IRIS JOHANSEN L'OMBRA NEGLI OCCHI (The Ugly Duckling, 1996) Prologo Greenbriar, Carolina del Nord «Non volevo romperlo.»...
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IRIS JOHANSEN L'OMBRA NEGLI OCCHI (The Ugly Duckling, 1996) Prologo Greenbriar, Carolina del Nord «Non volevo romperlo.» Le lacrime inondavano il viso di Nell. «Ti prego, mamma. Lo tenevo in mano e mi è caduto.» «Ti ho detto mille volte di non toccare le mie cose. Tuo padre mi ha regalato questo specchio a Venezia.» Fissava l'impugnatura rotta dello specchio rivestito di madreperla, il volto contratto dall'ira. «Non sarà mai, mai più lo stesso.» «Sì, lo sarà. Te lo prometto.» Nell allungò una mano, cercando di prenderglielo. «Non ho rotto lo specchio, solo l'impugnatura. La incollerò. Tornerà esattamente com'era prima.» «Lo hai rovinato. Che cosa facevi nella mia stanza, in ogni caso? Ho detto alla nonna di non lasciarti mai entrare qui dentro.» «Lei non lo sapeva. Non è stata colpa sua.» I singhiozzi la soffocavano. «Sono entrata solo per... Volevo vedere... Ho intrecciato questa ghirlanda con il caprifoglio della staccionata e...» «Vedo.» Sua madre toccò sprezzante i fiori nei capelli di Nell. «Hai un'aria ridicola.» Sollevò lo specchio davanti al viso della bambina. «È questo che volevi vedere? L'aria sciocca che hai?» «Pensavo di essere... carina.» «Carina? Guardati. Sei grassoccia e insignificante e non sarai mai altro.» La mamma aveva ragione. La ragazzina nello specchio era grassoccia e aveva gli occhi gonfi e arrossati. I fiori, che Nell trovava tanto belli, apparivano ora flosci, intrecciati nei suoi capelli castani trasandati. «Mi dispiace, mamma.» «Era proprio necessario trattarla così, Martha?» Sua nonna era ferma sulla porta. «Ha solo otto anni.» «È ora che impari a guardare in faccia la realtà. Non sarà mai altro che un bratto anatroccolo. Deve affrontare questa dura realtà.» «Tutti i bambini sono belli», affermò calma la nonna. «E, se ora lei è un po' insignificante, questo non significa che resterà così per sempre.» Sua madre sollevò nuovamente lo specchio di scatto, tenendolo di fronte
a Nell. «È vero, Nell? Sei bella?» Nell voltò il capo per evitare la sua immagine riflessa. Sua madre si rivolse alla nonna. «E non voglio che tu le riempia la testa di storie. I brutti anatroccoli non si trasformano in cigni. I bambini insignificanti, crescendo, diventano di solito adulti insignificanti. Lei dovrà accontentarsi di essere ordinata, dignitosa e obbediente, per essere accettata.» Afferrò Nell per le spalle e la guardò dritta negli occhi. «Capisci, Nell?» Lei capiva. Con «essere accettata» la mamma intendeva dire «essere amata». Non sarebbe mai stata bella come la mamma, quindi doveva farsi amare da tutti loro facendo ciò che essi desideravano. Nell annuì. Sua madre la lasciò andare, afferrò il portadocumenti appoggiato sul letto e si avviò verso la porta. «Ho una riunione tra venti minuti e mi hai fatto fare tardi. Non devi entrare mai più in questa stanza.» Rivolse uno sguardo di rimprovero alla nonna di Nell. «Non riesco a capire perché non la sorvegli più attentamente.» Un attimo dopo se n'era andata. La nonna tese le braccia verso Nell. Intendeva confortarla, alleviarle il dolore, e Nell voleva andare da lei per farsi coccolare un po'. Ma c'era una cosa che doveva fare, prima. Si girò di nuovo verso la toeletta e raccolse con attenzione l'impugnatura dello specchio che si era rotta. L'avrebbe incollata con grande cura per farla tornare come era prima. Doveva lavorare sodo, essere molto attenta e molto brava. Perché era un brutto anatroccolo. E non sarebbe mai diventata un cigno. 1 Atene, 4 giugno Tanek non era contento. Conner lo capì, osservandolo mentre usciva a grandi passi dalla dogana. La sua espressione era impassibile, ma Conner lo conosceva da abbastanza tempo per comprendere il linguaggio del suo corpo. L'autorità e la presenza di Tanek erano sempre evidenti, ma non la sua impazienza. Era meglio che fossero buone notizie, gli aveva detto Tanek. Non erano buone, ma era tutto ciò che Conner aveva.
Si avviò lentamente verso di lui e sorrise forzatamente. «Volo piacevole?» «No.» Tanek si diresse all'uscita. «Reardon è in macchina?» «Sì, è arrivato da Dublino ieri sera.» Fece una pausa. «Ma non può venire al ricevimento con te. Sono riuscito a ottenere un solo invito.» «Avevo detto due.» «Non capisci.» «Capisco che, se si tratta di un attentato, sono senza un appoggio. Capisco che ti pago per fare ciò che ti dico.» «Il ricevimento è in onore di Anton Kavinski e gli inviti sono stati distribuiti tre mesi fa. È il presidente di uno Stato russo, per l'amor del cielo. Mi è costato una fortuna procurarmene anche uno solo.» Poi aggiunse in fretta: «Ed è possibile che tu non abbia bisogno di Reardon. Ti ho detto che le informazioni possono non essere esatte. Il nostro uomo ha trovato solo un messaggio via computer al quartier generale della DEA, che indicava che questo ricevimento sull'isola di Medas potrebbe essere il luogo di un attentato.» «Questo è tutto?» «C'è un elenco di nomi.» «Che genere di elenco?» «I nomi di sei ospiti. Nessuno che possiamo identificare come protagonista, a eccezione di una delle guardie del corpo di Kavinski e di Martin Brenden, l'uomo che dà il ricevimento. Evidenziato con un cerchio, c'era un nome. Quello di una donna.» «Che cosa ti fa pensare che questo sia un elenco di persone da eliminare?» «L'inchiostro blu. Il nostro uomo ha una teoria: che gli ordini di Gardeaux abbiano un codice colorato per stabilire l'azione che deve essere intrapresa.» «Teoria?» La voce di Tanek era pericolosamente calma. «Sono venuto fin qui per una semplice teoria?» Conner si inumidì le labbra. «Mi avevi detto di farti sapere qualsiasi cosa scoprissi a proposito di Gardeaux.» L'accenno a Philippe Gardeaux ebbe l'effetto desiderato di mitigare l'irritazione di Tanek, constatò Conner con sollievo. Aveva imparato che nessuno sforzo era troppo grande, nessuna azione troppo trascurabile, se riguardava Gardeaux. «D'accordo, hai ragione», disse Tanek. «Chi ha mandato questo messag-
gio con il computer?» «Joe Kabler, il capo della DEA, ha un informatore pagato tra gli uomini di Gardeaux.» «Possiamo arrivare al nome dell'informatore?» Conner scosse il capo. «Ho tentato, ma finora non ho avuto fortuna.» «E che cosa intende fare Kabler con questo elenco?» «Niente.» Tanek lo fissò. «Niente?» «Kabler ritiene che sia un elenco di obiettivi da corrompere.» «Lui non crede alla teoria del 'mortale inchiostro blu'?» chiese Tanek sarcastico. Conner trasse un sospiro di sollievo, quando giunsero di fronte alla Mercedes. Che se ne occupasse Reardon: loro due erano della stessa razza. «Reardon ha con sé l'elenco in macchina.» Aprì frettolosamente la portiera posteriore. «Puoi parlargli, mentre ti porto in albergo.» «Come va, cowboy?» Il naturale accento irlandese di Jamie Reardon era vistosamente in contrasto con l'ostentata pronuncia strascicata della Costa occidentale. «Vedo che hai lasciato a casa gli stivali.» Nicholas Tanek sentì attenuarsi in parte la sua impazienza, mentre saliva in macchina. «Avrei dovuto portarli. Non c'è niente di meglio degli stivali per dare un calcio nel sedere.» «Mio o di Conner?» chiese Jamie. «Dev'essere quello di Conner. Nessuno potrebbe voler danneggiare il mio venerabile culo.» Conner rise nervosamente, mentre usciva dal parcheggio. Il volto lungo di Jamie si illuminò maliziosamente, mentre teneva fisso lo sguardo su Conner. «Ma posso capire come tu sia insoddisfatto di Conner. È un lungo viaggio dall'Idaho, soprattutto senza una buona ragione.» «Te l'ho detto che poteva essere un buco nell'acqua», disse Conner. «Non gli ho detto io di venire.» «Non gli hai detto neppure di non farlo», mormorò Jamie. «Forse che chi tace non acconsente, Nick?» «Smettetela. Ormai sono qui.» Nicholas si appoggiò all'indietro sul sedile di pelle. «È per niente, Jamie?» «È probabile. Non c'è alcun indizio che la DEA lo prenda seriamente. Di sicuro Kabler non ha intenzione di spendere i fondi del governo per ottenere un invito a Medas.» Un altro vicolo cieco. Cristo, Nicholas ne aveva abbastanza.
«Ma andartene da quegli spazi immensi è una buona terapia per te», disse Jamie. «Ogni volta che torni da quel ranch, somigli sempre di più a John Wayne. Non è salutare.» «John Wayne è morto da parecchi anni.» «Ti ho detto che non è salutare!» «È salutare passare la tua vita al pub?» «Ah, Nick, non hai mai capito. I pub irlandesi sono il centro intorno a cui mota la cultura dell'Universo. La poesia e le arti fioriscono come le rose d'estate e i discorsi...» Socchiuse gli occhi, assaporandone il ricordo. «In altri posti la gente parla, nel mio pub la gente fa conversazione.» Nicholas sorrise debolmente. «C'è differenza?» «La stessa che c'è tra il decidere il destino del mondo e comperare un nuovo videogioco per tuo figlio.» Inarcò un sopracciglio. «Ma perché spreco il mio tempo a descriverti tanta bellezza? Tu hai solo bovini con cui parlare, in quel selvaggio Idaho.» «Pecore.» «Sono sempre animali. Non c'è da meravigliarsi che i cowboy siano considerati duri e silenziosi. Le loro corde vocali sono atrofizzate per il disuso.» «Guarda che hanno una normale capacità di parola.» Jamie sbuffò. «L'elenco», ricordò Conner. «Ah, vuole che le sue conclusioni siano convalidate», disse Jamie. «Ha paura di te, sai?» «Sciocchezze.» La risata di Conner suonò un po' troppo forte. «Ho cercato di dirgli che non sei più nel giro, ma non penso che mi creda. Speravo che indossassi gli stivali da cowboy. Sono tanto robusti e inoffensivi.» «Smettila, Jamie», disse Nicholas. Jamie ridacchiò. «Un po' d'umorismo, solo un po'.» Poi aggiunse, in modo da non essere sentito da Conner: «Non ho simpatia per quel coniglio sfuggente. Ogni volta che salta mi fa venire voglia di scuoiarlo». «Non devi provare simpatia per lui. Ha un informatore all'interno della DEA.» «Per quanto ci è stato utile finora...» Jamie infilò una mano in tasca, tirò fuori un foglio di carta piegato e lo porse a Nicholas. «E questo sembra un altro fiasco.» «Chi dà questo ricevimento?» chiese Nicholas.
«Un banchiere. Martin Brenden, vicepresidente della Continental Trust, che sta dando la caccia agli investimenti oltreoceano di Kavinski. Brenden ha affittato questo palazzo sull'isola di Medas per il fine settimana e il ricevimento sarà appunto in onore di Kavinski.» «E che legame c'è tra Brenden e Gardeaux?» «Nessuno che possiamo rintracciare.» «E con Kavinski?» «È possibile ipotizzarne uno. Da quando Kavinski è stato eletto presidente del Vanask, è diventato uno dei più importanti uomini d'affari sopra e sottobanco. Può avere offeso Gardeaux, rifiutandosi di lasciar entrare la droga nel Vanask.» Fece una pausa. «Ma il suo nome non era sull'elenco.» «Allora, scommetto sull'interpretazione di Kabler. Corruzione. È a capo della DEA da abbastanza tempo da sapere distinguere il grano dal loglio, ed è uno scaltro bastardo.» «Questo significa che non andrai a Medas?» Nicholas rifletté un momento. Probabilmente sarebbe stata una perdita di tempo, se il messaggio di Gardeaux era solo un elenco di bustarelle. Si era intestardito in troppe cacce inutili, nella speranza di scoprire la chiave per inchiodare Gardeaux. Ma se si trattava di un elenco di persone da eliminare, allora era possibile che una delle vittime designate sapesse qualcosa che poteva tornargli utile. Inoltre, se Gardeaux li voleva morti, allora Nicholas li desiderava indubbiamente vivi. «Ebbene?» lo incalzò Jamie. «Come posso arrivare su questa Medas?» «Ci sono delle lance che portano gli ospiti dal molo di Atene. A partire dalle otto di questa sera. Devi solo presentarti con un invito.» «Mi chiedo quanti uomini di Gardeaux si siano procurati un invito come ho fatto io.» «Ho controllato gli ospiti», intervenne Conner. «Tutti quelli che hanno accettato hanno le carte in regola.» Forse. «Non c'è altro modo per arrivare sull'isola?» Conner scosse il capo: «Ha una costa piena di scogli, accessibile solo da quel molo. Medas è piccola come un francobollo. Si può fare il giro dell'intera isola in meno di un'ora. E, oltre alla villa dove si terrà il ricevimento, ci sono solo poche altre abitazioni.» «E gli uomini del servizio di sicurezza di Kawinski saranno di guardia al molo», aggiunse Jamie. «Non mi sembra che sia la situazione che Garde-
aux sceglierebbe per liberarsi dei nemici.» Sorrise. «D'altra parte, anche Kaifer sembrava un bersaglio impossibile, eppure siamo riusciti a raggiungerlo.» «Eravamo preparati ed efficienti», fece notare Nicholas. «Oggi Gardeaux è un pezzo grosso, che preferisce aspettare la sua preda fuori dalla tana. Ma immagino che andrò a controllare.» «Potrei andare io. Oppure potresti mandare qualcun altro.» «No, lo farò di persona.» «Perché?» Lo sguardo di Jamie si focalizzò sul suo volto. «Non sarà che stai diventando irrequieto in quella terra selvaggia?» Dio, sì, era irrequieto, impaziente e desiderava che quella faccenda finisse. Non era più vicino a distruggere Gardeaux di quanto ci fosse andato un anno prima. «Sei troppo abituato a camminare sul filo del rasoio», osservò Jamie in tono leggero. «E ammetto che a volte ne sento anch'io la mancanza.» «A me non manca. Voglio solo Gardeaux.» «Se lo dici tu.» «Mi occorre un rapporto su tutti i nomi dell'elenco.» «È già sullo scrittoio della tua stanza d'albergo. Come vedrai, non sembra esserci un filo conduttore che colleghi i nomi.» No, Medas sarebbe stata un groviglio di incongruenze, di supposizioni e di incertezze. Ma il nome evidenziato con un cerchio sull'elenco, cui Conner aveva accennato, poteva indicare qualcosa: un candidato o un obiettivo principale. In ogni caso, meritava attenzione. Aprì il foglio che Jamie gli aveva dato. Il nome in cima all'elenco era circolettato e anche sottolineato. Nell Calder. Medas, 4 giugno «Ho visto un mostro, mamma», annunciò Jill. «Davvero, tesoro?» Nell sistemò un giacinto bianco a sinistra del lillà nel vaso cinese e piegò il capo con aria di apprezzamento. Si, perfetto. Allungò una mano per prendere un altro lillà, mentre dava un'occhiata a Jill ferma sulla porta. «Come Pete, il drago magico?» Jill la guardò con disgusto. «No, quello è un mostro immaginario, questo era vero. Un uomo mostro. Con un lungo naso grigio e occhi grandi così.» Formò un cerchio con il pollice e l'indice, poi, giudicando il cerchio troppo
piccolo, usò l'altra mano per rendere gli occhi più giganteschi. «E la schiena gobba.» «Sembra un elefante.» Ancora un delfinio e la composizione sarebbe stata completa. «O, forse, un cammello.» «Non mi stai ascoltando», disse Jill. «Era un uomo mostro e vive nelle grotte.» «Nelle grotte?» All'improvviso la paura aggredì Nell. Dimenticando all'istante i fiori, si girò di scatto a guardare sua figlia. «Che cosa ci facevi lì? Lo sai che il signor Brenden ti ha detto che non devi entrare nelle grotte. L'agente della proprietà immobiliare lo ha messo in guardia sul mare che arriva all'improvviso e sulle forti maree che possono trascinare via le persone.» «Ci sono entrata soltanto.» E aggiunse con aria virtuosa: «Poi papà mi ha chiamata e sono uscita subito». «Ti ha portata là papà?» Dannazione. Richard avrebbe dovuto sorvegliarla più attentamente. Non sapeva che un'isola presentava pericoli di ogni genere per una bambina di quattro anni? Nell sapeva che avrebbe dovuto andare con loro, quando tutti avevano deciso di fare quella passeggiata sulla spiaggia. Richard diventava sempre distratto, quando era circondato dall'entourage di Brenden. Doveva sempre essere il migliore, il più affascinante, il più divertente, il più intelligente di ogni gruppo. Che cosa stava pensando? si chiese Nell, sentendosi colpevole. Richard non aveva bisogno di sembrare il migliore: era il migliore. Jill era anche sotto la sua responsabilità. Avrebbe dovuto andare con loro a prendersi cura di lei, invece di tirarsi indietro, nascondendosi lì a giocare con le composizioni di fiori per il ricevimento. «Non devi entrare nelle grotte. Non è sicuro. È per questo che papà ti ha richiamata.» Jill annuì. «A causa del mostro.» «No.» Jill era una bambina sensibile e piena di immaginazione, e quella particolare fantasia doveva essere stroncata sul nascere. Nell si lasciò scivolare sulle ginocchia fino a toccare il meraviglioso tappeto Aubusson e quindi prese gentilmente Jill per le spalle. «Non c'è alcun mostro. A volte le ombre sembrano mostri, specialmente quando ti trovi in un posto spettrale. Ricordi tutte le volte che ti svegli nel cuore della notte e pensi che ci siano degli uomini neri sotto il letto? E poi, quando guardiamo, non c'è niente.» «C'era un mostro», ribatté ostinatamente Jill. «Mi ha spaventata.» Per un attimo Nell fu tentata di lasciarle continuare a credere che i mo-
stri esistessero, se quell'idea poteva tenerla lontana dalla grotta. Ma non aveva mai mentito a sua figlia e non voleva cominciare adesso. Avrebbe solo dovuto non perdere mai di vista Jill, mentre si trovavano su quella dannata isola. «Ombre», ripeté Nell con fermezza. Per rinforzare la sua affermazione, aggiunse: «Non è così che ti ha detto papà, quando gli hai raccontato del mostro?» «Papà non mi ha dato retta. Mi ha detto di stare zitta. Era occupato a parlare con la signora Brenden.» Gli occhi di Jill erano pieni di lacrime. «E neppure tu mi credi.» «Io ti credo, ma a volte c'è...» Non poteva continuare, con Jill che la guardava con quegli occhioni pieni di rimprovero. Con dolcezza le liberò la fronte dalla frangia di capelli castani lisci, simili a seta. La mia bambola cinese, la chiamava Richard, a causa dei suoi capelli corti e dritti, alla maschietto. Ma non c'era niente di fragile in Jill. Era forte e tanto americana quanto Nell era riuscita a renderla. «Immaginiamo di andare giù alla grotta domani mattina, che tu mi faccia vedere questo mostro e che lo cacciamo via.» «Non avrai paura?» mormorò Jill. «Non c'è niente da temere qui, piccola. È un bel posto per i bambini. Il mare, la spiaggia e questa casa incantevole. Ti divertirai un mondo questo fine settimana.» «Tu non ti divertirai.» «Che cosa?» Lo sguardo di Jill sostenne il suo con una perspicacia stranamente matura. «Tu non ti diverti mai. Non come papà.» Mai sottovalutare la saggezza dei bambini, pensò Nell stancamente. «Sono un po' timida. Il fatto che sia silenziosa, non vuole però dire che non mi stia divertendo.» Abbracciò sua figlia. «E noi ci divertiamo sempre insieme, non è vero?» «Certo.» Le braccia di Jill le scivolarono intorno al collo e lei si rannicchiò più vicina. «Posso scendere al ricevimento, questa sera? Così avrai qualcuno con cui parlare.» Jill profumava di mare, di sabbia e del sapone alla lavanda che le aveva chiesto di poter usare per il suo bagno la sera prima. Le braccia di Nell si strinsero intorno a lei per un momento, prima di lasciarla andare riluttante. «È un ricevimento per adulti. Non ti piacerebbe.» E neppure a lei. Si era abituata ai suoi doveri come moglie di Richard e
di solito riusciva a confondersi con lo sfondo, ma le sarebbe stato difficile farlo in quel fine settimana. Uno scricciolo insignificante sarebbe balzato agli occhi, in mezzo ai personaggi dell'alta società e alle celebrità che Martin Brenden aveva invitato sull'isola, per incontrare Kavinski e ingraziarselo, convincendolo a firmare un accordo con la Continental Trust. «Allora resta con me», cercò di convincerla Jill con le moine. «Non posso. Al capo di papà non farebbe piacere. È una sera molto importante per lui e dobbiamo entrambe aiutarlo.» Vide il volto di sua figlia cominciare ad annuvolarsi di nuovo e aggiunse in fretta: «Ma ti porterò in camera un piatto di leccornie, prima che tu vada a dormire. Faremo un picnic». Il malumore svanì immediatamente tra le due. «E del vino?» chiese Jill, impaziente. «La mamma di Jean Marc gli lascia bere un bicchiere di vino tutte le sere a cena. Dice che gli fa bene.» Jean Marc era il figlio della governante che regnava sovrana nel loro appartamento di Parigi. Nell ne sentiva fin troppe su quel briccone. «Niente vino, ma succo d'arancia.» Per evitare una discussione, aggiunse rapidamente: «Ma, se mangerai tutta la tua cena, vedrò se riesco a trovarti delle paste ripiene di cioccolato». Si alzò e mise in piedi la bambina. «Adesso vai a fare il bagno, mentre io sistemo di sotto questa composizione floreale. Sarò di ritorno tra un paio di minuti.» Jill fissò con aria solenne il vaso cinese, poi le rivolse un sorriso luminoso. «Sono fiori magnifici, mamma. Ancora più belli di quando erano in giardino.» Nell non era d'accordo. Pensava sempre che fosse un peccato raccoglierli. Niente era più bello di un giardino in fiore. Come quello della pensione che aveva dipinto, quando andava a scuola al William and Mary. Nebbie leggere, colori intensi e tutti i toni del mattino... Provò un acuto dolore e si ritrasse in fretta da quel ricordo. Non aveva alcuna ragione per commiserarsi. Richard non aveva mai sminuito i suoi dipinti come avevano fatto i suoi genitori. Dopo il matrimonio l'aveva addirittura incoraggiata a continuare il suo lavoro. Solo che lei non aveva tempo. Essere la moglie di un giovane dirigente ambizioso sembrava occuparle ogni ora del giorno. Fece una smorfia guardando il vaso, mentre lo sollevava. Se non fosse stata obbligata a passare tutto il pomeriggio a preparare le composizioni floreali di Sally Brenden, avrebbe potuto ritrarre quel magnifico litorale. Ma questo avrebbe significato andare con i Brenden e con Richard a fare
quella passeggiata sulla spiaggia. Avrebbe dovuto sorridere, chiacchierare e sopportare Sally, sforzandosi di esser carina con lei. Le sottili tirannie della donna erano la gradita alternativa alla sua compagnia. Nell sfiorò la fronte di Jill con le labbra. «Prepara il tuo pigiama e non avvicinarti al balcone.» «Questo me l'hai già detto», disse Jill. «Ti avevo anche detto di non entrare nella grotta.» «Quello è diverso.» «No, non lo è.» Jill si avviò verso la stanza da bagno. «Le grotte sono belle, mentre i balconi non mi piacciono. Guardare in giù verso gli scogli mi fa venire le vertigini.» Grazie al cielo per il panorama! Non poteva credere che Sally avesse assegnato proprio a loro, una coppia con una bambina piccola, un appartamento con un balcone che si affacciava su quella sponda rocciosa. Sì, poteva crederlo. Anni prima Richard aveva detto a Sally che amava la vista dai balconi e lei cercava sempre di compiacerlo. Tutti cercavano sempre di assecondare il ragazzo d'oro. «Devi vedere la quantità di uomini addetti alla sicurezza, da cui Kavinski si è fatto precedere. Si direbbe Arafat.» Richard entrò all'improvviso nell'appartamento come una forte brezza. Diede un'occhiata ai fiori. «Belli. Farai meglio a portarli di sotto. Sally ha notato che non c'era un mazzo di fiori nell'atrio.» «L'ho appena finito.» Si stava scusando di nuovo, realizzò Nell con fastidio. «Non sono una professionista. Sally avrebbe potuto far venire qualcuno da Atene a prepararli.» Lui la baciò sulla guancia. «Ma non sarebbero belli come i tuoi. Sally dice sempre che sono fortunato ad avere una moglie con un simile temperamento artistico. Sii gentile: portaglieli giù in fretta.» Si diresse verso la camera da letto. «Devo fare la doccia. Kavinski dovrebbe essere qui entro un'ora e Martin vuole presentarmi a lui durante l'aperitivo.» «Devo venire anch'io? Pensavo di farmi vedere solo per il ricevimento.» Richard rifletté un momento, poi scrollò le spalle. «No, se non vuoi. Non credo che si accorgeranno della tua mancanza nella folla.» Un'ondata di sollievo invase Nell. Era molto più facile confondersi sullo sfondo durante un ricevimento. Si girò verso la porta. «Jill sta facendo il bagno. Vuoi tenerla d'occhio finché torno?» Lui sorrise. «Certamente.»
Richard indossava una camicia e dei calzoni corti bianchi. Aveva i capelli castani dolcemente arraffati e le sue guance magre erano abbronzate al punto giusto. Aveva sempre un aspetto magnifico quando portava uno smoking o un completo, ma lei lo preferiva così. Era più avvicinabile, più suo. Lui fece un gesto insofferente con le mani come per allontanarla. «Sbrigali. Sally sta aspettando.» Lei annuì e uscì riluttante dall'appartamento. Udì la voce acuta di Sally, simile a quella di un uccello, prima di avviarsi giù dallo scalone ricurvo in marmo. Aveva sempre giudicato assurda quella gracile voce in una donna alta quasi un metro e ottanta, snella e flessuosa come una pantera. Sally Brenden voltò le spalle alla domestica che stava rimproverando. «Eccoti. Era ora.» Tolse il vaso dalle mani di Nell e lo appoggiò sul tavolo di marmo, sotto a uno specchio riccamente dorato. «Avrei detto che fossi più sollecita. Non è che non abbia abbastanza di cui preoccuparmi. Devo ancora parlare con quell'ometto che dovrà occuparsi dei fuochi d'artificio, mettermi d'accordo con il cuoco e non sono neppure vestita. Sai quanto è importante questa serata per Martin. Tutto deve essere perfetto.» Nell sentì l'ira infiammarle le guance. «Mi dispiace, Sally.» «La moglie di un dirigente ha un ruolo importante nell'avanzamento della sua carriera. Certo, Martin non sarebbe mai diventato vicepresidente, se io non fossi stata accanto a lui ad aiutarlo. Non ti chiediamo molto, non credi?» Nell aveva sentito quella lezione autoelogiativa molte volte, in passato. Provò una piccola ondata di fastidio, ma la represse prontamente. «Mi dispiace, Sally», ripeté. «C'è altro che posso fare per aiutarti?» Sally agitò una mano splendidamente curata. «Ho invitato la signora Gueray al ricevimento. Assicurati che si senta a suo agio. È deplorevolmente impacciata in pubblico.» Elise Gueray era ancora più timida e fuori dal suo elemento di Nell, ai ricevimenti. A Nell non importava che Sally di solito le affidasse tutti i pesci fuor d'acqua; provava una profonda soddisfazione nel rendere loro la strada più facile e meno penosa. Dio sapeva quanto sarebbe stata profondamente grata a chiunque le avesse facilitato la strada in quei primi anni, dopo che era venuta in Europa. «Non so perché mai Henri Gueray l'abbia sposata.» Sally gettò uno sguardo a Nell con aria innocente.
«Tuttavia, si vedono spesso questi uomini potenti con mogli insignificanti e inadatte.» Una rapida pugnalata e poi una torsione della lama nella piaga. Nell era troppo abituata ai commenti pungenti, per dare a Sally la soddisfazione di reagire. «Io l'ho trovata molto piacevole.» Le voltò le spalle, dirigendosi in fretta verso lo scalone. «Devo tornare da Jill. Deve fare il bagno e cenare.» «Dovresti proprio procurarti una bambinaia, Nell.» «Mi fa piacere prendermi cura di lei personalmente.» «Ma è d'intralcio.» Fece una pausa. «Ne ho parlato con Richard, questo pomeriggio, e lui è d'accordo con me.» Nell si fermò. «Ha detto così?» «Naturalmente. Lui si rende conto che più sale in alto nella Compagnia, maggiori sono i doveri cui tu sarai chiamata. Quando torneremo a Parigi, mi metterò in contatto con l'agenzia che usavamo quando Jonathan era bambino. Simone si assicurava che non mi desse alcun fastidio.» E ora Jonathan era un adolescente assolutamente odioso e ribelle, relegato in un lontano collegio del Massachusetts. «Grazie, ma non sono così occupata. Forse, quando sarà un po' più grande.» «Se Kavinski si lascerà convincere ad affidarci i suoi investimenti all'estero, Richard sarà candidato ad amministrarli. Ci si aspetterà che tu viaggi con lui. Penso che abbia ragione a volere una bambinaia, prima che diventi una necessità.» Si allontanò, dirigendosi verso la sala da ballo. Sally si comportava come se fosse già stato tutto deciso, pensò freneticamente Nell. Lei non poteva consegnare sua figlia a una di quelle donne dal volto imperturbabile, che aveva visto passeggiare nel parco con i bambini affidati alle loro cure. Jill apparteneva a lei. Come poteva Richard prendere anche solo in considerazione l'idea di portargliela via? No, non lo avrebbe fatto. Jill era tutto per lei. Nell faceva tutto ciò che lui le chiedeva, ma non poteva aspettarsi che lei... «Non permettere a quella vecchia strega di tormentarti. Vuole solo vederti soffrire.» Nadine Fallon stava scendendo le scale. «I prepotenti aggrediscono sempre i miti. È la natura delle bestie.» «Ssh.» Nell si diede un'occhiata alle spalle, ma Sally era già sparita. Nadine sorrise. «Vuoi che le sputi in un occhio da parte tua?» «Sì. Ma in qualche modo lei lo scoprirebbe e poi Richard ne sarebbe imbarazzato.» Il sorriso di Nadine svanì. «Allora, lascia che sia imbarazzato. Dovrebbe
sapere che non puoi tenerle testa. Dovrebbe essere lui a sputare in quegli occhi da barracuda.» «Non capisci...» «No, non capisco.» Passò accanto a Nell e continuò a scendere le scale, avvolta in una nuvola di profumo e di chiffon: capelli rossi, splendida, esotica e totalmente sicura di sé. «Ho imparato molto tempo fa, a Brooklyn, che chi non risponde agli attacchi resta schiacciato.» Nadine non sarebbe mai rimasta schiacciata, pensò malinconicamente Nell. Si era fatta strada faticosamente dalla Settima Avenue, arrivando a essere una delle indossatrici più ricercate di Parigi, e non aveva mai perso quel suo umorismo spicciolo e quella sua adorabile sfrontatezza. Veniva invitata dappertutto e ultimamente Nell si era imbattuta in lei sempre più frequentemente. Richard la chiamava «la vetrina degli stilisti», ma Nell era sempre contenta di vederla. Nadine le gettò un'occhiata indagatrice. «Hai un aspetto magnifico. Hai perso qualche chilo?» «Forse.» Sapeva di non avere un aspetto magnifico. Era rotonda come Nadine l'aveva vista l'ultima volta, il mese prima, i suoi calzoni larghi erano sgualciti e non aveva avuto il tempo di pettinarsi i capelli da quella mattina. Nadine stava cercando di consolarla, dopo quel maligno attacco di Sally Brenden. Perché no? Le taglie quaranta potevano permettersi di essere gentili con le quarantasei. Provò un'ondata di vergogna a quel pensiero. La gentilezza doveva essere apprezzata e mai guardata di traverso. «Devo vedere subito Richard. Ci incontriamo più tardi al ricevimento.» Nadine sorrise e accennò un saluto con la mano. Nell salì lo scalone a due gradini alla volta e corse in fondo al lungo corridoio. Richard non era in salotto. Poteva sentirlo canticchiare in camera da letto. Si fermò fuori, per farsi coraggio, poi spalancò la porta. «Non voglio una bambinaia per Jill.» Richard si voltò dallo specchio. «Che cosa?» «Sally ha detto che stai pensando di assumere una bambinaia. Non ne voglio una. Non ci occorre.» «Perché sei così agitata?» Richard si voltò di nuovo verso lo specchio e si aggiustò la cravatta. «Era solo un'oziosa discussione. Non è bene soffocare di attenzioni i bambini. Tutti i nostri amici hanno un aiuto. E poi una bambinaia è in un certo qual modo un simbolo di successo.» «La stai davvero prendendo in considerazione.»
«Non senza il tuo consenso.» Richard indossò la giacca dello smoking. «Che cosa ti metterai, questa sera?» «Non lo so.» Che differenza faceva? Lei avrebbe avuto comunque lo stesso aspetto. «L'abito di pizzo blu, immagino.» Le sue mani si strinsero ai fianchi. «Io non intendo soffocare Jill.» «Ottima scelta, l'abito blu. Quella scollatura smerlata fa risaltare in modo splendido le tue spalle.» Nell attraversò la stanza e appoggiò il capo sul suo petto. «Voglio prendermi cura di lei personalmente. Tu sei via tanto spesso e noi ci teniamo compagnia.» Poi mormorò: «Ti prego, Richard». Lui le accarezzò i capelli. «Voglio solo ciò che è meglio per te. Sai quanto io lavori sodo, per assicurarmi che tu e Jill abbiate una bella vita. Aiutami solo un po', Nell.» Aveva intenzione di farlo, realizzò lei con disperazione. «Cerco di aiutarti.» «E lo fai.» L'allontanò da sé e abbassò gli occhi a guardarla in viso. «Ma avrò più bisogno di te.» Un fremito di eccitazione gli illuminò il volto. «La chiave è Kavinski, Nell. Aspetto da sei anni un'occasione come questa. Non si tratta solo di denaro, si tratta di potere. Non si può dire fino a dove potrò arrivare, ora.» «Lavorerò sodo. Farò tutto ciò che mi dirai di fare. Solo, lasciami tenere Jill.» «Ne parleremo domani.» La baciò sulla fronte e si allontanò. «Adesso, sarà meglio che scenda di sotto. Kavinski sarà qui da un momento all'altro.» Nell rimase a fissare intontita la porta, dopo che si fu richiusa alle sue spalle. Ne avrebbero parlato domani e Richard sarebbe stato gentile, fermo e un po' addolorato di non poterla accontentare in ciò che lei più desiderava. L'avrebbe fatta sentire colpevole e impotente e, quando fossero tornati a Parigi, le avrebbe comperato le sue rose gialle preferite e avrebbe badato personalmente al colloquio con la bambinaia per non angosciarla. «Mamma, l'acqua del mio bagno sta diventando fredda», chiamò Jill in tono di rimprovero. Stava sulla porta a piedi nudi, avvolta in un enorme asciugamano rosa. «Davvero?» Nell deglutì per allentare la tensione. Avrebbe gustato quel tempo prezioso con Jill e tentato di non pensare al domani. Forse non avrebbero ottenuto la gestione degli affari di Kavinski. Forse Richard avrebbe cambiato idea. «Allora, immagino che faremo meglio a riscaldarla
e a fartici entrare.» «Già.» Jill si girò e scomparve nella stanza da bagno. «Sembri una principessa», osservò Jill dondolandosi avanti e indietro sul suo letto, con le ginocchia strette a sé. «È improbabile», replicò la madre, felice di quell'apprezzamento inaspettato. Con dolcezza Nell spinse la piccola contro i cuscini e tirò su la coperta. «Adesso non cercare di restare sveglia. Fai un sonnellino e io ti sveglierò quando porterò il nostro pic-nic. Una delle cameriere sarà qui fuori, nel salotto.» Arruffò i capelli di sua figlia con aria canzonatoria. «Caso mai vedessi dei mostri.» «Io l'ho visto, mamma», disse Jill con espressione seria. «Ebbene, non lo rivedrai più.» Nell la baciò sulla fronte. «Te lo prometto.» Aveva raggiunto la porta, quando Jill le gridò: «Ricordati del vino». Nell ridacchiò, mentre chiudeva la porta della camera da letto. Jill non avrebbe mai sofferto di timidezza o di incapacità di farsi valere. Il suo sorriso svanì, quando passò accanto allo specchio nel corridoio. Solo sua figlia avrebbe potuto vedere qualcosa che ricordasse una principessa nel suo aspetto. Era un po' più alta di un metro e settanta, ma decisamente grassoccia, per non dire giunonica. Grassoccia, banale e insignificante. I suoi lineamenti erano indefiniti, a eccezione di un naso che girava all'insù, invece di svanire nella tediosa monotonia del resto della sua faccia. Anche i suoi corti capelli castani erano banali, della stessa pallida sfumatura nocciola di quelli di Jill, però senza quella lucentezza infantile. Insignificanti. Ebbene, Jill pensava che fosse bella e ciò le bastava. Non che Richard non pensasse che fosse attraente. Una volta le aveva detto che gli ricordava una trapunta patchwork: resistente, tradizionale e anche bella nella sua semplicità. Nell arricciò il naso con aria mesta scrutando il suo riflesso, prima di avviarsi rapida verso la porta. Non conosceva una donna al mondo che non avrebbe preferito sembrare un incantevole lenzuolo di seta, invece di una trapunta patchwork. Ma le donne insignificanti avevano un vantaggio: nessuno le notava mai quando entravano o uscivano da una stanza. Non avrebbe avuto problemi ad andarsene dalla sala da ballo con le cibarie per Jill. Nell si fermò in cima allo scalone di marmo, gettando un rapido sguardo sull'atrio affollato.
Musica. Ovunque la fragranza di fiori e di profumi costosi. Risate e conversazioni. Buon Dio, non voleva scendere laggiù. Le alte porte scolpite che davano nella sala da ballo erano spalancate e lei poté vedere Richard in piedi in un angolo, intento a parlare con un uomo alto e barbuto, con il petto decorato di nastrini. Kavinski? Era probabile. Anche Martin, Sally e Nadine erano accalcati intorno a lui e l'espressione di Sally era quasi servile. Ci si aspettava che più tardi lei incontrasse Kavinski, ma ora sarebbe stata solo d'intralcio. Il suo sguardo corse agli invitati nella sala e finalmente Nell individuò la signora Gueray all'ombra delle porte-finestre. Elise Gueray era sulla cinquantina e stava tentando disperatamente di confondersi con i drappi di velluto bianco che fermavano le tende. Nell provò un'improvvisa ondata di simpatia. Conosceva quel sorriso impacciato e quell'espressione perseguitata: l'aveva vista riflessa tante volte nel proprio specchio. Si avviò giù dallo scalone. Che Richard si occupasse di affascinare Kavinski e di fare affari con chiunque altro fosse in vista. Aiutare Richard, facendo sentire quella donna meno infelice, era molto più di suo gusto. «Mon Dieu, quell'uomo dovrebbe avere una rosa tra i denti», mormorò Elise Gueray. «Che cosa?» Nell appoggiò una pasta al limone nel proprio piatto. Aveva promesso a Jill una pasta ripiena di cioccolato, ma non riusciva a vederne sulla tavola del rinfresco, «Sa, come Schwarzenegger in quel film in cui impersonava la spia che poteva fare qualunque cosa, tranne volare.» Nell ricordava vagamente il film e l'erculeo Schwarzenegger, che ballava il tango con una rosa tra i denti. «True lies?» Elise scrollò le spalle. «Non ricordo mai i titoli, ma Schwarzenegger è difficile da dimenticare.» Fece un cenno con il capo verso qualcuno dall'altra parte della stanza. «E anche lui. Sa chi è?» Nell diede un'occhiata oltre le spalle della donna. L'uomo che Elise indicava non aveva l'altezza o la mole di Schwarzenegger, ma poteva capire che cosa intendesse Elise. Capelli scuri, sui trentacinque anni, con un volto più interessante che bello, trasudava una totale sicurezza di sé. Non sarebbe mai rimasto impigliato in una situazione che non potesse controllare. Non c'era da meravigliarsi che Elise lo trovasse affascinante. Per persone
come lei e Nell, una simile sicurezza era tanto attraente quanto irraggiungibile. «Non l'ho mai visto prima. Forse fa parte del seguito di Kavinski.» Elise scosse il capo. Aveva ragione, realizzò Nell. Quello straniero non avrebbe viaggiato al seguito di nessuno. «È così affamata?» Lo sguardo di Elise si era spostato sul piatto di Nell. Il rossore le infiammò le guance. «No, ho pensato di portarne una scelta a mia figlia.» Elise sembrava afflitta. «Non intendevo...» «Lo so.» Nell fece una smorfia. «Non ho esattamente un'aria denutrita.» «Ha un aspetto molto attraente», disse Elise gentilmente. «Non intendevo offenderla.» «Non mi ha offesa.» Nell sorrise. «È la mia predilezione per i dolci al cioccolato che mi ferisce. Sono confortanti come la coperta di Linus.» «E lei ha bisogno di conforto, mia cara?» «Non ne abbiamo bisogno tutti?» rispose Nell evasiva. Poi disse, con maggiore sicurezza: «No, naturalmente no. Ho tutto ciò che potrei desiderare». E aggiunse con dolcezza: «Se ha tempo, mi farebbe piacere farle conoscere mia figlia, domani». «Mi farà molto piacere.» «Oh, ecco le paste al cioccolato. Lei adora le paste ripiene di cioccolato.» Aggiunse le paste al bottino del suo piatto, prima di rivolgersi di nuovo verso Elise. «Vuole scusarmi? Vorrei portare queste a Jill. Le ho detto di fare un sonnellino, ma probabilmente sarà ancora sveglia.» «Certamente. Le ho rubato troppo del suo tempo. È stata molto gentile.» «Sciocchezze. È stato un piacere. Dovrei essere io a ringraziarla.» Era la verità. Una volta che la sua timidezza si era dileguata, Elise Gueray si era rivelata piena di brio e di senso dell'umorismo e le aveva fatto trascorrere il tempo in modo molto piacevole. Nell prese il piatto. «Se non la vedrò più tardi, questa sera, le telefonerò domani, dopo colazione.» Elise annuì, mentre il suo sguardo andava a suo marito, dall'altra parte della sala. «Dubito che sarò qui, quando tornerà. Henri sarà presto pronto per andarsene. Pensava solo che fosse importante conoscere Kavinski.» Nell aggirò lentamente la folla, la fronte corrugata in un'espressione assorta, mentre teneva in equilibrio il piatto carico di dolci tesori. Il vino. Si fermò bruscamente fuori dalle porte della sala da ballo. Oh, perché no? Qualche sorso non avrebbe fatto male a Jill. Gli europei
lo facevano assaggiare ai loro bambini. Voleva che quella sera Jill fosse felice. Chi poteva sapere quante altre opportunità avrebbero avuto di stare insieme? Si rituffò nella sala da ballo. Champagne. Ancora meglio. Mentre afferrava un bicchiere di champagne da un cameriere di passaggio, il piatto che teneva in equilibrio con l'altra mano vacillò. Prontamente quell'ingombro le venne tolto di mano. «Posso aiutarla?» Arnold Schwarzenegger. No, a distanza più ravvicinata non sembrava altro che se stesso. Un uomo di forte impatto. Quella sua sicurezza era schiacciante e istintivamente Nell desiderò sottrarvisi. Distolse lo sguardo da quello di lui. «No, grazie.» Tentò di riprendere il piatto, ma lui lo tenne fuori dalla sua portata. «Insisto. Non è un disturbo.» Uscì lentamente dalla sala da ballo e Nell fu costretta a seguirlo in fretta. «Dove si tiene questo appuntamento?» «Appuntamento?» L'uomo abbassò lo sguardo sul piatto. «Lui deve avere un buon appetito.» Nell sentì il rossore pungerle le guance. Ventotto anni e arrossiva. «È una festa per mia figlia», mormorò. L'uomo sorrise. «Allora, presumo che l'appuntamento debba ugualmente svolgersi in una camera da letto, ma non riuscirà mai a salire la scala con lo champagne e il piatto insieme.» Attraversò l'atrio e si avviò su per lo scalone. «Mi chiamo Nicholas Tanek. Lei è...?» «Nell Calder.» Si trovò a corrergli dietro. «Ma non mi occorre aiuto. Se vuole darmi...» «Calder? La moglie di Richard Calder?» Era sorpreso. La gente era sempre sorpresa che Richard avesse scelto lei. «Sì.» «Bene, sembra troppo occupato per aiutarla. Mi permetta di sostituirlo.» Era evidente che non intendeva lasciarsi dissuadere. Nell poteva anche dargliela vinta. Sarebbe stato il modo più rapido per liberarsi di lui. Lo seguì su per lo scalone e si trovò a osservare la sciolta forma delle sue spalle e delle sue natiche. Erano entrambe ottimamente fornite di muscoli tanto da risultare sensazionali al massimo. «Quanti anni ha sua figlia?» Il suo sguardo si alzò di scatto con aria colpevole, ma lui stava ancora guardando dritto davanti a sé, realizzò Nell con sollievo. «Jill ha quasi cinque anni. Ha bambini, signor Tanek?»
Lui scosse il capo. «Da quale parte?» «A destra.» «Anche lei lavora per la Continental Trust?» le chiese Tanek. «No.» «Che cosa fa?» «Niente. Voglio dire, mi occupo di mia figlia.» Quando lui non fece commenti, Nell si scoprì a continuare: «Ho molti impegni sociali». «Sono certo che è molto occupata.» Ma non come le donne del suo mondo. Nell era sicura che fossero tutte brillanti, dotate di talento e sicure di sé come lui. «È americana?» Lei annuì. «Sono stata allevata a Raleigh, nella Carolina del Nord.» «È una città universitaria, non è vero?» «Sì, i miei genitori insegnavano alla Greenbriar University, appena fuori Raleigh. Mio padre era il rettore.» «La sua doveva essere una vita molto... tranquilla.» Voleva dire noiosa. Nell lo prevenne. «Mi piacciono molto le piccole città.» Lui le lanciò un'occhiata indagatrice. «Ma, naturalmente, non può essere paragonata alla vita che conduce ora. Mi hanno detto che il quartier generale della Continental Trust è a Parigi.» «Sì, è così.» «E deve essere piacevole poter visitare luoghi come questo.» «Davvero?» «Parlavo con suo marito poco fa e ritengo che una vita stabile in un palazzo gli si adatterebbe davvero molto bene.» «Lavora sodo per guadagnarsi ogni lusso di cui godiamo.» Il suo ozioso indagare stava cominciando a infastidirla. Non poteva essere realmente interessato né a Richard né a lei. Nell cambiò argomento. «È nell'attività bancaria, signor Tanek?» «No, mi sono ritirato dagli affari.» Lei lo fissò, sconcertata. «Davvero? Lei è molto giovane.» Tanek ridacchiò. «Avevo denaro a sufficienza e ho deciso di non aspettare una festa di pensionamento e un orologio d'oro. Adesso posseggo un ranch nell'Idaho.» L'aveva sorpresa di nuovo. Non avrebbe mai pensato che fosse il tipo da allontanarsi dalla frenesia cittadina. «Lei non sembra...» «Amo la solitudine. Sono cresciuto a Hong Kong, circondato dalla gen-
te. Quando mi sono trovato nella posizione di poter scegliere, ho optato per la vita selvaggia.» «Mi dispiace, non sono affari miei.» «Non si preoccupi. Non ho niente da nascondere.» E lei invece avrebbe scommesso che aveva molto da nascondere, pensò Nell improvvisamente. Era il tipo d'uomo che poteva nascondere di tutto sotto quell'apparenza tranquilla. «Da quali affari si è ritirato?» «Ero nel commercio», disse lui. Poi chiese: «Quale porta?» «Oh, l'ultima a sinistra.» Tanek si avviò rapido lungo il corridoio e si fermò davanti all'appartamento. «Grazie. Non era necessario, ma io...» L'uomo aveva aperto la porta e stava entrando a grandi passi, realizzò Nell stupefatta. La cameriera greca si drizzò rapidamente a sedere sulla sedia. «Può andare», disse in greco Nicholas Tanek. «La chiameremo, quando avremo bisogno di lei.» La cameriera uscì dall'appartamento e chiuse la porta. Nell lo fissò, sbalordita. Tanek sorrise. «Non si allarmi. Le mie intenzioni sono irreprensibili.» Le strizzò un occhio. «Beh, a meno che lei definisca riprovevole evitare un ricevimento molto noioso. L'ho vista precipitarsi fuori dalla porta e mi occorreva una scusa per andarmene per un po'.» «Mamma, mi hai portato...» Jill era in piedi sulla porta, lo sguardo su Tanek. «Chi sei?» Lui s'inchinò. «Nicholas Tanek. Tu sei Jill?» Lei annuì diffidente. «Allora, questo è per te.» Le porse il piatto, accompagnandolo con un ampio gesto della mano. «Idromele e ambrosia.» «Volevo le paste ripiene di cioccolato.» «Credo che ci siano anche quelle.» Tanek andò spedito verso di lei. «Dove ceniamo?» Jill lo studiò per un attimo, poi capitolò. «La mamma e io faremo un picnic. Ho messo una coperta sul pavimento.» «Eccellente idea.» Tanek cominciò a sistemare i piatti di carta sulla coperta, poi fece notare: «Ha dimenticato i tovaglioli. Dovremo improvvisare». Scomparve nella stanza da bagno e tornò un minuto dopo con una pila di fazzoletti di carta e due piccoli asciugamani ricamati. «Posso,
madame?» Drappeggiò l'asciugamano intorno al collo di Jill, legandoglielo sulla nuca. Jill ridacchiò. Nell provò un certo risentimento, vedendo che Jill stava gustando la novità di ricevere attenzioni da uno sconosciuto. Quello avrebbe dovuto essere il suo momento con sua figlia e lui stava rovinando tutto. «Grazie per avermi aiutata con il piatto, signor Tanek», disse Nell in tono formale. «So che desidera tornare al ricevimento.» «Davvero?» Tanek si voltò verso di lei e il sorriso svanì dalle sue labbra, mentre scrutava il suo volto. Poi annuì lentamente. «Sì, forse dovrei tornare.» Si inchinò a Jill. «Ma aspetterò per portare indietro il suo piatto, madame.» «Non si preoccupi», disse Nell. «La cameriera lo prenderà domani mattina.» «Insisto. Aspetterò nel salotto. Mi chiami, quando sarà pronta.» E uscì a grandi passi dalla camera da letto. «Chi è?» mormorò Jill, con lo sguardo sulla porta aperta a metà. «Solo un ospite.» Era sorpresa che Tanek si fosse arreso così facilmente. Beh, non si era arreso del tutto. Era chiaro che non voleva tornare di sotto e che stava usando l'appartamento come un rifugio. Chi stava evitando? Probabilmente, una donna Era il genere di uomo cui le donne dovevano dare costantemente la caccia. Ebbene, non le importava, purché non si intromettesse e non le infastidisse. «Mi piace», disse Jill. Nell non ne dubitava. In quei pochi minuti Tanek aveva fatto in modo che Jill si sentisse una principessa. Poi lo sguardo di Jill si fermò impaziente sul calice di cristallo e la bambina si dimenticò immediatamente di Tanek. «Vino?» «Champagne.» Nell si lasciò cadere sul pavimento e incrociò le gambe. «Come hai ordinato.» Il sorriso raggiante di Jill le illuminò il viso. «Me lo hai portato!» «È una festa.» Le porse il bicchiere. «Solo un sorso.» Jill ne bevve un sorso enorme e poi fece una smorfia. «Aspro, ma è quasi caldo e pieno di bollicine, andando giù.» Sollevò di nuovo il bicchiere. «Jean Marc dice che...» Nell afferrò il bicchiere dalle sue mani. «Basta così.» «D'accordo.» Jill allungò una mano a prendere un pasticcino ripieno di cioccolato. «Ma, se è una festa, dovremmo avere della musica.»
«Giusto.» Nell si avvicinò carponi al comodino, allungò una mano a prendere il carillon e lo carico. Lo posò sulla coperta e rimasero a guardare i due orsetti panda che ruotavano lentamente sul coperchio. «È molto meglio dell'orchestra di sotto.» A poco a poco Jill si spostò più vicina, sollevò il braccio di Nell e vi si sistemò sotto. Mentre continuava a masticare la sua pasta al cioccolato, alcune briciole caddero sull'abito in pizzo blu di Nell. Sapeva che, prima che Jill avesse finito, la glassa di cioccolato sarebbe stata dappertutto, addosso a entrambe. Ma non le importava. Al diavolo il vestito. Le sue braccia si strinsero intorno al piccolo e caldo corpo di sua figlia. Momenti come quello erano rari e preziosi. E potevano diventare ancora più rari. No, non poteva permettere che lo facessero. Richard aveva torto e lei doveva convincerlo che Jill aveva bisogno di lei. Ma che cosa sarebbe successo, se non ci fosse riuscita? Allora avrebbe dovuto combattere. A quel pensiero sentì il panico e la disperazione crescere dentro di lei. Richard la faceva sentire irragionevole e crudele, quando non era d'accordo con lui. Era così sicuro di tutto, mentre lei non lo era di niente. Tranne sul fatto che Richard aveva torto a farle consegnare sua figlia a un'estranea senza volto. «Mi stai stringendo troppo forte», disse Jill. Nell allentò la stretta, ma tenne vicina Jill. «Mi dispiace.» «Va bene.» Con la bocca piena di pasticcini, si strusciò contro Nell con aria indulgente. «Non mi hai fatto male.» Non aveva scelta. Doveva trovare la forza da qualche parte. Doveva opporsi a Richard. Era venuto per niente, pensò Nicholas con disgusto, guardando le onde infrangersi sugli scogli sotto di lui. Nessuno poteva voler uccidere Nell Calder. Non era probabile che fosse collegata a Gardeaux più di quanto lo fosse quel folletto dai grandi occhioni, che ora stava colmando di pasticcini e adorazione. Se lì c'era un bersaglio, probabilmente era Kavinski. Come capo di uno Stato russo emergente, aveva il potere di essere sia una miniera d'oro sia estremamente fastidioso per Gardeaux. Nell Calder non poteva essere considerata d'impiccio per nessuno. Conosceva in anticipo le risposte a tutte le domande che le aveva fatto, ma aveva voluto vedere la sua reazione. L'a-
veva osservata per tutta la sera ed era chiaro che era una donna gentile e timida, del tutto fuori dal suo elemento persino con quegli «squali» dall'apparenza così innocua al piano di sotto. Non riusciva a immaginare che avesse abbastanza influenza da giustificare la corruzione e non sarebbe mai stata capace di trattare alla pari con Gardeaux. A meno che fosse diversa da come appariva. Era possibile. Sembrava mite come un agnello, ma aveva avuto il fegato di buttarlo fuori dalla camera di sua figlia. Tutti rispondevano all'attacco, se la battaglia era abbastanza importante. E per Nell Calder era importante non dividere sua figlia con lui. No, l'elenco doveva significare qualcos'altro. Quando fosse tornato nella sala del ricevimento, sarebbe stato vicino a Kavinski. Su, su, su, saliam nel profondo cielo blu. Giù, giù, giù, scendiam a toccar l'intensa rosa rossa. Nell stava cantando una canzoncina alla sua bambina. A Nicholas erano sempre piaciute le ninne nanne. Possedevano quella rassicurante continuità che a lui era mancata per tutta la vita. Dalla notte dei tempi le mamme cantavano ai loro figli, e probabilmente lo avrebbero ancora fatto tra un migliaio di anni. La canzone finì con una risatina sommessa e un mormorio che non riuscì a capire. Nell Calder uscì dalla camera da letto qualche minuto dopo e chiuse la porta. Era arrossata e il suo volto risplendeva di una espressione tenera. «Non ho mai sentito quella ninna nanna, prima», disse Tanek. Nell sembrò sorpresa, come se avesse dimenticato che lui era ancora lì. «È molto vecchia. Un tempo mia nonna la cantava a me.» «Sua figlia, si è addormentata?» «No, ma lo farà presto. Le ho caricato di nuovo il carillon. Di solito, quando finisce, lei si è addormentata.» «È una bella bambina.» «Sì.» Un sorriso luminoso rese di nuovo splendido il suo volto insignificante. «Sì, lo è.» Tanek la fissò, incuriosito. Scoprì che desiderava trattenere quel sorriso sul suo volto. «È vivace?»
«A volte troppo. La sua immaginazione può creare problemi. Ma è sempre ragionevole e riesco a convincerla...» Si interruppe e la sua vivacità svanì. «Ma questo non può interessarle. Ho dimenticato il piatto. Torno a prenderlo.» «Non si preoccupi. Disturberà Jill. La cameriera potrà prenderlo domani mattina.» Lei lo guardò dritto negli occhi. «È quello che le avevo detto io.» Lui sorrise. «Ma allora non ho voluto darle retta. Adesso mi sembra perfettamente sensato.» «Perché è ciò che vuole fare.» «Esattamente.» «Anch'io devo tornare giù. Non ho ancora conosciuto Kavinski.» Nell si avviò verso la porta. «Aspetti. Penso che prima vorrà togliere quel cioccolato dal suo vestito.» «Dannazione.» Nell corrugò la fronte, abbassando lo sguardo sulla macchia sull'abito. «Me ne ero dimenticata.» Si voltò verso la stanza da bagno e disse caustica: «Vada avanti. Le assicuro che non mi occorre il suo aiuto per questo problema». Lui esitò. Nell gli diede un'occhiata eloquente. Tanek non aveva scuse per restare. Non che quel fatto trascurabile avrebbe potuto scoraggiarlo. Ma non aveva neppure una ragione per farlo. Sopravviveva grazie al suo intuito da troppo tempo per non fidarsi del suo sesto senso: quella donna non era un bersaglio di alcun genere. Avrebbe dovuto tener d'occhio Kavinski. Si girò verso la porta. «Dirò alla cameriera che lei aspetta che ritorni.» «Grazie, è molto gentile da parte sua», disse lei automaticamente, scomparendo nella stanza da bagno. Buone maniere, ovviamente instillate dall'infanzia. Lealtà. Gentilezza. Una donna gradevole, il cui mondo era centrato su quella cara bambina. Aveva decisamente fatto fiasco. La cameriera non stava aspettando nel corridoio. Avrebbe dovuto mandare su una delle domestiche dal pianterreno. Attraversò rapido i corridoi e si avviò giù dallo scalone. Spari. Dalla sala da ballo.
Cristo. Scese a precipizio lo scalone. Esplosioni. Petardi, pensò distrattamente Nell. Sally le aveva detto che ci sarebbe stato uno spettacolo pirotecnico per coronare la serata. Doveva essere rimasta di sopra più a lungo di quanto avesse immaginato. A Sally non avrebbe fatto piacere. La macchia non era così tremenda. Ringraziava il cielo per il miracolo dell'acqua minerale. Aveva temuto di doversi cambiare. Picchiettò con cura la macchia di cioccolato. Sentì una porta chiudersi nel salotto. La cameriera. Qual era il suo nome? Hera. «Sono nella stanza da bagno. Andrò via tra un attimo, Hera. Sono riuscita a macchiare il mio...» Alzò gli occhi. C'era un volto nello specchio: pallido, luccicante, distorto. «Che cosa...» Un luccichio d'acciaio, un braccio sollevato. Un pugnale. Nell si voltò di scatto, mentre il pugnale scendeva. Dolore. Il pugnale venne strappato dalla sua spalla e affondato di nuovo. Doveva essere un ladro. «Niente... gioielli. La prego.» Il pugnale la trafisse di nuovo, questa volta penetrandole nella parte superiore del braccio. Poteva vedere le labbra dell'aggressore attraverso la calza di nylon che fungeva da maschera. Non era un ladro. Provava piacere nel farlo, realizzò Nell inorridita. Stava divertendosi con lei. Godeva nel vedere il suo dolore e la sua impotenza. Il sangue le colava lungo il braccio e il dolore era tanto intenso da darle la nausea. Perché lo stava facendo? Sarebbe morta. Jill! Jill era nella stanza vicina. Se lei fosse morta, non avrebbe potuto impedirgli di fare del male a Jill. Lui stava sollevando di nuovo il pugnale. Nell lo colpì all'inguine con un ginocchio. L'uomo grugnì per l'intenso dolore e si piegò in due.
Nell gli diede uno spintone per passare. Le sembro strano, gommoso, contro il suo corpo. Si diresse barcollando nel salotto. Le gambe tremavano. Stava per cadere. «Puttana!» Le era proprio alle spalle. Avrebbe dovuto avere un'arma. Ma non ce n'erano. Staccò con uno strattone il cavo della lampada sul tavolo accanto a lei e gliela tirò contro. Lui la deviò con un braccio. Nell indietreggiò. Non dicevano che la migliore difesa era urlare? Urlò. «Continua pure. Nessuno ti sentirà. Nessuno ti aiuterà.» Aveva ragione. I fuochi d'artificio e le grida di sotto erano troppo forti. Nell si trovava accanto alla porta-finestra che dava sul balcone. Strappò le tende di seta beige e gliele scagliò sulla testa. Lo sentì imprecare, mentre si precipitava fuori. Quasi fuori. Lui si liberò dal groviglio setoso in tempo per afferrarla per un braccio e spingerla in ginocchio. Poi sollevò di nuovo il pugnale. Nell balzò all'insù, colpendolo allo stomaco con la testa. La sua presa si allentò, mentre lei si liberava con uno strattone. «Mamma.» Oh, Dio, Jill era sulla porta della camera da letto. «Stai lontana, piccola.» Il balcone. Se fosse riuscita ad attirarlo fuori, sul balcone, Jill avrebbe potuto scappare. Il suo pugno sferzò l'aria e si scontrò con la guancia dell'uomo. Nell si girò di scatto e corse fuori sul balcone. Lui la seguì. «Corri, Jill. Vai da papà.» Jill stava piangendo. Desiderava confortarla. «Corri, pic...» Il pugnale. La colpiva. Dolore. Doveva respingerlo. Si sentiva debole. Doveva colpirlo. Fargli male. Dare a Jill il tempo di scappare. Doveva fuggire. Non c'era un solo posto dove fuggire. La pietra della balaustra del balcone era dura e fredda contro la sua spina
dorsale. Farlo cadere. Farlo cadere al di là del balcone. Le braccia di Nell afferrarono con disperazione le spalle dell'uomo, mentre tentava di farlo girare. «Oh, no, stupida puttana.» L'uomo si liberò e la spinse al di là della balaustra. Stava gridando. Cadeva. E stava per morire. Nicholas si fece strada a fatica tra gli ospiti in preda al panico, che si riversavano fuori dalla sala da ballo, nell'atrio. Afferrò per un braccio Sally Brenden, mentre gli passava accanto di corsa. «Che cosa è successo?» «Mi lasci andare.» I suoi occhi brillavano per il terrore. «Pazzesco. Li hanno uccisi. Pazzesco.» La mano di Nicholas si strinse sul suo braccio. «Chi ha sparato?» «Come posso saperlo?» Si rivolse a un uomo robusto che era emerso dalla sala da ballo. «Martin!» Martin Brenden era pallido e sudava. «Kavinski è rimasto a terra. E anche altri due. Ho visto Richard cadere. Hanno ucciso Richard.» «Quanti erano?» chiese Nicholas. «Da dove venivano gli spari?» «Dall'esterno, attraverso la finestra», disse Martin. «Le guardie del corpo di Kavinski li stanno cercando.» Afferrò sua moglie per il braccio. «Usciamo subito da qui.» «Com'è potuto accadere tutto questo?» chiese Sally, stordita. «Il mio splendido ricevimento...» «Li troveranno.» Le diede un colpetto rassicurante sul braccio. «Kavinski aveva due uomini appostati sul molo. Non riusciranno mai ad andarsene dall'isola.» Sally si lasciò condurre via. «Il mio ricevimento...» Nicholas si fece strada tra la folla verso la porta d'ingresso. Due uomini stavano correndo, corpi atletici che luccicavano cupamente nel chiarore della luna. Tute da subacquei. Non si stavano dirigendo verso i moli, ma verso il lato opposto dell'isola. Naturalmente, non i moli. Gardeaux avrebbe trovato un modo di evitare quella trappola, dopo che gli obiettivi erano stati colpiti. Obiettivi. Nell Calder. Si voltò di scatto e tornò di corsa nel palazzo.
2 «Cristo. Guardi la sua faccia. È un mostro.» La voce di Nadine. Ho visto un mostro. L'aveva detto Jill. Tutti vedevano mostri. «Dannazione, non stia lì a fare niente. Vada a chiamare quel dottore che si sta occupando di Kavinski. Questa donna ha più bisogno di aiuto di lui.» Richard? No, quella voce era più aspra, più dura. Tanek. Strano che riconoscesse la sua voce nell'oscurità. Nell tentò di aprire gli occhi. Sì, Tanek. Non più elegante, macchiato di sangue, senza giacca. Era ferito? «Sangue...» «Stia calma. Si riprenderà.» Il suo sguardo sostenne con fermezza quello di Nell. «Glielo prometto. Non morirà.» Nadine stava piangendo. «Poverina. Oh, Dio, devo vomitare.» «Allora vada a farlo», disse Tanek con voce fredda. «Ma prima vada a chiamare il dottore.» Doveva essere lei, quella ferita. Che cadeva. Moriva. Richard non avrebbe dovuto essere lì, se lei stava per morire? Voleva vedere Jill. «Jill...» «Ssh», disse Tanek. «Andrà tutto bene.» C'era qualcosa che non andava. No, tutto non andava. Lei stava per morire e lì non c'era una persona al mondo a cui importasse. Solo a quello sconosciuto. Solo a Tanek. «Stavo guardando la televisione», disse Jamie Reardon, non appena sollevò il telefono. «Sembra che tu abbia avuto una serata indaffarata, Nick. E così, era Kavinski l'obiettivo?» «Non lo so. Anche la guardia del corpo è stata colpita. Forse Kavinski è stato un incidente.» «Come sono riusciti ad arrivare sull'isola?» «Attraverso un passaggio marmo che sbocca nelle caverne all'altra estremità dell'isola. Hanno gettato l'ancora qualche miglio al largo della co-
sta e hanno usato tute subacquee e autorespiratori per raggiungere a nuoto una di quelle grotte. Che cosa dicono i notiziari?» «Che terroristi del Paese di Kavinski hanno effettuato un'incursione e un tentativo di assassinio, e che cinque spettatori innocenti sono rimasti uccisi.» «Quattro. La donna è ancora viva. A malapena. È stata pugnalata tre volte ed è caduta dal balcone. È tutta fracassata e la stanno portando in un ospedale di Atene. C'era un dottore al ricevimento, lui dice che probabilmente sopravviverà, se non l'ucciderà lo choc. Ho bisogno che tu provveda a noleggiare un aereo privato. La faremo curare negli Stati Uniti.» Jamie emise un fischio. «A Kabler questo non farà piacere. Vorrà parlarle.» «Al diavolo Kabler.» «E che cosa mi dici dei suoi parenti più stretti? Riuscirai a ottenere il loro permesso?» «Suo marito era uno degli innocenti spettatori. Lo stanno portando all'obitorio. Fai falsificare da Conner dei documenti, che attestino che tu sei suo fratello, e fai chiamare l'ospedale da Lieber. Qualcuno lì avrà sentito parlare di lui.» «Perché Lieber?» «Mi sembra la persona più logica. Sembra che ogni osso del viso della donna sia andato in frantumi.» «Perché è stato ucciso Richard Calder? Non era in elenco.» «Neppure la figlia di quattro anni.» «Gesù.» Nicholas chiuse gli occhi per cancellare la visione in cui si era imbattuto, quando aveva guardato giù dal balcone. Non servì. Era sempre lì davanti a lui. «Ho agito da sciocco. Pensavo che fosse un'impresa inutile.» «Non sei l'unico. Anche Kabler aveva deciso di lasciar perdere.» «Io non ho lasciato perdere. Ero qui. Avrei potuto impedirlo.» «Da solo?» «Avrei potuto avvertirla. Era pazza della bambina. Forse mi avrebbe dato retta.» «O avrebbe potuto pensare che ti mancasse una rotella. Non lo saprai mai. Se era coinvolta con Gardeaux, tutta la responsabilità ricade su di lei.» Fece una pausa. «Ti occorre aiuto per andartene dall'isola?» «No, parto adesso. Kabler non è ancora arrivato. Ho già parlato con i poliziotti locali e sono libero di andarmene. Ci vediamo all'aeroporto.» Tanek
riagganciò. Minneapolis, 5 giugno Joel Lieber andò loro incontro all'aeroporto con un'ambulanza e lo sguardo torvo. «Ti avevo detto che non volevo essere coinvolto in questa faccenda, Nicholas. Sono troppo occupato, per avere a che fare con uomini come Kabler. Interferiscono con la mia... Fate attenzione!» Si voltò verso i paramedici che stavano scaricando la barella. «Niente scosse. Quante volte devo dirvi che non bisogna dare scosse?» Seguendo la barella fino all'ambulanza, disse in tono sbrigativo: «Vai nel mio studio. Ci vedremo lì dopo che l'avrò visitata. Ha ripreso conoscenza?» «Solo una volta. Le ferite d'arma da taglio non sono profonde, ma ha un braccio e una clavicola fratturate. Al pronto soccorso di Atene le hanno sistemato le fratture, ma ho detto ai medici di lasciarle stare la faccia.» «In modo che avessi io questo discutibile onore», disse Joel sarcastico. «Insieme a tutti i guai che accompagnano sempre Kabler.» «Ti proteggerò io da Kabler.» «Vuoi dire che tenterai. Mi ha già chiamato due volte, oggi. Sembra che non abbia approvato il mio aiuto nel trasporto illegale di un testimone importante.» «Lei aveva bisogno di te, Joel.» «Il mondo intero ha bisogno di me», disse lui con un sospiro. «È la rovina dell'avere talento.» Salì sull'ambulanza. «Sfortunatamente sono solo Superman, non Dio. Ti farò sapere più tardi, se potrò aiutarla.» «Credo che l'unica laurea che non ha sia in veterinaria.» Lo sguardo di Jamie era fisso sui diplomi e sugli attestati appesi alla parete dello studio di Lieber. «Mi chiedo come mai se la sia fatta sfuggire.» «Ne sa abbastanza da cavarsela. Ha sistemato una zampa di Sam una volta, quando è rimasto impigliato in una trappola per coyote.» «Vuoi dire che abbandona tutta questa adulazione, per venirti a trovare nel tuo rifugio selvaggio?» «Anche Superman si stufa di essere adulato.» «Solo occasionalmente.» Joel Lieber entrò a grandi passi nello studio, gettò la cartella sulla scrivanìa e sì lasciò cadere sulla poltrona dirigenziale in pelle. «L'adorazione è il cibo e la bevanda che nutre il genio. Io me ne prescrivo una megadose giornaliera.»
«Posso capirlo», disse Jamie. «Come vanno gli affari al pub?» chiese Joel. «A gonfie vele.» «Allora avresti dovuto restare a Dublino, lontano da Nicholas.» «Ah, ma ciò che dovremmo fare e ciò che facciamo raramente coincidono.» Sorrise. «Vediamo un problema, una sfida, e decidiamo di affrontarli. Non è giusto, Joel?» Joel sogghignò. «Io potrei non raccogliere questa particolare sfida.» «È così grave?» «Non ci sono tagli, ma tutta la faccia dovrà essere ricostruita. Io posso fare l'intervento iniziale, poi ci saranno la psicoterapia, i controlli e... Ti rendi conto di quanto lavoro richiederà tutto questo? Sono prenotato per i prossimi due anni e non ne ho il tempo.» «Lei ha bisogno di te, Joel.» «Non cercare di farmi sentire colpevole. Non posso risolvere i problemi di tutti.» «Suo marito e sua figlia sono stati uccisi nel corso di quella incursione.» «Oh, merda.» «Ha perso tutto. Hai intenzione di dirle che dovrà passare il resto della sua vita sembrando un mostro?» «Non sono l'unico chirurgo al mondo.» «Ma il migliore. Me lo dici in continuazione. E lei merita il migliore.» «Ci penserò.» «L'ho conosciuta. È una donna simpatica.» «Ho detto che ci penserò, dannazione», disse Joel tra i denti. «Fallo.» Nicholas si alzò in piedi, avviandosi alla porta. «Domani ti porterò il suo dossier e ne parleremo. Suvvia, Jamie, andiamo a mangiare un boccone.» Nicholas fece una pausa. «A proposito, come sta Tania?» «Bene.» Joel aggrottò le sopracciglia. «Desidera vederti. Immagino che tu possa venire a cena a casa mia.» «Mi riesce difficile rifiutare un invito così caloroso, ma penso che passerò la mano.» Nicholas sorrise. «Perché non chiedi l'opinione di Tania, riguardo al fatto se tu debba o meno impegnarti ad aiutare Nell Calder?» «Accidenti a te», disse Joel. Nicholas sorrideva, mentre chiudeva la porta. «Chi è Tania?» chiese Jamie, mentre attraversavano la sala d'attesa. «La sua governante. Tania Vlados è un'amica comune.» Schiacciò un pulsante per chiamare l'ascensore.
«Potrà servire a convincerlo?» «Dubito che ne discuterà con lei. Tania lo metterebbe troppo a disagio. Lei è un vero bulldozer. Inoltre, non abbiamo bisogno di lei. Joel sta già lottando con se stesso. È cresciuto povero in canna ed è sempre difficile per lui trascurare l'obiettivo della ricchezza a favore dell'umana gentilezza.» Jamie si voltò a guardare il lussuoso studio di Lieber attraverso le porte a vetri. «Sembra che se la passi benissimo.» «Ma un giorno alla settimana offre anche i suoi servizi per aiutare i bambini maltrattati.» L'ascensore si fermò e lui entrò. «E non saranno i bambini che lascerà perdere, se deciderà di addossarsi Nell Calder.» «Potresti offrirgli abbastanza da addolcirgli la pillola.» «Non adesso. Sarebbe un insulto. Una volta che si sarà impegnato, ti assicuro che mi farà pagare un occhio della testa.» «Stai per cacciarti in un mare di guai.» «E allora?» «Non hai colpa dell'accaduto.» «Un accidente, che non ne ho.» Nicholas scosse stancamente il capo. «E non raccontarmi quelle sciocchezze riguardo al fatto che lei è responsabile, perché era in affari con Gardeaux. Non credo che lo fosse.» «Allora perché voleva eliminarla?» «Non lo so. Niente di tutto questo ha senso. Ci dev'essere una ragione.» Tanek fece una pausa. «Lei e la bambina sono state entrambe pugnalate, quando un proiettile sarebbe stato più rapido ed efficiente.» «Maritz?» «Probabilmente. Era un Marine delle squadre speciali, una Testa di cuoio, ed è l'unico degli uomini di Gardeaux che ami i pugnali. Nell Calder dev'essere stata il suo unico obiettivo. Suo marito e gli altri sono stati uccisi nella sala da ballo, ma lei è stata vittima di un agguato.» «Obiettivo principale.» Jamie annuì. «Il che rende la tua presunta innocente spettatrice decisamente sospetta.» «Allora, provami che sbaglio. Mi renderebbe molto felice scoprire che lei lavorava per Gardeaux. Se scopri qualche collegamento, ci occorreranno più informazioni di quelle del dossier che Conner ha compilato su di lei. Voglio sapere che cosa mangiava per colazione quando aveva sei anni.» «E quando vuoi che cominci?» Jamie alzò una mano. «Non importa. Dopo cena, d'accordo?»
«Posso prendere qualcun altro. È un lavoro ingrato e non sono sicuro che ci porterà più vicini a Gardeaux.» «Beh, il pub va un po' a rilento in questo momento. Posso benissimo farlo da solo. Niente altro?» «Una guardia alla sua stanza d'ospedale. Gardeaux potrebbe non gradire il fatto che lei sia ancora viva.» Nicholas fece una smorfia. «È meglio far sì che non dia nell'occhio, altrimenti Joel si metterà in allarme.» «Non è facile. Quei medici sono molto suscettibili.» Jamie rifletté un momento. «Forse un infermiere. Potrei chiamare Phil Johnson, a Chicago.» «Quello che vuoi. Fai solo che sia al suo posto per domani mattina.» «E questa notte?» «Questa notte starò io con lei.» «Non hai dormito, sull'aereo.» «E non dormirò questa notte. Non commetterò un altro sbaglio.» Di nuovo Tanek. Sembrava diverso e per un momento Nell non riuscì a capire perché. Il maglione verde. Non indossava uno smoking. E non sembrava più arrabbiato e teso, solo stanco. Poteva capirlo. Anche lei era stanca. Tanto stanca da riuscire a tenere a malapena aperti gli occhi. Le sembrava di fluttuare... Giusto, stava morendo. Se era così che accadeva, non era poi tanto male. Doveva avere bisbigliato, perché lui si chinò in avanti. «Non sta morendo. Sta bene.» Tanek fece una smorfia. «Beh, non bene, ma non morirà. Si trova in ospedale negli Stati Uniti. Ha molte ossa rotte, ma niente che non possiamo sistemare.» Nell si sentì vagamente confortata. No, non c'era niente che lui non potesse sistemare. Lo aveva capito la prima volta che lo aveva visto. «Riprenda a dormire.» Ma lei non poteva farlo. C'era qualcosa che non andava. Qualcosa che aveva a che fare con quell'oscuro orrore, prima della sua caduta. Qualcosa che doveva chiedere. «Jill...» L'espressione di Tanek non cambiò, ma lei provò panico. Sì, c'era qualcosa che non andava. «Riprenda a dormire.» Nell chiuse rapidamente gli occhi. L'oscurità. Poteva nascondersi lì, nascondersi dall'orribile verità che intuiva dietro l'espressione impassibile di
Tanek. Nell lasciò che l'oscurità la trascinasse via. «Non mangi la mia minestra», disse Tania, sedendosi a tavola. «Forse pensi che non ne valga la pena?» Joel Lieber aggrottò le sopracciglia. «Non cominciare con questa storia. Non ho fame.» «Lavori dall'alba al tramonto e la tua segretaria dice che raramente vai a pranzo. Devi essere affamato.» Tania sostenne con calma il suo sguardo. «Il che significa che pensi che la mia minestra non valga niente. Ma non vedo come potrebbe essere così, considerato che non l'hai assaggiata.» Joel prese il cucchiaio, lo immerse nella minestra e lo portò alla bocca. «Deliziosa», borbottò. «Adesso il resto. Sbrigati, prima che il mio arrosto diventi freddo.» Joel appoggiò il cucchiaio. «Smettila di darmi ordini in casa mia.» «Perché? È l'unico posto in cui ne ricevi. Sei un uomo molto arrogante.» Sorseggiò dehcatamente la minestra. «Ma nella sala operatoria l'arroganza ti può essere perdonata, dal momento che probabilmente sei tu quello che ne sa di più. Qui sono io a saperne di più.» «Di ogni cosa sotto la luce del sole. Hai reso la mia vita un tormento, da quando ti sei trasferita da me.» Tania sorrise serena. «Menti. Non sei mai stato tanto contento. Ti preparo cenette deliziose, hai una spalla materna a cui appoggiarti e una casa pulita. Saresti perso, se ti lasciassi.» Sì, lo sarebbe stato. «Le tue spalle non sono affatto materne.» Erano dritte e squadrate, e sembrava sempre che lei stesse per entrare in battaglia. Purtroppo, era davvero abituata alla battaglia. Era nata e cresciuta nell'inferno di Sarajevo. Nicholas l'aveva portata da lui quattro anni prima, mezza morta di fame, ferita e sfigurata da una granata. Una ragazza di diciotto anni, con gli occhi di una vecchia. «E ho tirato avanti benissimo senza di te per parecchi anni.» Lei sbuffò. «Talmente bene, che Donna ha divorziato da te perché non ti vedeva mai. Un uomo deve avere una famiglia, oltre che una carriera. È stato un bene che io sia arrivata in tempo a salvarti.» Sorseggiò un altro cucchiaio di minestra. «Anche Donna lo pensa. Ritiene che io sia la cosa migliore che ti sia mai capitata.» «Non mi piace che cospiri con la mia ex moglie.» «Io non cospiro. Io le parlo. È cospirare, questo?»
«Sì.» «Sto qui da sola tutto il giorno. Ho bisogno di esercitare il mio inglese, così parlo al telefono.» E aggiunse con soddisfazione: «Il mio inglese sta migliorando molto. Presto sarò pronta per andare all'università». Joel si immobilizzò. «Lo farai?» «Ma non spaventarti. Resterò ancora con te. Sono molto felice qui.» «Non sono spaventato.» Joel la guardò di traverso. «Sarei felice di sbarazzarmi di te. Sei stata tu a marciare in casa mia e ad assumerne il comando.» «Non potevo fare diversamente», disse lei con semplicità. «Saresti diventato vecchio e acido come un'oliva acerba, se non fossi venuta da te.» «E sei qui per mantenermi giovane e dolce?» «Sì.» Tania sorrise. «Giovane, posso farlo. Dolce, è una sfida maggiore.» Aveva uno splendido sorriso. Il suo volto era angoloso e forte, con grandi labbra mobili e occhi infossati. Non era un bel volto finché non sorrideva, e allora a Joel sembrava che gli avesse fatto un dono speciale. Lui aveva eliminato le cicatrici, ma era stato Dio a donarle quel sorriso. Tania disse con calma: «Anche se aiuterebbe che tu mi portassi nel tuo letto». Joel abbassò gli occhi e sorseggiò in fretta un altro cucchiaio di minestra. «Te l'ho detto. Non vado a letto con le adolescenti.» «Ho ventidue anni, ormai.» «E io ne ho quasi quarantuno. Sono troppo vecchio per te.» «L'età non significa niente. La gente non pensa più in questo modo.» «Io sì.» «Lo so, e mi rendi le cose molto difficili. Ma non ne discuteremo adesso.» Si alzò in piedi. «Sei già turbato e darai la colpa della tua cattiva digestione alla mia minestra. Finiremo di cenare e poi mi potrai dire che cosa c'è che non va bevendo il caffè in biblioteca.» «Non c'è niente che non vada.» «Lo sai che ti sentirai meglio parlandone. Vado a prendere l'arrosto.» E Tania scomparve in cucina. «Bevi il tuo caffè.» Tania si raggomitolò di fronte a lui sul grande divano imbottito, ripiegando le gambe sotto di sé. «Ci ho messo dentro un po' di cannella. Ti piacerà.» «Non mi piace il caffè dolce.»
«Le spezie non sono dolci. Inoltre, come lo sai? Scommetto che non bevi altro che pessimo caffè nero dai tempi dell'università.» «Non è pessimo», ribatté Joel, e aggiunse: «E tu non mi lasci più bere caffeina». «La bevi comunque all'ospedale.» «Immagino che le tue spie ti facciano rapporto. Io bevo ciò che mi piace.» Appoggiò deliberatamente la tazza sul tavolo accanto a sé. «E adesso non desidero affatto il caffè. Devo tornare in ospedale a controllare il mio paziente.» «Il paziente per cui sei cosìpreoccupato da non riuscire a mangiare?» «Non sono preoccupato.» «Allora, perché hai intenzione di tornare all'ospedale? È uno dei bambini?» «No, è una donna.» Tania non disse nulla, aspettò semplicemente. «L'ha portata Nicholas», disse alla fine Joel con una certa riluttanza. «Nicholas?» Lei si rizzò a sedere sulla poltrona. «Immaginavo che questo avrebbe suscitato il tuo interesse», disse lui in tono acido. «Ma questo non fa differenza. Non riuscirai a convincermi ad accettare questo caso, solo perché Nicholas vuole che lo faccia. I danni sono troppo gravi, per ricostruire la sua faccia esattamente com'era prima. La passerò a Samplin.» «Non cercherei mai di convincerti. Ho un debito con Nicholas e spetta a me sola pagarlo.» Tania aggrottò le sopracciglia. «Chi è la donna?» «Nell Calder. È stata una delle vittime del 'massacro Kavinski'.» «Intendevo chi è per Nicholas?» «Non occorre che tu sia gelosa. Penso che lui la conosca appena.» «Perché dovrei essere gelosa?» La sua sorpresa era sincera e Joel provò un'ondata di sollievo. Tentò di scrollare le spalle con aria indifferente. «Voi due siete vicini come due piselli in un baccello.» «Lui mi ha salvato la vita e mi ha portata da te.» Tania lo fissò pensierosa. «Nicholas e io non vogliamo nient'altro che amicizia uno dall'altra.» «Raramente Nicholas fa qualcosa per niente.» «Perché parli in questo modo di Nicholas? Hai simpati per lui.» Era vero, aveva simpatia per lui, ma ne era anche dannatamente geloso. Le pecore nere erano sempre più interessanti. «Tu non lo capisci», disse Tania. «Non è duro come sembra. Ormai è
dall'altra parte.» «Dall'altra parte?» «Ha condotto una vita tempestosa. Accade che le cose ti feriscano e ti torturino, finché arrivi a pensare che non crederai mai più a niente, che non esiste male che tu non potresti commettere per sopravvivere. Poi lo superi.» Tania abbassò gli occhi sulla sua tazza di caffè. «E diventi di nuovo umano.» Non stava parlando solo di Nicholas. Anche lei aveva attraversato quell'inferno ed era uscita dall'altra parte. Joel desiderava allungare una mano per confortarla, dirle che si sarebbe preso cura di lei e che l'avrebbe adorata per sempre. Prese la tazza di caffè e ne bevve un sorso. «È buono», mentì. Magnifico, Joel. Nicholas le salva la vita e tu elogi il suo caffè. Tania gli sorrise raggiante. «Te lo avevo detto.» «Me lo dici sempre. È molto irritante.» «Allora, perché Nicholas vuole aiutare questa donna?» Joel strinse le spalle. «Penso che ritenga di essere in parte responsabile. Così la porta da me, per assolvere il suo senso di colpa. Ma non ci casco.» «Io penso di sì. Sei dispiaciuto per questa donna.» «Te l'ho detto. Non posso ridarle ciò che ha perduto.» «Non puoi rimetterle a posto la faccia esattamente com'era prima», disse Tania. «Ma puoi darle un volto nuovo, giusto?» «Pensavo che non avresti cercato di convincermi.» «Non lo sto facendo. È una decisione unicamente tua. Ma, dal momento che probabilmente lo farai comunque, penso che dovresti porti come sfida di renderlo più interessante.» Sorrise con aria canzonatoria. «Hai mai desiderato sperimentare una tua Galatea?» «No», rispose lui seccamente. «Quella non è chirurgia plastica. È una favola.» «Ah, ma tu hai bisogno di favole, Joel. Nessuno ne ha più bisogno di te.» Tania si alzò in piedi e gli tolse la tazza dalle mani. «Detesti questo caffè, vero?» «No, l'ho trovato...» Incontrò il suo sguardo. «Sì.» «Ma lo hai bevuto per me.» Gli sfiorò la fronte con le labbra. «Ti ringrazio.» E portò fuori il vassoio dalla biblioteca. La stanza sembrò improvvisamente più oscura, senza la sua vibrante presenza.
Aveva detto che il debito con Nicholas era unicamente suo. Non era vero. Nicholas aveva portato Tania nella sua vita. Quello era un debito che non sarebbe mai stato in grado di ripagare, anche se quel bastardo avesse continuato a portargli le sue donne derelitte e ferite per il resto della vita. «Oh, al diavolo.» Pensa a Galatea. «Che cosa fai qui?» Nicholas alzò lo sguardo, quando Joel entrò nella stanza d'ospedale. «Potrei chiedere lo stesso a te.» «Il mio posto è qui.» «I chirurghi plastici non fanno giri di visita alle undici di sera.» Joel stava dando un'occhiata alla tabella. «Si è svegliata?» «Per un paio di minuti. Pensava di stare per morire.» Nicholas fece una pausa. «Ha chiesto di sua figlia.» «Non sa che suo marito e sua figlia sono morti?» «Non ancora. Pensavo che avesse già abbastanza contro cui lottare.» «Troppo. L'intervento e l'adattamento psicologico.» Joel fece una smorfia. «Poi aggiungici la perdita traumatica. Può provocare un collasso, se non è abbastanza forte. Che genere di donna è?» «Non è una potenza.» Nicholas ebbe un improvviso ricordo del volto di Nell Calder, quando era uscita dalla stanza di sua figlia. «Dolce, gentile. Era pazza della sua bambina. Si poteva vedere che il suo mondo ruotava intorno alla figlia.» «Magnifico.» Joel si passò stancamente le dita tra i capelli castani e ricciuti. «Ha altri parenti?» «No.» «Un lavoro?» «No.» «Merda.» «Ha studiato arte durante i primi tre anni al William and Mary. Poi si è trasferita a Greenbriar ed è passata all'insegnamento. Lì ha conosciuto Richard Calder, che stava studiando per ottenere il master in economia. Sembra che fosse un ottimo partito: brillante, carismatico e ambizioso. Lo ha sposato tre settimane dopo essere tornata a casa e avere lasciato l'università. Ha avuto Jill un anno dopo.» «Perché ha abbandonato l'arte?»
Nicholas scosse il capo. «Non lo so. Tenterò di colmare le lacune più avanti.» «Non sarà facile.» «Ma ti impegnerai ad aiutarla?» «Potresti arrivare a desiderare che non l'avessi fatto. Il lavoro che ho fatto su Tania è un gioco da bambini in confronto all'intervento richiesto in questo caso. Penso che potresti pagarmi la nuova casa sul lago.» Nicholas fece una smorfia. «Così salato?» «Deve sospettare che qualcosa non va e non possiamo rimandare oltre. Dovrai comunicarle che non ha più una famiglia.» «Perché devo avere questo onore?» «Non voglio che lo identifichi con me. Io devo rappresentare la speranza e una nuova vita. Diglielo e poi vattene. Lei non vorrà rivederti nel prossimo futuro. Domani ridurrò i sedativi, in modo che sia abbastanza sveglia da capire, e tu potrai parlarle.» «Grazie.» Il sorriso di Joel svanì. «Cerca di essere gentile, Nicholas. Sarà uno choc terribile.» Pensava forse che avrebbe cercato di farle del male? pensò Nicholas. Annuì bruscamente. «Non che questo servirà a qualcosa. Non le importerà se sarò gentile come Gesù Cristo, una volta che capirà quello che le sto dicendo.» «Verrò più tardi a darle un sedativo.» «E a toglierle il dolore?» «È ciò che fanno i bravi ragazzi. È per questo motivo che sono diventato dottore. La bruttezza e la deformità causano un dolore che dura tutta la vita. Questo posso cambiarlo.» Si voltò e si diresse verso la porta. «Naturalmente, un bel po' di denaro non fa male.» Rivolse a Nicholas un sorriso furbo. «Beh, forse farà male a te. Sì, credo che mi assicurerò che il tuo portafoglio implori pietà.» Nicholas lo sentì mettersi a fischiettare, mentre si avviava lungo il corridoio. «Vai a letto.» Tania era ferma sulla porta della biblioteca. «Tra poco», disse Joel con aria distratta. Studiava i dati che aveva scarabocchiato sul blocco di carta, un astruso diagramma ovale. Gli piaceva sempre lavorare sul blocco di carta, prima di trasferire l'immagine al computer.
«Subito.» Tania avanzò a grandi passi, fermandosi accanto alla scrivania. Era a piedi nudi e indossava solo una delle vecchie magliette di Joel. Perché le donne avevano un'aria così dannatamente sexy con gli abiti da uomo? «È mezzanotte passata», disse lei. «Non puoi operare domani mattina, se non dormi.» «Non opererò fino a domani pomeriggio.» Joel scosse stancamente il capo. «E poi dovrò andare a dire a Nell Calder che per le prossime settimane dovrà restare a letto, riducendo al minimo i movimenti. Bello, vero? Avrà un mucchio di tempo per pensare a suo marito e a sua figlia.» Tania abbassò lo sguardo sull'ovale. «Questa è la sua faccia?» «Sto controllando le misurazioni per vedere che cosa è possibile fare. Devo avere qualcosa da dirle. Tutto il resto le è stato portato via. Ha bisogno di qualcosa cui aggrapparsi.» «Tu glielo darai.» Tania gli appoggiò una mano sulla spalla e aggiunse con dolcezza: «Sei un brav'uomo, Joel Lieber». Lui si chinò in avanti e fissò lo sguardo sul blocco di carta. Poi disse in tono burbero: «Allora, vai a letto e smettila di seccarmi. Ho del lavoro da fare». «Due ore.» Tania fece un passo indietro e la sua mano ricadde dalla spalla di Joel. «Poi tornerò a prenderti.» Lui sollevò gli occhi, guardandola allontanarsi a grandi passi verso la porta. Tania non camminava mai lentamente; sembrava sempre che sapesse esattamente dove stava andando. «Ho delle belle gambe, vero?» Tania gli sorrise da dietro le spalle. «È una fortuna. Donna mi ha detto che tu eri un uomo che amava le belle gambe.» «Veramente, no. Ho detto così a Donna, solo perché lei aveva il petto che sembrava quello di un ragazzo.» Tania schioccò la lingua con disapprovazione. «Stai mentendo ora, non allora.» E lasciò lo studio. Joel si costrinse a tornare a guardare il blocco di carta. Tania sarebbe tornata tra due ore e non doveva farsi trovare lì. Lei meritava di più di un maniaco del lavoro con il doppio della sua età, con alle spalle già un matrimonio fallito. Non doveva pensare a quelle gambe o a quel sorriso. Già, certo. Almeno, doveva tentare.
Pensa a Galatea. Questa volta la faccia non era quella di Tanek. Era un volto giovane, con zigomi larghi, un naso che una volta era stato rotto, occhi azzurri e capelli biondi tagliati a spazzola. «Salve. Sono Phil Johnson, signora Calder.» «Chi?» «Sono il suo infermiere.» Sembrava un giocatore di football, pensò Nell. L'uniforme bianca dell'ospedale gli tirava sulle spalle segnate dai muscoli. «Si sente meglio? Hanno ridotto i suoi medicinali, quindi dovrebbe essere un po' meno confusa.» Aveva le idee più chiare, realizzò Nell. Troppo chiare. Il panico stava cominciando a paralizzarla. «Non si preoccupi di tutte quelle bende.» Il sorriso che le rivolse risplendeva di simpatia. «Presto starà di nuovo bene. Le ferite non sono gravi e ha il miglior chirurgo sulla piazza a prendersi cura del resto. La gente viene a consultare il dottor Lieber da tutto il mondo.» Pensava che si preoccupasse di se stessa, realizzò Nell incredula. «Mia figlia...» Il sorriso di lui svanì. «Fuori c'è il signor Tanek. Mi ha chiesto di chiamarlo, quando lei si fosse svegliata.» L'espressione di Tanek, quando gli aveva chiesto di Jill, le tornò a ondate alla mente. Il cuore le batteva tanto forte, che Nell pensò che sarebbe soffocata, quando Tanek entrò nella stanza. «Come si sente?» «Spaventata.» Non aveva pensato che si sarebbe lasciata sfuggire quella parola. «Dov'è mia figlia?» Lui si sedette sulla sedia accanto al letto. «Ricorda ciò che le è successo?» Il pugnale, il dolore. Jill ferma sulla porta, il tintinnio del carillon che cadeva a terra. Nell cominciò a tremare. «Dov'è mia figlia?» La mano di Tanek si chiuse sulla sua. «È rimasta uccisa la stessa sera in cui lei è stata aggredita.» Nell sussultò mentre le parole la colpivano. Jill, morta. «Sta mentendo. Nessuno potrebbe uccidere Jill.» Le parole le uscivano febbricitanti di bocca. «Lei l'ha vista. L'ha conosciuta. Nessuno farebbe del male a Jill.» «È morta», disse Tanek con voce rauca. «Vorrei tanto che fosse una bu-
gia.» Non gli credeva. Richard le avrebbe detto la verità. «Voglio vedere mio marito. Voglio vedere Richard.» Tanek scosse il capo. «Mi dispiace.» Lei lo fissò scioccata. «Che cosa vuol dire?» mormorò. «Richard non era neppure nella stanza.» «C'è stato un attacco nella sala da ballo. Suo marito e altre tre persone sono state uccise. Kavinski è rimasto ferito.» Non le importava niente di Kavinski. Jill. Richard. Jill. Oh, Dio? Jill... La stanza stava girando vorticosamente, oscurandosi. Su, su, su, saliam, nel profondo cielo blu... Era Jill che cantava? Ma lui aveva detto che Jill era morta. Che Richard era morto. Lei era l'unica sopravvissuta. Giù, giù, giù, scendiam... Sì, sprofondare nell'oscurità. Forse lì sarebbe riuscita a trovare Jill. «Joel, vieni subito», gridò Nicholas. «È svenuta, dannazione.» Accigliato, Joel entrò a grandi passi nella stanza. «Che cosa le hai fatto?» «Nient'altro che dirle che non ha più una vita. Non c'è ragione per cui debba essere sconvolta, non credi?» «Con i tuoi soliti modi delicati e diplomatici, immagino.» Joel le controllò il polso. «Beh, ormai è fatta. Non credo che tu abbia fatto troppo danno.» «È svenuta, dannazione. Fai qualcosa.» «È meglio se riprende coscienza da sola. Tu puoi andare. Non vorrà vederti, quando tornerà in sé.» «Così mi avevi detto.» Nicholas non si mosse, lo sguardo fisso sul volto bendato di Nell. I suoi occhi... «Non preoccuparti. Neppure io voglio vederla. È tutta tua, Joel.» «Allora, lascia andare la sua mano e vattene da qui.» Nicholas non si era reso conto che la stava ancora stringendo. Lasciò andare la mano e si alzò in piedi. «Resterò m contatto. Tienimi informato.» «E toglimi Kabler di torno. Ha chiamato di nuovo, questa mattina.» «Che cosa gli hai detto?» «Niente. Non gli ho parlato. Perché pensi che abbia una segretaria?» Joel
si sedette sulla sedia che Nicholas aveva lasciato libera. «Ma non posso permettergli di interrogarla. Sarebbe troppo traumatico.» Nicholas aveva pensato a Kabler. Neppure lui voleva che interrogasse Nell e la presenza di PhiI non era una garanzia assoluta che lei fosse al sicuro da Gardeaux. «Puoi trasferirla nella tua clinica di Woodsdale?» «Vuoi dire, per la convalescenza?» «No, subito. Hai le attrezzature per operare, lì.» «Non le uso molto spesso.» Solo quando una famosa stella del cinema o un capo di Stato volevano assicurarsi una privacy e un anonimato assoluti. Woodsdale possedeva tutte le comodità di un albergo di lusso e la segretezza di un confessionale. «Sarebbe difficile per Kabler raggiungerla lì. I tuoi addetti alla sicurezza sono i migliori.» «Dovresti saperlo. Li hai assunti tutti tu, per conto mio.» Joel corrugò la fronte, riflettendo. «Sarebbe scomodo. Woodsdale è a più di centocinquanta chilometri da qui.» «Sarebbe più scomodo dover affrontare Joe Kabler.» Joel sospirò. «Forse dovrò affrontarlo ugualmente.» «E forse no. Dipende da quanto altro ha nel piatto e dall'urgenza con cui la vuole vedere. Quando puoi trasferirla?» «Non ho detto che l'avrei fatto.» Joel scrollò le spalle. «Ma, probabilmente, sarebbe la cosa migliore. Questo pomeriggio, immagino.» «Porterà con sé l'infermiere che ho assunto per lei.» Nicholas rifletté un momento. No, c'era qualcos'altro che Phil doveva fare per lui. «Lui la raggiungerà a Woodsdale domani.» «È uno dei tuoi uomini? Sembra troppo giovane.» Nicholas non rispose direttamente. «Le sue qualifiche sono impeccabili e ha eccellenti referenze.» «Se sono autentiche.» Nicholas sorrise. «La maggior parte lo è. E sembra che lui piaccia alle tue infermiere. Scoprirai che piacerà anche a te.» «Ammetto che è meglio di quel Junot che hai assunto per Woodsdale. Quell'uomo sembra un sicario del Rinascimento. Non posso lasciarlo avvicinare ai pazienti, quando loro si svegliano dall'anestesia. Avrebbero uno choc.» Joel corrugò la fronte. «E non vuole lasciare che lo sistemi.» «Povero Joel. Come dev'essere frustrante per te. Junot non è uno stupido. A volte, sembrare ciò che si è può essere un vantaggio.» Lui si immobilizzò. «È questo, ciò che è?»
«Che differenza fa? Esegue il suo lavoro e non causa guai. Ci sono mai disordini, quando lui è nei paraggi?» «È improbabile. Ma non mi piace l'idea di ospitare criminali.» «Non è un criminale.» Nicholas sorrise. «Non più. Ma troverai Phil molto più rassicurante.» Uscì dalla stanza e si diresse verso la sala delle infermiere, dove Phil stava chiacchierando con la capo infermiera. Stessa stanza, un'altra faccia. Jill. Jill non era lì. Nell chiuse in fretta gli occhi. Torna nell'oscurità. «Sono il dottor Joel Lieber. So che ha subito un grave choc ma devo parlarle», disse gentilmente. «Dovrò operarla molto presto per ottenere i migliori risultati, ma non posso farlo senza il suo permesso.» Perché non se ne andava? Le stava impedendo di tornare nell'oscurità. «Non vuole parlare? D'accordo, ascolti semplicemente. La sua faccia è molto rovinata. Potrei tentare di rimetterla a posto com'era prima, ma non sarebbe proprio la faccia che vedeva allo specchio ogni giorno. Ma posso dargliene una nuova, probabilmente più attraente. Poiché sono le ossa a essere danneggiate, sarà necessario un solo intervento.» Lei non rispose. «Nell, apra gli occhi e mi ascolti. È molto importante.» No, non lo era. Tutto quello che aveva importanza per lei era svanito. Ma il suo tono era tanto convincente, che Nell aprì gli occhi, alzandoli a fissarlo. Aveva un volto simpatico, realizzò intontita. Tarchiato e forte, con occhi grigi che avrebbero potuto apparire freddi, ma che invece riuscivano a essere intelligenti e compassionevoli. «Così va meglio.» La sua mano la strinse più forte. «Ha capito?» «Sì.» «Che cosa vuole che faccia?» «Non mi interessa. Qualunque cosa voglia.» «Vuole che faccia ciò che ritengo meglio? E se non le piacesse ciò che farò? Mi aiuti.» «Non ha importanza», mormorò lei. Perché non riusciva a capirlo? «Ha importanza, invece.» Joel scosse stancamente il capo. «Ma, evidentemente, non ora. Spero che l'avrà più avanti.» Si alzò in piedi. «La trasferirò nella mia clinica questo pomeriggio. Voglio operarla dopodomani. Verrò a trovarla domani sera e le mostrerò le possibilità.» Era preoccupato. Sembrava un uomo gentile. Era un peccato che non po-
tesse aiutarlo. Stava andando verso la porta, realizzò Nell con sollievo. L'aveva lasciata andare. I suoi occhi si chiusero. Nel giro di pochi minuti era di nuovo addormentata. Quell'ala dell'ospedale era quasi deserta. Orario dalle nove alle cinque precise, pensò Phil Johnson, mentre si avviava lentamente lungo il corridoio. Una graziosa infermiera stava venendo verso di lui. Aveva un viso fresco, capelli scuri e ricci, e le lentiggini. Adorava le lentiggini. Phil sorrise. Lei ricambiò il sorriso e si fermò. «Si è perso? Questa è l'ala dell'amministrazione.» «Mi hanno detto di consegnare questi moduli dell'assicurazione.» «L'archivio chiude alle sette.» Ebbe un moto di disappunto. «La mia solita fortuna. Lavora qui?» Annuir «Adesso lavoro come interna all'archivio.» Fece una smorfia. «Sono svenuta al pronto soccorso. L'ufficio del personale pensa che sia più adatta ai numeri che alle suture.» «Che disdetta», disse Phil con simpatia. Abbassò gli occhi sulla cartella che portava. «Immagino che dovrò riportare questi in pediatria e tornare a consegnarli domani.» La ragazza esitò, poi scrollò le spalle. «La farò entrare io. Può mettere la cartella sulla scrivania di Truda.» «Sarebbe magnifico.» Phil sorrise, mentre la osservava prendere un portachiavi dalla tasca e inserire una chiave nella serratura. «Mi chiamo Phil Johnson.» «Pat Dobrey.» Accese con uno scatto la luce e prese la cartella dalle sue mani. «La metterò nella cassetta della posta di Truda.» Phil rimase a osservarla dalla porta, mentre attraversava la stanza. Graziosa, decisamente graziosa. La ragazza tornò verso di lui e spense la luce. Phil prese le chiavi dalla sua mano. «Faccio io.» Chiuse la porta e scosse la maniglia. «Ecco fatto.» Le restituì le chiavi. «Grazie mille, Pat. Mi permetta di accompagnarla alla macchina.» «Non è necessario.» Phil sorrise. «No, è un piacere.» Dieci minuti più tardi la salutava con rammarico con la mano, mentre
Pat si allontanava rombando sulla sua Honda. Cara ragazza. Peccato che non poteva star lì a sfruttar la situazione. Si voltò, avviandosi lentamente attraverso il parcheggio verso l'ospedale. Pochi minuti dopo si introduceva nell'archivio e chiudeva silenziosamente la porta. Non si curò di accendere la luce, ma si avviò rapido verso la scrivania e accese il computer. Lo schermo avrebbe fornito tutta la luce che gli occorreva e non l'avrebbero vista da sotto la porta. La tastiera era docile e familiare sotto le sue dita. Troppo familiare. Era come toccare il corpo di un'amante che era sempre nuova, sempre eccitante. Mettiti al lavoro, disse a se stesso. Poiché non aveva il codice d'accesso, impiegò qualche minuto per farsi strada nel file. Nell Calder. E suo trasferimento era già stato inserito. Bene. Cancellò la registrazione, andò allo schedario e tolse tutto l'incartamento su Nell Calder. Poi tornò al computer, batté le righe necessarie e uscì dal programma. Rimase seduto a fissare lo schermo verde vuoto, più allettante per lui di qualsiasi donna. Ehi, era lì e di sicuro non poteva fargli male una capatina in una delle banche dati, per vedere che cosa c'era... Phil sospirò e spense il computer. Gli avrebbe fatto male. Per quale altra ragione si era sbarazzato dei computer nel suo appartamento e si era dedicato alla professione di infermiere? Nicholas gli aveva offerto quell'opportunità e lui non avrebbe rovinato tutto cedendo alla tentazione. Si alzò in piedi, si mise l'incartamento Calder sotto il braccio e si avviò verso la porta. Tolse con cura lo spesso nastro adesivo trasparente che aveva fatto scivolare sulla serratura, mentre Pat metteva la cartella nella cassetta della posta. Era stato un colpo di fortuna imbattersi in lei. Altrimenti avrebbe dovuto provare la collezione di passe-partout che aveva in tasca, correndo il rischio che qualcuno notasse ciò che stava facendo. Si voltò a dare un'ultima occhiata malinconica al computer, prima di chiudere la porta. Non era tanto male. Dopotutto, non era che non amasse il suo lavoro. La gente gli piaceva e aiutarla gli dava una sensazione gradevole. Sperava di poter aiutare Nell Calder. Povera donna. Doveva trovarsi in grossi guai, altrimenti Nicholas non avrebbe ordinato la registrazione che lui aveva battuto nei suoi dati.
Paziente deceduta in seguito alle ferite alle 14.04. Corpo consegnato all'agenzia di pompe funebri John Birnbaum. 3 «È lei?» Tania prese la fotografia in cima al dossier aperto sulla scrivania di Joel. La studiò, poi annuì. «Mi piace. Penso che sia coraggiosa.» «E come sei giunta a questa conclusione? Dai suoi occhi?» Tania guardò gli occhi castani distanziati di Nell Calder, prima di scuotere il capo. «La sua bocca. Sembra... sensibile. Non cambiare la bocca.» «È troppo grande per una perfetta simmetria.» «La simmetria è fredda. Se fossi in lei, non mi farebbe piacere sembrare fredda.» Non c'era pericolo, pensò Joel. «Pensavo che avrei creato io questa Galatea.» «Vuoi che me ne vada?» chiese Tania delusa. «No.» Joel sorrise e avvicinò una sedia alla scrivania per lei. «Puoi benissimo aiutarmi. Non riesco a ottenere alcun suggerimento da lei.» «Povera donna. Il dolore iniziale è il più duro. Quando sono morti i miei genitori e il mio fratellino, anch'io ho desiderato di morire.» Era la prima volta che gli parlava della morte della sua famiglia. Joel si voltò a guardarla. «Sono morti insieme?» «No, mio padre era un soldato. Mia madre e mio fratello sono stati uccisi per strada dai cecchini, un anno dopo. Stavano andando a prendere l'acqua per noi.» Tania abbassò gli occhi sulla fotografia di Nell. «Le cose peggiori sono la solitudine e il senso di impotenza. Quando ti è stato portato via tutto, è difficile trovare una ragione per vivere.» «E tu quale ragione hai trovato?» «La rabbia. Non volevo dare loro la soddisfazione di uccidere anche me.» Sorrise con uno sforzo. «E poi ho trovato te e la mia vita ha avuto di nuovo uno scopo.» Joel era troppo commosso e si affrettò a tirarsi indietro. «Salvarmi dal vizio della caffeina?» «Tra le altre cose.» Batté la fotografia con l'indice. «Devi trovare uno scopo per lei.» «Prima devo trovarle una nuova faccia.» Richiamò il programma grafico sul computer e il volto di Nell apparve sullo schermo. Joel prese la penna
da computer e si chinò sulla tavoletta da disegno dell'elaboratore, accanto allo schermo. «Zigomi?» «Alti.» La penna di Joel disegnò una breve linea all'insù sulla tavoletta e sullo schermo Nell acquistò all'improvviso zigomi alti. «Basta?» «Un po' di più.» Joel spostò gli zigomi più in alto. «Bene.» Tania corrugò la fronte. «Quel naso all'insù deve scomparire. Personalmente mi piace, ma non si accorda con gli zigomi.» Lui si sbarazzò del naso e inserì un delicato naso greco. «Va bene?» «Forse, vedremo.» «La bocca...» «Voglio tenere la bocca.» «Allora dovremo squadrare la mascella.» Joel aggiustò la linea della mascella. «Gli occhi?» Lei piegò il capo. «Possiamo inclinarli leggermente all'insù, come quelli di Sophia Loren?» «Richiederà dei punti.» «Ma sarebbe molto più interessante, no?» La penna di Joel modificò la forma degli occhi distanziati. Il cambiamento era enorme. Il volto sullo schermo appariva ora forte, armoniosamente modellato e vagamente esotico. Tuttavia, la grande bocca mobile gli dava un'aria di vulnerabilità e di sensibilità. Non era un volto classicamente bello, ma affascinava e attirava l'attenzione. «Un po' Sophia Loren, un po' Audrey Hepburn...» mormorò Tania. «Ma penso che dovremmo lavorare sul naso.» «Perché l'ho disegnato senza chiedere il tuo parere?» domandò Joel caustico. «Perché è un po' troppo delicato.» Tania si chinò in avanti, lo sguardo fisso sullo schermo del computer. «Stiamo andando bene. Questa è una faccia da farsi inseguire da mille navi.» «Elena di Troia? La nostra Nell non mi sembra una dea greca.» «Non ho mai pensato a Elena di Troia come a una dea. Penso che avesse un volto indimenticabile, che faceva desiderare di non distogliere mai lo sguardo da lei. È quello che dobbiamo fare qui.» «E che cosa accadrà, dopo che le avremo fatto questa faccia?» Joel si voltò a guardarla. «Un cambiamento tanto sensazionale può essere traumatico.»
«Da ciò che mi hai detto, lei è già traumatizzata. Dubito che trasformarla in Elena di Troia possa farle dell'altro male. Anzi, potrebbe aiutarla», disse Tania. E aggiunse: «Se non ha uno scopo, almeno avrà un'arma. E questo è importante». «È per questo motivo che mi hai permesso di operarti?» Lei annuì. «Le ferite non avevano importanza per me, ma sapevo che l'avrebbero avuta per le persone intorno a me. Devo guadagnarmi da vivere. La gente rifugge la bruttezza.» Joel sorrise. «Immagino che potrei farla somigliare a te. La tua faccia non è poi tanto male.» «È una faccia molto attraente, ma causerebbe dei problemi, quando ti avrò convinto ad ammettere che non puoi vivere senza di me. Sei già abbastanza confuso così. No, le daremo questo splendido viso per spianarle la strada.» Accennò con il capo alla penna. «Suvvia, vediamo se riusciamo a farle un naso meno affilato, ma solo un po'.» Nicholas incontrò Joel mentre usciva dalla stanza d'ospedale di Nell, la sera dopo. «Non dirmi niente», disse Joel brusco. Agitò il foglio. «L'autorizzazione a operarla.» «L'ha firmata?» «Sì. Le ho descritto esattamente ciò che intendevo fare, ma non sono sicuro che abbia sentito una parola di quello che ho detto. So che non gliene importava nulla.» Si passò una mano tra i capelli. «Sai che potrà intentarmi causa, quando tutto questo sarà finito?» Nicholas scosse il capo. «Non ti farà causa.» «Come lo sai? È un automa adesso, dannazione.» «Te lo prometto. Ti proteggerò da ogni conseguenza, legale o personale.» «Davvero? Oggi Kabler ha chiamato di nuovo.» «La prossima volta fagli dire dalla tua segretaria di rivolgersi all'ufficio amministrativo del St. Joseph.» «Perché?» «Perché Nell Calder è morta ieri pomeriggio.» «Che cosa?» Joel lo fissò, sbalordito. «Mio Dio, che cosa hai fatto?» «Niente per cui tu possa essere incolpato», lo rassicurò Nicholas. «Continua semplicemente a rifiutarti di parlare con Kabler. Se controlla in amministrazione, scoprirà che lei è morta a causa delle ferite e che è stata tra-
sferita in un'agenzia locale di pompe funebri.» «E se controllasse all'agenzia?» «Loro avranno i documenti della sua cremazione. Il suo necrologio apparirà sui giornali domani.» «Quando ti ho detto di occupartene, non intendevo... Non puoi fare cose del genere.» «L'ho già fatto.» «E che cosa pensi che dirà Nell Calder della propria dipartita?» «Quando sarà al sicuro, potrà dire che 'le voci della sua morte erano tremendamente esagerate'.» «Al sicuro?» «Lei non era una degli innocenti spettatori. Era un bersaglio. Potrebbe ancora essere in pericolo.» «Cristo. Immagino che tu non abbia nemmeno preso in considerazione di dirmi in che cosa mi stavo impegolando?» «L'ho fatto, ma avrebbe solo reso più difficile la tua decisione.» Nicholas sorrise. «E la decisione sarebbe sempre stata la stessa, non è così?» «Dunque, mi hai tenuto all'oscuro per evitare che mi preoccupassi inutilmente», disse Joel sarcastico. «Beh, e per risparmiarmi di sentire le tue obiezioni. Non è molto più semplice un fatto compiuto?» «No.» «Naturalmente che lo è.» «I documenti dimostrano che io ero il medico curante. Sono quello che verrà incolpato di averli falsificati.» Nicholas scosse il capo. «Ho l'autorizzazione originale del trasferimento, firmata da te. Se ne avrai bisogno, la esibirò.» «Se questo ti farà comodo.» «No.» Nicholas incrociò il suo sguardo. «Prometto di proteggerti. E manterrò la parola, Joel.» Lui lo fissò con aria cupa. Sapeva che Nicholas avrebbe mantenuto la promessa, ma questo non migliorava il suo umore. «Non mi piace essere manipolato.» «Non ti ho manipolato. Ho manipolato i documenti.» Nicholas diede un'occhiata alla cartelletta con il foglio dell'autorizzazione. «E tu non sei veramente arrabbiato con me, sei preoccupato per la tua paziente. Non è migliorata?» «È prossima alla catatonia», disse Joel. «Io posso aiutare solo fino a un
certo punto. Che bene potrà mai farle una faccia nuova, se finirà in una casa di cura?» «Non permetteremo che le accada.» «Puoi scommetterci, che non lo permetteremo.» Joel piantò un dito contro il petto di Nicholas. «E non sarò da solo in questo. Non tornerai di corsa nell'Idaho. Resterai proprio qui, a disposizione. Hai capito?» «Perfettamente.» Un sorriso gli increspò le labbra. «Ti dispiace se sto in un albergo in città? Sono allergico agli ospedali.» «Purché tu resti a disposizione.» Nicholas sollevò le mani in un gesto di resa. «Qualunque cosa tu voglia.» «Già, certo.» E Joel si allontanò da lui a grandi passi, lungo il corridoio. Bellevigne, Francia «Hai commesso un errore madornale», disse Philippe Gardeaux in tono tranquillo. «Non mi piacciono gli errori, Paul.» «Non mi aspettavo che lottasse con tanta forza.» Paul Maritz si accigliò. «E pensavo che la caduta l'avrebbe uccisa.» «Non avresti dovuto contare sulla caduta, se avessi fatto il tuo lavoro correttamente. Un colpo avrebbe dovuto bastare. Ti sei abbandonato al tuo piacere, vero?» «Forse», rispose tetro. «E hai ucciso la bambina. Quante volte ti devo dire che non devi uccidere bambini o animali? Per qualche ragione, questo suscita la mia ira più che se uccidessi cento adulti.» «Mi ha aggredito, dopo che sua madre è caduta. Mi stava colpendo.» «E hai dovuto difenderti da una bambina di quattro anni», disse caustico Gardeaux. «Poteva avermi riconosciuto. Era la seconda volta. Mi aveva visto quel pomeriggio, nella grotta.» «Portavi gli occhialoni e una maschera», notò Gardeaux. «Non mi piacciono le scuse. Via, ammetti che eri frustrato e che sentivi il bisogno di colpire qualcosa e solo allora io ti perdonerò.» «Immagino che io... Forse ero infuriato», borbottò. «Dunque, non è stato facile?» Gardeaux si appoggiò all'indietro sulla sua poltrona e portò il bicchiere di vino alle labbra. «Ammetti semplicemente i tuoi errori e tutto andrà bene. La bambina è stata uno sbaglio, ma non uno
irrimediabile. La donna è stata portata in un ospedale negli Stati Uniti e sopravviverà. Dovrai correggere questa prognosi, se pensi che ora ti possa riconoscere.» Gardeaux fece una pausa. «È stata portata lì da Nicholas Tanek. Non ritengo affatto una coincidenza il fatto che si trovasse sull'isola di Medas. Il che mi porta alla conclusione che dobbiamo avere un informatore tra noi. Pensi di potere trovare ed eliminare questo informatore, senza commettere un altro errore?» Maritz annuì, zelante. «Lo spero», disse Gardeaux con calma. «Tutto questo è molto seccante per me. Se dovessi deludermi di nuovo, dovrò trovare un modo per distrarmi.» Gardeaux dissimulò uno sbadiglio. «Come pensi che se la caverebbe il tuo pugnale contro la spada di Pietro?» Paul Maritz si inumidì le labbra. «Lo farei a pezzi.» Gardeaux rabbrividì. «Le armi bianche sono talmente brutali. È perciò che preferisco la grazia e il romanticismo di una spada. Spesso penso di dover essere la reincarnazione di un de' Medici. Temo di non essere mai stato destinato a quest'epoca.» Sorrise a Maritz. «E neppure tu. Ti vedo cavalcare dietro Attila, l'unno.» Maritz era vagamente consapevole che quello fosse un insulto, ma era troppo sollevato per lamentarsene. Aveva visto quello che aveva fatto Pietro all'ultimo uomo con cui Gardeaux gli aveva ordinato di combattere. «Lo troverò.» «So che lo farai. Ho fiducia in te, Paul. Tutto ciò di cui avevi bisogno era solo un piccolo chiarimento.» «E darò la caccia anche a Tanek.» «No! Quante volte devo dirti che Tanek non dev'essere toccato?» «Se intralcia sempre la strada», disse Maritz, scuro in volto. «Le causa dei problemi.» «E mi sbarazzerò di lui a tempo debito. Il mio tempo. Tu non lo toccherai. Hai...» «Papà, guarda che cosa mi ha regalato la mamma.» La figlia più piccola di Gardeaux uscì di corsa sul terrazzo, agitando una piccola girandola. «Il vento la fa girare e si muove sempre più in fretta.» «Vedo, Jeanne.» Gardeaux sollevò la figlia di sei anni e la fece sedere sulle sue ginocchia. «E ne ha regalato una anche a René?» «Nò, René ha ricevuto un burattino.» La bambina si rannicchiò più vicina. «Non è bella, papà?»
«Bella quasi quanto te, mon chou.» La bambina aveva capelli castani lucenti e somigliava un po' alla figlia di Nell Calder, pensò Maritz. Ma, d'altra parte, i bambini gli sembravano quasi tutti uguali. «Vattene, Paul», ordinò Gardeaux, senza guardarlo. «Ho già rubato troppo tempo a mia moglie e ai miei figli. Toma quando potrai darmi buone notizie.» Maritz annuì. «Presto, glielo prometto.» Scese di corsa i gradini che portavano in giardino. A Gardeaux non faceva mai piacere che passassero dentro casa. Aveva paura che si imbattessero in sua moglie o nei suoi bambini e che li sporcassero, pensò acidamente. In effetti, non gli faceva affatto piacere che loro venissero a Bellevigne, tranne che come servizio di sicurezza durante uno dei suoi pretenziosi ricevimenti. Era perciò che Maritz era rimasto sorpreso, quando Gardeaux lo aveva chiamato, al suo ritorno da Medas, e gli aveva detto di venire. Sorpreso e spaventato. Attraversò il ponte levatoio e si voltò a guardare il castello. Non gli piaceva essere spaventato. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che aveva provato quel terrore incontenibile. Forse, da bambino. Prima di scoprire il suo talento, prima di scoprire il coltello. Dopodiché, tutti avevano avuto paura di lui. E avevano ancora paura. La donna aveva avuto paura. Aveva lottato, ma era terrorizzata. La donna. Avrebbe avuto un'altra occasione con lei, l'occasione di fare qualcosa che lo riportasse nelle grazie di Gardeaux. Attraversò il ponte levatoio e si voltò a guardare il castello. Un re nel suo castello. A volte gli sarebbe piaciuto vedere, se il re potesse essere rovesciato. Un brivido lo attraversò mentre ricordava gli occhi di Gardeaux, quando lo aveva minacciato evocando Pietro. Non era Pietro in sé, era la spada che gli raggelava il sangue. Il suo passo si fece più rapido, mentre si dirigeva verso la sua macchina. Prima l'informatore, poi la donna. Quello avrebbe rimesso tutto a posto con Gardeaux. «Vieni qui. Subito!» disse Joel. Nicholas trasalì, mentre il telefono veniva sbattuto giù dall'altra parte del filo. Poi si voltò verso Jamie. «Devo andare a Woodsdale. Qualcosa non
va.» «Mi sembrava che Lieber ti avesse assicurato che l'intervento era andato bene», disse Jamie. «È passata più di una settimana, troppo per una ricaduta, giusto?» «Forse. Non lo so.» Nicholas indossò la giacca del suo completo e chiuse il nuovo dossier che Jamie aveva raccolto su Nell. Lo stava esaminando, quando Joel aveva chiamato. «In ogni caso, devo andare. Vuoi venire con me?» «Perché no? Non vedo Junot da molto tempo.» Jamie si alzò in piedi. «Sai che gli ho offerto un posto come buttafuori nel mio pub, quando tu hai liquidato l'Organizzazione?» «Grave errore.» «Mi è sempre piaciuto Junot.» Jamie seguì Nicholas fuori della stanza d'albergo. «Ma sta meglio a Woodsdale. Ha meno possibilità di tentazioni.» «È ciò che ho pensato.» Junot andò loro incontro al cancello che conduceva nel parcheggio sotterraneo di Woodsdale. Non indossava un'uniforme. Nicholas aveva convinto Joel che non sarebbe stato necessario. «Parcheggio io la macchina. Il dottor Lieber vuole che tu salga subito. Quarto piano.» Junot sorrise leggermente, quando vide Jamie. «Come va?» «Abbastanza bene. Ho pensato che mi sarei fatto mostrare il parco intorno alla clinica, mentre Nicholas era occupato.» «C'è un eccellente sistema d'allarme. Ne resterai impressionato. Perfino tu ti troveresti in difficoltà.» «Ah, colpito al cuore. Dubiti di me?» Nicholas li lasciò e si avviò a lunghi passi veloci giù dalla rampa. L'ingresso principale di Woodsdale era situato nel bunker di cemento del parcheggio. Assolutamente sicuro e privato, in modo che nessuna celebrità fosse vista entrare o uscire, dopo avere subito un intervento chirurgico. Joel gli venne incontro, quando lui uscì dall'ascensore al quarto piano, pochi minuti dopo. «Lei è una tua responsabilità», disse Joel. «Sistema tu le cose.» «Che cosa c'è che non va?» «Ciò che non è andato fin dal principio. Si chiude in sé ogni giorno di più. Ho chiamato una squadra di psichiatri a visitarla. Ho chiamato perfino un prete. È tutto inutile. Non mangia, non parla. Ieri ho cominciato a nutrirla per via endovenosa.»
«Stai dicendo che morirà?» «Penso che sia fermamente decisa a morire, e ha una volontà sorprendentemente forte. Probabilmente riuscirò a tenerla in vita, se l'attaccherò alle macchine.» Nicholas ebbe un improvviso ricordo di Terence che lo supplicava di spegnere il respiratore. «Niente macchine.» «Allora, trova una soluzione.» E indicò con un gesto: «Terza porta sulla tua sinistra». Nicholas si avviò lungo il corridoio. «Tania dice che le serve uno scopo», gli gridò Joel alle spalle. «E io dovrei fornirglielo?» «Devi farle desiderare di vivere, in modo che tutto il mio lavoro non vada sprecato.» «I miei metodi potrebbero non piacerti.» «Non mi farà piacere, se morirà, e neppure se dovrà essere affidata a una casa di cura», disse Joel. «A meno che tu aggravi una di queste possibilità, non avrai obiezioni da me. Io ho fatto tutto il possibile.» E lui avrebbe dovuto compiere il miracolo che a Joel non era riuscito. Magnifico. Nicholas aprì la porta con una spinta. La faccia di Nell era ancora avvolta dalle bende e sembrava più piccola, più esile di quando l'aveva vista l'ultima volta. Fissava dritto davanti a sé e non diede segno di essersi accorta che era entrato nella stanza. Uno scopo. Oh, sì, lui sapeva tutto sull'argomento. Lui poteva darle uno scopo. E lo avrebbe fatto. Nicholas Tanek. Aveva pensato che fosse uscito dalla sua vita, pensò apatica Nell. Voleva che se ne andasse. Era lui quello che le aveva detto di Jill... Tentò di escludere la sua presenza dalla mente; era diventata brava in questo. No, lui era troppo forte. Il suo disagio aumentò e Nell chiuse in fretta gli occhi. «La smetta di fingere. Non sta dormendo», disse Nicholas freddamente. «È solo senza fegato.» L'angoscia si impadronì di Nell. «Si diverte a stare sdraiata lì, a compiangersi?» Lui non capiva. Non si stava compiangendo. Voleva solo che se ne andassero tutti.
«Non ne sono sorpreso. Ha ceduto ed è fuggita da tutto, per tutta la sua vita. Voleva essere un'artista: i suoi genitori hanno schioccato le dita e lei ha lasciato perdere tutto ed è tornata a casa di corsa. Suo marito l'ha trasformata in ciò che lui voleva e lei glielo ha lasciato fare.» Stava parlando di Richard. Che crudele. Richard era morto. Non si parla male dei morti. «Nessuno le ha raccontato come è morta Jill?» Le palpebre di Nell si spalancarono. «La smetta. Non voglio sentirlo. Vada via.» «È stata pugnalata.» Il coltello. Oh, Dio, il coltello. «Si è divertito a farlo. Si diverte sempre.» Sì, si divertiva. Ricordava il sorriso dietro la maschera, quando l'aveva pugnalata. «È là fuori, libero. Ha tolto a sua figlia la vita, tutta la gioia, tutte le cose che lei aveva programmato per lei. E lei gli ha permesso di sottrarle tutto questo.» «No! Ho cercato di impedirglielo. L'ho attirato fuori sul balcone e...» «Ma lei è morta e lui è libero. Se ne va in giro, vantandosi di come l'ha uccisa. È così facile uccidere una bambina.» «La smetta.» Le sue parole la stavano lacerando, straziando. Perché non voleva lasciarla stare? Non aveva immaginato che qualcuno potesse essere tanto brutale. «Perché lo fa?» «Perché non m'importa se lei soffre oppure no. Sua figlia è morta e lei la sta tradendo. Era una cara bambina, merita qualcosa di meglio di una madre che non vuole neppure svegliarsi, per chiedersi se l'uomo che l'ha uccisa verrà punito per il suo delitto.» «Lei è morta. Niente di ciò che potrei fare la...» «Scuse, giustificazioni. Non è stanca di rinunziare a vivere? No, immagino di no.» Si chinò in avanti con uno sguardo penetrante che scavava nel suo. «Ecco qualcosa da ricordare, mentre se ne sta sdraiata lì, a pensare a sua figlia: non è morta facilmente. Lui non lascia mai che le sue vittime muoiano facilmente.» Nell sentì qualcosa esploderle dentro. «Vada al diavolo.» «Ma immagino che questo non le importi. Preferirà tornare a dormire e dimenticare tutte queste cose terribili.» Nicholas si alzò in piedi e si avviò verso la porta. «Bene, vada avanti così. Probabilmente non potrebbe farci nulla comunque. Non ha mai preso una vera iniziativa in tutta la sua vita.»
La voce di Nell tremava per l'intensità. «La odio.» Lui la guardò inespressivo. «Sì, lo so.» E lasciò la stanza. Le unghie affondarono nelle palme di Nell, mentre le sue mani si stringevano a pugno. Desiderava che Tanek tornasse, in modo da poterlo attaccare come lui aveva fatto con lei. Crudele. Mai aveva conosciuto qualcuno tanto crudele. Eccetto l'uomo che aveva ucciso Jill. Quel mostro. Non lascia mai che le sue vittime muoiano facilmente. Quelle parole la trafissero più dolorosamente del coltello che aveva posto fine alla vita di Jill. Non si era permessa di pensare a Jill che soffriva, a Jill che moriva. Aveva pensato solo alla sua perdita, al vuoto nella sua vita. La vita non sarebbe stata vuota per Jill. Lei era una bambina che ne amava ogni sfaccettatura. Sarebbe corsa incontro a essa con entrambe le braccia spalancate. E ne era stata defraudata da un mostro che uccideva i bambini indifesi. Quella consapevolezza le turbinava nella mente, torturandola, consumandola. Lui era là fuori, libero, mentre Jill era morta. Non ha mai preso una vera iniziativa in tutta la sua vita. Bugie. No, era la verità. Era così facile capire la verità, ora che niente aveva più importanza. Fai quello che ti dico, altrimenti non ti amerò più. Quella minaccia inespressa era sempre stata presente. Prima con i suoi genitori, poi con Richard. Lei si era affrettata a obbedire nel terrore di perdere quell'amore. Ma ora quella paura era scomparsa, perché non aveva più niente da perdere. Tutto quello che era importante per lei, l'aveva già perduto. Tranne il ricordo di Jill. E dell'uomo che l'aveva uccisa. «Ebbene?» chiese Joel, quando Nicholas uscì dalla stanza. «Non lo so. Fai stare tutti lontani da lei per un po' e lasciamo che sbollisca.» «Lasciamo che sbollisca che cosa?» «Aveva una ferita aperta e io l'ho cauterizzata con un attizzatoio arroventato», rispose Nicholas. E aggiunse: «E senza anestesia». «Non ti chiederò neppure che cosa vuoi dire.»
«Non te lo direi. Disapproveresti.» Nicholas si allontanò lungo il corridoio, verso gli ascensori. «Ma penso di tornare nell'Idaho per un po'. Non c'è alcun dubbio che non mi vorrà vedere, dopo questo. Chiamami, quando penserai che sia di nuovo quasi normale. Devo farle qualche domanda.» Quella notte Nell non dormì. Restò a fissare l'oscurità, mentre le parole di Tanek le martellavano nella mente. Jill. Che cresceva, andava a scuola, la sua prima festa, i primi appuntamenti, il primo bambino. Tante prime volte che non avrebbe mai conosciuto. Derubata. Derubata della vita, derubata di tutte quelle esperienze. La perdita di Nell era nulla in confronto a ciò che quel mostro aveva sottratto a Jill. E lei stava sdraiata lì, senza far nulla a riguardo. Rabbia. Una rabbia bruciante, devastante, chiarificatrice. Il vaso di cristallo carico di gigli che il giovanotto portava avrebbe dovuto sembrare assurdo nelle sue grosse mani, ma per qualche motivo non era così. Le era vagamente familiare: era stato presente durante quel periodo di tenebre. Cercò un nome nella mente. «Lei è Phil Johnson», disse Nell lentamente. Lui si girò di scatto a guardarla. «Ehi, si ricorda di me.» Si diresse sollecito verso il letto. «Come va? Posso portarle qualcosa? Che cosa ne direbbe di un po' di succo d'arancia?» Nell scosse il capo. «No, grazie. Non ora.» Abbassò gli occhi sul suo braccio. Era sorpresa che fosse ancora ingessato. Le sembrava che fosse passato un secolo da quando si era svegliata quella prima volta, trovando Tanek seduto accanto al letto. Soffocò un impeto di rabbia accecante. Tanek non aveva importanza. Doveva restare calma e pensare con chiarezza. «Da quanto tempo mi trovo qui? E che posto è, questo?» «Si trova a Woodsdale da dieci giorni.» «Woodsdale?» Ricordava confusamente il dottor Lieber che le accennava di volerla trasferire nella sua clinica. Phil annuì. «Ricorda l'intervento?» Nell sollevò una mano a toccarsi il volto. Bende. «Il dottor Lieber vuole che le porti, finché sarà completamente guarita. La chirurgia plastica lascia sempre dei lividi e il dottore pensa che lei ha
già avuto troppi choc per...» Phil si interruppe, poi disse: «Mi dispiace. Non dovevo parlarle di niente che potesse turbare...» Fece una smorfia. «Ecco che ricomincio a dire sciocchezze. Devo andarmene?» Lei scosse il capo. «Mi sento molto debole. Resterò a lungo in questo letto?» «Deve chiederlo al dottor Lieber. Ma probabilmente acquisterebbe forze, se mangiasse.» Phil sorrise con fare convincente. «Quelle endovenose nel suo braccio non devono essere molto divertenti.» «Mangerò», disse Nell. «Devo parlare con il dottor Lieber. Vuole chiedergli di passare a trovarmi?» «Certo. È in ospedale in città, questa mattina, ma dovrebbe essere qui presto.» Accennò con il capo ai fiori sul tavolo. «Belli. Vuole che controlli per vedere chi li manda?» Sono fiori magnifici, mamma. Ancora più belli di quando erano in giardino. Uno spasimo di dolore l'afferrò improvviso, intenso, togliendole il fiato. Doveva bloccarlo. Non poteva agire, se lasciava che il dolore l'accecasse a quel modo. «Si sente bene?» chiese Phil, preoccupato. «Sì, sto bene», rispose con fermezza. «Legga il biglietto.» «C'è solo un nome. Tania Vlados. È un'amica?» Nell scosse il capo. «Non ho mai sentito parlare di lei.» «Ebbene, questa Tania deve avere sentito parlare di lei.» Rimise il biglietto al suo posto. «Bella scelta. Diversa. Sembrano fiori della giungla.» «Sono gigli.» Lo sforzo, richiesto per comportarsi normalmente, era stato enorme. Nell voleva chiudere gli occhi e tornare a dormire. No, non si sarebbe concessa di farlo. Fino a quel momento se l'era cavata benissimo. Quell'uomo gentile, Phil Johnson, non sembrava notare alcuna falsità nel suo modo di fare. «Dovrò ringraziarla... quando scoprirò chi è.» Phil annuì. «Probabilmente avrà ricevuto una quantità di fiori al St. Joseph. Ci vorrà un po' di tempo perché li mandino qui.» Si sbagliava. Richard non poteva più mandarle fiori e lei non aveva nessun altro. «Non importa.» Nell lo studiò. «Lei sembra molto forte. Gioca a football?» «Giocavo nel Notre Dame.» «Allora sa tutto sull'allenamento.» «Un po'.» «Detesto sentirmi tanto debole. Pensa di potermi trovare una qualche at-
trezzatura che mi aiuti a recuperare forze e tono, mentre sto sdraiata qui a letto?» «Forse più avanti.» Nell nascose la sua impazienza e disse cautamente: «Mi piacerebbe molto farlo subito. Lei può dirmi come devo cominciare. Non ho intenzione di farmi del male, tentando di fare troppo. Starò molto attenta». Phil annuì con aria comprensiva. «Capisco come si sente. Io impazzirei, se dovessi stare sdraiato lì a fare niente. Chiederò al dottor Lieber se è d'accordo.» «Grazie.» Nell lo guardò lasciare la stanza. Non chiudere gli occhi, si ordinò. Non sprofondare nell'oscurità. Andrà rutto bene. Sarebbe stato più facile, quando avesse potuto contare solo sulle proprie risorse. Spostò lo sguardo sui fiori sul comodino. Tania Vlados. Era una degli ospiti al ricevimento, quella sera? Non riusciva a ricordare altri che Elise Gueray. Ricordava vagamente che Nadine era presente al ricevimento, dopo che lei era caduta. Che cosa ne era stato di Martin e di Sally? Immaginava che avrebbe dovuto sentirsi preoccupata per loro. No, non doveva. Non le erano mai piaciuti, nessuno dei due, e lei aveva smesso di fingere. Richard era stato ucciso al ricevimento. Perché non riusciva a provare tristezza? Meritava di essere pianto. Ma Jill era morta e sembrava che non le restasse sufficiente dolore per piangere qualcun altro. «Ho sentito che si sente molto meglio», disse Joel Lieber, entrando nella stanza. Sorrise, sedendosi accanto a lei. «Era ora. Ero preoccupato per lei.» Nell gli credeva. Dubitava che Joel Lieber dicesse mai qualcosa che non pensava. «Quali sono le mie condizioni?» «È in via di guarigione. Ha un braccio e una clavicola rotte. Le altre ferite erano brutte, ma mi sono assicurato che non le restasse alcuna cicatrice. Dovremmo essere in grado di togliere il gesso tra circa tre settimane.» Nell toccò le bende sul volto. «E queste?» «Ho eseguito un intervento minore intorno agli occhi, ma quei punti dovrebbero essere tolti a giorni, ormai.» «Che cosa ho sulla faccia? Parlo in modo strano.» «Ha un apparecchio per tenerle ferme le mascelle, ma presto potrà farne a meno. Ci sono ancora dei lividi, ma potrei toglierle le bende adesso, in modo che possa farsi un'idea dell'aspetto che avrà.» «No, non importa. Aspetterò. Volevo solo sapere quanto ci vorrà, prima
che venga dimessa. Un mese?» «Forse. Se tutto andrà bene e se lei farà ciò che le dico.» «Lo farò.» Nell fece una pausa, riprendendo coraggio. «Mi chiedevo se fosse possibile vedere una copia dei giornali usciti il giorno dopo... Medas.» Il sorriso di Joel svanì. «Non credo che questo sarebbe saggio. Aspetti ancora un po'.» «Ho già aspettato troppo. Prima o poi dovrò affrontarlo. Prometto che non mi lascerò andare alla disperazione.» Lui la studiò un attimo. «Non credo che lo farà. D'accordo, ne scoverò una e gliela farò portare. Niente altro?» «No, è stato molto gentile, dottor Lieber.» «Joel», la corresse lui. «Prometto che non dovrà preoccuparsi ancora a lungo per me, Joel.» «Mi preoccupa adesso», borbottò lui. «Mi dispiace.» Il rammarico di Nell era sincero. Lui sembrava un uomo perbene e aveva lavorato solo per aiutarla. Sfortunatamente, era anche sensibile e poteva percepire il distacco che pervadeva ogni cellula del suo corpo. Ebbene, non poteva farci nulla. «Ma presto starò bene e allora non dovrà preoccuparsi di me.» «Lo spero.» Joel la fissò un momento, prima di voltarsi e di lasciare la stanza. Terroristi. Nell abbassò il giornale e fissò la parete a strisce bianche e rosa. Aveva senso. Nessuno poteva voler uccidere Richard o altre persone citate nell'articolo. Dovevano aver mirato a Kavinski. Ma perché cercare lei? Perché uno dei terroristi avrebbe dovuto aggredirla, quando non si era neppure avvicinata a Kavinski? L'uccisione di Jill poteva essere stata decisa al momento, ma lei doveva essere stata seguita da quell'assassino. Non lascia mai che le sue vittime muoiano facilmente. Tanek aveva parlato come se conoscesse l'uomo che aveva ucciso Jill. E, se lui sapeva chi era, poteva sapere anche dove poterlo trovare. «Dove diavolo sei stato?» chiese bruscamente Joel, non appena Nicholas sollevò il telefono. «Sto tentando di mettermi in contatto con te da un mese.»
«Sono stato all'estero.» Nicholas abbassò una mano ad accarezzare le orecchie di Sam. Il pastore tedesco si sfregò contro la sua coscia. «Lei vuole vederti», disse Joel. «Subito.» «È una sorpresa. Come sta?» «Sta facendo progressi sorprendenti. Mangia e parla con Johnson. Lo ha addirittura convinto a procurarle delle bande elastiche e si sta allenando con le gambe e con il braccio sano.» «Allora perché hai un tono così irascibile?» «Irascibile? Non sono irascibile. I grandi uomini non sono mai irascibili.» «Chiedo scusa. Perché sei così preoccupato?» «È troppo controllata. Troppo distaccata.» «Forse è meglio, in questo momento. Almeno la sua salute sta migliorando.» «A grandi passi, e lo stesso la sua determinazione. È come una freccia scoccata da un arco. Non si fermerà se non al centro del bersaglio.» «E dov'è il centro del bersaglio?» «Dimmelo tu.» Joel fece una pausa apposta. «Che cosa le hai detto?» «Le ho dato uno scopo.» «Quale scopo?» «La vendetta.» «Cristo.» «Ho dovuto lavorare con quello che avevo. La vendetta era l'unico scopo che avrebbe funzionato.» «E adesso che cosa succede?» «Adesso devi distrarla. Forse stai esagerando il problema. È una donna simpatica e gentile. Trova un modo di far appello alla sua natura di fondo.» «Non penso che tu abbia idea di quale sia la sua natura di fondo. Senza alcun dubbio non è come me l'hai descritta.» Joel esitò un momento. «Il giorno dopo la tua partenza, mi ha chiesto di leggere la versione dei giornali sui fatti di Medas.» «E questo l'ha sconvolta?» «Sì. Johnson ha detto che era pallida e tremante, ma che era ancora padrona di sé. È stato allora che ha chiesto di vederti. Non ha fatto che chiederlo ogni giorno, da quel momento. Credo che, se non verrai a trovarla, te la troverai sulla porta di casa nell'istante stesso in cui verrà dimessa.» «Allora immagino che sarà meglio che ritorni lì. Sam non ama i visitato-
ri.» «Come va la sua zampa?» «È più robusta che mai.» «A volte succede. Fai a pezzi qualcuno, lo rimetti insieme e scopri di avere una persona completamente nuova. Le dirò che sarai qui domani.» L'avvertimento di Joel non era necessario. Nicholas aveva saputo i rischi che correva, solamente non aveva avuto altra scelta. Non si può cauterizzare una ferita e non lasciare cicatrici. Riagganciò il telefono e si sedette sulla poltrona di pelle in stile spagnolo. Immediatamente, Sam tentò di saltargli in braccio. Nicholas gli accarezzò distrattamente il capo, prima di spingerlo giù. Il cane gli rivolse una sguardo rassegnato e si accucciò ai suoi piedi. E ci sarebbero state altre cauterizzazioni in futuro, se non fosse riuscito a sviarla. Nicholas si augurava solo di non essere lui a doverlo fare. Giù, giù, giù, scendiam. No! Nell si mise di scatto a sedere sul letto, con il cuore che le batteva furiosamente. Era stato un sogno. Solo un sogno. Jill non era stata lì sulla porta, a fissarla... Si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Ti supplico, non lasciare che ritorni. Non poteva sopportarlo. Non lasciare che ritorni. 4 «Voleva vedermi?» Nell alzò gli occhi e vide Tanek in piedi sulla porta. Provò un impeto di collera che ebbe difficoltà a nascondere. Ma ci sarebbe riuscita. «Entri», disse bruscamente. Tanek avanzò verso di lei. Aveva jeans e una maglia color panna, che indossati da luì sembravano naturali quanto lo smoking che portava quando lo aveva incontrato la prima volta. La gente avrebbe sempre notato Tanek, non i suoi abiti. Lui si lasciò cadere sulla sedia accanto al suo letto. «Pensavo che ormai si fosse sbarazzata di quelle bende.» «Dopodomani. Il sostegno è stato tolto, ma prima Joel voleva che i punti
fossero guariti.» Nell partì all'attacco. «Conosce l'uomo che ha ucciso Jill, vero?» Nicholas non finse di non capire. «Immaginavo che potesse dedurlo. Sì, penso di sapere chi è.» «Lei è un terrorista?» Un sorriso gli increspò le labbra. «Se lo fossi, pensa che lo ammetterei?» «No, ma pensavo di poter ottenere una risposta.» Nicholas annuì. «Molto bene.» Nell non voleva la sua approvazione, voleva delle risposte. «Io non penso affatto che fosse un attacco di terroristi.» «Davvero? Tutti gli altri sembrano pensarlo.» «Io non mi trovavo nella sala da ballo. Perché un terrorista avrebbe dovuto darmi la caccia?» Gli occhi di Nicholas si socchiusero leggermente. «Perché qualcuno avrebbe dovuto darle la caccia?» «Non lo so.» Nell lo fissò con aria di sfida. «E lei?» «Forse ha offeso Gardeaux.» Nell lo guardò sconcertata. «Gardeaux? Chi è Gardeaux?» Non si era resa conto che Tanek fosse teso, fino al momento in cui lo vide rilassarsi. «Un individuo estremamente sgradevole. Sono contento che lei non lo conosca.» Aveva buttato lì quel nome per vedere la sua reazione, realizzò Nell. Gardeaux. Memorizzò quel nome. «Perché ha insistito per venire con me nella mia stanza, quella sera? Era per assicurarsi che l'assassino sapesse dove poteva trovarmi?» «No, immagino che lui avesse una pianta completa della casa e che sapesse chi c'era in ogni stanza prima di raggiungere l'isola.» Tanek incontrò il suo sguardo. «E l'ultima cosa che volevo era che lei restasse ferita o uccisa.» Nell dovette distogliere lo sguardo. Lui voleva che gli credesse e quella volontà era molto forte. Ma lei non doveva farlo. Doveva sospettare di tutti, in particolare di lui. «Chi ha ucciso mia figlia?» «Credo che sia un uomo di nome Paul Maritz.» «Allora perché non l'ha detto alla polizia?» «Loro sono convinti che sia stato un attacco di terroristi per arrivare a Kavinski.» «E questo Maritz non è un terrorista?» Nicholas scosse il capo. «Lavora per Philippe Gardeaux. Ma la polizia
non darà la caccia a Maritz per aver ucciso sua figlia.» Di nuovo Gardeaux. «Ha intenzione di dirmi di che cosa si tratta, oppure vuole costringermi a strapparglielo di bocca?» Lui fece un debole sorriso. «Se la stava cavando così bene, che ho pensato di lasciarla continuare per un po'. Gardeaux e un distributore. È il collegamento diretto tra l'Europa e il Medio Oriente per un settore del cartello colombiano della droga, capeggiato da Ramon Sandequez, Julio Paloma e Miguel Juarez.» «Distributore?» «Rifornisce di droga gli spacciatori e procura loro denaro per spianare qualunque strada. Maritz è uno dei suoi scagnozzi.» «E Gardeaux ha mandato Maritz a uccidermi? E perché Jill?» «Se l'è trovata tra i piedi.» Un'affermazione talmente semplice. Si era trovato una bambina tra i piedi e quindi l'aveva uccisa. Lo sguardo di Tanek era fisso sul suo tavolo. «Sta bene?» La compostezza di Nell andò in fumo. «No, non sto bene.» I suoi occhi lo fissarono fiammeggianti. «Sono furiosa, disgustata e lo voglio morto.» «Immaginavo che sarebbe stato così.» «E lei dice che la legge non tenterà neppure di condannarlo?» «Non per la morte di sua figlia. Forse troveranno un'altra ragione per arrestarlo.» «Ma lei ha i suoi dubbi.» «Gardeaux protegge i suoi uomini, perché fare diversamente sarebbe rischioso per lui. Buona parte del denaro che distribuisce va agli ufficiali di polizia e ai giudici.» Nell lo fissò, incredula. «Sta dicendo che lui può commettere degli omicidi e che questo non importerà a nessuno?» «Importa a lei», affermò Nicholas quietamente. «Importa a me. Ma ciò di cui stiamo parlando sono miliardi di dollari. Gardeaux può alzare una mano e un giudice all'improvviso avrà una casa in riviera e denaro per andare in pensione e vivere come un re.» «Non posso credere che sia vero.» «Allora non mi creda, ma è la verità.» Fu l'indifferenza nel suo tono a convincerla. Tanek stava affermando un fatto, non tentando di persuaderla. «Quindi mi sta dicendo di dimenticarmi Maritz?» «Non sono uno stupido. Non dimenticherà mai. Le sto chiedendo di la-
sciarlo nelle mie mani. Mi assicurerò che Maritz venga abbattuto insieme a Gardeaux.» «Abbattuto?» Tanek sorrise. «Ha intenzione di ucciderlo», mormorò Nell. «Alla prima occasione. Questo la sconvolge?» «No.» Lo avrebbe fatto prima di Medas, realizzò Nell. Non ora. «Perché?» «Questo non ha importanza.» «Sembra che lei sappia tutto di me. Ma io non dovrò sapere niente di lei?» «Questo è il quadro. Ciò che le deve interessare è che sono coinvolto in questa storia da oltre un anno e che mi dedicherò a questo obiettivo con la stessa passione con cui lo farebbe lei.» «Non può.» Non restava altrettanto odio o passione al mondo. «Lo dice perché in questo momento vede le cose in modo limitato. Una volta che riuscirà a giudicarle da altri punti di vista, potrà...» «Dov'è lui?» «Maritz? Non ne ho idea. A nascondersi sotto l'ala potente di Gardeaux.» «Allora dov'è Gardeaux?» «No», disse Tanek con fermezza. «Gardeaux e Maritz sono un 'pacchetto', e lei non lo toccherà. Se entrerà alla cieca nel territorio di Gardeaux, resterà uccisa.» «Dunque mi mostri come non andare alla cieca.» «Il modo di evitare di sbagliare è restare lontana da entrambi. Ascolti, Maritz era un Marine delle squadre speciali d'assalto, una Testa di cuoio. Conosce più modi di uccidere di quanti lei ne possa contare. E Gardeaux ha fatto eliminare degli uomini solo per avergli pestato i piedi.» «Ma lei pensa di riuscire a prenderli.» «Non lo penso, li prenderò.» «Non l'ha ancora fatto. Perché le ci vuole tanto?» Aveva toccato un punto debole. Tanek serrò le labbra. «Perché voglio vivere, dannazione. Non voglio uccidere Gardeaux e poi restare ucciso anch'io. Questo non è vincere. Devo trovare un modo di eliminarlo che non...» Allora non gli darà la caccia con la stessa passione. Nell incontrò i suoi occhi e disse semplicemente: «A me non importa, se morirò dopo averlo
ucciso. Lo voglio morto». «Cristo.» «Quindi mi mostri come posso ucciderlo, mi usi. Lo farò io al suo posto.» «Neanche per sogno.» Tanek si alzò in piedi e si diresse alla porta. «Resti fuori da questa faccenda.» «Perché è tanto arrabbiato? Entrambi vogliamo la stessa cosa.» «Dannazione, mi ascolti. Gardeaux la vuole morta.» Tanek aprì la porta. «Io non uso come esca i capretti per attirare la tigre.» «Aspetti.» «Perché? Penso che ci siamo detti tutto.» «Come ha scoperto tante cose su di me?» «Ho fatto mettere insieme un dossier. Dovevo sapere perché Gardeaux poteva volerla morta.» «Ma non l'ha scoperto.» Nell fece un gesto di frustrazione. «Come avrebbe potuto? Non c'è ragione. Niente di tutto questo ha senso.» «C'è una ragione. Solo, non sappiamo ancora quale sia. Ci sto ancora lavorando sopra. Posso andare, adesso?» «No, non mi ha ancora detto perché ha insistito per venire nella mia stanza, quella sera.» L'espressione di Tanek non mutò, ma Nell si rese conto di un'improvvisa tensione sottostante. «Che importanza ha?» «Tutto è importante. Voglio sapere.» «Avevo ricevuto l'informazione che lei poteva essere coinvolta.» «Coinvolta in che cosa?» «L'informazione non era precisa e ho deciso che nel suo caso non era fondata.» «Ma lo era?» «Sì, dannazione. È soddisfatta, adesso? Ho preso la decisione sbagliata e l'ho lasciata a Maritz.» Nell lo studiò. «Lei incolpa se stesso. È per questo che si è dato tanto da fare e mi ha portata qui.» Tanek sorrise senza allegria. «Non le è di conforto sapere che ha qualcuno da incolpare, oltre Maritz?» Avrebbe dovuto essere di conforto. Desiderava con tutta se stessa di poter gettare la colpa su di lui. «Non la biasimo. Non è stata colpa sua.» Nell vide la sorpresa dipingersi sul volto di Tanek. «Questo è molto generoso.»
«Non sono generosa. Lei non sapeva. Non era lì, quando è arrivato Maritz.» «Ma avrei potuto esserci.» «Sì, avrebbe potuto. Se vuole sentirsi colpevole, allora faccia pure.» E Nell aggiunse con impeto: «Voglio che si senta colpevole. Allora, forse, mi aiuterà a trovare Maritz». «Se lo scordi.» «Non me lo scorderò. Ho intenzione di...» Tanek era già uscito dalla stanza. Il cuore le batteva talmente forte, che Nell poteva sentire il sangue pulsarle nelle vene. Tanek aveva sfondato la gelida corazza di compostezza che l'aveva protetta, ma questo non aveva importanza. Lui conosceva Maritz. Poteva indicarle la strada per arrivare a lui. Avrebbe trovato un modo per assicurarsi che facesse esattamente quello. Allungò una mano a prendere le bande elastiche sul comodino e si fece scivolare la staffa sul piede sinistro. Stava diventando ogni giorno più forte. Usava le bande anche quando non riusciva a dormire di notte. Il sonno non era più il benvenuto, ora che i sogni avevano cominciato ad arrivare. Joel sorrise furtivamente, quando vide l'espressione di Nicholas. «Sembri un po' turbato. Esageravo?» «No», rispose Nicholas conciso. «Come ti ho detto, non mi piace quell'autocontrollo.» «Che cosa?» Nicholas ricordava la freddezza con cui Nell lo aveva accolto. Ma quella compostezza non era durata, dopo che lei era andata all'attacco. Allora non gli darà la caccia con la stessa passione. Oh, sì, lei aveva passione, la stessa passione cieca che aveva trascinato Giovanna D'Arco sul rogo. Joel scosse il capo. «Ho detto che non mi piace quel...» «Ti ho sentito. Non credo che dobbiamo preoccuparci di questo. Quanto tempo ci vorrà, prima che esca di qui?» «Ancora un paio di settimane.» «Rimanda.» «Perché?» «Non è pronta.» E non era pronto neppure lui. Non c'era alcun dubbio che Nell Calder non si sarebbe arresa e lui avrebbe dovuto trovare un mo-
do per dissuaderla. «Non puoi scoprire una complicazione?» «No, non voglio mentire a una paziente. È qui già da quasi due mesi.» Il sorriso di Joel aveva una lieve sfumatura di malizia. «Che cosa c'è che non va, Nicholas? Dopotutto, mi avevi detto che lei non era una persona forte, ma solo una donna graziosa e gentile.» Nicholas non era sicuro di ciò che fosse diventata Nell Calder, ma era cambiata abbastanza da farlo sentire maledettamente a disagio. «Smettila, Joel. Ho bisogno di aiuto a questo punto.» «Non compromettendo la mia etica professionale.» «Allora, non mentirle. Ha ancora delle ossa rotte. Dille che vuoi che resti qui, finché sono completamente guarite.» Joel rifletté un momento. «Questo immagino di poterlo fare.» «Ha conosciuto Tania?» chiese Nicholas. «Non ancora.» «Falle incontrare al più presto possibile.» «L'influenza di un'altra donna?» «L'influenza di un'altra sopravvissuta.» Nicholas si voltò e fece un cenno a Phil. «Tienila d'occhio, ti raccomando!» Phil sembrò offeso. «Ho molta cura di Nell, Nick.» «Lo so.» Nicholas sorrise. «Solo, assicurati che non sgusci via senza che nessuno ne sappia niente. D'accordo?» Phil annuì. «Mi è simpatica. Le ho detto che mi sono specializzato in informatica all'università e lei ne è molto interessata. Mi ha fatto ogni genere di domande a proposito dei computer.» Un interesse per i computer le avrebbe garantito l'affetto di Phil. «Che genere di domande?» Phil strinse le spalle. «Semplici domande.» Forse l'interesse di Nell Calder non aveva scopi nascosti. O, forse, aveva istintivamente mirato a un modo di guadagnarsi l'amicizia di Phil. Non avrebbe immaginato che simili macchinazioni fossero possibili per la donna che aveva conosciuto a Medas, ma ora Nell era un'incognita. «Tienila d'occhio!» «Sai che lo farò.» Phil tornò nella stanza di Nell. «Bravo ragazzo», disse Joel. «E un bravo infermiere.» «Sembri sorpreso. Te l'avevo detto che ti sarebbe piaciuto.» Nicholas tornò all'argomento iniziale. «Le presenterai Tania?» «Perché no? Lei desidera conoscere Nell.» Joel fece una pausa. «Sei preoccupato per ciò che farà, quando verrà dimessa e non sarà più sotto
protezione. Lei sa che qualcuno ha tentato di ucciderla. Senza dubbio non sarà avventata.» «Avventata? Sì, penso che potresti usare quella parola. Anche se, probabilmente, 'suicida' sarebbe più esatto.» «Tu sai chi ha tentato di ucciderla», disse Joel lentamente. I suoi occhi si spalancarono. «Glielo hai detto?» «Effetto Domino. Dovevo darle qualcosa. Inoltre, merita di sapere.» Joel scosse il capo. «Grave errore.» «Forse. Ne ho già fatti un paio.» Nicholas si avviò verso gli ascensori. «Adesso, però, l'unica cosa importante è il controllo dei danni.» «Aspetta. Hai ricevuto una telefonata.» Joel frugò nella giacca e trovò il messaggio. «Jamie Reardon. Si trova a Londra e vuole che lo richiami immediatamente.» Nicholas prese il messaggio. «Posso usare il tuo studio?» «Certamente.» Joel indicò con un gesto una porta lungo il corridoio. «Vivo esclusivamente per esserti utile, Nicholas.» «Sono contento che alla fine tu lo abbia riconosciuto», disse Nicholas impassibile, avviandosi a lunghi passi verso lo studio. «Sei stato un po' lento all'inizio.» Sentì l'imprecazione tra i denti di Joel alle sue spalle. Stava ancora sorridendo, quando si mise in comunicazione con Jamie. «Hai scoperto qualcosa?» «Conner ha il nome dell'informatore di Kabler tra gli uomini di Gardeaux. È qui a Londra. Un certo Nigel Simpson, un contabile. Vuoi che cerchi di trattare per convincerlo a lavorare per noi, oltre che per Kabler?» Un fremito d'eccitazione percorse Nicholas. «Sei sicuro che sia lui?» «Conner dice che è lui e quel coniglio avrebbe troppa paura di compromettersi, se non fosse dannatamente sicuro. Vuoi che avvicini Simpson?» «No. Prenderò il primo aereo. Non perderlo di vista.» «Non preoccuparti. Sta trascorrendo la sera nell'appartamento della sua ragazza squillo preferita. Non credo che si muoverà. Sarò davanti al numero ventitré di Milford Road. Guiderò una delle vecchie Rolls-Royce nere usate come taxi.» Jamie sospirò. «Sai, stanno lentamente scomparendo, per venire rimpiazzate da lucenti mostruosità con nessun senso della storia. Triste.» «Fai solo in modo che Simpson non scompaia.» «Non scomparirà. Ti ho mai deluso?»
«Ah, sta seduta. È un buon segno.» Nell alzò gli occhi e sulla porta vide un'alta brunetta dalle lunghe gambe. La donna indossava jeans, una camicia da uomo a righe con le maniche arrotolate fino al gomito e un gilè di pelle. Le sorrise. «Posso entrare? Lei non mi conosce, ma a me sembra di conoscere lei. Mi chiamo Tania Vlados.» Il nome le era familiare. «Mi ha mandato dei fiori.» La donna annuì e venne avanti. «Le sono piaciuti? Li ho coltivati io stessa.» Tania Vlados aveva un leggero accento che contrastava con il suo abbigliamento tipicamente americano. «Erano incantevoli, signorina Vlados.» «Tania.» Un sorriso le illuminò il volto. «Sento che diventeremo grandi amiche, e non sbaglio mai.» «Davvero?» «Mia nonna era una zingara. Era solita dirmi che non avevo il dono della veggenza, ma avevo quello della percezione.» Si lasciò cadere su una sedia. «Che sento l'eco dell'anima.» «Com'è... interessante.» Tania ridacchiò. «Penserà che sono pazza. Non la biasimo. Ma è vero.» «Lavora alla clinica?» «No, lavoro per Joel. Sono la sua governante.» Tania allungò le gambe davanti a sé. «E, prima che me lo chieda, questo non significa che occupo il suo letto, oltre che la sua casa.» Nell la fissò, scioccata. «Non le avrei mai fatto una domanda simile.» «No? Rimarrebbe sorpresa nel sapere quante persone lo fanno.» I suoi occhi scintillarono di malizia. «La maggior parte delle volte rispondo loro di sì. Questo fa impazzire Joel. Sa, lui è uno all'antica.» «No, non lo sapevo.» Tania annuì. «Non noti molto, durante le prime settimane. Sei troppo piena di tristezza. È stato così anche per me.» Nell si irrigidì. «Lei non è una governante. È un'altra di quegli psichiatri che Joel manda qui. Ebbene, può andarsene. Non desidero parlarle.» «Psichiatri?» Tania sorrise divertita. «Neppure io so che farmene. Quando mi trovavo qui in convalescenza, Joel ha tentato di convincermi a vederne uno e l'ho mandato fuori dai piedi.» «Era una paziente della clinica?» «Ero tremendamente sfigurata, quando sono stata portata qui da Sarajevo, ma Joel mi ha sistemata.» Tania sogghignò. «Adesso ho intenzione di
sistemarlo io. Non è stupendo?» «Stupendo» non era una parola che Nell avrebbe associato a Joel Lieber. «Immagino. Penso che sia molto gentile.» «È molto più di questo. Ha un gran cuore. Questo è molto raro. È come una rosa. È meraviglioso vedere...» «Ebbene, è pronta per la grande cerimonia?» chiese Joel, entrando a lunghi passi nella stanza. «Sì», rispose Tania impaziente. Joel le rivolse un'occhiata per farla tacere. «Mi stavo rivolgendo alla mia paziente.» «Sono pronta», disse Nell. «Spero che non le dispiacerà il fatto che Tania sia presente quando le toglierò le bende. Mi tormenta perché la lasci venire a trovarla dal giorno dell'intervento.» «Provo un legittimo interesse», disse Tania. «Joel ha lasciato che lo aiutassi a programmarle una nuova faccia. Gli ho detto di mantenere la bocca. Ha una bocca magnifica.» «Grazie.» Le labbra di Nell si incresparono divertite. «Ma deduco che gli abbia detto di scartare il resto.» «Più o meno.» Joel scosse il capo. «Piena di tatto, sempre piena di tatto.» Ma come, stava davvero sorridendo, realizzò Nell, scioccata. Un vero sorriso, non come quelli che si era sforzata di fare per dimostrare che stava tornando alla normalità. Lo sguardo acuto di Tania era fisso sul volto di Nell. «Va tutto bene», disse con calma. «Imparerà che ridere non significa tradire.» Prima che Nell potesse rispondere, Tania si rivolse a Joel. «Lei pensa che tu sia molto gentile, ma non una rosa.» «Una rosa?» ripeté lui. «Tu lo sei, una rosa. L'ho pensato dal momento in cui ti ho incontrato. Hai delle sfaccettature e una bellezza interiore, che si svelano di continuo.» Lui la guardò esterrefatto. «Naturalmente, non profumi come una rosa. Più come un eucalipto, ma io...» «Vado a prendere una sedia a rotelle.» E Joel scappò dalla stanza. Tania si alzò in piedi. «Non si è comportato in modo buffo? È strano come gli uomini non riescano a sopportare di venire paragonati a dei fiori. Non vedo perché i fiori debbano essere considerati solo femminili.»
«Ammetto di avere trovato il paragone un po' insolito.» Nell stava ancora sorridendo. «Ma interessante.» «Joel deve essere scrollato con regolarità.» Tania l'aiutò a infilarsi una liseuse rosa e allacciò il primo bottone. «I medici brillanti si abituano alla soggezione e all'adulazione. Questo fa loro molto male.» Annuì con approvazione. «Mi piace questa liseuse. Tutte le liseuse dovrebbero essere rosa. Abbiamo tutti bisogno di colore, quando ci svegliamo il mattino. È una buona scelta.» «Temo però di non potermene attribuire alcun merito. Semplicemente, era qua.» Tania fece un largo sorriso. «Stavo lodando me stessa. Sono stata io a sceglierla.» «Forse ha pensato che le sarei sembrata una rosa?» «Ah, un po' di umorismo. Questo è un bene.» Scosse il capo. «No, Joel è la mia unica rosa. Deciderò più tardi che cosa...» «Eccoci.» Joel entrò nella stanza con Phil al seguito, spingendo una sedia a rotelle. Joel gettò a Tania uno sguardo severo. «Pensi di riuscire a comportarti in modo decente?» «No.» Tania rimase a guardare, mentre Phil trasferiva delicatamente Nell sulla sedia a rotelle. «Sono troppo eccitata.» «Davvero?» Joel sorrise con indulgenza. Ma come, lui l'ama, pensò all'improvviso Nell. Lo sguardo che si stavano scambiando era caldo, affettuoso e pieno di comprensione, come se fossero sposati da cinquant'anni. Provò un dolore straziante, realizzando che lei e Richard non si erano mai scambiati uno sguardo come quello. Forse, se ne avessero avuto il tempo, avrebbero potuto... «Ecco, adesso siamo pronti.» Tania posò una coperta sulle ginocchia di Nell e fece segno a Phil. «La porti lei. Noi vi seguiremo.» «Le piace?» chiese Tania con ansia. Nell fissò la sconosciuta nello specchio, sbalordita. «Non le piace.» La faccia di Tania si allungò. «Stai zitta», disse Joel. «Dalle la possibilità di parlare.» Nell sollevò una mano a toccarsi cautamente una guancia. «Se non le piace, è colpa mia», affermò Tania. «Joel ha fatto una lavoro splendido.» «Sì», disse Nell. «Uno splendido lavoro. La linea dello zigomo è magnifica.» Si rese conto che stava parlando in modo impersonale, come se stes-
se elogiando una scultura. Era così che si sentiva. Il volto nello specchio era un'opera d'arte, assolutamente incantevole, quasi... affascinante. Solo gli occhi castani e la bocca erano gli stessi. No, neppure quello era vero. La leggera inclinazione agli angoli faceva sembrare più grandi i suoi occhi e rendeva il loro colore più vibrante. E la sua bocca appariva sorprendentemente vulnerabile e sensuale, in confronto ai piani sublimi delle guance e della mascella. Entrambi la stavano guardando ansiosamente. «Sembro piuttosto... attraente. Non mi sarei mai sognata...» «Come ho detto, un cambiamento tanto drastico può essere un po' traumatico. Potrebbe avere bisogno di aiuto per affrontarlo.» «Grazie, non mi occorrerà aiuto.» Non che quello le avrebbe cambiato la vita. Tuttavia, prima di Medas avrebbe proprio potuto farlo, pensò Nell all'improvviso. Il volto che Joel le aveva dato costituiva il sogno di un brutto anatroccolo. La bellezza trasmetteva fiducia in se stessi, qualità di cui lei era stata estremamente carente. «Potrebbe avere bisogno di una guardia del corpo per ragioni diverse da quelle che pensa Nicholas», disse Joel. «Guardia del corpo?» «Immagino che Phil stia facendo un doppio lavoro. Nicholas voleva che lei fosse protetta.» Nell aggrottò le sopracciglia. «Phil è stato assunto da Nicholas Tanek?» Joel annuì. «Un tempo Phil lavorava per Nicholas. Dovrebbe sentirsi molto sicura. Nicholas non commette errori in questo campo.» «E paga lo stipendio di Phil?» «Non si preoccupi, lui riceve tutte le sue fatture mediche.» «Non lo farà assolutamente. Mandi a me le fatture.» «Lasci che paghi Nicholas», consigliò Tania. «Joel è molto caro.» «Posso permettermelo. Ho un po' di denaro che mi ha lasciato mia madre.» Nell spostò lo sguardo su Tania. «Lei conosce Tanek?» Lei annuì. «Da anni», rispose distrattamente, lo sguardo appuntato sui capelli di Nell. «Domani dobbiamo andare giù al salone di bellezza, a togliere quel grigio.» «Quale grigio?» Nell si guardò di nuovo allo specchio e si irrigidì notando il grigio che le striava i capelli sulla tempia sinistra. «Non lo aveva prima?» chiese Tania calma. «No.» «A volte succede. I capelli di mia zia sono diventati completamente
bianchi, dopo che suo marito è stato ucciso davanti a lei.» Tania sorrise. «Sono solo pochi fili bianchi. Credo che dei leggeri colpi di sole saranno stupendi tra quei capelli castani, e tutti penseranno che è très chic.» «Non importa.» «Certo che importa. Non voglio che il volto che ho progettato stia in una cornice povera.» Tania si rivolse a Joel. «Sei d'accordo?» «Stai chiedendo il mio parere? Pensavo che fosse già tutto deciso.» Poi Joel annuì. «Immagino che vada bene.» Tania si rivolse di nuovo a Nell. «Alle dieci, domani? Fisserò io l'appuntamento.» Nell esitò. Non aveva alcun urgente desiderio di coprire quei pochi capelli grigi. Tuttavia era chiaro che Tania sarebbe rimasta delusa, se la sua creazione fosse stata in qualche modo danneggiata, e quella donna le piaceva. E, cosa ancora più insolita, si sentiva a suo agio con lei. «Se le fa piacere.» «Oh, sì.» Tania sorrise raggiante. «E farà piacere anche a lei. Lo prometto.» «Il suo taxi, signor Simpson.» Jamie aprì la portiera sventolando una mano. «Non è una bella giornata, signore?» Nigel Simpson corrugò la fronte. «Non ho chiamato un taxi.» «No, credo che sia stata una signora a farlo.» Forse Christine aveva chiamato, mentre lui era sotto la doccia. Era sempre servizievole dopo i loro incontri. Nigel salì sul taxi. Tanek! La mano di Nigel si precipitò verso la maniglia. Tanek gli appoggiò una mano sul braccio. «Non faccia storie», disse a bassa voce. «Mi renderebbe molto scontento. Deduco che mi hai riconosciuto. Come? Non credo che ci siamo mai incontrati.» Nigel si inumidì le labbra. «Mi è stato indicato l'anno scorso, quando era a Londra.» «Da Gardeaux?» «Non conosco alcun Gardeaux.» «Io penso di sì. Jamie, facciamo un piccolo giro attraverso il parco, così forse il signor Simpson ricorderà.» Jamie annuì e salì al posto di guida. «Non ricorderò», disse Nigel. Fece una risata forzata. «Mi ha confuso con qualcun altro.»
«Tu sei un contabile, credo. Devi essere molto prezioso per Gardeaux... e per Kabler.» Nigel si irrigidì. «Non conosco nessuno di quei nomi.» «Sono certo che Gardeaux conosce il nome di Kabler. Immaginiamo che io lo chiami e che gli dica che tu sei l'informatore di Kabler.» Nigel chiuse gli occhi. Non era giusto. Tutto era andato così bene per lui. Adesso appariva quel bastardo e mandava tutto in pezzi. «Non può provarlo.» «Non dovrò provarlo. Gardeaux non vorrà correre rischi, non credi?» No. Gardeaux avrebbe semplicemente sorriso, scrollando le spalle, e il mattino dopo Nigel sarebbe stato morto. Nigel riaprì gli occhi. «Che cosa vuole?» «Informazioni. Voglio rapporti regolari e accurati. Voglio vedere tutto per primo e poi deciderò che cosa potrai vendere a Kabler.» «Pensa che io sia l'unico contabile di Gardeaux? Non affida mai tutto a un solo uomo. Ci vengono dati pezzetti delle registrazioni del denaro che esce e la maggior parte di esse sono in codice.» «L'elenco dei nomi per Medas non era in codice.» «L'azione da intraprendere lo era.» «Qual era la ragione dell'attacco?» «Ho mandato a Kabler tutto ciò che sapevo.» «Allora scopri di più. Voglio sapere tutto al riguardo.» «Non posso indagare. Non sarebbe sicuro.» «Sai una cosa, Nigel?» Tanek gli sorrise. «Non me ne importa proprio niente.» «Hanno un'aria... strana.» Nell scosse il capo e i colpi di sole oro pallido brillarono sotto le luci soffuse del salone di bellezza. «Sono splendidi», disse Tania con fermezza. «E il taglio le si adatta. Naturale, ma sofisticato.» Si rivolse alla parrucchiera. «Magnifico lavoro, Bette.» La ragazza fece un largo sorriso. «È stato un piacere mettere la ciliegina sulla torta. Adesso le occorre un nuovo guardaroba, che si intoni con il suo nuovo aspetto.» «Sono d'accordo», disse Tania. «Domani la porterò in città.» Aggrottò le sopracciglia. «No, a Joel potrebbe non fare piacere. Aspetterò fino alla settimana prossima.» «Non è necessario», intervenne Nell. «Posso avvisare la mia governante
a Parigi di spedirmi degli abiti.» «Potrebbe anche farlo, ma Bette ha ragione. Gliene occorrono di nuovi per la nuova donna.» Nuova donna. La frase di Tania risuonò nella mente di Nell. Sotto un certo punto di vista lei era perita la sera in cui Jill e Richard erano morti ed era rinata nell'angoscia di apprendere l'uccisione di Jill. Ma la donna non era completa: era vuota dentro. Forse non del tutto vuota, realizzò all'improvviso. Aveva provato calore, divertimento e anche invidia negli ultimi giorni, da quando era apparsa Tania. «Sto spingendo troppo?» chiese Tania. «È una mia abitudine. Non necessariamente una cattiva abitudine. Solo fastidiosa.» «Non mi sta infastidendo.» Nell si rivolse a Bette. «Quanto le devo?» Bette scosse il capo. «Sono alle dipendenze della clinica. Nessun costo, nessuna mancia.» «Allora, grazie.» Nell sorrise. «Lei è molto brava.» «Ho fatto del mio meglio, ma, come ho detto, è stata solo la ciliegina sulla torta. Con quel viso sarebbe bella anche calva.» «Dunque, mi permetterà di portarla a fare spese in città?» chiese Tania, mentre uscivano dal salone. Nell ci aveva riflettuto. Poteva essere un'idea molto buona per lei, andare in città. «Se Joel me lo permetterà.» «Bene. Dirò a Joel che addebiteremo tutto sul conto di Nicholas, così sarà più probabile che ci permetta di prendere una breve giornata di vacanza.» «Perché? A Joel non è simpatico?» «Sì, ma il loro rapporto è complicato. Joel è un uomo molto competitivo.» Nell la guardò inespressiva. «Nicholas è...» Tania scrollò le spalle, «...Nicholas.» «Ma Joel è un brillante chirurgo.» «E Nicholas ha una grandissima personalità. Ci sono persone che tendono a gettare lunghe ombre intorno a sé. A Joel non piace stare all'ombra di nessuno.» Tania fece un largo sorriso. «Così sfoga la sua irritazione nel modo che più gli fa piacere. Era molto deluso, quando lei ha detto di voler pagare personalmente il suo onorario.» Neppure Nell aveva voluto stare all'ombra di Tanek. «Il debito era mio.» Lo sguardo di Tania era fisso sul suo volto. «È risentita con lui.» Lo era. Era risentita per la sua abilità di penetrare attraverso le barriere
che lei aveva eretto e per la crudeltà del modo in cui l'aveva bruscamente riportata alla vita. Era risentita per il fatto che, ogni volta che lo vedeva, le ricordava Medas. Era risentita perché lui voleva escluderla, quando poteva aiutarla. «So che è suo amico, ma non è il mio tipo. Preferisco il suo Joel.» Nell cambiò argomento. «Questa clinica ha altri servizi, oltre il salone di bellezza?» «Di tutto, dalla stazione termale a un ristorante a cinque stelle. Che cosa aveva in mente?» «Una palestra.» «Capisco, ma dubito che Joel le permetterà di fare molto esercizio ancora per un po'. Vorrà essere sicuro che le sue ossa siano guarite.» «Farò ciò che potrò. Devo recuperare le forze.» «Le recupererà. È solo questione di tempo.» Ma Nell non voleva aspettare. Sentirsi così debole la faceva impazzire. Voleva esser pronta subito. «Farò ciò che potrò», ripeté. Tania inarcò un sopracciglio. «Ne parlerò con Joel.» E aggiunse: «Le serviranno delle tute da ginnastica. Può prendere in prestito alcune delle mie, finché non andremo a far acquisti». Nell scosse il capo. Tania non poteva avere più di una quarantaquattro. «Non mi andrebbero bene.» «Beh, forse saranno un po' grandi, ma non è un problema. Le tute da ginnastica dovrebbero essere comode.» Nell la guardò sbalordita. «A meno che non abbia qualcosa in contrario a portare gli abiti di un'altra persona.» «No, naturalmente no, ma io...» «Bene.» Intanto erano arrivate davanti alla porta di Nell e Tania disse a Phil: «L'ho riportata sana e salva. Che cosa ne dice dei suoi capelli?» Phil fischiò con ammirazione tutta maschile. «Belli.» Tania si rivolse a Nell. «Sarò qui domani alle nove ad aiutarla a vestirsi.» Sorrise e agitò la mano, prima di allontanarsi lungo il corridoio. «L'aiuto a rimettersi a letto», disse Phil. «Dev'essere stanca.» Era esausta, realizzò Nell con frustrazione. «Grazie, ma devo imparare a fare da sola. Non posso contare...» Phil l'aveva sollevata disinvoltamente sulle braccia e la stava portando verso il letto. «Certo che può. È leggera come una piuma. È per questo che vengo pagato.» La infilò nel letto. «Adesso faccia un sonnellino e io le
porterò il pranzo.» Forse saranno un po' grandi. È leggera come una piuma. Lentamente Nell sollevò un braccio e la manica della sua liseuse ricadde all'indietro. Fissò il suo braccio per un attimo, poi aprì la liseuse e si premette la camicia da notte larga contro il corpo. Doveva aver perso dieci chili nell'ultimo mese. Dieta istantanea, pensò amaramente. Cadi da un balcone, perdi tutto il tuo mondo e sarai snella come un levriero. Per tutti quegli anni aveva lottato, per perdere quei chili di troppo, e ora, quando aveva così poca importanza, erano spariti. Ma forse era importante. Avrebbe recuperato le forze più in fretta, senza quei chili di troppo a ostacolarla. La vanità non era importante, ma le forze ora erano tutto. 5 «Non sono sicuro che mi piaccia», disse sottovoce Joel a Tania, guardando Nell e Phil venire verso di loro lungo il corridoio. «E so che non piacerebbe neppure a Nicholas.» «Saremo di ritorno per le tre», disse Tania. «E Phil ci accompagnerà in macchina in città e da un negozio all'altro. Che cosa può succedere durante un giro di spese di mezza giornata?» «Raccontalo a Nicholas.» «Lo farò», disse Tania. «Fidati di me. Le farà bene.» «Non credo che andare per negozi a comperare abiti sia al primo posto nel suo elenco di priorità.» «No, ma è un'occupazione semplice e normale. Fare cose normali è importante per lei.» «Come fare ginnastica?» «Non c'è niente di normale nel modo in cui lei si allena. Starebbe in quella palestra ventiquattr'ore, se tu glielo permettessi.» «Non le fa male.» Joel fece una pausa. «Non devi farle da baby-sitter, sai. Non è una tua responsabilità.» «Mi è simpatica e desidero aiutarla.» Poi Tania aggiunse lentamente: «Immagino di vedere in lei me stessa». «Una di voi è più che sufficiente.» Joel si rivolse a Nell, che ora era accanto a loro. «Non esageri. Quando si sente stanca, smetta e torni alla cli-
nica.» «Lo faremo.» Joel le cacciò un rotolo di banconote in mano. «Tenga. Non sapevo quanto contante avesse a disposizione.» Nell lo guardò confusa. «Non mi occorre questo denaro. Non ho con me le mie carte di credito d'accordo, ma...» «Sarà più facile se Tania addebiterà tutto alla clinica, poi noi glielo metteremo in conto più avanti.» Joel aprì la portiera posteriore della macchina. «E, ricordi, questa Lincoln si trasformerà in una zucca alle tre.» «Questi sono i grandi magazzini Dayton. Potremo comperare qui la maggior parte delle cose essenziali. Andremo nelle boutique per i capi speciali.» Scendendo dalla macchina, Tania disse a Phil: «Vuole concederci tre ore e aspettarci qui per l'uria?» Phil aggrottò le sopracciglia con aria inquieta. «Non credo che sia una buona idea. E se parcheggiassi la macchina e vi raggiungessi dentro?» «D'accordo», cedette Tania. «Venga al reparto abbigliamento per lo sport. Andremo prima là.» Nell seguì Tania dentro al grande magazzino e subito venne avvolta dalla calda illuminazione e dallo scintillante consumismo. «Non dobbiamo andare da alcuna altra parte, Tania. Tutto ciò di cui ho bisogno sono le cose essenziali.» «Bisogno e desiderio sono due cose diverse.» Tania salì sulla scala mobile. «Può non volersi vedere con... e dove va?» «Ho una cosa da fare. Ci vediamo fuori all'ingresso, all'una». Nell si diede un'occhiata alle spalle, mentre si dirigeva veloce verso l'uscita laterale. Tania era a metà della scala mobile, ma si voltò, incominciando a scendere. «Neanche per sogno.» Nell raggiunse la porta laterale e saltò su un taxi fermo al posteggio. «Alla biblioteca pubblica centrale.» Tania uscì di corsa dalla porta, mentre il taxi si allontanava a tutta velocità dal marciapiede. «Nell!» Nell provò una fitta di rimorso. Tania era stata gentile e detestava ingannarla. Ma era anche amica di Tanek e non poteva rischiare una sua interferenza. Dieci minuti dopo entrava decisa nella sala di consultazione, dirigendosi verso la donna alla scrivania. «Ho sentito dire che voi avete in dotazione il
programma Nexis.» La donna alzò gli occhi a guardarla. «Sì.» «Non ho mai usato quel programma. Mi chiedevo se ci fosse qualcuno che potesse aiutarmi a trovare alcune informazioni.» La bibliotecaria scosse il capo. «Mi dispiace, ma non abbiamo tempo per...» «L'aiuterò io.» Nell si voltò, trovandosi a guardare un giovanotto alto e dinoccolato che le sorrideva. «Mi chiamo Ralph Dandridge. Lavoro qui.» Lei sorrise. «Nell Calder.» Il giovanotto fece cenno a Nell di precederlo. «I computer sono di là, nell'altra sala.» «Le sono grata per il suo aiuto», Nell sorrise. «Non so che cosa avrei fatto, se non fosse capitato lei.» Lui la fissò assorto un momento, prima di distogliere lo sguardo da lei. «Beh, vediamo quanto posso fare per lei. Fondamentalmente, Nexis è un sistema di informazione. Ha un archivio completo di migliaia di giornali, riviste e periodici. Tutto ciò che deve fare è digitare l'argomento. Il programma riporterà ogni riferimento al riguardo negli ultimi dieci anni.» «Ma posso accedere a un nome?» «Certo. Ma dovrà setacciare un mucchio di nomi simili. Chi sta cercando?» «Paul Maritz.» Lui riuscì ad accedere a due articoli riguardanti un certo Paul Maritz. Li richiamò sullo schermo perché lei li esaminasse: uno riguardava uno sceneggiatore che aveva vinto un premio, l'altro Maritz era un pompiere che aveva salvato un bambino. Decisamente non il suo Maritz. «Nient'altro?» «Philippe Gardeaux.» Stando a Tanek, Gardeaux era un criminale su vasta scala. Senza dubbio ci sarebbero stati accenni ad arresti, processi... qualcosa. Centro. Tre riferimenti a Philippe Gardeaux. Uno sulla rivista Time, uno in Sports Illustrated, uno sul New York Times. «Sembrano piuttosto lunghi. Vuole esaminarli?» chiese Ralph. «No. Possiamo stamparli tutti?» «Certo.» Ralph evidenziò i riferimenti, premette il tasto di stampa e si appoggiò all'indietro sulla sedia. «Ha intenzione di scrivere un articolo su
di lui?» «È possibile.» Nell osservò impaziente i fogli di carta uscire dalla stampante uno dopo l'altro. Ralph raccolse il mucchio di fogli e glielo porse. «Quanto le devo?» «Niente. È stato un piacere.» Nell non poteva permetterglielo. «Non posso accettare...» Ma non poteva neppure ferire il suo orgoglio, rifiutando. Sospirò. «Ebbene, ha almeno il tempo per fare un salto in un ristorante dei paraggi e permettermi di offrirle il pranzo?» I suoi occhi si illuminarono dietro gli occhiali dalla montatura di tartaruga. «Può scommetterci che ce l'ho.» Nell cacciò la stampata nella borsa e si alzò. «C'è un posto vicino?» «Sì.» Il giovane esitò. «Ma non le dispiacerebbe andare all'Hungry Peasant? È solo a pochi isolati di distanza. Molti miei amici bazzicano laggiù.» Ralph fece un largo sorriso. «Mi farebbe piacere che mi vedessero con lei.» Voleva ostentarla come una specie di trofeo, realizzò Nell con disgusto. Probabilmente, il volto che Joel le aveva regalato aveva spinto quel simpatico ragazzo ad aiutarla, ma aveva anche provocato quella reazione. Ma Ralph la stava guardando con occhi ansiosi e lei gli era debitrice. «Andremo all'Hungry Peasant», disse in tono rassegnato. Nell arrivò ai grandi magazzini Dayton all'una meno cinque. Tania la stava aspettando fuori. Istintivamente Nell diventò tesa quando vide la sua espressione. «Tania, mi dispiace, ma era necessario che io...» «Non dica una parola», la interruppe lei. «Sono talmente arrabbiata da avere voglia di spingerla sotto a una macchina.» Fece un passo in avanti sul bordo del marciapiede e agitò una mano. «Ecco Phil. Parleremo quando saremo tornate alla clinica.» Phil le rivolse un'occhiata di rimprovero, mentre salivano in macchina. «Non avrebbe dovuto fare questo, Nell.» «Torniamo alla clinica, Phil», disse Tania bruscamente, con espressione glaciale. E Tania non era mai gelida, pensò Nell. Probabilmente, dopo quel giorno non avrebbe mai più voluto vederla. Non si era aspettata di provare quel senso di perdita.
Tornate a Woodsdale, Tania entrò a lunghi passi nella stanza di Nell e tirò indietro il lenzuolo sul letto prima di voltarsi verso Phil. «Sono assetata. Puoi portarci della limonata? Mi assicurerò io che Nell si sdrai a riposare.» Phil annuì. «Certamente.» Non appena la porta si chiuse dietro di lui, Tania si voltò di scatto verso Nell. «Non deve mentirmi mai più.» «Non le ho mentito.» «Mi ha ingannata. È la stessa cosa.» «Immagino che abbia ragione. Avevo una cosa da fare e temevo che lei avrebbe disapprovato.» «Ha assolutamente ragione: disapprovo. Joel non voleva permetterle di uscire dalla clinica e io l'ho persuaso a farlo. Mi ha usata.» «Sì.» «Perché? Che cosa c'era di tanto importante, da dovermi mentire?» «Mi occorrevano delle informazioni. Tanek non voleva darmele, così sono andata in biblioteca.» «E non poteva dirmelo?» «Lei è amica di Tanek.» «Questo non significa che io sia di sua proprietà. Non le è capitato di pensare che ero anche amica sua?» Gli occhi di Nell si spalancarono. «No», mormorò. «Ebbene, avrebbe dovuto. All'inizio sono venuta a trovarla perché Nicholas me l'aveva chiesto, ma da quel momento in poi è stata una mia decisione.» Le sue mani si strinsero a pugno lungo i fianchi. «Sapevo perché Nicholas voleva che venissi. Pensava che lei avesse bisogno di me. Entrambe avevamo subito delle perdite e voleva che le mostrassi com'ero guarita bene. Ebbene, non sono guarita. Non guarirò mai, ma ho imparato a controllarmi. Lo farà anche lei.» «Io mi sto controllando.» «No, Nicholas le ha allungato una carota e lei le sta andando dietro. È un sostituto per l'oggetto reale. Quando non sognerà più, allora saprà di avercela fatta.» Tania sorrise furtivamente, quando vide l'espressione sorpresa di Nell. «Pensa di essere l'unica ad avere mai avuto degli incubi? Il primo anno, dopo la morte di mia madre e di mio fratello, facevo sogni orrendi ogni notte. Sogno ancora, occasionalmente.» Fece una pausa. «Ma non ne parlo.» «Neppure con Joel?» «Lui mi ascolterebbe, tenterebbe di aiutarmi, ma non capirebbe. Non è
mai stato là.» Incontrò lo sguardo interrogativo di Nell. «Ma lei ci è stata. Lei può capire. Avevo bisogno di qualcuno che capisse. Sono venuta perché io avevo bisogno di lei, non perché lei avesse bisogno di me.» Stava dicendo la verità. Nell provò un'ondata di disperazione. «Non posso aiutarla. Non riesce a capire? Non mi è rimasto niente da dare.» «Sì, le è rimasto. Sta già ricominciando a vivere», affermò Tania. «Non accade dall'oggi al domani. È un miracolo lento. Avviene a flussi e riflussi.» Fece un pallido sorriso. «Non le ha fatto piacere, quando ero arrabbiata con lei. Questo è un buon segno.» «Ma lo rifarei, se fosse necessario.» «Perché vuole trovare l'uomo che ha ucciso sua figlia.» «Devo trovarlo. Nient'altro conta.» «Sì, invece, ma non riesce ancora a capirlo. Forse proverei lo stesso sentimento, se il cecchino che ha ucciso mia madre e mio fratello avesse un volto.» Poi Tania aggiunse stancamente: «Nessuno dei soldati aveva un volto, erano solo il nemico». «Ma io ho un volto e un nome.» «Lo so. Joel mi ha detto che Nicholas gliene ha parlato.» Tania scrollò le spalle. «Non poteva fare nient'altro. Joel era molto preoccupato per lei. Nicholas le ha salvato la vita, lo sa?» «No, non lo sapevo.» E non le faceva piacere. «Sono sicura che avesse un motivo. Mi sembra un uomo che non è spinto dall'emozione.» «Emozione? No, ma è profondamente sensibile. Nicholas non è un tipo facile, ma, se si impegna in qualcosa, è un uomo di cui fidarsi. Non ho mai saputo che sia venuto meno alla parola data.» Tania scosse il capo. «Nicholas l'ha portata qui e ha cercato di aiutarla. Perché mostra i denti ogni volta che accenno a lui?» «Mi blocca la strada.» «Allora scoprirà che non è facile spostarlo.» «Devo farlo. Non sono come lei. Il tempo non mi farà dimenticare.» E Nell aggiunse con semplicità: «I miei sogni non se ne andranno, finché Maritz non scomparirà». «Che Dio ci aiuti», disse Tania con un sospiro. «Beh, vuole almeno promettere di non ingannarmi mai più?» Nell esitò, poi annuì lentamente. «Non volevo farlo. Solo, non vedevo alternativa.» «Immagino che non mi dirà se ha saputo qualcosa.» «No. Significherebbe solo sentimenti di lealtà contrapposti. Lei è sempre
amica di Nicholas.» Tania la fissò. «E?» «E mia. Anche amica mia.» Nell sorrise. «Anche se non so perché.» «Allora ho sprecato gli ultimi quindici minuti e una quantità di parole.» Tania tese la mano. «Ma un po' di umiltà non fa male. È vero che la mia amicizia è un premio incomparabile.» Nell provò una breve ondata di disagio mentre fissava la mano tesa di Tania. Amicizia. L'amicizia significava impegno. Dedizione. Complicità. Passo dopo passo, lei veniva strappata al vuoto che poteva servirle per fare ciò che doveva essere fatto. Il sorriso di Tania svanì e lei disse con voce esitante: «Non è facile chiedere per me. Ho bisogno di qualcuno 'che sappia'». Lentamente Nell tese la mano a stringere la sua. Tania non se ne andò che dopo un'ora. Poi Nell dovette finire la cena che Phil le aveva portato, prima di potere guardare i tabulati del computer. Mezz'ora più tardi abbassò l'ultimo foglio. Nessun processo, nessun arresto, nessun accenno ad attività criminali. Il New York Times ne parlava come di un uomo d'affari e filantropo europeo, mentre l'articolo del Time si dilungava sul suo castello e sui suoi vigneti di Bellevigne. Gardeaux era uno degli uomini della nuova guardia, che si era arricchito grazie ai suoi investimenti in Cina e a Taiwan ed era diventato viticoltore solo cinque anni prima. L'articolo di Sports Illustrated non aveva niente a che vedere con i vigneti, ma tutto a che fare con il castello di Bellevigne. Riguardava l'annuale torneo di scherma, che si svolgeva a Bellevigne nella settimana tra Natale e il nuovo anno e che culminava nella notte di Capodanno. Un passo indietro nel tempo, in cui agli ospiti veniva chiesto di indossare abiti rinascimentali per l'intera settimana. Gli incassi venivano devoluti a diverse opere di carità. Alla fine dell'articolo c'era un breve accenno alla preziosa collezione di spade antiche di Gardeaux. Filantropo, influente uomo d'affari, collezionista, sportivo. Nessun accenno ad assassini, droga o corruzione. Nessuna indicazione che quell'uomo potesse assumere uno come Maritz per mandarlo a uccidere. L'uomo di quegli articoli era forse il Gardeaux sbagliato? Aveva accumulato la sua fortuna in Cina e a Taiwan. Tanek era cresciuto a Hong Kong. Un debole collegamento, nel migliore
dei casi. Nell cacciò di nuovo gli articoli nella borsa. Non era abbastanza. Non poteva essere sicura. Aveva bisogno di Tanek. Ancora un minuto. Nell accelerò il passo sulla pedana mobile, respirando con la bocca, come Phil le aveva insegnato. Aveva scoperto che, se si poneva un traguardo di solo un minuto alla volta, poteva resistere più a lungo quando esauriva le forze. Il cuore le batteva veloce e il sudore le inondava la faccia. Ancora un minuto. «Se può dedicarmi un momento, avrei piacere di parlarle.» Nell diede un'occhiata all'uomo fermo sulla porta della palestra. Non era un infermiere o un dottore, giudicò. Era basso di statura, tarchiato, con capelli ricci che stavano diventando grigi. Indossava un abito grigio, una camicia a righe e mocassini. Probabilmente era uno dell'amministrazione che controllava il pagamento, ora che lei era quasi ristabilita. «Può aspettare? Ho quasi finito.» «La sto osservando da quindici minuti, Direi che dovrebbe aver finito, ormai.» Forse era un dottore. Nell non voleva che si lamentasse con Joel perché lei stava esagerando. «Ha ragione.» Sorrise e scese dalla pedana. «Ma, se vuole parlarmi, dovrà camminare con me. Phil dice che non devo riposarmi prima di essermi raffreddata.» «Ah, sì, Phil Johnson. Mi è sembrato di vederlo nell'atrio.» L'uomo fece una smorfia. «Sfortunatamente, anche lui mi ha visto, quindi non potrò restare a lungo con lei.» «Oh, non badano più ai visitatori.» Nell si mise a camminare veloce. «Sto quasi bene.» «Meravigliosamente bene.» L'uomo si mise al passo con lei. «Lieber ha fatto uno splendido lavoro. Non l'avrei mai riconosciuta dalla sua fotografia.» «Joel le ha mostrato la mia fotografia?» «Non esattamente.» Nell provò una fitta di disagio. Il suo passo rallentò, mentre gli lanciava un'occhiata. «Lei chi è, esattamente?» «La domanda è: chi è lei?» «Nell Calder», disse lei con tono impaziente. «Se ha visto la mia fotografia o la mia cartella, dovrebbe saperlo.»
«Non lo sapevo, ma lo sospettavo. È per questo che mi sono avventurato nel territorio inviolabile di Lieber.» Diede un'occhiata in giro per la palestra. «Un posto fantastico. La moglie del Presidente si è fatta davvero fare il lifting qui?» «Non ne ho idea. Né m'importa. Chi è lei?» L'uomo le rivolse un sorriso affascinante. «Joe Kabler, della DEA.» Nell attese. «Tanek non le ha mai parlato di me?» «Non siamo in rapporti confidenziali. Siete amici?» «Condividiamo un reciproco rispetto e alcuni obiettivi comuni», disse lui. «Ma io non vanto criminali come amici.» Nell si mobilizzò. «Criminali?» «Santo cielo, l'ha tenuta all'oscuro. Che cosa le ha detto di sé?» «Che si è ritirato dagli affari. Che trattava oggetti di valore.» Kabler ridacchiò. «Oh, sì, senza dubbio. Ogni genere di oggetti di valore. Documenti ufficiali, informazioni, oggetti d'arte. È stato a capo di un'organizzazione criminale, che ha creato molti fastidi alle autorità di Hong Kong per parecchi anni.» Kabler si strinse nelle spalle. «Non trattava droga, così non ci siamo mai scontrati. A proposito, dov'è?» «Non ne ho idea.» Lui le studiò la faccia. «Credo che lei dica la verità.» «Perché dovrei mentire? Lui possiede un ranch nell'Idaho, forse dovrebbe cercarlo là.» «Sono andato a trovarlo sei mesi fa. Entrare nell'area che circonda quel ranch fa sembrare facile introdursi in questa clinica.» E aggiunse: «Inoltre, non c'è fretta, ora che so che non l'ha eliminata». Quelle parole vennero pronunciate in modo tanto noncurante, che la colsero di sorpresa. «Pensava che mi avesse uccisa?» «Avevo il dubbio, ma Tanek non è mai prevedibile.» Kabler sorrise. «Così ho pensato di venire a vedere di persona che cosa stesse succedendo. Ma, evidentemente, lei sta benissimo.» «Benissimo», ripeté Nell con aria assente. «Perché avrebbe dovuto anche solo sospettarlo?» «Perché lui è Nicholas Tanek e si trovava a Medas quando non aveva niente da fare là. Poi ho sentito che l'aveva portata via in tutta fretta e che non voleva permettermi di parlarle.» «Non sapevo che lei volesse parlarmi.» Nell esitò. «Che cosa sa di Philippe Gardeaux?»
«Era quello che stavo per chiederle.» «Niente. Tranne che Tanek ha detto che è stato lui a ordinare l'attacco a Medas e che i suoi uomini hanno ucciso mia figlia e mio marito.» Il volto di Kabler si addolcì. «Deve pensare che io sia molto insensibile. Mi dispiace, signora Calder. So come deve sentirsi. Anch'io ho tre bambini.» Non lo sapeva. Non era successo a lui. «Ma è d'accordo che non sia stato un attacco di terroristi, a Medas?» Lui esitò. «C'è una possibilità che possa essere stato Gardeaux.» «Perché avrebbe dovuto darmi la caccia? Non ho mai incontrato quell'uomo.» «Ne convengo, non sembra che abbia molto senso. Non riusciamo a trovare alcun collegamento tra voi due. Abbiamo concluso che lei deve essersi trovata nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Kavinski era l'obiettivo più logico. Deve aver pestato i piedi a Gardeaux in qualche occasione. Lei occupava uno degli appartamenti più belli del palazzo. Forse Gardeaux ha confuso il suo appartamento con quello di Kavinski.» «Ma Kavinski si trovava di sotto.» «Spesso Gardeaux ha dei piani di riserva.» Kabler aggiunse adagio: «Temo che lei si sia solo trovata sulla sua strada». «Questo Gardeaux è lo stesso che possiede Bellevigne?» Lui annuì. «Allora, perché non fa qualcosa al suo riguardo? Se sapete ciò che fa, perché non potete fermarlo?» «Stiamo tentando, signora Calder. Non è facile.» «Sembra che nessuno sappia neppure quello che è», disse Nell, e aggiunse convulsamente: «Tanek ha detto che, anche se quegli assassini venissero processati, non verrebbero condannati. È vero?» Kabler esitò. «Spero di no.» Era vero, pensò Nell ammutolita. Gli innocenti potevano venire uccisi e i mostri potevano andarsene liberi. «Non mi arrenderò mai, se questo può esserle di conforto», disse Kabler. «Combatto questa feccia da ventiquattro anni e continuerò a farlo per i prossimi cinquanta.» Chiaramente Kabler era un uomo onesto e determinato, ma quello non cambiava il fatto che stesse perdendo la battaglia. «Non mi è di conforto. Mia figlia è morta.» «E Tanek le ha promesso che Gardeaux pagherà?»
Lei non rispose. «Non gli permetta di usarla. Farebbe di tutto per prendere Gardeaux.» Nell sorrise senza allegria, ricordando che aveva supplicato Tanek di usarla. «Non ha alcuna intenzione di usarmi, mi creda.» Kabler scosse il capo. «Un accidente, che non ce l'ha. Tanek userebbe il diavolo in persona, se questo gli portasse Gardeaux.» Le diede un biglietto di visita. «Ho detto ciò che dovevo dire. Se le occorrerà aiuto, mi chiami.» «Grazie.» Nell rimase a guardarlo dirigersi alla porta. Kabler si fermò e si voltò a guardarla. «Oh, e riesco anche a capire come abbia falsificato la documentazione al St. Joseph. Phil Johnson sarebbe abbastanza abile da introdursi nel conto di una banca svizzera, se ne avesse il tempo. Ma potrebbe chiedere a Tanek come sia riuscito a far contraffare i documenti della sua cremazione all'agenzia di pompe funebri Birnbaum.» «Devo parlarle, Joel», disse brusca Nell al telefono. «Subito.» «Non si sente bene? Probabilmente ha esagerato. Avevo detto a Tania che lei prendesse...» «Mi sento bene. Devo parlarle», e riagganciò. Joel entrò nella sua stanza un'ora più tardi. «Mi voleva? Allora, eccomi.» «Perché diavolo la mia documentazione al St. Joseph dice che sono morta il 7 giugno?» «L'ha scoperto.» Joel sospirò. «Io non c'entro in questa storia. Nicholas ha deciso che sarebbe stata più sicura, se tutti avessero pensato che lei era morta.» «Così mi ha cancellata dalla faccia della terra. Altro che carte di credito! Ho chiamato la mia vecchia banca e loro mi hanno informata che ero deceduta.» Nell lo fissò. «E lei sapeva che sarebbe potuto accadere. È per questo che mi ha dato quel mucchio di banconote, quando Tania e io siamo andate in città la settimana scorsa. E io a dirle che non avevo le carte di credito con me. Per quanto tempo intendeva lasciar andare avanti le cose, prima che qualcuno me lo dicesse?» «Avrei lasciato a Nicholas questo onore. Sono stanco di subire i contraccolpi delle sue azioni.» Rimase un momento in silenzio. «Come l'ha scoperto?» «Un uomo di nome Kabler è venuto a trovarmi.» «Kabler? Qui?» Joel emise un basso fischio. «Mi chiedo come abbia superato il servizio di sicurezza.»
«Non lo so e non m'importa. Perché ha accettato di farlo? Tanek può credere di essere al di sopra delle regole, ma pensavo che lei fosse più responsabile.» «L'ho fatto, perché era giusto.» Sollevò una mano per bloccare le sue proteste. «Lei stava molto male. Io non volevo che Kabler la infastidisse e Nicholas pensava che potesse essere ancora in pericolo. Non è un rimedio che io avrei usato, ma è stato efficace.» «Oh, sì, Tanek è certamente efficace. Che genere di procedura devo seguire, per riavere indietro la mia vita?» «È sicura di volerlo fare?» «Naturale che lo voglio.» «Può esserci ancora pericolo.» «Non posso neppure accedere al denaro sufficiente a pagarla.» Lui sorrise allegramente. «Allora lasci che lo faccia Tanek. Se lo merita.» «Non voglio dipendere da lui.» «Allora sarò suo creditore, finché questo pasticcio non sarà sistemato.» L'ira di Nell nei suoi confronti si placò. Non aveva alcun dubbio che l'istigatore di quel pasticcio fosse stato unicamente Tanek. Sempre e solo Tanek. Joel era un uomo dabbene, che tentava di fare ciò che era meglio per lei. «Grazie, Joel. Ma sa che non posso farlo. Dovrò chiamare il mio legale e vedere se riesco a convincerlo a liberare una parte del mio fondo fiduciario.» «Ci rifletterà per qualche giorno? Non c'è fretta. Non sarà pronta per essere dimessa fino alla prossima settimana. Voglio fare ancora qualche radiografia per assicurarmi che le ossa si siano saldate bene.» «Sono qui da oltre tre mesi. Pensavo che tenesse solo i suoi pazienti importanti, fino a che fossero completamente guariti.» «E quelli che non hanno un posto dove andare.» Il sorriso di Nell svanì. Nessun posto dove andare. Nessuno da cui tornare a casa. Solo solitudine. «Il che mi porta a parlare di una cosa di cui Tania e io abbiamo discusso ien sera. Ci farebbe piacere che lei venisse a stare con noi, quando se ne andrà di qui. Le darebbe l'opportunità di orientarsi.» Nell scosse subito il capo. «Non è obbligato a...» «Non sono obbligato a fare niente.» Joel sogghignò. «Ma lei terrà occupata Tania e questo sarà una manna. Mi rende insopportabile la vita, quando può concentrare tutta la sua attenzione su di me. Le saremmo grati, se
lei venisse.» Un'ondata di sollievo la sommerse. Il pensiero di stare in una stanza impersonale d'albergo, mentre cercava di elaborare un piano, l'aveva angosciata. «Allora per un giorno o due. Grazie.» «Bene. Dunque dirò a Tania che non è necessario che venga a tormentarla.» Joel si alzò in piedi. «Adesso dorma un po'. Devo prescriverle qualcosa per aiutarla?» «No.» I farmaci l'avrebbero fatta dormire profondamente e il sonno portava sempre sogni con sé. Se invece il sonno era leggero, a volte riusciva a sottrarsi a essi risvegliandosi. «Starò bene.» Non si addormentò che molto tempo dopo che Joel se n'era andato. La sua rabbia si stava lentamente dileguando. Lo choc di apprendere che era stata ritenuta morta aveva suscitato risentimento in lei, come se Tanek l'avesse spogliata della sua storia personale, le fondamenta che la rendevano ciò che era. Oppure quelle fondamenta le erano già state strappate? Lei non era più la donna di Medas, e neppure la bambina cresciuta nella Carolina del Nord. Joel le aveva chiesto di pensarci. D'accordo, consideriamo le conseguenze. E se tutti avessero pensato che era morta? In apparenza sarebbe stato un disastro. Non avrebbe avuto più una carta di credito, una patente di guida, un passaporto. Non avrebbe potuto toccare il denaro che sua madre le aveva lasciato, quindi sarebbe stata completamente senza fondi. E personalmente? Non era che avrebbero sentito la sua mancanza. Non aveva più una famiglia e aveva perso traccia degli amici che si era fatta all'università, quando aveva sposato Richard. Da quel momento lui aveva dominato la sua vita e lei non aveva avuto tempo di formarsi altri legami. Dunque, essere sola poteva essere un vantaggio. Avrebbe potuto muoversi più liberamente, se tutti avessero pensato che era morta. Anche la minaccia di essere ancora un bersaglio avrebbe dovuto attenuarsi. «Se» era mai stata un bersaglio. Forse Kabler aveva ragione: lei si era trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Niente altro aveva senso. Ma Tanek non pensava che il caso avesse nulla a che fare con la sua aggressione. Perché avrebbe dovuto credere a Tanek e non a Kabler? Tanek era un criminale e Kabler era un rispettabile funzionario dello Stato. La risposta doveva trovarsi in quell'irresistibile aureola di tranquilla sicurezza che cir-
condava Tanek. Avrebbe dovuto ignorarla e dare ascolto alle spiegazioni più ragionevoli di Kabler. Ma non poteva ignorarla. Perché lei credeva a Tanek. Che cosa le importava che fosse un criminale? L'unica cosa che aveva importanza era che sapeva tutto di Gardeaux e di Maritz, e poteva aiutarla ad arrivare a loro. Poteva essere ancora meglio per lei, che Tanek fosse un criminale. Lui non si preoccupava della legge o delle regole a cui era vincolato Kabler. Le offriva ciò che Kabler le aveva detto essere impossibile. Punizione. «Kabler è stato qui oggi», disse Joel al telefono. «È arrivato a Nell?» chiese Nicholas. «Stando a Phil, l'ha intrappolata nella palestra. Kabler le ha detto che non era più tra i vivi.» «E la sua reazione?» «Mi ha dato una bella sgridata. Vuole iniziare la procedura per tornare dall'aldilà.» «Dissuadila dal farlo.» «Lo lascerò fare a te. Farai meglio a essere qui nel giro di tre giorni. Sto per dimetterla.» «Ci sarò.» «Come, nessuna obiezione?» «Perché dovrei obiettare? Sapevo che avrei dovuto combattere con lei. Speravo solo che il tempo attenuasse la sua determinazione.» «Allora hai una sorpresa in arrivo. Tania dice che lei è... Beh, lo vedrai da te.» Joel fece una pausa, prima di aggiungere in tono scherzoso: «A proposito, forse dovrò sostituire il tuo Junot come capo del servizio di sicurezza. Evidentemente ha fatto un lavoro molto inadeguato nel tenere Kabler fuori dalla clinica». «Gli ho detto io di lasciarlo entrare.» «Che cosa?» «Kabler è un uomo scaltro. Sapevo che c'era la possibilità che non fosse convinto della morte di Nell e che facesse il collegamento tra il St. Joseph e la tua clinica a Woodsdale. Avevo detto a Junot che, se Kabler si fosse fatto vedere, non avrebbe dovuto essere intercettato.» «Perché mai?» «Avevamo più da perdere che da guadagnare. Nell stava abbastanza bene da sopravvivere a un interrogatorio e Kabler ha istinti da segugio. Una volta che si mette sulle sue tracce, non si ferma finché non costringe la
preda a rifugiarsi su di un albero. Lasciandogli credere di essere riuscito a superare il servizio di sicurezza di Junot, lo abbiamo fatto sentire con la situazione in pugno. Ha braccato Nell e ha ottenuto ciò che voleva. Adesso la lascerà stare.» «E se avesse deciso di portarla via dalla clinica?» «Ebbene, allora Phil e Junot lo avrebbero fermato.» Il tono di Nicholas era gentile. «In modo discreto, naturalmente.» «Naturalmente», disse Joel caustico. «Immagino che non ti sia venuto in mente di mettermi al corrente di ciò che avevi programmato. Si tratta solo della mia clinica e del mio servizio di sicurezza.» «Perché farti preoccupare? Avrebbe potuto non succedere. Kabler avrebbe potuto prendere per buona la morte di Nell. Inoltre, Junot era molto seccato anche solo di dover fingere che il suo sistema potesse essere violato. Nobilmente, ho deciso di prendere tutta la responsabilità sulle mie spalle.» Joel sbuffò. «Mi rifiuto di lasciarti calunniare le mie buone ragioni», disse Nicholas. «Ora riattacco. Ci vediamo fra tre giorni.» 6 Nell non era nella sua stanza, quando Nicholas arrivò alla clinica. «Si sta allenando in palestra», disse Joel alle sue spalle. «Andiamo, ti porterò da lei.» Nicholas si voltò. «Pensavo che stesse preparandosi ad andare via. Ho capito male il giorno?» «Le ho detto che l'avrei dimessa a mezzogiorno. Non ha intenzione di sprecare tempo ciondolando in giro, quando può passarlo allenandosi. La palestra non è stata più usata tanto da quando venne qui quella ginnasta russa.» Nicholas lo seguì fuori dalla stanza. «Come sta?» «Fisicamente non potrebbe stare meglio. Mentalmente...» «Sì?» Joel si strinse nelle spalle. «Si comporta in modo normale. Ha anche cominciato a scherzare con Phil, di quando in quando. Se ha crisi di depressione, non lo lascia trapelare.» «Neppure con Tania? Mi avevi detto che erano intime amiche.» «Non per quello che ne so.»
«Ma hai paura che stia tenendo tutto dentro di sé?» «Senza dubbio, ma non c'è niente che possa fare per impedirlo. Dobbiamo solo sperare che non vada in pezzi al momento sbagliato.» Diede un'occhiata a Nicholas. «Non hai ancora visto la mia opera. Penso che approverai.» «So che lo farò. Hai sempre fatto degli ottimi lavori.» «Ma Tania dice che Nell è eccezionale. Naturalmente, in realtà, fa un complimento a se stessa.» Joel aprì la porta della palestra. «È stata lei a darmi la traccia.» Nell era sola nell'enorme sala, la schiena rivolta verso di loro, mentre si sollevava sulle braccia alla sbarra di legno, sulla parete opposta. Indossava pantaloncini corti bianchi e una maglietta larga. Sembrava più alta di quanto Nicholas ricordasse. No, non più alta. Più raffinata, più snella, più forte. Non li aveva sentiti entrare e Nicholas poteva avvertire una concentrazione quasi tangibile, mentre lei si sollevava e si abbassava. «Cristo, è sempre così tesa?» chiese Nicholas a bassa voce. «No, la maggior parte del tempo lo è di più. Deve avere preso un giorno libero.» Joel alzò la voce. «Nell.» «Un momento», gridò lei. Terminò la serie di esercizi e si lasciò cadere agilmente dalla sbarra. Poi si voltò verso di loro con il suo nuovo volto. Nicholas inspirò bruscamente. «Che diavolo di traccia ti ha dato Tania?» borbottò. «Elena di Troia. Indimenticabile, ma vulnerabile.» Joel sorrise con soddisfazione, mentre osservava Nell venire verso di loro. «Ho fatto un buon lavoro, vero?» «Buono? Potresti avere appena creato un mostro.» «Non credo che abbia avuto alcun effetto psicologico nocivo. Sembra che non significhi molto per lei. Tania ha detto che le occorreva un volto che le aprisse nuove porte.» «Dipende da ciò che ci sarà dall'altra parte di quelle porte.» Nicholas fece un passo avanti incontro a lei. «Salve, Nell. Mi sembra in ottima forma.» Nell prese l'asciugamano infilato nei pantaloncini e si asciugò il sudore dalla faccia. «Lo sono. Divento più forte ogni giorno che passa.» Si voltò verso Joel. «Non mi aveva detto che sarebbe venuto.» «Desidera parlarle.» Joel sorrise. «E lei ha fatto abbastanza per questa mattina.» Si voltò, dirigendosi alla porta. «Ci vediamo dopo pranzo.» «Anch'io desideravo parlarle», disse Nell, non appena la porta si richiuse
dietro a Joel. «Il signor Kabler è stato qui.» «Lo so. Joel me lo ha detto. L'ha disturbata?» «No, è stato molto gentile. Non mi ha neppure rivolto molte domande.» Nicholas provò un attimo di sorpresa. «No? È strano. Di solito Kabler scava come un furetto.» «Sembrava volesse rassicurarsi che lei non mi avesse uccisa.» Nell fece una pausa. «E avvertirmi che lei era un criminale di cui non ci si può fidare.» Nicholas inarcò un sopracciglio. «Davvero?» «Non m'importa se lei è un criminale, ma è importante sapere se posso fidarmi di lei. Tania dice che mantiene sempre la parola. È vero?» «Sì.» Nicholas fece un lieve sorriso. «Ma non mi attribuisca false virtù. Ho sempre giudicato l'onestà un buon affare come un altro.» «L'onestà?» «La mia versione. Mantengo la mia parola e gioco secondo le regole della partita in corso. È importante che tutti sappiano dove stanno, con me.» «E dove sto io, con lei?» Nell incontrò il suo sguardo. «Non è un filantropo, tuttavia si è preso il disturbo di portarmi qui. Ha anche cercato di pagare i miei conti. Potrebbe avere senso, se pensasse che posso esserle utile, ma lei ha rifiutato il mio aiuto.» «Non ho bisogno del suo aiuto.» «Ebbene, io ho bisogno del suo», disse lei bruscamente. «Forse bisogno è una parola un po' troppo forte. Se lei non mi aiuterà, troverò ugualmente un modo, ma farei più in fretta se lei mi appoggiasse.» Nicholas era di nuovo cosciente di quella terribile tensione che lei emanava. «Lo sa di quanti uomini si circonda Gardeaux?» «So che uno di loro è Maritz.» «Che ha ucciso più uomini di quanti egli stesso riesca a ricordare. No, ritiro ciò che ho detto. Li ricorda tutti, perché ci gode. E poi c'è Rivil, che ha ucciso la sua stessa madre perché gli aveva proibito di raggiungere una banda di adolescenti a Roma. Ken Brady si considera un grande amante. Sfortunatamente, non solo gli piace fottere le donne, gli piace anche fare loro del male. Gardeaux ha dovuto sborsare una notevole somma per impedire che lo mettessero in prigione per molto tempo, quando lui ha deciso di tagliare i capezzoli alla sua ultima amante.» «Sta cercando di impressionarmi?» «Dannazione. Sto cercando di dimostrarle che è al di sopra delle sue capacità.»
«Lei mi sta dimostrando solo di conoscere molto bene Gardeaux e i suoi uomini. Vuole dirmi qualcos'altro di loro?» Nicholas la fissò, esasperato. «No.» «Allora dovrò fare da sola. Ho già scoperto qualcosa a proposito di Gardeaux e di Bellevigne.» «Kabler?» «No, sono andata in biblioteca e ho consultato il Nexis.» «Dunque, è per questo che faceva domande a Phil sui computer. Sarà deluso che lei lo abbia usato. Ha simpatia per lei.» «Anche lui mi piace. Ma avevo bisogno di sapere.» Nell si avviò lungo il corridoio. «Devo fare la doccia e vestirmi. Tania verrà a prendermi tra un'ora, per portarmi a casa di Joel.» Congedato. Non le serviva più, quindi lo stava licenziando. Nicholas scoprì di provare un misto di fastidio e di divertimento. La seguì. «Starà da Joel? Lui non me lo aveva detto.» «Solo per pochi giorni.» Poi si sarebbe diretta a Bellevigne, dritta tra le braccia di Maritz. «Sa colpire un bersaglio con la pistola?» «No.» «Sa usare un pugnale?» «No.» «Karate? Choi Kwang-do?» «No.» Nell si girò bruscamente verso di lui, gli occhi che fiammeggiavano. «Sta cercando di farmi capire che non sono all'altezza? So bene di non esserlo. Mentre lottavo con Maritz, ho dovuto gettargli addosso una lampada. Non mi sono mai sentita tanto impotente in vita mia. Mentre lottavamo sul balcone, non ha avuto difficoltà a gettarmi oltre il parapetto. Adesso ne avrebbe. Sto diventando ogni giorno più forte. E, se la forza non basterà, allora imparerò qualunque cosa sia necessaria.» «Non da me», disse Nicholas con aria cupa. «Allora troverò qualcun altro.» «Non le stavo suggerendo di trasformarsi in una specie di agente d'assalto. Tentavo di dimostrarle come sarebbe inutile per lei mettersi contro Gardeaux.» «Me lo ha dimostrato. Non si preoccupi, non le chiederò più niente.» Fece per voltarsi, poi si fermò. «Tranne una cosa. Sa dove sono sepolti mia figlia e mio marito?» «Sì, credo che la madre di suo marito abbia chiesto che i resti fossero ri-
portati nel luogo di nascita di lui, a Des Moines, nell'Iowa.» «Anche Jill?» «Sì. Sembra sorpresa.» «A Edna Calder non importava nulla di Jill. Richard era tutto il suo mondo e non c'era spazio per nessun altro.» «Neppure per lei?» «Per me in modo particolare.» Nell fece una pausa. «Sa in quale cimitero sono...» Si interruppe e dovette ricominciare. «Voglio visitare le tombe. Sa dove sono?» «Posso scoprirlo», disse lui. «Ma non sono sicuro che sia una buona idea.» «Non m'importa quello che pensa», disse Nell con violenza. «Questi sono affari solo miei. Non ho avuto la possibilità di dire loro addio. Devo farlo, prima di fare qualsiasi altra cosa.» Nicholas la studiò. «Allora è quello che faremo.» Si voltò. «Si vesta. Farò le prenotazioni per l'aereo e dirò a Joel che la consegnerò a Tania.» Lei lo fissò, presa alla sprovvista. «Adesso?» «È solo un breve vola da qui. Ha detto che doveva andarci.» «Ma lei non è costretto a venire con me.» «No, non sono costretto, vero?» Si allontanò da lei. «Farò qualche telefonata e verrò a prenderla tra un'ora.» GIARDINI DELLA PACE ETERNA. L'insegna ornata di arabeschi formava un arco tra i pilastri in pietra dell'ingresso del cimitero. Perché i cimiteri usavano sempre archi? pensò Nell, apatica. Probabilmente, per richiamare alla mente il cielo e le porte del Paradiso. «Si sente bene?» chiese Nicholas, mentre superava i cancelli con la macchina a noleggio. «Sì.» Era una bugia. Sapeva di doverlo fare e aveva sperato che l'intontimento l'aiutasse. Ma non era successo. Sembrava uno dei suoi incubi. Crudo. Terribile. Inevitabile. Nicholas si fermò davanti all'edificio del custode. «Resti qui. Tornerò subito.» Andava a cercare di scoprire dove fossero situate le tombe. Jill. Tanek stava risalendo in macchina. «Appena superata la salita.» Pochi minuti dopo la guidava in mezzo alle tombe. Si fermò davanti a
una lapide di bronzo. «Qui.» JILL MEREDITH CALDER. Su, su,'su, saliam nel profondo cielo blu... La mano di Tanek afferrò Nell per il gomito mentre lei vacillava. «Lei non è qui, dannazione», disse Nicholas con violenza. «È nel suo cuore e nei suoi ricordi. Quella è la sua Jill. Lei non è qui.» «Lo so.» Nell deglutì. «Può lasciarmi andare. Non sverrò.» Raddrizzò le spalle e fece qualche passo verso un'altra lapide più grande, più ricercata. RICHARD ANDREW CALDER ADORATO FIGLIO DI EDNA CALDER. Nessun accenno a Nell o a Jill. Nella morte Edna aveva reclamato suo figlio. Non che l'avesse mai perduto. Lui non era mai realmente appartenuto a Nell. Addio, Richard. «Una grande quantità di fiori», commentò Nicholas. La tomba di Richard era coperta di mazzi di fiori di ogni genere immaginabile. Mazzi freschi. Lo sguardo di Nell si spostò sulla tomba di Jill. Niente. Dannazione a te, Edna. Gli occhi di Nicholas erano fissi sul suo viso. «Una nonna non molto affettuosa.» «Non è sua nonna.» Non avrebbe permesso che quella strega vantasse alcun diritto su Jill. «Jill non era figlia di Richard.» Nell si voltò, allontanandosi dalle tombe. Addio, Jill. Mi dispiace. Sono stata costretta a lasciarti nelle sue mani, piccola. Mi dispiace per tutto. Dio, mi dispiace. «Voglio fiori sulla sua tomba tutte le settimane», disse, con voce convulsa. «Una montagna di fiori. Vuole occuparsene lei, Tanek?» «Lo farò.» «Non ho molto denaro in questo momento. Dovrò contattare i legali di mia madre e vedere se posso...» «La smetta», rispose lui in tono rude. «Ho detto che me ne occuperò io.» La sua rudezza era confortante, mentre la gentilezza non lo sarebbe stata. Non aveva bisogno di fingere, con Tanek. «Voglio andarmene di qui. C'è un volo di ritorno, questa sera?»
«Ho già prenotato due posti sul volo notturno.» «Pensavo che saremmo rimasti fino a domani mattina.» «Non se fossi riuscito a farla andare via di qui prima. Gli addii sfiancano. È per questo che non uso più questa parola. Sapevo che questo era un errore.» «Si sbaglia. Dovevo farlo.» Gradualmente l'ira svanì dall'espressione di Tanek. «Forse doveva», disse stancamente, aprendo la portiera della macchina. «Che diavolo ne so io?» Ritornarono a Minneapolis dopo mezzanotte e qualcuno li attendeva al cancello. «Jamie Reardon, Nell Calder», presentò Nicholas. «Grazie per esserci venuto incontro, Jamie.» «Non c'è di che.» Il suo sguardo stupito era fisso sul volto di Nell. «Ah, ma lei è una vera bellezza!» Il suo accento irlandese era rassicurante quanto i suoi lineamenti ruvidi. Nell sorrise. «Non una vera e propria bellezza. È una gentile concessione di Joel Lieber.» «Ci si avvicina abbastanza.» Reardon si mise al passo con loro. «Se entrasse un attimo nel mio pub, sono sicuro che i ragazzi si metterebbero a comporre poesie su di lei.» «Poesie? Pensavo che la poesia fosse un'arte caduta in disuso.» «Non per gli irlandesi. Dateci un pizzico d'ispirazione e noi creeremo un poema da infiammare l'anima.» Poi Reardon si rivolse a Nicholas: «Ho ricevuto una telefonata dal nostro uomo a Londra. Forse ha qualcosa per noi. Ha detto che vuole che tu lo chiami». «Subito.» Nicholas attraversò la porta che dava nel parcheggio. «Dobbiamo accompagnare Nell a casa di Joel Lieber.» «Non questa sera», disse lei. «È troppo tardi e non mi aspettano fino a domani mattina. Andrò in un albergo.» Nicholas annuì. «Le procureremo una stanza nel nostro.» «Non importa.» Londra. Probabilmente avrebbe dovuto interrogare Tanek circa la telefonata. No, era troppo esausta. Comunque dubitava che lui le avrebbe risposto. «Il vostro albergo andrà bene. Grazie.» Jamie aprì la portiera della macchina. «Ha l'aria un po' stanca. Dovemmo farla riposare in un buon letto il prima possibile.» «Sono stanca.» Nell sorrise con uno sforzo. «Grazie per esserci venuto a
prendere a un'ora così scomoda, signor Reardon.» «Jamie», la corresse lui. «Non è stato affatto un disturbo. Cerco sempre di passare a prendere Nicholas. A lui non piacciono i taxi. Non si sa mai chi li guida.» Un brivido attraversò Nell. Che razza di vita doveva essere, in un mondo in cui tutti erano sospetti? «Capisco.» Nicholas le gettò un'occhiata. «No, lei non capisce. Non ne ha la più pallida idea.» C'era tanta ferocia trattenuta in quelle parole, che la fece trasalire. Nessuna discussione. Non pensava di riuscire a sopportare uno scontro in quel momento. Nell si abbandonò all'indietro sul sedile e chiuse gli occhi. «Non ho voglia di parlare, se non vi dispiace.» «Così educata. Anche Gardeaux ha modi eccellenti. Userà tutte le parole giuste e poi dirà a Maritz di tagliarle la gola.» «Nick, non mi sembra che sia...» disse Jamie. «Non credi di poter aspettare un po'?» «No», disse bruscamente Nicholas. Si stava comportando da codarda. Nell si costrinse a sollevare le palpebre. «Dica qualunque cosa vuole dire.» Lui la fissò un momento. «Più tardi», disse, voltandosi a guardare fuori dal finestrino. Nicholas provvide a procurarle una stanza a tre porte di distanza dalla suite che divideva con Jamie. Dopo avere aperto la sua portiera, Jamie si voltò verso di lei con un sorriso. «Le auguro di fare una buona dormita. Sfortunatamente, dubito di farla io. Proverò le rime della poesia. La deporrò ai suoi piedi domani mattina.» «Si sta solo dando un tono», disse Nicholas, spingendola gentilmente lungo il corridoio. «Sarà addormentato nel giro di dieci minuti.» «È senz'anima», sospirò Jamie, aprendo la porta. «A furia di dormire con le pecore e altre volgari creature.» Nell sorrise. «Buonanotte, Jamie.» Nicholas aprì la sua porta e la precedette nella stanza. Fece un rapido giro d'ispezione, accendendo le luci con uno scatto e regolando a dovere il termostato. «Ha pranzato, prima di lasciare la clinica?» «No.» Andò al telefono e compose un numero. «Minestra di verdura, latte, frutta.» La guardò. «Nient'altro?»
«Non ho fame.» «È tutto.» Nicholas le sorrise malizioso, mentre rimetteva a posto il ricevitore. «Ma mangerà comunque. Perché si indebolirà, se non mangia in modo adeguato. Non è la forza la sua religione, di questi tempi?» «Sì, mangerò. Vuole andarsene, ora?» «Dopo che l'addetto al servizio in camera se ne sarà andato.» Lei sorrise debolmente. «Non si sa mai nemmeno chi spinge il carrello?» Nicholas non rispose. Nell si guardò in giro, perlustrando la grande stanza raffinata. Tappeto grigio, un elegante divano a strisce dorate e verde scuro, tende di damasco dorato alle porte-finestre che davano sul balcone. Balcone. Sentì Nicholas trattenere il fiato dietro di lei. «Ho dimenticato che tutte le stanze su questo lato hanno balconi. Vuole che le faccia cambiare camera?» Oh, Dio, non era pronta per quello, dopo la giornata che aveva avuto. Aveva voglia di piangere e di nascondersi sotto le coperte. Ma non poteva farlo. Aveva finito di nascondersi. «No, naturalmente no.» Si fece coraggio e si diresse verso le porte a vetro. «Si aprono?» «Sì.» «Sono stata in molte camere d'albergo in cui le porte vengono tenute chiuse. Immagino che dovrebbero impedire alla gente di avere incìdenti. Ma questo era una di quelle cose che faceva infuriare Richard.» Nell parlava in fretta, dicendo qualunque cosa per impedirsi di pensare a ciò che si trovava al di là di quelle porte. «Lui amava la vista dai balconi. Diceva che lo eccitava.» «Probabilmente li collegava con Perón o con Mussolini, che salutavano il popolino.» «Questo non è gentile.» «Non mi sento gentile. Dannazione, stia lontana da quelle...» Nell aprì le porte e il vento pungente le sferzò la faccia. Non era come a Medas, si disse. Quel balcone era piccolo e funzionale. E neppure la vista era come quella di Medas, non c'erano scogli o frangenti spumeggianti. Si avvicinò d'un passo all'alta ringhiera e guardò le luci e le macchine, che fluttuavano come lucciole, lontano sotto di lei. Due minuti. Si sarebbe data due minuti e poi si sarebbe concessa di lasciare il balcone.
Il carillon stava suonando. Giù, giù, giù, scendiam... «Basta.» Nicholas l'afferrò per un braccio, trascinandola via dalla ringhiera e dentro la stanza. Sbatté le porte chiudendole definitivamente. Nell trasse un sospiro profondo e tremante. Dovette aspettare un momento, per rendere ferma la propria voce. «Che violenza. Pensava che stessi per saltare giù?» «No, penso che stesse mettendo alla prova se stessa, per vedere se riusciva a sopportare il dolore. Doveva provare quanto fosse forte. Stare sulla tomba di sua figlia non le è bastato per oggi? Perché non mette semplicemente la mano nel fuoco?» Lei sorrise con uno sforzo. «Non ce n'è uno a disposizione.» «Non è divertente.» «No.» Nell incrociò le braccia sul petto per smettere di tremare. «Non stavo mettendomi alla prova. Lei non capisce.» «Allora, mi faccia capire.» «Avevo paura. Non sono mai stata una persona coraggiosa. Ma non posso più permettermi di avere paura. L'unico modo per superarla è affrontare ciò che più temi.» «È per questo che è andata sulle tombe?» «No, quello era diverso.» Mi dispiace, Jill. Perdonami, piccola. Nell venne assalita dal panico. Le sembrava di dissolversi. Voltò le spalle a Nicholas e disse in fretta: «Adesso voglio che se ne vada. Non ho paura di quel povero cameriere del servizio in camera. Prometto che non uscirò sul balcone». Lui le appoggiò le mani sulle spalle. Nell si irrigidì. Nicholas la girò verso di sé. «Non me ne andrò.» Lei fissò ciecamente il suo petto. «La prego», mormorò. «Va tutto bene.» L'attirò tra le sue braccia. «Sembra fatta di vetro. Si lasci andare. Io non sono importante. Sono semplicemente qui.» Nell rimase rigida, a fissare davanti a sé. Su, su, su, saliam... Lentamente lasciò ricadere il capo sul suo petto. Le braccia di Nicholas la circondarono. Nessuna intimità. Come aveva detto, era semplicemente lì. Vicino. Vivo. Confortante. Rimase così a lungo, prima di riuscire a costringersi a fare un passo in-
dietro. «Non intendevo approfittare di lei. Mi perdoni.» Nicholas sorrise. «Di nuovo quelle maniere squisite. È stata una delle prime cose che ho notato in lei. Le ha imparate sulle ginocchia di sua madre?» «No, mia madre era una professoressa di matematica ed era troppo occupata. In realtà mi ha allevata mia nonna.» «È morta quando lei aveva tredici anni?» Nell rimase sorpresa per un attimo, finché ricordò il dossier cui lui aveva accennato. «Ha una buona memoria. Quel suo rapporto deve essere davvero completo.» «Non accennava al fatto che Jill non fosse la figlia di Calder.» Automaticamente Nell si irrigidì, prima di ricordare che non aveva più importanza. Nessuna Jill da proteggere. Né genitori da compiacere. Perché non dirglielo? Sapeva tutto il resto su di lei. «No, non lo era. I miei genitori furono molto abili nel nascondere quel fatto. Volevano che abortissi, ma, quando rifiutai, si diedero da fare per salvare le apparenze.» «Chi era il padre?» «Bill Wazinski, uno studente d'arte che avevo conosciuto mentre frequentavo il William and Mary.» «Lo amava?» Lo aveva amato? «A quell'epoca mi dicevo di sì. Sicuramente ero attratta sessualmente da lui.» Nell scosse il capo. «Probabilmente non lo amavo. Eravamo entrambi innamorati della vita, del sesso e di tutte quelle tele meravigliose che eravamo certi sarebbero state capolavori. Era la prima volta che mi trovavo a vivere lontana dai miei genitori ed ero ebbra di libertà.» «E questo Wazinski non era disposto ad assumersi le sue responsabilità?» «Non glielo dissi. Era stata colpa mia. Gli avevo detto che prendevo la pillola. Suo padre lavorava in una miniera di carbone nella Virginia occidentale e lui studiava grazie a una borsa di studio. Perché avrei dovuto rovinare entrambe le nostre vite? Tornai a casa dai miei genitori, appena scoprii di essere incinta.» «Un aborto sarebbe stata la via più semplice.» «Non lo volevo. Desideravo terminare l'università e trovarmi un lavoro.» Nell aggiunse con amarezza: «I miei genitori non furono d'accordo. Una ragazza madre era un imbarazzo che non avrebbero tollerato». «A quei tempi?» «Oh, si vantavano di essere liberi pensatori, ma esaltavano l'autocontrol-
lo. I bambini dovevano nascere nell'ambito di una famiglia. La vita doveva sempre essere civile e accuratamente orchestrata. Io non mi ero comportata con il dovuto decoro, tornando da loro incinta. Avrei dovuto ricorrere all'aborto o sposare il padre di mio figlio.» «Ma Jill è nata l'anno successivo al suo ritorno a Greenbriar.» «Sette mesi dopo. Le ho detto che i miei genitori coprirono bene la mia sconsideratezza. Sposai Richard due mesi dopo essere tornata a Greenbriar. Lui lavorava come assistente di mio padre e sapeva che ero incinta.» Nell sorrise senza allegria. «Non avrebbe potuto evitare di saperlo. Avevo gettato nello scompiglio la mia famiglia. I miei genitori non erano abituati al fatto che li contrastassi su qualcosa. Richard trovò una soluzione. Avrei potuto tenere il bambino e lui mi avrebbe sposata e portata via.» «E che cosa ottenne in cambio?» «Niente.» Nell sostenne il suo sguardo. «Richard non era l'arrampicatore che lei può pensare. Io ero disperata e lui si offrì di aiutarmi. Non ha ottenuto niente dal suo gesto, se non il figlio di un altro uomo e una moglie che a volte era in imbarazzo per lui. Avevo la sufficiente preparazione culturale per essere la moglie di un dirigente, ma non certo il temperamento.» «Mi è sembrato che se la cavasse bene quella prima sera, quando l'ho incontrata.» «Sciocchezze», disse lei in tono impaziente. «Anche un cieco avrebbe potuto vedere che ero molto timida e molto goffa nelle relazioni sociali. Non finga di non ricordare.» Nicholas sorrise. «Ricordo solo di aver pensato che era una donna molto graziosa.» Fece un pausa. «E che aveva il sorriso più straordinario che avessi mai visto.» Lei lo fissò, sbalordita. Un colpo risuonò alla porta. «Servizio in camera.» Nicholas si voltò, andando verso la porta. La cameriera era una donna di mezza età latino-americana, che si affrettò a entrare con il vassoio. Sistemò rapidamente le pietanze sul tavolo, accanto alle porte-finestre, e sorrise allegramente mentre Nell firmava il conto. «Non molto minacciosa», disse in tono pungente Nell, una volta che la cameriera se ne fu andata. «Non si può mai dire.» Nicholas si avviò per uscire. «Tenga la porta chiusa a chiave e non risponda a nessuno, tranne che a Jamie e a me. Passerò a prenderla domani mattina alle nove.» La porta si chiuse dietro di lui.
Il suo improvviso congedo la sorprese quanto le altre sue azioni di quel giorno. «La chiuda a chiave», disse Nicholas dall'altra parte della porta. Nell provò una fitta di irritazione, mentre attraversava la stanza a tirare il catenaccio. «Bene.» Non era più lì. Nell non udiva i suoi passi, ma non avvertiva più la sua presenza. Era un sollievo essersi liberata di lui, si disse. Non aveva desiderato che andasse con lei, quel giorno. Aveva desiderato affrontare da sola quell'orrore. E certamente non aveva voluto confidarsi con lui, ma forse era un bene che avesse spezzato quel lungo silenzio. Quando le parole le erano uscite tumultuose di bocca, le era sembrato di emergere dalle tenebre, alla luce del sole. Nessuna vergogna. Nessun bisogno di nascondersi. Solo una sensazione di sollievo. Tornò indietro al tavolo. Non ne aveva voglia, ma avrebbe mangiato ugualmente. Poi avrebbe fatto una doccia e sarebbe andata a letto. Era tanto esausta, che forse avrebbe preso subito sonno. E, forse, non avrebbe neppure sognato. Si sedette volutamente al tavolo sulla sedia rivolta verso il balcone e cominciò a mangiare. 7 «Ho scoperto ciò che vuole», disse Nigel, non appena lui sollevò il telefono. «So perché è stato compiuto l'attentato.» «Perché?» chiese Nicholas. «Venga qui e glielo dirò. E porti duecentomila dollari in contanti.» «Niente patti», disse Nicholas in tono reciso. «Devo andarmene. Credo che qualcuno mi stia tenendo d'occhio», sbottò Nigel. «L'unico pagamento che otterrai da me è il silenzio.» «Stia a sentire, il denaro mi serve per...» «Jamie mi ha detto che hai un conto in Svizzera, con i soldi che Kabler ti sta mandando. Sono certo che sia sufficiente per cominciare una nuova vita in qualche paradiso tropicale.» Ci fu silenzio dall'altra parte della linea. «Centomila dollari e le darò i libri contabili che tengo per Gardeaux.»
«A che cosa mi servirebbero? Hai detto tu stesso che non erano incriminanti.» «A meno che non li metta insieme ai registri di Pardeau. Allora il quadro diventa completo.» «Chi è Pardeau?» «François Pardeau, al 412 di Boulevard St. Germain. La mia controparte a Parigi.» Il tono di Nigel si fece scaltro. «Vede come sono disposto a collaborare? Questo non le è costato un centesimo.» «I registri potrebbero non servirmi a niente. Non voglio Gardeaux dietro le sbarre.» «Kabler sì. Potrei rivolgermi a lui.» «Non cercare di metterci uno contro l'altro, Simpson. Se ti servono subito soldi, sai che Kabler è escluso. Gli occorre del tempo, per superare le lungaggini burocratiche e ottenere l'autorizzazione per una bustarella di quella portata.» «Vuole i libri contabili oppure no?» «Li voglio. Per cinquantamila dollari, un passaporto falso, carta d'identità e una scorta sicura per uscire dall'Inghilterra. Prendere o lasciare.» Simpson rimase in silenzio. «Quando?» «A Jamie occorrerà un giorno per ottenere i documenti. Io partirò di qui domani mattina e sarò al tuo appartamento per mezzanotte.» «No, non venga qui. Non voglio essere visto con lei. Lasci il denaro e i documenti nella cassetta delle elemosine della chiesa di St. Antony, alle dieci di dopodomani.» «Senza i libri contabili e l'informazione? Temo che la mia carità non arrivi a tanto.» «Ci sarà la chiave di una cassetta di sicurezza della stazione degli autobus della Thompson's Holiday Tour, a Bath. Si fidi di me.» «Bath si trova a più di un'ora di macchina da Londra.» «È il meglio che posso fare. Non ci sono cassette in nessuna stazione di Londra, a causa delle bombe dell'IRA.» «Comodo!» «Sono io quello che correrà tutti i rischi», disse lui con voce stridula. «E se sarò seguito?» «Lo sarai. Dal momento in cui prenderai il denaro, finché comunicherò a Jamie che il pacchetto nella cassetta è buono. Dopodiché manderò un uomo a prenderti e a verificare che tu sia al sicuro in viaggio.» Nicholas riattaccò il telefono.
«Libri contabili?» chiese Jamie dalla sua poltrona dall'altra parte della stanza. «Simpson si sta facendo prendere dalla paura. Si offre di vendere i libri contabili e l'informazione su Medas per una somma forfettaria e un passaggio sicuro.» «Perché vuoi i libri contabili?» Nicholas strinse le spalle. «Potrei non volerli. È una carta azzardata. Devo accedere ai libri contabili di Pardeau, a Parigi, per dare almeno un senso a quelli di Simpson.» «Allora, perché pagarli?» «A volte una carta azzardata si rivela utile. Dio sa che non siamo mai stati così vicini a Gardeaux, in passato.» E Nicholas aggiunse: «E voglio sapere perché Medas è stata attaccata». «E immagino che tu voglia che trovi il bandolo dei libri contabili di Simpson.» Si alzò in piedi e si avviò lentamente verso il telefono. «Catturato di nuovo dalle tribolazioni di questo mondo pragmatico. Che disdetta. Stavo giusto seduto qui a comporre un'ode immortale per i begli occhi della nostra Nell.» La casa di Joel Lieber ricordava vagamente a Nell una costruzione di Frank Lloyd Wright, che aveva visto su una rivista. Pure linee moderne e vetro, ingegnosamente integrati in una cornice di rocce, giardini e una piccola cascata, che scaturiva da un torrente scintillante. «È magnifica», disse Nell, scendendo dalla macchina. «Deve esserlo.» Nicholas la guidò verso l'entrata principale. «È stata costruita con i frutti della bellezza.» «Tania dice che Joel fa molte opere di beneficenza.» «Non lo sto criticando. Sono un capitalista. Tutti hanno il diritto di cogliere il frutto del proprio lavoro.» «Ciao, Nicholas. È un piacere vederti.» Quando Nell si voltò stupefatta, vide Phil discendere il viale del giardino. Indossava jeans e una maglietta dei Bulls. Teneva in mano un alberello. «Che cosa fa qui?» Lui sorrise allegramente. «Nicholas ha pensato che dovessi starle vicino per assicurarmi che non avesse una ricaduta. Nel frattempo il dottor Lieber mi permette di lavorare nel suo giardino. Mi sono pagato gli studi universitari, vendendo piante in un vivaio. È piuttosto piacevole stare di nuovo vicino ai fiori.»
Si allontanò lungo la sponda che costeggiava il torrente. «Se ha bisogno di me per qualcosa, non ha che da chiamarmi, signora.» Nell si voltò verso Nicholas. «Lo sa che non avrò una ricaduta.» «Non si può mai dire.» Nicholas cambiò argomento. «Joel ha detto che voleva iniziare la pratica per annullare il suo decesso. Perché non me ne ha accennato?» «Perché ho cambiato idea.» «Bene. Posso chiedere perché?» «Ho deciso che potrebbe essere utile. Il mio nuovo nome sarà Eve Billings. Mi occorre una patente di guida e un passaporto a questo nome. Può procurarmeli?» «Ci vorrà qualche giorno.» «E avrò bisogno di denaro per vivere. Vuole aprirmi un conto e depositare una somma che mi aiuti a tirare avanti, finché potrò accedere al mio denaro? Naturalmente, le firmerò un 'pagherò'.» «Può giurarci che lo farà», disse Nicholas. «Potrei doverlo riscuotere dal suo patrimonio, se insiste nel tentativo di farsi uccidere.» «Subito?» «Farò una telefonata e trasferirò i fondi nella banca di Joel a nome di Eve Billings questa mattina. Riceverà i documenti d'identità per posta.» «Grazie, Kabler mi ha trovata troppo facilmente. Devo preoccuparmi che Maritz mi rintracci all'ospedale?» «No.» «Bene.» Nell suonò il campanello. «So di avere detto che non le avrei più chiesto niente. Prometto che questa sarà l'ultima volta. Addio, Tanek.» «Non sia tanto perentoria. La rivedrò ancora. Se non finisce su di tavolo mortuario...» «Eccoti.» Tania spalancò la porta con un largo sorriso. «E anche Nicholas. Bene. Venite dentro a vedere che miracoli ho fatto con la casa di Joel.» «Un'altra volta. Vado di fretta...» Nicholas sorrise a Tania. «Devo prendere un aereo. Ci vediamo.» Nell rimase a guardarlo, mentre lui si avviava verso la macchina. Era la prima volta che accennava a un viaggio. A Londra? «Entra.» Tania la stava tirando impaziente nell'atrio. «Voglio mostrarti...» «I miracoli», finì per lei Nell. «L'esterno è già abbastanza meraviglioso.» «Ma freddo. Joel è un chirurgo e le linee precise ed efficienti lo attrag-
gono. Ma dentro ci deve essere calore. Gli ho detto che non può avere una casa curata come una delle sue incisioni.» Trascinò Nell nel soggiorno. «Ci devono essere vivacità e colore.» «Senza dubbio li avete.» Righe, disegni floreali e tappezzerie che avrebbero dovuto fare a pugni si mescolavano alla ricerca di un effetto che era esotico e, tuttavia, stranamente familiare. Un tappeto berbero color panna ricopriva il pavimento in quercia e dava un tono caldo all'ambiente. «È molto originale. Hai pensato di dedicarti all'arredamento?» Tania scosse il capo. «In autunno andrò all'università, ma ho intenzione di studiare letteratura.» Si avviò verso la porta. «Vieni, ti mostrerò la tua stanza. È sopra la cascata e penso che troverai il suono molto conciliante.» Salì di corsa una scala a chiocciola e in cima spalancò una porta. «Va bene?» Ancora colore: oro, ruggine e scarlatto, uno studio nelle sfumature dell'autunno. Piante d'edera in portavasi di ottone e crisantemi che si levavano alti e orgogliosi in un vaso di cristallo. Libri riccamente rilegati in pelle facevano bella mostra di sé in una bassa libreria. «Molto bene.» «Ho fatto raccogliere i crisantemi a Phil questa mattina.» Nell era commossa. «Ti sei presa molto disturbo. Non starò qui molto, lo sai.» «Abbastanza per apprezzare la mia casa, spero», disse Tania. «Ti lascerò sola a riposare un po', prima di cena, e a provare gli abiti nel guardaroba.» «Quali abiti?» «Quelli che mi sono fatta mandare da Dayton, il giorno che hai deciso di abbandonarmi tanto bruscamente.» Nell la fissò confusa. «Non hai mai accennato di avere comperato degli abiti.» «Perché avrei dovuto? Ti eri comportata molto male e desideravo caricarti di sensi di colpa, non lasciarti pensare che me l'ero cavata benissimo da sola.» Nell si scoprì a sorridere, mentre la porta si chiudeva dietro di lei. Tania era come una brezza fresca e inattesa che spingeva da parte tutti gli ostacoli sul suo cammino. Una forza solare. Diede un'occhiata al guardaroba. Più tardi. Andò verso la finestra. La cascata era a meno di cento metri di distanza e il tonfo dell'acqua era conciliante come Tania aveva affermato. Phil stava inginocchiato accanto al torrente a scavare un'aiuola di rose gialle. Richard le aveva sempre regalato rose gialle. Conosceva le piccole sfu-
mature che riuscivano gradite a una donna e che la facevano sentire speciale. E ora se n'era andato. Perché non piangeva la sua scomparsa? Forse non lo aveva amato? Si era convinta che la gratitudine e il bisogno fossero amore? Oh, non lo sapeva. Aveva tentato di dare a Richard l'amore che si meritava, ma solo Edna l'aveva veramente amato. Phil girò il capo a dare un'occhiata alla casa, prima di curvarsi di nuovo sui rosai. Stava controllando, per assicurarsi che lei non avesse lasciato la casa. Non avrebbe dovuto preoccuparsene. Come aveva fatto notare Nicholas, lei non era pronta per andare all'attacco di Gardeaux e di Maritz. Avrebbe dovuto essere molto sicura del risultato, quando avesse chiesto loro di saldare il conto. Ma i suoi piani non includevano neppure che lei dovesse restare lì, sotto benevola sorveglianza. Doveva riflettere un po'. Aveva l'abbozzo di un'idea in ebollizione, ma avrebbe dovuto avere un piano sicuro da seguire, prima di essere pronta a risolvere la situazione. Lo stavano seguendo. Il panico aumentò vertiginosamente in Nigel. Si diede un'occhiata alle spalle. Nessuno in vista. Accelerò i suoi passi. Nessun suono dietro di lui. Forse si era sbagliato. No, dannazione, «sentiva» che c'era qualcuno da quando era uscito dalla chiesa, quella sera. L'appartamento di Christine era proprio davanti a lui. Salì di corsa gli scalini e suonò il citofono. Era un'ombra, quella sulla porta dall'altra parte della strada? «Sì», disse Christine al citofono. «Fammi entrare. Subito!» La porta scattò. Nigel si affrettò a entrare, poi chiuse con forza la porta dietro di sé. «Che cosa c'è che non va, tesoro?» Christine si stava sporgendo dalla balaustra, le labbra socchiuse in quel suo incantevole e malizioso sorriso. «Sei così impaziente?» «Sì.» Lo era stato, prima di avere cominciato a sospettare di essere seguito. Christine non era eccezionale, ma aveva trovato poche donne con altrettanto talento nel suo campo. Aveva desiderato passare ancora una sera con lei, prima di lasciare Londra. Ora si chiedeva se non avrebbe dovuto cercare un buco e strisciarci dentro, finché fosse venuta l'ora di tornare alla chiesa di St. Andrew il mattino dopo.
«Allora sali a trovarmi. Ho progettato qualcosa di speciale per te, questa sera. Un nuovo giocattolo per punire il mio cattivo ragazzo.» Ebbe un'erezione. Un nuovo giocattolo. Il pene artificiale, che aveva usato con lui L'ultima volta, gli aveva dato delle sensazioni inenarrabili. Nigel diede un'occhiata alla porta d'ingresso dietro di lui. In realtà non aveva visto anima viva e, se c'era qualcuno là fuori, poteva essere più pericoloso andarsene che restare. L'appartamento di Christine era sicuro come qualunque altro posto. C'erano solo due appartamenti nell'edificio e lei aveva accennato al fatto che l'altro inquilino era all'estero. «Vieni!» ordinò Christine. «Smettila di gingillarti o ti punirò.» L'eccitazione si impadronì di lui. Presto sarebbe stato in ginocchio davanti a lei, perduto nell'oscuro calore. Nigel si avviò impaziente su per la scala. Lei era ferma in cima, nuda, eccezion fatta per un paio di altissimi tacchi a spillo, altera, voluttuosa, autoritaria. Christine fece un passo indietro e si avviò a lunghi passi verso la porta del suo appartamento. «Quante volte devo dirti che devi obbedire all'istante?» «Mi dispiace. Merito di essere punito.» Nigel la seguì nell'appartamento. «Posso vederlo?» «Inginocchiati.» Lui cadde immediatamente in ginocchio davanti a lei. «Molto bene.» Christine allargò di più le gambe, tenendo gli occhi abbassati su di lui. «Dunque, che cosa vuoi vedere?» «Il giocattolo. Il nuovo giocattolo.» Le sue mani gli afferrarono i capelli, tirandogli indietro la testa con uno strattone. Il dolore lo attraversò, lancinante. «Chiedimelo gentilmente.» «Per piacere, padrona, posso vedere il giocattolo?» mormorò Nigel. «È questo ciò che vuoi? Solo vederlo? Non vuoi che lo usi su di te?» «Mi farai male?» «Moltissimo.» Lui stava tremando, pronto. Era sempre così la prima volta, ma non doveva venire finché lei non gli avesse accordato il permesso. «Se ti fa piacere, desidero che lo usi su di me.» «Ne sei sicuro?» Lui annuì. «Allora così sarà.» Sorrise crudelmente. «Ma non voglio sporcarmi le mani con te. Ti farò mostrare il giocattolo dal mio amico.» «Il tuo amico? Nessun altro...»
Il dolore gli lacerò la schiena! Cristo, che cos'era? Un marchio? La sofferenza era troppa, non poteva sopportarlo. Afferrò stravolto i fianchi di Christine. Lei fece un passo indietro e Nigel vacillò sul tappeto. «È troppo...» piagnucolò lui. «To... glilo» Christine stava guardando qualcuno dietro di lui. «Mi avevi promesso che sarebbe stata una cosa rapida e pulita, Maritz. Sta sanguinando su tutto il mio tappeto.» «Gardeaux lo sostituirà.» «Lo voglio subito fuori di qui. Finiscilo.» «No», piagnucolò Nigel. Nessuno lo aveva seguito. Maritz era stato lì ad aspettarlo. «Tra un momento.» «Finiscilo oppure dirò a Gardeaux che hai messo a rischio il colpo, perché volevi divertirti.» «Puttana.» E lo finì. La chiave era nella cassetta delle elemosine. Nicholas la fissò per un momento, prima di infilarla in tasca. Sembrava una chiave qualunque. Simpson poteva avergli dato la chiave della sua porta, per quel che ne sapeva. Mise il pacchetto di denaro contante e i documenti nella cassetta delle elemosine, poi uscì dalla chiesa. Fece un cenno con la mano a Jamie nella Rolls-Royce nera, parcheggiata dall'altra parte della strada, e salì sulla sua macchina a noleggio. Fece un'inversione di marcia e si diresse verso Bath. «Ho i libri contabili», disse Nicholas al suo telefono cellulare. «Forse. Sembrano abbastanza autentici. Non ho ancora avuto l'occasione di esaminarli attentamente. Li controllerò sull'aereo di ritorno negli States.» «Sono sorpreso», disse Jamie. «Pensavo che Simpson avesse tentato un doppiogioco e poi fosse diventato schizzinoso.» «Perché?» «Quel tesoro non è comparso a reclamare il suo premio.» «Che cosa?» «Non è mai arrivato alla chiesa di St. Anthony. Che cosa devo fare del denaro? La cassetta delle elemosine viene svuotata alle otto, tutte le matti-
ne.» Nicholas rifletté un attimo. Erano quasi le cinque e le probabilità che Simpson arrivasse tanto in ritardo a recuperare il denaro erano scarse. A meno che Gardeaux non si fosse intromesso. Ma se Simpson era stato ucciso, perché ora lui aveva i libri contabili? Non poteva credere che Gardeaux non avesse costretto Simpson a dirgli dove si trovavano i libri, prima che morisse. A meno che Gardeaux non fosse al corrente del patto di Simpson per i libri contabili. Era possibile che avesse solo scoperto il suo tradimento con Kabler. «Mi hai sentito?» chiese Jamie. «Ho detto, che cosa devo fare del...» «Ti ho sentito. Resta lì ancora per un'ora. Se per allora non sarà venuto, recupera il denaro e i documenti e vai a controllare il suo appartamento.» «E poi?» «Dagli ventiquattr'ore. Sorveglia il suo appartamento e mettiti in contatto, se lo vedi.» «È una dannata perdita di tempo. Entrambi sappiamo che cosa è successo a quel povero bastardo.» «Ventiquattr'ore. Ho fatto un patto.» «Caffè, signor Tanek?» Lui sorrise alla hostess e scosse il capo. «Più tardi, forse.» Dopo che lei si fu allontanata lungo il corridoio, Nicholas aprì il primo dei libri contabili. Lo scorse brevemente. Non riconosceva alcun nome delle compagnie elencate; probabilmente erano in codice. Alcune frecce indicavano delle righe in bianco in ogni conto. Bisognava inserire la parte di Pardeau? Anche se avesse avuto i suoi libri contabili, probabilmente ci sarebbe voluto un esperto per decifrare i numeri. Non vedeva alcuna ragione per correre il rischio di utilizzare Pardeau, al. momento. Primo, non era sicuro che il contenuto potesse essergli utile. Secondo, Gardeaux poteva non aver ancora realizzato che Nicholas avesse i libri, ma presto avrebbe scoperto che mancavano. Pardeau sarebbe stato sorvegliato. La cosa migliore sarebbe stata aspettare finché la sorveglianza si fosse allentata. Nicholas diede una scorsa al secondo libro. Lo trovò pressoché uguale e lo rimise nella borsa. Prese l'ultima busta gialla con scarabocchiato il nome di Medas sul davanti. Tirò fuori il fascio di fogli. Il primo era l'elenco dei nomi che Jamie gli
aveva dato quel giorno ad Atene. Lo gettò da parte e passò al secondo foglio. Si rizzò a sedere sul sedile. «Cristo.» «Devo vedere Nell, Tania.» Tanek entrò a lunghi passi nell'atrio. «Dov'è?» «Ciao anche a te», disse lei, chiudendo la porta. «Mi dispiace per l'irruenza. Dov'è?» «Se n'è già andata di qui. Sparita.» Nicholas si voltò di scatto a guardarla. «Sparita? Dove?» Lei scosse il capo. «Ha passato qui tre notti e ieri mattina era già sparita. Ha lasciato un biglietto.» Andò verso un tavolo e aprì il cassetto. «Un biglietto molto gentile, per ringraziarci della nostra ospitalità e dire che si sarebbe tenuta in contatto.» Gli porse il biglietto. «Da quello che posso capire, non ha preso nessun vestito, a eccezione di qualche paio di jeans e delle scarpe da tennis. Quindi, dovrebbe tornare piuttosto presto.» «Non contarci.» Non sapeva che cosa diavolo avrebbe fatto Nell. Diede un'occhiata al biglietto: cordiale, meticolosamente educato e assolutamente privo di informazioni. «Ha ricevuto un pacchetto con la posta?» «Due giorni fa.» I documenti d'identità le avrebbero permesso di muoversi liberamente. «Dov'è Phil?» «In giardino.» «E non devi prendertela con lui. È già abbastanza abbattuto.» «Me la prenderò con lui, invece.» Nicholas andò verso la porta. «Ma non lo ucciderò, se questo può esserti di conforto. Torno subito.» Phil sembrava avvilito, come Tania gli aveva detto, e si irrigidì guardingo mentre Nicholas si avvicinava. «Lo so. Ho fatto un pasticcio. Ma l'ho tenuta d'occhio», disse, prima che Nicholas potesse parlare. «Ho anche dormito in macchina sul viale.» «Dormito mi sembra la parola chiave.» Phil annuì cupo. «Non me l'aspettavo. Sembrava tanto contenta con la signorina Vlados.» Neppure Nicholas se lo era aspettato. Non così presto. «D'accordo. Ormai è fatta. Hai cercato di trovarla?» Phil annuì. «La signorina Vlados ha detto che hai depositato del denaro per lei alla First Union, sotto il nome di Eve Billings. Ho seguito le sue
tracce fino alla banca, dove ha prelevato del denaro, e poi alla stazione ferroviaria. È stato piuttosto facile. La gente ricorda la sua faccia.» «Qual era la sua destinazione?» «Preston, nel Minnesota. È scesa lì e ha noleggiato una macchina. L'ha riconsegnata all'aeroporto O'Hare di Chicago. Non sono ancora riuscito a rintracciare la sua destinazione attraverso le linee aeree. Quei centri di prenotazione amano tenere confidenziali le informazioni.» Phil fece una pausa. «Naturalmente, se potessi accedere a un computer, troverei il modo di inserirmi nella banca dati delle compagnie aeree e...» «Sta cercando di lasciare dietro di sé una pista falsa. Non userà il suo nome e pagherà in contanti. Non ha nessuna carta di credito valida.» Phil fece una smorfia. «Che fortuna.» «Ma adesso ha un passaporto.» Nicholas rifletté un attimo. «Potrebbe esserci ancora una via. Se ha in mente una destinazione precisa, potrebbe avere telefonato da casa per prendere accordi. È andata in qualche posto dove avrebbe potuto usare un telefono esterno?» «Lei e la signorina Vlados sono andate al supermarket, ma le ho accompagnate io in macchina e ho riportato a casa i pacchi. Non ha fatto telefonate.» «Andiamo.» Nicholas si avviò a lunghi passi verso la casa. Tania venne loro incontro sul viale. «Ebbene?» «A Phil occorre un computer. Joel ne ha uno in biblioteca, vero?» «Sì.» Lei fissò scettica Phil. «Ma lo tratta come se fosse il cucciolo preferito. Non gli farebbe piacere se succedesse qualcosa a qualcuno dei suoi programmi.» «Il computer di Joel sarà in mani eccellenti», disse Nicholas. «Phil appartiene al tempio degli adoratori di Microsoft.» Tania scrollò le spalle e li guidò verso casa. Fece un cenno con il capo verso una porta lungo il corridoio. «Quello è lo studio di Joel.» «Avete più di una linea telefonica in casa?» chiese Phil. Lei annuì. «Il telefono di Joel, nello studio, e il telefono di casa.» «Quali sono i numeri?» Lei sciorinò entrambi i numeri. «Devo annotarli?» «No, li ricorderò. Sono bravo con i numeri.» Si affrettò lungo il corridoio verso lo studio. «Che cosa ha intenzione di fare?» chiese Tania. «Inserirsi nell'archivio della società dei telefoni e scoprire quali numeri Nell ha chiamato, prima di andarsene di qui, e a chi appartengono.» Nicho-
las cambiò argomento. «Dove dormiva Nell? Voglio vedere la sua stanza.» «Non troverai niente. L'ho già rimessa in ordine.» «Voglio vederla.» Tania lo condusse al piano di sopra e spalancò la porta. Rimase a osservarlo, mentre lui si aggirava per la stanza e controllava il taccuino accanto al telefono. «Non c'era nessun appunto sul taccuino.» Nicholas lo sollevò alla luce. Nessun segno. Andò verso il guardaroba e aprì la porta. «Hai detto che non ha portato via bagagli?» «Una piccola borsa da viaggio. Che cosa stai cercando?» Nicholas passò rapidamente in rassegna gli abiti. «Qualsiasi cosa.» Chiuse la porta e diede un'occhiata in giro per la stanza. Una pila di riviste era ammucchiata ordinatamente sul ripiano del comodino. «Erano tutte qui, quando lei è arrivata?» «Le riviste? La maggior parte. Nell ne ha preso un paio al supermarket.» Lui si sedette sul letto e sollevò la pila. «Quali?» «Non ne sono sicura. Non le ho guardate.» «Immagino che anche questa sia nuova.» Nicholas tirò fuori una sottile rivista dal fondo del mucchio. «Non è esattamente ciò che la maggior parte delle padrone di casa forniscono ai propri ospiti.» «Soldier of Fortune?» Tania aggrottò le sopracciglia. «Non ho mai visto quella rivista prima. Che cos'è?» «Un'affascinante guida pratica sui modi e sui mezzi per diventare un mercenario.» «Ma perché Nell l'avrebbe comperata?» Gli occhi di Tania si spalancarono. «Pensi che voglia assoldare qualcuno?» «Non so che cosa diavolo voglia fare.» Nicholas si mise a sfogliare la rivista, controllando ciascuna pagina alla ricerca di angoli piegati o di note scritte. Non trovò niente finché arrivò alla piccola pubblicità in fondo. C'era una leggera sgualcitura a metà della pagina. Come se fosse stata piegata. «Hai trovato qualcosa?» chiese Tania. «Una pagina che deve contenere un centinaio di inserzioni», disse lui esasperato. «Credo di averlo trovato.» Phil stava sulla porta con un foglio di carta in mano. «Tutto quello che è saltato fuori dal telefono dello studio sembra piuttosto normale, ma questi tre numeri su quello di casa mi sono sembrati strani.» Porse a Nicholas il foglio. «Sono tutti campi di sopravvivenza. Uno si trova fuori Denver, nel Co-
lorado, uno è vicino a Seattle, nello Stato di Washington, l'ultimo è appena fuori Panama City, in Florida.» «Che cos'è un campo di sopravvivenza?» chiese Tania. «È un campo di addestramento per un gruppo di persone che pensano che alla fine l'America verrà attaccata o diventerà uno Stato di polizia, e allora potranno sopravvivere solo essendo esperti di armi e di guerriglia.» Nicholas stava scorrendo il dito lungo la colonna della rivista. «Di solito è diretto da ex mercenari, membri delle squadre speciali d'intervento o militari, che vogliono racimolare un po' di denaro addestrando guerrieri del fine settimana.» Tutti e tre i nomi si trovavano sulla pagina, ma non c'era indicazione di quale Nell avrebbe potuto scegliere. «Quale di questi campi ha chiamato per ultimo, Phil?» «Seattle.» «Non puoi chiamare questi posti e chiedere se l'hanno vista?» chiese Tania. «I nomi dei membri sono segreti.» Avrebbero dovuto controllarli tutti. Qual era il più probabile? Nell stava cercando di sfuggire alla sorveglianza. Seattle era il più lontano e anche l'ultimo numero che aveva chiamato. «Io mi occuperò di Seattle. Phil, tu andrai a Denver.» Lui annuì. «Devo chiamare Jamie e dirgli di occuparsi di Panama City?» «Jamie è ancora a Londra. Può darsi che siamo fortunati.» Nicholas si alzò in piedi e sfiorò la fronte di Tania con un bacio. «Mi terrò in contatto. Se non è a Seattle, telefonerò qui per vedere se si è messa in contatto con te.» «Te ne prego.» Tania lo seguì fuori dalla stanza e giù dalla scala. «Sono molto preoccupata per lei, Nicholas.» «E hai ragione di esserlo.» 8 «Non accettiamo donne nel nostro programma di addestramento, cara signora.» Il profondo accento del Sud del colonnello Carter Randall risuonò sgradevolmente nelle orecchie di Nell. «Quindi, può portare il suo caro didietro femminista fuori di qui.» Nell scacciò con una mano la mosca che le ronzava intorno al viso da quando era entrata nell'ufficio. Stava sudando a causa della tremenda umidità. «Non sono una femminista. O forse sì. Non so più che cosa significhi.» Incontrò il suo sguardo. «E lei?»
«Oh, sì, io lo so. Ci è capitato che alcune di quelle lesbiche siano venute quaggiù, a pregarci di insegnare loro a essere dei veri uomini.» «E glielo avete insegnato?» Lui sorrise in modo sgradevole. «No, ma alcuni dei ragazzi hanno insegnato loro a essere vere donne.» Stava cercando di spaventarla. Ci stava riuscendo, ma non doveva lasciarglielo capire. Era il tipo di uomo cui piaceva dominare. Nell chiese con calma: «Le avete stuprate?» «Non ho detto questo, no?» Randall si appoggiò all'indietro sulla poltrona. «Ma non abbiamo alloggi per le donne, qui a Obanako. Dovrebbe occupare una cuccetta nelle baracche.» «Sono disposta a farlo.» «Anche quelle lesbiche lo erano. Ma hanno cambiato idea dopo la prima notte.» «Io non cambierò idea.» Nell si asciugò le mani umide sui jeans. Non era più sicura se stesse sudando per il nervosismo o per il caldo. «Perché non volete accettare le donne? Il nostro denaro è altrettanto buono.» «Ma la vostra spina dorsale, no.» Il suo sguardo indugiò sul seno di Nell. «Noi accettiamo le donne... al loro posto. Una donna dovrebbe attenersi a ciò che sa fare bene.» Nell nascose la propria irritazione. Non sarebbe arrivata a niente con quel bastardo sciovinista, arrabbiandosi. Ma avrebbe potuto esserle utile, se fosse riuscita a far arrabbiare lui, pensò all'improvviso. «Ho visto quegli uomini grossi e forti, fuori sul campo, che tentavano di scalare quella barriera di legno. Non sembrava che se la cavassero molto bene. Ha paura che una donna possa farli vergognare?» Lui si irrigidì. «Questa è solo la prima settimana di addestramento. Per la fine del mese supereranno quella parete in un lampo.» «Può darsi.» Una vampata d'ira gli infiammò il volto. «Mi sta dando del bugiardo?» «Sto dicendo che ho dei dubbi che un uomo, che non riesce a mantenere la disciplina nelle sue baracche, possa trasformare delle reclute fiacche in soldati in poche settimane.» «Ho un'eccellente disciplina, qui a Obanako.» «È per questo che permette che le donne vengano stuprate? Questa non è disciplina, è barbarie. Che genere di ufficiale è lei?» Prima che potesse rispondere, Nell proseguì: «O, forse, non è affatto un ufficiale? Ha compera-
to quell'uniforme in un negozio di divise militari?» «Ero un colonnello delle truppe d'assalto, puttana.» «Quanto tempo fa?» lo schernì Nell. «E perché non è ancora nell'esercito, invece di darsi alla macchia in queste paludi? È diventato troppo vecchio per farcela?» «Ho quarantadue anni e posso fare di gran lunga meglio di qualunque uomo di questa squadra», disse lui tra i denti. «Non ne dubito. Quei poveri bastardi non riescono neppure a superare quella barriera. Deve farla sentire molto superiore, sapere di essere più forte di loro.» «Non intendevo le reclute, intendevo...» Randall si interruppe, lottando con la rabbia. «Pensa che quella barriera sia facile da scalare? È alta nove metri. Forse lei saprebbe fare di meglio, cara signora?» «È possibile. Possiamo vedere. Se la supero, mi accetterà nel programma?» Il suo sorriso grondava malignità. «Se la supererà, saremo tutti molto felici di accettarla in mezzo a noi.» Si alzò in piedi, e indicò la porta con un gesto. «Dopo di lei.» Nell nascose il suo sollievo, mentre lo seguiva fuori dell'ufficio e giù lungo gli scalini. Fino a quel momento, tutto procedeva bene. Forse. Avvicinandosi, la barriera di legno le sembrò molto più alta di quanto avesse pensato. Inoltre appariva terribilmente scivolosa per il fango degli stivali degli uomini che avevano tentato di scalarla. «Fatevi da parte, soldati», disse Randall, afferrando una delle corde assicurate in cima alla parete e gettandola a Nell. «Lasciamo fare una prova alla cara signora.» Nell non prestò attenzione alle grida e ai sogghigni degli uomini. Afferrò la corda e cominciò ad arrampicarsi. Si rese conto subito che era una faccenda diversa dall'arrampicarsi sulla corda appesa al soffitto della palestra. Se tentava di usare le ginocchia, la corda la gettava contro la parete di legno. L'unico modo era fare presa con i piedi contro la parete e tirarsi su. Un metro. Le sue suole scivolarono sulla superficie infangata e andò a sbattere contro la parete. Dolore. Risate da parte degli uomini sotto. Non badarci. Tieni duro. Non mollare.
Si staccò oscillando dalla parete e piantò di nuovo fermamente i piedi contro il legno. Due metri. Scivolò di nuovo. La corda ruvida le bruciò le mani, mentre scivolava in giù per mezzo metro prima di riuscire ad afferrarsi. «Non si preoccupi», gridò beffardo Randall. «Siamo qui pronti a prenderla, dolcezza.» Di nuovo risate. Ignorali. Poteva farcela. Ignora il dolore. Un passo alla volta. Ignora tutto. C'erano solo la corda e la parete. Riprese ad arrampicarsi. Quattro passi in su. Quanti altri? Non importava. Poteva fare qualsiasi cosa, se l'affrontava minuto per minuto. Le occorsero ancora dieci di quegli angosciosi minuti, prima di raggiungere la cima della parete e mettervisi a cavalcioni sopra. Abbassò lo sguardo su Randall e sugli uomini. Dovette aspettare un momento prima di riuscire a calmare il respiro. «Ce l'ho fatta, figlio di puttana. Adesso mantenga la sua parola.» Non ne era soddisfatto, ma non rideva più. Nessuno di loro stava ridendo. «Scenda di lì.» «Ha promesso di accettarmi, se ci fossi riuscita. Un ufficiale mantiene sempre la sua parola, non è vero?» Alzò gli occhi, a fissarla freddamente. «Che diamine, cara signora, saremo deliziati di averla con noi. Domani andremo fuori a fare manovre e so che lo troverà molto piacevole.» Il che significava che intendeva renderle la vita insopportabile. Nell cominciò a scendere dall'altra parte della barriera. Randall l'aspettava, quando lei toccò terra. «Questo è il sergente George Wilkins. Lui le procurerà l'equipaggiamento. Le ho accennato che non gli garba l'idea di avere delle donne nella vita militare?» Nell fece un cenno con il capo verso il sergente di bassa statura e dal fisico possente. Lui disse: «Anche un bambino sarebbe riuscito ad arrampicarsi su quella parete. Non è niente, dopo le paludi». Si voltò, allontanandosi a lunghi passi da lei. «È meglio che lo raggiunga», disse Randall giovialmente. «E, se fossi in
lei, mi fascerei quelle mani. Nelle paludi vive ogni genere di funghi e di germi. Certamente non vogliamo che si prenda qualcosa, cara signora.» Per la prima volta Nell si rese conto di avere il palmo delle mani scorticato e sanguinante. Le ferite non la disturbavano tanto quanto quel soprannome pieno di condiscendenza. «Cerco di essere una signora, ma non sono la sua 'cara' signora.» E si avviò dietro a Wilkins. Il silenzio cadde sulla camerata, quando Nell seguì Wilkins nella lunga stanza, un'ora più tardi. «Questa è la sua cuccetta.» Il sergente indicò con un gesto una branda sotto una delle finestre schermate. «Finché starà qui.» Poi si voltò e se ne andò. Lei cercò di ignorare gli uomini, mentre lasciava cadere gli abiti e l'equipaggiamento sulla branda. «Cercò» era la parola adatta. Poteva sentire i loro occhi addosso, come se fossero tizzoni ardenti. Che cosa stava facendo lì? si chiese disperata. Era una pazzia. Doveva esserci un'altra strada per portare a termine ciò che doveva essere fatto. Ignorali. Potevano esserci altre strade, ma nessuna rapida come quella che aveva scelto. Aveva concepito un piano e doveva attenervisi. Sistemò gli abiti, poi rivolse la sua attenzione all'M16 e alla pistola che Wilkins le aveva consegnato. Non avrebbe dovuto pulirle o qualcosa del genere? Tutti i film di guerra che aveva visto avevano una scena in cui un povero zoticone veniva punito per non avere pulito il suo fucile. «Posso aiutarla?» Nell si irrigidì e si voltò. Via, era solo un ragazzo. Un ragazzo allampanato, di non più di diciassette anni. Le lentiggini gli coprivano il naso aquilino e stava sorridendo esitante, quasi timidamente. «Mi chiamo Peter Drake.» Il ragazzo si sedette sulla sua branda: «Ero là fuori a guardarla arrampicarsi sulla parete. Non credo che al colonnello abbia fatto piacere quando lei ha raggiunto la cima. A me sì. Mi piace quando la gente vince.» Sorrise con piacere fanciullesco. Fanciullesco. Mentre lo fissava, improvvisamente Nell ebbe il sospetto di quanto quel termine gli si adattasse. Randall doveva essere una specie di demonio, per accettare un ragazzo come lui. «Davvero?» chiese gentilmente. «Vincere è una sensazione piacevole.» Lui corrugò la fronte. «Io non sono riuscito a salire sulla parete. Il sergente era arrabbiato con me. Non gli piaccio.»
«Allora perché non te ne vai da questo posto?» «Mio padre vuole che stia qui. Lui era un soldato, come il colonnello Randall. Nell'esercito regolare non mi prenderebbero e lui dice che questo posto farà di me un uomo.» Nell si sentì rivoltare. «E che cosa ne dice tua madre?» «Lei non c'è più», disse lui in tono vago. «Vengo da Selena, nel Mississippi. Lei da dove viene?» «Dalla Carolina del Nord. Non sembri del Sud.» «Non ci sto molto. Lui mi manda via a studiare.» Il ragazzo si mise a giocherellare con le cinghie dello zaino di Nell. «E credo che neppure lei piaccia al colonnello. Perché?» «Perché sono una donna.» Nell fece una smorfia. «E perché sono riuscita a salire sulla parete.» Peter diede un'occhiata sfuggente alla camerata. «Non piace neppure ad alcuni di questi uomini. Qualche minuto fa il colonnello Randall è venuto qui, a dire loro che per lui andava bene, se le avessero fatto del male.» Non era niente di più di ciò che si era aspettata. Lui sorrise. «Ma io l'aiuterò. Non sono molto intelligente, ma sono forte.» «Grazie, ma posso farcela da sola.» Il volto di Peter sì rannuvolò. «Pensa forse che non sia abbastanza forte, perché non sono riuscito ad arrampicarmi sulla parete?» «Non è questo. Sono certa che tu sia abbastanza forte per fare qualunque cosa tu voglia.» Lui la stava ancora fissando con quell'espressione ferita. Non poteva coinvolgere quel ragazzo nelle sue battaglie ma si sentiva come se avesse dato un calcio a un cucciolo. «Forse potresti aiutarmi, parlandomi degli uomini che sono qui. Questo mi aiuterebbe moltissimo.» «Non saprei. Non parlano molto con me.» «Quali pensi che siano quelli che potrebbero farmi del male?» Lui indicò con un cenno del capo un uomo robusto dalla calvizie incipiente, quattro brande più in là. «Scott. È un tipo piuttosto sordido. È quello che mi chiama Fantoccio.» «Nessun altro?» «Sanchez.» Diede un'occhiata con disagio a un piccolo e nerboruto latino-americano, che li stava fissando con un sorriso sgradevole, e poi accennò a un ragazzo dai capelli biondo rossiccio tra i venti e i trenta anni. «Blumberg. Avevano cominciato a toccarmi sotto la doccia, ma hanno
smesso quanto è arrivato Scott.» «Li ha fermati Scott?» «No, ma loro non volevano che lui lo sapesse.» Peter deglutì. «Hanno detto... più tardi.» Se erano omosessuali, forse non avrebbe dovuto preoccuparsi di Sanchez e di Blumberg. No, lo stupro era un crimine di violenza, non di passione, ed erano stati disposti a violentare un ragazzo indifeso. «Penso che dovresti andartene di qui, Peter», disse Nell. Lui scosse il capo. «A mio padre non farebbe piacere. Dice che sono troppo debole. Ha detto che dovevo imparare a sopportare stoicamente.» Sopportare lo stupro e l'abuso? Doveva aver saputo ciò che Peter avrebbe dovuto affrontare in quell'inferno di ostentata virilità. Nell represse un impeto di rabbia. Non poteva fare niente per aiutare Peter, in quel momento. Poteva non essere neppure in grado di aiutare se stessa. «Tuo padre si sbaglia. Questo non è per te. Torna a casa.» «Non farebbe che rimandarmi qui», disse lui, e aggiunse semplicemente: «Non mi vuole, a casa». Dannazione. Non aveva bisogno di quello. Non voleva provare quella pietà struggente. Nell lo fissò con impotente frustrazione, prima di voltargli le spalle. «Sai qualcosa di armi?» Lui si illuminò. «Il terzo giorno ci hanno insegnato a usare il fucile. Tutte le mattine facciamo esercitazione di tiro al bersaglio.» «E della pistola?» «Qualcosa. So come si monta e come caricarla.» Nell si sedette sul letto accanto a lui. «Fammi vedere.» «Hai avuto notizie?» chiese Tanek, non appena Tania sollevò il telefono. «Non una parola. Non è a Seattle?» «No, e Phil dice che non è neppure a Denver. Ci siamo sbagliati.» «Pensi che possa essere in Florida?» «Non lo so», Nicholas si massaggiò la nuca. «Forse stava lasciando un'altra pista falsa. Può essere dovunque.» «Che cosa hai intenzione di fare?» «Che altro? Prenderò un aereo per la Florida fra trenta minuti. Dovrei essere a Obanako a metà mattinata. Rimanderò Phil a casa vostra, caso mai lei si facesse vedere lì.» «Non è necessario. Io sarò qui.» «È necessario», disse cupamente Nicholas. «Quando lei si farà viva, non
dovrà andare da nessuna parte finché non le avrò parlato.» Stavano arrivando. I muscoli di Nell si contrassero sotto la coperta, quando sentì il trambusto nel buio. Aspettava quel momento da ore. Non si sforzarono di essere silenziosi. Perché avrebbero dovuto? Nessuno sarebbe andato ad aiutarla. Tranne Peter. Continua a dormire, Peter. Non permettere loro di farti del male. Erano più vicini. Quattro sagome nell'oscurità. Chi era il quarto uomo? Non aveva importanza. Erano tutti nemici. «Accendi la luce. Voglio vederla in faccia, quando glielo caccerò dentro.» Luce. Scott. Sanchez. Blumberg, Il quarto uomo era più vecchio, con una faccia indefinibile e capelli che si andavano sfoltendo. «È sveglia. Guardate, ragazzi, ci stava aspettando.» Scott si avvicinò di un passo. «Non ci piacciono le puttane che ci mettono in imbarazzo.» «Vattene.» «Non possiamo farlo. Vogliamo mostrarti come sappiamo arrampicarci bene. Penso che ci arrampicheremo a turno su di te tante di quelle volte, che per domani mattina avrai le gambe curve.» Si inumidì le labbra. «Dunque, stai calma e fai ciò che ti diremo. Non ci piacciono le donne vestite come soldati. Per qualche motivo, ci disturbano. Spogliati.» «Lasciatela stare», disse Peter. Era seduto sul bordo della sua branda, con l'aria più fragile e goffa di prima con la maglietta e i calzoncini kaki. «Tappati la bocca, Fantoccio», disse Scott, senza guardarlo. «Vattene», ripeté Nell. Peter era accanto al suo letto. «Non farle del male.» Era spaventato, realizzò Nell. Poteva vedere il muscolo della sua guancia contrarsi e il leggero tremore delle sue mani. «Torna a letto, Peter.» «Forse Fantoccio vuole intingere anche lui il suo stoppino», disse Scott. «Ma no, non è abbastanza uomo.» «Pensi che ti renda più uomo, stuprare una donna?» chiese Nell. «Vedrai.» Abbassò una mano e le tolse di dosso la coperta con uno strattone. Nell sollevò la pistola che teneva tra le mani e gliela puntò contro il cavallo dei pantaloni. «Vedo solo che non avrai più il tuo cannone, se non mi lascerai stare.»
Lui fece istintivamente un passo indietro. «Merda.» «Le salteremo addosso», disse Sanchez. «Le toglieremo quella pistola e gliela cacceremo nella fica.» «Sì, potete saltarmi addosso», disse Nell, tentando di mantenere la voce ferma. «Perché non lo fai, Scott? È probabile che non riesca a sparare a tutti voi. Naturalmente, il primo colpo ti trasformerebbe in un eunuco, mentre il secondo sarebbe per Sanchez.» «Non lo farà», disse Blumberg. «Sarebbe un omicidio.» «E l'omicidio è una cosa tanto peggiore dello stupro?» La mano di Nell si strinse sulla pistola. «Io non credo.» «Ti metterebbero in prigione e getterebbero via la chiave.» «Potrebbero.» Nell incontrò il suo sguardo, poi guardò a turno ognuno degli uomini. «Ma lo farò. Mi state intralciando la strada: non posso permettere che questo avvenga. Toccatemi e vi ucciderò.» Oh, Dio, sembrava proprio un film di serie B. Gli occhi di Scott si spalancarono. «Sei una pazza fottuta.» «È possibile.» Scott indietreggiò da lei. «Non ti farai intimidire da lei?» chiese Sanchez. «Non sta mirando al tuo uccello», disse Scott tra i denti. «Lo sto facendo adesso.» Nell spostò nervosamente la canna. Sanchez restò a bocca aperta. «Non mi avevi detto che sarebbe stato così.» Glaser, il quarto uomo, si allontanò a lunghi passi dalla branda. «Torneremo più tardi. Non può restare sveglia tutta la notte.» Scott sorrise malignamente a Nell. «Chiudi gli occhi e noi ti saremo addosso.» Sollevò una mano e spense la luce. Nell inspirò bruscamente. All'improvviso si sentiva sola e vulnerabile. Dall'oscurità le giunse la voce di Scott. «Ti ho presa alla sprovvista, vero? Non puoi mantenere la guardia per sempre. Che cosa farai, quando saremo nella palude? Pensi che a Wilkins importerà?» «Dubito che avrete voglia di stuprarmi mentre guaderemo la palude.» Nell lo sentì imprecare sottovoce. Se ne stavano andando, realizzò con sollievo. Era troppo presto per rilassarsi, ma il pericolo immediato era passato. Aveva avuto tanta paura. Ne aveva ancora, mentre tremava nell'oscurità. «Baderò io a lei», disse Peter. Nell si era quasi dimenticata del ragazzo. «No, vai a dormire. Domani
sarà dura. Hai bisogno di tutta la tua energia.» «Baderò io a lei», ripeté testardamente il ragazzo. Sì sedette sul pavimento, accanto alla branda di Nell, e incrociò le gambe. «Peter, ti prego non fare...» Nell si interruppe. Neppure lei aveva intenzione di dormire, ma era chiaro che non sarebbe riuscita a convincerlo. Oh, d'accordo, mancavano solo poche ore all'alba. «Ero spaventato», disse improvvisamente Peter. «Anch'io.» «Non l'ha fatto vedere.» «Neppure tu.» «Davvero?» Sembrava contento. «Pensavo che Scott potesse capire. Lui è come mio padre. Capisce questo genere di cose.» «E tuo padre ti dice di capirle?» «Certo. Dice che un uomo deve affrontare i suoi difetti. Dice che non sarebbe mai diventato sindaco di Selena, se non avesse affrontato i suoi difetti e non li avesse corretti.» Nell stava cominciando a detestare il padre senza volto di Peter. «Tuo padre non avrebbe potuto essere più coraggioso di quanto lo sei stato tu proprio ora. Sarebbe stato orgoglioso di te.» Ci fu un silenzio. «No, non è mai orgoglioso di me. Non sono intelligente.» La nuda semplicità della risposta le fece stringere il cuore per la compassione. «Ebbene, io lo sono stata.» «Davvero?» chiese lui ansiosamente. «Anch'io sono stato orgoglioso di lei.» Peter fece una pausa. «Questo significa che siamo amici, vero?» Nell desiderava allontanarlo. Non voleva il suo aiuto né la responsabilità che rappresentava. Si era alleato con lei sotto gli occhi di quei prepotenti e avrebbe potuto pagarne lo scotto più avanti. Non voleva dover sopportare quella colpa. Era troppo tardi. Non poteva piantarlo in asso. «Sì, è questo che significa.» «E gliel'abbiamo proprio fatta vedere, non è vero?» Lei sospirò. «Già, gliel'abbiamo proprio fatta vedere.» «Eve Billings? Non conosco nessuno con questo nome», disse Randall in tono mellifluo. «E non accettiamo donne qui a Obanako, signor Tanek.» Nicholas gettò sulla scrivania una delle fotografie che Tania gli aveva dato. «Potrebbe usare un altro nome.»
«Bella donna.» Randall allontanò la fotografia. «Ma le ripeto che non l'ho vista.» «Lo trovo molto strano. Ha preso una macchina a noleggio all'aeroporto di Panama City.» Aprì il suo taccuino con uno scatto. «E il numero di targa della Ford nel parcheggio, dietro il suo ufficio, è lo stesso.» Il sorriso di Randall scomparve. «Non ci piace la gente che va in giro a curiosare per il nostro campo.» «E a me non piace la gente che mi dice bugie», disse adagio Nicholas. «Dov'è, signor Randall?» «Le avevo detto che non è qui.» Randall fece un ampio gesto. «Guardi in giro. Non la troverà.» «Questa sarebbe una sfortuna... per lei.» Randall si alzò in piedi. «Mi sta minacciando?» «Le sto dicendo che la rivoglio indietro e che non le faranno piacere i guai che le procurerò, se non la tira fuori.» «Siamo abituati ai guai, qui. È ciò che prepariamo questi uomini ad affrontare.» «Basta con le fesserie. Alle autorità di Panama City non fa piacere averla parcheggiata sui gradini di casa. Coglieranno al balzo l'occasione per farla chiudere per attività illegali.» «Quali attività illegali?» disse lui, offeso. «Nessuno l'ha toccata, dannazione.» «Rapimento.» «È stata lei a venire da me. Diavolo, mi ha costretto ad accettarla. Glielo dirà lei stessa.» «E io dirò a tutti che lei l'ha rapita e poi le ha fatto il lavaggio del cervello. Sarà una grande storia per i giornali scandalistici.» Nicholas sorrise. «Che cosa ne dice?» «Penso che lei sia un gran figlio di puttana», disse Randall. E aggiunse cupamente: «Chi è quella donna per lei? Sua moglie?» «Sì», mentì lui. «Allora, dovrebbe tenere quella strega a casa e fuori dai miei piedi.» «Mi dica dov'è e sarò lieto di togliergliela di torno.» Randall rimase in silenzio un attimo e poi sorrise malignamente. «Perché no?» Aprì il cassetto della sua scrivania, tirò fuori una mappa e la spiegò. «È alle manovre. Voleva dimostrare quanto poteva essere dura. Non so dirle dove si trovi in questo momento, ma al calar della notte sarà in questo punto.» Colpì con un dito un punto sulla mappa. «Si fermano
sempre a dormire nello stesso posto. Cypress Island. Dovrebbe essermi grato. Lei sarà davvero felice di vederla, dopo la giornata che avrà avuto.» Il suo sorriso si allargò. «Ma lei potrebbe non essere tanto felice di vederla, dopo aver attraversato a guado la palude per raggiungere l'isola.» «Non c'è un altro accesso?» «Il posto si trova in mezzo alla palude. La strada più vicina è a oltre tre chilometri di distanza.» Randall diede un colpetto su una linea sulla mappa. «Vede?» «Vedo che lei è troppo compiaciuto con se stesso.» «Potrebbe sempre restare qui in giro, ad aspettare che tornino indietro. Ci vorranno solo altri quattro giorni.» Nicholas prese la mappa e si voltò per andarsene. «Faccia buon viaggio. Porga i miei migliori saluti alla nostra cara signora.» Randall stava cominciando a seccarlo. Nicholas si arrestò a metà del passo. No, non ne aveva il tempo. Peccato. E lasciò l'ufficio. «Tieni il passo Billings», disse Wìlkins, mentre avanzava nell'acqua alta fino alla vita. «Stai restando indietro. Non abbiamo intenzione di aspettarti.» Nell ignorò la stoccata. Non era rimasta indietro: c'erano quattro uomini dietro di lei. «Chiunque resti indietro, verrà lasciato agli alligatori.» Un'altra tattica per spaventarla. Nell cercò di non fargli vedere che stata funzionando. Aveva intravisto una di quelle orribili bestie qualche ora prima. «Io resterò con lei», sussurrò Peter alle sue spalle. «Non abbia paura.» Lei aveva paura. Era impaurita ed esausta, e non desiderava altro che trovarsi lontana da quel posto lugubre. Era nell'acqua intorbidita dal fango da quasi sette ore. Le cinghie dello zaino le stavano tagliando le spalle e... Una sagoma silenziosa ondeggiò nell'acqua accanto a lei. Un serpente. Detestava i serpenti. «Muoviti, Billings.» Distolse lo sguardo dalla minaccia sotto la superficie e avanzò a viva forza nell'acqua. Un passo alla volta. Un minuto alla volta. Poteva farcela. Nessun incubo poteva durare per sempre. Tranne uno.
Nicholas parcheggiò la macchina noleggiata a lato della strada e frugò nella grossa borsa sul sedile accanto a lui. Tirò fuori il suo coltello e un fazzoletto bianco, che si legò intorno alla fronte per tenere indietro i capelli, poi infilò il coltello nella cintura dei jeans. Non era esattamente l'abbigliamento raccomandato per farsi strada attraverso una palude, ma avrebbe dovuto bastare. Scese dalla macchina e guardò cupamente l'acqua gialla dall'altra parte della strada. Stando alla mappa di Randall, quello era il punto più vicino a Cypress Island, raggiungibile senza avventurarsi nella palude. Si chinò e legò più strette le sue scarpe da tennis. Sarebbe stato fortunato, se fosse riuscito ad attraversare quell'acqua fangosa e fetida senza perderne una. Detestava le paludi. Sarebbe stato troppo chiedere che Nell avesse scelto un bel campo di sopravvivenza di montagna pulito, come quello di Washington. No, doveva cacciarsi in un acquitrino caldo e umido brulicante di zanzare, di alligatori e di predatori a due zampe come Randall. Aveva voglia di strangolarla. Strinse i denti, mentre saltava in acqua e si inoltrava nella palude. «Sembra che abbiamo un piccolo problema.» Wilkins sorrideva, mentre tornava indietro sguazzando verso di loro. «Mi serve un volontario.» Nell lo fissò apatica, comprendendo a malapena le sue parole. «Chi sarà?» Nell aspettò che si voltasse verso di lei. Lo sguardo di Wilkins cadde su Peter. «Ti offri tu volontario, Drake? Bene. Sei proprio adatto al compito. Giovane e svelto. Vai in testa alla colonna.» «Che cosa vuole che faccia?» «Si tratta solo di un piccolo problema da eliminare. La nostra strada è bloccata.» «D'accordo.» Peter si avviò verso la testa della colonna. Nell si irrigidì, diffidente. Giovane e svelto. Perché doveva essere svelto? Si affrettò a seguire Peter. Buon Dio. Si fermò su due piedi. Il serpente stava sospeso come una ghirlanda dai colori vivaci sul ramo più basso dell'albero di fronte a loro. Non avrebbero potuto passarvi sotto senza urtarlo.
«Vuoi avere una bella vista?» chiese Wilkins al suo fianco. «Sbarazzati di quel serpente, Drake.» «Aspetti.» Nell si inumidì le labbra. «Che genere di serpente è?» «È solo un serpentello innocuo.» «Perché non lo aggiriamo?» «I bravi soldati non fuggono dai problemi li risolvono.» Un serpente innocuo. I ricordi le si agitavano nella mente. C'era un altro serpente quasi identico a quello. Solo, le strisce di colore erano diverse. Ricordava vagamente una poesia burlesca, che sua nonna le aveva insegnato per distinguerli. Ma non riusciva a ricordare l'altro serpente della poesia. «Vai a prenderlo, Drake.» Lui fece un passo in avanti. Il serpente corallo. L'altro rettile, cui somigliava quel serpente, era il mortale serpente corallo. «Fermati!» Peter la guardò sopra una spalla e sorrise. «Non si preoccupi. Quando ero bambino, avevo un piccolo serpente. Devi solo afferrarli dietro la testa e loro non possono morderti.» «Non farlo, Peter. Potrebbe essere velenoso. Quello e il serpente corallo sono molto simili.» «È solo un piccolo serpente innocuo. Vedete, le strisce gialle vicine a quelle rosse. Questo significa che è inoffensivo.» Lo sguardo di Wilkins si concentrò sul volto di Peter. «Procedi, ragazzo.» Peter si avviò verso il serpente. Rosso accanto al nero... Perché lei non riusciva a ricordare quella poesia? Wilkins sorrideva, guardandolo. Io non piaccio al sergente. Ma Wilkins non avrebbe messo in pericolo un bambino come Peter deliberatamente, no? E solo perché lo aveva in antipatia? Forse il serpente era innocuo. O, forse, Wilkins si sbagliava. Rosso accanto al nero... «No!» Nell spinse da parte Peter e si lanciò in avanti. Afferrò il serpente dietro la testa e lo scagliò lontano da lei con tutta la sua forza. Il serpente cadde in acqua con un tonfo a tre metri di distanza. «Non avrebbe dovuto farlo», disse Peter in tono di rimprovero. «Il ser-
gente aveva detto che era compito mio.» «Zitto», disse lei tra i denti. Probabilmente era innocuo, ma non aveva potuto correre il rischio. E adesso era sul punto di vomitare. Poteva ancora sentire la viscida freddezza delle squame del serpente sul palmo della mano. Rimase a guardare stordita, mentre il serpente si allontanava da loro fendendo l'acqua. «Il ragazzo ha ragione», disse Wilkins imperturbabile. «Non era compito tuo, Billings.» «Voleva un volontario.» Nell tentò disperatamente di controllare il suo tremore, mentre riprendeva a camminare nell'acqua. «Mi sono offerta volontaria.» «Non doveva essere tanto brusca», disse Peter, con il rimprovero nella voce, mentre si metteva al passo accanto a lei. «Avrebbe potuto fargli del male.» Era muschio strisciante o un altro serpente, quello sul ramo dell'albero davanti a loro? Era solo muschio. «Mi dispiace.» «Il mio serpente era verde. Non bello come quello. Giallo, rosso e nero... che cos'ha?» «Niente.» Non era vero. Lei aveva appena ricordato quel passo della poesia. Rosso accanto al nero, serpente privo di veleno, rosso accanto al giallo, l'uomo uccide senza fallo. 9 Raggiunsero Cypress Island un'ora prima del tramonto. Più che un'isola era una striscia di sabbia ricoperta di muschio, ma non aveva importanza. Era terraferma e a Nell sembrò meravigliosa, mentre usciva barcollando dall'acqua. «Salve», disse Tanek. Lei si fermò di botto, scioccata. Nicholas era seduto sul terreno muschioso, sotto un cipresso. «Mi perdonerà, se non mi alzo. Non mi sento molto educato in questo momento. Si potrebbe dire che sono addirittura un po' irritato con lei.» Era più che irritato, pensò Nell guardinga. Aveva un'aria infangata, fradicia ed estremamente irrascibile. «Che cosa ci fa qui?» «Potrei fare la stessa domanda a lei.»
Wilkins la spinse da parte parandosi innanzi allo sconosciuto. «Non ha il diritto di stare qui. Chi è lei?» «Sembra che io non sia il solo a non sentirsi educato.» Tanek si alzò in piedi. «E lei?» «Sergente George Wilkins.» «Nicholas Tanek.» Fece un cenno con il capo in direzione di Nell. «Sono venuto a prendere la signora.» Wilkins corrugò la fronte. «L'ha mandata Randall?» «Mi ha detto dove eravate.» «Lei è sotto il mio comando. Non andrà da nessuna parte», disse Wilkins con sorpresa di Nell. «Non ho ordini scritti per consegnarla a lei.» «Cristo.» «Non ho intenzione di venire con lei», disse Nell. Tanek trasse un lungo respiro e lei poté quasi vederlo contare. Si voltò, allontanandosi dalla colonna. «Devo parlarle.» «Non ha tempo per parlare.» La mascella di Wilkins si indurì con aria bellicosa. «Deve fare la sua parte per montare il campo.» Tanek gli lanciò un'occhiata e disse adagio: «Io parlerò con lei. Non insista». Wilkins esitò, poi scrollò le spalle. «Le parli finché le pare, ma lei non se ne andrà.» Si voltò e gridò: «Scott. Vieni con me». «Va tutto bene?» Peter aggrottò le ciglia a disagio. «Tutto bene», disse Nell sopra le spalle, seguendo Tanek. «Tornerò subito.» Tanek l'aggredì bruscamente, non appena furono fuori portata d'orecchio. «Questa è una pazzia. Che cosa diavolo fa qui?» «È necessario.» «È pericoloso.» «Ha detto che non potevo tenere testa a Maritz e a Gardeaux.» «Lo so, quello che ho detto. E andare in giro a guado per una palude la metterà in condizione di affrontarli?» «Forse sarà utile. Sto imparando altre cose. Non avevo mai toccato una pistola prima di ieri.» Lui la fissò con frustrazione. «Si guardi.» Le passò una mano su una guancia e le tolse uno sbaffo di fango. «È bagnata fradicia, infangata e sta per crollare da un momento all'altro per la stanchezza.» «No, non crollerò.» Le labbra di Tanek si strinsero. «No, non crollerà. Andrà avanti, finché
di lei non resterà niente.» «Esatto.» Nell lo fissò negli occhi. «Lei non vuole aiutarmi a prendere Gardeaux e Maritz, quindi devo farlo da sola. È per questo che sono qui.» Lui non parlò per un momento e Nell poté avvertire la sua rabbia e la sua esasperazione vibrare tra loro come un'entità reale. «Vada al diavolo», disse lui adagio, poi si voltò. «Si liberi di quel fucile e dello zaino. Non ne avrà più bisogno. Verrà con me.» «Le ho detto che resterò qui.» «L'aiuterò a prenderli», disse Nicholas con voce aspra. «È ciò che vuole, no?» Il cuore cominciò a batterle all'impazzata per l'eccitazione. «Sì, è ciò che voglio. Mi dà la sua parola?» «Oh sì, anche al punto di usarla come esca per Gardeaux. Questo dovrebbe renderla felice.» «Sì.» Si sfilò il fucile dalla spalla e lo gettò a terra, poi si tolse lo zaino. «Qualunque cosa sia necessaria.» Trasse un profondo respiro e scrollò le spalle per rilassarle. Si sentiva come se si fosse tolto un peso gigantesco di dosso, sotto più di un punto di vista. «Andiamo.» «Che cosa stai facendo?» Wilkins era accanto a loro. «Non è il modo di trattare un'arma, Billings.» «Me ne vado.» «Neanche per sogno.» «Perché se la prende? Non voleva che venissi con lei comunque.» «È un cattivo esempio per gli altri uomini. Non sei stata formalmente esonerata dal colonnello.» Un vero caso da psichiatra. «Me ne vado.» Nell fece per allontanarsi. Lui l'afferrò per il braccio. «Tipico di una donna. Le cose si mettono male e loro se la battono come un...» «Lasciala andare», disse Tanek con calma. Wilkins lo guardò di traverso, mentre le sue mani si stringevano sul braccio di Nell. «Va' a farti fottere.» Tanek sorrise. «Oh, non so dirti quanto sia felice che tu l'abbia detto.» Fece un passo avanti e con un pugno colpì Wilkins, cogliendolo di sorpresa. «Oh, quanto ho goduto nel farlo.» A Wilkins si annebbiò la vista e crollò a terra. Lo sguardo di Nell era fisso sul volto di Tanek. «Ne ha provato piacere.» «Può scommetterci.» Nicholas sorrise crudelmente. «Avrei goduto di più solo se fosse stato il suo collo.»
Voltò le spalle e saltò dalla riva nell'acqua. «Andiamo, ci vorranno un paio d'ore per tornare alla macchina attraverso questo sudiciume. Presto sarà buio.» «Vengo.» Nell si avviò, poi si fermò e diede un'occhiata oltre Tanek. Peter la stava fissando con impotente smarrimento. Non c'era posto per lui nella sua vita. Le sarebbe stato solo d'intralcio. Tanek le aveva promesso ciò che lei desiderava e ora aveva bisogno di non avere impedimenti. «Dove sta andando?» chiese Peter. Sembrava pateticamente solo. E nel gruppo di uomini alle sue spalle c'erano Scott e altri bastardi. «Aspetti», disse a Tanek, avvicinandosi a lunghi passi a Peter. «Vieni con me.» Lui la guardò con aria indecisa. Nell lo prese per mano. «Andrà tutto bene. Devi venire con me, Peter.» «A mio padre non farà piacere, non crede?» «Non preoccuparti di lui. Sistemeremo le cose. Tu non vuoi restare, vero?» Lui scosse subito il capo. «È un brutto posto. Non voglio restare qui, se lei se ne va.» «Allora togliti lo zaino e il fucile e vieni con me.» «Il sergente ha detto che non dovremmo mai stare senza il nostro fucile.» «Nell», chiamò Tanek. Lei diede uno strattone alla mano di Peter. «Dobbiamo andare, adesso.» Lui la stava ancora fissando con apprensione. «Perché la chiama Nell? Il suo nome è Eve.» «Molta gente ha più di un nome.» Nell nascose la propria impazienza e disse con pacatezza: «Noi siamo amici, Peter. Ti devi fidare degli amici. Sarà un bene che tu venga con me». Un sorriso illuminò il suo viso di dolcezza. «Amici. Giusto, avevo dimenticato.» Posò il suo fucile a terra e si tolse lo zaino. «Gli amici dovrebbero stare insieme.» Nell emise un sospiro di sollievo e si avviò verso Tanek. «Lui verrà con noi.» «Così ho capito bene. Nessun altro?» Lei ignorò il suo sarcasmo e saltò nell'acqua. «Andiamo, Peter.» Lui stava guardando male Tanek, che avanzava a grandi passi nell'acqua
davanti a loro. «È arrabbiato con me?» «No, è solo il suo modo di fare.» Avanzarono rapidamente per la prima ora e mezzo, ma dopo il calare del buio il loro passo rallentò. La palude era ancora più lugubre e spaventosa nell'oscurità. Ogni tonfo era una minaccia sconosciuta, ogni colpo d'ala allarmante. Nell teneva lo sguardo fisso sul debole riflesso della camicia bianca di Tanek davanti a lei, lontano dagli alberi ricoperti di muschio. «La strada è proprio davanti a noi», disse Tanek sopra le spalle, uscendo in fretta dagli alberi e salendo sull'argine. «La macchina è parcheggiata a pochi metri da qui.» Nell trasse un sospiro di sollievo. Erano quasi alla fine di quel travaglio. Non del tutto, però. Tanek stava in mezzo alla strada e imprecava, quando lei e Peter uscirono a fatica dall'acqua e arrancarono verso di lui. «Che cosa c'è che non va?» «La macchina non è qui.» «Qualcuno l'ha rubata?» Lui si stava guardando intorno. «No, quell'albero della pioggia non mi sembra familiare. Devo aver sbagliato direzione.» Corrugò la fronte. «Quella dannata macchina dev'essere da qualche parte lungo la strada.» Nell lo fissò con stupore. «Ha perso la macchina?» Tanek la guardò di traverso. «Non l'ho persa. Provi lei a seguire una linea dritta in quella palude, al buio.» Lei si mise a ridere. «Che cosa diavolo c'è di tanto divertente?» Nell non ne era sicura. Doveva essere stordita dalla stanchezza: la sua indignazione e la sua irritazione le sembravano divertenti. «Ha commesso un errore. Forse, dopotutto, non è Arnold Schwarzenegger. Lui non si sarebbe perso in una palude.» «Schwarzenegger?» Tanek aggrottò le sopracciglia. «Di che cosa diavolo sta parlando?» Non attese una risposta. «E non mi sono perso. Ho sbagliato a svoltare.» Si avviò a lunghi passi lungo la strada. «È arrabbiato anche con lei», disse Peter. «Forse faremmo meglio ad aiutarlo a trovare la macchina.» «Forse sarebbe meglio.» Ogni traccia di divertimento svanì, quando lei si avviò dietro Tanek. I
suoi stivali sprizzavano acqua a ogni passo e gli abiti le aderivano pesantemente al corpo. La prospettiva di una camminata prolungata su quella strada deserta non era piacevole. Trovarono la macchina a più di un chilometro a nord dal punto in cui erano usciti dalla palude. «Non dica niente», disse bruscamente Tanek, mentre apriva le porte della macchina e si metteva al volante. «Sono bagnato, stanco e molto arrabbiato.» Peter si infilò sul sedile posteriore. «Gliel'avevo detto che era arrabbiato.» Nell salì sul sedile passeggeri e non riuscì a trattenersi da un'ultima stoccata. «Ha le chiavi?» Tanek si irrigidì. «Pensa che sia tanto sbadato da smarrirle?» «Beh, ha smarrito la...» Nell si interruppe, quando incontrò il suo sguardo. «No, immagino di no.» Lui avviò la macchina. «Dove andiamo?» «A Panama City, in un motel che accolga tre persone, che sembra che siano state gettate in una vasca di liquame e che puzzano di conseguenza.» Peter rise. «Chi è lui?» chiese Tanek. «Mi chiamo Peter Drake.» «Questo è Nicholas Tanek, Peter.» Nell si rannicchiò sul sedile e allungò le gambe davanti a sé. «Perché non cerchi di fare un pisolino?» «Ho fame.» «Mangeremo qualcosa quando arriveremo in città.» «Pollo?» «Se vuoi.» «Pollo fritto del Kentucky? È il migliore.» Nell annuì. «Pollo fritto del Kentucky.» Peter sorrise soddisfatto e si sdraiò sul sedile posteriore. «Non so nemmeno se ci sia il pollo fritto del Kentucky, a Panama City», borbottò Nicholas. «Allora prenderemo qualcos'altro. Peter non è difficile.» «Tutta la situazione è difficile.» «Possiamo parlarne più tardi?» chiese Nell a bassa voce. «A meno che non intenda buttar fuori dalla macchina il ragazzo.» Lui gettò un'occhiata nello specchietto retrovisore a Peter, raggomitolato
sul sedile posteriore. «No.» «È stato molto bravo laggiù con Wilkins. Proprio come in un film di arti marziali. Karate?» «Choi Kwang-do.» «Me lo insegnerà?» «Più tardi potremo parlare anche di questo.» Nell si chiese se dovesse insistere, poi decise di aver ottenuto abbastanza per quel giorno. Appoggiò il capo contro il finestrino e chiuse gli occhi. Il ronzio del motore e l'andatura regolare della macchina erano rassicuranti. Per la prima volta da giorni si sentiva al sicuro. Era quasi addormentata, quando Tanek parlò di nuovo. «Perché quel buco infernale?» chiese improvvisamente. «Obanako deve essere il campo peggiore degli Stati Uniti, nel suo genere. Pensava che sarebbe stata una vacanza in Florida?» «No.» «Allora perché non quello di Denver o quello di Seattle?» Lei esitò. Probabilmente non avrebbe dovuto rispondere. La verità non gli sarebbe piaciuta, ma gliela disse comunque. «Non mi sembravano abbastanza brutti.» Tanek la fissò, incredulo. «Avevo bisogno di lei», disse Nell con semplicità. «Dovevo dimostrarle che avrei fatto qualunque cosa, per prendere Gardeaux e Maritz.» Lui non parlò per un momento. «Mio Dio. Una messinscena. Sapeva che l'avrei seguita.» «No, ma speravo che l'avrebbe fatto. Si sentiva abbastanza colpevole da essersi già preso molto disturbo per proteggermi. Ho ritenuto probabile che non avrebbe voluto che me ne andassi per conto mio.» «Le telefonate.» «Kabler aveva detto che Phil poteva accedere quasi a qualsiasi registrazione. Dovevo lasciare una traccia.» «E mettersi in una situazione che sapeva che avrebbe fatto pressione su di me», disse Tanek freddamente. «Non mi piace essere manipolato, Nell.» «Avevo bisogno di lei», ripeté Nell. «Dovevo farlo. E non potrebbe importarmi di meno, se è risentito.» «Avrebbe potuto importarle, se avessi deciso di lasciare perdere.» «Non l'avrebbe fatto. Tania dice che lei mantiene la sua parola.» «Tania non ha mai cercato di manipolarmi.» Tanek fece una pausa. «E che cosa avrebbe fatto, se non l'avessi seguita?»
«Sarei rimasta qui. Avrei terminato l'addestramento e tentato di imparare il più possibile.» «E sarebbe stata stuprata, o uccisa dalle intemperie o dallo sfinimento.» «Non sarei morta.» «No, lei pensa di poter camminare sulle acque.» «Questa conversazione è inutile», disse Nell stancamente. «Non è successo niente e non sono più al campo. Dobbiamo andare avanti. L'unica ragione per cui gliel'ho detto era che non volevo iniziare su una falsa nota. Detesto le menzogne.» Chiuse gli occhi. «Farò un sonnellino. Mi svegli, quando arriveremo al motel.» «Scenda.» Nell alzò gli occhi annebbiati a guardare Tanek. «Che cosa?» Lui infilò una mano nella macchina e tirò fuori Nell. Erano in un parcheggio. «La porta della sua stanza è a tre metri di distanza, poi potrà crollare.» Lei scosse il capo per chiarirsi le idee. «Dove siamo?» «Al Best Western.» Nicholas aprì la sua porta, la spinse dentro e accese con uno scatto la luce. «Chiuda a chiave.» «Peter...» «Avevano solo due stanze. Lui resterà con me. Siamo a due porte di distanza.» «No, lui sarà spaventato. Non posso...» «Mi prenderò cura io del suo pulcino», disse lui con voce brusca. «Si tolga quel fango di dosso e torni a dormire.» E sbatté la porta dietro di sé. Nell fissò intontita la porta, prima di voltarsi. Era la solita stanza impersonale di motel. Un letto, un tavolo e due poltrone, davanti alla finestra con vista panoramica sul parcheggio. L'arredamento era un po' logoro e il copriletto grigio sul letto sembrava sbiadito, ma pulito. Molto più pulito di quanto non fosse lei al momento. Guardò con intenso desiderio il letto matrimoniale, prima di avviarsi barcollando verso la stanza da bagno. Si sentì meglio dopo una doccia calda e dopo essersi lavata i capelli. Diede un'occhiata al mucchio di abiti mimetici sudici sul pavimento. Non aveva alcun modo di lavarli e neanche desiderio di rivederli mai più. Risciacquò la biancheria intima e la buttò sul portasciugamano, prima di uscire dalla stanza da bagno e dirigersi al letto. Aveva i capelli ancora umidi, quando il suo capo toccò il cuscino.
Sua nonna avrebbe disapprovato, pensò assonnata. Aveva sempre detto a Nell che avrebbe preso un brutto raffreddore, se fosse andata a letto con la testa bagnata... Tanek bussò alla porta alle otto, il mattino dopo. Nell afferrò il lenzuolo e se lo drappeggiò intorno al corpo prima di aprire la porta. «Molto seducente.» Tanek le porse una borsa con la scritta PELICAN SOUVENIR SHOP su un lato. «Ma penso che si sentirà più a suo agio con questi. Calzoncini e maglietta. Il negozio di souvenir in fondo alla strada era l'unica cosa aperta a quest'ora.» «Grazie.» Nell si fece da parte per farlo entrare nella stanza. «Dov'è Peter?» «Sta provando i suoi abiti.» «Sta bene?» Lui annuì. «Ha dormito come un ghiro. Ha appena mangiato una dozzina di frittelle dolci e bevuto tre litri di succo d'arancia. L'unica cosa che può avere, che non va, è un mal di pancia. Sollevò la borsa che aveva nell'altra mano. «Caffè. Come lo prende?» «Con il latte. Si segga. Sarò vestita tra un minuto.» Si affrettò verso la stanza da bagno. Indossò in fretta la biancheria intima che aveva risciacquato la sera prima e aprì la borsa. Infradito di gomma verdi, bermuda color porpora e una maglietta lavanda dalle maniche corte decorata con fenicotteri rosa. Oh, bene, almeno erano leggeri e puliti. Tanek era seduto al tavolino accanto alla finestra, quando Nell uscì dalla stanza da bagno. Spinse una tazza di caffè verso il posto libero di fronte a lui. «Lo beva. Dobbiamo parlare.» Lei lo fissò guardinga, mentre si sedeva e sollevava il caffè. Ne bevve un sorso e disse: «Parli». «Faremo a modo mio. Completamente mio. Manterrò la mia parola, ma non ho intenzione di lasciare che lei si metta di mezzo e mi faccia uccidere. Io preparerò il piano e lei farà come dirò io.» «D'accordo.» Lui la guardò sorpreso. «Non sono stupida. So che non sarà facile. Finché vedrò una ragione perché lei faccia una cosa, non discuterò con lei.» «Stupefacente.»
«Ma non voglio che lei mi escluda e non le permetterò di ingannarmi.» «Ho detto che non la escluderò.» Nicholas fece una pausa. «Se è ciò che vorrà ancora, quando sarò pronto a muovermi.» «È ciò che vorrò.» Bevve un altro sorso di caffè. «È l'unica cosa che voglio.» «Il tempo riesce ad alleviare...» «Il tempo?» Lo sguardo di Nell tornò veloce sul suo viso. «Di che cosa sta parlando?» «Non sarò pronto a muovermi fino a dicembre inoltrato.» «Dicembre? Siamo solo a settembre.» «E lo sto progettando da aprile.» «È troppo.» «È il modo più sicuro.» «Dicembre.» Nell cercò di ricordare tutto ciò che aveva letto a proposito di Gardeaux. «La Festa rinascimentale.» «Esatto. Il mezzo perfetto per infiltrarci.» «Sicuramente ci saranno guardie dappertutto.» «Incluso Maritz.» Nicholas sorrise. «Maritz, Gardeaux, e diverse centinaia di ospiti a interferire.» «Non sono serviti a Medas.» Il sorriso di Nicholas scomparve. «No, ma questa volta non entreremo alla cieca.» Le mani di Nell si strinsero sulla tazza. «Non voglio aspettare.» «A modo mio.» «Sono più di tre mesi, dannazione.» «E potrà passarli preparandosi.» «Come?» «Ne discutiamo più avanti. Può scommettere che non sarà strisciando in mezzo alle paludi.» Nicholas si alzò in piedi. «Abbiamo delle prenotazioni su un volo per Boise, alle undici. Ho chiamato Tania ieri sera, ma devo andare a fare qualche altra telefonata.» «Boise?» «Andremo a Boise e poi prenderemo un aereo privato per Lasiter. Il mio ranch si trova circa cento chilometri a nord. Voglio che stia dove posso tenerla d'occhio. Non ho intenzione di affrontare di nuovo tutto questo, se lei decidesse che le cose vanno troppo lentamente.» «E che ne sarà di Peter?» Lui si voltò sulla porta. «Che ne sarà di lui? Ha una casa. Mi ha detto
che il padre è il suo tutore legale.» «È stato suo padre a mandarlo in quel posto. Potrebbe mandarcelo di nuovo.» «E potrebbe non farlo. Perché dovrebbe preoccuparsene? Le sarebbe solo d'intralcio in questa grande ricerca della vendetta. Pensavo che fosse tutto ciò che le interessava.» «È stato con lui abbastanza per capire che Peter non è normale.» «Vuol dire che è leggermente ritardato?» «Voglio dire che ha la mente di un bambino. È... indifeso.» Nicholas incontrò il suo sguardo e ripeté deliberatamente: «Perché dovrebbe preoccuparsene?» Lei perse la pazienza. «Perché sì, dannazione. Pensa che voglia assumermi la sua responsabilità? Semplicemente, è successo. Lui mi ha aiutata e non posso abbandonarlo. Suo padre non lo vuole. È sindaco di una piccola città nel Mississippi e penso che Peter sia un imbarazzo per lui. Non lo lascerò tornare lì.» «Non pensavo che l'avrebbe fatto. Ho fatto una prenotazione sull'aereo anche per lui.» Gli occhi di Nell si spalancarono. «Davvero?» «Ma non voglio che venga mossa un'accusa di rapimento contro di me. Peter ha solo diciassette anni. Suo padre è una delle telefonate che devo fare.» «Pensa di riuscire a convincerlo a...» «Lo convincerò. Gli dirò che, se causerà problemi, racconteremo ai giornali una bella storiella, descrivendo come l'onorevole sindaco abbia messo il figlio ritardato a Obanako per sbarazzarsi di lui.» Sorrise sarcastico, aprendo la porta. «Non ha detto al ragazzo che avremmo sistemato le cose? E per che cos'altro vivo io, se non per farla contenta?» «Tanek.» «Sì.» «Grazie per aver fatto questo per me. Lo so che potrebbe essere una seccatura per lei.» «Non gli permetterò di essere una seccatura.» Nicholas incontrò il suo sguardo. «E non lo faccio per lei. La maggior parte degli adulti possono prendersi cura di se stessi, ma mi fa infuriare quando qualcuno perseguita i ragazzini.» «Come Tania?» «Tania non è mai stata indifesa, neppure quando era più giovane.» E Ni-
cholas aggiunse deliberatamente: «Non era come Jill. Se lei me lo permetterà, mi assicurerò di prendere Maritz e di far sì che impieghi molto, ma molto tempo a morire». Diceva sul serio. Nell provò un'ondata di gioia violenta, realizzando che ciò che lui provava non era solo senso di colpa. Era adirato e si sentiva oltraggiato; voleva che Jill fosse vendicata perché era giusto e legittimo. Non era sola. Scosse il capo. «Devo farlo io.» Nicholas annuì brevemente e lasciò la stanza. Tre mesi erano molto tempo. Troppo. Tuttavia, doveva essere sicura. Non poteva rischiare di venire uccisa prima che Maritz morisse. Tanek faceva parte del mondo di Gardeaux e ne conosceva i pericoli. Si sarebbe mosso prima, se avesse pensato di avere una probabilità di farcela. Tre mesi. E potrà passarli preparandosi. Se non fosse riuscita a convincerlo a muoversi prima di quella data, era esattamente così che li avrebbe passati: preparandosi. Tanek poteva pensare di isolarla in una regione selvaggia finché la sua determinazione si fosse attenuata. Ma non sarebbe successo. Peter arrivò nella sua stanza cinque minuti più tardi. Indossava pantaloni corti color kaki e una maglietta con sopra stampato un alligatore sorridente con in testa un berretto da baseball dei Braves. Un berretto identico poggiava sbarazzino sul capo di Peter. I suoi occhi azzurri brillavano d'eccitazione. «Andremo al ranch di Nicholas. Glielo ha detto?» «Sì, me lo ha detto.» Lui si lasciò cadere sul letto con un tonfo. «Ha dei cavalli e un cane di nome Sam.» «Che bello.» «Non ho mai avuto un cane. A mio padre non piaceva sentirli abbaiare.» «Solo un serpente.» Lui annuì. «Ma Nicholas ha detto che ci sono altri cani al ranch. Cani da pastore che guidano le greggi. Ha detto che Jean mi permetterà di sorvegliarle.» «E chi è Jean?» «Il suo capoccia. Jean Etch...» Peter sì interruppe. «Qualcosa del genere. Non ricordo.» Nell sorrise con indulgenza. «Ma ricordi che il suo cane si chiama Sam.» «No, quello è il cane di Nicholas, un pastore tedesco. Lui non guida le
pecore. Sono i collie a custodire il gregge.» Sapeva già più della vita privata di Nicholas di quanto ne sapesse lei, realizzò Nell divertita. «Sono sorpresa che tu non abbia chiesto anche tutti i loro nomi.» «Questo era ieri sera. Nicholas mi ha detto di tacere e di andare a dormire.» Se ripensava all'umore di Tanek la sera prima, Nell era sorpresa che avesse risposto anche a una sola delle domande di Peter. O che Peter avesse avuto il coraggio di fargliene. «Sono sicura che non intendeva essere scortese.» «Scortese?» Peter la guardò perplesso. «Vuol dire arrabbiato? Non lo era più. Voleva solo andare a dormire.» E, evidentemente, era stato molto paziente con Peter. Una qualità di cui lei non lo aveva mai visto far sfoggio. «E non ti dispiace lasciare la tua casa?» Il suo sorriso si attenuò leggermente e Peter distolse lo sguardo da lei. «Non mi dispiace. Preferisco stare con lei e Nicholas.» «Peter... non posso prometterti che... Potrebbe non essere...» Nell s'interruppe, vedendo la sua espressione. «Lo so», disse lui sommessamente. «Potrebbe non volermi intorno per molto tempo. Va bene.» «Non ho detto... le cose sono difficili. Potrei dovermene andare via.» «Va bene», ripeté. «Tutti se ne vanno. O mi mandano via.» Nell lo fissò impotente. «Ma non per un po'. Non prima che veda i cani?» Dannazione. Nell deglutì con forza e voltò le spalle. «No, e per molto tempo dopo.» Tre mesi. Il tempo era importante. Quella che per lei era un'eternità, per Peter poteva volare. Sorrise con uno sforzo. «E forse potremo progettare qualcosa per te, dopo che me ne sarò andata.» «Forse.» All'improvviso riapparve il suo sorriso. «Le piacciono il mio berretto e la maglietta? Ho detto a Nicholas che mi piacevano i Braves.» «Il berretto è fantastico e la maglietta splendida». Nell si voltò verso la porta. «Andiamo a cercare Nicholas.» «Che cosa hai scoperto su Simpson?» chiese Nicholas, quando Jamie rispose al telefono. «Non si è ancora fatto vedere. Il suo appartamento è stato rovistato. Ho controllato la sua donna. È partita per Parigi due giorni fa.»
«Hai ricevuto le fotocopie dei documenti che ti ho mandato?» «Ieri.» «Voglio che li controlli.» «I libri contabili? Pensavo che avessi detto che non ci sarebbero serviti a niente senza...» «Non i libri contabili, i documenti su Medas. Se sono esatti, voglio che scavi.» «Hai intenzione di dire a Nell quello che hai scoperto?» «Assolutamente no.» «Se scoprirà che glielo stai nascondendo, otterrai una reazione violenta.» Era dire poco, ma Nicholas non poteva rischiare l'esplosione che sapeva sarebbe avvenuta, se lei avesse scoperto ciò che contenevano le carte di Simpson. «Cerca solo di scoprire di più al riguardo.» Sentì bussare alla porta. «Devo andare. Se scopri qualcos'altro, mettiti in contatto con me al ranch.» E riagganciò. «Avanti.» Peter e Nell entrarono nella stanza. Sembravano due evasi da Disney World. Entrambi giovani e tanto dannatamente vulnerabili da desiderare di sollevarli di peso e metterli dietro le sbarre, per tenerli al sicuro. In che cosa diavolo si era impegolato? «Siamo pronti.» Nell fece una smorfia. «Sempre che ci lascino salire sull'aereo, vestiti così.» Lo sguardo di Nicholas vagò sulla persona di Nell, dalle sue gambe, snelle e armoniose, al seno, delineato dal tessuto morbido della maglietta, e provò una familiare ondata di eccitazione. Cristo, non ora. Non con quella donna. Voltò bruscamente le spalle e allungò una mano a prendere la sua borsa da viaggio. «Oh, non credo che ci sia alcun dubbio sul fatto che vi lascino salire a bordo dell'aereo.» Si diresse verso la porta. «Ma l'assistente di volo potrebbe volervi dare un paio di orecchie da Topolino e un libro da colorare.» 10 «Un'altra recinzione?» chiese Nell, quando Tanek scese dalla jeep e si diresse verso il cancello. «Questa è la terza. Crede davvero nei sistemi di sicurezza.» «Credo nel restare vivi. Questa è l'ultima.» Inserì una combinazione nella serratura del cancello. Questo si spalancò senza rumore. «È elettrica e
circonda l'area della casa e della scuderia.» Diede un'occhiata a Peter sul sedile posteriore. «Stai lontano dalla recinzione, Peter, o prenderai la scossa.» Lui aggrottò le sopracciglia. «Non ferisce i cani?» «Sam ha abbastanza buon senso da non toccarla e il bestiame e le case coloniche si trovano in un'altra zona della tenuta, fuori delle recinzioni. Questa è solo la fattoria. Il vero ranch è il Bar X, diversi chilometri a nord da qui.» «Bene.» Peter tornò a fissare impaziente fuori dal finestrino. «Sembra... strano, laggiù.» Nell capiva che cosa intendesse dire. In distanza le montagne Sawtooth si innalzavano maestose, ma fin dove arrivava lo sguardo il terreno era piatto e desolato. Eppure, non dava affatto l'impressione della solitudine. C'era qualcosa... lì, ad aspettare. «Ha molto spazio.» «Giusto. Sognavo lo spazio, qundo ero ragazzo a Hong Kong. Tutta quella gente quasi mi soffocava.» Credo nel restare vivi. Nell studiò il volto di Tanek, mentre lui risaliva in macchina. Aveva parlato in tono piatto, quasi con indifferenza, e le riportò alla mente quel momento all'aereoporto, quando Reardon aveva detto che Nicholas non amava prendere i taxi. La sopravvivenza era un modo di vivere per Tanek, ma non aveva compreso fino a che punto prima di vedere la fortezza con cui si circondava. «Deve sentirsi molto sicuro qui», disse pacatamente. «Si è reso inespugnabile.» «Non si è mai inespugnabili. Si fa solo del proprio meglio.» Attraversò il cancello, che si richiuse automaticamente dietro di lui. «Non credo che la recinzione o il cancello possano essere oltrepassati, ma un elicottero con un lanciamissili potrebbe annientarmi senza problemi.» «Lanciamissili?» Nell sorrise. «Mi sembra paranoico.» «Forse. Ma potrebbe accadere, se uno fosse abbastanza deciso. I signori della droga sudamericani ne hanno una vasta scorta.» «Che cosa fa allora per proteggersi?» Lui si strinse nelle spalle. «Nessuno vive per sempre. Se non fosse un missile, potrebbe essere un tornado. Si fa del proprio meglio, si sottoscrive una polizza d'assicurazione.» Le diede un'occhiata. «E si vive ogni momento come se fosse l'ultimo.» Nicholas parcheggiò la jeep davanti alla casa e saltò giù. «Michaela», gridò.
«Sono qui. Non hai bisogno di urlare.» Una donna alta ed esile, tra i quaranta e i cinquant'anni, uscì dall'abitazione. Indossava jeans e una camicia scozzese molto morbida, ma il suo portamento conferiva eleganza a quegli abiti sportivi. «Ho sentito il campanello, quando hai aperto il cancello.» Il suo sguardo si spostò su Nell, poi su Peter. «Hai ospiti. Benvenuti.» C'era una strana formalità nei suoi modi. Nell la fissò. I lineamenti della donna erano forti e fermi, e possedevano quasi una dignità egiziana. «Questa è Michaela Etchbarras», disse Tanek. «Dovrei definirla la mia governante, ma non governa: dirige la casa e tutto il resto qui intorno.» Aiutò Nell a scendere dalla jeep. «Nell Calder. Peter Drake. Staranno qui per un po'.» «E tu?» chiese la donna a Tanek. Lui fece cenno di sì con la testa. «Bene. Sam ha sentito la tua mancanza. Non dovresti tenere un animale, se sei costretto a lasciarlo solo. Lo farò uscire dalla cucina», disse la donna, e rientrò in casa. «Etchbarras», disse all'improvviso Peter. «Era questo il nome. È lui che ha i cani pastore.» «Michaela è sposata con Jean.» Tanek fece una smorfia. «Si degna di fungere da mia governante ogni volta che Jean si trova sull'altopiano con le pecore. Diversamente, torna al Bar X e manda una delle sue figlie a fare le pulizie due volte la settimana.» «Quante figlie ha?» chiese Nell. «Quattro.» «Sono sorpresa che permetta loro di stare nella tenuta, considerando come è stato cauto con quella povera cameriera del servizio in camera, in albergo.» «Mi sono arrivati in blocco con la tenuta. Non c'è pericolo. La famiglia Etchbarras si occupa di pecore dall'inizio del secolo. Vennero a stabilirsi qui dalla regione basca della Spagna. La maggior parte della gente qui intorno è basca. È una comunità molto unita. Sono io l'estraneo.» «Ma è lei il proprietario di questo posto.» «Davvero? Io l'ho comperato con il denaro. Loro l'hanno pagato con una merce di scambio diversa.» Le sue labbra si strinsero. «Ma ha ragione, è mio e imparerò ad appartenere a questo posto e a conservare ciò che è mio.» La forza della possessività nella sua voce sorprese Nell. Chiaramente per
lui quel posto non era solo una fortezza. Lo sguardo di Nell andò alla porta, attraverso la quale era scomparsa la governante e disse distrattamente: «Ha un volto fantastico. Sarebbe un soggetto meraviglioso per un ritratto». Tanek inarcò beffardo un sopracciglio. «Devo scorgere un impulso più gentile in quel petto di fanatica? Dipingere? Che totale perdita di tempo.» Nell era sorpresa lei stessa. Non pensava a dipingere dai tempi di Medas. «Era solo un'osservazione. Non ho detto di aver intenzione di farlo. Ha ragione, non ne avrò il tempo.» «Non si può mai dire.» Lo sguardo di Tanek si spostò sulle montagne. «Il tempo sembra rallentare, qui. Potrebbe...» Un tornado giallo scuro e marrone uscì a precipizio dalla porta d'ingresso. Tanek barcollò all'indietro, quando le zampe anteriori del pastore tedesco gli colpirono il petto, e grugnì rumorosamente. Il cane emetteva suoni lamentosi, mentre tentava di leccargli la faccia. «Giù, Sam.» Il cane lo ignorò. Tanek sospirò rassegnato e si inginocchiò a terra, dove il cane poteva raggiungerlo. «Falla finita.» Nell lo fissava sorpresa, mentre il cane saltellava eccitato intorno a lui, balzandogli addosso a leccargli la faccia. Facendo una smorfia, Tanek sollevò un braccio a coprirsi la bocca, per evitare la lingua del cane, e aggrottò le sopracciglia quando incontrò lo sguardo di Nell dall'altra parte del portico. «Che cosa si aspettava? Rin Tin Tin? Non sono un addestratore di cani. L'unico comando cui obbedisce è: 'Vieni a mangiare'». Tanek trasudava sempre una tale forza e sicurezza, che Nell suppose di non aver mai pensato che avrebbe permesso a un animale di essere altro che disciplinato e ben educato in sua presenza. «È magnifico.» «Già.» Tanek sfregò affettuosamente le orecchie del cane. «Anche a me piace molto.» Era evidente. Non aveva mai visto Tanek tanto spontaneo, prima. «Posso accarezzarlo?» chiese Peter. «A suo tempo. Non gli piacciono gli estranei.» A Nell sembrava impossibile. Ora il cane stava sulla schiena nella più sottomessa delle posizioni, uggiolando di piacere mentre Tanek gli grattava il petto. Nell si avvicinò d'un passo. Il cane fu in piedi all'istante, ringhiando minaccioso. Si fermò scioccata.
«Buono», disse Tanek in tono rassicurante. «Loro sono a posto, vecchio mio.» «Si comporta come se fosse stato addestrato per l'attacco.» «Solo per salvare la vita.» Tanek si rizzò in piedi. «L'ho trovato mezzo morto di fame sul lato della strada, quando era solo un cucciolo. Non si fida di molte persone.» Sorrise a Peter. «Lascia che si abitui a te.» Peter annuì, ma era chiaramente deluso. «Volevo piacergli.» «Gli piacerai.» Si avvicinò verso la porta d'ingresso. «Domani mattina ti farò portare all'allevamento di pecore di Michaela. I cani pastore sono molto più amichevoli.» Peter si illuminò. «Posso restare là per un po'?» Tanek scosse il capo. «Tra pochi giorni gli aiutanti andranno sull'altopiano a riportare indietro le pecore per l'inverno.» «Ma quando saranno tornati?» «Se Jean sarà d'accordo.» Peter si voltò verso Nell e disse timidamente: «Non è che non voglia stare con lei. È stata gentile con me. È solo che...» «I cani.» Nell sorrise. «Capisco, Peter.» «Venite con me.» Michaela era ferma sulla porta. «Non ho tutto il giorno a disposizione. Devo mostrarvi le vostre stanze. Tra un'ora farà buio. Questa sera Jean scenderà dai pascoli e devo andare a casa a preparargli la cena.» Tanek si inchinò con aria canzonatoria. «Veniamo subito. Mostra solo la sua stanza a Peter e io porto Nell a fare un giro. Non vorremmo disturbarti.» «Non mi disturberete. Ho messo in forno una casseruola per voi, perché vi serviate. Vieni con me, Peter.» La donna tornò in casa e Peter la seguì zelante. Nell e Tanek entrarono direttamente nel soggiorno. «È più grande di quanto non sembri dall'esterno», disse Nell. «Ho aggiunto alcune ali, quando ho comperato la tenuta. Gliel'ho detto che mi piaceva lo spazio.» Nell diede un'occhiata in giro alla stanza ariosa, arredata con pesanti poltrone in pelle color cammello, raggruppate intorno a un camino enorme con il focolare in pietra. Fiori bianchi ricadevano a cascata dai vasi in ottone che occupavano gli sporadici tavoli, mentre un enorme vaso cinese in un angolo della stanza era colmo di crisantemi. Sulle pareri si era aspettata di vedere tappeti indiani e manufatti di cowboy, invece c'erano quadri d'o-
gni genere. Attraversò la stanza andandosi a fermare davanti a quello appeso sopra il camino. «Delacroix?» «Sarei tanto barbaro da nascondere qui nel deserto un Delacroix, con nessuno tranne me ad ammirarlo?» Nell gli diede un'occhiata, ricordando la possessività che aveva notato solo pochi minuti prima. «Sì.» Tanek ridacchiò. «Giusto. I tesori sono per il piacere di coloro che riescono a impadronirsene e a conservarli.» «Impadronirsene? L'ha...» «No, non l'ho rubato. L'ho acquistato a un'asta. Sono rigorosamente ligio alla legge, di questi tempi.» La guidò fuori dalla porta e per un lungo corridoio. «Ci sono cinque camere da letto con annesse stanze da bagno in quest'ala, uno studio e una palestra discretamente attrezzata nell'altra.» Spalancò una porta. «Questa è la sua camera. C'è solo un televisore nella casa, nello studio, ma ci sono molti libri. Spero che starà comoda.» Nell non vedeva come avrebbe potuto evitare di esserlo. La stanza era arredata semplicemente, ma trasudava comodità. Un piumino bianco era buttato sopra il letto matrimoniale e una sedia a dondolo imbottita occupava un angolo della stanza accanto a una finestra a battente. Una libreria in ciliegio traboccava di libri e di piante. «È molto bella. Sono sorpresa che i suoi ospiti possano mai andarsene.» «Raramente ho ospiti. Questa è casa mia. Non mi piace dividerla.» Nell si voltò a guardarlo. «Allora deve risentire doppiamente la mia presenza qui. Prometto che non le starò tra i piedi più del necessario.» «È stata una mia scelta. Sono stato io a portarla con me.» Accennò con il capo verso una porta dall'altra parte della stanza. «La stanza da bagno. Vorrà lavarsi, prima di cena.» «Che diamine sta facendo?» chiese Nell, lo sguardo su Peter seduto sul pavimento in un angolo della stanza. Il ragazzo stava immobile, con le gambe incrociate, lo sguardo impassibile fisso su Sam, sdraiato accanto al camino a poca distanza. «Pensa, forse, di poter convincere Sam a trovarlo simpatico con la volontà?» «Forse.» Tanek si versò un'altra tazza di caffè dalla caraffa a portata di mano. «Può succedere, se lo vuole abbastanza intensamente. I cani sono sensibili ai sentimenti.» «Ha ignorato Peter per tutta la cena.»
Nicholas si appoggiò all'indietro sulla poltrona. «Deve smettere di crucciarsi. Non può costringere Sam a trovarlo simpatico.» «Non mi sto crucciando. Solo... penso che Peter deve aver avuto una vita difficile. Non farebbe male quel dannato cane a scodinzolare un po' per lui.» «Lui non lo sa. Conviene essere cauti.» «Come lei.» Nell alzò lo sguardo. «Con i suoi recinti elettrici.» Lui annuì. «Contrariamente al suo attuale punto di vista al riguardo, la vita può essere piacevole. Non ho intenzione di rinunciare neppure a un minuto di essa. Lotterò fino all'ultimo respiro.» Nell riusciva a crederci, detto da lui. Sotto quella maschera fredda c'era un'appassionata determinazione. Forza, intelligenza e passione per la vita: una combinazione affascinante. Distolse lo sguardo da lui. «Ma è disposto a rischiarla per prendere Gardeaux.» «Non se posso evitarlo.» Nicholas si portò la tazza alle labbra. «Intendo avere tutto.» «E se non ci riuscisse.» «Ci riuscirò.» Tanek fece una pausa. «E non permetterò che lei mi faccia uccidere, perché vuole muoversi troppo in fretta.» «Lei non capisce. Io devo. È duro aspettare.» Le sue mani si strinsero sulla tazza di caffè. «Pensa che non sappia perché sono qui? Pensa di potermi convincere a non dare loro la caccia.» «Questo è uno dei programmi. L'altro è impedirle di costringermi a dare la caccia a lei, facendomi inciampare in una trappola.» «Non è stato costretto a darmi la caccia.» «Sì, lo sono stato.» «Perché? Le avevo detto che non era responsabile per ciò che era accaduto a Medas.» «Noi tutti ci poniamo i nostri confini di responsabilità.» «E io mi trovo nel suo?» Lui sorrise. «Per il momento. I confini a volte mutano.» Nell non voleva essere la responsabilità di nessuno, tantomeno di un uomo come Tanek. La responsabilità implicava una certa intimità. Era già stata costretta a creare un legame con Tania e Peter. Tanek doveva restare al di fuori. «Non le fa piacere? Ma se ne è servita per assicurarsi che io l'aiutassi. Dev'essere coerente, Nell.» Al diavolo Tanek. Non ci sarebbero stati problemi nel tenerlo a distanza.
«Perché vuole morto Gardeaux?» «Merita di morire.» «Questa non è una risposta.» Lui non rispose per un momento. «Per la stessa ragione per cui lei lo vuole morto. Ha ucciso una persona cui tenevo.» «Chi?» Di nuovo Nell rifletté su quanto poco sapesse di Tanek. «Sua moglie? Suo figlio?» Lui scosse il capo. «Un amico.» «Dev'essere stato un amico intimo.» Nell poté avvertire Tanek escluderla. «Molto intimo. Dell'altro caffè?» Nell scosse il capo. Era chiaro che non aveva intenzione di dirle altro di sé e tentò un'altra strada. «Mi parli di Gardeaux.» «Che cosa vuole sapere?» «Qualunque cosa sappia.» Lui sorrise ambiguo. «Le assicuro che non può voler sapere tutto ciò che so di lui.» «Come le è accaduto di incontrarlo?» «Ci siamo imbattuti uno nell'altro diversi anni fa, a Hong Kong. A quell'epoca eravamo nello stesso giro d'affari. Anche se il suo era più diversificato.» «Intende dire che eravate entrambi criminali?» chiese bruscamente Nell. Tanek annuì. «Ma la mia organizzazione era più limitata. Volevo mantenerla tale.» «Perché?» «Non ho mai avuto intenzione di farne il lavoro della mia vita.» E Tanek aggiunse con aria seria: «Volevo diventare un chirurgo del cervello». Nell lo fissò, sbalordita. Lui ridacchiò. «Stavo solo scherzando. Volevo accumulare abbastanza denaro e poi uscirne. Se diventi importante nel racket, accadono due cose. O ti tuffi nel traffico della droga e la legge non ti lascia più in pace o diventi assuefatto al potere e non puoi rinunciarvi. Nessuna delle due prospettive mi piaceva, così mi sono assicurato di essere discreto.» «Non riesco a immaginarla discreto.» «Oh, ma lo ero.» E Tanek aggiunse: «Relativamente». «Ma Gardeaux non lo era.» «No, Gardeaux voleva essere Dio.» Tanek rifletté un momento. «O, forse, Cesare Borgia. Non ne sono mai stato del tutto sicuro. Probabilmente, Dio. L'alone di leggenda intorno a Borgia poteva attrarlo, ma il principe
fece una brutta fine.» Nell trattenne uno scatto d'impazienza. «Com'è arrivato a conoscerlo?» «C'era un vaso Tang di cui entrambi volevamo entrare in possesso. Lui mi disse di tirarmi indietro.» «E lei che cosa fece?» «Mi tirai indietro.» Nell provò una piccola ondata di choc. «Fu un buon affare. Lui aveva più muscoli e una guerra mi sarebbe costata più di una dozzina di vasi Tang.» «Capisco.» Lui scosse il capo. «No, non capisce. Pensa che avrei dovuto sfidarlo e respingerlo nelle fogne.» «Non ho detto questo.» «Ho imparato molto tempo fa che bisogna soppesare attentamente le conseguenze, prima di tuffarsi in battaglia. Avevo una fortuna da accumulare e persone che dipendevano da me.» «Phil?» «Era con me, allora.» «E lavora ancora con lei.» «Occasionalmente. Quando ebbi abbastanza denaro, sciolsi l'Organizzazione. Alcuni dei miei soci decisero di non volere passare ad altre, dove il loro talento sarebbe stato il benvenuto.» «Così lei li ha aiutati a crearsi delle nuove vite.» «Non potevo disinteressarmene.» E Tanek aggiunse semplicemente: «Si trovavano entro i confini della mia responsabilità». Lealtà. Nell non voleva che possedesse le qualità che lei più ammirava. Quando aveva cominciato a fargli domande, aveva voluto solo avere informazioni su Gardeaux, ma stava apprendendo troppo su Tanek. Cercò di tornare sull'argomento. «Tirarsi indietro non le è servito? Ha ucciso ugualmente il suo amico?» «No, questo è avvenuto più tardi.» Tanek si alzò in piedi e si stirò. «È ora di andare a dormire.» Aveva chiuso di nuovo la porta. Nell disse in fretta: «Non mi ha detto quasi niente di ciò che volevo sapere di Gardeaux». «Abbiamo tempo in abbondanza. Resterà qui per un po'.» Lei si alzò in piedi. «Non voglio sprecare tempo.» Fece una pausa. «Ovviamente, lei ha dei contatti. Se non possiamo fare niente di concreto, vuole tentare di scoprire perché Gardeaux ha mandato Maritz a uccidermi?»
«Perché?» «Perché? Devo saperlo, perché devo cercare di dare un senso a tutto questo. Sto brancolando al buio in un incubo da troppo tempo.» «Questo le farà cambiare idea oppure obiettivo?» «No.» «Allora, direi che qualunque motivo sarebbe di secondaria importanza.» «Non per me.» Tanek la fissò senza parlare. Non aveva intenzione di farlo. «Va bene. Domani vuole insegnarmi a fare ciò che ha fatto a Wilkins?» «Non si arrende mai?» «Se avessi saputo come combatterlo, Maritz non sarebbe mai riuscito a spingermi giù da quel balcone. Sarei stata in grado di difendermi.» E di difendere Jill. Per quanto inespresse, quelle parole indugiarono tra loro. Tanek annuì brevemente. «Dopodomani. Devo andare a trovare Jean al Bar X, domani.» Lei lo fissò con sospetto. «Non sta solo cercando di sbarazzarsi di me?» «Non me lo sogno neanche. Le insegnerò tutto ciò che vuole sapere sulla morte e sulla violenza gratuita. Ma non sarà quanto Gardeaux e Maritz potrebbero insegnarle.» «Basterà.» «Non basterà. E, anche se bastasse, che cosa farà dopo che sarà finita? Occorre un certo tipo di carattere per sopravvivere all'omicidio.» «Non sarebbe un omicidio», disse lei, irritata. «Vede, sta già rifuggendo dal pensiero.» E Tanek ripeté deliberatamente: «Omicidio. Sottrarre una vita è omicidio. Qualunque sia la ragione, l'atto è lo stesso. Le persone perbene come lei vengono educate dall'infanzia a ritrarsene con repulsione». «Le persone perbene come me raramente hanno lo stesso incentivo che è stato dato a me.» «Questo è vero, e lei non è la stessa donna che ho conosciuto a Medas. Ma la sostanza è la stessa. Quando l'albero è piegato...» «Sciocchezze.» «Davvero? Lei vuole essere dura e fredda e respingere tutti, ma non è questo che accade. Oh, con me è facile, ma che mi dice di Tania? E di Peter?» «Questo è diverso. Loro non hanno niente a che fare con Maritz e con
Gardeaux.» «Ma hanno tutto a che fare con la persona che è lei.» «Non crede che possa farlo? Si sbaglia.» «Scommetto di avere ragione.» Tanek aggiunse stancamente: «Voglio avere ragione». Nell scosse il capo. «Dopodomani. Alle otto del mattino. Metta una tuta da ginnastica e non faccia colazione.» Si voltò e uscì dalla stanza. Si sbagliava, si disse Nell. Doveva sbagliarsi. Sarebbe stato meglio se fosse riuscita a tenere alzate le barriere, ma, se avesse fallito, questo non voleva dire che la sua decisione avrebbe vacillato. «Peter.» Nell si voltò verso l'angolo opposto della stanza. «È ora di andare a...» La testa di Sam era sulle ginocchia di Peter e il ragazzo stava accarezzando la gola del cane. L'espressione di Peter splendeva di una gioia infinita. Può succedere, se lo vuole abbastanza intensamente. Nell si sentì travolgere da un'ondata di felicità per lui. Sembrava che Peter lo avesse voluto abbastanza. Voglio avere ragione. Il suo sorriso svanì, ricordando le parole di Tanek. La sua volontà era molto più forte di quella di Peter e lui intendeva concentrare quella volontà su di lei. Ebbene, lei non era Sam. Sarebbe stato inutile. «Andiamo, Peter», disse bruscamente. «È ora di andare a letto. Potrai giocare con Sam domani.» Morta. La donna era morta. Maritz riattaccò il ricevitore del telefono con un fremito di soddisfazione. Non aveva fallito. Aveva impiegato un po' di tempo, ma la Calder era morta. Poteva dire a Gardeaux che il lavoro era stato portato a termine. Forse. Una punta di disagio si fece breccia nella sua soddisfazione. Gardeaux aveva detto che lui aveva fallito, che la donna si sarebbe ripresa. Quel bastardo si sbagliava di rado. Avrebbe fatto la figura dello stupido, se fosse risultato che i documenti della morte della donna erano stati manipolati e che lei era stata portata via in tutta fretta. A Gardeaux non piacevano gli stupidi.
Non sarebbe stato male assicurarsene. Maritz abbassò lo sguardo sull'informazione sul taccuino. L'ospedale? Troppe persone. L'agenzia di pompe funebri John Birnbaum. Sorrise e si infilò in tasca il taccuino. «Tenga.» Tanek gettò un grosso pacco sul divano accanto a Nell. «Un regalo.» Nell lo guardò confusa. «Pensavo che avesse intenzione di andare nell'altro ranch, a trovare il suo capoccia.» «Ci sono andato. Ho fatto un giretto in città, tornando a casa. Lo apra.» Nell armeggiò con il nastro sul pacco. «Peter non è ancora tornato dal ranch.» «Non tornerà. Jean lo ha preso in simpatia e gli ha dato il permesso di restare qualche giorno. Se funzionerà, Jean potrebbe portarlo sull'altopiano, quando andrà a prendere le pecore per riportarle a casa.» Nell poteva capire come ciò si fosse dimostrato irresistibile agli occhi di Peter. Cominciò a strappare la carta marrone. Tela, cavalletto, album da disegno, matite e una scatola di colori. «Che cos'è questo?» «Ha detto di voler ritrarre Michaela.» «Non è questo che ho detto.» «Ma lo farà.» «Sarò troppo occupata.» Tanek fece schioccare le dita. «Ah, sì, dimenticavo la violenza gratuita. Ebbene, ho deciso di farle pagare le lezioni. Mi occorrono dei quadri per adornare le pareti.» Nell chiese in tono sarcastico: «Per appenderli accanto al suo Delacroix?» «Arte locale. La mia gente, le mie montagne.» La stessa possessività che aveva visto in lui, quando erano arrivati. «Assuma qualcun altro per farlo.» «Voglio lei. Un'ora di violenza gratuita ogni due passate da lei sui miei quadri. Affare fatto?» Perché no? Sarebbe stato un modo di regolare a suo piacere il tempo del proprio allenamento, senza doverlo chiedere a Tanek. Diede un'occhiata alla tela e provò un leggero brivido d'eccitazione. Il suo sguardo andò in direzione della cucina, dove poteva sentire Michaela preparare la cena. Quel volto stupendo...
«Se riuscirà a convincere Michaela a permettermi di ritrarla.» «Non tento mai di convincere Michaela a fare qualcosa. Se la vuole, le stia dietro.» «Un'altra terapia?» Lui sorrise. «Terrore. Mi spaventa a morte.» L'agenzia di pompe funebri Birnbaum risplendeva nell'oscurità come una piccola casa coloniale. La porta della camera mortuaria si stava aprendo e numerose persone si stavano riversando fuori. Occhi gonfi, voci sommesse, un furtivo sollievo nel lasciare i morti e nel raggiungere di nuovo i vivi. Maritz controllò il suo orologio. Le nove. Ora di chiusura. Avrebbe concesso ancora quindici minuti a chi era rimasto indietro. Rimase a osservare le persone in lutto salire sulle loro macchine nel parcheggio e allontanarsi. Un giovanotto in abito scuro uscì dalla camera mortuaria e tagliò attraverso il prato verso il parcheggio. Il ragazzo fischiettava, mentre saltava su una Oldsmobile blu, parcheggiata accanto a un lucente carro funebre della Cadillac, quello acquistato in contanti una settimana dopo la presunta cremazione della Calder. Maritz aveva trovato molto interessante la registrazione di quell'acquisto. Le luci si spensero nell'atrio. Maritz attese finché la Oldsmobile non fu scomparsa dietro la curva, prima di scendere dalla macchina e di attraversare la strada. Suonò il campanello. Nessuna risposta. Lo suonò di nuovo. Aspettò un minuto e suonò ancora. Le luci d'ingresso si accesero, la porta si aprì. Un'aria fredda e un forte profumo di fiori avvolsero Maritz. John Birnbaum stava sulla porta: capelli lisci grigi, un po' grassoccio, vestito con un sobrio abito grigio. «Desidera vedere il corpo? Mi dispiace, siamo chiusi.» Maritz scosse il capo. «Devo farle alcune domande. So che è tardi, ma posso entrare?» Birnbaum esitò. Maritz poteva quasi vedere gli ingranaggi girare nella sua testa e il simbolo dei dollari spuntare. Birnbaum fece un passo di lato.
«Ha subito una perdita?» Nell stava ferma a osservare Michaela dalla porta della cucina. Le braccia della donna erano imbrattate di farina, mentre stendeva un cerchio di pasta sul piatto di legno. Ogni movimento era rapido, aggraziato, parsimonioso. «Vuole qualcosa?» chiese Michaela, senza alzare gli occhi. Nell sobbalzò e disse la prima cosa che le venne in mente. «Che cosa sta facendo?» «Biscotti.» «Quelli che abbiamo mangiato a colazione erano ottimi.» «Lo so.» Non sarebbe stato facile. «È molto indaffarata.» Michaela annuì. «È molto gentile da parte sua e di suo marito permettere a Peter di stare al ranch con voi per un po'.» «Non ci darà fastidio.» Michaela mise da parte il matterello e cominciò a ritagliare i biscotti. «Se fosse stato un disturbo, non l'avremmo fatto. Jean non ha tempo per gli sciocchi. Il ragazzo ha la mente di un bambino, non di uno sciocco. I bambini possono imparare.» Quelle parole vennero pronunciate in tono deciso tanto quanto il movimento del coltello sulla pasta. «Dunque, che cosa vuole?» «Il suo viso.» Lo sguardo di Michaela si sollevò. «Avrei detto che il suo fosse abbastanza bello.» «Voglio dire... vorrei farle un ritratto.» Michaela cominciò a mettere i biscotti in una teglia. «Non ho tempo per posare.» «Potrei ritrarla mentre lavora. Può darsi che non abbia molto bisogno di lei, all'inizio.» Michaela non parlò per un momento. «È un'artista?» «Non proprio. Non ne ho il tempo. Lo faccio solo quando non sono...» Nell si interruppe, realizzando che automaticamente stava dando la stessa risposta che aveva dato a tutti, prima di Medas. Ma ormai non c'erano più Jill e Richard a occupare il suo tempo. Mise a tacere la stilettata di dolore. «Sì, sono un'artista.» Quelle parole suonarono strane e malinconiche alle sue stesse orecchie. Michaela la studiò, poi annuì mantenendo la sua aria burbera. «Disegni
pure. Solo non mi sia d'intralcio nel lavoro.» Nell non le diede l'opportunità di cambiare idea. «Vado a prendere il mio album da disegno.» «Non intendo restare ferma.» «Lavorerò standole intorno...» Era più facile dirlo che farlo, realizzò Nell, dopo un'ora di tentativi di catturare i lineamenti di Michaela. Lei non stava mai ferma. Per una donna, il cui volto possedeva la calma di una Nefertiti, era un turbine di energia. Dopo aver scartato diversi fogli di ritratti frontali, in preda alla disperazione Nell decise di concentrarsi su di un tratto alla volta. Iniziò con quegli occhi infossati. Così andava meglio. Ci stava arrivando. Forse avrebbe potuto combinare i lineamenti più tardi... «Perché è qui?» Nell alzò lo sguardo. Era la prima volta che Michaela le parlava da più di un'ora. «Sono solo in visita.» Michaela scosse il capo. «Nicholas ha detto che resterà per tutto l'inverno. Questa non è una visita.» «Cercherò di non disturbarla.» «Se Nicholas la vuole qui, sopporterò un po' di disturbo.» «Nicholas ha detto che lei e Jean appartenete a questo posto più di lui.» «Sì, ma ci sta arrivando anche lui. Gli occorre solo ancora un po' di acclimatazione.» «Acclimatazione?» Michaela scrollò le spalle. «Penso che sia difficile per lui appartenere a un posto, ma lo desidera. Vedremo.» «Lei vuole che resti?» Michaela annuì. «Nicholas ci capisce e ci lascia andare per la nostra strada. Il prossimo proprietario potrebbe essere stupido e impossibile da educare.» Nell sorrise. «E lei sta educando Nicholas?» «Naturalmente. Lui non è un uomo difficile. Ha grande intelligenza e forza di volontà. Si fonderà con questa terra, se ne avrà il tempo.» «Avrei pensato che la forza di volontà impedisse a una persona di fondersi.» «Questa terra è dura. Non ama le persone di carattere debole.» Michaela guardò Nell. «Le fa a pezzi e poi le sputa.» La matita di Nell si fermò a mezz'aria. «Pensa che io sia una donna dal
carattere debole?» «Non lo so. Lo è?» «No.» «Allora non ha nulla di cui preoccuparsi.» «Lei non mi vuole qui, vero?» «A me non importa che lei sia qui.» Michaela tolse i biscotti dal forno. «Purché non tenti di portar via Nicholas. Parli con lui. Gli sorrida. Dorma con lui.» Appoggiò la teglia sul piano di legno. «Ma, quando se ne andrà, lo lasci qui.» Nell provò uno choc. «Non ho intenzione di dormire con lui. Non è per questo che sono venuta.» Michaela strinse le spalle. «Accadrà. Lui è un uomo e lei è più vicina delle donne in città.» Prese una spatola e delicatamente sollevò i biscotti dalla teglia. «E lei è il genere di donna che eccita gli uomini.» «Lui non mi vede così.» «Tutti gli uomini vedono le donne così. È la loro prima reazione. È solo più tardi che ci vedono come persone dotate di una mente oltre che di un corpo.» «E l'uomo è l'unico che ha qualcosa da dire al riguardo?» «A lei piace guardarlo. Lo osserva.» Davvero? Dannazione, naturalmente lo guardava. Era un uomo che attirava l'attenzione. Era risaltato come un faro in quella sala da ballo affollata. «Questo non significa niente. Non c'è nulla tra noi.» «Se lo dice lei.» Michaela voltò le spalle. «Non ho più tempo per parlare. È quasi ora di pranzo e devo servire a tavola.» Nell emise un sospiro di sollievo. Michaela si sbagliava completamente, ma quella conversazione era stata imbarazzante. «Posso aiutarla? Potrei preparare la tavola.» «No. Ma può andare alla scuderia a chiamare Nicholas.» Nell appoggiò l'album da disegno e saltò giù dallo sgabello. «Subito.» Nicholas stava governando un cavallo baio, quando lei entrò nella scuderia. Nell si fermò appena dentro la porta. «Il pranzo è pronto.» «Sarò lì tra un minuto.» Lei rimase a osservarlo mentre strigliava lo stallone con lunghi colpi precisi. Faceva tutto con quella stessa forza e precisa parsimonia, pensò. Era vestito in jeans e maglietta e sembrava del tutto a suo agio, mentre svolgeva quell'umile compito. Se non avesse saputo come stavano le cose, avrebbe pensato che fosse nato per quello. Era difficile collegare il Tanek
di Medas con quell'uomo. Nicholas non alzò lo sguardo. «È molto silenziosa. A cosa sta pensando?» «Che sta facendo molto bene quel lavoro. Se ne intende parecchio di cavalli?» Lui sorrise. «Sto imparando. Non avevo mai visto un cavallo prima di venire qui, a eccezione di quelli che cavalcavano i magnati inglesi al club del polo.» «Faceva parte del club del polo?» «Neanche per sogno. Facevo il lavapiatti nelle cucine, quando ero ragazzo.» «Non riesco a vederla come lavapiatti.» «No? Io lo consideravo un passo avanti. Il lavoro che facevo prima consisteva nello strofinare i pavimenti del bordello dove lavorava mia madre.» «Oh.» Tanek la squadrò con lo sguardo. «Bell'esclamazione, educata e contenuta. L'ho messa in imbarazzo?» «No, ma io...» Stava balbettando, realizzò Nell irritata. «Non sono affari miei. Non intendevo intromettermi nella sua vita privata.» «Nessuna intrusione. Conoscevo a malapena mia madre. Ero più intimo con le altre prostitute, di quanto lo fossi con lei. Era una hippy americana, venuta in Cina a cercare la vera luce. Sfortunatamente, l'unica luce che vedeva era quando si trovava sotto l'effetto della droga. Così vi restava. Morì a causa di un'overdose, quando avevo sei anni.» «Quanti anni aveva quando se ne andò di là?» Tanek ci pensò un momento. «Immagino di aver avuto otto anni, quando ho iniziato a lavorare al club del polo. Venni licenziato quando ne avevo dodici.» «Perché?» «Il cuoco disse che avevo rubato tre casse di caviale e che le avevo vendute al mercato nero.» «Lo aveva fatto?» «No, l'aveva fatto lui, ma io ero un comodo capro espiatorio. A dire il vero, fu molto furbo a scegliere me.» Il tono di Tanek era freddamente obiettivo. «Ero il più vulnerabile. Non avevo nessuno che mi proteggesse, del resto io non ero capace di proteggere me stesso.» «Non sembra arrabbiato per questo.» «È storia passata e mi ha insegnato una lezione preziosa. Non sono mai
più stato tanto vulnerabile e ho imparato a difendere ciò che era mio.» «Che cosa le accadde, dopo essersene andato? Aveva un posto dove andare?» «Le strade.» Tanek appoggiò la spazzola e accarezzò il muso del cavallo. «Le lezioni che imparai lì furono ancora più preziose, ma non credo che voglia sentirne parlare.» Uscì dal box e chiuse la porta oscillante. Nell non poteva neppure immaginare come potesse essere sopravvivere per le strade, e a quell'epoca Tanek era solo un ragazzo. Lui le lanciò un'occhiata e scosse il capo. «Mi sta guardando come fa con Peter. Con occhi teneri come il burro fuso.» Nell distolse rapida gli occhi. «Non è essere teneri, detestare i maltrattamenti ai bambini. Anche lei li detesta.» «Io non mi sciolgo al pensiero.» «Non mi sto sciogliendo.» «Quasi. Ascolti, non tutti i bambini sono come Jill. Io ero un piccolo bastardo dagli artigli pericolosi, che faceva i suoi interessi.» Tanek incontrò il suo sguardo. «Lei pensa di essere cambiata, ma è ancora troppo tenera. Essere teneri significa essere malleabili, essere malleabili significa essere morti.» «Allora mi vincerò.» Nell si avviò verso la porta. «Michaela si inquieterà, se il suo pranzo diventerà freddo.» «E noi non vogliamo che questo avvenga.» Tanek si mise al passo con lei. «Come se la passa con Michaela?» «Abbastanza bene. Mi permette di ritrarla.» Nell fece una smorfia. «Purché non la intralci.» «E che effetto le fa?» «Piacevole.» Nell gli lanciò un'occhiata. «Ma non mi indurrà a cercarmi un piccolo angolo confortevole e a dimenticare tutto.» «Ma può aiutare. Fa tutto parte del grande quadro.» «Ho passato tre ore a disegnare, oggi. Questo significa che lei è in debito con me.» Un angolo delle labbra di Tanek si sollevò in un sorriso sardonico, mentre le teneva aperta la porta d'ingresso. «È di questo che si tratta.» Nell scosse il capo. Tanek era uno strano miscuglio: freddo, duro, dotato tuttavia di un codice che includeva sia un senso di responsabilità sia un senso di giustizia. Era straordinario in un uomo con la sua esperienza personale. Ma d'altra parte lui era un uomo straordinario.
A lei piace guardarlo. Le parole di Michaela le tornarono rapide alla mente e Nell provò di nuovo un sussulto al pensiero di una qualche intimità con Tanek. Era una reazione stupida. Ammettere che era un uomo eccezionale non significava che volesse saltare nel letto con lui. Per lei non significava altro che un mezzo per arrivare a Maritz, e questo sarebbe rimasto. Non sapeva neppure perché gli avesse fatto delle domande sul suo passato. Meno sapeva di lui, meglio era. No, questo non era vero. Gli aveva fatto delle domande, perché era stata curiosa di conoscere i fattori che avevano formato un uomo come Tanek. La curiosità era un tratto normale e accettabile. Nell scoprì di essere ancora curiosa, quando un pensiero improvviso le attraversò la mente: «Il cuoco che l'ha fatta licenziare, l'ha mai incontrato di nuovo?» «Oh, sì, l'ho incontrato di nuovo.» E Tanek sorrise. 11 Nessuno la stava seguendo. Era solo la sua immaginazione, si disse Tania. Si stava comportando da stupida. Ma si sentì invadere dal sollievo, quando entrò nel viale d'ingresso. Casa. Sicurezza. Restò seduta in macchina per un momento, lo sguardo sullo specchietto retrovisore. L'unica macchina che passò fu uno scuolabus carico di bambini. Visto? Stava diventando paranoica. Quella era Minneapolis, non Sarajevo. Scese dalla macchina, spalancò il bagagliaio e tirò fuori la prima borsa della spesa. «Lasci che gliele porti io.» Tania sobbalzò e si voltò di scatto. Phil stava risalendo il viale. «Mi dispiace. L'ho spaventata?» «Non mi aspettavo che fosse lei.» Phil prese la borsa dalle mani di Tania, afferrò le altre due nel bagagliaio e richiuse lo sportello con il gomito. «Avrebbe dovuto chiamarmi.» «Pensavo di potermela cavare.» Tania gli sorrise, mentre si avviava per il viale, verso la casa. «E, inoltre, non è un compito suo.» «Devo tenermi occupato. Ora, che l'estate e finita, non ho abbastanza da
fare con il giardino.» Phil fece una smorfia. «Comunque, non so perché sono qui, ora che Nell è nell'Idaho con Nicholas.» «Lei ci è di grande aiuto.» Tania non lo guardò, mentre apriva la porta d'ingresso. «Nicholas... le ha detto di badare a me?» Lui aggrottò le sopracciglia. «Che cosa vuol dire? Ha detto di aspettare qui, finché si fosse messo in contatto con me, e di aiutarla, facendo tutto ciò che mi avrebbe chiesto di fare.» «Ma non di seguirmi e di tenermi d'occhio?» «No.» Gli occhi di Phil si contrassero, fissandola in volto. «Qualche tipo sgradevole la sta seguendo?» «No.» Tania entrò nell'atrio e lo guidò verso la cucina. «Probabilmente è la mia immaginazione. Non ho realmente visto qualcuno. È solo una sensazione. Perché qualcuno dovrebbe tenermi d'occhio?» Phil sogghignò e si esibì in un fischio d'apprezzamento. «Chi non lo farebbe?» Poi si fece serio. «Ma ci sono un mucchio di persone strane che gironzolano. Non si è mai troppo prudenti di questi tempi. E se venissi con lei, la prossima volta che andrà a fare le commissioni?» Tania scosse la testa. «Mi sentirei una sciocca. È la mia immaginazione.» «E allora?» Phil appoggiò le borse sul bancone. «Mi darebbe qualcosa da fare.» «Vedremo.» Tania cominciò a vuotare una borsa. «Ma la ringrazio per l'offerta.» Lui esitò prima di avviarsi alla porta. «Lei e il dottor Lieber siete stati meravigliosi con me. Non mi piace l'idea che lei sia in ansia. Mi dia solo una voce, se vuole compagnia.» Tania sorrise con affetto, guardando la porta richiudersi dietro di lui. Nelle ultime settimane Phil era diventato parte integrante della loro vita e le dava un senso di tenerezza vederlo alzare gli occhi e agitare una mano in saluto, mentre lavorava nel giardino. Ma il suo sorriso scomparve, mentre gettava un sacco vuoto nel bidone per la raccolta differenziata. Non aveva pensato che Nicholas avrebbe incaricato Phil di sorvegliarla. Perché avrebbe dovuto farlo? Era Nell la persona in pericolo, e non era lì. Quella era l'America. Non c'erano cecchini ad aspettare tra le rovine per far strage delle persone incaute. Ma il suo istinto era stato acuito da quegli anni di vigilanza e l'America non era il porto sicuro che lei aveva sempre pensato. Anche lì facevano esplodere bombe e si commettevano delitti.
E aveva sentito quegli occhi su di lei. Forse avrebbe dovuto lasciar venire Phil con lei, quando fosse uscita di casa. Già, certo, pensò con autoironia. Avrebbe iniziato le lezioni all'università la settimana successiva. Avrebbe dovuto lasciare quel poveretto seduto fuori ad aspettarla, a rigirarsi i pollici, perché il suo istinto strillava? Forse stava avendo un flashback di Sarajevo. Scosse il capo e scacciò con fermezza quel pensiero dalla mente. Quando fosse stato il momento di uscire di casa, avrebbe preso una decisione a proposito di chiedere a Phil di accompagnarla. Non doveva preoccuparsene ora. Era al sicuro in quella casa, dove si era creata un nido. Pensava di essere al sicuro, concluse Maritz. La Vlados stava nella casa di Lieber, sentendosi soddisfatta e al sicuro. Si rannicchiò sul sedile della macchina e allungò una mano a prendere il Big Mac che aveva acquistato lungo la strada. Era piacevole avere il controllo della situazione, stabilire il proprio passo. Non era necessario tenerla d'occhio a ogni istante. Nell Calder non era nella casa in quel momento. Ma era stata lì. Aveva interrogato i vicini di Lieber e loro l'avevano vista. Almeno, pensava che fosse lei. Nell Calder non era stata la bellezza che loro avevano descritto, ma Lieber era un brillante chirurgo ed era indicato come il medico curante di Nell Calder sui documenti dell'ospedale. Perché andare da un chirurgo plastico, se non per cambiare la propria faccia? Addentò il panino e lo masticò con gusto. Presto avrebbe dovuto risolvere il problema Calder. Anche se non ne era realmente preoccupato. Se era stata lì, c'erano buone probabilità che il dottore e la sua governante sapessero dove si trovava adesso. Ciò che sapevano, l'avrebbero detto. Sarebbe entrato presto in azione, ma Lieber non era come l'impresario delle pompe funebri. Non sarebbe stato facile non suscitare chiacchiere; se avesse eliminato Lieber e la Vlados dalla scena. Non avrebbe fatto male a dedicare ancora una settimana all'appostamento: forse la Calder si sarebbe fatta vedere là. Inoltre, provava piacere nel sorvegliare Tania Vlados. Il secondo giorno aveva scoperto con gioia e stupore che lei avvertiva la sua presenza. Maritz non aveva commesso errori, eppure lei sapeva che era lì. Poteva indovinarlo dalla sua spina dorsale, dalla rapida occhiata alle spalle, dalla sua andatura nervosa. Era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva pedinato una preda.
Gardeaux insisteva sempre per un'uccisione rapida ed efficiente. Lui non capiva il piacere della caccia, la paura della vittima, che era quasi inebriante quanto l'uccisione stessa. Maritz finì il Big Mac e gettò via il sacchetto. Le avrebbe dato un'altra mezz'ora, prima di passare accanto alla casa a controllare. Tania Vlados non sarebbe uscita molto presto. Si sentiva al sicuro dentro casa, lei. Nell colpì il pavimento con un tonfo violento. «Si alzi in piedi», disse Nicholas. «In fretta. Mai restare giù. È vulnerabile, quando è a terra.» In fretta? Nell non riusciva a respirare e tanto meno a muoversi. La palestra le girava intorno. «Si alzi.» Lei si alzò... lentamente. «Sarebbe sicuramente morta un secondo dopo aver colpito il tappeto», disse Nicholas. Le fece cenno di attaccarlo di nuovo. «Avanti.» Nell lo guardò torva. «Non crede che dovrebbe insegnarmi a difendermi, prima?» «No. Le sto insegnando che cosa fare quando è a terra. Accadrà prima o poi, per quanto brava diventi nella lotta. Deve imparare a rilassarsi e a diventare senz'ossa, in modo da non farsi male quando colpisce il terreno. Poi deve rotolar via, per evitare i colpi, e balzare in piedi.» «Voglio imparare a rispondere a un attacco. Questo è il metodo normale?» «Probabilmente no. Ma è il mio. Mi attacchi.» Lei lo attaccò. Tanek la gettò a terra e si mise a cavalcioni sopra di lei. «Se fossi Mantz, la colpirei con il taglio della mano sotto il naso, mandandole i frammenti di ossa nel cervello.» Nell alzò gli occhi a guardarlo con ira. Tanek stava tentando di farla sentire il più debole e impotente possibile. «No, non lo farebbe.» «Pensa che avrebbe pietà? Se lo scordi.» «No, lei ha detto che Maritz ama usare il coltello. Se mi avesse atterrata, perché dovrebbe sprecare questa opportunità?» Un'espressione di sorpresa passò rapidamente sul volto di Tanek, prima di indurirsi. «In ogni caso lei sarebbe morta.» «Oggi. Domani farò meglio. E dopodomani ancora meglio.»
Lui abbassò gli occhi a fissarla per un lungo momento, mentre la sua espressione rifletteva un miscuglio di emozioni che Nell non riuscì a definire. «Ne sono certo.» Le sue nocche erano stranamente gentili, quando le sfiorarono la curva della guancia. All'improvviso Nell fu cosciente del predominio della posizione di Tanek, del controllo muscolare delle sue cosce, della forza delle mani che le inchiodavano i polsi al tappeto. L'odore di sudore e di sapone che lo circondava avvolse anche lei. Era... imbarazzante. Distolse lo sguardo da lui. «Allora mi lasci alzare e ricominceremo.» Per un istante avvertì i muscoli delle sue cosce stringersi intorno ai suoi fianchi. Un attimo dopo si staccò da lei, rialzandosi. Poi abbassò una mano e la tirò in piedi. «Non oggi.» Gli occhi di Nell si spalancarono per la sorpresa. «Che cosa intende dire? Abbiamo appena cominciato.» «Abbiamo fatto molti più progressi di quanto avessi in programma.» Tanek si avviò verso la porta. «Per oggi basta.» «Me lo ha promesso. Me lo deve.» Lui le lanciò un'occhiata noncurante. «Allora, lo segni nella colonna dei debiti. Sono sicuro che tiene il conto. Vada a farsi un bagno caldo per attenuare i lividi. Alla stessa ora, domani.» Le mani di Nell si strinsero a pugno per la frustrazione, mentre la porta sbatteva dietro di lui. L'aveva fatta sentire impotente e poi se n'era andato prima che lei potesse riacquistare il senso della propria forza. Forse questa sarebbe stata la sua strategia. Forse pensava che, se l'avesse scoraggiata e frustrata costantemente, si sarebbe arresa. Ma la sua partenza era stata troppo brusca. Nell aveva l'impressione che lui non avesse avuto intenzione di abbreviare la loro sessione. Un'ora più tardi si stava chiedendo se il giorno dopo sarebbe stata in forma per affrontarlo. Si lasciò scivolare cautamente nell'acqua calda e si appoggiò contro il fondo ricurvo della vasca. I muscoli delle spalle e della schiena erano indolenziti e diventavano sempre più intorpiditi con il passare dei minuti. Aveva un livido bluastro su un fianco, un altro sulla coscia sinistra e cinque segni violacei sull'avambraccio destro, dove le sue mani l'avevano stretta. Nessuno poteva dire che Tanek non lasciasse il segno sulle donne, pensò mestamente. Ogni volta che l'aveva toccata quel giorno, le aveva fatto male. Tranne in quel momento in cui le aveva passato le nocche sulla guancia.
Allora non le aveva fatto male. Ma anche quell'attimo di gentilezza era stato sconvolgente. Doveva dimenticarsene. Chiuse gli occhi e lasciò che il calore dell'acqua la rilassasse. Doveva dimenticare tutto, tranne di prepararsi per il giorno dopo. «Pronta a cominciare?» Tanek le fece cenno di attaccarlo. «Andiamo.» Nell rimase ferma a guardarlo. Il viso di Tanek era privo d'espressione. «Non ha intenzione di abbreviare la lezione di nuovo, vero?» «Assolutamente no. Ma vorrà che lo faccia, prima che sia finita.» Nell lo attaccò. Lui le fece fare una capriola in aria, gettandola nuovamente al tappeto. «Non si irrigidisca. Deve essere senz'ossa. Quando colpisce il tappeto, rotoli via e balzi in piedi.» Non irrigidirti, si disse Nell mentre si rialzava a fatica. Non irrigidirti. Facile da dire. Quando si vola in aria, tendere i muscoli è naturale come respirare. Al termine di un'ora era tanto debole per la stanchezza da non tendere più nessuna parte del suo corpo. Tanek la teneva d'occhio. «Dobbiamo fermarci?» «No.» Nell si tirò in piedi a fatica, barcollando. «Ancora.» Al termine di altri trenta minuti di allenamento Tanek la prese, la portò nella sua stanza e la lasciò cadere sul letto. «Mi ricordi di non permetterle più di dare ordini. Andrebbe avanti fino a farsi uccidere», disse con voce aspra. Poi uscì dalla stanza. Avrebbe riposato per un momento e poi si sarebbe sforzata di immergersi nella vasca da bagno. Dio, com'era indolenzita. Nell chiuse gli occhi. Il giorno dopo si sarebbe ricordata di non irrigidirsi, quando fosse caduta. Il giorno dopo sarebbe rotolata via e si sarebbe rialzata... Il giorno dopo Nell non si irrigidì, quando venne gettata a terra, ma non riuscì a costringersi a balzare in piedi. Il giorno successivo rotolò via durante le prime cadute, ma andò in pezzi quando la stanchezza la colse. Il terzo giorno riuscì a rilassarsi, a rotolare via e a rialzarsi. Si sentiva come se avesse dipinto un capolavoro. Le stava venendo bene! «Bene», disse Tanek. «Lo rifaccia.»
Lei non lo rifece per altri due giorni. Tanek si assicurò che le cadute fossero più dure e il passo più veloce. Nell passava due ore al giorno in palestra, ma avrebbero potuto essere benissimo ventiquattro. Quando non era lì, ci pensava, preparandosi mentalmente e fisicamente per la prossima volta che avrebbe affrontato Tanek. Continuava a disegnare, parlava con Michaela, mangiava, dormiva, ma tutto era irreale. Si sentiva come se vivesse in un bozzolo con nient'altro al mondo che la figura dominante di Tanek, la palestra e le cadute. Ma stava diventando più forte, più agile, più veloce. Presto Tanek non sarebbe più riuscito a dominarla totalmente. Tanek sentì il rumore di passi leggeri oltrepassare la sua porta. Nell era uscita dalla sua stanza. Di nuovo il sogno. Tanek si girò sulla schiena nel letto e fissò nell'oscurità. Tania gli aveva raccontato degli incubi, ma saperlo e guardare Nell mentre tentava di sopravviverci non era la stessa cosa. Qualche volta l'aveva seguita, ma senza lasciare che si accorgesse della sua presenza. Non dopo aver intravisto il suo viso segnato dalle lacrime. Nell non avrebbe voluto che lui vedesse la sua debolezza. Andava nel soggiorno e si rannicchiava sul divano, a guardare in su il magnifico Delacroix, oppure si avvicinava lentamente alla finestra a fissare fuori le montagne. Restava un'ora, a volte due, prima di tornare nella sua stanza. Dormiva, quando tornava a letto? Molto poco, avrebbe scommesso. Non sembrava mai del tutto riposata, sempre in bilico su un filo sottile e teso. Tuttavia questo non interferiva mai con la sua determinazione e con la sua resistenza. Quando commetteva un errore, imparava da esso. Per quanto stanca e ammaccata, resisteva. Resisteva alla durezza, alla brutalità, all'indifferenza di Tanek al suo dolore. Dio, come avrebbe voluto che Nell tornasse a letto. Il martedì finalmente le venne bene. Nell scoprì che le cadute non le facevano più male e che riusciva a rotolare via da un aggressore e balzare in piedi pronta a difendersi. «Perbacco, credo che abbia capito», disse Tanek. «Lo rifaccia.» La atterrò con violenza. Nell fu in piedi poco dopo aver colpito il tappeto. «Bene. Ora possiamo cominciare. Domani inizieremo con l'attacco e la
difesa.» Lei sorrise raggiante. «Davvero?» «A meno che non preferisca che continui a gettarla qua e là per la palestra.» «Immagino che accadrà ancora abbastanza spesso», disse asciutta Nell. «Ma sarà in grado di concentrarsi su ciò che le insegnerò e di non preoccuparsi di restare ferita.» Le gettò un asciugamano e restò a guardarla mentre si asciugava il sudore dal viso. E aggiunse: «Si è comportata bene». Erano le prime parole di lode che le diceva e Nell venne attraversata da un senso di calore. «Sono stata lenta. Pensavo che non avrei mai imparato.» «È stata più veloce di quanto sia stato io.» Tanek si asciugò il viso e il collo. «Avevo solo quattordici anni e avevo un senso altamente sviluppato di autoconservazione. Resistevo a ogni passo del percorso e non avevamo il tappeto, nel bordello dove Terence mi insegnava. Ho rischiato di farmi rompere il collo una dozzina di volte, prima di imparare.» «Terence?» «Terence O'Malley.» Nell poté quasi sentirlo chiudersi di nuovo. «E chi era Terence O'Maìley?» «Un amico.» Un secco accantonamento del discorso, ma questa volta lei lo ignorò. Tanek sapeva tutto di lei. Era ora che lei sapesse di più di Tanek. «L'amico che Gardeaux ha ucciso?» «Sì.» Tanek cambiò argomento. «Merita un premio. Che cosa le piacerebbe ricevere?» «Un premio?» ripeté Nell, sorpresa. «Niente.» «Lo stabilisca lei. Io sottoscrivo il sistema educativo del premio e della punizione.» E Tanek aggiunse in tono caustico: «E lei ha ricevuto sufficienti punizioni, ultimamente». «Non c'è niente che voglia.» Nell pensò a qualcosa. «Eccetto, forse...» «Di che si tratta?» «Ciò che ha detto di Maritz...» Si interruppe. «Quando mi ha atterrata. Qualcosa a proposito di colpirmi sotto il naso e di uccidermi. Potrei imparare a farlo? Magari subito?» Lui la fissò un momento e poi si mise a ridere. «Niente caramelle o fiori o gioielli. Solo un'altra lezione. Avrei dovuto saperlo.» Il suo sorriso scomparve. «Peccato. Speravo che fosse stufa di violenza, ormai.»
Violenza? C'erano stati dolore e frustrazione, ma lui non era mai stato violento. Aveva sempre saputo che la forza che lui esercitava era misurata e senza animosità. «Non penso che lei sia stato violento.» «No? A me è sembrato di sì.» Tanek si strinse nelle spalle. «Ma, d'altra parte, non sono abituato ad andare in giro ad atterrare donne che sono quasi la metà del mio peso.» Lo aveva infastidito, realizzò Nell. Dietro quella maschera fredda lo stava rodendo il disgusto. «Le ho chiesto io di farlo.» «Giusto.» Nicholas le si avvicinò d'un passo e le prese una mano. «Proprio come mi ha chiesto questo piccolo e piacevole regalo. Lei me l'ha chiesto, così io gliel'ho dato.» Tanek si portò la sua mano alle labbra. «Proprio come le farò dono di uccidere Maritz con un solo colpo.» Le girò la mano e le premette le labbra sul palmo. «Con questa stessa mano.» L'aveva presa alla sprovvista. Nell lo fissò, incapace di staccare lo sguardo dal suo volto. Il palmo della mano le bruciava e si sentiva senza fiato come quando aveva colpito il tappeto, prima di imparare a farlo in modo giusto. «Dipingere un quadro non è più soddisfacente che uccidere un uomo, Nell?» chiese in tono pacato Tanek. Lasciò cadere la sua mano e se ne andò dalla palestra. «Questo è buono.» Nicholas inclinò il disegno sotto la lampada. «È riuscita a cogliere la sua espressione.» Nell scosse il capo. «Non del tutto. È maledettamente frustrante cercare di ritrarre qualcuno che volteggia senza posa come Michaela.» «Michaela non volteggia. È un termine troppo irriverente.» «Come vuole.» Nell riprese il disegno e lo ripose nella sua cartella. «Ma penso che domani sarò pronta a inaugurare il cavalletto e i colori a olio.» Lo guardò da sotto le ciglia. «Otterrò un premio per questo?» «No.» Nicholas si inginocchiò accanto al camino e aggiunse della legna. «Le sto dando abbastanza tempo in palestra. Di più sarebbe un sovraccarico.» Nell aveva immaginato che quella sarebbe stata la risposta, ma non aveva fatto male tentare. In effetti, probabilmente aveva ragione. Era soddisfatta dei progressi fatti nella settimana da quando lui aveva iniziato a insegnarle i rudimenti dell'attacco e della difesa. Ma sarebbe occorso molto più tempo perché le mosse diventassero la sua seconda natura. «Non ho imparato molto sulle armi a Obanako», disse in tono esitante.
«Non è la mia area di competenza. A Jamie piacciono le armi. Se verrà qui forse riuscirà a convincerlo a insegnarle a usarle.» «O sull'uso dei coltelli.» Lui alzò lo sguardo e incontrò i suoi occhi. «Le insegnerò a difendersi in un attacco con il coltello, ma non a usarne uno. Non avrebbe una sola possibilità con Maritz, in ogni caso. Non può imparare in tre mesi ciò per cui a lui sono occorsi anni.» Si alzò in piedi e riempì la tazza di caffè di Nell. «Farà meglio ad avere un'altra arma, un piano dannatamente buono e, semplicemente, pura fortuna.» «E che mi dice di Gardeaux? Che cosa dovrei avere con lui?» «Lasci Gardeaux a me.» «Non posso. È stato lui a dare l'ordine.» Nell si portò la tazza alle labbra. «Mi parli di Gardeaux.» Nicholas si sedette sul focolare e strinse le braccia intorno alle ginocchia. «Mi aveva detto di aver fatto ricerche su di lui.» «So ciò che si legge sul Time. Voglio sapere ciò che sa lei.» «È intelligente, è prudente. Vuole salire nella gerarchia del cartello della droga.» «Pensavo che facesse già parte della gerarchia.» «Sui gradini più bassi, ma in ascesa. Vuole comandare con Sandequez, Juarez e Paloma. È lì che si trova il vero potere, e lui ne ama il sapore. Ama anche il denaro e le belle donne, e ha una passione per le spade rare e antiche.» Nell ricordava un accenno alla collezione di spade. «Passione?» «Decisamente una passione. Forse è un'estensione del suo desiderio di potere.» «Ha una moglie?» «È sposato da oltre vent'anni e sembra assolutamente devoto a lei e ai loro due figli.» Nicholas aggiunse: «Anche se quella devozione non gli impedisce di avere un'amante a Parigi». «Sa chi è la sua amante?» «Simone Ledeau, una modella. Ma non può arrivare a Gardeaux tramite lei, se è a questo che sta pensando. Lui si assicura che le sue donne siano coscienti di ciò che accadrebbe loro, se lo tradissero.» «Come?» «Probabilmente le fa assistere a uno dei suoi incontri privati di scherma, nell'auditorio che ha fatto costruire nel suo castello. Quando vuole tra-
sformare una punizione in un esempio, fa eliminare chi costituisce una minaccia per lui da un giovane spadaccino. Questo soddisfa il suo senso dello stile.» «Omicidio?» «Omicidio. Anche se dà all'altro uomo una spada per difendersi.» «E se quell'uomo vince?» «Ha la promessa di essere liberato da parte di Gardeaux, ma da oltre due anni non è costretto a rimpiazzare il suo spadaccino preferito, Pietro. La scherma non è esattamente un'arte che viene insegnata in ogni palestra del quartiere.» «Ma ha detto che il suo uomo è stato sostituito. Quindi, a volte l'altra parte vince.» Un pensiero le attraversò la mente all'improvviso. «Era lei?» «No, non ero io.» Nicholas abbassò gli occhi sulle sue mani serrate. «E non sopravvisse, anche se aveva vinto.» «Gardeaux non lascia andare nessuno?» «Li lascia andare.» Bruscamente Nicholas si alzò in piedi. «Vado in città.» «Adesso? Perché?» chiese lei, sorpresa. «Sono stanco di ricevere domande e di vivere con il pensiero di Gardeaux e di Maritz a ogni istante.» Tanek si diresse verso la porta. «Mi sta soffocando.» Ma non era sembrato che gli importassero le sue domande, prima che toccassero l'argomento degli incontri di scherma. «Mi dispiace averla turbata», disse Nell con voce sommessa. Trasalì, quando la porta sbatté dietro di lui. Un attimo dopo sentì il rumore della jeep, che usciva rombando dal cortile della scuderia. Nell si alzò in piedi e andò alla finestra. I fanalini di coda che svanivano in lontananza le diedero un'improvvisa sensazione di solitudine. Aveva visitato diverse volte il Bar X di pomeriggio, nelle ultime settimane, ma quella era la prima volta che andava in città di sera. E lei si sentiva stranamente abbandonata. Stupida. Era semplicemente arrivata a sentirsi troppo a suo agio con lui e con le serate trascorse in quella stanza illuminata dal fuoco. Lui è un uomo e lei è più vicina delle donne in città. Un fremito la pervase, mentre le parole di Michaela le tornavano alla mente. Le donne in città. Naturalmente, Tanek non avrebbe vissuto in quella regione semiselvaggia senza uno sfogo sessuale. Avrebbe dovuto sorpren-
derla che non avesse deciso di avere bisogno di una donna prima di quella sera. Una donna in particolare? Non erano affari suoi. Tanek aveva la sua vita e lei la sua. L'abbandono emotivo era una cosa impossibile nel loro rapporto. Qualcosa di morbido le sfiorò le cosce e Nell abbassò lo sguardo per vedere Sam che guardava in su verso di lei. «Ciao, vecchio mio.» Gli accarezzò delicatamente la testa. «Se n'è andato. Vuoi dormire nella mia stanza, questa notte?» Potevano benissimo restare insieme. Anche lui era stato abbandonato. «Ancora», disse ansimando Melissa. Si inarcò all'insù per impadronirsi meglio di lui. «Così... Aiutami.» Nicholas penetrò a fondo. Più a fondo. La sua liberazione avvenne troppo presto. Crollò sopra di lei, tremando. Poté sentire la contrazione dei suoi muscoli intorno a lui, mentre Melissa raggiungeva l'orgasmo. Si staccò da lei, rotolando sulla schiena, e si mise un braccio sotto il capo. Nicholas sapeva che avrebbe dovuto stringerla a sé. L'intimità dopo l'atto era importante per la maggior parte delle donne. Ma non aveva voglia di stringerla. Non voleva essere lì. «È stato bello», mormorò Melissa, rannicchiandosi più vicina. «Sono contenta che tu sia venuto a trovarmi, Nicholas.» Lui le accarezzò i capelli. Il sesso era sempre bello per Melissa. Melissa Rawlins era beatamente priva di complicazioni, chiedeva poco e dava con generosità. Era una divorziata di trentaquattro anni, che possedeva la sua agenzia immobiliare a Lasiter e non voleva legami. Era perfetta per lui. Ma non voleva essere lì. Lei gli baciò la spalla. «Temevo che non ti avrei rivisto più. Ho sentito dire che c'era una donna al tuo ranch. È ancora lì?» Nicholas non voleva neppure pensare a Nell in quel momento. «Sì.» Lei ridacchiò. «Beh, non deve essere molto brava.» Allungò una mano a stringerlo. «Mi hai quasi violentata, prima che potessi togliermi gli abiti di dosso.» «Era passato molto tempo dall'ultima volta.» Le sfiorò la bocca con l'indice. «Taci e mettiti a dormire.»
«Non vuoi parlare di lei.» «Non c'è niente di cui parlare.» Nicholas non voleva parlare di Nell e non voleva pensare a lei. Avrebbe dovuto riuscire a escluderla dalla sua mente, perdendosi nel sesso. Aveva sempre usato il sesso per rilassarsi, ma ora non stava funzionando. Non voleva essere lì. Voleva essere al ranch con Nell, a osservare l'espressione assorta sul suo viso mentre disegnava, a guardarla abbassare una mano ad accarezzare Sam. Ammettilo. Voleva essere a letto e fare pazzamente l'amore con lei. E Nell non era pronta. Avrebbe potuto non essere pronta per accettarlo ancora per molto tempo, forse mai. Probabilmente, era meglio che non lo fosse. Aveva lavorato a lungo per crearsi la vita che voleva e lei l'avrebbe mandata in frantumi. L'aveva già fatto. Non era una donna che potesse venire relegata sullo sfondo e a cui fare visita quando faceva comodo a lui. Anche nei suoi momenti più tranquilli si scopriva a osservarla, preoccupandosi dei suoi silenzi. La soluzione era, ovviamente, la distanza, ma quella non era una scelta. Avrebbero continuato a vivere uno addosso all'altra, intimamente coinvolti ogni giorno. Cristo. «Nicholas non è tornato dalla città?» chiese Michaela. Nell non alzò gli occhi dall'album da disegno. «Non ancora.» «È quasi buio. Di solito non sta tanto a lungo con lei.» Deliberatamente Nell resistette all'impulso di chiedere chi fosse lei. «Perché l'ha lasciato andare?» chiese Michaela. «Lui può fare ciò che vuole.» «Avrebbe potuto fermarlo. Lui la usa solo. La prossima volta gli dia ciò che vuole e non se ne andrà.» Nell alzò rapida gli occhi. «Che cosa?» «Mi ha sentita.» «Non ne sono sicura. Pensavo che volesse che me ne andassi al più presto.» «Ho cambiato idea. Ho deciso di potermi abituare a lei.» «Grazie», disse Nell freddamente. «E lei potrebbe abituarsi a questa terra. Potrebbe aiutare Nicholas a mettere le radici qui con noi.» «Sono felice che pensi che possa essere utile.»
«Si è risentita per le mie parole. Io desidero solo ciò che è meglio per tutti noi.» «Alle sue condizioni.» Lei sorrise. «Naturalmente. Ma sono disposta a fare delle concessioni per renderla più felice. Le concederò anche quindici minuti di immobilità al giorno perché mi ritragga.» «La sua generosità mi confonde.» «Dovrebbe.» Michaela si avviò verso la porta. «Non mi piace starmene immobile.» «Questa è un'affermazione inadeguata.» Nell mise da parte l'album da disegno, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle. Quella donna era sorprendente, completamente sorda a ogni scopo che non fosse il suo. Ma lei non era lo stesso? Da che pulpito veniva la predica. Si alzò in piedi e si avviò inquieta verso la finestra. Il cielo si stava oscurando, mentre la sera si avvicinava. Aveva sentito la mancanza della sfida delle ore passate in palestra. Si era abituata a quella routine, al ritmo dei giorni. Si era abituata a Tanek. Era perfettamente naturale e non significava niente. Si era abituata anche a Michaela e a Sam. Dov'era Tanek? Un brivido improvviso la sfiorò. E se non fosse stato con una donna? Michaela aveva detto che non restava mai tanto a lungo. Un uomo che si circondava di recinti doveva essere in pericolo, quando se li lasciava alle spalle. Sam si mise ad abbaiare stridulo e balzò giù dai gradini del portico. La jeep! Nell si trovò fuori sul portico, ad aspettare. Sam stava saltellando pericolosamente vicino alle ruote della jeep, mentre questa entrava rombando nel cortile della scuderia. Lei sorrise, quando sentì Tanek imprecare, mentre frenava di colpo. «È in ritardo.» Nell scese gli scalini. «Michaela ha quasi la cena pronta. Si sarebbe inquietata se lei...» Si interruppe sorpresa, quando vide scendere dalla jeep Jamie Reardon. «Salve.» Tanek si era inginocchiato a calmare il cane in vena di festeggiamenti. «Ho dovuto andare a prendere Jamie all'aeroporto. È arrivato solo un'ora fa.» Jamie sorrideva, andando verso di lei. «Nick mi ha chiamato a Minnea-
polis questa mattina presto e mi ha detto che le occorreva la mia competenza in fatto d'armi. Anche se detesto immaginare una donna incantevole con un'arma letale, naturalmente sono volato al suo fianco.» Diede un'occhiata alle montagne all'orizzonte e finse di rabbrividire. «Non può immaginare il sacrificio. Nessun uomo civilizzato si avventurerebbe in una terra tanto selvaggia.» Armi. Stava parlando di armi, realizzò Nell. Aveva accennato a Tanek la sua ignoranza in materia solo la sera prima. Il suo riferimento casuale a Jamie non l'aveva indotta a pensare che avrebbe provveduto. «Grazie per essere venuto.» Tanek si raddrizzò e si avviò verso il portico. «Vieni a vedere la fattoria, Jamie. Non è esattamente la bicocca che ti aspetti.» «La nostra Nell è sopravvissuta tutte queste settimane», disse Jamie. «Questo è un eccellente segno che potrei essere in grado di sopportarlo anch'io.» Nell li seguì lentamente, mentre entravano in casa. Jamie si voltò a sorriderle. «Non avevo intenzione di intromettermi. Devo andare via?» «No, naturalmente no. Sono solo sorpresa», disse lei in fretta. «Non me lo aspettavo.» «Neppure io.» Jamie fece una smorfia. «Ma Nick sa essere persuasivo. Ho promesso di non esservi d'impaccio.» Ma tutto sarebbe cambiato. La sua presenza introduceva una nota nuova, che disperdeva l'intimità. Cosa che evidentemente Nicholas voleva, altrimenti non avrebbe convocato Jamie. Stava diventando irritabile, magari si stava pure annoiando a passare il tempo solo con lei. Nell ignorò il dolore acuto che quel pensiero le procurava. D'accordo, doveva accettare il cambiamento e sfruttarlo a suo vantaggio. Stava utilizzando quel tempo per imparare e Jamie aveva qualcosa da insegnarle. «Lei non mi sarà d'impaccio. Sono contenta che sia qui.» Stava sprecando tempo, realizzò Maritz dispiaciuto. La Calder non sarebbe venuta. Presto avrebbe dovuto metter fine a quella faccenda. Peccato, si sentiva molto vicino a Tania Vlados. Quasi affezionato. L'aveva osservata, conoscendo la sua paura, gustandola. Dopo i primi giorni lei si era rifiutata di ammettere la sua presenza, ma l'aveva avvertita. Aveva continuato a occuparsi delle sue faccende e Maritz si era scoperto a provare un esitante rispetto per la sua resistenza. Questo rendeva cento
volte più intenso il piacere della caccia. Di solito non provava alcun desiderio sessuale per le sue vittime, ma si era trastullato all'idea di possederla prima della fine. Una specie di omaggio, per indicare la sua diversità dalle altre. Ma renderle omaggio avrebbe reso necessario farlo di pomeriggio, quando Lieber non era in casa a intromettersi. Durante il giorno c'era in giro solo l'uomo tuttofare, e di lui poteva sbarazzarsi fuori in giardino. Una lotta poteva comportare errori e a Maritz occorreva un'informazione prima di uccidere. Avrebbe preferito ottenerla da Tania, se lei sapeva qualcosa. Convincere Tania Vlados a dargli quell'informazione poteva richiedere molto tempo, pensò Maritz con orgoglio. Lei aveva affrontato il suo pedinamento con raro coraggio. Sì, lei meritava un trattamento diverso dalle altre. 12 Jamie osservò Nell lasciare la palestra. «È brava.» «Ci sta arrivando.» Tanek si asciugò la faccia con l'asciugamano. Jamie sogghignò. «È molto aggressiva. Ti ha quasi atterrato una volta.» «Come ho detto, ci sta arrivando.» «È stato interessante osservare te. Di solito, quando sei sopra una donna, non è per quello sco...» «Hai scoperto qualcosa?» Jamie scosse il capo. «Ho qualche pista, ma lui ha bloccato la maggior parte delle strade. Ci vorrà del tempo.» Fece una pausa. «Mi sono imbattuto in una piccola informazione che potrebbe interessarti. Ho chiamato Phil per vedere come se la passasse e lui mi ha accennato a un articolo trovato per caso nelle ultime pagine del giornale, qualche settimana fa. John Birnbaum è scomparso». Birnbaum. Tanek impiegò un attimo a fare il collegamento. L'impresario delle pompe funebri che aveva corrotto perché falsificasse il certificato di morte di Nell. «Qualche legame?» «Non all'apparenza. Nessun segno di attività illegali. Una grossa somma di denaro è sparita dalla cassaforte, ma questa è stata aperta da qualcuno che conosceva la combinazione. E la macchina di Birnbaum è scomparsa con lui. Sembra che abbia in corso un divorzio difficile, quindi esiste la possibilità che se ne sia andato alla chetichella per evitare di pagare gli alimenti.» Jamie ci rifletté un momento. «Ma suo figlio pensava che man-
casse una delle bare di pino usate per la cremazione.» «Cremazione. Gardeaux insisteva sempre sui lavori puliti.» «Ed il Minnesota è ricco di laghi dove poter far affondare una macchina.» Jamie strinse le spalle. «Naturalmente, sono tutte supposizioni. La teoria della fuga di Birnbaum potrebbe essere esatta.» «E potrebbe anche essere sbagliata. Per sicurezza, dobbiamo presumere che si tratti di Maritz o di Gardeaux e che abbia scoperto ciò che voleva sapere da Bimbaum. Hai detto a Phil di tenere attentamente d'occhio Tania e Joel?» «Non ho dovuto dirglielo. Non è uno stupido. Dice di non avere notato attività sospette, ma Tania gli ha accennato una volta, qualche settimana fa, di aver avuto la sensazione di essere stata seguita. Niente, da allora.» «Non mi piace.» «Non sono d'accordo. In questo caso nessuna nuova è decisamente una buona nuova.» «La casa non è stata frugata?» Jamie scosse il capo. «E hanno un sistema di sicurezza eccellente.» «Continua a non piacermi.» «Non puoi circondarli di guardie armate, nell'eventualità che qualcosa possa accadere.» «Ho promesso a Joel che l'avrei protetto, se lui mi avesse aiutato. Ho commesso un errore a Medas. Non lo farò di nuovo.» Rifletté un momento. «Perché non chiami Phil e gli dici di mettersi in contatto con noi, se ci fosse qualcosa...» «L'ho già fatto.» «Naturalmente.» Nicholas fece una smorfia. «Scusami.» «E tornerò là, non appena mi permetterai di lasciare questa regione selvaggia e aggiungere la mia notevole intelligenza alla ricerca della verità sulla faccenda.» La sua partenza avrebbe messo fine alla distanza e alle barriere. Beh, ci aveva provato. Doveva essere il destino. Sciocchezze, si disse con disgusto. Stava solo cercando una scusa e l'aveva trovata. «Tre giorni. Insegnale tutto ciò che puoi in questo tempo. Non voglio che capisca che c'è qualcosa che non va, altrimenti salterebbe sul primo aereo per Minneapolis.» Jamie annuì. «Posso insegnarle i rudimenti in questo lasso di tempo. Il resto, comunque, è pratica.» Emise un sospiro di sollievo. «Ammetto di essere contento di andarmene da questo posto. Tutto è troppo grande e il
silenzio mi disturba.» «Come puoi saperlo? Non sei stato fermo un attimo, da quando sei arrivato qui.» «La tua ingratitudine raggela il cuore.» Si diresse alla porta. «Andrò a cercare Nell. Lei mi apprezzerà.» Nell fece una smorfia. «Mancato di nuovo.» «Ma colpisce ogni volta il bersaglio», disse Jamie. «Ci arriverà.» «Quando?» «È troppo impaziente. Non può aspettarsi di colpire il centro del bersaglio dopo un solo giorno di allenamento.» Jamie andò a sistemare il bersaglio sul recinto del bestiame. «Ha una buona mira e una mano ferma. Le usi. Si concentri.» Lei corrugò la fronte. «Mi sto concentrando.» Jamie sogghignò. «Allora non si concentri tanto intensamente. Forse lo vuole troppo.» Quello era possibile. Lei lo voleva. La sua mano si strinse sulla Colt che Jamie le aveva dato, adatta più di altri modelli a essere impugnata da donne. «Si direbbe che dovrei colpirlo.» «Non tutti sono nati buoni tiratori, e un uomo è un bersaglio più grosso di un barilotto. Se riesce a imparare a far partire tiri rapidi contro il bersaglio da una posizione qualsiasi, andrà bene.» «Non voglio cavarmela bene. Voglio essere brava.» «No, lei vuole essere perfetta.» Nell sorrise e annuì. «Sì, voglio essere perfetta.» «E si allenerà finché lo sarà.» Jamie sospirò. «Che Dio mi salvi dagli ossessionati.» Prese la pistola dalla sua mano. «Andiamo. Prendiamoci una pausa con una tazza di caffè.» «Non sono stanca.» «Io sì.» L'afferrò per un braccio e la guidò con fermezza attraverso il cortile della scuderia. «E tutta quest'aria fresca mi scombussola. Non c'è da meravigliarsi che Dio abbia inventato i pub.» «Pensavo che fosse stato l'uomo a inventarli.» «È un errore diffuso. No, sono di sicuro territorio di Dio.» Agitò una mano indicando le pianure e le montagne. «Dopo aver abbandonato questa terra selvaggia.» «Se le manca tanto il suo pub, perché è ancora qui?» «Nick mi ha chiamato.» Jamie si strinse nelle spalle. «E sono un po' os-
sessionato anch'io. Terence e io ce ne andammo molto tempo fa.» «Terence O'Malley?» «Nick le ha parlato di lui?» «Mi ha detto che Gardeaux lo ha ucciso. Erano buoni amici?» «Lui era la cosa più vicina a un padre che Nick avesse mai avuto. Terence lo raccolse dal marciapiede. Nick era un piccolo selvaggio ignorante che riusciva appena a sopravvivere, ma Terence lo prese in simpatia. Lo ospitò in casa, lo sfamò e lo istruì. Non ci volle molto. Nick era affamato, voleva imparare tutto ciò che esisteva al mondo. Distanziò Terence in un baleno, scese in campo e conquistò di più. Cominciò ad arrampicarsi e portò Terence con sé.» Jamie inclinò il capo. «Come pure la mia umile persona.» «Arrampicarsi, dove?» «Fuori dalle fogne, nell'unico modo che poteva.» «Il crimine?» «Era tutto ciò che conoscevamo. Terence e io eravamo contrabbandieri di minore importanza e ladri occasionali, ma Nick... Ah, Nick era un artista. Sapeva sempre ciò che voleva e come fare per ottenerlo.» «E cosa voleva?» «Uscirne. Con abbastanza denaro da essere sicuro di non poter essere mai più ripreso al laccio.» «Evidentemente ci è riuscito.» Jamie annuì. «E ha cercato di darci ciò che noi volevamo. Io accettai di corsa, ma Terence non volle sistemarsi. Gli piaceva quella vita e il brivido di un colpo riuscito. Quando Nick comperò questo posto, Terence si toccò il cappello e andò per la sua strada.» «E?» «Pestò i piedi a Gardeaux.» Le labbra di Jamie si strinsero. «Tornò da Nick per morire.» «Che cosa accadde?» «Gardeaux gli inflisse una punizione d'esempio agli altri.» Le aprì la porta d'ingresso. «Una piccola dose di coltura di coloño sulla punta di una spada. Fatale nel novantasette per cento dei casi, una morte crudele al di là di ogni immaginazione. Nick fu costretto a stare lì a guardarlo morire.» «Coloño? Non ne ho mai sentito parlare.» «È originario dell'Amazzonia. Viene trasmesso solo attraverso il sangue, quindi non è contagioso, ma è cugino di Ebola. Sono sicuro che ha sentito parlare di quella piccola mostruosità.»
Nell rabbrividì. Aveva letto sui giornali di quella malattia, che divorava letteralmente gli organi delle sue vittime. «Ne ho sentito parlare.» «Il cartello della droga tiene a portata di mano una scorta di siero da usare sulle persone di cui è scontento. Quella minaccia funziona molto bene e loro tengono ben rifornito Gardeaux.» «Diabolico.» «Sì. Le serva d'avvertimento.» Jamie incontrò il suo sguardo. «Pensa che Nick agirebbe con tanta cautela, se Gardeaux fosse un facile bersaglio?» No. Guardare il suo amico morire lentamente e dolorosamente doveva essere stato straziante. «Sono qui, no? E sto portando pazienza.» «Tranne quando non colpisce il centro del bersaglio.» Nell sorrise. «Tranne allora.» «Pensavo che sarebbe rimasto più a lungo.» Nell rimase a guardare con disappunto, mentre Michaela manovrava la jeep lungo la strada, con Jamie sul sedile passeggeri. «Non ho imparato abbastanza.» «Aveva altre cose da fare. Ha detto che se la cavava abbastanza bene da poter continuare da sola», disse Nicholas. «E trova questo posto troppo selvaggio per i suoi gusti.» «Non è selvaggio.» Nell osservò le montagne. «È primordiale.» «È così.» Nicholas diede di nuovo un'occhiata alla jeep che ora aveva raggiunto il primo cancello, prima di chiederle: «Le piace qui?» Lei non ci aveva pensato. La fattoria era solo una cornice per il lavoro che stava facendo. Tuttavia, ora si rese conto di essersi gradualmente abituata alla pace e all'atmosfera del posto. Si sentiva a casa. «Sì, mi piace. Dà la sensazione di avere... radici.» «È per questo che l'ho comperato.» Rimase in silenzio per un attimo, poi girò bruscamente sui tacchi. «Si infili i jeans e una giacca calda e mi raggiunga alla scuderia.» Nell lo fissò sconcertata. «Perché?» «Sa cavalcare?» «Ho cavalcato in passato, ma non sono un cowboy.» «Non è necessario che lo sia. Non dovrà prendere al laccio il bestiame. Saliremo solo sulle colline ai piedi delle montagne, incontro a Jean, a Peter e alle loro pecore. Dovrebbero avere raggiunto il livello più basso, ormai.» «Ma perché ci andiamo?» «Perché ci voglio andare.» Il suo sorriso divenne improvvisamente audace. «E ho deciso di smetterla di essere tediosamente responsabile, e di
fare ciò che ho voglia di fare. Non vuole vedere come si è adattato Peter alla vita da pastore?» «Sì, ma io... Quanto ci vorrà?» «Raggiungeremo la mesa, dove di solito montano il campo, nel tardo pomeriggio. Pernotteremo con il gregge e torneremo indietro il mattino.» Nicholas sorrise con aria beffarda. «Avrà tempo in abbondanza per esercitarsi con il suo nuovo giocattolo.» «Potrei portare la pistola con me.» «No, non può. Non è ancora abbastanza brava. Potrebbe colpire una delle pecore o uno dei cani.» «Allora, forse dovrei restare qui a...» «Vuole andare?» le chiese lui, esasperato. Desiderava andare, realizzò d'un tratto Nell. Voleva conoscere Jean Etchbarras e rivedere Peter. Non le avrebbe fatto male prendersi una pausa. Avrebbe lavorato due volte più duramente, quando fosse tornata. Si avviò veloce verso il portico. «Ci vediamo alla scuderia.» Jean Etchbarras non era più alto di un metro e settanta ed era robusto e muscoloso. Il sorriso illuminava la sua faccia rotonda, segnata di rughe. Nell non lo avrebbe collegato alla statuaria Michaela più di quanto lo avrebbe accomunato a Cleopatra. «Sono felice di conoscerla.» Jean era raggiante. «La mia Michaela dice che lei è una brava donna.» Nell batté le palpebre. «Davvero?» Lui annuì e si voltò verso Tanek. «Abbiamo perso una pecora con un lupo. Tuttavia, è andata bene.» Tanek sorrise. «Sì, è andata bene. Nell è venuta a trovare Peter. Dov'è?» Jean fece un gesto verso il fondo al gregge. «Là. Si è comportato bene.» Peter l'aveva vista e stava agitando impaziente la mano, ma non veniva avanti. «Visto? Resta di guardia alle pecore. A volte dimentica delle cose, ma mai di sorvegliare le pecore.» Il sorriso orgoglioso di Jean accentuò la raggiera di rughe intorno ai suoi occhi. «Ha imparato in fretta.» «Posso andare da lui?» chiese Nell. Jean annuì. «È ora di montare il campo, comunque. Gli dica di mettere i cani di guardia e di venire a cena.» Nell porse le redini del suo cavallo a Tanek e si avviò intorno al gregge enorme. Quando fu più vicina, arricciò il naso. Decisamente la massa di
pecore non aveva un odore gradevole e il loro vello era beige sporco, non bianco. «Non sono belle?» le chiese Peter, quando fu a portata di voce. «Non le piacciono?» «Beh, senza dubbio sembra che piacciano a te.» Gli diede un rapido abbraccio e fece un passo indietro a guardarlo. Non era scuro come Jean, ma era più abbronzato di quando l'aveva visto l'ultima volta. Indossava un poncho leggero di lana, stivali e guanti di pelle. I suoi occhi scintillavano e aveva un'espressione raggiante. «Non devo chiederti se sai bene.» Lui indicò un pastore scozzese bianco e nero che stava girando intorno a un agnello. «Quello è Jonti. È un pastore, come me. Di notte, quando non siamo di guardia, dormiamo insieme.» «Che bello.» Non c'era da meravigliarsi che il suo odore fosse una combinazione di pecore e cani. Non che facesse qualche differenza. Niente contava, tranne il fatto che lui fosse felice e orgoglioso di sé. «E Jean dice che, quando la compagna di Jonti avrà i cuccioli, potrò averne uno e lui mi insegnerà ad addestrarlo.» Quello cominciava a sembrare un discorso inquietantemente definitivo. «Non richiederà molto tempo, questo?» Il suo sorriso svanì. «Sta pensando che potrei dovermene andare.» Peter scosse il capo. «Non me ne andrò mai via. Jean non vuole che me ne vada. Dice che sono un bravo pastore.» E aggiunse con semplicità: «Posso appartenere a questo posto». Nell sentì le lacrime sgorgarle dagli occhi. «Questo è meraviglioso, Peter.» Si schiarì la gola. «Jean dice di mettere i cani di guardia e di venire a cenare.» Peter annuì e gridò con voce severa: «Guardia, Bess. Guardia, Jonti, da bravo». Si voltò e si mise al passo con lei. «Non è bello, qui? Dovrebbe vedere l'altopiano. È tutto verde e tranquillo, e vedi le montagne proprio sopra di te e ti fanno quasi paura, ma non veramente e...» «Peter è felice.» Nell bevve un sorso del suo caffè, fissando oltre le fiamme guizzanti Peter e Jean, accovacciati dall'altra parte del fuoco. Jean stava mostrando come intagliare il legno e Peter lo guardava con grande attenzione. «È al settimo cielo.» «Sì.» Lo sguardo di Tanek seguì il suo. «Mi fa piacere.» «Vuole restare.»
«Allora resterà.» «Grazie.» «Di che? Si sta guadagnando il suo posto. Non è facile essere un pastore. Isolamento, duro lavoro, sole, neve. Ho provato a farlo, quando sono arrivato qui, all'inizio.» «Perché?» «Pensavo che avrebbe reso più mio questo posto.» «È stato così?» «È servito.» «Il possesso è importante per lei.» Tanek annuì. «Non possedevo altro che gli abiti che indossavo, quando ero ragazzo, e volevo agguantare tutto ciò che esisteva al mondo e tenermelo stretto. Immagino di avere ancora dentro di me quell'istinto.» Nell sorrise. «Non c'è alcun dubbio al riguardo.» «Perlomeno ho modificato le mie pretese.» Attizzò il fuoco con un bastoncino. «Oggi pago per ciò che voglio.» Lei alzò gli occhi a guardare le montagne. «Lei ama questo posto.» «Dal primo momento in cui l'ho visto. A volte succede.» «È successo a Peter. Ha detto che il suo posto è qui.» Il suo sguardo tornò sul volto del ragazzo. «Io ci credo. Sembra... appagato.» «Appagato?» «Perfetto.» Tanek la stava ancora guardando con aria interrogativa e lei cercò le parole giuste. «Non è più un brutto anatroccolo.» «Sembra un po' più abbronzato, ma non vedo un miglioramento sorprendente nel suo aspetto.» «Non è questo che voglio dire. Un tempo, quando ero bambina, mia nonna mi raccontava dei brutti anatroccoli del mondo e di come tutti loro diventassero cigni.» Nell strinse le spalle. «E poi ho scoperto che questo non era necessariamente vero.» «Lo è stato per lei.» «Ma quello è stato un miracolo. Il miracolo di Joel. Ultimamente, però, ho pensato che forse tutti abbiamo buone probabilità di diventare cigni, perché dipende da ciò che abbiamo dentro di noi. Se scopriamo chi siamo e raggiungiamo la pace con noi stessi, anche questo è una specie di miracolo. Forse è questo che...» Si interruppe e fece una smorfia. «Sembro tanto profonda. Perché non ride di me?» «Perché applaudo a qualunque segno che dimostri che pensa a qualcos'altro oltre a Medas. Dunque Peter è perfetto?»
«Sta ridendo di me.» Quando lui non rispose, Nell disse: «Forse non perfetto, ma ha fatto un grande passo». «Un passo dell'oca?» Nicholas sollevò una mano. «Mi dispiace, non ho saputo resistere. Tutte queste allegorie sui volatili mi stordiscono. Veramente, penso che abbia senso. Dunque Joel ha creato un cigno sotto molti punti di vista?» Lei scosse il capo. «Non io. Io non sono perfetta. Sono... a pezzi. Ma penso che lei sappia chi è lei. E anche Tania.» Il suo sguardo si spostò sul viso di Tanek e scoprì che lui non sorrideva più, ma la stava guardando con imbarazzante intensità. Distolse rapidamente lo sguardo e disse in tono leggero: «Tania può essere un cigno, ma sono sicura che lei è un falco predatore». «È possibile.» Il suo tono era assente e lei sentiva ancora il suo sguardo avvolgente. Nell rabbrividì, quando un soffio di vento gelido penetrò nel caldo bozzolo circolare del fuoco del bivacco. «Si abbottoni la giacca», disse Tanek. Lei non si mosse. «L'abbottoni», ripeté Nicholas. «Diventa freddo qui sulle colline.» Nell pensò di disobbedirgli, ma perché darsi la zappa sui piedi? Si abbottonò la giacca. «Non occorre che mi dica come prendermi cura di me stessa. Lo faccio da molto tempo.» «Non molto bene», disse lui con improvvisa asprezza. «Ha permesso a tutte le persone a tiro di trasformarla in uno zerbino. Ha rinunciato a una carriera che amava, ha lasciato che i suoi genitori la convincessero a una fuga precipitosa nel matrimonio, con un uomo cui non importava un accidente di lei e poi...» «Si sbaglia.» Nell era stata presa alla sprovvista dall'improvvisa asprezza delle sue argomentazioni, peraltro vere. «Richard mi amava. Sono io quella che l'ha ingannato.» «Non posso crederlo. Lui riesce ancora a manipolare i suoi sentimenti, anche se...» «Richard è morto. La smetta di parlare di lui.» «Eccome, se ne parlo.» Tanek voltò il capo a incontrare i suoi occhi. «Perché non vuole ammettere che quel bastardo l'ha usata? Aveva una dolce mogliettina bene educata che poteva dominare quanto voleva, una moglie che non gli avrebbe mai detto no perché era piena di gratitudine che lui si fosse abbassato...»
«La smetta!» Nell trasse un profondo respiro. «Perché le importa, comunque?» «Perché voglio venire a letto con lei, dannazione! Ecco perché...» Nell rimase a bocca aperta. «Che cosa?» «Mi ha sentito.» Le sue parole la colpirono come un martello. «Oppure devo usare termini più grossolani? O vuole sentirlo in cinese? In greco?» «Non voglio sentirlo affatto», disse lei con voce malferma. «Questo lo so, non ho detto che avrei tentato di trascinarla a letto. Lo so che non è pronta.» «Allora perché parlarne?» «Perché lo desidero», disse lui semplicemente. «E sono stanco di lottare contro il mio desiderio. E perché non farà male metterle questo pensiero in testa. Forse sarò fortunato.» Nell si inumidì le labbra. «Vorrei che non avesse detto niente. Renderà le cose molto più complicate.» «Benvenuta nel gruppo. Io mi sento a disagio da un po' di tempo. Lo sono in questo momento.» Lo sguardo di Nell cadde sulla parte inferiore del suo corpo e rapido scivolò via. «Mi dispiace. Non ho mai avuto intenzione... Vorrei che lei...» «Le lasciassi mettere la testa sotto il cuscino, ignorandolo?» chiese Tanek. «Proprio come ha fatto nelle ultime settimane?» «Non l'ho ignorato. Non lo sapevo.» «Lo sapeva. È difficile ignorarlo.» L'aveva saputo e aveva nascosto la testa nella sabbia? Forse. Era possibile che avesse rifiutato le parole di Michaela perché non aveva voluto credervi. «Non volevo che questo accadesse.» «No, il sesso sarebbe d'intralcio, vero? Anche se probabilmente riusciremmo a infilarlo tra un omicidio e una violenza gratuita.» «Non è necessario essere sarcastico.» «Sì, è necessario. Il sarcasmo può essere molto appagante. L'unico appagamento che posso avere da lei.» «Usi qualcun'altra per il suo sfogo verbale.» Nell fece una pausa, mentre un pensiero improvviso le attraversava la mente. «Questo significa che non mi darà più lezioni?» Tanek la fissò allibito. «Lei è incredibile.» «È così?» «No. Io domino il mio corpo, non è il mio corpo a dominare me», disse lui, poi mormorò: «Per la maggior parte del tempo».
«Bene.» Nell appoggiò a terra la tazza di caffè dimenticata e si sdraiò tra le coperte. «Allora non interferirà.» «Non interferirebbe neppure se lei decidesse di venire a letto con me. Chiedo sesso, non un impegno per la vita.» «Non capisce. Io non sono come lei.» Nell si morse il labbro inferiore. «Non posso semplicemente... Ho avuto rapporti sessuali solo con due uomini in tutta la mia vita.» «E le è piaciuto?» «Naturale che mi è piaciuto.» «Allora, forse dovrebbe provare una terza volta. Dice che Nell Calder è morta. Perché si aggrappa al suo senso di moralità?» Tanek le rivolse un sorriso audace. «Lasci che Eve Billings venga a letto con me. Lei è viva e vitale, e io non sono esigente.» Nell aggrottò le sopracciglia. «Non sia ridicolo. Vorrei solo che non avesse ritenuto opportuno parlarne, dal momento che è un inutile esercizio.» «Non del tutto. L'ha resa consapevole di qualcos'altro di me, oltre che della mia abilità nelle arti marziali.» Tanek stese la sua coperta. «Lei ci penserà e si chiederà come staremmo insieme.» Si sdraiò e chiuse gli occhi. «Staremmo molto bene, Nell. Non sono stato allevato in un bordello senza imparare come assicurarmene davvero.» Nell sentì l'eccitazione invaderla e istintivamente cercò di controllarla. «Se n'è andato di lì che aveva otto anni», disse sarcastica. Lui aprì un occhio. «Ero precoce.» Nell chiuse le palpebre e si tirò addosso la coperta. «Sciocchezze.» «Non lo saprà mai, se non mi metterà alla prova.» Nell sentì il fruscio delle coperte, mentre lui si sistemava. Dormi, si disse. Tanek le aveva fatto una proposta e lei aveva rifiutato. Chiuso. Non c'era ragione di sentirsi a disagio. Lui era un uomo civile che accettava un no come risposta. Era anche un uomo che dall'infanzia aveva lottato per tutto ciò che voleva e aveva vinto. Non si sarebbe arreso facilmente. Non l'avrebbe forzata, ma aveva ottime carte di persuasione da giocare. Però si può dire di no alla persuasione, si può rifiutare tutto ciò che non si vuole. E lei non voleva lo scompiglio e la pericolosa irragionevolezza collegati con il sesso. Voleva restare calma e concentrata, restare al di fuori, in disparte. Nell aprì gli occhi. Tanek giaceva con gli occhi chiusi, la mano rilassata tesa verso il fuoco. Una mano forte, ben fatta, capace, con le unghie taglia-
te corte. Conosceva bene quella mano. Conosceva il suo potere e la sua forza letale. Una mano pericolosa. Eppure, ora non sembrava tale. Solo forte... e virile. Aveva sempre amato dipingere le mani. C'era qualcosa di magico in esse. Le mani costruivano le città e creavano grandi opere d'arte, potevano essere brutali o gentili, causare dolore o piacere. Come Tanek. Le sembrava di sciogliersi solo a guardare quella dannata mano maschile. Perché diavolo doveva accaderle? Lei voleva che la sua sessualità restasse profondamente addormentata. Troppo tardi. Ma non troppo per mantenere il controllo. Forse se ne sarebbe andata. Chiuse di nuovo gli occhi. Poteva sentire il profumo delle piante sempreverdi e del legno di quercia che bruciava e avvertire la freddezza dell'aria. Consapevolezza. All'improvviso fu acutamente sensibile ai rumori e ai profumi, alla ruvida sensazione della coperta di lana contro le sue braccia nude. Niente era cambiato. Jill era sempre morta. E suo corpo non aveva alcun diritto di tornare alla vita. Al diavolo Tanek. «Più energica», disse Tanek. «È lenta. Avrei potuto atterrarla due volte, questa mattina.» Nell si voltò di scatto e lo colpì con un piede allo stomaco. Lui barcollò indietro, ma si riprese subito per afferrarla per il braccio, quando Nell si avvicinò per finirlo. La rovesciò a terra e le si mise cavalcioni. «Lenta.» «Mi lasci alzare», disse lei ansimante. «Maritz non glielo lascerebbe fare.» «Ero distratta. Non lo sarei con Maritz.» Tanek le si tolse di dosso e la tirò in piedi. «Perché era distratta?» «Non ho dormito bene.» «Non dorme mai bene. Si aggira per la casa come un fantasma.» Lei non si era resa conto che lui lo sapesse. «Mi dispiace, se l'ho disturbata.» «Non mi disturba.» Tanek le voltò la schiena. «Vada a fare un bagno e un sonnellino. Domani la voglio sveglia e affilata come un rasoio.» Come lui. Da quando erano tornati dalla mesa, due giorni prima, Tanek era stato tagliente come un rasoio e tutto spigoli. Nell non sapeva che cosa si fosse aspettata, ma certo non che la trattasse con brusca indifferenza.
No, non con indifferenza. Sapeva che Tanek era consapevole di lei e questa era una parte del problema. Lui «trasudava» consapevolezza sotto quella facciata fredda e sarcastica. E lei era consapevole di Tanek. Cristo, se era consapevole di lui. «Vada a letto.» Tanek chiuse il suo libro e si alzò in piedi. «È tardi.» «Tra un momento. Voglio finire questo schizzo.» Nell non alzò lo sguardo. «Buonanotte.» «Non faccia tardi. Questa mattina era così intontita, da non meritare il mio tempo.» Nell trasalì. «Cercherò di non deluderla.» «Se lo farà, starà una settimana senza lezioni. Le ho detto che credo nel premio e nella punizione.» Lei disse con calma: «È sicuro di non cercare una scusa?» «Forse. Non me ne offre una.» Nell trasse un sospiro di sollievo, quando lui uscì dalla stanza. Quando era con lui, doveva lottare per impedirsi di guardarlo. Appoggiò la matita e studiò lo schizzo di Tanek. Aveva pensato che, se l'avesse usato come soggetto, ciò avrebbe agito da catarsi. Aveva colto molto bene la somiglianza. La tranquilla intelligenza, la profondità di sentimento che giaceva sotto la superficie, la lieve traccia di sensualità nella curva del suo labbro inferiore... Nell balzò in piedi e infilò l'album da disegno nella sua cartella. Era in fiamme, con le guance arrossate e febbricitanti. Stupida, stupida, stupida. Non avrebbe mai dovuto disegnarlo. Non le era servito. Dov'era il controllo che avrebbe dovuto esercitare? Non era una ragazzina con gli ormoni in subbuglio, palpitante al suo primo incontro. Ma si sentiva vulnerabile e insicura come una ragazzina. Dimenticatene. Vai a letto. Vai a dormire e domani ricomincia. Se fosse riuscita a dormire. La notte prima era rimasta sdraiata per ore, frustrata, desiderandolo... Avrebbe dormito. Giù, giù, giù, scendiam a toccar l'intensa rosa... Nell lottò strenuamente per emergere dalle profondità del sonno e sfuggire al sogno. Rimase lì tremante, tentando di frenare i singhiozzi.
Mi dispiace, piccola. Mi dispiace, Jill. Si tirò su a sedere e infilò alla cieca i piedi nelle pantofole. Doveva fuggire dal letto, dalla stanza, dal sogno... Il soggiorno. Lo spazio, il fuoco, le finestre... erano il suo rifugio. Si avviò rapida lungo il corridoio buio. Poteva vedere davanti a sé il bagliore delle pareti del soggiorno, illuminato dal fuoco. Sarebbe rimasta lì finché si fosse calmata, poi sarebbe tornata a letto e... Si fermò bruscamente sulla porta del soggiorno. «Entri.» Tanek stava seduto sul divano in pelle davanti al fuoco, avvolto in un accappatoio bianco. «La stavo aspettando.» Lei mormorò: «No, io non...» Indietreggiò. «Non intendevo... Me ne vado.» «E mi lascia seduto qui, a preoccuparmi per lei? Perché? Rimugina meglio da sola?» «Non stavo rimuginando.» «È come se...» Tanek si interruppe e disse con voce stanca: «Mi dispiace. So che non lo stava facendo. Sono io quello che rimugina. Lei sta solo tentando di sopravvivere. Venga dentro e cercheremo di farlo insieme». Nell esitò. I suoi sentimenti per Tanek erano abbastanza confusi e non voleva trovarsi indifesa con lui, mentre era così vulnerabile. Tanek alzò gli occhi e le rivolse un debole sorriso. «Forza, non la morderò.» Nessuno spigolo. Nessuna asprezza. Nell avanzò lentamente verso di lui. «Bene.» Tanek riportò lo sguardo sul fuoco, ignorandola. Lei si appollaiò sullo sgabello accanto al camino. «Non c'è bisogno che sia tanto tesa. Non le salterò addosso. Né fisicamente né verbalmente. Non mi batto slealmente con i sonnambuli feriti.» «Lei non si batte affatto slealmente.» «Certo che lo faccio. Solo che lei non mi ha visto nell'arena giusta.» Infilò una mano nella tasca del suo accappatoio, tirò fuori un fazzoletto e glielo porse con fare complice. «Si asciughi la faccia.» Nell lo passò leggermente sulle guance. «Grazie.» Cadde il silenzio e rimase solo il rumore della legna scoppiettante e del loro respiro nell'aria. Nell cominciò a rilassarsi. La presenza silenziosa di Tanek era stranamente confortante. Era meglio che essere da sola ad affrontare i demoni. Lui non poteva condividere i suoi sogni, ma li teneva a bada. «Non può andare avanti così, lo sa», disse Tanek con voce sommessa.
Lei non rispose. Non esistevano risposte. «Tania mi ha parlato dei sogni. A volte parlare è di aiuto. Le andrebbe di dirmi di che cosa si tratta?» «No.» Nell incontrò il suo sguardo e poi si strinse nelle spalle. «Medas.» «Lo so che riguardano Medas. Che altro?» «Jill», disse lei in tono convulso. «Che cos'altro potrebbe esserci?» «Posso comprendere il dolore. Ma non riesco a capire il tormento.» «Jill è morta e Maritz è ancora là fuori.» «Questa è rabbia, non tormento.» Nell si sentì con le spalle al muro. Non era in condizioni di accettare indagini. «Le avevo detto che non volevo parlarne.» «Io penso che lo voglia. Penso che sia per questo che non è fuggita, quando mi ha visto qui. Che cosa succede nei suoi sogni, Nell?» Le mani di lei si aprirono e chiusero nervosamente. «Che cosa pensa che succeda?» «Lotta con Maritz?» «Sì.» «Dov'è Jill?» Lei non rispose. «È nella camera da letto?» «Non voglio parlarne.» «Lei si trova sul balcone?» «No.» «Può sentire gli spari dal piano terra?» «No, non più. Tutto ciò che sento è il carillon.» Giù, giù, giù, scendiam a toccar l'intensa rosa rossa... Perché non la smetteva? Si sentiva attirare indietro in quel mondo cupo e fosco. «Dov'è Jill?» Al diavolo Tanek. Perché non voleva smetterla? «Dov'è Jill, Nell?» «È sulla porta», proruppe lei. «È ferma sulla porta, sta piangendo e ci guarda. È questo che vuole sapere?» «Sì. Perché non voleva dirmelo?» Le unghie affondarono nelle palme di Nell, mentre le sue mani si stringevano a pugno. «Perché non sono affari suoi.» «Perché?» Giù, giù, giù, scendiam...
«Perché, Nell?» «Perché ho gridato.» Le lacrime le scorrevano lungo le guance. «Non pensavo... Ti dicono sempre di gridare per spaventare l'aggressore e metterlo in fuga. Ho gridato e lei è uscita dalla camera da letto. È stata colpa mia. Se non avessi gridato, forse sarebbe rimasta a letto. Forse lui non sapeva che Jill era lì. Forse lei avrebbe potuto essere salva.» «Mio Dio.» Nell si stava dondolando avanti e indietro sullo sgabello. «È stata colpa mia. Lei è uscita e Maritz l'ha vista.» «Non è stata colpa sua.» «Non mi dica questo», disse lei con ferocia. «Non mi ha sentita? Io ho urlato.» «Un peccato terribile, quando un uomo sta tentando di pugnalarti a morte.» «È stato un errore imperdonabile. Lei era mia figlia. Avrei dovuto immaginarlo. Avrei dovuto proteggerla.» Tanek l'afferrò per le spalle e la scrollò. «Ha fatto ciò che ha ritenuto giusto. Maritz l'avrebbe trovata comunque. Non lascia mai nulla a metà.» «Avrebbe potuto non sapere che lei era lì.» «L'avrebbe capito.» «No, io ho gridato e lui...» «La smetta. Il carillon.» Tanek l'attirò tra le braccia, affondandole il capo sulla sua spalla con una mano. «Ha detto che il carillon stava ancora suonando. Avrebbe capito che c'era qualcuno nell'altra stanza. Avrebbe controllato.» Nell si tirò indietro a fissarlo sconvolta. «Non aveva pensato a questo?» Lei scosse il capo. «Non mi sorprende.» Tanek le tolse i capelli dal viso con una mano. «Mi chiedevo perché non incolpasse me per ciò che era accaduto. Era troppo impegnata a incolpare se stessa.» «Mi rimprovero ancora. Pensa che il particolare del carillon metterà tutto a posto?» «No, perlomeno finché non si perdonerà di essere viva, mentre Jill è morta.» «Quando Maritz sarà morto, mi perdonerò.» «Lo farà?» «Non lo so», mormorò lei. «Lo spero.»
«Anch'io.» La prese di nuovo tra le braccia e la cullò avanti e indietro. «Anch'io, Nell.» Lei poteva sentire il suo profumo, la ruvidezza dell'accappatoio contro la sua guancia. Nessuna passione, non quell'eccitata consapevolezza, solo una pace preziosa. Rimase lì a lungo, lasciando che quella pace l'avvolgesse, la risanasse. Alla fine sollevò il capo. «Devo tornare nella mia stanza e mettermi a dormire. Altrimenti, domani dirà che sono lenta.» «È probabile.» Tanek la tirò giù sul divano e le premette di nuovo il capo sulla spalla. «Se ne preoccupi allora.» Nell si rilassò contro di lui e lasciò che la pace l'inondasse e l'avvolgesse. Strano che Tanek, che non era per nulla un tipo tranquillo, potesse trasmetterle quella serenità. Sarebbe rimasta solo ancora un po', poi se ne sarebbe andata... Stava rannicchiata fiduciosa contro di lui come se fosse sua madre, pensò mesto Tanek con disgusto. Non era quello che aveva avuto in mente. Aveva voluto sesso occasionale e distacco emotivo. Aveva ottenuto niente sesso e un'intimità più profonda di quanto avesse mai sperimentato con una donna. Colpa sua. Nessuno l'aveva costretto a calarsi nel ruolo di madre. Tranne il bisogno di Nell. Aveva il braccio impedito e dolorante, ma Tanek non lo tolse da intorno a lei. Abbassò gli occhi sulla mano di Nell, che giaceva rilassata sulla sua coscia. Dei piccoli segni a mezzaluna le dentellavano il palmo, dove aveva affondato le unghie. Sfiorò lievemente uno dei cerchi rossi. Ferite. Quei segni sarebbero svaniti, ma quelli nascosti sarebbero stati lenti a scomparire. Erano ferite brutte come le sue, e li univano. Nell si mosse contro di lui e mormorò qualcosa di impercettibile. «Ssh.» Le braccia di Tanek si strinsero intorno a lei. Era quello che una madre doveva fare, giusto? Dare conforto e tenere lontani gli incubi. Sospirò rassegnato. Decisamente, quello non era ciò che aveva avuto in mente. 13
Nell aprì gli occhi assonnata, quando Tanek la depose sul letto. «Va tutto bene. Le stavo solo rincalzando le coperte. Torni a dormire.» Lei incontrò i suoi occhi, magnifici occhi chiari che brillavano nell'oscurità della stanza. «Buonanotte.» «Mi chiami se ha bisogno di me.» «Non ne avrò bisogno. Grazie per...» Se n'era andato. No, non veramente andato. Poteva ancora avvertire la sua presenza, confortante, sensuale. Quanto era strano che le due cose potessero esistere a fianco a fianco. In quel momento il conforto aveva nel loro rapporto una parte più importante del sesso, ma sapeva che questo sarebbe cambiato. La prospettiva non la disturbava più, realizzò Nell. Qualcosa era mutato quella notte. Com'era stata stupida a resistere, pensò sonnolenta. L'uomo che l'aveva stretta mentre lei dormiva non costituiva una minaccia. Il sesso non era una minaccia. Poteva essere controllato come qualunque altra cosa, sarebbe stato per lei uno sfogo benefico. Sarebbero stati insieme, nelle settimane future, e non aveva senso rendere le cose difficili per entrambi. La notte dopo sarebbe andata da lui. Un piccolo brivido di anticipazione le attraversò la schiena e lei lo represse prontamente. Non doveva indugiare su quel pensiero, rendendo la cosa più importante di quanto non fosse. Si trattava solo di sesso. «Non l'hai ancora trovata?» chiese in tono blando Gardeaux. «Che cosa diavolo hai fatto?» La mano di Maritz si strinse sul ricevitore del telefono. «Ho una traccia. Lei e la governante del dottore erano piuttosto intime. La governante potrebbe sapere dove si trova e se è possibile che torni. Sto tenendo d'occhio la casa del dottore.» «Solo tenendo d'occhio?» «La prenderò.» «Viva. Adesso ci occorre viva. Le cose sono cambiate. Lei potrebbe essere la chiave.» «Lo so. Lo so. Me l'ha detto.» «Ma hai ascoltato?» Bastardo. Maritz digrignò i denti. «Ho detto che la prenderò.» «Sembra che questa piccola questione ti stia creando dei problemi. Devo mandare qualcun altro?»
«No», disse lui in fretta. «Devo andare, adesso. Mi terrò in contatto.» Maritz riattaccò il telefono. Mandare qualcun altro? pensò, offeso. Rovinare la conclusione della caccia, quando le aveva dedicato tanto tempo e fatica? Assolutamente no. Tanek alzò gli occhi dal libro, quando Nell aprì la porta. «Sì?» Lei restò sulla porta. La luce della lampada gli cadeva sulle spalle nude e sul triangolo di peli che gli ricopriva il petto. Evidentemente sotto il lenzuolo era nudo. Trasse un profondo respiro. «Posso entrare?» Lui chiuse il libro. «Ha bisogno di parlare?» «No.» Nell si inumidì le labbra. «Grazie.» «Prego.» «Mi chiedevo se lei... Se ancora...» Poi Nell disse d'impeto: «Vorrei venire a letto con te, se non ti dispiace». Tanek si immobilizzò. «Oh, non mi dispiace. Posso chiedere perché?» «Ho pensato che c'è troppa tensione tra noi. Andrà meglio quando...» «Oh, è terapeutico?» «Sì. No.» Nell trasse un profondo respiro. «Lo desidero», disse con schiettezza. Tanek sorrise e le tese una mano. «Alleluia.» Lei si strappò di dosso la camicia da notte, attraversò di corsa la stanza e si tuffò sotto le coperte e tra le sue braccia. «Non so cosa fare», gli disse con impeto. «Detesto sentirmi così. Pensavo che non avrei mai più provato questa incertezza. Tutto sembrava così chiaro.» «È tutto chiaro.» Nicholas le accarezzò i capelli. «Qual è il problema?» «Qual è il problema? Primo, non so se sto facendo la cosa giusta. Secondo, ho tentato di dirmi che prendere ciò che voglio è un segno di forza, ma potrebbe essere debolezza. Terzo, io ho avuto solo due uomini, mentre tu probabilmente hai avuto milioni di donne.» Lui ridacchiò. «Non proprio.» «In ogni caso, hai capito il concetto.» «Ho capito il concetto.» Le baciò la tempia. «Se sei nervosa, staremo semplicemente sdraiati qui per un po', insieme.» Nell si rilassò contro di lui. Poteva sentire sotto l'orecchio il forte battito regolare del suo cuore. Era come la sera prima. All'improvviso si sentì al sicuro. Forse, solo per un po'. «E, se questo può farti sentire più sicura, sappi che non sono mai andato
a letto con Elena di Troia.» «Che cosa?» «Joel non ti ha detto che mirava a darti una faccia più memorabile di quella di Elena di Troia?» «No.» Nell rimase un momento in silenzio. «È per questo che sei disposto a...» «Disposto non è la parola giusta. Impaziente. Smanioso.» «Smettila di cercare di distrarmi. Mi vuoi a causa di questa faccia che mi ha dato Joel.» «Ti voglio, perché sei Nell Calder e tutto ciò che questo implica.» «Ma non saresti mai andato a letto con la vecchia Nell Calder. Non mi avresti neppure notata.» «Ti avevo notata. Avevo notato il sorriso, i tuoi occhi e...» «Ma non avresti desiderato venire a letto con me.» Nicholas le sollevò il mento e la guardò negli occhi. «Che cosa vuoi che ti dica? Che sono attratto dalla bellezza? Sì, ma non è tutto ciò che cerco in una donna. Se all'improvviso tornassi a essere quella donna di Medas, ti vorrei ancora? Sì, perché adesso ti conosco. Conosco le tue potenzialità, la tua tenacia, la tua forza...» Nell fece una smorfia. «Molto sexy.» «La forza è sexy. L'intelligenza è sexy. Tu hai sempre avuto queste qualità, sotto quell'aspetto mite.» Un mesto sorriso gli increspò gli angoli delle labbra. «Ora, vuoi smetterla di fare confronti? Mi sento poligamo, tentando di sedurre entrambe.» «Mi dispiace, ero solo curiosa di saperlo.» Nell affondò di nuovo il viso nel suo petto. «A volte mi sento davvero due persone. Non spesso. L'altra donna sta svanendo.» «No, non sta svanendo. Si sta solo fondendo con la persona che sei ora.» Nicholas le sfiorò il labbro inferiore con un dito. «Come sto morendo dalla voglia di fare io. Hai avuto tempo a sufficienza? Prometto che andrò lentamente.» All'improvviso Nell si rese conto che il cuore di Nicholas batteva più forte contro il suo orecchio e che i suoi muscoli erano rigidi e tesi contro di lei. Era stato duro per lui aspettare, ma le aveva dato lo spazio che le occorreva, le parole di cui aveva bisogno. Sollevò il capo, e lo baciò. «Non c'è bisogno che tu vada lentamente», mormorò.
«Vai a rinfrescarti», ordinò Tania a Joel, non appena lui entrò in casa. Gli mise in bilico sulla testa un cappellino da party color fucsia e gli fece scivolare l'elastico sotto il mento. Lui aveva l'aria stanca. Non era un buon segno. «Questa sera festeggiamo.» «Ho un'aria stupida con i cappellini da party.» Lei gli impedì di toglierlo. «Sciocchezze. Stai stupendamente. Il colore è proprio adatto a te. Si intona con i tuoi capelli.» «I miei capelli non sono color fucsia.» Diede un'occhiata all'abito in georgette color pesca di Tania. «È bello. Mi piacciono tutti quei fiori. Sembri un giardino. Che cosa festeggiamo?» «Ho ottenuto un ottimo risultato all'esame d'inglese. Un voto molto buono in una lingua orribile come l'inglese.» Lo baciò sulla guancia e gli diede una spinta verso le scale. Mise un cappellino verde da party anche sul proprio capo. «Sono molto elegante, vero?» Lui sorrise. «Molto elegante.» «Ho fatto il brasato con le patate e un nuovo dolce con la crema al limone. A basso contenuto di grassi per il tuo cuore. Sano. Dal momento che ti consideri tanto vecchio, ho pensato che questo ti avrebbe fatto felice.» «Non ho mai detto di essere vecchio», ribatté lui, offeso. «Solo che tu sei... giovane.» Tania si strinse nelle spalle e si affrettò verso la sala da pranzo. «Sbrigati.» Controllò la sistemazione dei fiori sulla tavola, accese le candele e si diresse in cucina. Sistemò il piatto di portata con il brasato sulla tavola, quando Joel entrò nella sala da pranzo. Portava ancora il cappellino da party, vide lei con approvazione. «Siediti. Assaggia.» Tania mantenne la conversazione su di un piano leggero per tutta la cena e anche dopo, mentre bevevano il caffè nel soggiorno. «Ho cucinato bene. Ottimo, vero?» Joel sorrise. «Ottimo.» Tania aveva sempre amato il suo sorriso. Dal primo momento in cui era entrato nella sua stanza d'ospedale, tanti anni prima. «Ti ho anche dato la caffeina, nel tuo caffè. Naturalmente, sai che ti sto circuendo con le lusinghe.» «Lo sospettavo. Non hai avuto un ottimo risultato all'esame?» «Oh, sì, ma sapevo che l'avrei raggiunto. Non è stato un trionfo.» «Allora, perché porto questo cappellino da party estremamente stupido?» Lei fece un sorrisetto compiaciuto. «Perché ti fa bene.» Il suo sorriso
scomparve, mentre attraversava la stanza, per fissare fuori dalla finestra. «E, se tu fossi saggio, avremmo delle ragioni per festeggiare.» Joel si alzò immediatamente in piedi. «Ho avuto una dura giornata. Non me la sento di discutere con te, Tania.» «Tu non discuti. In una discussione potrei vincere. Tu dici semplicemente no.» «E lo dico di nuovo. Che cosa ti ha fatto pensare che questa sera sarebbe stato diverso?» Tania si girò di scatto verso di lui. «Perché sei uno sciocco», disse con voce tremante. «Ti comporti come quello sciocco di Galahad. Perché non puoi essere come gli altri uomini, prendere una donna ed essere felice?» «Autodifesa. Sarei disperato, se tu decidessi che sono... Che cosa c'è che non va?» I suoi occhi si restrinsero, fissandola in volto. «Sei davvero sconvolta.» «Naturale che sono sconvolta. Ti aspetti forse che continui a riderne? Ogni minuto di vita è così prezioso, e tu lasci che ci sfugga.» Incrociò le braccia sul petto, per farle smettere di tremare. «Come sai...» Gli voltò di scatto le spalle. «Oh, vattene. Non capisci niente. Sei un uomo molto, molto stupido.» «Faccio ciò che ritengo sia meglio, Tania», disse lui gentilmente. «La vita è davvero preziosa e non voglio che la tua sia rovinata.» «Vattene.» Tania fissava ciecamente fuori dalla finestra, tentando di trattenere le lacrime. «Tania...» Lei non rispose e qualche istante dopo lo sentì andarsene. Non aveva pensato di riuscire a persuaderlo. La serata era stata un errore madornale. Aveva scelto un momento in cui Joel era stanco e probabilmente sentiva tutti i suoi anni. Avrebbe dovuto fermarsi nell'istante in cui aveva visto la sua faccia, quando era entrato dalla porta. Non aveva potuto fermarsi. Aveva dovuto fare un tentativo. Ultimamente aveva avuto la sensazione che il tempo si stesse esaurendo... Fissò l'oscurità. Era pazza. Lui non poteva essere là fuori. Senza dubbio avrebbe visto qualche segno della sua presenza durante quelle settimane. Bastardo, perché non vuoi andartene? Stava solo parlando a un fantasma del suo passato. Non c'era nessuno là fuori. Aveva un'aria attraente con quello sciocco cappellino da party, pensò
Maritz. Ma la sua espressione era quella tesa e guardinga che era arrivato a conoscere, quella che lui aveva fatto assumere al suo volto. Grazie per avermi invitato alla festa, Tania. Sì, sono ancora con te. Lei voltò le spalle alla finestra e Maritz abbassò il binocolo di fabbricazione russa. Sì, decisamente avrebbe dovuto avvenire in casa. Lei si sentiva tanto sicura, lì. «Nessun segno di Maritz», disse Jamie. «Ho tenuto d'occhio io stesso Tania e non sono riuscito a individuarlo.» «Ma questo non significa che lui non la pedini», disse Nicholas. «Diavolo, no. È abile e gli piace questa parte della caccia. Sto tenendo attentamente d'occhio la situazione. Ho anche fatto sintonizzare il numero del sistema d'allarme di Lieber sul mio cercapersone. È tutto quello che possiamo fare, per il momento.» Jamie fece una pausa. «Ma ho ricevuto una telefonata da Conner, da Atene. Bingo!» Nicholas si irrigidì. «L'hai avuto?» «Verificato e dettagliato. Ti spedirò via fax un rapporto completo.» «Bene.» «Hai ancora intenzione di non dirlo a Nell? Stai accumulando guai seri.» «Ma non mi dire. Aspetterò il tuo fax.» E Nicholas riattaccò il telefono. «Sta arrivando un uomo. Sta aspettando al terzo cancello. Devo farlo entrare?» Michaela era ferma sulla porta della palestra e fissava con disapprovazione Nell distesa prona sul tappeto con Tanek sopra di lei. «Che uomo?» Tanek si tolse dalla schiena di Nell e si alzò in piedi. «È quel Kabler. Quello che è già stato qui.» Nell si irrigidì, mentre il suo sguardo volava su Tanek. «È solo?» chiese lui. «Così dice», rispose Michaela. «Deciditi. Ho del lavoro da fare.» «Fallo passare.» Tanek si avviò verso la porta. «La lezione è finita, Nell. Vai a fare una doccia, mentre io vedo che cosa vuole.» «No.» Lui le diede un'occhiata interrogativa. «Non voglio essere tenuta fuori da questo. Te l'avevo detto, quando sono arrivata qui, che non ti avrei permesso di avere dei segreti con me.» «È difficile avere dei segreti, quando non so perché è qui quell'uomo», disse lui caustico.
Nell andò nella sua stanza, si lavò il viso, si tolse la canottiera sudata e indossò una camicetta pulita. Kabler stava entrando nel cortile della scuderia con la macchina, quando lei raggiunse Tanek sul portico. L'aria era di un freddo pungente e grossi fiocchi di neve stavano cominciando ad accumularsi lentamente sul terreno. «Non hai addosso neppure una giacca», disse Tanek, senza guardarla. «Mi considereresti machiavellico, se ti suggerissi di aspettare dentro?» «Sto bene.» Kabler stava scendendo dalla macchina. «Fare visita a te è come entrare a Fort Knox», si lamentò lui. Il suo sguardo si spostò su Nell. «Salve, signora Calder. È lei il tesoro che Tanek sta tentando di tenere per sé?» Lei inclinò il capo. «Signor Kabler.» «Entri, Kabler. Togliamoci il pensiero di questa faccenda.» Tanek entrò in casa. «Come sta?» chiese a bassa voce Kabler a Nell, mentre le passava accanto. «Bene. Non le sembra che stia bene?» «Mi sembra assolutamente magnifica.» Nell ebbe un sussulto di sorpresa. Da quando era arrivata nell'Idaho, aveva quasi dimenticato il cambiamento del suo aspetto. «Sono anche in buona salute e forte. Può vedere che Nicholas non mi sta tenendo murata in una prigione sotterranea. È per questo che è qui?» «In parte.» «Kabler», chiamò Tanek. «Un bastardo impaziente, eh?» mormorò Kabler, entrando in casa. Nell lo seguì e chiuse subito la porta per arginare il gelo. «Bel posticino», osservò Kabler, gironzolando per la stanza. «Lussuoso, ma confortevole. Mi piace.» «Perché è qui?» «La signora Calder è scomparsa, dopo avere lasciato l'ospedale. Poiché dubitavo che la terra l'avesse inghiottita, ho pensato che potesse averlo fatto lei.» Incontrò gli occhi di Tanek. «Perché si trova qui? La sta usando come esca?» «Lei ha detto che l'aggressione fatta a me è stata un puro caso», disse in fretta Nell. «Se questo fosse vero, allora non ci sarebbe alcuna ragione perché Tanek mi debba considerare una buona esca.» «Come salta in fretta in sua difesa», disse Kabler, rivolto a Tanek. «È
sempre stato bravo a guadagnarsi la fiducia della gente.» E a Nell: «Ha dimenticato che Tanek crede che ci fosse una ragione per la sua aggressione, signora Calder? Mi dica, le ha parlato di Nigel Simpson?» Sorrise. «No, vedo che non lo ha fatto.» «Glielo dica lei stesso», disse Tanek impassibile. «È chiaro che sta sbavando dal desiderio di farlo.» «Molto perspicace da parte sua. Nigel Simpson era uno dei contabili di Gardeaux, che era costretto a trasmettermi certe informazioni, signora Calder. Ma è scomparso.» Kabler scosse il capo. «All'incirca quando il nostro signor Tanek ha fatto una visita a Londra. Che coincidenza.» Londra. Nell tentò di nascondere lo choc, ricordando la telefonata da Londra e il viaggio di Tanek il giorno successivo. «Pensa che tenga nascosto qui anche lui?» chiese Tanek. «No, penso che probabilmente quel povero bastardo si trova nascosto in fondo all'oceano.» «E l'avrei nascosto io?» «Forse.» Kabler scrollò le spalle. «O forse ha tentato di prendere il mio posto con la mia fonte, di ottenere troppo da lui, e Gardeaux ha deciso di farlo a pezzi. Che cosa le ha detto, Tanek?» «Niente. Non l'ho visto.» «Potrei portarla dentro per interrogarla.» «Non ha prove. L'unica cosa che sa è che mi trovavo nella stessa città, nello stesso periodo.» «Questo potrebbe essere sufficiente con lei.» Kabler esitò un attimo. «D'accordo. Non posso fare pressioni su di lei. Ha comunicato le sue scoperte alla signora?» «Ma non abbiamo stabilito che avessi scoperto qualcosa.» «Allora perché Readon stava annusando intorno?» Tanek gli rivolse uno sguardo privo d'espressione. «Annusando intorno a che cosa?» «Ad Atene.» Nell si irrigidì. Tanek sorrise. «La Grecia è un posto magnifico. Forse aveva bisogno di una vacanza. È questo che è venuto a chiedermi?» «No, penso di conoscere la risposta.» La sua espressione divenne cupa. «Sono solo venuto a dirle di non pestarmi di nuovo i piedi, altrimenti la inchioderò. Simpson mi serviva.» «Anche a me.» Tanek si avviò a lunghi passi verso la porta e l'aprì.
«Addio, Kabler.» Kabler inarcò un sopracciglio. «Buttato fuori al freddo? Com'è inospitale. È questo il codice di comportamento dell'Ovest?» Si avviò lentamente verso Tanek. «In cuor suo è ancora un bandito, Tanek.» «Non l'ho mai negato. Siamo ciò che siamo... o ciò che eravamo.» Kabler diede di nuovo un'occhiata alla stanza e il suo sguardo si soffermò su un vaso cinese in un angolo. «Ed era pagato molto bene. Quel vaso da solo manderebbe i miei ragazzi all'università.» Il suo tono divenne improvvisamente aspro. «Vivete nel lusso, vero? Lei e quel sudiciume di Gardeaux. Non la preoccupa neppure che...» «Addio, Kabler.» Lui aprì la bocca per parlare, poi si interruppe, quando incontrò lo sguardo di Tanek. Si voltò verso Nell. «Vuole accompagnarmi alla macchina? Vorrei scambiare qualche parola con lei da sola. Sempre che Tanek le permetta di allontanarsi dalla sua vista.» «Certamente», disse lui senza espressione. «Prendi una giacca, Nell.» Lei afferrò una giacca dall'attaccapanni accanto alla porta e seguì Kabler. La neve stava cadendo sempre più fitta. Il parabrezza della macchina di Kabler ne era ormai ricoperto. «Sarò fortunato, se riuscirò a tornare in città prima che questa nevicata si trasformi in tormenta», borbottò Kabler, aprendo la portiera della macchina. «Potrebbe restare per la notte.» «Dopo che Tanek mi ha buttato fuori? Preferisco rischiare la tormenta.» «Non è un orco. Se c'è davvero pericolo, le permetterà di restare.» «Non è un orco, ma non conterei sulla sua riserva di gentilezza connaturata.» Gettò un'occhiata indietro alla casa. «Non si fidi di lui. Chi è stato un imbroglione, lo sarà sempre.» «Si sbaglia. La gente cambia.» «Non è come noi, nessuno di loro lo è. Camminano nel fango e il fango li indurisce.» «Questo non è vero.» Kabler scosse il capo. «Ho a che fare con loro da ventiquattro anni. Non sono come noi.» «È questo che voleva dirmi?» «Tanek l'ha proprio incantata. Posso vederlo. Non voglio che lei ne resti ferita.» «Non ne resterò ferita e non sta cercando di ingannarmi. Non più.»
«Allora perché non le ha parlato di Nigel Simpson?» «Non ne ho idea. Ma lo farà, quando glielo chiederò.» «L'ha proprio incantata, vero? Va a letto con lui?» «Questi non sono affatto affari suoi», rispose Nell freddamente. «Mi dispiace. Ha ragione. Volevo solo aiutarla. Ha ancora il mio biglietto di visita?» «Sì.» «Sarò nei paraggi.» Kabler avviò la macchina. «Non aspetti che sia troppo tardi per usarlo.» Nell rimase a guardarlo uscire dal cortile della scuderia. L'ha proprio incantata. Si sbagliava. Tanek non aveva alcun potere su di lei. Si sbagliava su tutto. Tranne, forse, su Nigel Simpson. Tornò lentamente indietro ed entrò in casa. Nicholas era in piedi accanto al fuoco, con le mani tese. «Vieni a scaldarti. Sei stata fuori a lungo.» Lei si tolse la giacca e avanzò verso di lui. «Sta nevicando forte. L'ho invitato a restare per la notte.» «Ma lui ha scelto di non rischiare?» «Gli ho detto che non avresti fatto obiezioni.» «Ma non sei sicura che non l'avrei legato a un palo sulla neve, per i lupi?» «Non essere ridicolo.» «Non l'avrei fatto.» Nicholas le sorrise. «Non se lo avessi invitato tu a restare.» Notò che non aveva detto che si sarebbe astenuto dal farlo, se non avesse invitato lei Kabler. «Mi piace.» «Lo so. Perché no? Un uomo tutto famiglia, onesto, protettivo...» «Ma a te non piace?» «È troppo virtuoso per me. Poiché sono io, quello che viene lapidato, non accetto un uomo disposto a lanciare la prima pietra.» «Che cosa è successo a Nigel Simpson?» «Probabilmente, quello che Kabler pensa che gli sia successo.» Gli occhi di Tanek si socchiusero. «Ma se hai intenzione di chiedermi se è stata opera mia...» «Non avevo intenzione di chiederti questo», lo interruppe lei. «Perché? Mi consideri troppo onesto e incapace di una simile barbarie?» chiese lui in tono beffardo.
«Non lo so. Forse ne sei capace, ma non credo... Non lo faresti a meno che...» Nell si interruppe e alla fine disse: «Solo, non credo che tu l'abbia ucciso». «Bene, questo è chiaro.» «Ma voglio sapere che cosa hai scoperto da lui.» Tanek rimase in silenzio un momento. «Mi ha consegnato la sua serie di libri contabili di Gardeaux e mi ha detto il nome dell'altro professionista a Parigi, che poteva completarli.» «E questo può essere prezioso?» «È probabile.» «Come?» «Le informazioni sono sempre utili. Le ho trattate ampiamente, mentre ero a Hong Kong. Alcune le ho passate, altre le ho tenute di riserva. Quando sono uscito dal giro, le ho usate come polizza d'assicurazione.» «Polizza d'assicurazione?» chiese lei, perplessa. «Nel corso degli anni mi sono fatto molti nemici. Non potevo essere sicuro che non sarei stato preso come bersaglio, dopo aver lasciato l'Organizzazione. Così ho nascosto informazioni estremamente scottanti su Ramon Sandequez in varie cassette di sicurezza in giro per il mondo, con l'istruzione di farne arrivare il contenuto alle persone giuste, se fossi scomparso o fossi stato trovato morto.» Quel nome le suonava familiare. «Chi è Ramon Sandequez?» «Uno dei tre capi del cartello della droga di Medellín.» Giusto, Paloma, Juarez e Sandequez, ricordò Nell. I capi di Gardeaux, la gerarchia. «Sandequez non è un uomo da contrariare. Ha fatto circolare la voce che, se fossi stato toccato, non gli avrebbe fatto piacere.» Nell provò un'ondata di intenso sollievo. «Allora sei al sicuro.» «Finché Sandequez penserà di avere trovato tutte le cassette di sicurezza. Ne ha già individuate due. Oppure finché lo stesso Sandequez verrà ucciso. O fino a quando qualche pazzo come Maritz deciderà che non gli importa di correre il rischio.» «Ma, se mantenessi una posizione prudente e restassi qui, saresti più al sicuro?» «Nascondere la testa e sperare?» Scosse il capo. «Sono disposto a prendere alcune precauzioni, ma non sono disposto a smettere di vivere pienamente la vita. Non è per questo che sono venuto qui.» Era venuto lì per mettere radici. Ma quelle nuove radici erano terribil-
mente fragili. «Non essere sciocco», disse Nell con impeto. «Dovresti restare qui, fuori dalla vista. Ami questo posto. Non c'è ragione di andare in qualsiasi altro posto.» «Una ragione c'è.» «Non degna di rischiare...» Gardeaux. Maritz. Naturalmente c'era una ragione. A che cosa stava pensando? Stava pensando solo a tenerlo al sicuro. All'improvviso Nell si sentì preda dei sensi di colpa. La vicinanza e l'intimità si erano insinuate nella sua vita e ora minacciavano di interferire con ciò che doveva fare. Si allontanò in fretta da lui. «Devo fare la doccia.» «Stai scappando?» le chiese Nicholas con calma. «No, solo... Sì.» Non voleva mentirgli. «Penso che dovrei andare via. Le cose stanno diventando troppo complicate.» «Immaginavo che saremmo arrivati a questo», disse lui. «Maledetto Kabler.» «Non è colpa sua. È solo...» «Complicato», finì lui in tono sarcastico. «Con Kabler come catalizzatore.» Allungò le mani ad afferrarla per le spalle. «Ascoltami. Niente è cambiato. Non sei costretta a scappare.» Qualcosa era cambiato. Per un istante, a causa della sua preoccupazione per Nicholas, aveva dimenticato ciò che era importante. E lui lo sapeva. Poteva vederlo nella sua espressione. «D'accordo. Non ti toccherò più», disse Nicholas. «Sarà come prima.» Come poteva essere? Nell si era abituata a lui, sia fisicamente sia emotivamente. «Non sei pronta.» Nicholas le prese il viso tra le mani e mormorò: «Resta». La baciò leggermente, con dolcezza. Poi sollevò il capo. «Visto? Neutrale come un fratello. Che cosa c'è di tanto complicato?» Nell si appoggiò contro di lui. Quanto desiderava restare. Doveva restare. Lui aveva ragione, non era pronta a lasciarlo. Forse sarebbe andato tutto bene, ora che capiva che cosa stava succedendo. «D'accordo. Per un po'.» Poté sentire la tensione abbandonarlo. «Decisione intelligente.» Lei non era sicura di quanto fosse intelligente. Non era sicura di niente in quel momento, tranne del fatto che le braccia di Nicholas erano forti e protettive e che lei voleva trovarsi lì. «Lasciami andare.» «Tra un momento. Hai bisogno di questo, ora.»
Ne aveva davvero bisogno. Lui la conosceva tanto bene. L'aveva studiata e aveva scoperto ciò di cui aveva bisogno, ciò che desiderava. Era lui quello intelligente. Avrebbe dovuto spaventarla, invece di darle quel forte senso di sicurezza. Alla fine Nell lo spinse via e si avviò verso la porta. «Ci vediamo a colazione.» «Va bene.» Nell si fermò sulla porta, mentre un pensiero improvviso le attraversava la mente. «Non mi avevi detto che Jamie era in Grecia.» «Stava controllando un paio di piste a proposito dell'incursione a Medas.» «Ne è venuto fuori qualcosa?» «Troppo presto per dirlo.» Nicholas parlò in tono indifferente e la sua espressione era ugualmente distaccata. Troppo distaccata, forse. Aveva avuto in mente di interrogarlo subito a proposito di Jamie, ma lui era saltato da Simpson a Ramon Sandequez e, in qualche modo, lei aveva perso il filo del discorso. Aveva cercato di proposito di impedirle di seguire quel particolare discorso? «Mi stai dicendo la verità?» «Naturalmente.» Lei disse esitante: «È molto importante per me. Devo potermi fidare di te, Nicholas». «Me l'hai spiegato molto chiaramente. Ho mai fatto qualcosa che possa farti dubitare di me?» Nell scosse il capo. Il suo sorriso gli illuminò il volto. «Allora dammi una pausa, piccola.» Splendido sorriso, pieno di calore. Nell si ritrovò a ricambiarlo, come faceva di solito di quei tempi. «Mi dispiace.» Si voltò per andarsene, poi esitò, dando un'occhiata fuori dalla finestra. «Sta nevicando più forte.» Nicholas sospirò. «E tu sei preoccupata per Kabler. Vuoi che segua le sue tracce e mi assicuri che riesca a tornare in città?» «Lo faresti?» chiese lei, sorpresa della sua offerta. «Se è questo ciò che vuoi.» Nell si sentì avvampare. «No, così mi preoccuperei per te.» «È piacevole sapere di essere valutato più del virtuoso signor Kabler.» «Forse la neve cesserà.» «Ne dubito. Il bollettino meteorologico ha annunciato neve lungo tutto il confine canadese per tutta la settimana.» Nicholas diede un'occhiata ai fiocchi bianchi, che colpivano la finestra. «Dovrebbe arrivare anche da Jo-
el e Tania, a Minneapolis, tra qualche giorno.» 14 «Le occorre qualcosa al negozio?» Phil era fermo sulla porta della cucina. Annusò l'aria. «Ha un buon profumo. Che cos'è?» «Goulash.» Tania gli sorrise sopra la spalla. «Gliene metterò un po' da parte per la cena.» «Fantastico.» Phil si avvicinò ai fornelli. «Posso averne un assaggio subito?» Non era altro che un ragazzone, pensò Tania con indulgenza, immergendo il mestolo nella pentola e offrendoglielo. Luì assaggiò il goulash, chiuse gli occhi e sospirò. «Delizioso.» «È una vecchia ricetta di famiglia. Mi ha insegnato a farlo mia nonna.» Tania abbassò la fiamma del fornello. «Sarà più buono dopo qualche ora di lenta ebollizione.» «Impossibile.» Phil diede un'occhiata alla finestra. «La neve sta scendendo piuttosto forte. È probabile che tra qualche ora non si possa più uscire. Mi chiedevo se lei potesse avere bisogno del latte o del pane, o di qualche cosa.» «Del latte. Ho usato l'ultimo per colazione.» Lo sguardo di Tania seguì il suo verso la fmestra. «Ma non esca solo per la spesa. Le strade devono essere una lastra di ghiaccio.» «Dovevo uscire comunque. C'è qualcosa che non va nella mia macchina. Devo portarla al garage.» «Che cos'ha che non va?» «Non ci capisco nulla. Funzionava bene l'altro ieri, ma ieri sera andava a singhiozzi.» Strinse le spalle. «Può darsi che sia colpa dell'alimentazione.» Si avviò verso la porta. «Sarò di ritorno tra un paio d'ore. Venga alla porta d'ingresso a inserire il sistema di sicurezza dietro di me. A che serve averne uno, se non lo mette in funzione? Sono entrato dritto dalla porta.» «Lo inserisco sempre. Joel deve essersi dimenticato di farlo, quando è uscito questa mattina.» Tania lo seguì nell'atrio e premette il pulsante dell'allarme dopo che lui ebbe aperto la porta. Diede un'occhiata fuori alla neve, che turbinava veloce, ora tanto fitta che riusciva a malapena a vedere due metri davanti a sé. «È pericoloso. Deve proprio andare?» «Non posso fare a meno delle mie quattro ruote.» Phil fece un largo sorriso. «Sono abituato a guidare con un tempo simile.» Agitò la mano, scen-
dendo con prudenza i gradini ricoperti di ghiaccio. «E mi ricorderò del latte.» E scomparve dietro la cortina di neve. Nell chiuse la porta e ritornò indietro verso la cucina. Si fermò, corrugando la fronte, prima di avere fatto pochi passi. Dell'acqua aveva formato una pozzanghera sul pavimento in quercia dell'atrio. Di solito Phil era tanto attento a pulirsi i piedi. Doveva essere davvero preoccupato per combinare quel disastro. Si diresse in cucina a prendere uno straccio per asciugarla, prima che danneggiasse quel magnifico legno. Non aveva avvertito la sua presenza, realizzò Maritz con un certo disappunto. La osservò chinarsi ad asciugare con cura l'acqua che era sgocciolata dalle sue scarpe, quando aveva seguito il guardiano in casa. L'avrebbe asciugata lui stesso, ma non era stato sicuro di quanto tempo avesse a disposizione prima che il tipo uscisse per andare al garage. Aveva scelto di non rischiare affatto, si era tolto le scarpe bagnate ed era corso su per le scale fino al pianerottolo del secondo piano. Sono proprio qui, bella Tania. Se alzi gli occhi, mi vedrai. Lei non alzò gli occhi. Finì di asciugare il pavimento e tornò in cucina. Maritz sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi tanto deluso. Si era già imbattuto nella cecità, in passato. La sensibilità era attenuata, quando la gente si trovava in un posto che considerava sicuro. Ma aveva pensato che lei sarebbe stata diversa. Forse era meglio. La sorpresa sarebbe stata più grande e la paura, a maggior ragione, più intensa. Dove l'avrebbe sorpresa? La sentì canticchiare in cucina. Era felice, quella mattina. La cucina, il centro della casa, base della vita famigliare. Perché no? Maritz si avviò giù dalle scale. Al gulasch mancava un po' di pepe, decise Tania. Appoggiò il cucchiaio e allungò una mano a prendere il macinapepe di cristallo sul ripiano del banco. Phil aveva detto che era perfetto, ma lui non aveva mai assaggiato il gulasch di sua nonna. La rendeva sempre felice, cucinare una delle ricette della sua famiglia. Le riportava alla memoria ricordi incontaminati da quegli ultimi anni. La nonna seduta al tavolo, a pelare patate e a raccontarle dei tempi andati, quando aveva viaggiato per la campagna; sua madre che
tornava a casa dall'ufficio con suo padre, ridendo e dicendole... «È ora, Tania.» Si voltò di scatto verso la porta. Un uomo era fermo sulla soglia, un coltello nella mano. Stava sorridendo. Il cuore le saltò in gola, poi le si raggelò. Lui. Doveva essere luì. L'uomo annuì, come se Tania avesse pronunciato le parole a voce alta. «Sapevi che sarei venuto. Mi stavi aspettando, vero?» «No», mormorò lei. Sembrava così normale, così anonimo. Capelli e occhi castani, un po' sopra l'altezza media. Avrebbe potuto essere il commesso del supermercato o l'agente delle assicurazioni che aveva suonato alla porta la settimana prima. Quella non era la minaccia senza volto che l'aveva perseguitata. Ma lui aveva il coltello. «Non può voler fare questo.» Tania si inumidì le labbra. «Non mi conosce neppure. Non è ancora successo niente. Può andarsene di qui.» «Io ti conosco. Nessuno ti conosce meglio.» Maritz si avvicinò d'un passo. «E voglio farlo. Lo voglio da molto tempo.» «Perché?» «Perché tu sei speciale. L'ho capito la prima volta che ti ho seguita.» La porta? No, lui la stava bloccando, mentre veniva verso di lei. Doveva continuare a farlo parlare, mentre cercava di riflettere. «Perché mi stava seguendo?» «A causa della Calder. Speravo che tornasse o che si mettesse in contatto con te.» Maritz fece un altro passo. «Ma poi ho capito quanto eri speciale e ho cominciato ad apprezzarti per te stessa.» «Non so dove sia Nell.» «Mi aspettavo che dicessi questo. Lo scoprirò, se lo sai oppure no.» Sorrise. «Veramente, spero che tu non me lo dica per molto tempo. Mi dispiacerà mettere fine a questo.» «Chi è lei?» «Avevo dimenticato che non siamo stati presentati. Mi sento tanto vicino a te, Tania. Mi chiamo Paul Maritz.» Oh, Dio. Il mostro di Nell adesso era il suo mostro, e si stava avvicinando ogni istante di più. Che cosa poteva fare? «Ho mentito. So dove si trova Nell, ma non lo scoprirà mai, se mi ucciderà.» «Te l'ho detto, preferisco che avvenga dopo piuttosto che prima.» Maritz
era solo a due metri da lei. «Ma potremo parlarne quando io...» Tania frantumò il macinapepe di vetro sul bordo del banco, gli scagliò negli occhi il pepe e poi i frammenti aguzzi più grossi. Maritz imprecò, colpendo alla cieca con il coltelllo. Lei prese la pentola del gulasch e gli gettò il contenuto in faccia. Maritz urlò, afferrandosi le guance ustionate. Tania uscì di corsa dalla porta dell'atrio, passandogli accanto. Lui stava imprecando alle sue spalle. Raggiunse la porta d'ingresso e cercò di aprirla. Le mani di Maritz le piombarono sulle spalle, trascinandola via dalla porta. Tania barcollò all'indietro contro la parete e si afferrò al tavolo dell'atrio prima di cadere. «Stupida puttana.» Le lacrime gli scivolarono lungo il volto rosso e tumefatto. «Pensi che ti lascerò...» Lei gli scagliò contro il vaso di ottone sul tavolo e corse verso la porta. L'aprì e assestò un colpo all'allarme sul pannello, mentre usciva a precipizio. I piedi scivolarono sotto di lei e Tania ruzzolò giù dagli scalini. Aveva dimenticato il ghiaccio sulla scala d'ingresso. Maritz stava scendendo gli scalini lentamente, con cautela, attento a non compiere lo stesso errore. Il sistema d'allarme ululava, mentre lei si sforzava freneticamente di tirarsi in piedi. Qualcuno l'avrebbe sentito. Qualcuno sarebbe venuto. Un dolore lancinante le afferrò la caviglia sinistra, mentre attraversava zoppicando il prato verso la strada. «Dove stai andando, Tania?» le gridò lui alle spalle. «I vicini? Non ce la farai, con quella caviglia, e nessuno può vederti in mezzo a questa bufera. Il servizio di sicurezza? Non riuscirà ad arrivare qui in tempo.» Lei continuò ad avanzare. «Sono proprio dietro di te.» Taci, bastardo. «Arrenditi. Sarà comunque lo stesso.» Tania barcollò, mentre scivolava di nuovo sul ghiaccio. Poteva quasi sentire il suo respiro pesante sul collo. «Sai che cosa succederà. L'hai saputo per tutte queste settimane.» La caviglia di Tania cedette e lei cadde a terra. Si girò sulla neve a guardare verso di lui.
«Bella Tania.» Maritz si inginocchiò accanto a lei, bloccandola mentre la sua mano le accarezzava i capelli. «Non avevo progettato che fosse così per te. Volevo qualcosa di più piacevole che non farti strisciare qui sulla neve. Ma tu hai messo in funzione l'allarme e adesso devo far in fretta.» «Ma non le ho detto di Nell», disse Tania in tono disperato. «Allora, dimmelo.» «È in Florida. Mi lasci andare e le dirò...» Lui scosse il capo. «Penso che tu stia mentendo. Riesco sempre a capirlo. Non credo che me lo dirai. Dovrò chiederlo al buon dottore.» «No!» «Ma non mi lasci altra scelta.» La sua mano si chiuse con forza sui suoi capelli e Maritz sollevò il coltello. «Non ti farò male, come tu hai fatto a me. Un rapido colpo e sarà finita.» Stava per morire. Rifletti, si disse. Doveva esserci una via di scampo. Non era rimasta viva in quell'inferno di Sarajevo per morire lì. Non c'era nessuna via, realizzò con orrore. Il coltello stava scendendo ad arco verso la sua gola. Non c'era modo di salvar... Jamie Reardon era in albergo, quando il suo cercapersone raccolse il segnale d'allarme proveniente dalla casa di Lieber. Impiegò venti minuti per arrivare lì. Un'auto della polizia, munita di radar per la localizzazione dei segnali d'allarme, era parcheggiata accanto al marciapiede, ma era vuota. La sirena stava ancora ululando dalla porta aperta della casa. Perché diavolo non l'avevano spenta? Scese dalla macchina e si avviò su per il viale. Vide le prime impronte insanguinate quando arrivò in fondo. Stagliato contro la neve, il liquido scuro era incrostato di cristalli di ghiaccio. Jamie si sentì rivoltare lo stomaco. Gocce di sangue ricoprivano la neve, lasciando una scia. Lui la seguì attraverso il turbine di neve. Due guardie in uniforme del servizio di sicurezza erano ferme con la schiena rivolta a lui, a guardare in giù. Jamie sapeva che cosa stavano guardando. Era arrivato tardi. «Devo parlare con Nick. Immediatamente.» «È al Bar X questo pomeriggio, Jamie.» Nell diede un'occhiata al suo
orologio. «Ma dubito che potrà mettersi in contatto con lui al ranch. Probabilmente, ormai sta tornando a casa, ma non so dirle quanto impiegherà con questa neve. Devo farla richiamare?» «Sì. Non appena arriva.» «È in albergo?» «No, le darò il numero di telefono.» Nell prese nota del numero sul taccuino accanto al telefono. «Che cosa c'è che non va? Posso prendere un messaggio?» Ci fu silenzio dall'altra parte della linea. Poi Jamie disse: «Nessun messaggio». Lei si irrigidì. Si sentiva esclusa come la volta in cui Jamie aveva dato quel messaggio enigmatico a Nicholas, a proposito di Nigel Simpson. Ma quello era stato prima che Nicholas le avesse promesso che non ci sarebbero stati segreti tra loro. «Voglio sapere che cosa c'è che non va, Jamie.» «Allora lo chieda a Nick», disse Jamie con voce stanca. «Pretenderebbe la mia testa, se glielo dicessi io.» E Jamie riattaccò il telefono. Lentamente Nell si lasciò cadere sulla sedia accanto al telefono. Aveva la nausea. La conclusione era chiara. Era stata ingannata. Nicholas aveva detto a Jamie di non rivelarle qualcosa. Quanto le stava ancora nascondendo Nicholas? Abbassò lo sguardo sul numero sul taccuino. Era vagamente familiare. Di quale città era il prefisso? Minneapolis. E lei aveva chiamato quel numero in passato e sapeva a chi apparteneva. La mano le tremava, mentre formava il numero. «Pronto?» «Che cosa fa a casa di Joel Lieber, Jamie?» «Cristo. Avrei dovuto darle il numero del cercapersone.» «Che cosa sta facendo lì?» Quando lui non rispose, Nell chiese: «Mi faccia parlare con Tania». «Questo non è possibile.» La paura aumentò improvvisamente dentro di lei. «Che cosa vuol dire, che non...» «Ascolti, non posso più parlare. Dica a Nick di chiamarmi.» Nell sbatté giù il telefono, quando sentì che la conversazione era stata interrotta. Balzò in piedi e corse verso la sua camera da letto. «Michaela.»
Non arrivò alla casa di Lieber che quasi otto ore dopo. Era transennata con nastro giallo. Lo facevano sempre con le scene dei delitti, ricordò lei freneticamente, mentre pagava il taxi. Quante volte aveva visto quel nastro giallo nei notiziari della sera? Ma si trattava sempre della casa di qualcun altro, non della casa che Tania aveva fatto sua. C'era un poliziotto corpulento in piedi davanti alla transenna. Aveva l'aria gelata, quasi quanto si sentiva lei. «Nell.» Jamie stava scendendo da una macchina parcheggiata accanto al marciapiede. «Non avrebbe dovuto venire», disse gentilmente. «Era questo che Nick stava cercando di evitare.» «Che cosa è successo qui?» «Maritz. Ha pedinato Tania, aspettando che lei tornasse.» Nell si sentì come se fosse stata colpita allo stomaco da un pugno. Era colpa sua. Era lei la causa di quanto era successo a Tania. Tania e Joel avevano solo cercato di aiutarla e lei aveva portato quel mostro nella loro vita. «È morta?» Jamie scosse il capo. «È in ospedale con una caviglia rotta.» Il sollievo che la pervase le tolse il respiro. «Grazie a Dio.» Si voltò a guardare il nastro giallo e un'ondata di paura la travolse. «Joel?» «Non era qui.» Jamie trasse un profondo respiro. «Ma Phil sì. Maritz aveva manomesso la sua macchina e lui l'ha portata al garage. Il meccanico gli ha detto che qualcuno aveva manomesso uno dei tubi di aspirazione sotto il carburatore. Lui ha preso in prestito il camioncino della stazione di servizio ed è tornato qui a tutta velocità, in tempo per salvare Tania. Ma non se stesso. Maritz lo ha ucciso. Ma hanno lottato abbastanza a lungo da dare il tempo agli uomini della società per l'antifurto di arrivare qui. Maritz ha dovuto andarsene prima di poter finire Tania.» Phil. Il caro, allegro Phil. Nell sentì le lacrime salirle agli occhi, mentre ricordava come era stato gentile con lei all'ospedale. «Mi piaceva tanto», mormorò. «Anche a me.» Jamie si schiarì la gola, ma i suoi occhi avevano un luccicore sospetto. «Era un ragazzo veramente fantastico.» «Voglio vedere Tania. Vuole portarmi da lei?» «È per questo che aspettavo qui in giro.» La prese per un gomito e la guidò verso la macchina. «Nick mi ha detto di non perderla di vista, fino a quando non arriverà lui di persona.»
«Gli ha parlato?» «Tre ore dopo che lei è partita per l'aeroporto. Era pronto a strangolare me... e lei.» «Lei era già qui? Sapevate, allora, che erano in pericolo.» Lui strinse le spalle. «L'impresario delle pompe funebri era scomparso. Volevamo accertarci che Joel e Tania fossero al sicuro.» «Ma non lo erano.» Nell salì sul sedile passeggeri. «E neppure Phil.» «Non crede che stia già soffrendo abbastanza?» disse lui con voce rauca. «Phil era mio amico.» «Non m'importa quanto soffre. Maritz ha ucciso Phil e ha cercato di uccidere Tania, perché voleva arrivare a me. E Nicholas non me l'ha neppure detto.» «Perché sapevamo che sarebbe tornata qui. Nick voleva tenerla al sicuro.» «Che diritto aveva di...» Nell si interruppe. Non aveva alcun senso discutere con Jamie, quando la colpa era di Nicholas. «Non voglio parlarne più. Mi porti solo da Tania.» «È al quinto piano», disse Jamie, quando si fermò davanti all'ospedale. «Vuole che venga con lei?» «No.» Nell scese dalla macchina e sbatté la portiera. Joel era nel corridoio fuori della stanza di Tania. «Che faccia stravolta», disse Nell. «Come sta Tania?» «Una caviglia rotta, ferite, un forte choc», disse Joel. «Ha visto pugnalare a morte Phil sotto i suoi occhi.» Sorrise con amarezza. «A parte questo, sta bene.» «È colpa mia.» «Sono io quello che ha dimenticato di inserire l'allarme, quando sono uscito per andare al lavoro. Quel bastardo non ha dovuto far altro che entrare.» «Mi dispiace, Joel.» «Per poco non è morta.» Le rivolse un'occhiata gelida. «Le stia lontana. Non voglio che si avvicini più a lei.» Nell trasalì. Non poteva biasimarlo per il suo risentimento, ma le faceva ugualmente male. «Dopo oggi, prometto di non vederla finché tutto questo non sarà finito. Voglio solo dirle quanto... Posso vederla?» Lui scrollò le spalle. «Dopo che Kabler avrà finito di parlarle.» Lo sguardo di Nell volò alla porta. «Kabler è qui?»
«È arrivato pochi minuti fa. Ha detto che doveva interrogarla a proposito di Mantz.» «C'è una probabilità che lo prendano?» «Kabler dice che probabilmente è già su un aereo, fuori del Paese.» «Ma Tania lo ha visto commettere l'omicidio. E l'estradizione?» «L'estradizione serve solo se riescono a trovarlo.» «Tornerà da Gardeaux a chiedere protezione.» Joel scosse il capo. «Non lo so. Io voglio solo che stia lontano da Tania.» «Anch'io.» Nell gli toccò un braccio. «Senza dubbio non oserà tornare, adesso che è stato identificato.» «No? Quel bastardo è pazzo. Può fare qualsiasi cosa. L'ha tenuta d'occhio, pedinata ed è entrato semplicemente in casa e...» Joel si interruppe. «Dica a Tania solo quello che ha da dirle e se ne vada al più presto lontano da lei. Ha avuto abbastanza...» «L'aspettavo, signora Calder», disse Kabler, chiudendo la porta della stanza d'ospedale dietro di sé. «A proposito, dov'è Tanek?» «Sono venuta da sola.» Nell chiese a Joel: «Posso entrare, adesso?» «Non appena avrò controllato, per assicurarmi che Kabler non abbia fatto danni», rispose lui, scomparendo nella stanza di Tania. «Che peccato per il giovane Phil», ammise Kabler. «Lo conosceva bene?» «Sì. No, immagino che dovrei dire di no. Che cosa fa qui?» «Avevo mandato a Minneapolis un uomo, a controllare la situazione, dal momento che avevamo saputo della scomparsa di Birnbaum. Ricorda che ero curioso circa il suo coinvolgimento?» Lei si appoggiò contro il muro. «Evidentemente, il suo uomo non ha controllato con cura.» «Non era informata del fatto che Maritz stava pedinando la signorina Vlados?» «Naturalmente no», disse Nell in tono impaziente. «Pensa che le avrei lasciato correre il rischio di...» «Calma.» Kabler sollevò una mano. «Sto solo chiedendo. Poiché Readon si trovava sulla scena, sembra che Tanek lo sapesse.» Scosse il capo. «Gliel'ho detto che non ci si può fidare di lui. Se ha usato la signorina Vlados come esca, pensa che non farebbe lo stesso con lei?» «Non l'ha usata come esca.» «Allora, perché non gliel'ha detto?» Kabler scosse di nuovo il capo con
disperazione, quando lei non rispose. «Lei gli crede ancora.» «Non avrebbe messo in pericolo Tania.» «Le ha detto che cosa ha scoperto da Nigel Simpson?» «Sì.» «No, non l'ha fatto. Non sarebbe tanto calma al riguardo.» Le sue labbra si strinsero, quando lei gli voltò le spalle. «Non permetterò che questo accada di nuovo. Mi raggiunga di sotto nell'atrio, quando avrà finito di parlare con la signorina Vlados.» «Perché?» «Le mostrerò la prova che non ci si può fidare di Tanek. Neppure per un attimo.» Nell rimase a guardarlo allontanarsi. Era furiosa con Nicholas, eppure, istintivamente, lo aveva difeso. Che stupida era. Aggrapparsi alla fiducia in lui come fosse un'ancora di salvezza. Non si era mai sentita tanto sola. «Può entrare, adesso.» Joel era fermo sulla porta aperta. «Ma solo per pochi minuti. Ha bisogno di riposare.» Tania aveva un'aria pallida e terribilmente fragile, appoggiata contro i cuscini bianchi. Tuttavia, le sue parole furono tipicamente brusche. «Smettila di guardarmi così. Non ho niente di tanto grave. La mia caviglia guarirà.» «Immagino che tu sappia quanto sono addolorata.» Nell si fece avanti. «Non avrei mai immaginato che accadesse questo. Ero io, quella cui dava la caccia.» «Non vantarti. Forse all'inizio, ma poi ha trovato che ero una vittima molto attraente.» Tania sorrise senza allegria. «Lui pensa che sia speciale. Non è piacevole?» «Come puoi scherzare?» Il sorriso di Tania svanì. «È l'unico modo in cui riesco ad affrontarlo», mormorò. «Non credo di essere mai stata tanto spaventata. Non faceva che continuare ad attaccarmi. Non riuscivo a fermarlo. È stato così con te, vero?» Nell annuì. Gli occhi di Tania si riempirono di lacrime. «Ha ucciso Phil.» «Lo so.» «Phil mi ha salvata e Maritz l'ha ucciso. Una volta ho visto uno di quei film dell'orrore che parlava di un lupo mannaro, tenuto in vita dalla sua pura e semplice malvagità. Qualunque cosa accadesse.» La mano di Tania si
strinse con straordinaria forza su quella di Nell. «Continuava semplicemente a uccidere. Non era così a Sarajevo. Loro non avevano un volto. Maritz sì. Ma sembra tanto normale, una persona qualsiasi.» «Ti sto agitando. Sarà meglio che vada, altrimenti Joel vorrà la mia testa.» Tania cercò di sorridere, ma fu un debole sforzo. «Già, si sta comportando in modo molto protettivo, vero? Forse farai meglio ad andare. Non sono una compagnia molto buona in questo momento. Tieniti in contatto.» «Lo farò. Promesso.» Nell si chinò a sfiorare la guancia di Tania con un bacio. «Guarisci.» Tania annuì. «Nell.» Lei si fermò sulla porta. «Stai attenta», mormorò Tania. «Maritz è davvero un lupo mannaro.» Tanek la stava aspettando fuori dalla porta. «Come sta?» «Non bene», rispose freddamente Nell. «Come pensavi che stesse? Per poco non è rimasta uccisa e ha visto Phil pugnalato a morte davanti ai suoi occhi.» Si avviò lungo il corridoio. «Dove stai andando?» «Adesso? Ho bisogno di una tazza di caffè. Vedere Tania ridotta così non è stato piacevole.» Aveva bisogno di più di una tazza di caffè. Stava tremando e non doveva farglielo vedere. Sapeva quanto fosse bravo Nicholas ad approfittare di qualunque debolezza. Girò nella sala d'attesa e cercò a tentoni nella borsa gli spiccioli per la macchina del caffè. «Non che siano affari tuoi.» «Eccome, se lo sono.» Nicholas spinse delle monetine nella macchina e rimase a guardare, mentre il liquido scuro colava nella tazza di carta. «Perché non hai aspettato che tornassi? Ti avrei portato io qui.» Nell prese la tazza dalla sua mano. «Non potevo essere sicura, non credi? Non mi avevi neppure detto che Maritz la stava pedinando.» «Non lo sapevamo. Non con certezza.» «Eri abbastanza sicuro da mandare qui Jamie.» «Era solo una misura di sicurezza. Non volevo un'altra Medas.» Lei sorseggiò il caffè nero. «Beh, ne hai avuta una. Phil è morto.» Lui annuì. «E come pensi che mi faccia sentire, questo? Sono io quello che l'ha portato qui.» «Francamente, non m'importa come ti senti.»
Le labbra di Nicholas si strinsero. «D'accordo, non ti ho detto tutto. Non volevo che tornassi qui di corsa.» «Non era una scelta tua.» «L'ho fatta mia. Non ti volevo morta, dannazione.» «Se fossi stata qui, Maritz avrebbe dato la caccia a me, invece che a Tania.» «Esattamente.» «E chi ti ha detto che sei Dio, Nicholas? Che diritto hai di prendere decisioni simili?» «Ho fatto ciò che dovevo fare.» Nell finì il caffè in due sorsi e gettò la tazza nel cestino per la carta straccia. «E io farò ciò che devo fare.» Uscì dalla sala d'attesa e si avviò verso l'ascensore. Nicholas la seguì. «Dove stai andando?» Lei non rispose. «Ascolta, posso capire perché sei sconvolta, ma ciò che è accaduto non cambia la situazione di fondo. Maritz può essere sotto l'ala protettiva di Gardeaux, ormai. Dobbiamo attenerci al piano.» Nell premette con forza il pulsante dell'ascensore. «Non credo che quel piano funzionerà più. Richiede una certa dose di fiducia.» Nicholas incontrò i suoi occhi. «Puoi non credermi, adesso, ma ti fiderai di nuovo di me.» «Spero di non essere tanto stupida.» Entrò nell'ascensore e lo fermò, quando lui fece per seguirla. «No, non voglio che tu venga con me.» Lui annuì e fece un passo indietro. «D'accordo, posso capire che tu abbia bisogno di un po' di spazio.» Nell provò un attimo di sorpresa. Non aveva pensato che si sarebbe arreso tanto facilmente. La porta si richiuse tra loro e lei si appoggiò contro la parete. Si sentiva ammaccata ed esausta come se fosse stata in battaglia, e doveva ancora affrontare Kabler. Kabler stava uscendo dal negozio di articoli da regalo, quando lei uscì dall'ascensore. «Il potente Morphin, il Ranger Rosso», disse lui, quando la vide dare un'occhiata alla borsa che teneva in mano. «Per il mio bambino. Sono difficili da trovare nei negozi della mia zona.» «Non credo che sia questo che aveva intenzione di mostrarmi», disse lei. «Ho visto salire Tanek. Che cosa ha...» «Ha detto di avere qualcosa da mostrarmi.» Lui la prese per il braccio. «Non è qui.» La condusse fuori dall'ospedale
verso il parcheggio. «Ha l'aria stanca. Si rilassi e si fidi di me.» Perché no? Immaginava di fidarsi di lui. Doveva credere a qualcuno. Nell salì sulla sua macchina, si appoggiò all'indietro sul sedile e chiuse gli occhi. «Io mi rilasserò, ma è meglio che lei non lo faccia. Nicholas mi ha lasciata andare troppo facilmente. Scommetto che Jamie Reardon è da qualche parte qui in giro. Guida una Taurus grigia a noleggio.» «È cinque macchine dietro di noi. Non importa. Può seguirmi solo fino a un certo punto.» «È con Kabler.» Nicholas imprecò sottovoce. «Stai loro alle calcagna. Che cosa diavolo fa con lei?» «Non posso seguirli. Ti sto chiamando dall'aeroporto. Si sono appena imbarcati su un jet privato che sta rullando lungo la pista.» «Puoi scoprire la loro destinazione?» «Un charter della DEA? Se avessi un po' di tempo, forse. Su due piedi? Assolutamente no.» Nicholas sapeva che ciò non era possibile, ma si stava aggrappando anche alle pagliuzze. Inoltre, aveva un'idea piuttosto chiara di dove stessero andando. Non aveva immaginato che Kabler si sarebbe spinto fino a quel punto. «Sto arrivando. Vedi se riesci a noleggiare un aereo, e che sia con il serbatoio pieno e pronto a partire quando arriverò lì.» «Immagino di sapere quale piano di volo presenteremo.» «Bakersfield, California.» La grande casa vittoriana era discosta dalla strada, circondata da ampi prati e da querce altissime. Sembrava senza tempo, elegante e solenne nel crescente crepuscolo. «Avanti», disse Kabler. «Non le credo», mormorò Nell. «Non è vero.» Kabler girò intorno alla macchina per aiutarla a scendere. «Vada da sé.» Nell salì lentamente i gradini dell'enorme portico, che circondava completamente la casa, e suonò il campanello. Attraverso i fiori incisi sulla porta a vetri poteva intravedere una donna che scendeva uno scalone. La lanterna da carrozza accanto alla porta illuminò all'improvviso il portico e la donna sbirciò attraverso il vetro traslucido. La porta si spalancò. «Posso esserle d'aiuto?»
Nell rimase paralizzata. Non riusciva a parlare. Una piccola ruga deturpò la perfezione della fronte della donna. «Vende qualcosa?» «Che cosa c'è, Maria?» Un uomo stava scendendo lo scalone. Nell stava per svenire. No, stava per vomitare. Oh, Dio. Oh, Dio. L'uomo mise affettuosamente un braccio intorno alle spalle della donna e sorrise. «Cosa possiamo fare per lei?» «Richard.» Nell riuscì a stento a far uscire quel nome dalle labbra. Il sorriso dell'uomo svanì. «Lei si sbaglia. Deve aver suonato alla casa sbagliata. Mi chiamo Noel Tillinger e questa è mia moglie, Maria.» Nell scosse il capo, sia per schiarirsi le idee sia per negare le parole dell'uomo. «No.» Il suo sguardo stordito si spostò sulla donna. «Perché, Nadine?» Gli occhi di lei si contrassero di colpo fissandola in viso. «Chi...» «Stanne fuori, Maria. Mi occuperò io di lei.» «Penso che se ne sia occupato abbastanza», disse Kabler dietro le spalle di Nell. «E non troppo gentilmente.» Gli occhi di Richard si spalancarono. «Kabler? Che cosa diavolo fa qui?» Lui lo ignorò, lo sguardo fisso su Nell. «Sta bene, signora Calder?» Non stava bene. Non era sicura che qualcosa sarebbe mai più andato bene. «Non le avevo creduto.» Lo sguardo di Richard tornò di scatto su di lei. «Nell?» «Penso sia meglio entrare», disse Kabler. Richard si fece da un lato, senza lasciare con gli occhi Nell. «Mi aveva detto che avevi subito un intervento, ma... Non riesco a crederci... Sei splendida.» Per poco Nell non si mise a ridere istericamente. Il suo cambiamento d'aspetto era tutto ciò cui riusciva a pensare? Kabler la spinse gentilmente al di là della porta. «Dobbiamo toglierci da questo portico. La prima regola nel programma di protezione di un testimone è non attirare l'attenzione.» Nadine fece un sorriso forzato. «Potete benissimo venire in salotto.» Passando da una porta ad arco, li guidò all'atrio in una stanza che sembrava tolta da un romanzo di Edith Wharton, tutta felci, palme e legno scuro intagliato. Indicò con un gesto il divano, decorato a piccolo punto. «Siediti, Nell.»
Era perfettamente a suo agio, bella e sicura di sé come Nell la ricordava. «Perché, Nadine?» «Lo amo. Quando mi ha chiamata, sono venuta», disse lei semplicemente. «Non volevo che questo accadesse. Mi eri simpatica. Nessuno voleva farti del male.» Nell si inumidì le labbra secche. «Da quanto tempo?» «Siamo amanti da più di due armi.» Due anni. Richard andava a letto con Nadine da anni e lei non lo aveva mai sospettato. Era stato tanto abile. O, forse, lei era stata semplicemente stupida. «Perché l'ha portata qui, Kabler?» chiese Richard. «Aveva detto che non l'avrebbe saputo mai. Aveva detto che nessuno l'avrebbe saputo.» «Dovevo provare una questione essenziale. Lei stava andando a mettersi in grossi guai. Ho pensato che ne avesse avuti abbastanza.» «E che ne sarà di me?» chiese Richard. «E se lei lo dicesse a qualcuno?» «Dubito seriamente che si confiderà con la gente che ha ucciso sua figlia, non crede?» Richard arrossì. «No, immagino di no», borbottò. «Ma non avrebbe dovuto portarla.» «Non capisco niente di tutto questo», disse Nell con voce rauca. «Mi racconti, Kabler.» «L'attacco a Medas era diretto contro suo marito», disse Kabler. «Per un po' di tempo ha riciclato denaro sporco tramite la sua banca per conto di Gardeaux. Quando si è presentata l'occasione Kavinski, ha detto a Gardeaux che voleva uscirne. Non molto intelligente. Nessuno ne esce, senza che Gardeaux lo voglia. E Gardeaux aveva bisogno di lui, così decise che gli avrebbe mandato un avvertimento.» «Quale avvertimento?» «La morte di sua moglie. Era lei il bersaglio iniziale.» «Avevano intenzione di uccidermi per punire lui?» «Non è una pratica insolita, nel loro giro.» «E Jill?» chiese lei con voce convulsa. «Avevano intenzione di uccidere anche Jill?» «Non lo sappiamo. Riteniamo di no. Può essere che Maritz lo abbia deciso da solo. Non è molto sano di mente.» Non molto sano di mente. Continuava ad avanzare. Il lupo mannaro.
«Se ero io il bersaglio, allora perché Richard è stato colpito?» Poi le venne in mente la risposta. «Ma non è stato colpito, vero? Avete finto che lo fosse.» Kabler annuì. «Qualche ora prima del ricevimento abbiamo scoperto che l'informazione che avevamo ricevuto, che la indicava come bersaglio, era autentica.» Fece una pausa. «Ma c'era un'aggiunta che indicava come bersaglio anche Calder. Sembra che Gardeaux avesse scoperto perché lui era disposto a rinunciare tanto tranquillamente alle alte percentuali che gli venivano dal riciclaggio. Scremava i fondi e li incanalava nel conto di una banca svizzera. Non ho avuto il tempo di fare altro che mandare qualche uomo sull'isola.» «Allora perché non era lì a salvare Jill», chiese Nell con furia. «Perché non era lì?» Richard sorrise con aria beffarda. «Sì, glielo dica. Lasci che sappia quali erano le sue priorità.» Si rivolse a Nell. «È per questo che sei qui. È per questo che lui sembra tanto preoccupato per te. Avevano l'ordine di contattare me per primo, di offrirmi un patto. La mia testa e una nuova vita, se avessi acconsentito a testimoniare contro Gardeaux quando fosse venuto il momento.» «Pensavo che avessimo tempo», disse Kabler a Nell. «Pensavo che lei sarebbe stata nella sala da ballo con tutti gli altri. Avevo incaricato un uomo di proteggerla.» «Ma prendere Gardeaux aveva la precedenza assoluta», fece notare Richard. «Aveva anche messo a punto un piano. Aveva mandato un dottore con la squadra, che doveva fingere di essere uno degli ospiti. Io avrei subito un attacco di cuore e sarei stato portato via dall'isola in tutta fretta.» Le labbra di Richard si storsero in una smorfia. «Ma aveva fatto male i calcoli, vero?» «L'abbiamo tirata fuori», rispose Kabler. «E mi ha mandato in questo posto isolato. Io volevo andare a New York.» «Non era sicuro.» «Mi aveva promesso una faccia nuova. Questo l'avrebbe reso sicuro.» «Tutto al momento opportuno.» «Sono passati quasi sei mesi, dannazione.» «La smetta, Calder.» Kabler si voltò verso Nell. «Ha sentito abbastanza?» Troppo. Menzogne. Orrore. Tradimento. Nell si voltò per andarsene.
«Nell.» La mano di Richard si chiuse sul suo braccio, fermandola. «So che questo ti ha sconvolta, ma è importante che nessuno sappia che io sono qui.» Le stava sorridendo, con quel sorriso affascinante e fanciullesco che gli aveva spianato la strada nella vita. «Lasciami andare.» «Volevo bene anche a Jill», disse lui, gentilmente. «Lo sai che non avrei fatto niente per danneggiare lei o te.» «Lasciami andare.» «Non prima che tu abbia promesso di mantenere il silenzio. Sai che ho ragione. Solo...» «Per l'amor di Dio, lascia andare questa poveretta, Richard», intervenne Nadine. «Stai zitta, Nadine», disse lui, senza staccare gli occhi da Nell. «Questa è una faccenda tra noi due. Non è colpa mia se Jill è morta. Io ero al piano di sotto. Non ero lì a proteggerla come te, Nell.» Lei si irrigidì, fissandolo incredula. Stava cercando di usare il senso di colpa per manipolarla. Perché no? pensò amaramente. Lo aveva fatto per tutto il tempo del loro matrimonio. «Figlio di puttana.» Richard arrossì, ma la sua mano rafforzò la presa sul braccio di Nell. «Volevo avere successo. Mi stavo muovendo troppo lentamente. Mi sono occupato bene di te e Jill.» «Lasciami andare», ripeté Nell tra i denti. «Lo sai che io...» Nell lo colpì allo stomaco e, quando lui si curvò per il dolore, gli assestò un fendente sul collo. Richard cadde sul pavimento e Nell gli balzò addosso. Lui aveva dato il via a tutto quanto, alla catena di avvenimenti che avevano portato alla morte di Jill. Un colpo ben piazzato e sarebbe morto. Alzò il braccio. Un colpo e... «No.» Kabler la stava staccando da Richard. «Lei non può volere questo.» Lei lottò selvaggiamente. «Un accidente, se non lo voglio.» «Ma io non posso permetterglielo. Ho bisogno del mio testimone.» Kabler fece una smorfia. «Anche se non posso dire di biasimarla.» La stava tenendo saldamente, ma Nicholas le aveva insegnato molti modi per liberarsi della maggior parte delle prese. Questo, però, avrebbe significato fare del male a Kabler, e lui non lo meritava. Non quando stava tentando di aiutarla.
Nell trasse un profondo respiro. «Può lasciarmi andare. Non gli farò del male... adesso.» Kabler la lasciò subito andare. Richard si tirò su a sedere con l'aria stordita, toccandosi incerto l'addome. «Che cosa diavolo ti è capitato Nell?» «Mi sei capitato tu. Tu e Maritz e...» Fece per andarsene, poi si voltò a guardare Richard. «Voglio sapere ancora una cosa. Perché mi hai sposata?» Lui sorrise con disprezzo. «Perché pensi che avrei sposato una piccola nullità insignificante, che era stata tanto stupida da farsi mettere incinta? Tuo padre mi ha dato un cospicuo assegno e un'eccellente lettera di presentazione per Martin Brenden.» Pensava di aver trovato un modo per ferirla. Non si rendeva conto che le sue parole tagliavano l'ultimo, fragile legame tra loro, liberandola. «Non era necessario che le dicessi questo», disse Nadine con calma, mentre lo aiutava sollecita a tirarsi in piedi. «A volte sai essere un vero bastardo, Richard.» Kabler guidò gentilmente Nell fuori dalla stanza. «Mi dispiace di averla dovuta sottoporre a questa prova», disse, tenendole aperta la porta d'ingresso. «Non vedevo alternativa per dimostrarle che Tanek le stava mentendo su tutti i fronti.» «Lui sapeva di questo?» «Nigel Simpson gli aveva passato l'informazione.» «Come può esserne sicuro?» «Reardon è stato ad Atene, a parlare con il dottore che avevamo mandato a Medas, che aveva certificato la morte di Calder. Ha indagato, cercando di scoprire dove avevamo nascosto suo marito.» «Nicholas sapeva che era vivo e non me l'ha detto?» «La mia ipotesi è che avesse dei piani per lei, che non includevano che venisse distratta da cose di second'ordine come un marito vivo e vegeto.» Stava parlando di nuovo del fatto che Nicholas la stesse usando come esca. Per la prima volta Nell si chiese se avesse ragione. Nicholas era molto abile. Era possibile che l'avesse manipolata e che le avesse fatto credere di essere lei quella che aveva il controllo della situazione? Non poteva pensare di essere così stupida, ma... Più tardi. Ora era troppo sconvolta e arrabbiata per pensare con chiarezza. «Posso confidare che lei tenga il segreto a questo proposito?» chiese
Kabler. «Ho messo a repentaglio il mio lavoro, portandola qui. Non scriverà un biglietto anonimo a Gardeaux, dicendogli dove si trova Calder?» «Che cosa le fa pensare che Gardeaux sappia che è vivo?» «Reardon non è l'unico che sta facendo domande, e Simpson non ha avuto la sua informazione da noi.» Nell provò una'altra vampata di pura rabbia. «Prometto che non informerò Gardeaux.» E aggiunse freddamente: «Non prometto di non uccidere io stessa quel bastardo». «Lo temevo.» Kabler sospirò. «Questo significa che dovrò trasferire Calder in un altro...» «Sei pronta a venire via, adesso?» Nell si voltò di scatto e vide Nicholas venire verso di lei lungo la strada. «Voleva la prova che lui sapesse di Calder. Eccola», mormorò Kabler. «È troppo tardi, Tanek. Non credo che lei verrà con te.» «Tu lo sapevi», mormorò Nell. Non si era resa conto fino a quel momento di quanto disperatamente avesse voluto credere che non le aveva mentito anche a quel proposito. «Sapevi tutto e non me lo hai detto.» «Te lo avrei detto, alla fine.» «Quando? Il prossimo anno? Tra cinque anni?» «Quando fosse stato sicuro.» Nicholas si voltò verso Kabler. «Doveva proprio portarla qui, vero? Sapeva che Calder era ancora considerato un bersaglio e l'ha portata da lui. Non dovrebbe stargli vicina.» «Calder è ben nascosto, qui a Bakersfield. È a lei che non dovrebbe stare vicina. Adesso lei lo sa. Non può usare...» Nell venne buttata a terra con la forza di un pugno da gigante! Anche Nicholas era stato buttato a terra, ma già stava sopra di lei, a proteggerla dai frammenti che volavano. Frammenti da dove? si chiese lei disorientata. Che cosa era successo? Poi, sopra la spalla di Nicholas, vide la casa. Ciò che restava della casa. Niente più finestre. Addio portico. La parete sud era distrutta e l'intera rovina era divorata dalle fiamme. Fiamme guizzanti, ruggenti. «Che cosa è successo?» chiese con voce priva di espressione. «Una bomba.» Kabler stava sulle ginocchia, la faccia ferita e sanguinante. Le sue mani si chiusero a pugno, mentre fissava con furia impotente la casa. «Dannazione, l'hanno preso.» Stava parlando di Richard. Richard si era trovato in quella casa. Richard era morto. Nadine era morta.
Aveva appena parlato con loro e ora erano morti. Nell era vagamente cosciente che Nicholas si stava alzando, tirandola in piedi. «Forza. Dobbiamo andarcene da qui.» Kabler si stava alzando lentamente in piedi con aria sofferente, fissando la rovina. «Dannazione a loro. Che siano dannati all'inferno.» Nicholas aveva afferrato Nell per un braccio e la stava trascinando lungo la strada, verso la sua macchina. «Dove pensa di andare?» chiese Kabler, dirigendosi di scatto verso di loro. «Lontano da qui. O vuole che prendano anche lei?» «Forse non è stato Gardeaux. Lei è apparso in un momento molto opportuno. Forse è stato lei.» «Le farebbe piacere pensarlo. In questo caso non verrebbe incolpato di averli guidati da Calder.» Nicholas incontrò gli occhi di Kabler. «Ma non crede che sia stato io. Sa di aver commesso un errore, portando qui Nell. Probabilmente, la stavano tenendo d'occhio da quando si è fatta vedere alla casa di Lieber. L'hanno seguita qui e hanno sistemato la bomba vicino alla conduttura del gas, mentre voi eravate dentro a parlare con Calder.» «Non possono averci seguito qui. Ho ordinato che tutti i piani di volo della DEA fossero sigillati.» «Loro volevano Calder. Offri a chiunque una somma sufficiente di denaro e i sigilli possono venire violati. Lo sa bene quanto me.» Kabler aprì la bocca per protestare, poi la richiuse. «Sì, lo so», disse. Di colpo sembrò vecchio, sconfitto. «Dunque, ha intenzione di lasciare che la porti fuori dalla zona di battaglia, prima che uccidano anche lei?» Kabler non parlò per un momento, poi annuì di scatto. «Andate via da qui.» Poi si rivolse a Nell: «Devo fare un controllo dei danni, ma la raggiungerò più tardi. Se è intelligente, ricorderà ciò che ha visto qui questa sera e non gli permetterà di usarla». Si voltò a dare un'occhiata alla casa in fiamme. «Altrimenti presto sarà morta anche lei, come Calder.» «L'ho tenuta in vita per cinque mesi.» Nicholas trascinò Nell verso la sua macchina. La gente stava uscendo dalle case vicine, notò lei, intontita. Una sirena ululava a distanza. Nicholas aprì la portiera. «Sali.» Nell esitò, voltandosi a guardare Kabler. Lui non stava più fissando la casa. Stava chino sulla portiera spalancata
della sua macchina, a parlare rapidamente al telefono. Controllo dei danni, aveva detto. Che cosa poteva essere controllato in quell'inferno? Richard e Nadine erano entrambi morti. Salì in macchina e Nicholas chiuse con forza la portiera. 15 «Stai bene?» chiese con calma Nicholas, mentre conduceva la macchina attraverso le strade residenziali. Nell non rispose direttamente. «Kabler finirà nei guai per questo?» «Forse. Ha commesso un grave errore. Ma ha molto potere nel suo ambiente. Non lo getteranno a mare.» «Non è colpa sua. Lui non poteva sapere che saremmo stati seguiti.» «Non voglio parlare di Kabler. Non m'importa un accidente di lui. Come stai tu?» «Bene.» Le mani di Nell stringevano con forza la tracolla in pelle della sua borsa. Doveva aggrapparsi a qualcosa, a qualsiasi cosa. Tutto sembrava scivolarle tra le dita. «Dov'è Jamie? È venuto con te?» «Sta aspettando all'aeroporto. È lì che siamo diretti.» «Non salirò su un aereo con te.» «Cristo, pensi che abbia intenzione di rapirti?» «Non so che cosa farai.» «Voglio solo portarti via da questa città.» «Come posso saperlo? Come posso sapere se qualunque cosa dici è vera?» Nicholas borbottò un'imprecazione e all'improvviso accostò al bordo del marciapiede, sotto un lampione, spegnendo il motore. «D'accordo. Parliamo.» «Non ho voglia di parlare.» Dio, si sentiva come se stesse per andare in pezzi. «Guardami.» Lei fissò dritto davanti a sé. Nicholas le prese il mento e la costrinse a voltarsi a guardarlo. «Va tutto bene. Non ho intenzione di forzarti a fare qualcosa che non vuoi fare.» «Non ci riusciresti.» «È vero, potrei avere dei problemi. Ti ho istruita troppo bene.» Seguì con il dito la linea della guancia di Nell. «Ma non potevo insegnarti ad affrontare questo. Devi solo respirare profondamente e aspettare che lo choc
passi.» «Perché dovrei essere scioccata? Perché ho visto saltare in aria due persone? Avrei potuto prendere in considerazione di sistemare io stessa il detonatore. È stato Richard a dare il via a tutto l'inferno.» «Molto sgradevole. Molto brutale.» «Taci.» Nell stava cominciando a tremare. «Avvia la macchina. Te l'avevo detto che non volevo parlare.» Lui cercò di prenderla tra le braccia. Nell si irrigidì. «Lasciami andare. Non toccarmi.» «Quando smetterai di tremare.» Lei si ritrasse sul bordo del sedile. «D'accordo, sono un bugiardo e non ti fidi di me. Allora usami. Prendi da me. Questo dovrebbe rimettere a posto le cose.» «Toglimi le mani di dosso.» Le mani di Nicholas si staccarono da lei. «D'accordo. Parla. A volte aiuta.» «Non voglio parlare.» «Dimmi di Calder.» Lei scosse il capo. «Non avrei immaginato che la morte di quel bastardo ti sconvolgesse tanto.» «Lo odiavo», disse lei, ferita. «Jill non sarebbe morta, se lui non avesse avuto a che fare con Gardeaux. Lo avrei ucciso, se Kabler non mi avesse fermata. Lo volevo morto.» «Volevi morta anche lei?» «Nadine? No. Non lo so. Non credo che avesse intenzione di farmi del male. Non lo so.» «Ma la situazione ti è sfuggita di mano.» «Sì.» «E questo ti spaventa, perché ti fa sentire impotente. Accadrà di nuovo. Non puoi controllare sempre tutto. A volte puoi solo reagire.» «Avvia la macchina.» «Dove andiamo?» «Mi accompagnerai all'aeroporto.» «Lascerai che ti riporti al ranch?» «Stai scherzando.». «Non era mia intenzione. Che cosa hai intenzione di fare?» «I miei piani non sono cambiati.»
«Ma io non vi sono più incluso.» «Non posso fidarmi di te.» «Ma hai bisogno di me. Questo non è cambiato. Stai permettendo ai tuoi sentimenti di intralciare la tua ragione.» Le diede un'occhiata. «D'accordo, ti ho mentito. Principalmente per omissione, ma questa è una scusa. Ho mentito. Credi a Kabler, quando dice che sto cercando di usarti come esca?» «Credo che tu sia capace di tutto.» «Non mi stai rispondendo.» «No», disse lei bruscamente. «Ho fatto qualcosa per metterti in pericolo?» «No.» «Allora, che cosa ho fatto di tanto odioso?» «Mi hai defraudata. Mi hai chiusa fuori», rispose con furia. «Questa è la mia vita. Avevo il diritto di sapere di Richard. Avevo il diritto di andare da Tania, quando lei era in pericolo.» «Sì, ti ho defraudata di quei diritti, e lo rifarei.» «E ti aspetti che io vada semplicemente avanti come se niente fosse successo?» «No, mi aspetto che tu capisca che mentirò e imbroglierò, se questo significherà tenerti al sicuro. E mi aspetto che tu impari ad adattarti e a difenderti da questo. Ma mi aspetto anche che mi usi, come avevamo programmato all'inizio. Perché non dovresti farlo? Pensaci con calma e con logica. Non ho ragione?» Nell desiderava urlare e sferrargli un colpo. Non aveva voglia di essere logica. Si sentiva sola e tradita, e voleva che lui soffrisse per questo. «È il mio campo. Conosco il modo di aggirare gli ostacoli. La morte di Calder non ti ha insegnato niente?» Lei rabbrividì, ricordando l'ultima occhiata a quell'inferno in fiamme. L'esplosione era avvenuta all'improvviso. Non avrebbe mai immaginato... Ma Nicholas aveva capito subito che cosa era successo. D'accordo, doveva mettere da parte il dolore e la rabbia. Aveva bisogno di lui. Tutto il resto poteva essere cambiato, ma quello no. «Non tornerò al ranch.» «Questo è già stato stabilito.» «E non voglio aspettare fino alla fine dell'anno. Intendo partire per Parigi immediatamente.» «Se è questo che vuoi.»
Nell lo fissò con sospetto. Era stato troppo accomodante. «Farò le prenotazioni non appena arriveremo all'aeroporto. Ti dispiace, se Jamie viene con noi? Potrebbe essere d'aiuto.» «Non mi dispiace», disse lei lentamente. «Bene. Allora mettiti comoda e lascia fare tutto a me.» «Questa è l'ultima cosa che ho intenzione di fare. Non rifarò questo sbaglio.» Nell incontrò il suo sguardo. «Ci sono molti errori che non voglio fare. Non pensare che tutto sarà lo stesso di prima, Nicholas.» «Non hai bisogno di dirmelo.» Nicholas avviò la macchina. «Come te, dovrò imparare ad adeguarmi.» «Dove staremo?» chiese Nell, salendo sulla Volkswagen blu scura che Jamie aveva noleggiato all'aeroporto Charles de Gaulle. «Ho un appartamento alla periferia della città. Niente di pretenzioso, ma ha il vantaggio di essere segreto. Staremo lì, questa notte.» «Segreto quanto può esserlo a Parigi.» Jamie salì sul sedile posteriore. «Non puoi contare sul fatto che Gardeaux non sappia dell'appartamento.» «Non conto su mente.» Nicholas guidò la macchina fuori dal parcheggio. «È per questo che voglio che domani tu vada in esplorazione e trovi qualcosa in campagna. Non voglio rischiare che uno degli uomini di Gardeaux veda Nell. Loro sanno che lei è viva, ma non sanno che aspetto ha. Questo potrebbe giocare a nostro vantaggio.» Nell lo guardò con aria indagatrice. «Se decidessi di mandarti nella gabbia con le tigri», aggiunse Nicholas. «Forse farò quello che Kabler ti ha detto che avrei fatto e ti userò come esca.» Lei scosse il capo. «No, non lo farai.» «Perché dovrei curarmene, quando sei disposta a farlo tu stessa?» Si strinse nelle spalle. «Ma, nonostante la preoccupazione di Kabler, il tuo valore come esca è diminuito. Non dovresti essere più un bersaglio fondamentale.» «Perché no?» «All'inizio sei stata presa come bersaglio per punire Richard Calder. Maritz ti ha dato la caccia una seconda volta per estorcerti informazioni circa il luogo dove si trovava attualmente tuo marito.» «Ma tu hai visto che non ne sapevo niente, non è così?» disse lei amaramente. «Loro non lo sapevano. Era logico che una moglie sapesse dove cercare
suo marito.» «Allora credi che Nell sia al sicuro?» chiese Jamie. «Forse. Non dovrebbe essere più sulla lista di Gardeaux.» Le gettò un'occhiata. «Ma potresti essere ancora su quella di Maritz. Tende a diventare ossessivo.» Lui è davvero un lupo mannaro. «Lo so.» Nell si scrollò di dosso il gelo che quel pensiero portava con sé. «Ma anche questo potrebbe tornare a nostro vantaggio.» «D'altro canto, potrebbe considerarti solo un lavoro come un altro e lasciarti stare.» «Posso benissimo cominciare a cercare oggi un posto dove andare», disse Jamie. «Quando arriveremo all'appartamento, vi farò scendere, prenderò la macchina e vedrò che cosa riuscirò a trovare.» Nicholas aprì la porta dell'appartamento e si fece da parte per lasciar entrare Nell. «Molto simpatico.» Lei diede un'occhiata in giro al soggiorno. Confortevole, elegante, spazioso. Avrebbe dovuto aspettarsi quest'ultimo particolare. A Nicholas piaceva sempre avere molto spazio. «Qual è la mia stanza?» Nicholas indicò con un gesto una porta sulla sinistra. «C'è un accappatoio nel guardaroba. Domani compreremo qualunque altra cosa ti occorra.» «D'accordo.» Nell si diresse alla porta che lui aveva indicato. «Vieni in cucina, quando ti sarai rinfrescata. Il padrone di casa tiene il frigorifero rifornito con le cose essenziali. Preparerò una omelette. Non hai mangiato sull'aereo.» «Non ho...» Nell si interruppe. Era affamata ed era inutile lasciarsi morire di fame per evitare Nicholas. «Grazie.» «Sì, devi conservare le forze», mormorò Nicholas. «Dopo tutto, la partita è avviata.» Nell ignorò la traccia di ironia nelle sue parole e portò la sua borsa da viaggio nella camera da letto. Dio sapeva che non aveva molta forza in quel momento. Lo sforzo di mantenere il controllo di sé stava esigendo il suo tributo. Andò nella stanza da bagno a lavarsi la faccia. Non sembrava tormentata come si sentiva. Il volto che la fissava dallo specchio era pallido e un po' sparuto, ma era la stessa attraente immagine che Joel le aveva regalato molti mesi prima.
Joel. Provò un'acuta fitta di dolore ricordando come era stato aspro in ospedale. Non che potesse biasimarlo. Lui teneva a Tania e per poco lei non l'aveva fatta uccidere. Ma se Nicholas aveva ragione e lei non era più nel mirino, allora anche Tania doveva essere al sicuro. Poteva solo sperarlo. Si asciugò il viso e andò a cercare la cucina. «Versa il caffè e siediti a tavola.» Nicholas stava prendendo i piatti dalla credenza. «La cena sarà pronta tra un minuto.» Nell versò il caffè dalla caffettiera automatica sul ripiano e portò le due tazze al banco da colazione. Nicholas posò le omelette sul banco e si sedette sullo sgabello di fronte a lei. «Bon appétit.» Lei prese la forchetta. L'omelette era farcita di funghi e formaggio ed era sorprendentemente gustosa. «È squisita. Hai imparato a cucinare in quella cucina di Hong Kong?» «Ho imparato ciò che potevo. Le omelette sono facili da fare.» Nicholas cominciò a mangiare. «Che cosa hai intenzione di fare?» «Prendere Maritz.» «Devi avere un piano, dannazione.» «Questo lo so. Ne avrò uno. Non ho ancora avuto il tempo di pensarci.» «Vuoi ascoltare il mio?» «No, se questo significa aspettare.» Le mani di Nicholas si strinsero sulla forchetta. «Si tratta solo di poco più di un mese, dannazione.» Lei non rispose. «Ascolta, Gardeaux è un uomo molto prudente, ma ha una passione per le spade. Che cosa pensi che farebbe, per avere la possibilità di impossessarsi di quella di Carlomagno?» «Carlomagno?» Nell ricordava vagamente di avere visto la spada esposta in un museo. «Hai intenzione di rubarla?» Lui scosse il capo. «Ma dirò a Gardeaux di averlo fatto e di avere rimpiazzato quella vera con un falso.» «Non ti crederà.» «Perché no?» Nicholas sorrise. «Sa che l'ho già fatto.» Nell lo fissò. «L'hai fatto?» «Beh, non per una spada.» Bevve un sorso di caffè. «Ma il principio è lo stesso. Dall'aprile scorso sto facendo lavorare un forgiatore di lame di Toledo sulla duplicazione e l'invecchiamento ad arte della spada. Ne manderò
a Gardeaux le fotografie, offrendogli di farla esaminare da uno dei suoi esperti, prima di vederla. Senza esami chimici non sarà in grado di valutare la differenza. Se chiederò un incontro da solo con lui per mostrargliela, non credo che riuscirà a resistere.» «Non sa che hai intenzione di ucciderlo?» «Sì.» «Allora sarebbe uno stupido a incontrarti.» «Non sul suo stesso territorio, circondato da un castello pieno di ospiti e di suoi uomini.» «E allora resterai ucciso tu.» «No, se Gardeaux potrà evitarlo. I suoi soci ne sarebbero molto infastiditi.» Stava parlando di Sandequez, realizzò Nell. La sua polizza di assicurazione. «È sempre pericoloso.» «Ma può avere successo... se acconsenti ad aspettare.» «E Maritz?» Nicholas esitò. «C'è la possibilità che non si trovi a Bellevigne. Gardeaux può pensare che ospitarlo lì sia troppo rischioso, dopo l'aggressione a Tania.» Lo sguardo di Nell corse al suo volto. «Allora, dove manderà Maritz?» «Jamie si metterà in contatto con alcune persone, per vedere se riesce a scoprirlo.» «Tu sapevi che pensavo che Maritz fosse qui.» «E può essere così. Solo che non lo so.» Nicholas finì il suo caffè. «E sei tu quella che mi ha detto che dovevamo partire per Parigi.» «Non voglio Gardeaux senza Maritz.» «Allora cercheremo di trovartelo.» «Non voglio essere tenuta di nuovo a bada, Nicholas. Lo voglio subito.» «Fammi credito di un po' d'intelligenza. Non tenterei una cosa tanto grossolana come tenerti a bada.» Nicholas si appoggiò all'indietro sullo sgabello. «Devo dedurre che rifiuti di aspettare?» «Non me ne hai dato motivo.» «Te ne ho dato uno importante. Sarebbe più sicuro: ti sembra poco?» «Mi hai appena detto che Gardeaux farebbe qualsiasi cosa per impedire che tu venga ucciso.» «Tranne impedire di restare ucciso lui stesso. E la protezione di Sandequez non include te.»
Nell spinse indietro il suo sgabello e si alzò in piedi. «Ho già aspettato troppo. Trovami Maritz, altrimenti andrò a cercarlo io stessa.» Uscì dalla cucina e andò dritta nella sua stanza. Non poteva più discutere con lui. La sua obiezione poteva essere valida, ma quella storia doveva finire. Tutto mutava all'improvviso e andava in pezzi intorno a lei. Il nero era bianco. Il bianco era nero. Niente era lo stesso. Quella storia andava avanti da troppo tempo. Aveva bisogno che finisse. Fece una lunga doccia calda e poi prenotò una telefonata a Tania all'ospedale. Le venne detto che era stata dimessa quella mattina. Allora chiamò a casa. «Come ti senti?» chiese, non appena Tania sollevò il ricevitore. «Come va la tua caviglia?» «In modo irritante. Posso solo trascinarmi a stento con un bastone. Dove sei?» «A Parigi.» Ci fu un silenzio dall'altra parte della linea, prima che Tania chiedesse: «Maritz?» «Prima dobbiamo trovarlo. Nicholas dice che potrebbe non essere a Bellevigne, che l'aggressione contro di te potrebbe renderlo persona non gradita a Gardeaux. Forse dovrò trovare un modo di farlo venire da me.» Nell fece una smorfia. «Il che potrebbe non essere semplice. Nicholas dice che potrei essere stata solo un lavoro per Maritz e che la mia importanza come bersaglio ultimamente ha perso quota.» «Grazie a Dio.» Ci fu una pausa prima che Tania chiedesse incuriosita: «Perché?» La mano di Nell si strinse involontariamente sul telefono, mentre lo spettacolo della casa vittoriana in fiamme le tornava alla mente. «Te lo racconterò un'altra volta. Ci trasferiremo domani, ma ti chiamerò quando saremo sistemati, per sentire come stai.» «Non domani.» La voce di Tania divenne improvvisamente rauca. «Domani andremo al funerale di Phil. Verrà sepolto nella città natale dei suoi genitori, nell'Indiana, e non torneremo a casa che a tarda sera.» «Ti senti in grado di farlo? Phil capirebbe.» «Mi ha salvata. Ha dato la sua vita. Naturale che mi sento in grado di farlo.» Era stata una domanda sciocca, pensò Nell. Tania si sarebbe trascinata lì sulle mani e sulle ginocchia, se necessario. «Abbi cura di te. Salutami tan-
to Joel.» «Nell», disse Tania esitante. «Non biasimarlo perché è arrabbiato. Lo supererà. Aggredisce chiunque, perché incolpa se stesso.» «Non lo biasimo. Ha ragione. Avrei dovuto essere io quella ferita, non tu.» Nell aggiunse: «Siamo partiti tanto in fretta, che non ho avuto l'opportunità di mandare dei fiori a Phil. Vuoi farlo tu per me?» «Non appena riattaccherò.» «Il che sarà subito. Ti lascio riposare. Arrivederci, Tania.» Tania riagganciò e si voltò verso Joel. «È a Parigi.» «Bene. Devo mandarle un biglietto per Timbuktu?» «Non sei giusto. Nell non ha colpa in questo.» «Non ho voglia di essere giusto. Sono furibondo.» «Con te stesso, per non avere inserito il sistema d'allarme. Io non ti biasimo.» «Dovresti», disse Joel in tono convulso. «Dannazione, per poco non sei morta.» «E da quel momento non mi perdi di vista. Hai cancellato tutti i tuoi appuntamenti e non posso neppure andare in bagno senza che ci sia tu.» Tania sorrise, comicamente mesta. «È molto imbarazzante.» «Non dovrebbe imbarazzarti. Sono un medico.» Joel si alzò in piedi e attraversò la stanza. «E come medico ti dico che è ora che tu ti tolga da quella caviglia e che ti metta a letto.» La sollevò sulle braccia e la portò verso le scale. «E niente discussioni.» «Non discuterò: sono esausta.» Tania affondò il viso sulla sua spalla, mentre lui si avviava su per le scale. «È strano che la tristezza dell'animo renda stanco il corpo. Quel povero ragazzo era...» «Non pensarci.» «Non penso ad altro da quando è successo. Un tale malvagio...» Joel l'adagiò sul letto e le tirò su il copriletto all'uncinetto. «Non ti toccherà mai più», assicurò con foga. Joel si sedette sul letto accanto a lei e le afferrò la mano. «Lo so di non essere Tanek.» Le sue parole uscirono esitanti. «Io sono Paul Henxeid, non Humphrey Bogart, ma giuro che non permetterò a niente e a nessuno di farti ancora del male.» «Non so di che cosa tu stia parlando. Chi è Paul Henreid?» «Casablanca. Il film. Non importa.» Le tirò indietro i capelli dal viso con una mano. «Quello che è importante è che tu sappia che mi assicurerò
che tu sia al sicuro per il resto della tua vita.» Tania si immobilizzò. «Credo che tu stia dicendo una cosa molto importante, a questo punto. Ma lo fai in modo molto maldestro. Mi stai dicendo che non intendi più buttarmi nobilmente fuori dalla tua vita?» «Dovrei farlo. Probabilmente mi sto comportando da bastardo non...» «Zitto.» Le dita di Tania gli coprirono le labbra. «Non rovinare tutto. Dimmi le parole che voglio sentire.» «Ti amo», disse Joel con semplicità. «Oh, questo lo so. Dimmi il resto.» «Voglio che tu viva con me. Non voglio che mi lasci mai più.» «Bene. E...?» «Vuoi sposarmi?» Un sorriso gioioso illuminò il volto di Tania. «Sarà un piacere per me.» L'attirò tra le sue braccia. «E per te. Te lo prometto, Joel. Ti renderò felice.» «Lo fai già.» Joel la strinse più forte e borbottò: «Non so perché tu mi voglia, ma eccomi». Tania lo baciò con forza. «Devi continuare con questa umiltà. Penso che sia un'ottima cosa.» Il suo sorriso svanì. «Ma hai scelto un pessimo momento, per una simile dichiarazione.» «Lo so che sei malata. Non vorrei...» «Non si tratta della mia caviglia; è che non sta bene. Stiamo piangendo un amico.» Joel annuì e le baciò con dolcezza la guancia. «Ti lascerò e andrò a occuparmi della cena.» Lei scosse il capo. «Tu non farai una cosa simile. Questo momento è speciale per noi. Starai qui con me, ci racconteremo i nostri pensieri e, quando resteremo a corto di parole, accenderemo il televisore.» «Il televisore?» ripeté lui, sorpreso. «Vuoi guardare la televisione?» «E il videoregistratore.» Tania gli baciò la gola. «E tu metterai la cassetta di Casablanca. Devo studiare questo Paul Henreid.» «Voglio che tu te ne vada di qui, Maritz», disse Gardeaux. «Non hai fatto altro che sbagliare grossolanamente, dopo Medas.» Andò verso il buffet e si versò un bicchiere di vino. «E poi hai aggravato il tuo errore venendo qui, quando te lo avevo espressamente proibito.» Quelle parole fecero salire il sangue al viso di Maritz. «Dovevo vederla. Lei non rispondeva alle mie telefonate.»
«Questo avrebbe dovuto dirti qualcosa.» «Ho bisogno di protezione. La polizia mi sta cercando. Tania Vlados mi ha visto. Sa chi sono.» «Perché hai sbagliato grossolanamente. Non so che farmene dei pasticcioni.» «Posso ancora esserle utile. Se non mi avesse detto di lasciare il Paese, mi sarei occupato di Richard Calder per lei. Non doveva chiamare una persona dall'esterno a occuparsi di lui.» «Sì, ho dovuto farlo. Dovevo essere sicuro. Non posso più fidarmi di te, Maritz.» «Tutto quello che devo fare è tornare a far fuori Tania Vlados. Poi non ci sarà più alcun testimone.» «Non ti avvicinerai più a lei. Non posso rischiare che tu venga preso. Sai troppe cose. Resterai in Francia e farai perdere le tue tracce.» «E poi mi chiamerà, quando sarà sicuro?» «Eventualmente. Tieniti in contatto.» Stava mentendo, pensò Maritz. Quel bastardo pensava forse che fosse stupido? Si sarebbe nascosto e un giorno sarebbe apparso qualcuno, ad assicurarsi che non venisse mai arrestato, diventando una minaccia per Gardeaux. «Mi occorre denaro.» Gardeaux si limitò a guardarlo. «Non sto elemosinando. Me lo deve.» «Io pago il successo, non il fallimento.» «Lavoro per lei da sei anni. È stata solo sfortuna, se questo lavoro non ha avuto successo.» «Non ho alcun lavoro da farti fare.» «La Calder.» «Non è più importante.» Maritz cercò freneticamente un altro obiettivo. «Tanek. Rivil mi ha detto che il nome di Tanek è sulla lista passeggeri di un volo arrivato a Parigi oggi. Darò la caccia a Tanek.» «Ti ho detto che lui non dev'essere toccato.» «Lei lo detesta. Non ha senso. Lasci che gli dia la caccia.» «Ha perfettamente senso... in questo momento. Lui è protetto.» Gardeaux sorrise. «Ma la sua protezione potrebbe essere sul punto di indebolirsi proprio mentre parliamo.» «Posso aspettare. Solo, mi lasci avere l'incarico.» «Lo prenderò in considerazione.» Gardeaux andò alla porta e l'apri. «Dai il tuo indirizzo a Braceau e aspetta una mia chiamata.»
O un visitatore con una garrotta, pensò tremante Maritz. Si diresse alla porta. «Lo farò.» La porta si chiuse con decisione alle sue spalle. Gardeaux aveva finito con lui, e Maritz era un uomo morto. Niente poteva essere più chiaro. Ma lui non si sarebbe sdraiato ad aspettare che accadesse. Poteva ancora uscire da quella situazione, se fosse riuscito a rientrare nelle grazie di Gardeaux. Si sarebbe nascosto, ma non avrebbe fatto alcuna telefonata a Braceau. Sarebbe stato troppo occupato a trovare un modo per salvarsi. «Una chiamata sulla linea privata, monsieur Gardeaux.» Henri Braceau sorrideva, mentre gli porgeva il telefono. «Medellín.» Gardeaux lo prese. «È fatto?» «Dieci minuti fa.» «Qualche problema?» «Liscio come l'olio.» Gardeaux rimise a posto il ricevitore. Braceau lo guardò con aria interrogativa. «Chiama Rivil. Digli di occuparsi di quella faccenda di cui abbiamo discusso. Immediatamente.» «È stato un bel funerale.» Joel aprì la porta e accese le luci dell'atrio con uno scatto. «Mi sono piaciuti i genitori di Phil.» «Nessun funerale è bello.» Tania entrò zoppicando in casa il più in fretta possibile, evitando di guardare il prato ricoperto di neve. Le transenne gialle erano scomparse, ma non il ricordo del sangue sulla neve. «Sono tutti terribili.» «Sai che cosa intendevo dire», disse Joel. «Mi dispiace. Non volevo essere brusca con te.» Tania si avvicinò zoppicando alla finestra. «Oggi è stata dura.» «Anche per me. Siediti e riposati. Preparerò un po' di caffè. Ne abbiamo bisogno tutti e due.» Lei non si sedette. Rimase a fissare fuori la neve, dove lei si era rannicchiata tentando di sfuggire al coltello di Maritz, dove Phil era morto... «Ecco.» Joel era tornato e le stava porgendo una tazza fumante. Doveva essere rimasta a fissar fuori dalla finestra più a lungo di quanto avesse pensato. Tania prese la tazza. «Sei pallida come un cencio», disse Joel. «Non avresti dovuto andarci. È
stato troppo per te.» «Lui è ancora libero», mormorò Tania. «Non può farti del male. Non pensano che sia nemmeno più nel Paese.» «Nell non è sicura di dove sia. Dice che potrebbe doverlo attirare a sé.» «Dovrebbe lasciare la cosa alla polizia.» «La polizia non può fermare persone come lui. Continuerà a uccidere e uccidere...» Rimase un momento in silenzio. «Nell non è sicura di potere indurre Maritz ad andare da lei.» Joel si irrigidì. «Non mi piace la piega che sta prendendo questa conversazione.» «Lui verrà a cercarmi.» «No», disse Joel in tono deciso. «Con Nell si trattava di un lavoro, ma si è sentito coinvolto, quando ha cominciato a pedinare me. Avresti dovuto vedere la sua faccia, quando ha capito di non avere il tempo di uccidermi, prima che arrivassero gli uomini della sicurezza. Non ho mai visto un'espressione tanto frustrata.» Tania sorrise amaramente. «Oh, sì, verrà a cercarmi.» Joel la voltò di scatto verso di sé. «Ho detto di no.» «E se scomparisse? Mi guarderò alle spalle per il resto della vita?» L'espressione di Tania si indurì. «Maritz non vincerà, Joel. Non gli permetterò di vincere.» «Per l'amor di Dio, questo non è un gioco.» «Per lui lo era.» Joel l'attirò vicina. «Taci. Non voglio perderti. Mi hai sentito? Tu non andrai da nessuna parte.» Tania si rilassò contro di lui. D'accordo, Joel, tienimi qui. Tieni lontano il gelo. Tienimi al sicuro. Non lasciarmi andare. La casa che Jamie aveva trovato per loro era un piccolo villino sulla costa. Stava abbarbicato su un'alta scogliera, che dominava l'Atlantico e un litorale disseminato di massi tondeggianti. «Ti disturba?» chiese Nicholas a Nell. «Probabilmente Jamie non ci ha pensato.» Jamie borbottò un'esclamazione di sorpresa. «Non mi disturba.» Era vero; stare lì, sulla scogliera battuta dal vento, non la turbava. Era completamente diverso dal balcone di Medas. Forse era passato abbastanza tempo perché il dolore risultasse attutito. Nell si voltò ed entrò nel villino. Pulito e accogliente, era arredato senza
pretese. Jamie la seguì. «Sono un idiota. Mi perdoni.» «Non c'è niente da perdonare. Il villino è veramente incantevole.» «Ebbene, per qualche giorno dovrà godersi l'aria di mare da sola. Nick e io dobbiamo andare a Parigi.» Lei si voltò di scatto a guardarlo. «Perché?» «Pardeau, il contabile di Gardeaux. Nick vuole vedere che cosa possiamo fare in quella direzione.» Le assicurazioni non sono mai troppe, aveva detto Nicholas. «E Maritz?» «Sfrutteremo qualche fonte d'informazione, mentre saremo lì», disse Nicholas dalla porta. «Qui sarai al sicuro. Ho scritto il numero di telefono della macchina sul taccuino sul bancone.» «Perché non posso venire con voi?» «Per la stessa ragione per cui ci siamo trasferiti qui. Non voglio che tu venga riconosciuta. Una volta che cominceremo a indagare, Gardeaux saprà che sono a Parigi. Se ti vedono con me, trarrà le sue conclusioni e il nostro vantaggio salterà. Ha senso?» «Sì», disse lei lentamente. «Quando tornerete?» «Tra un paio di giorni. Posso contare che tu resti qui?» «A che cosa mi servirebbe andarmene, finché non so dove si trova Maritz?» «Promettimelo.» «Resterò qui. Soddisfatto?» Lui sorrise maliziosamente. «Diavolo, no. Ho dimenticato che cosa significhi essere soddisfatti.» Poi le voltò le spalle. «Forza, Jamie, andiamo.» «Stai attento», disse Nell impulsivamente. Nicholas inarcò un sopracciglio. «Preoccupata? Questo significa che sono perdonato?» «No, ma non ho mai detto di volere che restassi ferito.» «Allora, dovrò essere grato per i piccoli favori.» Nell andò sulla porta per vederli partire. La Volkswagen si allontanò a tutta velocità lungo la tortuosa strada a doppia corsia e sparì dalla vista nel giro di pochi minuti. Era sola. La solitudine le avrebbe fatto bene, si disse Nell. Le avrebbe dato il tempo di riflettere, di fare dei piani. Non stava veramente sola da mesi. C'era
sempre stato Nicholas con lei, a parlarle, insegnarle, a fare l'amore con lei... No, non l'amore, sesso. L'amore non era mai stato menzionato tra loro. Ma qualche volta era sembrato amore. E perciò era un bene che il duro colpo le avesse fatto troncare quella relazione. Lei e Nicholas erano diversi come il giorno dalla notte. Lui le aveva detto chiaramente che cosa voleva da lei, e non era impegno. Non ci poteva essere futuro con un uomo come lui. Futuro? Per la prima volta Nell si rese conto di pensare oltre Maritz. Era forse un segno, quello, che stava cominciando a guarire? Era possibile. Era troppo presto per dirlo, ma, se stava guarendo, lo doveva tanto a Nicholas quanto al tempo stesso. Lui le aveva mentito, l'aveva ferita, l'aveva guarita. Stava pensando troppo a Nicholas. Era più sicuro non pensare affatto a lui. 16 «Pardeau è spaventato a morte», disse Jamie, risalendo sulla macchina ferma davanti al 412 di Boulevard St. Germain. «Non sarà facile.» «Denaro?» chiese Nicholas. Avviò la macchina e si diresse verso la Senna. «È tentato, ma ha saputo ciò che è successo a Simpson. Dice che Gardeaux sa che ho avuto contatti con lui. Non vuole che venga più qui.» Jamie scosse il capo. «Ho detto solamente che era impossibile che ora potesse consegnarci i libri contabili. In qualunque posto si fosse nascosto, Gardeaux non avrebbe mai smesso di cercarlo. E dire che mi era sembrato di averlo convinto.» «E che cosa è cambiato?» Poi Nicholas diede lui stesso la risposta: «Gli hanno dato informazioni che potrebbero danneggiare Gardeaux più della semplice divulgazione delle sue solite transazioni d'affari». «Questa è la mia ipotesi.» Jamie sorrise. «Ma sono riuscito a procurarmi un'informazione che potrebbe interessarti. Due giorni fa Pardeau ha ricevuto l'ordine di cancellare il conto di Maritz. Gardeaux ha detto che non era più sul libro paga.» Gardeaux aveva spinto nelle tenebre del mondo esterno il suo demone principale. O forse aveva cancellato Maritz non soltanto in senso numeri-
co. No, Maritz non era una grande intelligenza, ma possedeva istinto e astuzia. Nicholas avrebbe scommesso che era entrato nella clandestinità. «Voglio sapere dove...» «Ci stanno seguendo», lo interruppe Jamie. «Due macchine dietro di noi.» Nicholas si irrigidì, mentre lanciava un'occhiata nello specchietto retrovisore. Individuò i due fari, ma nell'oscurità non riuscì a stabilire il colore della vettura. «Da quando?» «Da quando abbiamo lasciato Pardeau. Una Mercedes verde scuro. Si è staccata dal marciapiede a metà isolato dietro di noi.» «Qualcuno che tiene d'occhio Pardeau?» «Forse. Ma perché lasciare la sua sorveglianza per seguirci?» Non c'era alcuna ragione. A meno che Pardeau avesse ragione e Gardeaux stesse aspettando che venisse contattato di nuovo. Nicholas non era preoccupato. A Gardeaux piaceva tenerlo d'occhio ed era già stato seguito in passato. Di solito non aveva importanza, ma ora, sapendo ciò che aveva appena scoperto, voleva tornare da Nell. «Dobbiamo tentare di seminarli?» chiese Jamie. Nicholas annuì. «Loro conoscono la città meglio di noi, ma ci sono molte strade laterali sulle colline fuori città.» Pigiò il piede sull'acceleratore. «Vediamo se riusciamo a trovarne una.» Fu dopo essersi addentrato per dieci chilometri sulle colline, che Nicholas realizzò che la Mercedes non lo stava seguendo. Gli stava dando la caccia. La Mercedes era loro praticamente addosso e li incalzava a tutta velocità. La macchina urtò il loro paraurti posteriore. «Cristo.» «Non è un bel posto», disse torvo Jamie, dando un'occhiata al terreno collinoso intorno a loro. «Se usciamo in qualunque punto lungo questo tratto, finiremo rotolando per sessanta metri lungo una scarpata. Dove sono quelle strade laterali, quando ti servono?» La Mercedes li urtò di nuovo. Nicholas schiacciò a fondo l'acceleratore e la Volkswagen balzò in avanti. «Non puoi restare davanti a loro», gli fece notare Jamie. «La Mercedes è più potente. Per non parlare del fatto che è costruita come un carro armato.»
«Lo so.» L'attacco era preciso e mortale. Questo non era previsto, dannazione. La Mercedes stava per raggiungerli. Non c'era modo di sfuggirle. Nicholas avrebbe potuto respingerli ancora un paio di volte, ma alla fine la macchina li avrebbe buttati fuoristrada. D'accordo. Se dovevano uscire di strada, era meglio che fosse lui a decidere dove. «Slaccia la cintura di sicurezza.» Jamie sganciò la sicura della cintura. Il paraurti frontale della Mercedes colpì il loro lato sinistro. La Volkswagen sbandò e Nicholas evitò per un pelo di uscire di strada. Jamie imprecò, mentre urtava con la testa sul finestrino laterale, e si sfregò la tempia. «Se hai intenzione di fare ancora di queste cose, mi allaccerò di nuovo la cintura di sicurezza.» «No, se vuoi uscire vivo da qui. Usciremo di strada.» «Questo l'ho capito. Dove?» «Alla prossima curva. La pendenza non mi sembra tanto ripida in quel punto. Dirigerò la macchina al bordo della strada e là salteremo. Tieni la mano sulla maniglia della portiera. Cercherò di rallentare il più possibile, ma loro saranno proprio dietro di noi e non voglio si accorgano che non siamo sulla macchina.» La curva era proprio davanti a loro. Nicholas premette a fondo l'acceleratore e la macchina balzò in avanti. La Mercedes rimase indietro. «Non sono sicuro che questa sia una buona idea», mormorò Jamie. Nicholas sganciò la cintura di sicurezza. «Nemmeno io.» Stavano affrontando la curva. Nicholas frenò di colpo e la macchina sbandò in coda. «Adesso so che non è una buona idea», disse boccheggiando Jamie. Nicholas curvò il volante verso il bordo della strada e spalancò la portiera della macchina. «Salta.» La Volkswagen sbandò fuori strada e precipitò lungo il pendio. Il primo urto scagliò Nicholas fuori dalla portiera aperta. Non riusciva a respirare. La caduta gli aveva tolto il fiato e stava rotolando giù. Dov'era Jamie? Poteva vedere i fari della Volkswagen, mentre rimbalzava lungo il fianco della collina, verso valle. Nicholas afferrò un cespuglio e si tenne stretto, lo sguardo fisso sulla
strada sopra di lui. Riusciva a vedere i fari della Mercedes. Era parcheggiata al margine della strada. Tre uomini stavano guardando in giù. La macchina o lui? Era troppo buio perché lo vedessero. Doveva trattarsi della Volkswagen. La macchina si era fermata in fondo alla collina. Sarebbero scesi a controllare? Intravide un bagliore sulla canna di un'arma automatica. Il rumore dei proiettili venne soffocato dall'esplosione della Volkswagen. La macchina venne subito avvolta dalle fiamme. Molto accurato. Missione compiuta. Ulteriore controllo? No, stavano risalendo sulla Mercedes. Per nulla accurato. Pigro. Grazie a Dio. Qualche minuto dopo Nicholas non riuscì più a vedere il fascio di luce dei fari. Dove diavolo era Jamie? «Nick?» Nicholas provò sollievo al cauto bisbiglio di Jamie. Era sopra di lui, sul pendio. «Sono qui.» Nicholas lasciò andare il cespuglio e cominciò a strisciare su per la collina. «Stai bene?» «Il fianco destro mi fa un male del diavolo. E tu?» «Sono vivo. Non avrei scommesso molto sulle nostre probabilità a questo proposito, dieci minuti fa.» «Adesso me lo dici.» Jamie era sdraiato sotto un costone roccioso e sporgente, a soli tre metri dalla strada. Nicholas lo raggiunse. «Non volevo scoraggiarti. Eri abbastanza vicino da riconoscerli?» «Ho riconosciuto quello con l'arma automatica. Rivil.» Uno dei killer di Gardeaux, uno degli uomini di punta, cui non sarebbe mai stato assegnato un incanco tanto umile quanto la sorveglianza di un modesto contabile. Veniva mandato a eseguire un unico compito. «Penso che tu sia nei guai», disse Jamie. Nell si svegliò nell'oscurità, pienamente cosciente e in preda al panico.
C'era qualcuno nel villino. I rumori nel soggiorno erano sommessi e furtivi, ma erano indubbiamente dei passi. Maritz? Come poteva sapere che loro si trovavano lì? Nell allungò la mano sul comodino e la chiuse sulla sua Colt. Si alzò in piedi e si diresse silenziosamente verso la porta. Si stava ancora muovendo. Stava venendo verso la camera da letto? Non poteva aspettare di scoprirlo. La sua mano si strinse sulla Colt, mentre spalancava la porta e accendeva di scatto la luce. Nicholas stava in piedi accanto al lavabo. Aveva il capo e il viso ricoperti di sangue. «Ti dispiacerebbe puntare da un'altra parte quella pistola? Non mi fido molto della tua abilità in questo campo.» Aprì il rubinetto. «Ho cercato di non svegliarti, ma immagino che fosse...» «Che cosa ti è successo?» «Siamo usciti di strada.» Nicholas si stava spruzzando il viso con l'acqua. «Temo che la Hertz dovrà comperare una nuova Volkswagen.» «E Jamie?» «Penso che stia bene. Ha preso una brutta botta alle costole. Ho fermato una macchina sulla strada e l'ho lasciato al più vicino ospedale a farsi fare delle radiografie.» «Perché diavolo non hanno trattenuto anche te? Sembra che ti serva una testa nuova.» «Volevo tornare a casa. Tutto è stato folle, questa sera. Non avrebbe dovuto succedere. Volevo assicurarmi che non avessero scoperto dove ti avevo trasferita.» «Avessero?» mormorò lei. «Gardeaux?» «Jamie ha riconosciuto il suo uomo, Rivil. Non so chi altri ci fosse nella macchina.» «Siediti e lascia che ti dia un'occhiata alla testa.» «Non preoccuparti. Sono abituato a rattopparmi da solo.» «Oh, allora, se ti occorressero dei punti, non dovrò far altro che darti la mia scatola da cucito.» «È gentile da parte tua essere sarcastica, quando mi sono precipitato qui per...» «Siediti.» Nell attraversò la stanza e lo spinse su una sedia accanto al tavolo. «Lascia che te la pulisca come si deve.» Riempì una bacinella nel la-
vabo e afferrò un asciugamano da cucina. «Se la macchina è andata distrutta, come sei arrivato qui?» «Ho ottenuto un passaggio da un contadino, all'ospedale.» Quando lei cominciò a togliergli il sangue dal viso, Nicholas aggiunse: «Tutto questo non è necessario, sai. Non sono gravemente ferito». «Hai ragione. Non è nulla», disse Nell, quando alla fine raggiunse il taglio all'attaccatura dei capelli. Dio, le mani le tremavano. «Devi sanguinare facilmente.» «Veramente, non si tratta affatto di sangue. Ho comperato una bottiglia di ketchup tornando a casa. Terence mi diceva sempre che il modo migliore, per guadagnarsi la compassione di una donna, era di sanguinare un po'.» «Si sbagliava. Non mi sento affatto dispiaciuta per te.» «Certo che lo sei. Sei più pallida di me.» Alzò il viso a sorriderle. «Funziona sempre.» Nell cominciava ad avere la nausea, a sentirsi soffocare. «Evidentemente non ti occorre il mio aiuto.» Gettò a terra l'asciugamano. «E io ho bisogno di un po' d'aria.» Sbatté la porta dietro di sé, poi si fermò a fare un lungo respiro. L'aria era fredda e lei ne gradì la sferza. «Hai scelto il posto sbagliato, se il sangue ti dà la nausea.» Nicholas venne verso di lei. Nell fece un passo indietro. «Avevo solo bisogno di un po' d'aria. Il sangue non mi dà la nausea.» «Avresti potuto ingannarmi.» «Pensavo che avessi detto che eri al sicuro da Gardeaux.» «Sembra che mi sia sbagliato.» «Perché ti hanno attaccato? Che cosa ne è stato di quella perfetta polizza d'assicurazione?» «Forse qualcuno l'ha annullata.» «Vuoi dire che Sandequez è morto.» «È la logica conclusione.» «Perché sei così calmo al riguardo? Gardeaux ha tentato di ucciderti questa sera.» Nell si mise a camminare più in fretta. «E tenterà di nuovo, non è vero?» «A ogni occasione.» «Non sarai mai più al sicuro.» «Questo non è necessariamente vero. Significa solo che dovrò essere
cauto, finché non consoliderò la mia posizione.» «Se vivrai tanto a lungo.» «Ammetto il mio errore. C'è sempre questa condizione.» «Smettila di sorridere», disse lei, infuriata. «Non ci vedo niente di divertente.» «Nemmeno io. Ma tu sei seria abbastanza per entrambi.» Aveva voglia di picchiarlo. «Giusto. Tu credi nel godere al massimo ogni istante. Dannazione, non ti rendi conto che hanno appena fatto saltare in aria i tuoi dannati cancelli e che stanno per passarti dritto sopra?» Lui la stava studiando. «Mi rendo conto che sei sconvolta al pensiero della mia dipartita. Mi piace.» A lei no. Non voleva provare il panico che l'aveva devastata al primo momento in cui aveva visto Nicholas, quella notte. «Che cosa hai intenzione di fare?» «La stessa cosa di prima. Ma con molta più attenzione.» «Non dovresti neppure stare nello stesso Paese con lui.» Nell distolse lo sguardo. «Non è... Non m'importa... se non vai fino in fondo a questa storia.» Il suo sorriso svanì. «Hai dimenticato che non l'ho cominciata per aiutarti? Non ho alcuna intenzione di dissociarmi.» Nell non sapeva se fosse più spaventata o sollevata. «Volevo solo che lo sapessi.» «Nell», disse Nicholas con calma. «Andrà tutto bene. Devo solo fare un controllo dei danni.» Controllo dei danni. Era quello che aveva detto Kabler, guardando la casa in fiamme. Morte e distruzione, e il sempre generico controllo dei danni. «Sarà come dici tu.» Nell si inumidì le labbra. «Ma, date le circostanze, non credo che procederemo in fretta come vorrei. Sarà meglio aspettare la notte di Capodanno.» Un sorriso illuminò il volto di Nicholas. «Se è questo che vuoi.» «Non è affatto ciò che voglio.» Nell gli voltò le spalle e si incamminò verso il villino. «È quello che dobbiamo fare per impedire che tu resti ucciso.» Jamie comparve il mattino dopo con dei croissant freschi e un giornale. Diede i croissant a Nell e gettò il giornale sul tavolo davanti a Nicholas. «Te l'avevo detto che eri nei guai.»
«Sandequez?» «Morto stecchito. È stato ucciso nella sua hacienda sulle colline, dalla polizia antinarcotici colombiana. L'intero campo è stato spazzato via.» «Quando?» «Circa tre ore prima che lasciassimo Pardeau. Poiché non è stata rilasciata pubblicamente alcuna notizia per le otto ore successive al fatto, direi che Gardeaux ha avuto l'informazione in anticipo.» «Oppure l'ha fornita lui alle autorità. Sandequez era ben protetto. La polizia cercava di prenderlo da anni.» Jamie si lasciò andare a un fischio. «Vuoi dire che Gardeaux ha servito loro Sandequez su di un piatto d'argento? Perbacco, che persona sgradevole.» «Perché l'avrebbe fatto?» chiese Nell. «Non avevi detto che Sandequez era uno degli uomini per cui Gardeaux lavorava?» «Ma io sono una spina nel suo fianco da molto tempo; inoltre, l'eliminazione di Sandequez può essergli utile in altri modi.» Jamie annuì. «Può salire nella scala sociale, per così dire, e il governo colombiano aveva messo una taglia di cinque milioni di dollari su Sandequez. Questo potrebbe gradevolmente imbottire uno dei conti bancari svizzeri di Gardeaux. Pensi che abbia fatto una soffiata alle autorità colombiane?» «È possibile.» Nicholas strinse le spalle. «In ogni modo, è un punto discutibile. Sandequez è morto. Il che significa che dovrò restare nascosto con Nell, finché saremo pronti a muoverci.» Nell provò un sollievo, che prontamente cercò di nascondere. «Straordinariamente saggio da parte tua.» Portò i croissant nel forno a microonde. «Ma io non ho intenzione di restare nascosta. Come tu hai fatto notare, nessuno può riconoscermi.» Poté sentire lo sguardo di Nicholas sulla sua schiena. «Posso chiedere dove hai intenzione di andare?» «A Parigi.» «E che cosa intendi fare là?» «Lavorare.» «Dove?» «Non ne sono sicura. Dovrai dirmelo tu.» Nell si voltò verso di lui. «Per quale agenzia di modelle lavora l'amante di Gardeaux?» «Chez Molambre.» Nicholas stava studiando la sua faccia. «Che cosa hai
in mente?» «Devo riuscire a entrare alla Festa rinascimentale. L'articolo su Sports Illustrated diceva che ogni anno organizzano una sfilata di moda durante i festeggiamenti. Jacques Dumoit prepara una collezione speciale. È quasi certo che Gardeaux gli chiederà di rivolgersi all'agenzia della sua amante, perché gli fornisca le modelle.» «È così.» «E lei ha intenzione di chiedere all'agenzia di assumerla.» Jamie sorrise. «Ah, che ragazza sveglia. Avremmo potuto utilizzarla ai vecchi tempi, Nick.» «Non hai esperienza», obiettò Nicholas. «Sono stata a dozzine di sfilate di moda. Fingerò.» Nell si rivolse a Jamie. «Se lei può falsificare le mie credenziali e farmi scattare delle fotografie per un portfolio.» «Conosco un fotografo a Nizza di cui mi posso fidare», disse Jamie. «Mi dia tre giorni.» «Non mi piace questa storia.» «Non mi aspettavo che ti piacesse.» Nell incontrò il suo sguardo. «Ma mi assumeranno?» «Sai perfettamente che lo faranno.» Il suo sorriso era cupo. «Chi non assumerebbe Elena di Troia?» «Bene. Pensavo che avrebbe funzionato. E l'idea mi piace. Ha in sé una certa... giustizia.» «Giustizia?» chiese Jamie. «Vuol dire che ha avuto quel viso straordinario per cortese concessione di Maritz e di Gardeaux, e che è solo giusto che lo usi per distruggerli.» Avrebbe dovuto sapere che Nicholas avrebbe capito esattamente che cosa intendeva dire. La conosceva tanto bene. Troppo bene. «Devi pensarci da un po' di tempo», disse pacatamente Nicholas. «Mi hai lasciata da sola per due giorni. Che cosa avrei dovuto fare? Starmene con le mani in mano?» «Non sia mai.» Nicholas si alzò in piedi e si diresse alla porta. «Ricordami di non lasciarti più da sola.» La spada di Carlomagno venne consegnata a mano il mattino seguente da un giovanotto dai capelli scuri che sembrava poco più vecchio di Peter. Indossava una giacca di pelle nera, arrivò su una moto e il suo sorriso era immensamente sicuro di sé. Porse a Nicholas l'oggetto nel fodero in pelle
con un gesto ostentato della mano. «Ecco, señor. Il lavoro più perfetto che mio padre abbia mai fatto.» «Grazie, Tomas.» Quando lui rimase lì a fissare Nell, Nicholas aggiunse: «Tomas Armandanz, Eve Billings». Tomas le rivolse un sorriso radioso. «Anch'io ho lavorato molto sulla spada.» Nicholas stava estraendola dal fodero in pelle. «Come premio per il mio lavoro, mio padre ha detto che posso proseguire per Parigi e dintorni per godermi qualche giorno di vacanza.» Tomas sorrise a Nell con fare seducente. «Immagino che lei non vorrebbe venire con...» «Addio Tomas», disse Nicholas, lo sguardo sulla spada. Lui non sembrò udirlo. «Ho studiato alla Sorbona e conosco molti locali che...» Nicholas puntò la spada contro il ragazzo. «Addio.» Tomas batté le palpebre e cominciò a indietreggiare verso la porta. Nell non avrebbe potuto biasimarlo. Non vedeva Nicholas comportarsi in quel modo da quando, in Florida, aveva atterrato il sergente Wilkins. «Stavo solo scherzando, señor Tanek», disse Tomas. «Era quello che pensavo.» Nicholas sorrise gentilmente. «Dì a tuo padre che sono molto soddisfatto della spada. E ora dovrai partire per Parigi, no?» «Sì, sì. Subito.» Il ragazzo scappò fuori dal villino. «Non dovevi spaventarlo», disse Nell. «Non dovevo fare altro che rifiutare.» «È stato impertinente.» Nicholas stava guardando di nuovo l'impugnatura della spada. «E mi ha seccato.» Lei accantonò l'argomento e guardò la spada. Aveva visto quella autentica solo una volta, ma quel falso sembrava sorprendentemente simile. «È abbastanza somigliante?» Nicholas annuì. «È un'opera d'arte.» «Hai ancora intenzione di usarla?» «Con Sandequez morto, è letteralmente e metaforicamente l'unica arma in mio possesso.» «Entrerai nella tana del leone.» Nell esitò. «Stavo pensando... Se riesco a entrare a Bellevigne senza essere scoperta, perché tu non resti qui e lasci che mi occupi io di tutto?» Lui la fissò, aspettando.
Nell proseguì in tutta fretta: «È del tutto ragionevole. Dimentica la spada. Verresti riconosciuto ed è assolutamente impossibile che tu possa uscirne vivo». «Ti è capitato di pensare che stai cercando di escludermi?» le chiese Nicholas con voce calma. «Che mi stai defraudando?» Quelle parole erano familiari, erano quelle che Nell aveva usato con lui. «Questo è diverso.» «È sempre diverso, quando si riferisce a te.» Nicholas sorrise. «Capisco perfettamente. Ma ti sei fermata a chiederti perché ero così determinato a tenerti al ranch e a proteggerti?» «Perché sei un uomo arrogante e pensi di essere l'unico al mondo che...» «Penso che tu sappia che non è questa la ragione.» Nicholas incontrò il suo sguardo. «Ma forse non sei ancora pronta a tirare fuori la testa dalla sabbia.» Le mani di Nell si strinsero per la frustrazione. «Questo non mi piace.» «Lo so. Ma dovrai adattartici. Io l'ho fatto.» Nicholas rivolse di nuovo la sua attenzione alla spada. «Dovrò solo cercare di avere qualche asso nella manica, per mantenere la situazione alla pari.» Prese un mucchio di fotografie da un cassetto della cucina e cominciò a confrontarle con la spada. «Lavoro sorprendente», mormorò. Aveva chiaramente concluso la conversazione. Nell si voltò per andarsene. «Mantz non sarà a Bellevigne.» Lei si voltò di scatto a guardarlo. «Ne sei sicuro?» Lui annuì. «Gardeaux gli ha dato il benservito. Dovremo affrontarli uno alla volta. Ci concentreremo su Gardeaux e poi ci preoccuperemo di Maritz.» La delusione accentuò il timore e la frustrazione di Nell. «Ma riusciremo a trovarlo?» «Lo troveremo.» Nicholas mise una fotografia dell'impugnatura accanto all'elsa della spada falsa. «Dopo che sarai andata a Parigi, non voglio che ritorni qui, fino a quando non saremo pronti a muoverci.» «Perché no?» «È troppo pericoloso. Se hai intenzione di essere Eve Billings, sii Eve Billings. Fai amicizia con le altre modelle. Niente sparizioni misteriose nei fine settimana Trascorrili a Parigi.» «Capisco.» Nell si sentiva stranamente defraudata. Nicholas aveva ragione, naturalmente. Andare a Parigi era stata una sua scelta e doveva por-
tare a termine il suo progetto. «Ma dovremo fare dei piani.» «Non finché mi sarò messo in contatto con Gardeaux e avrò esaminato la situazione. Verrò al tuo appartamento la sera prima che tu parta per Bellevigne. Fino ad allora nessun contatto, a meno che non ci sia un'emergenza.» Lei cercò di sorridere. «Mi sembra ragionevole.» «Domani andrai a Nizza con Jamie per scattare le fotografie. Ha già preso accordi perché tu subaffitti un piccolo appartamento nella zona della Sorbona. Niente di elegante. Una cosa che una studentessa e una modella all'inizio della carriera, potrebbe permettersi.» «Jamie è molto efficiente.» «Più di quanto tu sappia.» Aveva ragione. Lei non faceva realmente parte della loro vita e certamente non del loro passato. La familiarità che provava nei loro confronti sarebbe svanita non appena li avesse lasciati. «Starai attento?» Non aveva avuto intenzione di fare quella domanda; le era sfuggita all'improvviso. Nicholas alzò gli occhi e sorrise. «A che cosa? Ai gabbiani? Vuoi rispedirmi al ranch?» Sì, lo desiderava, e anche chiudere tutti i cancelli alle sue spalle. E lui lo sapeva. «Con tutto l'inquinamento che c'è in giro di questi tempi, non si può mai sapere quali germi possano portare i gabbiani», disse Nell in tono leggero. «Vado a preparare le valigie.» La spada era seducente quanto il canto di una sirena. Gardeaux studiò le fotografie a colori con una lente d'ingrandimento. Se era un falso, era uno splendido falso. E poteva essere vera. Tanek era abile nelle acquisizioni. L'ondata di eccitazione che lo attraversò gli fece tremare la mano. La spada di un conquistatore. Forse il più grande conquistatore che fosse mai esistito. Quella era la reazione che Tanek si era aspettato. Gardeaux stava abboccando. La spada di Carlomagno. Tanek avrebbe osato offrirgli un falso? Era una trappola per attirarlo a morire. Anche contro la vita di Carlomagno erano stati fatti attentati, ma la sua
forza e intelligenza l'avevano fatto torreggiare su quelle persone tanto stupide da tentare di ucciderlo. Come lui, Gardeaux, torreggiava su Tanek. Il suo indice sfiorò delicatamente l'elsa della spada sulla fotografia. Incredibile. Splendida. Sua. «Mi dispiace, signorina, non possiamo utilizzarla.» Molambre diede un colpetto al portfolio aperto davanti a lui. «Queste fotografie sono di grande effetto, ma noi ci occupiamo solo di indossatrici da passerella. Lei non risponde ai nostri requisiti.» «Non sono abbastanza alta?» «Un metro e settantaquattro? Le mancano autorità e presenza. Forse andrebbe bene per le passerelle di New York, ma i nostri stilisti sono più esigenti.» Molambre chiuse il portfolio e glielo porse. «Come ho detto, mi dispiace molto.» Il suo tono era definitivo. Nell si alzò in piedi e prese il portfolio. «Buona giornata, signor Molambre.» Aveva battuto la testa contro il muro. Ebbene, avrebbe dovuto semplicemente aggirarlo. «Che cosa posso fare per lei, signorina Billings?» chiese Celine Dumoit con indifferenza. Certo, Nell non poteva aspettarsi altro che quello. Jacques Dumoit era uno dei più importanti stilisti del mondo. «Intendo parlare con suo marito, signora.» La donna si risentì. «Questo non è possibile. Dirigo io questo salone. Parli con me. Mio marito è molto occupato; sta mettendo insieme una collezione speciale.» «Per la Festa rinascimentale.» Nell annuì. «Voglio che mi utilizzi come modella alla festa.» «Lui si serve dell'agenzia Chez Molambre. Si rivolga a loro.» «L'ho già fatto. Si sono rifiutati di prendermi in considerazione. Dicono che mi manca presenza.» Celine Dumoit la studiò. «Non sono d'accordo. Lei ha una certa presenza, ma questo è irrilevante.» «Sto cercando di sfondare nel campo della moda qui in Europa. La Festa rinascimentale sarebbe un mezzo perfetto per me.» «E per migliaia di altre modelle, qui a Parigi.» «Suo marito prepara sempre una collezione ispirata al Rinascimento per
i festeggiamenti. Io sono la persona adatta per questo.» «Che cosa glielo fa pensare?» «Mi faccia indossare un abito e lasciamo che giudichi lui.» «Abbiamo tutte le modelle che ci occorrono.» Celine Dumoit esitò, poi annuì. «Ma il suo viso ha un carattere insolito e Jacques desidera soddisfare il signor Gardeaux. Vedremo come sta con il numero otto.» Il numero otto risultò essere un magnifico abito color porpora, con lunghe maniche strette e una scollatura quadrata. Era anche una taglia molto piccola. Aveva la vita talmente stretta che Nell riusciva a malapena a respirare. «È orribilmente grassa», disse Celine Dumoit. Mise il copricapo adorno di perle sul capo di Nell, fece un passo indietro e inclinò il capo. «Ma c'è decisamente... qualcosa.» Si volto verso un uomo alto che stava entrando nella stanza. «Ah, eccoti, Jacques.» «Perché mi hai mandato a chiamare?» Il tono di Jacques Dumoit era stizzoso. «Sono molto occupato, Celine.» «Lo so, tesoro.» La signora Dumoit indicò Nell con un gesto. «Che cosa ne pensi?» «Grassa. Dovrà perdere almeno quattro chili prima della sfilata.» «Poi pensi che andrà bene?» chiese Celine. «Naturalmente andrà bene. Splendida. Una cortigiana del Rinascimento. Quel viso avrebbe potuto essere dipinto da Leonardo da Vinci. Posso andare, adesso?» «Naturalmente, tesoro. Non ti disturberò più.» «Assegnale anche l'abito verde.» Lo stilista stava uscendo a lunghi passi dal camerino. «E assicurati che si sbarazzi di quell'odioso strato di adipe.» «Sì, Jacques.» Celine si rivolse a Nell. «Dia alla mia assistente il suo numero di telefono. Si presenterà alle prove ogni volta che verrà convocata e, se ne mancherà una, sarà esclusa.» «Sì, signora.» «E ha due settimane per perdere quei chili.» «Sì, signora.» «Deve esserci grata. Le stiamo offrendo una grande opportunità.» «Vi sono molto grata, signora Dumoit.» «Naturalmente, in questo caso, non la pagheremo per i suoi servizi. Dovrebbe essere lei a pagarci.» Ma sentila, la gelida spilorcia. «Le sono molto grata», ripeté Nell. Celine Dumoit annuì con soddisfazione e lasciò il camerino.
Mentre l'assistente le slacciava i bottoni dell'abito, Nell si voltò verso lo specchio a guardare il viso che le aveva garantito un biglietto d'ingresso a Bellevigne. Sembrare una cortigiana del Rinascimento andava altrettanto bene che essere considerata Elena di Troia. Lei aveva detto la verità alla donna. Era grata. Grazie, Joel. «Tanek, che piacere sentirti», disse Gardeaux. «Già, Rivil mi ha trasmesso il tuo entusiasmo. Hai ricevuto le fotografie?» «Un'esca mirabile, ma non sono tanto stupido da pensare che la spada sia autentica, naturalmente.» «Non lo saprai, finché non la esaminerai tu stesso. Avevo intenzione di permetterti di farla esaminare da un esperto, ma ora credo che qualsiasi contatto sarebbe pericoloso per la mia salute.» «Hai sentito di Sandequez? Che cosa triste.» «Dipende dalla tua posizione.» «La mia posizione è molto solida. La tua è molto precaria.» Gardeaux fece una pausa. «Non ti voglio alla mia festa, Tanek. Scegli un altro posto e un altro momento.» «Avresti potuto avere una possibilità di convincermi, se non avessi reso tanto incerta la mia posizione. Aspetterò, finché potrò entrare nel cortile con una folla di tuoi prestigiosi ospiti. Voglio gente intorno, che possa rendere le cose imbarazzanti, se tu decidessi di sbarazzarti di me.» «Ma tu hai intenzione di fare lo stesso con me.» Gardeaux cadde in silenzio, poi disse: «Ti stai prendendo un monte di disturbo e di fastidi per O'Malley, Tanek. Davvero, non se lo meritava». «Se lo meritava.» «Non sono d'accordo. Quell'uomo non era minimamente interessante. Ma tu sarai molto più divertente. Pietro ti troverà affascinante.» «Non ne avrà l'occasione. Non voglio partecipare al vostro gioco.» «Sì, lo farai.» «Vuoi la spada?» «Ti richiamerò. Dammi il tuo numero di telefono.» «Ti chiamerò io.» Tanek riappese e si voltò verso Jamie. «La vuole. Sta sbavando, altrimenti non avrebbe tentato di trattare.» Jamie guardò la spada. «È davvero una magnifica arma. Ma non vale
questo rischio.» «Gardeaux pensa di sì», ribatté Tanek. «Grazie a Dio.» Stava arrivando alla fine. Poco più di un mese, e tutta l'attesa, tutta la frustrazione sarebbero terminate. «Che cosa vuoi che faccia, adesso?» chiese Jamie. «Resta al villino, casomai Nell chiamasse. Ma sta lontano da lei, a meno che non ci siano guaì. La tua faccia è riconoscibile quanto la mia. Cercherò di telefonare per darti un numero di telefono dove potermi raggiungere.» «Non starai qui?» Nicholas scosse il capo. «Prenderò il primo volo in partenza da Parigi domani mattina.» 17 Parigi, 8 dicembre «No, non lo permetterò, Tania.» La mano di Nell si strinse sul ricevitore. «Resta a casa, dove sei al sicuro.» «Ma Maritz si è preoccupato che sapessi che non ero al sicuro, neppure a casa», fece notare Tania. «Non ti userò come esca. Che cosa pensi che sia?» «Non te lo sto chiedendo, te lo sto dicendo. Puoi aiutarmi oppure no: a te la scelta.» «Sai che non ti lascerei mai... Tania, non farlo. Non mi perdonerei mai, se tu restassi ferita di nuovo.» «Non lo faccio per te. Lo faccio per me.» «Che cosa ne dice Joel?» «Che sono pazza, che non mi lascerà partire, che darà la caccia a Maritz lui stesso. Sarà un problema.» «Ha ragione, sei pazza.» «No. Maritz è pazzo. Questo è sensato. Non gli permetterò di controllare la mia vita.» Tania fece una pausa. «Non voglio discuterne più. Ora riattacco.» «Aspetta. Quando arriverai?» «Oh, lo saprai quando arriverò lì.» Marsiglia, 23 dicembre
Era venuta da lui. E sembrava così felice. Maritz fissò la fotografia sulla prima pagina dell'inserto speciale del giornale parigino. Tania indossava un abito bianco e teneva lo sguardo levato su Joel Lieber con un sorriso radioso. Ma, d'altra parte, tutte le spose erano radiose. Maritz diede una scorsa al testo sotto la fotografia. Joel Lieber, il chirurgo di fama mondiale, e la ex signorina Tania Vlados al loro arrivo all'aeroporto Charles de Gaulle per la prima tappa di una prolungata luna di miele. La coppia si recherà a Cannes, dove resterà al Carlton Hotel fino a dopo Capodanno. Aveva pensato che la sua fortuna fosse scomparsa. Ma poi la bella Tania era tornata nella sua vita. Se fosse riuscito a eliminarla come testimone, Gardeaux avrebbe potuto raccoglierlo nell'ovile. Ma non era quello che gli faceva scorrere l'eccitazione nelle vene. La caccia stava per ricominciare. Jamie commentò l'articolo con un fischio sommesso. A Nick questo non sarebbe piaciuto. Avrebbe tanto voluto potersi mettere in contatto con lui. Aveva cercato di farlo due giorni prima, ma Nick se n'era andato e non si trovava più al numero che gli aveva dato. Al posto di Nick chiamò Nell. «Ha visto il giornale?» «Sì. Sono molto felice per loro. Non ha un'aria splendida, Tania?» «Che cosa fa qui?» «È in luna di miele, diceva il giornale.» «Non glielo aveva detto?» «Non aveva accennato a un matrimonio, l'ultima volta che le ho parlato.» «Non può incontrarla. Joel è troppo sotto i riflettori.» «Questo lo so. Non ho intenzione di andare a trovarla.» Nell fece una pausa. «Come sta Nicholas?» «Bene.» Jamie cambiò argomento. «E che cosa ne dice del suo nuovo lavoro?» «È noioso.» «Beh, dopodomani è Natale. Non ci vorrà ancora molto. Ma non mi pia-
ce che Tania sia qui.» «Nemmeno a me. Arrivederci, Jamie.» Nell scosse il capo, mentre riattaccava il telefono. Non aveva mentito, ma, come Nicholas aveva detto una volta, l'omissione era una scappatoia. La fotografia sul giornale l'aveva spaventata a morte. Non si era aspettata che Tania inviasse un invito così baldanzoso. Aveva dato addirittura il suo indirizzo a quel bastardo. Il telefono squillò di nuovo. «Non sono bella in quella fotografia?» chiese Tania. «L'abito è di Armani. Joel ha deciso di fermarsi a New York a comperarmi un intero guardaroba.» «Magnifica. Non mi avevi detto che stavate per sposarvi.» «Joel ha insistito perché ci sposassimo prima di venire. Sembra pensare che in qualche modo questo mi tenga sotto il suo controllo.» Nell sentì un grugnito di derisione. «Beh, lo pensi, Joel.» «Dove siete?» «Al Carlton. È molto elegante. Lo sai che le stelle del cinema alloggiano qui, durante il Festival del cinema?» «Sembri felice.» «Estasiata. Ma non felice quanto Joel. Il che è solo giusto. Io mi sono solo presa un dottore irritabile, che sta invecchiando. Lui ha avuto me.» Tania stava ridacchiando. «Devo riattaccare. Penso che Joel stia per aggredirmi. Resterò in contatto.» Voleva dire che avrebbe informato Nell, quando Maritz fosse apparso. Ma Tania era sembrata straordinariamente felice, pensò Nell assorta. Incomparabilmente felice, tanto che la nube che incombeva su di lei si era attenuata. Tania sapeva cogliere l'attimo. E anche Nicholas. Non aveva avuto sue notizie nelle tre settimane trascorse a Parigi. Evidentemente Nicholas non aveva ritenuto importante parlarle, quando Jamie aveva chiamato. Ebbene, che cosa c'era da dire? Erano in uno stato d'attesa. Ancora nove giorni. 27 dicembre
«Ti lascerò venire alla festa, Tanek», disse Gardeaux. «Naturalmente, porterai la spada.» «L'avrò.» «Molto bene. Perché non verrai fatto entrare, finché non la vedrò.» «Controllerai le spade sulla porta? Sembri lo sceriffo di una vecchia cittadina del West.» «Solo la tua spada.» «Potrai vederla alla presenza dei tuoi ospiti. Non potrai prenderla.» «Dovrò brandire un'inestimabile spada rubata di fronte a quattrocento persone?» «Di' loro che si tratta di un'eccellente copia. Nessuno sospetterà che è autentica. Hai una reputazione talmente immacolata.» «E come mi impedirai di prenderla?» «Mettendoti in imbarazzo davanti al Primo ministro e a tutte le persone che stai cercando di impressionare con la tua rispettabilità.» Nicholas strizzò gli occhi. «Dicendo loro esattamente che cosa sei.» Ci fu una pausa. «Non ci riuscirai, lo sai, Tanek. Hai fatto il passo più lungo della gamba e devi essere punito. Ho deciso che dovrai finire come il tuo amico O'Malley. Ricordi quanto ha sofferto?» Nicholas non poteva dimenticarlo. «Ci vedremo tra qualche giorno, Gardeaux. Alle undici.» Riagganciò il telefono e si voltò verso Jamie. «È stabilito.» «Spero che tu sappia quello che stai facendo.» «Anch'io.» Gardeaux rimase seduto a guardare il telefono. Non doveva preoccuparsi; aveva tutte le carte in mano. Ma Tanek era un uomo ossessionato e, se non fosse riuscito a trovare un modo per distruggerlo completamente, avrebbe fatto tutto il danno possibile. La sua minaccia, di metterlo in imbarazzo davanti ai suoi ospiti, lo aveva messo a disagio. Si era costruito una vita di potere e di prestigio, a Bellevigne. Se Tanek avesse deciso di attaccarlo, smascherandolo, la sua posizione avrebbe potuto diventare intollerabile. Avrebbe dovuto proteggersi, pensò Gardeaux. Si sarebbe assicurato di avere il modo di annullare il danno che Tanek poteva eventualmente arrecare alla sua reputazione. Prese il telefono e compose rapidamente un numero.
28 dicembre «Guarda, Joel. Non è una sciarpa deliziosa?» disse Tania. La sciarpa di seta a motivi egiziani faceva bella mostra di sé nella vetrina di una piccola boutique. «Mi piacciono le cose egiziane. Hanno una grazia in un certo modo durevole.» «Beh, le nostre prenotazioni non dureranno, se non arriveremo al ristorante entro cinque minuti.» Joel sorrise con indulgenza. «Ti sei fermata davanti a ogni negozio lungo la strada e non mi hai permesso di comperarti niente.» «Non è necessario possedere le cose. Anche guardare è bello.» Tania mise il braccio sotto il suo. «Penso che te la saresti cavata molto bene nell'antico Egitto. Sapevano molto sulla chirurgia, sai?» «Preferisco gli strumenti e le medicine moderne.» «Beh, non mi piacerebbe subire un intervento al cervello senza una potente anestesia, ma c'è qualcosa...» Joel la guardò con aria interrogativa, quando lei si interruppe. «Che cosa c'è?» Lei gli sorrise. «Penso davvero che ci terrei ad avere quella sciarpa. Vuoi fare una scappata dentro a comperarmela? Voglio guardare le borse nel negozio accanto.» Joel scosse il capo con aria rassegnata. «Non arriveremo mai in tempo.» «Sì, ce la faremo. Prometto che non guarderò più un'altra vetrina, fino al ristorante.» «Promesse. Promesse.» Joel entrò nel negozio. Il sorriso di Tania svanì. Lui era lì, a osservarla. Non c'era alcun dubbio. Il suo istinto stava gridando e non avrebbe commesso di nuovo l'errore di dubitarne. Si permise di dare un'occhiata sopra le spalle. Non si era aspettata di vederlo. Maritz era bravo in quello. Ma gli faceva piacere sapere che lei era consapevole della sua presenza. Gli piaceva vederla sudare, sapere che aveva paura. Tania doveva considerare i pro e i contro. Doveva lasciargli avere il suo divertimento e non fare capire a Joel che Maritz si era fatto vivo. S'incamminò verso il negozio di borse e guardò nella vetrina. Si diede nuovamente una rapida occhiata alle spalle. Questo ti fa piacere, bastardo?
Divertiti. Sarà diverso questa volta. «Mi stai spaventando a morte», disse Nell. «Niente di cui spaventarsi, ancora. Io sono prudente e lui non ha fretta. Vuol assaporare la caccia», spiegò Tania. «Hai un posto dove andare?» «Il villino sul mare che Nicholas ha affittato. È isolato e sarebbe molto allettante per Maritz. Jamie e Nicholas si trovano ancora lì, ma questo presto cambierà.» Le diede l'indirizzo e le indicazioni. «Sei sicura che Maritz sia sulla scena? Non l'hai visto.» «Ne sono sicura. Non ho bisogno di vederlo. Siamo più vicini di due gemelli siamesi. Ti chiamerò, quando lui sarà pronto per essere attirato nella rete.» «Partirò per Bellevigne dopodomani», disse Nell. «Giusto, è quasi Capodanno. Felice Anno Nuovo, Nell.» Parigi, 30 dicembre «Sei più magra», osservò Nicholas, appena Nell gli aprì la porta. «Sei stata ammalata?» Lei scosse il capo. «Sembra che fossi 'orribilmente grassa'. Ho dovuto perdere qualche chilo. La signora Dumoit avrebbe dovuto vedermi prima di Medas.» Lui sembrava lo stesso: forte, sano, in perfetta forma. Nicholas inarcò un sopracciglio. «Posso entrare?» «Oh, naturalmente.» Nell si fece rapidamente da parte. Lo stava fissando come se non avesse mai visto un uomo prima. «Non ero sicura che saresti venuto questa sera.» Lui si tolse il cappotto con una scrollata e lo gettò su una sedia. «Te l'avevo detto che sarei venuto.» «Questo è stato un mese fa.» «Siamo stati entrambi occupati. Ma non ti lascerei certo scendere in campo senza un piano.» Nicholas inarcò un sopracciglio. «Caffè?» «È già pronto.» Nell andò nel cucinino e versò il caffè. «Hai avuto notizie dal ranch?» «Ho chiamato Michaela la scorsa settimana. Peter sta bene. Si è trasferito stabilmente al Bar X. Ho detto a Michaela di fargli i tuoi saluti.» «Come sta Jamie?» «Bene.» «È ancora al villino?»
«No, è venuto con me a Parigi. Sta all'Inter-Continental Hotel.» Nell gli porse la tazza. «Verrà con te a Bellevigne?» Lui scosse il capo. «Non era nel patto con Gardeaux. Andrò a Bellevigne da solo.» Inclinò il capo verso di lei. «A eccezione di te, signora.» Nicholas prese il caffè e lo portò nel salotto. Si avvicinò al caminetto a sbirciare nel focolare. «Gas?» Nell annuì e lui si chinò ad accendere i ceppi. «Così va meglio. Detesto le serate umide e fredde.» Nell annuì di nuovo. Che cosa c'era che non andava in lei? Non riusciva a staccare gli occhi da Nicholas. «Siediti.» Prese la sua tazza e lo seguì sul divano, davanti al camino. Sapeva che cosa non andava in lei. Le era mancato. «Jamie mi ha detto che Tania è qui.» Lei si irrigidì. «Non a Parigi.» «Non l'hai incontrata?» «È in luna di miele.» Nicholas la fissò e lei istintivamente si tese. C'erano stati momenti in cui aveva avuto la sensazione che lui potesse leggerle nella mente. Non doveva leggervi adesso. Lui lasciò cadere l'argomento. «Quando si terrà la sfilata di Dumoit?» Nell tentò di non far trasparire il sollievo nella sua espressione. «All'una del pomeriggio. Ci porteranno a Bellevigne nel primo pomeriggio di domani. Dopo la sfilata dovremo unirci agli ospiti, sfoggiando gli abiti di Dumoit.» «Per tutto il giorno?» Lei annuì. «E ci cambieremo d'abito alla sera, per il ricevimento.» «Bene.» Nicholas si inginocchiò davanti al camino, prese un foglio di carta piegato dalla tasca della giacca e lo aprì sul pavimento. «Questa è la pianta di Bellevigne e questa qui è la zona principale della casa, dove si svolgerà la maggior parte degli intrattenimenti durante la festa. Io arriverò alle undici di sera. Il ricevimento sarà in pieno svolgimento, quando arriverò.» Fissò poi un lungo rettangolo di lato. «E questo è l'auditorio privato, dove si svolgono gli incontri di scherma. L'ultimo è alle tre del pomeriggio e i premi verranno distribuiti alle sei, quindi sarà deserto verso sera.» L'auditorio. Un brivido di paura la percorse, mentre Nell ricordava la storia di Jamie a proposito del virus mortale applicato sulle spade, come parte della macabra punizione di Gardeaux. Alzò lo sguardo sul viso di Nicholas. «Perché mi parli dell'auditorio?» «Perché è lì che mi porterà Gardeaux.»
Per poco Nell non versò il caffè. «No.» «Sì», disse lui con voce calma. «È l'unico posto dove il mio piano può funzionare. Se accetterà il suggerimento che gli ho dato, mi porterà da qualche parte dove non sia circondato dalla gente.» «Ma avrà i suoi uomini lì. Sarà una trappola.» «Ma penso di poterla far scattare io. Gardeaux si assicurerà che non sia armato, quindi a un certo punto, all'inizio della serata, voglio che tu torni di nascosto nell'auditorio a fissare con un nastro adesivo questa Magnum 44 sotto il sedile A15.» Tolse la pistola dalla tasca e gliela porse. «È la prima fila nel corridoio centrale.» «Pensi di poter far scattare tu la trappola? Che cosa farai?» «Manovrerò Gardeaux, mettendolo in una posizione in cui possa abbatterlo.» «Come?» «Dopo averlo portato nell'auditorio, dovrò improvvisare. L'ho già fatto in passato.» «Ti ucciderà.» Lui sorrise. «Abbiamo sempre saputo che c'era questa possibilità, vero? Ma non credo che accadrà questa volta. Non se tu mi aiuterai.» «È successo al tuo amico O'Malley.» «Nell, questo è l'unico modo. Aiutami.» Nicholas aveva deciso. «È tutto quello che vuoi che faccia?» chiese lei con voce convulsa. Lui indicò un altro punto sulla pianta. «Il ponte levatoio. Sarà sorvegliato, ma dubito che verrà alzato, dal momento che gli ospiti andranno e verranno. Dovrai liberarti delle guardie prima delle undici e quarantacinque. Perché a quell'ora dovrai trovarti all'interruttore di corrente, circa quattro metri a sinistra di questa porta.» Indicò il lato sud dell'auditorio sulla pianta. «Voglio che tu spenga le luci nell'auditorio e che poi corra a rotta di collo verso il ponte levatoio. Jamie sarà ad aspettarci nel bosco, dall'altra parte del fossato, con la macchina. E io sarò subito dietro di te.» «Forse.» Nicholas ignorò il commento. «Con tutta probabilità Gardeaux apposterà una guardia fuori dell'auditorio, quando entreremo. Potresti doverti occupare di quella guardia, prima di affrontare la porta sud. Cerca di farlo silenziosamente, o potresti farmi uccidere. Che te ne pare come responsabilità?» «È più di quanto pensavo che volessi affidarmi.» Più di quanto volesse
prendere in considerazione in quel momento. «Pensavo che saresti stato più egoista.» «Sono egoista. Io prenderò Gardeaux.» Nicholas incontrò il suo sguardo. «Sono sorpreso che non litighi con me per avere tu questo privilegio.» Nell scosse il capo. «Gardeaux deve morire e io devo esserne partecipe, ma sono contenta di lasciarlo fare a te. Per me è... una figura distante. Non l'ho mai visto, non ho mai sentito la sua voce. So che è responsabile quanto Maritz, forse di più, ma non è altrettanto vivo ai miei occhi.» Le sue labbra si strinsero. «Ma non cercare di defraudarmi di Maritz.» «Prendiamone uno alla volta.» «È una risposta evasiva, questa?» «Hai perfettamente ragione. Non voglio pensare a Maritz. Sono terrorizzato al pensiero di trascinarti in tutto questo.» «Davvero? Pensi che non possa farcela?» «Se lo pensassi, avrei drogato il tuo caffè e ti avrei chiusa a chiave fino a domani sera.» Nicholas sorrise. «Sei intelligente, sei brava e Jamie ha ragione. Avremmo dovuto averti vicina ai vecchi tempi.» Il suo sorriso svanì. «Questo non significa che non ti vorrei lontana da Bellevigne.» «Ho diritto di essere lì.» «Ne hai diritto.» Nicholas le strizzò l'occhio. «Ma tieni d'occhio quella caffettiera.» Nell si rilassò e ricambiò il sorriso. «Ogni istante.» «Forse non ogni istante.» Le tolse la tazza di caffè dalle mani e l'appoggiò sul focolare. «Potrebbe essere d'intralcio.» La prese lentamente tra le braccia e mormorò: «D'accordo?» Più che d'accordo. Con entusiasmo. Si sentiva a suo agio, a casa. Le braccia di Nell si strinsero intorno a lui. «D'accordo.» «È stato troppo facile. Forse dovrei andare via più spesso.» Nicholas la baciò. «Oppure stai offrendo aiuto e conforto a uno che sta per partire per la guerra?» «Taci», mormorò lei. «Anch'io sto per partire per la guerra.» Aveva bisogno di quello. Aveva bisogno di lui. Nell si appoggiò all'indietro e cominciò a sbottonarsi la camicetta. «Non qui.» Nicholas la fece alzare. «Dov'è la tua camera da letto? Mi rifiuto di essere sedotto davanti a un camino. È troppo ridicolo.» Nicholas si stava vestendo, un'ombra incerta e pallida nel grigiore che precedeva l'alba della stanza.
«Stai attento», mormorò Nell. «Stavo cercando di non svegliarti.» Nicholas si sedette sul letto. «Perché, Nell?» Lei gli prese una mano. «Te l'ho detto. Avevo bisogno di aiuto e di conforto.» «Mi hai dato molto più di quanto tu non abbia preso, questa notte. Dov'è andata tutta la tua rabbia?» «Non lo so. Tutto quello che sapevo era che mi eri mancato. Immagino di non pensare con molta chiarezza in questo momento.» «Bene, hai ancora la testa nella sabbia.» Le accarezzò dolcemente i capelli. «Ma forse pensi più chiaramente di quanto tu non creda. A volte è meglio fidarsi dell'istinto.» Sorrise. «In questo caso è stato molto più piacevole.» La stretta di Nell si rafforzò sulla sua mano. «Questo non è un buon piano, Nicholas. Troppe cose possono andare storte.» «Non ci saranno mai un piano o un momento migliori.» E Nicholas aggiunse in tono grave: «E sono mortalmente stanco di questa storia. Sono stanco che quella feccia di Gardeaux viva come un pezzo grosso nel suo castello. Sono stanco di pensare a Terence e all'inutilità della sua morte. Sono stanco di preoccuparmi per te. Voglio concludere il lavoro e tornare a casa». Le baciò la fronte. «È l'ultima occasione, Nell. Tutto questo vale la pena, per te?» «Che momento per chiedermelo. Conosci la risposta.» «Tuttavia, te lo chiedo.» «Mi stai offrendo una via d'uscita. Non la voglio.» Nell incontrò il suo sguardo. «Loro hanno ucciso mia figlia, deliberatamente e con malvagità. Le hanno tolto la vita, come se lei non valesse niente, e l'hanno fatta franca. Continueranno a uccidere e a fare del male a persone innocenti, finché...» Si interruppe. «No, non lo faccio perché temo che facciano del male a qualcun altro. Non sono così motivata dal benessere generale. È Jill. È sempre stata Jill.» «D'accordo, pensavo che la tua risposta sarebbe stata questa. Ma, se vedi che tutto va a rotoli, scappa. Mi hai sentito?» «Ti ho sentito.» «Ma non ti vuoi impegnare. Lascia che te lo dica in un altro modo. Se resterai uccisa a Bellevigne, Gardeaux e Maritz vivranno e nessuno pagherà mai per la morte di Jill.» Nell trasalì per il dolore.
«Sapevo che questo avrebbe colpito nel segno.» Si alzò in piedi, e si diresse alla porta. «Undici e quarantacinque. Non fare tardi.» 18 Notte di Capodanno, ore 22.35 Gardeaux sembrava un affabile uomo politico, brillante, maturo e splendidamente azzimato nel suo costume rinascimentale verde e oro. Stava sorridendo gentilmente a sua moglie, ignorando l'orda di persone influenti che lo circondavano. Affascinante. Guardandolo, Nell non avrebbe mai immaginato che la sua amante fosse proprio dall'altra parte della stanza... o che lui fosse un assassino di bambini. «Che cosa stai fissando?» sibilò Celine Dumoit, passando accanto a Nell. «Non ti abbiamo portata a Bellevigne per startene in un angolo con aria assorta. Vai in giro. Sfoggia l'abito di Jacques.» «Mi dispiace, signora.» Nell appoggiò il suo bicchiere di vino sul vassoio di un cameriere di passaggio e si tuffò nella calca. Nel suo abito rinascimentale si confondeva perfettamente tra la folla in costume. La ressa era tale che si sarebbe persa in mezzo a essa nel giro di pochi secondi e avrebbe potuto tornare a fuggire nell'oscurità. Ancora venticinque minuti e Nicholas sarebbe stato lì. La stanza era troppo calda e la musica assordante. Guarda Gardeaux. Guarda l'assassino di bambini. Come poteva sorridere in quel modo, quando aveva intenzione di uccidere Nicholas prima dello scoccare dell'ora? Oh, Dio, aveva paura. Gardeaux si stava scostando da sua moglie, tendendo la mano, mentre un sorriso di benvenuto gli illuminava il volto. Un uomo si dirigeva verso di lui. Un uomo piccolo, che sembrava un po' a disagio nel suo smoking nero. Nell rimase paralizzata per lo choc. Kabler? Anche Kabler sorrideva. Prese la mano di Gardeaux e gliela strinse. Non Kabler. Lui l'odiava. Kabler non poteva essere lì. Era lì, invece, e trattava Gardeaux come se fossero i migliori degli amici.
Ma lui era un poliziotto. Doveva essere sotto copertura o qualcosa del genere. Nell si avvicinò lentamente, lo sguardo fisso sui due uomini. Gardeaux stava presentando Kabler a sua moglie. Il suo buon amico Joe Kabler, capo dell'Antinarcotici americana. Sapeva chi era Kabler, il suo buon amico. Il denaro può comperare chiunque, aveva detto Nicholas. Nell non aveva pensato che potesse comperare Kabler. Lui stava sorridendo alla moglie di Gardeaux e mormorava qualcosa a proposito della bella festa e di quanto fossero stati gentili a invitarlo. Il suo sguardo vagò distrattamente per la stanza. Oh, sì, apparteneva a Gardeaux. E poteva identificarla. Il cuore le balzò in gola per il panico. Che cosa stava facendo ferma lì? Si voltò in fretta, allontanandosi da loro, e si diresse alla porta. L'aveva vista? Nell aveva paura di guardarsi alle spalle. Al massimo avrebbe potuto vedere la sua nuca e il suo profilo. Al massimo? Sarebbe bastato. Avevano passato ore assieme. Nell si lanciò fuori dalla porta, nell'atrio. Vi prego. Fate che non mi abbia vista. Si precipitò giù dalla scala d'ingresso, nel cortile, e arrischiò un'occhiata alle spalle. Kabler si stava facendo strada tra la folla nell'atrio con l'espressione cupa. La raggiunse, quando lei arrivò in fondo alla scala, e la fece voltare di scatto. «Mi lasci andare.» Nell alzò gli occhi a guardarlo torva. «C'è della gente a meno di sei metri da noi. Potrei chiamare aiuto.» «Ma non lo farà. Non vorrà mandare in fumo qualunque cosa sia qui a fare. L'avevo avvertita di restare lontana da Tanek. Guardi che cosa le ha fatto.» Il suo tono era addolorato. «Non voglio che le facciano del male. Ci rinunci. Posso ancora salvarla.» «Intercedendo presso il suo amico Gardeaux?» chiese lei con asprezza. «Quel sudiciume non è mio amico e non presterebbe attenzione a nessuna supplica, se sapesse chi è lei.» «Non glielo ha detto?» «Ho detto di avere visto qualcuno che conoscevo. Non voglio che lei muoia, Nell. Lasci che Tanek venga ridotto al silenzio. È solo sudiciume,
come gli altri.» «E che cosa è lei?» Kabler sussultò. «Non potevo più lottare con loro. Era andata avanti troppo a lungo. Quel giorno sono tornato a casa dall'Idaho e ho trovato di nuovo ad aspettarmi l'uomo di Gardeaux. E anche il dottore del mio bambino. Mio figlio ha la leucemia. Merita le cure migliori e ora posso dargliele. Non si può sconfiggerli. Hanno troppo denaro e troppo potere. Nessuno può sconfiggerli.» «E così si è unito a loro. Quanto la paga, Kabler?» «Abbastanza. Mia moglie sta finalmente avendo alcune delle cose che merita. I miei ragazzi andranno in buone scuole e avranno un futuro. Sarò in grado di dare loro tutto ciò di cui avranno bisogno o che vorranno.» «Che bello da parte sua. Io non ho più una figlia. Gardeaux me l'ha uccisa.» «Ma lei è viva. Voglio che lo resti. Lei non è come loro.» «Sono come lei?» Lui annuì. «Non importa quel che ne è di loro. Non mi è importato di Calder o di quella donna. Erano sudici come Gardeaux.» Nell lo fissò scioccata. Non aveva fatto il collegamento. «È stato lei a ucciderli?» Kabler scosse il capo. «Io ho solo detto a Gardeaux dove trovarli. Lui voleva che prima la portassi là, in modo che potessi sostenere di essere stato seguito.» Sorrise sarcastico. «Mi trovo in una posizione estremamente preziosa e non voleva che venisse messa in pericolo.» «Mi ha usata. Ha fatto la stessa cosa di cui accusava Nicholas.» «Aveva il diritto di sapere di Calder.» «E come spiegherà la sua presenza qui questa sera? I suoi uomini sanno che cosa è Gardeaux.» «Sto solo cercando di ottenere delle informazioni. Faccio solo il mio lavoro.» Kabler si diede un'occhiata alle spalle. «Siamo rimasti fuori troppo a lungo. Tanek dovrebbe arrivare da un momento all'altro e non la voglio nei paraggi.» «Ha intenzione di aiutarlo a uccidere Nicholas?» «Non devo aiutarlo. Non è per questo che sono qui. Gardeaux ha voluto che venissi per scongiurare qualunque danno Nicholas potesse infliggere alla sua immagine.» Kabler la prese per un braccio. «La porterò nella mia stanza e resterò lì con lei. Quando tutto sarà finito, la lascerò andare per la sua strada.»
Quando tutto sarà finito. Quando Nicholas fosse morto. «E se non volessi venire con lei?» «Allora dovrò dire a Gardeaux chi è lei. E lui ucciderà non solo Tanek, ma anche lei.» Kabler aggiunse gentilmente: «Io non voglio fare questo, Nell. Voglio che lei ne esca tutta intera. Vuole venire con me?» Non stava bluffando. L'avrebbe detto a Gardeaux. Voleva salvarla, ma l'avrebbe lasciata morire piuttosto che compromettere la sua complicità con Gardeaux. «Verrò.» Lui le fu immediatamente al fianco, tenendola per il gomito mentre entravano nell'atrio. «Ho una pistola nella fondina, sotto la giacca di questo costume da scimmia. Ho pensato solo di farglielo sapere.» La guidò verso lo scalone. «Sorrida», mormorò. Nell diede un'occhiata all'orologio a pendolo accanto alla porta della sala da ballo. La sua mano si strinse sul corrimano. Le dieci e cinquantacinque. Ore 23.10 Quattro persone scesero dalla limousine, quando questa si fermò appena dentro il cortile: due donne in sontuosi abiti rinascimentali sotto mantelli di velluto e i loro cavalieri in smoking. Chiacchiere. Risate. L'occasione perfetta per Nicholas di mescolarsi alla folla. Uscì dall'ombra sotto gli alberi e attraversò rapidamente il fossato. Si accodò alle spalle dei quattro ospiti, mentre loro attraversavano lentamente il cortile. «Ah, Tanek, eccoti.» Gardeaux stava sulla scala d'ingresso. Non stava guardando gli ospiti, ma Tanek. «Ti aspettavo.» Nicholas si fermò di colpo, poi si spostò più vicino al gruppo di ospiti. «Non riesco mai a resistere a una festa.» «Temo che dovrai perdere questa.» Fece un gesto e i quattro partecipanti alla festa si divisero come il Mar Rosso. «Sembra che ti manchi l'avanguardia.» Nicholas guardò i quattro tornare in fretta verso la limousine. «Gente tua?» «Naturalmente. Pensavi che non potessi neutralizzare una manovra tanto semplice? Mi hai detto l'ora del tuo arrivo e io ho solo dovuto tendere la trappola. Non potevo davvero lasciarti entrare nella sala da ballo. Avresti potuto rendermi le cose imbarazzanti.» Lanciò una rapida occhiata al suo
scagnozzo. «Rivil, scorteremo il signor Tanek all'auditorio. Ricordi Rivil, Tanek?» «Come potrei dimenticarmene?» Nicholas osservò Rivil scendere la scala. «Ha avuto un forte impatto su di me.» Rivil era seguito da un uomo più piccolo. Marple, riconobbe Nicholas, un depravato, abile con la garrotta, di riflessi eccellenti. Gardeaux aveva convocato i sicari più abili. «Che orribile gioco di parole», disse Gardeaux. «Ma sono contento che tu non sia troppo turbato. Renderà le cose più interessanti, se non andrai in pezzi.» Il suo sguardo si fissò sulla spada avvolta nel fodero di pelle che Nicholas teneva in mano. Una traccia di eccitazione gli apparve sul viso. «È quella?» Nicholas annuì. Gardeaux scese in fretta la scala e prese la spada. «Tutta quest'agitazione per niente. Sei fuori esercizio, Tanek.» Cominciò a sfoderare la spada, poi si fermò. «Portiamolo via da questo cortile.» «E se decidessi di non venire?» «Allora Rivil ti colpirà alla testa e ti porteremo noi.» Gardeaux si avviò verso l'auditorio. «Semplice.» Era inutile protestare oltre. Gardeaux lo conosceva abbastanza bene da non aspettarsi un'inutile resistenza. Nicholas lasciò che Rivil e Marple lo accompagnassero verso l'auditorio. Ore 23.20 Gardeaux strappò l'involucro in pelle non appena entrò nell'auditorio. Sollevò la spada alla luce. «Splendida», mormorò. «Magnifica. Posso sentirne il potere.» La accarezzò amorevolmente, prima di scendere giù per il lungo corridoio verso il palco e la passerella. «Portatelo qui. Non hai mai visto il mio auditorio, vero? I più grandi spadaccini d'Europa hanno gareggiato qui, questo pomeriggio. Ma non Pietro. Anche se probabilmente avrebbe potuto batterli tutti.» Gardeaux si fermò davanti alla passerella e indicò con un gesto l'alto e snello schermidore che vi stava ritto sopra. «Posso presentarti Pietro Danielo?» L'uomo sembrava del tutto anonimo nel costume bianco da schermidore e la maschera a rete. «Aspettavo da molto tempo che voi due vi incontraste.» Offrì la spada di Carlomagno a Nicholas. «Ti darò anche la spada del conquistatore, per combatterlo. Questo ti dovrebbe portare fortuna.»
Nicholas ignorò la spada. «Non combatterò contro di lui. Non voglio divertirti, Gardeaux.» «Pietro, vieni qui.» Lo schermidore saltò giù dalla passerella e si diresse saltellando verso di loro, tenendo la spada davanti a sé. Rivil e Marple si scansarono da lui. «Mostra a Tanek la tua spada. Ultimamente ha sviluppato un certo interesse per armi del genere.» Pietro allungò la spada, finché fu solo a un pelo dal petto di Nicholas. «Osserva la punta, Tanek.» La punta d'acciaio scintillava umida sotto le forti luci del soffitto. «Coloño. Quando ho saputo che saresti venuto, me ne sono fatta spedire una scorta fresca da Medellín. Tutto ciò che Pietro deve fare è scalfire la pelle. Ti ricordi com'era piccola la ferita di O'Malley? Ma non è rimasta così, vero? Quasi subito intorno al taglio si è formata una piccola vescica. Era una massa di piaghe e di ulcere, quando è morto. Il virus lo ha divorato completamente.» Nicholas non riusciva a staccare gli occhi dalla punta della spada. «Ricordo.» «Se Pietro ti colpisce ora, non hai alcuna possibilità di difenderti. Prendi la spada. È un'arma. Sei un uomo intelligente. Sfrutta in tuo favore quest'opportunità.» «E, se vincerò, Rivil e Marple mi punteranno addosso una pistola e tu mi trafiggerai comunque con la spada di Pietro.» «Non ho detto che fosse un'occasione d'oro.» «Mentre tu stai lì seduto come un dio a guardare compiersi la tua volontà.» «Non c'è emozione che la eguagli», disse Gardeaux. Porse di nuovo la spada a Tanek. «Prendila.» Pietro avvicinò la sua spada fin quasi a sfiorare la camicia sul petto di Nicholas. «Prendi la spada», disse Gardeaux in tono suadente. Le cose si stavano muovendo troppo in fretta, pensò Nicholas. Aveva altri venticinque minuti, prima che Nell spegnesse le luci. «Non vorrai morire così», disse Gardeaux. A Nicholas tornò alla mente l'immagine di Terence che si contorceva per il dolore. Indietreggiò d'un passo dalla spada di Pietro. «Certo che no.» Allungò una mano a prendere la spada che Gardeaux gli stava tendendo. Si voltò e saltò sulla passerella. «Diamoci da fare.»
Ore 23.35 Nell aprì le tende in velluto davanti alla finestra con uno strattone. Nell'auditorio era accesa una luce. La sua mano si strinse sulla tenda. Ora Nicholas era lì. Gardeaux l'aveva portato lì per ucciderlo. «Si allontani dalla finestra», disse Kabler dall'altra parte della stanza. Lei si voltò di scatto a guardarlo. «Non può fare questo. Lui è lì. Sa che cosa gli faranno?» «Non ho chiesto i particolari.» Kabler la studiò un momento. «Mi dispiace, ma mi sembra pronta un po' a tutto. Temo che dovrò prendere delle precauzioni.» Estrasse la pistola dalla fondina e la puntò contro di lei. «Adesso torni qui a sedersi. Io non sono come Calder... conosco le sue capacità. Non mi prenderà di sorpresa.» «È pronto a uccidermi lei stesso?» «Non desidero farlo.» «Ma lo farebbe. Questo non la rende un sudiciume, come lei definisce Gardeaux?» Le labbra di Kabler si strinsero. «Non sarò mai come lui.» «Lo sarà, se mi uccide.» Nell si mosse deliberatamente verso la porta. «Ma non credo che lo farà.» «Stia lontana da quella porta.» «Forse mi lascerà uccidere da Gardeaux, ma non lo farà di persona. Noi siamo simili, non siamo come loro.» Nell fece volutamente leva sulla sua razionalità. «Non c'è modo di giustificare con se stesso di avermi uccisa.» «Si fermi dov'è. Non posso lasciarla andare.» Non poteva fermarsi. Il panico stava aumentando vertiginosamente dentro di lei. La sua mano si chiuse sulla maniglia. Lui mormorò un'imprecazione e si lanciò attraverso la stanza. Nell si voltò di scatto e gli assestò un rapido calcio all'addome. Lui gridò e si piegò in due. Un altro calcio all'inguine, un colpo alla nuca con il taglio della mano. Kabler era fuori combattimento, ma ancora conscio. Doveva essere tolto di scena. Nell prese la pistola, che lui aveva lasciato cadere al primo atterramento, e lo stordì con il calcio dell'arma. Lui crollò a terra. Nell aprì la porta e si precipitò lungo il corridoio e giù dalle scale. I suoi
occhi volarono all'orologio. Le undici e cinquanta. Non c'era il tempo di eliminare la guardia all'auditorio. Non c'era il tempo di spegnere le luci e di dare a Nicholas l'oscurità che gli occorreva. Era troppo in ritardo. Ore 23.51 Dove diavolo era? Pietro fece un allungo verso Nicholas, quasi toccandolo con la punta della spada, poi si allontanò leggero con un bel gioco di gambe. Lo schermidore lo stava solo stuzzicando, mettendo in scena una bella esibizione per il divertimento di Gardeaux. Avrebbe potuto trafiggerlo con la punta della spada una dozzina di volte, negli ultimi dieci minuti. Nicholas era goffo come un orso nel brandire una spada, schivando l'avversario e tentando di non restare ferito. Arrischiò un'occhiata all'orologio dell'auditorio. Le undici e cinquantadue. «Ti stai stancando, Tanek?» chiese Gardeaux dalla prima fila. Nicholas bloccò il successivo affondo di Pietro e indietreggiò. «Pensavo che fossi più forte», gridò Gardeaux. «Pietro può andare avanti per ore.» Le undici e cinquantatré. Non poteva più aspettare. Nicholas abbassò la sua spada. «Ti arrendi? Sono deluso. Pensavo...» Nicholas sollevò la spada e la lanciò contro Pietro come una lancia. L'uomo gridò, quando la spada gli colpì la parte alta della coscia, rimbalzando poi per terra. Nicholas si buttò a capofitto dalla passerella e si mise a correre verso il sedile del corridoio, dove Nell aveva nascosto la pistola. Un proiettile gli passò sibilando accanto alla testa. «Fermatelo, non sparategli, stupidi.» No, a quel punto, Gardeaux non voleva essere defraudato. Nicholas allungò una mano sotto il sedile e tirò fuori la Magnum. Loro conversero su di lui prima che Nicholas potesse sollevare la pistola. Rivil lo afferrò e gliela strappò di mano. Gardeaux stava in piedi davanti a lui. Sorridendo. Probabilmente aveva sorriso così anche all'impotenza di Terence, pensò
Nicholas. Fu lacerato da un impeto di odio. «Figlio di puttana.» Si lanciò all'insù e sferrò un pugno sulla faccia di Gardeaux. Rivil colpì Nicholas allo stomaco con un calcio. Marple gli assestò un colpo sulla tempia. Cadde a terra, lottando per non sprofondare nel buio. Il volto di Gardeaux era sopra di lui. Aveva il labbro spaccato e sanguinante e non sorrideva più. «Uno di voi prenda la spada di Pietro.» Rivil andò verso il palco. Nicholas si sforzò di alzarsi in piedi e Gardeaux gli mise un piede sul petto per tenerlo giù. «Ti senti impotente, Tanek? E sei tanto spaventato da avere voglia di vomitare?» Prese la spada di Pietro dalle mani di Rivil. «Non è niente in confronto a come ti sentirai tra qualche giorno.» Posizionò la spada sopra la spalla sinistra di Nicholas. «Non troppo a fondo. Non voglio che tu muoia troppo presto.» Nicholas poteva vedere la punta della spada luccicare, mentre scendeva verso di lui. Gardeaux affondò la spada nella sua spalla. Nicholas strinse i denti per trattenere un urlo, mentre uno spasimo di dolore lo lacerava. Gardeaux estrasse la spada. Nicholas chiuse gli occhi, mentre il sangue caldo gli sgorgava a fiotti dalla spalla. «Buon anno!» Gardeaux si voltò di scatto verso la porta dall'altra parte dell'auditorio. La gente si stava riversando all'interno. Gardeaux sbarrò gli occhi sbalordito, quando l'orchestra cominciò a suonare Auld lang syne, muovendosi lungo il corridoio verso il palco. «Che cosa diavolo sta succedendo?» La gente gettava in aria i coriandoli e suonava le trombette. «Buon anno!» «Mio Dio, c'è il Primo ministro.» Gardeaux gettò un'occhiata su Nicholas. «Rivil, portalo fuori di qui! Dall'uscita opposta. Non l'hanno ancora visto.» Asciugò con cura la spada di Pietro e la fece scivolare sotto la fila di poltrone vicina a lui. Poi prese un fazzoletto dalla tasca e si tamponò leggermente il labbro spaccato. «Marple, la spada di Carlomagno è sulla passerella. Di' a Pietro di prenderla, prima che uno di quegli stupidi la trovi.» Si incollò un sorriso sul volto e si avviò verso le ondate di ospiti che stavano affluendo nell'auditorio.
Rivil tirò in piedi Nicholas, semitrascinandolo verso l'uscita. All'improvviso Nell fu lì davanti a loro. «Lo porterò io.» Rivil tentò di scostarla. «Ho detto che lo porterò io.» Nell sollevò una pistola dalle pieghe del suo abito. La sua voce era tremante. «Lascialo andare, bastardo.» Rivil scrollò le spalle e tolse il braccio da quelle di Nicholas. «Lo prenda. Gardeaux ha detto solo che lo voleva fuori di qui. Ha finito con lui. Ormai non gli importa chi lo farà uscire.» E si avviò a lunghi passi verso la folla che aveva circondato Gardeaux. Nell mise un braccio intorno al torace di Nicholas e gettò quello di lui sopra le sue spalle. «Appoggiati a me.» «Non ho molta scelta. Non mi sento molto bene.» «Mi dispiace», mormorò lei. Le lacrime le scorrevano lungo le guance. «Ho tentato... Kabler... Non ho potuto...» «Mi gira troppo la testa per capire bene il senso di quello che stai dicendo. È meglio che tu me lo dica più tardi.» Nicholas si guardò alle spalle. «Ma perché diavolo è qui, tutta questa gente?» Nell aprì la porta d'uscita. «Ero troppo in ritardo», spiegò convulsamente. «Non riuscivo a pensare a un modo per sbarazzarmi della guardia fuori dall'auditorio e arrivare da te in tempo. Così sono corsa sul palco dell'orchestra e ho annunciato che Gardeaux voleva festeggiare il nuovo anno nel posto dove gli atleti avevano ottenuto i loro più grandi trionfi. La folla ha semplicemente trascinato dentro la guardia con sé. È stato tutto quello che sono riuscita a pensare di fare.» «Brava.» «Non sono stata brava», disse lei con furia. «Sono arrivata troppo tardi. Loro ti hanno ferito. Quanto è grave?» «Un colpo alla testa. Una spada mi ha trapassato una spalla.» Nell inspirò bruscamente. «Spada? La spada di chi?» «Di una persona molto sgradevole. Pietro. Penso che sia meglio che mi porti in un ospedale.» «Oh, Dio.» Nicholas stava diventando più confuso di momento in momento. «Portami solo da Jamie. D'accordo?» Lei annuì e lo aiutò ad attraversare il cortile. Le guardie al ponte levatoio non li fermarono neppure, quando si avviarono attraverso il ponte. «Avevi detto che avrei dovuto sbarazzarmi di loro», disse Nell con voce piatta. «Non sembra che se ne curino.»
«Neppure Gardeaux.» Il braccio di Nell si strinse intorno a lui. «Che sia dannato all'inferno.» Stava soffrendo e Nicholas desiderava confortarla. Ma non poteva farlo. Più tardi. L'avrebbe fatto più tardi. Il pronto soccorso dell'ospedale Nostra Signora della Misericordia era pieno zeppo e il dottor Minot, il medico interno responsabile, non era in vena di ascoltare le richieste di Nicholas. «La ferita non è profonda, signore. La cureremo con antibiotici e un'iniezione antitetanica. Non c'è alcun bisogno di mettere un campione di sangue sotto un microscopio.» «Lo faccia comunque per me», disse Nicholas. «Sa come siamo ipocondriaci noi uomini.» «Non abbiamo tempo per essere indulgenti, qui. Se vuole, ne manderemo un campione al laboratorio. Tornerà indietro tra un paio di giorni.» «Mi occorre subito.» «Impossibile. Non posso fare...» Nell fece un passo in avanti fino a trovarsi a pochi millimetri dal medico interno. «Lei lo farà.» I suoi occhi lo fissarono fiammeggianti. «Prenderà quel campione adesso. Non domani, subito.» Il giovane medico fece involontariamente un passo indietro e poi le rivolse un sorriso forzato. «Ma naturalmente, qualunque cosa per fare piacere a una donna tanto incantevole.» «Quanto ci vorrà?» «Cinque minuti. Non di più.» Il medico batté rapidamente in ritirata. Nicholas le rivolse uno stanco sorriso. «Che cosa gli avresti fatto?» «Qualunque cosa. Da castrarlo ad andare a letto con lui.» Nell si sedette sul letto. «Come ti senti?» «Protetto.» «Non ti ho protetto molto a Bellevigne.» «Le cose accadono. Tu non ti aspettavi Kabler. E neppure io. Dov'è Jamie?» «Ancora nella sala d'attesa. Hanno lasciato entrare solo uno di noi con te. Mìnot sarà in grado di dire quanto gravemente tu sia infettato?» Nicholas annuì. «I microbi sono piuttosto strani. Non si può non vederli sotto un microscopio.» «E che cosa faremo, allora?» Lui evitò la domanda. «Non contiamo i nostri microbi prima...» «Taci.» La voce di Nell tremava. «Non azzardarti a scherzare in questo
momento.» «D'accordo.» Nicholas sorrise. «Aspetteremo.» Il medico interno non tornò entro cinque minuti. Li fece aspettare quindici minuti. Quando rientrò nella stanza, aveva l'aria accigliata. «Fatto. Niente di anormale. Una completa perdita di tempo. Spero che sarete soddisfatti.» Nell lo fissò, sbalordita. «Completamente normale?» chiese Nicholas. «Completamente.» Nicholas si lasciò ricadere all'indietro sui cuscini. «Grazie a Dio.» «Ora le prescriverò degli antibiotici e un blando sedativo per possibili...» «Mi occorre un telefono», disse Nicholas, tirandosi di nuovo a sedere. «Non ce ne sono qui dentro.» «Potrà usarne uno dopo che avrò...» diede un'occhiata a Nell e disse: «Gliene farò portare uno dall'infermiera». E uscì dalla stanza. «Com'è possibile?» mormorò Nell. «Che cosa è successo? È un miracolo.» «Non è un miracolo.» Nicholas afferrò il ricevitore e compose il numero di Gardeaux, mentre l'infermiera inseriva il telefono. «È qualcosa di molto più meschino.» Quando Nicholas venne messo in comunicazione con Gardeaux, lui si trovava ancora nell'auditorio. La festa andava avanti da ore e non c'era segno che stesse rallentando il ritmo. «Volete scusarmi?» chiese Gardeaux, quando gli venne portato il telefono portatile. «Chiunque chiami a quest'ora, potrebbe avere bisogno di aiuto.» «O di un altro bicchiere.» Il Primo ministro rise. «Gli dica di venire alla festa. Lei ha il migliore vino di Francia.» Gardeaux sorrise, mentre si spostava in una zona più tranquilla. Avrebbe potuto ignorare la telefonata di Tanek, ma non voleva negarsi questo piacere. «Che cosa c'è, Tanek?» chiese. «Ti stai lasciando prendere dal panico? È inutile supplicare. Lo sai che non esiste un antidoto.» «Volevo solo dirti che la spada di Carlomagno è un falso.» Una vampata d'ira attraversò Gardeaux. «Lo diresti anche se fosse autentica.» «È stata forgiata con maestria da Hernando Armandariz, a Toledo. Puoi controllare.»
Gardeaux trasse un respiro per mantenere la calma. «Non m'importa della spada. Ho vinto ugualmente. Sei un uomo morto. Adesso, se vuoi scusarmi, devo ritornare dai miei ospiti.» «Non ti tratterrò più a lungo. Volevo solo dirti di aspettare un referto medico dal Nostra Signora della Misericordia per corriere, domani.» Nicholas fece una pausa. «E di andarti a guardare allo specchio.» E riagganciò. Gardeaux aggrottò le sopracciglia, fissando il telefono. Tanek era decisamente troppo enigmatico. Naturalmente, non sarebbe andato a guardarsi allo specchio. Avrebbe dovuto vedersi come una specie di mostro, per quello che aveva fatto? Era lui, quello che aveva trionfato. Non c'era ragione perché lui... Nello specchio della stanza da bagno il suo riflesso era in tutto e per tutto quello che doveva essere. L'immagine di un uomo di successo e potente, un conquistatore. Fece per allontanarsi, poi girò di scatto. La luce era caduta sul taglio sul labbro, che Nicholas gli aveva fatto, quando si era lanciato a colpirlo. Intorno al taglio c'era l'inizio di una piccola vescica. Gardeaux emise un urlo. «Coloño?» Nell scosse il capo, sconcertata, mentre aiutava Nicholas a salire sulla macchina fuori dall'ospedale. «Gardeaux ha il coloño? È pazzesco. Non capisco.» «Ha funzionato?» Jamie si voltò a guardarli dal sedile di guida. Un sorriso felice gli illuminò il viso. «Hai abbattuto quel bastardo?» «Ci puoi scommettere.» Nicholas si appoggiò all'indietro sul sedile. «Domani controlleremo, ma giurerei che in questo momento si starà recando al più vicino ospedale.» «Com'è successo?» chiese Nell. Nicholas tirò fuori il suo fazzoletto e si tolse cautamente l'anello con sigillo dal dito medio. «Una versione moderna dell'anello con il veleno del Rinascimento. Ho pensato che fosse adatto, dal momento che Gardeaux è tanto interessato a quel periodo.» Depose l'anello nel fazzoletto e legò i quattro angoli, prima di metterlo nel portacenere della macchina. «All'impatto l'iniziale al centro viene compressa permettendo al veleno di uscire.» Nell rabbrividì, realizzando che Nicholas aveva portato quell'anello per tutto il tempo in cui aveva lottato con gli uomini di Gardeaux. «Sono stato attento.» Lo sguardo di Nicholas era fisso sul suo viso e
leggeva i suoi pensieri. «Sei stato fortunato», disse lei. «Ma dove ti sei procurato il coloño?» «Nello stesso posto in cui Gardeaux si era procurato il suo. A Medellín. Da Paloma e Juarez.» Paloma e Juarez. I soci di Sandequez nel cartello della droga. «Ti hanno dato il veleno per uccidere il loro stesso socio?» «Non subito. Ho passato due settimane a Medellín, ad aspettare sui carboni ardenti la loro decisione. Avrebbe potuto andare in entrambi i modi. Fino all'ultimo minuto di questa notte.» Appoggiò stancamente il capo all'indietro contro il sedile. «Tutto si era chiarito e io dovevo sfruttare la situazione a mio vantaggio. Pensavo che la morte di Sandequez potesse essere la chiave, così sono andato a Parigi e ho messo sotto pressione Pardeau. Lui aveva registrato il denaro della ricompensa passato dalle mani e della squadra antinarcotici colombiana a Gardeaux. Gli ho detto che stavo andando a Medellín e che doveva scegliere se preoccuparsi di Gardeaux o dell'intero cartello colombiano della droga. Lui mi ha lasciato prendere i libri contabili.» «E li hai portati a Paloma e Juarez per provare che Gardeaux aveva ucciso Sandequez?» «A loro non ha fatto piacere. L'unità è tutto per loro. È il modo in cui riescono a sopravvivere. Se Gardeaux aveva ucciso Sandequez, chi poteva affermare che non avrebbe attaccato lentamente la struttura stessa del loro potere, uccidendo con comodo entrambi? D'altra parte, è una cattiva politica ammettere un disgregamento dei ranghi; inoltre, Gardeaux era stato prezioso per loro. Avrebbe potuto valere il rischio che rappresentava, continuare a tenerlo.» «Ma hanno deciso di non farlo?» «Ho detto loro che avrei provveduto io alla faccenda per loro. Se un estraneo avesse ucciso Gardeaux, questo avrebbe risolto il loro problema principale. Dopo due settimane mi hanno comunicato di avere deciso di mettersi d'accordo con me. Gardeaux aveva richiesto una nuova partita di coloño e loro si sarebbero assicurati che il siero venisse scambiato e fosse sostituito da un liquido innocuo. Mi hanno dato l'anello con il veleno, mi hanno fatto i loro migliori auguri e mi hanno mandato per la mia strada.» «Allora perché non me lo hai detto?» chiese amaramente Nell. «Perché poteva trattarsi di una bugia. C'era la possibilità che mi avessero mandato a Bellevigne a morire, che non avessero scambiato il siero per darmi una possibilità. Che non ci fosse coloño nell'anello. Oppure che ci
fosse nell'anello, ma anche sulla spada di Pietro. Che potessero sbarazzarsi di entrambi. C'erano troppe variabili in gioco.» «Perché ho dovuto nascondere la pistola, se avevi l'anello?» «Per sicurezza. Sapevo che i suoi uomini non mi avrebbero lasciato avvicinare a Gardeaux. È per questo che volevo che tu spegnessi le luci. Pensavo di fare la mossa allora.» Ma lei non gli aveva dato quella possibilità. «Non sono riuscita ad arrivare lì in tempo.» «Avevo sempre la pistola che avevi nascosto. L'ho usata come minaccia, per farlo avvicinare quanto bastava.» Nicholas scosse il capo. «Ho rischiato di non farcela.» «Ma ci sei riuscito», disse Jamie. «E che cosa accadrà adesso? Gardeaux ti darà la caccia?» «Nel giro di ventiquattr'ore smetterà di preoccuparsi di chiunque, tranne che di se stesso.» «Dove andiamo? Al villino?» «No», disse in fretta Nell. «Non al villino. Voglio tornare a Parigi.» Nicholas annuì. «Va bene lo stesso, Jamie. Voglio che tu porti via da Parigi Pardeau per qualche giorno, finché non saremo sicuri di Gardeaux. Ho promesso di proteggerlo.» «Certo, proteggiamo a tutti i costi tutte le bestie e gli idioti in mezzo a noi», disse Nell. Jamie le diede una cauta occhiata e avviò la macchina. «Sono in guai seri?» chiese Nicholas a bassa voce. Nell non rispose. Nicholas chiuse gli occhi. «Allora, penso che sia meglio che riposi e recuperi le forze. Svegliatemi, quando arriveremo a Parigi.» Nell sbatté la porta del suo appartamento alle loro spalle. «Vai a letto. Io andrò in farmacia a farmi dare le medicine prescritte.» «Non è necessario.» «È necessario. Oppure credi che non sia capace di fare neppure questo?» Nicholas sospirò. «Ci siamo.» «Avresti dovuto lasciare che ti aiutassi.» «Te l'ho lasciato fare.» «Avresti potuto dirmi del coloño. Avresti potuto mettermi al corrente.» «Sì, avrei potuto farlo.» Nicholas attraversò la stanza e l'afferrò per le spalle. «La ragione per cui non ho voluto che mi aiutassi con il virus, è che
non ti volevo vicino a quella robaccia. Ho visto quello che ha fatto a Terence. Non potevo sopportare il pensiero che tu ci andassi anche solo vicina.» «Preferivi correre il rischio in prima persona. Come pensi che mi sia sentita, quando mi hai detto che la ferita era...» «Come ti sei sentita, Nell?» «Lo sai.» «Voglio che tu me lo dica. Per una volta, dimmelo, Nell.» «Mi sono sentita colpevole, spaventata e...» «Non volevi perdermi.» «D'accordo, non volevo perderti.» «Perché?» «Perché mi sono abituata a te, perché tu...» «Perché?» «Perché ti amo, dannazione.» Nell affondò il viso nel petto di Nicholas. «E questo mi fa soffrire. Non ho mai voluto che questo accadesse. Non avrebbe dovuto accadere. Ho lottato contro questo sentimento con tutte le mie forze. Tu sei l'ultima persona... Tu, con i tuoi dannati cancelli. Morirai, com'è morta Jill. Non posso sopportare il pensiero che questo accada di nuovo.» «Tutti moriamo. Non posso prometterti di vivere per sempre.» Le braccia di Nicholas si strinsero intorno a lei. «Ma posso promettere di amarti finché avrò vita.» «Questo non basta. Io non lo voglio. Mi senti?» Nell lo spinse via. «Oh, vai a letto. Non voglio più guardarti. Andrò a prendere le tue medicine.» Afferrò la borsa dal tavolo e si diresse alla porta. «E questo non significa niente. Non permetterò... Lo supererò.» «Non contarci.» Nicholas sorrise. «Penso che la cosa migliore che possiamo fare sia accettarlo e assorbire il colpo.» Lei sbatté la porta alle sue spalle e si fermò all'esterno, ad asciugarsi le guance umide con il dorso della mano. Accettarlo? Non poteva farlo. Si era sentita andare in pezzi, quando aveva visto Nicholas ferito, quando aveva pensato che potesse morire. Tutto il dolore che l'aveva quasi distrutta, quando aveva saputo della morte di Jill, era tornato all'improvviso e l'aveva quasi sopraffatta. Non poteva affrontare di nuovo quell'esperienza. Non avrebbe mai potuto accettarlo. 19
Parigi, 2 gennaio «Gardeaux si è registrato all'ospedale ieri mattina», annunciò Jamie, entrando nell'appartamento e agitando un giornale. «Soffre di una malattia tenuta segreta e le sue condizioni sono considerata critiche.» Sogghignò. «Che triste notizia, dopo il successo della sua Festa rinascimentale.» «E che mi dici di Kabler?» Jamie si strinse nelle spalle. «Di lui non ho notizie. Scommetto che sta tornando a Washington, tentando di decidere come pararsi il sedere.» «Deve sapere quello che è successo a Gardeaux. Può danneggiarti?» chiese Nell a Nicholas. «Sarebbe uno stupido a tentare di farlo, adesso che ho i libri contabili di Pardeau. Lui vi occupa un posto preminente.» «Un'altra polizza d'assicurazione?» «Combinata con i libri contabili di Pardeau, una polizza di platino.» «E Kabler continuerà a lavorare per la DEA?» «È un uomo scaltro. Dubito che verranno mai a sapere che lui è diventato sporco. Potrebbe finire con l'andare in pensione con un orologio d'oro.» Nell scosse il capo. «Non possiamo ottenere tutto», disse Nicholas in tono pacato. «Non posso distruggerlo. Ci occorre il suo silenzio.» «Ma possiamo prendere Maritz», disse Jamie. «Ho sentito tra le notizie incontrollate, che potrebbe essere nel Sud della Francia. Qualcuno lo ha visto a Monte Carlo.» Nell si voltò a guardarlo. «Quando?» «Qualche giorno fa. Controllerò.» «Me lo farà sapere?» Lo sguardo di Nicholas si concentrò sul suo viso. «Non sei molto eccitata.» «Ho appena esaurito tutta la mia eccitazione», disse lei impassibile. «Ne ho provata troppa negli ultimi giorni.» Nell si alzò in piedi e si diresse al guardaroba. «Il che mi ricorda che devo restituire l'abito di Dumoit. Celine ha lasciato tre messaggi sulla segreteria telefonica. Starà per chiamare i poliziotti.» Tirò fuori l'abito, inzaccherato e macchiato di sangue, e fece una smorfia. «Potrebbe farlo comunque, quando vedrà come l'ho rovinato.» Drappeggiò l'abito sul braccio, afferrò la borsa e si diresse alla porta. «Tornerò tra qualche ora.»
«Non è a Monte Carlo. È qui», disse Tania con voce piatta, quando Nell la raggiunse per telefono da una cabina vicina al suo appartamento. «Non siamo lontani da Monte Carlo. Joel e io ci siamo andati a trascorrere la giornata.» «E lui ti ha seguita.» «Dappertutto. Sta diventando ansioso... e imprudente. Ieri l'ho visto.» «Dove?» «Sul lungomare. Solo per un secondo, un riflesso nella vetrina di un negozio.» «Hai sentito di Gardeaux?» «Sì. È davvero malato? Non era quello che mi aspettavo.» «Non era quello che mi aspettavo neppure io. Una sorpresa da parte di Nicholas.» Nell fece una pausa. «Presto?» «Molto presto. Voglio essere sicura che sia pronto a saltarmi addosso. Ti chiamerò. Non ti allontanare dall'appartamento.» «Non ci hai messo molto», osservò Nicholas, quando lei entrò dalla porta. «No.» Abbastanza per chiamare Tania. Abbastanza per noleggiare una macchina e parcheggiarla vicino all'appartamento. Presto. Sarebbe stato presto. «Ha urlato?» «Chi? Oh, la signora Dumoit?» «Chi altro?» La domanda era casuale, ma Nell imprecò contro se stessa per non essere stata più attenta. A Nicholas non sfuggiva niente. «Era furiosa.» Sorrise. «Ha detto che mi rovinerà. Non farò più la modella.» «Peccato. Immagino che dovrai dedicarti all'allevamento delle pecore.» Il sorriso di Nell scomparve. «Va tutto bene. Non diventare nervosa», disse Nicholas in tono pacato. «Lascerò perdere per il momento.» Nicholas si alzò in piedi. «Perché non andiamo fuori a pranzo? Non abbiamo mai pranzato in un locale pubblico. Sarà un'esperienza nuova.» Non ti allontanare. Nell scosse il capo. «Sono stanca. Preferisco mangiare in casa. C'è un negozio in fondo alla strada. Vuoi andare a prendere qualcosa?» Lui inarcò un sopracciglio. «Tutto quello che vuoi.»
Presto. 4 gennaio, ore 7.10 Quando il telefono squillò, Nell si alzò dal letto in un batter d'occhio e corse in salotto. «Oggi», disse Tania. «Partirò per il villino alle sei di questa sera. Dovrei arrivare lì per le otto. Non fare tardi.» «Non tarderò.» Era stata in ritardo a Bellevigne e aveva quasi perduto Nicholas. Niente l'avrebbe fermata, questa volta. «Ma, dopo che tu l'avrai trascinato allo scoperto, sarà mio.» «Vedremo.» «No. Non ne hai alcun diritto. Lui è mio. Tu hai fatto la tua parte. Sei fuori.» «Non mi piace...» «Ha ucciso mia figlia.» Ci fu un silenzio dall'altra parte della linea. «D'accordo, ne sono fuori.» Tania riattaccò. Nell tornò a letto e si infilò sotto le coperte. «Chi era?» chiese Nicholas. Lei non rispose. Gli aveva già mentito. Non voleva farlo di nuovo. «Hanno sbagliato numero?» Lei annuì e si rannicchiò più vicina. Nicholas non pensava che avessero sbagliato numero, ma le stava dando una via d'uscita. Sospettava qualcosa, ma non l'avrebbe mai costretta a dirglielo. Non era il suo stile. L'avrebbe tenuta d'occhio e avrebbe aspettato. «Vorrei fare l'amore con te, Nicholas», mormorò. «Se non ti dispiace.» «Hai detto la stessa cosa la prima volta che sei venuta da me.» Si voltò e la prese tra le braccia. «Non mi dispiace. Non mi dispiacerà mai. Né adesso...» la baciò, «...né per i prossimi cinquant'anni. Sempre pronto ad accontentarti.» Le braccia di Nell si strinsero con violenza intorno a lui. «Se mi lascerai intatte le costole.» «Ti amo, Nicholas.» «Ssh, lo so.» Tirò via la coperta e si spostò su di lei. «Va tutto bene. Lo so...» Ore 18.35
«Nell si sta dirigendo a Sud.» «Non perderla di vista. Sarò subito dietro di te». Nicholas mise giù il telefono e uscì dall'appartamento. Aveva capito che la scusa che Nell gli aveva dato per uscire era falsa. Gli era occorso tutto il suo controllo per lasciarla andare. A Sud. Monte Carlo? Salì in macchina e schiacciò l'acceleratore. Chi diavolo sapeva dove stava andando? Dovunque fosse, Nell doveva pensare che Maritz si trovasse alla sua stessa destinazione. E questo lo spaventava a morte. Ore 18.50 La bella Tania aveva deciso di metter fine alla caccia. I suoi capelli castani volavano nel vento, mentre la Triumph rossa decappottabile correva rombando lungo la strada. Era sola. La macchina di Maritz le stava al passo, ma non tentava di sorpassarla. Tania sapeva che lui le stava alle spalle. Sapeva che non poteva sfuggirgli. Sapeva che era giunta la fine, che sarebbe morta. Maritz provò un'ondata di piacere, ricordando la resistenza che gli aveva opposto prima. Sarebbe stato ancora più interessante, ora che era pienamente cosciente del pericolo. Fermati presto, bella Tania. «Si sta dirigendo al villino», disse Jamie, quando Nicholas sollevò il telefono della macchina. «Forse è tutto a posto, Nick.» Non era tutto a posto. Se stava andando al villino, era perché Maritz si trovava là. O ci sarebbe stato presto. Cristo. «Devo andare direttamente su al villino?» chiese Jamie. Sì. Vai su, fermala, salvala. «Nick?» Lui trasse un profondo respiro. «No, parcheggia in fondo alla collina e aspettami.»
Ore 19.55 Era ormai sera quando Nell svoltò con la macchina sul retro del villino. Nessuna luce. Nessun'altra macchina. Quella sera non era in ritardo. Scese dalla macchina e girò veloce intorno al villino, dirigendosi verso la porta d'ingresso. L'aprì, posò la sua Colt sul gradino e accese la luce del portico. C'era uno splendido chiaro di luna, ma lei voleva ogni vantaggio. Si diresse a lunghi passi sul bordo della scogliera, a guardar la spuma delle onde che si frangevano. Fece diversi respiri profondi e scrollò le spalle per sciogliere i muscoli. Si era aspettata di essere nervosa, spaventata e arrabbiata. Invece, provava un senso di ineluttabilità e di tranquilla fermezza. Maritz stava arrivando. Quello era il compito per cui aveva lavorato e si era allenata. Si tese, quando vide le luci di una macchina risalire la strada. Non poté essere sicura che fosse Tania, finché non fu a un centinaio di metri. La piccola decappottabile rossa sì fermò davanti alla porta d'ingresso e Tania ne scese. «È dietro di te?» chiese Nell. Tania guardò indietro. «Eccolo.» Una macchina stava salendo lentamente, quasi senza fretta, per la collina. «Entra nel villino. Ho aperto la porta.» Tania esitò. «Non voglio lasciarti. Hai una pistola?» «È sul gradino della porta.» «A che cosa ti servirà, là?» «Se non riuscirò a fermarlo, ti darà la caccia.» «Per l'amor di Dio, prendi la pistola.» Nell scosse il capo. «È troppo veloce. Lui non ha reso le cose facili a Jill. Voglio fargli male. Voglio che sappia che sta per morire.» Tania si diresse a grandi passi verso la porta, raccolse la pistola e la spinse in mano a Nell. «Prendila. Altrimenti non entrerò.» Nell prese l'arma. Non c'era tempo per discutere. I fari erano solo a pochi metri di distanza. «Sbrigati.» Tania corse verso il villino. Nell venne improvvisamente inondata da un fascio di luce.
La macchina si fermò di fronte a lei. Un uomo ne scese, restando accanto alla porta aperta. «Dov'è Tania?» Maritz era nell'ombra, ma Nell non avrebbe mai dimenticato quella voce. Echeggiava nei suoi incubi. «Tania è dentro. Non arriverai a lei.» Lui venne avanti, lo sguardo che scorreva dalle sue scarpe da tennis ai jeans, alla pistola che Nell teneva in mano. «Tania ha chiamato la polizia? Sono deluso di lei.» «Non sono della polizia. Tu mi conosci, Maritz.» Lui la scrutò. «Io non conosco... Calder? La Calder?» «Sapevo che ti occorreva solo una piccola spinta.» «Lieber ha fatto davvero un gran bel lavoro. Dovresti ringraziarmi.» Una rabbia bruciante divampò dentro di lei. «Ringraziarti? Per avere ucciso mia figlia?» «Mi ero dimenticato della bambina.» Stava dicendo la verità. Aveva significato talmente poco per lui, che aveva dimenticato di aver ucciso Jill. Maritz fece un altro passo in avanti. «Ma adesso ricordo. Piangeva, tentando di raggiungere il balcone.» «Taci.» «Mi aveva visto nella grotta. Ho detto a Gardeaux che temevo potesse riconoscermi. Ma era una bugia. Uccidere un bambino è speciale. Sono delicati e la loro paura è tanto intensa da poterla assaporare.» La mano di Nell che stringeva la pistola stava tremando. Sapeva che era ciò che lui voleva, ma Maritz stava annientando la sua calma, uccidendola con le parole. «Il coltello è penetrato una volta, ma non è bastato. Lei era troppo...» Maritz balzò in avanti e le strappò la pistola, colpendole la guancia con il dorso dell'altra mano. Nell cadde a terra. Maritz le era addosso, lo sguardo abbassato su di lei. «Non vuoi sapere come ha gridato, quando...» Il suo pugno lo colpì sulla bocca. Poi Nell rotolò di fianco, costringendolo a mollare la presa. Il chiarore della luna brillò sul taglio della lama nella sua mano. Il coltello. Nell balzò in piedi e indietreggiò. I ricordi le tornarono alla mente in un turbine. Medas. Sono impotente. Non farmi del male. Non fare del male a Jill.
Perché non vuole fermarsi? «Non puoi fermarmi.» Maritz venne verso di lei. «Non hai potuto farlo allora. Non potrai farlo adesso.» È davvero un lupo mannaro. Continuava semplicemente ad avanzare. «Andiamo», mormorò Maritz. «Non vuoi sentire qualche altro particolare su come ho pugnalato la bambina? Quante volte ho dovuto farlo?» «No», mormorò lei. «Non hai fegato. Sei la stessa donna piagnucolosa. Hai una nuova faccia, ma in fondo sei sempre la stessa. Non impiegherò che un minuto a finirti e a dare la caccia a Tania.» Quelle parole la colpirono come una doccia d'acqua gelida. Tania sarebbe stata la vittima, lì. Non Jill. Quella non era Medas e lei non era più quella donna. «Un accidente che lo farai.» Nell si voltò di scatto e lo colpì allo stomaco con un calcio all'indietro. Lui grugnì per il dolore e si piegò in due. Prima che Nell potesse completare l'opera, Maritz si riprese e si allontanò veloce. Nell avanzò verso di lui. «Tu non ucciderai Tania. Non ucciderai mai più.» «Bene.» Maritz stava sorridendo. «Battiti con me.» Nell lo colpì con un calcio al braccio, facendogli volare via il coltello. Lui borbottò un'imprecazione e si gettò a terra a riprenderlo. Nell corse verso di lui. Maritz era in piedi e menava colpi con mortale precisione. Un dolore accecante. La parte alta del braccio... Lui stava avanzando, continuava ad avanzare, sorridendo. Nell indietreggiò, lottando contro il suo dolore. Era sul bordo della scogliera e Maritz avanzava verso di lei. Il mare si frangeva al di sotto. Medas. No, mai più. Lo aspettò. «Sei pronta?» mormorò lui. «Sta arrivando. La senti bisbigliare all'orecchio?» La morte. Stava parlando della morte. «Oh, sì, sono pronta.» Maritz si tuffò verso di lei. Nell fece un passo di lato e gli torse il braccio che reggeva il coltello. La mano stretta a pugno di Nell scattò in su e lo colpì sotto il naso, fran-
tumandogli le ossa e mandandogli i frammenti nel cervello. Maritz barcollò e cadde all'indietro dalla scogliera. Nell si avvicinò d'un passo al bordo a guardare le onde che si frangevano sul suo corpo fracassato. Giù, giù, giù, scendiam... Nell si lasciò cadere a terra. È fatta, Jill. È finita, piccola. «Nell.» Era Nicholas, realizzò lei, stordita. «È morto, Nicholas.» Lui la prese tra le braccia. «Lo so. Ho visto.» «Per un momento ho pensato di non riuscire...» Nell alzò gli occhi a guardarlo. «Hai visto?» La voce di Nicholas era rauca. «E non voglio che tu debba affrontare mai più una cosa del genere.» «Sei rimasto a guardare e non sei intervenuto?» «Ti sei presa un mucchio di disturbo per assicurarti che io non mi intromettessi. Sapevo che non mi avresti mai perdonato, se ti avessi defraudata di Maritz.» Fece una pausa. «Per poco non l'ho fatto comunque.» «Dovevo farlo da sola, Nicholas.» «Lo so.» Nicholas fece un passo indietro a guardarle il braccio. «Ha smesso di sanguinare, ma è meglio che entriamo nel villino a bendare quel braccio.» Tania stava venendo verso di loro. «Ce l'abbiamo fatta?» chiese a bassa voce. Nell si voltò a guardare la scogliera, prima di avviarsi verso il villino. «Ce l'abbiamo fatta.» L'espressione di Joel era torva, quando uscì a lunghi passi dal pronto soccorso. Tania sospirò. Sapeva che lui si sarebbe arrabbiato. «Come va il braccio di Nell?» gli chiese. «Bene. Ha perso un po' di sangue, per cui la tratterranno qui per la notte.» «Vuoi divorziare?» «Sto prendendolo in considerazione.» «Non devi farlo. Ho imparato tutto sugli alimenti dalla tua ex moglie.
Sono sicura che io potrei fare di meglio. Verresti ridotto sul lastrico.» «Non sono in vena di scherzare.» «Dovevo farlo, Joel.» Tania gli si mise tra le braccia e appoggiò il capo sul suo petto. «So che desideravi proteggermi», mormorò, «ma non potevo permetterlo. Mi sei troppo caro. Ma prometto che ti lascerò uccidere il prossimo teppista che mi si avvicinerà. Andrò addirittura a cercarne uno. Ho sentito dire che nel Central Park li mettono in fila per essere passati in rassegna. Immaginiamo di fermarci a New York e...» Joel stava ridacchiando, quando lei sollevò lo sguardo su di lui. Bene. La tempesta era passata. «Non pensi che sia una buona idea?» «Tu lo faresti, vero?» Joel abbassò gli occhi a guardarla. «Non so affrontare queste cose. Non deve accadere mai più, Tania.» «Lo prometto. Ma non ero veramente in pericolo.» Lui sbuffò con aria di derisione. «No, davvero.» Tania alzò il viso a sorridergli. «Io ero solo Paul Henreid. Nell era Humphrey Bogart.» Nicholas si sedette sulla sedia accanto al letto di Nell e le prese la mano. «Come stai?» Lei sapeva che non si stava informando solo sulle sue condizioni fisiche. «Non lo so.» Scosse il capo. «Calma. Intontita. Svuotata.» «Joel ha fatto un buon lavoro, ricucendoti il braccio. Non ti rimarrà una cicatrice.» «Bene.» «Ho fatto le prenotazioni per il volo di domani. Ti riporterò al ranch.» Lei scosse la testa. «Non ti va di restare lì per un po'?» Dio, trovava estremamente difficile dirglielo. «Voglio che tu torni al ranch.» Lui si immobilizzò. «Senza di te?» Nell annuì convulsamente. «Ho bisogno di stare un po' di tempo da sola.» «Quanto tempo?» «Non lo so. Non ne sono sicura. Non sono più sicura di niente.» «Io sì. Sono sicuro che tu mi ami.» «Ho paura, Nicholas», mormorò lei. «Che non viva per sempre? Non posso risolvere questo problema per te.» Nicholas le sfiorò la guancia con un dito. «Dovrai solo decidere, se il
tempo che avremo da passare insieme ti basterà.» «È facile da dire. E se prendessi la decisione sbagliata? Potrebbe succedere.» Nell rifletté un momento, prima di continuare. «Ricordi quello che ti dissi a proposito dei passi che la gente deve fare, per diventare completa? Ti dissi allora che ero come bloccata nella crescita, a pezzi. Adesso non sono meglio.» «Io posso aiutarti.» «Tu puoi proteggermi, ma non puoi aiutarmi. Devo farlo da sola.» Nicholas sorrise maliziosamente. «Dunque, vai via per diventare un cigno?» «Vado via per guarire, crescere e rimettere insieme la mia vita.» «Che cosa farai?» «Dipingerò, cercherò un lavoro, parlerò con la gente. Tutto quello che occorrerà.» «E io non sono incluso?» «Non ancora.» «Ma tornerai al ranch, quando ti sentirai pronta?» «Se mi vorrai ancora.» «Diavolo, sì. Ti vorrò.» Nicholas si alzò in piedi e la fissò negli occhi. «Ti darò il tuo spazio, ma non ti prometto di non cercarti.» Le diede un bacio veloce e brusco. «Sbrigati, dannazione.» E la lasciò. Gli occhi di Nell si riempirono di lacrime. Voleva richiamarlo, dirgli che sarebbe salita su quell'aereo con lui e che non si sarebbe mai più guardata indietro. Ma non l'avrebbe fatto. Non lo avrebbe ingannato, dandogli meno di una persona intera. E non avrebbe ingannato se stessa. Epilogo «C'è qualcuno al cancello», disse Michaela. Nicholas alzò gli occhi dal suo libro. «Chi? Peter?» «Vai a vedere da te.» «Perché dovrei andare? Perché non lo fai entrare schiacciando semplicemente il pulsante del citofono?» All'improvviso Nicholas si rese conto che Michaela aveva un sorrisetto compiaciuto sul suo viso solitamente impassibile. Si alzò lentamente in piedi. «Chi è?» Non attese una risposta.
Uscì sul portico, riparandosi gli occhi dal sole autunnale con una mano. Lei stava accanto al citofono del cancello, vestita con un paio di jeans e una camicetta scozzese. La luce del sole esaltava il riflesso dorato nei suoi capelli. Nicholas cominciò a camminare verso di lei. Gli sembrò di impiegare un tempo lunghissimo per raggiungere il cancello. Si fermò a fissarla. Dio, aveva un aspetto stupendo: era bella, forte e libera. «Te la sei presa comoda. Più di un anno.» «Sono lenta a imparare. Mi ci è voluto un po' per capire.» Nicholas inclinò il capo. «La signora Cigno, immagino.» «Hai perfettamente ragione.» Un sorriso raggiante illuminò il viso di Nell. «Fammi entrare, Tanek.» FINE