AGATHA CHRISTIE POLVERE NEGLI OCCHI (A Pocket Full Of Rye, 1953) I Per fare il tè era il turno della signorina Somers. N...
101 downloads
1405 Views
528KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
AGATHA CHRISTIE POLVERE NEGLI OCCHI (A Pocket Full Of Rye, 1953) I Per fare il tè era il turno della signorina Somers. Non più giovane, con una faccia dolce e spaurita da capretta, la signorina Somers era la più nuova e la meno efficiente delle dattilografe. Aveva versato nella teiera l'acqua che ancora non bolliva, ma la poveretta non era mai sicura di quando bollisse l'acqua. Era, questo, uno dei tanti interrogativi che affliggevano la sua esistenza. Versò il tè e distribuì le tazze con un paio di biscotti in ogni piattino. La signorina Griffith, l'energica decana dell'ufficio, una specie di caporale dai capelli grigi, che lavorava alla Consolidated Investments Trust da sedici anni, osservò duramente: «Ci risiamo: l'acqua non bolliva, Somers». La dattilografa, dolce e spaurita, arrossì. «Oh, povera me, questa volta credevo proprio che bollisse!» "Rimarrà ancora per un mese" pensò la signorina Griffith "solo finché c'è questo eccesso di lavoro. Ma, santo cielo, come ha rovinato quella lettera per l'Eastern Developments, questa cretina! Ed era un lavoro lineare. Sempre così stupida quando deve fare il tè. Se non fosse tanto difficile trovar dattilografe intelligenti! Anche la scatola di biscotti era chiusa male, l'ultima volta. Davvero..." Come molti dei soliloqui della signorina Griffith, anche questo rimase in sospeso. In quel momento, entrò la signorina Grosvenor per il rituale tè del signor Fortescue. Questi aveva un tè speciale, con una tazza speciale e biscotti speciali. Solo il pentolino e l'acqua presa dal rubinetto del guardaroba erano gli stessi. Trattandosi del tè del signor Fortescue, questa volta l'acqua bollì: era la signorina Grosvenor a occuparsene. La signorina Grosvenor era uno schianto di bionda, vestita d'un abito nero dal taglio raffinato e con le gambe inguainate in costose calze di nylon. Attraversò la stanza delle dattilografe senza degnarle di uno sguardo. Lei era la segretaria privata del signor Fortescue. Voci maligne mormoravano che fosse anche qualcosa di più, ma non era vero. Il principale era da poco passato a seconde nozze e la moglie, bellissima e dispendiosa, assorbiva tutta la sua attenzione. La signorina Grosvenor era solo un ornamento del-
l'ufficio, in verità lussuosissimo. La signorina Grosvenor filò via tenendo il vassoio come per un'offerta rituale. Attraversò la sala d'aspetto per i clienti di riguardo, l'anticamera riservata a lei e, dopo aver bussato appena, entrò nell'ufficio del signor Fortescue. Il "sancta sanctorum" del principale era una vasta stanza dal lucido pavimento cosparso di lussuosi tappeti orientali: pareti rivestite di legno chiaro, enormi poltrone di pelle di bufalo, pure chiara. Alla monumentale scrivania di acero, centro e fulcro della stanza, sedeva il signor Fortescue. La sua figura era meno imponente di quanto la cornice avrebbe richiesto ma egli si sforzava di fare del suo meglio. Grosso, flaccido, calvo, indossava con affettazione abiti di taglio sportivo anche in città. Stava esaminando accigliato alcune carte, quando la signorina Grosvenor scivolò fino a lui con movenze di cigno. Gli depose il vassoio sulla scrivania, a portata di mano, mormorò con voce impersonale: «Il vostro tè, signor Fortescue» e scivolò via. Il contributo del signor Fortescue al rito del tè fu un lieve brontolio. Tornata al proprio posto, la segretaria fece un paio di telefonate, corresse alcune lettere già dattiloscritte che dovevano passare alla firma e rispose a una chiamata telefonica. «Temo che sia impossibile, adesso» disse con tono altezzoso. «Il signor Fortescue è in riunione.» Deposto il ricevitore, guardò l'orologio: erano le undici e dieci. In quel preciso momento sentì uno strano rumore venire dall'ufficio del principale. Benché soffocato dalla porta imbottita, si capiva che era il grido di un agonizzante. L'interfono sulla scrivania mandava lunghi, frenetici richiami. La signorina rimase immobilizzata un momento: di fronte all'imprevisto il suo sofisticato equilibrio vacillava. Tuttavia si ridestò e, di nuovo eretta, andò a bussare ed entrò. Lo spettacolo che le si parò davanti determinò il crollo. Dietro la scrivania, il signor Fortescue si contorceva spasmodicamente. «Per l'amor del cielo, signor Fortescue, non vi sentite bene?», riuscì a dire, e capì subito di aver fatto una domanda idiota. Era chiaro che il signor Fortescue, in preda a convulsioni spaventose, stava molto male. Si avvicinò. L'uomo balbettava boccheggiante. «Il tè... che cosa c'era nel tè... aiuto! Un medico! Aiuto!» La segretaria fuggì dalla stanza: della superba bionda non rimaneva che una povera donna spaventata e incapace d'ogni iniziativa. Entrò di corsa
nell'ufficio delle dattilografe. «Il signor Fortescue sta male, muore!... Chiamate un medico! Presto, sta morendo!» La signorina Bell, la più giovane delle impiegate, disse: «Se è epilessia bisogna mettergli un turacciolo in bocca. Chi ha un turacciolo?». Nessuno aveva un turacciolo. «Alla sua età sarà un colpo apoplettico» disse la Somers, e la Griffith: «Dobbiamo chiamare un medico, immediatamente». Ma questa volta la sua efficienza fu compromessa dal fatto che in sedici anni che lavorava lì non aveva mai avuto bisogno di far nulla di simile. Conosceva il suo medico personale, ma abitava a Streatham Hill. Dove si poteva trovarne uno più vicino? Nessuno lo sapeva. La signorina Bell afferrò un annuario telefonico e cercò "Dottori" sotto la "D", ma non erano elencati per categoria. Qualcuno consigliò un ospedale, ma quale? «Dev'essere l'ospedale di zona» disse la Somers «altrimenti non vengono.» Qualcun altro consigliò il 999, ma la Griffith, lugubremente impressionata, replicò che quello era il numero della polizia, e la polizia non serviva. Come cittadine di uno Stato ove esisteva un servizio nazionale di Sanità, si dimostravano piuttosto ignoranti. La signorina Bell ricominciò a cercare "Pronto soccorso" sotto la "P". E la Griffith: «Il suo medico... avrà pure un medico di fiducia!». Qualcuno andò a cercare la rubrica degli indirizzi privati mentre lei spediva il fattorino a cercare un dottore, non importava chi, né dove. Poi nella rubrica trovò: Sir Edwin Sandeman medico in Harley Street. La signorina Grosvenor s'accasciò sopra una sedia e cominciò a gemere con voce non più sofisticata: «Il tè era come al solito, davvero! Non poteva esserci niente, dentro!» «Dentro il tè?» La Griffith s'immobilizzò con la mano sul disco del telefono. «Che dite mai?» «L'ha detto lui, il signor Fortescue! Ha detto che era nel tè.» La mano della Griffith adesso rimase incerta fra il numero del dottore e il 999. La signorina Bell, giovane e piena di buona volontà, propose di cominciare col dargli del cognac. Ma nessuno ne aveva. Poco dopo, il dottor Isaacs di Bethnal Green e Sir Edwin Sandeman si incontrarono nell'ascensore mentre due autoambulanze si fermavano alla porta. Il fattorino e il telefono avevano fatto il loro dovere.
II L'ispettore Neele sedeva nell'ufficio del signor Fortescue, dietro l'imponente scrivania. Uno dei suoi aiutanti, con un blocco per appunti in mano, se ne stava vicino alla porta, rigido contro la parete. L'ispettore aveva un elegante portamento militare e capelli neri, crespi, su una fronte piuttosto bassa. Quando diceva la frase: "Normale amministrazione" quelli che lo sentivano erano portati a pensare con disprezzo: "La normale amministrazione deve essere tutto quello di cui siete capace!". Avrebbero sbagliato perché dietro quel suo aspetto per nulla originale, l'ispettore Neele aveva una mente fantasiosa, e uno dei suoi metodi d'indagine era di costruire ipotesi fantastiche e applicarle poi alle varie persone mentre le interrogava. La signorina Griffith, individuata subito con occhio infallibile come la persona più adatta a fornirgli un succinto resoconto dei fatti, aveva appena lasciato la stanza. L'ispettore si propose tre audaci motivi per cui la fedele decana dell'ufficio avrebbe potuto avvelenare il principale, ma li respinse tutti e tre perché: a) la signorina Griffith non era il tipo dell'avvelenatrice; b) non era innamorata del signor Fortescue; c) non dava segni di squilibrio mentale; d) non era donna da covar rancori. Questo permetteva di considerarla una fonte sicura d'informazioni. L'ispettore diede un'occhiata al telefono: aspettava da un momento all'altro una chiamata dall'Ospedale St. Jude's. Poteva anche darsi che l'improvviso malore del signor Fortescue fosse dovuto a cause naturali, ma il dottor Isaacs di Bethnal Green non era di questo parere e neppure Sir Edwin Sandeman di Harley Street. Il funzionario premette il pulsante dell'interfono, situato alla sua sinistra, e chiese che gli mandassero la segretaria privata del signor Fortescue. La signorina Grosvenor aveva ritrovato un po' del suo sofisticato equilibrio, ma non molto. Si fece avanti dimenticando le movenze di cigno, spaventata: «Non sono stata io!» cominciò a difendersi. «No?» disse indifferente l'ispettore. Le indicò una sedia, quella su cui di solito sedeva col blocco degli appunti in mano quando il principale le dettava la corrispondenza. Con la fantasia che scorrazzava fra i vari temi: "Relazione sentimentale? Ricatto? Mania esibizionistica con il Processo alla Bionda Platino?" e altri,
l'ispettore aveva assunto un'espressione rassicurante e un po' tonta. «Non c'era niente nel tè» disse la segretaria. «Non è possibile che ci fosse qualcosa!» «Capisco» disse comprensivo l'ispettore. «Il vostro nome e indirizzo?» «Grosvenor. Irene Grosvenor.» «Indirizzo?» «Rushmoor Road, 14, Muswell Hill.» L'ispettore annuì. "Niente relazione sentimentale. Niente pied-à-terre. Vive coi genitori in una casa rispettabile. Niente ricatto" pensava intanto. Altra serie di ipotesi spazzata via. «Dunque voi avete preparato il tè?» chiese gentilmente. «Dovevo. Intendo dire che lo preparo sempre io.» L'ispettore si fece spiegare in tutti i particolari il rito del tè del mattino. Tazza, piattino e teiera erano già stati impacchettati e spediti all'ufficio competente per l'analisi. Adesso l'ispettore veniva a sapere che Irene Grosvenor e soltanto Irene Grosvenor aveva toccato quegli oggetti. La pentola in cui era stata fatta bollire l'acqua era quella adoperata dalle dattilografe e riempita personalmente dalla signorina al rubinetto del guardaroba. «E il tè?» «Il signor Fortescue aveva il suo. Tè cinese, e lo tengo di là, nel mio ufficio.» L'ispettore annuì. S'informò dello zucchero, ma si sentì rispondere che il signor Fortescue non ne prendeva. Trillò il telefono. Neele sollevò il ricevitore e mutò espressione. «Parla il St. Jude's?» Congedò con un cenno la segretaria. Ascoltò attentamente la voce esile, monotona che giungeva dall'Ospedale, facendo intanto piccoli segni cabalistici sull'angolo della carta assorbente che aveva davanti. «Morto cinque minuti fa, avete detto?» Guardò l'orologio che aveva al polso: 12,43 scrisse sulla carta assorbente. La voce monotona aggiunse che il dottor Bernsdorff desiderava parlargli. «Sì. Passatemelo» disse Neele scandalizzando l'interlocutore all'altro capo del filo, che era abituato a un tono molto più deferente. Dopo una serie di ronzii e rumori inesplicabili, improvvisamente una voce bassa, fragorosa, lo fece sobbalzare. «Salve, Neele, vecchio avvoltoio. Sei qui di nuovo con i tuoi cadaverini?»
Neele e il dottor Bernsdorff avevano collaborato proprio un anno prima in un caso di avvelenamento ed erano rimasti amici. «Mi hanno detto che il nostro uomo è morto» rispose l'ispettore. «Sì, è arrivato troppo tardi. Non c'era più niente da fare.» «E le cause del decesso?» «Si dovrà fare un'autopsia, naturalmente. Caso molto interessante, davvero molto interessante. Sono proprio felice che mi sia capitato per le mani.» Dall'entusiasmo professionale di Bernsdorff l'ispettore dedusse se non altro una cosa. «Mi sembra di capire che non pensi a una morte naturale.» «Ah, lo escludo senz'altro!» disse Bernsdorff con veemenza. «Parlo in via ufficiosa, intendiamoci» aggiunse, riprendendosi in ritardo. «Certo, certo, capisco benissimo. È stato avvelenato?» «Ne sono sicuro. Per giunta, sempre in via ufficiosa, mi raccomando, rimanga fra noi... sarei pronto a scommettere di che veleno si tratta.» «Dici sul serio?» «È tassina, ragazzo mio: tassina.» «Mai sentita nominare.» «Lo so, non è un veleno comune, ma appunto per questo è meraviglioso! Confesso che io stesso non ci avrei pensato se non avessi avuto un caso tre o quattro settimane fa: due bimbe che giocavano alle signore e hanno fatto il tè con bacche di tasso.» «Ah, bacche di tasso?» «Sì, bacche o anche foglie. Sono molto velenose, e la tassina è l'alcaloide. Comunque non avevo mai sentito d'un caso in cui fosse stata usata intenzionalmente come veleno. Ti dico: interessante e raro! Non hai idea, Neele, di quanto ci si stufi, a un certo momento, con tutte quelle erbe velenose che sono poi sempre le stesse. La tassina invece è proprio un bel colpo. Naturalmente posso sbagliarmi... per l'amor del cielo non mettere a verbale quel che ti sto dicendo! Credo che sia interessante anche per te: ti tira fuori dalla solita routine.» «Pare dunque che avremo tutti da divertirci. Salvo il morto.» «Già, già, povero diavolo» disse il dottore con tono convenzionale. «È stato poco fortunato.» «Ha detto nulla, prima di morire?» «Uno dei tuoi uomini gli stava vicino e prendeva appunti: ti darà tutti i particolari. A un certo momento ha borbottato a proposito del tè. Diceva che gli avevano messo qualche cosa nel tè che ha preso in ufficio, ma certo
è una sciocchezza.» «Una sciocchezza? E perché?» L'ispettore stava già ricostruendo con la fantasia l'immagine dell'avvenente signorina Grosvenor intenta a far bollire bacche di tasso. «Perché, a parte il fatto che quel poveraccio avrebbe avvertito il sapore diverso, la tassina non ha un effetto così rapido. Se ho ben capito, i sintomi sono cominciati non appena lui ha bevuto il tè.» «Così hanno riferito.» «Be', sono pochissimi i veleni che agiscono tanto rapidamente, a eccezione dei cianuri e... forse la nicotina pura.» «Sei sicuro che non si tratti di cianuro o nicotina pura?» «Amico mio, sarebbe morto prima che arrivasse l'autoambulanza! No, certo. Ho avuto il sospetto che si trattasse di stricnina, ma le convulsioni erano assolutamente tipiche. Tutto in via ufficiosa, naturalmente, però mi giocherei la reputazione che si tratta di tassina.» «Quanto ci vuole perché faccia effetto?» «Dipende: un'ora, due, anche tre. Sembra che il morto fosse un forte mangiatore e se ha fatto una colazione abbondante, ha rallentato l'azione del veleno.» «La colazione...» ripeté Neele soprappensiero. «Allora bisogna pensare che il veleno fosse nella prima colazione.» «Colazione tipo Borgia» rise allegramente Bernsdorff. «Buona caccia, amico mio!» «Grazie. Vorrei parlare col mio sergente prima che tolgano la comunicazione.» Di nuovo ronzii e rumori vari, quindi un ansimare pesante, immancabile preludio alla voce del sergente Hay. «Pronto?» «Parla Neele. La vittima ha detto niente d'importante?» «Ha detto che era nel tè, quello che ha bevuto in ufficio. Ma il dottore dice che non...» «Sì, lo so. Nient'altro?» «Nossignore. Ma c'è una cosa strana... nell'abito che indossava. Ho frugato tutte le tasche e c'era la solita roba: fazzoletto, chiavi, spiccioli, portafogli... e poi una cosa assolutamente strana: nella tasca destra della giacca c'era del grano.» «Che cosa intendete per "grano"? I fiocchi di avena, forse?» «No. Mi sembra invece segala. Una bella manciata.» «Capisco... Strano... Forse era un campione per qualche affare di com-
pravendita.» «Forse. Ma ho creduto mio dovere dirvelo.» «Avete fatto bene, Hay.» Tolta la comunicazione, l'ispettore guardò fisso davanti a sé. La sua intelligenza metodica passava dalla fase uno alla fase due dell'inchiesta: dal sospetto alla certezza di avvelenamento. Il professor Bernsdorff aveva parlato solo ufficiosamente, ma non era uomo da prender cantonate. Rex Fortescue era stato avvelenato, e aveva ingerito il veleno due o tre ore prima che si manifestassero i sintomi. Si poteva quindi lasciare in libertà, insospettato, il personale dell'ufficio. Passò nell'altra stanza dove le dattilografe lavoravano ancora, se pure a ritmo ridotto. «Signorina Griffith, potrei parlarvi ancora un momento?» «Certamente, signor ispettore. Ma, scusate, le ragazze non potrebbero uscire per la colazione? È già passata l'ora. O preferite che ci facciamo mandare qualcosa qui?» «No, no. Vadano pure a colazione, ma poi ritornino.» «Naturalmente.» La signorina Griffith seguì l'ispettore nell'ufficio del principale e sedette, mantenendo il proprio contegno dignitoso ed energico. «Ho ricevuto una telefonata dall'Ospedale St. Jude's» disse l'ispettore senza preamboli. «Il signor Fortescue è morto alle dodici e quarantatré.» La signorina Griffith accolse la notizia senza sorpresa: scosse semplicemente il capo. «Avevo capito che stava molto male.» Neele notò che non era assolutamente depressa. «Potreste darmi qualche informazione sulla famiglia?» «Certamente. Ho già tentato di mettermi in comunicazione con la signora, ma pare che sia al golf, perciò non tornerà per la colazione; a casa non sanno in quale campo sia andata a giocare. Sapete» aggiunse a mo' di spiegazione «abitano a Baydon Heath e lì intorno ci sono tre campi di golf.» L'ispettore annuì: Baydon Heath, a soli trenta chilometri da Londra e con un ottimo servizio di treni, era facilmente raggiungibile anche nel traffico delle ore di punta, perciò vi abitavano quasi esclusivamente persone ricche. «Per favore, l'indirizzo e il numero telefonico.» «Baydon Heath 3400. La casa si chiama Baracca dei Tassi.» «Come?» L'ispettore non riuscì a controllarsi. «Avete detto Baracca dei
Tassi?» «Sì.» La signorina Griffith lo guardò con curiosità, ma Neele s'era già ripreso. «Potete darmi qualche informazione particolareggiata?» «L'attuale signora Fortescue è la sua seconda moglie ed è molto più giovane di lui: si sono sposati circa due anni fa. La prima moglie è morta da molto tempo lasciandogli due figli e una figlia. Quest'ultima vive nella casa paterna, come il maggiore dei figli che è pure associato nella ditta. Sfortunatamente oggi è in viaggio d'affari nel Nord: dovrebbe tornare domani.» «Quando è partito?» «L'altro ieri.» «Avete tentato di mettervi in comunicazione con lui?» «Sì. Non appena il signor Fortescue è stato portato all'ospedale ho telefonato al Midland Hotel di Manchester dove speravo di trovarlo, ma pare che sia ripartito stamani. Credo che dovesse anche andare a Sheffield e a Leicester, ma non ne sono certa. Posso darvi il nome di alcune ditte di quelle città, dalle quali può darsi che si rechi per affari.» Era di sicuro una donna energica, pensò l'ispettore, e, se avesse ucciso un uomo, avrebbe certamente agito in modo energico. Fece però uno sforzo per non abbandonarsi a queste considerazioni e concentrarsi sulla famiglia Fortescue. «Dicevate che c'è anche un altro figlio.» «Sì, ma poiché non andava d'accordo col padre, vive all'estero.» «Sposati entrambi?» «Sì. Il signor Percival è sposato da tre anni ed abita con la moglie alla Baracca dei Tassi in un appartamento separato. Fra poco dovrebbero prendere una casa a Baydon Heath.» «Non siete riuscita a mettervi in contatto con sua moglie, quando avete telefonato?» «No, era venuta a passare la giornata a Londra. Il signor Lancelot» proseguì la signorina Griffith «si è sposato alcuni mesi fa con la vedova di Lord Frederick Anstice. Suppongo che ne abbiate visto le fotografie, sul "Tatler", coi cavalli, alle corse.» La signorina sembrava eccitarsi un poco. L'ispettore, abile a intuire gli stati d'animo del prossimo, si rese conto che quel matrimonio aveva eccitato in lei un po' di spirito romantico e snobistico. Per la signorina Griffith l'aristocrazia era sempre l'aristocrazia e certo ignorava che il defunto Lord Frederick Anstice aveva goduto di fama piuttosto dubbia nei circoli sporti-
vi. Per la cronaca, si era fatto saltar le cervella proprio mentre si apriva un'inchiesta sulla corsa di uno dei suoi cavalli. Ricordò vagamente qualcosa della moglie: figlia di un Pari irlandese, già vedova d'un aviatore morto in guerra. Ora, dunque, aveva sposato quello che sembrava la pecora nera della famiglia Fortescue. L'ispettore lo definiva così perché intuiva che il disaccordo cui aveva accennato la signorina, dipendesse da qualche imbrogliata operazione d'affari del giovane. Tirò a sé il telefono e chiese: Baydon Heath, 3400. Rispose subito una voce d'uomo. «Desidero parlare con la signora o con la signorina Fortescue.» «Mi dispiace: sono fuori tutt'e due.» L'ispettore ebbe l'impressione che il suo interlocutore fosse leggermente ubriaco. «Siete il maggiordomo?» chiese. «Sì.» «Il signor Fortescue è stato colto da un grave malore.» «Lo so, mi hanno già telefonato, ma non posso far nulla. La signora è al golf, il signor Val è in viaggio, sua moglie è a Londra e non tornerà prima di sera. Anche la signorina Elaine è fuori con le sue giovani esploratrici.» «Non c'è nessuno in casa con cui io possa parlare delle condizioni del signor Fortescue? È molto grave.» «Non saprei...» L'uomo sembrava incerto. «C'è la signorina Ramsbottom, ma non parla mai al telefono. O la signorina Dove, che è la governante.» «Vorrei parlare con lei, allora.» Attraverso il ricevitore giunse il rumore dei passi che si allontanavano. Un minuto dopo, senza che si sentisse nessun altro rumore, una voce di donna. «Pronto, parla la signorina Dove.» Il tono basso, contenuto, ispirò subito all'ispettore un'immagine molto favorevole della signorina. «Sono desolato di comunicarvi che il signor Fortescue è morto poco fa all'Ospedale St. Jude's: era stato colto da un improvviso malore nel suo ufficio. Vorrei mettermi in contatto con la famiglia.» «Certo, ma non so...» S'interruppe. La voce non rivelava alcuna agitazione ma sembrava impressionata. «È un grosso guaio. Immagino che vorreste parlare col signor Percival, il quale potrebbe provvedere a tutto. Forse lo troverete al Midland di Manchester, o al Grand di Leicester, oppure,
sempre a Leicester, da Bonds o da Shearer: temo di non averne il numero telefonico, ma sono le ditte da cui doveva recarsi per affari, e può darsi che sappiano dove si trovi oggi. La signora tornerà certamente per l'ora del pranzo, e forse anche per il tè: sarà un colpo, per lei. È stata una cosa improvvisa, vero? Quando è uscito questa mattina stava benissimo.» «L'avete visto, prima che uscisse?» «Certo. Ma che cosa è stato: il cuore?» «Soffriva di cuore?» «Non credo... Dico così perché, una cosa così improvvisa...» S'interruppe. «Telefonate dall'Ospedale? Siete un medico?» «No, signorina Dove. Parlo dall'ufficio del signor Fortescue. Ispettore Neele, di Scotland Yard. Sarò da voi fra poco.» «Ispettore di polizia? Volete... Che cosa vuol dire?» «È stata una morte improvvisa, signorina Dove, e in questi casi entra in scena la polizia, specie se il defunto non era stato in cura da un medico. Ma credo che in questo caso non ci fosse nulla di simile.» Nelle parole dell'ispettore c'era appena un vago tono interrogativo, tuttavia la signorina rispose: «Lo so. Percival gli aveva fissato un paio d'appuntamenti col dottore, ma il signor Fortescue non volle saperne. Si comportava in modo incomprensibile... ne erano tutti preoccupati...». S'interruppe e concluse, col tono deciso che aveva usato all'inizio: «Se la signora tornasse prima del vostro arrivo, desiderate che le comunichi qualche cosa?». "Tipo pratico" pensò l'ispettore. «Ditele solo» aggiunse ad alta voce «che nei casi di morte improvvisa abbiamo il dovere di compiere alcune indagini. Normale amministrazione.» E depose il ricevitore. III Neele allontanò il telefono e fissò la signorina Griffith. «Sicché, ultimamente, erano preoccupati per la sua salute e volevano che andasse da un medico. Non me l'avevate detto.» «Non ci avevo pensato» rispose la signorina Griffith. «A me non sembrava ammalato...» «Non ammalato, ma?...» «Semplicemente strano; non sembrava più lui. Si comportava in modo insolito.» «Preoccupato?»
«Oh, no! Eravamo noi, a preoccuparci.» L'ispettore aspettò pazientemente. «È difficile spiegarsi» continuò la signorina. «Era diventato lunatico e addirittura violento. Un paio di volte pensai che fosse ubriaco. Urlava e diceva cose stranissime che, fra l'altro, non potevano esser vere. Io sono qui da anni, e l'ho sempre visto occuparsi esclusivamente dei suoi affari, senza lasciar correre nulla, in nessun senso. Ma negli ultimi tempi era cambiato, s'era fatto espansivo, buttava i soldi dalla finestra. Cosa incredibile, in lui. Per esempio, quando il fattorino andò al funerale della nonna, il signor Fortescue gli diede un biglietto da cinque sterline dicendogli di giocarlo alle corse, e poi scoppiò a ridere come un matto. Era... era irriconoscibile, ecco! È tutto quello che posso dire.» «Come se avesse avuto qualche grillo per la testa?» «Non precisamente. Era piuttosto come se aspettasse da un momento all'altro qualcosa di straordinario, e l'attesa lo mettesse in uno stato di euforia.» «Forse qualche grosso affare che cercava di mandare in porto?» La signorina Griffith annuì quasi convinta. «Sì, credo di sì. Come se le piccole cose quotidiane non avessero più valore. Era eccitato, e riceveva visite d'affari da gente strana mai vista prima. Il signor Percival ne era preoccupato.» «Ah, preoccupato?» «Sì, perché il signor Percival aveva sempre goduto la fiducia di suo padre, mentre ultimamente questi aveva incominciato ad agire in maniera che il figlio, meticoloso e prudente, giudicava sciocca. Negli ultimi tempi, dicevo, il signor Fortescue non gli dava più ascolto, e lui ne era sconcertato.» «Ci fu qualche scenata?» insisté l'ispettore. «Non saprei dire, proprio scenate... Certo, mi rendo conto adesso che il signor Fortescue non poteva essere in sé per urlare in quella maniera.» «Ah, così! E che cosa diceva?» «Venne nella stanza delle dattilografe...» «Così l'avete potuto sentire tutte!» «Sì.» «E insultò il figlio, lo maltrattò, ...lo accusò di qualche cosa?» «No: non poteva accusarlo di nulla! Gli disse che era solo un impiegatino confusionario, che non aveva larghezza di vedute per trattare i grandi affari. Disse: "Richiamerò a casa Lance, che vale dieci volte più di te, e che si è sposato bene. Lance ha cervello, anche se una volta ha ri-
schiato una condanna...". Mio Dio, questo forse non avrei dovuto dirlo!» La signorina Griffith, come molti altri prima di lei, sotto lo sguardo benevolo e incoraggiante dell'ispettore Neele, non si era più controllata e aveva detto cose che non avrebbe voluto dire. Confusa, abbassò gli occhi. «Non preoccupatevi» la consolò il funzionario. «Quello che è passato è passato.» «Già: è stato molto tempo fa. Il signor Lance era giovane, spensierato, certo non si rendeva conto di quel che faceva.» L'ispettore aveva già sentito parlare di questo incidente e non era convinto che fosse trascurabile, ma passò ad altro. «Ditemi ancora qualcosa del personale, qui.» La signorina, felice di allontanarsi da un argomento scabroso, fornì minute informazioni di tutto il personale della ditta. L'ispettore la congedò ringraziandola e la pregò di mandargli la signorina Grosvenor. L'agente Waite, affilando la matita, osservò che quello gli sembrava un ambiente da grande albergo, e girò lo sguardo sulle alte sedie, l'enorme scrivania e le luci riflesse. «Hanno anche nomi da gran mondo. Grosvenor deve aver a che fare con un duca. E Fortescue è un nome aristocratico.» L'ispettore sorrise. «Il nome di suo padre era Fontéscu, d'origine romena o qualcosa di simile. Probabilmente lui ha pensato che Fortescue suonasse meglio.» Waite guardò il suo superiore con ammirazione. «Sapete già tutto di lui!» «Ho preso qualche informazione prima di venir qui.» «Era schedato?» «Oh, no! Troppo scaltro. Ha avuto a che fare col mercato nero e si è cacciato in un paio di affari che, a essere indulgenti, si potrebbero definire discutibili, ma è sempre rimasto nell'ambito della legge.» «Capisco» disse Waite. «Gente poco simpatica.» «Una pellaccia, ma nessuno ha potuto accusarlo di nulla. Il fisco gli è stato dietro per parecchio tempo, ma lui è sempre riuscito a cavarsela. Era un piccolo genio, per gli affari, il defunto signor Fortescue.» «Un tipo d'uomo che poteva avere dei nemici?» chiese Waite quasi con speranza. «Oh, molti nemici! Ma ricordate che è stato avvelenato a casa. Almeno così pare. Sapete, Waite, qui è saltata fuori una situazione familiare tipica: Percival, il figlio buono. Lance, quello cattivo, che piace molto alle donne.
La moglie più giovane e che non si sa bene in quale campo di golf sia andata. Una situazione familiare tipica. Una cosa sola rimane strana.» «Quale?» domandò Waite. In quel momento si aprì la porta e la signorina Grosvenor, che aveva finalmente ritrovato forze e fascino, domandò con aria di superiorità: «Desiderate parlarmi?». «Desideravo farvi alcune domande sul vostro principale... sul vostro defunto principale, per essere esatti.» «Poveretto» disse lei senza eccessiva convinzione. «Vorrei sapere se avevate notato in lui qualche cambiamento, negli ultimi tempi.» «Sì, effettivamente era cambiato.» «E come?» «Non saprei... Mi sembra che dicesse molte sciocchezze. Cose incredibili. E poi perdeva le staffe molto facilmente, specie col signor Percival. Non con me, perché, naturalmente, io non lo contraddicevo mai. Mi limitavo semplicemente a rispondere: "Sì, signor Fortescue" qualunque stranezza dicesse.» «E non vi ha mai fatto, diciamo, qualche confidenza?» La signorina rispose di no quasi con disappunto. «Un'ultima cosa, signorina Grosvenor. Il signor Fortescue aveva l'abitudine di portar chicchi di grano in tasca?» «Chicchi di grano? In tasca?» La ragazza si mostrava vivamente sorpresa. «Intendete il grano che si dà ai piccioni?» «Facciamo conto di sì.» «Oh, no! Il signor Fortescue dar da mangiare ai piccioni! No!» «Non credete che potesse avere in tasca della segala o... dell'orzo, oggi, per qualche motivo? Come campione, per esempio, per un affare di compravendita?» «No. Questo pomeriggio dovevano venire quelli dell'Asiatic Oil e il presidente della Società Edile Atticus... Nessun altro.» «Allora...» Neele s'interruppe e congedò con un gesto la signorina. «Che gambe!» commentò Waite con un fischio, quando fu uscita. «Le gambe non mi servono, e sono rimasto con quel che avevo: una tasca piena di segala e nessuna spiegazione.» IV
Mary Dove si fermò sul pianerottolo e guardò attraverso la grande finestra: era appena arrivata un'automobile dalla quale scendevano due uomini. Il più alto si fermò un attimo voltando le spalle alla casa e si guardò intorno. La signorina Dove li osservò pensierosa: probabilmente erano l'ispettore Neele e il suo aiutante. Distolse lo sguardo dalla finestra e lo posò su un lungo specchio appeso alla parete. Vide riflessa una figura minuta che indossava con affettata modestia un abito grigio coi polsi e il colletto bianchi. I capelli, spartiti nel mezzo e tirati in due bande lucenti, formavano una crocchia dietro la nuca. Le labbra erano tinte d'un rosa pallido. Nel complesso, Mary Dove si ritenne soddisfatta e riprese a scender le scale con un lieve sorriso sulle labbra. Intanto l'ispettore Neele osservava la casa. "Chiamala una baracca!" mormorava tra sé. Lui sapeva bene che cos'era una baracca perché c'era nato: precisamente in quella che si trovava presso il cancello di Hartington Park, in mezzo al quale sorgeva la grandiosa villa palladiana con le sue ventinove camere da letto, che adesso era stata requisita dallo Stato. Graziosa dal di fuori, la baracca dov'era nato Neele non aveva né acqua corrente né luce elettrica: d'inverno una lampada a olio e d'estate a letto col calare del sole. Ed erano sempre stati felici e pieni di salute. Quando aveva sentito la parola "baracca" gli erano tornati alla mente i ricordi d'infanzia, ma si era trovato di fronte a una di quelle grandi dimore che i ricchi usano costruirsi per poi chiamarle: "il nostro angolino in campagna". E non era neppure in campagna, secondo l'idea che l'ispettore aveva della campagna. Era una solida costruzione di mattoni rossi, forse un po' troppo guarnita di torrette, sulla cui facciata si aprivano numerose finestre con vetrate di stile antico. Il giardino era artificioso, tutto aiuole di rose, pergole, vasche d'acqua e, in accordo col nome della proprietà, fitte siepi di tassi. Tassi in abbondanza: una vera cuccagna per chiunque avesse bisogno di tassina. Sulla destra, dopo il roseto, un angolo allo stato selvaggio: un enorme tasso di quelli che ricordano i cimiteri, coi rami sostenuti da pali, come un Mosè nel mondo della foresta. Quell'albero, pensò l'ispettore, doveva essere stato là molto prima che l'ondata di case rosse invadesse la campagna. Molto tempo prima che gli architetti alla moda incominciassero a passeggiare da quelle parti coi loro ricchi clienti vantando i pregi dei vari angolini. Appunto perché così vecchio, l'albero era stato incorporato nella nuova proprietà e le aveva dato probabilmente il nome. Baracca dei Tassi.
E forse proprio le bacche di quell'albero... L'ispettore interruppe le sue inutili considerazioni. Doveva mettersi al lavoro. Suonò il campanello. La porta venne immediatamente aperta da un uomo di mezz'età, tal quale se lo era immaginato l'ispettore udendolo parlare al telefono. Un uomo di distinzione assai dubbia, dallo sguardo torbido e la mano malferma. L'ispettore si presentò col suo aiutante, ed ebbe la soddisfazione di vedere un lampo di spavento negli occhi del maggiordomo. Non ne tenne gran conto: era facile che non avesse nulla a che fare con la morte del signor Rex Fortescue e che quella fosse solo una reazione meccanica. «Non è ancora rientrata, la signora Fortescue?» «No, signore.» «E neppure il signor Percival o sua moglie?» «No, signore.» «Allora vorrei parlare con la signorina Dove, per favore.» L'uomo volse lentamente il capo. «Eccola.» L'ispettore la guardò mentre scendeva con movimenti composti l'ampio scalone: questa volta l'immagine che se n'era fatto non corrispondeva alla realtà. La parola governante gli aveva suggerito l'immagine di una persona robusta e autoritaria, vestita di nero, con nascosto da qualche parte un enorme mazzo di chiavi. Non s'aspettava certo una figurina così graziosa, i toni color tortora dell'abito, il colletto e i polsini bianchi, il delicato sorriso leonardesco. C'era qualcosa d'irreale, in lei, come se quella giovane non ancora trentenne stesse recitando una parte: non quella della governante, ma quella della signorina Dove. Lo salutò educatamente. «L'ispettore Neele?» «Sì. Questo è il sergente Hay. Come vi ho detto per telefono, il signor Fortescue è morto alle dodici e quarantatré all'Ospedale St. Jude's e a quanto sembra, si debbono ricercarne le cause nella colazione di stamani. Vi sarei grato se permettesse al sergente di andare in cucina a esaminare i residui dei cibi che erano in tavola.» Gli occhi della signorina Dove incontrarono per un momento, pensosi, quelli dell'ispettore. «Certamente» disse. E, all'impacciato maggiordomo: «Crump, accompagnate il sergente Hay e fategli vedere tutto quello che vuole». I due uscirono. «Volete accomodarvi?» chiese la signorina all'ispettore. Aprì una porta e lo precedette. Era una stanza impersonale, con le pareti
rivestite di legno pregiato, grandi poltrone imbottite e una raccolta di stampe di caccia. «Sedete, prego.» L'ispettore accettò l'invito e notò che, sedendosi di fronte a lui, la signorina Dove si era messa col viso in piena luce: cosa insolita per una donna e ancor più insolita per una che abbia qualcosa da nascondere. Ma forse, Mary Dove non aveva nulla da nascondere. «È un guaio che non ci sia nessuno della famiglia. La signora rientrerà da un momento all'altro, e anche la moglie del signor Val. A lui ho telefonato presso vari indirizzi.» «Grazie, signorina Dove.» «Avete detto che il signor Fortescue è morto a causa di qualcosa che ha mangiato stamani a colazione. Pensate a cibi guasti?» «Può darsi» rispose l'ispettore fissandola. «Non mi sembra possibile. A colazione, questa mattina, c'erano uova strapazzate e pancetta, caffè, pane tostato e marmellata d'arancia. C'era anche del prosciutto, ma era già stato tagliato ieri e nessuno si è sentito male dopo averlo mangiato. Non c'era pesce, e neppure insaccati... nulla del genere.» «Vedo che sapete esattamente quello che va in tavola.» «È naturale: sono io che ordino i pasti. Ieri sera...» «No» interruppe l'ispettore. «La cena di ieri sera non interessa.» «Credo che a volte i sintomi di intossicazione si manifestino fino a ventiquattr'ore dopo.» «Non in questo caso... Potreste dirmi con certezza che cosa ha mangiato e bevuto il signor Fortescue prima di uscire questa mattina?» «Ha preso prima una tazza di tè, in camera sua, alle otto. A colazione, alle nove e un quarto, come vi ho già detto, il signor Fortescue ha mangiato uova strapazzate con pancetta, caffè, pan tostato e marmellata d'arancia.» «E lo zucchero, in zollette o in polvere?» «In zollette, ma il signor Fortescue prendeva caffè e tè senza zucchero.» «Aveva l'abitudine di prender medicine? Sali? Ricostituenti? O qualche digestivo?» «No, nulla di simile.» «Avete fatto colazione con lui?» «No, non mangio con loro.» «Chi altri c'era a colazione?»
«La signora Fortescue, la figlia e la moglie del signor Percival. Lui, come vi dicevo, è fuori.» «La signora e la signorina Fortescue hanno mangiato la stessa roba?» «La signora ha preso solo il caffè, con sugo d'arancia e pane tostato. La figlia, invece, e la moglie del signor Percival mangiano sempre abbondantemente: oltre alle uova e al prosciutto devono aver preso anche fiocchi d'avena.» L'ispettore rifletté un momento. Tre persone avevano fatto colazione con la vittima: sua moglie, sua figlia e sua nuora. Ciascuna di loro avrebbe potuti» cogliere l'occasione per versargli la tassina nella tazza: l'amaro del caffè avrebbe potuto mascherare l'amaro del veleno. C'era anche il primo tè del mattino, ma il dottor Bernsdorff aveva detto che nel tè semplice il sapore si sarebbe avvertito... però, appena svegli, non sempre ci si rende conto dei saporì... Sollevò gli occhi: la signorina Dove stava guardandolo. «Mi sembra strana la vostra domanda a proposito delle medicine, ispettore. Se non mi sbaglio implica il sospetto che qualcuna fosse sbagliata o alterata. Non mi sembra che questa possa chiamarsi intossicazione da cibo.» «Non ho detto» affermò Neele fissandola spietato «che si tratti di intossicazione da cibo. È un certo tipo, di intossicazione: è... avvelenamento.» Lei ripeté piano: «Avvelenamento...». Non sembrava stupita e neppure spaventata: solo piena di interesse, come chi fa un'esperienza nuova. Lo disse, infatti, dopo aver riflettuto un attimo: «Non mi è mai capitato d'aver a che fare con un avvelenamento». «Non c'è niente di piacevole» la informò secco Neele. «Oh, no... certo no...» Sembrò pensarci per un momento, poi con un improvviso sorriso lo guardò e disse: «Non sono stata io! Però suppongo che tutti vi diranno così». «Non avete un'idea di chi possa essere stato, signorina Dove?» Lei si strinse nelle spalle. «Sinceramente, il signor Fortescue era un tipo odioso, e chiunque potrebbe averlo fatto.» «Ma non si avvelena una persona solo perché è odiosa, signorina Dove. Ci vuole un motivo piuttosto preciso.» «Già.» «Potreste parlarmi dell'andamento della casa?» «Non è una dichiarazione ufficiale, quella che mi chiedete, vero? No,
non può essere perché il vostro sergente è occupato altrove con la servitù. Non mi piacerebbe sentir ripetere in tribunale quello che vi dirò... comunque mi piacerebbe raccontarvi qualche cosa. In via ufficiosa, facciamo.» «Avanti, dunque. Qui, come avete già osservato, non ci sono testimoni.» Si appoggiò allo schienale dondolando la caviglia sottile e socchiudendo gli occhi. «Lasciatemi dire anzitutto che non sono legata ai miei padroni da alcun sentimento di devozione. Lavoro per loro solo perché mi rende bene, e insisto sul fatto che deve rendermi bene.» «Ero infatti stupito di vedere una persona come voi in un posto del genere: con la vostra intelligenza e la vostra educazione...» «Dovrei piuttosto relegarmi in un ufficio? Compilare schede in qualche ministero? No, ispettore: questa è la sistemazione ideale! La gente è disposta a pagare molto, pur di essere liberata dalle preoccupazioni domestiche. Raccogliere e mandare avanti una servitù è un lavoro quanto mai noioso: bisogna scrivere alle agenzie, mettere gli annunci sul giornale, fissare gli appuntamenti, organizzare il servizio. Ci vogliono capacità che non tutti hanno.» «E supponiamo che quando l'abbiate messa insieme, la vostra servitù, non righi dritto. Càpita.» «Se è necessario so rifare i letti, spolverare, fare il lavoro della cuoca e delle cameriere senza che nessuno ne avverta la differenza. Naturalmente non lo dico mai, perché i signori potrebbero farsi delle idee. Comunque sono in grado di coprire ogni manchevolezza: e ce ne sono sempre. Inoltre lavoro solo per persone molto ricche, perché siccome possono affrontare i prezzi più alti, non faccio fatica a procurar loro quanto c'è di meglio.» «Come il maggiordomo, per esempio?» La signorina lo guardò divertita. «Questo è l'inconveniente delle coppie di sposi: Crump infatti è qui grazie a sua moglie che è una delle migliori cuoche che io abbia mai conosciuto. Una vera perla, e al signor Fortescue piace molto la sua cucina... cioè, piaceva. In questa casa hanno molto denaro, e nessuno si fa degli scrupoli: la cuoca può comperare quello che vuole. Quanto a Crump, è decorativo, pulisce bene l'argenteria e a tavola non serve male. Io, dal canto mio, tengo d'occhio il gin e il whisky.» L'ispettore la guardò lievemente ironico, e lei continuò: «Credo che sia necessario saper fare tutto, senza che poi sia necessario farlo. Voi però volevate una mia opinione sulla famiglia.»
«Se non vi dispiace.» «Sono tutti odiosi. Il defunto signor Fortescue era una vecchia volpe che riusciva a lavorare con le spalle al sicuro, e si vantava sempre della sua abilità negli affari: violento, volgare, fondamentalmente tiranno. La signora Adele è la sua seconda moglie, più giovane di lui di circa trent'anni. Si erano incontrati a Brighton dove lei faceva la manicure e aspirava a un marito ricco. È molto bella... una di quelle donne che piacciono agli uomini. Capite, vero?» L'ispettore era rimasto colpito, ma cercò di non darlo a vedere. Mary Dove continuò. «Adele lo sposò per i quattrini e i figli, Percival e Elaine, non possono soffrirla. Le fanno tutte le cattiverie possibili, ma lei molto abilmente non le rileva o non se ne accorge nemmeno: tanto, sa che può fare quello che vuole del vecchio. Oh, di nuovo il presente invece del passato! Non riesco a rendermi ragione che sia morto.» «Sentiamo qualcosa del figlio.» «Il caro Percival? Ovvero Val, come lo chiama sua moglie. È un perfetto ipocrita: affettato, falso, astuto. È terrorizzato dal padre e si è sempre lasciato maltrattare, ma sa benissimo fare i propri interessi. A differenza del padre, è avaro. L'economia è una delle sue idee fisse, e per questo ci ha messo tanto a trovarsi una casa fuori: vivendo qui, risparmiava.» «E sua moglie?» «Jennifer è un tipo remissivo e sembra stupida, ma non credo che lo sia. Prima di sposarsi faceva l'infermiera in una clinica, e ha curato Percival di una polmonite, fino alla conclusione sentimentale. Il vecchio non è stato affatto contento di questa unione, perché avrebbe voluto che il figlio facesse quello che lui chiamava un buon matrimonio. Disprezzava la povera signora Jennifer e la prendeva in giro. Credo che lei lo odi... cioè, lo odiasse cordialmente. Le sue preoccupazioni principali sono le compere e il cinematografo: il suo cruccio maggiore, è che il marito la tiene a corto di denaro.» «E la figlia?» «Mi fa quasi pena, perché non è cattiva. Una di quelle eterne bambine che fanno tutti gli sport, portano in giro le giovani esploratrici e cose del genere. Ha avuto un romanzetto non molto tempo fa, con un maestro dalla faccia eternamente scontenta, ma il padre scoprì che il giovane era di idee comuniste e piombò sull'idillio come una bomba.» «E lei non ha avuto il coraggio di rimanere con lui?» «Lei sì, lo avrebbe avuto, ma il giovane se l'è data a gambe. Un'altra
questione di denaro, immagino. Elaine, povera ragazza, non è molto attraente.» «E l'altro figlio?» «Non l'ho mai visto. Da quel che dicono deve essere molto bello, ma una pellaccia. C'è stata una questione per un assegno falso, tempo fa. Adesso vive nell'Africa Orientale.» «Il padre l'ha mandato fuori di casa?» «Sì. Virtualmente non poteva diseredarlo perché l'aveva già associato nella ditta, facendone un comproprietario, però aveva rotto ogni rapporto con lui da anni, limitandosi a fargli passare la compartecipazione agli utili che gli spettava per legge. Se qualcuno faceva il nome di Lance, rispondeva: "Non parlatemi di quel mascalzone. Non è mio figlio". Tuttavia...» «Tuttavia?» «Tuttavia non mi stupirebbe» concluse lentamente la signorina «che il signor Fortescue avesse pensato di richiamarlo a casa.» «Che cosa ve lo fa supporre?» «Circa un mese fa, il vecchio ha avuto una scenata violenta con Percival. Doveva aver scoperto qualche segreto armeggio, ed era furibondo. Così Percival non fu più la pecorella bianca. Era anche molto cambiato, negli ultimi tempi.» «Cambiato, il signor Fortescue?» «No, Percival. Sembrava terribilmente preoccupato.» «E adesso parlatemi della servitù. Mi avete già detto dei Crump. Chi altro c'è?» «Gladys Martin, la cameriera: si occupa delle stanze al pianterreno, prepara la tavola, aiuta Crump a servire. Niente male, come servizio, ma decisamente stupida. Un tipo ipotiroideo.» Neele fece un cenno d'assenso. «Poi c'è Ellen Curtis: è piuttosto anziana, testarda e sempre di malumore, ma ha benserviti ineccepibili ed è una guardarobiera di prim'ordine. Altre donne vengono saltuariamente per gli altri servizi.» «Non abita qui nessun altro?» «C'è la vecchia signorina Ramsbottom.» «Chi è?» «È la cognata del signor Fortescue, la sorella della prima moglie. Questa era molto più vecchia di lui e la signorina Ramsbottom a sua volta era molto più vecchia della sorella: adesso è sulla settantina. Ha una stanza al secondo piano dove cucina e si fa tutto da sé: una donna entra da lei solo per
la pulizia. È un tipo eccentrico e non è mai andata d'accordo col cognato, ma è venuta qui quando era ancora viva la sorella e poi è rimasta. Il signor Fortescue non se ne è mai preoccupato molto. In fondo, la signorina Effie non è che un'innocua macchietta.» «Così arriviamo a voi, signorina Dove.» «Volete qualche particolare? Sono orfana e ho seguito un corso per segretaria al St. Alfred's Secretarial College. Mi sono impiegata come dattilografa una volta, poi una seconda, poi mi son resa conto che quella non era la mia strada e ho incominciato col lavoro attuale. Sono già stata in altre tre case. Dopo un anno o un anno e mezzo, di solito, mi stufo del posto e cambio. Sono arrivata qui circa un anno fa. Scriverò i nomi delle persone presso cui ho lavorato e li consegnerò al sergente... si chiama Hay, non è vero? Vi basterà?» «Benissimo, signorina Dove.» L'ispettore tacque un momento e ricostruì quasi con gioia l'immagine della signorina Dove che avvelenava la colazione del signor Fortescue. Andava anzi più indietro e vedeva la signorina raccogliere metodicamente bacche di tasso in un cestino. Ritornò alla realtà con un sospiro. «Adesso vorrei vedere la ragazza, quella Gladys, e la guardarobiera, Ellen. A proposito, signorina Dove» aggiunse alzandosi «non potreste darmi un'idea del perché il signor Fortescue si portasse in tasca una manciata di segala?» «Segala?» La governante lo guardò con un'espressione che sembrava sinceramente sorpresa. «Sì. Non vi dice niente, signorina Dove?» «Assolutamente no.» «Chi si occupa dei suoi vestiti?» «Crump.» «Capisco. Il signor Fortescue e la moglie dormivano nella stessa camera?» «Sì. Avevano però ciascuno il proprio spogliatoio e il proprio bagno.» La governante guardò l'orologio da polso. «Credo che adesso dovrebbe proprio tornare.» L'ispettore era in piedi. «Sapete, signorina Dove,» disse con tono scherzoso. «Mi stupisce che, per quanto i campi di golf nelle vicinanze siano tre, nessuno abbia rintracciato la signora Fortescue.» «Non sarebbe affatto strano, ispettore, che la signora non giocasse a golf.»
La voce della governante era asciutta. L'ispettore ribatté duramente: «Mi era stato detto con precisione che la signora era al golf». «Ha preso le mazze da golf e ha detto che aveva intenzione di giocare. È uscita con la sua automobile.» L'ispettore la fissò. «Con chi doveva giocare? Lo sapete?» «Penso si tratti del signor Vivian Dubois.» Neele si limitò a dire: «Capisco». «Adesso vi manderò Gladys. Temo che sia spaventata da morire.» Si soffermò sulla porta e aggiunse: «Non vi consiglierei di prendere troppo alla lettera quello che vi ho detto. Io sono terribilmente maligna». E uscì. L'ispettore rimase a guardare la porta chiusa e a riflettere: dettato o meno da malignità, quello che lei gli aveva detto non poteva non suggestionarlo. Se Rex Fortescue era stato avvelenato (e la cosa sembrava sicura) il lavoro alla Baracca dei Tassi si annunciava quanto mai promettente. Di moventi, lì, ce n'erano in abbondanza. V La ragazza entrò nella stanza evidentemente controvoglia: aveva l'aria spaventata, era poco attraente e riusciva a sembrare sciatta benché fosse alta e indossasse un elegante grembiule chiaro. «Non sono stata io!» proruppe fissandolo con occhi imploranti. «Davvero: non sono stata io!» «Lo credo bene» disse cordialmente Neele. La sua voce aveva un tono nuovo, gaio e naturale, che voleva tranquillizzare quel povero coniglio spaventato. «Sedetevi qui» continuò. «Desidero solo sapere qualcosa della colazione di questa mattina.» «Io non ho fatto niente.» «Lo so. Avete preparato la tavola per la colazione?» «Sì.» L'ammise a fatica: sembrava terrorizzata e colpevole, ma l'ispettore era abituato a vedere quell'espressione sul volto degli interrogati. Continuò a far domande cercando di metterla a suo agio: chi era sceso per primo, chi subito dopo. Elaine Fortescue era stata la prima a scendere ed era entrata nel momento in cui Crump arrivava col caffè. Subito dopo era venuta la signora Fortescue, quindi la signora Jennifer; ultimo il padrone. Avevano l'abitudine di servirsi da soli. Il tè, il caffè e le portate calde erano pronti sugli
scaldapiatti. L'ispettore non ne cavò nulla che già non sapesse. I cibi erano proprio quelli che Mary Dove aveva elencato. Il signor Fortescue, sua moglie e la signorina Elaine prendevano il caffè; la signora Jennifer il tè. Tutto si era svolto come d'abitudine. L'ispettore le fece alcune domande sulla sua vita e qui la ragazza rispose con maggior prontezza. Era stata dapprima a servizio presso una famiglia, poi in un paio di caffè. Alla fine aveva pensato di tornare a servizio privato ed era venuta alla Baracca dei Tassi, in settembre. Era lì, dunque, da due mesi. «E siete contenta?» «Mi sembra che vada abbastanza bene. Non c'è da stare molto in piedi, ma lasciano poca libertà...» «Adesso ditemi dei vestiti del signor Fortescue: chi li ripassava e li spazzolava?» Gladys parve un po' risentita. «Dovrebbe farlo Crump, ma il più delle volte lo fa fare a me.» «E chi ha spazzolato e stirato il vestito che indossava oggi il signor Fortescue?» «Non ricordo quale vestito fosse. Ne aveva tanti!» «E non gli avete mai trovato grano nelle tasche?» «Grano?» La giovane sembrava imbarazzata. «Segala, per essere esatti.» «Segala? Sarebbe il pane, no? Quello nero... Ho sempre pensato che sia cattivo.» «Quello è pane di segala. La segala è il grano con cui lo si fa. Capite? Ne abbiamo trovato una manciata nella tasca della sua giacca. Non sapete come può essere accaduto?» «Non saprei. Non ne ho mai visto.» Non riuscì a cavarne altro. Un paio di volte ebbe la sensazione che Gladys Martin ne sapesse più di quanto non voleva ammettere, perché era troppo imbarazzata e sulla difensiva. Ma pensò che fosse tutto dovuto a un'istintiva paura della polizia. Quando alla fine la congedò, la ragazza chiese: «Allora è vero che è morto?». «Sì, è morto.» «Improvvisamente? Quando hanno telefonato dall'ufficio, hanno detto che aveva avuto come delle convulsioni.» «Sì... qualcosa di simile.»
«Una ragazza che conoscevo io aveva le convulsioni» disse Gladys. «Le venivano ogni tanto, io mi spaventavo molto.» Per un momento, questo ricordo le fece dimenticare la paura. L'ispettore s'avviò verso la cucina. Fu ricevuto in maniera allarmante. Una donna di dimensioni enormi, rossa in viso e armata di mattarello, gli andò incontro minacciosa. «La polizia!» sbottò. «Venire a dire cose simili! Quella che ho mandato in sala da pranzo era tutta roba buona. Venir qui a dire che ho avvelenato il padrone! Polizia o non polizia, io vi denuncio! In questa casa non ci sono mai stati cibi guasti!» Ce ne volle prima che l'ispettore potesse calmare quella furia. Il sergente Hay lo guardò sogghignando dalla dispensa e l'ispettore capì che anche lui era dovuto passare sotto le forche caudine della signora Crump. Il trillo del telefono mise fine all'incontro. Neele tornò nell'atrio dove la signorina Dove stava già rispondendo e scriveva qualche cosa su un foglio di carta. «È un telegramma» gli disse voltando il capo. Deposto il ricevitore gli porse il foglio: il telegramma veniva da Parigi e diceva: "Fortescue Baracca Tassi Baydon Heath Surrey. Ricevuta in ritardo tua lettera. Arriverò domani ore 17. Prepara vitello grasso. Lance." L'ispettore inarcò le sopracciglia. «Così» disse «il figliol prodigo era stato richiamato a casa.» VI Nel momento in cui Rex Fortescue beveva la sua ultima tazza di tè, Lance Fortescue se ne stava seduto con la moglie sotto gli alberi dei Champs Elysées a guardare il passeggio. «È facile dire: "Descrivilo", Pat. Lo sai che le descrizioni non sono pane per i miei denti. Che cosa vorresti sapere? Il signore è una vecchia volpe, ma a te non importa, vero? Ci devi essere abituata, più o meno.» «Già» rispose Pat. Cercò di mascherare un velo di tristezza: forse, pensò, tutto il mondo era fatto di imbroglioni: o era stata lei, sfortunata. Era una giovane alta, dalle gambe lunghe, non proprio bella ma con un particolare fascino fatto di vivacità, e una personalità dolce, calda. Aveva bei capelli castani lucenti. Il suo incedere era elegante, e si sarebbe detto che la sua dimestichezza coi cavalli le avesse donato l'aspetto di una pule-
dra di razza. Sapeva che cos'erano gli imbrogli nel mondo delle corse e adesso avrebbe fatto conoscenza con quelli del mondo finanziario. Ciononostante, suo suocero, che non aveva ancora visto, sembrava essere, di fronte alla legge, un pilastro di rettitudine. Tutti uguali questi individui che vantano la loro "abilità negli affari": a rigor di termini riescono sempre a stare dentro la legge. Mentre le sembrava che il suo Lance, di cui era veramente innamorata, e che aveva ammesso di essere andato fuori dalla legge, ai suoi tempi, avesse un'onestà fondamentale di cui quei praticoni e quelle vecchie volpi mancavano. «Non dico» riprese Lance «che sia un imbroglione, no, certo. Ma sa sempre puntare sul cavallo vincente.» «A volte mi sembra di odiare tutti quelli che sanno sempre puntare sui vincenti. Tu gli vuoi bene» aggiunse lei. Non era una domanda ma una constatazione. Lance rimase soprappensiero un momento e disse con voce quasi sorpresa: «Davvero, cara: credo di sì». Pat rise, e lui volse il capo a guardarla: socchiuse gli occhi. Quant'era adorabile! Ne era innamorato davvero! Valeva la pena di fare ogni cosa, per lei. «Da un lato» disse «sarà una noia tornare a casa. Vita d'ufficio e a casa col treno delle 17,18. Non è la vita che fa per me: io preferisco qualcosa di meno metodico, ma credo che a un certo momento ci si debba metter tranquilli. E, col tuo aiuto, l'esperimento potrà riuscire addirittura piacevole. Senza contare che se il vecchio ha fatto un passo, bisogna approfittarne. Debbo ammettere che mi sono stupito quando ho ricevuto quella lettera. Percival, lo scolaretto diligente, aveva combinato una marachella! Credi a me: è sempre stato scaltro e ipocrita.» «Non credo che andrò d'accordo con tuo fratello» disse Patrizia. «Non vorrei metterti contro di lui. Semplicemente, non siamo mai andati d'accordo, questo è tutto. Io spendevo i miei quattrini e lui li metteva da parte. Io avevo amici poco raccomandabili, ma simpatici e intelligenti, lui aveva le conoscenze "che servono". Eravamo ai poli opposti. L'ho sempre considerato un poveretto e qualche volta penso che mi abbia proprio odiato. Non so bene perché.» «Credo di capire.» «Davvero, cara? Capisci sempre tutto! Vedi, mi sono sempre domandato... sembra un'enormità...»
«Prova a dire.» «Mi sono sempre domandato se dietro la faccenda di quell'assegno, non ci fosse lo zampino di Percival. Sai, quando mio padre mi buttò fuori, furioso di avermi già associato nella ditta perché non poteva più diseredarmi. In effetti, il buffo è che io non ho mai falsificato l'assegno, ma naturalmente nessuno mi credeva dopo che una volta avevo preso i soldi della cassa per giocarli alle corse. Io ero convinto di poterli rimettere, e in fondo si trattava di roba anche mia, per così dire. Ma quell'affare dell'assegno... No, via! Non so proprio come mi sia venuta l'idea che c'entrasse Percival... Comunque m'è venuta.» «Ma non ci avrebbe guadagnato nulla. L'assegno è stato pagato a te.» «Già. Per questo non ha senso.» Pat lo guardò fisso. «Pensi forse... che abbia tentato di farti buttar fuori dalla ditta?» «Be', vien fatto di chiederselo. Ma è una cosa assurda, non pensarci più. Mi domando che cosa dirà il caro Percy quando vedrà ritornare il figliuol prodigo. Quei suoi occhi da pesce lesso gli schizzeranno dalle orbite!» «Non sa del tuo ritorno?» «Non mi stupirei che non ne sapesse niente: al vecchio piace fare scherzetti del genere.» «Ma che cosa può aver fatto tuo fratello per irritarlo così?» «Mi piacerebbe saperlo. Mio padre doveva essere proprio stufo per scrivermi con quel tono.» «Quando hai ricevuto la sua prima lettera?» «Deve essere stato quattro, no, cinque mesi fa. Una lettera molto diplomatica, ma che portava, senza possibilità di dubbio, il ramoscello di olivo. "Tuo fratello maggiore s'è dimostrato inetto in molte circostanze." "Sembra che le stranezze di gioventù ti siano passate, e che tu abbia messo la testa a partito." "Posso assicurarti che ti converrà anche da un punto di vista finanziario." "Benvenuto a te e a tua moglie." Sai, cara, credo che l'averti sposata abbia avuto la sua importanza, perché lui è rimasto molto impressionato dal fatto che io sono entrato nell'aristocrazia.» Pat scoppiò a ridere. «Nella marmaglia aristocratica, direi.» «Già» sghignazzò lui «ma il vecchio ha badato ai titoli e non alle persone. Dovresti veder la moglie di Percival; è il tipo che dice: "Passami un panino", e poi attacca a parlare di un francobollo.» Pat non rise più: stava prendendo in considerazione le donne della famiglia nella quale era entrata, e Lance non aveva mai pensato a istruirla in
merito. «E tua sorella?» domandò. «Elaine? Era ancora piccola quando sono partito. Oh, è una brava ragazza, seria... Ma credo che sia cambiata: è un'ipersensibile.» La cosa non era rassicurante. Pat chiese: «Non ti ha mai scritto, dopo che sei partito?». «No. Non siamo affiatati, noi.» «Vedo.» Lance le diede un'occhiata rapida. «Sei seccata per i miei? Non preoccuparti, cara, perché non vivremo con loro. Avremo il nostro piccolo nido in qualche angolo con cani, cavalli e tutto quello che ti piace.» «Ma ci sarà sempre il treno delle 17,18.» «Per me sì: su e giù dalla città, sempre dignitosamente vestito. Ma non ti spaventare, amore: ci sono dei graziosi posticini in campagna anche vicino a Londra. E poi, in questi ultimi tempi, mi sono sentito crescere il bernoccolo degli affari. Dopo tutto ce l'ho nel sangue, da parte di mio padre e di mia madre.» «Te la ricordi appena, vero?» «Mi è sempre sembrata incredibilmente vecchia. O lo era proprio: aveva quasi cinquant'anni quando è nata Elaine. Portava sempre addosso un sacco di ciondoli e stava sdraiata su un divano a leggermi storie di dame e cavalieri: Gli idilli del re, di Tennyson, che mi annoiavano a morte. Le volevo bene... Era molto... era incolore, per così dire. Me ne rendo conto ripensandoci.» «Non mi sembra che tu abbia mai voluto bene a nessuno» osservò Pat con disapprovazione. Lance l'afferrò per un braccio scuotendola. «Io voglio bene a te» disse. VII L'ispettore aveva ancora in mano il telegramma quando sentì un'automobile fermarsi di fronte alla casa con uno stridor di freni. La signorina Dove disse: «Questa deve essere la signora Fortescue». L'ispettore si avvicinò alla porta e scorse, con la coda dell'occhio, la governante che si allontanava senza rumore. Evidentemente non voleva essere presente alla scena che sarebbe seguita. Notevole dimostrazione di tatto, e anche strana mancanza di curiosità: un'altra donna sarebbe quasi certa-
mente rimasta... Giunto alla porta udì il passo del maggiordomo che entrava nell'atrio: dunque aveva sentito arrivare l'automobile. Si trattava d'una Rolls Bentley coupé. Ne scesero due persone. Come furono davanti alla porta questa si aprì. Adele Fortescue guardò sorpresa l'ispettore. Era veramente una bella donna e Neele giustificò l'espressione della governante. Adele Fortescue era il tipo di donna che piace agli uomini. Ricordava la figura della signorina Grosvenor, ma mentre questa aveva un fascino esteriore ed era fondamentalmente seria, Adele Fortescue era tutta procace, e il suo fascino non era per nulla sottile. Sembrava dire agli uomini: "Eccomi, sono una donna". Spirava una prepotente femminilità nelle parole, nelle movenze, nel vestire. Eppure aveva uno sguardo freddamente calcolatore. A quella donna, pensò il funzionario, piacevano gli uomini, ma le sarebbero sempre piaciuti di più i quattrini. Neele esaminò poi l'uomo che l'accompagnava carico di mazze da golf. Conosceva bene il tipo: specializzato in giovani mogli di ricchi signori anziani. Il signor Vivian Dubois, se era lui, aveva quell'affettato tono mascolino che non ha niente a che fare con l'autentica virilità. Era il tipo che "capisce" le donne. «La signora Fortescue?» «Sì.» I grandi occhi azzurri si fissarono interrogativi sullo sconosciuto. «Non so con chi...» «Sono l'ispettore Neele di Scotland Yard. Temo di dovervi dare brutte notizie, signora.» «Che c'è?... Un furto?» «Nulla del genere. Si tratta di vostro marito: è stato colto da malore, questa mattina.» «Rex? Colto da malore?» «Dalle undici e mezzo abbiamo tentato di metterci in contatto con voi.» «Ma dov'è? Qui? All'ospedale?» «L'hanno portato all'Ospedale St. Jude's. Temo che dovrete prepararvi al peggio.» «Volete dire... non è... morto?» Vacillò in avanti e gli si appese al braccio. Con la triste sensazione di recitare una parte, l'ispettore l'accompagnò nell'atrio. Crump arrivò sollecito. «Avrà bisogno di un cognac» disse. «Sì, Crump. Portate il cognac.» Era la voce profonda del signor Dubois. «Accomodatevi qui» aggiunse rivolto all'ispettore. Aprì una porta a sinistra
e il piccolo gruppo entrò in un salotto, subito seguito da Crump con la bottiglia e i bicchieri. Adele Fortescue si lasciò andare in una poltrona coprendosi gli occhi con una mano; prese il bicchiere che le porgeva l'ispettore, bevve un piccolo sorso e lo allontanò. «Non ne voglio» disse. «Sto bene. Ma ditemi! Che cosa è stato? Un colpo? Povero Rex!» «Non è stato un colpo, signora Fortescue.» «Siete un ispettore di Scotland Yard, avete detto?» chiese il signor Dubois. «Precisamente» rispose Neele voltandosi verso di lui. «Ispettore Neele della Sezione Giudiziaria.» Gli vide negli occhi neri uno sguardo allarmante. Al signor Dubois non andava la comparsa di un ispettore di polizia. Non gli andava affatto. Senza rendersene conto indietreggiò verso la porta. L'ispettore notò il movimento. «Temo che dovremo aprire un'inchiesta» disse alla signora. «Un'inchiesta? Che cosa volete dire?» L'ispettore prese un tono dolce. «Temo che tutto ciò vi turberà, signora Fortescue. Ma si è presentata la necessità di accertare che cosa ha mangiato e bevuto il signor Fortescue, questa mattina, prima di uscire.» «Volete dire che forse è stato un avvelenamento?» «Sembra di sì.» «Non posso crederci. O volete dire cibi guasti?» chiese la signora abbassando la voce. Col volto impassibile e il tono sempre cortese l'ispettore domandò: «Che cosa pensate che io voglia dire?». La signora ignorò la domanda. «Ma noi siamo stati bene... noi tutti.» «Potete dirlo di tutti?» «Be'... no. Naturalmente, non so.» Il signor Dubois guardò l'orologio con gesto palese. «Io debbo andare, Adele» disse. «Me ne dispiace immensamente. Ma ora stai bene, nevvero? Poi ci sono le cameriere e la piccola Dove...» «Oh, Vivian, no, non andartene!» Era un gemito, ma ebbe sul signor Dubois l'effetto contrario e ne accelerò la ritirata. «Me ne rincresce molto, amica mia, ma ho un impegno importantissimo. Comunque, ispettore, sono al Dormy House, se per caso avete bisogno di me.»
L'ispettore annuì. Non desiderava affatto trattenere il signor Dubois, e diede alla sua fuga solo il valore che aveva: il signor Dubois voleva evitare ogni fastidio. Adele Fortescue si lagnò: «È un brutto colpo, tornare a casa e trovare la polizia!». «Capisco, signora, ma è stato necessario agire immediatamente, nella speranza di trovare i resti dei cibi, del caffè, del tè.» «Tè e caffè? Ma non possono far male. Piuttosto quella schifosa pancetta che ci danno: qualche volta è immangiabile.» «Lo sapremo, signora, non dubitate. Sareste veramente stupita di quel che accade talvolta. Un caso, per esempio, di avvelenamento da digitalina, ed è venuto fuori che per errore avevano mangiato foglie di digitale scambiandole per foglie di rafano.» «Pensate che possa essere successo qualche cosa del genere?» «Lo sapremo meglio dopo l'autopsia.» «L'autops... Oh, capisco.» Rabbrividì. «Avete molti tassi intorno alla casa, signora» continuò l'ispettore. «Non può darsi il caso, per esempio, che delle bacche o delle foglie siano finite nei cibi?» La guardò fissamente, e lei spalancò gli occhi. «Le bacche di tasso? Sono velenose?» Lo stupore sembrava troppo marcato. «Sappiamo di bambini che le hanno mangiate con conseguenze letali.» Adele Fortescue si strinse la testa fra le mani. «Non ne posso più! Ma perché debbo star qui a parlare con voi? Lasciatemi in pace, mi mancano le forze. Il signor Percival sistemerà tutto... Io non posso... non posso... non potete costringermi...» «Ci metteremo in contatto con il signor Percival Fortescue al più presto, ma sfortunatamente è nel Nord.» «Oh, già, dimenticavo.» «Ancora una cosa sola, signora Fortescue: vostro marito aveva in tasca della segala: non sapreste darne una spiegazione?» La signora scosse il capo, stupita. «Non potrebbe avercela messa qualcuno, per scherzo?» incalzò Neele. «Non vedo che scherzo potesse essere.» Neppure l'ispettore lo vedeva. «Non vi disturberò più» disse alla fine. «Debbo mandarvi una cameriera? O la signorina Dove?» «Come?» La voce di lei era assente, e l'ispettore si domandò a che cosa stesse pensando.
Rovistò nella borsetta con mano incerta e ne trasse un fazzoletto. «È terribile» disse con voce tremante. «Solo adesso incomincio a rendermene conto. Ero come istupidita. Oh, povero Rex, povero caro Rex!» Aveva tutta l'aria di essere sincera, e il poliziotto rispettò in silenzio il suo dolore. «Sì, certo. È stato così improvviso» disse. «Ora vi mando qualcuno.» S'avviò alla porta, l'aprì e aspettò un momento prima di voltarsi. Adele Fortescue si teneva ancora il fazzoletto sugli occhi. Un lembo le copriva il volto, ma non del tutto la bocca. Sulle labbra aveva un lieve sorriso. VIII «Ho raccolto tutto quello che ho potuto» disse il sergente Hay. «La marmellata d'arancia, un po' di caffè e di zucchero e delle foglie di tè, per quel che potranno servire. A quest'ora il tè che era in tavola è stato buttato via, ma c'è una cosa: era avanzato molto caffè e l'hanno portato alle undici alla tavola della servitù... È importante, direi.» «Certo che è importante. Se il veleno era nel caffè ne troveremo ancora le tracce.» «Precisamente. Ho domandato con cautela qualche cosa dei tassi, delle bacche e delle foglie, ma nessuno ne ha mai viste per casa. E nessuno sa niente della segala che aveva in tasca. Dicono che è una cosa senza senso, e pare idiota anche a me. Non era neppure uno di quei fanatici che mangiano qualsiasi roba cruda. Il marito di mia sorella per esempio è un tipo del genere: è sempre con carote crude, piselli crudi, rape crude. Ma neanche lui ha mai mangiato chicchi di segala. Dopotutto, deve gonfiare la pancia.» Trillò il telefono, e, a un cenno dell'ispettore, il sergente si affrettò a rispondere. Scotland Yard comunicava che Percival Fortescue era stato informato e che era già in viaggio per tornare a casa. Subito dopo, un'automobile si fermò di fronte alla casa. Crump aprì la porta. La donna che comparve aveva le mani piene di pacchetti. Il maggiordomo glieli prese. «Grazie, Crump. Guardate che c'è da pagare il tassì. Io vado di là per il tè. La signora e la signorina sono in casa?» Il maggiordomo esitò guardandosi alle spalle... «Sono arrivate brutte notizie, signora. Del padrone.»
«Del signor Fortescue?» Neele si fece avanti. Il maggiordomo disse: «Questa è la signora Jennifer Fortescue, signore.» «Cosa c'è? Cosa è successo? Un incidente?» Era una donna piuttosto grassa, dall'espressione scontenta. L'ispettore la giudicò sulla trentina. C'era dell'impazienza nel suo tono. Gli balenò la sensazione che quella donna fosse come carica di noia. «Mi rincresce di dovervi comunicare che il signor Fortescue è stato colto da malore, questa mattina, e che è morto all'Ospedale St. Jude's.» «Morto, avete detto!» Evidentemente la notizia la stupiva più di quanto lui stesso non s'aspettasse. «Oh, poveri noi! Che colpo! E mio marito è via! Dovreste mettervi in contatto con lui: è al Nord e credo che all'ufficio vi sapranno dire dove di preciso. Si occuperà lui di tutto... Le disgrazie capitano sempre nel momento peggiore!» Tacque un momento, come rimuginando qualche cosa fra sé. «Tutto dipende» disse poi «da dove si faranno i funerali. Se qui o a Londra.» «Deve decidere la famiglia» rispose Neele. «Certo: me lo stavo appunto chiedendo.» Solo in quel momento sembrò accorgersi del suo interlocutore. «Siete uno dell'ufficio?» chiese. «O un medico?» «Sono un funzionario di polizia. La morte del signor Fortescue è stata improvvisa, e...» «Volete dire che lo hanno "assassinato"?» Era la prima volta che quella parola veniva pronunciata. Neele osservò attentamente la donna. «Ma perché lo pensate, signora?» «Non so. Dite che è stato improvviso e che siete della polizia. Avete parlato con lei? Che cosa ha detto?» «Non capisco a chi alludiate.» «Adele. Ho sempre detto a Val che suo padre era stato matto a sposare una donna tanto più giovane di lui, ma non c'è pazzo peggiore d'un vecchio pazzo. Reso stupido da quella donna indegna, e adesso guardate che cosa succede... Un bel pasticcio per tutti, con le fotografie sui giornali e i cronisti che arriveranno qui come mosche.» Tacque pensando evidentemente a quello che sarebbe successo come a una serie di quadri dai colori forti. L'ispettore pensò che le previsioni non dovevano esserle del tutto sgradevoli. La signora gli si rivolse di nuovo:
«Che cosa è stato? Arsenico?». Con un tono che voleva arginare un torrente di domande, l'ispettore rispose: «Le cause della morte non sono ancora accertate. Naturalmente bisognerà fare l'autopsia e un'inchiesta.» «Ma voi lo sapete già, nevvero? Altrimenti non sareste qui.» Ebbe un lampo di malizia nel viso grasso, un po' stupido. «Immagino che abbiate voluto sapere quel che aveva mangiato iera sera e stamattina. E anche quel che aveva bevuto.» La vide affannarsi con la fantasia dietro tutte le possibilità. «Sembra che il malore dipendesse da qualcosa che aveva mangiato questa mattina» disse Neele con una certa reticenza. «Questa mattina?» sembrava sorpresa. «Strano, non vedo come...» S'interruppe e scosse il capo. «Non capisco come possa averlo fatto... A meno che non glielo abbia messo nel caffè, mentre io ed Elaine guardavamo altrove.» Dietro a loro una voce rispettosa annunciò che il tè era servito. Jennifer Fortescue sussultò. «Oh, grazie, signorina Dove. Credo che una tazza di tè mi farà bene. Sono tutta scombussolata. E voi, ispettore?» «Grazie, non adesso.» La grassa figura della signora Jennifer esitò un momento, poi si allontanò camminando lentamente. Non appena l'uscio si fu richiuso alle sue spalle, la signorina Dove mormorò dolcemente: «Credo che ignori il significato della parola calunnia». L'ispettore non rispose. «Posso fare qualcosa per voi?» gli chiese la signorina. «Dove posso trovare Ellen, la guardarobiera?» «È appena salita. Vi accompagno io.» Ellen era torva, ma non spaventata. Guardò l'ispettore con aria quasi trionfante. «È una cosa terribile, signore, e non avrei mai creduto che potesse accadere proprio nella casa dove io lavoro. Però forse ho torto a sorprendermi: non mi è mai piaciuto il linguaggio che si tiene in questa casa, né tutto quello che si beve, e non approvo il loro modo di vivere.» «Che cosa intendete per "modo di vivere"?» «Lo saprete presto se non ve l'hanno già detto. È la favola del paese, li hanno visti dappertutto. Quel continuo giocare a golf e a tennis che dico-
no... Ma li ho visti io, proprio coi miei occhi, in questa casa. La porta della biblioteca era aperta e loro se ne stavano là dentro a baciarsi e a tubare.» Il veleno della vecchia zitella schizzava da tutti i pori. Neele sentiva che era inutile domandare: "Chi?", tuttavia lo chiese. «Come, chi! Ma la padrona e... quell'uomo. E non hanno nemmeno pudore. Se poi volete la mia opinione, il padrone lo sapeva. Doveva averci messo qualcuno alle costole. E sarebbe finita col divorzio, ve lo dico io. Invece ecco che cosa è capitato.» «E cos'è capitato, secondo voi?» «Vi siete informato di quel che il padrone ha mangiato o bevuto e di chi gliel'ha servito. È chiaro, no? Lui s'è procurato la merce e lei gliel'ha somministrata. È andata così, ve lo posso assicurare.» «Non avete mai visto bacche o foglie di tasso in giro per la casa o da qualche parte?» Gli occhietti della donna brillarono stranamente. «Di tasso? Bella roba velenosa! Mai toccarla, mi diceva mia madre quand'ero piccola. È questo che hanno adoperato?» «Non lo sappiamo ancora.» «Non l'ho mai vista cincischiare con bacche di tasso.» Sembrava ne fosse seccata. «No, nulla del genere.» Neele le domandò informazioni sulla segala, ma anche qui andò a vuoto. Fece altre domande, sempre senza risultati positivi. Alla fine chiese di vedere la signorina Ramsbottom. Ellen rimase incerta. «Posso provare, ma di solito non vuol veder nessuno. Sapete, è una vecchia eccentrica.» L'ispettore insisté e quasi controvoglia Ellen lo accompagnò attraverso un corridoio e su per una breve rampa di scale a quella che probabilmente avrebbe dovuto essere la stanza dei bambini. Passando gettò un'occhiata da una finestra e vide il sergente a colloquio con un uomo che sembrava un giardiniere. Ellen bussò: quando ebbe risposta aprì la porta e disse: «C'è un signore della polizia che desidera parlarvi, signorina». Evidentemente la vecchia aderì, perché Ellen si tirò indietro e accennò all'ispettore di entrare. La stanza era piena di mobili fino all'inverosimile. L'ispettore ebbe l'impressione di aver fatto un passo indietro nel tempo fino all'epoca vittoriana. Seduta a un tavolo, sotto una lampada a gas, una vecchia faceva un solitario; era vestita di marrone, coi radi capelli grigi tirati in due bande sulle o-
recchie. «Venite avanti, venite avanti» disse impaziente, senza nemmeno sollevare lo sguardo dalle carte. Non era facile accettare l'invito perché le sedie erano tutte coperte di libri e giornali di carattere religioso. Mentre li scostava per farsi posto sul divano, la vecchia domandò, secca: «Vi interessate di missioni?». «Debbo ammettere di no.» «Male. Dovreste farlo. Lì è lo spirito cristiano di oggi: nel centro dell'Africa. La settimana scorsa è venuto qui un giovane sacerdote. Nero come il carbone, ma un vero cristiano.» L'ispettore non riusciva a trovare le parole. La vecchia zitella dichiarò a bruciapelo: «Non ho la radio». «Dicevate, prego?» «Pensavo che foste venuto per le tasse della radio o qualche altra scemenza del genere. Be', signor mio, che c'è allora?» «Signorina Ramsbottom, sono dolente di dovervi comunicare che vostro cognato, il signor Fortescue, è stato improvvisamente colto da malore, questa mattina, ed è morto.» La signorina continuò imperterrita il suo solitario. Commentò, drammatica: «Colpito nella sua arroganza e nel suo peccaminoso orgoglio. Doveva accadere». «Spero che non sia un colpo troppo duro per voi.» Si capiva benissimo che non lo era, ma l'ispettore voleva udire la sua risposta. La signorina lo fulminò con lo sguardo, al di sopra degli occhiali. «Se volete dire che non mi addolora, siete nel giusto. Rex Fortescue non mi è mai piaciuto: viveva nel peccato.» «È stata una morte improvvisa...» «Come si conviene ai senza Dio» sentenziò la vecchia con soddisfazione. «Forse lo hanno avvelenato...» L'ispettore s'interruppe e osservò l'effetto delle sue parole, che, a dire il vero, non ne ottennero molto. La signorina Ramsbottom si limitava a brontolare. «Il sette rosso sull'otto nero. Adesso posso liberare il re.» Avvertendo il silenzio dell'ispettore si fermò con una carta a mezza aria. «Be', che cosa vi aspettate che dica? Non l'ho avvelenato io, se è questo che volete.»
«E non avete un'idea di chi possa essere stato?» «È una domanda sconveniente. In questa casa vivono due figli di una mia sorella morta, e io mi rifiuto di credere che gente nelle cui vene scorre il sangue dei Ramsbottom, sia capace di commettere un delitto. Perché voi supponete che si tratti d'un delitto, vero?» «Non ho detto questo, signorina.» «Certo che è un delitto. Troppa gente avrebbe voluto fargli la pelle, prima o poi. Era un uomo senza scrupoli e tutto si paga, a un certo momento.» «Non sospettate nessuno in modo particolare?» La vecchia raccolse le carte e s'alzò in piedi. Era veramente alta. «Credo che adesso fareste meglio ad andarvene» disse. Non era irritata ma il suo tono non ammetteva repliche. «E se volete la mia opinione» aggiunse «è stato uno della servitù. Quel maggiordomo mi sembra un bel pezzo di mascalzone e la cameriera è una deficiente. Buona sera.» L'ispettore si trovò con la coda fra le gambe. Scese le scale giusto in tempo per trovarsi faccia a faccia con una ragazza alta dai capelli neri che aveva indosso un impermeabile bagnato e lo fissava con occhi stranamente vacui. «Sono appena tornata» disse «e mi hanno detto che... papà... è morto.» «Purtroppo è vero.» La ragazza indietreggiò fino a una cassapanca di quercia e lentamente, rigidamente si sedette. «Oh, no!» disse. «No...» Due lagrime le rigarono le guance. «È terribile. Non ho mai pensato di volergli bene veramente... anzi, pensavo di odiarlo... Ma non era così, perché adesso non me ne importerebbe nulla... invece me ne importa... oh, sì!» Se ne stava lì seduta a fissare il vuoto e le lagrime continuavano a rigarle il viso. Quasi senza fiato, improvvisamente, disse: «La cosa più terribile è che questo sistema tutto. Io e Gerald, ora, possiamo sposarci, possiamo fare quello che vogliamo. Ma non volevo che succedesse così. Non volevo che mio padre morisse... oh, no! Oh, papà, papà!...» Per la prima volta da quando era arrivato alla Baracca dei Tassi l'ispettore fu colpito da qualcosa che sembrava un dolore sincero per la morte di Rex Fortescue.
IX «Io direi che è stata la moglie» dichiarò il vicecommissario dopo aver ascoltato attentamente il rapporto dell'ispettore (un rapporto breve ma perfetto con tutti i dati di rilievo). «E voi, Neele?» L'ispettore disse che anche lui era dello stesso parere, e osservò cinicamente che di solito è la moglie. O il marito, secondo i casi. «Certo, le possibilità non le sono mancate. Ma il movente? Esiste un movente?» «Direi di sì. Quel tale signor Dubois, ricordate?» «Pensate che c'entri anche lui?» «No, non arrivo a questo punto.» Neele soppesò quello che stava per dire. «Mi sembra che ci tenga un po' troppo alla sua pelle. Può aver intuito le intenzioni di lei, ma non riesco a pensare che l'abbia istigata.» «Già. Molto prudente.» «Troppo prudente.» «Be', non bisogna tirare troppo presto le conclusioni, ma questa sembra un'ipotesi possibile. E gli altri due, che pure avrebbero avuto la possibilità di farlo?» «Sono la figlia e la nuora. La prima è innamorata di un giovane col quale il padre non voleva che si sposasse. E, in definitiva, lui non la sposerebbe certo, se lei non avesse i quattrini. Questo le darebbe un movente. Quanto alla nuora, preferisco non pronunciarmi perché ne so troppo poco. Comunque rimane certo che tutte e tre hanno avuto la possibilità materiale di somministrargli il veleno, mentre non vedo come altri avrebbe potuto farlo. Il maggiordomo, la cameriera, la cuoca, hanno tutti toccato la colazione in una maniera o in un'altra, ma non so come avrebbero potuto propinare la tassina al signor Fortescue e non agli altri. Così stanno le cose, ammesso che si tratti proprio di tassina.» «Era tassina» assicurò il vicecommissario. «Ho appena ricevuto il rapporto preliminare.» «E allora siamo a posto. Possiamo andare avanti.» «Che cosa ne dite, della servitù?» «Tanto il maggiordomo, quanto la cameriera mi sembrano nervosi, ma non è una cosa strana, capita spesso. La cuoca ha dato in escandescenze, la guardarobiera era torva e quasi soddisfatta: anche questa è normale amministrazione.»
«Nessun altro che vi sembri sospetto?» «No, non credo.» Involontariamente il pensiero dell'ispettore tornò alla signorina Dove e al suo enigmatico sorriso con quella lieve ma inequivocabile sfumatura di sfida. «Ora che sappiamo che si tratta di tassina» proseguì più decisamente «bisogna che sappiamo come è stata ottenuta e preparata.» «Precisamente. Bene, Neele. Avanti, dunque. A proposito, è arrivato il signor Percival Fortescue. Ho scambiato qualche parola con lui, e adesso è qui che vi aspetta. Siamo riusciti a rintracciare anche l'altro figlio: è al Bristol di Parigi e partirà oggi. Andrete a riceverlo all'aeroporto, immagino.» «Certo, signore. Pensavo di fare così...» Percival Fortescue era un corretto signore sulla trentina, biondo, con gli occhi e le ciglia chiari, e una maniera alquanto pedante di esprimersi. «È stato un colpo terribile per me, ispettore Neele, come potete ben immaginare.» «Sì, mi rendo conto, signor Fortescue» disse l'ispettore Neele. «So soltanto che mio padre stava perfettamente bene avantieri, quando sono partito. Ma l'intossicazione, i cibi guasti, hanno avuto un effetto così rapido?» «Purtroppo sì. Ma non si tratta di cibi guasti, signor Fortescue.» Percival corrugò la fronte. «Vostro padre» continuò l'ispettore «è morto in seguito a ingestione di tassina.» «Tassina? Non l'ho mai sentita nominare.» «Credo che pochi la conoscano. È un veleno che ha effetto molto veloce e violento.» «Volete dire, ispettore, che mio padre è stato avvelenato con premeditazione?» «Pare di sì.» «È spaventoso! Adesso capisco perché si sono comportati in quel modo, all'ospedale» mormorò Percival «e perché mi hanno fatto venir qui.» S'interruppe e, dopo una breve pausa, continuò: «E il funerale?». «L'inchiesta è fissata per domani, dopo l'autopsia, ma sarà non più d'una formalità e verrà aggiornata. Procedura normale.» «Posso domandarvi se avete idee... sospetti...» «È troppo presto» rispose l'ispettore. «Comunque sarebbe per noi un grande aiuto se sapeste dirci qualcosa delle disposizioni testamentarie di
vostro padre, o se eventualmente poteste mettermi in contatto col suo legale.» «I suoi legali sono Billingsley, Horsethorpe & Walters di Bedford Square. Quanto al testamento, posso più o meno dirvene il contenuto.» «Molto gentile. Purtroppo sono disposizioni alle quali bisogna sottostare, mi spiace.» «Mio padre ha fatto un nuovo testamento quando si è risposato» precisò Percival «lasciando centomila sterline nette alla moglie, cinquantamila a mia sorella Elaine, e il resto a me. Io, però, sono già suo socio nella ditta.» «E a vostro fratello, Lancelot, niente?» «Mio fratello e mio padre avevano rotto i rapporti da molto tempo.» Neele gli lanciò un'occhiata penetrante, ma Percival sembrava molto sicuro delle sue affermazioni. «Cosicché» riprese l'ispettore «stando al testamento, i beneficiari sono tre: la signora Fortescue, la signorina Elaine e voi.» «Non credo che beneficerò di molto» sospirò Percival. «Sapete, coi diritti di successione... negli ultimi tempi, poi, mio padre... be', non era stato molto oculato nei suoi affari.» «Non andavate troppo d'accordo, negli ultimi tempi, per gli affari?» L'ispettore diede alla domanda un tono di simpatia. «Io gli esponevo il mio punto di vista, ma purtroppo...» Percival si strinse nelle spalle. «Lo esponevate in modo un po' perentorio no? Appunto per la vostra mancanza di tatto, siete arrivati a un alterco, mi pare.» «Non direi proprio questo, ispettore.» Percival, imbarazzato, arrossì violentemente. «Forse allora discutevate d'altro, signor Fortescue?» «Non c'è stata nessuna discussione, ispettore.» «Ne siete sicuro? Va bene, allora, lasciamo andare. Vostro fratello e vostro padre non avevano riallacciato i rapporti?» «No.» «Allora potreste spiegarmi il significato di questo?» Gli porse il telegramma che Mary Dove aveva ricevuto per telefono. Percival lo lesse e gli sfuggì un'esclamazione di sorpresa e di rabbia insieme: sembrava seccatissimo. «Non riesco proprio a capire. Non posso crederlo.» «Eppure sembra che sia vero, signor Fortescue. Vostro fratello arriva oggi da Parigi.»
«Ma è assurdo!» «Vostro padre non vi aveva messo al corrente della cosa?» «No, mai. E debbo considerare un affronto il fatto che abbia armeggiato a mia insaputa per richiamare Lance.» «Ma non avete un'idea del perché?» «No. Tutto quello che ha fatto negli ultimi tempi era incomprensibile... Era pazzo. Irresponsabile! Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo...» Percival s'interruppe e impallidì di nuovo. «Io... per un momento ho dimenticato che mio padre è morto...» L'ispettore fece col capo un segno di comprensione. Percival si accinse ad andarsene e prese il cappello. «Fatemi chiamare se avete bisogno di me, ma suppongo che...» S'interruppe un attimo. «Verrete alla Baracca dei Tassi?» «Sì. Ho lasciato là il mio aiutante.» «Sarà tutto molto spiacevole, molto. Chi avrebbe pensato che ci sarebbe capitata una cosa del genere...» Sospirò avviandosi alla porta. «Rimarrò tutto il giorno in ufficio perché ci sono molte cose da sbrigare, ma stasera sarò a casa.» E uscì. Il sergente Hay, che era rimasto seduto contro la parete, guardò il suo superiore interrogativamente. «Che cosa ne pensate, ispettore?» chiese alla fine. «Non so» rispose Neele e ripeté, sottovoce: «Tutta gente antipatica». Il sergente parve imbarazzato. «Alice nel Paese delle Meraviglie» disse Neele. «Non lo conoscete, Hay?» «È un classico, no? Roba da Terzo Programma: io non ascolto il Terzo Programma.» X Cinque minuti dopo il decollo da Le Bourget, Lance Fortescue aprì il "Daily Mail" e quasi subito gli sfuggì un'esclamazione di stupore. Pat, seduta al suo fianco, volse il capo interrogativamente. «Il vecchio» disse Lance. «È morto!» «Morto? Tuo padre?» «Sì. Pare che sia stato colto da malore in ufficio. L'hanno trasportato all'Ospedale St. Jude's, e là è spirato poco dopo.»
«Oh, caro, sono desolata. Ma che cosa è stato? Un collasso cardiaco?» «Si direbbe di sì.» «Non ne aveva mai avuti prima?» «No, che io sappia. Poveraccio! Non avevo mai pensato di essergli particolarmente affezionato, eppure, adesso...» «Tu gli volevi bene.» «Non tutti abbiamo il tuo spirito angelico, Pat... Bah, sembra che la mia buona stella sia tramontata di nuovo.» «Già. Strano che sia accaduto proprio adesso che tu ritorni a casa.» Lance si volse di scatto verso di lei. «Strano? Che cosa intendi, Pat?» Lei lo guardò un po' sorpresa. «Una strana coincidenza.» «Che tutto quello che intraprendo vada a finire male?» «No, caro, non volevo dire questo. Però è come una iettatura.» «Ho paura anch'io.» Arrivati a Heath Row, mentre si preparavano a scendere, un funzionario della compagnia aerea chiese ad alta voce: «C'è fra i passeggeri il signor Lancelot Fortescue?». «Sono io» rispose Lance. «Prego, da questa parte, signor Fortescue.» Lance e Pat lo seguirono e scesero dall'aereo per primi. Mentre passavano davanti ad una coppia, nei seggiolini di fondo, sentirono lui che bisbigliava alla moglie: «Scommetto che sono contrabbandieri... colti in flagrante». «Ma è una cosa assurda!» ripeté Lance guardando l'ispettore dall'altra parte del tavolo. Questi annuì. «Tassina... Bacche di tasso... Sembra un dramma teatrale. Immagino ispettore che per voi sia roba comune, ma nella nostra famiglia un avvelenamento è inverosimile!» «Allora non avete la più vaga idea di chi possa aver avvelenato vostro padre?» «Buon Dio, no. Certo, si era fatto molti nemici, negli affari: più di uno lo avrebbe mandato volentieri in rovina o, come si dice, spellato vivo, ma avvelenarlo! Comunque io non ne so molto. Ero all'estero da molti anni, e non sapevo nulla, o quasi, di quello che accadeva a casa.» «Proprio di questo volevo parlarvi, signor Fortescue. Ho saputo da vostro fratello che eravate in rotta con vostro padre. Vi dispiacerebbe dirmi come mai siete tornato a casa, adesso?»
«Oh, volentieri. Mio padre si fece vivo... vediamo, sì, circa sei mesi fa, subito dopo il mio matrimonio. Mi scrisse di mettere una pietra sul passato, e mi propose di tornare a casa a lavorare nella ditta. Per la verità, le sue proposte erano molto vaghe, e io non giurerei d'essermi entusiasmato leggendole. Comunque il risultato fu che venni in Inghilterra... sì, nell'agosto scorso, proprio tre mesi fa. Andai a trovarlo a casa, e debbo ammettere che mi fece un'offerta molto vantaggiosa. Io gli risposi che ci avrei pensato e che avrei dovuto parlarne con mia moglie. Si dimostrò comprensivo. Ripresi l'aereo per l'Africa Orientale e ne parlai con Pat. Alla fine decisi di accettare l'offerta del vecchio. Dovevo sistemare i miei affari laggiù, ma mi impegnai a farlo entro la fine del mese, quello scorso, e gli dissi che l'avrei avvertito telegraficamente del mio arrivo in Inghilterra.» L'ispettore tossicchiò. «Il vostro ritorno sembra aver molto sorpreso vostro fratello.» Lance gli diede un'occhiata ironica. Nel bel viso gli si accese un lampo di autentica cattiveria. «Non credo che il caro Percy ne sapesse nulla» disse. «Stava facendo il suo giro nel Nord e, se volete la mia opinione, il vecchio aveva scelto quel momento a bella posta. Infatti ebbi il sospetto maligno che l'offerta di mio padre fosse stata determinata da un suo violento dissidio col povero Percy, o meglio Val, come preferisce farsi chiamare lui. Forse Val aveva tentato di passargli davanti, negli affari, e questa era una cosa che mio padre non avrebbe mai tollerata. A che proposito fosse sorto il dissidio, di preciso non lo so, ma mio padre era furibondo, e credo che l'idea di richiamarmi a casa per mandare in aria i piani di Val gli sembrasse magnifica. Per esempio, non aveva mai preso in simpatia la moglie di mio fratello, mentre si era molto compiaciuto del mio matrimonio, forse per un certo gusto snobistico. Deve aver trovato divertentissimo lo scherzo di farmi tornare a casa e mettere Val di fronte al fatto compiuto.» «E quanto vi siete fermato alla Baracca dei Tassi in quell'occasione?» «Oh, non più di un'ora o due. Non m'invitò a fermarmi per la notte. Son sicuro che era tutto un piano strategico per prendere Val alle spalle. Deve anche aver fatto in modo che la servitù non glielo dicesse. Ci lasciammo con l'intesa che ci avrei pensato su, ne avrei parlato con Pat e poi gli avrei scritto la decisione. Infatti gli scrissi indicando la data approssimativa del mio arrivo, e infine, ieri, gli telegrafai da Parigi.» L'ispettore annuì. «Il telegramma ha enormemente sorpreso vostro fratello.»
«Sfido. Comunque, come sempre, ha vinto Percy. Sono arrivato troppo tardi.» «Già, siete arrivato troppo tardi» ripeté pensieroso l'ispettore. «Ma quando siete venuto qui l'agosto scorso» proseguì in fretta «non avete incontrato nessun altro della famiglia?» «La matrigna era lì, al tè.» «Non l'avevate mai vista, prima?» «No.» Sorrise ironico. «Mio padre sapeva dove trovarle. Deve avere una trentina d'anni meno di lui.» «Scusate adesso la mia domanda, ma eravate scontenti, voi e vostro fratello, del matrimonio di vostro padre?» Lance sembrò sorpreso. «Io no di certo, e non credo neppure Percy. Dopo tutto, nostra madre è morta quando avevo dieci anni. Anzi, mi sono sempre chiesto perché non si fosse riammogliato prima.» «Può essere un rischio» mormorò l'ispettore «sposare una donna molto più giovane.» «Ve lo ha detto mio fratello? Una frase del genere sembra fatta su misura per lui, che è maestro nell'arte dell'insinuazione. Ma è questa l'accusa? Si sospetta che mio padre sia stato avvelenato dalla moglie?» Il volto dell'ispettore perdette ogni espressione. «È troppo presto per formulare un'ipotesi, signor Fortescue» disse quasi sorridendo. «E ora, posso domandarvi quali progetti avete?» «Progetti?» Lance rifletté. «Immagino che dovrò ricominciare da capo. Dove sono gli altri? Alla Baracca dei Tassi?» «Sì.» «Allora farò bene a recarmi subito là. Tu» proseguì rivolgendosi alla moglie «farai meglio ad andare in albergo, Pat.» Lei protestò vivamente. «No, no, Lance, voglio venire con te.» «Sinceramente preferisco di no. Prendi una camera al... Oh, è passato tanto tempo da quando ho lasciato Londra! Il Barne's era un albergo simpatico, molto tranquillo. C'è ancora, suppongo.» «Certamente, signor Fortescue.» «Bene, Pat, allora ti sistemo lì e me ne vado alla Baracca dei Tassi.» «Ma perché non posso venire con te, Lance?» Il viso di lui si fece improvvisamente duro. «Vedi, non so come sarò ricevuto. Ero stato chiamato da mio padre, ma lui è morto e adesso non so chi sia il padrone, là dentro. Probabilmente Percy, forse Adele. Comunque voglio vedere che accoglienza mi fanno, prima di portare te. Inoltre...»
«Inoltre che cosa?» «Non desidero portarti in una casa dove c'è un assassino in libertà.» «Oh, sciocchezze!» «Quando sei in causa tu» dichiarò Lance con voce ferma «non voglio correr rischi.» XI Il signor Dubois era seccato. Stracciò con rabbia la lettera di Adele e la gettò nel cestino. Poi, preso da un improvviso senso di prudenza, ne racimolò tutti i pezzi e li bruciò accuratamente, brontolando: «Perché le donne sono così stupide? Una cautela elementare... Ma già: le donne non hanno mai saputo che cosa sia la prudenza.» Benché ne avesse approfittato parecchie volte, adesso ne era terribilmente seccato. Lui, dal canto suo, era stato prudente: aveva dato ordini, se avesse telefonato la signora Fortescue, di rispondere che lui non era in casa. Già Adele aveva telefonato tre volte, e adesso gli scriveva. E scrivere era certo la cosa peggiore. Rifletté un momento, poi andò al telefono. «Per favore, potrei parlare con la signora Fortescue? Sì, sono Dubois.» Dopo un minuto gli giunse la voce di Adele. «Vivian, finalmente!» «Sì, sono io, ma sii prudente, Adele. Di dove stai parlando?» «Dalla biblioteca.» «Sei certa che nessuno ti possa sentire? Neppure dall'atrio?» «Sì, ma perché?» «Non si sa mai. La polizia gira ancora per casa?» «No. Se ne sono andati, almeno per il momento. Oh, Vivian, è stato terribile!» «Sì, sì, capisco, ma ascolta, Adele: devi essere molto prudente.» «Oh, ma certo, caro!» «Non chiamarmi caro per telefono. Può essere pericoloso.» «Sei un po' troppo spaventato, Vivian. Dopotutto, adesso si usa chiamare caro chiunque.» «Sì, è vero, ma ascolta bene: non devi più telefonarmi né scrivermi.» «Ma Vivian...» «Solo per il momento, s'intende. Devi essere molto prudente.» «Oh, va bene.» La voce di lei aveva un tono offeso. «Senti, Adele, le lettere che ti ho scritto, le hai bruciate, non è vero?» La donna esitò un momento prima di rispondere. «Sicuro. Come ti avevo
promesso di fare.» «Allora siamo a posto. Adesso metto giù l'apparecchio e tu non richiamarmi più e non scrivermi. Avrai presto mie notizie.» Riappese il ricevitore e si strofinò una guancia soprappensiero. Non gli andava quell'attimo di esitazione: Adele aveva veramente bruciato le lettere? Le donne sono tutte uguali: non riescono a liberarsi di certe cose. "Lettere!" continuava a rimuginare il signor Dubois. Le donne vogliono sempre ricevere lettere. Dal canto suo aveva cercato di non compromettersi, ma qualche volta non aveva potuto farne a meno. E che cosa aveva scritto in quelle poche che aveva indirizzato a lei? "Le solite chiacchiere!" pensò malinconico. Ma non c'erano per caso parole, frasi particolari che la polizia avrebbe potuto ricollegare per trarne fuori quello che le faceva comodo? Gli venne in mente il caso di Edith Thompson. Le lettere che aveva scritto lui erano abbastanza innocenti, ma non poteva esserne proprio certo. Si trovava in uno stato di agitazione crescente. E se Adele non le aveva ancora bruciate, avrebbe avuto il buonsenso di bruciarle adesso? O erano finite in mano alla polizia? Avrebbe voluto sapere dove usava tenerle. Forse in quel suo salottino al primo piano, probabilmente in quella trappola di scrivania imitazione Luigi XIV. Anzi, una volta lei gli aveva parlato di un cassetto segreto. Un cassetto segreto! La polizia non ci avrebbe messo molto, a scoprirlo! Ma in quel momento la polizia non c'era. L'aveva detto lei. C'erano stati la mattina, e ora se n'erano andati tutti. Sperò che non avessero frugato la casa, stanza per stanza. Per farlo avrebbero dovuto domandare un permesso speciale o esibire un mandato di perquisizione. C'era la possibilità che, agendo immediatamente... Ci pensò su. Avrebbero servito il tè nella biblioteca o nel salotto: tutti i membri della famiglia sarebbero stati là, e i domestici avrebbero preso il tè nelle stanze della servitù. Al primo piano non ci sarebbe stato nessuno. Facile, dunque, attraversare il giardino rasentando le provvidenziali siepi di tasso. Poi c'era la porticina laterale che dava sulla terrazza. E non la chiudevano che la notte... Ci si poteva benissimo introdurre da quella e aspettare il momento opportuno per infilarsi al piano superiore. Vivian Dubois considerò attentamente quello che gli sarebbe convenuto fare. Se la morte del signor Fortescue fosse stata attribuita a paralisi o collasso cardiaco, la situazione sarebbe stata tutt'altra. Così, invece... Mary Dove discendeva lentamente il grande scalone. Sostò un momento alla finestra del pianerottolo: quella stessa dalla quale il giorno prima ave-
va visto arrivare l'ispettore. Mentre guardava, adesso, nella scarsa luce, intravide la figura di un uomo che spariva dietro una siepe di tassi. Si domandò se non fosse per caso Lancelot, il figliuol prodigo. Forse aveva lasciato l'autopubblica al cancello e faceva un giro nel giardino, a caccia di ricordi, prima di affrontare una famiglia che poteva essergli ostile. Mary Dove sentiva uno slancio di simpatia verso Lance. Con un lieve sorriso sulle labbra riprese a scendere le scale. Nell'atrio Gladys, come la vide, fece un balzo. «Suonava il telefono, un momento fa?» domandò la governante. «Chi era?» «Oh, qualcuno che aveva sbagliato numero. Voleva una lavanderia.» Gladys parlava concitata. «E prima era il signor Dubois, che voleva la signora.» Mary Dove attraversò l'atrio. «Credo che sia l'ora del tè» disse volgendo il capo. «Non l'avete servito?» «Non sono ancora le quattro e mezzo, signorina.» «Sono le quattro e quaranta. Servitelo subito.» Entrò nella biblioteca dove Adele Fortescue, seduta sul divano, guardava il fuoco e cincischiava con le dita un fazzolettino di pizzo. «Il tè?» chiese irritata. «Sarà servito subito» rispose la governante. Un ceppo era caduto fuori dal camino, e lei si inginocchiò a rassettare il fuoco con le molle. Quando Gladys entrò in cucina, la signora Crump sollevò il viso rosso, irritato, dalla grande terrina nella quale stava impastando un dolce. «Continuano a suonare il campanello, in biblioteca. È ora di portare il tè, ragazza mia.» «Va bene, va bene, signora Crump.» «E glielo dirò io, stanotte, a mio marito» borbottò la cuoca. «Glielo dirò io.» Gladys passò nella dispensa. Non aveva preparato i panini. E, per quel giorno, non ne avrebbe preparati. C'era da mangiare lo stesso: due cakes, pasticcini, biscotti e gallette col miele. Ne avevano più che abbastanza senza che lei diventasse matta a tagliar panini col pomodoro e col foie gras. Aveva da pensare ad altro. E di che umore era la signora Crump, solo perché il marito era uscito quel pomeriggio! Dopotutto era il suo giorno di permesso, no? Dunque aveva tutti i diritti di andarsene, pensò Gladys. La signora Crump la chiamò dalla cucina.
«L'acqua bolle come un diavolo. Ti decidi a fare questo tè?» «Vengo.» Mise a caso delle foglie di tè nella grande teiera d'argento. La portò in cucina e vi rovesciò l'acqua bollente. Posò bricco e teiera nel loro vassoio d'argento già pronto, lo portò nella biblioteca e lo depose su un tavolino, accanto al divano. Poi tornò rapidamente a prendere l'altro vassoio con la roba da mangiare. Arrivò con quello fin nell'atrio, dove il ronzio improvviso del vecchio orologio che si preparava a battere le ore la fece sobbalzare. Nella biblioteca, Adele Fortescue domandava con voce querula: «Ma dove sono, gli altri, oggi?». «Veramente, non so» rispose Mary Dove. «La signorina è già rientrata e credo che la signora Jennifer stia scrivendo, in camera sua.» «Scrivere, scrivere» disse Adele con dispetto. «Quella donna non smette mai di scrivere lettere. È come tutti quelli del suo livello: sono felici quando c'è una morte o qualche disgrazia. Avvoltoi, ecco che cosa sono.» «L'avvertirò che il tè è servito» mormorò la governante piena di tatto. Arrivata alla porta indietreggiò d'un passo per lasciar entrare la signorina Elaine. «Fa freddo» disse questa e sedette accanto al camino strofinandosi le mani davanti al fuoco. La signorina Dove si soffermò nell'atrio: il grande vassóio coi pasticcini era posato su uno dei mobili. Non ci si vedeva quasi più, e lei accese la luce. In quel momento sentì dei passi al piano superiore. "È la signora Jennifer" pensò. Ma non vedendola comparire, salì le scale e attraversò il corridoio. Il signor Percival e sua moglie occupavano un appartamento privato in un'ala della casa. Mary bussò alla porta del salottino. La signora Jennifer voleva che si bussasse sempre, cosa che dava molto fastidio a Crump. «Avanti» rispose una voce innervosita. La governante aprì la porta ed entrò. «Il tè è servito.» Rimase piuttosto stupita nel vedere che la signora stava togliendosi il cappotto di lana di cammello. «Non sapevo che foste uscita.» «Oh, sono stata un momento in giardino a prendere una boccata di aria, ma faceva troppo freddo. Vengo giù volentieri, vicino al fuoco. Il riscaldamento centrale non funziona mai bene. Qualcuno dovrebbe parlarne al giardiniere.» «Lo farò senz'altro.» Jennifer Fortescue lasciò cadere il cappotto su una sedia e uscì dalla
stanza dietro la governante: questa si spostò per lasciarle il passo, e lei scese per prima nell'atrio. Con grande sorpresa, Mary Dove osservò che il vassoio dei dolci era ancora sul mobile. Stava per andar a chiamare Gladys, quando la signora Adele comparve sulla porta della biblioteca. «Ma non sarà possibile avere qualcosa da mangiare, col tè?» domandò irritata. Rapidamente Mary Dove prese il vassoio e lo portò in biblioteca disponendo i vari piatti su piccoli tavolini intorno al camino. Mentre usciva col vassoio vuoto squillò il campanello della porta. Andò ad aprire sperando che fosse finalmente il figliuol prodigo: era curiosa di vederlo. "Com'è differente dagli altri Fortescue!" pensò appena vide quel volto bruno, sottile, e la piega un po' enigmatica della bocca. «Il signor Lancelot Fortescue?» chiese con disinvoltura. «In persona.» Mary Dove gli diede un'occhiata al di sopra delle spalle. «I bagagli?» «Ho già mandato via il tassì. Ecco tutto quel che ho.» Sollevò una valigetta con la chiusura lampo. «Oh, siete venuto in tassì.» Nella voce c'era un tono di sorpresa. «Pensavo che aveste fatto una passeggiata. E vostra moglie?» Lance replicò, quasi torvo: «Mia moglie non verrà. Almeno per il momento». «Capisco. Volete accomodarvi? Da questa parte, signor Fortescue. Sono tutti in biblioteca per il tè.» Lo accompagnò fino alla porta della biblioteca e lo lasciò lì. Pensava che Lance Fortescue era molto attraente, e subito un secondo pensiero seguì: molte altre donne avevano certo pensato la stessa cosa. «Lance!» Elaine gli si fece incontro di corsa. Gli gettò le braccia al collo e lo strinse con una gioia infantile che sorprese il fratello. «Oh, Elaine, eccomi qui.» Si sciolse garbatamente dall'abbraccio. «Questa è Jennifer?» La moglie di Percival lo guardò curiosa. «Temo che Val sia stato trattenuto in città» disse. «Ci sono molte cose da fare, sapete, tutto da sistemare e non c'è che lui. Non potete immaginare che cosa stiamo passando.» «Deve essere terribile per voi» commentò Lance gravemente. Si volse
verso la donna seduta sul divano che lo guardava ammirata, tenendo in mano una galletta spalmata di miele. «Oh, già. Non conoscete Adele!» esclamò Jennifer. Lance prese nelle sue la mano di Adele e mormorò: «Certo che la conosco!» Sotto lo sguardo di lui la donna sbatté le ciglia, depose il biscotto che aveva nella sinistra e si rassettò lievemente i capelli con un gesto prettamente femminile. Dimostrava d'aver avvertito la presenza di un uomo affascinante. «Siediti qui, sul divano, vicino a me» disse con la sua voce bassa, armoniosa. «Sono così contenta che tu sia venuto!» continuò versandogli una tazza di tè. «Abbiamo veramente bisogno di un altro uomo in questa casa.» «Farò tutto quel che potrò per aiutarvi» disse Lance. «Come sai, o forse non sai... abbiamo avuto la polizia in casa. Pensano... pensano...» S'interruppe e gridò straziata: «Oh, è terribile, terribile!». «Lo so» disse Lance, comprensivo. «Sono venuti a prendermi all'aeroporto di Londra.» «Chi? La polizia?» «Sì.» «E che cosa ti hanno detto?» «Be',» rispose lui con riluttanza «mi hanno detto quello che è successo.» «Pensano che sia morto avvelenato» incalzò Adele. «Non intossicato da qualche cibo, ma deliberatamente avvelenato. Sono convinta che pensano a uno di noi.» Lance la guardò con un sorriso ironico. «È il loro trucco» disse come per consolarla. «Non dobbiamo spaventarci. Ma che tè meraviglioso! Da un pezzo non lo vedevo servito così, all'inglese!» Gli altri furono presto contagiati dal suo buonumore. «E tua moglie?» chiese improvvisamente Adele. «Non ti eri sposato, Lance?» «Certo che ho una moglie! È a Londra.» «Come mai? Non avresti fatto meglio a portarla qui?» «Avremo tutto il tempo per decidere. Pat... Pat, intanto, sta bene dov'è.» Elaine intervenne un po' dura. «Vorresti dire che...» «Che bella torta di cioccolata!» la interruppe Lance. «Ne voglio una fetta.» E cominciò a tagliarla. «E la zia Effie? È ancora viva?» «Oh, sì. Non vuol mai scendere a pranzo o intrattenersi con noi, ma sta
benissimo. Diventa sempre più strana.» «Lo è sempre stata! Andrò a salutarla dopo il tè.» «Alla sua età» mormorò Jennifer Fortescue «vien fatto di chiedersi se non starebbe meglio in una casa di riposo, in qualche luogo dove potessero aver cura di lei.» «Aiuti il cielo la casa di riposo che avrà la ventura di accogliere la zia Effie!» esclamò Lance. E cambiando discorso: «Chi è quella bella ragazza tutta compunta che mi ha aperto la porta?». «Come?» si stupì Adele. «Non ti ha aperto il maggiordomo? Ah, già, dimenticavo: è il suo giorno di permesso. Sarà stata Gladys.» «Occhi azzurri, capelli spartiti nel mezzo, voce dolcissima. Che cosa ci sia dietro, però, non saprei dirlo.» «Allora è Mary Dove» disse Jennifer. Elaine aggiunse: «È la governante.» «Ah, sì?» «Una donna molto capace» dichiarò Adele. Lance era soprappensiero. «Sono propenso a crederlo» disse. «Ma la sua dote migliore» continuò Jennifer «è che sa stare al suo posto. Non si chiede di più, se capite quel che voglio dire.» «L'abilissima Mary Dove» concluse Lance prendendosi un'altra fetta di torta. XII «Così, ci sei tornato fra i piedi» disse la signorina Ramsbottom. Lance sorrise. «Precisamente, zia Effie.» «Uhm!» La signorina Ramsbottom torse il naso. «Hai scelto proprio un bel momento, per tornare. Tuo padre s'è fatto uccidere ieri, e la casa è piena di poliziotti che cacciano il naso dappertutto: rovistano perfino nelle immondizie. Li ho visti dalla finestra.» S'interruppe torcendo il naso di nuovo. «Hai portato anche tua moglie?» «No. Ho lasciato Pat a Londra.» «Hai avuto un po' di buon senso. Io non l'avrei portata qui se fossi stato in te. Non si sa mai quel che può capitare.» «A lei, dici?» «A tutti.» Lance Fortescue la guardò pensieroso. «Non hai nessuna idea in proposito, zia Effie?»
La vecchia signorina non rispose direttamente. «È venuto qui ieri un ispettore a farmi delle domande. Non mi ha cavato molto, ma non era stupido come sembrava.» Poi aggiunse indignata: «Che cosa direbbe tuo nonno se sapesse che in casa sua c'è la polizia? Roba da farlo rivoltare nella tomba. Per tutta la vita è stato un puritano rigidissimo e non ti dico quel che è venuto fuori dalla sua bocca quando ha saputo che la sera frequentavo la chiesa evangelica!». In tutt'altra occasione, Lance avrebbe sorriso, ma ora il suo volto bruno, lungo, rimase serio. «Sai» disse «non sono molto informato, dopo un'assenza così lunga. Che cosa è successo ultimamente?» La signorina Ramsbottom levò gli occhi al cielo. «Gesta da senza Dio» sentenziò. «Lo so, zia Effie, lo diresti in ogni caso. Ma che cosa ha fatto venire il sospetto alla polizia che mio padre sia stato assassinato qui, in casa?» «Tradire il marito è una cosa, ammazzarlo un'altra. E non vorrei pensarlo di lei. Davvero non vorrei.» Lance era tutt'orecchi. «Adele?» chiese. «Le mie labbra sono mute.» «Suvvia, zia, queste sono frasi drammatiche, ma non vogliono dire nulla. Adele ha un... amico? E tutti e due insieme gli avrebbero messo la mistura nel tè del mattino? È stato questo il piano?» «Ti prego di non buttarla in ridere.» «Ma non rido affatto, lo sai.» «Ti dirò una cosa» riprese improvvisamente la signorina Ramsbottom. «Per conto mio la ragazza ne sa più di quanto non si creda.» «Quale ragazza?» Lance sembrava assai stupito. «Quella che fa tutte quelle smorfie. Quella che avrebbe dovuto portarmi il tè, questo pomeriggio, e che non me l'ha portato. Sparita senza lasciar traccia, e non mi stupirei che se ne fosse andata alla polizia. Chi ti ha aperto?» «Se ho ben capito è stata Mary Dove. Un'aria tutta dolce e compunta... ma forse è un'acqua cheta. Sarebbe andata lei, alla polizia?» «No, quella non ci andrebbe davvero!» precisò la signorina Ramsbottom. «Dicevo di quella piccola stupida cameriera: sembrava in preda alle convulsioni, non ha fatto che saltare tutto il giorno come un coniglio. "Che cos'hai?" le ho chiesto. "Hai la coscienza sporca?" E lei: "Io non ho fatto nulla! Io non avrei mai fatto una cosa simile". "Lo spero bene" dissi io "ma adesso c'è qualcosa che ti tormenta, non è vero?" Allora lei ha incomincia-
to a tirar su con il naso e dire che non voleva mettere nessuno nei pasticci e che doveva essere stato un errore. Le dissi, allora: "Ragazza mia, va' alla polizia e di' tutto quello che sai perché non si fa mai bene a nascondere la verità, per quanto brutta". E lei ha detto un sacco di sciocchezze, che non poteva andare alla polizia, che non l'avrebbero creduta e non so quante altre cose. E ha concluso che in fin dei conti lei non ne sapeva niente.» «Non pensi» disse esitando Lance «che cercasse solo di farsi notare?» La signorina Ramsbottom scosse il capo. «No. Credo piuttosto che fosse molto spaventata. Deve aver visto o sentito qualcosa che le ha fatto nascere dei sospetti. Potrebbe essere molto importante o una cosa da nulla, non lo so.» «E non potrebbe essere che avesse, lei stessa, qualche vecchia ruggine con papà?...» La vecchia signorina scosse ancora il capo, decisa. «Dei tipi così, tuo padre non si accorgeva neppure. E nessun altro le avrebbe fatto caso, poveretta. Comunque, tanto meglio per l'anima sua, dico io.» Lance sembrò non interessarsi molto all'anima di Gladys. «Così pensi che forse è corsa alla polizia?» chiese. La zia annuì con forza. «Sì. Non avrebbe mai avuto il coraggio di parlare, qui, in questa casa, perché qualcuno avrebbe potuto sentirla.» «Credi» chiese Lance «che possa aver visto qualcuno mettere il veleno nei cibi?» La zia lo guardò dritto negli occhi. «Possibile, no?» «Già. Penso di sì.» E aggiunse, quasi con tono di scusa: «Però sembra tutto così assurdo! Si direbbe un romanzo giallo». «La moglie di Percival è un'infermiera» disse la zia Effie. L'affermazione era così slegata da quello che avevano detto fino a quel momento che Lance la guardò perplesso. «Le infermiere sanno maneggiare pozioni» disse la vecchia signorina. Lance sembrava incerto. «Ma quella roba... la tassina, si usa in medicina?» «Da quel che ho capito la estraggono dalle bacche di tasso. I bimbi ogni tanto le mangiano e poi stanno male. Ricordo quand'ero piccola un caso che mi aveva molto impressionata. Non l'ho mai dimenticato. Qualche volta i ricordi servono.» Lance sollevò il viso di scatto e la fissò. «L'affetto è una cosa» disse ancora la signorina Ramsbottom «e spero di
averlo dimostrato come gli altri. Ma non lascerò trionfare il male. Bisogna distruggerlo, il male.» «Se n'è andata senza dirmi niente!» protestò furibonda la signora Crump, sollevando il viso rosso dalla pasta che spianava sul tavolo. «Senza dir niente a nessuno! Scaltra e ipocrita, ecco cos'è. Aveva paura che la fermassi. E l'avrei fermata di sicuro. Che idea! Muore il padrone, torna a casa il signor Lance dopo anni, e io, dico a Crump: "Libera uscita o non libera uscita, so qual è il mio dovere. Questa sera non ci sarà la solita roba fredda del giovedì, ma una cena come si deve. Il figlio del padrone arriva dall'estero con una moglie dell'aristocrazia... le cose vanno fatte a dovere!". Voi lo sapete, signorina, che io sento la dignità del mio lavoro.» Mary Dove, alla quale erano rivolte queste confidenze, annuì gentilmente. «E che cosa ha risposto Crump?» La voce della cuoca divenne rabbiosa. «"È il mio giorno di libera uscita, e io esco." Ecco quel che ha detto, e: "Al diavolo l'aristocrazia!" ha detto. Non ha nemmeno un po' di dignità. Così se ne è andato, e io ho detto a Gladys che questa sera avrebbe dovuto cavarsela da sola. Mi risponde: "Va bene, signora Crump" e appena mi volto, via che se ne va. Non era il suo giorno di permesso, oltre tutto! Lei ha il venerdì! Come faremo adesso, non lo so. Per fortuna il signor Lance non ha portato la moglie, oggi.» «Ce la caveremo, signora Crump» disse la governante con voce dolce e autoritaria a un tempo. «Semplificando un poco la cena.» Diede qualche consiglio in proposito e la cuoca annuì controvoglia. «Così potrò servire io stessa» concluse la signorina Mary. «Volete dire che servirete voi a tavola?» «Se Gladys non torna in tempo, sì.» «Non tornerà» dichiarò la cuoca. «Sarà a zonzo, a sciupare i suoi quattrini in qualche negozio. Sapete, signorina, ha un ragazzo: non lo direste a vederla! Si chiama Albert e mi ha detto che si sposeranno la primavera prossima. Ma vi assicuro che lei non sa che cosa voglia dire sposarsi. Quello che ho passato io con mio marito!» Sospirò, poi riprese con tono normale: «E per il tè, signorina? Chi sparecchia e lava le tazze?». «Lo faccio io. Vado subito.» Nel salotto non si erano ancora accese le luci, sebbene Adele Fortescue fosse lì, seduta sul divano. «Devo accendere, signora?» domandò la governante. La signora non rispose.
Mary Dove accese la luce e andò verso la finestra a tirare le tende. Solo dopo, voltandosi, vide il volto della donna riverso sui cuscini. Abbandonati di fianco a lei, un pezzo di galletta spalmata di miele e la tazza di tè ancora a mezzo. La morte l'aveva colta all'improvviso e dolcemente. «Be'?» domandò l'ispettore Neele con impazienza. «Cianuro» rispose il medico, pronto «probabilmente di potassio, nel tè.» «Cianuro» ripeté Neele. Il dottore lo guardò incuriosito. «Mi sembra che siate impressionato. C'è un motivo particolare?» «Era tra le persone indiziate.» «Invece è finita tra le vittime. Già, dovrete ricominciare.» Neele annui. Aveva il viso tirato e stringeva i denti. Avvelenata! E proprio sotto il suo naso. Tassina nel caffè di Rex Fortescue e cianuro nel tè della moglie. Un intrigo strettamente familiare: almeno così sembrava. Adele Fortescue, la nuora Jennifer, la figliastra Elaine e il nuovo arrivato, Lance Fortescue, avevano preso il tè insieme. Poi Lance era salito dalla signorina Ramsbottom e Jennifer era tornata nel suo salottino a scrivere lettere. Elaine aveva lasciato la biblioteca per ultima. A quanto diceva lei, la signora Adele stava benissimo e si accingeva a versarsi una ultima tazza di tè. Un'ultima tazza di tè! Già, era proprio stata la sua ultima tazza di tè! Dopo di che... un buio di venti minuti, circa, fino al momento in cui Mary Dove era entrata nella stanza e aveva scoperto il cadavere. In quei venti minuti... L'ispettore imprecò fra i denti, e andò in cucina. La cuoca, seduta vicino al tavolo, si voltò appena: il suo spirito bellicoso era svanito come il gas da un pallone bucato. «Dov'è la ragazza? Non è ancora tornata?» «Gladys? No, non è ancora tornata, e credo che non tornerà fino alle undici.» «Avete detto che ha preparato e servito il tè.» «Io non l'ho toccato, Dio m'è testimone. E per di più sono convinta che Gladys non ha fatto nulla che non andasse fatto. Non Gladys, di certo. È una buona ragazza in fondo. Un po' stupida, ma non cattiva.» Anche Neele pensava che Gladys non fosse cattiva. Non poteva immaginarla come un'avvelenatrice. Inoltre il cianuro non era stato messo nella teiera.
«Ma perché è andata via così all'improvviso? Voi dite che non era il suo giorno di libertà.» «Infatti, sarebbe stato domani.» «Vostro marito, per caso...» La cuoca ritrovò tutto il suo spirito bellicoso. «Non cominciate a tirare in ballo mio marito. Lui non c'entra: è uscito alle tre e ringrazio il cielo che l'abbia fatto. Lui ne è fuori come ne è fuori il signor Percival.» Percival Fortescue era appena ritornato da Londra giusto in tempo per essere salutato con la notizia della seconda tragedia. «Ma io non lo accuso» disse Neele con buonagrazia. «Mi domandavo solo se non sapesse qualcosa delle intenzioni di Gladys.» «Si era messa le calze della festa» disse la cuoca «e doveva avere qualche grillo per il capo, datemi retta! Non aveva preparato neppure un panino per il tè. Mi sentirà, quando torna a casa!» Quando torna a casa... Neele fu preso da una lieve inquietudine. Per scrollarsela di dosso salì nella camera di Adele Fortescue, tutta tappezzerie di broccato rosa, con un gran letto dorato. Da una parte, una stanza da bagno con le pareti di specchio ed una vasca di porcellana rosa incassata nel pavimento. Una porta intercomunicante dava nello spogliatoio del marito. L'ispettore tornò nella camera della signora e, attraverso un'altra porta, nel suo salottino. Era questa una stanza di stile impero, col pavimento coperto da uno spesso tappeto rosa. Diede solo uno sguardo, perché quella aveva goduto di tutta la sua attenzione proprio il giorno prima, specialmente la piccola, elegante scrivania. Improvvisamente qualcosa colpì la sua attenzione. Al centro del tappeto rosa c'era una briciola di fango schiacciato. Neele si avvicinò e lo raccolse: il fango era ancora bagnato. Si guardò intorno, ma non vide impronte: solo quella briciola di fango. L'ispettore osservò la camera di Gladys Martin. Erano da poco passate le undici, Crump era tornato da quasi un'ora, ma della cameriera nessuna traccia. L'ispettore si guardò intorno. Comunque le avessero insegnato a vivere, quella ragazza era trascurata per natura. Il letto, a suo giudizio, non veniva rifatto tutti i giorni, e di rado, in quella stanza, si aprivano le finestre. A Neele, però, non interessavano le abitudini di Gladys. Cominciò invece a esaminare le sue cose. Si trattava di chincaglierie da quattro soldi, quasi commoventi. C'era ben
poco di fine e di solido. La vecchia Ellen, che l'ispettore si era tirato dietro, non gli era d'aiuto, perché non conosceva i vestiti di Gladys, e non poteva dire se ne mancassero. Lasciò perdere vestiti e biancheria, e si dedicò al contenuto dei cassetti. Qui Gladys teneva i suoi tesori: cartoline illustrate e ritagli di giornali, modelli per lavori a maglia, consigli di bellezza e di moda. L'ispettore li divise in categorie: le cartoline rappresentavano per la maggior parte vedute dei posti ove presumibilmente la ragazza aveva trascorso le sue vacanze. Fra queste, tre erano firmate: "Bert". Probabilmente si trattava del giovanotto di cui aveva parlato la cuoca. Nella prima, con una calligrafia quasi da analfabeta, c'era scritto: "Con affetto. Mi manchi tanto. Tuo per sempre Bert". Nella seconda: "C'è un sacco di belle ragazze, qui, ma nessuna bella come te. A presto e non dimenticare il nostro appuntamento. Ricordati che dopo avremo vinto e saremo felici per sempre". La terza diceva semplicemente: "Ricordati. Ho fiducia in te. Con tanto amore, B." L'ispettore passò poi ai ritagli di giornale e li divise in tre gruppi: c'erano consigli di moda e di bellezza; c'erano trafiletti sulle stelle del cinema di cui sembrava che Gladys si fosse particolarmente interessata, come pure sembrava che si fosse interessata delle ultime meraviglie della scienza; e c'erano appunto articoli sui dischi volanti, armi segrete, sieri della verità adoperati dai russi e proteste contro altre fantastiche droghe che si dicevano inventate dai medici americani. La magia del XX secolo, pensò l'ispettore. Ma in tutta la stanza non c'era un solo indizio sulla sparizione della ragazza. Non teneva un diario: non che ci fosse da aspettarselo, ma era sempre una possibilità. Nessuna lettera lasciata a mezzo, nessun appunto su cose viste in casa e che potessero avere una qualsiasi relazione con la morte di Rex Fortescue. Se Gladys aveva visto o saputo qualcosa, non ne aveva lasciato traccia. Non sarebbe stato facile accertare perché il secondo vassoio era rimasto nell'entrata, e l'improvvisa scomparsa della cameriera rimaneva un fatto inesplicabile. L'ispettore uscì dalla camera sospirando, e chiuse la porta. Mentre si preparava a scendere, udì un rumore di passi affrettati al piano inferiore. Ai piedi della scala il sergente Hay lo guardò col viso sconvolto: «Ispettore» disse ansimando «ispettore, l'abbiamo trovata...» «Trovata?»
«È stata la guardarobiera, Ellen... Si è ricordata di non aver ritirato la biancheria stesa, lì dietro... è uscita dall'uscio posteriore con una torcia elettrica e per poco non è inciampata nel corpo della ragazza. L'hanno strangolata, con una calza. E direi che è morta da qualche ora. E poi, una specie di scherzo macabro, ispettore: le hanno stretto il naso con una molletta da bucato.» XIII In treno, una signora piuttosto anziana aveva comperato tre giornali del mattino e, dopo averli letti, li aveva ripiegati da una parte. Mostravano titoli uguali. Non si trattava più di un trafiletto nella pagina di cronaca. Erano titoli a caratteri cubitali che annunciavano la triplice tragedia della Baracca dei Tassi. La vecchia signora sedeva eretta e guardava fuori del finestrino con le labbra serrate, un po' sporte in fuori e un'espressione di raccapriccio sul volto roseo, pieno di rughe sottili. Miss Marple aveva lasciato St. Mary Mead col primo treno, a Londra aveva preso una circolare fino a un'altra stazione e di lì andava adesso a Baydon Heath. Arrivata a destinazione, chiamò un'autopubblica e si fece portare alla Baracca dei Tassi. Era d'aspetto così gentile e innocuo, che fu introdotta nella fortezza assediata molto più facilmente di quanto non ci si potesse aspettare. Sebbene la polizia tenesse a bada un esercito di giornalisti e fotocronisti, la signorina entrò perché nessuno pensava che fosse altro se non una vecchia parente. Miss Marple pagò il tassì con una raccolta di spiccioli e suonò il campanello. Crump aprì la porta e la nuova arrivata lo squadrò con occhio esperto. "Sguardo torbido" disse fra sé "è spaventato da morire." Il maggiordomo, dal canto suo, vide una vecchia signora, alta, con un soprabito antiquato, un paio di sciarpe e un cappellino di feltro guarnito con un'ala d'uccello. Portava al braccio una borsetta di proporzioni non comuni, e accanto a lei, al suolo, c'era una valigia vecchia ma di buona qualità. Crump sapeva riconoscere una vera signora, quando gli capitava davanti, perciò l'accolse con tono deferente. «Signora?» «Potrei parlare con la padrona di casa?» Crump si tirò indietro per lasciarla passare. Prese la valigia e la depose
delicatamente nell'atrio, poi rimase incerto. Miss Marple gli venne in aiuto. «Sono venuta per parlare di quella povera ragazza che è morta. Gladys Martin.» «Capisco, signora...» S'interruppe guardando verso la biblioteca da cui usciva una giovane alta. «Ecco la signora Patrizia Fortescue» disse. Questa venne avanti e le due donne si guardarono. Miss Marple si accorse d'esser sorpresa. Non si aspettava di vedere qualcuno come Patrizia, in quella casa. Le stanze erano un po' come le aveva immaginate, ma la giovane aveva qualcosa che non si accordava con esse. «È per Gladys, signora» spiegò Crump, sollecito. «Volete accomodarvi?» la invitò Pat dopo un attimo d'esitazione. «Nessuno ci disturberà.» Le fece strada verso la biblioteca, e la nuova arrivata la seguì. «Desiderate veder qualcuno in particolare? Perché temo di non potervi essere di grande aiuto: sono arrivata dall'Africa con mio marito solo pochi giorni fa e so poco della casa. Posso chiamare mia cognata, o la moglie di mio cognato.» Miss Marple guardò la giovane con simpatia: le piaceva il suo tono semplice e serio. Per chissà quale strana ragione, si sentì a disagio per lei. Uno sfondo rustico, del cintz, come in una casa di guardacaccia, con cani e cavalli, le sarebbe convenuto molto più di quel lussuoso arredamento. Alle fiere di ponies e alle "gimkane" intorno a St. Mary Mead aveva incontrato molte ragazze come Patrizia e le conosceva bene: le era familiare quell'espressione timidamente infelice. «È semplice, in fondo» cominciò Miss Marple togliendosi i guanti e tendendone con cura le dita. «Ho letto nei giornali che Gladys Martin è stata uccisa. Vedete, io so tutto di lei. Era del mio paese, e sono stata io a insegnarle il servizio. Quando ho saputo quello che è successo, io... ho sentito il dovere di venir qui a domandare se non potevo far qualcosa.» «Già, capisco.» Ed era vero: quello che aveva fatto Miss Marple le sembrava naturale e inevitabile. «Avete fatto bene a venire» continuò Pat. «Sembra che qui non sappiano molto di lei, dei suoi parenti o altro.» «Naturale. Non aveva parenti. Quando è venuta da me, usciva dall'orfanotrofio di St. Faith's. Un posto ben tenuto anche se non ricco. Facciamo del nostro meglio per dare alle ragazze un mestiere, qualche cosa. Gladys venne da me quando aveva diciassette anni, e io le insegnai a servire a tavola, a pulire l'argenteria e tutto il resto. Naturalmente non è rimasta
a lungo: appena ha imparato qualche cosa se n'è andata in un caffè. Fanno sempre così, le ragazze, perché pensano di essere più libere e di vedere un po' più d'allegria. Forse hanno ragione.» «Non l'ho mai vista» disse Pat. «Era carina?» «Oh, no davvero. Ed era di una stupidaggine addirittura commovente. Doveva avere qualche disfunzione ghiandolare. Le piacevano i ragazzi, povera Gladys, ma non credo che loro si accorgessero neppure della sua presenza; e le altre ragazze approfittavano di lei.» «È atroce» disse Pat. «Sì, cara. Temo che la vita sia atroce, in certi casi, e non si sa che cosa fare con le ragazze come Gladys. Si divertono ad andare al cinematografo come le altre, apparentemente, ma sognano sempre cose impossibili. Forse in un certo senso sono felici, ma poi continuano a trovar delusioni. Così, penso che Gladys fosse rimasta delusa della vita del caffè. Non le era capitato nulla di romantico, ed era duro stare in piedi tutto il giorno. Forse per questo tornò al servizio privato. Da quanto tempo era qui?» Pat scosse la testa. «Da poco, credo, un mese o due.» S'interruppe, poi riprese: «Mi sembra orribile e inutile che sia rimasta coinvolta in questa vicenda! Immagino che avesse visto o saputo qualche cosa.» «Quello che mi sconcerta» disse Miss Marple con voce dolce «è la molletta da bucato stretta sul naso.» «Quale molletta da bucato?» «L'ho letto sul giornale. È vero che quando l'hanno trovata aveva una molletta da bucato stretta sul naso?» Pat annuì. Le guance già rosse di Miss Marple si colorirono ancor di più. «È la cosa che più mi ha irritata. Non so se mi spiego, mia cara, ma è stato un gesto crudele, perverso e mi ha dato come la misura dell'assassino. È una cosa grave, offendere così la dignità umana, specialmente dopo aver ucciso.» «Credo di capire» rispose Pat lentamente. Si alzò. «Forse è meglio che veniate a parlare con l'ispettore Neele. È incaricato delle indagini, e credo che vi piacerà perché è molto comprensivo.» Rabbrividì improvvisamente. «Sembra tutto un incubo. Assurdo. Senza alcun nesso.» «Non direi» commentò la signorina. «Proprio non direi.» L'ispettore Neele aveva l'aria stanca, estenuata: tre morti e la stampa di tutto il Paese gettata a capofitto nel fattaccio. Un caso che sembrava adattarsi senza complicazioni a uno schema ormai tradizionale era andato in
fumo improvvisamente: Adele Fortescue, l'indiziata più grave, era stata la seconda vittima di quell'incomprensibile susseguirsi di delitti. La sera di quel tragico giorno il vicecommissario aveva mandato a chiamare Neele, e i due avevano parlato fino a notte. Nonostante il suo disappunto, l'ispettore aveva provato una lieve soddisfazione: quello schema dell'amante e della moglie era troppo facile! Lui, in realtà, non ci aveva mai creduto. E i fatti adesso gli davano ragione. «La vicenda prende un'altra piega» aveva detto il vicecommissario, accigliato, misurando in lungo e in largo la stanza. «Si direbbe che abbiamo a che fare con uno squilibrato. Prima il marito, poi la moglie, e le circostanze portano a credere ad una questione di famiglia. Qualcuno che ha fatto colazione con i Fortescue ha messo la tassina nel caffè o nella colazione di lui, e ancora qualcuno che era al tè con loro ha messo il cianuro nella tazza di lei. Qualcuno fidato, insospettato, qualcuno della famiglia. Chi, Neele?» «Il signor Percival non c'era, perciò lui è escluso» disse Neele con voce atona. «Perciò lui è escluso» ripeté. Il vicecommissario lo fissò: qualche cosa nella ripetizione lo aveva colpito. «Che cosa vorreste dire, Neele?» L'ispettore prese un'aria tonta. «Nulla, signore. Un'idea molto vaga. Dico solo che è sempre tutto a suo favore.» «Forse un po' troppo?» Il vicecommissario ci pensò e scosse il capo. «Che sia stato lui a organizzare tutto? Ma non riesco a immaginare come: proprio non riesco.» E aggiunse: «È un tipo molto prudente». «Ma molto intelligente, signore.» «Voi non prendete in considerazione le donne, eppure sono sospette, Elaine Fortescue e la signora Jennifer. Erano presenti la mattina alla colazione, e il pomeriggio al tè. Non avete notato nulla di anormale nella loro condotta? Ma non sempre è palese: bisognerebbe informarsi sui loro trascorsi, dal punto di vista medico.» L'ispettore non rispose: pensava a Mary Dove. Non aveva motivo per sospettare di lei, eppure a lei tornava il suo pensiero. C'era nella giovane qualcosa d'inesplicabile che non lo convinceva. Dopo la morte di Rex Fortescue il suo atteggiamento poteva definirsi un antagonismo soddisfatto e divertito. Come sempre la sua condotta era irreprensibile: non c'era più traccia di divertimento né di antagonismo, ma l'ispettore si domandava se, una volta o due, non aveva scorto in lei un segno di paura.
Quanto a lui, era stato riprovevole, inescusabilmente riprovevole nella faccenda di Gladys Martin. Aveva pensato che quella sua aria confusa fosse dovuta al naturale nervosismo che prende la gente di fronte alla polizia. L'aveva vista tante volte! Ma nel caso di Gladys c'era qualcosa di più. La ragazza aveva visto o sentito qualcosa che l'aveva insospettita. Probabilmente, pensò, una cosa da nulla, di cui non aveva avuto nemmeno il coraggio di parlare. E ora, povero coniglio spaventato, non avrebbe parlato mai più. L'ispettore osservò con interesse l'espressione vivace dell'anziana donna che gli stava di fronte. Dapprima era incerto sul come trattarla, ma aveva fatto presto a decidersi: Miss Marple gli sarebbe stata utile. Era irreprensibilmente onesta e aveva, come tutte le vecchie signore, molto tempo da perdere ed un fiuto da vecchia volpe. Avrebbe cavato dalla servitù e dalle donne della casa quello che né lui né i suoi poliziotti avrebbero mai potuto cavare: parole, supposizioni, ricordi, racconti di cose dette o fatte. Di tutte queste cose, lei avrebbe saputo cogliere l'essenziale. Stabilito ciò, l'ispettore si dimostrò gentile. «Avete fatto molto bene a venire, Miss Marple.» «Era mio dovere, ispettore. La ragazza è vissuta in casa mia e me ne sento, in un certo senso, responsabile. Poverina, era molto stupida.» L'ispettore la guardò con approvazione: era una donna che andava al nocciolo delle questioni. «Non avrebbe saputo che cosa fare» continuò la signorina. «Dico, se avesse dovuto decidere. Oh, povera me, credo di esprimermi molto male.» L'ispettore disse che capiva benissimo. «Non avrebbe saputo giudicare se una cosa era veramente importante o no. Questo volete dire, no?» «Precisamente, ispettore.» «Dicendo che era molto stupida...» L'ispettore s'interruppe. «Era credulona» continuò Miss Marple. «Il tipo di ragazza che avrebbe dato tutti i suoi risparmi al primo mascalzone, se avesse avuto dei risparmi. Naturalmente, non aveva mai un soldo da parte perché li spendeva tutti per comprarsi vestiti che non le servivano affatto.» «E le sue relazioni con gli "uomini?» «Sentiva terribilmente il bisogno di aver vicino un ragazzo. Credo anzi che abbia lasciato St. Mary Mead appunto perché ci sono pochi giovanotti e la concorrenza è forte. Si era fatta delle idee sul garzone del pescivendolo: quel buon Fred aveva un complimento pronto per tutte le ragazze. Na-
turalmente a lui non gliene importava nulla, ma la povera Gladys ne era tutta agitata. Ho creduto di capire che qui aveva trovato un fidanzato.» L'ispettore annuì. «Sì. Ho saputo che si chiama Albert Evans e pare che si fossero conosciuti in un campeggio estivo. È un tecnico delle miniere, stando a quello che lei ha raccontato alla cuoca.» «Inverosimile» disse la signorina. «Ma probabilmente è ciò che lui ha raccontato alla ragazza. E non vi è capitato di metterlo in relazione con l'accaduto?» L'ispettore scosse il capo. «Non credo che ci siano complicazioni del genere. Lui non è mai venuto a trovarla, e le mandava una cartolina di tanto in tanto da qualche porto. Forse lavorava nella sala macchine di un mercantile.» «In fondo sono contenta che abbia avuto il suo romanzetto. Doveva vivere così poco!» Miss Marple strinse le labbra. «Vedete, ispettore, mi ha terribilmente irritata. Specialmente quella molletta da bucato: un gesto di pura malvagità.» L'ispettore la guardava con interesse crescente. «Capisco quello che volete dire, Miss Marple.» Questa tossicchiò, come per scusarsi. «Ora mi domando... capisco che è presuntuoso da parte mia, ma se appena potessi aiutarvi, coi miei poveri mezzi... temo che siano anche tipicamente femminili. Vedete, c'è qualcosa di sadico in questo assassinio, e non si può lasciarlo impunito.» «Sentimento che non si direbbe più di moda al giorno d'oggi» commentò lugubremente l'ispettore. «Non, con questo, che io non sia d'accordo con voi.» «C'è un albergo vicino alla stazione» continuò come indecisa l'anziana signorina. «C'è anche il Golf Hotel, e, se non mi sbaglio, in questa casa c'è una signorina Ramsbottom che si occupa di missionari.» L'ispettore la valutò con uno sguardo. «Già» disse «forse troverete qualche cosa da fare. Personalmente non posso dire di aver avuto molto successo con la signorina Ramsbottom.» «Siete molto gentile, ispettore, e sono contenta che non mi abbiate presa per una che va a caccia di sensazioni.» L'ispettore ebbe un rapido sorriso. Stava pensando che Miss Marple non aveva affatto l'aria di una furia vendicatrice, eppure forse lo era proprio. «I giornali» continuò la signorina «danno dei resoconti molto nutriti ma poco precisi. Non si potrebbero sapere i fatti puri e semplici?» «Non sono particolarmente semplici. Comunque, tralasciando ogni con-
siderazione personale, stanno così: il signor Fortescue muore nel suo ufficio in seguito a somministrazione di tassina. La tassina si ricava dalle bacche e dalle foglie del tasso.» «Molto comodo.» «Può darsi, ma non abbiamo nessuna prova, non ancora, almeno.» Calcò su questo punto perché pensava che proprio qui Miss Marple poteva diventar utile. Se mai qualcuno aveva fatto un infuso di bacche di tasso, lei era il tipo capace di trovarne le tracce: doveva essere la vecchia signorina che sa fare i liquori e le essenze e tutte le tisane di erbe. Doveva conoscere a memoria le ricette di tutti quei pasticci. «E la signora Fortescue?» «Stava prendendo il tè con gli altri, nella biblioteca. L'ultima a lasciar la stanza è stata la signorina Elaine, la figliastra, e ha dichiarato che in quel momento la signora stava versandosi un'altra tazza di tè. Venti minuti o mezz'ora dopo, la signorina Dove, la governante, entrò per portar via i vassoi e la trovò seduta sul divano, morta. Aveva vicino una tazza ancora piena a metà di tè, nella quale hanno trovato cianuro di potassio.» «Il cui effetto, mi pare, è pressoché immediato.» «Precisamente.» «Un veleno così potente» mormorò Miss Marple «lo si tiene di solito per liberarsi dei nidi di vespe. Ma ci si fa attenzione.» «Dite bene. Ne abbiamo trovato un pacchetto nel cassetto del giardiniere.» «Anche questo molto comodo» commentò la signorina, e aggiunse: «Stava mangiando qualcosa, la signora Fortescue?». «Oh, sì: avevano servito un tè molto lauto.» «Torta, suppongo, pane, burro... forse gallette? Marmellata? Miele?» «Sì. C'erano proprio gallette e miele, torta di cioccolato e parecchia altra roba.» La guardò con una certa curiosità. «Ma il cianuro era nel tè, Miss Marple.» «Sì, sì, l'ho capito, ma cercavo di render compiuto il quadro, per così dire. Significativo, no?» L'ispettore la guardò imbarazzato: si era fatta rossa in viso e le brillavano gli occhi. «E la terza vittima, ispettore?» «Be', quasi certamente, le cose stanno così. La ragazza, Gladys, ha portato il tè nella biblioteca, poi ha preso l'altro vassoio, ma l'ha lasciato nell'atrio. Aveva avuto la testa nelle nuvole tutto il giorno, a quanto pare. Da
quel momento nessuno l'ha più vista. La cuoca, signora Crump, ne concluse che doveva essersene andata senza dir niente a nessuno, forse perché si era messa le calze e le scarpe della festa. Comunque, è dimostrato che aveva torto. La ragazza si deve essere ricordata improvvisamente di non aver ritirato la biancheria stesa ad asciugare, ed è corsa fuori: ne aveva già raccolta metà quando, presumibilmente, qualcuno le è arrivato alle spalle di sorpresa, le ha stretto una calza intorno alla gola e... questo è tutto.» «Un estraneo?» «Forse, o forse uno della casa: qualcuno che aspettava il momento buono per coglierla da sola. La ragazza, nel primo interrogatorio, era agitata, nervosa e temo che non abbiamo dato troppa importanza a questo particolare.» «Ma è naturale, ispettore!» esclamò Miss Marple. «Si sembra sempre imbarazzati e colpevoli quando si è interrogati dalla polizia.» «È vero, signorina, ma questa volta c'era di più: credo che Gladys avesse visto qualcosa che l'aveva insospettita; nulla di decisivo però, altrimenti l'avrebbe detto. Può darsi che abbia tentato di parlarne con la persona coinvolta e che questa si sia resa conto che Gladys era un pericolo.» «Così la poverina è finita strangolata e con una molletta da bucato sul naso.» «Già, questa è pura malvagità. Un'atroce, inutile bravata.» Miss Marple scosse il capo: «Non direi inutile: il tutto rende il quadro compiuto, non vi sembra?» L'ispettore la guardò con curiosità. «Non vi seguo, Miss Marple; che cosa intendete per quadro?» «Intendo dire che... Be', vedete, considerando schematicamente... dopotutto non dobbiamo allontanarci dai fatti...» «Credo di non capire...» «Ecco, vedete: prima il signor Fortescue, "Rex" Fortescue, muore in città. Poi abbiamo la signora Fortescue, che prende il tè nella biblioteca. C'erano gallette e "miele". E poi la povera Gladys con la molletta da bucato stretta sul naso. È stato solo per completare. La signora Pat Fortescue mi ha detto che non le sembrava che ci fosse un nesso o un senso in tutto questo, ma non condivido la sua opinione perché proprio il nesso colpisce.» L'ispettore prese a dire lentamente: «Credo di non...» «Voi avete trentacinque o trentasei anni» continuò rapida la signorina «e penso che da ragazzo non vi divertiste molto alle filastrocche, ma per chi è stato tirato su con le vecchie favole è molto significativo, non vi pare? L'u-
nica cosa che mi domando...» La signorina s'interruppe come prendendo il coraggio a due mani. «Capisco di essere molto presuntuosa a venirvi a dire una cosa del genere.» «Prego, Miss Marple. Dite tutto quello che volete.» «Siete molto gentile. Come vi dicevo, non ne sono certa perché so di essere vecchia e di avere la testa che non funziona più tanto bene, ma vorrei sapere: non avete chiesto niente dei merli?» XIV Per dieci buoni secondi l'ispettore guardò sbalordito Miss Marple. Come prima cosa pensò che la vecchietta avesse perso la testa. «Merli?» ripeté. Miss Marple annuì. «Sì.» E prese a recitare: «Filastrocca da due soldi una tasca piena di segala Ventiquattro merli neri chiusi dentro una crostata. Ed in tavola l'aprirono con i merli che cantavano. O che bello era quel piatto proprio degno di un re matto! Ed il Re stava al tesoro a contare argento e oro. La Regina era in saletta a mangiar miele e galletta. La ragazza nel giardino sciorinava panni di lino. E lì venne un uccellino a beccarle via il nasino.» «Buon Dio!» mormorò l'ispettore. «Direi che s'accorda» disse la signorina. «Era segala, quella che il signor Fortescue aveva in tasca, non è vero? Così diceva un giornale. Gli altri dicevano "grano" che non significa nulla: era proprio segala, no?» L'ispettore annuì. «Ci siamo!» esclamò trionfante lei. «"Rex" Fortescue. Rex significa Re.
Nel "tesoro", cioè in ufficio. La Regina, in salotto, mangiava gallette spalmate di miele. Perciò vedete che l'assassino "doveva" mettere la molletta da bucato sul naso della povera Gladys.» «Volete dire che ci troviamo di fronte a un pazzo?» chiese Neele. «Be', non possiamo anticipare le conclusioni, ma è certamente molto strano. Voi comunque, dovete far delle ricerche su questi merli, perché devono esserci dei merli!» In quel momento entrò il sergente Hay a precipizio. «Signore...» S'interruppe vedendo Miss Marple. L'ispettore si riprese. «Grazie, signorina» disse «indagherò sulla faccenda. E poiché v'interessa la ragazza, può darsi che vi faccia piacere dare un'occhiata alla sua stanza. Il sergente può accompagnarvi, più tardi.» La signorina capì che quello era un congedo, e trotterellò fuori. «Merli!» mormorava l'ispettore. Il sergente lo guardava. «Che c'è, Hay?» «Signor ispettore» riprese a precipizio il sergente «guardate qui.» Tirò fuori un oggetto avvolto in un lurido fazzoletto coperto di ragnatele. «Trovato in mezzo ai cespugli, e potrebbe essere stato gettato da una delle finestre posteriori.» L'ispettore si protese in avanti: era un barattolo di marmellata ancora quasi pieno. Non disse una parola e prese la sua espressione impenetrabile e tonta; ciò significava che si era lanciato con la fantasia sulla traccia immaginaria. Di fronte agli occhi gli passava come un film: vedeva un barattolo di marmellata, poi mani che sollevavano delicatamente il coperchio, ne toglievano un po' di contenuto, lo mischiavano con un estratto di tassina, lo rimettevano nel barattolo spianandone la superficie e richiudevano con cura. S'interruppe per chiedere al sergente: «Non tolgono la marmellata dai barattoli per servirla nei piattini?». «No, signore. Hanno preso l'abitudine di portare direttamente in tavola i barattoli durante la guerra, quando il servizio era scarso, e l'hanno mantenuta.» «Questo facilita le cose, naturalmente» mormorò Neele. «Ma c'è di più: solo il signor Fortescue aveva l'abitudine di mangiare marmellate, la mattina, e il signor Percival, quando era a casa. Gli altri prendevano miele.» L'ispettore annuì e riprese a seguire il film che gli si svolgeva davanti agli occhi: adesso era a tavola, alla prima colazione. Rex Fortescue allungava la mano a prendere il barattolo, ne tirava fuori una cucchiaiata e la
spalmava sul pane tostato. Certamente molto più facile del rischioso sistema di mettere il veleno nella tazza. Un sistema garantito. E dopo? Un altro intervallo e la visione non era più così chiara. La sostituzione del barattolo con un altro da cui era stata tolta la stessa quantità di marmellata. Poi una finestra che si apre e una mano che butta il barattolo in mezzo ai cespugli. Di chi era quella mano? «Bisogna farlo analizzare» disse l'ispettore con voce impersonale «e vedere se ci sono tracce di tassina: non possiamo precipitare le conclusioni.» «Certamente. E potrebbero anche esserci delle impronte digitali.» «Non quelle che ci servono, però. Troveremo naturalmente quelle di Gladys, di Crump e dello stesso signor Fortescue. Forse anche quelle della cuoca, del garzone del droghiere, e di chissà quanti altri. Se qualcuno ci ha messo dentro la tassina, si è certo curato di non lasciare impronte. Ad ogni modo, come vi dicevo, non dobbiamo precipitare le cose. Dove comperano la marmellata e dove la tengono, qui, in casa?» Il sergente aveva sempre la risposta pronta. «Comperano i barattoli in cassette di sei, e li tengono in dispensa.» «Questo vuol dire che possono averla preparata parecchi giorni prima che fosse portata in tavola e che chiunque si sia trovato in questa casa può averla adulterata.» Quel "trovarsi" nella casa lasciava perplesso il sergente, ma Neele procedeva in quella che gli sembrava una logica deduzione. Se la marmellata era stata manipolata giorni prima, non erano più sospetti "quelli che si trovavano a tavola la mattina stessa". Si prospettavano dunque nuove interessanti possibilità, e l'ispettore andava organizzando una seconda serie "di interrogatori, questa volta impostati in tutt'altra direzione. Avrebbe scelto un angolo visuale più ampio, e preso in considerazione anche la filastrocca di quella Miss Vattelapesca, perché si adattava all'accaduto in modo sorprendente. Fin dalle prime parole: una tasca piena di segala. «Merli!» mormorò l'ispettore. «Non è di mirtilli» disse il sergente, confondendo la parola dell'ispettore. «È marmellata d'arancia.» L'ispettore andò in cerca della signorina Dove. La trovò in una camera del primo piano: stava sorvegliando Ellen che toglieva da un letto le lenzuola ancora di bucato. Sulla sedia c'era un pacco di asciugamani puliti.
L'ispettore Neele parve un poco perplesso. «Arriva qualcuno?» chiese. Mary Dove sorrise: a differenza della cameriera, che aveva un aspetto torvo, lei conservava la sua imperturbabile padronanza di sé. «Al contrario» rispose. «Avevamo preparato la camera per il signor Gerald Wright.» «Gerald Wright? Chi è?» «Un amico della signorina Elaine.» Il tono era privo di qualsiasi sottinteso. «E verrà qui? Quando?» «Credo che sia arrivato al Golf Hotel il giorno dopo la morte del signor Fortescue.» «Ah, il giorno dopo.» «Così ha detto la signorina Elaine» continuò la governante con voce impersonale. «Mi ha detto che voleva ospitarlo e così ho preparato la stanza. Ma ora, dopo queste due tragedie, sembra più opportuno che rimanga all'albergo.» «Il Golf Hotel?» «Sì.» La cameriera raccolse lenzuola e asciugamani e uscì. «Volevate domandarmi qualcosa?» chiese ia signorina Dove guardandolo interrogativamente. «Comincia a diventare importante stabilire i tempi» rispose quasi scherzoso Neele. «Quelli della famiglia sono piuttosto vaghi, e forse è comprensibile. D'altro canto, ho trovato che voi, signorina Dove, siete quanto mai precisa nel ricordarvi l'ora.» «Forse la cosa è altrettanto comprensibile.» «Già, forse. È certo che devo congratularmi con voi per come avete mandato avanti la casa nonostante... sì, lo scombussolamento degli ultimi avvenimenti. Come avete fatto?» chiese l'ispettore pieno d'interesse. Grazie alla sua scaltrezza si era accorto che il punto debole della signorina Dove era il compiacersi della propria abilità. Lei si eresse un poco mentre rispondeva. «Be', i Crump volevano andarsene via subito, naturalmente.» «La polizia l'avrebbe impedito.» «Lo so. Ma ho detto anche che il signor Percival sarebbe stato, certo, generoso con chi gli avesse risparmiato delle noie.» «Ed Ellen?»
«Non pensava di andarsene.» «Non pensava di andarsene» ripeté l'ispettore. «Ha i nervi solidi.» «Le piacciono le tragedie. Ci trova un certo gusto melodrammatico, come la signora Jennifer.» «Interessante! Dunque, alla signora Jennifer piacciono le tragedie!» «Non proprio... sarebbe dir troppo. Solo che questo piacere dell'emozione l'aiuta a sopportarle.» «E quanto a voi, signorina Dove?» La governante si strinse nelle spalle. «Non è stata un'esperienza piacevole» rispose secca. L'ispettore provò ancora una volta il desiderio di spezzare la linea di gelo con cui si difendeva quella giovane donna e scoprire che cosa si nascondeva dietro. Si limitò a dire: «Adesso, ricapitolando ore e luoghi: voi avete visto Gladys Martin per l'ultima volta prima del tè, alle quattro e quaranta, è così?». «Sì, e le ho detto di servire il tè.» «E voi, di dove venivate?» «Dal piano superiore: mi era sembrato d'aver sentito suonare il telefono qualche minuto prima.» «Presumibilmente aveva risposto Gladys?» «Sì. Qualcuno che aveva sbagliato numero. Volevano la lavanderia di Baydon Heath.» «Ed è stata l'ultima volta che l'avete vista?» «Circa dieci minuti dopo ha portato il tè in biblioteca.» «Dopodiché è arrivata la signorina Elaine.» «Sì, dopo tre o quattro minuti. Io sono salita ad avvertire la signora Jennifer che il tè era servito.» «Lo fate d'abitudine?» «No, di solito arrivano quando ne hanno voglia, ma la signora Adele aveva chiesto come mai non ci fosse nessuno. A me era sembrato di sentire il passo della signora Jennifer, ma dovevo essermi sbagliata...» Era un particolare nuovo, e Neele la interruppe. «Dite d'aver sentito qualcuno camminare al piano superiore?» «Sì, vicino alle scale, ma poi non è sceso nessuno. La signora Jennifer si trovava in camera sua. Era appena tornata da una passeggiata.» «Ah, una passeggiata... ed erano le...?» «Press'a poco le cinque.» «E quando è arrivato il signor Lancelot?»
«Qualche minuto dopo che ero scesa, la seconda volta. Credevo che fosse arrivato prima, ma...» L'ispettore la interruppe di nuovo. «Perché credevate che fosse arrivato prima?» «Perché mi sembrava di averlo intravisto dalla finestra del pianerottolo.» «Nel giardino?» «Sì: avevo intravisto una figura d'uomo filar via lungo la siepe di tassi.» «Questo mentre scendevate dopo aver avvertito la signora Jennifer che il tè era servito?» «No» precisò lei. «Quando sono scesa per la prima volta.» «Ne siete sicura, signorina Dove?» «Assolutamente sicura. Per questo sono rimasta stupita quando ha poi suonato il campanello.» «L'uomo che avete visto nel giardino non poteva essere Lance Fortescue» disse senza far trasparire la sua tensione. «Il treno che sarebbe dovuto arrivare alle 4,28, aveva nove minuti di ritardo, perciò lui è arrivato alla stazione alle 4,37; ha perso qualche minuto a cercare un tassì, perché arriva sempre molta gente con quel treno. Dunque, lui ha lasciato la stazione alle cinque meno un quarto, cioè già cinque minuti dopo che voi avevate visto l'ombra nel giardino. Per arrivare qui, inoltre, ci vogliono dieci minuti d'automobile, perciò la macchina si è fermata al cancello non prima delle cinque meno cinque. Non poteva assolutamente essere Lance Fortescue.» «Eppure, sono proprio sicura d'aver visto qualcuno.» «Non lo metto in dubbio. Cominciava a imbrunire: l'avete visto chiaramente?» «Oh, no. Non ho potuto vederlo in viso. Solo la figura: alta e snella. Ho concluso che fosse il signor Lancelot perché lo attendevamo.» «Da che parte si dirigeva?» «Lungo la siepe di tassi, dalla parte est.» «C'è un ingresso secondario da quella parte: è aperto, di solito?» «Fino a sera, quando si chiude la casa.» «Dunque, chiunque sarebbe potuto entrare di là senza essere visto.» «Credo di sì» rispose la signorina Dove, dopo aver riflettuto un momento. «Sarebbe a dire che, secondo voi, la persona che ho sentito camminare avrebbe potuto entrar di lì e nascondersi al piano superiore?» «Press'a poco.» «Ma chi?» «Rimane da vedersi. Grazie, ad ogni modo, signorina.»
Non appena si fu voltata per allontanarsi, l'ispettore aggiunse con aria distratta: «A proposito, non sapreste dirmi niente dei "merli"?». Per la prima volta, o così parve, Mary Dove fu presa alla sprovvista. Si voltò di scatto. «Che... che cosa avete detto?» «Vi domandavo solo se sapreste dirmi qualcosa dei merli.» «Volete dire...» «Merli.» L'ispettore aveva la sua espressione più tonta. «Dite di quella stupida storia dell'estate scorsa? Ma non è possibile che...» «Ne hanno molto parlato» disse Neele quasi galante «ma ero sicuro che voi avreste potuto dirmene qualche cosa di preciso.» Mary Dove aveva ripreso il suo tono calmo e pratico. «Penso che sia stato uno scherzo di cattivo gusto. Hanno trovato quattro merli morti sulla scrivania del signor Fortescue, qui in casa. In piena estate, le finestre erano aperte ed abbiamo pensato che fosse stato il bimbo del giardiniere, benché egli abbia giurato di non aver fatto nulla di simile. Ad ogni modo, erano proprio i merli che il giardiniere aveva ucciso e appeso agli alberi da frutto.» «E qualcuno li ha tirati giù e li ha messi sulla scrivania del signor Fortescue?» «Sì.» «Non potevano avere un significato? Non c'è nulla che possa essere messo in relazione coi merli?» «Non credo» rispose Mary Dove scotendo il capo. «Come c'è rimasto il signor Fortescue? Era seccato?» «Si, certo.» «Ma non era per caso turbato...» «Sinceramente, non ricordo.» L'ispettore non aggiunse altro. La governante se ne andò, ma a Neele parve che questa volta si allontanasse controvoglia, come se avesse voluto sapere qualcosa di più dei suoi sospetti. Quanto a lui, con scarso senso di gratitudine, era seccatissimo nei riguardi di Miss Marple: lei aveva detto che dovevano esserci di mezzo dei merli, e i merli c'erano! Ad ogni modo, non erano ventiquattro, e lui non si sarebbe lasciato distrarre da quei merli-fantasma: avrebbe continuato le sue indagini, semplici, logiche, pensando a un delitto commesso da un comune assassino per
un comprensibile motivo. Certo però che, da quel momento, avrebbe dovuto prendere in considerazione anche le ipotesi più assurde. XV «Mi dispiace, signorina Fortescue, disturbarvi ancora, ma desidero mettere in chiaro questo punto. Per quanto ne sappiamo, voi siete l'ultima persona, o per lo meno la penultima, che ha visto la signora Adele. Erano le cinque e venti, quando avete lasciato la stanza?» «Press'a poco, ma non saprei dirlo con precisione. Non si può continuare a guardar l'orologio» aggiunse come per difendersi. «Certamente. E di che cosa avete parlato quando siete rimasta sola con lei?» «Che importanza ha?» «Forse nessuna, ma può darci un'idea di quello che stava pensando in quel momento la signora.» «Voi, cioè... pensate a un possibile suicidio?» L'ispettore Neele notò che le si era illuminato il viso: quella sarebbe stata certo una soluzione comoda per la famiglia. Ma l'ispettore non pensava affatto a una cosa simile: Adele Fortescue non era tipo da uccidersi. Anche se avesse avvelenato il marito e si fosse resa conto di essere stata scoperta, non avrebbe mai pensato di togliersi la vita. Avrebbe mantenuto intatto il proprio ottimismo, anche se l'avessero processata per omicidio, certa dell'assoluzione. Comunque, lui non aveva nulla in contrario a che Elaine si attaccasse a quell'ipotesi. «È se non altro una possibilità» disse con tono sincero. «Volete dirmi, ora, di che cosa avete parlato?» Elaine esitò. «Be', riguardava me.» «E cioè...?» «Vedete... È arrivato un mio amico, e chiedevo alla povera Adele se non aveva obiezioni a che lo ospitassi qui, in casa nostra.» «Capisco. E chi è questo vostro amico?» «Il signor Gerald Wright, un insegnante. Adesso è al Golf Hotel.» «Un amico intimo?» L'ispettore prese un'espressione paterna che aggiunse almeno quindici anni a quanti ne aveva realmente. «Dobbiamo aspettarci fra breve una lieta partecipazione?» Si sentì quasi colpevole quando vide la ragazza arrossire e fare un gesto d'imbarazzo: era innamorata.
«Non siamo ancora fidanzati, e naturalmente non è questo il momento per annunciarlo, ma... sì, credo che ci sposeremo.» «Congratulazioni» disse cordialmente l'ispettore. «Avete detto che il signor Wright è al Golf Hotel? Da quando?» «Gli ho telegrafato quando è morto papà.» «E lui è arrivato subito. Capisco.» Tra i suoi modi di intercalare, capisco era il suo favorito, e lo disse in tono amichevole e rassicurante. «Che cosa ha detto la signora Adele quando le avete chiesto di poterlo ospitare?» «Oh, ha detto che andava benissimo e che potevo invitare chi volevo.» «Allora, era contenta della cosa.» «Non proprio. Voglio dire, ha detto...» «Sì? Che cos'altro ha detto?» Elaine arrossì di nuovo. «Qualche stupidaggine sul fatto che avrei potuto trovar di meglio. Era tutto quel che ci si poteva aspettare da lei.» «Be',» commentò l'ispettore in tono rassicurante. «I parenti dicono sempre così.» «È vero, però la gente non riesce ad apprezzare Gerald. Vedete, è un intellettuale, e ha idee anticonformiste, progressiste, che in genere non piacciono.» «E per questo non è piaciuto a vostro padre?» Elaine arrossì. «Papà era ingiusto e pieno di pregiudizi, e ha urtato i sentimenti di Gerald. Infatti è rimasto così sconvolto che se ne è andato e non si è più fatto vivo per alcune settimane.» "E probabilmente non si sarebbe mai più fatto vivo se vostro padre non fosse morto lasciandovi un sacco di quattrini" pensò l'ispettore. A voce alta disse: «Non avete parlato d'altro, con la signora Adele?». «No, non mi pare.» «Questo, press'a poco alle cinque e venticinque, e la signora è stata trovata morta alle sei meno cinque. In quella mezz'ora voi non siete tornata nella stanza?» «No.» «Che cosa avete fatto?» «Sono... sono andata a far due passi.» «Fino al Golf Hotel?» «Sì... ma Gerald non c'era.» L'ispettore ripeté: «Capisco» ma in tono conclusivo.
Elaine si alzò. «È tutto?» chiese. «Sì, grazie, signorina Fortescue.» E aggiunse con tono noncurante: «Non sapreste dirmi niente dei merli?». Lei lo guardò. «Merli? Dite quelli che hanno messo nella crostata?» "Dovevano essere in una crostata" pensò l'ispettore. «Quando?» si limitò a chiedere. «Oh, tre o quattro mesi fa. Ne hanno messi anche sulla scrivania di papà. Ricordo che è andato su tutte le furie...» «Ah, s'è infuriato? E ha fatto molte domande?» «Sì, naturalmente, ma non si è saputo chi li aveva messi.» «Non sapete perché si fosse tanto irritato?» «Be', una cosa di cattivo gusto, non vi pare?» Neele la guardò seriamente, ma non vide nella sua espressione nulla di sfuggente. «Oh, un'ultima cosa, signorina Fortescue. Non sapete se la vostra matrigna avesse fatto testamento?» «Non ne ho un'idea... ma credo di sì. Di solito lo si fa.» «Di solito, ma non tutti lo fanno. Avete fatto testamento, voi?» «No, non ho mai posseduto nulla... adesso, naturalmente...» L'ispettore la guardò negli occhi e vide che si rendeva conto di come la sua situazione fosse mutata. «Già» disse. «Cinquantamila sterline costituiscono una responsabilità e cambiano molte cose, signorina Fortescue.» Dopo che la signorina Fortescue fu uscita, l'ispettore rimase seduto, guardando pensieroso dinanzi a sé. Certo aveva nuovo materiale per le sue ipotesi: la dichiarazione della signorina Dove, d'aver visto uri uomo nel giardino verso le quattro e trentacinque, offriva nuovi spunti. Questo, naturalmente, se lei aveva detto la verità. Di solito l'ispettore non partiva dalla convinzione che "tutti" dicessero la verità, ma per quel che ne sapeva, Mary Dove non aveva alcuna ragione di mentire. Era chiaro che l'uomo visto nel giardino non poteva essere Lancelot Fortescue, per quanto i motivi che lo facevano supporre, in quel momento, fossero plausibili. Non era dunque Lancelot, ma un uomo che aveva la sua figura; e se un uomo si trovava nel giardino, a quell'ora, e si moveva furtivo, a giudicare da come se ne andava rasente la siepe di tassi, un nuovo ordine d'ipotesi ne scaturiva. Oltre a ciò, la governante aveva dichiarato d'aver udito dei passi al piano
superiore. E questi potevano ricollegarsi alla briciola di fango che lui aveva trovato nel salottino di Adele Fortescue. Il pensiero dell'ispettore si spostò sul piccolo scrittoio che c'era in quella stanza. Graziosa imitazione con l'immancabile nascondiglio segreto. Là dentro, appunto, c'erano state tre lettere di Vivian Dubois alla signora Adele. Nella sua carriera l'ispettore aveva avuto per le mani un numero incalcolabile di lettere d'amore: appassionate, sciocche, sentimentali o piene di insulti. C'erano anche le lettere prudenti, e l'ispettore era propenso a classificare quelle del signor Dubois in quest'ultima categoria. Se anche fossero state lette in una causa di divorzio, avrebbero potuto passare come ispirate da una pura e affettuosa amicizia. Per quanto, in questo caso, "affettuosa amicizia un corno!" pensò poco elegantemente Neele. Quando le aveva trovate le aveva mandate immediatamente a Scotland Yard, perché in quel momento l'unico problema era stabilire se le prove imponevano di procedere contro Adele Fortescue da sola, o contro Adele Fortescue e Vivian Dubois insieme. Tutto convergeva a far credere che Rex Fortescue fosse stato avvelenato dalla moglie, con o senza la complicità dell'amante. Quelle lettere, per quanto prudenti, dimostravano che Dubois era stato l'amante della signora, ma per quel che aveva potuto vedere l'ispettore, non contenevano alcuna istigazione al delitto. Poteva esserci stata un'istigazione a voce, ma Vivian Dubois era troppo prudente per compromettersi scrivendo. L'ispettore aveva il sospetto che lui avesse pregato Adele Fortescue di distruggere le lettere, e che lei gli avesse detto di averlo fatto. Comunque, ora altre due persone erano morte, e ciò voleva dire o sembrava voler dire che Adele Fortescue non aveva ucciso il marito. Cionondimeno, e questa era un'ipotesi nuova, Adele Fortescue poteva aver desiderato di sposare Vivian Dubois, e questi poteva aver desiderato non Adele, ma le centomila sterline che lei avrebbe ereditato alla morte del marito. Aveva forse pensato che la morte di Rex Fortescue sarebbe stata imputata a cause naturali, una specie di collasso o di colpo apoplettico. Dopo tutto sembrava che negli ultimi mesi tutti si fossero preoccupati della salute del signor Fortescue. (Tra parentesi l'ispettore si disse che sarebbe dovuto andare in fondo a questo punto: aveva la segreta sensazione che fosse importante.) Tornando a bomba, la faccenda non era andata secondo i piani: la morte era stata imputata senza esitazioni ad avvelenamento e si era anche identificato il veleno. Supponendo che i due fossero colpevoli, in che condizioni venivano a trovarsi? Dubois poteva essersi spaventato e Adele aver perso la testa. For-
se aveva detto o fatto qualche sciocchezza. Forse aveva telefonato a Dubois in modo imprudente, tale da fargli temere che qualcuno avesse potuto sentirla, alla Baracca dei Tassi. Che cosa aveva fatto allora Vivian Dubois? Era troppo presto per rispondere, ma l'ispettore decise come prima cosa di fare indagini al Golf Hotel per stabilire se il signor Dubois si era trovato o meno in albergo fra le quattro e un quarto e le sei. Vivian Dubois era alto e bruno come Lance Fortescue. Dal giardino poteva aver raggiunto la porta laterale, esser salito al piano superiore... e poi? Aver cercato le lettere ed essersi accorto che erano sparite? Aver aspettato finché, avuta via libera, non era sceso in biblioteca dove Adele si trovava sola? Ma era un voler affrettare i tempi... Neele aveva interrogato Mary Dove e la signorina Elaine; ora doveva sentire la signora Jennifer. XVI L'ispettore Neele trovò la signora Jennifer nel suo salottino privato intenta a scriver lettere. Quando lo vide entrare, la donna si alzò con gesto nervoso. «In che cosa posso... voi... qui...» «Prego, sedetevi, signora Fortescue. Vorrei solo rivolgervi alcune domande.» «Oh, certo, certo ispettore. È tutto così spaventoso, così terribilmente spaventoso!» Sedette sempre nervosamente in una poltrona. L'ispettore prese posto in una sediolina rigida, vicino a lei. La osservò meglio di quanto non avesse fatto fino allora e notò che, in fondo, era un tipo di donna mediocre. Pensò pure che non doveva esser felice. Irrequieta, insoddisfatta, di mentalità piuttosto limitata, doveva però esser stata capace nella sua professione di infermiera. Sebbene col matrimonio avesse raggiunto la agiatezza, questa non la soddisfaceva. S'era comperata degli abiti, passava il tempo a leggere romanzi, a mangiar ghiottonerie ma, ricordando il suo eccitamento la notte della morte del signor Fortescue, l'ispettore capì che tutto ciò rivelava l'arido deserto di noia in cui trascorreva la sua vita. Lei sbatté le palpebre e abbassò lo sguardo sotto quello indagatore del funzionario, cosa che le diede un'aria colpevole; ma Neele non era affatto sicuro che lo fosse in realtà. «Temo» disse cortesemente «che dovremo continuare con le domande. Non sarà una cosa gradevole, per voi, ma capirete che è molto importante
stabilire l'ora esatta in cui si sono svolti gli avvenimenti. Se ho capito bene voi siete arrivata al tè in ritardo. Infatti la signorina Dove ha dovuto venire a chiamarvi.» «Sì, infatti, è venuta ad avvertirmi che il tè era servito. Non mi ero resa conto che fosse così tardi. Stavo scrivendo alcune lettere.» L'ispettore gettò un'occhiata sulla scrivania. «Capisco» disse. «Non so come, ma la governante aveva creduto di capire che foste uscita a far due passi.» «Ah, vi ha detto così? Già... è vero. Stavo scrivendo, ma ero stanca, avevo mal di capo, e sono uscita a far due passi. Solo il giro del giardino.» «Capisco. E non avete incontrato nessuno?» «Ho visto il giardiniere da lontano. È tutto.» Lo guardò con un certo sospetto. «Poi siete ritornata su e vi eravate appena tolto il soprabito quando è arrivata la signorina Dove.» «Sì, e sono scesa.» «Chi c'era giù?» «Adele ed Elaine. Dopo un minuto o due è arrivato Lance, mio cognato, lo conoscete, quello che è appena tornato dal Kenia.» «E tutti insieme avete preso il tè.» «Sì. Poi Lance è salito a salutare la zia Effie, e io sono tornata qui a finire le mie lettere. Giù avevo lasciato Elaine e Adele.» L'ispettore annuì con un gesto rassicurante. «Dopo che voi siete venuta via, pare che la signorina Elaine sia rimasta con la signora Fortescue ancora cinque o dieci minuti. Vostro marito non era ancora rientrato?» «No. Percy, cioè Val, non è arrivato che alle sei e mezzo o le sette. Aveva avuto da fare in città.» «È tornato in treno?» «Sì, e alla stazione ha preso un tassì.» «Aveva l'abitudine di tornare in treno?» «No, solo qualche volta. Credo che fosse dovuto andare in qualche punto della città dove è difficile trovare un posteggio per l'automobile. In tal caso, deve aver preso il treno da Cannon Street.» «Capisco.» E riprese: «Ho chiesto a vostro marito se là signora Adele aveva fatto testamento, e lui mi ha risposto che credeva di no. Forse non ne avete un'idea neppure voi?». Con sua grande sorpresa la signora Jennifer annuì energicamente.
«Oh, certo! Adele aveva fatto testamento: me lo disse lei stessa!» «Interessante.» La signora Jennifer si protese in avanti, tutta animata in viso, felice di poter svelare un segreto. «Val non lo sapeva, e neppure gli altri: io ne sono a conoscenza per caso. È stato per la strada: uscivo dal cartolaio quando vidi Adele che lasciava lo studio legale Ansell & Worrall's, sapete, quello di High Street.» «Ah, il notaio del luogo?» «Sì. Così le domandai: "Che cosa facevi, là dentro?". E lei, ridendo: "Ti piacerebbe saperlo, eh?". Poi, mentre passeggiavamo insieme: "Te lo dirò: ho fatto testamento". "Perché mai" le chiesi. "Non sei mica ammalata!" Lei mi rispose infatti che no, che non si era mai sentita meglio di allora, ma che tutti devono fare testamento. Non era andata a farlo da quell'azzeccagarbugli d'un Billingsley, il legale di famiglia, perché quel vecchio ipocrita sarebbe andato in giro a raccontarlo a tutti. "Il mio testamento" mi disse "è una faccenda mia, me lo faccio a modo mio e nessuno deve saperne nulla." Io dissi che se era così, non l'avrei raccontato a nessuno. "Fa lo stesso" concluse lei "tanto non sai quello che c'è scritto." Ma io non l'ho detto a nessuno, neppure a mio marito. Penso che le donne debbano essere un po' solidali fra loro, non vi sembra, ispettore?» «Delicato sentimento, signora» rispose diplomaticamente Neele. «Be', credo proprio di non essere un carattere difficile» disse Jennifer. «Non sono mai stata particolarmente vicina ad Adele, se capite ciò che voglio dire. Ho sempre pensato che fosse il tipo di donna che non si sarebbe fermata di fronte a qualsiasi cosa si fosse frapposta tra lei e ciò che voleva. Ora è morta, e forse l'ho capita male, povera creatura.» «Bene, grazie molte signora Fortescue, per l'aiuto che mi avete dato.» «Ben volentieri, certo. È per me un piacere fare tutto quello che posso. Ah, è tutto così terribile! Quella vecchia signora di stamattina, chi è?» «È Miss Marple. È stata molto gentile a venire qui a dirci quanto sapeva della povera Gladys. Pare che Gladys Martin fosse stata un tempo al suo servizio.» «Ma davvero! Interessante.» «C'è un'altra cosa, signora. Sapete niente riguardo a dei merli?» Jennifer Fortescue trasalì di colpo, lasciò cadere la borsa sul pavimento, si chinò a raccoglierla. «Merli, ispettore? Merli? Che tipo di merli?» La sua voce era un poco incerta. L'ispettore Neele le sorrise lievemente.
«Semplicemente merli. Morti o vivi o, che so io, merli simbolici.» «Non capisco cosa intendiate» disse seccamente la donna. «Non so di che cosa parliate.» «Non sapete nulla circa dei merli, allora, signora Fortescue?» Lei disse allora lentamente: «Suppongo che vi riferiate a quelli messi nella crostata l'estate scorsa. Semplicemente pazzesco.» «Ve ne sono stati altri lasciati sul tavolo della libreria, se non sbaglio.» «È stato proprio uno stupido scherzo volgare. Non so chi possa avervene parlato. Il signor Fortescue, mio suocero, ne fu molto seccato.» «Proprio seccato? Niente più di questo?» «Oh, capisco ciò che volete dire. Sì, credo di sì. Ci ha chiesto se c'erano degli stranieri nei paraggi.» «Degli stranieri!» L'ispettore Neele alzò le sopracciglia. «Be', questo è quello che ha detto.» La signora Fortescue era sulle difensive. «Degli stranieri» ripeté l'ispettore. «E, ditemi, sembrava in qualche modo spaventato?» «Spaventato? Non capisco.» «Irrequieto. Riguardo agli stranieri, intendo.» «Sì, sì, lo era, abbastanza. Non ricordo bene: è stato diversi mesi fa, sapete. Non credo che fosse niente altro che uno stupido scherzo volgare. Forse Crump. Davvero, penso che Crump sia uno squilibrato. Del fatto che beva, poi, sono assolutamente sicura. C'è qualcosa di molto insolente a volte nei suoi modi. Mi sono chiesta a volte se non avesse dei rancori nei confronti del signor Fortescue. Lo ritenete possibile, ispettore?» «Tutto è possibile» disse Neele, e se ne andò. Percival Fortescue era a Londra, ma l'ispettore trovò Lance in biblioteca, che giocava a scacchi con la moglie. «Non vorrei disturbarvi» disse in tono di scusa. «Oh, stiamo solo ammazzando il tempo, ispettore» lo rassicurò Lance. «Penserete certo che sia una domanda sciocca» incominciò Neele «ma non sapete niente dei merli?» «Merli?» Lance sembrava divertito. «Che tipo di merli? Uccelli o schiavi negri?» L'ispettore ebbe un sorriso repentino, sconcertante. «Non lo so, signor Fortescue: è saltata fuori un'allusione ai merli.» «Buon Dio!» Lance si fece improvvisamente attento. «Non si tratterà
della vecchia Miniera dei Merli?» «Che cos'è questa Miniera dei Merli?» Il giovane aggrottò le ciglia come imbarazzato. «Il guaio è che non ne ricordo gran che neppure io. Ho la vaga idea che sia stata una vecchia impresa, non molto chiara, di mio padre, sulla Costa Occidentale dell'Africa. La zia Effie deve averglielo rinfacciato, una volta, ma non ne ricordo nulla di preciso.» «La zia Effie sarebbe la signorina Ramsbottom?» chiese Neele. «Sì.» «Allora andrò a domandarlo a lei.» E aggiunse: «È una vecchietta formidabile. Riesce sempre a mettermi in agitazione.» «Già» rise Lance. «Zia Effie ha un caratterino poco comodo, ma può esservi molto utile se riuscite a prenderla per il suo verso, specie se andate a rivangare il passato. Ha una memoria eccellente, e si diverte a ricordare tutte le cose sgradevoli. C'è dell'altro» aggiunse pensieroso. «Sono andato da lei subito, al mio ritorno. Per essere precisi, subito dopo il tè. Mi parlò di Gladys, la cameriera che hanno ucciso. Naturalmente non sapevamo ancora che fosse morta, ma la zia Effie si dichiarava convinta che Gladys sapesse qualcosa che non aveva detto alla polizia.» «È quasi certo. E adesso non potrà più parlare, povera ragazza.» «Già. E la zia Effie l'ha consigliata di raccontare tutto quello che sapeva. Peccato che non l'abbia fatto.» L'ispettore annuì. Dopo un'adeguata preparazione all'incontro, Neele entrò nella fortezza della signorina Ramsbottom, ed ebbe la sorpresa di trovarvi già Miss Marple. Parlavano di missioni religiose. «Vado subito» disse Miss Marple alzandosi. «Non è necessario» rispose l'ispettore. Intervenne la signorina Ramsbottom. «Ho invitato Miss Marple a fermarsi da noi. È stupido spender denaro in quel ridicolo Golf Hotel. È un covo di profittatori, ecco che cos'è. E tutte le sere bevono e giocano a carte. È molto meglio che venga a vivere in una decente casa cristiana. C'è una stanza qui vicina alla mia, dove l'ultima volta ha dormito Mary Peters, una missionaria.» «Molto gentile da parte vostra» disse Miss Marple «ma non credo che sia delicato introdursi in una famiglia in lutto.» «Lutto? Scemenze! Chi è in questa casa che piange per Rex o per Adele?
Vi preoccupate forse della polizia? Nessuna obiezione, ispettore?» «Per me, nessuna.» «Così, siete a posto» concluse la signorina Ramsbottom. «Siete veramente gentile. Andrò a telefonare all'albergo per lasciare libera la camera.» Uscì dalla stanza e la signorina Ramsbottom si rivolse, tagliente, all'ispettore: «Adesso, che cosa volete, voi?». «Mi domandavo se avreste potuto dirmi qualche cosa della Miniera dei Merli.» La signorina fece una risata stridula come il chiocciare di una gallina. «Ah! Ci siete arrivato! Avete seguito la strada che vi ho indicato l'altro giorno? Be', che cosa volete sapere?» «Tutto quello che potete dirmi, signorina.» «Non ne so gran che. È passato tanto tempo... venti o venticinque anni. Era non so che concessione nell'Africa Orientale e mio fratello vi si recò assieme a un certo MacKenzie. Dovevano esplorare insieme la miniera, e quel MacKenzie morì laggiù di febbri. Rex tornò a casa e disse che la concessione o il lotto, o come diavolo volete chiamarlo, non valeva niente. Non ne so altro.» «Credo invece che ne sappiate qualcosa di più» disse l'ispettore, persuasivo. «Tutto il resto è "sentito dire". E le chiacchiere non servono, davanti alla legge. Così mi hanno detto.» «Non siete in tribunale, signorina Ramsbottom.» «Be', non so dirvi niente. I MacKenzie hanno messo su un putiferio. Ecco tutto quello che so. Dicevano che Rex aveva truffato il socio. Io credo di sì. Era scaltro, senza scrupoli e sono convinta che tutto quel che faceva fosse illegale. Comunque, non poterono provare niente. La signora MacKenzie era un po' squilibrata, e venne qui a minacciar vendetta. Diceva che Rex aveva ucciso suo marito. Una stupida messinscena! Mi pare che l'abbiano messa in una casa di cura, poco tempo dopo. Era venuta qui trascinandosi dietro due bimbi spaventati da morire, e diceva che li avrebbe tirati su perché si vendicassero e altre ridicolaggini del genere! Be', ora non ne so altro davvero. Ricordatevi poi che questo non è il solo imbroglio che abbia combinato Rex. Se cercate, ne troverete molti altri. Ma come siete arrivato alla Miniera dei Merli? Qualche traccia vi ha portato fino ai MacKenzie?» «Non sapete che cosa ne sia stato di quella famiglia, signorina?»
«Non ne ho un'idea. Ma vi avverto: non credo che Rex abbia ucciso quel MacKenzie; può darsi che l'abbia lasciato morire, e davanti al buon Dio è la stessa cosa, ma non davanti alla legge. Se l'ha fatto, ne risponderà lui. I mulini del Signore girano lentamente, però macinano la farina più sottile... Adesso farete meglio ad andarvene: non ho più niente da dirvi.» «Grazie per le informazioni.» «E mandatemi indietro quella Marple» gli raccomandò la vecchia. «È frivola come tutti quelli della Chiesa d'Inghilterra, ma sa come si opera la carità.» L'ispettore fece un paio di telefonate, allo studio Ansell & Worrall's e al Golf Hotel, poi fece venire il sergente Hay. «Debbo andare dai legali della morta, poi potrete trovarmi al Golf Hotel, se capita qualcosa di urgente.» «Va bene, ispettore.» «E tiratemi fuori tutto quello che potete dei merli» aggiunse andandosene. «Merli?» ripeté il sergente sbalordito. «Ho detto merli, non mirtilli.» «Signorsì, signor ispettore» rispose il brav'uomo senza capire. XVII All'ispettore sembrò che il notaio Ansell fosse più propenso a lasciarsi intimidire che a difendersi. Era socio di quello studio, piccolo e non certo ricco, e pur di non rendersi inviso alla polizia, avrebbe rinunciato a rivendicare i suoi diritti. Disse che aveva effettivamente redatto il testamento della defunta signora Adele Fortescue cinque settimane prima. Si trattava di un atto particolare, sotto certi aspetti, ma lui naturalmente non aveva detto nulla. A un legale capitano sempre casi particolari, e certamente l'ispettore capiva che la discrezione era un dovere professionale. L'ispettore annuì e disse che capiva benissimo. Sapeva già che Ansell non aveva mai prestato i suoi servigi alla signora Adele Fortescue, prima di allora, né a nessun altro membro della famiglia. «Capite» diceva il signor Ansell «che per questo atto non aveva voluto servirsi del legale di suo marito.» Sfrondati di tutte le parole, i fatti erano semplici: Adele Fortescue aveva redatto un testamento col quale lasciava ogni suo avere al signor Vivian
Dubois. «Ma se ho capito bene» aggiunse Ansell guardando interrogativamente l'ispettore «non aveva in realtà molto da lasciare.» L'ispettore annuì. Questo era vero quando Adele aveva fatto il testamento. Ma Rex Fortescue era morto e Adele aveva ereditato centomila sterline: praticamente, ora quella grossa somma, detratte le tasse di successione, apparteneva al signor Vivian Edward Dubois. Al Golf Hotel l'ispettore trovò il signor Dubois che lo aspettava piuttosto nervoso. Era sul punto di partire, e aveva già fatto i bagagli quando aveva ricevuto per telefono, dall'ispettore Neele, la gentile richiesta di rimanere. L'ispettore era stato veramente cortese, quasi s'era scusato, ma, nonostante le frasi convenzionali, la richiesta era un ordine. Dubois aveva cercato di resistere, ma non troppo. «Spero che vi rendiate conto, ispettore» disse subito «che mi costa molto rimanere qui: ho degli affari molto urgenti.» «Non sapevo che aveste degli affari» rispose quasi scherzoso l'ispettore. «Temo che nessuno di noi sia così sfaccendato come ci piace sembrare.» «La morte della signora Fortescue deve avervi colpito, signor Dubois. Eravate molto amici...» «Sì. Era una donna affascinante. Giocavamo sempre insieme a golf.» «Ne sentite la mancanza, immagino.» «Già» sospirò il signor Dubois. «È stata una cosa terribile.» «Credo che le abbiate telefonato, il pomeriggio in cui è morta.» «Sì? Veramente, adesso non ricordo.» «Verso le quattro, se ho capito bene.» «Sì, credo di sì.» «E non ricordate di che cosa le avete parlato, signor Dubois?» «Nulla di particolare. Credo di averle domandato come si sentiva e se c'era qualcosa di nuovo sulla morte del marito. Cose più o meno convenzionali.» «Capisco. E poi siete andato a fare una passeggiata?» «Eh? Ah, sì, sì. Per lo meno, non una passeggiata... Ho fatto qualche buca a golf.» «Non credo, signor Dubois» disse gentilmente Neele. «Non quel giorno. Il portiere ricorda che avete preso la strada della Baracca dei Tassi.» Lo sguardo di Dubois incontrò il suo, ma lo sfuggì. «Temo di non ricordare, ispettore.» «Forse siete andato a trovare la signora Fortescue?»
«No, questo no» rispose deciso. «Non mi sono nemmeno avvicinato alla casa.» «Dove siete andato, allora?» «Oh, ho seguito la strada fino ai Tre Piccioni, ho girato e sono tornato per una scorciatoia.» «Siete sicuro di non essere andato alla Baracca dei Tassi?» «Sicurissimo, ispettore.» Neele scosse il capo. «Suvvia, signor Dubois! Vi conviene essere sincero con noi. Potreste esserci andato per un motivo assolutamente innocente.» «Vi ho detto che non sono andato a trovare la signora Fortescue, quel giorno.» L'ispettore si alzò. «Vedete, signor Dubois» disse in tono cortese «credo che dovremo pregarvi di fare una dichiarazione, e sarà nel vostro diritto, anzi, vi consiglieremo noi stessi, di farvi accompagnare dal vostro legale al momento di stenderla.» «Voi mi minacciate!» «Tutt'altro!» L'ispettore parlava a scatti. «Non potremmo mai farlo. Al contrario. Vi ho appena fatto notare che avete dei diritti.» «Vi ho detto che io non c'entro! Non c'entro!» «Avanti, signor Dubois. Voi eravate intorno alla Baracca dei Tassi, verso le quattro e mezzo. Qualcuno guardava dalla finestra e vi ha visto.» «Ero nel giardino. Non sono entrato in casa.» «Ne siete sicuro? Non siete entrato dalla porta laterale e non siete andato nel salottino della signora Fortescue? Non cercavate qualcosa nella piccola scrivania?» «Le avete trovate voi» disse cupo Dubois. «Quella stupida di Adele le aveva ancora! M'aveva giurato di averle bruciate. Ma non hanno il significato che voi credete.» «Voi non negate, signor Dubois, d'esser stato amico "intimo" della signora Fortescue?» «No, non lo nego. Voi avete le lettere. Dico solo che non potete trovarvi nulla di sospetto. Non potete dubitare che noi, che lei abbia mai pensato di sbarazzarsi del marito. Buon Dio, non sono un uomo di quel genere.» «E se lei fosse stata una donna di quel genere?» «Sciocchezze!» urlò Dubois. «Non hanno forse ucciso anche lei?» «Certo, certo.» «E non è logico supporre che chi ha ucciso il marito abbia ucciso anche
lei?» «Può darsi, ma ci sono anche altre soluzioni. Per esempio, è solo una ipotesi, signor Dubois: può darsi che la signora Fortescue, dopo essersi sbarazzata del marito, sia diventata un pericolo per qualcun altro, qualcuno che senza averla aiutata materialmente l'avesse incoraggiata o fornita, per così dire, del movente. Per questa persona, lei poteva costituire un pericolo.» «Non... non potete... incriminarmi» balbettò Dubois. «Sapete che aveva fatto testamento a vostro favore?» «Non voglio soldi. Non voglio un centesimo!» «Non c'è gran che, a dir la verità: gioielli, qualche pelliccia, ma poco denaro liquido, credo.» Dubois lo guardò a bocca aperta. «Ma credevo che suo marito...» Si fermò di botto. «Veramente, signor Dubois?» La voce dell'ispettore sembrava una lama d'acciaio. «Molto interessante. Mi domando se non conoscevate già le disposizioni testamentarie del signor Fortescue.» La seconda intervista dell'ispettore al Golf Hotel fu dedicata al signor Gerald Wright. Si trattava d'un giovane intellettuale, pieno d'arie di superiorità, e l'ispettore osservò che era snello e aveva la figura simile a quella del signor Dubois. «Cosa posso fare per voi, ispettore Neele?» chiese. «Credo che potreste venirci in aiuto con qualche piccola informazione, signor Wright.» «Informazione, io? Non so come sia possibile.» «In relazione con quanto è accaduto alla Baracca dei Tassi. Ne avrete sentito parlare, no?» «Sentito parlare non è l'espressione giusta» sorrise Wright con condiscendenza. «Tutti i giornali ne sono pieni. In che mondo viviamo! Da una parte le bombe atomiche, dall'altra una stampa che si compiace solo della cronaca nera! Ma avete detto che volevate farmi qualche domanda, e non riesco a immaginare quale. Non so nulla di quanto è accaduto alla Baracca dei Tassi. Quando il signor Fortescue è morto, io ero nell'isola di Man.» «E siete arrivato qui subito dopo. Dovete aver ricevuto un telegramma dalla signorina Elaine.» «La nostra polizia sa proprio tutto. Sì, la signorina mi ha mandato a
chiamare, e naturalmente sono venuto subito.» «Se ho ben capito, vi sposerete presto.» «Precisamente. Non avrete obiezioni, spero.» «La faccenda riguarda solo la signorina Fortescue. La vostra relazione data da un po' di tempo: sei o sette mesi, credo.» «Infatti.» «Voi e la signorina avete deciso di sposarvi, ma il signor Fortescue negò il proprio consenso e vi avvertì che se la figlia si fosse sposata contro la sua volontà, non le avrebbe passato nulla. Dopodiché, rottura del fidanzamento e partenza.» Gerald Wright sorrìse quasi con compassione. «Una maniera piuttosto cruda di veder le cose. In realtà io sono una vittima delle mie opinioni politiche. Rex Fortescue era un capitalista della peggior specie, e capirete che io non potevo sacrificare i miei ideali al dio quattrino.» «Ma non avete obiezioni a sposare l'erede di cinquantamila sterline.» Il giovane ebbe un sorriso sottile. «Per nulla, ispettore. Il denaro andrà a beneficio della comunità. Comunque, non siete venuto qui, spero, per discutere le mie condizioni finanziarie o le mie idee politiche.» «No, signor Wright. Volevo solo un dato di fatto. Voi sapete che la signora Adele Fortescue è morta avvelenata il pomeriggio del cinque novembre. Dato che quel pomeriggio eravate nelle vicinanze della Baracca dei Tassi, pensavo che poteste aver visto o udito qualcosa che fosse in relazione con l'accaduto.» «E che cosa vi fa credere che in quel momento io fossi nelle vicinanze della Baracca dei Tassi?» «Quel pomeriggio avete lasciato l'albergo alle quattro e un quarto, e avete preso la strada che porta appunto alla Baracca dei Tassi. È naturale pensare che foste diretto là.» «Ne avevo l'intenzione. Ma poi ho pensato che sarebbe stato inutile. Ero già d'accordo di trovarmi con la signorina Fortescue qui all'albergo, alle sei. Ho fatto una passeggiata lungo un viottolo che parte dalla strada principale e sono rientrato all'albergo proprio poco prima dell'ora stabilita. Elaine non è venuta all'appuntamento, cosa più che comprensibile, date le circostanze.» «Nessuno vi ha visto, mentre facevate quella passeggiata?» «Alcune automobili mi hanno sorpassato lungo la strada, ma non ho visto nessuno che mi conosca. Il viottolo poi era troppo piccolo e fangoso
perché ci passassero dei veicoli.» «Dunque, per il tempo trascorso da quando avete lasciato l'albergo alle quattro e un quarto a quando ci siete tornato poco prima delle sei, ho solo la vostra parola?» Gerald continuava a sorridere con aria di superiorità. «Sgradevole per entrambi, ma è così.» «Sicché, se qualcuno dicesse che guardando fuori da una finestra vi ha visto nel giardino della Baracca alle quattro e trentacinque, voi...» L'ispettore non terminò la frase. Gerald Wright inarcò le sopracciglia e scosse il capo. «A quell'ora la visibilità era scarsa, e una simile testimonianza sarebbe poco attendibile.» «Conoscete il signor Dubois, che abita pure qui?» «Dubois? Non mi sembra... È quell'uomo alto, bruno, con una spiccata passione per le scarpe di camoscio?» «Anche lui è uscito a fare quattro passi, quel pomeriggio, ed anche lui è andato dalle parti della Baracca. Non l'avete incontrato, per caso?» «No, proprio.» Per la prima volta Gerald Wright sembrò un poco spaventato. «Non era il pomeriggio ideale per passeggiare» aggiunse l'ispettore pensieroso «specialmente in un viottolo e col buio. Strano che tutti si siano sentiti così pieni d'energia.» Quando l'ispettore rientrò in casa Fortescue, il sergente lo accolse con aria soddisfatta. «Ho scoperto qualcosa dei merli, ispettore.» «Davvero?» «Sì. Erano in una crostata fredda, pronta per la cena della domenica. Qualcuno, nella dispensa o non so dove, ha aperto la crostata, e, al posto della carne, ha messo dei merli morti che erano nel casotto del giardiniere. Uno scherzo di cattivo gusto, direi.» «"Oh, che bello era quel piatto proprio degno di un re matto!"» ripeté Neele. E se ne andò lasciando il sergente sbalordito. XVIII «Un momento» disse la signorina Ramsbottom. «Il solitario sta per riuscire.» Spostò un re in uno spazio vuoto, mise un sette rosso su un otto nero, si-
stemò definitivamente il quattro, il cinque e il sei di fiori, fece qualche altro rapido trasferimento e si appoggiò allo schienale con un sospiro di soddisfazione. «È il "Double Jester"» disse «e riesce di rado.» Alzò gli occhi verso la giovane che stava accanto al camino. «Così, tu sei la moglie di Lance» disse. Pat, che era stata pregata dal marito di presentarsi alla signorina Ramsbottom, annuì. «Sei alta» continuò la vecchia signorina «e sembri forte.» «Ho una salute di ferro.» «La moglie di Percival è flaccida. Mangia troppi dolciumi e non fa abbastanza moto. Siediti pure, bimba. Dove hai incontrato mio nipote?» «Nel Kenia, quando ero là con alcuni amici.» «Mi hanno detto che sei già stata sposata.» «Sì, due volte.» La signorina soffiò dal naso. «Divorzio, suppongo.» «No.» La voce le tremò. «Son morti tutti e due. Il mio primo marito era pilota da caccia ed è morto in guerra.» «E il secondo? Un momento... qualcuno me l'ha detto. Suicidio, no?» Pat annuì. «È stata colpa tua?» «No» disse Pat. «Non è stata colpa mia.» «Si occupava di corse di cavalli?» «Sì.» «Non sono mai stata alle corse in vita mia» dichiarò la signorina Ramsbottom. «Scommesse e giochi di carte son tutti trucchi del diavolo.» Pat non disse nulla. «Non ho mai messo piede in un teatro o in un cinematografo. Ah, è un mondo ben triste il nostro. In questa casa si compivano molte scellerataggini, ma la mano di Dio l'ha raggiunta.» Per Pat era difficile trovare una risposta. Si domandava se la zia Effie, cui Lance era affezionato, fosse proprio tutta lì, ed era un po' sconcertata dal suo sguardo feroce. «Che cosa ne sai della famiglia in cui sei entrata sposandoti?» «Non più di quanto si sa in questi casi.» «È già qualcosa, ma te lo dirò io: mia sorella era una sciocca, mio cognato un mascalzone, Percival è un ipocrita e il tuo Lance è sempre stato la pecora nera della famiglia.»
«Sciocchezze» disse Pat con forza. «Può darsi. Non si possono mettere le etichette sulla gente. Però non sottovalutare Percy. La gente è portata a credere che i buoni siano anche stupidi, ma lui non lo è affatto. Con quella sua aria di santo, è molto scaltro. Non mi è mai piaciuto, mentre pur diffidando di Lance, e disapprovandolo, non posso fare a meno di volergli bene. È una specie di mascalzone, lo è sempre stato. Devi badare a che non esageri, e di' anche a lui di non sottovalutare Percy, mia cara. Digli di non credere a una sola parola di suo fratello: sono tutti bugiardi, in questa casa.» E aggiunse con aria soddisfatta: «Per loro sarà fuoco e dannazione». L'ispettore stava concludendo una telefonata con Scotland Yard. All'altro capo del filo il vicecommissario diceva: «Dovremmo riuscire a tirar fuori quell'informazione per voi, passando in rassegna le case di cura private. È certo, però, che potrebbe essere morta.» «Già; è passato molto tempo.» Le vecchie colpe lasciano tracce, aveva detto la signorina Ramsbottom con intenzione, come per fargli nascere un dubbio. «Però è una teoria fantasiosa» ripeté il vicecommissario. «Sì, mi rendo conto. Ciononostante a me non pare che possiamo ignorarla. Troppi particolari...» «Sì, sì... I merli, la segala, il nome di lui...» «A ogni modo seguo anche gli altri sospetti» disse Neele. «Dubois può essere uno e così pure Wright. Gladys, la ragazza, potrebbe aver scorto l'uno o l'altro fuori della porta laterale, aver piantato il vassoio nell'atrio ed essere uscita a vedere chi era e che cosa stava facendo. L'uomo, chiunque fosse, può averla strangolata e poi trascinata dove si stendono i panni, e averle messo quella molletta da bucato sul naso.» «Un gesto assurdo! Sadico, addirittura» commentò il vicecommissario. «Sì, signore, ed è questo che ha sconvolto la vecchia signorina, la Marple. Una donna veramente simpatica e molto acuta. È venuta ad abitare nella casa, per stare vicina alla vecchia Ramsbottom, e sono certo che non le sfuggirà nulla.» «Quale sarà la vostra prossima mossa, Neele?» «Ho un appuntamento con lo studio legale di Londra per sapere qualcosa degli affari di Rex Fortescue, e anche della Miniera dei Merli, per quanto sia una vecchia storia.»
L'avvocato Billingsley, dello studio Billingsley, Horsethorpe & Walters, era un corretto avvocato che di solito mascherava la propria discrezione sotto un modo di fare esuberante. In questo, poi, che era il secondo incontro con l'ispettore, la sua discrezione era meno visibile di quanto non lo fosse stata la prima volta. Inoltre la triplice tragedia della Baracca dei Tassi l'aveva scosso dal riserbo professionale. L'avvocato Billingsley non desiderava altro che mettere a disposizione della polizia tutto quello che poteva. «Per prima cosa permettete che vi chieda quanto potevate sapere del defunto signor Fortescue e degli affari della sua ditta.» «Lo conoscevo piuttosto bene, cioè da circa sedici anni! Badate però che non siamo i soli legali di cui lui si servisse.» L'ispettore annuì. Sapeva che loro erano per così dire i legali di schermo, mentre per gli affari meno puliti il signor Fortescue si era servito di molti altri avvocati non integerrimi. «Che cosa desiderate sapere, adesso?» continuò il signor Billingsley. «Vi ho già parlato del suo testamento. Il figlio Percival è l'erede.» «In questo momento m'interessa il testamento della moglie. Alla morte del signor Fortescue è entrata in possesso di centomila sterline, se ho capito bene.» L'avvocato annuì. «Una somma considerevole e posso dirvi in confidenza che forse la ditta non sarebbe stata in grado di pagarla.» «Allora gli affari vanno male?» «A dirla sinceramente sono quasi sul lastrico, e si trovano in questa situazione da circa un anno e mezzo. «Per una ragione specifica?» «Sì, potrei dire che la ragione era il signor Fortescue stesso. In quest'ultimo anno si era comportato come un pazzo. Dava via roba buona da una parte, si lanciava in speculazioni dall'altra, e continuava a parlarne continuamente come un esaltato. Non ascoltava consigli. Il figlio, Percival, è venuto qui a scongiurarmi di far uso della mia influenza presso il padre. A quanto pare lui aveva tentato ma era stato messo da parte. Be', io ho fatto quel che ho potuto, ma il signor Fortescue non ascoltava ragioni: era proprio fuori di sé.» L'ispettore incominciò a capire alcune cause dell'attrito fra Percival e suo padre. «Ma è inutile che mi domandiate del testamento della signora» continuava Billingsley «perché io non ne ho redatto alcuno, per lei.»
«Lo so. Volevo solo accertarmi se lei aveva qualche cosa da lasciare in eredità.» L'avvocato scosse violentemente il capo. «No, caro signore. Qui vi sbagliate. C'è una clausola che regola questo lascito, e cioè la moglie avrebbe ereditato solo se fosse sopravvissuta almeno un mese al marito. Questa, vi dirò, è una clausola molto comune al giorno d'oggi, coi pericoli dei viaggi aerei. Se due individui muoiono insieme, in un incidente, diventa troppo difficile stabilire quale sia l'erede e sorgono complicati problemi.» L'ispettore lo guardava attentamente. «Sicché Adele Fortescue non aveva centomila sterline da lasciare in eredità. E dove andranno questi soldi?» «Rimangono alla ditta, o meglio, all'erede.» «Il quale erede è Percival Fortescue.» «Precisamente, e con le attuali condizioni dei suoi affari, direi che ne ha un gran bisogno.» «Su, Bob, parla» disse l'ispettore al medico, suo amico. «Siamo soli, per fortuna e non puoi registrare quello che ti dico. Devo ammettere che la tua idea era giusta. Tutto porta a diagnosticare una forma di schizofrenia. La famiglia ne aveva il sospetto e voleva che andasse a farsi visitare, ma lui non ci andò. Si manifesta proprio come mi hai detto: perdita delle facoltà di giudizio, megalomania, crisi violente d'ira, mania d'essere un genio affaristico. Chi soffre di questo complesso manda comodamente sul lastrico una ditta prosperosa, a meno che qualcuno non lo controlli. Ma questo è difficile, specialmente se l'ammalato se ne accorge. In fondo credo che la sua morte sia stata una fortuna per i tuoi amici.» «Non sono miei amici» precisò Neele. E ripeté quello che aveva già detto una volta: «È tutta gente antipatica...». XIX Alla Baracca dei Tassi tutta la famiglia Fortescue era radunata nel salotto. Parlava Percival, appoggiato al camino. «Sarà tutto regolare, ma la situazione non può andare avanti così: la polizia va e viene senza preoccuparsi di dirci nulla. C'è da supporre che le indagini proseguano, ma intanto siamo tutti immobilizzati e non possiamo fare alcun piano per il futuro. Dato che c'è ancora il divieto di lasciare la casa, credo che possiamo intanto discutere fra noi. Cominciamo da te, Elaine. Pare che ti sposerai con comesichiama... Gerald Wright. E quando?»
«Al più presto» disse Elaine. «Cioè nel giro di sei mesi?» «No. Perché dovremmo aspettare sei mesi? Un mese è il massimo.» «Be', decidete voi» concluse Percival. «E che cosa avete intenzione di fare, quando sarete sposati?» «Pensiamo di mettere su una scuola.» Percival scosse il capo. «È un'impresa rischiosa, in questi tempi, con la carenza di servizi domestici e la difficoltà di trovare un corpo insegnante. Sì, non c'è nulla di male, ma ci penserei due volte, se fossi in voi.» «Ci abbiamo già pensato. Gerald è convinto che il futuro del Paese dipenda da un'adeguata educazione.» «Dopodomani rivedrò l'avvocato Billingsley» disse Percival «e parleremo della questione finanziaria: lui aveva consigliato di costituire un fidecommisso per te e i tuoi figli, coi soldi che papà ti ha lasciato. Sarebbe una cosa molto saggia.» «Non intendo farlo, perché abbiamo bisogno dei soldi per aprire la nostra scuola. Abbiamo già trovato un edificio adatto in Cornovaglia, con un buon terreno intorno.» «Cioè, vuoi prelevare i tuoi soldi dalla ditta? Sinceramente, Elaine, non credo che tu faccia bene.» «Comunque, ritengo più saggio prelevarli che lasciarli. Tu stesso dicevi che gli affari andavano a catafascio, proprio poco prima che morisse papà.» «Sono cose che si dicono» insisté Percival evasivo «ma ti assicuro che la tua idea è folle: se l'impresa fallisce, che cosa succede? Rimani senza un centesimo.» «Ma non fallirà» ripeté Elaine, testarda. «Io sono con te.» Lance, sdraiato in una poltrona, intervenne incoraggiante. «Tenta, Elaine. Secondo me sarà una scuola sballatissima, ma è il vostro sogno, tuo e di Gerald. Se ci rimetterete i soldi, avrete almeno la soddisfazione di aver fatto quello che volevate.» «Da te non ci si poteva aspettare altro» commentò acido Percy. «Lo so, lo so. Sono lo sconsiderato figliuol prodigo. Comunque credo d'aver avuto dalla vita più di quanto non abbia avuto tu.» «Tutto dipende da quel che chiedevi alla vita» rispose gelido Percival. «Immagino che tornerai nel Kenia, o a scalare il Monte Everest, o a fare chissà che cos'altro di fantastico.» «Che cosa te lo fa pensare?»
«Non ti è mai piaciuta, la vita casalinga, qui, in Inghilterra.» «Si cambia, invecchiando. Sai, Percy, vecchio mio, ho proprio in mente di diventare un saggio uomo d'affari.» «Cioè?» «Penso di entrare nella ditta con te.» Lance rise ironico. «Oh, tu saresti naturalmente il socio anziano, con la parte del leone, e io solo un novellino. Ma posseggo una parte delle azioni, e questo mi dà il diritto di intervenire, non ti pare?» «Naturalmente, se la metti così... Ma ti annoierai. Gli affari sono molto malmessi, te ne accorgerai, e arriveremo a mala pena a pagare la parte di Elaine, se proprio insiste per averla.» «Vedi bene, Elaine» commentò Lance «quanto è saggio tirare fuori i tuoi soldi finché puoi.» «Sinceramente, Lance, questi scherzi sono molto di cattivo gusto.» «Anch'io penso che potresti esprimerti meglio» aggiunse Jennifer. Un po' appartata, seduta vicino alla finestra, Pat li osservava a uno a uno. Se era questo che intendeva Lance quando diceva di voler arruffare il pelo a Percy, c'era riuscito in pieno. L'irreprensibile compassatezza del fratello era andata in fumo. «Non servirà a nulla» sbottò irritato. «Ti annoierai subito.» «Non credo. Pensa che bel cambiamento: un ufficio in città, con le dattilografe che vanno e vengono, e una segretaria bionda come la signorina Grosvenor... immagino che l'avrete mandata a spasso, ma ne prenderò un'altra proprio come lei. "Sì, signor Lancelot; no, signor Lancelot. Il tè, signor Lancelot."» «Non fare lo sciocco!» intimò Percy. «Ma perché te la prendi tanto, fratello mio? Non ti sorride l'idea di dividere con me le tue preoccupazioni finanziarie?» «Ma non sai in quale stato disastroso sono gli affari della dittai» «Mi metterai al corrente tu.» «Prima di tutto devi sapere che negli ultimi sei mesi, no, di più: nell'ultimo anno papà era irriconoscibile, e ha fatto, dal punto di vista commerciale, le più incredibili sciocchezze: vendeva le migliori azioni per comperare le più scadenti e pericolanti. Quasi per il gusto di buttar via i quattrini, si sarebbe detto.» «A conti fatti, dunque, non è un danno per la famiglia che si sia trovata la tassina nel tè.» «È orribile a dirsi, ma da questo punto di vista è così. È la sola cosa che
ci abbia salvato dal fallimento. Ma dovremo essere molto prudenti e procedere con cautela per un bel po' di tempo.» «Non sono d'accordo con te. La prudenza non è mai servita a nulla. Bisogna avere il coraggio di arrischiare, di tentare qualcosa di grosso.» «Nient'affatto. Prudenza e parsimonia: ecco la nostra parola d'ordine.» «Non la mia.» «Ricordati che sei solo un novellino, Lance.» «D'accordo, d'accordo, ma ho il diritto di dare il mio parere.» Percival passeggiava su e giù tutto agitato. «Non servirà a niente, Lance. Io ti ho sempre voluto bene, ma...» «Ma davvero!» interloquì Lance. Percival lo ignorò. «...ma sinceramente penso che non ce la faremo ad andare avanti insieme. I nostri punti di vista sono troppo diversi.» «Potrebbe essere un vantaggio.» «La sola cosa ragionevole da fare è quella di sciogliere la società.» «Tu, cioè, compreresti la mia parte.» «Caro mio, ti ho detto che è la sola cosa ragionevole, data la diversità delle nostre idee.» «Ma se trovi così difficile liquidare Elaine, come faresti a pagare me?» «Be', non pensavo a una somma di dertaro» spiegò Percival. «Potremmo dividere le azioni.» «A te quelle proficue e sicure e a me le più incerte, naturalmente.» «Mi sembra che ti siano sempre piaciute le speculazioni, anziché le rendite sicure.» «In un certo senso hai ragione, Percy, ma adesso non devo far tutto di mia testa. Debbo pensare a Pat.» Entrambi si volsero verso di lei. La giovane aprì la bocca, ma la richiuse senza dir nulla: era sicura che Lance perseguiva il suo scopo preciso, ma non aveva capito bene quale, perciò giudicava meglio non intervenire. «Su, elencami la mia parte, Percy» disse Lance ridendo. «Le False Miniere di Diamanti, quelle degli Irreperibili Rubini, la concessione dell'Olio dove non c'è olio. Ma pensi che io sia proprio stupido come sembro?» «So bene che alcuni di questi giacimenti sono nulli, adesso, ma potrebbero anche rivelarsi ricchissimi.» «Hai cambiato tono, mi pare» sogghignò Lance. «Adesso mi offrirai i più miserabili acquisti che abbia mai fatto mio padre, come magari la Miniera dei Merli. A proposito, l'ispettore ti ha domandato di questa miniera?»
«Sì.» Percival s'era accigliato. «Ma non riesco a capire che cosa volesse sapere. Non ho potuto dirgli molto perché a quell'epoca eravamo bambini. Ricordo che papà andò a visitarla e tornò dicendo che non valeva nulla.» «E che cos'è? Una miniera d'oro?» «Credo, ma papà ritornò assolutamente convinto che non ci fosse traccia d'oro. E non era tipo da prendere dei granchi.» «Chi lo accompagnò laggiù? Un tal MacKenzie, mi pare.» «Sì, MacKenzie morì laggiù.» «MacKenzie morì laggiù» ripeté soprappensiero Lance. «Che scena terribile... mi par di ricordare: era la signora MacKenzie, ed era venuta qui. Ha assalito nostro padre coprendolo di ingiurie e l'ha accusato, ricordo, di averle ucciso il marito.» «Sinceramente, io non riesco a ricordare nulla» disse Percy pensieroso. «E invece io me ne ricordo» continuò Lance. «Ero molto più giovane di te, ma forse appunto per questo mi ha colpito, come una tragedia. Dov'era la Miniera dei Merli? Nell'Africa Occidentale?» «Credo di sì.» «Dovrò dare un'occhiata, quando incomincerò a occuparmi degli affari.» «Puoi star sicuro» ripeté Percival «che papà non si sbagliava: se è tornato dicendo che non c'era oro, l'oro non c'era.» «Probabilmente hai ragione. Povera signora MacKenzie. Mi domando che fine abbia fatto, coi due bimbi che si trascinava dietro. Già... saranno cresciuti, a quest'ora.» XX Nella casa di cura privata di Pinewood, l'ispettore Neele sedeva nel parlatorio di fronte a una vecchia signora dai capelli grigi. Helen MacKenzie aveva sessantatré anni benché ne dimostrasse di meno. Aveva gli occhi d'un azzurro pallido, dallo sguardo vacuo, e il mento cascante. Contraeva di tanto in tanto il labbro superiore. Teneva in grembo un grande libro che continuava a guardare. L'ispettore Neele ripensava alla conversazione avuta col dottor Crosbie. «È una ricoverata volontaria» aveva detto il direttore della casa di cura. «Non è pericolosa, allora?» «Oh, no. Spesso parla come me o voi. Adesso è in periodo buono, e credo che potrete parlarle normalmente.» Dopo di che, l'ispettore aveva iniziato il primo colloquio.
«Siete stata molto gentile a concedermi questa visita, signora. Sono Neele e vorrei chiedervi qualcosa d'un signore morto recentemente: il signor Rex Fortescue. Credo che lo conosciate.» La signora MacKenzie continuava a fissare il libro. «Non so di chi parliate» disse. «Del signor Fortescue, signora. Rex Fortescue.» «No. Assolutamente no.» L'ispettore rimase stupito. Si domandava se per il dottor Crosbie quello significava essere perfettamente normali. «Credo, signora, che l'abbiate conosciuto molti anni fa.» «No, in verità. Era ieri.» «Capisco.» L'ispettore ripeté il suo intercalare favorito con voce incerta. «Mi sembra che molti anni fa siate andata a trovarlo a casa sua, alla Baracca dei Tassi.» «Un'abitazione pretenziosa.» «Già, mi sembra la definizione giusta. Il signor Fortescue aveva avuto a che fare con vostro marito per una miniera. La Miniera dei Merli, credo.» «Devo leggere il mio libro» disse la signora. «Non ho molto tempo e devo leggere il mio libro.» «Certo, signora, certo.» Dopo una pausa riprese: «Il signor MacKenzie e il signor Fortescue erano andati assieme in Africa a ispezionare la miniera.» «La miniera era di mio marito. L'aveva scoperta lui e l'aveva rivendicata. Aveva bisogno di soldi per sfruttarla, ed era andato dal signor Fortescue. Se fossi stata più saggia, se ne avessi saputo di più, non l'avrei lasciato andare.» «No, capisco. Comunque sono andati insieme in Africa, e vostro marito è morto di febbre.» «Devo leggere il libro» disse la signora MacKenzie. «Credete, signora, che il signor Fortescue abbia truffato vostro marito con quella miniera?» Senza sollevare lo sguardo la signora disse: «Come siete stupido». «Eh, sì, credo di sì. Ma, vedete, è molto difficile indagare su una cosa che è passata da tanto tempo.» «Chi ha detto che è passata? "Nulla può dirsi concluso finché non è concluso secondo giustizia." Nessuno legge più Kipling, al giorno d'oggi, eppure era un grand'uomo.» «E pensate che questa sarà conclusa secondo giustizia?»
«Non avete detto che Rex Fortescue è morto?» «È stato avvelenato» spiegò l'ispettore. La signora MacKenzie si mise a ridere in maniera sconcertante. «Che sciocchezze!» disse. «È morto di febbre.» «Ma parlo del signor Fortescue.» «Anch'io.» Sollevò improvvisamente gli occhi pallidi a fissare l'ispettore. «Fuori tutto» disse. «È morto nel suo letto, non è vero? È morto nel suo letto, lui?» «All'Ospedale St. Jude's.» «Nessuno sa dove sia morto mio marito. Nessuno sa come sia morto, né dove sia sepolto... Si sa appena quello che ha "detto" Rex Fortescue. E Rex Fortescue è un bugiardo.» «Credete che fosse responsabile della morte di vostro marito?» «Ho mangiato un uovo, a colazione, questa mattina. Era proprio fresco. Non è incredibile se si pensa che è stato trent'anni fa?» Neele trasse un profondo sospiro. Di questo passo era assai improbabile riuscire a tirarne fuori qualcosa, tuttavia continuò. «Qualcuno ha messo dei merli sulla scrivania del signor Fortescue, un mese o due prima che morisse.» «Questo è interessante. Molto interessante.» «Non avete un'idea, signora, di chi possa averlo fatto?» «Le idee non servono a nulla. Ci vuole l'azione. E io, vedete, li ho allevati per l'azione.» «Dite dei vostri figli?» La signora annuì brevemente. «Sì. Donald e Ruby. Avevano nove e sette anni quando sono rimasti senza padre, e io l'ho detto loro, l'ho ripetuto ogni giorno, li ho fatti giurare ogni notte.» L'ispettore si protese in avanti. «Che cosa avete fatto giurare loro?» «Che l'avrebbero ucciso.» «Capisco» commentò l'ispettore come se fosse la cosa più naturale del mondo. «E loro?» «Donald è andato a Dunkerque e non è più tornato. Mi hanno telegrafato dicendomi che era morto in un'azione di guerra. Vedete, questa era un'azione sbagliata.» «Me ne dispiace, signora. E vostra figlia?» «Io non ho figlie.» «L'avete appena nominata: vostra figlia Ruby.» «Ruby. Già, Ruby.» Si protese in avanti. «Sapete che cosa ho fatto a
Ruby? Guardate qui nel Libro» bisbigliò improvvisamente. L'ispettore vide finalmente il Libro che teneva in grembo: era una vecchia Bibbia, e come la signora l'aprì, vide molti nomi scritti sulla prima pagina. Era ovviamente la Bibbia di famiglia, nella quale avevano mantenuto la vecchia tradizione di scrivere i nomi dei bimbi che nascevano. La signora MacKenzie indicò col dito sottile gli ultimi due nomi: Donald MacKerwie e Ruby MacKenzie con le date della loro nascita, ma sull'ultimo era stata tirata una grossa riga. «Vedete? L'ho cancellata dal Libro, l'ho tolta via per sempre! Così l'Angelo del Giudizio non potrà trovarla.» «Avete cancellato il suo nome dal libro? Ma perché, signora?» La signora ebbe un lampo di scaltrezza negli occhi. «Non ha mantenuto fede. Voi lo sapete.» «Dov'è vostra figlia, adesso?» «Ve l'ho detto: non ho figlie. Ruby MacKenzie non esiste più.» «Volete dire che è morta?» «Morta?» La signora scoppiò a ridere. «Meglio sarebbe per lei che fosse morta. Molto meglio. Molto, molto meglio.» Sospirò e si agitò sulla seggiola. Poi riprese gentilmente: «Mi rincresce davvero, ma non posso più intrattenermi con voi. Mi rimane poco tempo, e debbo leggere il libro.» Non rispose più alle domande dell'ispettore. Fece solo un debole gesto di fastidio, e continuò a leggere la Bibbia seguendo le parole col dito. Neele uscì e andò a parlare di nuovo col direttore. «Non viene mai nessun parente a trovarla?» chiese. «Una figlia, per esempio?» «Credo che una figlia sia venuta quando c'era ancora il mio predecessore, ma la visita aveva tanto agitato l'ammalata che la signorina fu pregata di non tornare più. Da allora tutto è stato regolato attraverso i legali.» «E non avete un'idea di dove si trovi adesso Ruby MacKenzie?» Il direttore scosse il capo. «Non sapete, per esempio, se si è sposata?» «Non lo so. Posso darvi l'indirizzo dei legali.» L'ispettore li aveva già rintracciati, ma non erano in grado, o per lo meno dicevano di non essere in grado, di dirgli nulla. Loro amministravano un vitalizio per la signora MacKenzie: avevano concluso gli accordi molti anni prima e da quella volta non avevano più visto la signorina Ruby. L'ispettore tentò di farsela descrivere, ma i risultati non furono lusinghieri. Venivano tanti parenti a visitare gli ammalati che dopo qualche an-
no erano destinati ad essere ricordati solo confusamente. La decana delle infermiere era sicura di ricordare una signorina MacKenzie minuta e bruna. L'altra infermiera, l'unica che fosse lì a quell'epoca, diceva che era robusta e bionda. «Cosicché siamo a questo punto» riferì l'ispettore al vicecommissario. «È un'ipotesi assurda, eppure i fatti coincidono. Ci deve essere sotto qualcosa.» Il vicecommissario annuì pensieroso. «I merli nella crostata si ricollegano con la Miniera dei Merli, la segala nella tasca della vittima, la galletta spalmata di miele... per quanto tutti mangiano pane e miele col tè! E il terzo delitto, quella ragazza strangolata con la molletta da bucato sul naso. Sì, è un'idea assurda, eppure non possiamo ignorarla.» «Un momento.» «Che c'è?» L'ispettore corrugò la fronte. «C'è qualcosa, in quel che avete detto, qualcosa che non suona giusto.» Scosse il capo. «No, non riesco ad afferrarla.» XXI Lance e Pat passeggiavano intorno alla Baracca dei Tassi nel giardino meticolosamente curato. «Spero» mormorò Pat «di non urtare i tuoi sentimenti se dico che è il più brutto giardino che io abbia mai visto.» «È brutto? Sinceramente, non lo so. Pare che tre giardinieri vi lavorino continuamente.» «Forse è proprio questo, il guaio. Troppo sciupio e nemmeno un po' di gusto personale. E quegli orribili tassi!» Guardò con disprezzo le siepi scure. «Associazione d'idee» disse Lance quasi in tono di scherzo. «C'è qualcosa di spaventoso in chi uccide col veleno: una mente torbida, che si nutre di vendetta.» «Lo immagini così? Buffo! Io invece lo penso come un uomo d'affari, logico e di sangue freddo.» «Be', capisco che si possa immaginarlo anche così. Comunque» concluse con un leggero brivido «commettere tre delitti... deve essere uno squilibrato.» «Temo di sì» disse Lance con voce bassa. Poi, improvvisamente: «Per
l'amor del cielo, Pat, vattene via di qui. Torna a Londra. Va' nel Devonshire o sui laghi. Tu non c'entri e la polizia non avrà niente da dire. Quando è morto il vecchio, tu eri a Parigi, e la seconda volta a Londra. Ti assicuro che mi spaventa saperti qui.» Dopo un momento di silenzio Pat disse con calma: «Tu sai chi è stato.» «No.» «Ma te lo immagini... E hai paura per me. Vorrei che me lo dicessi.» «Non posso. Non so nulla. Ma voglio che tu te ne vada.» «Tesoro, io non me ne vado. Rimango qui, per il bene e per il male.» Con la voce improvvisamente serrata, aggiunse: «Con me è sempre per il male». «Che diavolo dici, Pat?» «Io porto sfortuna, ecco quel che dico. Porto sfortuna a tutti quelli che sono con me.» «Mia piccola sciocca! A me non hai certo portato sfortuna. Dopo il nostro matrimonio il vecchio s'è rappacificato con me e mi ha richiamato a casa.» «E che cosa è successo quando sei tornato? Te l'ho detto, porto sfortuna.» Lance l'afferrò per le spalle e la scrollò affettuosamente. «Tu sei la mia Pat, e l'averti sposata è la più grande fortuna del mondo. Cerca di ricordartelo, sciocca!» Poi, calmandosi: «Ma, seriamente, Pat, se c'è qualche squilibrato da queste parti, non voglio che la prossima pallottola o il prossimo veleno sia per te. Quando io non sono qui, sta' vicina a quella vecchia, Come diavolo si chiama... la signorina Marple. Perché credi che la zia Effie l'abbia invitata a rimanere?» «E chi capisce mai perché la zia Effie fa qualche cosa? Lance, non credo che siamo graditi, qui.» Parlava esitando. «La casa appartiene a tuo fratello, e non credo che lui goda della nostra presenza. Non ti pare?» Lance ridacchiò. «Infatti. Comunque, per il momento deve tenerci qui.» «E dopo, dove andremo, Lance? Torneremo nell'Africa Orientale?» «È quello che desideri, no, Pat?» La giovane annuì. «È una fortuna, perché lo desidero anch'io.» Pat si illuminò. «Meraviglioso! Da quel che avevi detto l'altro giorno temevo che tu volessi fermarti.» Lance ebbe un lampo diabolico negli occhi. «Non devi far parola dei no-
stri piani, Pat. Ho intenzione di arruffare ancora un po' il pelo a Percival.» «Sta' attento, Lance!» «Starò attento, ma non capisco perché il vecchio Percy dovrebbe portarmi via tutto.» Seduta nel grande salotto, con la testa un po' reclinata da un lato, come un simpatico cacatua, Miss Marple ascoltava la signora Jennifer. La sua figura sottile, eretta, sembrava estranea a quell'ampio divano di broccato, coperto di cuscini. In una morbida poltrona di fianco a lei, la signora Jennifer, vestita di un complicato abito nero, continuava a parlare senza interruzione. "Proprio come la povera signora Emmett, la moglie del direttore della banca" pensava Miss Marple. Ricordava che un giorno la signora Emmett era andata da lei per parlare di una festa di beneficenza, e dopo i primi accordi aveva improvvisamente cominciato a parlare, parlare, parlare. La signora era a St. Mary Mead in una posizione ingrata. Non faceva parte della vecchia guardia di signore che abitavano nelle belle case intorno alla chiesa e che sapevano tutto sugli alberi genealogici delle famiglie nobili. Il signor Emmett, il direttore della banca, aveva fatto un matrimonio inferiore alle sue condizioni, e come risultato sua moglie viveva in una solitudine sconsolante perché lo snobismo le impediva di legarsi con le signore della piccola borghesia. Nella povera donna, il bisogno di parlare, quel giorno, aveva rotto gli argini, e Miss Marple era stata investita dalla marea. Si era sentita a disagio per la signora Emmett, come oggi si sentiva a disagio per la signora Jennifer. Questa aveva sopportato molti dispiaceri, e il poterli sciorinare di fronte a una persona quasi estranea era per lei un sollievo. «Non è che io voglia lagnarmi» diceva. «Non è nel mio carattere: ho sempre sostenuto che quello che non si può evitare va sopportato, e sono certa di non averne mai fatto parola con nessuno. Infatti non saprei con chi avrei potuto parlarne. Si è così isolati, qui! Certo è conveniente rimanerci e si risparmiano molte spese, ma non è come avere una casa propria. Sono sicura che mi capite.» Miss Marple disse di sì. «Per fortuna la nostra casa nuova è quasi pronta, aspettiamo solo che imbianchini e decoratori abbiano finito di lavorare. Mio marito era contento di star qui, ma per un uomo la cosa è diversa. Non vi pare?» Miss Marple disse che certo per un uomo la cosa era diversa, e lo disse
senza sforzo perché lo pensava. Nella testa di Miss Marple "gli uomini" appartenevano a una distinta categoria: avevano bisogno di due uova con la pancetta per là prima colazione, di tre pasti sostanziosi durante il giorno, e non andavano mai contraddetti prima di pranzo. «Mio marito» continuò la signora Jennifer «passa la sua giornata in città, e quando viene a casa è stanco e desidera solo mettersi in poltrona a leggere qualcosa. Io non manco di nulla, il cibo è ottimo, ma la cosa di cui si ha veramente bisogno è un ambiente sociale simpatico. Qui intorno invece non c'è gente del mio tipo. Da una parte un mucchio di accaniti giocatori. Anche a me piace fare ogni tanto un giro di bridge, ma qui c'è gente molto ricca che gioca forte e beve troppo: gente di lusso. Dall'altra una bella raccolta di... vecchie gatte che passano la giornata intorno ai loro vasi e alle loro piantine.» Miss Marple si sentì un po' colpevole perché aveva un'inveterata passione per il giardinaggio. «Contro il morto non ho nulla» riprese la signora Jennifer «ma senza dubbio mio suocero ha fatto un secondo matrimonio assurdo. Mia... non riesco a dire "suocera", aveva la mia stessa età. Lei non vedeva altro che gli uomini. E i soldi che spendeva! Suo marito non capiva più niente, quando si trattava di lei: non fiatava, qualsiasi conto arrivasse. E poi, le stranezze che il signor Fortescue faceva negli ultimi tempi, con quegli scoppi improvvisi d'ira e quel buttar via i quattrini in affari sbagliati. Non era cosa piacevole.» Miss Marple si arrischiò a fare un'osservazione. «Tutto questo deve aver preoccupato vostro marito.» «Oh, certo. In quest'ultimo anno, Percival era molto preoccupato, e cambiato. Perfino nel suo comportamento verso di me. Qualche volta gli parlo e lui non mi risponde neppure.» La signora sospirò. «E poi Elaine, mia cognata, è una ragazza molto strana, sempre fuori per conto suo. Non che non sia gentile, ma non è un'amica. Non vuol mai venire a Londra a fare le spese o andare a teatro o altre cose del genere, è non si occupa neppure di vestiti.» La signora sospirò di nuovo e mormorò: «Ma io non voglio certo lagnarmi». Fu quasi presa dal rimorso e disse in fretta: «Vi deve sembrare strano che io mi sia messa a parlare così con voi, che siete estranea alla famiglia, ma dovete pensare: prima la tensione, poi lo shock... Questo soprattutto: ne risento in ritardo. Sono così nervosa che ho proprio bisogno di parlare con qualcuno. Mi ricordate tanto la cara signorina Trefusis James; si era fratturata il femore a settantasette anni, e per questo aveva bisogno di
molte cure. Eravamo diventate amiche e quando l'ho lasciata mi ha regalato una giacca di volpi. È stato gentile, da parte sua!» «So quello che provate» disse Miss Marple ed era vero: capiva che tutti gli agi di cui poteva godere la signora Jennifer non sopperivano alla mancanza di simpatia umana che c'era nella casa di suo marito. «Spero che non sia scortese da parte mia il dirlo» continuò con tono gentile «ma ho l'impressione che il defunto signor Fortescue non fosse una persona simpatica.» «No, davvero! Sinceramente, detto fra noi, era detestabile. Non mi stupisco, in fondo, che qualcuno l'abbia tolto di mezzo.» «E voi non avete un'idea...» Miss Marple s'interruppe. «Oh, Dio, forse è una domanda che non dovrei fare, ma non avete neppure un'idea di chi possa essere stato?» «Oh, io penso che sia stato Crump, quel tipo ripugnante» rispose la signora Jennifer. «Non mi è mai piaciuto. È un violento, anche se non lo dà a vedere. Meglio ancora, è un uomo senza scrupoli.» «Tuttavia ci vuole un motivo.» «Non so se quel tipo di gente abbia bisogno di motivi. Forse il signor Fortescue l'aveva rimproverato, e poi ho il sospetto che beva troppo. Soprattutto sono convinta che non abbia la testa a posto. Come quel servitore, o cameriere che fosse, che sparò addosso a tutta una famiglia. Per esser sincera vi dirò che sospettavo di Adele. Ma hanno avvelenato anche lei. Mah! Può anche darsi che abbia accusato Crump, e che lui, per non esser denunciato, l'abbia fatta morire. Anche per Gladys potrebbe essere la stessa cosa. In ogni caso credo che sia pericoloso averlo in casa. Oh, veramente, vorrei potermene andare, ma quei terribili poliziotti non mi lascerebbero. Un momento o l'altro finirò col fuggire.» «Non sarebbe una cosa sensata.» Jennifer si appoggiò all'indietro. «Perché non sarebbe sensato?» «Perché la polizia vi troverebbe subito.» «Credete? Credete davvero che siano così svelti?» «È sciocco sottovalutare la polizia. L'ispettore mi sembra un uomo intelligente.» «Oh, io lo giudicavo piuttosto stupido. Eppure sento» Jennifer esitò «che è pericoloso, rimanere qui.» «Pericoloso, per voi?» «Sì.» «Perché? Sapete forse qualcosa?»
La signora Jennifer sembrò riprender fiato. «Oh, no! No, io non so niente! Sono solo nervosa. Quel Crump...» "No, Crump non c'entra" pensò Miss Marple guardando i movimenti nervosi delle mani di Jennifer: per un motivo che lei sola sapeva, Jennifer era seriamente spaventata. XXII Cominciava a imbrunire, e Miss Marple aveva portato il suo lavoro a maglia vicino alla finestra. Guardando fuori, vide Pat che passeggiava su e giù per la terrazza. Aprì il vetro e la chiamò. «Venite dentro, mia cara. È troppo freddo e umido per star fuori senza cappotto.» Pat obbedì: entrò, chiuse la finestra e accese la luce. «Non è certo un bel pomeriggio!» Si sedette sul divano di fianco alla signorina. «Che cosa state facendo?» «Un golfino per bimbo. Faccio quasi sempre la seconda misura perché mi sembra che i bimbi scappino fuori troppo in fretta dalla prima!» Pat stese le gambe davanti al fuoco. «È così bello star qui dentro, oggi, col fuoco e con voi che lavorate a maglia. Sapete che Lance m'ha detto di starvi il più vicino possibile? Gli sembra che così io sia più sicura.» «Vostro marito non è uno sciocco.» «No. Solo qualche volta... Vorrei per esempio che mi dicesse di che cosa ha paura. Però sono convinta anch'io che in questa casa ci sia un matto, e i matti fanno paura a tutti, perché non si può mai prevedere quello che faranno.» «Povera figliola!» disse Miss Marple. «Oh, no! Ora sono abbastanza forte.» «Ne avete passate molte, non è vero?» «Ma sono stata anche felice. Ho avuto un'infanzia meravigliosa in Irlanda, fra cavalcate e cacce, con una casa enorme, spoglia, piena di aria e di sole. E quando avete avuto un'infanzia felice, nessuno può più toccarvela. Più tardi, le cose si son volte al peggio. Prima di tutto, credo, la guerra.» «Vostro marito era un pilota, vero?» chiese Miss Marple. «Sì. Eravamo sposati da un mese quando è stato abbattuto.» Fissò il fuoco. «In principio volevo morire anch'io, ma più tardi ho capito che era stata la cosa migliore. Don era meraviglioso in guerra: forte, temerario, generoso, ma non so come si sarebbe adattato in tempo di pace. Aveva addosso
una superba irrequietezza che non gli avrebbe permesso d'inserirsi nella vita di tutti i giorni.» «Siete brava, a capire queste cose.» Miss Marple si piegò sul lavoro contando, piano: «Tre diritti, due rovesci, un calato». Poi di nuovo ad alta voce: «E il vostro secondo marito?» «Freddy? S'è ucciso.» «È terribile.» «Eravamo felici, assieme. Solo dopo due anni ho saputo che lui non era... sempre onesto. Ma sembrava che la cosa non dovesse avere importanza, fra noi due. Vedete, Freddy mi voleva molto bene, e io pure a lui. Ho tentato d'ignorare quello che succedeva: so che è una vigliaccheria, ma non avrei potuto cambiarlo.» «È vero. Non si può cambiare la gente.» «Quando le cose si son messe male, lui si è sparato. Dopo la sua morte sono andata nel Kenia con alcuni amici e là ho conosciuto Lance.» Prese un'espressione più dolce. Improvvisamente volse il capo. «Ditemi, Miss Marple, che cosa ne pensate di Percival?» «L'ho visto poco, quasi solo alla prima colazione: credo che non sia entusiasta di avermi qui.» Pat scoppiò a ridere. «È avaro, terribilmente avaro. Lance dice che lo è sempre stato, e anche Jennifer se ne lagna. Controlla i conti con la signorina Dove e trova da ridire su ogni spesa, ma la signorina sa cavarsela a non rimetterci. È meravigliosa!» «Senza dubbio! Mi ricorda la signora Latimer: addestrava le giovani esploratrici e aveva tutto in mano lei, oh, ma basta! Non c'è nulla di più noioso che parlar di cose che gli altri non conoscono. Dovete scusarmi, cara!» «Voi andate spesso a trovare la signorina Ramsbottom» incominciò Pat. «A dire il vero, quella donna mi spaventa.» «Vi spaventa? E perché?» «Perché penso che sia matta: deve essere presa da mania religiosa. Voi non credete che sia matta?» «Matta in che senso?» «O, mi capite benissimo, Miss Marple! Se ne sta chiusa lassù a rimuginare sul peccato: può essersi convinta alla fine di essere un'emissaria della giustizia divina.» «È quello che pensa vostro marito?»
«Non so, non me l'ha detto. Una cosa però so: lui è sicuro che è un matto e che è uno della famiglia. Percival, direi che ha la testa a posto; Jennifer è solo sciocca e un po' nervosa; Elaine è una ragazza bizzarra, ipersensibile. S'è innamorata disperatamente di quel giovane e non vuole ammettere neppure a se stessa che lui la sposi per i soldi.» «Voi pensate che la sposi proprio per i soldi?» «Sì. E voi no?» «Direi che ne sono sicura anch'io. Come quell'Ellis che ha sposato Marion Bates, la figlia del ricco commerciante di ferro. Lei era una ragazza qualsiasi e innamorata cotta, ma è andata bene. Uomini come Ellis o Gerald Wright non devono sposare delle ragazze povere per amore, perché rimangono così irritati con loro stessi per averlo fatto che ne va di mezzo la ragazza. Se invece sposano una ragazza ricca continuano a rispettarla.» «Non riesco a immaginare» riprese Pat «come potrebbe essere stato un estraneo, e questo spiega l'atmosfera che c'è qui dentro. Tutti si guardano l'un l'altro sospettosi. Qualche cosa accadrà presto...» «Non ci saranno altri morti» affermò Miss Marple. «Come fate ad esserne sicura?» «Penso che l'assassino abbia raggiunto il suo scopo.» «Quale?» Miss Marple scosse il capo: lei stessa non lo sapeva ancora esattamente. XXIII Ancora una volta la signorina Somers aveva preparato il tè nell'ufficio delle dattilografe, e ancora una volta l'acqua non bolliva quando l'aveva versata nella teiera. La storia umana si ripete. La signorina Griffith, prendendo la sua tazza, pensò: "Debbo parlare al signor Percival di questa Somers. Sono sicura che potremmo trovare di meglio, ma con la faccenda che c'è in ballo non si possono tirare fuori queste sciocchezze". E come tante altre volte prima, osservò duramente: «L'acqua ancora non bolliva, Somers». E la signorina Somers, diventando rossa, replicò ancora una volta: «Ohimè, ero proprio sicura che bollisse, questa volta!». Ulteriori sviluppi della situazione furono interrotti dall'apparire di Lance Fortescue. Si guardò intorno e la signorina Griffith balzò in piedi e gli corse incontro. «Signor Lance!» Lui si voltò con un sorriso luminoso. «Salve! Ma è la signorina Griffith!»
Questa era felice: l'aveva vista undici anni prima e si ricordava il suo nome! «Siete gentile, a ricordarvi di me» disse confusa. «Certo che mi ricordo» rispose Lance con il suo tono più simpatico. Un brivido d'eccitazione serpeggiò per tutto l'ufficio. La signorina Somers dimenticò tutti i suoi dispiaceri per il tè e guardò Lance a bocca aperta, la signorina Bell lo fissava vivace al di sopra della macchina da scrivere e la signorina Chase tirò fuori inosservata il portacipria e si rispolverò il naso. «Va tutto avanti come sempre» disse Lance. «C'è poco di cambiato, veramente. Ma come siete abbronzato! Immagino che avrete avuto una vita magnifica all'estero.» «Potete proprio dirlo, ma forse adesso tenterò di fare una vita magnifica anche a Londra.» «Vorreste riprendere, qui, l'ufficio?» «Forse.» «Oh, meraviglioso!» «Mi troverete molto ignorante, signorina Griffith, e dovrete spiegarmi tutto.» La signorina rise divertita. «Sarà piacevole avervi qui di nuovo, signor Lance, davvero!» Lance le lanciò uno sguardo lusinghiero: «È gentile da parte vostra» replicò. «Molto gentile.» «Noi non abbiamo mai creduto... nessuno ha mai creduto che...» La signorina Griffith arrossì e non riuscì ad andare avanti. Lance le diede un colpetto sul braccio: «Non avete mai creduto che il diavolo fosse così nero come ve lo dipingevano? Forse, infatti non lo era. Ma è una storia vecchia e non vale la pena di tornarci su.» E aggiunse: «Dov'è mio fratello?». «Nel suo ufficio privato, credo.» Lance si allontanò con un cenno amichevole. Nell'anticamera una signorina di mezz'età si alzò dalla scrivania e gli intimò con voce sgradevole: «Nome, prego, e motivo della visita». Lance la guardò dubbioso. «Siete... la signorina Grosvenor?» Gli avevano descritto la signorina Grosvenor come una bionda affascinante, e non poteva certo essere quella. «La signorina Grosvenor ha lasciato il posto la settimana scorsa. Io sono la signora Hardcastle, segretaria del signor Percival Fortescue.» "È da lui" pensò Lance "mandar via una bionda affascinante e prendersi
un'arpia. Ma perché? Per sicurezza o per spendere meno?" Aggiunse ad alta voce: «Sono Lancelot Fortescue. Non ci conosciamo ancora». «Oh, scusatemi, signor Lancelot! Ma è la prima volta che venite in ufficio.» «La prima, ma non l'ultima» dichiarò lui sorridendo. Attraversò la stanza e aprì la porta di quello che era stato l'ufficio privato di suo padre. Ma con sua grande sorpresa, alla scrivania, invece del fratello, vide l'ispettore Neele. Questi sollevò il capo dal mucchio di carte che stava esaminando e gli fece un cenno. «Buongiorno, signor Fortescue, siete venuto a prendere in consegna i vostri affari?» «Così avete saputo che ho deciso di lavorare nella ditta?» «Me l'ha detto vostro fratello.» «E ve l'ha detto con entusiasmo?» L'ispettore tentò di nascondere un sorriso. «Entusiasmo non proprio spiccato.» Lo guardò con una certa curiosità. «Pensate veramente di diventare un uomo d'affari?» «Vi sembra inverosimile, ispettore?» «Non mi sembra consono al vostro carattere.» «Perché no? Sono figlio di mio padre.» «E di vostra madre.» Lance scosse il capo. «Nulla da quella parte. Mia madre era una donna dell'ottocento e le sue letture preferite erano "Gli idilli del re", come potete aver intuito dai nostri nomi. Era inferma e lontana dalla realtà quotidiana. Io non sono affatto come lei. Ho pochi sentimentalismi: sono realista dalla testa ai piedi.» «Gli uomini non sono sempre quali credono di essere» osservò l'ispettore. «Credo proprio che sia così.» Lance sprofondò in una poltrona stendendo le gambe secondo la sua abitudine. Sorrideva fra sé e sé. «Siete più acuto di mio fratello» disse improvvisamente. «In che senso, signor Fortescue?» «Mio fratello s'è convinto che io sia pronto a diventare un uomo di affari e che voglia mettergli le mani nel piatto. Pensa che voglia buttarmi all'impazzata a sperperare i soldi della ditta in speculazioni sbagliate. E varrebbe quasi la pena di farglielo! Quasi, ma non sul serio. Io non posso resistere alla vita d'ufficio: mi piace l'aria aperta e l'imprevisto. Soffocherei, qui dentro. Badate» aggiunse rapido «che non è una dichiarazione ufficiale!
Non andrete a raccontarlo a Percy?» «Non credo che ne avrò l'occasione.» «Voglio solo cavarmi un gusto, con mio fratello» riprese Lance «e farlo sudare. Voglio rendergli un poco la pariglia.» «Strana frase, signor Fortescue. Che cosa vorrebbe dire?» Lance si strinse nelle spalle. «Oh, è una vecchia storia. Non val la pena di tirarla fuori.» «C'è stata una volta la storia di un assegno, se ho ben capito. Vi riferite a quella?» «La sapete lunga, ispettore!» «E vostro padre non volle che vi si perseguisse legalmente.» «Precisamente. Si limitò a buttarmi fuori.» L'ispettore Neele lo guardò attentamente, ma non pensava a lui. Pensava a Percival. L'onesto, il solerte, il parsimonioso Percival. Gli sembrava che da qualsiasi parte ci si voltasse, si finisse sempre col battere il naso contro l'enigma di Percival Fortescue, un uomo di cui tutti conoscevano le manifestazioni esteriori, ma ermetico quando si trattava di capirne i pensieri. Lo si sarebbe detto un uomo qualsiasi, insignificante, dominato dalla personalità del padre. Ma l'ispettore tentava ora, attraverso Lance, di studiarlo più a fondo. Parlò piano, come chi va a tentoni. «Sembra che vostro fratello sia sempre stato... be', come potrei dire, sia sempre stato dominato dalla personalità di vostro padre.» «Non so se sia proprio così.» Lance sembrava considerare la questione con molta serietà. «Stando ai fatti, questa era l'impressione che se ne aveva. Ma non sono sicuro che fosse così in realtà. Mi stupisco io stesso, quando rivado alla vita passata, di quanto Percy sia sempre riuscito a fare quello che voleva senza darlo a vedere.» Anche l'ispettore pensava che ci fosse da stupirsi. Rovistò fra le carte che aveva davanti, tirò fuori una lettera e la fece scivolare sulla scrivania fino a Lance. «Questa è la lettera che avete scritto l'agosto scorso?» Lance la prese, diede un'occhiata e la restituì. «Sì, l'ho scritta quando sono ritornato nel Kenia l'estate scorsa. Toh, papà l'ha conservata. Era qui in ufficio?» «No, signor Fortescue, era fra le carte di vostro padre a casa.» L'ispettore Neele valutò pensieroso la lettera che era davanti a lui sulla scrivania. Non era una lunga lettera.
Caro papà, dopo aver parlato con Pat, accetto la tua proposta. Mi ci vorrà un po' di tempo per sistemare le mie cose, perciò sarà per la fine di ottobre o il principio di novembre. Ti farò sapere la data con esattezza. Spero che andremo d'accordo più che in passato, comunque farò del mio meglio. Non ho altro da dire. Guardati la salute. Tuo Lance «L'avete indirizzata qui in ufficio?» chiese l'ispettore. «O alla Baracca dei Tassi?» Lance corrugò la fronte nello sforzo di ricordare. «È difficile. Non riesco a ricordare. Vedete, sono passati circa tre mesi. In ufficio, penso... ne sono quasi sicuro. Perché?» «Mi stupivo che vostro padre non l'avesse messa qui nello schedario della corrispondenza privata. Chissà perché l'ha portata a casa.» Lance rise. «Forse perché non finisse nelle mani di Percy.» «Potrebbe essere così. Vostro fratello era autorizzato a mettere le mani qui nelle carte di vostro padre?» «Be', non proprio, credo» disse il giovane esitando. «Penso cioè che lui le scartabellasse tutte le volte che voleva, ma...» L'ispettore finì la frase per lui. «All'insaputa di vostro padre.» Lance rise ironico. «Esattamente: e questo si chiama spiare. Ma debbo pensare che mio fratello abbia sempre spiato.» Anche l'ispettore lo pensava. In quel momento si aprì la porta e comparve Percival Fortescue. Era sul punto di rivolgersi all'ispettore ma si fermò di botto vedendo il fratello. «Salve» disse. «Tu qui? Non mi avevi detto che saresti venuto oggi.» «Sono stato preso da uno zelo folle per il lavoro e sono venuto qui a cercare di rendermi utile. Che cosa vuoi che faccia?» «Nulla per il momento. Dobbiamo prima stabilire di quale parte della ditta ti occuperai e prepararti un ufficio.» «A proposito» domandò Lance con un sogghigno «perché hai mandato via l'affascinante Grosvenor e l'hai sostituita con quella faccia da cavallo?» «Veramente, Lance...» cominciò a protestare seccamente Percival. «Sicuramente un cambiamento in peggio» disse Lance. «Avrei avuto un bel cercare la favolosa Grosvenor. Pensavi che ne sapesse troppo?»
«Che idea!» esclamò Percival, rosso per l'irritazione. E, rivolto all'ispettore: «Non fate caso a mio fratello, ha uno spirito tutto suo. In verità non sono mai stato convinto dell'intelligenza della signorina Grosvenor. La signora Hardcastle ha ottime referenze, sa fare il suo lavoro e non ha pretese eccessive.» «Senti, Percy: a me non piace tirare coi dipendenti. Appunto in considerazione del loro comportamento leale in queste ultime terribili settimane, non pensi che dovremmo concedere un aumento a tutti?» «Assolutamente no» sbottò Percival. «Non c'è motivo di farlo.» L'ispettore colse un lampo diabolico negli occhi di Lance, ma il fratello era troppo agitato per rilevarlo. «Hai sempre idee stravaganti. Date le condizioni in cui ci è stata lasciata la ditta, la nostra sola risorsa è l'economia.» L'ispettore tossicchiò in tono di scusa. «Questa appunto è una cosa di cui vorrei parlare con voi, signor Percival Fortescue.» «Prego, ispettore?» disse l'interpellato spostando la sua attenzione su Neele. «Se ho ben capito, negli ultimi sei mesi o anche nell'ultimo anno, la condotta di vostro padre è stata fonte di grande ansietà per voi.» «Non stava bene» disse Percival con decisione. «Certamente non era a posto.» «Voi avete tentato di convincerlo a farsi visitare da un medico, ma non ci siete riuscito. Era lui che si rifiutava?» «Proprio così.» «Posso chiedervi se sospettavate che vostro padre fosse colpito da una forma di schizofrenia? Una forma che si manifesta con megalomania e irritabilità eccessiva e che porta presto o tardi a uno squilibrio mentale sempre più accentuato?» Percival sembrò sorpreso. «Mi congratulo per la vostra intuizione. Temevo proprio che le cose stessero così, e volevo farlo visitare da un medico.» «Nel frattempo, mentre cercavate di convincerlo, lui era in grado di mandarvi in rovina la ditta.» «Precisamente.» «Una situazione veramente triste...» «Terribile, addirittura. Nessuno sa quel che ho passato io.» «Dal punto di vista degli affari» continuò Neele sempre in tono cortese «la morte di vostro padre è stata un vantaggio.»
Percival divenne duro. «Non potete certo pensare che io consideri la morte di mio padre sotto questo punto di vista.» «Non discuto di come la consideriate voi, signor Fortescue. Faccio una constatazione di fatto. Vostro padre è morto prima di fare in tempo a mandare tutto in rovina.» «Sì, sì» annuì Percival impaziente. «Come puro dato di fatto la situazione è questa.» «È stato un caso fortunato per tutta la famiglia, dato che tutti vivono di questa ditta.» «Sì, ma sinceramente non vedo dove vogliate arrivare.» «Oh, non voglio arrivare a niente, signor Fortescue. Sto solo riordinando i miei dati. Adesso un'altra cosa: voi avete detto di non aver avuto alcun rapporto con vostro fratello da quando lui lasciò l'Inghilterra, anni fa.» «Precisamente.» «Ma invece non è così. Vero, signor Fortescue? Voi cioè, la primavera scorsa, quando eravate in pensiero per le condizioni di vostro padre, avete scritto in Africa a vostro fratello, mettendolo a parte delle vostre preoccupazioni. Desideravate, credo, il suo aiuto per riuscire a far visitare vostro padre e farlo ricoverare se fosse stato necessario.» Percival balbettò qualcosa d'incomprensibile. «È stato così, signor Fortescue?» «Be', pensavo che fosse giusto. Dopotutto, Lancelot era un socio.» L'ispettore guardò Lance. Questi sogghignò. «Voi avete ricevuto la lettera?» Il giovane annuì. «E che cosa avete risposto?» «Ho detto a Percy che andasse a farsi benedire e lasciasse in pace il vecchio, che probabilmente sapeva benissimo quel che faceva.» Lo sguardo dell'ispettore tornò a Percival. «È stata questa la risposta di vostro fratello?» «In parole povere, sì. Ma i termini erano molto più offensivi.» «Penso sia meglio dare all'ispettore una versione purgata» replicò Lance. «Sinceramente, ispettore, questa è la ragione per cui quando ho ricevuto la lettera di mio padre ho pensato che sarebbe stato meglio venire personalmente a vedere quel che succedeva. Nel breve incontro che ho avuto con lui mi è parso normale. Era solo un po' eccitato, ma perfettamente in grado di badare ai suoi affari, direi. Comunque, dopo essere tornato in Africa e averne parlato con Pat, decisi di tornare a casa e, diciamo, riequilibrare la
situazione.» Così dicendo lanciò un'occhiata al fratello. «Respingo» protestò questi «le tue allusioni. Io non volevo far nulla contro mio padre: ero preoccupato solo della sua salute, pur dovendo ammettere che pensavo anche...» S'interruppe e Lance ne approfittò. «Che pensavi anche alle tue tasche, alle tue povere tasche, eh?» Si alzò in piedi cambiando improvvisamente tono. «Ne ho abbastanza, Percy. Intendevo spaventarti quando dicevo di voler lavorare qui. Non ti lascerò certo fare i tuoi comodi, ma mi venga un accidente se ho intenzione di vivere con te. Mi fa schifo l'idea di trovarmi nella stessa stanza: non sei che un povero, miserabile spilorcio. Non fai che strisciare, spiare, mentire e combinare guai. E ti dirò un'altra cosa: non ne ho le prove, ma sono certo che sei stato tu a falsificare l'assegno per il quale son nate tante storie ed io sono stato buttato fuori. Il mio "curriculum" non era abbastanza brillante perché io potessi protestare, ma mi sono spesso domandato se ti rendevi conto che anch'io avrei potuto falsificare il tuo nome e farne magari un lavoretto molto migliore. Dunque, Percy» Lance alzò il tono «non ho intenzione di continuare con queste stupide storie: sono stufo della città e degli affari. Sono stufo di ometti come te in giacca nera e calzoni a righe, delle loro voci autorevoli e dei loro miserabili affari. Divideremo il capitale come hai proposto tu, e io me ne andrò con Pat dove si possa respirare liberamente. Dividi come vuoi: prenditi pure le rendite sicure, il due, il tre e anche il tre e mezzo per cento. Dammi quelle che tu chiami le speculazioni sballate di mio padre: scommetto che una o due di queste renderanno più di tutti i tuoi titoli. Papà aveva un naso diabolico: correva dei rischi, ma trovava anche il cinque, il sei e perfino il sette per cento. Cercherò di seguire la sua strada. Quanto a te, piccolo verme...» Lance si avvicinò al fratello che riparò precipitosamente dietro la scrivania, dalla parte dell'ispettore. «Ma sì! Non ti metterò le mani addosso. Volevi buttarmi fuori e ci sei riuscito. Sarai soddisfatto.» Avviandosi verso la porta, aggiunse: «E mettici pur dentro anche la Miniera dei Merli, se vuoi. Così, se dovremo affrontare i sanguinari MacKenzie, me li porterò via tutti io, in Africa. La vendetta, dopo tanti anni, sembra assurda. Eppure l'ispettore ci pensa seriamente. Non è vero, ispettore?». «Sciocchezze! È impossibile!» urlò Percy. «Ma domandagli un po' perché fa tutte quelle domande sulla Miniera dei Merli!» Cercando di essere gentile Neele rispose: «Pensate ai merli dell'estate
scorsa. Sono un dato importante per un'indagine!». «Sciocchezze» ripeté Val. «Da anni nessuno ha più sentito parlare dei MacKenzie!» «Eppure» aggiunse Lance «oserei giurare che c'entra un MacKenzie, e credo che anche l'ispettore la pensi così.» L'ispettore raggiunse Lance Fortescue non appena questi uscì dal portone. Il giovane gli sorrise: «Ho esagerato» disse «ma ho perso le staffe. Bah, prima o poi doveva capitare! Pat mi aspetta al Savoy: venite dalla mia parte, ispettore?» «No, ritorno a Baydon Heath. Ma volevo chiedervi ancora qualche cosa, signor Fortescue. Quando siete entrato nell'ufficio e mi avete visto alla scrivania, siete rimasto sorpreso. Perché?» «Non mi aspettavo di trovare voi. Credevo che ci fosse Percy.» «Non vi avevano detto che era uscito?» Lance lo guardò con curiosità. «No. Mi avevano detto che era in ufficio.» «Capisco. Nessuno l'ha visto uscire. L'ufficio ha una sola porta, però c'è modo di passare direttamente dall'anticamera della segretaria al corridoio d'ingresso. Probabilmente, vostro fratello era uscito di là, ma mi stupisco che la signora Hardcastle non ve l'abbia detto.» Lance rise. «Forse era andata a prendere il tè.» «Già, sarà stato così.» «Che cosa pensate, ispettore?» chiese il giovane. «Mi stavo rompendo la testa su due o tre cosette. Niente.» XXIV In treno, tornando a Baydon Heath, l'ispettore non riuscì assolutamente a risolvere le parole crociate. Aveva la mente distratta da cento idee. Provò a sfogliare il giornale, ma con scarso risultato: lesse di un terremoto in Giappone, della scoperta di giacimenti d'uranio nel Tanganica, del marinaio di un mercantile portato via dalle onde vicino a Southampton, dell'imminente sciopero dei portuali, ma tutte queste notizie si depositarono in un qualche angolo del cervello quasi senza toccare la sua attenzione. L'ispettore tornò alle parole crociate e sistemò finalmente tre parole, l'una dopo l'altra. Quando giunse alla Baracca dei Tassi aveva preso una decisione. Chia-
mò il sergente e gli chiese di cercargli Miss Marple. Questa arrivò dopo qualche minuto, un po' affannata. «Desiderate vedermi, ispettore? Spero di non avervi fatto aspettare. Il sergente ha fatto fatica a trovarmi perché ero in cucina a chiacchierare con la cuoca. Le stavo facendo le mie congratulazioni per la pasta e per il soufflé di ieri sera. Sapete, io sono convinta che occorra avvicinare il soggetto gradualmente. Capisco che per voi non sia così facile, ma da una vecchia signora come me, che ha tutto il suo tempo a disposizione, non ci si aspetta altro, in verità, che molte parole inutili e gentili. E dicono che la via per raggiungere il cuore di una cuoca passi per la sua pasta.» «Volevate parlarle di Gladys Martin?» Miss Marple annuì. «Sì. La cuoca può dirmi molte cose della ragazza. Non in relazione diretta con l'assassinio, ma del suo umore negli ultimi tempi e dei suoi discorsi.» «Vi pare utile?» domandò l'ispettore. «Molto utile. Ho l'impressione che le cose stiano diventando molto più chiare, non sembra anche a voi?» «Un po' sì e un po' no» rispose Neele e notò con gioia che il sergente aveva lasciato la stanza, perché aveva deciso di fare una mossa che non peccava certo di eccessiva ortodossia. «Ascoltatemi, Miss Marple. Desidero parlarvi seriamente. In certo qual senso voi e io rappresentiamo due differenti punti di vista. Premetto, signorina, che ho sentito parlare di voi a Scotland Yard. Vi conoscono piuttosto bene.» «Non so come sia» rispose un po' eccitata la signorina «ma mi capita spesso di trovarmi immischiata in faccende che in fondo non mi riguardano affatto. Parlo di imbrogli strani e di delitti.» «Godete di una certa fama.» «Sir Henry Clithering è un mio vecchio amico.» «Come vi dicevo» rispose l'ispettore «noi due rappresentiamo due differenti punti di vista che potremmo chiamare: della pazzia e della logica. Secondo quest'ultimo l'assassinio serve a qualcuno, a una persona in particolare. Il secondo pure serve alla stessa persona. Il terzo può chiamarsi un delitto di necessità.» «Ma quale è, secondo voi il terzo delitto?» domandò Miss Marple. Gli occhi d'un azzurro porcellana brillavano. L'ispettore approvò col capo. «Ecco, avete afferrato qualcosa d'importante. L'altro giorno, mentre parlavo col vicecommissario di questo caso, alcune sue osservazioni mi son
sembrate sbagliate. Era questo. Pensavo naturalmente alla filastrocca. Il re al tesoro, la Regina in salotto e la ragazza che stende i panni, in ordine di tempo.» «Precisamente» disse Miss Marple «ma pare che in realtà Gladys sia stata uccisa prima della signora Fortescue.» «È certo! Il cadavere non è stato trovato che la sera e naturalmente era difficile stabilire a che ora la morte risalisse, ma per conto mio penso che sia stata uccisa verso le cinque del pomeriggio, altrimenti...» «Altrimenti» interruppe Miss Marple «avrebbe portato in salotto anche il secondo vassoio.» «Appunto. Ha portato prima il vassoio col tè. Poi ha preso quello dei dolci ed è arrivata nell'atrio. Qui è successo qualcosa che la ragazza ha visto o sentito. Tutto sta a sapere che cosa. Poteva essere Dubois che scendeva dopo essere stato nella camera di Adele. Poteva essere l'innamorato di Elaine Fortescue, Gerald Wright, che si affacciava alla porta posteriore. Chiunque fosse, costui l'ha determinata a lasciare nell'atrio il secondo vassoio e a seguirlo nel giardino. A questo punto non vedo come si potrebbe dilazionare il momento della sua morte. Fuori faceva freddo e lei non aveva indosso che il suo grembiule leggero.» «Dite bene. Io non ho mai pensato che "la ragazza era in giardino e stendeva panni di lino". A quell'ora di sera non si stende la biancheria senza contare che lei non sarebbe uscita senza mettersi addosso un cappotto. È stata una messinscena, come quella della molletta sul naso, perché i fatti coincidessero con la filastrocca.» «Già» disse l'ispettore. «Come se fosse opera di un pazzo. E su questo punto voi e io non possiamo guardarci negli occhi. Non riesco a buttar giù questa faccenda della filastrocca.» «Eppure coincide, ispettore. Dovete ammettere che coincide.» «Coincide sì, ma il susseguirsi delle azioni è sbagliato. Secondo la filastrocca il terzo morto è la ragazza, mentre noi sappiamo che il terzo è stato la Regina.» «Il che significa che la storia della filastrocca, che sembra eseguita da un pazzo, è tutta una montatura, ma di grande significato.» L'ispettore si strinse nelle spalle. «Sarà questione di spaccare un capello in quattro. In fin dei conti i morti sono quelli della filastrocca e suppongo che tanto dovrebbe bastare, ma io mi ero messo dal vostro punto di vista. Ora passiamo al mio, Miss Marple. Mettiamo da parte i merli e la segala e prendiamo i fatti nudi e crudi. Primo, la morte di Rex Fortescue e chi ne
"poteva beneficiare". Molte persone, direi, ma più di tutti suo figlio Percival. Questi non può aver messo il veleno nel caffè o in qualunque altra pietanza del padre, perché non era in casa, quella mattina. Così avevamo pensato in principio.» Miss Marple aveva gli occhi brillanti. «Ah, la cosa era stata preparata! Ci avevo pensato e mi erano anche venute delle idee, ma non riuscivo a trovare le prove.» «Non ho difficoltà a dirvelo, signorina: la tassina era stata messa in un barattolo di marmellata nuovo che fu portato a tavola quella mattina e di cui Rex Fortescue mangiò le prime cucchiaiate. Successivamente quel barattolo fu buttato fuori, in mezzo ai cespugli, e sostituito nella dispensa da un altro identico dal quale era stata tolta la stessa quantità di marmellata che mancava al primo. Quello che avevano buttato nei cespugli è stato ritrovato, e ho appena ricevuto i risultati dell'analisi: tracce di tassina.» «Così semplice, era stato!» «La Consolidated Investments era in cattive acque. Se avesse dovuto pagare alla signora Adele, secondo il testamento del marito, centomila sterline, sarebbe sicuramente arrivata al fallimento. E se la signora Adele fosse sopravvissuta un mese al marito, la ditta avrebbe dovuto pagare, e non credo che lei si sarebbe preoccupata molto delle precarie condizioni. Ma lei non è sopravvissuta un mese al marito, e, alla fine dei conti, il beneficiario di questa seconda morte era l'erede della ditta di Rex Fortescue, cioè, nuovamente Percival.» «Sempre Percival Fortescue» continuò acido l'ispettore. «E ammettendo che possa aver messo la tassina nella marmellata, non può aver avvelenato la matrigna e strangolato Gladys. Stando alla segretaria del suo ufficio, lui alle cinque era ancora là e non è tornato a casa che alle sette.» «È difficile, perciò, che sia stato lui.» «Impossibile» concluse l'ispettore, torvo. «In altre parole, Percival ne è fuori.» Dimentico d'ogni norma di prudenza, continuò a parlare con amarezza, ignorando la sua interlocutrice. «Da qualsiasi parte io mi giri vado sempre a finire contro la stessa persona: Percival Fortescue. Eppure non può essere lui!» Si calmò un poco. «Naturalmente, ci sono altre ipotesi e altre persone che possono aver avuto il loro bravo motivo!» «Il signor Dubois, intanto» continuò Miss Marple «e il giovane Gerald Wright. Dove c'è una questione d'interesse non si è mai abbastanza sospettosi. Bisogna evitare ogni senso di fiducia verso il nostro prossimo.» Suo malgrado, Neele sorrise: era buffo sentir enunciare una simile dot-
trina da una persona così delicata. «Io penso sempre al peggio» ribadì infervorata Miss Marple «e il brutto è che di solito i fatti mi danno ragione.» «D'accordo. Consideriamo il peggio: può essere stato Dubois, può essere stato il giovane Wright, ammesso che Elaine l'abbia aiutato, può essere stata la signora Jennifer, che si è sempre trovata sul posto. Ma nessuno di questi risponde ai requisiti dell'interpretazione della filastrocca con la tasca piena di segala e i merli, e dopotutto questa vostra teoria potrebbe anche essere giusta. Se così fosse, ci porterebbe a una sola persona, no? Infatti, se la signora MacKenzie è in una casa di cura e non può essere venuta qui a rimestare nei barattoli di marmellata, e suo figlio Don è morto a Dunkerque, ci rimane la figlia: Ruby MacKenzie. E se la vostra teoria è giusta e tutta la serie di delitti va ricollegata alla vecchia faccenda della Miniera dei Merli, Ruby MacKenzie deve trovarsi in questa casa. E in questa casa c'è una sola persona che può essere lei.» «Vedete» commentò Miss Marple «penso che siate un po' troppo categorico.» L'ispettore non rilevò il commento. «Una sola persona» ripeté. Mary Dove era nel suo salottino, una stanzetta arredata quasi austeramente, ma comoda. Quando l'ispettore bussò all'uscio, la governante sollevò il capo dai libri dei conti. «Avanti» disse con voce chiara. L'ispettore entrò. «Prego, accomodatevi. Potreste aspettare un attimo? C'è qualcosa che non va nel conto del pescivendolo e debbo controllarlo.» L'ispettore sedette e la guardò in silenzio mentre rifaceva l'addizione. La calma e il controllo di quella ragazza erano meravigliosi, e lui, come al solito, fu incuriosito dalla personalità che quelle apparenze nascondevano. Cercò nella sua fisionomia qualche rassomiglianza con la donna che aveva visto al sanatorio di Pinewood: il colorito era abbastanza simile ma non i lineamenti. D'improvviso Mary Dove sollevò il capo. «Eccomi a voi, ispettore.» «In questa vicenda, signorina, ci sono particolari assolutamente strani. Tanto per cominciare, la segala trovata nella tasca del signor Fortescue.» «Ammetto che è una cosa stranissima, ma sapete che non so darne neppure una vaga spiegazione.» «Poi ci sono i merli: quattro merli sulla scrivania del signor Fortescue,
l'estate scorsa, e altri merli messi dentro una crostata, al posto del vitello e della marmellata. Credo che foste già in questa casa quando sono successi questi due incidenti.» «Sì, ricordo. Non abbiamo potuto spiegarceli, perché sembravano assolutamente senza senso, specialmente allora.» «Forse un senso l'avevano, signorina Dove. Non avete mai sentito parlare della Miniera dei Merli?» «Non mi pare.» «Avete detto di chiamarvi Mary Dove. È il vostro vero nome, signorina Dove?» La giovane inarcò le sopracciglia e l'ispettore fu quasi sicuro di cogliere un lampo di sospetto nei suoi occhi azzurri. «Che strana domanda! Non vi convince il mio nome?» «Precisamente. Sospetto che vi chiamiate, invece, Ruby MacKenzie.» La giovane lo fissò senza un moto di protesta e di sorpresa. L'ispettore pensò che stesse facendo un rapido calcolo. Dopo un minuto di silenzio, lei disse con voce atona: «Cosa volete che dica?». «Voglio che mi rispondiate, per favore: vi chiamate Ruby Mac Kenzie?» «Ho già detto che mi chiamo Mary Dove.» «Che prove me ne date?» «Volete il certificato di nascita?» «Sarebbe una prova sì e no. Potreste avere il certificato di nascita di Mary Dove; una vostra amica, per esempio, o una persona morta.» «Sì, i casi possono essere molti.» Una nota ironica vibrava nella voce della signorina. «È un bel dilemma, per voi, ispettore!» «Può darsi che siano in grado di riconoscervi, alla clinica di Pinewood.» «Dove e che cosa è la clinica di Pinewood?» «Credo che lo sappiate molto bene, signorina Dove.» «Vi assicuro che non ne so nulla.» «E negate categoricamente di essere Ruby MacKenzie?» «Non è che io voglia negare o affermare qualcosa. Tocca a voi, ispettore, provare che io sia la persona che dite.» Adesso aveva negli occhi un lampo inconfondibile di divertimento e di sfida. Guardandolo negli occhi, ripeté: «Tocca a voi. Trovate le prove che io non sono Mary Dove, se vi riesce». XXV «La vecchia chiacchierona vi sta cercando» mormorò il sergente con aria
da cospiratore. «Pare che abbia un altro sacco di cose da dirvi.» «Al diavolo!» borbottò l'ispettore mentre finiva di scendere le scale. «Sì, signore.» Il sergente, impassibile, fece per andarsene ma il superiore lo richiamò. «Da' un'occhiata a questi appunti che ci ha fornito la signorina Dove: sono gli indirizzi delle case presso cui ha lavorato prima. Controllali, e poi ci sono ancora un paio di cose che vorrei sapere.» Buttò giù tre righe su un pezzo di carta e lo consegnò al sergente. Passando davanti alla biblioteca udì un suono di voci e diede un'occhiata. Miss Marple stava chiacchierando a tutto vapore con la signora Jennifer, senza smettere di sferruzzare velocemente. L'ispettore colse una mezza frase: «...ho sempre pensato che ci voglia la vocazione, per far l'infermiera. Più che un lavoro, è una missione». Neele si allontanò in silenzio. Era convinto che Miss Marple si fosse accorta di lui anche se non l'aveva dato a vedere. «Una volta» continuò la signorina «quando mi sono rotta il polso, m'ha curato un'infermiera così simpatica! Poi è andata dal figlio della signora Sparrow, un bel giovane, funzionario marittimo. È stato un romanzetto molto bello, perché si sono fidanzati e poi sposati, e ora sono felici con due magnifici bimbi.» Miss Marple sospirò con aria sentimentale. «Era una polmonite e sapete quanto dipenda, in casi del genere, dalle cure dell'infermiera.» «Oh, sì, quasi tutto! Per quanto, naturalmente, al giorno d'oggi ci siano medicine che fanno miracoli, e combattono il male con rapidità ed efficacia.» «Sono certa che eravate una eccellente infermiera, mia cara. Così è incominciato il vostro amore, no? Quando avete curato Percival ammalato di polmonite.» «Sì... sì, è successo così.» Il tono di Jennifer non era incoraggiante, ma Miss Marple sembrò non accorgersene. «So che non bisogna ascoltare le chiacchiere delle donne di servizio, ma una vecchia come me è sempre curiosa della gente che ha intorno e... che cosa stavo dicendo? Ah, sì! In principio c'era un'altra infermiera che poi è stata mandata via; per trascuratezza, no?» «Non credo. Mi pare che suo padre o qualche altro parente di lei si fosse ammalato, e io sono venuta a sostituirla.» «Capisco. E avete finito coll'innamorarvi. Una cosa davvero simpatica!» «Non ne sono così sicura.» La voce le tremò. «Qualche volta, abba-
stanza spesso, mi sorprendo a pensare che tornerei indietro molto volentieri.» «Ah, capisco, eravate appassionata alla vostra professione.» «Allora, no, ma adesso trovo che la vita è così monotona. I giorni passano l'uno dopo l'altro, e Val è sempre molto occupato.» Miss Marple scosse il capo. «Che ci siano i soldi o che non ci siano, il lavoro è duro, al giorno d'oggi! Non c'è un momento di respiro.» «Sì, ed è triste per una moglie. Spesso vorrei non essere mai venuta qui» sospirò Jennifer. «Be', oso dire che mi sta bene. Non avrei dovuto farlo.» «Non avreste mai dovuto fare che cosa?» «Sposare Val... Vi prego, non parliamone più.» Gentile come sempre, Miss Marple cambiò discorso e parlò della nuova gonna di moda a Parigi. «Siete stato gentile, a non interromperci» disse Miss Marple. Aveva bussato alla porta dello studio e l'ispettore Neele aveva risposto di entrare. «Avevo appunto ancora un paio di cosette da verificare.» Dopo una breve pausa, aggiunse con tono di rimprovero: «Non abbiamo finito la nostra conversazione di poco fa». L'ispettore sorrise quasi contrito. «Me ne dispiace, Miss Marple. Volevo discutere alcune cose con voi, poi ho finito col parlare sempre io.» «Oh, non importa» riprese rapida la signorina «perché non ero ancora pronta a mettere tutte le mie carte in tavola. Non mi piace accusar nessuno finché non sono ben certa. Certa per quel che mi riguarda, naturalmente. Ora lo sono.» «Certa di che cosa?» «Di chi ha ucciso il signor Fortescue. Quello che mi avete detto del barattolo della marmellata è stato l'anello di congiunzione, e ho subito visto, su un piano assolutamente logico, chi è stato e come ha fatto.» L'ispettore sbarrò gli occhi. «Me ne dispiace» si scusò Miss Marple, vedendo la sua reazione «ma qualche volta mi riesce molto difficile spiegarmi chiaramente. Forse, se ne avete il tempo, sarà meglio ricominciare da capo, perché vorrei esporvi il mio punto di vista. Ho parlato con alcune persone: la vecchia signorina Ramsbottom, la cuoca e suo marito. Questi è un bugiardo, ma ciò non vuol dire, perché quando sapete che uno è bugiardo, il conto torna lo stesso. Volevo venire a capo di quelle telefonate, delle calze e del resto.» L'ispettore trattenne un sospiro d'impazienza e si domandò come aveva
fatto a considerare Miss Marple come un utile ausilio. Tuttavia resistette pensando che anche da un cervello non del tutto a posto potevano scaturire osservazioni interessanti. Inoltre, la sua teoria era che un buon investigatore deve per prima cosa saper ascoltare. Perciò disse: «Prego, Miss Marple, dite pure. Ma procedete con ordine.» «Certo. In principio c'è Gladys, perché io sono venuta qui per lei e voi gentilmente mi avete lasciato fare. Vedrete bene che cosa c'entrino le chiamate telefoniche, le calze e tutto il resto.» «Avete una vostra teoria su chi ha somministrato la tassina al signor Fortescue?» «Non ho una teoria, ispettore: lo so.» Ancora una volta l'ispettore sbarrò gli occhi. «È stata Gladys, naturalmente» disse Miss Marple. XXVI L'ispettore fissò la vecchietta e scosse lievemente il capo. «Voi dite che Gladys Martin ha deliberatamente avvelenato Rex Fortescue? Mi dispiace, Miss Marple, ma non ci credo.» «Naturalmente non intendeva ucciderlo, ma è stata lei. Mi dicevate che era nervosa, quando l'avete interrogata, e che aveva un'aria colpevole.» «Sì, ma non colpevole d'un omicidio.» «D'accordo. Ho già detto che non intendeva ucciderlo, ma ha messo la tassina nella marmellata. Però era ben lontana dal pensare che fosse un veleno.» «E che cosa pensava che fosse?» «Probabilmente credeva che fosse un siero della verità. Vedete, sono molto interessanti i ritagli di giornale che le ragazze conservano. È sempre stato così, in tutti i tempi. Consigli di bellezza per attirare l'amato, storie straordinarie e meravigliose stregonerie. Al giorno d'oggi queste còse s'identificano più o meno con la scienza. Nessuno crede più a un mago che possa trasformarvi in ranocchia. Ma se scrivono in un giornale che gli scienziati possono iniettarvi certi estratti ghiandolari suscettibili di alterare le funzioni dei vostri tessuti, sviluppando in voi le caratteristiche della rana, ebbene, tutti ci credono. Così Gladys aveva letto nei giornali che esiste un siero della verità, e ha creduto ciecamente quando lui le ha detto che si trattava appunto di una droga del genere.» «Lui chi?»
«Albert Evans. Naturalmente, questo non è il suo vero nome. Costui la avvicinò in un campeggio, l'estate scorsa, le fece la corte e le raccontò, immagino, qualche storia d'ingiustizie o di persecuzioni di cui era stato vittima. La morale fu che Rex Fortescue avrebbe dovuto confessare e riparare al male commesso. Questo naturalmente non lo "so", ma ne sono perfettamente certa. Lui la persuase a chiedere questo posto. Con la carenza di servitù che c'è adesso, non è difficile trovar da collocarsi dove si vuole. Quindi si sono dati un appuntamento. Ricordate l'ultima cartolina: "Non dimenticare il nostro appuntamento"? Era il gran giorno per il quale lavoravano. Gladys avrebbe dovuto mettere la tassina fornitagli da lui nel barattolo della marmellata, sì che Rex Fortescue la mangiasse alla prima colazione, e la segala in tasca. Non so che storia le abbia raccontato per la segala, ma come vi dicevo, Gladys era una credulona. Un bel giovane avrebbe potuto raccontarle qualsiasi cosa.» «Prego, continuate» disse Neele con voce incerta. «Secondo il piano, probabilmente, Albert sarebbe dovuto andare dal signor Fortescue in mattinata, mentre era sotto l'effetto della droga, per ottenere, dopo la confessione, le debite riparazioni. Potete immaginare lo stato d'animo della povera ragazza quando seppe che il signor Fortescue era morto.» «Ma» obiettò l'ispettore «l'avrebbe detto.» Miss Marple fece una domanda precisa: «Quale è stata la prima cosa che ha detto, la ragazza, quando l'avete interrogata?» «Ha detto: "Non sono stata io".» «Precisamente!» esclamò Miss Marple. «È quello che doveva dire! Se avesse rotto un ninnolo, Gladys mi avrebbe detto: "Non sono stata io, Miss Marple. Non so come sia successo". Non è colpa loro, poverette. Sono tutte agitate per quello che hanno fatto e cercano solo di evitare i rimproveri. E volete che una ragazza che ha ucciso un uomo senza volerlo venga a dirvelo? Sarebbe una cosa veramente strana.» «Già, credo anch'io.» Ripensò al suo incontro con Gladys: nervosa, agitata, con un senso di colpa e lo sguardo sfuggente. Tutte cose che potevano essere prive di significato o averne uno enorme. Sinceramente non poteva rimproverarsi se non aveva individuato la verità. «La sua prima reazione» continuò Miss Marple «doveva essere quella di negare. Poi confusamente ha cercato di spiegarsi la cosa. Forse Albert le aveva dato una dose troppo forte di siero. Cercò delle scuse per lui, e sperò che si mettesse presto in comunicazione con lei. E così avvenne. Per tele-
fono.» «Ne avete le prove?» domandò l'ispettore. Miss Marple scosse il capo. «No, ma quel giorno ci sono state molte chiamate misteriose. Qualcuno chiamava e quando rispondeva la cuoca o il maggiordomo, riappendeva. Non poteva far altro che chiamare e aspettare che rispondesse Gladys. Quando ciò avvenne, le diede un appuntamento.» «Per il giorno stesso in cui è morta?» «Sì, è chiaro. La cuoca ha notato bene una cosa: la ragazza aveva le calze e le scarpe della festa. Doveva incontrare qualcuno, ma non uscire. Lui sarebbe venuto qui. Ecco perché era tutta agitata e ha tardato a preparare il tè. Poi, mentre passava nell'atrio col secondo vassoio, lo ha visto sulla porta posteriore. Ha messo giù il vassoio e gli è andata incontro.» «E lui l'ha strangolata.» Miss Marple strinse le labbra, sporgendole in fuori. «Non poteva correre il rischio che lei parlasse: così doveva morire, povera ragazza, troppo sciocca e credula! E le ha messo la molletta da bucato sul naso.» Una sincera indignazione vibrò nella voce della signorina. «Per render compiuta la filastrocca ha cercato quello che più si avvicinava a un uccello che becca via il naso.» «E andrà a finire che non potremo impiccarlo perché verrà fuori che è matto» disse lentamente l'ispettore. «Credo invece che potrete comodamente impiccarlo, perché non è, e non è mai stato, matto.» L'ispettore la guardò severamente. «Un momento, Miss Marple: voi mi avete esposto la vostra teoria... Sì, sì, voi dite di essere sicura, ma non è che una teoria, questa. Dite che responsabile dei tre delitti è un uomo che si fa chiamare Albert Evans, il quale ha conquistato la povera Gladys in un campeggio estivo e se n'è servito per i suoi scopi. Questi scopi dovrebbero essere una vendetta per la vecchia truffa della Miniera dei Merli. In altre parole voi avanzate l'ipotesi che il figlio della signora MacKenzie non sia morto a Dunkerque; egli sarebbe l'uomo in questione.» Con grande sorpresa l'ispettore vide la signorina scuotere energicamente il capo. «Oh, no! Io non ho avanzato quest'ipotesi! Non capite, ispettore, che la storia della Miniera dei Merli è tutta una messinscena? Qualcuno ha saputo dei merli trovati sulla scrivania e degli altri messi nella crostata e se n'è servito, come di uno scenario. Quei merli avevano un significato, erano stati messi da qualcuno che conosceva la vecchia truffa e che voleva ven-
dicarsi, ma limitandosi a spaventare il signor Fortescue e a procurargli un po' di rimorsi! Vedete, non credo che si possano allevare dei figli con lo spirito della vendetta. I bimbi, dopotutto, hanno buonsenso. Ma chiunque abbia avuto il padre truffato e forse anche ucciso desidererà giocare qualche brutto scherzo alla persona che ritiene responsabile. Così è stato per i merli, e l'assassino ne ha approfittato e se ne è fatto uno schermo.» «L'assassino... coraggio, Miss Marple, veniamo alla vostra opinione sull'assassino: chi è?» «Non sarà una sorpresa per voi, perché non appena vi avrò detto chi è, o per lo meno chi penso che sia (bisogna essere sempre prudenti, non vi pare?), voi vedrete che è proprio il tipo di persona capace di azioni del genere. Ha la mente perfettamente a posto, è brillante, privo di scrupoli. E l'ha fatto senza dubbio per i soldi, forse per molti soldi.» «Percival Fortescue?» domandò l'ispettore con voce implorante, ma mentre lo diceva sentiva di sbagliare. La descrizione di Miss Marple non corrispondeva a Percival Fortescue. «Oh, no! Non Percival... è Lance.» XXVII L'ispettore si appoggiò allo schienale della sedia e fissò Miss Marple con occhi da ipnotizzato. «È impossibile» disse. Come lei aveva previsto, non era affatto sorpreso e adesso non negava la probabilità che si trattasse di Lance, ma la possibilità materiale. Miss Marple ne aveva dato una buona descrizione, ma l'ispettore non riusciva a vedere il giovane nella parte del parricida. La signorina si protese in avanti e, gentilmente, con tono persuasivo, come chi spieghi i primi elementi d'aritmetica a un bambino, precisò la sua ipotesi. «È questo, il suo carattere: è sempre stato cattivo, in tutti i sensi, sebbene fosse così attraente, specie per le donne. Ha un'intelligenza brillantissima, gli piace correre dei rischi, e la gente ha sempre creduto di lui le cose migliori in virtù del suo fascino. L'estate scorsa è venuto a trovare suo padre. Non ho creduto nemmeno per un momento che il vecchio l'avesse mandato a chiamare, a meno, che naturalmente non ne abbiate una prova...» s'interruppe aspettando una risposta. L'ispettore scosse il capo. «Non ho nessuna prova. C'è solo una lettera che dovrebbe essere stata
scritta da Lance dopo essere venuto qui, ma potrebbe averla comodamente messa lui stesso fra le carte di suo padre, il giorno in cui è arrivato.» «Scaltro. Be', come vi dicevo, lui probabilmente è venuto qui tentando di riconciliarsi con il padre, ma questi probabilmente non ha voluto saperne. Lance si era sposato da poco, e la piccola rendita di cui viveva e che aveva senza dubbio sempre arrotondata con qualche affare disonesto, non poteva più bastargli. Era veramente innamorato di Pat, che è una carissima ragazza, e desiderava vivere con lei una vita tranquilla, pulita. Questo, per lui, voleva dire aver molti soldi. Qualcuno doveva avergli raccontato lo scherzo dei merli: forse suo padre, forse Adele, e lui ne aveva concluso che la figlia della signora MacKenzie doveva essere in questa casa e che poteva servirgli benissimo come capro espiatorio. Perché, non appena si era reso conto che non sarebbe riuscito nel proprio scopo, aveva deciso, a sangue freddo, di uccidere suo padre. Forse si era accorto che il vecchio non stava bene, e aveva pensato che, se non fosse morto subito, avrebbe trascinato la ditta al fallimento.» «Ma non aveva bisogno di accorgersene: sapeva benissimo quali erano le condizioni mentali di suo padre» disse l'ispettore. «Oh, questo spiega molte cose! Forse il nome stesso del signor Fortescue, Rex, e l'episodio dei merli insieme, gli fornirono l'idea della filastrocca. Far sembrare il tutto opera di uno squilibrato e ricollegato con le vecchie minacce dei MacKenzie. Così avrebbe avuto a disposizione anche Adele e le centomila sterline che non sarebbero più uscite dalla ditta. Ma ci voleva una terza persona, la ragazza che "nel giardino sciorinava panni di lino", e proprio questo deve avergli suggerito l'idea di una complice innocente, da ridurre al silenzio prima che lo tradisse. Il resto è facile: arriva qui poco prima delle cinque nel momento in cui Gladys passa nell'atrio col secondo vassoio, si affaccia alla porta posteriore, le fa un cenno. Strangolarla e trascinarla sotto le corde da bucato è questione di tre o quattro minuti. Poi suona il campanello della porta principale e raggiunge la famiglia al tè. Subito dopo va a salutare la signorina Ramsbottom, e quando scende sguscia nel salotto dove Adele è rimasta sola. Si siede accanto a lei sul divano e mentre chiacchiera le fa scivolare il cianuro nella tazza. Non è difficile: si tratta d'un pezzetto di roba bianca come lo zucchero. Lui può tendere la mano verso la zuccheriera, prendere una zolla e fare l'atto di mettergliela nella tazza. Poi ride e dice: "Toh, ho messo ancora zucchero!". Lei sorride, dice che non fa nulla, mescola e beve. Una cosa semplice e audace al tempo stesso. Ma lui è un temerario.»
L'ispettore prese lentamente la parola. «Sì, effettivamente è possibile; ma non riesco a immaginare, Miss Marple, che guadagno ne avrebbe avuto. Ammetto che se il signor Fortescue non fosse stato tolto di mezzo la ditta sarebbe andata presto in rovina, ma non credo che la parte di Lance fosse tale da spingerlo a compiere tre delitti.» «Qui c'è una difficoltà, ne convengo. Immagino...» guardò l'ispettore esitando. «Sono molto ignorante in questioni finanziarie, ma mi domando: è proprio vero che la Miniera dei Merli non vale nulla?» L'ispettore rifletté un attimo. Vari frammenti gli si composero nella mente. Lance che era disposto ad accettare dal fratello gli investimenti più incerti, Lance che usciva dall'ufficio quel giorno stesso a Londra dicendo a Percy che avrebbe fatto meglio a disfarsi della vecchia Miniera dei Merli. Una miniera d'oro. Una miniera d'oro senza valore, aveva dichiarato Rex Fortescue. Che ci fosse l'oro, invece? Strano che quell'uomo si fosse sbagliato per quanto, naturalmente, potevano aver fatto altri sondaggi poco tempo prima. Dov'era la Miniera? Nell'Africa Occidentale aveva detto Lance. Ma qualcun altro, forse la signorina Ramsbottom, aveva detto nell'Africa Orientale. Lance poteva aver finto di confondersi. La signorina Ramsbottom era vecchia, ma poteva anche aver ragione. Africa Orientale. E Lance aveva appena lasciato l'Africa Orientale. Che avesse qualche notizia molto recente della miniera? Improvvisamente, con uno scatto, un altro frammento s'incastrò! Seduto in treno, aveva letto nel "Times": "Giacimenti di uranio scoperti nel Tanganica". E se la Miniera dei Merli fosse nella zona dei nuovi giacimenti? Questo avrebbe spiegato tutto: Lance, sul posto, poteva esser venuto a conoscenza dei nuovi giacimenti. Allora sì, ci sarebbe stata una fortuna da afferrare! Una fortuna favolosa. Sospirò guardando Marple. «E che cosa pensate?» chiese risentito. «Che io non sarò mai capace di trovare le prove di tutto questo?» Miss Marple annuì energicamente come una zia che incoraggi un nipote in procinto di recarsi a dare un esame. «Le troverete» disse. «Siete un uomo intelligente. L'ho capito fin da principio. Adesso sapete chi è. A quel campeggio estivo forse sono in grado di riconoscere la fotografia, e gli sarà difficile spiegare perché vi rimase una settimana facendosi chiamare Albert Evans.» Già, pensò l'ispettore, Lance era un uomo brillante e privo di scrupoli, ma era anche temerario e aveva corso rischi grossi. "Lo beccherò!" si disse. Poi ripreso dal dubbio, guardò Miss Marple.
«È una semplice supposizione, lo sapete.» «Ma voi sapete che è giusta, non è vero?» «Credo di sì. Dopo tutto ho già incontrato tipi del genere.» Miss Marple annuì. «Sì. Ed è molto importante. Appunto per questo ne sono sicura.» «Grazie alla vostra conoscenza dei criminali» ribatté l'ispettore. «Oh, no! È stata Pat, povera ragazza. È il tipo che finisce sempre con dei mascalzoni. Me ne sono resa conto non appena l'ho vista.» «Be', io, per me, posso esserne certo. Ma ci sono ancora molte cose da spiegare. Per esempio, quell'affare dei MacKenzie. Potrei giurare...» «E avete ragione» lo interruppe Miss Marple «ma sbagliate persona. Andate a parlare con la signora Jennifer.» «Signora Fortescue» domandò l'ispettore «non vi dispiacerebbe dirmi il vostro nome di ragazza?» Jennifer boccheggiò spaventatissima. «Non agitatevi, signora. È molto meglio che diciate la verità. È vero che prima di sposarvi vi chiamavate Ruby MacKenzie?» «Ma... oh, be'... io... dopotutto che ci sarebbe?» «Nulla.» L'ispettore era gentile. Aggiunse: «Ho parlato con vostra madre pochi giorni fa, alla clinica di Pinewood». «Lei non mi perdona. Non vado mai a trovarla perché si agita troppo: povera mamma, era così legata a papà!» «E vi ha allevati con drammatici propositi di vendetta.» «Sì» disse Jennifer. «Ci faceva giurare sulla Bibbia che non avremmo mai dimenticato e che un giorno l'avremmo ucciso. Naturalmente, quando sono andata all'ospedale per il corso di infermiera, mi sono resa conto che non era più molto equilibrata.» «Voi, personalmente, avevate propositi di vendetta?» «Be', il signor Fortescue ha praticamente ucciso mio padre. Non con una pistola o con un pugnale, ma sono sicura che l'ha lasciato morire. Ed è la stessa cosa.» «Moralmente sì.» «E così avrei voluto rendergli la pariglia. Quando una mia amica venne qui a curare il figlio, io la convinsi ad andarsene e a cedermi il posto. Avrei voluto... oh, ispettore, io non ho mai pensato di uccidere il signor Fortescue! Avrei voluto, forse, curare malamente suo figlio e lasciarlo morire, ma quando si è infermiere di professione non si può fare una cosa simile, e, una volta al capezzale di Percival, gli dedicai tutte le mie cure. Poi,
quando lui si innamorò di me e mi chiese di sposarlo, pensai che questa sarebbe stata la vendetta più sottile. Sposare il primogenito del signor Fortescue e portargli via così i soldi truffati a mio padre.» «Molto sottile» ammise l'ispettore. E aggiunse: «Siete stata voi a mettere i merli sulla scrivania e nella crostata?». La signora Jennifer arrossì. «Sì. Capisco che è stato sciocco, ma il signor Fortescue un giorno aveva parlato di quegli ingenui che non sanno far nulla, e si era vantato di saper sfruttare la gente, di saperne tirar fuori il meglio, sempre entro i limiti della legge, naturalmente. Mi è venuta l'idea di spaventarlo un poco. E ci sono riuscita! Era tutto sconvolto. Ma vi assicuro che non ho fatto altro! Voi, sinceramente, non pensate che io abbia ucciso nessuno?» L'ispettore sorrise. «No, davvero. A proposito: ultimamente non avete dato per caso dei soldi alla signorina Dove?» Jennifer rimase a bocca aperta. «Come fate a saperlo?» «Noi sappiamo molte cose, e molte altre ne immaginiamo.» Jennifer riprese parlando rapida: «È venuta a dirmi che l'avevate accusata di essere Ruby MacKenzie. Disse che se le avessi dato cinquecento sterline avrebbe continuato a lasciarvelo credere, e che se voi aveste saputo che ero io, mi avreste accusata dell'uccisione di mio suocero e di sua moglie. Ho fatto molta fatica a racimolare i soldi perché naturalmente non potevo chiederli a mio marito. Lui non sapeva il mio vero nome. Ho dovuto vendere il mio anello di fidanzamento e una collana che mi aveva regalata il signor Fortescue.» «Non preoccupatevi, signora. Credo che potremo restituirvi i vostri soldi.» Il giorno dopo l'ispettore ebbe un nuovo incontro con la signorina Dove. «Mi domando, signorina, se avreste obiezioni a consegnarmi un assegno di cinquecento sterline intestato alla signora Jennifer Fortescue.» Per una volta ebbe la gioia di vedere la governante perdere un poco del suo autocontrollo. «Quella sciocca è venuta a raccontarvi tutto.» «Già. Il ricatto è un'imputazione molto grave.» «Non era ricatto, ispettore. Non riuscireste a dimostrarlo. Ho semplicemente reso alla signora Jennifer un servigio, e lei mi ha pagata.» «Va bene, signorina Dove. Se mi date quell'assegno, mettiamo una pietra sopra l'incidente.»
La governante tirò fuori il suo libretto degli assegni e la stilografica. «È seccante» sospirò «sono piuttosto al verde.» «Suppongo che vi cercherete un altro lavoro.» «Sì. Pare che questo non vada. È andata male anche per me.» «Già. Era naturale che un momento o l'altro ci saremmo interessati dei vostri precedenti servizi.» Mary Dove, sempre calma, inarcò le sopracciglia. «Il mio passato è senza macchia, ispettore.» «Sì» convenne lui, quasi scherzoso. «Non abbiamo nessuna accusa specifica contro di voi. Eppure è strano che in tutti e tre i posti dove avete lavorato ci sia stato un furto, circa tre mesi dopo che li avevate lasciati, e che i ladri sembrassero molto ben informati su dove si trovavano gli ermellini, i gioielli e il resto. Strane coincidenze.» «Le coincidenze sono sempre possibili, ispettore.» «Oh, certo. Ma non debbono essere troppo frequenti, signorina Dove. Oso dire che ci incontreremo, un giorno o l'altro.» «Non vorrei contraddirvi, ispettore, ma spero proprio di no.» XXVIII Miss Marple chiuse la valigia e si guardò intorno: no, non dimenticava niente. Crump venne a prendere il bagaglio e lei passò nella camera accanto a salutare la signorina Ramsbottom. «Temo» disse «di avervi mal ricompensata della vostra ospitalità. Spero che un giorno mi perdonerete.» «Mah!» fu il commento della vecchia. Come al solito stava facendo un solitario. «Fante nero, donna rossa» brontolò, poi diede un'occhiata di sbieco a Miss Marple. «Avete trovato chi cercavate, immagino.» «Sì.» «E avrete detto tutto a quella specie d'ispettore di polizia. Sarà capace di trovare le prove?» «Ne sono sicurissima. Ci vorrà un po' di tempo.» «Non vi faccio domande» riprese la signorina Ramsbottom. «Siete astuta. Me ne sono accorta fin da principio, e non vi rimprovero; il male è nella famiglia, e va punito. C'è un ramo cattivo nella famiglia, ma ringraziando il Cielo non viene dalla nostra parte. Mia sorella Elvira era sciocca, ma non malvagia.» «Fante nero» riprese indicando la carta con la punta del dito. «Bello ma
col cuore nero. Sì, lo temevo... non ci si può impedire di voler bene anche a un peccatore. Il ragazzo aveva un suo modo di fare, mi stava intorno... E ha detto una bugia circa l'ora in cui mi ha lasciata quel pomeriggio. Io non l'ho smentito, ma mi sono meravigliata. Però era il figlio di mia sorella Elvira, e non potevo dir nulla. Be', voi siete retta, Jane Marple, e la rettitudine deve trionfare. Mi dispiace per sua moglie.» «Anche a me.» Nell'atrio, Pat Fortescue l'aspettava. «Vorrei che non ve ne andaste» disse. «Mi mancherete.» «Debbo andare. Ho finito il compito per cui ero venuta qui, e non è stato sempre piacevole. Ma è molto importante che il male non trionfi.» Pat la guardò senza capire. «Non pensateci, adesso. Forse un giorno capirete. Vorrei darvi un consiglio: se qualche cosa andasse male, fareste cosa saggia a tornare dove eravate felice, da bimba: in Irlanda, bimba mia, coi cani, i cavalli e tutto il resto.» Pat annuì. «Talvolta vorrei averlo già fatto quando è morto Freddy. Ma in questo caso» le si sentiva la commozione nella voce «non avrei incontrato Lance.» Miss Marple sospirò. «Non rimarremo qui» aggiunse Pat. «Torneremo in Africa, non appena tutto sarà sistemato.» «Dio vi benedica, bimba mia» concluse Miss Marple. «C'è bisogno di molto coraggio per affrontare la vita. Credo che voi l'abbiate.» Miss Marple arrivò a casa la sera tardi. Kitty, l'ultima dimessa dall'orfanotrofio St. Faith's, le aprì la porta con volto raggiante. «Vi ho preparato la cena, signorina. Sono contenta di rivedervi! Troverete tutto a posto. Ho fatto la solita pulizia.» «Brava, Kitty. Sono contenta d'essere tornata a casa.» Sei ragnatele sulla cornice della porta, osservò fra sé. Queste ragazze non alzano mai la testa! Ma era troppo gentile per dirlo. «La posta è sul tavolo, signorina. Ce n'è una che per errore è andata a Daisymead. Succede spesso, no? Ma con la scrittura che c'è questa volta sulla busta, non me ne stupisco. Hanno cercato e l'hanno rimandata indietro solo oggi. Dicono che sperano che non sia importante. Miss Marple prese le lettere: quella cui si riferiva Kitty era in cima al
mucchio. Un ricordo le vibrò nel cuore alla vista di quella scrittura tutta scarabocchi. L'aprì immediatamente. Cara signora, spero che mi scusa se scrivo ma non so che cosa fare e non ho fatto e non volevo fare niente di male. Cara signora voi avete visto i giornali che dicono che è assassinio ma non sono stata io perché io non avrei mai fatto nulla di così male e so che neanche lui. Dico Albert. Scusa come glielo dico, ma ci siamo conosciuti l'estate scorsa e ci dovevamo sposare ma Bert doveva far valere i suoi diritti che gli aveva portato via il signor Fortescue morto. Ma il signor Fortescue negava tutto e naturalmente tutti credevano lui e non Bert perché lui è ricco e Bert è povero. Ma Bert ha un amico che lavora dove fanno quelle droghe che chiamano sieri della verità che scrivono sui giornali che fanno dire la verità anche se non si vuole. Il 5 novembre Bert doveva andare dal signor Fortescue nel suo ufficio col suo avvocato e io dovevo dargli la droga il mattino che avrebbe fatto l'effetto quando loro erano in ufficio così lui avrebbe detto che era vero quello che Bert diceva. Allora signora io l'ho messa nella marmellata ma adesso lui è morto e io penso che doveva essere troppo forte ma non è colpa di Bert perché lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Se lo dico alla polizia loro pensano che Bert l'abbia fatto apposta e io so che non è vero. Oh, signora, non so cosa dire o cosa fare e la polizia è qui in casa è terribile e fanno domande e ti guardano che non so che cosa dire e Bert non si è fatto vivo. Oh, signora, non mi piace chiedervelo ma se solo potete venire qui e aiutarmi voi vi ascolteranno e voi siete stata sempre gentile con me e io non ho fatto nulla di male e neppure Bert. Se solo potete aiutarci. Vostra rispettosissima Gladys Martin P.S. Vi metto dentro una fotografia di me e Bert. L'ha presa un ragazzo al campeggio. Bert non sa che ce l'ho perché non vuole mai farsi fotografare. Guardate che bel ragazzo che è. Miss Marple, con le labbra strette un po' in fuori, guardò la fotografia.
Andò con gli occhi dal viso innamorato, commovente, di Gladys, all'altro: il bel viso bruno, sorridente, di Lance Fortescue. Le riecheggiarono nella mente le ultime parole della lettera: "Guardate che bel ragazzo che è". Le vennero le lacrime agli occhi. Poi alla pietà successe un odio implacabile. Alla fine, su entrambi i sentimenti, prevalse un senso di trionfo, quel trionfo che provano certi scienziati quando sono riusciti, con un frammento di mascella e un paio di denti, a ricostruire un animale di specie ormai estinta. FINE