA ROSSA JUNIOR
Chi sale e chi scende in tv Anno 2010: share (in %) delle reti e confronto (indicato dalla freccia) con l’anno 2009 Giorno medio (02:00-02:00)
Prima serata (20:30-22:30)
Top generaliste Rai 1 20,71 Canale 5 18,81 Italia 1 9,14 Rai 2 9,12 Rai 3 8,49 Rete 4 7,28 La7 3,07 Top digitale Boing 1,14 Rai 4 0,77 La5 0,73 Iris 0,56 k2 0,54 Rai Premium 0,44 Rai Yoyo 0,43
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▼ ▼ ▲ ▲ n.c.
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Rai 1 Canale 5 Rai 2 Rai 3 Italia 1 Rete 4 La7 La5 Sky Sport 1 Boing Premiun Calcio HD Rai 4 Sky Calcio 1 Iris
lla prossima America’s Cup non parteciperà, e la quotazione in Borsa di Prada è ancora per aria (se ne parla dal lontano 2001), ma per Patrizio Bertelli la vela resta una passionaccia inguaribile. Il team Luna Rossa si sta allenando a Valencia per le regate Extreme Sailing Series del 2011, che cominciano a Muscat in Oman il 20 febbraio. Stavolta Luna Rossa, skipper Max Sirena, è un catamarano: di 40 piedi (12 metri) e con equipaggio da quattro, dunque molto più piccolo di una costosissima barca da America’s Cup. Muscat sarà la prima del ciclo di nove regate dei velocissimi Extreme 40, che si chiuderà a Singapore a dicembre (la sesta sarà in Italia, a Trapani). Tra le dieci squadre ci sono i fenomeni svizzeri di Alinghi e Emirates New Zealand, una barca francese dei banchieri Rothschild e due team arabi dell’Oman. A un costo ragionevole, insomma, Bertelli e Prada tengono in piedi il nucleo di velisti di Luna Rossa e seguono l’evoluzione dei multiscafi, formula che ora impazza anche in Coppa America. Se mai tornasse la tentazione... T. M.
22,35 = 18,66 ▼ 9,91 = 9,08 ▼ 8,78 ▼ 7,33 ▼ 2,96√ ▲
A
0,96 n.c. 0,92 ▲ 0,86 ▲ 0,85 n.c. 0,83 ▲ 0,55 ▲ 0,55 ▲
Elaborazioni Studio Frasi su dati Auditel, Nielsen TAM Cresce l’ascolto dei canali nativi digitali e scendono le reti generaliste. I 179 canali nativi digitali rilevati da Auditel valgono il 16 per cento del totale tv, con una crescita di cinque punti sull’anno precedente. Le reti generaliste continuano a perdere ascoltatori, il loro valore scende per la prima volta sotto l’80%, sia in prima serata sia nell’intera giornata. La rete più seguita rimane Rai1. Tra i digitali si conferma il primato di Boing e si registra il successo del nuovo canale Mediaset, La5.
La Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Sopra: Manuel Barroso. A destra: Patrizio Bertelli
A Milano ripartono (era ora) i restauri della Galleria Vittorio Emanuele. Ma la stranezza è che le due librerie care ai milanesi, l’antica Bocca, 225 anni di vita, e la grande Rizzoli sopra la quale aveva l’ufficio Enzo Biagi, lavorano a contratto scaduto: Bocca dal 2007, Rizzoli dal 2008. A entrambe il Comune ha triplicato l’affitto. La libreria d’arte Bocca, appena 40 metri quadri, classificata bottega storica, non può assolutamente pagare, giura il direttore Giorgio Lodetti, i 70 mila euro l’anno richiesti; dopo ben sette lettere al sindaco, e zero risposte, da oltre tre anni sta nel limbo, e spera nell’appoggio della società civile. Non va meglio alla Rizzoli, che pure occupa mille metri quadri e ha alle spalle un grande gruppo come Rcs: il Comune ha chiesto oltre un milione l’anno. Rizzoli vorrebbe discuterne, ma a Palazzo Marino, finora, zitti e mosca. Parliamo di due indirizzi di pregio; cosa vuol fare la giunta Moratti: trasformarli in squatter? E. A.
CHE BOTTA PER BOTTA
Mario Botta, architetto di fama mondiale con base a Lugano, è indignato. Ce l’ha con Nicola Di Luccio, 71 anni, commercialista di Saronno, ricca cittadina del nord Milano. Lì il progettista svizzero aveva firmato un progetto importante: due torri di uffici, un parco, un viale alberato e sette palazzine con oltre 200
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appartamenti. Peccato che oggi sull’area spuntino solo tre edifici monchi. L’immobiliare Isi, infatti, è fallita con un passivo di 22 milioni di euro. Bancarotta fraudolenta e falso in bilancio: queste le accuse che hanno portato agli arresti domiciliari Di Luccio, amministratore della società e già noto alle cronache giudiziarie per il suo arresto ai tempi di Tangentopoli,
Sfratto tricolore quando a Saronno era assessore Dc. «Ho lavorato due anni al progetto, si sono messi a modificarlo a mia insaputa e ora mi trovo con un buco di quasi 400 mila euro», spiega Botta, che si è iscritto alla lista dei creditori. Come il Comune di Saronno, che stima di aver subito un danno di 2 milioni. Ma recuperare i soldi di un’immobiliare fallita, si sa, è quasi impossibile. S. Ver.
L’espresso
Foto: F. Reiss - Ap / LaPresse, R. Casilli - Sintesi, G. Trombetta - Sea&See, V. La Verde - Agf
Immobiliaristi
BANDIERE
I vertici leghisti possono tirare un sospiro di sollievo. La pasionaria del Tricolore, alias Lucia Massarotto, dovrà lasciare la casa in riva Sette Martiri a Venezia. Umberto Bossi non dovrà più rivolgersi a lei, durante la Festa settembrina dei Popoli Padani, invitandola a mettere «il Tricolore nel cesso». Lei che, da 15 anni, all’arrivo dei leghisti esponeva il vessillo italiano alla finestra e volentieri s’affacciava sorridente. Da 25 anni in quella casa, la signora ha ricevuto lo sfratto proprio il giorno d’inizio delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Una beffa. P. T.
Satira preventiva
E AGLI AMERICANI LA NUOVA BALILLA DI MICHELE SERRA
Dopo la vittoria al referendum, Sergio Marchionne ha già voltato pagina. Per dare il buon esempio e incoraggiare gli operai, è entrato in fabbrica per provvedere personalmente alla posa della prima pietra della Fiat Fermo, il nuovo modello in muratura fortemente voluto da Lapo Elkann. E, con un gesto di grande valore simbolico, ha avvitato l’ultimo bullone dell’ultima, gloriosa Millecento degli anni Sessanta, ancora in produzione in un reparto che impiega operai vecchissimi, con i poster di Gimondi e Anquetil alle pareti. Ma ecco le altre importanti novità. Le nuove Chrysler Finalmente a Mirafiori si potranno produrre le favolose macchine americane! Come la limousine Potomac, lunga otto metri, con interni in pelle di bisonte e un colonnato corinzio che divide il posto di guida dal soggiorno, che verrà prodotta in almeno dieci esemplari. La dune-buggy Crazy, una piccola monoposto con ruote da camion adattissima per le evoluzioni nel deserto, già prenotata dai concessionari Fiat di mezza Italia grazie a uno stratagemma: corso Marconi ha tenuto nascoste le caratteristiche della vettura. Il formidabile Suv a due piani Ingomber, dotato di ascensore, motorizzato con una caldaia condominiale. E la spiritosa Strike!, un chopper biposto a quattro ruote
che Marchionne ha già guidato per le strade di Detroit abbattendo un filare di lampioni all’andata, e una scolaresca sul marciapiede al ritorno. Corso Marconi calcola che i nuovi modelli americani incideranno pochissimo nelle vendite, ma daranno una decisa sterzata all’immagine grigia del marchio, come auspica Lapo Elkann. Fiat Fiom È il nuovo modello pensato apposta per gli iscritti alla Fiom, che non potranno più entrare in fabbrica ma, secondo gli accordi, devono continuare la produzione a casa propria. Ogni operaio avviterà, sul tavolo di cucina, quello che gli capita sottomano, poi lo consegnerà al vicino di casa che aggiungerà un altro pezzo e così via, fino alla vettura completa. Il ciclo produttivo dura dai quindici ai diciotto anni. Ogni modello sarà completamente diverso dall’altro. Non è arrivata nessuna prenotazione dai concessionari, ma alcune gallerie d’arte si sono dette interessate. L’azienda ha incaricato Lapo Elkann di recarsi a casa degli operai Fiom per dare utili suggerimenti e informarli sulla vita notturna newyorkese. Immediato l’inasprimento delle relazioni sindacali. Nuova Balilla Sull’esempio della Nuova Cinquecento, che in America ha avuto molto successo come vetturetta da usare dentro casa, la Fiat intende produrre la Nuova 127, la Nuova 128, la Nuova 124 eccetera, fino alla Nuova Balilla, che sarà molto simile all’originale, compreso l’avviamento a manovella. Il grande successo di questi remake ha una sola controindicazione, che dopo un po’ i modelli Fiat da replicare si esauriscono. Questo costringerebbe la Fiat a progettare nuove automobili, mettendo l’azienda di fronte a una sfida mai affrontata in passato. Come ipotesi alternativa, Marchionne ha già pensato di produrre a Mirafiori una Nuova Peugeot 404, un Nuovo Maggiolino e una Nuova Due Cavalli, sperando che le rispettive case madri non facciano troppe storie. Nuova catena Le dure dispute sulle pause appartengono al passato. Le nuove catene di montaggio, munite di catetere, consentono all’operaio di non allontanarsi mai. Neanche per i pasti, che possono essere consumati grazie ai Cucchiai Imboccatori Automatizzati che nutrono il lavoratore ogni quarto d’ora, con uno speciale mangime a basso costo che Marchionne ha scoperto in Canada durante una visita a un allevamento di tacchini. Gli operai diventano obesi in pochi giorni, immagazzinando quei chili in più che saranno molto utili durante i periodi di cassa integrazione.
NEL CUORE DELLA MAREA NERA
SOMMARIO Nr. 4 27 gennaio 2011
Rapporto DI NAOMI KLEIN
La scrittrice è tornata nel Golfo del Messico nove mesi dopo il disastro ecologico. E in questo straordinario reportage documenta la catastrofe in corso. Tra pesci in estinzione, cimiteri di coralli e un misterioso liquido marrone che tappezza il fondale marino
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Foto di Alessandro Cosmelli
Primo Piano Era notte ad Arcore
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Ragazze, reclutatori, soldi, silenzi, riti e follie delle feste nella villa del presidente del Consiglio. A cui Ruby chiedeva 5 milioni per tacere di Paolo Biondani e Mario Portanova
Indovina chi c’è nel letto
Opinioni Per esempio di Altan 7 L’antitaliano di Giorgio Bocca 9 Senza frontiere di Soli Ozel 11 Potere & poteri di Piero Ignazi 13 Analisi di Bill Emmott 17 Signornò di Marco Travaglio 21 Satira preventiva di Michele Serra 23 Questa settimana di Bruno Manfellotto 29 Avviso ai naviganti di Massimo Riva 113 La bustina di Minerva di Umberto Eco 158
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La De Vivo e il compagno a processo per camorra, la Began e il narcos, la Montereale e il boss, i sospetti sul padre di Noemi. Ecco le relazioni pericolose a rischio di ricatto di Emiliano Fittipaldi
O Bunga Bunga o voto
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Il fattore Ruby torna a condizionare la politica. Con un dilemma: elezioni o nuovo governo? di Marco Damilano
Disastroso per l’immagine dell’Italia
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L’analisi del sociologo francese sul premier e la situazione politica del nostro Paese colloquio con Marc Lazar di Gigi Riva
Il santo crac
Esclusivo Che regalo per Dell’Utri
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Due conti del senatore nella banca di Verdini. Con un rosso sanato da un bonifico di Silvio. Sul quale l’antiriciclaggio vuole fare luce di Lirio Abbate
Attualità L’abominevole spreco delle nevi
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Dal Piemonte alla Carnia, le Alpi sono costellate di relitti del turismo. Che hanno dilapidato fiumi di denaro pubblico di Paolo Tessadri
La monnezza non ama il Web Si chiama Sistri. E grazie a Internet segue il cammino dei rifiuti speciali. Ma tra rinvii e inchieste non riesce a prendere il via di Riccardo Bocca
L’espresso 27 gennaio 2011
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Dalle tv porno ai cavi ottici: una diocesi slovena sbaglia investimenti e perde quasi un miliardo di euro. Mettendo in crisi il Vaticano di Emiliano Fittipaldi
Non si vive di soli cinepanettoni
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Cambia il modo di ridere degli italiani? Risponde il produttore di “Gomorra”. Che ha scommesso su Cetto-Albanese colloquio con Domenico Procacci di Gianfrancesco Turano
Mondo Sognando un’altra Tunisia
Ritratti Cent’anni di trame 54
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Dall’intelligence americana agli 007 deviati, il prefetto Rozera racconta la sua storia. E rivela: il vero vertice della P2 è ancora potente colloquio con Bruno Rozera di Fabrizio Gatti
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Dopo la cacciata di Ben Ali il popolo chiede libere elezioni. Si apre la successione. Ma si temono i colpi di coda del vecchio regime di Stefano Vergine
Carcere cinque stelle
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Norvegia: celle singole, biblioteca, palestra. Eppure non tutti i detenuti sono felici di Irene Peroni
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MASCHIO HI-TECH Rubriche 19 95 96 97 98 126 151 152 156
Riservato Cinema Arti Televisione Libri Salute La tavola Auto e moto Per posta, per email
Economia AAA banche offresi
Marchionne anch’io
Cultura La nuova Auschwitz
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Scompaiono gli ultimi testimoni, si moltiplicano i visitatori, cambia l’allestimento simbolo della Shoah di Wlodek Goldkorn
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Parla Silvia Fendi, manager impegnata a rilanciare AltaRoma di Lorenzo Soria
Sexy suo malgrado, duro sul lavoro, l’attore svela il segreto del suo successo di Simone Porrovecchio
Maradona fa molta scena Teatro e calcio: due passioni dell’argentino Bartis. Che si ispira al calciatore di Rita Cirio
88 Sotto l’hedge fund, l’insider
116
I magistrati di New York indagano su tre società. A colpi di intercettazioni telefoniche di Antonio Carlucci
91 Lo scatto è fuori legge
119
Fastweb contesta l’Authority sull’aumento del canone concesso a Telecom di Alessandro Longo
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L’editore De Michelis festeggia con i conti in attivo i cinquant’anni della Marsilio di Enrico Arosio
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La scienza promuove le terme. E spiega come scegliere quelle giuste di Letizia Gabaglio
100 Contro il cancro la pillola di ieri
Inchiesta: i tablet sono diventati protagonisti di una rivoluzione del costume di Alessandro Longo
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Chemioprevenzione: vecchi farmaci per combattere i tumori di Agnese Codignola
Speciale Uomo Maschio hi-tech
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Formale o informale. Chic o punk. Ma intessuta di gadget. La moda per lui alle sfilate di Milano di Valeria Palermi
Vestiamo il mondo
Incontro con Andrea Santoni, imprenditore perfezionista di Fiamma Sanò
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Copertina: foto di Olycom (11), Fotogramma (1), Foto A3 (1)
CASO RUBY, DOCUMENTI E OPINIONI Il sito de “L’espresso” segue giorno per giorno la nuova tempesta giudiziaria sul premier. Documenti, analisi, approfondimenti e il confronto continuo con i nostri lettori.
Da “Cabiria” del 1914 a “Il Divo” di Sorrentino, i trenta titoli che meglio hanno raccontato il nostro Paese.
uomo per il prossimo autunno inverno. Nella sezione Style&Design
IL GALATEO DELLA MANCIA Come lasciarla, calcolarla e dividerla. Su Food&Wine.
Qr code: fai una foto col cellulare e parte il video Anche in questo numero ci sono i Qr code, da fotografare con il telefonino per far partire un video correlato al testo. Tutte le spiegazioni sul sito Internet: s.repubblica.it/ espressoqrcode
STILE, SINGOLARE MASCHILE Da Firenze e Milano, la moda Eleganza informale
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Tra moda e arte, la maison Trussardi festeggia
138 cent’anni di successi
A Firenze le aziende fiutano la ripresa. E puntano all’estero verso Europa, Usa e Hong Kong di Antonia Matarrese
Forever young
Questa settimana su www.espressonline.it
I FILM CHE HANNO FATTO L’ITALIA
Salute Io mi curo con l’acqua
Tecnologia iPad: e tu come lo usi?
110
La voglia di dire addio al contratto collettivo piace al Nord-est di Maurizio Maggi
Vissi d’arte e di artigianato
Biutiful Barden
Cesare e i suoi gioielli
106
Gli istituti di credito hanno messo in vendita di tutto per abbellire i bilanci. Ma la debolezza dei conti apre le porte ai partiti di Luca Piana
colloquio con Beatrice Trussardi di Enrico Maria Albamonte
Con gioia e Laetitia 145 Testimonial di Roberto Cavalli. In una
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campagna vivace, colorata e piena di energia colloquio con Laetitia Casta di Roberto Di caro
27 gennaio 2011 L’espresso
BRUNO MANFELLOTTO QUESTA SETTIMANA
CHE TRISTE FINALE DI PARTITA a siamo a metà gennaio, o a metà dicembre? E questo che spunta malandrino dalle 380 pagine spedite dalla Procura di Milano alla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera è il Bunga Bunga annata 2010 o il novello 2011? È come se il tempo si fosse fermato. A prima che il Parlamento, il 14 dicembre scorso, mettesse all’ordine del giorno la non sfiducia al premier, a prima che questi lanciasse la compravendita di deputati e senatori, a prima che la Corte costituzionale ridimensionasse il legittimo impedimento... Come nel gioco dell’oca, si torna al punto di partenza, si ricomincia da Ruby Rubacuori. E riascoltando come in un disco rotto la stessa strafottenza del cavaliere («Dimissioni? Io me la sto divertendo»), le stesse bugie smaccate, gli stessi luoghi comuni sulla riservatezza, la stessa protervia di tanti a non voler prendere atto della realtà. Presto si ricomincerà anche con la conta dei voti, appena il Parlamento valuterà l’autorizzazione a procedere. Si sente dire, anche Berlusconi l’ha declamato nel suo videomessaggio trasmesso a reti unificate, che i magistrati sono responsabili di un’intollerabile violazione della privacy, e che ciascuno a casa sua è libero di fare quello che gli pare. Ovvio, sacrosanto. Ma questo non significa che a casa propria sia consentito picchiare la moglie o violentare la colf: i reati sono reati, e anche se sono commessi nel chiuso delle mura domestiche (come accade nella maggior parte dei casi) obbligano i pm ad aprire un’inchiesta. E comunque, semtir parlare di rispetto della privacy da parte di chi ha consegnato il numero del suo cellulare e di quello del suo capo scorta a un lungo elenco di prostitute d’ogni razza e colore è alquanto bizzarro.
Foto: Massimo Sestini
M
L’espresso 27 gennaio 2011
Dice insomma Berlusconi, e gli fanno eco i suoi fan, che gli si deve la presunzione d’innocenza. E certo che sì. Ma agli italiani, che lo votino o no, si deve il diritto di vivere in un Paese che non perda dignità, che non veda intaccata la sua credibilità internazionale, che non debba convivere con un premier ricattabile (si legga a pag. 36) e le cui istituzioni siano rispettate. C’è un decoro insito nel servizio pubblico al Paese - e la politica lo è, dovrebbe esserlo - che non può essere quotidianamente offeso. È vero, sarebbe meglio smettere di parlare di Ruby & C. e dedicarsi finalmente ai veri guai del Paese che la Banca d’Italia periodicamente ci ricorda (disoccupazione crescente, sviluppo zero, inefficienza, finanza pubblica a rischio). Ci piacerebbe, ma a impedirlo da anni, come in un cerchio che non si chiuda mai, è lo stesso problema del quale ci ostiniamo a parlare: la pretesa berlusconiana di piegare alle sue condizioni il Paese intero, chi l’ha votato e chi non lo vuole. Di farci vivere in un regime di presunta anarchia individuale in cui tutto il potere reale, blindato dalle leggi ad personam, sia solo nelle sue mani. In un eterno referendum tra favorevoli e contrari, tra amici e nemici della magistratura, tra lui e il resto del mondo. Per questo Berlusconi faticherà a fare ciò che qualunque persona normale farebbe per dissipare “il polverone”: presentarsi ai magistrati e rispondere di ogni accusa. Il paradosso berlusconiano vuole, in fondo, che la questione non si chiuda mai e che il Paese sia chiamato continuamente a pronunciarsi per lui o contro di lui, come in un eterno sondaggio di uno dei suoi istituti di ricerca. Per il Paese ingessato e stanco è davvero un triste finale di partita. Una lunga e penosa agonia.
Un mese dopo, ahimè, si torna al punto di partenza. A Ruby & C. Alle calde notti di Arcore. All’ambiguo intreccio di pubblico e privato. Sperando che l’incubo finisca e si parli d’altro
Le indagini sono state avviate perché in base a testimonianze e intercettazioni, sono state avanzate gravi ipotesi di reato a carico del premier: la concussione, e cioè il suo inaccettabile intervento telefonico perché la Questura di Milano rilasciasse “la nipote di Mubarak”, reato commesso per coprirne un altro, e cioè il favoreggiamento della prostituzione, minorile per di più data l’età di Ruby al momento dei primi festini nei saloni di Arcore. E poi c’è casa e casa. Quelle di Berlusconi - sorvegliate da forze dell’ordine pagate dallo Stato e animate da un via vai continuo di scorte pubbliche - navigano in un vasto mare di ambiguità, come la vita stessa del cavaliere. Nella quale è arduo distinguere tra fiction e realtà, tra festicciole e Drive-In, tra abitazioni private e residenze ufficiali: l’agenda quotidiana prevede vertici di Stato fissati in ville private e riunioni di partito o di governo convocate nelle dépendance romane. In qualche modo, dunque, è lo stesso Berlusconi a pretendere che non ci sia distinzione tra pubblico e privato e che perfino i summit internazionali - come quelli dedicati all’amico Putin - siano accompagnati da feste, balli e cotillons. Nelle tante ville a disposizione del cavaliere.
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PREMIER NELLA BUFERA
Party senza limiti con 28 ragazze. Reclutate dovunque da Fede, Mora, Minetti e Ronzulli. E che poi pretendevano soldi e favori. Ecco cosa accadeva nelle feste folli del capo del governo DI PAOLO BIONDANI E MARIO PORTANOVA
Karima El Mahroug, meglio nota come “Ruby Rubacuori” in un’immagine recente. Sopra: Silvio Berlusconi
ERA NOTTE AD ARCORE
cene da Basso Impero, versione Bagaglino. Ventotto ragazze seminude che si strusciano addosso al presidente del Consiglio. Due spogliarelliste che si baciano accanto al palo da lap dance. Il consigliere regionale Nicole Minetti, a seno nudo, che guida le danze nella sala del bunga-bunga. Giovanissime che si contendono i posti di favorite per le notti di sesso con «il presidente», chiamandolo «Papi», «zio» e, tra loro, «Gesù». Prostitute che litigano per avere più soldi e regali dalle mani di Silvio Berlusconi e del suo cassiere personale. La minorenne Ruby, marocchina scappata di casa, che ritira buste da 5 mila euro chiedendo cinque milioni per il suo silenzio. E una ragazza pulita che invece rifiuta di vendersi, «io gli ho detto no», e se ne va nauseata: «Una desolazione, una volgarità spiccia, una caricatura del Bagaglino: è davvero malato». Benvenuti nel «puttanaio» di Arcore, come lo chiama-
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no diversi testimoni. Un viaggio tra i segreti più grotteschi del re della televisione, dell’economia e della politica italiana: l’uomo che ha giurato a milioni di cittadini-spettatori di non aver «mai pagato una donna». Le 389 pagine dell’atto dell’accusa trasmesso al Parlamento contengono, secondo i pm milanesi, le «prove evidenti» dei due reati per cui Silvio Berlusconi meriterebbe un processo immediato: atti sessuali a pagamento con una minorenne e concussione ai danni della questura di Milano (vedi box a pag. 35). Il verdetto spetterà ai giudici. Ma i fatti documentati dalle indagini della polizia giudiziaria bastano già ora a svelare un metodo, un sistema che una moglie tradita, Veronica Lario, aveva anticipato con l’immagine delle «vergini che si offrono al Drago». Ecco i personaggi, i ruoli e il collaudato copione delle notti di Arcore. I RECLUTATORI. Le intercettazioni telefoniche (che il governo avrebbe voluto imbavagliare per legge) identificano almeno 14 ragazze, compresa la minorenne Karima El Mahroug detta Ruby, che confermano ad amici e parenti di aver fatto sesso col premier in cambio di soldi, consegnati «direttamente da lui» o dal suo fidato tesoriere Giuseppe Spinelli. L’inchiesta registra 19 festini notturni ad Arcore solo dal primo gennaio al 12 luglio 2010, altri party con decine di ragazze a Roma o in Sardegna e almeno cinque serate orgiastiche in autunno, di nuovo a Villa San Martino. «Ne vedrai di ogni», spiega la Minetti alla sua compagna di liceo M.T.: «C’è la zoc-
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IL CATALOGO DELLE OLGETTINE
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1) BARBARA GUERRA Ex della “Fattoria”,
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to...». E lei conferma: «Lo ha già fatto ieri sera». Mora è solo il più potente e fidato dei reclutatori di “Papi girls”. In caso di “emergenza” si attivano, secondo l’accusa, il giornalista Emilio Fede, l’onnipresente Minetti e persino intermediari improvvisati. Al punto da recapitare ad Arcore «due valchirie che sembravano transessuali», come protesta Mora dopo la notte del 24 agosto. Ma basta intervistare Poliana Gomes, una delle amiche a cui Ruby parlava di Silvio, per sentirsi confermare che esistono altri accompagnatori ancora sconosciuti: «Anch’io sono stata ad Ar-
core, ma solo a cena», spiega la brasiliana, che lavora in Rai e Mediaset, «e mi ha portato una persona diversa da Mora. Per entrare nel giro bisogna frequentare i locali giusti di Milano». GLI ESAMINATORI. Caricate su furgoni, taxi o auto private, le ragazze di Lele passano prima di tutto al vaglio di Fede: il direttore del Tg4 le esamina di perso-
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Foto: Pagine 32/33: Olycom (7), Frezza La Fata - PMF
cola, c’è la sudamericana che non parla l’italiano e viene dalle favelas, c’è quella un po’ più seria, c’è la via di mezzo tipo Barbara Faggioli e poi ci sono io che faccio quel che faccio». Le ragazze si mettono in luce tra discoteche, locali alla moda e casting televisivi. Il grande reclutatore è Lele Mora, il “fabbricante di carriere tv”, che le raduna nel suo ufficio di viale Monza 9, le istruisce e le accompagna ad Arcore, suggerendo i trucchi per sedurre Berlusconi. «Devi fargli uno scherzo: ti metti lo stetoscopio e un camicione... Tu sarai l’infermiera ufficiale», dice Mora, il 13 agosto 2010, alla miss piemontese Roberta Bonasia, che risponde: «Con sotto niente, ovviamente». Lele ride: «Sì, fa il finto mala-
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Foto: Pagine 30/31: G. Micalizzi - Cesuralab / Luzphoto, G. Carotenuto - Luzphoto
ex fidanzata di Balotelli, ha 32 anni ma il primato di presenze lo ha segnato ad Arcore. 2) MARIANNA E MANUELA FERRERA Gemelle “esplosive” e meteorine del Tg4 di Emilio Fede, un trampolino per lanciarsi nel Bunga-Bunga. Hanno 27 anni. 3) IOANA VISA Assoldata dal Giampi Tarantini per allietare le notti del premier, la romena è rimasta nel suo cuore traslocando armi e bagagli in via Olgettina. 4) MIRIAM LODDO Ex corteggiatrice in “Uomini e donne”, 27 anni, ha conquistato un posto d’onore nella corte di Silvio. 5) IRIS BERARDI Brasiliana di Forlì, a 18 anni è passata dal rombante titolo di Miss Car Show alle scuderie del Cavaliere. 6) MARISTEL GARCIA POLANCO Modella dominicana, notata sugli schermi con “La pupa e il secchione”, a 25 anni ha scelto di fare la pupa di Papi. 7) RAISSA SKORKINA Dalla Russia con amore: nel 2005 ballava al Billionarie, poi Villa Certosa e Milano. Dice: «A Silvio voglio un bene dell’anima, ma niente sesso». 8) BARBARA FAGGIOLI Sarda, studia legge, ha fatto lo “Show dei record” e tanti spot. Ha 24 anni e non disdegnerebbe un futuro politico. Chi meglio del premier? 9) ALESSANDRA SORCINELLI Una star di 26 anni. Madrina tv di “Affari tuoi”. E gli affari suoi li segue bene: ottiene bonifici da 10 mila euro a botta. 10) ELISA TOTI Senese, 32 anni, dichiara: «Ma quali festini? Solo cene sobrie e pulite. Berlusconi è come un padre». E infatti le paga la casa.
na, «è lui a dire questa sì, questa no», e poi parte per Arcore, dove è tra i pochi uomini (tre al massimo) ammessi nella sala sotterranea del “bunga bunga”. All’occorrenza, però, torna in scena Licia Ronzulli, oggi europarlamentare, già indicata dalla escort barese Patrizia D’Addario come responsabile dell’accoglienza delle “Papi girls” nell’estate 2008 in Sardegna: il 22 agosto 2010 è di nuovo lei, con Nicole, a selezionare il plotone delle nove ragazze che passeranno la notte con Silvio. Le preferite, peraltro, vengono «contattate direttamente da Berlusconi»: tra tutte spicca la romena Ioana Visan detta Annina, 23 anni, che tra gennaio e settembre 2010 ha inanellato 53 giornate ad Arcore. Un
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riscontro vivente: già due anni fa il barese Giampaolo Tarantini confessò d’averla pagata per andare a letto col premier a Roma. Ma ormai sono decine le ragazze che hanno i numeri privati di Berlusconi e lo chiamano perfino di notte (o in ospedale) per sollecitare un invito e reclamare soldi. Troppe. Il 4 ottobre Nicole annuncia che Silvio, «con questi casini politici», vuole ridurre le cene ad Arcore: «Solo una alla settimana». Al che l’italo-brasiliana Iris, 18 anni, s’infuria: «Già ci dà una miseria, è
ora di rubare qualcosa da casa, magari una sua foto da giovane per venderla su ebay». IL BUNGA BUNGA. All’ingresso, nessun controllo: «Basta dire il nome e i carabinieri ti fanno entrare», si meravigliano le novizie con i videofonini che sembrano preoccupare solo Fede. All’inizio si cena con altri ospiti: politici, imprenditori, gente di spettacolo. Berlusconi si presenta con un nugolo di belle ragazze: una battuta per tutti e un brindisi. Poi menù mediterraneo, barzellette e canzoni di Silvio. Finita la cena, il capo decide chi resta. «Attorno a mezzanotte sentii alcune delle 20 ragazze dire: «Scendiamo al “bunga
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PRIMO PIANO Le lamentele delle ragazze perché c’erano molte più cene a Roma: “Silvio è la nostra fonte di lucro”
GUARDA IL FILMATO Fotografa questo codice e vedi il video delle feste di Villa Certosa dal tuo cellulare. A pagina 26 le istruzioni per attivare il servizio
grandi regaloni... nine (nove)... anche Raffaella Fico è rimasta... la Barby invece l’ha mandata a dormire, era andata in camera con loro, ma lui le ha dato la buonanotte». E la Minetti commenta: «Una figura atroce... Anche la Lisa ha avuto il suo momento come la Iris, è così che funziona... Ognuna ha il suo momento e non bisogna prendersela quando finisce». IL PREZZO. La massa delle Papi girls trova spazi in tv, tra “pupe”, “meteorine”, “coloradine” o “Grande fratello”. Oltre alle promesse di successo, decine di ospiti ricevono «buste di denaro da Berlusconi»: lo confermano loro stesse al telefono, mentre la Minetti deve pacificare liti e invidie tra Aris che «ha avuto 6,5», «Iris 7», «Francesca solo 2 mila
Dai 5 milioni chiesti per tacere ai giudizi su Noemi Letizia. E ancora le strategie di Fede per ottenere il silenzio delle ragazze. Le liti per le case di via Olgettina. Ecco le intercettazioni su cui i giudici milanesi chiedono chiarimenti lo chiami?». Ruby: «Papi. Noemi è la pupilla, io sono il culo». I TIMORI DI SILVIO Ruby: «Il mio caso è quello che spaventa tutti e sta superando il caso della D’Addario e della Letizia. Io ho parlato con Silvio e gli ho detto che ne voglio uscire con qualcosa: 5 milioni. Cinque milioni a confronto del macchiamento del mio nome...». Un’amica: «Ma come... 5 milioni...». Ruby: «Ma non siamo
Il solito Spinelli paga gli affitti (da 600 a 1.400 euro al mese) all’immobiliare Friza srl. Le bollette sono saldate nell’ufficio postale interno a Mediaset, con imbarazzanti versamenti «contestuali» a favore di due figli del Cavaliere, Barbara e Piersilvio, e delle amichette di papà. L’unico bonifico di Silvio (10 mila euro) premia Alessandra Sorcinelli. Per il resto, sempre e solo buste di contanti. L’unica a indignarsi è la testimone che ha detto no a Silvio. Raggiunta da “L’espresso”, M. T. è anche l’unica a non cercare pubblicità: «Non voglio essere accostata a quel mondo». LA TENUTARIA. Accusata di induzione e
euro e un braccialetto d’oro con la F e un diamantino...». Almeno 14 tra le più gettonate incassano uno stipendio fisso dal cassiere Spinelli. Sul gradino più alto troneggiano le otto privilegiate (compresa Elisa Toti, presunta fiamma di Renzo Bossi, figlio del leader leghista) che, in aggiunta, vivono gratis negli appartamenti di via Olgettina 65, accanto a Milano 2.
LE TELEFONATE DI RUBY: “IO, PAPI E I SOLDI” Festini. Ragazze. Soldi. Buste con migliaia di euro. Regali. Richieste di denaro. E ancora danze osé e sesso. Sono molti i dettagli emersi dai resoconti dei deputati sulle oltre 380 pagine depositate dalla Procura di Milano in Parlamento. Ecco i passaggi chiave su come Ruby e le altre protagoniste del nuovo sexy gate descrivono al telefono gli incontri e il cosiddetto “bunga bunga” RUBY E NOEMI Un amico di Ruby: «Come
Lele Mora, a sinistra: Nicole Minetti, consigliera regionale e organizzatrice delle notti di Arcore. Nella pagina accanto: Emilio Fede
preoccupati per niente, perchè... Silvio mi chiama di continuo, mi ha detto cerca di passare per pazza... per quello che puoi... per pazza... racconta cazzate... ma io ti sarò sempre vicino... mi fa... di qualsiasi cosa e avrai da me qualsiasi cosa tu vuoi... con il mio avvocato gli abbiamo chiesto 5 milioni di euro ... in cambio di... del fatto che io passo per pazza, che ho raccontato solo cazzate... e lui ha accettato... in effetti seguiremo questa... questa strada...».
LA VERA ETÀ DI RUBY Ruby al padre: «Silvio ha detto al suo avvocato: dille che le pagherò il prezzo che vuole, l’importante è che lei chiuda la bocca, che neghi tutto... Che io non ho mai visto una ragazza di 17 anni». VECCHIO E BRUTTO Imma De Vivo alla gemella: «L’ho visto un po’ out. Ingrassato. Imbruttito. L’anno scorso stava più in forma. Adesso sta più di là che di qua. È diventato pure brutto: deve solo sganciare. Speriamo che sia più generoso.Io non gli regalo un cazzo». NO, IL BUNGA BUNGA NO... On. Maria Rosaria Rossi: «Ma tu stai venendo qui?».
Foto: Pagine 34/35: M. Sestini - S. Oliverio - Imagoeconomica, L. Santese - Cesuralab / Luzphoto
bunga”», ricorda l’universitaria M. T., testimone suo malgrado. Descrive «una sala con divanetti, un palo da lap dance, un banco bar e dei bagni dove le ragazze si cambiano per la notte». Qui, tra una sexy-infermiera e una finta poliziotta in topless, le ragazze fanno a gara per diventare «una delle favorite». La notte del 12 luglio, ad Arcore, ci finisce anche Maria M., una danzatrice maghrebina che racconta «l’orgia» in diretta a un superpoliziotto, il prefetto Carlo Ferrigno, scandalizzato quanto lei: «C’erano Berlusconi, Mora e Fede: loro tre e 28 ragazze. Erano tutte senza reggipetto, solo le mutandine quelle strette... Tutte in braccio a Berlusconi, seminude... C’era pure la Minetti col seno da fuori che baciava Berlusconi in continuazione.... Stavano tutte discinte, mezze ubriache, lui le baciava e le toccava tutte... Alla fine sai chi è rimasto a scopare con lui? Le sorelle De Vivo e la “Fio”...». Le escluse si disperano. «Aris ha avuto
Gli abusi di potere di B.
Emilio Fede: «E alle nove, nove e un quarto». Maria Rosaria: «Alle nove, nove e un quarto, fai nove e mezza... fai... No, vieni, vieni, vieni... Chi c’è ? Niente poche persone...». Emilio Fede: «Ecco no perché ho due mie amiche». Maria Rosaria: «Ah che palle che sei, due amiche, quindi bunga bunga, due de mattina, io ve saluto eh?!». Emilio Fede: «No, no tesoro, posso non portarle, eh? Chi c’è?». Maria Rosaria: «Ma stai scherzando? No, c’è una delle gemelline...». Emilio Fede: «Oh Madonna...». SOLO DIRGLI GRAZIE Emilio Fede: «La gemellina gli fa:
Il signore degli abusi. A spiegare perché i pm milanesi hanno dovuto ricostruire i rapporti tra il presidente del Consiglio, la marocchina Ruby e un nugolo di prostitute è il reato più grave addebitato a Silvio Berlusconi: concussione, aggravata dalla finalità di «occultare un altro reato». Cioè di evitare che la polizia potesse scoprire, secondo l’accusa, che il premier aveva avuto rapporti sessuali a pagamento con quella minorenne, unico caso il cui il codice incrimina il cliente. Il 27 maggio, quando Karima detta Ruby, 17 anni, senza documenti, viene denunciata e fermata per furto di tremila euro, Berlusconi chiama a mezzanotte il capo di gabinetto della questura per raccontargli una balla: la presenta come «la nipote di Mubarak». E chiede di rilasciarla, affidandola a Nicole Minetti, consigliere regionale. La ragazza in realtà è marocchina, vive in Italia, è scappata prima da casa e poi da una comunità: il pm dei minori ordina di trattenerla, ottenere i suoi documenti in Sicilia e sentire i genitori. Prima della telefonata del premier, la procedura è regolare. Poi salta tutto. La questura rilascia Ruby alle 1.30, «ancora prima di aver chiesto i documenti»: il fax partirà da Milano alle 2.20, la risposta arriverà solo alle 4. Inoltre Ruby viene solo «formalmente» affidata alla Minetti. Di fatto esce con un’amica di Nicole: Michele C., una brasiliana «priva di referenze», ora identificata come «prostituta». Il commissario di turno non commette alcun falso, perché verbalizza il vero domicilio: la casa di Michelle. Il reato «evidente», secondo i pm, lo fa Berlusconi, che «induce» un rilascio «indebito», sia per tempi che per destinazione. Abusando della sua «qualità» di capo del governo, e non di «funzioni» ministeriali, come pretenderebbe la difesa per spostare il processo a Roma: non ha dato ordini alla questura, voleva solo uno strappo alla regola, da tener nascosto.
favoreggiamento della prostituzione anche minorile, Nicole Minetti ha in mano la gestione completa delle case di via Olgettina: fa da tramite per tutte le spese tra le Papi girls, Silvio e Spinelli. «Il presidente mi ha delegato per la questione appartamenti», precisa al cassiere. E quando una gemellina napoletana prova a scavalcarla, rivendica la sua autorità: «Ci devo essere io perché ho la benzina io, capito?». La«benzina che finisce», per le ragazze, sono i soldi che non bastano mai. Le rivalità riguardano anche i regali: «Barbara Guerra si è comprata 25 scarpe!». Tra settembre e ottobre Nicole Minetti
senti mi devi fare un favore guarda io sono stanca, perché mi portano sempre, non è la prima volta, io non so perché mi fanno questa guerra, io avevo scelto un appartamento, adesso me lo tolgono perché lo danno a Maristella, mentre invece io devo andare in uno più piccolo... pensa, queste che facevano la fame...». Nicole Minetti: «Ma ti rendi conto?». Emilio Fede: «La fame!». Nicole Minetti: «Sì, sì da Napoli, certo!». Emilio Fede: «Pompini a 300 euro». Nicole Minetti: «Sì sì, bravo esatto»
e Barbara Faggioli progettano «una garanzia per il futuro»: farsi comprare appartamenti «da 10-12 mila euro al metro», «come fanno tutte le amanti», perché «senza Silvio è finita». Tre “olgettine” intanto si attrezzano per “arrotondare” con altri clienti: «Stasera vado al ristorante da Giannino, devo concludere». Mentre Barbara si lamenta delle concorrenti dei «giri di Roma», dove «fanno cene anche tre volte alla settimana con Valeria, Rafia, Cinzia...». E Iris protesta con Imma: «Alla fine quel che ti dà Papi non è così alto... Se vengo a Roma, mi deve sganciare più di due... Che palle ‘sto vecchio, guarda... Però Papi, qua, è la nostra fonte Emilio Fede: «Anche meno!». di lucro». Nicole Minetti: «Dovrebbero I SOLDI ALLA MINORENNE. In ringraziare dove passa». questo carnaio, tra il 14 febLE FOTO SUL CELLULARE braio e il primo maggio Emilio Fede: «Una di quelle 2010, quando aveva appena che circolavano, io l’altro ieri 17 anni, Karima ha passato, gli ho dato di tasca mia, senza come segnala il suo telefonifarlo risultare a lui, diecimila no, almeno otto notti ad Areuro! Va bene? Perché aveva core. Ora nega, ma con gli delle fotografie scattate col intimi ammetteva di aver telefonino, aveva bisogno di fatto sesso con Berlusconi. soldi... dico va beh te li do io!». A un amico carabiniere, che LE MUTANDINE STRETTE ora è testimone, spiegò fin Prefetto Carlo Ferrigno: «C’erano da allora di aver detto «già 28 donne più o meno, tra cui al secondo incontro» la sua Maria... le hanno fatto fare vera età al premier, che invela danza del ventre... Alla fine erano senza reggipetto, solo ce ora giura di averla sempre le mutandine quelle strette... creduta ventiquattrenne. ■ Pensa un po’ che fa questo signore». 35
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PREMIER NELLA BUFERA
INDOVINA CHI VIENE A LETTO
Noemi Letizia. A sinistra: Eleonora e Imma De Vivo. Sotto: Matteo Messina Denaro. Nell’altra pagina: Francesca Pascale
Il compagno della De Vivo sotto processo per camorra. I sospetti sul padre di Noemi. La Began e il narcotrafficante. La Montereale e il boss pugliese. Ecco le relazioni pericolose del Cavaliere. Tra droga e nuove inchieste
leonora De Vivo, famosa per essere insieme alla gemella Imma la “portafortuna” di Silvio Berlusconi, venerdì scorso si è svegliata presto, tirata giù dal letto dalle forze dell’ordine spedite dai pm di Milano a perquisire la sua abitazione. L’ex naufraga dell’“Isola dei Famosi” è coinvolta con la sorella e altre nove ragazze nel Rubygate, perché il suo nome appare come beneficiario di un appartamento nell’ormai celebre condominio di Milano 2, a via Olgettina 65, dove vivono altre favorite dell’harem del premier. La polizia, però, non ha bussato a quella porta, ma è andata dritta a Napoli. Non a Bagnoli, dove la show-girl è residente, ma a via Luca Giordano. Eleonora, al Vomero, ci vive infatti da anni. Insieme al compagno Massimo Grasso, imprenditore di successo ed ex consigliere comunale di Forza Italia, attualmente indagato per associazione a delinquere di stampo camorristico. I poliziotti sono stati gentili, hanno sequestrato carte e computer portatili, e sono andati via. Erano certi che Eleonora fosse lì, e che insieme a lei avrebbero trovato anche il convivente, dal momento che è agli arresti domicilari. Sapevano pure che la casa è di proprietà di una società (Le Mimose) sotto sequestro nell’ambito di un’inchiesta antimafia. La stessa mattina Grasso, coincidenza, aveva un’udienza nel maxiprocesso che lo vede coinvolto con familiari e soci in affari. Tutti finiti alla sbarra dopo un’inchiesta della Dda di Napoli che ha scoperto come vari clan della camorra - Casalesi in primis - attraverso le aziende guidate da Renato Grasso (fratello di Massimo) sia-
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no riusciti a mettere le mani sul business miliardario dei videopoker e delle new slot in tutta la Campania. La “malattia”, come ha definito la satrapia di Berlusconi l’ex moglie Veronica Lario, ha molte controindicazioni. Le notti spericolate hanno procurato al Cavaliere un avviso di garanzia per sfruttamento della prostituzione minorile, il ludibrio e lo sgomento da parte della Chiesa e dei giornali internazionali, la dissoluzione della dignità della carica istituzionale ricoperta. Ma non è tutto. Nel via vai di ragazze che da anni accompagna le serate del presidente del Consiglio possono infiltrarsi anche signorine con frequentazioni poco raccomandabili. Persone che, venute in possesso di informazioni delicate sulla vita privata di una delle massime istituzioni del Paese, potrebbero poi esercitare pressioni, chiedere piaceri, ricattare. Il caso della gemellina De Vivo è solo un esempio dei rischi che corre Berlusconi: non è la prima volta che l’ombra della criminalità organizzata (non solo camorra, ma anche ‘ndrangheta, Cosa nostra e mafia pugliese) ha sfiorato i protagonisti dei festini presidenziali. Ilda Boccassini è, in primis, titolare - oltre all’inchiesta sulla prostituzione minorile a carico di Berlusconi, Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede - di un altro fascicolo scottante. Un filone della grande inchiesta sulle cosche della ’ndrangheta in Lombardia che lo scorso luglio portò in carcere centinaia di persone. A “L’espresso” risulta che in alcune informative sugli affari delle cosche calabresi venga citato
più volte il nome di Lele Mora, forse anello di congiunzione tra l’inchiesta sulle serate allegre di Berlusconi e quella sulla ’ndrangheta al Nord. Le indagini sono ancora in corso, gli accertamenti per definire la reale natura del rapporto tra l’agente delle star (condannato in passato per spaccio di droga, attualmente sotto inchiesta anche per bancarotta) e alcuni boss indagati non sono ancora conclusi. Ma nell’entourage di Palazzo Chigi la preoccupazione è palpabile. E invita a rileggere la dichiarazione che Berlusconi fece a novembre, appena scoppiato lo scandalo Ruby, per rintuzzare gli attacchi politici e della stampa. «Nessuno può negare», spiegò, «che alcune delle cose che accadono siano una vendetta della malavita». Anche a Napoli, dove tutto iniziò con la partecipazione del Cavaliere alla festa dei 18 anni di Noemi Letizia, non è facile destreggiarsi tra le frequentazioni. Il parterre femminile partenopeo al premier è sempre piaciuto. A parte le gemelline De Vivo, buone amiche di Nicola Cosentino (il coordinatore regionale del Pdl indaga-
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Foto: Napolipress - Giacominofoto / Fotogramma, C. Mangiarotti - Olycom (3)
DI EMILIANO FITTIPALDI
to per 416 bis), sono tante le Papi Girls finite nel suo giro: Francesca Pascale, presentata nei giorni scorsi come presunta fidanzata ufficiale (il suo referente è il presidente Luigi Cesaro, indagato anche lui dalla Dda di Napoli); l’attrice Elena Russo; il neo assessore Giovanna Del Giudice; la deputata Nunzia De Girolamo; la cofondatrice del comitato “Silvio ci manchi”, Eleonora Romano. Ma voci di presunti rapporti con la criminalità hanno coinvolto solo la famiglia Letizia: Elio, padre di Noemi, fu indagato per una storia di mazzette intascate per garantire licenze a vari commercianti napoletani. Al
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tempo l’uomo definito da Berlusconi «l’ex autista di Craxi» lavorava nella segreteria dell’assessore Arcangelo Martino, assurto di recente alle cronache perché protagonista della cosiddetta P3. Ad accusare Letizia nel 1993 fu un collega, David Lezzi, che davanti ai pm definì Elio «una persona dalle frequentazioni oscure: si vantava, a scopo di intimidazione di impiegati e componenti della commissione, di essere protetto dai clan camorristici di Secondigliano». Le carte di quel processo si persero misterio-
samente: quando furono ritrovate, pochi mesi dopo lo scandalo provocato dall’amicizia tra Noemi e Berlusconi, il procedimento fu archiviato. Sembra fantascienza, ma sono altre le ragazze entrate nelle residenze del premier che hanno (o hanno avuto) rapporti con personaggi della malavita. Nel 2008, Barbara Montereale, la ragazza immagine portata a Palazzo Grazioli da Giampaolo Tarantini insieme a Patrizia D’Addario, fotografò gli interni e i bagni della residenza del premier, e raccontò ai giudici di Bari di aver avuto vari gioielli e diecimila euro in contanti: il premier, dichiarò Barbara, si era intenerito quando gli aveva confessato di affrontare un periodo di difficoltà economiche. Chissà se il Cavaliere sarebbe stato altrettanto generoso sapendo che la ragazza, allora 23enne, era legata a Radames Parisi, rampollo della potente dinastia della mafia barese. Arrestato per l’omidicio di un pregiudicato cieco, condannato in primo grado, fu poi assolto in appello nel maggio 2008, dopo due anni di carcere preventivo. Quando la macchina della Montereale prese fuoco per strada (pochi giorni dopo la pubblicazione dei verbali scandalo), gli inquirenti che lavoravano sull’incendio doloso si soffermarono anche sugli ambienti criminali del rione Japigia, a Bari, ma non scoprirono nulla. Lo scorso ottobre Radames è finito nuovamente in galera. Stavolta per detenzione di arma da fuoco. Non solo: tre settimane dopo è stato raggiunto, insieme al padre Vito, da nuove, pesanti accuse, tra cui l’associazione per delinquere finalizzata all’usura, estorsione e riciclaggio. Pure un’altra preferita di Silvio, la deputata Elvira Savino, è finita in una brutta vicenda legata ai
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PRIMO PIANO Silvio mio, la più bella la porto io Da Tarantini a Fede e Mora: ecco i pierre che trovano le ragazze al premier
traffici dei Parisi: oggi è indagata per riciclaggio, insieme a decine di persone, tra cui il capofamiglia Savinuccio. Il lato oscuro delle notti di Silvio ha anche protagoniste straniere. Su tutte, la grande sodale ed ex modella tedesca Sabina Began, chiamata l’Ape Regina, la donna che si è tatuata sulla caviglia la frase “L’incontro che ha cambiato la vita: S.B.” e che ha organizzato decine di feste spensierate a Villa Certosa e nelle residenze romane. Oggi fa l’attrice, ma nel 2003 finì nelle pagine di cronaca nera dei quotidiani a causa della sua frequentazione con Bashkim Neziri, un trafficante di droga vicino all’Uck, il movimento indipendentista kosovaro, che riuscì a sfuggire all’arresto scappando dalla sua stanza all’ospedale Gemelli dove era piantonato. La Began, nonostante il passo falso, riesce a far carriera. Non sul grande schermo, ma folgorando l’uomo più potente d’Italia. Su “Il Tempo” la giornalista Gabriella Sassone racconta un aneddoto che descrive bene il rapporto tra i due: duran-
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te una festa a palazzo Grazioli, all’indomani delle Politiche del 2008, l’attrice è seduta sulle ginocchia, mentre il nuovo premier intona “Malafemmena”. Storie vecchie e dimenticate. Molto più attuali sono quelle raccontate da Perla Genovesi e Nadia Macrì, due amiche ascoltate per mesi dai magistrati di Palermo, incappati in un traffico di cocaina gestito, sembra, da uomini vicini al boss dei boss Matteo Messina Denaro. La Genovesi, ar-
restata con l’accusa di essere un corriere delle cosche, si è pentita di recente. È una donna che conosce molti politici di centrodestra, essendo stata l’ex assistente parlamentare di un senatore del Pdl. Gli inquirenti, già nel 2005, registrano sue telefonate verso Villa San Martino ad Arcore e ipotizzano rapporti tra lei e Sandro Bondi. Perla comincia a parlare pochi mesi fa: descrive il sistema del narcotraffico, racconta di orge e festini a base di coca nelle ville di politici di centrodestra dell’isola. Tira in ballo un’escort, la Macrì, che viene subito interrogata: dice di essere stata ai festini hard del premier grazie a Mora e Fede, di aver fatto sesso a pagamento con Silvio, racconta di aver visto minorenni anche a Villa Certosa, e di «erba da fumare che veniva trasportata sul jet privato del presidente». Le storie della pentita e della prostituta andranno ovviamente verificate. Ma intanto gli atti sui festini e sul traffico di droga sono stati trasmessi alla procura di Milano. Qualcuno pensa che ci sarà poco da divertirsi. ■
27 gennaio 2011 L’espresso
Foto: Olycom, LaPresse, Newsfotosud
Sabina Began. Sotto: Nadia Macrì. In basso: l’allora sottosegretario Nicola Cosentino con le De Vivo durante un vertice del premier a Napoli
Ci sono Emilio Fede e Lele Mora. E c’è Nicole Minetti, l’ex igienista dentale lanciata in politica dal Pdl. Eppure quelli coinvolti nell’inchiesta milanese sono solo gli ultimi nomi di una lunga lista di ruffiani di corte del premier. Chiamateli “lenoni” o semplici organizzatori, sono gli uomini e le donne che hanno riempito le feste e le cene riservate a nelle dimore del Cavaliere. Portando le ragazze a Villa Certosa, palazzo Grazioli o Arcore, pagando a volte per il disturbo, per le prestazioni e per garantirsi il loro silenzio. New entry e vecchie conoscenze. Del direttore del Tg4 si parlò già ai tempi del caso Noemi. All’epoca era stato il fotografo Gaetano Livigni a dargli un ruolo: «È venuta da me dicendo che le foto le servivano per un provino da Meteorina di Fede e mi chiese espressamente una foto che le mettesse in evidenza il sedere». Ma che siano compagni di una vita o amici improvvisati, tutti sanno ormai che per farsi amico il premier la parola magica sono le belle ragazze. Lo sa bene Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore barese che conquistò Berlusconi in una notte di mezza estate organizzandogli una serata degna del Sultano. Lo scenario allora era una villa accanto alla Certosa. In cinque mesi, organizza 18 festini tra Roma, Milano e la Sardegna, presentando al premier circa una trentina di ragazze: da Patrizia D’Addario a Linda Santaguida, da Camilla Cordeiro Charao alla ex Gf Carolina Marconi, fino alla modella Barbara Montereale. E sarà poi quest’ultima a indicare il ruolo di un’altra frequentatrice della residenza di Porto Rotondo, l’eurodeputata del Pdl, Licia Ronzulli: «È lei che organizza la logistica dei viaggi delle ragazze. Che decide chi arriva e chi parte. E smista nelle varie stanze». A presentare Tarantini al premier era stata Sabina Began, soprannominata “Ape regina”. Pure lei procacciatrice di divertimento per il Cavaliere, è quella che invitò decine di ragazze in Sardegna per il Capodanno 2008. Se si vola in Sudamerica, però, ecco che appare Valter Lavitola, direttore dell’“Avanti”, fedelissimo del premier, amante della caccia e del business. È lui che si preoccupa di organizzare per Berlusconi un festino in albergo con tanto di ballerine di lap dance durante la visita ufficiale in Brasile. Una sorpresa gradita, se come pare da allora i due avrebbero trascorso altre serate in compagnia, soprattutto a Tor Crescenza, il castello alle porte di Roma affittato dal presidente del Consiglio la scorsa estate. Luogo dove il premier ha potuto apprezzare le qualità organizzative di un’altra pierre: la deputata Maria Rosaria Rossi. Quella che ha chiamato a raccolta le colleghe in paio di cene. E che, stando alle intercettazioni, pare si sia fermata a cena col premier anche in altre occasioni. Claudio Pappaianni
PRIMO PIANO
PREMIER NELLA BUFERA Il ministro della Giustizia Angelino Alfano. A destra: Gianfranco Fini. Nell’altra pagina: Giorgio Napolitano e, sotto, Umberto Bossi
stanco, incazzato per ’sta storia di Bossi e Casini», sospirava l’amico Emilio Fede con Lele Mora la sera del 22 agosto, ignaro di essere intercettato. Era estate, il Senatur aveva posto il veto all’ingresso al governo dei «democristi» di Pier Ferdinando, la carta che il Cavaliere stava tenendo coperta per isolare i ribelli di Gianfranco Fini. Il no della Lega aveva riportato tutto in alto mare, già allora. E figuriamoci quanto sarà stanco Silvio Berlusconi, ora che l’inchiesta della Procura di Milano arriva nel momento clou della legislatura, a pochi giorni dal voto parlamentare sul federalismo che il Carroccio considera essenziale per evitare le elezioni e nel bel mezzo delle trattative per allargare la maggioranza. Effetto Ruby. Il terremoto politico-giudiziario che fa tremare il Cavaliere nel momento della scelta: tentare il tutto per tutto con il ricorso alle urne per conquistare
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Il fattore Ruby torna a condizionare le mosse del cavaliere e di chi vuole sbarazzarsene. E ripropone il dilemma: elezioni o nuovo governo? Indaghiamo DI MARCO DAMILANO
nel nuovo Parlamento i voti necessari a essere eletto presidente della Repubblica nel 2013, nonostante i processi e l’immagine pubblica devastata? Oppure combattere, resistere, sopravvivere all’ennesima battaglia, vincere lo scontro finale con la Procura e con gli avversari politici? E chiamare all’appello tutti gli alleati che possono tornare utili alla causa: quelli alla luce del sole, come i leghisti, sempre più freddi, e quelli in penombra. Per esempio, il cardinale Camillo Ruini, il leader indiscusso della Chiesa italiana. Berlusconi lo ha con-
tattato nel pomeriggio di martedì 18 gennaio, dopo che un editoriale critico del quotidiano dei vescovi “Avvenire” lo aveva allarmato sulle intenzioni della Conferenza Episcopale, in vista dell’importante discorso del presidente della Cei Angelo Bagnasco del 24 gennaio. E qualche morbida rassicurazione, come sempre, è arrivata. Almeno per ora. Ma il fattore Ruby influenza anche le mosse di chi vorrebbe sbarazzarsi del Cavaliere. Si studiano le carte, si cerca di capire dove porterà l’inchiesta: al primo piano di
L’espresso
Foto: M. Di Vita, U. Battaglia - Luzphoto, C. Bertozzi - Fotogramma, M. Scrobogna - LaPresse
O BUNGA BUNGA O VOTO Montecitorio, nell’ufficio del presidente della Camera, dove quotidianamente Fini consulta i compagni del Terzo polo Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli, lo scandalo della B2 (Bunga Bunga) spinge verso la linea dura, quella interpretata dall’ex leader di An nell’ultimo anno: le elezioni sono ormai inevitabili, la subordinata di un passo indietro di Berlusconi con un governo Alfano o Letta non esiste, bisogna attrezzarsi alla guerra, voto per voto. Il fantasma di Ruby, la ragazza marocchina, la minorenne fantasiosamente definita nipote di Mubarak da Berlusconi nell’ormai famosa notte del 27 maggio nella questura di Milano, da mesi condiziona in modo sotterraneo la politica italiana. Spiega perché il premier nelle ultime settimane abbia ripreso ad attaccare violentemente la magistratura. Appare, scompare, riappare, per il Cavaliere è ben più di un cattivo pensiero: è un’ossessione, l’in-
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cubo del grande imprevisto che può sconvolgere la sua ascesa al Quirinale. Ben più di Noemi Letizia e di Patrizia D’Addario, perché il nuovo sexgate prende forma nei mesi più difficili per il premier: la rottura con Fini, il calo dei consensi per il Pdl, la crisi di governo mai formalmente aperta, eppure durata dal 29 luglio, il giorno dell’espulsione del presidente della Camera dal partito berlusconiano, al 14 dicembre, il voto di Montecitorio che per tre voti salva il premier. I due filoni, lo scontro politico nel centrodestra e i movimentati ricevimenti di casa Berlusconi, dovrebbero essere destinati a non incrociarsi mai. E invece si intrecciano nei passaggi decisivi. Nella documentazione inviata dalla procura di Milano al-
la Camera spicca, per esempio, la ricostruzione della cena ad Arcore di domenica 5 settembre. Non è una giornata qualsiasi per Berlusconi: quando alle 22,30 comincia la serata di Villa San Martino, non si sono ancora spente le luci del palco di Mirabello, da cui Fini ha annunciato la nascita del suo partito Futuro e Libertà e ha lanciato la sfida al premier. Un intervento atteso da settimane, che «Berlusconi ha seguito alla tv, in compagnia del ministro della Giustizia Angelino Alfano», riportano il giorno dopo tutti i quotidiani. «Ad Arcore il centralino è rimasto rovente fino a tarda sera, con il premier che parla con i ministri e punta il dito contro il traditore», aggiunge il ben informato “Giornale”. Da quanto ipotizzano i magistrati, però, non è solo il centralino a essere rovente in quelle ore: dalla villa esce Alfano ed entrano Lisa, Aris, Iris, Maria Ester con la consigliera regionale Nicole Minetti. E l’andazzo per i pm è inequivocabile: «Nel corso della serata ad alcune persone è stato regalato denaro». Nelle settimane successive l’inchiesta prosegue, nella più assoluta riservatezza. E a Roma il centrodestra prova a ritrovare una parvenza di unità, con il primo voto di fiducia delle Camere di fine settembre, quando Futuro e Libertà concede al governo una tregua armata, mentre tra Fini e la stampa berlusconiana infuria la polemica sulla casa di Montecarlo. Fino al 26 ottobre, quando “Il Fatto quotidiano” per la prima volta nomina la Ruby dello scandalo: «Io e Berlusconi. Una ragazza accusa». Il titolo è asettico, ma nei palazzi del potere, a questo punto, sono in molti a sapere. E l’indagine, resa pubblica, cambia il corso degli eventi. È Fini a impugnare lo scandalo, con una determinazione che lascia stupiti numerosi osservatori. In quei giorni il presidente della Camera è ancora impegnato in un estenuante gioco del cerino con l’ex amico Silvio: nessuno dei duellanti vuole assumersi la responsabilità dello strappo definitivo e delle conseguenti elezioni anticipate. Il 31 ottobre, però, parlando in un cinema romano, Fini cambia marcia e per la prima volta chiede le dimissioni del premier: «Se il caso
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PRIMO PIANO Berlusconi è allarmato dagli attacchi di Avvenire e chiama il cardinal Ruini. Tentando l’ultima mediazione
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Sotto: Marc Lazar
Ruby è vero, Berlusconi deve fare un passo indietro», attacca. «Se è vero che è stato detto che quella signorina era parente di un capo di Stato, dimostrerebbe una certa disinvoltura e malcostume nell’uso privato di incarico pubblico». Due giorni dopo il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati smentisce che Berlusconi sia indagato, ma Fini non molla. E alla convention di Bastia Umbra del 7 novembre annuncia l’uscita di Fli dal governo. L’affondo più pesante e l’applau-
so più lungo arrivano quando l’ex leader di An ritorna ancora una volta sul Rubygate: «Berlinguer, Moro, La Malfa e Almirante non avrebbero mai cercato giustificazioni ridicole per ciò che non ha giustificazione alcuna». Parole che dimostrano come già all’inizio di novembre il presidente della Camera fosse sicuro che l’esito delle indagini avrebbe trascinato Berlusconi sull’orlo del burrone. E che non bisognava indugiare oltre a proporsi come il traghettatore dell’Italia di centrodestra, fuori dalla melma berlusconiana. Una sicurezza che non smette di insospettire gli uomini del Pdl. Che si chiedono: Fini sapeva? Era stato informato dell’in-
chiesta in anticipo? O, peggio ancora, ne è stato il regista occulto? «Non ho certezze», spiega un sottosegretario ex An che ha studiato in profondità la questione. «Però metto insieme gli elementi. C’è chi negli apparati dello Stato fiuta la fine del berlusconismo e si mette in vetrina per acquisire meriti presso nuovi referenti politici. È dal caso Montesi in poi che in Italia quando c’è uno scandalo politico-sessuale gratta gratta ci trovi lo zampino di una divisa». La “pistola fumante”, però, non c’è. Se non l’indizio di un’indagine affidata per larga parte alla Polizia giudiziaria. Con l’episodio più scabroso, la telefonata di Berlusconi con l’invenzione della nipotina di Mubarak, ambientato nei corridoi della questura di via Fatebenefratelli. E lo stretto rapporto che lega il presidente della Camera ai sindacati di polizia più rappresentativi e più radicati nelle questure: per esempio il Sap, che con il suo segretario Nicola Tanzi si è fatto vedere addirittura a Bastia Umbra, in prima fila: «Siamo qui perché il presidente della Camera ha sempre dimostrato di essere vicino alle esigenze delle forze dell’ordine». Congetture senza fondamento? Oppure ritorno alle stagioni più buie della Pri-
Disastroso per l’immagine dell’Italia La realpolitik delle cancellerie non può permettersi di isolare Roma. Ma per l’opinione pubblica internazionale lo scandalo fa apparire il Paese inaffidabile
Foto: D. Scudieri - Imagoeconomica, C. Minichiello - Imagoeconomica
colloquio con Marc Lazar di Gigi Riva Descente aux enfers. Discesa agli inferi. Usa una metafora estrema Marc Lazar, 58 anni, francese, docente di storia e sociologia politica a Parigi, presidente della “School of government” della Luiss a Roma. Uno che il nostro Paese lo conosce molto bene e che è preoccupato, appunto, della «tappa supplementare di una forma di discesa agli inferi» dell’Italia nel suo complesso provocata dai comportamenti sessuali di Silvio Berlusconi. Anche se vuole subito aggiungere una nota di ottimismo: «Però tutte le volte che vi siete trovati sull’orlo del baratro, avete saputo risalire la china». Quale prezzo dovremo pagare, sul piano internazionale, per questo nuovo scandalo che trova spazio sui media di tutto il mondo? «L’immagine del premier che già era controversa, si deteriora ancora di più ovviamente e drammaticamente. Senza dimenticare tuttavia che ha alleati forti come la Russia di Putin o la Libia di Gheddafi che non ne terranno conto. Ma ci sono due sfumature importanti da fare subito». Facciamole. «Esiste la dimensione della realpolitik nelle relazioni internazionali. l’Italia è l’Italia, un Paese troppo importante per essere isolato quali che siano i comportamenti di Berlusconi. E poi all’estero si valuta il peso specifico di altri vostri rappresentanti indubbiamente di livello, diplomatici, funzionari della Commissione europea, imprenditori, uomini di cultura. La seconda sfumatura riguarda la valutazione
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politica. Molti leader nelle conversazioni private possono anche confessare di essere scossi dalle rivelazioni su Berlusconi, ma, soprattutto quelli di destra, non mancano di rimarcare che è stato eletto dal popolo per ben tre volte». Sembra un’indulgenza figlia dell’abitudine a considerare Berlusconi quasi come una macchietta. In nessun altro Paese sarebbe tollerato che fosse ancora al potere. «Sì ha ragione. In altri Paesi, accuse simili a quelle contro Berlusconi provocherebbero una crisi politica acuta. Però non è indulgenza. È, ribadisco, realpolitik. I decisori a livello politico così la pensano e fanno una distinzione tra Berlusconi e l’Italia, nazione che ha storie e risorse. Altra cosa è l’effetto sulle opinioni pubbliche». A quel livello cosa succede? «A quel livello l’effetto è disastroso, non trovo altra parola. Soprattutto in Europa aumentano i cliché sull’Italia Paese poco affidabile, della commedia dell’arte, dove tutto finisce in burletta». Berlusconi sembra aver imposto il modello della disinibizione nella
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PRIMO PIANO Dopo il varo del federalismo, la Lega si prepara a staccare la spina. E a mettere in campo Maroni
videre Berlusconi da Casini, spinge il leader dell’Udc a chiedere le dimissioni del governo e le elezioni, imbarazza i vescovi e costringe un moderato come il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio a reclamare «un’uscita rapida da questo irrespirabile polverone». L’exit strategy migliore sarebbe un governo di transizione affidato a Gianni Letta o ad Angelino Alfano, votato anche dal Terzo polo. Ma le possibilità che l’operazione riesca sono pari a zero: nel Pdl la paura è tanta, nessuno si muove. «Si fa presto a dire: prendete le distanze da Berlusconi.
vita dei politici che un tempo si pretendeva morigerata. «Ragionamento giusto. Che ci porta a riflettere sul ruolo del leader nelle democrazia di oggi. Il leader per sedurre, per vincere strumentalizza la sua vita privata. Berlusconi lo ha fatto fin dal 1994, quando ha messo in scena la sua “Storia italiana” usando la famiglia, i figli, la moglie, la mamma. Questa decisione di spostare il confine tra dimensione pubblica e spazio privato è una tendenza generale, ma può ritorcersi contro chi la sfrutta. È successo a Sarkozy dopo il divorzio con Cecilia, che ha pagato in termini di consenso. Succede con Berlusconi». Salvate comunque le distanze. «Certo. Con Berlusconi siamo a un punto eccessivo, caricaturale. I luoghi del potere sono allo stesso tempo i luoghi delle sue attività private e viceversa. Arcore, le ville in Sardegna, palazzo Grazioli. Non c’è più separazione nemmeno simbolica. E c’è un delirio di onnipotenza. Io sono il capo e la mia autorità non dipende più solo dalla funzione che occupo, ma dalla mia stessa persona. I greci la chiamavano ubris, tracotanza. Non è un caso che la ubris si concentri sulla sessualità. La potenza sessuale fa parte del potere, ne è il prolungamento. Come succedeva nelle società tradizionali». Una sorta di ritorno feudale allo jus primae noctis. «Se le informazioni che trapelano saranno verificate, assolutamente sì. Sarebbe un ritorno al Sultano. Una perversione dell’occupazione istituzionale. Il sociologo Norbert Elias ci ha spiegato che il fenomeno moderno della civilizzazione comincia da Luigi XIV e dalla sua Corte quando si inizia a credere che bisogna controllare le proprie pulsioni. Un concetto che progressivamente si fa largo in Europa. Si vuole magari picchiare il proprio direttore, ma non lo si fa. Con Berlusconi salta il livello di autocontrollo, non si esercita violenza fisica per fortuna, ma il capo asseconda tutte le
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Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc
Ma qui rischiamo tutti il licenziamento», sbotta un deputato di rango. «Il Pdl è una piramide rovesciata: il vertice Berlusconi regge l’edificio, senza di lui addio, crolla tutto», spiega il pasdaran Giorgio Stracquadanio. È lo spettacolo del partito di maggioranza appeso ai voleri del suo leader, come le ragazze dell’Olgettina aspettavano l’invito ad Arcore. E così, nel clima surreale di sospensione che si respira nel Palazzo, sono gli altri, i compagni di strada della Lega, a dettare l’agenda. La settimana prossima si vota per il federalismo: o va o è la fine, la Lega spegne la luce. E si prepara a mettere in pista il suo nome più istituzionale, il ministro dell’Interno Roberto Maroni. L’uomo che doveva vigilare sulle questure, già. ■
sue pulsioni. Le donne servono a soddisfare i desideri e si è capaci di chiamare la questura per togliere dai guai una favorita. Salvo poi difendersi sostenendo che è tutto fango». Sempre per continuare con la metafora reale, ci sono poi i cortigiani pronti a difenderlo anche contro l’evidenza, sostenendo alternativamente o che sono fatti suoi o che è il solito attacco della magistratura. «I cortigiani non esistono solo in Italia, ma dappertutto. In Francia ancora oggi, ad esempio, difendono la memoria di Mitterrand e aggrediscono se solo qualcuno osa sollevare qualche ombra. Lo stesso succede con Sarkozy. Non mi sorprende. Quanto agli argomenti che spendono, il primo non è utilizzabile perché è stato Berlusconi stesso a servirsi del privato come argomento pubblico. Il secondo, la congiura dei giudici, vedremo dalle carte se reggerà». Come si comporterà Berlusconi adesso? «Non si arrenderà, perché è un combattente e perché non ha altra via di uscita essendo con le spalle al muro. I cortigiani saranno con lui fino in fondo. E non si dimetterà perché ha almeno tre carte politche in mano». Quali? «Non c’è alternativa alla sua figura nel centrodestra; la Lega ha interesse ad averlo così debole per far passare tutto ciò che vuole e ottenere di più; il Pd è più interessato a risolvere i suoi guai interni che a dare una soluzione politica all’Italia». Siamo messi molto male allora. «Tutta questa vicenda fa male alla politica, al di là di Berlusconi. Dovremo aspettare i sondaggi ma credo che la gente possa essere critica a causa delle rivelazioni sul Capo del governo e perché i suoi rappresentanti si occupano di queste cose invece di dare importanza ai problemi reali: crisi economica, disoccupazione, criminalità».
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ma Repubblica, con le manine e le manone che facevano spuntare e sparire i dossier a beneficio dei rispettivi politici di riferimento? Di certo a credere al complotto è Berlusconi. Il premier ha ripetuto a Giorgio Napolitano di non voler deporre davanti a Ilda Boccassini («La rossa lo spaventa», ammette una deputata amica di Cesare Previti, ancora se la sognano) e sfida gli avversari a una nuova mozione di sfiducia: una sfiducia-bis, destinata nei piani del Cavaliere a trasformarsi in un nuovo boomerang per chi la propone. Ma sottovaluta l’impatto del fattore Ruby sui poteri che sono preoccupati per la stabilità del Paese: il Quirinale, ma anche la gerarchia ecclesiastica. In Vaticano e nella Cei da tempo progettavano una fuoriuscita soft dal berlusconismo, in due tappe: prima il ritorno di Casini nel centrodestra, poi un passaggio di mano, con la leadership del nuovo centrodestra a trazione democristiana affidata a Pier e Berlusconi alla presidenza della Repubblica. Ma l’inchiesta di Milano torna a di-
ESCLUSIVO L’ULTIMO SCANDALO Silvio Berlusconi. A sinistra: Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, e il senatore Marcello Dell’Utri
Che regalo per
DELL’UTRI Due suoi conti nella banca di Verdini. Con un rosso record, sanato da un bonifico di Berlusconi finora segreto. Sul quale l’antiriciclaggio vuol vedere chiaro
er i suoi sodali è una mucca. Da mungere. Dalla quale esce un fiume di denaro che sembra non avere fine. Chi trova un amico trova un tesoro. E se quell’amico si chiama Silvio Berlusconi, allora si può contare su un sostegno con almeno sei zeri. Ne sa qualcosa Lele Mora, beneficiato da congrue elargizioni per tamponare le sue società pie-
ne di starlette molto attive e di bilanci paurosamente passivi. Ma la vera sorpresa è arrivata quando gli ispettori della Banca d’Italia hanno cominciato a scartabellare nei conti di un istituto tanto piccolo quanto strategico nelle ultime vicende nazionali: il Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio, meglio noto come Verdini Bank. Nei forzieri toscani dominati per decenni dal coordinatore Pdl sono spuntati i conti intestati al fondatore del partito berlusconiano, Marcello Dell’Utri. Due depositi, con un bel passivo milionario. Ma niente I magistrati delle procure di Firenze e Roma stanno accertando paura: a tappare la false sono stati commessi «illeciti nella banca di Verdini». Le la ha pensato il Cavainchieste sono state avviate dopo la relazione della Banca d’Italia liere, elargendo un presul Credito cooperativo fiorentino che ha portato dal 27 luglio stito da un milione e scorso all’amministrazione straordinaria dell’istituto di cui mezzo di euro. Denis, è stato presidente Denis Verdini, il coordinatore nazionale Marcello e Silvio: tre del Pdl, indagato per mendacio bancario. compagni di merende e Mentre i pm toscani stanno ricostruendo i rapporti tra il Credito cooperativo e l’impresa Btp di Riccardo Fusi, in un’indagine di politica, che adesso collegata agli affari del G8, i magistrati della capitale stanno rischiano un nuovo utilizzando la relazione di Bankitalia per ricostruire la rete di procedimento penale. rapporti della P3 e altri indagati nell’inchiesta sull’associazione La legge antiriciclagsegreta che coinvolge anche Dell’Utri, Verdini e Flavio Carboni. gio infatti è chiara: Fra i rilievi che hanno fatto gli ispettori di Palazzo Koch vi è la operazioni del genere, mancata segnalazione di operazioni sospette; gli organi di vigilanza anche tra importanti interni in cui figurano anche persone legate a Verdini; i contratti parlamentari, vanno
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Per gli amici c’è sempre Credito
di finanziamento basati su preliminari di compravendita fittizi; la questione dei rapporti fra Verdini e Fusi, che per i magistrati sono soci occulti.
segnalate mentre nella Verdini Bank tutto è stato tenuto segreto. Fino a quando tra inchieste e scoperti, a luglio Mario Draghi ha commissariato il Credito Fiorentino ponendo fine a un ventennio di gestione dai metodi baronali. Ed è ecco che dalle casse ben poco floride è emerso il dono di Berlusconi, il salvagente lanciato al suo braccio destro sin dai tempi di Milano Due, dell’avventura televisiva e della discesa in campo politica. Un bonifico rimasto nell’ombra e così il 30 settembre i responsabili dell’amministrazione straordinaria hanno fatto partire la segnalazione sulla violazione delle norme antiriciclaggio, attivando così gli 007 di Bankitalia e gli investigatori dei carabinieri del Ros coordinati dalle procure di Firenze e Roma. Nell’istituto di Campi Bisenzio Dell’Utri è titolare di due conti correnti: il primo con un fido da due milioni e 800 mila euro, e
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Foto: P. Tre - A3, A. Dadi - Agf, M. Marianella - Olycom
DI LIRIO ABBATE
il secondo per l’accensione di un mutuo da un paio di milioni di euro. Somma che è servita per ristrutturare una casa in provincia di Como. Entrambi sono in rosso. E su questi scrigni nei mesi scorsi si è accesa l’attenzione degli ispettori della Banca d’Italia che hanno passato al setaccio l’attività dell’istituto in cui Verdini è stato una sorta di padre-padrone. Ed è da questi accertamenti che è saltato fuori il bonifico che potrebbe portare all’ipotesi di riciclaggio. «Descrizione dell’operazione: Marcello Dell’Utri riceve euro 1,5 milioni da Berlusconi Silvio, tramite intermediario Monte dei Paschi di Siena. Si precisa
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che la posizione del cliente al momento della disposizione presentava un saldo negativo pari a euro tre milioni 150.134 (affidamento 2,8 milioni). Il bonifico ricevuto serviva a riassorbire l’esposizione». L’operazione avviata da Berlusconi in favore di Dell’Utri risale al 22 maggio 2008. Un mese di grande euforia ad Arcore e a Palazzo Grazioli, con il ritorno del centrodestra al potere dopo la parentesi prodiana e la corsa per assegnare poltrone da ministro e sottosegretario che compensassero la fedeltà politica e il contributo alla vittoria elettorale. Ma il senatore, alle prese con il processo d’appello per associazione mafiosa che gli ha ridotto la condanna a nove anni, non ha certo potuto partecipare al trionfo di Palazzo Chigi. In quegli stessi giorni, però, Dell’Utri ci teneva a trasmettere un messaggio chiaro al popolo di mafia: ha definito “eroe” Vittorio Mangano, il boss palermitano che negli anni Settanta è stato inviato dai vertici di Cosa nostra nella villa San Martino di Arcore, a protezione del futuro presiden-
te del Consiglio. Un’infelice affermazione sostenuta anche da Berlusconi: «Ha detto bene Dell’Utri». Come poteva rinnegare Mangano, lo stalliere reclutato proprio da Dell’Utri trentacinque anni fa, prima ancora che l’imprenditore milanese diventasse il Cavaliere? In fondo, tutta la vicenda del Credito Fiorentino ruota intorno ad antiche confraternite che non disdegnano di stringere la mano ai padrini. È il verminaio scoperchiato con le intercettazioni della cosiddetta P3: gli affari di Verdini e Dell’Utri con Flavio Carboni, il faccendiere al centro di tre decenni di intrighi. I loro piani per fermare in Cassazione il mandato di cattura contro Nicola Cosentino, accusato di rapporti fin troppo stretti con la camorra casalese. E in mezzo l’istituto di Campi Bisenzio usato come bancomat per gli amici degli amici. Anche dallo stesso Verdini. Che otteneva prestiti per le sue aziende, per quelle di soci e familiari, con una serie di irregolarità tali da far scattare l’amministrazione controllata. E così i nuovi gestori scelti da via Nazionale hanno fatto un’altra scoperta singolare: un conto intestato a Verdini in rosso di quasi cinque milioni. Insomma l’unico a pagare, attingendo dal suo smisurato patrimonio personale, è il Cavaliere con bonifici che nessuno segnalava. Ci sono voluti più di due anni per denunciare queste anomalie. Transazioni su cui ora i pm di Roma e Firenze, quelli che indagano su Dell’Utri e Verdini, vogliono fare piena luce. Per quanto esistesse una elaborazione trimestrale in materia antiriciclaggio, al Credito cooperativo fiorentino le procedure corrette sono state di fatto avviate «solo agli inizi del 2010». «Soltanto nel corso degli accertamenti ispettivi» e in seguito all’avvio di indagini giudiziarie, la Banca «ha provveduto a segnalare» alcune operazioni sospette. Lì, si è scoperto, c’erano persino fondi coinvolti in un’istruttoria su un misterioso bancarottiere russo in fuga per il mondo. E quei bonifici tra la coppia che ha fatto nascere Fininvest e Forza Italia. Chissà se quel prestito verrà mai restituito. Recita il Vangelo: «Date a Cesare quel che è di Cesare». E nelle intercettazioni della P3 quando si parla di Cesare si fa riferimento a Berlusconi, ricco e munifico come un imperatore. ■
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ATTUALITÀ
ITALIA DIMENTICATA
L’ABOMINEVOLE SPRECO DELLE NEVI IMPIANTI ABBANDONATI, ALBERGHI IN ROVINA, SKILIFT FANTASMA. DAL PIEMONTE ALLA CARNIA LE ALPI SONO COSTELLATE DI RELITTI DEL TURISMO. CHE HANNO DILAPIDATO FIUMI DI DENARO PUBBLICO DI PAOLO TESSADRI FOTO DI GIUSEPPE MOCCIA
In senso orario: la seggiovia a Tairezze-Fedo (Bl); lo skilift di Pejo (Tn); la vecchia cabinovia di Marilleva (Tn); la sala comando di Paularo (Ud)
ralicci che spuntano come scheletri dalla nebbia delle valli, alberghi abbandonati come colossi di ghiaccio, seggiovie fantasma sospese nel nulla. Eccolo, l’abominevole spreco delle nevi: un monumento alla memoria di Olimpiadi affrettate, sovvenzioni sperperate e investimenti gettati via in discesa libera. Tutto l’arco alpino ne è pieno: un cimitero di occasioni buttate o di opere sacrificate in nome di un turismo di massa sempre meno rispettoso della montagna. Il fronte nord dell’Italia che sperpera e non sa coniugare vacanze e ambiente, nemmeno quassù dove la bellezza nasce tutta dal-
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L’espresso
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la natura e richiede solo di essere rispettata: montagne sfregiate da condomini mostruosi e inutili colate di cemento servite per eventi show e subito dimenticate. L’ultimo censimento di questo paradiso ferito conta 186 impianti chiusi su 350 esistenti in Italia, 4 mila tralicci abbandonati, 600 mila metri di fune d’acciaio che oscillano nel vuoto senza vedere più sciatori. Il film dell’abbandono va in onda in Piemonte, sull’Alpe Bianca nelle Valli di Lanzo. Una desolazione che si tocca con mano, dentro i sei piani di una scatola di cemento lunga un centinaio di metri, divorata dal vandalismo. Un condominio faraonico iniziato negli anni Ottanta e mai completato, fra vetri rotti, bagni divelti, porte abbattute e attrezzature accatastate in cantina,
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ATTUALITÀ Molte località hanno sofferto per il calo delle nevicate: nelle Alpi gli impianti dismessi sono 186
In senso orario: lo skilift fantasma di Lacedel a Cortina (Bl). Il lago per la neve artificiale di Forni di Sopra (Ud). Lo skilift di Sauris di Sotto (Ud). L’hotel Tremalzo in abbandono in Trentino
accanto gli skilift immobili dal ’92. Morte di una stazione sciistica, che si voleva fonte di facile guadagno con una speculazione selvaggia. Una tomba in ferro e cemento per «problemi finanziari dovuti agli alloggi invenduti, mancanza di neve e dimensioni ridotte della stazione non avrebbero consentito di avere lo sviluppo previsto», spiegano gli esperti. Il simbolo di questa spoon river della vette, alimentata da una valanga di investimenti negli anni del boom, dal 1960 in poi. La Cipra, la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi, e Mountain Wilderness hanno censito gli impianti dismessi nel Nord. Fabio Balocco, Francesco Pastorelli e Alessandro Dutto descrivono i fantasmi della montagna: ne sono stati finora trovati 40 in Piemonte, 39 in Valle d’Aosta, 20 Lombardia, 30 sull’Appennino fra Emilia e Liguria, 35 in Veneto,
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25 in Friuli, fra funivie, skilift, ovovie, bidonvie, telecabine, tapis roulant… I MOSTRI PIEMONTESI. Alla stazione di partenza i muri sono crivellati, mentre lo scheletro di ferro della cabinovia è ancora infisso nel soffitto; fuori una vecchia poltrona sfondata, un water e un lavandino rotti. Questo il biglietto da visita di Pian Gelassa, alta Val di Susa in Piemonte. Un centro turistico mai decollato su un’area di oltre un milione di metri quadrati. Nato nel ’64, in cinque anni vennero costruiti un albergo, un ristorante, una cabinovia e tre skilift. E quattro condomini. Un investimento disastroso, travolto dai debiti e dalle valanghe che hanno spazzato via gli impianti: agli inizi degli anni Settanta era già un cimitero nella neve. Ma tralicci, stazioni degli impianti e tantissimo cemento sono ancora lì, in quell’area protetta. «Spesso è più conveniente
per un proprietario aprire una nuova stazione, piuttosto che mettere a norma quella vecchia, come a Col del Lys, nella Valle del Viù», precisa Pastorelli. Quattro skilift, alcuni con le funi ancora appese e i sostegni di quattro colori diversi, a pois con il rosso del ferro ossidato della ruggine. L’ecomostro che batte tutti è però in provincia di Cuneo, 1.200 metri di altezza, a Saint Gréé di Viola. Negli anni Settanta si chiamava Sangrato, poi Porta della Neve, ma ha portato so-
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lo trent’anni di fallimenti. Hanno costruito un centro polifunzionale con dentro un’enormità di appartamenti e pure un cinema. Poi in un improbabile rilancio, ha inghiottito una slavina di soldi pubblici appesi a una nuova seggiovia finita nel 2006 (aperta in questa stagione solo sabato e domenica). Mentre la pista di pattinaggio, ai piedi di uno squarcio nel bosco per una pista senza sciatori, ha ancora gli altoparlanti sui pali d’acciaio, fatti vibrare dal vento.
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Un abbandono che segna anche Breuil-Cervinia in Valle d’Aosta: appartamenti chiusi, skilift fermi da ormai troppo tempo. L’OLIMPIADE DISASTRATA. Dall’Olympic Park di San Sicario - sede delle gare del biathlon, costata 25 milioni di euro - e da Pragelato - dove si trovano i cinque trampolini del salto con gli sci costati 34 milioni - sono spariti alla fine di novembre i cannoni per l’innevamento artificiale, transenne, sedie, mobiletti, materassini anticaduta e pure
bandiere e portabandiere. Li avevano quistati per le Olimpiadi di Torino 2006. Sono stati traslocati in Alto Adige, in Val Ridanna per la Coppa Europa di biathlon. «Un saccheggio», dicono gli amministratori di Pragelato, che si domandano: «Non vorremmo che questo atto significasse la definitiva scelta di abbandonare gli impianti». «Un prestito», replicano i gestori delle strutture olimpiche. Tuttavia non sono previste gare in questo inverno: per ora è in programma solo una competizione di slittino sulla pista di Cesana, costata 61,4 milioni di euro. Senza altri soldi pubblici sia i trampolini, sia la pista da bob che le strutture del biathlon di San Sicario saranno destinate alla chiusura perenne: soltanto per la manutenzione degli impianti del salto e quelli del bob servirebbero rispettivamente 1,2 e 2,2 milioni di euro l’anno. NATURA DEVASTATA. Anche la scuola di sci a Ardesio in Valcanale è desolatamente vuota, sebbene la seggiovia abbia ancora i vecchi seggiolini monoposto montati sulla fune. L’albergo e il bar sono chiusi da tempo e semidistrutti, vicino agli skilift. E dalla cima della montagna la profonda lacerazione nel bosco della vecchia pista di sci s’allarga fino all’hotel spettrale: da 13 anni non funzionano più per la scarsa redditività. Ora il Comune vorrebbe sanare almeno le piaghe nell’ambiente ma i costi sono proibitivi. La cabina della funivia di Valcava a Torri dei Busi (Lecco), una delle prime in Italia, è invece rimasta alla stazione di arrivo. È lì dal 1977, con gli
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ATTUALITÀ E SULL’APPENNINO NON VA MEGLIO
A Pian Gelassa (Torino) la stazione di partenza della seggiovia inaugurata nel 1969 e completamente abbandonata dopo una decina di anni
alti piloni in cemento in mezzo al bosco. Dopo Valcava la mappa della disfatta elenca altri relitti: Alpe Paglio, Lanzo, Poggio Sant’Elsa, Pialeral, Arnoga, Arera, Pian del Tivano, Cainallo, Crocione. Tutti sbarrati per colpa di calcoli affrettati: ci si aspettava più neve o fatturati più ricchi. O la fine è stata decisa dalle concessioni non rinnovate o dai preventivi per le ristrutturazioni troppo esosi. Se il Trentino ha una legge che finanzia le dismissioni, lo stesso non vale per le altre strutture. Gli impianti di risalita, infatti, sono stati smantellati anche a Tremalzo nel comune di Ledro (Trento), e l’edificio dell’ex tavola calda è occupato dal ghiaccio: bar, ristorante e 12 appartamenti, tutto in rovina. Sull’altra sponda del Garda, sul versante veronese, proprio a ridosso della funivia rotante di Malcesine, svettano un albergo in abbandono e uno skilift con vista sul più grande lago italiano. Ma in Veneto la lista delle dismissioni è assai lunga, da Roana al Cansiglio, al Grappa. Non si salva nemmeno la celebrata Cortina dei vip, dove si nota lo skilift rimesso a nuovo nel 2007 a Lacedel e mai attivato. A TaiarezzeFedo sopra Auronzo nel 2007 hanno rimpiazzato la seggiovia con una costruita a pochi metri, ma meglio esposta al sole. La GUARDA IL FILMATO Fotografa questo codice e vedi il video sui relitti delle nevi dal tuo cellulare. A pagina 26 le istruzioni per attivare il servizio
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vecchia resta però a mutilare il bosco. L’ILLUSIONE FRIULANA. Anche il Friuli ha subito il rovescio del meteo, spiega Marco Lepre: «Ma da oltre una ventina d’anni gran parte di queste strutture, in genere piccoli skilift sorti in vicinanza di centri abitati per favorire i residenti e accontentare le amministrazioni comunali, sono entrati in crisi». Nevica di meno e la stagione ridotta spinge i gestori a dileguarsi. L’abbandono ha toccato pure Sauris (Udine), il comune più elevato della Carnia. Costruito negli anni Settanta dalla Pro Loco, lo skilift è stato spento sei anni fa: la pista di soli 800 metri non piaceva più ai turisti. Rimangono i tralicci e le funi. Sella Chianzutan è stata probabilmente, prima dell’avvento dello Zoncolan e di Piancavallo, una delle località invernali più frequentate: attorno agli skilift sorgeva un ristorante self service e un albergo. Ma non nevica più come una volta e le comitive sono migrate altrove. Dopo una lunga crisi, i privati hanno ceduto gli impianti al Comune di Verzegnis che ha cercato di rimetterli in funzione. Ma ben tre bandi pubblici per affidare la gestione sono andati deserti. Una selezione naturale legata al surriscaldamento climatico e a progetti poco lungimiranti che allunga ogni anno la lista dei dispersi nel ghiaccio: Cima Corso, Passo Tanamea, Sella Duron, Valdajer, Osteai, Valbruna, Latteis, Claut, Collina di Forni, Cave del Predil, Studena Alta, Ravascletto e Monte Matajur. L’ultimo lamento di una montagna sedotta e abbandonata dal turismo mordi e fuggi. ■
Sarebbe una barzelletta, se non ci fosse stato il morto. «Una funivia a due campate, l’ultima, fra i due tralicci, era troppo lunga e qui tira forte il vento», ricorda Oddo Broglia, un esperto di telemark che sulle creste del Monte Bove sui Sibillini marchigiani, nel comune di Ussita, trascorre molte avventure. A 1.700 metri, sopra la stazione sciistica di Frontignano, partiva la funivia che superava quota 2 mila, dove si trovava «uno skilift, ma uno sciatore nella nebbia precipitò in uno strapiombo e morì. Dopo una settimana fu chiuso», ricorda Franco Borgani di Legambiente. «Un’autentica oscenità, visibile da molti dei Sibillini», dicono entrambi, «bastava, prima di costruirla, che chiedessero ai vecchi montanari: loro dicevano che non poteva funzionare per il fortissimo vento». Adesso oscilla ancora nel nulla. Forca Canapine invece sull’Appennino umbro-marchigiano, nel comune di Norcia è il simbolo dell’abbandono, dopo anni di speculazione edilizia. Una miriade di casette spuntate come funghi negli anni Settanta a ridosso di dieci skilift fermi da un decennio. «Un paese fantasma», è la fotografia di Giuliana Leopardi, che gestisce il rifugio Perugia, «il meteo qui non segna più neve abbondante e non c’è più turismo, né in inverno né in estate». Il monte Midia, nel comune di Tagliacozzo in Abruzzo, un’ora da Roma, è il regno per chi ama il trekking. Ma i commenti su Internet si sprecano. «Attraversiamo Marsia, la Chernobyl delle stazioni di sci, con impianti abbandonati, costruzioni incompiute, case chiuse qua e là, edifici per metà diroccati e per metà abitati che sembra il Libano». La piccola stazione sciistica è morta da tempo, ma i resti di volani, rulliere, pulegge funi e tralicci di una seggiovia e di tre skilift sono rimasti lì. Sul versante del Terminillo la cestovia di Monte Tilia è ormai un rudere. Poco distante, sui Simbruini, a Montelivata, che euforicamente chiamavano la “montagna della capitale” per distinguersi dal Terminillo, offre un altro spettacolo di abbandono di impianti di risalita. Stessa desolazione a Campaegli, mentre la bidonvia sul Monte Gennaro, a Palombara Sabina è ferma da tempo. P. T.
27 gennaio 2011 L’espresso
ATTUALITÀ
BUSINESS AMBIENTE
La monnezza non ama il web L Si chiama Sistri. E grazie a Internet serve a seguire il cammino dei rifiuti speciali. Dall’azienda fin dentro la discarica. Ma tra rinvii, inchieste e appalti contestati, non riesce a prendere il via. E l’ecomafia festeggia DI RICCARDO BOCCA
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a rivoluzione era fissata per il 12 agosto 2010. Nome del progetto, Sistri: Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti. Una svolta tecnologica da 5 milioni di euro per monitorare via satellite il trasferimento dei rifiuti speciali in tutta Italia, partendo dalle aziende che se ne disfano, passando per i camion carichi di pattume, fino alle discariche e gli impianti di trattamento. «Un’ottima mossa, in teoria, contro le ecomafie», dice il senatore Francesco Ferrante, responsabile energia del Partito democratico. Addio agli obsoleti moduli cartacei, dunque, «e via libera per oltre 300 mila aziende a un portale Internet con cui i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) dovrebbero con-
trollare i flussi di spazzatura». Dovrebbero, bisogna scrivere, perché ancora questa storia non ha il suo happy end. La scorsa estate, infatti, tutto è slittato al primo ottobre 2010. Poi ancora, a un metro dalla partenza, si è fissato come trampolino di lancio gennaio 2011. Dopodiché il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, sponsor dell’operazione (pensata però dal predecessore, il Verde Alfonso Pecoraro Scanio), ha avvertito: «Non ci sarà una terza proroga». Che invece è arrivata il 22 dicembre, con orizzonte giugno 2011, mentre la sperimentazione prosegue a singhiozzo. «Un pasticciaccio grottesco», lo definisce Stefano Ciafani di Legambiente: «Nessuno mette in dubbio l’esigenza di sorvegliare il trasferimento dei rifiuti speciali, ma è insensato farlo senza una solida sperimentazione a monte». Al centro delle critiche, i due elementi essenziali del Sistri: le chiavette Usb per inserire i dati di carico e scarico del pattume, poi trasferiti sul portale on line, e le cosiddette scatole nere: black box in stile aviazione montate sulle motrici dei camion. «Capire cosa sta funzionando meno è complesso», ironizza Tommaso Campanile, responsabile ambiente della Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato e piccola e media impresa). Un malessere che rimbalza anche dal territorio: «Per numerose aziende associate», ha scritto di recente la Fai (Federazione autotrasportatori italiani) di Brescia, «abbiamo chiesto al Sistri di regolarizzare i nuovi mezzi». Alcune domande, ha verificato la Fai, «sono restate per mesi senza riscon-
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Foto: Oliverio - Imagoeconomica, M. Mastrorillo - LUZphoto, P. Tre - FOTOA3, G. Carotenuto - LUZphoto
Cumuli di rifiuti a Napoli. A destra: il termovalorizzatore di Acerra; Luigi Pelaggi del Comitato di controllo del Sistri. Sotto: Stefania Prestigiacomo
azienda 100 per cento di Finmeccanica». Il problema è che l’accordo risulta classificato “segreto”, e il perché lo ha illustrato il 30 settembre scorso Prestigiacomo alla Camera dei deputati. All’epoca di Pecoraro Scanio, ha ricordato, «si ritenne strategico (secretare) per la sicurezza nazionale», considerata «la diffusa presenza della criminalità organizzata nell’ambito dello smaltimento rifiuti». Per lo stesso motivo, il centrodestra avrebbe «perfezionato nel settembre 2008 l’apposizione del segreto». Anche se Prestigiacomo stessa, adesso, ritiene superata quest’esigenza: «Sono venuti meno i rischi di infiltrazione criminale o di attentati al sistema», ha ammesso in Parlamento, tant’è che «proprio ieri ho chiesto alla Presitro». In compenso, testici», recita la lettera inviata il 6 denza del Consiglio di rimuoverlo». monia il funzionario di dicembre a Prestigiacomo dal Da qui, la speranza di traghettare il Sistri Conftrasporto Maurizio leader di Confindustria, Em- verso un clima più sereno. Ma a distanza Quintaiè, si è vissuto «un ma Marcegaglia, e da Carlo di tre mesi, l’obiettivo è ancora lontano: «Il calvario di e-mail a vuoto Sangalli di Rete Imprese Italia vincolo del segreto, a oggi, è più saldo che e infinite telefonate al nu(che riunisce Cna, Casartigia- mai», certifica l’opposizione. E come non mero verde Sistri». Tutte ni, Confartigianato, Confe- bastasse, davanti al Tar del Lazio pende il concluse da un cortese insercenti e Confcommercio): ricorso di sette aziende informatiche, vito: «Portate pazienza, «Ci riferiamo», continua il schierate contro le procedure dell’appalto le Usb per ora non sono disponibili». documento, «alle notevoli carenze funzio- Sistri. Inaccettabile, a loro avviso, è «la paOstacoli fisiologici, si potrebbe obiettare, nali e operative (...) che rendono ancora lese violazione dei principi operanti in maper un cambiamento radicale. E in questa difficoltoso il pieno funzionamento del Si- teria di evidenza pubblica», nonché l’aslogica, a palazzo, c’è chi giustifica anche i stri». Per non parlare della formazione senza «di tutela delle regole della concorproblemi di installazione delle black box, svolta, a detta di Marcegaglia e Sangalli, renza». Uno scenario a cui si aggiungono, dovuti in parte al ritardo con cui qualche «insufficiente, carente ed episodica». O cronaca degli ultimi mesi, le indagini della azienda si è iscritta al Sistri. Ma resta il fat- dei dubbi sull’appalto Sistri, non proprio Procura di Napoli sull’operazione Sistri, e to che, in un crescendo di confusione, l’at- figlio della trasparenza. in particolare sui subappalti affidati dalla mosfera si è avvelenata: «La situazione ci «A ricevere la commessa», racconta il se- Selex Service Management Spa. vede costretti a evidenziarti la persistenza natore Ferrante, «è stata con trattativa «Il finale è a sorpresa», commenta Ferrandi problemi che non possiamo nasconder- privata la Selex Service Management Spa, te: «Certo l’ecomafia festeggia, se il Sistri continua a slittare, ma esordire in queste condizioni sarebbe un suicidio». Non meno imbarazzante, d’altronde, si è rivelata finora Polemiche su polemiche: questa, per adesso, è stata la quotidianità del l’esperienza del Comitato di vigiSistri. Si discute, ad esempio, sulle caratteristiche delle aziende costrette lanza e controllo sul Sistri: istituiad adeguarsi al sistema (vedi i parrucchieri, coinvolti per l’utilizzo di materiali come le lamette, o le estetiste, inserite per dettagli come i to dal ministro dell’Ambiente, e batuffoli imbevuti di varie sostanze). Altro punto delicato, è quello delle imprese di trasporto straniere, presieduto da Luigi Pelaggi (capo che «senza il vincolo del Sistri», dice Conftrasporto, «potranno continuare a svolgere spedizioni della segreteria tecnica di Stefania transfrontaliere dei rifiuti, soprattutto pericolosi, operando una concorrenza sleale e legalizzata». Per Prestigiacomo), si è riunito una non dire del capitolo Campania, dove il monitoraggio riguarderà anche i rifiuti urbani, oltre a quelli sola volta il 23 settembre 2010. speciali («Ma chi certificherà», domanda qualcuno, «quanta monnezza esce dai cassonetti?»). «Malgrado ciò», segnalano i tecA tutto questo, poi, si somma un dettaglio che riguarda la videosorveglianza delle discariche, alla quale nici, «il 22 dicembre è partito un ha partecipato come subfornitore con i suoi componenti tecnologici la società EngiNe srl, amministrata secondo comitato, frutto del proda Angelo Dionisi. Nomi già emersi durante le indagini sulla famosa Cricca, dove le intercettazioni tocollo tra ministero dell’Ammostrano che Paolo Berlusconi si spendeva con l’allora presidente del Consiglio superiore dei lavori biente, Confindustria e Rete Impubblici Angelo Balducci e con Fabio De Santis (Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del prese Italia». Tra gli scopi, si legturismo alla presidenza del Consiglio) per agevolare l’autorizzazione del cosiddetto Celeritas: un ge, c’è «verificare periodicamensistema di controllo della velocità stradale venduto proprio da EngiNe. «La nostra azienda», spiegano te lo stato di avanzamento del Sia “L’espresso” i vertici della stessa EngiNe, «è intervenuta (nel Sistri) solo per una parte delle funzioni stri». Viste le premesse, un saggio richieste dagli apparati di ripresa, dove sono risultate necessarie le nostre specifiche competenze proposito. ■ nell’elaborazione delle immagini». Il che non toglie, dice Tommaso Campanile, responsabile ambiente
In discarica gli amici della Cricca
di Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato e piccola e media impresa), «che la coincidenza sia poco entusiasmante. E la vicenda, poco trasparente». 55
ATTUALITÀ
SCANDALO IN VATICANO
IL SANTO CRAC Dalle tv porno ai cavi ottici: la diocesi slovena di Maribor sbaglia investimenti e perde quasi un miliardo di euro. Ecco il dossier segreto che fa tremare il papa DI EMILIANO FITTIPALDI
’è una piccola diocesi che da qualche settimana ha tolto il sonno alle notti di Papa Benedetto XVI. Una chiesa che custodisce un segreto che potrebbe travolgere il Vaticano. Stavolta non si tratta della curia americana o di quella irlandese, implicate negli scandali dei preti pedofili. Né di ecclesiastici italiani, finiti nelle inchieste dei magistrati sulla “cricca” capitanata da Angelo Balducci e sul presunto riciclaggio dello Ior scoperta da Bankitalia. La basilica che angoscia Joseph Ratzinger e i suoi uomini di fiducia, Tarcisio Bertone su tutti, è quella di Maribor, cittadina nel nord Slovenia famosa per ospitare una gara di slalom della coppa del Mondo di sci. La città rischia, ora, di diventare celebre anche per uno dei più gravi crac finanziari della storia della Chiesa: l’arcidiocesi, oltre a pascolare le anime di poco più di 100 mila fedeli, si è infatti lanciata negli ultimi anni in investimenti quantomeno spericolati. Sarà stata l’incompetenza del vescovo (rimosso da poco), sarà stata la crisi economica mondiale unita a qualche colpo di sfortuna, fatto sta che la chiesetta e le società da lei controllate sono riuscite ad accumulare la bellezza di oltre 800 milioni di euro di debiti.
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Un buco mostruoso che attualmente nessuno è in grado di coprire: il rosso è pari al 2 per cento dell’intero prodotto interno lordo sloveno e, per fare un raffronto, è tre volte superiore alle entrate registrate nell’ultimo bilancio del Vaticano. Il default è dunque molto probabile, e avrebbe pochi precedenti nella storia della Santa Sede. Sono in molti a tremare, a Roma e a Lubiana: perché l’esposizione pesa su varie banche,
compresa Unicredit, e su circa 30 mila risparmiatori sloveni. Ma come è stato possibile che una minuscola arcidiocesi abbia accumulato in una ventina d’anni debiti degni di una multinazionale? “L’espresso” ha consultato documenti riservati e parlato con autorevoli fonti slovene, che definiscono la situazione semplicemente “catastrofica”. Andiamo con ordine, partendo dalla fine. Da quan-
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Foto: A. Benedetti - Corbis, B. Baiocchi - Prospekt, AFP - Gettyimages
Il segretario di Stato Tarcisio Bertone. Sotto: papa Benedetto XVI. A sinistra: l’altare della Basilica di San Pietro
do a San Pietro s’accorgono dell’enormità del bubbone causato dalle avventure finanziarie del vescovo Franc Kramberger. La scoperta avviene quasi per caso, quando a fine 2007 una tv controllata dalla Chiesa slovena si mette a trasmettere programmi pornografici. Sui giornali locali scoppia il pandemonio. A Roma sono preoccupati, anche perché negli stessi giorni il vescovo di Maribor manda al Vaticano una strana richiesta: vuole essere autorizzato ad aprire due mutui da 5 milioni di euro l’uno. Le gerarchie competenti iniziano a sentire puzza di bruciato, chiedono lumi al nunzio apostolico in Slovenia. L’ambasciatore del papa intuisce che dietro ai filmini hard che la tv dei preti usa per sbaragliare la concorrenza c’è altro, qualcuno inizia a sussurrare di esposizioni milionarie e investimenti folli. Monsignor Mauro Piacenza, allora segretario della Congregazione per il clero, comincia così a chiedere alla diocesi informazioni più dettagliate. Prima sulla società di comunicazione T-2, quella che con-
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trolla la tv, poi su tutti i conti e le varie holding controllate dalla diocesi. Le risposte arrivano dopo mesi, omissive e incomprensibili: Piacenza avverte così Bertone e il papa si decide di spedire a Maribor un ispettore di fiducia per studiare le carte da vicino. Gianluca Piredda, esperto di bilanci, arriva in Slovenia all’inizio del 2010 con il titolo di “visitatore apostolico”. Ci mette poco a capire che il dissesto dell’arcidiocesi è di proporzioni bibliche. Le sue conclusioni vengono spedite in un rapporto a Roma lo scorso ottobre. “L’espresso” è in grado di rivelarne il contenuto. La piccola chiesa ha fatto il passo più lungo della gamba, creando un grande impero economico che ora traballa. L’avventura parte all’inizio degli anni Novanta, quando la diocesi di Maribor costituisce
la banca Krek (in dieci anni diventa il decimo istituto del Paese, nel 2002 viene venduto) e una società commerciale (la Gospodarstvo Rast). Passa qualche anno, e nascono due holding per investimenti e business assortiti, la Zvon 1 e la Zvon 2, controllate a loro volta dalla Rast. Le società comprano immobili, altre Spa, fanno ipoteche con le banche da cui si fanno prestare decine di milioni, decidono di investire non solo in finanziarie e aziende sicure, ma pure in settori tecnologici come le fibre ottiche e la telecomunicazione. Solo la holding Zvon 1 ha «investimenti a lungo termine pari a 416 milioni di euro» si legge nel rapporto conoscitivo «e debiti fuori bilancio pari a 524 milioni». Nulla è andato come previsto: «C’è la possibilità reale», conclude il dossier segreto «che tutte le società indicate vadano verso il fallimento. Le conseguenze sarebbero pesanti». Tra i vari investimenti della chiesa slovena c’è di tutto: 94 milioni per le azioni della banca Abanka, 72 milioni per l’azienda Helios specializzata in materiali da costruzione, 13 milioni nella società di gestione Krek, 18,8 nella Petrol (energia, gas e petrolio), altri 22 nella misteriosa Cinkarna, il cui core business è la produzione e la distribuzione di «pigmenti di diossido di titanio». Ci sono anche aziende all’estero, in Croazia, come la Sole Orto, a cui sono stati girati 20 milioni di euro. L’investimento «più critico», si legge, è proprio quello nella T-2 (120 milioni complessivi), una società che si definisce su Internet, senza modestia, “il Futuro”. È controllata quasi al 100 per cento dalle due holding ecclesiastiche, e le sue attività si concentrano su servizi di telefonia, Internet e televisione veicolati ai clienti attraverso una rete in fibre ottiche co-
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struita ad hoc. “Il Futuro”, però, non arriverà mai: tra passività finanziarie e per il completamento della rete servono ancora 200 milioni di euro, mentre i debiti a breve termine superano di nove volte le attività correnti. La società di consulenza Kpmg, che per conto del Vaticano ha fatto un’expertise, dà per perso oltre il 70 per cento del capitale investito: il valore stimato a giugno 2010 oscilla tra i 24,6 e i 28,6 milioni di euro. Un’inezia. «E in questo momento», spiega il tecnico del papa, «non c’è nessuno interessato all’acquisizione della T-2 che offrirebbe un importo più elevato». Come in un domino, il crac potrebbe partire proprio da qui: a settembre 2010 la concorrente Telekom Slovenija ha presentato richiesta di fallimento della T-2, i conti bancari sono stati bloccati e il 2 gennaio 2011 il tribunale di Maribor ha accertato lo stato di insolvenza. L’azienda della Chiesa slovena ha ora 30 giorni per presentare un piano di ristrutturazione. Sarà difficile salvare la T-2, e a quel punto servirà un miracolo anche per salvare la Zvon 1. A catena, la sopravvivenza della sorella Zvon 2 (partecipata dal mercato per circa il 35 per cento, quota divisa tra circa 30 mila piccoli risparmiatori) è appesa a un filo: i debiti fuori bilancio, in questo caso, superano i 189 milioni di euro. Se fallissero le due holding, anche la capogruppo Gospodarstvo Rast non avrebbe scampo. La situazione è drammatica e si è ingigantita negli anni, ma Ratzinger e la sua cerchia ne sarebbero al corrente - questo
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Una veduta della piazza principale di Maribor in Slovenia
dicono fonti della Santa Sede - solo da pochi mesi. Piacenza e Bertone, dopo aver studiato il rapporto, sono saltati sulla sedia e hanno cercato di capire chi fossero i responsabili del mega dissesto. La prima testa a cadere è stata quella del vescovo, sostituito da monsignor Turnsek. L’altro co-autore del disastro è stato individuato nella figura del direttore dell’amministrazione economica della chiesa di Maribor, l’uomo d’affari Mirko Krasovec, economo della diocesi dal 1985. «Credo fermamente che la nostra buona fede ci aiuterà a superare, nello spirito fraterno e con aiuto reciproco, anche questa prova», ha scritto Kravosec al Vaticano in una relazione prima di essere silurato. Non sappiamo se le preghiere serviranno a salvare la chiesa slovena, ma di certo la missiva descrive bene l’imperizia degli uomini del clero sloveno e dei loro collaboratori. Per espandere «l’attività pastorale» e le «attività di carattere umanitario e caritatevole» e per aprire «nuovi istituti di istruzione» sono state fatte operazioni milionarie ingenue e poco prudenti. Affari
andati avanti per lustri e lustri, senza mai che il Vaticano fosse avvertito: solo alla fine del 2007 fu richiesto il permesso per l’apertura dei due mutui. «Eppure la Santa Sede, per ogni operazione superiore al milione di euro, deve dare un’autorizzazione scritta», ragionano fonti vaticane. L’economo, nella lettera, cade dalle nuvole: «Consideravo che l’approvazione non fosse necessaria... Si pensava che il limite era per i singoli prestiti, non per il debito cumulativo, e che tali limiti erano da considerarsi solo per la diocesi e non per le società di proprietà o collegate ad essa». La linea difensiva del Vaticano, e di Bertone in particolare, si aggrapperà proprio al mancato rispetto delle regole: senza un via libera da Roma, tutte le operazioni della diocesi slovena - dice il Vaticano - sono da considerarsi irregolari dal punto di vista giuridico. In pratica i 30 mila risparmiatori, le banche e gli altri creditori non potranno rivalersi sullo Stato Pontificio: i contratti con la chiesa di Maribor verranno considerati carta straccia. Non sappiamo cosa decideranno i giudici fallimentari. Di sicuro chi ha investito nelle società del clero sloveno rischia di brutto. I piccoli investitori, in primis. Ma anche istituti importanti: la Nova Ljubljanska Banka, prima banca della Slovenia con filiali anche in Italia, ha prestato per la creazione della televisione digitale coinvolta nello scandalo porno circa 85 milioni di euro, altre banche sono esposte per decine di milioni. Anche la chiesa di Maribor potrebbe perdere quasi tutte le sue proprietà e i beni dati in garanzia: se la Raiffeisen Banka per concedere tre prestiti ha ottenuto azioni, la cessazione di alcuni affitti di uffici di proprietà del clero, terreni e appartamenti, Unicredit ha prestato alla chiesetta 11,2 milioni, e come pegno ha avuto - oltre ad azioni della holding Zvon 1 - l’ipoteca sullo stupendo monastero di Studenice del XIII secolo e su un laboratorio di organi musicali. Chissà se dopo un simile crac il Vaticano deciderà di cambiare musica, con controlli più stringenti sui vescovi e preti che s’improvvisano finanzieri d’assalto. ■
È il più grosso dissesto finanziario degli ultimi decenni. Colpirà 30 mila risparmiatori. E varie banche tra cui Unicredit
27 gennaio 2011 L’espresso
Foto: Standl - Laif / Contrasto
ATTUALITÀ
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L’INTERVISTA
NON SI VIVE DI SOLI CINEPANETTONI Reggono De Sica e Boldi. Ma irrompe Checco Zalone, e supera Benigni. Cambia il modo di ridere degli italiani? Risponde il produttore di “Gomorra”. Che ha scommesso su Cetto-Albanese
IL MERCATO DELLA PIZZA
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te” e “Gomorra”. In arrivo “Habemus papam” di Nanni Moretti, che dovrebbe andare al Festival di Cannes. «Qualunquemente», sottolinea Procacci, «è il mio primo film “Qualunquemente” mi attirava anche per comico con un comico protagonista». la sua valenza politica». Lei ha pregiudizi verso i film comici?
«Per nulla. Il cinepanettone di Natale non lo farei, ma non per evitare il pubblico ampio. La nostra linea editoriale è incontrare un pubblico ampio con prodotti di qualità. Posso citare i film di Gabriele Muccino, che per me sono prodotti di qualità, oppure “Gomorra” di Matteo Garrone che, in partenza, era un prodotto da festival, dove non si capisce una parola, con i sottotitoli in italiano, cinque storie intrecciate e un finale drammatico. La scommessa è quella.
Il film è distribuito da 01 di Raicinema, ma lei lavora anche con Medusa del gruppo Fininvest che distribuisce la “Versione di Barney”, coprodotto da Fandango. Medusa avrebbe distribuito “Qualunquemente”?
«A me hanno detto di sì e ci credo. Medusa lavora in base a una logica del profitto e non ho mai avuto forme di pressione politica da loro. Forse la Rai, che è il distributore con il quale lavoriamo di più, è più sensibile al momento politico, ma neanche lì ho avuto pressioni clientelari. Il nostro obiettivo è essere dentro il sistema, non ai margini. Però abbastanza forti da non compromettere la nostra linea».
Domenico Procacci. A sinistra: Antonio Albanese in una scena di “Qualunquemente”. Sotto: Checco Zalone in “Che bella giornata”
Perché non distribuite in proprio?
«Possiamo farlo raramente per i nostri film. Se il progetto ha necessità economiche alte, la prevendita dei diritti tv è fondamentale. Con le due major, Mediaset e Rai, il pacchetto comprende la vendita dei diritti televisivi. Se non distribuiscono loro, non comprano il film per i passaggi in tv. In più, è chiaro che Medusa ha una forza
L’espresso
Foto: Webphoto (2), courtesy Fandango
L
Non spetta allo Stato aiutare questo tipo di ricerca? E se lo Stato non ha soldi?
«Su questo c’è tanta demagogia. La questione viene posta nei termini seguenti: meglio che funzionino gli ospedali o meglio dare soldi al cinema? Così è chiaro che la risposta è obbligata. Ma il finanziamento alle attività culturali è una prassi nel mondo. Non «A me sembra un paradosso che l’impresa è prassi che cinema e privata investa nel lungo termine più di quanto faccia il sistema-paese. Lavoriamo cultura siano oggetto di più noi sui giovani che il Mibac. Anche una campagna mediatiil sistema del tax credit, nato con questo ca ostile, come in Italia, governo, funzionerebbe benissimo. Ma e non da una sola parte se ogni anno deve passare dalla Finanziaria politica. Io non avrei e dagli umori politici del momento, tutto fatto “Caos calmo” e diventa più difficile». “Gomorra” senza fiDa imprenditore, Domenico Procacci non nanziamenti pubblici, sembra entusiasta del modello statalista, ma sono soldi che abné di quello liberista. Nel senso che biamo restituito al 100 in Italia non funzionano nessuno dei due. per cento. Però da noi «Se io produco scrivanie di buona qualità, le guadagni consensi se vendo. Se faccio il produttore cinematografico e se anche avrò un buon successo qualitativo dici: fannulloni, andate e commerciale, non posso prevedere a monte a lavorare».
COLLOQUIO CON DOMENICO PROCACCI DI GIANFRANCESCO TURANO
a sintonia di questo film con l’attualità era imprevedibile». Ma la fortuna ha aiutato l’audace produttore cinematografico Domenico Procacci e il debutto in sala di “Qualunquemente” coincide con le nuove vicissitudini giudiziarie di un uomo politico che, come il personaggio di Antonio Albanese, ama stare con le giovani ed aiutarle anche economicamente. Spessamente. L’Imitatio Silvii di Cetto Laqualunque è incominciata a novembre, con i primi manifesti del Partito du Pilu affissi a Roma e a Milano. La campagna si è conclusa nel fine settimana del 15-16 gennaio con i gazebo nelle piazze di cinque città italiane. Davanti ai gazebo giovani bisognose di aiuto hanno distribuito gadget ai passanti con il sottofondo degli slogan laqualunquisti. Procacci (Bari 1960) è il fondatore della casa di produzione e distribuzione Fandango, nata nel 1989. Fandango ha debuttato nel 1990 con “La stazione” di Sergio Rubini. Le sue attività collaterali contemplano due case editrici (Fandango libri e Coconino), il Politecnico Fandango, che è una piccola sala cinematografica da 90 posti a Roma, e un caffè letterario Fandango anch’esso in via dei Prefetti, vicino al Parlamento. Ha prodotto, fra gli altri, “Radiofreccia”, “L’imbalsamatore”, “Le conseguenze dell’amore”, “Fascisti su Mar-
totipi. Cioè deve investire in ricerca nella speranza di creare una domanda che ancora sul mercato non c’è. Io non posso finanziare sul mercato qualcosa che il mercato non conosce».
nei confronti degli esercenti che una casa indipendente non ha, perché Medusa può dare alle sale una continuità che noi non garantiamo». Perché hanno successo i film comici, inclusi i meno pecorecci? È il ritorno della leggerezza predicata da Italo Calvino?
«Un po’ è la necessità, soprattutto del pubblico ma anche degli autori, di scrollarsi di dosso la cupezza del momento politico e
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quello che sarà. Prendo ad esempio un film che non è mio. “Il Divo”. Vince il premio della giuria a Cannes. Sfiora i 5 milioni di euro di incasso, viene venduto all’estero. Successo di critica e di pubblico. A tutt’oggi è invenduto per i diritti tv. Magari ci possono essere di mezzo questioni politiche. Ma il valore dei diritti televisivi de “Il Divo” non può essere uguale a zero. In un mercato così ristretto ci sono troppi fattori di rischio». Come il calcio, il cinema non sopravvive senza diritti tv. Ma il mercato è un oligopolio. Nella tv generalista gli attori sono in due, Rai e la stessa Mediaset. Per la pay Sky Italia di Rupert Murdoch ha come unico concorrente la stessa Mediaset. E, a volte, anche l’esecutivo. «Quando il governo ha aumentato l’Iva», conclude Procacci, «Sky ha bloccato gli acquisti di film».. G. T.
sociale. Però se ci basiamo solo su quello che il pubblico ci chiede, nei prossimi anni il cinema italiano avrà solo commedie, più pochi autori costruiti negli anni. Parlo dei Bertolucci, Bellocchio, Amelio, Moretti o di Garrone e Sorrentino. Quando la loro vena si sarà esaurita, non ci sarà altro perché non abbiamo fatto crescere nessuno. Un produttore di automobili deve fare le macchine di serie e deve progettare i pro-
Il film record di Zalone, “Che bella giornata”, è stato distribuito da Medusa con 900 copie su circa 3 mila sale in tutta Italia, più o meno una su tre. A Milano o a Roma, si possono scegliere altre pellicole. A Campobasso o ad Agrigento, o vedi Zalone o te ne stai a casa. Poi magari il film è bellissimo, ma non le pare una questione da Antitrust?
«L’Antitrust funziona su un tetto del 25 per cento dell’intera filiera e non sul segmento. Se ragioniamo sulla sola distribuzione, condivido l’osservazione. Aggiungo che in provincia non hai alternative né come spettatore, né come produttore. L’Antitrust dovrebbe servire a rendere civile il mercato che oggi è selvaggio, non ha regole ed è dominato da pochi giocatori». Se rinasce produttore e può scegliere il posto, dove nasce? Non a Bari, vero?
«Qualche anno fa avrei detto Londra. Oggi dico a Parigi». ■
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RITRATTI UNA VITA TRA MASSONERIA E SERVIZI
CENT’ANNI DI TRAME Dall’intelligence americana agli 007 deviati, fino alla Lega ispirata da Gelli. Il prefetto Rozera passato attraverso i misteri d’Italia racconta la sua storia. E rivela: il vero vertice della P2 è ancora potente
vitola. Ma Chiarle è un caro amico. Ha lora della capitale. Teamicizie nella massoneria». laro aveva amicizie Perché sostenere Berlusconi? ben qualificate. An«Perché Berlusconi qualche aiuto lo dà. che con Franco RestiIo non vedrei misteri dove non stanno». vo, ministro dell’InRozera e Berlusconi hanno almeno una cosa terno nel 1970».
Prefetto Rozera, alla fine chi ha beneficiato di trame e complotti?
«Servivano a stabilizzare la Dc. Il colpo di Stato credo che sia stato fatto in epoche successive. Con l’appoggio di certe persone. Anche con forze che vorrei dire COLLOQUIO CON BRUNO ROZERA DI FABRIZIO GATTI mafiose, ma non certo statali». FOTO DI GIOVANNI COCCO PER L'ESPRESSO Veniamo allora all’attualità. I massoni italia-
Chi?
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Per questo “l’Avanti” avrebbe indagato sul presidente della Camera?
«Non conosco personalmente Valter La-
Foto: VII Mentor
E tra Berlusconi e Fini, la massoneria con chi si è schierata?
«La massoneria è con Berlusconi».
«Gelli mi ha stimato. E gli devo chiedere scusa perché un giorno, interrogato da un magi- Il grembiulino massonico strato, risposi che era di Bruno Rozera. Sotto: un arteriosclerotico. in una foto con Giulio mollato”. Era a Roma per fare la tesGelli voleva affidarmi Andreotti e la sua sera da pubblicista». medaglia al valore. la Lega italiana. E for- A sinistra: Rozera oggi Non è mai stato informato di essere se ho fatto male a non iscritto alla P2. Dicono tutti così, no? prenderla, con le mie modeste capacità «Della mia iscrizione sono venuto a sasarebbe diventato un partito». perlo dai documenti delle indagini».
«Certo, l’elenco lo conosco. Ho chiesto a Giuseppe Telaro di togliere il mio nome immediatamente».
«Posso rispondere che c’è massone e massone. Come c’è uomo e uomo». la pelle degli italiani. Antifascista dichiarato, ha avuto il tempo di prenderne le distanze. Privilegio di chi, nato il 15 luglio 1918, mantiene la lucidità di un ragazzino.
Torniamo a Gelli.
«Zero porta a zero. Con me niente». Il suo nome c’è, numero 76.
ni stanno sostenendo Berlusconi?
ra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, con chi sta la massoneria? Bruno Rozera, 92 anni, il massone più anziano d’Italia, ha la risposta pronta: «La massoneria è schierata con Berlusconi». Per questo giornali storicamente amici del Grande Oriente come “l’Avanti”, ora di Aldo Chiarle e Valter Lavitola, ci avrebbero dato dentro con l’inchiesta sul presidente della Camera e la famosa casa a Monte Carlo di suo cognato, Giancarlo Tulliani. Ma anche sui misteri che hanno accompagnato la prima e questa morente seconda Repubblica, non è ancora detta l’ultima parola. A cominciare dai capi occulti della P2: secondo Rozera, la storia non finisce con le indagini della commissione parlamentare di Tina Anselmi. Prefetto in pensione e fratello di 33° grado in sonno per ragioni di età, Bruno Rozera può parlarne in prima persona. La sua testimonianza è un’enciclopedia. Vissuta in diretta. Dalle trincee in Libia come ufficiale di artiglieria alle cronache sul bungabunga nelle notti calde di Arcore, non si è perso nulla. Ha partecipato alla difesa di Roma dopo l’8 settembre. Ha combattuto con gli inglesi a Montecassino. È sopravvissuto allo sbarco ad Anzio. Ha operato come agente dell’Office of strategic services nella guerra di Liberazione. È diventato ispettore generale nel ministero dell’Interno dell’Italia repubblicana e sovrano ispettore del Grande Oriente d’Italia. Amico di Licio Gelli e degli italo-americani che per decenni hanno giocato al colpo di Stato sul-
in comune: l’elenco della P2.
«Telaro. Si occupava della segreteria dell’ordine massonico. Curava i fascicoli e così tanta gente si è trovata iscritta alla P2. Il professor Telaro era un dipendente del ministero della Pubblica istruzione. Aveva rapporti con la Sicilia. Grazie ai suoi contatti incontrai un giorno il boss Frank Tre dita Coppola, al confino in provincia di Roma. Costruiva palazzi. A quel pranzo c’era un sindaco di al-
La Lega italiana, il 1991, i misteri tra la prima e la seconda Repubblica e anche un’indagine, poi archiviata, della Procura di Palermo. Chi ne era l’ispiratore?
«L’ispiratore è stato Gelli». Qual era lo scopo della Lega italiana?
«Quello che avrei scelto io. Antitesi alla Lega Nord, un partito patriottico. Con gente che capisse di economia politica. Con gente per bene. Gelli mi disse: arriveranno pure i finanziamenti. Me ne sono andato perché mi sono scocciato. L’ambiente era un po’ ridicolo. E poi c’era un senatore socialista che era stato condannato. Stare con lui non mi piaceva. Gelli era rimasto dispiaciuto». Nata Forza Italia, della Lega italiana non se ne fece più nulla. Che rapporti aveva con Gelli?
«Per la verità non l’ho mai frequentato assiduamente. Gelli è finito quando l’ambasciata americana l’ha mollato. Punto e basta. Un giorno eravamo io e lui e un esponente dell’Ordine dei giornalisti in via Veneto. E Gelli, indicando l’ambasciata, dice: “M’hanno
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Dunque Telaro avrebbe passato gli elenchi anagrafici della massoneria a Gelli.
«È logico. A quell’epoca c’era molta gente della massoneria che, per avere un incarico, passava da Gelli». Perché la massoneria comincia a frequentare i servizi segreti?
«Erano i servizi segreti a frequentare la massoneria. Chiamavano al telefono il dottor Firenze, il gran maestro Lino Salvini. Cercavano informazioni per fare carriera, avere raccomandazioni e compagnia bella. I militari si iscrivevano alla P2 per fare carriera». Gelli negli anni dello scandalo parlò di una loggia P2 composta da 2.400 persone. L’elenco scoperto però si ferma a meno di mille. Esiste un elenco segreto della massoneria?
«No». Ma c’è qualcuno, iscritto alla P2, più potente di Gelli?
«Ovvio che al di sopra di Gelli ci fos-
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RITRATTI Il blitz in Africa per vendicare Matteotti
Bruno Rozera. A destra: la sua scrivania e lui in una cerimonia massonica. Sotto: una foto in divisa in Africa e la moglie
sero altri livelli. I livelli si trovavano sia nel partito politico, la Dc, sia nei servizi segreti. Tanti personaggi che ora stanno per andarsene al Creatore queste cose le sanno. L’opera monumentale della commissione Anselmi serve come prefazione. Ma bisogna studiare i personaggi uno per uno». «C’è sempre stato un livello superiore a Gelli». Lei indica un grand commis degli affari, ex democristiano ed ex piduista, intervenuto anche nell’inchiesta su Guido Bertolaso e i grandi appalti, promettendo protezione ad Angelo Balducci, il presidente del Consiglio dei lavori pubblici prima del suo arresto. Fa parte del Grande Oriente d’Italia?
che credo l’abbia istigato. Pièche andava dal ministro Scelba ogni mattina a rompergli i medesimi: parlava sempre di colpi di Stato, degli jugoslavi che avrebbero occupato l’Italia. E Scelba l’ha chiamato «Nella maniera più categorica, no». come direttore generale dell’antincendi Senza documenti di prova non ne pubbliche- dove lavoravo io. Arrivato Pièche sono remo il nome. dovuto uscire. Mi mandarono a dirigere «Basta chiedere in giro. Si può sapere chi il fondo per il culto. Distribuivo il dovuè più potente di questi? Gelli certo no. to a vescovi e prelati». Anzi Gelli lo temeva». Niente male per un massone. E Sciubba? Lei è stato viceprefetto a Frosinone, il colle- «Aveva i suoi amici fascisti. Gli americagio elettorale di Giulio Andreotti... ni più deleteri, non quelli che hanno «Per i ciociari Andreotti era tutto. Face- combattuto la guerra. Li ha portati vo una bella figura pure io quando arri- Sciubba a Roma. Qualche generale gli vava lui. Era una cosa... altro che Mus- fece credere al colpo di Stato. Gli fece ansolini».
che credere che in caso di vittoria sarebbe stato nominato ministro del Tesoro. Penso che Andreotti conoscesse tutto. Ma questa cosa qui non l’ha fatta passare. L’amico Sciubba, che era un funzionario del ministero del Tesoro, venne trasferito a Parigi. Ma su Sciubba c’è un fatto molto più importante». Quale?
«Ha portato Frank Gigliotti in Italia». Un altro massone, italo-americano, reverendo metodista, membro di una rete di italo-americani fascisti e anticomunisti, artefice delle re-
C’è un altro nome che in quegli anni si è mosso tra massoneria e trame italiane: Elvio Sciubba, l’ha conosciuto?
«È morto purtroppo. Sono stato molto amico di Sciubba. Fino a che non c’è stata una rottura, per il suo punto di vista ideologico. Sciubba era amico del generale dei carabinieri Giuseppe Pièche
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Questo obice sparava continuamente e siamo rimasti inchiodati in piccole fosse «Proprio lui. Credo sia venuto a per un mese, un mese e mezzo. I tedeschi Roma a spese del generale Piè- stavano in alto e sparavano a noi che stache, o di Sciubba o della masso- vamo in basso». neria stessa. E Gigliotti ha preso Come ha raggiunto gli inglesi, dopo l’8 settemcontatto con Malfatti, Francesco Malfat- bre? ti, consigliere diplomatico del presidente «L’8 ottobre del 1943 ho ascoltato l’indella Repubblica, Giuseppe Saragat». no reale su radio Bari e mi sono sentito I massoni non badano mai alla reputazione dei un verme. Il giorno dopo ho salutato mia confratelli? sorella a Roma, ho attraversato le linee «Qua le porcherie più grosse sono state tedesche. Le ho passate a Garigliano. fatte contro il comunismo. Questa è stata C’era una piccola zattera, una signora la una specie di scudo per fare le più grandi mattina mi ha fatto passare. Ci ha porporcherie in Italia». tato un fiasco di vino a me e a un soldaDa quando è nella massoneria? to tedesco in servizio. Quella sera con «5 dicembre 1944, loggia Cola di Rienzo, questo soldato mi sono ubriacato. AbRoma. Avevo 26 anni. Sono stato anche biamo cantato l’Internazionale». nella Colosseum. Mio padre, avvocato e Questi sono anni di revisionismo storico. Che antifascista, era massone». effetto le fa? La pagina più bella nella guerra di «Voglio cominciare dalla nomina di Liberazione? Ignazio La Russa a ministro della Difesa: «Lo sbarco ad Anzio. Veramen- con la sua storia personale, secondo me te mi ha fatto tremare i polsi. è la più grave offesa che si potesse fare ai Combattevo tra il fiume Gari- caduti della guerra di Liberazione e sogliano e Montecassino con gli prattutto al personale in servizio nelinglesi della 56ma divisione. l’esercito. L’Italia l’abbiamo liberata noi, Una notte ci hanno caricati su non so se è chiaro? Il più grande amico un autocarro, non sapevamo mio, uno dei più grandi italiani, Giuliadove andavamo. Verso le undi- no Vassalli, diceva che non ci può essere ci di sera siamo arrivati a Poz- un parallelismo fra quelli di Salò e quelli zuoli. Ci hanno imbarcato e il che non stavano a Salò». giorno dopo, poco dopo l’alba, Il sindaco della sua città, Gianni Alemanno, la siamo sbarcati ad Anzio. Ci sia- sera della sua elezione è stato accolto da salumo incamminati. Da lì è comin- ti fascisti. Che cosa ha provato? ciata una gragnuola di colpi. «Schifo». ■ ti clandestine che porteranno alla struttura di Gladio...
Quindi esiste un livello superiore?
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Le mani di Bruno Rozera, 92 anni, un giorno di tanti anni fa aggredirono Arrigo Dumini, il fascista condannato con altri per il rapimento e l’omicidio nel 1924 del deputato socialista Giacomo Matteotti. Il prefetto in pensione lo racconta nel suo diario mai pubblicato, scritto durante l’occupazione in Libia. Dumini è a Derna, la città sulla costa mediterranea dove Rozera, figlio di un avvocato antifascista della provincia di Caserta, è stato inviato come ufficiale dell’esercito italiano. Ecco alcuni appunti dal suo diario di guerra. NAUSEA «Mi viene in mente Dumini che nel Wadi di Derna trascorreva una serena e ricca esistenza. Un giorno stavo per spappolargli le cervella, ma ne ebbi nausea, pensando che Giacomo Matteotti non avrebbe infierito su una carogna». PIDOCCHI «Da ragazzo guardavo con stupita ammirazione i reggimenti che facevano il campo estivo e si accampavano nelle terre ricche di ulivi di mio padre... Ora mi ritrovo in una buca, sporco, lurido, pieno di pidocchi». ORCHESTRA «Bombardano ancora. Una granata più due, più tre. I razzi illuminano la nostra linea. Il pensiero corre alle feste dei nostri paesi, ai fuochi artificiali che tenevano allegri per pochi minuti e poi la festa si esauriva. Il razzo parla, richiama a distanza. Al richiamo del razzo comincia l’infernale orchestra... Allorché iniziamo il tiro, formiamo un solo corpo insieme al cannone». SALOTTI «In Italia, i salotti, le villeggiature, i circoli, gli imboscati. Da noi, in pochi metri di terra l’umanità. Tutti uniti e livellati dalla sofferenza e dal pericolo». DIMENTICATI «Qualche volta penso che ci hanno abbandonato e dimenticato per sempre. Altre volte penso alla nostra fragilità. Non abbiamo alcuna esperienza della vita e siamo passati all’esperienza della morte». ROMMEL «Nell’aprile del 1941 la mia batteria si ridusse a cinque uomini, esposti a facile preda. Il comandante di gruppo ci ordinò di non ripiegare... Pochi uomini avevano avuto il sadismo di mandare al massacro centinaia di migliaia di giovani. Fra i turbini un pezzo di carta dattiloscritto: il generale Rommel encomiava i reparti e anche la mia batteria». MOGLI «Ad ogni combattimento la spaventosa calma e la resurrezione. Si muore e si rivive... Minervini mi chiede quando finirà, si preoccupa della giovane moglie messa incinta prima della partenza. Un’altra notte trascorsa, ma guadagnata. All’alba siamo vivi, fantasmi con coperta che ci avvolge il corpo».
MONDO
FINE DI UNA DITTATURA
SOGNA NDO UN’ALTRA
TUNISIA
Dopo la cacciata di Ben Ali, il popolo chiede elezioni, informazione e partiti liberi, giovani dirigenti. Ed è già aperta la corsa alla successione. Ma si temono ancora i colpi di coda del vecchio regime DI STEFANO VERGINE DA TUNISI
ue ragazzi scherzano sotto le palme di boulevard Mohammed V, il viale che costeggia il golfo di Tunisi. Uno è alto, porta gli occhiali, si è appena laureato in ingegneria. Tiene tra le mani un foglio rosso su cui è scritto “Rcd (il partito dell’ex presidente Ben Ali, ndr.) fuori dal Paese”. L’altro ha i capelli rasati, indossa una tuta mimetica e imbraccia un fucile. Chiede al coetaneo di fargli leggere quel fo-
D Una foto scattata da Lucas Mebrouk Dolega, il reporter ucciso durante gli scontri. Sopra: i dimostranti al ministero degli Interni. A destra: un uomo nella casa di alcuni parenti del presidente deposto Ben Ali
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glio. Sorride. Poi si gira dall’altra parte e se ne va. Nel giro di quattro giorni la Tunisia è cambiata. La rivoluzione popolare che ha costretto alla fuga Zine El Abidine Ben Ali, presidente per 23 anni, ha già cambiato l’atteggiamento della gente. Solo pochi giorni fa, un militare non avrebbe mai permesso ad un cittadino di contestare il principale partito politico davanti alla sede ufficiale. Oggi, a Tunisi, capita che un giornale - “Le Quotidien” - titoli in prima pagina “Il popolo trionferà”. Le televisioni private girano per Habib Bourguiba, la grande avenue che dal mare porta fino alla cattedrale cristiana, chiedendo ai passanti cosa pensano della situazione politica. I tunisini non vogliono più avere paura. Per anni solo superficialmente ciarlieri con i 5 milioni di turisti che ogni anno affollano le spiagge low cost, non sopportano più di essere costretti a tacere i propri problemi, la disoccupazione, gli stipendi da fame, le ingiustizie dei potenti. Hanno assaggiato la libertà e sembrano intenzionati a mantenerne il sapore. Per
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MONDO fermarli non sono bastati i gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, le manganellate della Corruzione, misfatti e abusi della moglie dell’ex presidente e del suo potente clan polizia, i cecchini appostati sui di Stefano Vergine da Tunisi tetti, i saccheggi organizzati Di Leila Trabelsi, la parrucchiera di trasporti e di informazione. esce vincente. Succede con Habib dai fedelissimi dell’ex presidiventata première dame della La scalata di questa 53enne Ben Ali, il fratello del presidente, dente. Il popolo vessato dal siTunisia, i servizi segreti francesi cresciuta in una zona povera della così come con tutti gli altri clan stema corrotto architettato da dicono che prima di lasciare il Medina, il centro storico di Tunisi, concorrenti. La famiglia Trabelsi Ben Ali e dal clan Trabelsi, Paese sia passata dalla Banca inizia alla fine degli anni Ottanta, conta dieci fratelli, una sorella, quello della moglie, non si è lacentrale per farsi consegnare una quando conosce l’allora un’infinità di congiunti. Catherine sciato intimorire. E ancora tonnellata e mezza di lingotti responsabile della Sicurezza Graciet e Nicolas Beau, autori di manifesta contro i pezzi del d’oro. Il governatore della banca nazionale, Zin El Abidin Ben Ali. ‘’La reggente di Cartagine’’, il libro vecchio regime cooptati nel ha smentito, ma ai tunisini poco Lei è bella. Lui ha 21 anni di più inchiesta che dopo lo sblocco dei governo di unità nazionale, importa: «La famiglia Trabelsi si e se ne invaghisce. La loro prima siti censurati i tunisini si sono nato tra travagli e repentine è insediata in tutti i gangli del figlia, Nesrine, nasce nel 1986, precipitati a scaricare dal Web, defezioni. Perché quella decisa potere, e solo un loro definitivo un anno prima della salita al scrivono che nel Paese chi vuole dal premier Mohammad allontanamento potrà portare potere. Il matrimonio arriverà sei avviare un’attività deve avere il Ghannouci, per anni fedele a giustizia», spiega Hamed, giovane anni dopo. A quel punto dietro benestare di Leila e versare una Ben Ali, è una rivoluzione a ingegnere sceso in piazza. la donna si posizionano i parenti, sorta di “pizzo” al clan. Non a metà, un compromesso forse A chiunque si chieda chi siano i una cinquantina. E cominciano a caso, secondo quanto riportato utile a sedare in parte gli sconpotenti corrotti contro cui il Paese guadagnare potere, soldi, posti di da WikiLeaks, l’ambasciata tri, ma non sufficiente ad acsi è ribellato, la risposta è la prestigio. La famiglia Trabelsi si americana a Tunisi nel 2008 contentare i 10 milioni di tunistessa: la famiglia della moglie di scontra con diverse persone vicine definì la famiglia Ben Ali-Trabelsi sini che chiedono elezioni libeBen Ali. Un vero clan, quello della al capo, ma in tutte le battaglie una “quasi mafia”. Perché quasi? re. Un governo in cui i ministri seconda sposa del presidente. Una ragnatela di personaggi che del vecchio regime sono 11 su ha fagocitato banche, catene 24, e piazzati in posti cruciali di alberghi, società immobiliari, come gli Esteri, l’Interno e la Difesa, oltre che sulla poltrona di premier. Una strategia gattopardesca che sti è ormai acclarato. adesso, dopo la liberalizzazione dei partiti, Appena le notizie delpotrebbe far aumentare il consenso nei la rivolta sono giunte confronti di alcuni leader di minoranza. a Londra, Rachid È il caso del numero uno dei comunisti del Ghannouci, esiliato lì Pcot, Hamma Hammadi, che ha definito da quando il suo parquanto deciso da Ghannouci «una rifor- tito fu definito illegametta». O di Moncef Marzuki, storico op- le da Ben Ali, ha anpositore della diaspora, per cui l’esecutivo nunciato di essere di unità nazionale è «una pagliacciata». A pronto a tornare nel volere una riforma radicale del sistema po- Paese in cui, nel 1989, litico, oltre agli studenti, ci sono avvocati, in una situazione ecoingegneri, medici, insegnanti. Sono pronti nomica molto simile a scendere ancora per le strade di Tunisi o guadagnò alle eleziodi Kasserine, di Bizerta o di Sidi Bouzid, do- ni il 14 per cento dei ve tutto è cominciato il 17 dicembre, quan- voti. Di certo uno dedo Mohammed Bouzizi, 26 anni, laureato gli esponenti più in in economia, costretto a vendere abusiva- vista nei giorni della mente frutta e verdura con un carretto in rivolta è stato Nejib mezzo alla strada, si è dato fuoco davanti Chebbi, fondatore al governatorato. I poliziotti gli avevano se- del Partito democratico progressista, la che vanta un tasso di alfabetizzazione del questrato la merce. Lui ha risposto con un principale fazione di opposizione legale ne- 97 per cento. Questo, forse, è stato uno dei gesto estremo, ripetuto da altri tunisini nei gli anni del regime di Ben Ali. Uomo elegan- più gravi errori di Ben Ali: costringere a una giorni seguenti. “Pane, dignità e libertà”, te, sempre pronto al dialogo e alla media- vita povera e senza libertà una popolaziorecitava il cartello di una ragazza durante zione, nel governo di unità nazionale Cheb- ne istruita, dove i laureati sono moltissimi la grande manifestazione di Tunisi del 14 bi è andato a occupare il ministero dello e parlare tre lingue è quasi la prassi. Una ditgennaio. Chi sarà in grado di cogliere le Sviluppo regionale, ingranaggio cruciale in tatura divenuta insostenibile per chi sa usaistanze del popolo potrebbe guadagnare un Paese dove le disparità territoriali sono re il Web ma non trova un Internet point, consensi per vincere le elezioni presidenzia- state all’origine della rivolta. Differenze di- per chi filma qualsiasi cosa con il cellulare li. Che ci stiano pensando anche gli islami- venute insostenibili per una popolazione ma non può pubblicarlo sulla Rete.
LEILA, LA PARRUCCHIERA DIVENTATA FIRST LADY
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«Perché all’epoca non uccideva», ha spiegato Catherine Graciet. Nei file dell’ambasciata il sistema è immortalato attraverso alcuni scatti. Nel cablogramma intitolato “Quello che è tuo è mio”, l’ambasciatore cita dodici casi emblematici. C’è quello di un terreno dello Stato regalato
a Leila, reso edificabile per la costruzione di una scuola infine venduta privatamente. O quello del cognato del presidente che comprò il 17 per cento di una banca (Banquet du Sud) prima della privatizzazione, per poi rivendere la sua quota una volta privatizzato l’istituto con un lauto
Foto Pagine 68-69: Afp - Getty Images, H. Dridi - Ap / LaPresse, R. Ochilk - Photomasi
Foto pagg. 66-67: L. Dolega - Epa / Ansa, H. Pickett - Nyt / Redux / Contrasto (2)
Da sinistra: nella casa di Belhassen Trabelsi, fratello di Leila, la moglie di Ben Ali; la coppia presidenziale; la polizia schierata a difesa di un edificio pubblico
I militari, che su questa rivoluzione costata la vita ad almeno 78 persone hanno messo il cappello da subito, hanno capito che la Rete era una delle prime cose da liberalizzare, e che l’accesso all’informazione non poteva più essere un optional. Così, dopo aver affidato il posto di sottosegretario alla Gioventù al blogger Slim Amamou, il premier ad interim Ghannouci ha abolito il ministero dell’Informazione, creatura tipi-
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realizzo. Il personaggio di spicco della famiglia è Belhassen, il fratello maggiore di Leila. È il più veloce a capire che il matrimonio della sorella è una vincita alla lotteria. E nel 1996 si impossessa della compagnia aerea Kartago Airlines. Poi entra nel comitato centrale del Rassemblement constitutionel démocratique (Rdc), il partito del presidente, e nel consiglio di amministrazione della Banca di Tunisi, alla cui presidenza viene messo Alya Abdallah, intimo amico di Leila. Ma il clan è grande e bisogna piazzare tutti. Una cugina che fa l’infermiera? Ecco per Najet Trabelsi il posto da direttore dell’ospedale Kheireddine. Il nipote Imed (morto accoltellato durante la rivoluzione) è senza lavoro? Gli viene affidata la direzione dei grandi magazzini Bricorama. Al genero Sakhr piacciono le macchine? Come
ca dei Paesi arabi e delle dittature. Che fine faranno tutti quelli che hanno servito lo Stato procacciando informazioni e controllando movimenti sospetti? Si dice che in Tunisia, sotto Ben Ali, un abitante su dieci fosse una spia. Tutta gente che rischia di andare a infoltire l’esercito degli epurati, gli esclusi disposti a tutto per non perdere quel poco che si erano guadagnati in anni di piccoli o grandi servizi. Per questo la lotta per il potere potrebbe non essere finita. Un esempio della presenza di questa gente si è avuto il 16 gennaio, il giorno della battaglia di Tunisi. Alle 5 del pomeriggio alcuni cecchini piazzati sui tetti del centro ini-
regalo di matrimonio si ritrova tra le mani la società Ennakl, concessionaria di auto. L’uomo vuole di più, e la famiglia lo accontenta. Prima la concessione del porto di La Goulette, poi il controllo del gruppo mediatico Assabah, a seguire la banca Ezzitouna, a cui si affiancano Radio Zitouna e Zitouna Tv. È nel campo dei media che la famiglia prospera. Sarà per questo che Leila occupava il 14,12 per cento degli spazi sulla stampa, una presenza superiore a quella di tutti i partiti di opposizione. Ma ora che in Tunisia è iniziata l’epurazione, società e immobili contano poco. Dove sarà la ricchezza della famiglia TrabelsiBen Ali? Si dice che il clan possieda immobili in Argentina e pregiate case in Francia, tra cui uno chalet a Courchevel e alcune ville in Costa Azzurra. Ma dei soldi, almeno Oltralpe, dicono che non ci sia traccia. Sarà per questo che madame Leila è partita con una tonnellata e mezza d’oro in più sull’aereo diretto a Gedda.
ziano a sparare contro il ministero degli Interni. Lì i militari hanno imprigionato Alì Seratì, capo della sicurezza nazionale di Ben Ali. È l’uomo simbolo del vecchio regime, il possibile coordinatore degli epurati. La battaglia è stata vinta dall’esercito, ma gli esclusi potrebbero tornare all’attacco. Anche perché le loro file si infoltiscono di giorno in giorno, di semplici sgherri come di pezzi importanti. Del capo della polizia di Ben Ali, sostituito con un generale dell’esercito, ma anche del governatore della Banca centrale, silurato dopo le rivelazioni sulla fuga di Leila Trabelsi, moglie di Ben Ali. Per questo i leader dell’opposizione cercano di coinvolgere pezzi del vecchio regime. Un’operazione giustificata soprattutto da Chebbi, il leader del Partito democratico progressista. Un calcolo che non vale solo per i partiti. È l’esercito che controlla un Paese ancora in stato di guerriglia. E vedere a Cartagine militari e guardia presidenziale presidiare insieme l’edificio che sarà la casa del nuovo leader, fa pensare che anche tra le forze armate si stia applicando la stessa strategia. ■
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MONDO
NORVEGIA
CARCERE CINQUE STELLE
Celle singole, palestra, biblioteca, un parco attorno. E una villetta dove passare il weekend con la famiglia. Eppure non tutti i detenuti sono felici DI IRENE PERONI - FOTO DI ALEX MASI
re ragazzi giocano a carte in un luminoso salotto in stile Ikea. Sulla parete di fondo spicca un enorme televisore ultrapiatto, e nell’angolo-cucina due loro compagni si accingono a preparare il pranzo su un piano di lavoro in acciaio. Poco più in là si intravede un corridoio con una serie di porte chiuse. Una casa dello studente super-lusso? Se non fosse per il gabbiotto con dentro due persone in divisa che osservano la scena attraverso una parete di vetro, si potrebbe pensarlo. Ma siamo nel carcere di Halden, un’ora di macchina a sud-est di Oslo, considerato il più avanzato del mondo. Inaugurato alla presenza del re Harald nell’aprile scorso, è stato accolto con sarcasmo da giornalisti e cibernauti. «È imbarazzante sapere che una prigione ha uno standard più alto di alcuni degli appartamenti in cui ho abitato», ha commentato un giornalista della rivista
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americana “Fast Company”. Mentre un blogger ha scritto: «Se dovessi mai commettere un crimine lo farei in Norvegia». I diretti interessati, i detenuti, non sembrano altrettanto entusiasti. «La galera è sempre galera», dice Stian, 38 anni, che sta per intraprendere uno studio di economia a distanza.«La cosa essenziale non sono la tv, il frigo e la doccia in cella. Parecchi vorrebbero tornarsene nelle galere dove stavano prima perché lì avevano più libertà». La prigione di Halden, costata 171 milioni di euro, è la seconda del Paese per capienza (252 detenuti, ciascuno in celle individuali di 12 metri quadrati), ma la più grande in Scandinavia in termini di superficie: 30 ettari. L’imponente muro di cinta è nascosto alla vista da un tratto di foresta che gli architetti hanno scelto di inglobare nel complesso. Così, guardando fuori dalle finestre, di spesso vetro antiscasso, ma senza sbarre, si può quasi sognare di vivere in una casa al
limitare del bosco. Per raggiungere scuola, lavoro e centro ricreativo, i detenuti devono uscire dalle celle e percorrere un sentiero tra gli alberi. Tra le strutture per il tempo libero spiccano una palestra con parete per l’arrampicata e una saletta prove adiacente a un modernissimo studio di registrazione. La biblioteca ha circa 4 mila volumi oltre a riviste e dvd, e sciami di detenuti entrano ed escono trascinandosi dietro enormi buste di plastica. I comfort di Halden sono modellati su quello che il sistema carcerario norvegese chiama il “principio di normalità”: la detenzione deve avvicinarsi il più possibile alla vita al di là del muro, affinché il reinserimento nella società possa avvenire nel modo più naturale, e il rischio di recidiva sia ridotto al minimo. «Chi ha subìto una condanna ha gli stessi diritti degli altri cittadini», spiega Synnove Sørland, coordinatrice delle attività artistiche e culturali all’interno del carcere: «L’aver perso la libertà dev’essere l’unico elemento punitivo. Non sta scritto da nessuna parte che le finestre debbano essere piccole o il cibo cattivo, o che uno debba subire abusi. Sono princìpi codificati in tutte le convenzioni internazionali, che purtroppo spesso e volentieri altrove non vengono applicati». A giudicare dalle statistiche, il metodo sembra funzionare. Un recente studio mostra che soltanto il 20 per cento di chi ha scontato una pena torna in prigione entro due anni dalla scarcerazione, contro il 60 per cento dell’Inghilterra, per esempio.
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A un tavolo nell’elegante mensa del personale siede un gruppo di ragazze in uniforme, nessuna delle quali sembra superare i 30 anni. Come i loro colleghi maschi, girano disarmate con addosso soltanto un allarme da attivare in caso di necessità. Ellen Sofie Solbrække, stretta collaboratrice del direttore Are Høidal, è convinta che un tocco di femminilità sia fondamentale per allentare la tensione. «Ci sono tante cose che noi donne possiamo dire ai detenuti senza che se la prendano: forse è arrivato il momento di farsi una doccia. Oppure: guarda, il tuo maglione è macchiato, mettiamolo in lavatrice. Un uomo non potrebbe permettersi di fare commenti così». All’interno dei locali che ospitano la scuola a volte è perfino difficile distinguere gli insegnanti dai detenuti. Nelle officine e nella falegnameria, questi ultimi maneggiano con disinvoltura martelli, seghe, fiamme ossidriche, saldatrici e macchinari industriali di vario tipo. Alcuni dipingono, altri frequentano il corso di catering presso il laboratorio gastronomico, con indosso berretti da cuoco e casacche bianche. A vederli così è difficile scorgere in loro dei pericolosi criminali. Ma a volte le apparenze ingannano. «Non bisogna dimenticare che questa è una prigione di alta sicurezza: ci sono tra loro molti assassini, violentatori, corrieri della droga», dice il direttore: «Noi facciamo di tutto per farli uscire migliori di come sono entrati». Ma i carcerati sembrano avere priorità
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completamente diverse. «Dicono tanto che questa prigione è umana, ma hanno adottato i peggiori regolamenti dalle carceri preesistenti», dice il quarantaquattrenne Ching, che è nato a Taiwan e cresciuto in Norvegia. Ching ha ancora 16 anni da scontare: «Passiamo molto tempo in isolamento, e non ci lasciano utilizzare le strutture a disposizione come vorremmo. Ad esempio, se non partecipi alle attività sportive pomeridiane ti chiudono a chiave nelle celle, che sono individuali, invece di lasciarti in salotto a chiacchierare. La stessa cosa vale per l’ora d’aria. E poi le guardie sono presenti in ogni momento della giornata, non ci lasciano mai soli. Sto pensando seriamente di far domanda per tornarmene nella prigione dove stavo prima». Il direttore invece è soddisfatto: «Sono contento di sentire che i detenuti ci considerano onnipresenti. Fa parte di una strategia riabilitativa a livello nazionale, e lo scopo è proprio evitare che un criminale
possa reclutare altri detenuti per mettere a segno un nuovo colpo una volta usciti». Una delle critiche principali riguarda il rischio che carceri con uno standard così elevato possano attrarre un numero ancora maggiore di criminali dall’Est europeo, che alla peggio hanno di fronte a sé «un soggiorno gratuito in una prigione di lusso». Ma Høidal non è d’accordo: «Io parlo con tanti delinquenti stranieri. Non vengono certo qui per finire al fresco. Inoltre non possono sapere dove sconteranno la pena». Chi viene da lontano ha lo svantaggio di non ricevere quasi mai visite, e di non poter utilizzare il fiore all’occhiello del carcere: la villetta con salotto e due camere da letto nella quale si può chiedere di trascorrere un weekend con moglie e figli. Fuori dalla “sala delle preghiere”, una cappella non consacrata che può essere usata da detenuti di qualsiasi fede, il nigeriano Paul si riposa dopo un allenamento all’aria aperta. Poi tira un sospiro: «Tutti, anche le persone migliori, in certe condizioni possono commettere errori. Se le possibilità che ho qui dentro le avessi avute mentre ero La dentista del carcere. In alto da sinistra: l’ingresso, la palestra fuori, non sarei mai finicon la parete per l’arrampicata e lo studio di registrazione to in carcere.» Difficile prevedere se questa nuova prigione e la sua fama internazionale contribuiranno o meno ad attrarre più criminalità, ma una cosa è certa: l’unico detenuto ad essersi tolto la vita ad Halden sinora era uno straniero che aveva davanti a sé una lunga pena da scontare in Norvegia. ■
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RAPPORTO
NEL CUORE DELLA MAREA NERA di NAOMI KLEIN In navigazione nel Golfo del Messico
La scrittrice è tornata nel Golfo del Messico nove mesi dopo il disastro ecologico. E in questo straordinario reportage documenta la catastrofe in corso. Tra pesci in estinzione, cimiteri di coralli e un misterioso liquido marrone che tappezza il fondale marino FOTO DI ALESSANDRO COSMELLI
Alcuni pescherecci ormeggiati a Grand Isle, Louisiana. Molti pescatori preferiscono non lavorare a causa dei prezzi bassi del pesce del Golfo del Messico dopo il disastro ecologico
RAPPORTO
La Bp si è affrettata a comunicare che il greggio in acqua non c’è più. Invece è solo diventato invisibile a occhio umano
elfini a prora!». Mi precipito verso la prua del Weather Bird II, un’imbarcazione per la ricerca scientifica di proprietà dell’Università della Florida. Ed eccoli lì intenti a spiccare i loro salti, a guizzare tra le onde cristalline. Pensavo che a tutti piacessero i delfini. Specialmente agli oceanografi. Invece scopro che questi particolari ricercatori marini hanno qualche problema con i delfini. E anche con le tartarughe di mare. E i pellicani. Non che non li amino. Il fatto è che questa carismatica megafauna, come viene chiamata, tende a eclissare e mettere in secondo piano le creature di gran lunga meno affascinanti che loro studiano al microscopio. Come i batteri e il fitoplancton che vivono nelle colonne d’acqua, per esempio, o i coralli risalenti a 500 anni fa e i vermi tubo rintanati accanto ad essi, o ancora calamari minuscoli. Quando la Deepwater Horizon è esplosa nell’aprile 2010, i nostri preconcetti collettivi nei confronti delle grandi e meravigliose creature hanno iniziato ad avere una loro importanza. Questo perché non appena si sono spenti i riflettori puntati sulla marea nera e si è capito subito che non ci sarebbero state stragi di massa tra delfini e pellicani (quanto meno non come accadde per l’incidente della Exxon Valdez), la maggior parte di noi era già incollata al televisore a seguire il disastro telegenico successivo (i minatori cileni). Ad appena tre settimane di distanza da quando si è tappata la falla alla sommità del pozzo, la Noaa (National Oceanic and Atmosferic Administration) se ne è venuta fuori con il suo famigerato “oil budget”, che in pratica
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suggeriva allo zar Carol Browner della Casa Bianca, incaricato delle questioni energetiche, di dichiarare che «la stragrande maggioranza del greggio è scomparsa». La Casa Bianca in seguito ha corretto l’errore (il destino di buona parte del greggio è ignoto), ma il rapporto ha ispirato una serie di racconti su come gli “iettatori” avessero ingigantito l’emergenza della marea nera. Intorno alla metà di dicembre, l’Unified Area Command, l’ente costituito dal governo e dalla BP e incaricato di sovrintendere agli interventi per porre rimedio alla marea nera, ha pubblicato un corposo rapporto che pareva messo a punto per chiudere la vicenda del disastro. Mike Utsler, il capo dell’Unified Area della BP, lo ha sintetizzato in questi termini: «Le spiagge sono in buona salute. L’acqua è in buona salute. Le specie marine sono in buona salute». Come se non avesse alcuna importanza che appena quattro giorni prima sulle spiagge della Florida fossero stati raccolti mucchi di catrame del peso di tre tonnellate e mezza. Alla fine dell’anno, gli investitori già festeggiavano il rialzo delle azioni della BP e l’azienda britannica si sentiva a tal punto sicura di sé da comunicare al governo che avrebbe smentito le stime ufficiali della quantità di greggio riversatasi nelle acque del Golfo, dichiarando che le cifre rese note erano più alte del 50 per cento rispetto a quelle reali. Se la BP riuscirà effettivamente a dimostrare che quella cifra è inferiore, potrebbe risparmiare fino a 10,5 miliardi di dollari in risarcimenti danni. L’Amministrazione Obama, nel frattempo, ha appena dato il via a ben 16 nuovi progetti di estrazione del greggio nelle acque profonde del Golfo, senza mettere in atto le raccomandazioni contenute nel rapporto con-
I pescatori di un peschereccio si preparano a salpare da Grand Isle nella speranza di una giornata propizia. Sopra: la scrittrice Naomi Klein
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Un’immagine dell’abitato di Grand Isle e, a sinistra, clienti del Cisco’s bar nella stessa località. Le attività produttive si sono quasi fermate a causa del danni provocati dalla marea nera del maggio scorso
Il petrolio ha provocato tumori nei batteri. Danni trasmissibili da una generazione all’altra
clusivo dell’Oil Spill Commission. Per gli scienziati del Weather Bird II non è stato facile rimanere a guardare in che modo la marea nera del Deepwater Horizon sia stata riformulata e presentata come un disastro evitato. Negli ultimi sette mesi insieme a un gruppo di oceanografi provenienti da altre università, hanno trascorso settimane in navigazione, monitorando con grande precisione l’impatto della marea nera sul delicato e poco conosciuto ecosistema degli abissi oceanici. Questi scienziati hanno assistito a fenomeni che definiscono senza precedenti. Cimiteri di coralli appena morti, larve di granchio rivestite di greggio, prove inconfutabili di strane malattie nel fitoplancton e nelle comunità batteriche, e un misterioso liquido marrone che tappezza vaste distese dei fondali marini, soffocando ogni forma di vita sotterra-
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nea. Segnali preoccupanti, indicano che le sostanze tossiche che hanno contaminato queste acque non hanno smesso di arrecare devastazione e potrebbero, negli anni a venire, portare a conseguenze gravissime, quali la scomparsa degli allevamenti ittici e perfino l’estinzione di qualche specie. Non è sicuramente una coincidenza che la maggior parte degli illustri scienziati che si occupano di queste ricerche provengano da Florida e Georgia, gli Stati della Costa che finora erano riusciti a evitare lo sfruttamen-
to di giacimenti petroliferi offshore. Le loro università, infatti, sono molto meno vincolate a Big Oil rispetto all’Università statale della Louisiana, per esempio, che ha ricevuto decine di milioni di dollari di finanziamento dai colossi petroliferi. Sempre più spesso questi scienziati hanno sfruttato la propria indipendenza per emendare i rapporti ufficiali sulla quantità di greggio che si è riversata in mare e sulle conseguenze . Uno degli scienziati più famosi convocato per il disastro della BP è David Hollander,
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geochimico marino presso l’Università della Florida meridionale. A maggio, il suo gruppo è stato il primo a individuare le tracce di petrolio sott’acqua, e il primo a farne risalire l’origine al giacimento della BP. Ad agosto, mentre si sbandierava il fatto che il greggio si era dissolto quasi per magia, Hollander e i suoi colleghi sono rientrati da una perlustrazione in alto mare portando campioni da cui risultava in modo incontestabile che il greggio era ancora lì. Solo che era invisibile a occhio umano.
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«Partiamo a pesca di petrolio!», ha detto Hollander sorridendo, mentre salivamo a bordo. Surfista e ciclista di professione in gioventù, Hollander ha 52 anni, ma è rimasto un indomito scavezzacollo. La prima a essere calata fuoribordo è stata la rosetta, apparecchiatura formata da varie bombole di metallo che raccoglie campioni di acqua a profondità diverse. Quando la rosetta è ritornata sbatacchiando sulla barca, l’equipaggio è corso ad attingere dai vari beccucci l’acqua, riempiendo decine di bot-
tiglie e provette per le analisi. Le varie bottiglie sono state portate nei laboratori a bordo per esaminarne il contenuto. I campioni contengono tracce di idrocarburi? L’acqua è fluorescente se esposta a raggi ultravioletti? Vi sono tracce chimiche della presenza di petrolio? È tossica per i batteri e il fitoplancton? Qualche ora dopo è giunta la volta della multi-carotiera. Quando l’apparecchio, alto tre metri e mezzo circa e sollevato da un argano molto robusto, ha toccato il fondo oceanico, otto cilindri trasparenti sono penetrati nei sedimenti del fondale, riempiendosi di sabbia e fango. I campioni sono stati esaminati al microscopio e alla luce ultravioletta, oppure centrifugati e quindi rianalizzati alla ricerca di tracce di greggio e di solventi chimici. Queste operazioni sono state ripetute in altre nove località. Navigando nel Golfo non sono riuscita a non meravigliarmi per l’incredibile capacità che ha la natura di ripulirsi e rinnovarsi. All’apice del disastro, avevo osservato quelle stesse acque dall’alto, a bordo di un aereo della Guardia Costiera. Lo spettacolo mi aveva profondamente cambiata. In quel momento, infatti, avevo capito di aver sempre contato sul fatto che gli oceani fossero una sorta di spazio esterno alla Terra, troppo vasto per poter essere contaminato dalle attività umane. Mi sono accorta che l’oceano, invece, era ricoperto a perdita d’occhio da chiazze oleose, e assomigliava al pavimento di un’ officina per auto. Il giovane portavoce della Guardia Costiera
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RAPPORTO La Bp ha risarcito in fretta i pescatori in cambio della rinuncia a fare cause in futuro. Perché teme i danni a lunga scadenza
aveva assicurato che nel giro di qualche mese tutto il petrolio sarebbe scomparso, dissolto dai solventi in piccoli frammenti. All’epoca non mi ero quasi capacitata che ci stesse propinando una storia tale rimanendo serio. Dagli esperimenti condotti da alcuni scienziati dell’Università statale della Florida, emergono validi motivi per allarmarsi. Quando ad agosto si trovava al largo nel Golfo, la Weather Bird II aveva raccolto campioni di acqua in varie località. Una volta rientrato al laboratorio dell’Università, John Paul, professore di oceanografia biologica, ha introdotto nei campioni d’acqua alcuni batteri e del fitoplancton sano e ne ha studiato la reazione. Quello che ha scoperto lo ha sconvolto. Nell’acqua di circa la metà dei campioni, la reazione degli organismi è stata “geno-tossica o mutagena”, il che significa che il greggio e i solventi non soltanto si sono rivelati velenosi per questi organismi, ma hanno provocato alterazioni del loro patrimonio genetico. Cambiamenti come questi potrebbero manifestarsi in molteplici modi: tumori e forme di cancro, impossibilità di riprodursi, una vulnerabilità che esporrebbe questi organismi alla distruzione. Prima di salpare per la nostra navigazione avevo intervistato Paul e mi aveva spiegato che a essere davvero «terrificante» è che questo tipo di danni genetici è «trasmissibile», le mutazioni passano in eredità da una generazione all’altra. «Tutto ciò potrà durare molto a lungo qui nel Golfo del Messico. Forse varie specie di pesci subiranno alterazioni genetiche. Le tartarughe potrebbero andare incontro a un numero maggiore di tumori. Per ora non lo sappiamo, e di sicuro occorreranno dai tre ai cinque anni per far luce su tutto ciò», aveva detto Paul. Una bomba a orologeria del genere potrebbe essersi innescata anche nel Golfo del Messico? Ian MacDonald dell’Università della Florida è convinto che le alterazioni che si iniziano a documentare alla base della catena alimentare «quasi sicuramente si propagheranno alle altre specie».
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Questo è quanto sappiamo per certo fino a questo momento. Quando nel giugno scorso i ricercatori dell’Università dell’Oregon hanno controllato le acque al largo di Grand Isle, in Louisiana, hanno riscontrato che la presenza di idrocarburi policiclici aromatici cancerogeni (Ipa) era quadruplicata in soli 30 giorni. Kim Anderson, tossicologo capo dello studio, definì la scoperta «la mutazione di Ipa più gigantesca nella quale mi sia imbattuto in oltre dieci anni di ricerche». John Lamkin, un biologo esperto di fauna ittica per il Noaa, ha ammesso che «nessuna larva entrata in contatto con il greggio ha speranze». Pertanto, se una nuvola di uova di tonno ha attraversato una zona di acqua contaminata, quell’unico incontro potrebbe contribuire a decimare una specie già ad alto rischio. E i tonni non sono l’unica specie a rischio. A luglio Harriet Perry, specialista in biologia all’Università del Mississippi meridionale, ha trovato goccioline di petrolio nelle larve del granchio blu e ha detto che «nei 42 anni trascorsi a studiare i granchi non era mai capitato di vedere una cosa del genere». Potremmo non venire mai a sapere quali altri organismi siano rimasti invischiati in una simile corrente letale, e ciò ci porta a un altro problema ancora. Adesso che abbiamo superato la fase degli uccelli ricoperti e invischiati di petrolio, instaurare un rapporto diretto e definitivo tra la marea nera e qualsiasi alterazione biogenetica o ecologica in agguato diventerà sempre più difficile. Per esempio, sappiamo che il corallo è morto per i resti che troviamo: gli scheletri dei coralli ormai ricoprono i fondali oceanici tutto intorno alla sommità del pozzo, e Fisher sta conducendo altri esperimenti per constatare se è possibile trovare un collegamento chimico inoppugnabile con il petrolio della BP. Questo tipo di analisi giudiziaria non sarà possibile per le forme di vita più minuscole che di conseguenza erano ancora più vulnerabili nei confronti del micidiale cocktail della BP. Tutta questa vaghezza finirà con
Una famiglia di Montegut (Louisiana) fuori dal trailer parcheggiato tra la strada e il canale. Molte lavoratori sono rimasti disoccupati
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RAPPORTO l’andare a vantaggio della BP se mai si dovesse materializzare lo scenario peggiore. In effetti, le preoccupazioni su una devastazione in futuro possono spiegare assai bene per quale motivo la BP abbia avuto una fretta incredibile di regolare le questioni in sospeso in tribunale con i pescatori, offrendo risarcimenti in contanti in cambio della rinuncia a far causa in futuro. Se una specie importante come quella dei tonni pinna blu dovesse estinguersi fra tre o perfino dieci anni chi ha accettato queste condizioni si troverà nella posizione di non poter più ricorrere legalmente. Se anche una causa approdasse comunque in tribunale, vincere contro la BP potrebbe rivelarsi complicato: nell’ambito della valutazione dei danni, gli scienziati del Noaa stanno conducendo vari studi e tengono sotto controllo lo sviluppo delle uova e delle larve esposte ad acque contaminate. Ma come sostennero a suo tempo i legali della Exxon, di questi tempi i pesci sono sottoposti a moltissime pressioni. Senza un collegamento chimico diretto preciso con il petrolio della BP, chi può dire che cosa ha assestato loro il colpo fatale? Al terzo giorno di crociera le cose hanno iniziato a farsi interessanti: ci siamo diretti nel DeSoto Canyon, a circa 30 miglia marine dalla sommità del pozzo. Il fondale oceanico si trovava a mille metri di profondità, e quella fino a quel momento era la stazione più profonda nella quale ci fos-
simo fermati a effettuare analisi. Era in arrivo una tempesta, e mentre l’equipaggio ha preparato la multi-carotiera, le onde hanno iniziato a riversarsi sul ponte. È stato immediatamente palese che c’era qualcosa che non andava: sul ponte è rimasto del fango. Invece di risultare del consueto grigio, i cilindri sono tornati su grigi, ma appena sotto la superficie erano di colore marrone scuro. La consistenza dello strato marrone superiore era soffice. Davanti ai nostri occhi è apparso, tra gli strati grigio e marrone, uno spesso strato di appiccicosa porcheria nera. Hollander ha detto: «Tutto ciò non è normale». Ha afferrato i campioni di fango e ha chiamato accanto a sé Charles Kovach, scienziato senior del Dipartimento della Florida per la Protezione dell’ambiente. I due si sono diretti nella parte più scura della barca. Hanno esposto il campione alla luce ultravioletta, e nel giro di pochi secondi abbiamo visto alcune particelle argentee scintillare nel fango. Segno della presenza di tracce di petrolio. Hollander è stato in grado non soltanto di individuare gli idrocarburi, ma anche di farli risalire al pozzo Macondo della BP. Mi colpisce molto il fatto che vi sia un rassicurante paradosso nel fatto che la missione scientifica di Hollander abbia individuato alla fine quello stesso petrolio che la BP avrebbe preferito che restasse sepolto, tenuto conto che l’azienda indirettamente
Risulta molto danneggiata un’area di mare vasta almeno duecento chilometri quadrati
ha finanziato la spedizione. La BP si è impegnata a spendere 500 milioni di dollari per la ricerca in conseguenza della marea nera, ha dato un anticipo di 30 milioni e ha acconsentito a pagare questa prima tranche alle istituzioni indipendenti del Golfo. Hollander è stato uno dei fortunati che ha ricevuto i finanziamenti. In parecchie altre tappe per i prelievi vicine alla sommità del giacimento, la Weather Bird II ha scoperto che il fondale oceanico era rivestito da una melma simile. Quanto più la barca si avvicinava alla sommità del giacimento, tanto più neri erano i sedimenti. Hollander si è preoccupato. Lo strato di sedimento è anormale, è alto cinque volte di più rispetto a quando ne ha raccolto un campioUn peschereccio esce ne ad agosto. La presenza del gregdal canale di Golden gio sul fondale oceanico non si è Meadow che sfocia ridotta col passare del tempo: è in mare aperto aumentata. E, come dice lui stesnel Golfo del Messico so, «questo strato è distribuito in modo molto ampio». Hollander non è stato l’unico a constatare l’avvenuto cambiamento. Mentre ci trovavamo in mare, Samantha Joyce, oceanografa dell’Università della Georgia, ha guidato un gruppo di scienziati in una missione. Ian MacDonald era uno dei ricercatori che hanno preso parte a quella missione e mi ha detto: «Abbiamo visto vermi tubo sterminati per miglia e miglia, una zona che ha subito un impatto molto forte, vasta almeno 200 chilometri quadrati. Abbiamo visto gorgonie morte e altre agonizzanti, stelle marine dai tentacoli aggrovigliati». Tutti segnali di un disastro completo. traduzione di Anna Bissanti
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CULTURA
La nuova Auschwitz Scompaiono gli ultimi testimoni. Si moltiplicano i visitatori. E cambia l’allestimento del museo simbolo della Shoah. Nella giornata della Memoria, siamo andati a vedere chi e come racconterà l’orrore
e Belzec di cui perfino si stava perdendo la memoria, perché non c’erano praticamente superstiti. Ad Auschwitz trovarono pochi prigionieri, per lo più malati, ma comunque vivi (tra loro Primo Levi), baracche in muratura e in legno, i resti delle fabbriche dove lavoravano per la gloria del TerDI WLODEK GOLDKORN zo Reich e il profitto delle sue FOTO DI LORENZO CASTORE imprese i reclusi schiavi. Oggi, sono oltre un milione trecentomila le persone che nell’arco di un anno visitano il Museo di Auschwitz, più di quante non vanno a vedere tutti i simili luoghi di memoria altrove, messi insieme. Di questi 550 mila sono polacchi; gli altri arrivano da vari paesi del mondo (gli italiani sono 64 mila: più degli israeliani). Gli studenti costituiscono i due terzi degli ospiti. Questa statistica è importante perché il numero dei visitatori è in costante e vertiginoso aumento: quasi triplicato, rispetto al 2001. Vengono nel lager perfino oltre 35 mila coreani, 8 mila giapponesi, più di 10 mila tra cinesi e singaporesi l’anno. E allora, dato che l’Olocausto, nell’immaginaa nuova Auschwitz rio del mondo, ha assunto ormai le semè possibile. Non bianze di Auschwitz, cosa vedono i visitapotevano pensare, tori? Che tipo di messaggio ed emozioni e tantomeno im- viene loro trasmesso? E soprattutto, cosa maginare, i soldati vedranno nel prossimo futuro? Perché, ed dell’Armata Rossa è questa la notizia, il museo simbolo di che nella loro mar- quello che Hannah Arendt (in una lettera cia verso Berlino, il all’amico Sigmund Neumann) chiamava il 27 gennaio 1945 “male radicale”, mentre altri pensatori scoprivano l’esistenza del lager in Alta Sle- parlavano di “una realtà inenarrabile”, sta sia, che quel luogo sarebbe diventato il sim- per cambiare pelle e adattarsi alle nuove bolo della Shoah e l’icona della Memoria. sensibilità. Sensibilità, frutto non solo delAvevano visto ben peggio, e prima, i mili- la ricerca storica più recente, ma prima di tari sovietici: Treblinka, campo di stermi- tutto del passaggio delle generazioni. nio dove 900 mila ebrei sono passati diret- Piotr Cywinski, 39 anni, intellettuale cattotamente dai treni alle camere a gas; Sobibor lico impegnato nel dialogo tra le culture
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La sera ai cancelli di Auschwitz, dopo una commemorazione. Nell’altra pagina: Adolf Eichmann, responsabile della “soluzione finale”
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CULTURA e le religioni, infanzia e studi tra Francia e Svizzera, da quattro anni dirige il museo. Ha preso tempo. Ha cercato di ascoltare, imparare, di non agire senza la necessaria ponderazione. Nel suo ufficio dentro il campo (le persiane chiuse, quasi per lasciare tutto lo spazio all’immaginazione) dice: «Sessantasei anni, quanti sono passati dalla liberazione, sono lo spazio di tre generazioni. E qui tra poco, tra i visitatori ci saranno i nipoti di gente nata dopo la Shoah». Aggiunge: «Dato che la memoria familiare dura non più di tre generazioni, quel tipo di memoria è in pratica estinto». Sentita la domanda, come preservare il ricordo senza più testimoni (gli ultimi stanno per passare alla miglior vita: è la legge della natura), Cywinski tace per un attimo, e poi si lancia: «Guardi, che i veri testimoni non li abbiamo mai sentiti parlare: perché sono coloro che non ce l’hanno fatta. I veri testimoni sono diventati cenere nei forni crematori. Chi è sopravvissuto ha raccontato quello che voleva ricordarsi». Cywinski riformula la tesi (davvero radicale) di Primo Levi de “I sommersi e i salvati”, sull’impossibilità di testimoniare fino in fondo, o se vogliamo della intrinseca inattendibilità del “reduce”. Il grande scrittore si suicidò. Oggi, quella sua tesi sta per diventare il leitmotiv del luogo di memoria per eccellenza. Ma per comprendere meglio la portata del-
Con Lanzmann nella Shoah È un’opera cinematografica di nove ore e mezza, girata da Claude Lanzmann, e che segna una vera svolta nella percezione della Shoah. È intitolata appunto “Shoah”, termine ebraico per lo sterminio e la catastrofe e che a partire dall’uscita di quell’opera, nel 1985 rimpiazza nel linguaggio popolare la parola Olocausto (a sua volta introdotta da Elie Wiesel). Ora “L’espresso” e “la Repubblica” la propongono ai lettori, in occasione della Giornata delle memoria, in due doppi Dvd. La prima uscita è il 26 gennaio, la seconda il 2 febbraio - il prezzo è di 9,90 euro in più. Il film è fatto quasi esclusivamente di testimonianze, principalmente di sopravvissuti alla Shoah, che Lanzmann aveva raccolto dopo anni di ricerca (ha cominciato nel 1974) in 14 paesi. Ma il film non solo segna una rivoluzione per la rappresentazione della Shoah al cinema, ma influenza persino il dibattito storiografico sul tema. Si tratta infatti del più grande documentario mai girato sulla storia contemporanea. Nei Dvd parlano: i sopravvissuti, i testimoni, i carnefici. Ci sono i volti, le parole, le storie. E le domande di un uomo (Lanzmann). Sullo sfondo: in una quiete sconvolgente, i luoghi dello sterminio come sono oggi. I Dvd contengono sia la versione originale, con sottotitoli, sia la versione doppiata in italiano. Ha detto Simone De Beauvoir: « C’è della magia in questo film, e la magia non si può spiegare. Abbiamo letto, dopo la guerra, un gran numero di testimonianze sui ghetti, sui campi di sterminio; ne eravamo sconvolti. Ma oggi, vedendo lo straordinario film di Claude Lanzmann, ci accorgiamo di non aver saputo niente».
Un ragazzo ebreo ungherese, appena arrivato ad Auschwitz. A fianco: una camera a gas. In alto: gli edifici del lager. Nell’altra pagina: i gemelli su cui faceva gli esperimenti il dottor Mengele
la rivoluzione in atto occorre fare un passo indietro. Cywinski cerca di essere diplomatico: «L’attuale mostra permanente è nata dieci anni dopo la fine della guerra, e risente l’atmosfera di quegli anni, gli anni Cinquanta (la migliore guida al museo è stata appena pubblicata in italiano: Carlo Saletti e Frediano Sessi, “Visitare Auschwitz”; Marsilio, ndr.). Gli ex detenuti volevano rendere indelebili le esperienze che hanno vissuto sulla propria pelle: era il dolore che volevano esprimere». Tradotto in parole
Non più lotta tra il Bene e il Male. La futura mostra permanente punterà a sensibilizzare le coscienze individuali
povere, Auschwitz, fino a pochissimi anni fa è stato un luogo di guerra delle memorie, spesso di manipolazione politica. La mostra del 1955 presenta un mondo in bianco e nero: da un lato il martirio e l’eroismo dei buoni, condito con retorica antifascista del periodo; dall’altra i boia, l’incarnazione di ogni male. E tante vere e proprie reliquie, esposte nelle teche: capelli, occhiali, valigie, scarpe. Molto orrore (qualcuno, tra i discendenti delle vittime arrivò a parlare di un “lunapark degli orrori” e chiederne la
chiusura) e poca riflessione. E poi, la questione che sembra paradossale: Auschwitz è luogo di memoria della Shoah o degli antifascisti? Dei polacchi o degli ebrei? E basti pensare che il 19 aprile 1967, inauguran-
IN PRINCIPIO FURONO I MALATI DI MENTE di Marco Paolini Il testo che pubblichiamo qui sotto è stato scritto per “L’espresso” da Marco Paolini che sarà protagonista la sera del 26 gennaio a La7 di una serata evento dedicata alla Giornata della Memoria. Tra il 1939 e il 1945 nel territorio del Reich furono ammazzati centinaia di migliaia di cittadini tedeschi, persone disabili e malati di mente. Le prime vittime del nazismo furono loro: prima degli ebrei, prima degli zingari, prima degli omosessuali. Prima di tutti, furono passati per il camino i propri figli mal riusciti, in un miscuglio di ragioni razziali pseudoscientifiche ed economiche, mai dette apertamente però sapientemente indotte: forse anche per questo, ciò che accadde per mano di pochi, accadde sotto gli occhi di tutti. Uccisi da medici o per ordine di medici, da persone impiegate in luoghi che dovevano curare. Oggi ne sappiamo molto di più di quel che successe durante il nazismo. Sappiamo i metodi usati per
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uccidere, sappiamo i colpevoli, sappiamo i grandi numeri. Se si vuole si possono anche trovare informazioni sul diametro dei tubi dove passava il gas, sul tipo di raccordi usati per unire tra loro i tubi. Però la storia dello sterminio dei disabili e dei malati di mente è stata tenuta nascosta fino a pochi anni fa. Persone che non hanno avuto parola e che per molto tempo non hanno avuto nemmeno considerazione: perché erano “meno”. È la storia di uno sterminio di massa, conosciuto come T4, dove T4 sta per Tiergatenstrasse 4, l’indirizzo dell’ufficio di Berlino che governava una macchina di medici, infermieri, psichiatri, impiegati che nella Germania nazista hanno soppresso 300 mila (almeno) “vite indegne di essere vissute”. Perché? Forse perché rallentavano la marcia del Terzo Reich. Cominciarono a morire per primi, prima dei lager, e continuarono a morire per ultimi, fino a dopo la fine della guerra. La medicina, i medici, sono tra i protagonisti della storia che racconto: ma medici,
L’espresso
Foto: Calimero, B. Cannarsa - Opale / LuzPhoto
In anteprima: il monologo di un grande del teatro
do il “monumento internazionale” nel campo, l’allora premier polacco parlava della resistenza, della fratellanza dei popoli, del martirio dei polacchi, ma non dell’Olocausto e degli ebrei. Si era in guerra
psichiatri, tedeschi e italiani sono coloro che a partire dagli anni Ottanta hanno fatto emergere i fatti e permesso a questa storia di emergere, storia tedesca ma che ha riguardato anche l’Italia, storia di ieri ma che fa pensare a oggi, storia con poche storie, difficile da narrare, difficile da ascoltare. Hitler prende il potere in Germania nel ’33, e in 12 anni succede tutto, ma questa storia comincia prima, perché i dottori dell’eugenetica hanno cominciato il loro lavoro prima, alla fine della “Belle époque”. Forse non c’è mai stata altra epoca in cui gli scienziati sono stati così gran sacerdoti della vita delle persone. Perché le città si illuminano di luce delle lampade a gas, girano le automobili, la medicina fa passi da gigante. L’idea di difesa della razza non è un parto della sola filosofia tedesca: tutti discutono sulle teorie dell’ereditarietà e sull’evoluzione delle specie. il primo paese al mondo che applica la neonata “scienza” eugenetica è l’America! Tra la fine dell’Ottocento e il 1924 tutta una serie di Stati americani adotta leggi sulla sterilizzazione obbligatoria. In quel momento gli Stati Uniti sono il paese più avanzato nella frontiera della dura lotta per avere figli belli, sani e forti. E in Europa un politico che sta muovendo i primi passi se ne accorge: Adolf Hitler. Nel 1920 in
27 gennaio 2011
fredda e alla vigilia della rottura di ogni rapporto tra i paesi dell’area sovietica e Israele. Ma non è solo la percezione soggettiva di chi si è voluto o dovuto confrontare con Auschwitz ad aver permesso tante e opposte chiavi interpretative. È la struttura e la storia del lager ad averlo, per così dire, favorito. Nato nel 1940 come un campo di concentramento per prigionieri politici polacchi, solo negli anni successivi Auschwitz diventa anche un campo di sterminio, un luogo in cui i deportati vanno nelle camere a gas, senza lasciare traccia, senza neanche essere registrati, senza nemmeno avere un numero tatuato sul braccio. E poi, c’era anche un campo di lavoro, a Monowitz. «Questa triplice funzione del lager»,
Germania viene pubblicato un piccolo libro “Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens” (il permesso di annientare vite indegne di vita). Lo scrivono un medico e un giudice. Vite indegne di essere vissute: ma quel libro non era l’unico in circolazione; c’era un pensiero che alzava la voce e arrivava da lontano, da oltre oceano, da oltre l’inizio del Novecento. Nella terra dei poeti e dei musicisti, quel pensiero diventa eliminazione; altrove, in altre civilissime nazioni, prima che lì cominciasse e per molti anni dopo che lì tutto fu finito, si manifestò con la sterilizzazione forzata di centinaia di migliaia di persone. Quasi sempre di donne. Autorevoli uomini di scienza parlano di prove certe dell’ereditarietà delle malattie mentali e propongono di eliminare un milione di psicopatici. Il pregiudizio diventa legittimo perché la scienza lo avvalora. Difficile opporsi. Il tempo stimato perché le sterilizzazioni producano il loro effetto è troppo lungo. Il problema razziale aveva la massima priorità: l’attività assistenziale a favore dei soggetti deboli doveva cessare per lasciare spazio alla tutela della salute della popolazione sana. E nel 1939 si cambia. Ciò che per gli inglesi era “to eradicate illness”, sradicare la malattia, per i tedeschi diventa “ausmerzen”: sopprimere i deboli. E come lo si fa? Con una
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CULTURA spiega lo storico israeliano-tedeChi andrà a visitare sco Dan Diner, tra i massimi esperti della materia, «ha fatto sì questo luogo non che ci fossero tanti ricordi e infi- potrà non reagire nite possibilità di declinarli». ai genocidi e al Ma tutto questo è ormai passato. E così il direttore Cywinski razzismo di oggi può parlare di una nuova normalità di quel luogo fin troppo simbolico. «Non deve essere un’icona Auschwitz», dice, «dev’essere invece un prisma attraverso cui saranno le foto, portate via dal vedere l’Europa e la sua storia, ma anche lager dalla prigioniera Lili Jauno strumento per prepararsi ad agire nel cob, ritrovate decenni dopo (in mondo di oggi e avvenire». Ecco dunque Italia pubblicate in “Album Auche al centro della nuova mostra («Che schwitz”, Einaudi). Sono imsperiamo di cominciare ad allestire tra due magini scattate dalle Ss tra il anni, per finirla in cinque: è un lavoro fa- maggio e il giugno 1944 e che ticoso, complesso che coinvolge decine di documentano il cammino verso esperti») ci sarà la questione della «re- le camere a gas. Accanto ci sasponsabilità personale». Il percorso attra- ranno le poche foto scattate severso il lager sarà articolato in tre tappe. gretamente da alcuni membri di «La prima avrà al centro», dice Cywnski, Sonderkommando, ebrei ad«Auschwitz come progetto». Si parlerà di detti a ripulire le camere a gas e architetti, ingegneri, elettricisti, artigiani, a incenerire i corpi: quelle foto gente comune che viene coinvolta nella sfocate, con l’obiettivo messo in costruzione di un luogo, e che «non si po- perpendicolare - testimoniano ne la domanda a che cosa servono le strut- gli ultimi istanti delle vittime. E ture che ciascuno di questi uomini e don- neanche Cywinski trova le pane contribuisce per edificare». Si noterà role per descriverne l’impatto che le sorveglianti (e lo si vede nelle foto emozionale. E poi la terza taprecentemente scoperte) erano «delle belle pa, «che sarà la narrazione del campo. Si ragazze, che potrebbero essere figlie di cia- parlerà non delle vittime e dei carnefici, scuno di noi». La seconda parte parlerà del bene e del male, ma della vergogna della Shoah, ossia della distruzione. Sì, ci (concetto chiave di Levi), del degrado, delsaranno ancora le valigie e le scarpe («Le la “disumanizzazione” delle persone, o scarpe suscitano emozioni fortissime nei meglio di quello che io chiamo “l’asse del visitatori»), ma in un contesto diverso; comportamento umano», dice Cywinski. perché il cuore di quella parte della mostra E prosegue: «La mostra deve preparare organizzazione, l’inganno e il consenso. Si comincia coinvolgendo le persone di fiducia, i medici di famiglia, convincendoli che esiste la possibilità di curare le persone affette da disabilità, anche gravi, e proponendogli di intervenire presso le famiglie affinché si affidino alla sperimentazione di queste nuove cure sui loro figli. Alla base ci sono i medici a cui arriva una comunicazione, al vertice la volontà del Führer di fare “ausmerzen”. In mezzo ci vuole qualcosa, una macchina: si chiama T4, una macchina leggera in grado di applicare su larga scala una eutanasia di Stato a tutta una serie di parassiti. L’inganno: nessuna persona è stata soppressa senza che accanto all’eutanasia ci fosse la firma del genitore. Una volta avuta la firma arrivava quasi sempre in breve tempo una lettera che informava che il congiunto, in base al progetto di pianificazione economica e alle misure di sgombro veniva trasferito in un altro ricovero secondo la direttiva del Commissario di Difesa del Reich. E da questo alla morte il passaggio era brevissimo. E la macchina si mette in movimento, con una particolare attenzione per i bambini. Al loro arrivo vengono spogliati, visitati, lavati... muoiono col gas, ma muoiono anche coi farmaci. Chiamano tutto questo “trattamento”. Sono molte le parole usate per chiamare qualcosa senza dirlo, neanche a se stessi. Tutto
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Il mio vicino, il carnefice
La nuova Auschwitz è possibile, perché è cambiata la storiografia. Valgano due esempi: in “Bloodlands. Europe between Hitler and Stalin”, l’americano Timothy Snyder colloca la Shoah nel quadro di massacri perpetuati in varie forme tra Polonia, Ucraina, Bielorussia, Russia, a partire dagli anni Trenta. Nel fondamentale “Lo sterminio degli ebrei. Un genocidio” (Einaudi), l’inglese Donald Bloxham parla della Shoah come del culmine di genocidi iniziati nell’Ottocento. Spiega Diner: «La Shoah segna una crisi epistemologica dell’Occidente, rende inutili gli strumenti del sapere. Allora, per poter razionalizzare Lo storico Dan Diner. l’inspiegabile, usiamo termini geneIn alto: Piotr rici come “genocidio”. Ecco perché Cywinski, direttore del Auschwitz muta, ma va bene così, Museo di Auschwitz. non possiamo vivere senza parole». Al centro: le scarpe in una teca. In basso: A pochi chilometri da Auschwitz, Marco Paolini ecco il campo di Birkenau. Il cancello, i binari della ferrovia. A destra e soldati e poliziotti israeliani: esempi di co- a sinistra i resti delle baracche. Si percorrome la memoria serva a riflettere sul presen- no 700 metri di terra battuta. Sono i 700 te e a costruire il futuro. Fa infine (ottima) metri che hanno fatto le vittime, a sinistra impressione visitare i laboratori di restau- gli uomini, a destra le donne, appena scese ro. Vi lavora una quarantina di giovani che dai treni. In fondo, prima della linea delle preferiscono conservare - usando strumen- betulle (Birkenau vuol dire luogo delle beti tecnologici all’avanguardia - vecchie tulle) l’enorme monumento: pietre, massi e scarpe e carte ingiallite («Non è feticismo, scritte multilingue che parlano della memosono documenti di storia»), piuttosto che ria. A destra e a sinistra: le macerie dei crerestaurare i dipinti di Velázquez. I capelli matori, fatti saltare in aria dai tedeschi in invece, sulla cui permanenza nelle teche fuga. A fianco, da ciascun lato, simmetriche avevano da ridire i figli e i nipoti delle vitti- come le macerie, quattro lapidi: parlano me? «Abbiamo deciso di lasciarli deperire, delle ceneri sparse. E qui finisce la parola. fra vent’anni non ci saranno più». Restano solo le lacrime. ■
Non c’è solo Auschwitz. Per l’ebraismo polacco, 3 milioni dei 6 milioni di vittime della Shoah, è Treblinka il sinonimo dell’Olocausto. Qui a partire dal luglio 1942 e fino all’autunno del 1943, morirono circa 900 mila persone, tra le quali quasi l’intera popolazione del ghetto di Varsavia. Ora Treblinka è diventata il pretesto per una polemica che sta sconvolgendo la Polonia. Il libro in questione (non ancora pubblicato, ma già oggetto di decine di articoli e trasmissioni tv) è intitolato “La mietitura d’oro”, uscirà a febbraio e lo ha scritto Jan Tomas Gross, professore di storia a Princeton. Gross è partito da una foto, pubblicata, su “Gazeta Wyborcza”, in cui si vedono decine di persone, a Treblinka, intente a scavare nel terreno. Sono i contadini della zona. E stanno cercando monete d’oro, brillanti, e altri preziosi, gettati via dagli ebrei avviati alle camere a gas. Gross indaga sulla complicità dei polacchi nella persecuzione e uccisione degli ebrei durante l’occupazione nazista. La sua tesi è che per la società polacca, gli ebrei sono stati fonte di reddito: quelli che venivano nascosti pagavano prezzi esorbitanti; quelli che venivano consegnati ai nazisti o uccisi, prima erano derubati. E i nazisti pagavano pure i delatori. La destra accusa Gross di “pregiudizi anti-polacchi”. Secondo Cywinski, il direttore di Auschwitz, Gross «esagera». Lo storico non è nuovo a questo tipo di polemiche. Dieci anni fa pubblicò un libro, “I carnefici della porta accanto” (Mondadori), in cui rivelava come nel villaggio di Jedwabne, nel 1941, furono i vicini polacchi e non i tedeschi (come diceva la storia ufficiale) a bruciare viva l’intera popolazione ebraica del luogo. Ma il principale merito dell’opera di Gross, è comunque, far capire, come in certe condizioni, ognuno può diventare un carnefice.
nell’immediato a visitare il lager di Birkenau, accanto». Ne parleremo. «In assoluto deve essere uno strumento affinché chi è venuto qui sia capace di porsi domande e reagire, quando tornato a casa vede alla tv scene di genocidio nel Darfur o sente un discorso razzista contro i rom». E qui siamo alle riflessioni della
veniva riciclato, dai vestiti ai denti d’oro, come poi nei campi di sterminio. Ma io sono giunto alla conclusione che molto spesso la cosa più preziosa non era in ciò che indossavano, ma in qualcosa che avevano dentro. Mai la scienza medica ha avuto a disposizione per la sperimentazione cervelli umani, parti anatomiche, come quelle che mettevano a disposizione le pratiche di eutanasia fornendo corpi caldi. Nel primo ventennio del secolo scorso la medicina tedesca era all’avanguardia nel mondo soprattutto per lo studio nelle scienze neurologiche. I cervelli freschi e i corpi sezionati per le tavole di anatomia, i corpi dei pazienti con patologie che non erano mai state osservate su corpi vivi o appena morti, sono fondamentali per studiare sindromi o malattie sconosciute. I loro scopritori conoscevano l’origine della materia sulla quale esercitavano le loro ricerche e in molti casi identificavano tra tanti il caso per loro scientificamente utile… Siamo grati a chi ha fatto il vaccino per la tubercolosi, ma a chi ha fatto da cavia credo dovremmo qualcosa. Come è possibile che tanti uomini di scienza abbiano visto da vicino quello che stava accadendo senza che tanta scienza intaccasse una coscienza? Ci sono medici che hanno esercitato il proprio dissenso senza essere perseguitati, ma sono
L’espresso
Arendt sul processo Eichmann che le costarono l’ostracismo di una buona parte del mondo ebraico. Intanto già oggi ad Auschwitz molto è cambiato. Si parla apertamente di soldi (la Germania sta donando 60 milioni di euro: l’obiettivo è ottenerne 120 milioni per assicurare un degno futuro). E anche le 260 guide d’ora in poi non saranno tradotte, ma dovranno parlare direttamente la madre lingua del gruppo di visitatori: «L’idioma del cuore, senza mediazioni». E ancora: il campo viene visitato da detenuti polacchi, insieme agli agenti penitenziari. E ci sono
pochi. Gli altri andarono, come funzionari obbligati a obbedire. Improvvisamente nell’agosto del 1941 Hitler cambia idea e T4 finisce. Ufficialmente… in due anni ammazzano 70 mila persone: 5 mila bambini e il resto adulti, uomini e donne, disabili e malati di mente. Ufficialmente finisce T4, in realtà no. Perché ormai l’eutanasia di Stato è incorporata, solo che non serve più prelevare i bambini dalle famiglie. Orfanotrofi e manicomi sono pieni. Non c’è più
bisogno del gas, ma nei manicomi continuano a morire, contribuendo alla “mission” di ridurre il costo economico di queste persone parassite rispetto al prodotto interno lordo di un paese impegnato in conflitti esterni.E ne moriranno tre volte tanti. Il processo su T4 si aprì a margine del processo di Norimberga, Alice Ricciardi Von Platen fu uno dei periti incaricati dall’Ordine dei medici di accertare, ricostruire, documentare. Fece questo lavoro e cercò di pubblicare, ma dopo la guerra nessuno, nemmeno l’Ordine dei medici aveva voglia di ficcare il dito nella piaga. Solo nel 1993 il suo “Il nazismo e l’eutanasia dei malati di mente” (Le lettere) viene letto e diffuso come un bestseller. Questa storia non esce quasi mai quando si fanno le Giornate della memoria, perché l’altra è più grande. Questa resta minore, quasi storia non degna di essere narrata. Gli psichiatri hanno avuto il merito di aver rotto il silenzio su questa storia mettendosi in discussione. Anche i medici dovrebbero farlo, anche gli scienziati dovrebbero farlo, anche ognuno di noi dovrebbe almeno conoscerla.
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CULTURA
Ambiguo come il suo nuovo film. Sexy suo malgrado. Duro sul lavoro. L’attore svela il segreto del successo DI SIMONE PORROVECCHIO
on si può dire che non sia strana, la strada che ha portato Javier Bardem a diventare uno dei divi più sexy della sua generazione. Negli ultimi anni il quarantunenne attore spagnolo è stato un omosessuale malato di Aids, un quadriplegico in lotta per la dignità e un agghiacciante serial killer da Oscar. E adesso che arriva in Italia, il 4 febbraio, nei panni di Uxbal, lo sfortunato gangster di “Biutiful” del messicano Iñárritu, questo sexsymbol “malgré soi” brilla più che mai, in un ruolo che gli ha già fatto vincere la Palma d’Oro a Cannes e che potrebbe portargli anche un nuovo Oscar. Bardem, recentemente consacrato a divo planetario anche dal matrimonio con Penelope Cruz, torna con quello che è forse il migliore ruolo di una carriera lunga 23 anni. Prima di diventare attore è stato giocatore di rugby a livello agonistico, e questo spiega in parte lo stile inimitabile con cui interpreta i suoi personaggi: una carica sensuale fisica potente ma anche emotiva, virile ma anche fragile. È forte il suo corpo massiccio, oggetto di desideri di donne e uomini che vorrebbero emularlo o averlo, ma è anche capace di ipnotizzare lo sguardo dello spettatore con la sola postura o con la precisione di un gesto. Anche fuori dal set, Bardem è un uomo che non nasconde le emozioni, come quando compare accanto alla moglie: poca scorza hollywoodiana, molta complicità di marito innamorato. Per la Spagna passata troppo presto dal boom della movida alla crisi, i due attori sono una boccata d’aria: una coppia da sogno ma autentica e seria. Che unisce divismo hollywoodiano e professionalità. Diversamente da molti altri attori, a Bardem non piace corteggiare la stampa con la storia dei suoi ardenti sacrifici per un ruolo. Non parla volentieri di talento, questo divo nato alle Canarie, ma di volontà e passione. «Per “Biutiful” ho dovuto per-
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dere 15 chili. È solo una forza di volontà d’acciaio a fare un attore». Il suo sex appeal nasce con cineasti come Bigas Luna e Almodóvar che in lui vedevano il simbolo del nuovo maschio. Ma i suoi film più recenti sono tutti centrati sulla difficoltà di scrollarsi di dosso quell’immagine che, ad esempio, è rimasta appiccicata al collega Antonio Banderas. Con intelligenza, curiosità intellettuale, una passione per la ricerca «anche ossessiva», Bardem è riuscito invece a imporre una svolta alla sua carriera e ad arricchire il suo talento. Capolavori come “Amores Perros” di Iñárritu e “Prima che sia notte” di Julian Schnabel, con Bardem protagonista, entrambi del 2000, hanno inaugurato il Ventunesimo secolo al cinema, e trasformato Iñárri-
tu e Bardem, appunto in due cineasti di culto. Qualcuno dice che sono stati due film che per certi versi hanno rinnovato il linguaggio del cinema. Un’esagerazione? Forse. Comunque, l’attesa per “Biutiful”dove i due lavorano insieme per la prima volta, era grande. Ma non è stato il nome e la fama del regista ad attirare l’attore: «La decisione di fare questo film è nata esclusivamente dal materiale che mi sono ritrovato tra le mani. È stata la complessità di Uxbal, il personaggio “multistrato” che interpreto, a conquistarmi». Se Iñárritu, dopo “Babel” e “21 Grammi”, è un maestro nel raccontare storie complesse che si incastrano l’una nell’altra (vedi box), Javier Bardem ne affronta le difficoltà, in un ruolo contraddittorio e ambiguo. Uxbal è un gangster, uno sfruttatore di infelici, ma è anche un malato di cancro e un padre che nell’ultimo scorcio di vita cerca di dare un senso all’esistenza sua e dei suoi bambini. L’unica cosa ironica nel film è il titolo: “Biutiful” è un affresco a tinte fosche ambientato in una Barcellona come non l’abbiamo mai vista, sporca, corrotta, gremita di disperati. «L’immagine dell’inferno
Foto: Everett - Contrasto (3)
Biutiful Bardem
sulla terra», osserva l’attore, «anzi, un inferno nel cortile di casa nostra». E la morte, il tema centrale del film, attraverso gli occhi di Uxbal il personaggio di Bardem, diventa palingenesi, momento di purificazione e di rinascita morale. «Il valore che la morte assume nell’esperienza di Uxbal non corrisponde all’idea che ne ho io», dice Bardem, «nonostante ciò, faccio un lavoro che mi costringe a fare mia quell’idea». E qui spiega come si diventa davvero attori di culto, o meglio capaci di tutto. «Il dono (o la maledizione) di fare questo mestiere è che si è obbligati, senza pietà né sconti, a vedere il mondo con gli occhi altrui». Bardem distingue l’esperienza razionale dal coinvolgimento emotivo: «Tutti ascoltiamo i notiziari, leggiamo i giornali, osserviamo la sofferenza e ci sforziamo di darci un’idea del mondo. Ma un attore ha l’obbligo di sentire le cose, non solo di conoscerle». Recitare è quindi conoscenza, ma filtrata dalle emozioni. «E grazie alle emozioni che sai suscitare ed evocare che il pubblico ti segue». Ma c’è anche il lavoro collettivo sul set: «Iñárritu e io ci siamo tenuti per mano e abbiamo scalato la montagna più alta della nostra carriera», racconta Bardem, «ci siamo sorretti a vicenda, sapendo che sarebbe stato un viaggio lungo e incerto». Il poeta omosessuale cubano Reinaldo Arenas di “Prima che venga la notte”, l’indimenticabile Ramón Sampedro in lotta per il diritto a morire de “Il mare dentro”, fino all’ultimo grande ruolo, lo psicopatico Anton Chigurh di “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Coen: qual è il momento decisivo nella scelta di un ruolo? «È difficile rispondere con uno schema», risponde Bardem, «succede. E succede che si scelga un ruolo perché il personaggio ti trascina. Ma il
punto è che questa forza di attrazione scaturisce per me solo con personaggi che sono la sintesi di pulsioni GUARDA diverse e oppoIL FILMATO ste. Sono queste Fotografa questo le cose per cui codice e vedi vale la pena fare il video sul tuo cellulare. fatica». ObieA pagina 26 zione: in “Non è Javier Bardem in tre immagini da “Biutiful” le istruzioni per un paese per vecattivare il servizio chi”, il film che “Biutiful”, invece, per l’attore è un viaggli ha portato gio da fare con coraggio: «È inutile defil’Oscar, e dove Bardem si esibisce in una nirne un aspetto, dare un nome a un pardelle sue interpretazioni più convincenti, ticolare: ne sminuirebbe il valore. Il viagil ruolo che recita è semplicemente di un gio o lo fai tutto o non lo fai. Spero che serial killer, uno che ammazza a sangue il pubblico sia pronto». Finora è stato freddo, niente complessità né ambivalen- pronto. Ma Bardem sdrammatizza e sottoza. «È vero», ammette l’attore, «all’appa- linea l’importanza del caso. Insiste che la renza quello era un ruolo piatto. Ma era sua vita e la carriera devono molto alla prima di tutto una pellicola dei Coen, e fortuna. «Ci sono stati grandi attori che per di più tratta da uno sconvolgente ro- non sono mai stati riconosciuti come tamanzo di uno scrittore come Cormac li e altri che non lo saranno mai. Altri anMcCarthy. Quel film, sembra, ma è pieno cora, me incluso, che vengono apprezzadi cose che non si vedono, e che si fanno ti. Ma solo scoprendo la propria fragilisentire solo sotto la pelle». tà apri la porta sul senso delle cose». ■
STREGATI DA ALEJANDRO «Tolstoj diceva che è la felicità a rendere unite le famiglie. Per la mia esperienza di vita penso che non fosse molto in sé mentre scriveva una cosa del genere. Sono la miseria, il male e la sofferenza a unire gli uomini, le famiglie, le coppie: non certo la gioia, che per sua natura è volatile». Con queste parole il regista messicano Alejandro Gonzáles Iñárritu spiega la sua poetica. Una poetica costruita nell’indimenticabile trittico formato dai suoi primi film, scritti dal fedele sceneggiatore Guillermo Arriaga e noto come “trilogia della morte”: “Amores Perros” (2000), “21 grammi” (2003) e “Babel” (2006). Sono pellicole caratterizzate dall’intreccio di vicende diverse, non sempre contemporanee ma legate da un’unica,
terrificante drammaticità. I toni cupi del cinema di Iñárritu conquistano subito la critica, ma hanno anche un notevole successo popolare. “Amores Perros” è nominato all’Oscar come Miglior film straniero e al Festival di Cannes del 2000 vince il premio dei critici: tanto che il regista prodigio viene invitato a collaborare con “11 settembre 2001”, film collettivo dedicato all’attacco al World Trade Center cui partecipano star del livello di Ken Loach, Amos Gitai, Claude Lelouch e Danis Tanovic. Poi Iñárritu va ad Hollywood, dove gira “21 grammi” con Benicio Del Toro, Naomi Watts e Sean Penn. Con “Babel”, interpretato da Brad Pitt, Gael García Bernal e Cate Blanchett, si aggiudica nel 2006 il premio alla regia di Cannes. Ora “Biutiful”: una sola storia, un solo protagonista, ma la stessa drammaticità e complessità dei film precedenti. Oscar Cosulich
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CULTURA Lo spettacolo “La boxe”. In basso: il regista Ricardo Bartis
Maradona fa molta scena Teatro e calcio. Due passioni dell’argentino Bartis. Che dopo una pièce sulla boxe, si ispira al giocatore DI RITA CIRIO
osteneva il grande e longilineo Vittorio Gassman, palesemente contro il suo interesse, che i grandi attori di teatro e i grandi calciatori avevano in comune una particolarità fisica: il baricentro basso. Funzionale a teatro per ragioni di prospettiva, nel calcio per prossimità e consustanzialità con il pallone. Basti pensare a Maradona. E di Maradona parla anche Ricardo Bartis, carismatico regista argentino in trasferta a Venezia per un laboratorio della Biennale Teatro nella restaurata e splendida sala delle colonne di Ca’ Giustinian. Il direttore, il catalano Alex Rigola, ha convocato sette registi di sette diversi paesi intorno al tema dei sette peccati capitali sollecitandoli, al di là dei laboratori specifici, a esporsi ed esprimersi, con gli allievi selezionati da tutto il mondo, ognuno su una propria passione, oltre il teatro. Per Bartis - così come fu per Carmelo Bene - la passione è da
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sempre e resta il calcio, al punto di aver chiamato il suo teatro di Buenos Aires Sportivo Teatral. Perché attraverso lo sport, ha dichiarato Bartis, si riesce a parlare di molto altro. Per esempio, per uno dei suoi spettacoli che si intitola “La boxe”, ha lavorato col suo gruppo sui corpi e i colpi di Stato. Non vi si parla mai né di colpi di Stato, né di patria, ma si raccontano i cinquant’anni di un boxeur. Tutto si riferisce alla boxe ma indirettamente si parla del suo Paese. Esempio di una scena che non dura più di un minuto. Una donna cinquantenne in abito da sera prende a pugni, con le mani fasciate e insanguinate, un punching-
ball: una voce fuori campo commenta sempre più confusamente e la donna si rende conto che non può più boxare perché non sa più dove sono diretti i suoi colpi. Una metafora di quello che accade in Argentina, spiega Bartis: il corpo sociale non sa più dove andare, è sballottato da informazioni contraddittorie. E la messinscena racconta così molto di più di tante parole solenni. Ma tornando al calcio e a Maradona, «una miscela di idiozia e di finezza da intellettuale», Bartis lo vede come la metafora stessa della sua Argentina, che ha toccato il fondo per poi risorgere: ricorda la tristezza diffusa e plumbea in città quando si seppe di Maradona e la cocaina, una tristezza e un silenzio paragonabili a quelli di Venezia con le sirene per l’acqua alta un metro e 45 centimetri. Ma nessuno ha reso felici gli argentini come Maradona nell’epoca d’oro, quando era il loro idolo plebeo: che però ha saputo chiedere scusa per aver deluso il credo popolare in lui. Bartis gioca a calcio da quando era bambino. Racconta della «forza del plurale» che gli ha regalato quel gioco, il senso della collettività, della squadra - che ovviamente fa bene anche a teatro: si può perdere, fa male, ma resta il piacere di giocare insieme. Ed evoca “Amarcord” di Federico Fellini, quando un vecchio si perde nella nebbia, si spaventa e poi torna assieme agli altri. Succedeva così nei cortili di Buenos Aires, artigianali stadi notturni, la palla fuggiva nel buio e qualcuno a cercarla perdendosi per poi ricomparire e ricompattarsi con gli altri: «Non sono mai stato così felice come quando giocavo a calcio». ■
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CULTURA
Cesare e i suoi gioielli Ieri la sociologia di Toni Negri. Oggi la trilogia di Stieg Larsson. E l’editore De Michelis può festeggiare con i conti in attivo i cinquant’anni della Marsilio DI ENRICO AROSIO - FOTO DI ANDREA AVEZZÙ PER L'ESPRESSO
anti saluti al rococò: venerdì 28 gennaio il Teatro La Fenice apre la stagione ripescando, dall’olocene dell’avanguardia, “Intolleranza 1960”, azione scenica di Luigi Nono che fece scalpore nell’Italiuccia di Gronchi e Tambroni. Al ritorno in scena dell’opera engagée ispirata dallo slavista Angelo Maria Ripellino, ricca di suggestioni pacifiste e libertarie da Majakovskij a Eluard ai patrioti algerini, si abbina una mostra a tema ospitata dalla Fondazione Vedova, per la gratitudine della formidabile Nuria Schoenberg, vedova del compositore. Non ci poteva essere modo più spiazzante (non si tratta di una serata-Telegatti condotta da arrampicatrici in guêpière) per festeggiare a Venezia i 50 anni di vita della Marsilio Editori. E l’idea è sua, di Cesare De Michelis. Colui che alla laurea ricevette dal papà ingegnere non un’Alfa Romeo ma un pacchetto di azioni di una minuscola casa editrice. Ne ha fatta di strada e di fatica, De Michelis, 67 anni, italianista, per mantenere in Laguna un presidio di cultura moderna. Tutto era nato nel 1961 tra studenti dell’università di Padova, all’ombra dell’Ugi, l’Unione goliardica italiana. Inebriati di umanesimo e riformismo politico, volevano proporre saggistica d’intervento, dardi di luce tra le brume del clima post-crociano: cinema, urbanistica, sociologia, psicologia. Tra i compagni di avventura, il filosofo Antonio “Toni” Negri, e il futuro urbanista Paolo Ceccarelli. Ma anche un ambizioso fratello, il futuro ministro Gianni De Michelis. Lui, Ce-
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sare, conosceva Negri dal 1957, «aveva una morosa veneziana e già allora, brillante studioso di Hegel, era tenuto da Norberto Bobbio in palmo di mano». Strani incroci, il «socialdemocratico di destra» De Michelis e il neomarxista Negri (a quei tempi segretario Psi a Padova) che avrebbe, anni dopo, invano tentato di fargli finanziare “Rosso”, la rivista dell’eversione: «Pensare che lo incontrai per caso a Roma il giorno stesso che fuggì in Francia, dopo la condanna per banda armata, il carcere, l’elezione in Parlamento tra i radicali. Dopo il suo ritorno in Italia, non l’ho più visto». Ma non esageriamo con l’amarcord. Qui, in questa antica casa gialla a Dorsoduro sul retro di un corroso palazzetto del Cinquecento, immerso tra i suoi 60 mila libri, fiancheggiato dalla moglie Emanuela Bassetti, iron lady che condivide i delitti e le pene del publisher, incontriamo un protagonista dell’industria culturale del NordEst: Marsilio è dal 2000 controllata dal gruppo Rcs ma tuttora indipendente per scelte e strategie. «L’editore è un Don Giovanni», dice lui: «Scopre, seduce, vuole, rivuole, colleziona. Ma io sono uomo di radicate fedeltà, se è permesso l’ossimoro». Fedele e, talora, tradito: da autrici da
l’ingombrante Gianni che faceva il Faruk all’hotel Plaza, e quel cognome pareva una condanna. Sulle vicende del Psi, buone e cattive, l’editore mantiene il mood «dell’orfano». Ricorda: «Momenti durissimi. La Sipra ci chiuse il contratto, la Bnl ci congelò il mutuo. Per salvare la Marsilio coinvolsi una ventina di amici, tra cui Cacciari, Gianfelice Rocca, Carlo Caracciolo, Claudio Cavazza, i Coin, i Bassetti, che entrarono con 50 milioni di lire l’uno. Li rimborsai tutti, dopo l’ingresso di Rcs». Oggi i De Michelis hanno il 45 per cento delle azioni. E con il filone magico della narrativa svedese, da Henning Mankell (una quindicina di titoli, l’ultimo, “L’uomo inquieto”, ha già tirato 100 mila copie) fino a Stieg Larsson, si sono tolti belle soddisfazioni. «Io ho i piedi piantati per terra», dice, «e la fantasia che vola». De Michelis non ha mai lasciato la cattedra universitaria. Cultore di Goldoni e Ippolito Nievo, ricorda che in città si fanno libri da 500 anni, ma scandisce: «“Topia”, Lo studio privato di Cesare non utopia», o «L’editoria è logiDe Michelis. In basso a sinistra: l’editore nella stica». Spiega: «Editori nel terrisua casa di Venezia torio, ma nessun localismo nel cervello. E niente avventure folli. Il libro esiste quando arriva ai lettori giusti». Cruciali i rapporsnob». Ma non lesina compli- Cinquant’anni da editori radicati nel Nord-Est ti con le istituzioni culturali, gramenti ad autori non suoi: «Il mio zie alla sua rete di relazioni. Maramico Claudio Magris, natural- 1961. Fondata a Padova da un gruppo di universitari silio è l’editore della Biennale (ecla Marsilio Editori (Marsilio da Padova, filosofo ghibellino mente. Oppure Marco Lodoli, cetto il Cinema, che è dell’Electrecentesco). Da allora ha pubblicato oltre 6 mila titoli. Daniele Del Giudice». Tra i recenta), presieduta dall’amico Paolo 1969. Ne assume la direzione Cesare De Michelis, ti, preferisce Sandro Veronesi a italianista, a soli 26 anni. Baratta. E di diversi Musei civici, Niccolò Ammaniti. Tra i colleghi Anni Settanta. Impegno nella saggistica, sociologia, della Fondazione Venezia, della editori, ha un ottimo rapporto psicologia, urbanistica, e intervento politico. Giorgio Cini, dell’università con Gian Arturo Ferrari, l’ex Dal 1980. Superata una crisi economica, forte attenzione Iuav, di Pitti Immagine e di altri. “Prof” della Mondadori. Cataloghi e arti visive sono la alla narrativa. Collaborazione con la Biennale di Venezia. Il gusto del successo? Moderato Dal 1990. Lancio di nuovi autori, da Susanna Tamaro a quarta gamba della produzione, con brio. Ma il botto del 2009 chi Margaret Mazzantini a Gaetano Cappelli. Collana di classici. con la narrativa, la saggistica e i se lo scorda? Il fenomeno Stieg 2000. Marsilio entra nel gruppo Rcs. Narrativa italiana classici. Ci sono autori, da Kevin Larsson, il narratore noir svedese e straniera, saggistica di attualità, testimonianze. Crescente Lynch a Alberto Abruzzese, che che con la trilogia “Millennium” collaborazione (cataloghi, arti visive, università) con vengono ristampati da oltre trenha portato la Marsilio a vendere numerose istituzioni culturali. t’anni, ma anche sfide nuovissiqualcosa come cinque milioni di Dal 2007. Boom commerciale del filone Giallo Svezia, me, a cominciare dal multimecopie. Nel 2009 il fatturato è Stieg Larsson, Henning Mankell e altri. diale. Di recente è entrato in esploso, da 8 a 22 milioni di euro, 2010. Acquisto della Sonzogno. Luca De Michelis nuovo azienda, come amministratore nel 2010 è disceso a 14: «Rivince- amministratore delegato. Sviluppo dell’editoria elettronica. delegato, il figlio Luca De Michere la lotteria Larsson è impossibilis, 43 anni, una carriera da male, ma in due anni abbiamo raddoppiato anni Settanta, quando si diede alla politi- nager finanziario, da Citybank a Lehle entrate. E comunque», nota, «dall’in- ca, da assessore, poi vicepresidente della man, tra Londra e Milano. Aiuterà a tragresso di Rcs abbiamo sempre fatto pro- Biennale (e fu Emanuela Bassetti a salva- ghettare l’impresa di famiglia nell’era fitti superiori al 10 per cento». Perché De re i conti); e la seconda negli anni di Tan- post umanistica, di cui ancora non si sa Michelis è un gran galleggiatore, la Mar- gentopoli, quando gli avevano sprayato quanto sarà verbale, basata sulla parola, silio un Kon-Tiki inaffondabile, ma lui ri- “ladro” sulla facciata di casa, omaggio e quanto iconica, basata sull’immagine. corda bene i tempi di crisi: la prima a fine «alle presunte tangenti di mio fratello», Ma questa è già un’altra storia. ■
Ghibellini e riformisti
lui scoperte e lanciate, Susanna Tamaro e Margaret Mazzantini, che lo lasciarono in malo modo, dopo i primi brillanti successi, per editori che promettevano di più, Alessandro Dalai e la Mondadori. Con la Tamaro e Dalai nel 1994 vi fu un aspro scontro, «ma con lei, diversamente da lui, siamo tornati amici». De Michelis è uomo di relazioni, a Venezia conosce tutti. Un inglese lo definirebbe forse “idiosyncratic”, un tipo peculiare con le sue intolleranze, ma mitigato dallo humour. Non ha mai amato le vanità olimpiche di Giulio Einaudi, che chiamava Adenoidi: «Mai avuto la vocazione einaudiana, non sposo le cause, ma la libertà d’idee dei miei autori». Con Massimo Cacciari (fecero la rivista “Angelus Novus” ben prima dell’arcigna fase operaista) si è intrecciato in tanti modi. «Massimo? Ha una gran testa ma è divorato dal suo stesso nichilismo. Per lui», ed ecco un ghigno da gattone, «la città ideale è quella senza abitanti…». Si diverte a pungere i nuovi eroi come Roberto Saviano: «Un Guareschi
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CULTURA CINEMA
Paradiso di ironia “Into Paradiso”. Sotto, da sinistra: “Skyline”; “Vi presento i nostri”; “Animals United”. In basso: Claudia Cardinale
ALTRI FILM VI PRESENTO I NOSTRI di Paul Weitz Terzo episodio della saga dei Focker, forse il più divertente. Ben Stiller e moglie alle prese coi loro gemelli e l’assatanata Jessica Alba. Toni da farsa scatenata con un paio di citazioni cinefile. De Niro in imbarazzo per via di un’erezione da farmaci.
film toccati dalla grazia sono rari. “Into Paradiso”, lungometraggio d’esordio della videomaker Paola Randi (nei cinema dall’11 febbraio) fa parte della categoria. Il tam tam è partito dalla 67ª Mostra di Venezia dov’è stato presentato nella sezione Controcampo italiano. Poi, come capita quando certi piccoli film riescono a intercettare l’intelligenza emotiva dello spettatore, questa commedia multietnica che affronta con mano leggera il tema drammatico dell’immigrazione, è diventata un “cult” ancor prima di arrivare in sala. Il Paradiso a cui si riferisce il titolo è un fondaco nel cuore della vecchia Napoli, nel quale si è installata la comunità srilankese. Qui finisce per caso Alfonso (Gianfelice Imparato), ricercatore fresco di licenziamento che studia il linguaggio delle cellule, divenuto per un equivoco il bersaglio della camorra e costretto perciò a rifugiarsi in una catapecchia eretta abusivamente sul tetto del fabbricato. La stessa casupola in cui è appena sbarcato Gayan (Saman Anthony), ex campione di cricket srilankese, convinto dal cugino che in Italia avrebbe trovato la Mecca, finito invece a fare da badante a una vecchia dama appassionata di telenovelas. «Credo che l’esperienza dell’immigrazione si possa ricondurre in ultima analisi a questo: una condivisione obbligata di spazi tra gente che proviene da mondi diversi», spiega la regista,
Foto: Antonelli Laruffa - Agf
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milanese che per molti anni si è occupata di cooperazione allo sviluppo. L’originalità sta nel fatto che qui la prospettiva è ribaltata, è infatti Alfonso paradossalmente a essere lo straniero nella comunità che lo accoglie. Alla coppia si aggiunge poi anche Vincenzo Cacace (Peppe Servillo), un politicante corrotto e in combutta con la criminalità, divenuto anch’egli suo malgrado ostaggio delle circostanze. Questa tragicomica convivenza a tre è il motore di un racconto alla Pennac in salsa napoletana ricco di gag, colpi di scena e invenzioni (i sogni a occhi aperti di Alfonso realizzati in animazione) tenuto insieme dall’ottimo lavoro degli attori, in primis Imparato e Servillo, e dalle musiche ethno-western di Fausto Mesolella, chitarra degli Avion Travel.
ANIMALS UNITED di Reinhard Klooss e Holger Tappe Animali guidati dalla mangusta Billy arrivano in Africa, per sfidare i potenti alla Conferenza mondiale sul clima. Un cartoon ecologista, che parla di post-colonialismo ma diverte anche. SKYLINE di Greg e Colin Strause La cronaca di un’invasione aliena sulla terra, vista da un megapalazzo di Los Angeles e attraverso le reazioni di alcuni umani. Dai registi di “Alien vs. Predator 2”, un fanta-horror ricco di tensione ed effetti speciali, malgrado il budget contenuto. F. T.
Alberto Dentice Into Paradiso di Paola Randi con Gianfelice Imparato, Saman Anthony, Peppe Servillo
Cardinale in cattedra Con Colin Firth nei panni del balbuziente Giorgio VI ed Helena Bonham Carter in quelli della consorte Elisabetta, sarà “Il discorso del re” (in sala il 28 gennaio) ad aprire a Bari la seconda edizione del Bif&st, festival internazionale di cinema e tv (22-29 gennaio). In programma, oltre a film e star internazionali, un concorso dedicato al cinema italiano della passata stagione e lezioni tenute, tra l’altro, da Liliana Cavani, Claudia Cardinale e Nicola Piovani. Il “Premio Fellini 8 1/2 ” va a Giuseppe Tornatore, con una “personale” completa (film, documentari e spot), e a Domenico Procacci. D. G.
CULTURA ARTE di Germano Celant
TELEVISIONE di Stefano Bartezzaghi
EROTISMO SENZA CENSURE
Combattiamo su La7
ra necessario un artista maschio, come Gustave Courbet per sdoganare, con “L’origine del mondo”, 1866 l’immagine della vagina. Un processo rivelatorio che è continuato con le foto intime di Man Ray e con i calchi intitolati “Foglia di vite femmina”, 1950, e “Cuneo di castità”, 1954, di Marcel Duchamp e si è radicalizzato, con un cambio di segno dal maschile al femminile, negli anni Settanta con una riappropriazione da parte delle artiste che hanno trasformato l’icona della loro sessualità in
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strumento di rifiuto e di critica della dittatura fallica sull’immaginario. Si passa così da “The Dinner Party” di Judy Chicago - dove ogni piatto era plasmato a rappresentare allegoricamente la vulva delle grandi eroine della storia da Saffo a Teodora, da Virginia Woolf a Eleonora Duse - all’ostentazione erotica del suo corpo fornito di dildo di Linda Benglis, e ai dolci portafortuna cinesi dalla conformazione vaginale usati da Hannah Wilke nelle sue sculture. Una protagonista europea di questa battaglia iconica contro l’affermazione unidirezionale della storia è stata
certamente Valie Export (1940) che sin dal 1969 ha messo al centro della sua ricerca, visiva e concettuale, la propria identità sessuale (al Belvedere, Vienna, fino al 30 gennaio). Facendo uso di vari media, fotografia, film e disegno, si è ritratta in azioni nelle quali la possibile arma d’attacco visuale coincide o con la visione della sua nudità, a gambe aperte, o con la modificazione ed alterazione ottica della sua epidermide attraverso oggetti e tatuaggi: un operare su se stessi per ottenere idee e figure dal forte impatto tanto emotivo, quanto sociale.
O CANTANTI SUL SET
ART BOX
Ferzan chiama Nina
DI ALESSANDRA MAMMÌ
Pipilotti Rist, Bill Viola, Martino Gamper, Alfredo Jaar sull’esempio di maestri insuperati come Bruno Munari) in una delle tappe che negli anni grazie alla Fondazione Marino Golinelli hanno avvicinato arte e scienza.
ARCHITETTURA
Se l’Opera è mini DI MASSIMILIANO FUKSAS Wolf D. Prix è ormai da anni orfano del co-fondatore di Coop Himmelb(l)au, Rainer Michael Holzer. Dopo anni di solitudine creativa, ma di grande produzione architettonica, Coop Himmelb(l)au ha realizzato una delle opere più piccole del suo repertorio. Qui non si è trattato di progettare torri come per la nuova sede della Banca Centrale Europea a Francoforte, o di immaginare spazi per l’educazione e la cultura come a Los Angeles, ma semplicemente un piccolo padiglione detto “21 MINI Opera Space” per l’Opera Festival di Monaco. Questa piccola sede temporanea per la Bavarian State Opera è stata realizzata a Marstallplatz. Il cliente aveva chiesto a Coop Himmelb(l)au, studio da sempre basato
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Messico e nuvole Gabriel Orozco. Fino al 25 aprile. Tate Modern Londra. È talmente giocoso, imprevedibile, a volte ironico e altre inquietante, il messicano Gabriel Orozco che gli perdoniamo anche il teschio a scacchettoni (logo della mostra)
Dopo il brano “50 mila” prestato a “Mine vaganti”, Nina Zilli tornerà a collaborare con Ferzan Ozpetek, questa volta però davanti alla macchina da presa: «Sta scrivendo una parte per me nel suo prossimo film», ha detto la cantante che a Sanremo 2010 ha vinto il premio della critica. Niente a che vedere con Cesare Cremonini prossimo protagonista del nuovo film di Pupi Avati: «Spero che sarà una parte piccola», commenta la cantante: «Non sono un’attrice, quello è un altro mestiere, non credo di essere all’altezza. Ferzan però mi rassicura, mi dice che ho talento e che lui mi aiuterà». Il film, come annunciato dal regista che sta scrivendo la storia con Ivan Cotroneo, sarà una commedia drammatica corale. Le riprese sono previste per settembre. «Ci sono quattro donne, un matrimonio e la Turchia», aggiunge la Zilli, «ed è tutto quello che so». A. Rin.
che lo fa sembrare un emulo di Hirst. Invece lui è del tutto diverso e unico. Come unici sono i suoi oggetti, video, installazioni con cui deforma, stressa, modifica la quotidianità e la trasporta nello specchio straniante dell’arte.
a Vienna, uno spazio flessibile da utilizzare principalmente come luogo di ricerca e di simbiosi tra arte e sperimentazione della musica in generale. L’interno del padiglione può accogliere fino a 300 posti a sedere e ha un palcoscenico multifunzionale. Wolf D. Prix attualmente lavora per sale da concerti in Danimarca e in Cina e lo Studio ha una buona esperienza sia per l’organizzazione dello spazio scenico che per la qualità acustica. Il padiglione è di 38.5 metri per 25.5. L’altezza arriva a 12.5 m. Nel centro di Monaco, città borghese e ricca capitale della Baviera, questo spazio non passa certo inosservato. La metamorfosi e la frammentazione quasi violenta di un parallelepipedo in freddi aculei è in netta rottura con le serene abitudini di una borghesia opulenta abbonata da decine di anni alle prime teatrali. Anche se, come ha detto Prix, «la musica che lo ha ispirato è il Don Giovanni di Mozart, ma anche le frequenze acute e testarde della canzone di Jimi Hendrix “Scuse me while I kiss the sky”».
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Foto: L. Narici - Agf, S. Campanini - Agf
Circuiti felici Happy Tech. 3-13 febbraio Palazzo Re Enzo, Bologna. 22 febbraio-31 marzo Triennale Bovisa, Milano. Contro i tanti che si divertono la tecnologia a volte mette ansia, a qualcuno addirittura fa paura, per molti è fonte di stress. Gli artisti invece puntano a trasformarla in una nuova tavolozza per sperimentare percezioni ed esperienze visive e tattili del tutto nuove. Eccole, le macchine dal volto umano costruite da menti creative e vitali (Tony Cragg, Cao Fei Vik Muniz, Tony Oursler,
tto e mezzo» è presentato da: «Hai le ragadi?». Schivando gli imponenti iceberg pubblicitari che ci separano dal Tg di Mentana, superata anche la sponsorizzazione del “Genio delle ragadi”, la linea arriva davvero a Lilli Gruber quando le “Otto e mezzo” (La7, lunven) sono passate. Il lunedì è prevista una staffetta tra L. Gruber e G. Lerner (grazioso chiasmo fonetico). Dato che “L’Infedele” è una trasmissione all’insegna dell’horror vacui, con folle di ospiti in anelante attesa del turno di parola (per alcuni di loro non arriverà, kafkianamente, mai), di lunedì “Otto e mezzo” è “canto del gallo”: c’è un solo ospite, normalmente un leader politico intervistato dalla conduttrice e da un giornalista “indipendente” di quelli che danno del lei al leader il quale li ricambia con il tu. Altri formati classici di “Otto e mezzo” sono: “combattimento di galli” (due personaggi, aizzati da giornalisti, Bindi-Gasparri; Bocchino-Bondi) e “pollaio”: tavola rotonda, microfoni aperti e “smarmellati” (come le luci in “Boris”) ed esiti
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dialettici degni delle sperimentazioni di Luciano Berio e Umberto Eco su James Joyce. Ma non sappiamo già tutto, ormai? Non li conosciamo a memoria, questi protagonisti che strabuzzano gli occhi, sorridono e “fanno le facce”? Le loro risposte anodine sono crittografie che appaiono nonsense ai “non addetti ai lavori” o sono, direttamente, nonsense? Quel tanto di vecchio, di già sentito, di stranoto nella continuata ed estenuata emergenza italiana pare aver lasciato il “talk” senza più alcuna possibilità di “show”. Forse è venuto il momento di inventarsi qualcosa di diverso. Anagramma (purtroppo incongruo): Lilli Gruber: burle, grilli.
TEATRO di Rita Cirio
Sorpresa al funerale Una replica qualunque al parigino Théâtre de la Ville ma con “parterre des rois”, da Catherine Deneuve al ministro Frédéric Mitterrand, per “Rêve d’automne” del norvegese Jon Fosse, premiatissimo e amatissimo in Francia (in Italia da Valerio Binasco) per la regia di Patrice Chéreau. Il debutto è stato al Louvre e così lo restituisce la scena di Richard Peduzzi: due immense sale rosso cupo, quadri appesi in alto, via quelli in basso, restano solo le didascalie, come iscrizioni di pietre tombali. Perché quel che rappresenta il testo è un cimitero dove si incontrano quasi per caso un uomo e una donna che in passato si sono amati. Chéreau cita Proust, «i musei sono case che ospitano pensieri», ma l’interesse per il testo deve essergli venuto dall’assonanza con quel suo film, “Quelli che mi amano prenderanno il treno”, dove il funerale di un amico è il pretesto per incontri, scontri di vite, dilaniarsi quanto basta. Accade anche in “Rêve d’automne”: gli ex amanti non sono soli, arrivano la ex moglie di lui, un figlio, un padre, la madre querula e recriminatrice (la bravissima Bulle Ogier) e poi la nonna appena morta ma che li guarda e sta tra loro amabile e incredula. «Le persone vivono ancora quando tutto sembra morto dentro di loro, è quello che si chiama la vita di tutti i giorni», dice Chéreau, e la sua regia completa con la brutalità o la tenerezza dei gesti - soprattutto tra i due protagonisti Pascal Greggory e Valeria Bruni Tedeschi - il non detto e le sospensioni del testo. Nel finale, alla nonna “Rêve d’automne”. A sinistra: Zilli; si aggiungeranno altri due morti e le tre donne - madre, Monaco, “Mini opera house”. Sopra, ex moglie, amante - lasciano, sole, il cimitero, mute e forse, da destra: “Otto e mezzo”; Export, chissà, in pace tra loro. “Syntagma”; Linke, “Senza titolo”
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CULTURA IL LIBRO di Mario Fortunato
Quartiere povero di Londra nell’Ottocento. A destra: immagine di frattali. Sotto, da destra: i Wu Ming; Nureyev; Gilmour dei Pink Floyd; il Quirinale
Scandalosa Milly
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migliori (e più piacevoli) sismografi socio-politici a nostra disposizione. Siamo nell’Inghilterra puritana del secolo scorso. La dolce Milly Bott, appena rimasta vedova di Ernest, si vede messa in mezzo a una strada dal testamento del defunto e rispettato marito. Tutta la famiglia si stringerebbe intorno alla povera donna, peraltro molto amata per le sue doti di moralità, senonché un particolare desta l’attenzione: l’intero patrimonio deve essere donato a un’associazione di ex donne traviate. In effetti, il morto ha scoperto che quella mogliettina tutta pizzi e trine nasconde una seconda vita. Cioè un amante. Così, per evitare che
LA STORIA
Scacco alla Costituzione DI ALESSANDRO GILIOLI Gli storici del fascismo hanno impiegato molto tempo a smontare la tesi crociana del Ventennio come “parentesi” nel percorso di crescita dell’Italia liberal-democratica. Ora però c’è il rischio che un’argomentazione simile sia riproposta per giudicare l’era berlusconiana: il suo sprezzo per la legalità, il suo svilimento della magistratura e la sua ostilità verso la Carta costituzionale. E sarebbe un altro errore: perché questa avversione alle norme condivise nel nostro Paese ha radici molto più lontane e profonde. Anche quando sarà finito il berlusconismo, non sarà stata una parentesi. Michele Ainis, tra i più lucidi costituzionalisti di questi anni, previene ogni autoassoluzione con un saggio tra storia, politica e diritto che aiuta a capire molto del nostro
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presente (“L’assedio”, Longanesi, pp. 272, € 15). Fin dalla sua nascita, la Costituzione «non è mai trasfusa in carne e linfa della società italiana» ed è stata trattata dai poteri politici del dopoguerra (Dc in testa) «come una vecchia zia di cui nessuno ascolta le parole». Un contesto in cui sono maturati gli assalti alla Carta dei decenni successivi: dall’uso indiscriminato di legiferazione per decreto allo svuotamento delle
PARLANO LE IMMAGINI DI GIANNI VATTIMO
MUSICA LEGGERA
LA SERA SENTIVAMO I PINK FLOYD
l’iniziale solidarietà della famiglia di Ernest si tramuti in riprovazione, Milly sparisce nella Londra disgraziata e poetica delle ragazze perdute, dando l’avvio a un romanzo divertente e amaro, che si vorrebbe non finisse mai.
prerogative dei parlamentari, dalla “porcata” elettorale di Calderoli all’approvazione di un pacchetto sull’immigrazione imbevuto di razzismo. E così via: Ainis cita un impressionante catalogo di «prassi fraudolente» e di «violazioni tacite» che hanno reso sempre più debole e disattesa la nostra legge fondante. Fino ai vari lodi ad personam di Berlusconi, con le conseguenti delegittimazioni della Consulta. Di lacerazione in lacerazione, non ci si può stupire se è diventata moneta corrente la tesi secondo cui la magistratura dev’essere inibita dal giudicare un premier altrimenti «spariglia il voto
popolare». Ci siamo arrivati un veleno per volta: e non è stato difficile per un uomo ostile a ogni regola come Berlusconi fare carne di porco di una cultura della legalità già tanto fragile. Con il risultato che oggi, scrive Ainis, «l’Italia è una barca sul ciglio delle onde, dove ogni colpo di mano è lecito». Eppure il libro di Ainis non lascia il lettore con le braccia conserte a subire: proprio per il suo passaggio da surrettizio a frontale, oggi lo scontro chi difende e chi smantella la Carta può portare a un mutamento della coscienza collettiva. In fondo, dipende da noi.
IL ROMANZO
La favola di Nureyev Non ho il piacere di conoscere Luciana Dallari, che ha scritto un libretto sul più grande ballerino del secolo scorso (e forse di tutti i tempi): Rudolf Nureyev. L’ha scritto sotto forma di diario dell’artista da giovane. E lo ha dedicato ai bambini, ai quali racconta la vita di un altro bambino, di nome Nurij: nomignolo con cui Nureyev era chiamato dai familiari e dai compagni di scuola. Il
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Foto: F. Fiorani - Sintesi, J. Thomson - Corbis, M. Meissner - Ap / LaPresse, Spl - Contrasto, M. Lederhandler - Ap / LaPresse
romanzi di Elizabeth von Arnim (autrice australiana di nascita, tedesca nel nome per via del marito, ma inglese per esperienza di vita) potrebbero essere liquidabili come letteratura per signore. Raccontano di matrimoni più o meno fallimentari, eredità contese, interni borghesi molto amati e perciò perfidamente messi alla berlina. Ultimo titolo pubblicato da Bollati Boringhieri, che li sta riproponendo tutti, “Colpa d’amore” (traduzione di Simona Garavelli, pp. 313, € 17,50). Per quel che mi riguarda, però, non considero la von Arnim una scrittrice di serie B, ma al contrario una voce significativa di quella commedia di costume, che ha reso la letteratura britannica del Novecento uno dei
IL SAGGIO
PINK FLOYD & C. La magia degli anni Sessanta rivive attraverso i ricordi di Joe Boyd (“Le biciclette bianche”, Odoya), uno dei più grandi produttori musicali di quel decennio irripetibile: dalla nascita dei Pink Floyd a mitici club underground come l’Ufo. BATTISTI RIVELATO. Dagli archivi di Renato Marengo viene fuori “Lucio Battisti. La vera storia dell’intervista esclusiva” (Coniglio): i retroscena dello scoop pubblicato nel 1974 da “Ciao 2001” in cui Battisti, da sempre refrattario agli incontri con la stampa, parlava del suo disco più controverso, “Anima latina”. MITICA MOTOWN. Nelson George narra le vicende della più grande etichetta di black music in “Motown. Storia e leggenda” (Arcana). Un racconto del marchio di Berry Gordy per cui hanno inciso Marvin Gaye, Diana Ross, Stevie Wonder. R. C.
libro è una deliziosa elaborazione fiabesca della storia vera, verissima, che certo l’autrice ha raccolto, a suo tempo, dalla viva voce del ballerino. Su Nureyev esistono parecchie biografie, quasi tutte “di egregia fattura”. Ma “Le giravolte di Nurij” (edizioni GL), ricco di illustrazioni, contiene molte informazioni preziose che “suonano”, e probabilmente sono, veritiere. Se dovessi scappare di casa in pochi secondi, portando via solo qualcuno tra tutti i libri che ho su Nureyev, mi infilerei subito in tasca questo libretto quadrato di 95 pagine, un piccolo miracolo di rigore, di chiarezza e di appassionata devozione. Vittoria Ottolenghi
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oi facciamo esperienza del mondo applicando, spontaneamente, degli schemi: sono quelli di cui parlava Kant, che costituivano i modi elementari di ordinarsi delle cose nello spazio e nel tempo. Nel Novecento questi schemi sono stati sempre più spesso identificati con i linguaggi naturali: siamo sempre “gettati” in una lingua che condiziona e rende possibile ogni nostra esperienza del mondo. Tanto che la filosofia ha parlato di una “svolta linguistica”, capace di unificare persino le due tradizioni concettuali anglosassone e continentale. Già prima di “Pensare per immagini. Tra scienza e arte” (Bruno Mondadori, pp. 152, € 15) scritto insieme a Olaf Breidbach dell’università di Jena, Federico Vercellone, professore a Torino, ha variamente ripreso (anche sulla base degli scritti di Francesco Moiso) l’idea di Goethe di una morfologia che agisce nella nostra esperienza anzitutto al livello delle immagini, orientandoci nel mondo prima di, o insieme a, gli schemi iscritti nel linguaggio-parola; e che si fa sentire non solo nelle arti ma anche nella ricerca scientifica. Una tesi densa di conseguenze, dall’estetica all’epistemologia, che Vercellone e Breidbach invitano ad esplorare, quasi richiamando il pensiero a rimettere i piedi per terra. I difensori
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della “linguisticità” dell’esperienza possono però non sentirsi del tutto sconfitti: i buchi neri sono pur sempre una entità centrale della fisica di oggi, e lì l’immagine sembra del tutto dissolta nel linguaggio dei segni fisico-matematici.
DAL LIBRO AL FILM
Operazione Q Ci aveva provato De Laurentiis quando era appena uscito ma non se ne era fatto nulla e ora ci riprova la Fandango: la casa di produzione di Procacci ha opzionato il thriller “Q” per farne un film e ha messo al lavoro Giaime Alonge, docente di Storia del Cinema e sceneggiatore per “Nemmeno il destino” di Daniele Gaglianone. Per la storia dell’anonimo ribelle che attraversa l’Europa della Controriforma, la Fandango punta a una coproduzione con altri Paesi europei. «Siamo d’accordo ma non vogliamo essere coinvolti: ci riserviamo l’ultima parola», hanno detto gli autori, che nel ’99 usavano lo pseudonimo Luther Blisset, oggi Wu Ming. A. Rin.
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TECNOLOGIA
iPad
’è chi lo usa per mostrare la carta dei vini ai clienti e chi per suonare qualcosa in strada e raggranellare un po’ di monete. C’è chi lo mette nelle mani di medici e pazienti in ospedale e chi lo tiene alto con un palo durante una manifestazione di protesta, a mo’ di cartello multimediale.
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Foto: G. Vasan - GettyImages
INCHIESTA / LE SORPRESE DEL TOUCH Ormai è chiaro che l’iPad non è solo un surrogato, touch e portatile, del computer o di un libro. Ben di più: sta reinventando il nostro rapporto con la tecnologia e il digitale, estendendoli dove prima era solo il regno dell’analogico. È un fenomeno che già incuriosisce esperti e sociologi dell’innovazione: perché sta decollando in fretta - fino a pochi mesi fa l’iPad era solo nelle mani di sparuti pionieri della tecnologia, adesso è usa-
E TU COME LO USI?
In cucina, per leggere le ricette. Al ristorante, per raccontare come nasce un vino. In una boutique, per mostrare com’è stato cucito un abito. E così via: i tablet sono diventati protagonisti di una rivoluzione di costume
Applicazioni: la top ten Queste le più scaricate dai proprietari di iPad nel 2010
PAGES Il programma per creare documenti testuali di vario tipo, sfruttando 16 modelli preimpostati da Apple. Si scrive con la video tastiera o con quella fisica aggiuntiva. Gli strumenti di impaginazione consentono di aggiungere immagini, ridimensionarle,
DI ALESSANDRO LONGO
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to da milioni di persone al mondo - e perché non è che l’inizio. Quest’anno è prevista un’invasione di tavolette touch (tablet) e anche Apple avrà un nuovo modello. I prezzi caleranno e le funzioni si moltiplicheranno. «Le attuali caratteristiche tecnologiche dei tablet li rendono adatti perlopiu a fruire contenuti. Meno per crearne», dice Neil Mawston, analista di Strategy Analytics. È un giudizio condiviso. Lo confermano i vari studi compiuti sugli acquirenti iPad (di Business Insider, Revolve Market Research e dell’italiana Gpf, istituto fondato da Giampaolo Fabris). I quattro utilizzi principali sono navigare, leggere libri, vedere video e giocare. Secondo i sondaggi, gli utenti iPad sono persone a cui piacciono le cose belle: interessati alla moda, al design, e con buone disponibilità economiche. Eppure, questa è solo la superficie del fenomeno. Intanto, sorprende che la maggior parte degli utenti iPad dichiari di usarlo per più ore rispetto agli altri computer presenti a casa. Da quando è entrato in casa l’iPad, è meno abituale accendere il computer portatile o portarselo in giro. Gli utenti tendono inoltre ad aumentare le ore d’uso gior-
L’espresso
formattare il testo. A 7,99 euro. GOODREADER Una delle più popolari applicazioni per leggere libri e file Pdf, Txt, Ms Office, iWorks, immagini, audio e video. Consente di aggiungere note,
naliere, man mano che passano mesi dall’acquisto. Come a dire: nonostante i limiti tecnologici dei primi modelli di tablet, già si vedono i segni di un rapporto simbiotico con l’oggetto. E cresce man mano che l’utente ne comprende le potenzialità. Siamo insomma nella fase d’incubazione di un fenomeno che porterà lontano. «I tablet sono un ulteriore passo verso la personalizzazione e l’umanizzazione della tecnologia», dice Monica Fabris, presidente di Gpf. «Riducono la distanza tra noi e gli strumenti innovativi che ci abilitano a servizi e funzioni. L’idea è che allargano lo spazio personale introducendovi una nuova dimensione», continua. Una prova? Basta vedere gli usi d’avanguardia del prodotto. A Londra ci sono i musicisti di strada che suonano con l’iPad. A Mosca è nato il gruppo iPad Orchestra, che esegue musica con il solo uso di quattro di questi tablet (ognuno simula uno strumento). Ci sono già musicisti tradizionali che hanno mostrato in pubblico esperimenti di questo tipo: come il pianista cinese Lang Lang o il cantante italiano Morgan. Il connubio arte e tecnologia arriva anche alla pittura. Fino al 30 gennaio c’è a Parigi la mostra della Fondazione Yves Saint Laurent con le opere di David Hockney, 70 anni. Nature morte ritratte con iPad (e l’applicazione Brushes). L’artista di Brooklyn David Jon Kassan lo usa invece per fare ritratti. Disegnano e dipingono con le sole dita, ovviamente. «Ma sta già passando la fase delle avanguardie. Il tablet penetra ormai nel mondo del lavoro, perché è uno strumento in grado, a differenza di altri, di attirare relazioni intorno a se stesso», dice Giovanni Boccia Artieri, direttore di Scienze della Comunicazione presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino. «Lo metti sul tavolo e quello genera reazioni-relazioni da parte di chi vi è intorno, a prescindere dall’età e dalle competenze informatiche», continua Artieri. «Sempre più spesso finirà nelle mani dei
sottolineature. Le note diventano parte del file e possono essere condivise con altri utenti. A 2,39 euro. SLICE IT Un puzzle-game in cui bisogna affettare, con le dita, varie figure che appaiono sullo schermo. Ha 60 livelli con ostacoli a difficoltà crescente. A 0,99 euro.
PINBALL HD Il buon vecchio flipper fa proseliti anche sull’iPad. Qui è in alta definizione, con grafica 3D. Include tre giochi di flipper e la possibilità di sfidare altri utenti. A 0,99 euro. NUMBERS L’applicazione per i fogli di calcolo per il Mac è stata rinnovata
TECNOLOGIA
INTERNET NEWS norenni al lavoro», continua Fleischner. «Prevedo che entrerà anche nei musei, come guida turistica», dice Artieri. «Il mondo delle istituzioni invece è più lento a recepirlo». Ma comunque si muove. L’iPad viene usato, in via sperimentale, nel Policlinico Gemelli di Roma e all’ospedale Niguarda di Milano, per informatizzare le cartelle cliniche dei pazienti. In altri posti (California, Missouri, Israele) viene usato per questo scopo e non solo: viene anche dato ai pazienti, per tenerli in costante contatto con i dottori oppure, come nel caso del St. Louis Children Hospital, per distrarre i bambini durante la degenza. Poi ci sono i soliti giapponesi che vanno oltre: un team di chirurghi ha usato l’iPad come display durante un’operazione, all’ospedale della Kobe University. Ci sono scuole e università americane dove l’iPad comincia a sostituire i libri di testo. In Italia ci prova il liceo scientifico Lussana (a Bergamo), dandolo in comodato gratuito ai ragazzi: per studiare, fare i compiti e collegarsi a Internet anche in classe.
Sopra: Edoardo Fleischner, docente di Nuovi media a Milano. A destra: Monica Fabris, presidente di Gpf
per sbarcare sull’iPad. Permette di creare fogli di calcolo con il tocco delle dita. Ha 250 funzioni, tabelle flessibili, grafici. A 7,99 euro. KEYNOTE Creare presentazioni, slide dopo slide, sfogliarle, aggiungere foto, animazioni, grafici, tabelle. Un connettore opzionale consente di collegare l’iPad a monitor o proiettori, per mostrare la
presentazione. A 9,99 euro. WEATHERPRO Le previsioni del tempo, versione per iPad. Copre due milioni di località nel mondo, con immagini radar e dal satellite in alta definizione. A 3,99 euro. ANGRY BIRDS HD Uno dei giochi per iPhone e iPad diventato ormai un fenomeno di costume. I maiali
Se i tablet conquistano tanti luoghi della vita, anche seri e istituzionali, non è strano che arrivi anche nei luoghi di culto. Katie e Aron hanno voluto leggere le formule matrimoniali sull’iPad, davanti al reverendo Sol Lipman, in California. Peccato che l’iPad si sia surriscaldato a metà rituale, all’aperto sotto il sole cocente, e gli sposi siano dovuti tornare al cartaceo mentre l’aggeggio si raffreddava sull’erba. A questo punto non ci si stupisce più dell’iKlip, il leggio porta iPad “per preti e musicisti”, venduto dalla modenese IK Multimedia. Per leggere in cucina le ricette o libri a letto, senza impegnare le mani, ci sono invece stand flessibili, da pavimento, fatti apposta per l’iPad. E per una giusta causa, val bene però anche il fai-da-te. Durante una manifestazione di protesta in Lituania, qualcuno ha brandito un iPad montato su un paletto. Per contestazioni multimediali. Il prossimo iPad avrà la videocamera «e potrebbe rilanciare il sogno della videochiamata», dice Fleischner. «Manca poco per i tablet-medici. Ti ci specchi e fanno la diagnosi». L’americana Withings sta per lanciare una fascia che, collegata al tablet, misura la pressione. «Ci saranno tablet-tutor per qualsiasi insegnamento. Per imparare la musica, il disegno. Nei prossimi anni ci saranno anche tavolette da piegare in due, per essere tascabili», continua. I prezzi caleranno sull’onda della concorrenza dei prodotti Android (il sistema creato da Google). A quel punto cadranno anche le ultime barriere all’onnipresenza del tablet in ogni momento delle nostre vite. D’altro canto, la lettura in bagno dei quotidiani su iPad è già una realtà diffusa, anche se poco nota. Con il computer, oggettivamente, era scomodo. ■
hanno rubato le uova agli uccelli che ora l’utente deve guidare verso la vendetta. Si va avanti abbattendo i castelli nemici. A 3,99 euro. AIR VIDEO FREE Organizzare e aggiornare la propria collezione di media digitali. Permette di vedere video in streaming (da computer a iPad), convertire file. In due
versioni, gratis con banner pubblicitari o a pagamento (2,39 euro). REAL RACING HD Grafica ad alta definizione per una delle più famose simulazioni automobilistiche su iPad. Si guida con le dita, in 76 eventi, con 48 auto, sfidando il computer o altri utenti. A 7,99 euro.
Caro cellulare, ti controllo io
Un’immagine del Sahara, nel sud della Libia
RINNOVABILI di Carola Frediani
SABBIA PI∫ SOLE UGUALE ENERGIA
Foto: Daloiso - Imagoeconomica, P. Onofri - Imagoeconomica, Masterfile - Sie (2)
commessi viaggiatori, dei venditori, che lo useranno per mostrare prodotti ai clienti e magari per fare in tempo reale l’ordine». Mercedes Benz l’ha già dato alla propria forza vendita, negli Usa. Ci sono fotografi professionisti che mostrano così i propri lavori ai futuri clienti. Stephen Yanni, fotografo di matrimoni in Florida, consegna ai novelli sposi un iPad con centinaia di foto della cerimonia, invece del classico album. Le arricchisce con presentazioni multimediali. Si diffondono, negli Usa, i ristoranti che presentano così il menu o la carta dei vini. Lo fa anche La Credenza, celebre ristorante a San Maurizio Canavese (Torino). «Mi aspetto che i menu interattivi su iPad evolvano, arrivando a mostrare come vengono cucinate le portate, come e dove viene fatto un tale formaggio, come viene lavorato un certo vitigno», prevede Edoardo Fleischner, docente alla Statale di Milano in “Metodi e tecniche della comunicazione” e all’Università di Napoli in “Format crossmediali”. La tecnologia, entrando in nuovi ambiti della vita grazie a strumenti come l’iPad, potenzia le capacità di scelta e di informazione dell’utente. «In un negozio di abiti, può mostrare come vengono confezionati, con la garanzia che non ci sono mi-
ole e silicio: sono questi gli ingredienti fondamentali per produrre energia con impianti fotovoltaici, il primo per ovvie ragioni, il secondo perché viene utilizzato per costruire i pannelli. E qual è il posto dove tali risorse abbondano? Il deserto. Da questa considerazione nasce il Sahara Solar Breeder Project, iniziativa nippo-algerina ambiziosissima che, proprio nell’assolata regione africana, punta a costruire così tanti impianti solari da soddisfare il 50 per cento del fabbisogno energetico mondiale entro il 2050. Un obiettivo quasi visionario, che si fonda sull’idea di dar vita a un ciclo virtuoso, sfruttando la
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sabbia del deserto, fonte ricca di silicio. A partire da questa materia prima verrebbero infatti costruiti in loco impianti fotovoltaici la cui energia sarebbe usata a sua volta per fabbricare nuovi pannelli e così via. Certo, non sono pochi gli ostacoli a un simile progetto: finora, ad esempio, non si è mai provato a realizzare pannelli dalla sabbia del deserto. E non sarà facile distribuire l’energia prodotta su lunghe distanze, poiché per ridurre al minimo la dispersione si dovrebbe realizzare una rete di superconduttori refrigerati con azoto liquido. Dulcis in fundo, non va dimenticato un altro possibile intralcio ai lavori: le tempeste di sabbia.
Tawkon è un’app per cellulari non consigliabile agli ipocondriaci. Il suo scopo è di misurare in tempo reale le radiazioni elettromagnetiche emesse dai telefonini. Proprio quelle che si sospetta possano avere importanti ripercussioni sulla salute, anche se la questione rimane ancora aperta. Così, mentre i produttori di apparecchi, per cautelarsi e quasi di soppiatto, infilano nei foglietti illustrativi i primi avvertimenti, gli utenti scoprono il fai-da-te. In particolare Tawkon monitora e analizza la quantità di radiazioni prodotte dal proprio cellulare, che possono variare a seconda del posto in cui ci si trova, del modo in cui lo si usa e di altri fattori ambientali. Se viene superata una certa soglia critica, si riceve un avviso, oltre che dei consigli su come minimizzare l’esposizione. Per misurare la quantità di emissioni elettromagnetiche assorbite dal corpo umano durante l’utilizzo di un telefonino si usa un indice particolare, il Sar (Specific Absorbtion Rate), tasso di assorbimento specifico: sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno fissato ovviamente dei tetti, ma al di là del limite massimo di legge ogni modello di telefonino avrà un diverso valore di SAR, e quindi emetterà più o meno radiazioni. Per difenderci dalle quali è sempre meglio usare gli auricolari. C. F.
è semplice. Può forse aver influito l’intensa campagna DI MASSIMO MANTELLINI informativa da parte Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat nel 2010 il numero di degli editori sul italiani che accede a Internet è cresciuto di oltre 5 punti percentuali necessario passaggio a pagamento di una quota dei contenuti (dal 47,3 al 52,4 per cento) rispetto all’anno precedente. In misura disponibili in Rete? Oppure il numero medio di ore su Internet non minore è aumentata la percentuale di computer nelle case (dal 54.3 è ancora sufficiente per spostare definitivamente le proprie abitudini al 57,6 per cento) mentre nel medesimo periodo di indagine è informative dal televisore al computer? Fra le molte ipotesi possibili invece calata dal 46,7 al 44 la percentuale di quanti si connettono ne esiste perfino una legata alla indole italiana tutta socialità e poca a Internet per leggere e scaricare giornali, news e riviste. Lo scrive, informazione. Gli italiani scenderebbero in massa su Internet per con qualche apprensione, il sito di Lsdi e certamente si tratta di un scambiarsi saluti, pettegolezzi e fotografie su Facebook ma non dato anomalo rispetto ad una tendenza generale che, un po’ in tutto sarebbero così interessati a costruirsi la propria agenda informativa il mondo, vede i cittadini eleggere la Rete a nuovo luogo principe personale in Rete. Se così fosse meno poke e più news potrebbe della propria informazione. Dare un significato a questi numeri non essere l’auspicio per il nostro prossimo futuro connesso.
NON SOLO CYBER
Poco book, molto face
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ECONOMIA
FINANZA & POTERE
AAA BANCHE OFFRESI Agenzie, palazzi, società controllate. Gli istituti di credito hanno messo in vendita di tutto per abbellire i bilanci. Ma la debolezza dei conti apre le porte ai partiti. Decisi a pesare di più DI LUCA PIANA
Il giudizio della Borsa
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Lo stand di Unicredit alla Fiera di Roma. In alto, da sinistra e in senso orario: Massimo Ponzellini, Corrado Passera e Pier Francesco Saviotti
banca», è il racconto della moglie, furibonda perché il coniuge si è rifiutato di andare alla sede centrale e di «mettersi a urlare». «Non ne ha avuto il coraggio e c’è mancato poco che lo lasciassi», dice lei. La lettera della battagliera lady veronese è solo un esempio delle difficoltà che stanno affrontando gli azionisti delle grandi banche italiane. Tre anni fa, quando il Banco nacque dalla fusione tra le popolari di Verona e Lodi, i titoli valevano più di 15 euro. Negli ul-
timi giorni sono scesi a 2,3. Uno choc per una banca cooperativa, che conta migliaia di azionisti fra i clienti. Pier Francesco Saviotti, 68 anni, il banchiere chiamato a fine 2008 per rimettere le cose a posto, ha dovuto chiedere ai soci un aumento di capitale da 2 miliardi, in corso fino ai primi di febbraio. Vi è stato costretto perché al Banco è stato più difficile del previsto percorrere la strada imboccata da altri istituti: vendere filiali, divisioni, controllate e quant’altro. Un’opera di
L’espresso
Foto: M. Biatta - Sintesi, L. Mistrulli Imagoeconomica, D. Scuderi Imagoeconomica, S. Oliverio - Imagoeconomica
omeo e Giuletta? Chissà che fine avrebbero fatto se fossero sopravvissuti al loro amore. E se, soprattutto, avessero avuto il conto corrente al Banco Popolare, la grande banca con sede a Verona. La storia l’ha raccontata un’arrabbiatissima signora al quotidiano “L’Arena”. Al momento di andare in pensione, il marito ha investito tutta la liquidazione in azioni dell’istituto, perdendo nel giro di poco tempo l’85 per cento del capitale. «Per mesi gli ho rinfacciato ogni giorno di aver ceduto alle pressioni della
dimagrimento forzato che ha più obiettivi: irrobustire il patrimonio a garanzia dei soldi depositati dai clienti; tamponare gli effetti della crisi sui bilanci, gonfiando un po’ gli utili; sottrarsi al fuoco incrociato aperto dalla politica. Che, da Verona a Milano, approfitta della debolezza dei banchieri per stringere la presa sugli istituti. In effetti, come mostrano le previsioni del Cer riportate a pagina 108, i problemi dureranno per un po’. Da una parte le banche nel-
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l’esercizio 2010 vedranno gli utili netti calare ancora, a un totale di 6,6 miliardi (un quarto di quelli del 2007); dall’altra ci vorranno anni per ricominciare a distribuire dividendi in linea con il decennio passato. Provate a immaginare, ad esempio, che cosa una simile dieta possa significare per gli azionisti dell’Unicredit. Dal 2001 al 2007 l’istituto ha distribuito ai soci un dividendo pari in media a 1,7 miliardi l’anno. Nel 2008 ha lasciato tutti a bocca asciutta, assegnando solo
azioni gratuite, mentre nel 2009 si è limitato a distribuire dividendi per 550 milioni, un sesto dei 3,4 miliardi dell’anno record 2007. Pensate al dramma politico e finanziario per le fondazioni azioniste, dalla torinese Crt a Cariverona, da Carimodena alla trevigiana Cassamarca, abituate a redistribuire quei quattrini fra grandi elettori e clientele nelle città d’origine. Ecco il motivo per il quale, dopo anni di rapporti altalenanti, l’ex numero uno Alessandro Profumo si è ritrovato troppo debole per fronteggiare le pressioni. E in settembre è stato licenziato, lasciando il posto a Federico Ghizzoni. Nelle banche, dunque, è scattata una vera e propria corsa a vendere. Si va dai 118 milioni incassati da Ubi Banca per la cessione del 9,9 per cento nella partecipata assicurativa Lombarda Vita (con 61 milioni di plusvalenza, ovvero di guadagno rispetto al valore di bilancio) alle mega operazioni concluse o avviate dai grandi gruppi. Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha messo a segno un duplice colpo, necessario per rimpinguare sia il patrimonio che l’utile netto. Ha ceduto le attività di banca depositaria (ovvero la custodia e il controllo di strumenti finanziari) alla State Street, nonché la Cassa di Risparmio della Spezia e altri 96 sportelli al Crédit Agricole. Ha incassato in totale 2,4 miliardi, con una plusvalenza di quasi un miliardo. Unicredit, che è stata costretta dall’Antitrust a vendere il 2,8 per cento posseduto nelle Assicurazioni Generali (ha incassato 796 milioni, rimpol-
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ECONOMIA Le pressioni delle Fondazioni su Unicredit. Le mire della Lega su Bpm e di Caltagirone su Mps. E il sindaco di Novara che parla da promotore finanziario
Silvana Moscatelli. Da sinistra: l’interno della sede Monte dei Paschi di Siena, il quartier generale della Popolare Italiana. In basso: Paolo Biasi
Previsioni del Cer, Centro Europa Ricerche (valori in miliardi di euro) 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Ricavi 85,5 78,7 76,5 75,3 78,3 83,8 Costi operativi 49,6 50,7 48,3 48,5 49,7 51,4 Accantonamenti su perdite 9,3 16,3 17,4 17,0 16,5 16,3 Profitti lordi 26,5 11,7 10,7 9,8 12,1 16,0 Imposte 8,4 1,3 3,6 3,6 3,7 4,8 Profitti netti 23,6 10,5 7,4 6,6 8,8 11,6 Fonte: tratto da “Rapporto Banche 2010”, Cer - Centro Europa Ricerche
pando il patrimonio ma accusando una minusvalenza di 67 milioni), ha risposto per ora cedendo alle Poste la banca d’affari Mediocredito Centrale, per 136 milioni. Il sogno di Ghizzoni resta però vendere tutta o parte della Pioneer, un colosso del risparmio gestito. Offerte sarebbero già state valutate
ma, fra le altre difficoltà, il manager deve risolvere la grana dell’azione legale intentata dai liquidatori americani delle società del finanziere-truffatore Bernard Madoff. Vendere in tempi di crisi, peraltro, può non essere sempre facile. Il primo esempio arriva dal Monte dei Paschi di Siena, uno dei grup-
pi con il patrimonio più ridotto, che per rafforzarsi è stato iper-attivo sul fronte dismissioni, senza peraltro risollevare le sorti del titolo: è ai minimi storici e in tre anni ha perso l’80 per cento, rendendo più agevole il rastrellamento da parte del costruttore (e suocero del leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini) Francesco Gaetano Caltagirone, ormai al 4,8 per cento del capitale, primo azionista privato dopo la Fondazione che controlla l’istituto (con il 55 per cento). Per cedere gli immobili dove ci sono gli sportelli, nei quali d’ora in poi sarà in affitto, il Monte ha messo in piedi una partita di giro discussa e complicata, che ha previsto la costituzione di un consorzio (con Mediobanca e altri) che ha comprato gli edifici, nonché di una fonda-
Foto: R. Caccuri - Contrasto, A. Cristofari - A3, S. Oliverio - Imagoeconomica
I CONTI DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO zione olandese che ha rilevato dal Monte il credito che lo stesso istituto ha concesso al consorzio per spesare l’acquisto delle agenzie. Il tutto, infine, è stato finanziato con un prestito obbligazionario collocato ai clienti della banca senese. La quale, a conti fatti, potrà chiudere il 2010 addolcendo i risultati con una plusvalenza di 430 milioni. Anche la Popolare di Milano, alle prese con un’ispezione della Banca d’Italia e con la decisione del presidente (in quota Lega) Massimo Ponzellini di transare con il Fisco, versando 186 milioni per le accuse di evasione fiscale formulate relativamente agli anni passati, ha dovuto ricorrere a diverse operazioni. Ha riacquistato dal gruppo Ligresti (che l’aveva comprata pochi anni fa) il 51
per cento della partecipata assicurativa Bipiemme Vita, ha garantito i clienti della società che erano rimasti invischiati nella crisi islandese, ha provveduto a un aumento di capitale. E, infine, ha rimesso Bipiemme Vita sul mercato. Nel frattempo, dopo aver ceduto anch’essa la propria banca depositaria (a Bnp Paribas, per 55 milioni), ha conferito la propria società di gestione del risparmio - la Anima Sgr - a una nuova holding nella quale sarà azionista di minoranza assieme al Monte dei Paschi di Siena, ancora lui, mentre il socio di maggioranza relativa sarà la Clessidra di Claudio Sposito, finanziere da sempre vicino a Silvio Berlusconi. Bpm chiuderà il cerchio con una plusvalenza di 200 milioni. Quelli che servono per pagare il Fisco. Pur legata a una fase molto difficile nella vita delle banche, dove agli effetti della reces-
Il dilemma di Paolo Biasi: più Popolare, meno Unicredit La partita scaligera tra gli interessi della Lega, le ambizioni della città, le debolezze del capo della Fondazione Salvate la Popolare. A Verona è questo l’imperativo, e la corsa all’aumento di capitale da 2 miliardi di euro necessari per restituire i Tremonti-bond e per rilanciare l’attività del quinto istituto bancario italiano ha fatto dimenticare tutte le divisioni politiche e imprenditoriali cittadine. Tanto che l’emendamento per portare dallo 0,5 al 5 per cento il limite di azioni detenibili da un singolo azionista è stato partorito dal deputato veronese del Pd Gianni Dal Moro, e il principale sponsor dell’operazione che dovrebbe portare dentro il Banco come azionista principale al 5 per cento la Fondazione Cariverona, è il sindaco leghista Flavio Tosi: «La nostra città è la seconda piazza finanziaria d’Italia, se vogliamo che continui a esserlo deve andare a buon fine la ricapitalizzazione, perciò in assemblea degli azionisti ho fatto appello all’unità dei veronesi», dice. L’appello non è caduto nel vuoto, se il 99 per cento dei 5.739 votanti ha detto sì. E Tosi spiega anche l’interesse di Cariverona: «La fondazione non è in concorrenza con il Banco Popolare: è bene che investa anche qui oltre che in Unicredit». Andrea Bolla, presidente di Confindustria veronese, è giovane ma appare già navigato nelle partite scaligere: «Alle imprese interessa una banca che sappia star loro vicino, ma dev’essere sana e vincente, perciò crediamo nell’operazione. E bene fa Fondazione Cariverona
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a voler rafforzare il legame con il territorio attraverso la Popolare». L’impresa della ricapitalizzazione, in realtà, è ostica: raccogliere 2 miliardi senza l’apporto della Fondazione, che dovrebbe mettere sul piatto 200 milioni, ai più appare non facile. Il capo della Fondazione, Paolo Biasi, gioca una partita difficile: mantenere la sua leadership nonostante l’accerchiamento leghista e le difficoltà del suo gruppo, specie dopo le grane giudiziarie che gli sono piovute addosso assieme alle difficoltà dell’industria di famiglia. Scendere a patti con Tosi per Biasi è stato inevitabile. Primo, perché la Lega sarebbe comunque entrata in Fondazione forte dei posti che spettano agli enti locali, secondo perché dev’essere il Comune a muovere le pedine immobiliari di Verona Sud, che consentiranno al gruppo Biasi le dismissioni e diversificazioni necessarie a sopravvivere; terzo perché un’eventuale condanna in primo grado per bancarotta di una delle sue aziende lo metterebbe nelle condizioni di dover lasciare la Fondazione, e quindi ha bisogno dell’ok di tutto il consiglio per modificare il severo statuto di Cariverona. Il presidente ha aderito a tutte le richieste, ammettendo una debolezza prima mai mostrata. Ma ha così rinviato la palla a Tosi, come a dire «la partita ora è politica, sta a te convincere la Lega e Tremonti a farci salire fino al 5 per cento nella Popolare e farci scendere al 4 in
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Unicredit». Perché i 200 milioni necessari verrebbero da qui, dal parziale disimpegno dalla banca milanese. Le risposte non sono incoraggianti: il Tesoro ha chiesto ulteriori delucidazioni rispetto al dossier inviato dalla Fondazione; il presidente di Cariplo e Acri, Giuseppe Guzzetti, ha già fatto pollice verso, ma soprattutto pesa il giudizio freddo di Pdl e Lega all’emendamento di Dal Moro. Sarà per questo che la Fondazione Crt ha annunciato sì l’adesione alla ricapitalizzazione del Banco Popolare, ma l’ha tenuta nell’alveo di 20 milioni, pari allo 0,5 per cento, e l’ha subordinata “al parere della competente autorità di vigilanza”. Forse, dal governatore piemontese Roberto Cota, Tosi si aspettava un pressing più determinato sulla Fondazione torinese, ma ora la sua partita più difficile è convincere il vertice della Lega a fare la sua parte sostenendo in Parlamento la proposta Dal Moro. A Verona tremano in molti, la città trattiene il respiro in attesa degli eventi e punta su una delle poche carte in mano a Tosi, i T-bond che la Popolare deve restituire: «Tremonti non ha interesse a non incassare i quasi 1.500 milioni che ha messo a disposizione quando il mondo stava crollando», si osserva. Ma nelle partite in corso sono in tanti a rischiare di perdere. Giorgio Sbrissa
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sione si aggiunge la necessità di rafforzare il patrimonio per le regole più stringenti chieste dalle autorità di vigilanza, la politica delle cessioni lascia spazio a diversi interrogativi. Il primo è se basterà per evitare ulteriori aumenti di capitale. La risposta varia a seconda dei casi. L’economista Alessandro Penati, ad esempio, ha scritto sul quotidiano “la Repubblica” che il Monte Paschi ne avrebbe bisogno, anche per rimborsare i Tremonti Bond, come sono stati chiamati i costosissimi prestiti pubblici lanciati per sostenere le banche più nei guai. E lo stesso Saviotti, difendendo nell’assemblea del Banco l’aumento di capitale da 2 miliardi (che serviranno in gran parte per rimborsare 1,45 miliardi di Tremonti Bond, liberando l’istituto da 123 milioni di oneri finanziari versati ogni anno al Tesoro), si è detto convinto che «a breve, per l’approssimarsi delle più stringenti regole sul capitale previste dagli accordi di Basilea, anche altri istituti saranno costretti a fare ricorso al mercato». Il secondo interrogativo riguarda, invece, l’efficacia di queste misure tampone per allentare la pressione dei partiti sulla gestione delle banche, rafforzata dalle difficoltà finanziarie. Anche qui, dal caso Profumo in poi, gli esempi sono numerosi. Alla Popolare di Milano, che dovrà anch’essa restituire i Tremonti Bond, si sta lavorando per allentare la presa dei dipendenti-soci sull’assemblea e c’è chi, oggi, comincia a intravedere scossoni negli assetti di controllo. Mentre a Verona, al Banco, proprio l’ultima assemblea ha dato l’idea dell’invadenza dei partiti. Più degli altri si è sbilanciata Silvana Moscatelli (Pdl), sindaco di Novara, una delle aree d’insediamento del gruppo. Dopo aver ricordato il «binomio molto forte tra amministrazione comunale e banca» che si è creato nella sua città, la Moscatelli ha detto con chiarezza: «Ribadisco il mio impegno, in qualità di sindaco, affinché questo progetto di aumento del capitale venga ben recepito dal territorio novarese». Un ruolo da promotore finanziario, inconsueto per una carica pubblica, che l’istituto in qualche modo dovrà ricompensare. ■
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ECONOMIA
SINDACATO E FABBRICA
METALMECCANICI A CONFRONTO Scioperi. Fino al 2015, alla Chrysler, alla General Motors e nelle ditte di componentistica auto che hanno goduto dei prestiti governativi Usa, non si possono fare. A Mirafiori, dopo l’accordo approvato (col 54 per cento di sì) nel referendum del 14 gennaio, il sindacato che li promuove contro gli impegni assunti (per esempio, durante le ore di straordinario concordate) è sanzionabile. Pause. Situazione favorevole in teoria ai colletti blu yankee. A Torino sono previste 3 pause di 10 minuti, per 30 minuti totali (ora sono 40), più mezz’ora per la mensa. Negli Usa, il totale è di 40 minuti: però i turni durano 8 ore e mezza (dentro c’è la mezz’ora, non pagata, per Sergio Marchionne. Da sinistra: Maurizio Landini; le acciaierie Marcegaglia a Casalmaggiore. Sotto: Giuseppe Bono e i cantieri di Monfalcone
La voglia di dire addio al contratto collettivo piace al Nord-est. E molti accordi Fiat style sono firmati anche dalla Fiom. Soprattutto contro l’assenteismo DI MAURIZIO MAGGI
arà il Triveneto la tomba dei contratti collettivi nazionali di lavoro? È nel Nord-est che, come auspica il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, nasceranno presto«tante Mirafiori»? Il fresco sondaggio di Panel Data dice di sì: l’applicazione dei contratti nazionali, infatti, rappresenta “un vincolo all’attività lavorativa” per il 64 per cento di 800 imprenditori basati in Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Interpellati nell’infuocata vigilia del referendum nella fabbrica torinese del gruppo Fiat, i capi di aziende manifatturiere e commerciali nordestine ritengono a maggioranza (il 58 per cento) un buon punto di partenza, per modificare la gestione delle relazioni industriali, l’uscita dal contratto nazionale. Proprio come ha fatto la Fiat a Pomigliano e Torino. Rincara la dose il segretario Cisl di Vi-
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cenza, Gigi Copiello: «Gli accordi con le deroghe li facciamo da decenni, e li firmiamo molto spesso fuori delle sedi istituzionali di Confindustria: qui da noi, i veri conservatori, i “Landini” della situazione, non sono quelli della Fiom ma i funzionari delle associazioni degli industriali». Persino Mario Carraro, industriale padovano con più addetti all’estero che in Italia, ex presidente di Confindustria veneta e con ottimi rapporti con tutte le sigle sindacali, Fiom compresa, vede nel contratto nazionale troppi elementi di ambiguità: «I cambiamenti importanti si fanno con le intese aziendali, ha ragione Marchionne». Che il giudizio sul marchionnismo stia facendo da levatrice a un confronto a tutto campo lo conferma la schermaglia a distanza tra il segretario della Fiom, Maurizio Landini, e l’amministratore delegato di Fincantieri,
Giuseppe Bono. Pur avendo firmato col sindacato intese all’interno del contratto nazionale, Bono sostiene di averci provato ben prima del capo della Fiat, a far salire la produttività: «La linea Marchionne è venuta fuori nel 2010 ma noi già nel 2008, nel discutere l’accordo integrativo aziendale, abbiamo affrontato di petto la situazione per cercare di restarci davvero, sul mercato». L’intesa è stata raggiunta, prima con Fim e Uilm e poi con la Fiom. «Però non abbiamo raggiunto i risultati che ci aspettavamo. Abbiamo messo i soldi sul piatto ma non è cambiato granché e oggi l’assenteismo è ancora del 16 per cento». Bono si lamenta e intanto il gruppo cantieristico pubblico sospende il pagamento delle quote alle associazioni territoriali di Genova e Gorizia di Confindustria. Ci riconosciamo nelle sue linee generali, dice in sostanza Fincantieri, ma a Genova e Gorizia non ci siamo sentiti supportati. Commento di Landini: «Il significato di questa operazione non è ancora chiaro, però fatta in questo momento è una cosa sospetta». Pure Salvatore Iorio, capo del personale del colosso anglo-olandese Unilever in Italia, ritiene di essere già “oltre Marchionne” anche se non si sogna di disdettare gli accordi nazionali. Nella fabbrica del Cornetto Algida e del Magnum a Caivano, in provincia di Na-
L’espresso
Foto: M. Siragusa - Contrasto, R. Squillantini - Imagoeconomica, D. Scudieri - Imagoeconomica, P. Tre - FOTOA3 (2)
MARCHIONNE ANCH’IO
poli (985 lavoratori fissi), per aumentare la produttività e tagliare l’assenteismo è scattato il bonus-malus. «Il contratto nazionale prevede fino a 9 giornate di straordinario l’anno, noi le abbiamo portate a 13, aumentando al 60 per cento la maggiorazione oraria. Chi non partecipa alla flessibilità, oppure lavora il sabato ma poi sta a casa un giorno della settimana, perde il bonus», spiega Iorio. Proprio in casa della leader di Confindustria, Emma Marcegaglia, si replica invece la contrapposizione tra la Fiom e gli altri. Nel gruppo siderurgico, il contratto integrativo consente agli addetti al ciclo continuo, con le condizioni di lavoro più dure, di guadagnare anche 1700-2000 mila euro al mese. Dopo aver investito per accrescere la produttività, l’azienda, nel luglio scorso, ha annunciato di volere assumere 200-250 nuovi operai alle condizioni salariali del contratto nazionale. «Prendendo 1400-1500 euro ma rinunciando alla quattordicesima, alle maggiorazioni per turni e straordinari, al premio di produzione», spiega Vittorio Sarti, rappresentante Uilm. L’azienda chiede che lo status peggiorativo sia permanente. I sindacati, uniti, respingono l’offerta.«L’azienda accetta la graduale risalita delle remunerazioni dei nuovi, che nel giro di 8 anni saranno simili a quelle dei vecchi. Sembriamo tutti d’accordo», aggiunge Sarti. E invece no. Mentre infuria la battaglia di Mirafiori, il neo segretario della Fiom lombarda, Mirco Rota, dice no: «Non intendiamo ostacolare un’azienda che assume ma, se accettiamo, i nuovi assunti intascano poco più di mille eu-
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mangiare), mentre a Mirafiori il tempo-pasto rientra nelle otto ore. Salari. Perdono i neoassunti a stelle e strisce: prendono 15 dollari l’ora, per una paga mensile netta di 1.100-1.200 euro. A Mirafiori, un operaio di terzo livello guadagna 1.200-1.300 euro. I “vecchi” Chrysler intascano 28 dollari l’ora, pari 1.800-1.900 euro al mese. Straordinari. Se l’accordo voluto da Marchionne triplica a 120 ore all’anno gli straordinari richiedibili dall’azienda senza contrattare col sindacato, in America, negli impianti con modelli che “tirano”, non ci sono limiti. Nei mesi passati, già si sono fatti turni di 10 ore e mezzo, previo consenso dell’Uaw, sindacato unico (e azionista). Turni. Simile la flessibilità degli orari, quando nel rinnovato impianto piemontese ci saranno 4 possibilità: 2 turni di 8 ore al giorno per 5 giorni; 3 turni di 8 ore per 5 giorni o 6 giorni oppure due turni di 10 ore per 4 giorni. Limitazioni allo sciopero e riduzione delle pause sono tra gli aspetti più criticati dalla Fiom-Cgil.
ro al mese». Uno scontro di idee e di cifre. Situazione simile alla New Global. Controllata da alcuni fondi di private equity, la società ha chiuso un impianto in Danimarca e vuol spostare la produzione nel Bergamasco, dove già realizza ha una fabbrica di macchine per distribuire caffè e bibite. In ballo, 200-250 assunzioni; per l’azienda, i nuovi devono fare a meno del premio di risultato e del superminimo che i lavoratori già all’opera ricevono, con l’obiettivo di pareggiare le paghe in 4 anni. Stavolta, a dire no, sono tutti i sindacati insieme, anche se presto la trattativa ripartirà. Forse ha ragione, Landini, quando dice che di veri e propri altri casi Mirafiori, all’orizzonte, non ce ne sono. Ma la geografia delle deroghe, dei superamenti al contratto nazionale, è in evoluzione. E non sempre, quando le intese sono penalizzanti, la Fiom è all’opposizione. «Dov’è maggioranza o c’è solo lei, la Fiom fa tutti gli accordi possibili e immaginabili, anche quando c’è da chiudere una fabbrica come alla Indesit, nella Bergamasca», sottolinea polemicamente Walter Galbusera, veterano della Uil lombarda. Aggiunge da Asti il locale segretario del-
la Fim-Cisl, Tino Camerano: «Dalle nostre parti la Fiom firma eccome, anche quando magari noi non firmeremmo. Come alla Ebrille di Nizza Monferrato, dove c’è solo la Cgil, e la messa in mobilità per una parte degli addetti è stata accettata senza concordare l’entità della buonuscita». Anche in altre due imprese della provincia, con la Fiom in maggioranza, i recenti accordi siglati paiono molto “Marchionne style”. «Alla Impress di Incisa Scapaccino sono stati introdotti i 18 turni, senza un euro di aumento, e alla Ages di Asti, in amministrazione straordinaria e passata al gruppo Stola, i 122 addetti rimasti (su 155) conservano paga base e scatti di anzianità ma perdono i benefici economici derivanti da precedenti intese e i superminimi individuali», dice ancora Camerano della Fim-Cisl. Curiosità: Stola è controllata da Roberto Ginatta, socio in alcune attività finanziarie del presidente della Juve Andrea Agnelli. ha collaborato Elena Bonanni
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AVVISO AI NAVIGANTI MASSIMO RIVA
Sacconi il modernizzatore Sergio Marchionne ha commentato l’esito del referendum di Mirafiori parlando di «svolta storica». Gli ha fatto eco il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, augurandosi «tante altre intese» sul modello Fiat. Insomma, sia l’uno sia l’altro sono convinti che quel voto abbia aperto una fase di straordinario rinnovamento per l’intera economia italiana. È fin dal principio di questa vicenda, del resto, che entrambi si sono attribuiti il ruolo dei grandi modernizzatori, lanciando accuse di ottuso conservatorismo contro l’opposto fronte sindacale e politico mobilitato a contrastare accordi ritenuti lesivi sia di diritti sia di interessi materiali dei lavoratori. Il principale tasto sul quale i sedicenti modernizzatori battono nei loro sermoni è l’invito a prendere atto che il mondo è cambiato. Nuove potenze economiche si sono prepotentemente affermate insidiando il comodo benessere nel quale si erano adagiati padroni e operai nei Paesi dell’Occidente industrializzato. In Cina, per esempio, è accaduto ciò che soltanto pochi anni fa era inimmaginabile: i capi del più grande Partito comunista del pianeta hanno scelto di lasciar crescere una vasta classe di miliardari intraprendenti sulle spalle di qualche centinaio di milioni di lavoratori retribuiti con paghe irrisorie. Che faIl ministro del Welfare, Maurizio re dinanzi a un simile e
Foto: Augusto Casasoli / FOTOA3
Sacconi
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massiccio processo di dumping economico e sociale? L’unica idea è stata quella di chiedere ai lavoratori nostrani di fare uno, due, anche tre passi indietro per garantire al sistema produttivo condizioni più favorevoli nella competizione internazionale. Alcuni sindacati (Cisl e Uil) hanno accettato, altri hanno respinto. La Fiom-Cgil, in particolare, si è opposta con una tale radicalità da offrire, anche senza volerlo, il fianco alle accuse di miope conservatorismo che le piovevano già addosso dal fronte Marchionne, Sacconi & C. Il risultato è stato quello di intorbidire vieppiù le acque di questa querelle fra presunti antichi e supposti moderni. In forza dello slogan per cui un operaio può rivendicare diritti sul posto di lavoro soltanto se quel lavoro lo ha, la partita per ora si è chiusa come si sa. Si rischia così di arrivare davvero alla svolta storica - che piace a Marchionne e Sacconi - senza aver chiarito se essa sia in avanti o all’indietro. In Germania, proprio nell’industria dell’auto, la risposta alla concorrenza altrui è stata di ben altro tenore. Dalla Volkswagen (pubblica) alla Bmw (privata) si è deciso di alzare il tiro della produzione sfruttando quel punto di forza tipico delle economie mature che è il primato tecnologico. Ciò ha comportato uno scambio più equilibrato per tutti fra capitali investiti, salari e organizzazione del lavoro. Un risultato è che oggi la Germania esporta auto ad alto valore aggiunto perfino in Cina. In Italia, viceversa, si è imboccato anche per la produzione il cammino dei passi indietro seguito coi lavoratori: a Pomigliano si produrrà la banalissima Panda, a Mirafiori si monteranno componenti made in Usa. Scelte che fanno a pezzi la patente di modernizzatori dietro la quale i vari Marchionne e Sacconi stanno cercando di nascondere la loro vista ancor più corta che conservatrice.
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ECONOMIA
MADE IN ITALY
VISSI D’ARTE E DI ARTIGIANATO La passione per il cinema. L’amore per l’alta moda. La riscoperta del mestiere di sarto. Parla Silvia Fendi, manager impegnata a rilanciare AltaRoma DI LORENZO SORIA DA LOS ANGELES
la sera del 16 gennaio a Los Angeles e all’Hilton di Beverly Hills si celebra la sessantottesima edizione dei Golden Globes. Oltre che i presidenti della Disney, della Paramount, della Sony e degli altri studios, ci sono Steven Spielberg, Tom Hanks, Natalie Portman, Robert DeNiro, Sandra Bullock, Nicole Kidman, Brad Pitt e Angelina Jolie, Michael Douglas e Catherine Zeta-Jones... Il Gotha di Hollywood. E al tavolo 109 c’è anche Silvia Venturini Fendi. L’erede della dinastia romana passata dieci anni fa sotto il controllo del colosso del lusso Lvmh non è qui perché ha vestito e accessoriato i ricchi e i famosi del mondo dell’entertainment, ma come produttrice di “Io sono l’amore”, il film di Luca Guadagnino che era uno dei cinque candidati al Golden Globe nella categoria dei film stranieri. Alla fine è stato battuto, ma il giorno dopo, nell’atrio dello storico hotel Chateau Marmont, il direttore creativo del marchio Fendi è raggiante di orgoglio: «Assieme ad altri investitori abbiamo fondato una casa di produzione, la First Sun, con l’idea di tornare a fare del cinema italiano con un respiro internazionale», racconta: «Oltre al film di Luca, abbiamo prodotto anche un corto diretto da Ferdinando Cito Filomarino che tra pochi giorni sarà al Festival di Sundance. Come inizio, non avrebbe potuto andarci meglio». È una bellissima giornata di sole, di quelle da stare in maniche di camicia, e se solo potesse la Fendi resterebbe volentieri un altro paio di giorni in California. Ma deve fare rientro in Italia per mettere a punto “AltaRoma”, la manifestazione capitolina di cui è presidente e che quest’anno avrà luogo dal 29 gen-
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naio al primo febbraio. «Ho accettato questo incarico perché Roma ha una grande storia nel mondo dell’alta moda, per recuperare alcuni marchi storici come Lancetti, Irene Galitzine e le sorelle Fontana. Una tradizione che offre enormi opportunità di business, soprattutto per i più giovani». Per raggiungere questo obiettivo, la Fendi ha lanciato varie iniziative. Il concorso “Who’s on next” ha regalato una passerella a nuove leve della moda come Erkan Coruh ed Elisa Palomino . A luglio partirà la seconda edizione di “Limited/Unlimited”, una mostra collettiva di quarantadue designer che esibiranno pezzi unici di vestiti, accessori, scarpe e gioielli. Intende anche pubblicare un magazine semestrale intitolato “A.I”, che sta per artigianato italiano: «Diventeremo editori!», commenta sottolineando che si tratterà di un almanacco dedicato al lavoro di giovani che produco-
no pezzi unici e fatti a mano. Silvia Fendi ci tiene a precisare che il suo consorzio AltaRoma non intende in alcun modo competere con Milano: «Non cerchiamo di scippare niente a nessuno, Milanovendemoda fa benissimo il suo mestiere», chiarisce. «Ma il loro è prêtà-porter, noi apparteniamo a una lunga tradizione di artigianato, di edizioni limitate fuori dal tempo e dalla moda del momento. Siamo due facce diverse della moda italiana». Prima della scadenza del suo mandato (nel 2012) la presidentessa di AltaRoma vorrebbe varare anche un Museo della Moda, non tanto per onorare un passato glorioso, ma anche per indicare una strada per il futuro. Un’idea che rientra nella convinzione che riesumare vecchie e un po’ appannate maison di moda non è solo un lavoro di immagine, ma una via per offrire nuove opportunità al sistema Italia. «Non possiamo pensare di poter competere con la Cina e con grandi catene come Zara od H&M», continua Silvia Fendi. «Il made in Italy nel mondo rappresenta un marchio di qualità e una garanzia di originalità. E per risolvere la questione dell’occupazione giovanile dobbiamo tornare a valorizzare alcuni vecchi mestieri. Un sarto, per esempio. Pensare sia un lavoro del passato non ha senso, il nostro futuro sta anche nel lavoro creativo e fatto mano». ■
Silvia Venturini Fendi
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ECONOMIA
USA / 007 CONTRO GLI SPECULATORI
Un bodyguard per l’euro
Sotto l’hedge fund, l’INSIDER
Un tedesco tosto. Che si è fatto le ossa nella finanza internazionale. Ecco chi è Regling, l’uomo chiamato a gestire il fondo europeo da 440 miliardi di euro
I magistrati di New York indagano su tre società. E sui loro sistemi. A colpi di registrazioni telefoniche
ohn Kinnucan non ci ha pensato due volte a rendere pubblico quanto gli è accaduto la mattina di un sabato di novembre, mentre beveva tranquillo una birra nel giardino della sua casa di Portland, in Oregon. Kinnucan, titolare di una società di analisi di mercato che si chiama Broadband Research, ha raccontato a un giornalista del “Wall Street Journal” dell’arrivo di due uomini dai modi sbrigativi e dall’atteggiamento minaccioso che si sono qualificati come agenti del Federal Bureau of Investigation e gli hanno fatto questo discorso: «Ti possiamo incriminare per insider trading e arrestare. Hai una sola via di uscita: collaborare, registrando tutte le tue conversazioni di lavoro». Al no secco, i federali se ne sono andati lanciando l’ultimo avvertimento: «Te ne pentirai». Il racconto di Kinnucan ha alzato i veli su quella che è destinata a essere la più estesa e clamorosa indagine sugli hedge fund, e a seguire sulle banche che suggeriscono e curano acquisizioni e fusioni, e sulle società che forniscono informazioni non pubbliche agli investitori. Quasi tre anni dopo l’inizio della recessione le istituzioni finanziarie che con i loro comportamenti disinvolti sono arrivate quasi alla bancarotta e, spesso, sono state salvate con i soldi pubblici, fanno parlare di se stesse in modo negativo. Prima per essersi opposte in modo intransigente a nuove regole, poi per essere state tra le prime a ripartire, macinando profitti da miliardi di dollari. Basta vedere i risultati di alcuni hedge fund che negli ultimi 12 mesi sono passati da perdite a due
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cifre a guadagni della stessa portata: in particolare quelli che hanno scommesso sui titoli del debito. Eric Holder, il ministro della Giustizia di Barack Obama, ha confermato quanto sta per accadere: «L’indagine è in corso ed è una questione molto seria». Le parole di Holder indicano quanto poco sia cambiato nel mondo di Wall Street: non sono state sufficienti né la crisi economica cominciata nel 2007 né una tiepida legge di riforma voluta dalla Casa Bianca per invertire la tendenza. Ogni controllo viene visto come una minaccia. Al- Eric Holder. Sopra: un trader a Wall Street. l’inizio di dicembre il “New York Ti- In basso, a destra: Klaus Regling mes” ha raccontato come ogni giovedì si riuniscano i rappresentanti delle più ti che raccontavano come cinque degli imgrandi banche americane e straniere per de- putati del Galleon avevano accettato di colcidere le strategie di investimento: dove far laborare con l’Fbi. Non soltanto racconaffluire denaro e dove chiudere i rubinetti, tando tutto quello che sapevano sulle madove ci sono margini di guadagno e dove re- novre per entrare in possesso di notizie rigole più ferree impediscono la speculazio- servate che facilitassero le scelte di investine. Quel consesso settimanale riduce a pa- menti, ma soprattutto registrando tutte le role senza senso concetti come concorren- conversazioni telefoniche che effettuavano. za, trasparenza e mercato. I dossier ne contenevano già 550 sul conto L’indagine condotta dalla magistratura di di decine di possibili sospetti di comportaNew York ha preso le mosse da un’inchie- menti illegali, un numero che lascia intuire sta del 2008 che aveva messo a fuoco affa- quanto sia estesa l’inchiesta. ri poco puliti condotti all’interno di un hed- L’indagine del procuratore Bharara sta porge fund denominato Galleon Group. tando alla luce un sistema per fare soldi baQuando ormai quell’inchiesta sembrava sato su informazioni segrete. Ci sono alcustoria del passato, con il capo del fondo Raj ne società di ricerche di mercato che sono Rajaratnam ancora in attesa di processo e al servizio di grandi investitori come gli una dozzina di dirigenti che si erano dichia- hedge fund, cui forniscono con regolarità rati colpevoli di insider trading, il procura- analisi sull’andamento delle imprese e le cotore di Manhattan Sud, Preet Bharara, si è siddette notizie non pubbliche sullo stato e presentato alla Corte con alcuni documen- sull’evoluzione delle compagnie di ogni set-
L’espresso
Foto: Photoshot - Sintesi, B. Witheld - Ap / LaPresse, Reporters - Contrasto
DI ANTONIO CARLUCCI DA NEW YORK
tore. Ad esempio: un hedge fund specializzato negli investimenti sulle società hi-tech è fortemente interessato a sapere con largo anticipo se la compagnia “x” ha deciso l’acquisto di grandi quantità di componenti base per la sua produzione. Quasi sicuramente, ciò significa che è previsto il lancio di un nuovo prodotto e questo può comportare un andamento positivo del titolo in Borsa. Oppure: l’hedge fund specializzato in investimenti nei titoli delle aziende farmaceutiche paga molto bene l’informazione che svela come un certo prodotto medico o un’apparecchiatura siano validi e sul punto di essere messi sul mercato. L’inchiesta del procuratore di New York ha già individuato alcuni hedge fund le cui attività non appaiono limpide. Il 22 novembre 2010 sono state perquisite tre società a New York, in Connecticut e in Massachusetts. Si tratta della Level Global Investor LP, della Diamondback Capital Management e della Wellington management. Un azionista della Sac Capitol Advisor ha invece ricevuto la richiesta di esibire una serie di documenti relativi a transazioni finanziarie che riguardano società del settore medico. Il procuratore Bharara sta anche verificando alcuni investimenti in società che si sono fuse tra loro: le operazioni sono state condotte in prossimità delle comunicazioni alla Borsa, ovvero prima che il titolo salisse repentinamente per poi assestarsi. La società Sac è stata al centro di un episodio ancora tutto da decifrare. Un avvocato della società era stato avvicinato da un
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Klaus Regling, ovvero un lucky looser chiamato a gestire l’ultimo baluardo eretto a difesa della moneta comune, quella barriera da 440 miliardi di euro che, Germania permettendo, dovrebbe aumentare notevolmente di spessore. Come i giocatori di tennis ripescati, questo sessantenne tedesco, uscito dalla Commissione Ue nel settembre 2009, è stato richiamato in fretta e furia in servizio dall’Europa unita per un compito alquanto delicato: dirigere l’Efsf, l’European Financial Stability Facility, un fondo in crescita. Lunedì 17 gennaio la Commissione, la Bce e anche il presidente dell’eurogruppo, Jean Claude Juncker, spingevano per far lievitare i 440 miliardi, rendendoli tutti spendibili, mentre ora solo 250 miliardi sono cash (gli altri servono da garanzia per l’emissione di buoni Efsf marcati tripla A). Berlino tira il freno a mano: se ne parlerà solo a fine marzo, dice il ministro Wolfgang Schauble. Juncker, Barroso e Trichet, ma anche Giulio Tremonti, vogliono che invece ci si prepari già da subito all’aumento di capitale. Regling aspetta, ma non passivamente. Anche lui chiede di poter contare su più fondi e su più competenze, non escludendo la possibilità di acquistare fondi tossici dalle banche e titoli nazionali sul mercato secondario. «Se Berlino accetta di aumentare i fondi è anche perché c’è lui a gestirli», ragiona un consigliere di Barroso. «Gode di una dose di credibilità altissima. Lo stimano tutti, i tedeschi e gli altri: è l’uomo giusto al posto giusto».
Ma chi è Regling? «È un conservatore, è un tedesco ed è uno duro», riassume un funzionario comunitario. Ma non solo questo. Lui è un po’ come il prezzemolo: ha lavorato ovunque, da un lato e dall’altro della barricata della finanza internazionale. È stato al Fondo monetario internazionale, al ministero delle Finanze tedesco, quindi ha ricoperto la carica di amministratore delegato di Moore Capital, un aggressivo hedge fund, e poi quella di direttore generale della DG Ecofin della Commissione Ue. Mentre era a Berlino, a metà degli anni Novanta, è stato tra gli architetti dell’euro. Quindi, a cavallo del Millennio, si è messo a gestire hedge fund, rivelatisi tra i peggiori nemici della moneta comune. Per poi atterrare a Bruxelles, agli ordini prima di Solbes e poi di Almunia. Per otto anni ha vigilato con rigore sui conti pubblici dell’eurozona; quindi, dopo una breve parentesi come consulente privato, s’è prodotto in un nuovo cambio di ruolo: ha smesso la divisa del controllore per indossare il camice del chirurgo chiamato a salvare un Paese dal collasso, sintomo che i controlli, i check up, non funzionavano poi tanto bene. Il tutto lavorando dal suo
ufficio in Lussemburgo, più che un ospedale un paradiso fiscale. «Qualcuno lo chiama becchino, ma è un termine cinico ed esagerato», racconta un’altra fonte comunitaria: «Regling cerca di salvare le economie invece di interrarle». Anche se poi la ricetta imposta per accedere all’aiuto del Fondo è di quelle che uccidono, lentamente, la crescita. I primi passi di Regling al timone dell’Efsf sono stati positivi: è riuscito a far riconoscere alle obbligazioni del meccanismo la tripla A e quindi, il 5 gennaio, i primi 5 miliardi di euro di titoli emessi sotto il suo ombrello per sostenere l’Irlanda sono andati a ruba. Un buon inizio, ma ora viene il bello: con il Portogallo e soprattutto la Spagna nel mirino. Senza scordare Belgio e Italia. Per questo Regling chiede più fondi. Chi lo conosce lo dipinge come un burocrate senza senso dell’umorismo, ma con carattere. E prospettive. Il suo nome inizia infatti a circolare tra quelli dei papabili alla poltrona di Trichet. Lui dice di non essere interessato. «Non ama le luci della ribalta», spiega un ex collega: «Ama stare nell’ombra». Un’ombra che diventa sempre più grande.
Alberto D’Argenzio
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ECONOMIA
Stand Fastweb al Forum della Pubblica amministrazione. Sotto: stand Telecom allo Smau
LO SCATTO ∂ FUORI LEGGE Fastweb contesta l’Authority sull’aumento del canone concesso a Telecom Italia e fa ricorso al Tar. Intanto l’effetto rincari si riversa sugli utenti DI ALESSANDRO LONGO
rane in vista per l’Autorità garante delle comunicazioni. Fastweb sta per presentare ricorso al Tar del Lazio per una vicenda che da gennaio ha reso più costoso il telefono fisso agli italiani. L’operatore accusa l’Agcom di aver concesso a Telecom Italia un aumento immotivato del canone all’ingrosso (l’unbundling), quello che gli operatori pagano all’ex monopolista per ogni linea telefonica. Alcuni operatori come Wind, TeleTu e Tiscali hanno già deciso di ribaltare sull’utente i rincari subiti, avvisando così nei giorni scorsi la clientela: “Il canone del suo abbonamento costerà due euro in più al mese”. L’incremento è scattato sia per i nuovi sia
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per i vecchi utenti, e colpisce le tariffe più economiche per la linea fissa. Vodafone e Fastweb non hanno per ora aumentato i canoni, che sono però un po’ più cari rispetto agli altri tre operatori. Anche Telecom, nel contempo, ha aumentato i prezzi (di un euro al mese) delle sue offerte di linea fissa con Adsl. Il motivo: ora vi include l’antivirus (prima opzionale). La decisione di Agcom di concedere a Telecom di aumentare progressivamente il canone di unbundling per il 2010, 2011 e 2012, secondo Fastweb, produrrà alla società guidata da Franco Bernabè una crescita dei ricavi per 150 milioni di euro in due anni. Ma quali sono i motivi della contestazione? Il canone all’ingrosso riflette
alcuni costi che Telecom sostiene per le linee, tra cui quelli di “manutenzione correttiva” (la riparazione di guasti). È su questi che i principali operatori concorrenti hanno scatenato la polemica, sostenendo che Telecom spende molto meno di quanto Agcom ha stimato. Fastweb, in particolare, si è procurata i contratti che Telecom ha stipulato con società esterne per la manutenzione, da cui risulterebbe che a queste società paga un canone mensile a forfait, per linea, circa quattro volte inferiore a quello valutato da Agcom. «Da diversi anni, il servizio di manutenzione correttiva per servizi unbundling non viene svolto tramite manodopera sociale Telecom Italia, ma interamente appaltato a soggetti terzi», afferma Fastweb in una lettera inviata ad Agcom. Risultato: secondo Fastweb il canone all’ingrosso è più caro di quello che dovrebbe essere. Da Agcom ribattono che «per valutare i costi di manutenzione abbiamo utilizzato soprattutto parametri di efficienza internazionali, più che i dati contabili Telecom». Ne deriva che se Telecom riesce a spendere di meno, rispetto ai parametri considerati da Agcom, può guadagnare di più dal canone. Chissà se il Tar la penserà diversamente. Fatto sta che in controtendenza rispetto all’Europa, il telefono di casa diventa più caro per gli italiani (vedi tabella). Gli operatori non si sono limitati a ribaltare sugli utenti i rincari dell’unbundling del 2011, ma anche quelli passati (dal 2008 al 2010) e quelli che scatteranno nel 2012. ■
DI CHE BOLLETTA SEI? Operatore
Foto: M. Biatta - Ag. Sintesi, Genni - Ag. Sintesi
ra così larga registrazioni. Fino a oggi quel sistema era stato riservato alle inchieste sul crimine organizzato e sul traffico di droga. La ragione sta tutta nella difficoltà di mettere a fuoco un reato come l’insider trading. Proprio per questa ragione John Kinnucan dopo aver mandato a quel paese gli agenti dell’Fbi e aver infornato il “Wall Street Journal”, ha scritto ad Andrew Ross Sorkin, un editorialista finanziario che gestisce il blog DealB%k. «Ho dovuto scegliere tra una cattiva azione - accettare di mettere in trappola qualcuno che per il nostro rapporto so essere innocente - o combattere per quello che io credo sia giusto», si è autocelebrato il responsabile della Broadband Research. Poi ha ripetuto la verità che spesso ha impedito di colpire i furbetti degli hedge fund: «Il tipo di ricerche che io fornisco ai miei clienti non è diverso da quello assicurato da grandi e piccole banche… Gli autori delle ricerche si chiedono ogni giorno quali siano le informazioni appropriate da fornire ai clienti. E la fotografia è quasi sempre contraddistinta dai toni grigi, mentre il bianco e il nero stanno solo ai margini». Proprio come l’inchiesta di Bharara. ■
Foto: M. Lennihan - Ap / LaPresse, Ap - LaPresse
rabbino di Brooklyn, Milton BalLa redazione del “Wall Street kany, che aveva chiesto 4 milioni Journal”, a New York. A destra: Preet Bharara di dollari come compenso per aver esercitato pressioni su un detenuto per vo della Borsa di New York che più volte ha reati finanziari e insider trading, convincen- provato a mettere sotto inchiesta alcuni indolo a non rivelare quello che sapeva a pro- vestitori per insider trading, ma senza granposito della Sac. Gli avvocati della società de successo proprio per la difficoltà di ottehanno denunciato il tentativo di estorsione nere prove evidenti. Alla Sec stanno proe oggi il rabbino si trova sotto processo. vando a mettere le mani sulle intercettazioL’inchiesta della procura di Manhattan e le ni in possesso della magistratura. È forse la intercettazioni custodite nei dossier interes- prima volta che in un’indagine sul mondo sano anche la Sec, l’organismo investigati- di Wall Street vengono utilizzate in manie-
ECONOMIA
TELEFONI E TARIFFE
TeleTu Wind e Tiscali TeleTu
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Canoni mensili dopo il rincaro 21,90 euro 21,95 euro 31,90
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26 36
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*Nota: l’aumento di prezzo è dovuto all’aggiunta dell’antivirus
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SALUTE
TERAPIE ALTERNATIVE
Io mi curo CON L’ACQUA Infezioni respiratorie. Artrosi. Cistiti. Patologie circolatorie... La scienza promuove le terme. E spiega come scegliere quelle giuste DI LETIZIA GABAGLIO
così anche la scienza si è decisa. A fare quello che il sapere popolare e la tradizione ormai millenaria ci consigliano da sempre di fare: combattere i malanni con un bel bicchiere d’acqua. Termale, naturalmente. Bevendola o sfruttandone le proprietà nei bagni, amalgamata con fanghi ad hoc, distillata in creme e pozioni. È vero, è un’abitudine di molti, da sempre. Ma a fare la differenza oggi è una montagna di studi scientifici che certificano quali acque e in quali quantità sono effettivamente utili per combattere dolori articolari come infezioni genito-urinarie, patologie della pelle come del tratto digestivo. Lo spiega Umberto Solimene, direttore della Scuola di Specializzazione in Idrologia Medica e Medicina Termale dell’Università degli Studi di Milano: «Numerosi studi hanno permesso di specificare sia le indicazioni terapeutiche delle cure termali - per quali malattie esse sono utili - sia le loro controindicazioni, avvalorando l’autenticità del loro potere curativo e, parallelamente, tutelando maggiormente coloro che intendano
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beneficiare di tale tipo di terapia». Insomma, i trattamenti termali sono cure a tutti gli effetti. Ma per quali malattie? Cerchiamo di rispondere studi scientifici alla mano. LE VIE RESPIRATORIE. Dalle riniti alle bronchiti, le laringiti, le otiti croniche fino alle forme asmatiche allergiche. E persino la perdita di udito legata alla presenza di catarro e infiammazione. Sono molti i disturbi del tratto orecchio-naso-gola che possono trovare giovamento dall’inalazione di acque minerali. A seconda dei casi, si usano particelle di differenti dimensioni, nebulizzate, inalate o prodotte attraverso aerosol, oppure si ricorre all’humage, l’inalazione di gas che si sviluppano naturalmente dalle acque minerali. Le acque più indicate per trattare queste malattie sono quelle sulfuree, dove sono presenti grandi quantità di idrogeno solforato che uccide i batteri, o ancora quelle salso-bro-
Da sinistra, in senso orario: graphic di un capillare; microfotografia degli alveoli; rx di mano con artrosi
mo-iodiche. Che la sordità rinogena migliori alle terme lo ha confermato lo studio condotto da Maria Costantino della Scuola di Specializzazione in Idrologia Medica, Seconda Università degli Studi di Napoli. Che le acque a diverse concentrazioni di acido solfidrico siano indicate per la cura delle faringiti non provocate da batteri è provato dalla ricerca di un gruppo di studiosi dell’Università del Piemonte Orientale, Novara. Recenti rapporti hanno inoltre evidenziato gli effetti benefici della terapia inalatoria sui danni da inquinamento e da fumo di sigaretta, frequenti cause delle infiammazioni delle vie respiratorie, dell’asma bronchiale e della iperreattività bronchiale. «Attenzione però: il trattamento non deve avvenire nella fase acuta del-
L’espresso
27 gennaio 2011
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SALUTE Molti studi scientifici illustrano i benefici di diversi tipi di acque termali
Acne, reumatismi, tendiniti. Sono diverse le indicazioni per il trattamento a base di fanghi termali. L’impacco si compone di argilla, chiamata anche fango vergine, e acqua. Le due parti vengono mischiate e lasciate a maturare per almeno sei mesi, durante i quali l’argilla si modifica e al suo interno si sviluppa anche la flora batterica e algale. Vengono classificati sulla base del tipo di acqua in essi contenuta. Sulfurei: ricchi di sulfuri che, a contatto con la cute, sprigionano un gas, l’idrogeno solforato. Sono utilizzati in una quarantina di stazioni termali (per esempio a Tabiano, in provincia di Parma, o alle Terme di Saturnia, in provincia di Grosseto). Queste
prima e si mantengono più a lungo. LA CIRCOLAZIONE SANGUIGNA. Le terme sono indicate soprattutto per i postumi di flebopatie di tipo cronico. «In questo caso si usano di solito bagni e idromassaggi, molto utili per la circolazione sanguigna nelle gambe», spiegano Solimene e Gianluca Bruttomesso nel loro “Medicina termale» (Red edizioni, 2010): «Per le insufficienze venose, per linfedemi, flebolinfedemi e le lipodistrofie degli arti inferiori si utilizza il camminamento vascolare in due corridoi acquatici dotati di getti idromassaggio posti a differenti altezze e riempiti con acqua termale a temperatura differenziata, addizionata con ozono». In questo caso le acque utilizzate sono quelle carboniche, sulfuree, salsobromoiodiche, solfato-calciche, solfato-bicarbonate. LE INFEZIONI. Ritmo, quantità e orari. Sono le tre regole da seguire nell’assumere le acque
nelle patologie croniche delle alte e basse vie respiratorie. Salsobromoiodiche. L’elevata Solfate. Stimolano la produzione salinità conferisce a queste acque e la secrezione della bile, proprietà antisettiche che vengono aumentano la funzionalità delle sfruttate in tutti i trattamenti che cellule epatiche contribuendo alla interessano le mucose e la pelle. remissione di sintomi legati ai Queste acque sono poi in grado disturbi di cefalea, bocca amara sia di aumentare l’attività e irregolarità digestive. In più, della tiroide, sia di stimolare hanno un’azione antispastica e la produzione degli ormoni di rilassamento sulla muscolatura femminili, facilitando la intestinale, stimolano le regolarizzazione del ciclo. secrezioni del pancreas. Infine, Con un’azione di vasodilatazione, agiscono sulle mucose infine, stimolano l’aumento infiammate e per questo sono delle secrezioni mucose, comunemente impiegate migliorandone anche la fluidità.
SODICA, SULFUREA O ARSENICALE Sulfuree. Vengono usate per debellare infezioni da funghi e batteri e hanno potere antinfiammatorio. Stimolano, inoltre, il sistema neurovegetativo contribuendo alla vasodilatazione dei capillari e alla diminuzione della pressione sanguigna. Sulla pelle hanno un effetto esfoliante, mentre la loro inspirazione fluidifica il muco. Bevute, migliorano la motilità intestinale e stimolano l’attività delle cellule del fegato.
minerali per sconfiggere infezioni e calcoli all’apparato urinario, ma anche della gotta e dell’iperuricemia. Allo scopo si possono bere acque oligominerali, bicarbonato alcaline, solfato-calcio-magnesiache, clorurosodiche. Nel caso dei calcoli alle vie urinarie si è dimostrata efficace anche l’acqua radioemanativa, che contiene cioè sostanze radioattive, ovviamente in quantità sicure per l’organismo. I risultati di uno studio clinico sperimentale osservazionale, condotto dalla Scuola di Specializzazione in Idrologia Medica della Seconda Università degli Studi di Napoli, dimostra che bere una bibita di acqua oligominerale radioemanativa favorisce l’espulsione, in maniera statisticamente significativa, dei sassolini senza procurare effetti collaterali. Anche le donne che soffrono di infiammazioni croniche alla vagina o dell’utero otten-
Foto di pag. 120-121: R. Meier - Trunkarchives / Contrasto, Corbis (3). Foto di pag. 122-123: Gallery Stock, Corbis
la malattia perché stimolando l’apparato potrebbe sortire l’effetto contrario», avverte Solimene. I REUMATISMI. Evviva i fanghi termali. Infatti, è dall’applicazione locale di questa melma, creata a partire dal fango vergine mischiato con acque minerali e poi fatto maturare, che i malati di artrosi e reumatismi traggono beneficio. «In questi casi, però, a fare la differenza è l’integrazione anche con altri trattamenti termali, come i massaggi», aggiunge Solimene. Lo dimostra lo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università Carlo Bo di Urbino pubblicato su “Clinical Biochemistry”: nel caso di pazienti affetti da osteoartrite, gli effetti benefici dei fanghi termali possono essere amplificati dal bere acqua minerale in quantità, temperatura, tempi e ritmi determinati. E non è tutto: uno studio scientifico molto ampio, pubblicato su “Annals of Rheumatic Diseases” illustra il miglioramento della salute di pazienti affetti da osteoartrite del ginocchio dopo aver aggiunto al loro schema terapeutico (farmaci ed esercizio fisico) un trattamento termale di tre settimane. L’artrite reumatoide, invece, può migliorare con la balneoterapia, l’immersione in una vasca contenente acqua minerale portata a temperatura fra i 34 e i 38 gradi per un tempo variabile fra i 10 e i 20 minuti seguita da un periodo di 20-30 minuti di reazione, in cui l’organismo si riabitua alla temperatura esterna. Anche il più diffuso mal di schiena cronico può essere trattato con le acque termali: uno studio scientifico ha messo a confronto un trattamento di balneoterapia con acqua termale a uno con acqua normale, entrambe a 34 gradi, dimostrando la maggiore efficacia della prima. I risultati sui pazienti sono più evidenti, si manifestano
cui Abano Terme in provincia di Padova. Trovano indicazione nella terapia delle malattie articolari fangature sono particolarmente degenerative, nelle manifestazioni indicate nelle forme reumatiche dolorose della colonna, come e nelle artropatie di origine la lombalgia, nelle tendiniti. infiammatoria. Marini: ottenuti grazie alla Radioattivi: possiedono particelle maturazione in acqua marina, di argilla capaci di captare le sono ricchi di microrganismi e molecole di radio D, un prodotto sale e vengono usati soprattutto solido formato dalla degradazione per le malattie osteoarticolari del radon. Vengono offerti da e quelle dermatologiche. Sono circa dieci stabilimenti (per applicati solo in tre stabilimenti: esempio Ischia Porto Ponte e a Cervia (Ravenna), alle terme Bormio, in provincia di Sondrio). di Punta Marina (Ravenna) Si tratta di impacchi dalle e a quelle di San Giovanni proprietà antidolorifiche e trovano di Portoferraio (Livorno). indicazione nella terapia Arsenicali-ferrugginosi: ricchi dell’osteoartrosi. di ferro, questi fanghi vengono Salsobromoiodici: ricchissimi di usati per il trattamento di diverse sali minerali; possono essere a malattie della pelle, come scarsa componente organica o dermatiti, eczema, orticaria, ricchi di sostanze organiche psoriasi. Si praticano solo a (fanghi marini). Sono utilizzati in Levico (Trento), Prè-Saint-Didier una ventina di stabilimenti, tra (Aosta) e Vetriolo (Trento).
Tuffiamoci nel fango
Salse o cloruro-sodiche. Si tratta di acque ricche di sodio e cloro che, a seconda del livello di salinità vengono suddivise in ipotoniche, isotoniche e ipertoniche. Quelle cloruro-sodiche ipotoniche normalizzano la funzionalità epatica in caso di intossicazioni. Le ipotoniche e quelle isotoniche sono indicate nelle insufficienze digestive dovute a una scarsa secrezione di succhi gastrici. Al contrario, le acque ipertoniche velocizzano il transito intestinale. Le salse stimolano anche la produzione, specie da parte del pancreas, degli enzimi
gono un beneficio rilevante dalla cura termale, in particolare dalle irrigazioni con acqua minerale salsobromoiodica, come ha dimostrato uno studio condotto nello stabilimento delle Terme Stufe di Nerone in Bacoli, vicino Napoli. LA PELLE. Che le acque termali aiutino a contrastare la psoriasi lo sapevano addirittura gli antichi romani. Da quando esistono terapie farmacologiche specifiche, tuttavia, molti hanno messo in discussione l’efficacia del trattamento termale. In realtà, però, studi recenti mostrano che l’abbinamento della balneoterapia all’esposizione ai raggi Uvb a banda stretta porta a un miglioramento sostanziale delle lesioni. E che l’efficacia della combinazione è superiore a quella delle singole tecniche. Anche la fangobalneoterapia trova indicazione nel trattamento dei sintomi della psoriasi, diminuendo il prurito e minecessari a digerire gli amidi. Arsenicali-ferruginose. Queste acque sono indicate nelle anemie legate a una carenza di ferro. Ad alte dosi, le acque arsenicaliferruginose stimolano l’attivazione della funzione tiroidea. Vengono, inoltre, utilizzate per alleviare leggeri stati di ansia. Attentamente dosate e diluite, le acque arsenicali-ferruginose possono essere impiegate in malattie infiammatorie dell’apparato genitale femminile e in alcuni tipi di broncopatia. Sono indicate per il trattamento di diverse malattie dermatologiche.
gliorando la qualità di vita del paziente. Può ricorrere alle cure termali anche chi soffre di dermatite seborroica ricorrente, eczema e dermatite atopica. Bagni e fanghi con diverse acque, essenzialmente bicarbonato calciche, sulfuree o salsobromoiodiche, sono i trattamenti più usati. ■
Balneoterapia per il mal di schiena. Bevande per i calcoli. E la radioattività contro l’osteoporosi
Bicarbonate. Si tratta di acque con una spiccata azione diuretica. Grazie al magnesio in esse contenuto, quelle bicarbonate alcalino-terrose sono utili nella prevenzione della formazione dei calcoli renali. Quelle bicarbonatocalciche e alcalino-terrose, sono raccomandate nelle diete adatte al trattamento dell’ipertensione e dell’osteoporosi, consigliate a chi esercita un’intensa attività sportiva. Carboniche. Le acque carboniche migliorano la ventilazione e quindi aumentano l’ossigenazione dei tessuti. Agiscono sul sistema neurovegetativo ma in maniera
opposta a quella esercitata dalle acque sulfuree: diminuiscono la stimolazione nervosa, contribuendo a inibire i fenomeni di tipo spastico. Le acque carboniche, e in particolare quelle oligominerali e minimamente mineralizzate, aumentano la diuresi. Oligominerali. Acque diuretiche per eccellenza, favoriscono l’eliminazione di sostanze come il cloruro di sodio, l’acido ossalico e l’acido urico. Questa azione di lavaggio attenua anche i fenomeni irritativi e infiammatori a carico dell’apparato urinario. Al pari delle bicarbonate, sono considerate le
Saturnia al top È l’unico resort termale ad avere vinto il National Award dello Spafinder, la Bibbia mondiale dei luoghi del benessere. E ha appena vinto l’International Star Diamond Award assegnato dall’American Academy of Hospitality Sciences. Stiamo parlando delle Terme di Saturnia, resort esclusivo è vero, ma soprattutto fondato su acque sulfuree che scorrono a una temperatura costante di poco più di 37 gradi al ritmo di 800 litri al secondo. L’acqua agisce stimolando la dilatazione dei vasi e quella dei bronchi, il sistema immunitario, liberando le vie respiratorie, producendo attività antisettica e antitossica. È indicata anche nella terapia delle malattie dell’apparato digerente, del fegato e delle vie biliari, delle malattie cutanee e quelle dell’apparato locomotore.
più adatte per la ricostituzione del latte artificiale per i neonati, perché evitano il rischio di eccessivo carico salino ai piccoli lattanti. Radioattive. Sono usate sia nel trattamento di alcune neuropatie periferiche sia per alleviare la sintomatologia dolorosa che accompagna l’osteoartrosi e altre malattie dell’apparato osteoartromuscolare, fra cui per esempio la gotta. Queste acque, poi, aiutano a regolarizzare il flusso mestruale e a normalizzare la funzionalità della mucosa vaginale nelle patologie infiammatorie croniche e distrofiche.
SALUTE
CHEMIOPREVENZIONE
CONTRO IL CANCRO LA PILLOLA DI IERI
Mangia verde, campi cent’anni Pomodori per la prostata. Broccoli per il seno. Tè per la pelle. Poi uva e arance. Il grande oncologo spiega perché è coi vegetali che si batte il cancro colloquio con Umberto Veronesi
Aspirina. Ma anche metformina per proteggere il colon. Finasteride per la prostata... La scienza riscopre vecchi farmaci per combattere i tumori DI AGNESE CODIGNOLA
a fatto notizia. Anzi, a dire il vero, sono anni che fa notizia l’aspirina in funzione anticancro. La conferma definitiva è venuta poche settimane fa, con uno studio apparso su “Lancet”: secondo gli oncologi dell’Università di Oxford, 75 milligrammi di acido acetilsalicilico al giorno sono capaci di diminuire del 20 per cento la possibilità di sviluppare tutti i tipi di cancro. Un effettone che conferma le doti di wonder drug del vecchio farmaco Bayer, già usato da milioni di persone non solo per lenire i sintomi del raffreddamento o i dolori articolari, ma anche per tenere a bada il rischio cardiovascolare. Ma di certo non è un caso isolato. Perché ormai è un fatto che alcuni farmaci, spesso in uso da anni o decenni per altre patologie, possono inibire la proliferazione tumorale e abbassare così il rischio di avere un cancro. Un caso? Serendipity, come la chiamano gli scienziati? Assolutamente no. L’affaireaspirina è la punta di un iceberg di conoscenze che oggi mettono al centro della cancerogenesi l’infiammazione, e fanno dei farmaci anti-infiammatori una delle chiavi per prevenirla. Come spiega Andrea De Censi, direttore dell’Oncologia medica dell’Ospedale Galliera di Genova e autore, negli ultimi anni, di alcuni studi molto importanti del campo finanziati dall’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro): «L’infiammazione e il cancro sono stretti in un abbraccio mortale, e tenere bassa la prima significa ridurre sensibilmente le possibilità di sviluppare il secondo». Come è accaduto, in modo clamoroso, quando sono stati proposti contro i tumori del colon ere-
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ditari i potenti infiammatori anti COX2 (la categoria del famigerato Vioxx). È un fatto, però, che questi farmaci siano gravati da effetti collaterali importanti, e perciò sono pochi ad utilizzarli come medicine preventive. Ma ciò che conta è che questi dati dimostrano ancora una volta che tenere a bada l’infiammazione in chiave anticancro è la via giusta. Lo stesso De Censi ha percorso questa strada e ha appena presentato al congresso annuale dell’American Association for Cancer Research il suo studio su un vecchio farmaco antigotta, l’allopurinolo. E ci spiega: «L’idea è nata da alcuni dati epidemiologici che segnalavano che, tra i malati di gotta che assumevano il farmaco, l’incidenza di alcuni tumori - soprattutto di quelli del colon - era molto bassa». Per
questo i ricercatori hanno somministrato due dosi normali di farmaco (100 e 300 milligrammi) per quattro settimane a persone che aspettavano di essere operate perché avevano dei polipi intestinali, e sono poi andati a verificare l’andamento di due proteine molto importanti, una che segnala la proliferazione e l’infiammazione, e l’altra collegata alle forme di poliposi familiare quasi sempre destinate a degenerare in tumori. «I risultati sono stati molto positivi, perché i livelli di entrambe le proteine sono aumentati in misura assai minore nei malati trattati con le due dosi di farmaco rispetto a quelli che avevano assunto il placebo», racconta De Censi: «E un mese di terapia costa circa un euro». Qualcosa di molto simile si sta verificando poi con un altro farmaco utilizzato da milioni di persone in tutto il mondo: la metformina, antidiabetico orale. Gli epi-
L’espresso
Foto: Spl - Contrasto (2), Capra - Imagoeconomica
Laboratorio di ricerca sui tumori. A sinistra: neoplasia della prostata. A destra: Umberto Veronesi
demiologi hanno osservato che l’incidenza di tumori era più bassa della norma tra i diabetici che assumevano questo farmaco, ma non tra quelli che si curavano con altri medicinali. Così, un gruppo di oncologi canadesi ha deciso di somministrare la metformina a donne operate per un tumore al seno e ha visto effetti positivi. «Noi abbiamo scelto di sfruttare proprio l’intervallo di tempo che precede l’intervento e durante il quale si può cercare di far diminuire la massa e la vitalità del tumore, e di dare a 200 donne non diabetiche che dovevano essere operate entro qualche settimana di tumore al seno dosi normali di farmaco», racconta De Censi: «I dati preliminari sono incoraggianti». E questo accade perché la metformina assolve a più funzioni contemporaneamente, quasi senza effetti collaterali e a costi bassissimi: fa diminuire le cellule maligne, previene il diabete e le malattie cardiovascolari e abbassa l’infiammazione.
27 gennaio 2011
Sabato 29 gennaio l’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) metterà in vendita, in quasi 2.100 piazze, oltre 417 mila reticelle di arance rosse siciliane. Lo scopo è duplice: sostenere la ricerca e sensibilizzare sull’importanza di una corretta alimentazione per prevenire il cancro (per info: www.airc o 840 001 001). Perché è ormai assodato che una dieta scorretta è responsabile di circa un tumore su tre, anche se ci sono ancora alcune zone d’ombra su quanto pesi davvero l’apporto di vegetali freschi. Abbiamo chiesto a Umberto Veronesi una parola chiara sull’argomento. Alcuni studi recenti hanno messo in discussione lo specifico contributo dei vegetali alla diminuzione del rischio cancro. «Lo studio che ha fatto più rumore è probabilmente quello pubblicato lo scorso anno sul “Journal of the National Cancer Institute”, che conclude che la riduzione del rischio di ammalarsi che la dieta “verde» produce sarebbe intorno al 10 per cento (percentuale comunque non
trascurabile). In realtà esso non è affatto in contraddizione con quanto sappiamo sull’effetto protettivo di frutta e verdura. Nessuno ha mai affermato che un’alimentazione ricca di frutta e verdura da sola basti a prevenire tutti i tumori, perché la prevenzione comprende, tra l’altro, lo stop al fumo di sigaretta, la riduzione dei fattori inquinanti, la protezione dall’esposizione agli agenti cancerogeni come virus e radiazioni, la limitazione del cibo in generale». Serve poi di chiarire cosa significhi davvero “rischio cancro”. «È noto che non tutti i tumori beneficiano di una riduzione di rischio in uguale misura; pertanto, parlando di “rischio cancro”, occorre fare un distinguo tra forme di cancro che sono e non sono direttamente influenzabili con l’alimentazione. Ma non è tutto: oggi sappiamo che esistono molecole protettive per tipi specifici di tumore che si trovano nelle verdure». Cioè? «Il licopene dei pomodori, che protegge dal cancro
Il tema è: l’accumularsi di questi dati autorizza a pensare che ci siano su piazza delle pillole capaci, a diverso titolo, di prevenire i tumori. Significa forse che ognuno di noi sarebbe bene che prendesse un farmaco, magari per tutta la vita, anche se è in salute? Risponde De Censi: «Non proprio. Ci sono situazioni in cui l’organismo inizia a dare segni di progressione verso un tumore, e in questo caso è possibile che la somministrazione di un farmaco possa rallentare e anche, talvolta, impedire la formazione del cancro vero e proprio». Que-
della prostata, l’indolo-trecarbinolo delle crucifere, che protegge dal cancro del seno, la catechina presente nelle foglie del tè, che contribuisce a proteggere dal tumore alla pelle, al colon, al polmone, al seno e alla prostata, il resveratrolo dell’uva e del vino rosso, che protegge da diversi tipi di tumori. Inoltre sappiamo che alcuni vegetali come la soia sono ricchi di fitoestrogeni (sostanze simili agli ormoni femminili) e per questo possono svolgere un ruolo di regolazione di eventuali influenze ormonali sullo sviluppo di certi tumori. Il futuro è dunque certamente nella ricerca delle sostanze protettive per ogni forma tumorale e nella dieta mirata per le persone ad aumentato rischio di una determinata forma di malattia. Tuttavia, se un principio attivo si rivela efficace e non presenta effetti collaterali negativi, non c’è ragione per limitarsi a consigliarlo alle persone a rischio e non estenderlo a tutta la popolazione».
sto accade, ad esempio, in caso di ipertrofia della prostata: molecole come la finasteride e la dutasteride possono bloccare la progressione tumorale. Il discorso cambia se parliamo di popolazione generale. Allora, se una persona ha superato i cinquant’anni, ha un ampio giro vita, mostra i primi segni di resistenza all’insulina o di eccesso di grassi nel sangue e così via, probabilmente ha un’opportunità in più: quella di assumere basse dosi di aspirina o di metformina, per prevenire in un colpo solo le malattie cardiovascolari e i tumori. ■
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SALUTE CURA DEI DENTI di Tiziana Moriconi
Tennis e doping
RIVOGLIO IL MIO SORRISO U na sostanza capace di far ricrescere le ossa che sostengono i denti. Stiamo parlando del fattore di crescita dei fibroblasti, FGF-2: l’applicazione locale di questa proteina può rigenerare il tessuto danneggiato da una grave parodontite. A dimostrarlo sono i risultati del più ampio studio clinico mai condotto finora nel campo delle terapie parodontali rigenerative, pubblicato sul “Journal of Dental Research”. Le infezioni orali e la progressiva distruzione dei tessuti sono la principale causa della perdita di denti negli adulti. Le terapie rigenerative in uso, come gli innesti di osso e di membrane che guidino la crescita di nuovi tessuti, non sempre sono in grado di promuovere in modo efficace la riparazione dei danni, e il successo degli impianti dentali non è quasi mai prevedibile. I risultati di Masahiro Kitamura dell’Osaka University Graduate School of Dentistry (Giappone), principale autore dello studio, potrebbero ora rivoluzionare il settore: una nuova terapia basata sull’applicazione topica dell’FGF-2 potrebbe davvero rappresentare il futuro della medicina rigenerativa in questo campo. Per accertarne la sicurezza e l’efficacia, Kitamura ha testato su 253 adulti sottoposti a un intervento chirurgico per parodontite tre differenti dosaggi di una soluzione a base della proteina (a 0,2, 0,3 e
MATCH AL BICARBONATO Cavie in laboratorio. Sotto: il tennista Roger Federer. In basso: Marco Gasparotti e, a centro pagina, lembi di pelle al microscopio
GENETICA di Agnese Codignola
Quel sesso è molto confuso I maschi sono tali perché hanno un cromosoma Y e uno X, le femmine, invece, perché hanno due cromosomi X. Così si è sempre saputo. Ma potrebbe anche non essere così. Lo hanno dimostrato i genetisti dell’Università di Adelaide, in Australia, che hanno creato in laboratorio dei topi di sesso maschile, con quasi tutte le caratteristiche che rendono un maschio tale, ma privi del cromosoma Y. Ci sono riusciti - come spiegano sul “Journal of Clinical Investigation” - attivando nel feto del topolino un solo gene (chiamato SOX 3) considerato cruciale per lo sviluppo del cervello, ma inessenziale al differenziamento sessuale. Risul-
0,4 per cento) e le ha confrontate con un placebo. A distanza di 36 settimane, tutte e tre le dosi del fattore di crescita sono risultate significativamente più efficaci nel ricostituire il tessuto danneggiato rispetto al placebo e in tutti i pazienti trattati, comunque, si è avuto lo stesso recupero, di circa due millimetri.
Chirurgia estetica
È tutta un’altra pelle
Alimentazione
BASTA UN POCO DI ZUCCHERO
Foto: Corbis (4), Olycom, Spl - Contrasto
Non sarà il massimo per il giro vita, ma il caffè zuccherato è un vero elisir di efficienza per il cervello, perché contiene il giusto mix di stimolanti e biocarburanti per permettere alla materia grigia di funzionare al meglio. I neurologi dell’Università di Barcellona hanno chiesto a 40 volontari di assumere una bevanda contenente caffeina e zucchero da sole o insieme o un placebo e sono andati poi a vedere che cosa succedeva con la risonanza magnetica funzionale e con test cognitivi specifici. Hanno così dimostrato che chi aveva assunto caffeina e zucchero insieme aveva un rallentamento dell’attività delle aree più coinvolte nella concentrazione, nell’attenzione e nell’apprendimento, cioè in zone specifiche della corteccia parietale e prefrontale, contro un rendimento identico a quello degli altri. Fatto che - come hanno sottolineato su “Human Psychopharmacology” - dimostra che per svolgere una stessa funzione superiore, chi assume caffeina e zucchero spende meno energia e può dunque rendere meglio e resistere più a lungo. A. Cod.
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tato: animali nati con due cromosomi X ma con caratteri sessuali primari (organi interni) e secondari (genitali esterni) maschili e con il tipico comportamento da maschio, anche se incapaci di produrre sperma, e quindi sterili. La scoperta potrebbe essere molto importante per diagnosticare con precisione e - in futuro - curare in maniera selettiva e permanente le persone colpite da ermafroditismo, che hanno due cromosomi X ma si presentano come maschi, con anomalie più o meno pronunciate, e che - come è stato dimostrato recentemente - hanno alcuni difetti proprio nella versione umana del gene SOX3.
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DI MARCO GASPAROTTI Questo è sicuramente il periodo dell’anno giusto per fare un peeling chimico, a meno che non abbiate intenzione di esporvi al sole della montagna. Per chi resta in città, invece, è il momento di agire, prima dell’estate; per spazzare via macchie ed imperfezioni cutanee e pensare al benessere della nostra pelle. Con i peeling chimici si ottiene una pelle più giovane senza alterare in alcun modo la vita di relazione. Il peeling chimico è infatti una forma accelerata di esfoliazione che avviene attraverso l’uso di sostanze chimiche ad azione caustica. Il suo obiettivo è quello di levigare e migliorare l’aspetto della cute, rimuovendone gli strati esterni più danneggiati. Gli effetti dei peeling chimici variano
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Nel tennis, il bicarbonato di sodio potrebbe essere considerato una sostanza dopante. Chen-Kang Chang della National Taiwan College of Physical Education ha infatti dimostrato per la prima volta, con uno studio clinico, gli effetti della sostanza nel ridurre l’affaticamento neuromuscolare e, quindi migliorare le performance. I ricercatori hanno selezionato nove giocatori tra i 19 e i 24 anni. Tutti hanno partecipato a due sperimentazioni: hanno seguito il loro solito allenamento e la stessa dieta (vietati alcol, caffeina e tabacco) nei due giorni antecedenti le prove; le loro prestazioni (precisione e consistenza del servizio, e del dritto e del rovescio a entrambi i lati del campo) sono state misurate accuratamente attraverso un test standard. La mattina del test, che consisteva nel giocare un match, i tennisti sono stati assegnati in maniera causale a due gruppi: in un caso hanno assunto bicarbonato di sodio (0,3 grammi per chilo), nell’altro un placebo. Il campione è piccolo, ma i risultati, riportati sul “Journal of the International Society of Sports Nutrition”, sono molto indicativi: dopo il match, i punteggi del servizio e del dritto sono diminuiti significativamente nel gruppo di controllo, mentre sono rimasti inalterati in chi aveva assunto bicarbonato di sodio. T. Mor.
a seconda della concentrazione e del PH della sostanza utilizzata. Così si possono ottenere stimolazione e crescita dell’epidermide, rigenerazione di nuovo tessuto e induzione alla produzione di nuovo collagene. In base alla loro capacità di penetrazione nella cute e alla conseguente profondità di azione vengono classificati in superficiali, medi e profondi. E il livello di profondità dipende dal tipo di sostanza utilizzata, dalla sua concentrazione e dal tempo di applicazione: maggiore è la profondità, più evidente è il risultato che ci si puo’ aspettare. I peeling chimici più utilizzati sono quelli che utilizzano gli acidi salicilico, piruvico e tricloracetico (Tca), che può essere usato in diverse percentuali, e, in funzione di queste, risulta più o meno aggressivo e permette di fare sia peeling di superficie che medio-profondi.
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Un ritratto dell’attore Steve Buscemi
Foto: S.Council - Contour / Getty
MODA UOMO SEDUCENTE E IMPENITENTE. IMPECCABILE MA SENZA SFARZO. LO STILE MASCHILE HA IL FASCINO SFRONTATO DI STEVE BUSCEMI. NUOVA ICONA DEL GLAMOUR INTERNAZIONALE A CURA DI VALERIA PALERMI
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LA MODA PER LUI
MASCHIO HI-TECH Formale o informale. Casual chic o post punk. Purché siano capi che abbiano una concezione tecnologica e siano adatti per contenere gadget. È il trend emerso dalle sfilate di Milano
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i vorrà un cappotto, magari di cammello. Ci vorrà un cappello, forse molti. E abiti, formali, preferibilmente di tessuti un po’ antichi, come il tweed o il Principe di Galles. Semplice? Al contrario. La moda appena vista sulle passerelle a Milano, che sarà nelle strade il prossimo inverno, sembra piuttosto ispirata alla teoria della complessità. Pensiero su un mondo sempre più difficile da sintetizzare: dove le differenze di stili di vita tra generazioni da un lato si accentuano, dall’altro tendono a zero; dove realtà geograficamente lontane si fanno sempre più vicine; dove più si fa parte di un mondo globale più si cerca rifugio nel familiare e locale; dove la corsa al futuro si mischia alla riscoperta della tradizione. Dove il nuovo, come nello steampunk, può essere contemporaneamente tecnologico ed anacronistico. Ibridare, conciliare gli opposti, far collidere - felicemente - mondi. Era questa la sfida, e in molti ci sono riusciti. Ma serve un nuovo vocabolario, a raccontarla. Rebel tailoring, l'ha chiamata Ennio Capasa, designer di Costume National, e definisce non soltanto la sua collezione: un mix di tradizione sartoriale e ricerca tecnologica, sintesi di formale e di sportswear. Il passato è sempre parte del futuro, gli ha fatto eco Cavalli,
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1. Uomo Ferragamo, cool e informale. 2. Il cappello torna di moda per Emporio Armani. 3. Richiamo anni ’70 per Cavalli. 4. Dettagli sartoriali per Zegna. 5. Uomo classico per Versace
Quel gangster ha stile Se c’è un volto, e un corpo, e un vestire, che sintetizza lo stile maschile appena tracciato dalle sfilate di Milano, è quello di Steve Buscemi. Meglio: il suo avatar televisivo, il gangster “Nucky Thompson”, protagonista della serie tv “Boardwalk Empire” girata per HBO da Martin Scorsese. Il personaggio, basato su quello storico che governava ad Atlantic City negli anni Venti il commercio clandestino di alcol in pieno proibizionismo, vive dell’acting straordinario di Steve Buscemi, della sua faccia devastata che sa essere amorale come nessuna. Ma non sarebbe stato efficace senza il lavoro perfetto del costume designer John Dunn. È lui ad aver ideato quegli abiti, che nella serie quasi sempre finiscono intrisi di sangue, in Principe di Galles, check o tweed, così simili a quelli appena visti sui modelli di Milano. Lui a volere per Buscemi certi cappotti sontuosi di cammello col collo di pelliccia, i gessati portati con il gilet e il vezzo di un fiore all’occhiello, i colli rigidi delle camicie, i cappelli di tante fogge senza cui un gentiluomo del tempo non sarebbe mai uscito di casa, da una bisca o speak-easy. Per creare l'elegantissimo stile dei suoi gangster, John Dunn ha fatto ricerche nelle biblioteche di New York, al Brooklyn Museum ed al Met. Ha usato solo tessuti d'epoca, e li ha fatti tagliare dal sarto di Brooklyn Martin Greenfield. Il risultato è un capolavoro di realismo, l’eleganza forbita e decisa degli uomini di allora. Che a Milano è appena tornata di scena. V.P.
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Siviglia incontra l’Oriente
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mentre Dolce & Gabbana hanno parlato di “sartoria eccentrica”. Il risultato è un voluto effetto vintage, dove si guarda ai giovani senza giovanilismi, dove l’ispirazione viene da personaggi di fascino come Brian Ferry ma anche da mondi più complessi come quelli evocati da John Richmond: una Manchester post punk, gli scenari lividi del romanzo 1984 di Orwell, l'epoca meccanica moderna. La rebel couture è un bell’ossimoro che racconta la complessità delle reti. Una contemporanea conciliazione di estremi: giovani e saggi, giacca da smoking con jeans, ispirazione working class e glamour, ribelli ma sartoriali, Frank Sinatra e Johnny Rotten, heritage e modernità. Tocchi di colore quasi femminili, e tagli inequivocabilmente maschili, come da Jil Sander. Oriente e Occidente.Un mondo complesso, da affrontare con strategie articolate. Tanto più 8 ora che le previsioni tornano positive: la Camera Nazionale della Moda parla per il 2010 di un fatturato complessivo di tessile, abbigliamento, pelle e calzature superiore ai 60 miliardi di euro, in aumento del 6,5, mentre le esportazioni nei primi mesi del 2011 dovrebbero salire del 12,3 %. Grazie soprattutto ai paesi dell'area BRIC, Brasile, Russia India e Cina. Con la Cina a suscitare più interesse di tutti: vedi Prada che il 22 gennaio a Pechino fa sfilare una selezione della sua moda estiva maschile e femminile, arricchita da capi pensati solo per il mercato cinese. Non basta: la maison di Miuccia apre due nuovi centri stile, uno a Parigi ed uno a Shanghai, perché per vendere meglio ai cinesi, biso-
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Mai più senza cappello
Foto: 132-133 Ansa, Tecchio(2) L. Bruno - AP / Lapresse(2), A. Calanni - AP / Lapresse(2), Bertani
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1. Etro ispirazione viaggio. 2. L’uomo di oggi Bikkembergs. 3. Stile classico Gucci. 4. Bottega Veneta hi-tech. 5. Burberry, stile solido. 6. Moschino vintage. 7. Fay tradizionale. 8. Dolce & Gabbana, smoking e jeans
Foto: 130-131 Tecchio (2), AP / Lapresse, A. Calanni - AP / Lapresse, Tecchio, L. Bruno - AP / Lapresse, Everett Collection - Contrasto
La collezione nuova di zecca, destinata a una distribuzione selettiva, approderà nei negozi il prossimo autunno-inverno. È il progetto, appena presentato a Milano, della One Way, azienda di abbigliamento di Marotta che fa capo alla famiglia Bianchetti. Cinque anni fa il lancio del marchio uomo-donna Siviglia, oggi quello di Siviglia Atelier che sarà preceduto da una piccola anticipazione già nella primavera-estate 2011. L’obiettivo è preparare il debutto della collezione donna Siviglia Atelier sulle passerelle di Milano Moda Donna nel febbraio 2012. Oggi la griffe conta linee per uomo, donna, bambino e neonato, lo scorso anno ha raggiunto i 670 mila capi venduti con una proiezione per la prossima primavera di 900 mila. Nel 2010 il fatturato ha superato i 41 milioni di euro: oltre al mercato italiano, il business è cresciuto molto in Germania, Svezia, Belgio, Olanda, Svizzera, Austria, Spagna, Russia, Dubai, Corea, Giappone. La collezione maschile (55 per cento) è lo zoccolo duro, con la supervisione di Sauro Bianchetti, seguita da donna (30 per cento) e bambino (15 per cento) con il coordinamento creativo della moglie, Graziella Castelli. Fra i punti di forza dell’azienda marchigiana, il controllo della filiera produttiva e campagne pubblicitarie di grande impatto, cui hanno collaborato fotografi noti quali Mert&Marcus e David Sims. Quanto all’innovazione, sui cartellini dei prodotti è stato introdotto un codice digitale che permette di accedere attraverso i telefonini al sito dell’azienda per conoscere le iniziative riservate ai clienti. Tra i piani futuri, la progettazione di spazi dedicati al brand, una nuova sede e uno sguardo attento agli ambienti web dove sono più attivi i giovani consumatori. Antonia Matarrese
Mai più senza cappello. Il messaggio arriva forte e chiaro dalle ultime passerelle maschili di Milano, che hanno rilanciato l’accessorio ideale per completare un look che rifugge l’anonimato. Qualcuno ci ha costruito sopra la sua fortuna: come Philip Treacy, ribattezzato “il cappellaio matto”, o Stephen Jones, venerato dai modaioli di mezzo mondo per le eclatanti creazioni di gusto teatrale. Qualcun altro ne ha fatto un vezzo irrinunciabile: Brad Pitt e Johnny Depp in testa, seguiti a ruota da John Malkovich e Jude Law ma anche Devendra Banhart e Morgan. Per il prossimo inverno le idee per le teste calde non mancano. (a) Dolce&Gabbana ha rispolverato la fedora a falde piccole di cui la rockstar Pete Doherty ha fatto il suo sigillo. (b) Il a copricapo è in camoscio per Missoni, mentre può diventare un elmo come le cuffie tecniche disegnate da Carlo Pignatelli Outside (c), da abbinare a cappucci di rete metallica cari a Lancillotto. (d) Richiami retro per Iceberg, mentre Scervino (e) oscilla tra Oriente e Occidente. (f) Zegna invece ha pensato a Gengis Khan e alla Grande Muraglia, snocciolando colbacchi antigelo. Da Burberry Prorsum, infine, Christopher Bailey ha puntato sulla coppola declinata in pelliccia a chiazze bianche e nere, mentre Brooks Brothers punta sul modello di lana patchwork. Le soluzioni più stravaganti, come il Borsalino tempestato di Swarovski, vanno scelte a occhi chiusi. Enrico Maria Albamonte
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gna pensare il più possibile cinese. Così fa anche Zegna, che l’attenzione a quel mercato ha mostrato plasticamente con una sfilata intitolata “In the Mood for China”, pensata per uomini che “hanno in sé Occidente ed Oriente”, e indossano con la stessa disinvoltura montgomery in montone e giacche a chimono di seta per la sera. Da Zegna la sfilata, grazie alla consulenza di James Lima, visual consultant per il film Avatar, si fa digitale, contemporaneamente in passerella e su uno schermo grazie alla tecnologia LIVE-D. L'effetto è potente, chi assiste è immerso nella sfilata quasi facesse parte di un film. Ma migliaia di persone hanno seguito la sfilata anche online, in una anteprima di quella che sarà l’evoluzione del sito e-commerce di Zegna, previsto per l'autun6 no.Non è l’unica invenzione. Burberry rende subito disponibili i capi visti in passerella su burberry.com (fino al 23 gennaio); Capasa già lavora a nuova operazione, EEQUAL, debutto a marzo, 120 negozi in collaborazione col gruppo Coin per una moda a prezzi più ragionevoli, sul modello giapponese Uniqlo.Le invenzioni sono tante, ma lo stile resta solido: il principio è quello del “Value for money,” in sostanza “spendo & pretendo”. Non costa certo poco, il prêt-porter, e in un momento in cui il fast fashion riduce i prezzi all'osso e inventa mini collezioni a getto continuo e a prova di crisi, agli stilisti tocca mettere sul piatto argomenti molto solidi per convincere a comprare. Soprattutto gli uomini: perché -a dispetto di infinite rivoluzioni culturali, più annunciate che avvenute- per loro lo shopping resta un’attività funzionale. La risposta a un
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OBIETTIVO PUNTATO SULLE MANI L’umiltà del lavoro e la bellezza del vero artigianato. Dall’incontro con i Fratelli Rossetti è nato il progetto “Master’s hands”. In mostra a Milano colloquio con Ferdinando Scianna di Fiamma Sanò Mani che lavorano, creano, mani che fanno. Nella mostra “Master’s hands”, allestita nella showroom Fratelli Rossetti a Milano (fino al 22 gennaio), Ferdinando Scianna racconta i mille volti del lavoro
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manuale. A dare il via al progetto, il desiderio dell’azienda di uscire da un immaginario prevalentemente legato alla moda e l’incontro tra i Rossetti e il fotografo siciliano, lo scorso dicembre. Sono 18 gli scatti d’archivio esposti, oltre a cinque inediti realizzati nella sede del calzaturificio di Parabiago. Come ha selezionato le foto da esporre? «Ho scelto immagini che raccontano le sfaccettature del lavoro manuale, momenti diversi di una stessa narrazione. Visitando lo stabilimento dei Fratelli Rossetti sono rimasto affascinato dagli
artigiani all’opera. Mi sono fatto raccontare le fasi di lavorazione della scarpa e ne ho riprese cinque, coerenti con il senso degli altri lavori». Perché proprio le mani? «Rappresentano contemporaneamente l’umiltà del lavoro e la bellezza del vero artigianato. Servono per intrattenere il nostro rapporto con il mondo e allo stesso tempo scolpiscono, tagliano. Si dice Homo faber, no? Senza mani non ci sarebbero né i grattacieli né la Nike di Samotracia». L’interesse per l’artigianato caratterizza tutta la sua fotografia. «Sono nato in Sicilia, ho vissuto l’infanzia in un mondo in cui il motore era un fatto nuovo, le mani allora avevano poche “protesi”. Certi gesti fanno parte della mia cultura, come scartavetrare un mobile, passarci sopra le dita per sentirne la consistenza, come faceva mio nonno falegname». Qual è il gesto che più le appartiene? «L’eros: potrebbe esistere senza mani?».
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Foto: Venturelli - WireImage / Getty Images, D. Dal Zennaro - Ansa, L. Bruno - AP / Lapresse, F. Scianna - Magnum / Contrasto
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1. Lunghezza decisa per Armani. 2. Uomo Canali solido e asciutto. 3. Iceberg etnochic. 4. Jil Sander punta sul colore. 5. Tod’s stile classico. 6. Linee essenziali per Gazzarrini. 7. Collezione Hugo Boss
In mostra ci sono quelle di Jorge Luis Borges, protagonista di un suo libro. Perché lo ha voluto in questa occasione? «All’epoca, mentre lo ritraevo, notai che quest’uomo, scrittore cieco che per me era un Omero o un Milton, si rosicchiava le unghie: un particolare che me lo ha reso più vicino. Inoltre, anche nelle mani dello scrittore è molto presente il concetto del fare: il feticismo del manoscritto, inteso come un oggetto artigianale qualsiasi».
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bisogno (mi serve un cappotto, una scarpa, una camicia), e non quella scarica di adrenalina che euforizza il cervello femminile. Qualcuno si ricorda più dei “metrosexual”, presunta evoluzione finale della specie maschile? Quegli uomini sicuramente etero che però avrebbero dovuto avere nei confronti della moda la stessa attenzione impaziente del pubblico femminile? Spariti, già obsoleti, come versioni sbiadite delle fantastiche quattro di Sex and the City, che fantastiche non sono nemmeno più loro. Una recente ricerca dell'Institut Français de la Mode del resto, che analizza comportamenti dei consumatori europei, rivela che se mediamente le donne riservano alla moda un budget annuale di 422 euro, per gli uomini la cifra scende a 360, il 15 per cento in meno. Non vuol dire che la moda non gli interessa,
Tra le immagini in mostra quale ha amato di più? «Le “Mani che progettano”, del 1976, appartengono a un costruttore di barche. Una rivelazione: lui mi ha mostrato il progetto e di colpo sotto i miei occhi, insieme alle linee curve del disegno, c’era la sua mano sporca di grasso, contorta, ricca di fatica, lavoro e usura. Credo che le foto debbano essere sempre realistiche e mai simboliche, ma in quel momento mi sono trovato davanti una sintesi formidabile della
storia di quell’uomo e anche della storia del mondo. Per questa ragione faccio il fotografo». Racconta di mani che amano, cucinano, suonano, scrivono. Ma le mani possono anche essere violente... «Certo: possono usare coltelli, sparare e picchiare. Ma in questo caso abbiamo voluto deliziare, non far soffrire. E poi di me si può dire che sono autentico, verace, a volte primitivo e perfino truculento. Ma violento, mai».
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Speciale Uomo ma che ogni acquisto è visto come un investimento. Che gli uomini pensano al vestire sostanzialmente in due modalità, formale e informale, con la possibile variante del casual chic riservata a quelli più illuminati. Tutti, però, si appassionano al mondo dell’high tech: così quei capi che hanno un contenuto tecnologico, o sono pensati per contenere gadget di questo tipo, gli piacciono moltissimo.Queste sfilate vanno lette così, come risposta efficace a una domanda: di qualità, di buon taglio, di durata. Di creatività senza stravaganze né eccessi. E allora, una smart guide allo stile del prossimo inverno non può prescindere da certi fondamentali: il cappotto, magari come quello di Burberry oppure di Emporio Armani, lunghezza decisa, aspetto asciutto e solido; il cappello, tornato di moda nelle sue versioni più classiche; l'abito ma a contrasto anche -per i più giovani- pantaloni dal cavallo bassissimo, pantaloni alla zuava, pantaloni che sfiorano appena la caviglia, a volte sostenuti da bretelle; dettagli tecno nei capi e borse porta iPad; semplicità delle linee, spesso sottili; un richiamo agli anni Settanta, come accade da Cavalli, da Gucci, da Ferragamo, collezioni dove la tradizione diventa cool; pelliccia, che si tratti di colbacchi, di cappotti, di colli o giacconi; e l’infinita varietà della pelle, del camoscio, dei capispalla in montone. ■
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1. Richmond total white. 2. Belstaff in pelle. 3. Prada punta sul colore. 4. Uomo di oggi Scervino. 5. Costume national, formale e sportswear. 6. Gianfranco Ferrè
BORSALINO DÀ SPETTACOLO
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www.espressonline.it Sul sito Web le tendenze, i commenti, le curiosità della quattro giorni di passerelle a Milano, dedicate alla moda maschile autunno-inverno 2011-2012
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Foto: A. Calanni - AP / Lapresse, Tecchio
Il cappello torna alla ribalta, per le strade e in passerella a Milano. Da Borsalino dà spettacolo nella mostra (alla Triennale fino al 6 marzo) “Il cinema con il cappello” sulla genealogia di questo accessorio, che punta a fare la differenza nel look e nella storia del costume. Merito di un marchio diventato sinonimo di oggetto di design, la cui identità è legata a doppio filo alla settima arte. Oltre al memorabile film intitolato appunto “Borsalino” con Alain Delon e Jean Paul Belmondo, lo dimostra il modo irripetibile in cui personaggi come Federico Fellini, Charlie Chaplin, Sergio Leone e Orson Welles hanno lasciato il proprio segno distintivo affidandolo al cappello. Ne hanno 4 seguito le orme Greta Garbo, Audrey Hepburn, James Dean con il modello da cowboy a falde larghe rialzate, Sylvester Stallone e il berretto di lana in “Rocky” fino a Harrison Ford, inseparabile dal suo cappellone nel ruolo di Indiana Jones. Partendo da un cilindro concepito come una macchina del tempo, l’iter espositivo si dipana esplorando le forme con cui il cappello diventa generatore di storie. «Se il cinema è indissolubilmente legato al potenziale narrativo del cappello - spiega Roberto Gallo, presidente della Fondazione Borsalino – la nostra azienda ha con il cinema un’antica relazione, da sempre è attenta al linguaggio visivo in ogni sua versione». All’esposizione, ideata da Elisa Fulco e curata da Gianni Canova, è abbinato il concorso “Al cinema con il cappello” bandito dalla Fondazione Borsalino in collaborazione con Centro Sperimentale di Cinematografia e My Movies. L’iniziativa, rivolta ad autori under 35, prevede la realizzazione di un cortometraggio inedito della durata massima di 5 minuti collegato ai temi della mostra. La giuria selezionerà i 3 migliori lavori tra quelli pervenuti entro il 12 febbraio. Enrico Maria Albamonte
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VESTIAMO IL MONDO A Firenze le aziende fiutano la ripresa. E tra previsioni positive e nuove strategie di mercato puntano all’export verso Europa, Usa e Hong Kong
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DI ANTONIA MATARRESE
alla fiera reale alla fiera virtuale. Conclusa la 79esima edizione di Pitti Immagine Uomo (Firenze, Fortezza da Basso), è in corso la versione digitale: una parte delle aziende espositrici potrà aprire un proprio show-room, che vivrà on line per un’intera stagione, si potranno negoziare e raccogliere ordini dai buyer certificati dalla rassegna. Cambia il modo di fare business per affrontare una ripresa che, nel comparto moda uomo, sembra essere nell’aria. «Il 2010 si è concluso in sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente: secondo le stime elaborate da Sistema Moda Italia, il giro d’affari ha superato gli 8 miliardi di euro», afferma Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine. Se da un lato la domanda interna si è mantenuta piuttosto debole (-0,8 per cento), osserva Napoleone, dall’altro le esportazioni moda made in Italy verso i paesi dell’Unione europea (Gran Bretagna con +15,5, Francia con +8,5 per cento, Germania con +2,5 per cento) e poi verso Russia (+6,9 per cento), Giappone (+7,9 per cento) e Hong Kong (+58,2 per cento) sono cresciute. Altro segnale incoraggiante, l’incremento delle vendite sul mercato Usa (+15,8 per cento). «Per i prossimi mesi», aggiunge l’amministratore delegato di Pitti Immagine, «in base ai dati di un’indagine campionaria Smi, le indicazioni sono ottimistiche: il 70 per cento delle aziende interpellate si aspetta una stabilità della congiuntura attuale mentre il restante 30 per cento confida in un miglioramento del trend di mercato». La piattaforma Pitti Uomo ha proposto le collezioni autunno-inverno 2011-2012, ospitando 1.100 marchi su un’area di 59 mila metri quadrati, oltre 30 mila visitatori in rappresentanza dei negozi e i department store più importanti del mondo: un record assoluto. Di buon auspicio per chi la moda la disegna, la produce, la distribuisce, la consuma.
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1. Parka in piumino con cappuccio fisso bordato di pelliccia Murmaski, collo in lana staccabile e polsi interni in lana della collezione Peuterey (tel. 800 011247). 2. Piuma d’oca iniettata e cappuccio nascosto da zip per il piumino bi-stretch idrorepellente e ultraleggero proposto da Montecore (tel. 0721 871984). 3. Grafismi variopinti per la camicia della collezione Desigual (www.desigual.com). 4. Girocollo in puro
cachemire, camicia a quadretti celeste, cravatta di flanellalana cachemire, papalina a coste grigia, pantaloni cargo slim fit color castagna. Firmato Brunello Cucinelli (tel. 02 33601990). 5. Allestimento della sezione My Factory negli spazi del Lyceum, curato dall’architetto e buyer Oliviero Baldini. My Factory mette in scena gli stili emergenti della moda che fanno riferimento alla cultura
metropolitana, alle contaminazioni fra musica, arte, design e hi-tech. 6. Piuma in lana stretch con fantasia tinta in filo a disegni madras e chiusura ad alamari per il piumino della linea Colmar Originals (tel. 039 3943264). 7. Tessuto in pura lana e interno e collo in misto cachemire per il piumino smanicato di Della Ciana Cachemire (tel. 075 6099031). 8. Boston, la sacca morbida, fa parte della collezione
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Pineider (tel. 030 2130172). 9. Ritratto di Fabio Quaranta, uno dei due new performer di questa edizione di Pitti Immagine Uomo, protagonista del fashion show “The Hallucinatory Mountain” nello spazio Cango Cantieri Goldonetta di Firenze. 10. Allestimento della sezione MyFactory con un mix-and-match fra interni ed esterni del Lyceum: l’esterno svela gli spazi interni. 11. Tessuto Principe di Galles per l’abito di taglio sartoriale firmato Borrelli (tel. 02 76011616): rifinito a mano, ha giacca slim due
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bottoni con punto vita alto, rever stretto e tasche con pattine. 12. Rivisitazione di un tradizionale feltro del 1922 con testa bassa e ala a conca bordata in canneté, il cappello proposto da Borsalino (borsalino.com) è in un inedito color cioccolato. 13. Ispirazione Sussex per il look di Geox (tel. 0423 2822) declinato nei colori dell’autunno inglese: trench coat monopetto in cotonenylon antipioggia, polo con mezza zip e pantaloni in tela di cotone trattato. 14. Essenziale il piumino nero di La Martina (tel. 035 4995011).
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Dimenticate il classico completo maschile a tre pezzi, che ha tenuto banco per circa 350 anni. Citando Le Corbusier, il completo è «una macchina in cui vivere, un’armatura aderente ma confortevole, costantemente riveduta e reinventata per adeguarsi alle esigenze della vita moderna», come ricorda Cally Blackman nel suo libro illustrato dal titolo “Questione di stile -100 anni di abbigliamento maschile” (Mondadori Electa, 312 pagine 39 euro). Gli elementi-cardine del guardaroba per lui autunnoinverno 2011-2012 si possono riassumere in cinque tendenze precise.
Esploratori contemporanei. Correva l’anno 1912 e l’esploratore inglese Robert Falcon Scott diventò testimonial di Burberry, che confezionò per lui parka e pantaloni a prova di vento. Oggi capospalla e giacche prendono spunto dal mondo della montagna, rivelano interni di lane e fustagni caldissimi, ripercorrono il filo della memoria con fantasie check e jacquard. Ecco, allora, l’esploratore eco-dandy proposto da Italia Independent con i suoi colori ispirati ai paesaggi invernali, la giacca con le bretelle che si porta in spalla come uno zaino disegnata da Massimo Vello per Anissej life, le camicie da
aviatore dal gusto vintage di Serge Blanco, il giubbotto Scott Polar in pelle, maglia e tessuto tecnico, omaggio del designer bresciano Luca Roda agli alpinisti inglesi Mallory e Irvine, lo scozzese mescolato alle fibre hi-tech idrorepellenti visto da Sundek, i piumini termosaldati senza cuciture di Blauer. Linee informali. Il completo maschile è all’insegna dell’informale: vestibilità asciutta, giacche destrutturate a due bottoni, tessuti d’archivio provenienti da lanifici italiani e inglesi riprodotti con tecniche moderne. Cantarelli e Lardini rivisitano il Principe di Galles per le giacche monopetto su fondo blu o grigio, Boss Selection lancia la linea Tailored di fattura italiana, Bagutta e Guglielminotti
attualizzano i disegni cravatteria per camicie sartoriali impeccabili. A tutta maglia. Il cardigan torna protagonista e sostituisce il cappotto: oversize dall’aspetto infeltrito, in classico e prezioso cachemire, di mohair stile Norvegia. Visti da Cruciani, che usa il punto stoffa per costruire la sua Cru Jacket a prova di valigia, Doriani Cachemire che punta sui blouson a grandi trecce, con sciarpa e cappello coordinati, Altea con la giacca maglia per grandi freddi, Svevo Parma con i cardigan in cachemire e seta abbinati al camoscio testa di moro. Seal Kay si ispira alle atmosfere del film “Into the Wild” e privilegia i capi fatti a mano, Claudio Cutuli punta su pure lane di pecora e l’alpaca cardata.
Il polacchino. Ricordate
Foto 138-139: O. Baldini, B. De Giacomo 140-141: O. Baldini. 142-143: O. Baldini
QUESTIONE DI DETTAGLI
le Kickers per i più piccoli? È ora di rispolverarle. Declinate in una vasta gamma di colori, fanno la parte del leone insieme alle intramontabili Clarks. Modello cult della prossima stagione invernale, il polacchino si veste di mini borchie in cristallo fumé secondo Alberto Guardiani o viene realizzato in vitello ingrassato da Barret. Borse morbide. Un invito a viaggiare leggeri: questo il messaggio lanciato da molti marchi che hanno debuttato a Pitti Uomo con le loro collezioni di borse. La nappa mappa è protagonista della nuova linea Business destrutturata firmata Alviero Martini 1a Classe, mentre il progetto add Bags in collaborazione con Andrea
Incontri punta su sacca di nylon ripiegabile, cartella reversibile e zaino ultralight. Perfino il coccodrillo diventa morbidissimo nel modello Dailycase del brand milanese Giòsa mentre il tessuto in Pvc anni Settanta, waterproof e resistente, viene declinato in bronzo, nero o color cioccolato per le travel bags di Serapian Milano. Una capsule di cinque pezzi in cui spicca la borsa porta giacca per Boglioli mentre la linea Casbia, disegnata da Edmundo Castillo e Manuele Bianchi, rielabora l’estetica country per un uso urbano: borse in texture organiche dal design essenziale e grintoso. A. Mat.
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15. Misto lana cardata a coste inglesi per il cardigan proposto nella collezione Rodrigo (tel. 0871 5781). 16. Lavorazione a grosse trecce e dettagli sartoriali quali alamari in corno e cuciture a mano per la giacca in pura lana di Heritage (tel. 051 6824181). 17. È di PRPS (www.prpsgoods.com), brand di New York famoso per i suoi denim premium, il total look che abbina la camicia in cotone doppiato al jeans inciso con ampi strappi fatti a mano da artigiani giapponesi. La tela dei jeans è ottenuta con la lavorazione di cotone biologico giapponese su vecchi telai a spoletta degli anni Cinquanta. 18. Fa parte della collezione Herno Tech Kevlar Engineering (herno.it) la giacca che garantisce una temperatura costante del corpo. Disponibile in quattro colori: grafite, blu, greybeige e cacao, tutto effetto melange. 19. Una delle moto della Fine Art Dirt Collection: a Pitti Uomo la mostra del maestro calzaturiero Alberto Fasciani che racconta due discipline: speedway e flat track, interpretate da Roberto Totti e Mr. Martini, motocustomizer di fama mondiale, in un progetto curato dal fotografo Alberto
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Ricette anticrisi 26 33
31 Narduzzi. 20. Giacca check con collo a scialle in pura lana, denim raw, serafino grigia in cotone lavorato e cintura in cuoio invecchiato: tutto della collezione Gant (gant.com). 21. Piuma a iniezione diretta per il piumino Warm-up Screen Jacket di Piquadro (tel. 0534 409034), realizzato in tessuto speciale Saati dalla trama fittissima concepita per applicazioni ad alto contenuto tecnologico. 22. Brevetto internazionale per i jeans Inblack della collezione Betwoin (tel. 081 3121111): realizzati con due tessuti di cui uno stretch, con tasca ricamata e cartellino in pelle. 23. Panno di lana blu disegnato a check tono su tono e lavato per ottenere un effetto leggermente “used” per la giacca Henry Cotton’s (tel. 049 9323111). 24. Massimiliano Gioni, curatore della mostra “8 e mezzo”, progetto della Fondazione Nicola Trussardi in
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collaborazione con la Fondazione Pitti Discovery (alla Stazione Leopolda fino al 6 febbraio). 25. È realizzata in cotone imbottito la field jacket della collezione Mason's (tel. 0585 52052) abbinata alla sciarpa fantasia ricamata. 26. Allestimento della sezione MyFactory: all’interno si aprono prospettive su città fantastiche, contaminazioni fra storia e futuro. 27. Nylon e kevlar per la Rider Jacket di Pirelli PZero (tel. 02 853559402): gilet termico imbottito removibile, inserti elasticizzati, fodera interna traspirante giallo fluo. 28. È in cachemire grigio melange trapuntato il giubbino con coulisse in vita e interno in piuma d’oca della collezione Moorer (moorer.it). 29. Flanella misto lana effetto melange per la giacca della linea Luigi Bianchi Mantova 1911 (lubiam.com). 30. Fustagno sdrucito con gilet interno staccabile in panno
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per il giaccone da lupo di mare della collezione Marina Yachting (tel. 049 9323111). Bottoni invecchiati, tasconi impunturati e stemmi effetto stencil. 31. Giaccone in tessuto tecnico disegnato, con tasche porta oggetti, della collezione Paul&Shark (tel. 0332 828325). 32. Giacca doppiopetto in lana e panno blu navy, con toppe e colletto interno fantasia gessata, della collezione Falconeri (tel. 045 8604111). 33. Chiara ispirazione alpina per il maglione senza cuciture proposto dalla collezione Harmont&Blaine
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Quali strategie per combattere la crisi e conquistare nuovi mercati? Quattro imprenditori della moda, presenti al Pitti Uomo con i loro marchi, raccontano le loro personali ricette. Giacomo Guidi, direttore creativo Piero Guidi: «In questo momento più che mai la comunicazione è la chiave per dare al consumatore finale un’immagine rassicurante del prodotto che vogliamo vendere. Ritengo che una campagna azzeccata incida fortemente sulle scelte di chi entra in un negozio. Lo slogan dell’azienda, “Gli angeli del nostro tempo”, non è mai stato così attuale e calzante. La Piero Guidi nasce nel 1970 a Urbino, la culla del Rinascimento. Spesso, per le nostre campagne pubblicitarie, abbiamo pescato testimonial nel mondo della cultura: il regista Wim Wenders, durante la sessione di foto realizzate con la moglie Donata, parlava di glocalizzazione, di riscoperta dei prodotti a
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regionali, quei prodotti che hanno reso grande il made in Italy nel mondo. Nella prossima stagione, invece, vorrei rispolverare l’immagine di Muhammad Alì scattata nel 1998. Per prendere a pugni la crisi». Alberto Zambelli, contitolare di Heritage: «La crisi ha generato un cambiamento molto interessante: il consumatore non è più disposto a farsi incantare. Se cerca il lusso sa riconoscere il vero lusso, se vuole la novità la identifica, se sceglie il capo a buon mercato vuole risparmiare davvero. Solo un dialogo costante fra azienda e distribuzione permette di monitorare le esigenze del cliente finale, con un occhio alla vestibilità e uno agli stili che cambiano. La ricetta vincente di Heritage sta nella costante attenzione alla filiera produttiva: filati pregiati, rinnovo delle collezioni ma con uno sguardo al passato, alla tradizione, all’archivio storico dell’azienda, rigoroso made in Italy». Massimo Gianfrate, brand manager e direttore commerciale Berwich: «Il b
nostro marchio arriva sul mercato dopo trent’anni di produzione per conto terzi. Abbiamo deciso di investire molto sulla tecnologia, in software e macchinari. Questo ci permette di produrre circa 1.300 capi al giorno. Certo, per ottenere pantaloni dal taglio e dalla linea impeccabili serve anche personale altamente qualificato che segua, passo dopo passo, prototipi, modelli, produzione, controllo qualità e logistica». Fabio Peroni, direttore creativo Montecore: «La parola d’ordine è innovazione. Se oggi le nostre collezioni sono esposte nelle più belle vetrine d’Italia, da Cenci a Roma a Giglio a Palermo, da Vertice a Torino a Raspini a Firenze, il merito è anche della continua ricerca che facciamo sui materiali. Il fiore all’occhiello della prossima collezione autunno-inverno sarà il piumino bi-stretch: la novità assoluta sta nel tessuto che rende il capo stretch sia in larghezza che in lunghezza. Idrorepellente e leggero, caldo e avvolgente». A. Mat. c
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Scarpe superlusso in cashmere gessato. Per celebrare i sessant’anni di carriera. Incontro con Andrea Santoni, imprenditore perfezionista
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DI FIAMMA SANÒ
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Liu Jo sceglie Kate Moss
(tel. 080 4858305). 42. Giacca doppiopetto in lambswool slim fit con revers a lancia, bottoni in metallo e tasche a toppa fa parte della collezione Paoloni (tel. 0733 40079). 43. Capospalla antipioggia e antivento, la giacca Press Conference firmata Piero Guidi (tel. 0722 59086) è stata realizzata in un tessuto tecnico brevettato dall’azienda.
ndrea Santoni compie 60 anni di carriera nel mondo delle calzature. A 12 anni comincia come tagliatore di pellami: prima operaio, poi caporeparto e capofabbrica, fino a mettersi in proprio negli anni Settanta insieme alla moglie Rosa. L’azienda, fondata nel 1975 a Corridonia, in provincia di Macerata, celebra l’anniversario a Firenze, in occasione di Pitti Im- Andrea Santoni, magine Uomo, con una collezione capsule della fondatore linea limited edition, segmento superlusso del dell’azienda marchio. È una scarpa in cashmere gessato, nelle varianti del blu, del bordeaux e del grigio, nei tre modelli storici della calzatura uomo: Oxford, veneziana e doppia fibbia, la preferita di Andrea (prezzo al pubblico: 600 euro). A Pitti sarà Era il 1981 e Alberto anche allestito un laboratorio con artigiani calzolai all’opera. Guardiani, imprenditore «Le nostre scarpe vengono prese in mano da 90 a 150 volte, tanmarchigiano del settore te sono le fasi di lavorazione, a Pitti non possiamo certo portarcalzaturiero, diede vita all’omonimo marchio. Il le tutte», afferma Andrea Santoni quando gli chiediamo di ractrentesimo anniversario viene contare come si crea una calzatura made in Italy. «Ci sono tafesteggiato con una capsule glio, orlatura, anticatura, cucitura e montaggio a mano, per collection in edizione limitata esempio. Raccontare le cose è facile, ma per capire davvero cocomposta da tre modelli, me nasce una scarpa bisogna vederlo fare». Santoni in effetti è realizzata in collaborazione un pragmatico con la cultura del “fare”, nato e cresciuto nel con la rivista internazionale mondo della calzatura marchigiana. «Ho fatto tanti sacrifici e “Wallpaper”. L’azienda ha ho lavorato tanto», continua, «dieci ore in fabbrica tutti i giormesso insieme un’antologia ni, con l’ambizione di imparare. Ho dedicato la vita alle scarpe». dello stile Guardiani in cui Con uno spiccato accento marchigiano racconta che alla base spicca il pezzo-icona: la del successo di ogni azienda ci sono stile e qualità. «Sono una francesina maschile in vitello persona normalissima, modesta e umile», afferma, «ma anche ricamata a mano. molto severo e rigido sul lavoro: le cose vanno fatte bene». L’Anniversary Collection è Un’idea che ha trasmesso al figlio Giuseppe e continua a trasmetstata presentata alla Fortezza tere ai giovani che lavorano per lui: da sei anni, infatti, segue perda Basso, nella struttura sonalmente la scuola-laboratorio fondata in azienda. «Ho sembattezzata “Casa Guardiani”: pre preferito assumere ragazzi senza esperienza», sottolinea, un omaggio al pittore e «per insegnare loro il lavoro a modo mio. scultore francese Jean Mi piace stare con i giovani, molto più Dubuffet, artista provocatore che con i miei coetanei». ■ del Novecento, e
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Una sfilata-evento in riva all’Arno per festeggiare l’universo Liu Jo: la linea Jeans uomo e donna, quella accessori, le calzature e anche il bambino. Durante Pitti Immagine Uomo, l’azienda di Carpi (Modena) guidata da Marco Marchi, ha organizzato un evento speciale e ha aperto le porte del neonato Liu Jo Accessories in via Calimala 14r, nel cuore di Firenze, il primo al mondo dedicato agli accessori. Il negozio sorge di fronte al megastore Liu Jo progettato dallo Studio Fabio Caselli Design seguendo la filosofia del “white retail concept”. «Siamo in un momento cruciale per la vita dell’azienda e ci prepariamo a sfide importanti», afferma Marchi che del brand è anche direttore creativo. «Il 2011 inizia con il lancio a livello europeo del progetto denim Bottom-Up Collection by Liu Jo sostenuto da una massiccia campagna televisiva in sei Paesi. E avremo una testimonial d’eccezione: Kate Moss. La ribalta di Pitti Immagine Uomo ci ha invece aiutati a far conoscere i nostri nuovi negozi di Firenze che convivono nella stessa strada e sono stati inaugurati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro». A. Mat. 42
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STILE DUBUFFET
Foto pagine 138-139: O. Baldini, B. De Giacomo. Pagine140-141 O. Baldini. Pagine 142-143 O. Baldini
(tel. 081 8881135). 34. Il pezzo forte della linea sportiva Allegri A-Tech (tel. 02 4225631) è il parka nero in Neomex, raso di poliestere impermeabile. 35. Cardigan doppio petto con collo a sciarpa e interno a contrasto, è realizzato in pura lana merinos, ed è da firmato da Daniele Fiesoli (tel. 055 8790076). 36. Il classico montone rivisitato nella collezione MCS Marlboro Classics (tel. 0445427411): lungo, confortevole, inserti in pelle lavata e comode tasche esterne. 37. Polo a manica corta e a manica lunga in piquet tinto in capo effetto “old” della collezione Fred Perry (tel. 015 2556411). 38. Camicia check, pantaloni di ispirazione sci impermeabili con tasche in alcantara e zip laterali, impermeabile con inserti in alcantara. Tutto nella collezione Jeckerson Ready to Golfswear (tel. 051 6934011). 39. Ideale per il tempo libero, la felpa in cotone fa parte della nuova linea Muhammad Alì by Everlast (tel. 055849160). 40. Fa parte della “Edizione illimitata” Virtus Palestre distribuita da Zeis Excelsa (tel. 0734 8991), la felpa bianca col numero stampato. 41. Pantalone reversibile, in cotone tinta unita e fantasia black watch della collezione Berwich
FOREVER YOUNG
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Sneaker per lui Riedizioni interpretate in chiave moderna. E un codice estetico vistoso che premia il colore anche d’inverno. Le calzature maschili presentate a Milano mettono insieme tradizione, cura dei dettagli e praticità. 1. Il mocassino driving di Car Shoe (tel. 02 798345) ha suola in gomma costituita da uno scafo resistente all’acqua e al freddo che richiama il tipico disegno del fondo gommini mentre la vaschetta mantiene la tradizionale cucitura a mano su forma. 2. Cesare Paciotti (tel. 02 76013887) ha proposto il modello 308, lanciato negli anni Ottanta: un’allacciata con fondo in gomma realizzata in camoscio sfoderato, dalla forma classica e grintosa. Anche nei colori: dal bianco ghiaccio al rosso, dal celeste al tortora, dal blu al cioccolato. 3. È in pelle con fondo a cassetta la sneaker della collezione Hogan (tel. 02 77225700). A. Mat.
all’arte moderna. A. Mat. 144
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Speciale Uomo Beatrice Trussardi, figlia di Nicola, alla guida dello storico gruppo bergamasco
esprime in quattro forme: moda, arte, design e gastronomia. Riunite nel primo grande evento con cui qualche giorno fa, durante la kermesse di Pitti Uomo a Firenze, si sono aperte le celebrazioni dell’“anno del levriero”. Per l’occasione la maison ha “traslocato” nella Stazione Leopolda per ospitare una sfilata di moda maschile seguita da una pantagruelica cena orchestrata da Andrea Berton, chef due stelle Michelin del ristorante Trussardi alla Scala a Milano. Il tutto completato da “8 e mezzo”, mostra d’arte contemporanea dedicata alla Fondazione che Beatrice dirige dal 2002. Negli ultimi dieci anni lei ha avviato un rinnovamento profondo dell’azienda. Qual è oggi l’identità del marchio?
DYNASTY
ELEGANZA INFORMALE
La maison Trussardi festeggia cent’anni di successi. Con grandi eventi tra moda e arte. Che ne ribadiscono lo stile
«Crediamo in un “buon gusto democratico”, sobrio ma non minimalista, e in capi portabili da abbinare con gusto personale. Come quelli disegnati da Milan Vukmirovic per la nostra prima linea, la Trussardi 1911, fatta di creazioni speciali molto studiate nei dettagli. La star delle collezioni è la pelle, non solo negli accessori che sono il nostro cavallo di battaglia, ma anche nell’abbigliamento. Manipolata da mani esperte o stampata e perforata al laser, può diventare un tessuto peso piuma». Avete in cantiere un evento per il Salone del Mobile?
«Ad aprile sveleremo i progetti sviluppati da mio padre per riqualificare Milano, impegno in cui siamo sempre stati in prima linea». Come definirebbe l’uomo di Trussardi?
«Cosmopolita e senza età, consapevole di sé, attento alla cura del COLLOQUIO CON BEATRICE TRUSSARDI suo corpo ma anche dell’ambiente. Vanitoso ma senza eccessi, DI ENRICO MARIA ALBAMONTE ama la tecnologia, rifiuta total look, divise e stereotipi. Anche quando lavora, preferisce uno stile informale ma di lusso come dimostrano la prima linea e la Tru Trussardi, curata ma più accessibile, affiancata dall’etichetta casual Trussardi Jeans». Quale ruolo ha avuto Milan Vukmirovic nell’evoluzione del vostro stile?
ifficile stare al suo passo, perché avrà anche cen- «Sul piano creativo è l’interprete ideale di questa fase di rinnovat’anni ma Trussardi va veloce. Proprio come il le- mento. È un esteta, poliedrico un po’ come era mio padre. Ha inivriero che dal 1973 incarna il dinamismo e lo spi- ziato come buyer, contribuito a ideare il concept di Colette, dirige rito pionieristico dell’azienda oggi guidata da Bea- la rivista di moda “l’Officiel Homme” e da noi è impegnato su più trice Trussardi. Dal padre Nicola, che negli anni fronti: disegna le collezioni di moda Trussardi 1911, si occupa delSettanta trasformò un laboratorio artigianale di guanti di pelle in le campagne fotografiche e del restyling dei negozi». ■ marchio globale del lusso, ha imparato che visionari si nasce. Fu proprio lui il primo a portare le sfilate nei luoghi più suggestivi di Milano affidandone la regia a Giorgio Strehler e Dario Argento. «Mio padre era un antesi- Un’azienda in espansione soprattutto nei mercati esteri, Giappone ed Estremo gnano forse perché era soprattutto un imprenditore», Oriente in testa, con 400 dipendenti e un giro d’affari 2009 di 410 milioni di racconta: «Negli anni Ottanta aveva già intuito il valore euro trainato dagli accessori. Questo l’identikit della società che oggi conta 150 culturale della moda. Oltre a essere un business poteva negozi e 2.600 punti vendita multimarca in tutto il mondo e vede nella Cina diventare stile di vita». Stile che oggi per Trussardi si una grande opportunità. Fra i progetti per il 2011 c’è il lancio di un nuovo sito
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Da Roma a Pechino
e-commerce e la riapertura della boutique romana di via Condotti, rinnovata secondo il format degli altri monomarca Trussardi 1911 di Milano e Porto Cervo. L’espresso 27 gennaio 2011
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Laetitia Casta nella nuova campagna della Diva Bag e, in basso, nel backstage
Speciale Uomo L’INTERVISTA
CON GIOIA E LAETITIA ’ultima Laetitia Casta è scatenata, pantaloni di cuoio, frange e quella borsa tenuta a mo’ di chitarra: così nella prossima campagna di Cavalli. L’opposto di come arriva alla Brasserie Zeyer in place d’Alésia, a Parigi, in golfino beige e cappotto in tinta di linea classica.
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Una Laetitia pop-rock?
«Sì, perfetto. Sul set, a Londra, hanno messo la musica a tutto volume e mi hanno chiesto un’immagine gioiosa, colorata, viva, piena di energia e movimento. La collezione è davvero bella, e a me è piaciuto molto interpretare quel personaggio così espressivo di donna libera non tanto nella ribellione, quanto nella gioia».
La Casta è la nuova testimonial di Roberto Cavalli. In una campagna vivace, colorata e piena di energia. “Proprio come sono io”, dice l’attrice
COLLOQUIO CON LAETITIA CASTA DI ROBERTO DI CARO
Non è tempo di ribellione, quello in cui viviamo?
«No. È l’età della resistenza».
«Certo! L’anno scorso, due mesi su un’isola di 400 metri quadri piena di cani selvaggi. Per girare “L’isola” di Kamen Kalev, regista «Resistere è un atto creativo, è non accodarsi alle idee correnti co- bulgaro già premiato a Cannes: storia di una coppia un po’ robome tante pecore». tizzata, in vacanza lui diventa come folle, lei (io) capisce come gli Cinema, teatro, tre figli: lei però non ha mai smesso di fare la modella. esseri umani possano essere controllati dalla politica e dal mondo «Certo che no. Perché dovrei scegliere? Oggi tutto è multiplo, le che li circonda, e inizia una profonda trasformazione di sé, voilà». persone esplorano, i fotografi scrivono poesie, gli scrittori dipin- La moda, disse agli esordi, è un mondo pieno di squali... gono o scattano foto, nessuno sta più in un posto solo. E anch’io «Sono ancora qui, si vede che faccio parte anch’io dei predatori...». spazio dove ne ho voglia, vado incontro ai miei desideri». E il cinema? Anch’esso è pieno di squali? Che cos’è, un’idea della donna oggi? «La passione è tale che non ho problemi con gli squali né con i pe«Non ho alcuna idea di che cosa sia una donna, di come le perso- sci piccoli. Il pericolo in fondo è solo la paura che ne abbiamo». ne progettano le donne o ne disegnano il fantasma. Le donne so- E lei paure non ne ha? no multiple, anche se questo può destabilizzare gli uomini». «Certo che ne ho. Ma non riguardano le persone. Come il cibo, mi Ma non suo marito Stefano Accorsi... nutrono. E comunque le gestisco, le mie paure». «Oh sì, anche lui, qualche volta. Ma gli piace, ne è contento. Io so- Con la psicoanalisi? Freudiana, junghiana, magari lacaniana? no un uccello che ha bisogno di volare. E se si amano gli uccelli, si «L’ho fatta, sì. Freudiana». deve essere capaci di guardarli volare. Si ha bisogno anche di que- E cos’ha imparato su di sé? sto lato estremo della vita: ci nutre, ci arricchisce». «Ad andare incontro ai miei desideri di donna, un lusso. Chi dice E quale sarebbe il suo “lato estremo”? che la psicoanalisi non funziona è in genere un cinico, deciso a pro«Non mi piace ciò che è tiepido. Amo le forti personalità, metter- teggersi e a sbrogliarsela da sé: ma a me non va di vivere così. Io mi in pericolo, andare verso l’incognito, superare le mie paure. Se sono un’attrice, rifletto sulle emozioni, mi scopro un po’ ogni giorvoglio partire per un’isola deserta in capo al mondo, lo faccio». no, è un cambiamento continuo: la psicoaLo ha fatto? nalisi è perfetta per il mio mestiere». Questa frase piacerà parecchio, in Italia...
Perché dà conto della complessità del sentire e dell’agire?
STILE ACCORSI Fotografa questo codice e vedi l’intervista a Stefano Accorsi dal tuo cellulare. A pagina 23 le istruzioni per attivare il servizio
«Assolutamente. Sto per girare un film di Hélène Fillières, attrice al suo primo lungometraggio, sull’assassinio del banchiere Edouard Stern, a Ginevra nel 2005. Benoît Poelvoorde è Stern, io l’assassina, ma le cose sono più complicate di una donna che uccide l’amante per denaro: è una storia d’amore. E ho appena interpretato “Dietro i muri”, primo film francese in 3D, regia di Pascal Sid e Julien Lacombe, giovani molto promettenti: storia di una scrittrice anni Venti che, segnata dal dolore e dall’assenzio, si ritira in campagna, mal vista dalla
L’espresso
Una borsa da Diva gente, e scivola in un abisso di incubi e deliri. Uscirà presto nelle sale». Qualcosa di più allegro no?
«Fra un paio di mesi comincio “Come fratelli”, commedia di Hugo Gelin. E, prima, do la voce a un cartone animato degli autori de “L’era glaciale”: è la storia di due pappagallini di una specie rara. Come me...». Ha in progetto di tornare a recitare anche in teatro?
«Non trovo un testo abbastanza forte. Per recitare sul palco, bisogna che tu il personaggio lo scopra una sera dopo l’altra, e che un po’ ti corrisponda». Come Ondine di Giraudoux, da lei portato in scena nel 2004?
«Ero un po’ selvaggia, Ondine era perfetta per me». E ora è meno selvaggia?
La nuova campagna pubblicitaria della Diva Bag porta la firma di un direttore artistico d’eccezione: Eva Cavalli. Laetitia Casta musa della nuova campagna. Com’è la donna Cavalli? «Forte, determinata, intrigante, con grande personalità. E ama sedurre. Laetitia ha la fortuna di essere anche mamma. Credo che rappresenti tutto ciò che per noi deve avere una donna». Che atmosfera c’è nelle immagini? «Gioiosa, fresca, spontanea. Laetitia è una donna solare, positiva e trasmette ottimismo attraverso il suo sguardo dolce, in un volto intrigante e seducente. I fotografi Mert&Marcus
sanno come esaltare stampe e colori». Qual è il ruolo del colore negli abiti? «È determinante, che sia in palettes naturali o vivaci. Il colore che mi rappresenta è il verde. Per Roberto è il nero: un must, permette di giocare con accessori di colori accesi e diversi». Con la Diva Bag dopo 40 anni la Maison Cavalli punta sugli accessori “haut de gamme”. Siamo a una svolta? «Nelle ultime stagioni la ricerca ha catturato sempre di più la nostra attenzione. La combinazione tra artigianalità ed estro rende la Diva Bag un accessorio dalla struttura forte e maneggevole allo stesso tempo». Dove va l’estetica della Maison Cavalli? «Verso un nuovo tipo di seduzione: più sottile e meno dichiarata». Micol Passariello
«Sì. Guardo le cose con un po’ più di indulgenza». Perché è mamma di tre bambini?
Pensi in Italia, Berlusconi al potere e quasi niente a sinistra...
«Non per quello. Essere mamma è molto creativo. Madre, attrice, «Oh, in Francia non è che a sinistra ci sia molto di più. Quanto a modella, tutto per me è importante, e tutto insieme». Berlusconi, mi perdoni, ma ha toccato una certa parte d’Italia che La politica? Carlà e Sarkò non le sono simpatici, a leggere sue interviste. gli corrisponde: per fortuna non è tutta così». «Non ho detto questo, non la conosco, je m’en fous di Carla Bru- Il cinema italiano? Sa, da noi non gode più di grande prestigio... ni. Dei politici mi infastidisce che siano dappertutto, sempre in tv «A me piace tantissimo. “Io sono l’amore”, di un regista che come delle rockstar: capito che la popolarità conta più delle idee, osa come Luca Guadagnino e parla dell’Italia in modo fantasi appiccicano agli attori, che nei talk show si ritrovano obbligati smatico, voi non l’avete molto apprezzato, in Francia l’aba parlare di politica per apparire intelligenti. Senza dir nulla, poi». biamo adorato». ■
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Sua Maestà la Patata
LA TAVOLA di Enzo Vizzari
PIAZZETTA DI SAPORI
a sempre la Lombardia della tavola marcia a due velocità: da una parte le province orientali, Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, ricche di una cucina di solida tradizione e, di conseguenza, ricche anche di ristoranti e trattorie di qualità; dall’altra, le province del nord, Varese, Como, Lecco, tanto prospere e attive economicamente quanto povere di cultura gastronomica e, quindi, di tavola di qualità. Milano, in mezzo, fa storia a sé. Varese da qualche anno dà segni di vivacità, almeno dal punto di vista dei ristoranti. La miglior tavola è senz’altro quella di Ilario Vinciguerra, non a caso d’origine napoletana, che in queste settimane sta rifinendo il trasloco del suo minuscolo locale da Galliate Lombardo a una villona liberty d’inizio Novecento nel centro di Gallarate. Nel capoluogo, Luce ha poco più d’un anno e conferma le promesse. A Ferno non è una novità ma è una salda realtà La Piazzetta. A pochi chilometri dalla Malpensa, lo si trova con qualche pena nascosto com’è in un dedalo di sensi unici nel centro del paese. Nessuna insegna esteriore, una bella casa che sa d’antico, un ingresso dimesso,
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A destra: un angolo del ristorante La Piazzetta; un piatto dal libro “Patate dolci e salate”. Sotto: le Cesarine
Da pani, focacce e sformati come il soufflé di patate o la pitta salentina, ai primi piatti: quelli più noti, come pasta e patate, e quelli più ricercati, come l’hachis parmentier. Ci sono contorni e insalate, naturalmente, dall’insalata di polpo e patate alla menta, fino al gratin dauphinois alle jacket potatoes, ma anche dolcezze varie: vedi i graf, le golose ciambelline della tradizione napoletana. Trentacinque proposte suddivise in 160 pagine, perfette per vari momenti della giornata e per diverse occasioni, perché «un mondo senza patate sarebbe un mondo senza cuore», come si legge nell’introduzione del libro “Patate dolci e salate”, di Annalisa Barbagli e Stefania Barzini, pubblicato nella collana “Cucinare insieme”, curata dal fondatore del Gambero Rosso, Stefano Bonilli (Giunti editore). Ogni ricetta, sperimentata dalle autrici, viene descritta passo dopo passo, per renderne facile l’esecuzione, e corredata da centinaia di foto: la realizzazione di dieci ricette inoltre è filmata in un dvd di 80 minuti allegato al volume. Per ogni piatto, ghiottonerie che vanno dal pane di patate dolci all’uvetta fino ai gnocchi dolci con le albicocche, sono proposti approfondimenti storici e curiosità sul mondo dell’utilissimo tubero. F. S.
due sale spaziose con arredi d’epoca. L’atmosfera può intimidire ma l’accoglienza e poi la cucina sciolgono le riserve: i coniugi Corradi, lui in sala lei in cucina, sanno il fatto loro. Prodotti preziosi, cucina ricercata ma di sostanza e di sapori, parecchio pesce e carni (piemontesi) come spina dorsale della carta. Spiccano fra gli antipasti la tartare di gamberi con crema di riso Basmati, colature di alici e burrata, e quella che è definita “bourguignonne di Fassone”, in realtà cubi di eccellente carne tenera di perfetta frollatura che si mangia cruda. Sontuoso, poi, il risotto al limone con scampi, burrata e polvere di capperi. Sono godibili i tagliolini alla carbonara con il guanciale scottato a fette sottili e l’albume dell’uovo montato a neve. Fra i secondi sono classici la guancia di vitello brasata e il roast beef di Fassone, sono innovativi il branzi-
no al vapore con maionese di yogurt agli agrumi e la coda di rospo con culatello ed erbette all’aglio. In cantina, bottiglie giuste a prezzi corretti. Il conto medio, sostenuto, si attesta intorno agli 80 euro. Ristorante La Piazzetta, Ferno (Va) piazza Monsignor Bonetta 3 tel. 0331 241536. Chiuso: lunedì
[email protected]
A scuola dalle Cesarine C'è chi, in modo poco visibile, custodisce il sapere dei piatti del territorio. In Italia sono più di 500, hanno fra i 50 e i 60 anni, sono signore sole, ma anche coppie di coniugi, mamma-figlia o amiche, e c'è pure qualche uomo. Sono soprannominate “Cesarine” e preparano in casa le ricette tramandate in famiglia, ricevendo gli ospiti in sala da pranzo in un’atmosfera cordiale
e accogliente. Sono scelte da Home Food, un progetto dell’Associazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio cucinario gastronomico tipico d’Italia, patrocinato dal ministero delle Politiche Agricole e in collaborazione col dipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna. Le Cesarine danno lezioni di cucina e per essere loro ospiti bisogna associarsi a Home Food (www.homefood.it). Le
storie e le ricette sono raccolte in una collana di libri divisi per regione (per ora sono usciti i primi quattro) acquistabili on line. Hanno realizzato anche un altro libro, “Cibi e ricette dal mondo del Guercino”, in occasione di una mostra sul pittore, prendendo spunto da ingredienti come lo zafferano, usati in cucina e per dipingere. E hanno un blog: www.blogfood.it Sandra Longinotti
e
Società
Caccia al mito
AUTO di Maurizio Maggi
JEEP PER STUPIRE
on è veramente la “prima Jeep di Sergio Marchionne”, perché in un anno una macchina tutta nuova non la realizzerebbe neppure Leonardo da Vinci. Però, con la versione 2011 al debutto in Italia, l’influenza di Torino sulla più importante auto della gamma Jeep, la Grand Cherokee, comincia a farsi sentire. In Italia e in Europa è una vettura di nicchia, ma negli Stati Uniti è un po’ la portabandiera della marca. Il capo della Fiat e della Chrysler ha messo alla frusta gli stabilimenti americani del gruppo che sta provando a risanare a passo spedito. Il primo passaggio ordinato dal boss transoceanico è l’incremento della qualità percepita e della cura dei dettagli. La Grand Cherokee non deve rinnegare la sua anima da fuoristrada ma appagare, anche visivamente, guidatore e passeggero. E se il giudizio sui ritocchi estetici alla carrozzeria esterna è sempre assai soggettivo, la sensazione di maggior comfort and luxury dev’essere immediata, allorché ci si accomoda sui sedili. Ecco perché a Jefferson, nel Michigan, particolare attenzione è stata riservata all’insieme plancia-volante, dove abbondano legno e materiali sintetici piacevoli al tatto (pure sul volantone, riscaldato elettricamente come i sedili, dominano pelle e legno). È aumentata la comodità dei sedili, anche perché l’auto s’è ingrandita dentro e fuori, e la pace a bordo è protetta da un’insonorizzazione quasi da berlina, sia a bassa che ad alta velocità. Pur rappre-
N
AUTO
Prezzo: 52.350 euro Cilindrata: 3.604 centimetri cubi Motore: 6 cilindri a “V” Potenza massima: 286 cavalli Velocità massima: 206 km/ora Accelerazione da 0 a 100 km/ora: 9,1 secondi Cambio: automatico a 5 marce Consumo medio: 8,8 km/litro Emissioni di CO2: 265 grammi/km Lunghezza: 4,82 metri Bollo annuale: da 683,70 a 752,60 euro
sentando la temporanea bandiera della Jeep all’italiana, però, non bisogna dimenticare che la nuova Grand Cherokee ha iniziato a essere studiata quando ancora la Chrysler era sposata con la tedesca Daimler, così la macchinona yankee si trova a condividere ancora parecchi componenti con la Mercedes ML, prima una cugina e
Mercato mondiale dei Suv 6.585.000 Stati Uniti 2.375.000 Canada 261.000 Messico 92.000 Resto del mondo 3.857.000 I dati sulle vendite 2010 a livello mondiale dicono che ogni dieci vetture acquistate una appartiene alla categoria Sport utility vechicle (Suv), quella del Grand Cherokee Fonte: Global Insight
ora una rivale. Americanissimi sono il cambio automatico e il possente V6 da 286 cavalli, prodotto in un’altra fabbrica del Michigan, a Trenton. In Italia, il motorone a benzina non farà strage di cuori: i numeri, inesorabilmente, toccheranno al 3 litri a gasolio in arrivo tra qualche mese. Insieme al diesel giungeranno anche soluzioni raffinate tecniche. I veri fan del marchio Jeep e della Grand Cherokee, tuttavia, del diesel non sanno che farsene. Infatti, sul mercato Usa non è prevista l’adozione. La Grand Cherokee turbodiesel costerà qualche migliaio di euro in più.
IN VIAGGIO CON IL FARAONE Un quasi Suv, squadrato e con le due portiere posteriori che si aprono in verticale, ad ala di gabbiano. È la KV7 Kia, uno dei prototipi più interessanti dell’edizione 2011 del Naias, il salone dell’auto di Detroit. Assomiglia alla Soul, che già è un veicolo fuori dagli schemi, ma se sarà messa in produzione risulterà molto più sorprendente. I sedili ruotano a 360 gradi e lo trasformano in un salottino mobile. La vettura ha il pianale rialzato che ne prefigura l’adozione delle quattro ruote motrici. Il nome in codice, KV7, in italiano suona come una fredda sigla. In inglese, invece, KV7 è l’acronimo di King’s Vally 7, la sigla della tomba di Ramesse II, nella Valle dei Re. Chissà se a Seul o a Irvine (dov’è c’è il centro stile americano della Kia) qualcuno s’è davvero ispirato all’antico Egitto per battezzare una show car coreana concepita in California.
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L’espresso
Foto: T. Ebert - Laif / Contrasto
Jeep Grand Cherokee 3.6 Overland
ARABI IN PISTA
Pianeta Suv
Sta per nascere una nuova marca di automobili. La notizia, in un mondo pieno di impianti che sfruttano solo parzialmente le proprie capacità produttive, è abbastanza spiazzante di per sé. Se poi si scopre che la fabbrica del nuovo brand (che non ha ancora un nome) sarà ubicata in Arabia Saudita e che non costruirà supercar ma berline dal prezzo inferiore ai 10 mila dollari, è normale che lo stupore lieviti. Ma andiamo con ordine. C’è parecchia curiosità, nel mondo delle quattro ruote, attorno all’inedito connubio tra la King Saud University (gli artefici della Gazal, prototipo non ancora entrato in produzione del primo Suv saudita) e la coreana Digm Automotive Technologies, società che lavora in patria con Gm Daewoo e SSangYong. La nuova compagnia sarà controllata al 15 per cento dalla Wadi alRiyadh Technology (il ramo dell’università che si occupa degli investimenti) e al 30 per cento dalla Digm. L’altra metà abbondante finirà nelle ma-
27 gennaio 2011
Se ne stanno producendo soltanto 356, di Porsche 911 Speedster, e solo una ventina destinate all’Italia. Non tutte, peraltro, finiranno davvero in mano ad appassionati italiani: sul piccolo contingente si è infatti scatenato l’appetito di collezionisti austriaci e tedeschi. Tra i connazionali in lista d’attesa c’è l’architettodesigner veronese Luca Trazzi, che neppure quando crea macchine per caffè o bilance rinuncia a eleganti citazioni a carattere automobilistico. Trazzi ha comprato in America una Speedster del ’54, che sta restaraundo e con cui spera di partecipare alla Mille Miglia.
ni dei molti investitori privati, si presume soprattutto arabi, che avrebbero già manifestato il loro interesse per l’avventura. L’impianto sorgerà nell’Industrial City di Riyadh, su un terreno di circa cento ettari. Il primo frutto della neonata partnership sarà un’auto a cinque porte, per la quale è stato scelto il nome banalmente evocativo di Sedan 1. Nel mondo anglosassone, Sedan vuol La Ktm dire appunto berlina. Il 1190. In lancio commerciale della prima auto di massa ara- alto: auto a Dubai e, a ba è previsto nel giro di un destra, la paio d’anni, negli Stati del Porsche 911 Golfo e in quelli nordafriSpeedster. cani. Le macchine da so- Nella pagina accanto: la gno, dunque, gli sceicchi Jeep Grand continueranno a comCherokee prarle da noi, o al massi3.6. Sotto: mo in Germania. la KV7 Marco Scafati
della Kia
Il suo sogno è di affiancarle una nuova Speedster, rigorosamente blu come l’originale (l’altra tinta disponibile è il bianco). Omaggio alla capostipite della famiglia, la 356 (ecco il perché della tiratura limitata a quel numero), la 911 Speedster di oggi costa 204 mila euro, ha il parabrezza clinatissimo, la capote piatta e azionabile a mano, due posti e un motore 6 cilindri da 408 cavalli.
MOTO di Maurizio Tanca
Regina d’Austria Se a tradirla non ci fossero fari e specchietti, sembrerebbe una vera racer, vestita di bianco oppure di nero, rigorosamente abbinati all’arancione vivo che su una Ktm non può mancare. La 1190 RC8R model year 2011 è rimasta snella, aggressiva, con lo scarico sotto al motore per accentrare le masse e con l’assetto di guida personalizzabile. In più, quest’anno, si gioca un bel jolly: costa quasi 5 mila euro meno dell’omonimo modello che va a sostituire. Non solo, il suo già ottimo bicilindrico è diventato “twin spark”, quindi ora ha due candele per cilindro, e ha guadagnato cin-
que cavalli, anche se non gode più dell’utile frizione antisaltellamento, disponibile come optional. Una gradita sorpresa della factory austriaca per i potenziali acquirenti, ma anche una bella doccia fredda per chi possiede la RC8R dello scorso anno. La superbike ammiraglia della flotta Ktm piacerà ai puristi, contrari all’inflazione di elettronica sulle moto. Il software gestionale del suo possente V2 è infatti limitato a un paio di mappature dell’accensione. Il motore beneficia di una ciclistica agile e reattiva, con formidabili freni Brembo e sospensioni WP rese più morbide.
Ktm 1190 RC8R Prezzo: 15.720 euro Cilindrata: 1.195 centimetri cubi Motore: bicilindrico a V, 8 valvole Potenza massima: 175,4 cavalli Velocità massima: oltre 285 km/ora Consumo medio: 13 km/litro Capacità serbatoio: 16,5 litri Peso col pieno: 196 chilogrammi Altezza sella da terra: 80,5/82,5 cm Bollo annuale: da 132,63 a 151,00 euro
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LETTERE
PER POSTA, PER EMAIL Risponde Stefania Rossini
[email protected]
Silvio, rimembri ancora Da un’intervista su “Prima Comunicazione” (n. 44, luglio 1977) a Silvio Berlusconi che, allora, era soltanto, nella definizione dell’intervistatore, “il più noto imprenditore urbanistico d’Italia”: “Prima. I comunisti al governo li chiamerebbe ancora comunisti o socialdemocratici?”. Berlusconi. “Socialdemocratici”. Insomma, 33 anni e mezzo fa i comunisti per l’imprenditore Berlusconi non esistevano più, adesso per il presidente del Consiglio Berlusconi esistono, eccome se esistono. Anzi sono il maggior pericolo
butaria italiana e in regola con il fisco italiano. La holding alla quale si fa riferimento ha sede in Lussemburgo, ma residenza fiscale in Italia, ove presenta la dichiarazione dei redditi, ed è in regola con il pagamento dei tributi. Gli altri componenti della compagine sociale appartengono, peraltro, tutti alla famiglia Lombardi e, in quanto cittadini italiani, presentano la loro dichiarazione dei redditi in Italia. Ali
Mauro Pulica, email
Cattivi maestri Ciò che mi scandalizza del Tg1 di Augusto Minzolini, più della leggerezza degli argomenti di fronte a un paese in crisi, più dell’ignorare, o cambiare, notizie scomode alla maggioranza di governo, è l’italiano maltrattato che colgo in troppi servizi. Un tempo la Rai insegnava l’italiano agli italiani. Guido Pintarelli, Pergine (Trento)
Ali truffata Ali - Agenzia per il Lavoro S.p.a. che nell’articolo “Benvenuti nella truffa flessibile” (“L’espresso” n. 50) è correttamente individuata come vittima di una truffa - non è “controllata da una holding delle Isole Vergini Britanniche”, come indicato nell’articolo, ma da soggetti iscritti all’anagrafe tri-
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Cinque appelli
Tra il papa e Freud Cara Rossini, sono profondamente scandalizzato per l’anatema papale contro l’educazione sessuale nella scuola. Il pontefice ha scambiato una materia che dà informazioni di base e consigli igienici e profilattici con un insegnamento morale che si contrapporrebbe a quello religioso. Sono cattolico ma anche padre di tre figli di diverse età, conosco le domande e i problemi di comunicazione con i bambini e auspico che tutte le scuole, a partire dalle elementari, abbiano un’ora di questa educazione affidata ad insegnanti preparati e competenti. Oggi purtroppo non è così e, se ci si mette pure il papa, non avremo mai ciò che negli altri paesi è la normalità. Marco Todini, email
Nel 1970, proprio quando in Italia si apriva l’era delle libertà sessuali, Emilio Servadio, uno dei padri della psicoanalisi italiana, dava alle stampe un libretto dal titolo “L’educazione sessuale”, oggi introvabile. L’ho riletto in questi giorni di trite polemiche sul tema. Sfidando l’impopolarità dei progressisti, il vecchio maestro laico metteva in guardia sull’omologazione didattica di una materia che risponde soprattutto a fattori emozionali, e che per questo resta compito elettivo dei genitori. Ma lo faceva scandalizzando i benpensanti dell’epoca, perché descriveva a un pubblico ancora digiuno di psicologia gli impulsi sessuali dei bambini piccolissimi e il confuso erotismo degli adolescenti. Inoltre, forte di un pensiero che dà valore centrale alla sessualità, diceva chiaramente che il suo uso meccanico serve a tenere a bada l’angoscia e che la promiscuità rischia di rimpiazzare l’amore moltiplicando aborti e malattie. Sono passati 40 anni. Oggi ognuno mastica concetti psicologici più o meno assimilati, la televisione trasmette senza tregua modelli iper-erotici e performance sessuali, l’Aids ha cambiato le regole igieniche della sessualità, la vita pubblica è bloccata sugli eccessi erotici del premier. Si può chiedere a questa società troppo competente, troppo informata, troppo guardona, di avvertire i genitori che è compito loro, soprattutto loro, accompagnare i bambini nella loro crescita sessuale? Anche perché dove sia la normalità che il signor Todini invoca, nessuno lo sa. Non in Inghilterra, dove le gravidanze delle adolescenti sono le più numerose del mondo, non negli Usa dove le campagne intimidatorie dei pro-life arrivano anche nelle scuole, non nelle fobie clericali. Ma certamente non nella nostra indomita confusione culturale.
In merito alle osservazioni formulate sulla homepage de “L’espresso” dalla sig.na Grieco in data 1.6.2010, preciso che il calendario degli esami della Facoltà di Scienze della Formazione per l’anno 2009/2010 prevede una sessione estiva, con due appelli (giugno/luglio); una autunnale, con due appelli (settembre/ottobre), aperte a tutti gli studenti; una sessione di recupero a gennaio (per gli studenti fuori corso) ed una a febbraio (per quelli in corso). La studentessa disponeva nel periodo giugno/gennaio, di n. 5 appelli. La risposta addebitatami dalla studentessa non è mai stata da me formulata.
Diari virtuosi
Non sono solita rispondere alle critiche, legittime, della stampa. Questa volta, tuttavia, a proposito del Riservato (“L’espresso”, n. 1) intitolato “Mussolini flop” è doveroso precisare: I “Diari di MussoliRaimondo Pasquino, Rettore ni - veri o presunti”, usciti il Università degli Studi di Salerno 10 novembre, hanno raggiun-
L’espresso: Via C. Colombo, 90 - 00147 Roma E-mail:
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to le trentamila copie, con tre edizioni. L’anticipo versato per comprare i diritti di pubblicazione è stato abbondantemente recuperato in soli due mesi. Dunque, la pubblicazione dei “Diari di Mussolini” è stata una operazione economicamente virtuosa. Elisabetta Sgarbi, Direttore editoriale Bompiani
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N. 4 - ANNO LVII - 27 gennaio 2011 TIRATURA COPIE 412.600
UMBERTO ECO LA BUSTINA DI MINERVA
I BAMBINI AMANO SCHOENBERG?
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quelle insopportabilmente ottuse o fanno l’una o l’altra cosa, e si vergognerebbero di tenere i piedi in due staffe (come invece deve fare ogni buon cavallerizzo). È naturale che se in un concerto, dopo Chopin e Schumann, fanno ascoltare Berio, gli amanti della musica romantica si sentano disorientati. Ma anche i proustiani, se dopo Berio eseguissero “Pippo non lo sa”, inarcherebbero le sopracciglia. È curioso che sia ammessa come normale una schizofrenia culinaria (talora ci piacerebbe una cena con caviale a lume di candela, meglio se con una sosia di Marilyn Monroe, ma più spesso si adora una pizza portata a casa nel contenitore di cartone e mangiata con figli o nipoti) mentre una schizofrenia artistica viene giudicata radi-
te astratta nei quadrettini delle tovaglie, o nelle vesti o foulards materni, e quindi siamo pronti sin dall’infanzia ad apprezzare Mondrian. E Pollock? Ma faceva quello che un bambino ama fare, e un bambino ama fare quel che amava fare lui. E allora perché lo stesso bambino non dovrebbe amare Schoenberg? Una risposta è che il nostro cervello riconoscerebbe come naturale solo la musica tonale. Ma in tal caso la maggioranza dei ragazzi extraeuropei, e persino scozzesi, sarebbero dei decerebrati. Mi piacerebbe sapere come un ragazzo di altre etnie, educato a musiche pentatonali o esatonali, possa capire la musica atonale. Non sono al corrente delle ricerche neurologiche in proposito. Ma temo che ormai,
Il mondo della ricezione è estremamente variegato. Io non credo che coloro che adorano Moccia o Tamaro vadano pazzi per “Finnegans Wake”. Né credo che chi ama Joyce ami Dan Brown
cal chic. Chi va a visitare a Parigi la mostra di Gérome, tutta odalische desiderabilissime, completamente “à poil”, di solito non va a vedere una mostra di arte astratta, e chi ama Leoncavallo non può sopportare Schoenberg - e costoro considerano teste d’uovo (un poco comunisti e un poco omosessuali) gli intellettuali che vanno alla Scala ma non disdegnano “No, no, Nanette”. Un ragazzino occidentale, che è stato esposto sin dall’infanzia alle arti figurative, se una brava maestra gli mostra a sette anni un Pollock, è capace di apprezzarlo e addirittura imitarlo (ho le prove). Perché? Perché non è vero che siamo per natura figurativi, abbiamo visto e goduto modelli di ar-
con la globalizzazione, sia come chiedersi se un piccolo indiano ami o no un hamburger; ormai è stato corrotto sin dall’infanzia. Caso mai si dovrebbe dire che certamente sin dalla più tenera età ogni ragazzo occidentale è stato educato alla musica tonale. Ma provate a dare a dei bambini tamburelli e fischietti. E dategli un ritmo. Scoprirete che per loro la tonalità conta molto poco. I melomani che (almeno secondo Ross) escono dal concerto quando, dopo Brahms, gli si propone Boulez, hanno mai portato in sala anche i loro piccoli? Chissà mai che a loro Boulez non dispiaccia, o in ogni caso non dia noia.
27 gennaio 2011 L’espresso
Foto: G. Harari
l dibattito si è aperto quasi due settimane fa su “Repubblica” ma, siccome il venerdì scorso non era il mio turno per la Bustina, posso intervenire solo ora. Tanto meglio, repetita iuvant. La discussione è stata aperta da Alex Ross, critico musicale del “New Yorker” (di cui Bompiani ha tradotto “Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo”) e continuata da Alessandro Baricco. Ross si chiede come ormai la gente accetti Joyce, che era considerato incomprensibile sino alla prima metà del secolo scorso, apprezzi la pittura di Pollock (che Krushev definiva come dipinta con la coda di un asino, e anche gli anticomunisti si mostravano d’accordo, ma oggi comunisti e anticomunisti l’acquistano a prezzi proibitivi), mentre chi va ai concerti non può sopportare la musica atonale, ed esce dalla sala se in un programma, dopo Bach o Beethoven, è iscritto Stockhausen. Le ipotesi di Ross sono molte ma mi convince di più quella di Alessandro Baricco che dice, in breve: ma vi è mai accaduto di visitare una mostra in cui accanto a Raffaello ci sia Pollock - e accanto a Gérome, aggiungo io, il “pompier” che sta attirando le folle al Museo d’Orsay a Parigi si mostri Basquiat? La riflessione di Baricco è piena di buon senso e ci ricorda che il mondo della ricezione (di coloro cioè che gioiscono di varie proposte creative ) è estremamente variegato. Io non credo che coloro che adorano Moccia o Tamaro vadano pazzi per “Finnegans Wake”. Né credo che chi ama Joyce ami Dan Brown, a meno che sappia amministrare con saggezza la propria schizofrenia, come faceva Proust (autore di un indimenticabile elogio della cattiva musica). I discepoli di Proust ascoltano i dischi di John Cage ma, se vogliono rievocare il tempo perduto, cantano di notte tra amici “Non dimenticar le mie parole”. Invece sia le persone insopportabilmente colte che