ELIZABETH FERRARS NELL'OCCHIO DEL DELITTO (In At The Kill, 1978) Personaggi principali: CHARLOTTE CAMBREY inquilina di B...
16 downloads
743 Views
532KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
ELIZABETH FERRARS NELL'OCCHIO DEL DELITTO (In At The Kill, 1978) Personaggi principali: CHARLOTTE CAMBREY inquilina di Beech Cottage Signora FRENSHAM proprietaria di Brickett's Farm EDGAR FRENSHAM figliastro della signora Frensham EMILY SHARPLES governante di Brickett's Farm RALPH MAYNARD medico BEATRICE WALLACE infermiera ANGELA BIRD inquilina di Honeysuckle Cottage IAN HAVERSHAW giovane scrittore ISOBEL NEVILLE inquilina di Jasmine Cottage MARCUS NEVILLE marito di Isobel BEN e LIZ GRAINGER inquilini di Rose Cottage TIMOTHY ROYLE investigatore privato Sovrintendente BARR della polizia di Mattingley 1 La carrozza di seconda classe era quasi vuota, non c'era dunque alcun motivo perché quel tipo dai capelli color sabbia e la sacca di tela andasse a sedersi proprio di fronte a lei, con tanti posti liberi. Charlotte ebbe subito paura che fosse uno di quelli che attaccano bottone, cosa che lei detestava, soprattutto quel giorno, dato il suo particolare stato d'animo. Mentre lui metteva la sacca sulla reticella, si toglieva il cappotto, lo piegava malamente posandolo poi sul sedile accanto e finalmente si sedeva, lei girò una pagina del romanzo che aveva comprato al chiosco della stazione di Paddington e si finse profondamente immersa nella lettura, perché fosse ben chiaro che non intendeva essere disturbata. Il tizio non si lasciò smontare. «Che schifo di giornata» disse in tono allegro. «Già» borbottò lei senza alzare gli occhi dal libro. «Le previsioni del tempo parlavano di neve al nord.» «Sì?» «Non è che la imbrocchino spesso, ma certo che fa un bel freddo.» Sì era
portato un paio di giornali, ma li posò sul tavolino, piegati, come se non avesse alcuna intenzione di leggerli. «E come sempre, quando fa molto freddo, pare che qui dentro il riscaldamento non funzioni. Avete notato che va sempre così? Se fuori non fa freddo, in treno vi fanno morire arrostiti, ma basta che la temperatura scenda un po' e tac, il riscaldamento sparisce. Buon per me che non vado molto lontano, soltanto a Mattingley. Ci vorrà al massimo un'ora e un quarto. Conoscete Mattingley?» «Un po'.» «Allora forse potrete darmi qualche informazione sugli alberghi. C'è qualcosa di decente?» «Mi spiace, ma non lo so. Ci sono stata soltanto una volta e non mi sono fermata per la notte.» «Decente ma non troppo caro» continuò l'altro, imperterrito. «Non è chiedere poco, di questi tempi, vero? È tutto così caro! Voi non andate a Mattingley, vero?» «Si dà proprio il caso che ci vada anch'io.» Perché lo aveva detto? Sarebbe stato molto più ragionevole negarlo, ma non era mai stata brava a mentire. Rinunciò a leggere e degnò finalmente di un'occhiata il tizio che aveva di fronte. Sulla trentina, magro e non molto alto, la faccia pallida dai lineamenti marcati ma piuttosto comuni, gli occhi di un azzurro slavato e i capelli color sabbia molto più corti di quanto dettava la moda del momento, portava un vestito grigio chiaro del genere che si acquisita nei grandi magazzini, camicia a righe bianche e grigie, e cravatta blu scuro con minuscoli disegnini rossi. In tutto e per tutto il tipo che si dimentica un minuto dopo che lo si è visto. Tuttavia Charlotte fu a un tratto certa di averlo già notato da qualche parte. Ma fu una sensazione transitoria, subito seguita e cancellata dalla considerazione che probabilmente le era sembrato un viso noto soltanto perché era tanto comune. «Andate a far visita ad amici, suppongo» riprese il tizio. «No.» «Nooo? L'ho detto soltanto perché non vedo quale altro motivo potrebbe indurre una persona ad andare a Mattingley, il pomeriggio di un gelido sabato di dicembre. A meno che, come me, non ci vada per motivi di lavoro. Infatti io devo fare un certo lavoro che forse mi obbligherà a trattenermi là per qualche giorno. Altrimenti mi sarei guardato bene dal lasciare la mia casa. Intanto, costretto a restare fuori per il fine settimana, sentirò terribil-
mente la lontananza dei miei bambini. Li vedo già tanto poco gli altri giorni: quando io esco, la mattina, loro dormono ancora e la sera, quando torno, o sono già a letto o stanno in camera a fare i compiti. Così mi restano soltanto il sabato e la domenica per godermi un po' la loro compagnia. Ma non si può sempre fare quel che si vuole!» «Avete figli?» domandò Charlotte, un po' stupita. Il tizio non aveva l'aria del padre di famiglia. «Quanti?» Lui esitò un attimo, come se stesse contando mentalmente sulle dita. «Cinque» disse poi. Quanto prima avrebbe tirato fuori le fotografie della bella famigliola, pensò la ragazza. Ma si sbagliava. L'uomo si limitò a guardarla con un sorriso vagamente beffardo, come se il fatto di avere messo al mondo tanti rampolli gli conferisse un' indiscutibile superiorità su di lei che, se la mancanza di una fede nuziale al dito significava qualcosa, non ne aveva messo al mondo nemmeno uno. Ma per Charlotte, che non amava affatto i bambini, questo era semmai il segno della propria superiorità su di lui. Le ci era voluto un certo impegno per arrivare all'età di ventiquattro anni senza doversi accollare il peso e le responsabilità di una famiglia, e non le accadeva spesso di rimpiangere il tempo che passava senza marito né figli. Non molto tempo prima, in uno di quei rari momenti di rimpianto, si era lasciata indurre ad accettare una proposta di matrimonio, ma il giorno successivo, presa dal panico per essersi impegnata fino a quel punto, si era rimangiata la promessa, e benché questo avesse posto irrimediabilmente fine a una piacevole amicizia, creando in lei per qualche tempo un doloroso senso di solitudine, non era stata neppure tentata di tornare sui propri passi. Ma non era stata l'unica volta in cui il matrimonio l'aveva minacciata da vicino. Senza essere bella, esercitava un certo fascino sul sesso forte, cosa che non cessava mai di stupirla perché lei si considerava tutt'altro che attraente e si rendeva conto di non saper vestire con eleganza o truccarsi in modo da valorizzare il proprio aspetto. Quel giorno, a esempio, portava una giacca di montone sopra un pesante pullover nero, e pantaloni verde scuro. Piccola e minuta, ma di solida struttura, aveva un visetto roseo dagli zigomi alti e dal mento appuntito che a tutta prima sembrava molto amichevole, finché non si notava il gelido distacco degli occhi bruno-dorati, con uno sguardo capace di raggelare qual-
siasi tentativo di approccio. E le sopracciglia scure e diritte, troppo folte sotto il casco dei capelli quasi neri, accentuavano quel distacco. In quel periodo viveva sola in un appartamentino di Maida Vale. Durante gli ultimi due anni aveva lavorato con un generale che stava scrivendo la storia della propria famiglia, ma ora l'uomo era morto e, benché la sua scomparsa l'avesse sinceramente addolorata perché lui era sempre stato molto buono e generoso con lei, in quel momento le faceva molto comodo essere libera da qualunque impegno. C'erano altre cose cui doveva dedicare la propria attenzione. Molta, profonda attenzione. La carrozza intanto si andava riempiendo. Un donnone grasso stracarico di borse e pacchi si abbandonò pesantemente sul sedile accanto a Charlotte, e cominciò subito a raccontare quanto fosse faticosa una giornata in giro per i negozi di Londra. Si scoprì ben presto che andava anche lei a Mattingley, anzi che ci abitava, ma il tizio dai capelli color sabbia non si preoccupò di chiederle informazioni riguardo agli alberghi del posto, che lei indubbiamente avrebbe saputo dargli: prese invece uno dei suoi giornali e si immerse nello studio della pagina sportiva. Questo offrì anche a Charlotte la possibilità di tornare al suo romanzo. Dopo qualche minuto, il treno cominciò a muoversi, passando dalle luci della stazione al buio della sera, punteggiato da piccoli bagliori lontani che a loro volta andarono rapidamente scomparendo. Nell'oscurità quasi completa, un furioso rovescio di pioggia sbatté contro i vetri dei finestrini. Il donnone si era appisolato, la testa reclinata sul seno voluminoso e le labbra semiaperte dalle quali usciva un lieve fischio. Rassicurato, il tizio dai capelli color sabbia posò il giornale. «Non avrete certo scelto questo periodo dell'anno per andare in vacanza» disse a Charlotte. La ragazza continuò a leggere. Allora lui si sporse in avanti. «Ho detto che non mi sembra la stagione più indicata per una vacanza» insistette. «No» convenne lei. «Sicché non siete in vacanza!» «Be', in questo momento non lavoro.» «Allora "è" una vacanza.» «Diciamo una pausa.» «Una pausa tra un impiego e l'altro, è così? Non ditemi che siete disoccupata. Sarebbe un bel guaio, di questi tempi.» Charlotte posò risolutamente il libro sul tavolino. «Sentite, non ho alcuna intenzione di parlare con voi del mio lavoro né di nient'altro. Che cosa
sono tutte queste domande?» Lui sorrise come per chiedere scusa. «Perdonatemi. È una mia cattiva abitudine. La gente mi interessa e di solito tutti hanno una gran voglia di chiacchierare. Bisogna cominciare con gli argomenti più comuni, il tempo, i viaggi all'estero e via dicendo, prima di addentrarsi in particolari più personali, e non credereste alle vostre orecchie se vi raccontassi quello che tanta gente mi ha detto in treno o in autobus. Penso che sia per il piacere di sfogarsi con qualcuno che certamente non si vedrà mai più e che si dimostra comprensivo e interessato.» «E voi con che cosa ricambiate le confidenze altrui? Con le storie dei vostri cinque bambini?» «Oh no, soltanto col mio sincero interessamento.» «Bene, sono dolente, ma io non ho confidenze interessanti da farvi.» «Sono certo del contrario, signorina» ribatté il tizio. «Mi è bastato darvi un'occhiata e mi sono detto: ecco una ragazza che ha un sacco di guai!» «Gesù mio!» esclamò Charlotte fingendosi costernata. «Non apparterrete per caso a uno di quei fanatici gruppi religiosi che vanno in giro ad agganciare la gente che bada ai fatti propri per indurla a pensare alla vita eterna! Dobbiamo cominciare a parlare della mia anima?» «Soltanto se lo desiderate voi. Sono certo che sarebbe un argomento molto interessante.» «Se non avete niente in contrario, preferirei leggere in pace il mio romanzo.» «Oh, d'accordo, fate pure. Non ho l'abitudine di intromettermi quando non sono gradito.» Cos'altro aveva fatto da quando era salito in treno?, pensò Charlotte riprendendo il suo libro e immergendosi finalmente nella lettura. A Mattingley pioveva a rovesci. Non appena il treno si fermò, il donnone si svegliò di soprassalto, raccolse pacchi e borse e si avviò ondeggiando lungo il corridoio. Charlotte si alzò, si abbottonò la giacca e si accinse a prendere la valigia dalla reticella. L'uomo dai capelli color sabbia rimase a osservarla per un momento, poi disse: «Lasciate, ci penso io.» Lei si fece da parte. «Pesantina» osservò lui prendendo la valigia. «Bene, se prendete la mia borsa, la valigia ve la porto io. Non trovereste un portabagagli da nessuna parte, qui.» «Grazie, siete molto gentile» disse Charlotte, in tono cortese ma facendo
chiaramente intendere al tempo stesso che era decisa a mantenere le distanze. Prese la borsa di tela mentre lui trascinava la valigia in corridoio. «C'è qualcuno ad aspettarvi o prendete un taxi?» «Prenderò un taxi, ammesso che se ne trovino.» «Bene, speriamo!» L'uomo si avviò verso lo sportello, seguito a ruota da Charlotte. Al posteggio davanti alla stazione c'erano parecchi taxi. L' uomo dai capelli color sabbia caricò la valigia sul più vicino, poi tenne aperta la portiera per far salire la ragazza. «Che indirizzo?» domandò. Charlotte pensò che avrebbe potuto benissimo dirlo lei stessa al conducente, ma visto che il tizio si era mostrato così servizievole, non volle essere scortese. «Beech Cottage, Brickett's Farm» disse. Dopo avere ripetuto l'indirizzo al tassista, che emise un grugnito per indicare che conosceva il posto, il giovanotto dai capelli color sabbia richiuse la portiera e rimase a guardare il taxi che si allontanava. Quando l'auto scomparve oltre un angolo, lui era ancora là immobile, benché avesse i capelli incollati al cranio e il viso lucido per la pioggia. Quindi l'aveva riconosciuta, naturalmente! Sapeva chi era fino dal principio. A pensarci bene, era stato evidente fino dal primo momento. Il taxi percorse le strade illuminate della cittadina, poi si addentrò nel buio delle stradine di campagna dove la luce dei fari scivolava lungo alte siepi spoglie con i rami gocciolanti di pioggia. Il tragitto durò una ventina di minuti, poi il taxi si fermò davanti a un cancello fiancheggiato da alti filari di faggi, e il tassista portò la valigia di Charlotte fino all'ingresso del villino. Alla luce dei fari che ne illuminavano la facciata, la ragazza cercò nella borsa la chiave, l'infilò nella toppa e, mentre il taxi invertiva la marcia per tornare a Mattingley, entrò in casa. Era stata lì una sola volta la settimana precedente, quando aveva affittato per un mese il villino, dove al tempo in cui la tenuta era ancora una fattoria anziché la residenza di campagna di un ricco possidente, avevano abitato i contadini. Le ci volle un po' per trovare, a fianco della porta, l'interruttore della luce, ma la stanza non era completamente buia. Era soffusa da un tenue bagliore rossastro e da un inatteso tepore. Qualcuno aveva già provveduto ad accendere la stufa elettrica. Charlotte fu piacevolmente stupita di quella premura. Il signor Fren-
sham, proprietario della tenuta, che le aveva fatto visitare il villino il sabato precedente, non le era sembrato tipo da preoccuparsi troppo del benessere dei suoi inquilini. La sua unica preoccupazione era stata palesemente quella di concludere al più presto il contratto e liberarsi di lei. Era stata una grossa delusione per lei che aveva sperato di poter conoscere il più possibile sul suo conto, e nel più breve tempo passibile, e invece non aveva potuto sapere altro che quanto conosceva già, cioè che era un gran bell'uomo sulla quarantina, coi capelli neri, gli occhi azzurri e un'aria di gelida arroganza che sfiorava la villania. Ma forse il suo comportamento era dettato dal fatto che il nome della ragazza non lo aveva colpito affatto. Non era strano? Però il signor Frensham aveva accennato a una governante, la signorina Sharpies: probabilmente era stata lei che aveva pensato ad accendere la stufa nel villino. E a lasciare una bottiglia di latte, alcune uova, il pane e il burro sul tavolo di cucina, oltre a un vasetto con alcuni gelsomini d'inverno sul tavolino del soggiorno. Al pianterreno c'erano soltanto la cucina e il soggiorno, con le pareti intonacate di bianco e tendine rosse alle piccole finestre. L' arredamento era molto semplice: seggiole e poltroncine di vimini, un tavolino con le gambe di metallo e il ripiano in formica color legno, un piccolo scrittoio in un angolo, uno scaffale con pochi vecchi libri in un altro. Niente che l'incuria di ospiti di passaggio potesse danneggiare seriamente. E, tutto sommato, quella semplicità piaceva a Charlotte. Era poco impegnativa e totalmente impersonale, dettagli che lei apprezzava in modo particolare in un momento in cui troppi eventi sgradevoli avevano turbato la sua vita. Nel soggiorno, una porta che sembrava quella di un armadio a muro si apriva in realtà su una ripida scala che saliva al piano superiore, dove si trovavano due piccole stanze da letto comunicanti e una stanza da bagno un po' rudimentale. Ma perlomeno in cucina c'erano fornelli elettrici, il frigorifero e uno scalda-acqua del tipo a immersione. Charlotte appese la giacca a un attaccapanni, ritirò nel frigorifero il latte, il burro e le uova, poi portò di sopra la valigia e la disfece. Non s'era portata molti vestiti, ma non aveva dimenticato qualche rifornimento alimentare, tè, biscotti, una scatola di prosciutto e una di stufato, formaggio, pomodori pelati e verdura, tanto da arrivare a lunedì, quando sarebbe potuta andare in paese a fare spese. Ma ora, con quello che le aveva procurato la signorina Sharpies, aveva addirittura da scialare. Sistemò abiti e biancheria nella più grande delle due camere, si portò dabbasso le sue scorte alimentari e mise a bollire l'acqua
per farsi una tazza di tè. Lo bevve seduta il più vicino possibile alle splendenti resistenze della stufa elettrica, e mentre il gelo di quella serataccia d'inverno le si scioglieva dalle ossa, le venne fatto di pensare che quello era forse il primo momento di pace che le toccasse da molte settimane. Anche se la paura di ciò che l'aspettava in futuro era ancora molta, il semplice fatto di essere finalmente approdata in quell' appartamentino intimo e tranquillo le pareva un enorme successo. Aveva fatto un progetto e lo aveva realizzato. Quel che sarebbe accaduto in seguito, lo sapeva Dio, ma per il momento era padrona di starsene lì, rilassata, libera di sognare, con la prospettiva di un po' di vacanza e di lunghissimi sonni, se le andava bene. Sempre meglio, sperava, di quanto non avesse dormito negli ultimi tempi. Ma dopo pochi minuti di riposo, cominciò a sentirsi irrequieta, col desiderio di fare qualcosa. Quella smania di muoversi, di agire, l'incapacità di godersi un po' di tranquillità se non in piccole dosi era stata del resto una delle afflizioni che più l'avevano tormentata, in quelle settimane. Cercava di resistere, ma senza troppo successo. E anche quella sera, non appena ebbe finito di bere il suo tè, indossò di nuovo la giacca, prese la torcia elettrica che aveva nella borsa e uscì. Visto che desiderava rivedere al più presto quel Frensham, perché aspettare? Aveva quasi smesso di piovere, ma il terreno era impregnato d'acqua e ben presto lo furono anche le scarpe di Charlotte. Non faticò a trovare il viale d'accesso alla grande casa della quale vide subito le luci non molto distanti. In quel momento, col buio, non se ne distinguevano altro che i contorni, ma dalla sua visita della settimana precedente Charlotte ricordava bene la vecchia casa ricoperta di edera, con le tegole scurite dal tempo e le finestre a battente, il tipo di casa che sembra senza pretese ma che al tempo stesso dà l'impressione della ricchezza. C'era un'auto ferma davanti all'ingresso, una piccola Renault bianca abbastanza malandata. Charlotte aggirò l'ostacolo, raggiunse la porta e stava per suonare il campanello, quando si avvide che il battente era solamente accostato. Tuttavia, riflettendo che questo non l'autorizzava a entrare senza suonare, premette il pulsante. Uno squillo acuto risonò all'interno della casa, ma nessuno andò alla porta. Charlotte suonò di nuovo, e stavolta udì dei passi avvicinarsi quasi di corsa. La porta fu aperta da una donna. «Chi siete?» domandò seccamente. «Che cosa volete?» «Sono Charlotte Cambrey» rispose la ragazza. «Sono appena arrivata a Beech Cottage. Voi siete la signorina Sharpies?»
«Chi? Oh... oh sì, sono la signorina Sharpies.» La donna aveva appena socchiuso il battente e, con la luce alle spalle, era difficile per Charlotte distinguere i suoi lineamenti, ma nell'insieme la ragazza ebbe l'impressione che non rispondesse all'idea che lei aveva di una governante. Tanto per cominciare, era giovane, lo si capiva dalla figura slanciata e ben eretta, anche se il suo viso restava in ombra. «Volevo ringraziarvi per il latte e tutto il resto» disse Charlotte. «E per avere acceso la stufa. È stato un piacere trovare la casa calda. E siete stata molto gentile a pensare persino ai fiori!» «Oh, non dovevate disturbarvi.» La donna aveva una voce profonda, un po' roca, del tipo che può anche essere affascinante ma che in quel momento sembrava soltanto nervosa e impaziente. «E ho portato il denaro dell'affitto» riprese Charlotte. «Ero d'accordo col signor Frensham che avrei pagato in anticipo settimana per settimana.» «Oh, non c'è fretta» osservò la donna. «Potrete farlo un altro giorno.» «Preferisco sistemare la cosa intanto che ci sono» insisté Charlotte. «E poi volevo chiedervi un paio di cose.» «A me?» Quell'idea parve stupirla. «Cosa volete dire?» «Be', dove si trova il negozio più vicino, ad esempio. Mi sareste molto utile.» «Ah, capisco!» mormorò la "signorina Sharpies" con sollievo evidente, facendo un passo indietro e aprendo un po' di più la porta. «Entrate, accomodatevi. C'è un negozio, in paese, dove potrete trovare praticamente di tutto, a circa quattrocento metri da qui, sullo stradone. Molti negozi di Mattingley fanno anche servizio a domicilio. Ci sono negozi molto belli, a Mattingley. Avete la macchina?» «No.» «Bene, c'è un ottimo servizio di autobus. Ne passa uno ogni ora e la fermata è proprio davanti al cancello.» Ora che vedeva la donna in piena luce, Charlotte credette di capire il motivo della sua impazienza. Stava evidentemente per uscire, perché indossava un cappotto grigio con un gran collo di volpe, aveva i guanti e una borsetta sotto il braccio. Non portava cappello e i suoi capelli, lisci e di un biondo pallidissimo, erano raccolti in una crocchia sulla nuca. Aveva occhi grigio chiaro con lunghe ciglia scure, occhi che sarebbero stati bellissimi se non avessero avuto uno sguardo vitreo, assente. Doveva essere sulla trentina e il suo viso dall'ovale perfetto era di un pallore anormale, quasi impressionante, tanto che le labbra, appena ravvivate da un rossetto molto
chiaro, sembravano per contrasto una ferita sanguinante. «Il signor Frensham è in casa?» domandò Charlotte. «Non voglio trattenervi, se state uscendo. Posso pagarlo direttamente a lui, l'affitto.» Mentre parlava, i suoi occhi ispezionavano senza parere il vestibolo, una stanza bassa e quadrata, non molto grande, col soffitto a travi scoperte, pareti verde tenero, moquette verde scuro, un pesante seggiolone di legno intagliato, una cassapanca di quercia, parecchie porte tutte chiuse e un' ampia scala diritta con passatoia uguale alla moquette. Un particolare di quella scala la lasciò perplessa: lungo un lato correva una sorta di stretto binario metallico del quale non riusciva a immaginare lo scopo. «No, è fuori» rispose la signorina Sharpies. «Ma potete pagare a me, se volete, benché, come vi ho detto, non ci sia alcuna fretta.» Charlotte prese dalla borsa sette biglietti da cinque sterline e li tese alla donna. La signorina Sharpies li posò con noncuranza sulla cassapanca. «Bene, desiderate altro?» domandò guardando Charlotte con la palese speranza che si levasse dai piedi. Qualcosa spinse Charlotte a dire: «Se non vi dispiace farmi una ricevuta...» Un brusco solco increspò la levigata fronte della donna, che parve improvvisamente sul punto di perdere le staffe. Ma si controllò subito, la ruga scomparve e il suo viso tornò a essere la maschera inespressiva di prima, mentre lei diceva con voce roca e sommessa: «Ma certo. Aspettate un minuto.» Prese dalla cassapanca il denaro di Charlotte, aprì una porta e disparve. La ragazza approfittò della sua assenza per andare a osservare più da vicino la scala e il suo binario. Vide allora che all'estremità superiore delle rotaie c'era una sedia a rotelle e capì a un tratto di che cosa si trattava. Era una specie di ascensore personale, come ne aveva visti qualche volta in illustrazioni pubblicitarie. Evidentemente c'era un invalido, in quella casa, qualcuno che soffriva di cuore, forse, o che era paralizzato e non poteva fare le scale. Charlotte si domandò chi potesse essere. Il signor Frensham non aveva accennato a nessuno che convivesse con lui, tranne la signorina Sharpies. Per la quale il termine di governante era probabilmente un eufemismo. La suddetta signorina ritornò in quel momento, con un piccolo blocco per ricevute e una penna a sfera. Sedette sulla cassapanca, posò il blocchetto sulle ginocchia e cominciò a sfilarsi i guanti per mettersi a scrivere. Ma
aveva appena sfilato a metà il sinistro, 'quando lo tirò su di scatto e si sfilò soltanto il destro. Quel gesto tuttavia non fu tanto rapido da impedire a Charlotte di intravedere al suo anulare una fede nuziale. Un particolare abbastanza strano per una donna che si faceva chiamare "signorina". «Quanti ne abbiamo oggi?» disse la donna. «Dodici dicembre, vero? E voi, come avete detto di chiamarvi?» «Cambrey. Charlotte Cambrey.» Pareva abbastanza strano anche il fatto che, dopo essersi presa il disturbo di accendere la stufa nel villino e persino di metterle dei fiori in soggiorno, la signorina non conoscesse neppure il suo nome. «Ah sì, certo.» La signorina Sharpies compilò in fretta la ricevuta, staccò il foglietto e lo porse a Charlotte. «Vi basta?» In una grafia sbilenca, a zampa di ragno, c'era scritto: "12 dicembre, ricevuto dalla signorina C. Cambrey 35 sterline, canone settimanale di affitto per Beech Cottage. E. Sharpies". «Benissimo, grazie» disse Charlotte. «E grazie ancora per la vostra premura. Quanto vi devo per il latte e tutto il resto?» «Oh, non preoccupatevi. Non ricordo quanto ho speso. Pensate di restare qui per molto tempo?» «Ho affittato il villino per un mese.» «Che progetti avete per la vostra vacanza?» «Penso di riposare, soprattutto. Non sono stata molto bene, ultimamente.» «Oh, mi dispiace.» La signorina Sharpies pareva a un tratto ansiosa di cancellare la precedente impressione di impazienza, ma era chiaro che stava facendo uno sforzo. «Per riposare, riposerete di sicuro. È un tale mortorio questo posto! Però c'è un medico molto premuroso in paese, nel caso ne aveste bisogno. È il dottor Maynard.» «Grazie, ma mi auguro proprio di non dover ricorrere al suo aiuto.» «Be', probabilmente lo conoscerete in ogni caso, sono tutti amici, qui.» La signorina Sharpies si alzò, infilandosi il guanto che si era tolto. «Ma probabilmente voi non desiderate compagnia.» «Per essere sincera, è un particolare al quale non ho pensato affatto.» «Bene, se posso esservi utile in qualche cosa, fatemelo sapere.» La signorina Sharpies sorrise ma fu buona volontà sprecata perché come risultato non ottenne altro che una smorfia. Dopo averla ringraziata di nuovo, Charlotte se ne andò. E stavolta la porta si richiuse con un colpo secco alle sue spalle. La ra-
gazza era all'incirca a metà del viale quando la Renault bianca l'oltrepassò rombando e schizzandole sulle gambe uno spruzzo di fanghiglia. Poi svoltò nella strada senza neppure rallentare quel tanto che potesse bastare al guidatore per accertarsi che non sopraggiungesse qualche altra macchina. Prima che Charlotte fosse in fondo al viale, l'auto era sparita in direzione di Mattingley. Proseguendo verso il suo villino, la ragazza si domandò se la signorina Sharpies avesse lasciato definitivamente il signor Frensham per raggiungere un marito sposato di recente, il che avrebbe spiegato l'esistenza della fede nuziale, o se questa fosse soltanto un espediente di fine settimana, da usare per occasionali scappatelle. Una cosa tuttavia era indiscutibile: quella donna era spaventata a morte. L' evidente tensione, l'estremo pallore, lo sguardo che pareva non vedere erano segni inequivocabili di una paura terribile. Quando rientrò nel suo villino, Charlotte si tolse le scarpe bagnate, si infilò un paio di pantofole da camera e si sedette in una poltroncina di vimini, accanto alla stufa elettrica. Si sentiva a un tratto mortalmente stanca. Fra un po', pensò, avrebbe aperto la scatola di stufato, lo avrebbe messo a scaldare e si sarebbe fatta un'altra tazza di tè, ma non c'era fretta. Tuttavia, non restò seduta per molto. L'irrequietezza che la tormentava da qualche tempo la spinse ben presto ad alzarsi e ad avvicinarsi allo scaffale dei libri per vedere che cosa s'era lasciato dietro il suo predecessore. Erano soltanto romanzetti, certamente non più apprezzabili di quello che lei aveva comprato alla stazione di Paddington. Si rammaricò che nel villino non ci fossero né radio né televisione: sentiva il bisogno di qualcosa che rompesse il greve silenzio della stanza. Se avesse fatto le valigie meno di furia, le sarebbe venuto in mente di portarsi la sua radiolina. Forse, pensò, sarebbe stata una buona idea andare a Mattingley, lunedì, e prendere un televisore a nolo per un mese. Frattanto, era meglio prepararsi la cena. Andò in cucina, aprì il barattolo e versò lo stufato in un tegame. Quando fu caldo, versò in un piatto l'intruglio dal profumo non eccessivamente appetitoso e, dopo aver scoperto una forchetta e un coltello, tagliò una fetta del pane procuratole dalla signorina Sharpies e si portò il tutto in soggiorno. Ma aveva appena cominciato a mangiare, quando udì il cigolio del cancello, subito seguito da un trapestio di passi affrettati davanti alla sua porta e da colpi frenetici del picchiotto. A tutta prima la ragazza non si mosse. Quando aveva affittato il villino, vedendo quanto fosse isolato, si era ripromessa di non aprire la porta a
nessuno che non conoscesse, la sera. Ma i colpi alla porta si ripeterono, accompagnati questa volta da un'agitatissima voce femminile. «Signorina Cambrey! Signorina Cambrey, aprite, aprite per favore!» Charlotte posò il piatto, si alzò e andò ad aprire. Sulla soglia c'era una donna piccola e grassoccia, in cappotto blu elettrico e cappello di feltro della stessa tinta da cui sfuggivano corti riccioli grigi che incorniciavano una faccia paffuta, pallida e sconvolta. «Signorina Cambrey... "siete" la signorina Cambrey, vero?» La donna entrò barcollando. «Oh, meno male che vi ho trovata in casa! Avevo bisogno di parlare con qualcuno! Non so che cosa fare, capite? Non sono capace di cavarmela in situazioni simili. Ho perduto la testa. "Emily" mi diceva sempre il signor Frensham, "dovete imparare a stare calma. Siete una donna meravigliosa, ma basta che una cosa da niente vada storta per farvi perdere la testa." Proprio così. "una donna meravigliosa" diceva, capite? E adesso se n'è andato! Oh, povera me!» Crollò su una sedia e scoppiò in singhiozzi disperati. Confusa e allibita. Charlotte non seppe fare altro che batterle su una spalla qualche colpetto impacciato. «Ma chi siete?» domandò. «Che cosa è accaduto?» «Ma sono la signorina Sharpies, mia cara, la governante del signor Frensham!» La donna sollevò verso Charlotte gli occhi colmi di lacrime. «Sono tornata a casa poco fa... Era il mio giorno di libertà, sapete, ed ero andata a Mattingley, da mia sorella... Bene, sono rientrata e l'ho trovato lì. Morto, signorina Cambrey. Morto stecchito. È là in salotto con la testa sfasciata e sangue dappertutto. Una cosa orribile! Oh, credevo di morire dallo spavento. Non posso resistere a spettacoli simili, io! E l'ascensore si è rotto, così la signora Frensham non può scendere! È là in cima alla scala, a gridarmi di chiamare l'elettricista. Ma ci pensate? Il signor Frensham è lì morto ammazzato e la signora Frensham continua a gridarmi di chiamare l'elettricista! So bene che dovrei chiamare qualcuno, ma non l'elettricista, vi pare? In un momento simile! Non riesco a pensare. Non so che cosa fare. Perciò sono venuta da voi. È giovane, ho pensato, non perderà la testa, lei, e saprà arrangiarsi col telefono. I giovani sono in gamba col telefono, stanno a parlare per ore. Ma a me sembra di non poter capire quel che gli altri dicono, al telefono. Oh, vi prego, signorina, venite a casa con me, per favore, e telefonate alla polizia. Dobbiamo telefonare alla polizia, vero? E al medico, certo. Dobbiamo farli venire qui il più presto possibile.»
2 Il primo pensiero di Charlotte, un pensiero labile e fugace che svanì ancora prima di avere preso consistenza, fu che se Edgar Frensham era morto, tanto valeva che lei rifacesse la valigia e se ne tornasse a Londra col primo treno. Il secondo fu il rimpianto di non aver messo nella valigia una bottiglia di whisky. La signorina Sharpies tremava come una foglia, ora, tanto da far cigolare la sedia, e un generoso sorso di alcol le avrebbe fatto bene. Ma Charlotte beveva assai di rado quand'era sola e non si era aspettata di ricevere visite il giorno stesso del suo arrivo al villino. Dove purtroppo non c'era neppure il telefono, che le avrebbe consentito di chiamare medico e polizia senza ulteriori ritardi. Infilò in fretta la giacca, si rimise le scarpe e prendendo la torcia elettrica, esortò la signorina Sharpies ad alzarsi. «Coraggio, signorina, andiamo. Ce la fate? O preferite restare qui a riposarvi?» «No, no, cara, sto benissimo. È stato soltanto lo choc. Ve l'immaginate? Tornare a casa pensando di mettermi a cena e trovare...» Le mancò il respiro. Quando si alzò, ansimava un poco. «E poi il guaio con l'ascensore... Non si era mai guastato una sola volta... E la signora lassù che urlava, urlava e io che non sapevo che cosa dire! Sono andata di sopra, da lei, e le ho detto: "È accaduta una cosa terribile" le ho detto. "Dovreste mettervi a letto e restarvene lì tranquilla mentre chiamo il dottor Maynard". Non avevo il coraggio di dirle che cosa era accaduto, capite, e lei continuava a gridare per l'ascensore. È fatta così. Quando comincia a gridare per qualcosa, è capace di continuare per ore e mi dice cose spaventose, anche se so benissimo che non le pensa veramente. Allora ho cercato di telefonare al dottor Maynard, ma mi ha risposto soltanto la segreteria telefonica, dicendomi dove potevo raggiungerlo, una cosa che mi scombussola sempre. Fa un effetto così strano sentire quella voce che vi dice che cosa dovete fare e voi non potete rispondere o fare domande! Così ho pensato di venire da voi. Spero di non avervi disturbata troppo, cara. Mi è sembrata la soluzione migliore.» Charlotte la prese sottobraccio e si avviò con lei verso la porta. «La signora Frensham è la moglie del signor Frensham?» domandò mentre si incamminavano nel buio. «Non sapevo che fosse sposato.» «No, è la sua matrigna. È molto vecchia. E molto, molto ricca. È lei la padrona della casa, dei villini e di tutto il resto, ma si vogliono molto bene,
come se fossero proprio madre e figlio. Lui badava alla tenuta e tutto quanto, e qualunque cosa si possa dire sul suo conto, non si può negare che sia stato così buono e affettuoso con lei, da quando ha avuto quel colpo ed è rimasta paralizzata a tutto un lato della persona. È stato lui che ha pensato a farle installare l'ascensore, altrimenti non sarebbe più riuscita a scendere al pianterreno.» «Sono tanti i villini?» s'informò Charlotte. «Eh sì, un tempo era una fattoria vastissima, prima che il padre della signora Frensham vendesse buona parte della terra. Ma le casette per i dipendenti della fattoria erano molte e sono state rimodernate tutte. Ora le affittano per periodi variabili, che possono essere di qualche settimana o di molti mesi, come quello della signorina Bird, a esempio. Credo the abiti qui da circa due anni. Il signor Havershaw abita qui da un anno e la signora Neville da più di tre mesi. Poi ci sono il signore e la signora Grainger, che hanno affittato anche loro per tre mesi. Certo, forse avrei dovuto andare da qualcuno di loro, dato che li conosco più di quanto non conosca voi, ma voi eravate la più vicina.» Barcollando sui tacchi troppo alti, la signorina Sharpies era in difficoltà per evitare una pozzanghera illuminata dalla torcia elettrica. «Avevo avuto una giornata così bella» riprese dopo aver superato l'ostacolo. «C'era anche mio nipote con la moglie e abbiamo preso un bel tè tutti assieme, poi Tom mi ha riportata a casa in macchina. Se almeno fosse entrato con me! Avrebbe pensato lui a tutto, è un ragazzo così in gamba! Forse sarebbe riuscito persino a rimettere in sesto l'ascensore, dato che se ne intende anche di elettricità, lui. Invece mi ha lasciata al cancello e se n'è andato. Ma chi poteva mai immaginare una cosa simile!» «C'è un'altra signorina Sharpies, oltre a voi?» indagò Charlotte. «Avete forse una nipote o una cugina...» «Ma no, mia cara, ci sono soltanto io. Mia sorella è sposata e si chiama Cartwright. E anche Tom si chiama così, naturalmente. Perché me lo domandate?» «Niente... Così...» svicolò la ragazza. Intanto avevano raggiunto il viale. Pareva che facesse più freddo, ora. Il cielo si era un po' schiarito e fra le nubi appariva persino qualche stella, ma l'aria era ancora impregnata dell'odore di terra ed erba bagnate, e nel buio echeggiavano in continuazione i tonfi delle gocce di pioggia che si staccavano dai rami. Nella grande casa erano accese molte più luci di prima: pareva quasi illuminata per una festa.
La signorina Sharpies aprì la porta, poi si fece da parte per lasciar entrare per prima Charlotte. «Chi c'è?» domandò una voce stridula. «Sono io... Emily» rispose la signorina Sharpies avvicinandosi alla scala e guardando verso l'alto. Guardò in su anche Charlotte e vide la sedia ferma all'altezza del pianerottolo, come l'aveva vista prima, ma il pianerottolo era deserto. «Chi c'è con voi?» domandò ancora la voce. Proveniva da una delle porte del vestibolo, che era chiusa, quando Charlotte era stata lì, ma che ora era spalancata. La signorina Sharpies si precipitò da quella parte, ma si fermò di colpo, come se avesse urtato contro un ostacolo. «Oh, non posso entrare» gemette con voce tremante. «È più forte di me. Ma che ci fate lì, signora Frensham?» domandò poi alzando il tono. «Come avete fatto a scendere?» «Sul sedere» rispose la voce. «Questo riesco ancora a farlo, anche se ci vuole un sacco di tempo. Non sono del tutto invalida. E voi dove siete stata, sciocca, piantandomi qui da sola per tutto questo tempo?» «Sono andata soltanto a cercare aiuto. Non immaginavo davvero che sareste scesa!» La signorina Sharpies stava facendo segni frenetici a Charlotte perché entrasse nella stanza. «Ho portato con me la signorina Cambrey, l'inquilina di Beech Cottage. Ci darà una mano a telefonare alla polizia e tutto quanto il resto.» Charlotte si avvicinò alla porta aperta, con il cuore che le batteva con tale violenza da farle male. Non era la prima volta che vedeva un cadavere, ma non aveva mai visto nessuno morto di morte violenta e per quanto fosse abbastanza preparata a quel che l'aspettava, una sorta di atavica paura di ciò che sarebbe stata costretta a vedere le dava la sensazione di non riuscire più a reggersi sulle gambe. Ma niente di tutto questo traspariva all'esterno. Solamente i suoi occhi divennero enormi e parvero diventare più scuri quando inquadrarono la scena: per il resto, Charlotte seppe mantenere il perfetto controllo di sé. Era la sua reazione normale di fronte a una catastrofe improvvisa, una sorta di freddezza che a suo modo poteva essere molto utile, benché la ragazza sapesse bene che in seguito l'avrebbe pagata a carissimo prezzo. Anche quella stanza, come l'atrio, era bassa e quadrata, con un ampio camino dove grossi ceppi erano stati sistemati ma non accesi. La stanza tuttavia era molto calda, grazie a due grandi radiatori. E c'erano troppi mo-
bili, per la maggior parte di mogano scuro e lucente, insieme con una quantità di ritratti alle pareti, tutti raffiguranti dame e gentiluomini rigidi e un po' legnosi in costumi e parrucche del Settecento. Il pavimento era ricoperto di un grande tappeto color avorio e le tende, che non erano state accostate, erano di pesante velluto rosa antico. Tutte le luci erano accese e il loro intenso riverbero dava al sangue sparso sul tappeto un raccapricciante splendore. L'uomo cui quel sangue apparteneva era allungato al centro della stanza, le braccia spalancate, un lato del viso affondato nel tappeto e l'altra metà resa irriconoscibile da una sorta di maschera fatta di ossa fratturate e materia cerebrale. In una poltrona accanto, una signora molto vecchia fissava intensamente il cadavere con un'espressione di pensosa curiosità. Doveva avere almeno novant'anni, pensò Charlotte, e doveva essere stata molto alta. Ma ora, così rinsecchita e accartocciata nella poltrona, sembrava ridotta a niente più che un ciuffetto di umanità. Le mani, deformate dall'artrite, reggevano due stampelle di alluminio, l'esile persona era avvolta in una vestaglia imbottita color porpora, agli orecchi le splendevano orecchini di diamanti. Nel viso lungo, spento e grinzoso, dal naso e dal mento appuntiti, soltanto gli occhi, neri, enormi e fierissimi, erano ancora vivi, e lei pareva non sapesse staccarli dalla figura distesa sul tappeto, quasi temesse che se ne avesse distolto lo sguardo, anche per un momento solo, lui avrebbe potuto escogitare qualche sgradevole scherzo. «Voi potete pure andarvene» disse la vecchia con una fugacissima occhiata a Charlotte. «Non abbiamo alcun bisogno di voi. Ho già chiamato io il dottor Maynard, che penserà ad avvertire la polizia. Saranno qui fra poco.» Charlotte, sconvolta dalla nausea, desiderava ardentemente andarsene al più presto da quella stanza, ma si sentì in dovere di dire: «Me ne vado subito, se volete, però debbo avvertirvi che potrei riferire alla polizia qualcosa che mi sembra molto importante.» «Oh, davvero? Siete anche voi uno dei soliti ficcanaso sempre alla disperata ricerca di sensazioni! Che cosa potete mai avere da riferire alla polizia? Conoscevate mio figlio?» «Gli ho parlato una volta sola, quando sono venuta per prendere in affitto il villino.» «E allora? Andate, andate pure. Possiamo sbrigarcela perfettamente anche senza di voi. Siete troppo giovane per poter essere di qualche utilità. Chissà dove aveva la testa Edgar, quando vi ha affittato il villino!»
«Ma cara, non è gentile da parte vostra trattare così la signorina!» s'intromise la governante che, pur avendo trovato: il coraggio di avanzare di qualche passo nella stanza, evitava con la massima cura di guardare il morto. «È venuta qui soltanto perché sono andata io a chiamarla. Non pensavo davvero che sareste potuta scendere, senza l'ascensore, e non me la sentivo di dirvi che cosa era accaduto. Così, siccome non so cavarmela troppo bene col telefono, sono andata a chiamare la signorina Cambrey, che è stata così gentile da venire qui con me. Ma adesso venite via di lì. Non vi fa bene. È una cosa morbosa. Venite, vi accompagno nello studio, poi vi porto un bel bicchiere di whisky. Ne avete voglia, vero? Su, andiamo.» Si avvicinò alla signora Frensham, la prese per un braccio per aiutarla ad alzarsi, ma la vecchia se la scrollò di dosso, battendo con forza sul pavimento una stampella. «E lasciatemi stare!» gridò. «So farcela da sola. La volete capire che non sono ancora invalida del tutto?» Poi guardò di nuovo Charlotte. «Vi intendete di elettricità?» «Un po'.» «Allora andate a dare un'occhiata nell'armadietto dietro la scala e vedete se riuscite a scoprire perché il mio ascensore non funziona. È chiaro che qualcuno l'ha messo fuori uso di proposito, per impedirmi di scendere e cogliere sul fatto l'assassino di Edgar. Per quanto avrebbe potuto risparmiarsi la fatica, perché dormivo come un tasso e mi sono svegliata soltanto quando Emily ha fatto tutto quel baccano, come se fosse impazzita. Prima non avevo sentito assolutamente niente. Suppongo che se mi fossi svegliata e fossi scesa prima, l'assassino avrebbe fatto fuori anche me. Non sarebbe stata una gran perdita per nessuno, del resto. Ormai sono soltanto un peso per tutti, me compresa, mentre la mia morte sarebbe di qualche utilità, almeno per quelli che erediteranno il mio denaro. Gente che sarà felice, quando io me ne andrò all'altro mondo» concluse la signora con una risatina sinistra. «Bene, ma venite, ora» insistette la signorina Sharpies, prendendo di nuovo la vecchia per un braccio e aiutandola ad alzarsi in piedi con una forza che nessuno avrebbe sospettato in lei. L'altra stavolta la lasciò fare, come se avesse dimenticato le proprie proteste di poco prima. «La signorina Cambrey andrà a guardare nell'armadietto e io intanto vi porterò un bel bicchiere di whisky. Il dottor Maynard sarà qui da un momento all'altro, ormai.» Non appena fu in piedi, la signora Frensham si appoggiò saldamente alle stampelle e, zoppicando sbilenca, si avviò verso la porta.
«Sarà meglio che lo portiate anche a questa figliola, un bel bicchiere di whisky» disse. «Ne ha bisogno, lo si vede lontano un miglio. Non ha fegato. I giovani d'oggi non hanno più fegato. Tutti molli come cenci.» Charlotte trovò l'armadietto dietro la scala, lo aprì e prese a esaminare l'agguerrito schieramento di valvole e interruttori. Provò a premerne uno che si trovava di lato, accanto allo sportello, e all'interno dell'armadietto si accese una lampadina. Scoprì allora che ogni interruttore era contrassegnato da un'etichetta: impianto principale, campanello, luci esterne, caldaia... E finalmente trovò quello dell'ascensore. Mentre tutti gli altri avevano la leva abbassata, quella dell'ascensore era alzata. Charlotte non la toccò. Spense la luce, richiuse lo sportello e raggiunse a sua volta la stanza nella quale stava entrando in quel momento la signora Frensham, che aveva impiegato tutto quel tempo per attraversare l'atrio. Era una stanzetta modesta, arredata con una scrivania e una poltroncina di tipo svedese piuttosto malandata, due schedari di metallo verdastro, due strambe poltrone in tubo di ferro e corde di plastica del tipo senza gambe posteriori che fanno sembrare l'occupante sospeso a mezz'aria, alcuni quadri astratti dai colori lividi, e tende color porpora che la signorina Sharpies stava accostando. Il denaro che Charlotte aveva consegnato alla sua sedicente omonima qualche ora prima era ancora lì sulla scrivania. «Detesto questa stanza» brontolò la signora Frensham calandosi con circospezione in una delle poltroncine di plastica. «Che bisogno aveva di un ufficio! Per i grandi affari che trattava, sarebbe stato più che sufficiente quel bello scrittoio antico che gli avevo regalato io!» Guardò Charlotte. «Avete individuato il guasto?» «Credo che non ci sia nessun guasto» rispose la ragazza. «A quanto ho visto, l'ascensore non funzionava soltanto perché qualcuno aveva staccato l'interruttore.» «Lo avete rimesso a posto?» «No, ho pensato che fosse meglio lasciare le cose come stanno, fino all'arrivo della polizia.» «Avete fatto bene» riconobbe la signora, ma lo disse imbronciata, mentre i suoi fieri occhi neri scrutavano il viso della ragazza. Si comportava come se fosse in preda a una sorda collera, rifletté Charlotte, invece che addolorata per la morte del figliastro. Sembrava offesa per quel brusco sconvolgimento delle sue abitudini, più che scossa o angosciata da quella fine crudele. Echeggiò lo squillo di un campanello.
«Dev'essere Ralph Maynard» disse la signora. «Andate ad aprire, Emily.» Ma la governante se n'era già andata, probabilmente a prendere il whisky che aveva promesso alla padrona. «Vado io» si offrì Charlotte, avviandosi all'ingresso. Il nuovo arrivato era un uomo sui cinquant'anni, che indossava un cappotto di tweed e un cappello di feltro. Quando si tolse il copricapo, mise in mostra un cranio quasi calvo, malamente mimetizzato da una fascia di radi capelli neri incollati trasversalmente. Il viso tondo e simpatico aveva un'espressione cordiale, con vispi occhietti grigi che parevano inclini ad ammiccare, ma che in quel momento erano colmi di preoccupazione. Alle sue spalle, nel viale, era ferma una Jaguar. «Sono il dottor Maynard» disse l'uomo. «Mi ha fatto chiamare la signora Frensham.» «Entrate, prego. Io sono Charlotte Cambrey e abito al Beech Cottage. Mi ha portata qui la signorina Sharpies perché le dessi una mano.» «Dov'è?» «La signorina Sharpies?» «No, no, la signora Frensham.» La "signora" Frensham, disse. Voleva vedere lei, non il cadavere. Entrò, si tolse il cappotto e con un gesto familiare lo depose insieme al cappello sul seggiolone di quercia, come se fosse abituato a farlo, poi guardò interrogativamente Charlotte. La ragazza lo accompagnò nella stanza dov'era la signora Frensham, che gli tese subito la mano. Il dottore la prese, inchinandosi leggermente, e la premette fra le proprie. «Una disgrazia terribile» mormorò. «Incredibile!» Senza accennare a ritirare la mano, la signora lo guardò con un sorriso quasi civettuolo. «Oh, non tanto incredibile! Sono cose che accadono con una certa frequenza, di questi tempi. Se ne leggono ogni giorno sui giornali. È che non si pensa mai che possa capitare a qualcuno di noi.» «È stato un tentativo di furto? Qualcuno è entrato in casa ed Edgar l'ha colto sul fatto?» «Non lo so, non abbiamo ancora controllato se manca qualcosa. Ma chiunque sia stato, pare che conoscesse molto bene la casa, perché si è preso il disturbo di staccare l'interruttore del mio ascensore per impedirmi di
scendere al pianterreno. Io poi sono riuscita a scendere lo stesso, ma ho dovuto mettermi a sedere e scivolare di gradino in gradino, facendomi un male d'inferno e impiegando un'eternità. Così quello mi ha sentita scendere e ha avuto tutto il tempo di tagliare la corda, dato e non concesso che fosse ancora qui.» «Quindi non sapete quando è accaduto?» «No.» «Non avete udito rumore?» «No, dormivo.» «E la signorina Sharpies?» «Non c'era. Il sabato ha il pomeriggio libero ed era andata a Mattingley da sua sorella.» «Anche questo starebbe a dimostrare che l'assassino conosceva le abitudini della casa, a meno che non l'abbia tenuta d'occhio per qualche tempo o non abbia raccolto informazioni in paese. Chissà quanta gente sa che vi siete fatta installare quell'ascensore e che siete quasi sempre in casa. Be', ora posso...» Il medico s'interruppe con un imbarazzato colpetto di tosse. «Posso andare a dargli un'occhiata?» «Oh sì, grazie, Ralph! È in salotto.» Il dottor Maynard era uscito da pochi secondi quando rientrò la signorina Sharpies con un vassoio carico di bottiglie e bicchieri. Si era ripettinata con cura i capelli grigi, aveva indossato un severo abito da casa di jersey grigio con collettino bianco e aveva sostituito le scarpe dai tacchi alti con un paio di pantofoline rosa foderate di pelliccia. Posò il vassoio sulla scrivania. «So come lo prendete voi, cara» disse rivolgendosi alla signora Frensham, mentre versava in un bicchiere whisky puro. «Ma voi, signorina Cambrey? Soda o acqua?» «Acqua, per favore.» «Ho portato un bicchiere anche per il dottor Maynard» riprese Emily preparando il whisky per Charlotte. «E mi sono bevuta anch'io un goccetto di sherry, mentre ero di là. Avevo proprio bisogno di qualcosa di forte e preferisco lo sherry al whisky. Questa roba forte che piace a voi mi allega i denti. Non fa proprio per me.» «Dio, quanto chiacchierate!» esclamò la signora Frensham. «Sedetevi dunque, visto che vi ostinate a restare qui» aggiunse poi rivolgendosi a Charlotte. «E sedete anche voi, Emily. La polizia vorrà parlare con tutti noi.»
La polizia, pensò Charlotte sedendo e ripassando con la mente quello che doveva ricordarsi di dire. Un guanto abbassato a metà e poi rimesso a posto rapidamente, ma non tanto da impedirle di vedere una fede nuziale... Non doveva assolutamente trascurare quel particolare. Il dottor Maynard tornò dal salotto. Il suo viso aveva ora un' espressione strettamente professionale, cortese ma distaccata. Pregò la signorina Sharpies di mettergli un po' di soda nel whisky, prese il bicchiere e lo vuotò quasi tutto d'un colpo solo. «Non l'ho toccato, naturalmente» disse, «tranne che per sentire la temperatura della pelle. Direi che è morto da un'ora, forse più. Ma questo lo accerterà Robart, il medico legale di Mattingley. Io non ho molta esperienza in questo campo, ma direi che gli hanno sparato quasi a bruciapelo. Povero figliolo! Così pieno di vita, così forte e giovane, per la sua età!» «Non pensate che possa trattarsi di suicidio?» domandò la signora Frensham. «Non ho visto armi in giro, ma naturalmente potrebbe essercene una nascosta sotto il cadavere. Tuttavia mi sembra un po' difficile che si sia sparato restando in piedi al centro della stanza, come avrebbe dovuto fare per cadere dov'è caduto. Sarebbe stato più logico che si fosse seduto alla scrivania e fosse poi crollato in avanti. Ma come mai me lo chiedete? Aveva delle difficoltà, che voi sappiate, o aveva accennato qualche volta al suicidio?» «No» rispose la vecchia sorseggiando il suo whisky. «Ma mi aveva dato parecchio da pensare negli ultimi tempi. Faceva cose strane. Non in senso suicida, no, tutt'altro, anzi. Sembrava elettrizzato, come se fosse in attesa di qualcosa. Voi lo conoscevate bene, Ralph. Non avete mai notato niente di... strano, in lui?» «Direi proprio di no.» La vecchia sospirò. «Be', alla mia età forse si diventa inclini alle fantasie. Per essere sincera, devo dire che negli ultimi tempi mi faceva persino un po' paura, a volte. Come vanno le cose, a questo mondo!» Parve che quell'idea la colmasse di una sorta di triste soddisfazione. Il campanello squillò di nuovo. «Dev'essere la polizia» disse il dottore e bevve l'ultimo sorso di whisky. «Vado io.» Sulla soglia c'erano soltanto due poliziotti, ma ben presto si aggiunse a loro un nugolo di persone: altri poliziotti, fotografi che cominciarono subito a sparare lampi, esperti di impronte digitali che cosparsero tutto quanto
di, polverina gialla, il medico legale di Mattingley, che si soffermò nell'atrio a chiacchierare con Maynard, suo vecchio amico, mentre un'ambulanza con due uomini a bordo veniva a fermarsi nel viale in attesa di ordini. Il poco che Charlotte poté afferrare della conversazione fra i due medici riguardava la partita di golf che loro avevano in programma per la mattina dopo e alla quale, che peccato!, il povero Frensham non avrebbe potuto partecipare. Il capo di tutta la banda pareva essere Barr, sovrintendente del reparto investigativo, un uomo alto almeno un metro e ottantacinque, con spalle larghe come un armadio che, nonostante la sua relativa magrezza, lo facevano apparire quasi un colosso. Nel viso quadrato e colorito, dai lineamenti pronunciati, brillavano gli occhi grigi e fermi. Dopo pochi minuti, il sovrintendente si stabilì in sala da pranzo, una stanza con pareti tappezzate di rosso, tappeto dello stesso colore, un grande specchio con la cornice dorata sopra il camino e un lampadario di cristalli appeso sopra un grande tavolo rotondo di quercia. Là interrogò per primo il dottor Maynard, poi la signora Frensham, la signorina Sharpies e infine Charlotte, mentre un sergente seduto accanto a lui prendeva appunti. Quando, dopo un'attesa che le parve interminabile, venne il turno di Charlotte, Barr cominciò col chiederle nome e indirizzo, poi, appoggiandosi allo schienale della sedia e fissandola con quei suoi occhi fermi e penetranti, che l'indussero a pensare che avrebbe rammentato ogni minimo particolare del suo aspetto finché non fosse morto, le domandò: «E che cosa ci fate qui?» «Qui in questa casa, volete dire, o a Mattingley?» ribatté lei. «L'uno e l'altro» rispose il sovrintendente. «Cominciamo da Mattingley. Che cosa vi ha condotto qui?» «Avevo bisogno di un periodo di riposo. Ero momentaneamente disoccupata perché il mio datore di lavoro è morto di recente e ho voluto riposarmi un po', cambiare aria, prima di cercare un altro posto. Avevo messo da parte un po' di denaro, perciò potevo prendermela comoda. Così, avendo visto su un giornale l'offerta di un villino arredato, ho telefonato al numero di telefono pubblicato sotto l'annuncio, che era quello del signor Frensham, e mi sono accordata per venire a vedere il villino. Era proprio quello che cercavo, così l'ho affittato per un mese e oggi sono venuta a prenderne possesso.» «Capisco.» Barr fece una pausa. «Non mi sembra la stagione più indicata per una vacanza. Un posto un po' solitario e un po' troppo tranquillo, di-
rei, per una ragazza della vostra età.» «A volte si ha bisogno proprio di questo.» «A che ora siete arrivata?» «Ho preso il treno delle quattro e dieci a Paddington, sono arrivata a Mattingley alle cinque e mezzo, alla stazione ho preso un taxi e sono arrivata qui verso le sei.» «È stato il signor Frensham ad aprirvi il villino?» «No, sono entrata da sola. Mi aveva dato le chiavi, la settimana scorsa, dopo che avevo firmato una sorta di contratto.» «Allora non lo avete visto, stasera?» «No. Almeno finché... finché la signorina Sharpies non è venuta a chiamarmi e mi ha portata qui. Quando l'ho visto...» «Era morto. Eh sì.» Il sovrintendente annuì soprappensiero, prima di proseguire. «La signorina ci ha raccontato com'è andata. Sicché lo avete visto quell'unica volta, quando siete venuta per affittare il villino?» «Esatto.» Non era proprio la verità, ma Charlotte non ritenne che fosse il caso di aggiungere altro, per il momento. «È tutto quello che sapete di lui? Gli avete parlato per telefono in risposta a un annuncio, siete venuta qui, lui vi ha mostrato il villino e vi ha dato le chiavi. Nient'altro?» «No. Però stasera ero già venuta qui in casa» aggiunse in fretta Charlotte «ed è accaduta una cosa abbastanza strana.» «Siete stata qui prima che la signorina Sharpies venisse a chiamarvi?» «Sì.» «Come mai?» «Volevo ringraziarla perché mi aveva comprato pane, burro eccetera e mi aveva acceso il fuoco, per farmi trovare la casa calda. Il signor Frensham mi aveva parlato della sua governante, così ho pensato che fosse stata lei a preparare tutto. Quando sono venuta qui, una donna che ha detto di essere la signorina Sharpies mi ha aperto la porta e mi ha fatta entrare... cioè la porta era già aperta e nel viale c'era un'auto, una Renault bianca... ma quella donna è venuta alla porta quando ho suonato il campanello, e quando le ho detto chi ero e perché ero venuta, mi ha fatto entrare e quando le ho consegnato il denaro per l'affitto di una settimana, mi ha dato una ricevuta firmata "E. Sharpies". Solo che non era affatto la signorina Sharpies, era una donna ben diversa.» L'espressione impassibile del sovrintendente non mutò d'un filo mentre lui diceva: «Ah, molto interessante! E quella ricevuta, l'avete con voi?»
Charlotte frugò nella borsa e tirò fuori il foglietto che la sconosciuta le aveva dato. Il sovrintendente lo prese, l'esaminò attentamente poi lo posò sul tavolo. «Siete certa che non potesse essere la signorina Sharpies?» domandò poi. «Non potreste esservi sbagliata?» «Oh no! Non le assomigliava per niente» fu la pronta risposta. «Quell'altra era giovane, sui trent'anni al massimo, e molto bella, con lunghi capelli biondi a crocchia e un elegantissimo cappotto grigio con il collo di volpe. Era vestita di tutto punto, con borsa e guanti, come se stesse per uscire. E a proposito dei guanti, ho notato una cosa strana. Quando si è trattato di scrivere la ricevuta, aveva cominciato a sfilarsi il sinistro, poi lo ha rinfilato di colpo e si è tolta soltanto il destro, ma ho fatto in tempo a vedere che portava la fede nuziale. Naturalmente mi è sembrato strano vedere una fede nuziale al dito di una donna conosciuta come "signorina" Sharpies, ma non mi ha neppure sfiorato il sospetto che non fosse lei.» «Molto interessante» ripeté Barr. «Che ora era?» «Circa le sei e mezzo, credo. Appena arrivata al villino, mi sono fatta una tazza di tè, poi sono venuta subito qui.» «Quella persona non vi ha detto niente riguardo al signor Frensham?» «Ha detto che era uscito e che avrebbe pensato lei a consegnargli il denaro.» «Avete notato nient'altro di strano, oltre all'anello?» «Oh sì, mi è sembrato molto strano tutto il suo modo di fare. Era pallida come un cadavere e sembrava agitatissima, come se fosse spaventata o avesse una gran fretta. Ma più che altro spaventata, direi.» «Non avete visto la signora Frensham?» «No, credo che dormisse ancora.» «Non siete entrata in salotto?» «No, sono rimasta sempre nell'atrio e tutte le porte erano chiuse.» «Sicché non potete dire se a quell'ora il signor Frensham era già morto o no.» «No, ma a metà del viale, quando me ne sono andata, sono stata sorpassata a velocità pazzesca dalla Renault bianca, che poi ha svoltato in direzione di Mattingley.» «E al volante c'era quella donna?» «Sì.» Barr rifletté un momento, passandosi un dito lungo la mandibola tagliente.
«La riconoscereste, se vi capitasse di vederla?» «Penso di sì.» «Sapete che ne ha fatto del denaro che le avete dato?» «L'ha portato di là nello studio, la stanza dove c'è la cassaforte, e dove era andata a prendere carta e penna per la ricevuta. È ancora là sulla scrivania.» «È andata direttamente in quella stanza o ha aperto qualche altra porta, prima?» «No, è andata là direttamente.» «Quindi conosceva la casa, sapeva che quello era lo studio. Chissà se conosceva anche la combinazione della cassaforte! Sarà un bel rompicapo, quello. Ci vorrà un esperto per aprirla, anche se la signora Frensham sostiene che secondo lei non deve esserci dentro niente, che non c'erano in casa né valori né documenti che dovessero essere custoditi in cassaforte. Dice che il suo figliastro la teneva soltanto per darsi delle arie. Può anche essere. A voi che impressione ha fatto, signorina Cambrey? Vi è sembrato il tipo che pur non avendo niente di importante da fare, salvo che occuparsi dell'affitto dei villini, volesse far credere di essere un grande uomo d'affari?» «È un problema che non mi sono posta» mormorò Charlotte abbassando gli occhi per non essere costretta a incontrare lo sguardo scrutatore del sovrintendente. «Bene, grazie per l'aiuto» disse finalmente Barr. «Resterete al villino?» «Penso di sì.» «Un consiglio da amico: non aprite la porta a sconosciuti, di sera.» Considerando quelle parole come un congedo, Charlotte si alzò. «Posso tornare al mio villino, ora, o volete che rimanga ancora qui?» domandò. «Non c'è motivo perché non dobbiate tornarvene a casa, se lo desiderate. Ma se decideste di andarvene da Mattingley, fatecelo sapere, per favore.» Con un lieve cenno di assenso, Charlotte uscì dalla sala. Ma non tornò in studio, dov'erano la signorina Sharpies e la signora Frensham. Infilò la porta e se ne tornò al villino. Lo stufato che aveva appena cominciato a mangiare quando era piombata da lei la signorina Sharpies, si era ormai raggelato sul piatto e aveva assunto un aspetto tutt'altro che invitante, ma la ragazza si rese conto a un tratto di essere più affamata di quanto pensasse. Dopo un attimo di riflessione, rimise tutto nel tegame, lo riscaldò una seconda volta e lo mangiò in fretta. In fondo al suo cervello
si aggiravano molti problemi importanti ai quali si sforzava di non pensare. Si rendeva conto di essere troppo stanca e sconvolta per poter riflettere con lucidità. Ci avrebbe pensato il giorno dopo. Si scaldò una tazza di latte, la trangugiò d'un fiato e andò a letto. Fece tutto un sonno fino alla mattina seguente. La destò lo strepito di un violento martellare contro la porta, come se qualcuno tentasse di irrompere nel villino. Non ancora ben sveglia, rammentò la raccomandazione di non aprire a nessuno, al buio, ma non appena aprì gli occhi si accorse che la camera era inondata di luce, una luce vivida, bianca e gelida con qualche spruzzo di sole. Guardò l'ora: erano le nove e dieci, e nessuno cercava dì irrompere nel villino. Stavano semplicemente bussando alla porta. Charlotte scese da letto, si infilò una vestaglia, si pettinò alla meglio e scese ad aprire. Sulla soglia c'era un giovanotto di circa venticinque anni, con un giubbotto di pelle nera e vistosi pantaloni a scacchi. Di media altezza, aveva capelli biondi e ricci lunghi fino alle spalle, occhi grigi e una lieve spruzzata di lentiggini sulla faccia pallida e lunga, leggermente cavallina. Il sorriso col quale salutò Charlotte mise in mostra un numero eccezionale di denti larghi e irregolari, ma nell'insieme il suo viso riusciva attraente, e persino, alla sua maniera, bello. «Perdonatemi se vi disturbo a quest'ora» disse «ma mi pare che abbiate parlato con i poliziotti, ieri, e abbiate detto... Oh, scusatemi, sono Ian Havershaw e abito allo Yew Tree Cottage, un altro villino della tenuta. Siamo vicini, dunque. Ma... be', mi pare che abbiate parlato coi poliziotti e abbiate detto di avere visto una donna, in casa Frensham, poco prima che scoprissero il cadavere del signor Frensham. Così mi sono chiesto se... se non vi dispiacerebbe dire anche a me com'è andata. Penso di sapere chi fosse la donna.» «Sentite, stavo per fare il tè» ribatté Charlotte, «Volete entrare a prenderne una tazza?» «Oh, certo, grazie, siete molto gentile.» «Accomodatevi, allora.» Il giovanotto la seguì nel soggiorno. Non sorrideva più, ora. Al sorriso si era sostituita un'espressione grave e vagamente preoccupata. Charlotte accese la stufa elettrica, scostò le tende che tenevano la stanza immersa in una penombra rossastra e passò in cucina. Ne tornò dopo qualche momen-
to reggendo un vassoio con tazze, latte, burro e pane tostato. La stufa aveva già attenuato un poco il gelo della stanza, ma faceva ancora molto freddo. Dalle finestre, si vedevano alberi e cespugli ammantati di ghiaccio che scintillava al sole, sotto il cielo azzurro pallido. Il villino era circondato da un giardinetto con cespugli di rose sui quali era rimasto ancora qualche fiore, altissime erbe e un filare di faggi che lo racchiudeva tutt'attorno impedendo di vedere oltre. «Il latte c'è, ma non ho zucchero» disse Charlotte. «Sono arrivata soltanto ieri sera e non ho potuto fare la spesa.» «Non preoccupatevi» la rassicurò il giovanotto. «Lo prendo amaro. Scusatemi ancora, ma vi dispiacerebbe dirmi se è vero che siete stata su alla casa, ieri sera, e avete visto... quella donna?» Charlotte versò due tazze di tè. «Ci sono stata e ho visto "una" donna. Ha detto di essere la signorina Sharpies, ma naturalmente non era lei.» «Sapete, i poliziotti sono venuti anche da me, ieri sera, e mi hanno fatto un mucchio di domande: dov'ero stato e così via e mi hanno parlato di questa donna che voi avreste visto e...» Esitò un momento, guardando la ragazza con quel suo sorriso accattivante e pieno di denti. «Ho avuto l'impressione che potesse trattarsi della signora Neville, che abita nel villino accanto al mio, così, appena i poliziotti se ne sono andati, sono corso da lei per avvisarla che probabilmente avrebbe ricevuto ben presto una loro visita, ma lei non c'era e non c'era neppure la sua macchina, una Renault bianca. Quando sono ripassato, stamattina, l'auto non c'era ancora, perciò penso che sia partita. Ecco perché sono venuto a disturbare voi, per controllare l'esattezza della descrizione che la polizia mi ha fatto. Ora ditemi, per favore: era questa la donna che avete vista?» Havershaw tese a Charlotte una fotografia a colori che aveva preso dal portafoglio. La donna della fotografia portava un bikini, non un cappotto con collo di volpe, e i suoi capelli biondi non erano stretti in una crocchia ma sciolti sulle spalle, tuttavia la ragazza non ebbe un attimo di esitazione. «Sì, è proprio questa» dichiarò. «Ne siete certa? Non è possibile che vi sbagliate?» Charlotte scosse la testa. «Oh, buon Dio!» gemette Havershaw. Sembrava così costernato, che Charlotte si sentì spinta a cercare di rassicurarlo. «Questo non significa che abbia qualcosa a vedere con la morte del signor Frensham! Può essere andata là per tutt'altro motivo, come è ca-
pitato a me. La conoscete bene?» Lui rimise la fotografia nel portafoglio, che conservò in una tasca. «Direi di sì» rispose finalmente. «Soltanto l'altro ieri ha acconsentito a sposarmi.» 3 Appariva così sconvolto e disperato che non si poteva non prenderlo sul serio, ma Charlotte vi riuscì, se pure con qualche fatica. Doveva avere almeno cinque anni meno di quella donna, ma non era tanto l'età che faceva sembrare incredibile la sua affermazione. Che cosa sono cinque anni, in fin dei conti? Però quel ragazzo sembrava così ingenuamente immaturo, mentre la sua promessa sposa aveva l'aria di essere fin troppo navigata. O forse proprio per questo si erano sentiti attratti reciprocamente? «Avete detto "signora" Neville. È vedova?» domandò Charlotte. «È divisa dal marito, un uomo insopportabile che le crea un sacco di guai.» «La conoscete da molto tempo?» «Da quando è arrivata qui, circa tre mesi fa.» «Voi come mai siete capitato qui? Lavorate a Mattingley?» «No, vi sembrerà strano, ma faccio lo scrittore. Sto scrivendo un romanzo. Avevo pensato che mi ci sarebbe voluto soltanto qualche mese, invece non riesco a ingranare, mi tocca riscrivere continuamente lunghi capitoli, così non so nemmeno io quando riuscirò a finirlo. Spero soltanto di non restare senza il becco di un quattrino, prima di allora. Sono stato per due anni in Arabia saudita a insegnare l'inglese in una scuola. Pagavano molto bene, così ho potato mettere da parte una bella somma e ho pensato che questo mi avrebbe consentito di dedicarmi senza preoccupazioni alla mia attività preferita, quella di scrivere.» Pareva vergognarsene un poco, mentre imburrava il pane tostato che Charlotte gli aveva messo davanti. «È una sorta di autobiografia e penso che non sia davvero un gran che, ma dovevo togliermi questa soddisfazione prima di potermi dedicare a qualcosa di più redditizio.» «Che cosa farete, se finirete il denaro prima di aver terminato il libro?» «Potrei andare di nuovo all'estero, suppongo, o cercare un posto come giornalista o qualcosa del genere. Non ci ho ancora pensato. Isobel, la signora Neville, voglio dire, mi è stata di grande aiuto. Sta ad ascoltarmi con pazienza quando le parlo dei miei problemi. Lei dice che sono troppo rigi-
do e freddo, che non so metterci me stesso, nel romanzo, e penso che abbia ragione. È una donna molto intelligente, peccato che non si sia mai dedicata a qualche attività particolare. Ma penso che sia colpa del suo infelice matrimonio, sapete. Si è sposata giovanissima, prima di avere la possibilità di pensare a una carriera qualsiasi, e per giunta ha sposato un uomo il quale non ammette che sua moglie abbia altri interessi all'infuori di lui, del suo benessere e della sua carriera. E lei non era davvero il tipo, capite? Così la sua vita è stata un disastro.» «Secondo voi, che cosa ci faceva ieri sera a Brickett's Farm? Pensate che fosse andata a pagare l'affitto anche lei?» Havershaw scosse leggermente la testa, guardando negli occhi Charlotte. Il suo sguardo era di un candore eccezionale, rifletté la ragazza: se sapeva mantenerlo anche quando diceva il falso, quel giovanotto poteva diventare estremamente pericoloso. Però, pensò subito dopo, perché mai avrebbe dovuto venire a raccontare delle bugie proprio a lei? «Credo che sia andata per aire a Frensham che noi due ci saremmo sposati» riprese lui. «Non so vedere altri motivi. Cera stato qualcosa, fra loro. Un amore ardente, finché è durato. Per questo, oltre che per allontanarsi dal marito, lei era venuta ad abitare qui. Ma ormai, anche se non c'era stata ancora una vera e propria rottura fra loro, non avevano più alcun interesse l'uno per l'altra. Tuttavia, ritengo che lei abbia considerato suo dovere annunciargli direttamente il nostro matrimonio, anziché aspettare che apprendesse la notizia da altri. È fatta così, lei: leale fino allo scrupolo.» Charlotte cominciava a pensare che per Isobel Neville, adeguarsi all'immagine che Ian Havershaw rendeva di lei, potesse risultare stressante quanto soddisfare le esigenze del suo primo marito. Perché non c'era dubbio che la donna incontrata a Brickett's Farm non aveva davvero dato prova di tale meravigliosa lealtà. Ripensando alla prontezza con la quale si era spacciata per la signorina Sharpies e alla sua rapida manovra col guanto per nascondere la fede nuziale, Charlotte si sentì propensa a giudicarla piuttosto una donna ambigua che non doveva aver faticato molto per infinocchiare quell'ingenuo giovanotto. Che tuttavia, per quanto ingenuo, non aveva l'aria di essere uno sciocco. «Conoscevate bene il signor Frensham?» domandò. «Non direi. Scambiavamo quattro chiacchiere quando ci incontravamo, ma non avevamo niente in comune. Era il tipo che disprezza chiunque non la pensa come lui e mi sembrava anche un violento. Ma questa è soltanto una mia impressione, naturalmente, non suffragata da alcun fatto concreto.
E io odio la violenza. Secondo me, l'amore per la violenza è la radice principale di tutti i mali che albergano nell'animo umano. È appunto di questo che tratta il mio libro. E Frensham, naturalmente, pensava che fossi uno sciocco con la mia mania di scrivere invece di guadagnarmi da vivere onestamente, come avrebbe detto lui.» «Non mi pare che per conto suo facesse molto per guadagnarsi da vivere onestamente, no?» Charlotte versò una seconda tazza di tè per entrambi. «A quel che sembra, era pienamente soddisfatto di vivere alle spalle della sua matrigna! Però mi stavo chiedendo: siete certo che questa storia con la signora Neville potesse considerarsi finita anche da parte di lui, come da parte di lei? Perché se così non fosse, e se il signor Frensham era un violento, come dite voi, non potrebbe darsi che l'avesse aggredita e che lei abbia sparato per difendersi?» «Non possiede rivoltelle» dichiarò prontamente Havershaw. «Come lo sapete?» «Be'... lo so, ecco. Non è il tipo.» «Ma ne avete mai parlato? Non le avete mai chiesto, a esempio, se sa maneggiare una rivoltella?» «No, naturalmente.. Perché mai avrei dovuto chiederglielo?» «Non so, se nel vostro libro parlate tanto della violenza e ne discutevate con lei, pensavo che sarebbe potuto saltar fuori anche un discorso del genere.» «Non è di questo tipo di violenza che parlo, nel mio libro.» Haversham cominciava a scaldarsi, a quanto pareva. Si era fatto rosso in viso e le sue labbra tirate mettevano in mostra i denti irregolari. «Parlo della violenza che sperimentiamo dentro di noi, quella che si sfoga magari con una sola parola scortese che non viene mai dimenticata e che, per quanto niente appaia all'esterno, manda alla malora un rapporto tra due persone. Tutto sembra sempre uguale eppure tutto è cambiato. È questo che cerco di mettere in evidenza. Parlo soprattutto dei rapporti tra una madre e un figlio, delle cose tremende che si fanno l'un l'altro pur essendo convinti di volersi bene con tutta l'anima.» Charlotte ebbe l'impressione di avere già sentito qualcosa del genere. «Be', se le cose stanno così, la mia teoria non regge» ammise. «Ma se invece fosse stato il signor Frensham a minacciare con la rivoltella la signora Neville, e lei avesse cercato di strappargliela, e nella colluttazione fosse partito accidentalmente il colpo che lo ha ucciso? Non sarebbe impossibile, no? La signora era palesemente sconvolta, quando l'ho vista io.
Addirittura terrorizzata, direi.» «Era andata là per parlargli e l'ha trovato morto. Mi pare che basti e avanzi per sconvolgere chiunque, no?» «Però non ha chiamato la polizia, come sarebbe stato logico. E se il signor Frensham era già morto quando è arrivata lei, come è entrata in casa? Aveva una chiave?» «Sono certo di no. Si vedevano sempre nel villino della signora Neville. Non dimenticate che a Brickett's Farm abitano anche la signora Frensham e la signorina Sharpies.» «Sicché potrebbe essere stato l'assassino stesso che le ha aperto la porta, o che l'ha lasciata socchiusa fuggendo. In entrambi i casi, la signora potrebbe averlo visto e riconosciuto, e forse per questo si è resa irreperibile. Ha capito di essere in pericolo anche lei.» Adesso che dal viso di Havershaw era svanita a un tratto l'eccitazione di poco prima, il ragazzo appariva vecchio e sciupato. Charlotte capì che il giovane amico della signora Neville doveva avere già rimuginato a lungo su quelle ipotesi. «Può darsi» mormorò Havershaw con aria assente, poi si alzò senza avere toccato la seconda tazza di tè. «Comunque, spero di avere presto sue notizie. Probabilmente mi avrebbe già telefonato, se ci fosse un telefono nel mio villino. Ma forse riceverò una lettera domani. Grazie per la chiacchierata. Quando sono venuto qui, non ero affatto certo che fosse lei la donna che avevate visto, ma ormai non ci sono più dubbi.» Girò sui tacchi e uscì senza aspettare che Charlotte gli aprisse la porta, ma lasciò che fosse lei a richiuderla alle sue spalle. La ragazza tornò al suo tè e finì di sorseggiarlo lentamente, riflettendo sui rapporti tra Edgar I rensham e Isobel Neville. Pareva che Ian Havershaw non fosse affatto geloso. Aveva fatto soltanto qualche corrosiva osservazione sul conto del rivale, senza avere l'aria di temere che Frensham potesse ancora esercitare qualche atti attiva su Isobel Neville e men che meno di nutrire il minimo rancore verso di lui. Ma era normale non soffrire di gelosia fino a quel punto? Charlotte, per quanto la riguardava, non c'era mai riuscita. Le pochissime volte che si era innamorata, era stata gelosa, sospettosa e possessiva. Quando finì di bere il tè, portò tatto in cucina, lavò tazze e piattini, poi salì a vestirsi. Dalla finestra della camera lo sguardo spaziava oltre le cime degli alberi, fino a Brickett's Farm, che sorgeva su una lieve altura, in mezzo ad alti ce-
dri. Il prato tra il villino e la casa era tutto bianco: dopo la pioggia della sera precedente, le strade dovevano essere una lastra di ghiaccio. Proprio la giornata da trascorrere in casa, pensò Charlotte. Si lavò, indossò il maglione e i pantaloni del giorno prima, rifece il letto e scese di nuovo al pianterreno. A mezza mattina, il sole, pur così pallido, cominciò a far sciogliere la neve, e quando Charlotte, rendendosi finalmente conto del continuo gocciolio che echeggiava fuori di casa, guardò dalla finestra, vide che le foglie dei faggi avevano perduto buona parte della loro gelida argentatura. Contemporaneamente avvertì un altro rumore, che si era quasi inconsciamente aspettata: quello di passi che scricchiolavano sul vialetto tra il cancello e il villino. Il sovrintendente Barr o qualche suo accolito, pensò avviandosi ad aprire la porta. Ma invece si trovò davanti una donna sulla quarantina, piccola e magra, col viso da uccello, corti capelli scuri e pungenti occhietti neri. Indossava pantaloni neri attillati e infilati dentro gli stivali, un giaccone imbottito, col cappuccio, pure nero, e un maglione bianco dal collo alto. «Buongiorno» disse. «Sono Angela Bird, una vostra vicina. Abito nel villino appena oltre il cancello. Se vi disturbo, ditemelo sinceramente e me ne vado subito, ma ho pensato che, visto come si sono messe le cose, forse non vi sarebbe dispiaciuto avere un po' di compagnia.» «Grazie, siete stata molto gentile» rispose Charlotte. «Entrate, vi prego.» La donna non se lo fece dire due volte. Non per niente si chiamava Bird, pensò Charlotte: tutta nera, col petto bianco e così sottile e delicata, con quegli occhi simili a perline nere, assomigliava in maniera incredibile a una gazza. «Vi trovate bene qui?» domandò la signorina Bird. «Avete tutto il necessario?» «Oh, sì, grazie. Va tutto benissimo. Sì, cioè, voglio dire...» Charlotte non finì la frase. L'altra emise un lieve risolino. «Capisco perfettamente quel che volete dire: a eccezione di un piccolo omicidio, del quale avreste fatto volentieri a meno, proprio la sera del vostro arrivo. Vi sembro cinica? Be', può darsi. Ma sono mai servite a qualcosa le lacrime di coccodrillo? Se servissero, sarei la prima a versarle, con la migliore volontà del mondo. Non approvo l'omicidio, naturalmente, ma come tutti sanno, Edgar e io ci detestavamo cordialmente, e visto che qualunque cosa facessi non servirebbe a riportarlo in vita, perché dovrei fingere un dolore che non provo? Non ve ne avrete
a male, spero! Eravate forse amica di Edgar?» «Lo conoscevo appena» la rassicurò Charlotte, che frattanto si era seduta con lei accanto alla stufa. «Mi dispiace di non potere offrirvi qualcosa. Non ho ancora niente in casa.» «Non preoccupatevi» disse la signorina Bird appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le sottili gambe nere. «Per essere sincera, ero venuta per invitarvi a una piccola riunione, stasera. Se pensate che una festicciola anche modestissima sia di cattivo gusto in un momento come questo, ditelo sinceramente, ma a me è sembrata una buona idea stare un po' insieme, noi che abitiamo qui, e raccontarci a vicenda quello che sappiamo. E ho pensato che anche a voi avrebbe fatto piacere conoscere qualcuno dei vostri vicini, invece di restarvene qui tutta sola. Sarà una cosa molto tranquilla, come ho detto, nient'altro che quattro chiacchiere fra amici. Però, se preferite non venire, ditelo pure. Non me ne avrò a male.» «Verrò con piacere, grazie» disse Charlotte. «Bene. Verso le sei, allora. Il mio villino è quello bianco col tetto di paglia appena oltre il cancello. Honeysuckle Cottage. Tutti i villini della tenuta hanno nomi... botanici. È stata un'idea bizzarra della vecchia signora Frensham. Ma immagino che non l'avrete conosciuta, vero?» «La matrigna del signor Frensham, intendete?» «Esatto. Ha novantaquattro anni, sapete! Era più vecchia del padre di Edgar, ma credo che fosse di una bellezza eccezionale, da giovane, e molto ricca, così tutto si spiega, no? Comunque, è sempre stata molto buona con Edgar, anche se lo ha sempre comandato a bacchetta. Se avessero ammazzato lei invece di Edgar, sarei stata pronta a giurare che era lui l'assassino. Ma non credo che si possa diventare assassini di colpo, a novantaquattro anni, a meno che, dopo avere sperimentato di tutto nella propria vita, uno non si accorga che gli mancava proprio quell'esperienza!» «Rimarrebbe sempre il problema dell'ascensore, che era fuori uso» obiettò Charlotte. «Qualcuno aveva staccato l'interruttore al pianterreno e lei era rimasta bloccata al piano superiore.» «Ah! Molto interessante. Sicché è stato qualcuno che conosceva bene la casa. Ma io mi chiedo anche un'altra cosa: come avrebbe fatto a liberarsi della rivoltella, la signora Frensham? L'arma del delitto non è stata ritrovata, ha detto la polizia, e lei, senza aiuto, non sarebbe potuta andare molto lontano.» La signorina Bird si alzò. Così bianca, nera e scarna era certamente un tipo, ma nonostante i suoi modi cortesi, c'era qualcosa in lei che teneva a distanza. «Del resto» riprese «non si può dire che regnasse pro-
prio la pace, a Brickett's Farm. Sotto sotto, c'erano soltanto odio e diffidenza. Edgar era un individuo odioso, a conoscerlo bene, e la vecchia è tutto un cumulo di invidia e di amarezza. Non si è mai rassegnata alla perdita della bellezza, e ha cercato di sostituirla col denaro. Ma a volte sono proprio conflitti di questo genere che tengono unite le persone, non credete? E quei due erano molto uniti. Non so davvero come se la caverà, la vecchia, ora che Edgar non c'è più. Non mi stupirebbe se facesse fagotto e se ne andasse anche lei al Creatore. Be', ricordate, alle sei. A meno che non cambiate idea o che qualche imprevisto vi impedisca di venire. Nel qual caso non è necessario che vi preoccupiate di avvertirmi. Salve!» Attraversò la stanza con passo deciso e se ne andò. Tenendo la porta aperta finché non la vide sparire oltre il cancello, Charlotte si chiedeva a che cosa mai avesse pensato la signorina Bird parlando di un imprevisto che avrebbe potuto impedirle di partecipare alla festa. L'arresto di un assassino o di un'assassina? La necessità di identificare una donna bionda e alta, viva o morta? Un altro omicidio? Malgrado il principio di disgelo, l'aria che entrava dalla porta era freddissima. Charlotte richiuse e tornò accanto alla stufa. Una visita della polizia, verso le dodici e mezzo, non poteva certo considerarsi un imprevisto. Charlotte se l'aspettava, prima o poi. Quando udì di nuovo i colpi del picchiotto contro la porta, andò ad aprire e si trovò davanti il sovrintendente Barr insieme con un giovane sergente. Barr aveva gli occhi pesti di chi è stato alzato per buona parte della notte, ma il suo viso liscio e colorito aveva la pelle lucida e fresca di chi si è appena sbarbato. Quando entrò, la sua figura torreggiante fece sembrare quasi lillipuziana la stanza. Nessuna delle poltroncine di vimini pareva abbastanza larga per lui, che tuttavia si calò in una, senza sconquassarla, mentre il sergente sedeva davanti al tavolo, toglieva di tasca un taccuino e una busta di plastica trasparente contenente un'altra busta, e poi passava il tutto al sovrintendente. Barr l'osservò per qualche momento soprappensiero, come non fosse proprio certo di averla già vista, poi ne levò un foglio, lo spiegò e, dopo averlo riletto come se temesse che potesse essere cambiato in qualcosa da quando lo aveva visto l'ultima volta, lo tese a Charlotte. «Che ve ne pare di questa, signorina Cambrey?» domandò. «L'abbiamo trovata sulla scrivania del signor Frensham.» Le mostrò la busta, affrancata ma evidentemente mai imbucata. «È indirizzata a me, vedete? Pensiamo
che dovesse già essere là sulla scrivania, quando voi, la signora Frensham e la signorina Sharpies siete state nello studio, ieri sera, ma nessuna di voi ne ha parlato. Ricordate di averla vista?» Charlotte ebbe un attimo di esitazione prima di accennare a prendere la busta. «Prendetela pure» la rassicurò Barr. «Abbiamo già rilevato le impronte digitali: c'erano soltanto quelle del signor Frensham.» Charlotte prese il foglio, ma prima di leggerlo si sforzò di rivedere con la mente il piano della scrivania com'era la sera prima. Scosse la testa. «Non ricordo di avere visto altro che alcuni fogli e il denaro dell'affitto che avevo portato io. Me ne stavo là seduta cercando di non pensare all'uomo che avevo visto nell'altra stanza e al sangue sparso sul tappeto. Avevo la nausea e non vedevo l'ora di andarmene.» «Naturale. Ma ora leggete quella lettera e ditemi che cosa ne pensate.» Charlotte si mise a leggere. Da principio non si raccapezzò e dovette ricominciare da capo. La calligrafia le sembrò la stessa del contratto d'affitto che aveva firmato la settimana precedente, ma non avrebbe potuto giurarlo. Caro Barr, vi sto forse addossando un compito estremamente sgradevole, e me ne dispiace, ma per voi almeno non si tratterà di una questione personale, come lo sarebbe invece per altri che mi sono più vicini. Ci siamo visti un paio di volte ma voi probabilmente non vi ricordate neppure di me, perciò se vi dico che sto per togliermi la vita, la cosa non vi turberà troppo. Forse anche quelli che ritengo miei amici ne soffrirebbero meno di quanto io non creda, ma preferisco concedere loro il beneficio del dubbio e non mettere alla prova i loro sentimenti. Scrivo a voi anche per essere certo che nessuno venga incolpato della mia morte. Non starò a illustrarvi i motivi che mi conducono a tale passo: mi limiterò a dirvi che ho ricevuto alcune disastrose notizie che mi hanno tolto il desiderio di continuare a vivere. In fin dei conti questa vita, anche nelle condizioni migliori, non è poi questo gran vantaggio. Io ne sono stufo già da un bel po' di tempo. Mi dispiace soltanto che la morte si porti inevitabilmente appresso del disordine che non potrò più essere io a rimediare. Ho cercato di lasciarmene dietro il meno possibile, ma resterà per forza qualcosa di sgradevole. Perdonatemi se vi chiedo
di voler essere voi a occuparvene per me. Vi ringrazio per tutto ciò che potrete fare in questa circostanza e vi saluto cordialmente. Edgar Frensham Charlotte aveva la fronte aggrottata quando finì di leggere la lettera e la restituì al sovrintendente. «Rileggetela» suggerì lui. «Strana lettera per un aspirante suicida!» osservò la ragazza. Poi la lesse una seconda volta. «No, non mi sembra davvero quello che uno scriverebbe prima di spararsi» ripeté tendendo il foglio a Barr che tornò a piegarlo e lo rimise nella sua busta. «Con indirizzo e francobollo regolamentari, come vedete» riprese il sovrintendente restituendo la busta al sergente. «Che cosa ve ne pare?» «Senza dubbio è tutto abbastanza strano! Il signor Frensham doveva sapere certamente che sarebbe stata la signorina Sharpies a trovarlo e che si sarebbe subito preoccupata di telefonare alla polizia o al dottor Maynard, non di imbucare la lettera. È vero che il telefono le incute un sacro terrore, ma in un momento come quello avrebbe chiamato a raccolta tutto il proprio coraggio per usare quello strumento diabolico o quanto meno avrebbe fatto quello che ha fatto ieri sera: sarebbe corsa a chiamare qualcuno.» «Senza contare che, ammettendo che avesse voluto scrivermi per mettere bene in chiaro che soltanto lui era responsabile della propria morte, non ci sarebbe stato motivo di affrancare la lettera. Poteva consegnarmela la signorina Sharpies.» Charlotte assentì. «Ma forse in quel momento non sapeva quello che faceva. Affrancare la lettera può essere stato un gesto meccanico.» «Però avete anche voi l'impressione che non sia stata scritta da una persona con la mente sconvolta.» «No, la forma è troppo accurata, per questo sembra inverosimile. Pensate che possa essere un falso?» «Non abbiamo ancora avuto il tempo di esaminarla a fondo, ma il nostro esperto ritiene che la grafia sia quella di Frensham.» «E allora?» Barr non rispose. Continuò a fissare Charlotte col suo sguardo inespressivo, come in attesa che fosse lei stessa a trovare la risposta. «Non si è ucciso, vero?» disse infatti la ragazza. «È stato ucciso. Il dot-
tor Maynard ha detto che se si fosse sparato, non lo avrebbe fatto di certo restando in piedi in mezzo alla stanza. Si sarebbe seduto!» «Probabile, ma non certo. I suicidi a volte fanno le cose più strane.» «Ma la rivoltella l'avete trovata?» «No.» «E questo non sta forse a dimostrare che si è trattato di omicidio?» «Anche questo è probabile, ma non certo. In base alla vostra stessa testimonianza, ci sono state nella casa almeno quattro persone, dopo la morte di Frensham: la bionda che crediamo fosse la signora Neville, la signora Frensham, la signorina Sharpies e voi. Ognuna di voi potrebbe avere sottratto l'arma. A rigore, potrebbe persino averla presa il dottor Maynard. A quanto so, è rimasto solo in salotto col morto per alcuni minuti, prima del nostro arrivo.» «Ma perché mai qualcuno avrebbe dovuto prendere la rivoltella? Perché cercar di fare apparire un suicidio come se fosse un omicidio? C'era di mezzo qualche polizza assicurativa?» «Che sappiamo noi, no.» «Bene, se pensate che la rivoltella possa averla presa io, siete libero di perquisire il villino» dichiarò Charlotte, un po' sostenuta. Poi, visto che Barr non rispondeva, aggiunse: «Ma siete proprio certo che si tratti di omicidio?» «Finora non sono certo di niente. Rimane sempre da spiegare la lettera.» «Non potrebbe essere stato costretto a scriverla? Forse qualcuno gliel'ha dettata. Per questo è così innaturale!» «E come si potrebbe obbligare qualcuno a scrivere una lettera simile?» «Non so, avrebbero potuto minacciare di torturarlo in qualche modo se non la scriveva, promettendogli invece una morte indolore se lo faceva.» «In tal caso dovremmo tornare a chiederci perché mai l'assassino, dopo essersi data tanta pena, abbia fatto sparire la rivoltella.» Charlotte si prese fra due dita il labbro inferiore, fissando con aria inquisitrice il viso impassibile del sovrintendente. «Secondo me, se qualcuno ha portato via la rivoltella, dopo la messinscena del suicidio, dev'essere stata la signora Neville» disse finalmente. «Adesso sono certa che lei sapeva che il signor Frensham era morto, quando sono arrivata io. Mi è venuto in mente... Quando le ho detto che volevo chiederle due o tre cose, è sembrata in preda al panico ma poi, quando ha sentito che volevo avere soltanto qualche informazione sui negozi eccetera, il suo sollievo è stato tale da indurla a comportarsi per un po' con una
certa affabilità. Non sapete dove sia andata?» «Non ancora, ma la rintracceremo, prima o poi. Potrebbe avere avuto un buon movente per un omicidio, un movente vecchiotto ma sempre valido: la gelosia. È stata l'amante di Frensham per un certo tempo (pare che lo sapessero tutti, qui in giro) ma pare che contemporaneamente lui avesse una relazione con un'altra. Abbiamo aperto la cassaforte nel suo studio, stamattina, e vi abbiamo trovato una collezione di lettere dove sono indicati appuntamenti dai quali appare chiaro che lui aveva due amiche. Non vi sono buste né indirizzi, cosicché non sappiamo dove le lettere siano state imbucate, ma è roba addirittura esplosiva. In qualche caso si fanno anche minacce, come se la mittente fosse al corrente di qualcosa, sul conto di Frensham, che minaccia di rendere pubblico se lui tentasse di scaricarla. Poi vi sono altri documenti che... be', documenti interessanti, ecco. Ma tutto sommato, non c'era poi molto in quella cassaforte: è mezzo vuota. Comunque, non siamo venuti per parlare di quello, ma per chiedervi se vi dispiacerebbe darmi un campione della vostra scrittura.» «Per vedere se sono io la mittente di quelle lettere appassionate?» Barr fece un sorrisetto gelido. «Potete rifiutare, se credete.» «Oh, non me ne importa niente.» Il sergente le tese il proprio taccuino e la penna a sfera. «Che cosa debbo scrivere?» domandò Charlotte. «Quello che volete.» Per un attimo Charlotte si sentì la testa completamente vuota, poi scrisse rapidamente: "Incidente, suicidio, omicidio... diciamo omicidio". «Bene, volete firmare, per favore?» disse Barr. Con la sua grafia minuta e leggermente obliqua ma nitida e ben leggibile, la ragazza aggiunse: "Charlotte Cambrey". Il sergente tirò fuori un'altra busta di plastica e la tese al sovrintendente che ne tolse un foglio e lo posò vicino a quello che Charlotte aveva scritto. «Non c'è neppure una vaga somiglianza» dichiarò. «È una lettera di quella donna?» domandò la ragazza. Barr annuì, girando la lettera in modo che lei potesse vedere lo scritto, ma non avesse il tempo di decifrare neppure una parola. La grafia era molto più grande, diritta, energica e un po' angolosa. «Com'è la firma?» domandò Charlotte. «Soltanto una B.» Barr restituì foglio e busta al sergente, prima di aggiungere: «Vi rendete conto dello scopo della mia indagine, vero?» «Oh, certo! Mi rendo conto di essere sulla lista dei sospetti. Ma lo sapete
che la signora Neville si è fidanzata proprio pochi giorni fa col signor Havershaw? Non aveva più alcun motivo di essere gelosa, non vi pare?» I due poliziotti si alzarono. «All'apparenza no» ammise Barr. «Ma finora abbiamo soltanto la parola del signor Havershaw, a questo proposito, come abbiamo soltanto la vostra, quando dite di aver visto la signora Neville a Brickett's Farm. Bene, grazie per la vostra collaborazione, signorina Cambrey. Spero di non dovere disturbarvi ancora troppo presto.» Se ne andarono e Charlotte udì i passi che si allontanavano facendo scricchiolare il fondo ghiacciato del vialetto. Scoprì a un tratto di avere una strana inclinazione a tremare e rimpianse una volta ancora di non avere pensato a mettere in valigia una bottiglia di whisky. Se non credevano che avesse visto la bionda, la sera prima, che cosa pensavano realmente sul suo conto? Avevano già scoperto il motivo che l'aveva condotta lì? E come la collegavano agli avvenimenti delle ultime ore? Pensò di andare in paese alla ricerca di un locale dove poter pranzare e bere qualcosa in santa pace, ma scartò subito quell'idea, prevedendo le occhiate curiose che si sarebbero appuntate su di lei. Era la ragazza che aveva visto e aveva parlato con l'assassina: con ogni probabilità era quella la voce che già correva nei dintorni. Probabilmente non si nutrivano più molti dubbi sul fatto che la signora Neville fosse l'assassina e lei l'aveva quasi colta in flagrante. Forse proprio per quello la signorina Bird l'aveva invitata alla riunione di quella sera, perché lei e i suoi amici desideravano la recita di prima mano su quanto era accaduto la sera precedente. Non appena fosse arrivata al villino, le sarebbero piombati tutti addosso sottoponendola a un fuoco di fila di domande. Si cambiò, prima di andare alla riunione. Si era portata soltanto un vestito di tweed rosso e nero, che le sembrò più adatto dei pantaloni, per un'occasione di quel genere. Ma sentì un colpo al cuore quando la padrona di casa venne ad aprire. La signorina Bird era in abito lungo di velluto stampato a grandi disegni che imitavano la ruota del pavone. Ma allora ci teneva proprio a vestirsi in modo da far pensare a qualche uccello, pensò Charlotte. A una gazza la mattina, a un pavone la sera! Comunque, così scarna e longilinea, alla sua maniera era bellissima. «Oh, venite, venite che vi presento agli altri!» esclamò. «Qualcuno lo conoscete già, mi pare. Il dottor Maynard ha detto che vi siete già incontra-
ti ieri sera, e Ian è stato da voi stamattina, vero? Però non conoscete ancora il signor e la signora Grainger, che abitano al Rose Cottage, quello vicino al mio. Che cosa bevete? Sherry, whisky, vodka, gin?» Charlotte optò per lo sherry. I Grainger si erano alzati e la guardavano con un sorriso un po' diffidente, al di sopra del bicchiere. Entrambi sui trentacinque anni, piccoletti, lindi, coi capelli scuri e un musetto da topo, erano tanto simili l'uno all'altra da far pensare che si fossero scelti a vicenda perché ognuno si vedeva riflesso nell'altro come in uno specchio, cosa che doveva essere un notevole conforto in un mondo che probabilmente non si era mai accorto di nessuno dei due. Il signor Grainger portava un maglioncino di jersey nero a collo alto, con giacca di tweed verde e pantaloni grigi; la signora era in completo giacca-pantaloni azzurro, con molteplici file di perle al collo ed enormi orecchini di maiolica dipinta. Entrambi si dissero felici di conoscere Charlotte, espressero la speranza che potesse trovare gradevole il suo villino come loro trovavano il proprio, poi rimasero a guardarla in silenzio come se si aspettassero che, dopo tale lusinghiero incoraggiamento, lei dovesse dire qualcosa di strabiliante. Mentre aspettava il suo sherry, Charlotte diede un'occhiata alla stanza, con i suoi ottimi mobili moderni, le comode poltrone ricoperte di vivace stoffa a fiori, gli innumerevoli soprammobili (per lo più cani di ogni forma e dimensione), gli anonimi acquarelli allineati lungo le pareti. Non era certo l'arredamento che Edgar Frensham avrebbe fornito a un suo inquilino: probabilmente era opera della signorina Bird. Chi aveva detto che la Bird viveva lì da circa due anni? Ah, la signorina Sharpies. In tal caso, era valsa la pena di trasferire lì i propri mobili. Ma come mai la Bird viveva da tanto tempo in quel mortorio? La domanda trovò risposta durante la conversazione con gli altri ospiti. La signorina Bird lavorava all'ospedale di Mattingley, ma preferiva abitare in campagna ed era una pittrice dilettante: gli acquarelli alle pareti erano opera sua. Charlotte si sforzò di fare qualche commento lusinghiero, che però richiamò sul viso della pittrice un'espressione ironica anziché compiaciuta, come se lei fosse perfettamente conscia del loro scarsissimo valore. Fu spiegata pure la presenza dei coniugi Grainger, che stavano trattando l'acquisto di un negozio a Mattingley, una sorta di emporio dove si vendevano porcellane, cristallerie, bigiotteria, biglietti di auguri, libri in edizione economica e giocattoli. Ad affare concluso, si sarebbero poi trasferiti a Mattingley, in un appartamento sopra il negozio, ma nel frattempo si trovavano bene al Rose Cottage. La signorina Bird cercò di spiegare a
Charlotte che Ian Havershaw era uno scrittore, ma Ian l'interruppe subito per chiarire che glielo aveva già detto lui. «È venuta ancora da voi la polizia?» domandò poi. «Credo che stiano alle costole di tutti noi. Pare che Frensham abbia lasciato una lettera alquanto strana, spiegando che stava per togliersi la vita, ma la sua morte non ha davvero l'aria di un suicidio.» «Sì, sono venuti» rispose Charlotte. «E hanno voluto un campione della mia scrittura. Pare che nella cassaforte si siano trovate alcune lettere molto appassionate, scritte a Frensham da una donna e firmate soltanto con la lettera B. L'autrice non è stata ancora identificata e il sovrintendente si chiedeva se questo non avesse offerto alla signora Neville un valido movente: la gelosia. Allora gli ho parlato del fidanzamento del signor Havershaw con la signora e mi è sembrato che questo tagliasse la testa al toro. Non vi dispiace, vero?» «Gliel'ho detto io stesso» dichiarò Havershaw. «Ne avete vista qualcuna, di quelle lettere?» «Sì, ma ho appena avuto il tempo di dare un'occhiata. Comunque, la calligrafia non assomigliava per niente a quella della signora Neville.» «Come lo sapete?» domandò Ian perplesso. «Mi ha scritto una ricevuta per il denaro dell'affitto, ieri sera. L'ho data alla polizia. Ha firmato "E. Sharpies", ma l'ha scritta lei in mia presenza. Mi aveva detto di essere la signorina Sharpies, quando aveva aperto la porta, capite?» Havershaw annuì con aria cupa. «Me lo ha detto la polizia. Ma non mi hanno chiesto nessun campione della mia scrittura. A quanto pare, si interessano soltanto delle donne. A te, Angela, l'hanno chiesto, vero?» La signorina Bird rispose affermativamente. «L'hanno chiesto anche a me» disse la signora Grainger. «E ho una calligrafia così brutta che mi vergognavo persino di mostrargliela. Senza contare che non sapevo assolutamente che cosa scrivere. Alla fine ho buttato giù la prima cretinata che mi è venuta in mente. "Il povero Pierino ha perso il suo gattino". E me l'hanno fatta firmare, anche! Mi sentivo una perfetta idiota. Angela almeno ha una calligrafia bellissima. Mi fai un'invidia, mia cara! Ma penso dipenda dal fatto che sei un'artista. Sei una tale perfezionista! Che cosa hai scritto, tu?» «"Non avrei mai creduto che morte n'avesse tanta disfatta"» rispose lei. «Oh, Thomas Eliot» osservò Havershaw. «Dante Alighieri per l'esattezza» ribatté la signorina Bird con un sorri-
setto accondiscendente. «Ma che cos'hanno detto della vostra calligrafia?» volle sapere il dottor Maynard. «Niente d'interessante.» «Vi hanno mostrato qualche lettera?» «No, me ne hanno soltanto parlato.» «Ma vi avranno detto che Edgar ha lasciato una lettera e che la rivoltella non è stata ritrovata, no? È questo che non riesco a spiegarmi. Ammesso che la lettera fosse falsa o che Edgar sia stato in qualche modo costretto a scriverla, perché non lasciare la rivoltella a conferma del suicidio?» «Può esserci una risposta molto semplice a questa domanda, anche se non vi piacerà affatto» ribatté Angela Bird. «Forse qualcuno ne aveva un estremo bisogno. Non è possibile che quello sia stato il primo ma non l'ultimo assassinio della serie?» 4 La riunione si sciolse alle otto. Il dottor Maynard, che aveva l'auto parcheggiata poco distante, insisté per riaccompagnare Charlotte fino al suo villino, e una volta lì, rimase impalato davanti al cancello con un'aria così sciocca che la ragazza non poté fare a meno di invitarlo a entrare. Lui accettò subito e quando Charlotte si scusò di non potergli offrire un altro whisky, lui ribatté che per quella sera aveva già bevuto più del necessario ma che gli avrebbe fatto piacere scambiare quattro chiacchiere con lei. Charlotte lo aiutò a togliersi il cappotto. «Il fatto è» cominciò il dottore piantandosi davanti alla stufetta, che gli riscaldava piacevolmente i polpacci «che vorrei rivolgervi qualche domanda di carattere personale. Se non desiderate rispondere, ditelo pure. So perfettamente di non avere alcun diritto di interrogarvi.» «Dite, dottore» lo invitò lei accomodandosi in una poltroncina. «Vedete, conosco i Frensham da anni» riprese Maynard. «E probabilmente li conosco molto più intimamente di chiunque altro, qui in giro, perché la signora Frensham ha sempre avuto bisogno di assistenza. Ma non li ho mai sentiti fare il vostro nome. Posso chiedervi da quanto tempo li conoscete?» «La signora Frensham l'ho vista per la prima volta ieri sera e col signor Frensham avevo parlato per la prima volta la settimana passata, quando ho telefonato per il villino da affittare e mi sono accordata con lui per venire a
vederlo. Non c'è niente di strano che non mi abbiate mai sentito nominare.» «Come avete saputo che c'era un villino da affittare?» «Avevo letto un'inserzione sul giornale.» «Non è che lo avete saputo da qualcuno che abitava qui?» «Assolutamente no, non conoscevo nessuno, prima di oggi.» «Non conoscevate nemmeno la signorina Beatrice Wallace?» Charlotte scosse la testa. «Non so neppure chi sia.» Il medico la guardò con un'espressione curiosa sul viso tondo e cordiale, un'espressione distaccata e professionale, come se cercasse di scoprire nelle sue parole l'involontaria rivelazione di un sintomo che lei, per paura, tentava di nascondergli. «È stata par qualche tempo l'infermiera della signora Frensham, all'inizio della sua malattia» spiegò. «Per essere sincero, l'avevo raccomandata io. Era una donna molto in gamba, ma in seguito ho avuto motivo di chiedermi se fosse stata una scelta indovinata...» Esitò un attimo, prima di continuare. «Avete detto che quelle lettere sono firmate con una B.?» «Così mi ha detto Barr.» «Strano! Non da parte di lei, naturalmente. Edgar Frensham poteva affascinare un certo tipo di donna. Solo che lei non era per niente una donna affascinante. Incolore, brusca e un po' cocciuta. Meravigliosa di fronte a una crisi, ma priva di tatto, anche un po' sgarbata. Per questo avevo pensato di avere commesso un errore mettendola al fianco della signora Frensham, anche lei piuttosto cocciuta. Forse le ci sarebbe voluta un'infermiera più calma e arrendevole di quanto non fosse la signorina Wallace.» «Credete davvero che possa averle scritte lei quelle lettere?» «Be', come ho detto, mi sembra strano, ma spesso sotto una superficie così dura e gelida si nascondono emozioni violente. E lei e Frensham vivevano praticamente a contatto di gomito, come suol dirsi, perciò la cosa sarebbe anche possibile, non vi pare? Vi ho chiesto se l'avevate conosciuta perché aveva vissuto per un certo tempo in questo villino, quand'era venuta via da Brickett's Farm. Aveva litigato con la signorina Sharpies, che è una gran brava donna, ma un po' troppo possessiva per quanto riguarda la signora Frensham, e allora Edgar le ha offerto di restare qui finché non avesse trovato un altro posto. Oltre tutto, non c'era più bisogno di lei a Brickett's Farm. La signora Frensham aveva avuto un miglioramento sensibile, considerata la sua età, e ormai bastava la signorina Sharpies per accudire a lei. Poi la signorina Wallace ha continuato ad abitare qui ancora per un
bel po', anche quando ha trovato lavoro altrove. Tra l'altro, è stata lei a suggerire di installare quel piccolo ascensore per la signora Frensham: un'idea veramente eccellente.» «E ora dov'è?» «Non ne sono certo, ma mi pare che sia andata a Madera con una coppia di coniugi anziani che non sopportano la durezza del clima invernale, in queste zone.» Maynard si passò le mani sui glutei, come per accertarsi che fossero riscaldati a dovere, poi si allontanò dalla stufa. «I poliziotti non vi hanno detto se hanno trovato qualcos'altro nella cassaforte, oltre a quelle lettere?» «Hanno detto che non c'era molto altro, ma che quel poco era "interessante". Hanno usato proprio questa parola.» «Che cosa intendevano, secondo voi?» «Non saprei, ma ho avuto la sensazione che intendessero dire... be', è un po' ambiguo. Qualcosa che il signor Frensham intendesse tenere segreto, piuttosto che qualcosa di valore.» «Capisco. Bene, non voglio disturbarvi oltre.» Il dottore riprese il cappotto. «Quella cassaforte è sempre stato un punto interrogativo per me, capite? Mi sono sempre chiesto che cosa potesse mai avere Edgar, da tenere chiuso in una cassaforte. Proprio non vi ha detto altro, la polizia? Soltanto che c'erano quelle lettere firmate B. e qualche altra cosetta "interessante"?» «Esatto.» «"Interessante" è un vocabolo che si usa talvolta al posto di pornografico. Ma Frensham non mi sembrava il tipo. Non era uomo da preoccuparsi di tenere nascosti i propri vizi. Be', buona notte, signorina Cambrey, ci rivedremo presto, ne sono certo. A proposito, quanto intendete fermarvi?» «Ho affittato il villino per un mese, ma non so se ci resterò tanto, a meno che non mi trattenga la polizia. Non sono stata molto bene, negli ultimi tempi, ed ero venuta qui per riposare, ma non mi pare che sia un posto molto riposante!» «Oh, mi dispiace! A guardarvi, sembrate il ritratto della salute, ma a volte l'apparenza inganna, vero?» Dopo un'altra delle sue occhiate bonariamente inquisitrici, il dottor Maynard augurò a Charlotte la buona notte e se ne andò. Quando rimase sola, la ragazza andò in cucina, si preparò un paio di uova strapazzate e una tazza di tè, portò tutto in salotto, prese il suo libro, si sedette accanto alla stufa e si mise a leggere e a mangiare contemporaneamente.
Dopo tutte le chiacchiere della giornata, la quiete della stanza era piacevole e riposante. Tanto che, al termine del pasto, Charlotte sentì allentarsi la tensione nervosa. Chiuse gli occhi e si appisolò. Quando finalmente si svegliò, portò in cucina i piatti della cena e filò a letto. Ma questa volta cadde in un sonno agitato, turbato da sogni ossessivi e angosciosi, e si svegliò alle otto della mattina dopo, ancora stanca e in preda a oscure paure delle quali non avrebbe saputo dire la causa, ma che le rimasero addosso come un' ombra minacciosa mentre si vestiva e si preparava la colazione. Scomparvero soltanto quando cominciò a svanire in lei il ricordo dei sogni di quella notte. Decise di andare in paese a fare la spesa e a comprare il giornale. Era curiosa di vedere se Edgar Frensham aveva avuto l'onore della prima pagina, o anche di una pagina qualsiasi, visto che l'omicidio era diventato ormai un fatto di ordinaria amministrazione. Aveva progettato di prendere a nolo un televisore, ma per quello, pensò, le sarebbe forse toccato andare fino a Mattingley. Ma era poi il caso di prenderlo? si domandò. Considerata la situazione attuale, probabilmente non sarebbe rimasta al villino più di qualche giorno, ormai, e in tal caso avrebbe potuto benissimo farne a meno. Stava appunto uscendo di casa, con la solita giacca di montone sopra i pantaloni e il pullover del giorno precedente, una borsa per la spesa infilata al braccio, quando vide al cancello un ragazzo sui vent'anni, in loden e blue-jeans, con capelli scuri e poco puliti lunghi fino alle spalle. Era il cronista di un giornale locale che, mentre i suoi colleghi londinesi si davano da fare a Brickett's Farm o alla polizia di Mattingley, aveva pensato di intervistare la gente del posto per sapere che cosa ne pensavano di Edgar Frensham. A quanto pareva, aveva saputo dalla signorina Sharpies che Charlotte era stata lì, in casa, poco prima che lei scoprisse il cadavere, e che vi aveva incontrato una misteriosa signora bionda. Charlotte non negò la circostanza, ma ritenne più saggio tacere al giovanotto che la signora bionda non pareva più tanto misteriosa perché con ogni probabilità si era trattato di Isobel Neville e che l'unico mistero era che cosa ci facesse a Brickett's Farm e perché avesse finto di essere la signorina Sharpies. Per quel che ne sapeva lei, la signora Neville poteva essere ormai tornata al suo villino e avere una spiegazione più che logica per quanto era accaduto. Charlotte non invitò il giovanotto a entrare: rimase a chiacchierare un po' al cancello, poi tagliò corto e si diresse verso il paese. Il ghiaccio si era sciolto completamente e la strada era ridotta a un pan-
tano. Alla luce del giorno, Charlotte poté osservare meglio di quanto non avesse fatto il giorno prima il villino della signorina Bird. Tutto bianco, col tetto di paglia, la porta e le finestre di un giallo delicato e il portico incorniciato da un groviglio di caprifoglio, aveva una sua grazia pittoresca. Poco oltre, si vedeva un altro villino, costruito probabilmente fra le due guerre, con un intonaco granuloso color crema, i serramenti che parevano verniciati con marmellata di ciliegie e la facciata seminascosta da un rosaio rampicante senza spine. Sul cancello, spiccava la targa col nome "Rose Cottage". Doveva essere il villino dei Grainger, pensò Charlotte, e la palese incuria rivelata dallo stato di abbandono del rampicante e dalla quantità di erbacce che avevano invaso le piccole aiuole del giardinetto era dovuta probabilmente al fatto che i due erano soltanto ospiti di passaggio. Il giardinetto della signorina Bird, invece, era tenuto con cura amorosa. In cinque minuti, Charlotte fu alle prime case del paese: dopo avere oltrepassato una stazione di servizio con autorimessa, una fila di case popolari e un bar, giunse a un piccolo giardino pubblico triangolare circondato da casette basse e ben tenute, del tipo dove abitano in genere pensionati statali, professori, ufficiali dell'esercito e qualche artista. Dopo il giardinetto, trovò finalmente un ufficio postale, una drogheria e il macellaio. La drogheria era un piccolo self-service di una pulizia eccezionale, dove si vendeva praticamente di tutto, compresi giornali, ferramenta, frutta e verdura e un'incredibile varietà di bevande e cibi surgelati. Charlotte poté così comprarsi la bottiglia di whisky che aveva tanto sognato, una pizza surgelata, caffè, pane fresco e viveri vari, comprese cipolle e carote per farsi uno stufatino che le avrebbe risparmiato per qualche giorno il fastidio di cucinarsi il pranzo. Poi uscì e andò dal macellaio a comprare un pezzo di carne. Aveva dimenticato il giornale e le toccò tornare in drogheria. La cassiera sembrò avere intuito il motivo che l'aveva spinta all'acquisto perché osservò: «Non c'è ancora niente di quanto è accaduto qui! Ma già, quelli pensano soltanto a scioperi, dimostrazioni e catastrofi di ogni genere... Io sono stufa, ormai, di leggere queste storie!» Charlotte si dichiarò d'accordo con lei. Pagò il giornale e se ne andò. Quando arrivò a casa, scoprì di avere un'altra visita. Sulla panca sotto il portico era seduto il giovanotto dai capelli color sabbia che aveva conosciuto in treno. A giudicare dal suo viso, paonazzo per il freddo, doveva essere lì ad aspettarla da un bel pezzo. «Buongiorno» salutò lui. «Mica male, vero? Voglio dire, bella giornata, data la stagione, ma certo non l'ideale per starsene seduti all'aperto. Mi sta-
vo chiedendo quando sareste tornata!» «Ma voi non sapete proprio parlare d'altro che del tempo?» ribatté Charlotte. «No, naturalmente, ma mi pare il mezzo migliore per avviare una conversazione. Se non altro serve a chiarire subito che si hanno buone intenzioni, un po' come certe danze tribali africane che indicano che si viene come amici, non come nemici. E, siamo sinceri, in paesi come questo il tempo è un argomento che interessa tutti, una sorta di legame comune.» «E perché mai desiderate tanto avviare una conversazione con me?» domandò ancora Charlotte. Si era fermata davanti al giovane, senza accennare ad aprire la porta. «Be'» riprese lui, «mi era sembrato di riconoscervi, l'altro ieri in treno, e adesso, dopo quello che è accaduto, ne sono certo. Perciò mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con voi, lo capite, vero?» «Siete giornalista?» «No.» «E allora chi siete?» «Mi chiamo Timothy Royle.» «Ne so quanto prima.» Royle levò di tasca il portafoglio, ne sfilò un cartoncino e lo porse alla ragazza. «"Agenzia privata di investigazioni Hargreave"» lesse ad alta voce Charlotte. «"Indagini lapide e riservate. 37 Joad Street, Londra W.C.I."» «Un investigatore privato!» esclamò poi restituendogli il cartoncino. «Esatto. E mi trovo a navigare in acque più profonde di quanto non mi aspettassi.» «Non vi aspettavate un omicidio, vero?» «Affatto.» «Per chi lavorate?» «Non penserete davvero che ve lo dica!» «Edgar Frensham?» «Perdonatemi... "no comment".» «E allora perché dovrei accettare di parlare con voi, quando voi non parlate chiaro con me?» Lui si strinse nelle spalle. «Forse se entrassimo in casa, dove si potrebbe parlare con maggior comodo, potrei svelarvi un paio di cosette. Com'è che vi ho riconosciuta in treno, a esempio.» «Lo strano è che anche a me sembra di avervi già visto da qualche par-
te» ammise Charlotte. «Al processo, probabilmente.» Finalmente si decise a prendere la chiave dalla borsa e ad aprire la porta. «Per questo eravate tanto curioso di sapere che cosa ci venivo a fare a Mattingley!» «Ora mi interessa molto di più sapere perché ci rimanete» confessò lui seguendola in casa. «Morto, Frensham non vi può essere più di alcun aiuto. È forse la polizia a trattenervi qui?» Charlotte posò sul tavolo la borsa della spesa, accese la stufa e si sfilò la giacca. «Non gliel'ho chiesto, ma ho pensato che restando qui potrei forse scoprire qualcosa di utile, anche se dal signor Frensham ormai non riuscirò più a cavare niente. Non è che ci conti molto, ma dal momento che sono qui, tanto vale che ci rimanga ancora per un po'. Volete bere qualcosa?» «Non desidero di meglio» rispose subito Royle. «Sono gelato fino al midollo.» Si sfilò il cappotto e lo mise ben ripiegato sulla spalliera di una sedia. Charlotte andò in cucina a prendere due bicchieri e inaugurò subito la bottiglia appena comprata, poi si sedettero entrambi e sorseggiarono il liquore adocchiandosi a vicenda con circospetta curiosità. «Bene, e la famiglia come sta?» domandò Charlotte dopo qualche minuto. «La famiglia?» fece eco lui, interdetto. «Sì, i vostri cinque bambini!» «Oh, sì, certo! Stanno bene, grazie. Ho fatto una chiacchierata al telefono con la più piccola, ieri sera. Adora il telefono.» «Come si chiamano?» «Deborah, Vanessa, Theresa, Sandra e Judy.» «Tutte femmine! Sarete deciso a insistere finché non avrete il maschio, suppongo. Così le sue sorelle ne faranno una vittima, per troppo amore e sarà un povero disgraziato per tutta la vita.» «Per dire la verità, mia moglie e io siamo del parere che cinque siano più che sufficienti, anche se ci sarebbe piaciuto almeno un maschio. Oh, a proposito, bisogna che mi ricordi dei regali per Natale! È un'impresa terribile, sapete, scegliere il regalo giusto per ciascuna, così da non avere in cambio urli di gelosia invece che ringraziamenti. Ma non è di questo che desideriamo parlare, vero? D'accordo the avete detto di non capire perché dovreste confidarvi con me, quando io non intendo confidarmi con voi, ma certo non saranno le mie figlie l'oggetto principale del vostro interesse, no?» «Va bene, allora cominciate a dirmi qualcosa di più interessante.»
«Non c'è molto da dire. Non c'entravo per niente nel caso di vostro fratello. Mi sono trovato al processo per caso, soltanto perché ero interessato al dibattimento successivo. Ma vi ho vista seguirne lo svolgimento con una sorta dì orrore incredulo e ho capito che la sentenza di condanna è stata per voi un colpo quasi intollerabile. Mi è rimasta impressa nella memoria l'espressione del vostro viso in quel momento e non sarà facile dimenticarla. E quando Frensham ha fatto la sua deposizione, lo guardavate con tale odio che io ne sarei stato atterrito, se fossi stato al suo posto.» «E adesso pensate di sapere tutto, è così?» ritorse Charlotte. «Frensham è stato ucciso e voi, ripensando alla mia espressione omicida di quel giorno, siete persuaso che l'abbia ucciso io, vero?» Royle scosse lievemente la testa. «Penso che se foste venuta qui per quello, avreste nascosto con maggior cura le vostre tracce. Non avreste affittato il villino col vostro nome, tanto per cominciale. Non sareste rimasta a ciondolare per casa, dopo aver ucciso Frensham. E un Frensham morto non vi sarebbe stato di alcun aiuto, come ho già detto. Per essere sincero, non credo che vi sarebbe stato di molto aiuto neppure da vivo, ma voi siete venuta qui per indurlo in qualche modo a modificare la propria deposizione.» Con un sospiro stanco, Charlotte si appoggiò meglio allo schienale della poltroncina e rimase per qualche momento a fissare il suo whisky, facendolo ondeggiare nel bicchiere. «È stata un'idea sciocca» mormorò finalmente. «Ma "dovevo" fare qualcosa. Pensate anche voi che mio fratello sia colpevole?» «Non ho alcuna idea al riguardo, né in un senso né nell'altro.» «Ma non lo avete visto, sul banco degli accusati? Non vi siete chiesto se un ragazzo come quello, tranquillo, per bene, istruito avrebbe mai potuto essere capace di commettere un reato grave come una rapina a una banca?» «Oh, mia cara!» esclamò Royle con un calore che non aveva mai manifestato fino a quel momento. «Se aveste visto quello che ho visto io! Quel giorno ero in tribunale per un caso di violenza carnale e di omicidio. Una ragazza di diciassette anni aveva accettato di farsi riaccompagnare a casa dopo un ballo da un tizio che lei conosceva benissimo, e lui ne ha approfittato per violentarla, strangolarla e gettarla in un fosso, dopo di che se ne è tornato tranquillamente a casa dalla moglie e dai figli. E a guardarlo, lo avreste preso per un insegnante adorato dai suoi allievi o per un impiegato di banca che non avrebbe mai sottratto un francobollo. Non si può dire
niente, giudicando la gente soltanto dall'aspetto esteriore.» «Ma se aveste conosciuto Dick... No.» Charlotte sospirò di nuovo. «Non lo conoscete, perciò è inutile. Per me è diverso. Io "so" che non può avere commesso un reato simile. E siccome lo so per certo, devo dedurne che c'è stato qualcosa di storto nelle testimonianze a suo carico. E la testimonianza fondamentale è stata quella di Edgar Frensham, ricordate? Ha detto di essere andato in banca per incassare un assegno ed era lì ad aspettare il proprio turno quando erano entrati tre uomini armati che, minacciando tutti i presenti, erano riusciti a impadronirsi del denaro e a squagliarsela. Quanto meno, due di loro se l'erano squagliata. Frensham aveva detto di essere riuscito a bloccare il terzo, a disarmarlo e ad abbatterlo. E il terzo era Dick. Ma naturalmente le cose non stavano affatto così. Mio fratello era entrato "dopo" gli uomini armati e stava cercando di fuggire per dare l'allarme, quando Frensham lo ha bloccato. Nel trambusto, nessuno ha visto ciò che accadeva realmente, nessuno ha potuto muoversi, e quando finalmente sono usciti, i banditi erano già risaliti sull'auto con la quale erano arrivati ed erano scomparsi.» «Ma l'impiegata che ha consegnato il denaro» domandò Royle «lo ha identificato, vostro fratello?» «Da principio no. Tanto per cominciare, era troppo scossa per ricordare qualcosa. E lo stesso vale per le due o tre persone presenti. All'inizio avevano detto di non poter giurare su niente, poi, quando Frensham ha fatto la sua dichiarazione così categorica e Dick è stato trovato in possesso dell' arma che qualcuno gli aveva messo addosso, ci hanno ripensato e hanno detto di essere certi anche loro. E ora Dick deve scontare cinque anni di galera per un reato che non ha commesso. È stata una vigliaccata orribile e io sentivo di dover fare qualcosa, capite? Poi ho visto sul giornale l'annuncio riguardante l'affitto di questo villino e ho pensato che fosse un'ottima occasione per venire qui a cercare almeno di conoscere questo Edgar Frensham. Pensavo che fosse semplicemente un super-zelante che si era sbagliato in buona fede, ma ritenevo che a ogni buon conto non sarebbe stato male cercare di saperne un po' di più sul suo conto. Purtroppo sono arrivata tardi, ma già che ci sono, tanto vale che mi trattenga ancora qualche giorno: chissà che non salti fuori qualche notizia utile! Se la polizia dovesse scoprire qualcosa di poco chiaro sul suo conto, a esempio, sarebbe forse possibile ottenere un riesame della sua deposizione al processo.» «È un po' difficile riaprire un processo, una volta che è stata pronunciata una condanna, sapete» obiettò Royle vuotando il bicchiere e restando poi a
fissarlo con aria speranzosa, come se pensasse che, concentrandosi sul vetro, sarebbe riuscito a farlo riempire di nuovo. «Posso però dirvi una cosa: Frensham era decisamente un fior di farabutto e la polizia lo sa. Però si dà il caso che sappia anche che voi siete la sorella di Dick Cambrey e che sia molto curiosa di scoprire che cosa fate qui.» «Questo era inevitabile, penso» mormorò lei. «Forse avrei dovuto dirlo io stessa.» «Sarebbe stato meglio.» Charlotte si chinò a prendergli il bicchiere. «Ne volete ancora?» «Volentieri, grazie.» La ragazza gli versò un'altra dose di whisky, prima di domandare: «Come mai siete così bene informato su quel che pensa la polizia?» «Ho parlato con un paio di poliziotti e sapete com'è: una parola questo, una parola quello...» Lei lo guardò un po' perplessa. «E come hanno scoperto che Frensham era un farabutto, stando a quanto asserite?» «Oh, gli è bastato aprire la sua cassaforte per scoprirlo!» «Vi hanno detto che cosa hanno trovato?» «Non i poliziotti, naturalmente. Ma mi risulta che c'erano lettere di una donna, delle quali credo abbiano parlato anche con voi: lettere d'amore, in alcune delle quali si minacciava di rivelare questo o quello. Ma oltre alle lettere pare ci fossero documenti e fotografie dei quali Frensham si serviva quasi certamente a scopo di ricatto.» «Torno a chiedervi: Frensham era vostro cliente?» Lui la guardò inarcando le sopracciglia sottili e un po' ispide. Il whisky e il calore della stufa gli avevano acceso un po' le guance, e a un tratto un sorriso inaspettato e bonariamente canzonatorio gli illuminò il volto. «Che cosa ve lo fa pensare?» «Il fatto che un ricattatore potrebbe avere avuto bisogno dei servigi di un investigatore privato. Voi sareste stato in grado di scovare per lui informazioni molto utili!» «Se fossi stato disposto a prestarmi a un gioco del genere, perché mai mi sarei fermato lì? Avrei potuto fare un altro passo e dedicarmi direttamente alla proficua occupazione del ricatto, non credete?» «Non lo so. Forse è proprio così.» Il sorriso si accentuò. «Queste sono proprio le idee che la gente come voi si fa sulla gente come me. Ma se mai mi fossi dedicato a imprese del genere, non avrei certo durato a lungo nel mio mestiere.»
«Sicché Frensham non era vostro cliente?» «Bene, per farvi contenta, ammetterò che non lo era. Ma non vi dirò altro finché non sarò autorizzato a farlo.» «Immagino che qualcuno vi paghi perché recuperiate le prove incriminanti contenute in quella cassaforte. Come vi ripromettevate di arrivare a sottrarle? Minacciando a vostra volta Frensham o mettendo in atto un bel furto con scasso?» «Vi ho detto che non avrei aggiunto altro, ma voglio dirvi qualcosa cui forse non avevate pensato. Le lettere minatorie di quella donna e gli altri documenti sono ancora tutti là, nella cassaforte, no? E questo non significa forse che il delitto non è stato commesso da nessuna delle persone così coinvolte? Perché quelli sapevano certo che Frensham teneva in cassaforte le prove a loro carico, e ucciderlo sarebbe stata la maniera più sicura per vederle finire in mano della polizia. Perciò, secondo me, i casi sono due: o l'omicidio non ha niente a che vedere con quanto c'era nella cassaforte, oppure l'omicida è riuscito a farsi aprire la cassaforte, e recuperare quello che gli interessava, e poi ha ucciso Frensham.» «È il parere della polizia?» «Be', io ho prospettato a Barr questa ipotesi, ma non so se sono riuscito a convincerlo. Lui sembra pensare, e non ha torto, che a volte la gente agisce in maniera del tutto irrazionale. C'è chi uccide spinto dall'odio o dalla paura, e non pensa alle conseguenze.» «O forse Barr pensa che chi ha ucciso Frensham ritenesse di avere tutta la serata a disposizione per aprire la cassaforte e prendere ciò che gli interessava? Così ha isolato l'ascensore per evitare il rischio di essere sorpreso dalla signora Frensham, poi si è messo al lavoro. Ma sul più bello, è arrivata la signora Neville e lui si è trovato nella necessità di scegliere fra due soluzioni: uccidere anche lei o darsi alla fuga. E per chissà quale motivo ha preferito la seconda soluzione.» «Non pensate che invece possa essere proprio la signora Neville, l'assassina?» «E voi?» «Oh, io non ho fatto alcuna ipotesi particolare, finora!» «Ma avete sentito parlare di lei?» Lui annuì e quel lieve movimento fece sì che Charlotte si rendesse conto di quanto era rimasto immobile fino a quel momento, fissando lei con uno sguardo fermo e scrutatore. Aveva un viso molto più intelligente di quanto non le fosse apparso a tutta prima, pensò. Non era per niente una faccia
comune, quando non era lui a ingegnarsi di farla apparire tale. E forse in quel momento si stava dimenticando di farlo, a meno che non pensasse di poter arrivare più lontano, con lei, rinunciando a mascherarsi. «È per questo che siete venuto da me? Per sapere qualcosa di più sul conto della signora Neville?» domandò. Royle allungò le gambe e incrociò le caviglie, coccolando il bicchiere fra le mani a coppa. «In parte sì» rispose dopo un momento. «Ma volevo anche sapere perché eravate venuta qui, e questo me lo avete detto. Non penso che sia stata un'idea molto brillante: oltretutto sarebbe potuto diventare pericoloso, se Frensham avesse capito chi eravate. E vi confesserò che mi sorprende che non lo abbia capito, almeno stando alle apparenze. Cambrey non è un nome molto comune, dovrebbe avervi collegata subito con vostro fratello. A ogni modo, anche se Frensham non c'è più, potreste essere ugualmente in pericolo, ci avete mai pensato?» «No» ribatté lei sorpresa. «Perché dovrei essere in pericolo?» «Perché se era coinvolto in quella rapina alla banca, avrà avuto dei complici, no? Oppure lui era un semplice esecutore e da qualche parte c'è tuttora la persona che ha organizzato il colpo. E se dovesse saltar fuori che state cercando di rimestare le acque, potreste fare la stessa fine che ha fatto lui. (Che sarebbe un vero peccato!» «Credete che sia stato qualcuno coinvolto nella rapina a ucciderlo?» «Forse no, ma è un'ipotesi da non trascurare. Quanto alla signora bionda...» «Sì?» «Vi rendete conto che Barr non è affatto convinto che l'abbiate vista veramente?» «Ma io "l'ho" vista!» «Non ho detto che non vi credo! Ma Barr è molto incerto. Sapendo che siete la sorella di Dick, è naturale che si faccia un sacco di domande. Finora siete la sua migliore indiziata, ve ne rendete conto, vero?» «Ma ve l'ho detto» scattò lei battendosi i pugni sulle ginocchia. «Dick non ha fatto niente! Sarebbe sciocco sospettare di me soltanto perché sono sua sorella!» «Non aveva mai avuto guai con la polizia, prima?» «Be', una volta si è messo nei pasticci per aver fatto una scarrozzata con l'auto di un vicino, insieme con un amico. Ma quando è stato accusato, ha
ammesso sinceramente la propria colpa ed è stato condannato a pagare una multa. Non è stato niente di grave.» «Quando è accaduto?» «Oh, sentite!» sbuffò lei. «Non so davvero perché vi racconto tutte queste cose! Oltre tutto, non so neppure se siete veramente chi dite di essere!» «Secondo me, le avete raccontate perché è un sacco di tempo che morite dalla voglia di parlarne con qualcuno» ribatté Royle. «Tenervi tutto chiuso dentro non vi ha fatto molto bene. Siate sincera; non siete proprio certa al cento per cento che vostro fratello non c'entrasse per niente in quella rapina, vero?» Charlotte si abbandonò contro lo schienale della poltroncina, lasciando cadere le mani penzoloni oltre i braccioli. Non sapeva nemmeno lei perché avesse chiacchierato tanto con quello sconosciuto. Non poteva nemmeno dire che fosse stato lui a forzarle in qualche modo la mano: aveva parlato spontaneamente, sentendosi persino contenta di potere finalmente sfogarsi con qualcuno, benché Royle non le fosse sembrato affatto il tipo ideale del confidente. Ora, tuttavia, cominciava ad accorgersi che era dotato di intuito molto più di quanto non le fosse apparso a tutta prima, e che dietro quel viso all'apparenza anonimo si nascondeva una notevole intelligenza. Ma non sembrava molto comprensivo. Fino a quel momento non aveva affatto mostrato di essere incline ad aiutarla. Come se si sentisse mortificato dalle continue espressioni di sfiducia della sua ospite, Royle riprese in tono più gentile: «Vostro fratello non abitava con voi, vero?» Charlotte si concesse qualche momento per decidere se continuare a rispondere alle sue domande o no, ma non le sembrò che rispondere a quella potesse essere di alcun danno. «Abitava con me fino a non molto tempo fa, poi è andato a vivere con una donna, a Clapham. Era disoccupato da un bel pezzo. Non è mai stato capace di conservare un posto. Era sempre convinto di poter trovare di meglio, se lo avesse voluto. Quella sua ragazza lavorava in una biblioteca, e quando Dick è andato in prigione, lei si è sposata con un collega. Dick non è parso neppure tanto sorpreso, quando gliel'ho detto. Mi è quasi sembrato che se lo aspettasse.» «Non vi è venuto in mente che questo sarebbe potuto essere un movente per la rapina?» osservò Royle. «Voglio dire, se vostro fratello temeva che la ragazza lo abbandonasse, se era disperato e pensava che se avesse avuto del denaro lei non se ne sarebbe andata, tutto questo non avrebbe potuto
indurlo a commettere qualcosa che non rientrava nel suo carattere?» «Non era disperato, non gli importava gran che di quella ragazza e non ha avuto niente a che vedere con la rapina.» Royle guardò Charlotte con uno dei suoi sorrisetti ironici: «Leale fino alla morte, eh? Bene, mi piacete! Presumo che non abbiate più i genitori, altrimenti non vi sentireste così responsabile nei confronti di vostro fratello.» «Papà è morto quando io ero piccola» rispose lei. «Lo ricordo appena. E la mamma è morta tre anni fa, di cancro. Vivevamo tutti e tre assieme, quando c'era lei. Poi Dick è rimasto ancora un po' con me, come vi ho detto, finché non è andato a vivere con la sua ragazza.» Royle si alzò. «Bene, come vi ho detto, ammiro moltissimo la lealtà. Di conseguenza, questo colloquio rimane strettamente confidenziale, se lo desiderate.» «Oh, non credo che mi importi molto! Probabilmente racconterò tutto anche alla polizia, prima o poi.» «Vi saluto, allora. E grazie per il whisky.» Quando l'investigatore se ne fu andato, Charlotte rimase a lungo immobile, cercando di ricordare esattamente quello che gli aveva raccontato e chiedendosi se non vi fosse qualcosa che rimpiangeva di avergli detto. Tutto, finì per concludere. Si era lasciata trasportare scioccamente a un atteggiamento troppo confidenziale, benché lui non le avesse detto quasi niente di se stesso. Aveva asserito di essere un investigatore privato, ma quali prove le aveva dato? Un biglietto di visita poteva anche essere falso o rubato. Si era risolutamente rifiutato di dirle per chi lavorava. La sua presenza lì aveva senza dubbio a che vedere con Edgar Frensham, ma chi, nell'ambiente di Frensham, poteva avere avuto bisogno di assumere un investigatore privato? Lo stesso Frensham, o qualcuno che lui ricattava? "Se" era vero che ricattava qualcuno. La polizia non aveva accennato a niente, c'era soltanto la parola di Timothy Royle. E il suo intuito le suggeriva di non prendere per oro colato tutto quello che lui le aveva detto. Un tipo un po' ambiguo, pensò Charlotte. Non certo la persona con la quale aprirsi liberamente. Alla porta risuonò un altro colpo. Charlotte andò ad aprire e si trovò di nuovo davanti Timothy Royle. «C'è qualcuno nel villino della signora Neville» annunciò l'investigatore. «Ho visto un'auto nel box e qualcuno a una finestra. Una donna, mi è sembrato. Non avreste voglia di venire a dare un'occhiata con me, per vedere
se la riconoscete?» 5 Ma non c'era una donna, a Jasmine Cottage. Quando la porta si aprì, Charlotte e Timothy Royle si trovarono davanti un uomo sui trentacinque anni, in maglione bianco a collo alto e pantaloni di velluto rosso scuro. Tuttavia non fu difficile capire come l'investigatore, attraverso una finestra, avesse potuto scambiarlo per una donna: il tizio aveva capelli castani lunghi e folti, tagliati e pettinati con cura in morbide onde che gli incorniciavano il viso, una figura sottile e le spalle strette, lineamenti delicati e occhi verdi con lunghissime ciglia ricurve. Certo Royle non aveva potuto distinguere particolari come le ciglia, da lontano, ma tutto l'aspetto dello sconosciuto aveva qualcosa di femmineo. Tuttavia, non c'era alcunché di femmineo nella sua voce quando domandò: «E "voi" che cosa volete, adesso?» Una voce da basso profondo con un'incontrovertibile sfumatura di irritazione. Il villino era molto distaccato dagli altri, dai quali non era visibile, in fondo a un viale perpendicolare alla strada e al di là un' altra piccola costruzione che aveva l'aria di un granaio, non fosse stato per le tendine alle finestre che lasciavano supporre la presenza di qualche inquilino. Jasmine Cottage sembrava molto più vecchio degli altri villini, con travi scure a sostegno di pareti un po' incurvate, piccole finestre incassate e il tetto con le tegole ricoperte di muschio. All'interno, tuttavia, assomigliava in tutto e per tutto a quello di Charlotte. La porta d'ingresso si apriva direttamente su un piccolo soggiorno arredato con poltroncine, sedie di vimini e un tavolo di laminato plastico con gambe metalliche. E come nel soggiorno di Charlotte, sopra il tavolo c'era un vaso con qualche ramo di astri dalle foghe rinsecchite. In un angolo, come nel villino di Charlotte, c'era un piccolo scrittoio con tutti i cassetti aperti, dai quali erano caduti parecchi fogli, che adesso erano sparsi sul pavimento. Evidentemente l'uomo, chiunque fosse, stava facendo ricerche febbrili quando era stato interrotto dai due inattesi visitatori. «Perdonateci» si scusò Royle. «Cercavamo la signora Neville. Ho visto qualcuno alla finestra e ho pensato che fosse tornata.» «Ma voi chi siete?» domandò l'uomo, brusco. «Questa è la signorina Cambrey e io mi chiamo Timothy Royle. Siamo vostri vicini» spiegò l'investigatore. «E voi? Vi dispiacerebbe dirmi chi
siete?» «Non credo che siano affari vostri» ribatté seccamente l'altro. Tuttavia aggiunse: «Sono Marcus Neville, il marito di Isobel. Sapete dove sia?» «No. È scomparsa sabato sera in circostanze un po' misteriose. Ora pensavamo che fosse tornata ed eravamo venuti a vedere se andava tutto bene.» La voce di Royle era piatta e anonima, come se duello che diceva fosse la pura verità. «Entrate, allora» li invitò Neville. «Non capisco che cosa intendiate per circostanze misteriose. Volete spiegarvi meglio, per favore?» Tenne la porta spalancata finché i due non furono entrati, poi la richiuse e si avvicinò a gran passi allo scrittoio, poi richiuse via via i vari cassetti, dopo avervi ributtato alla rinfusa tutte le carte. «Volete dire che non sapevate della sua scomparsa?» domandò Royle. «No, naturalmente, altrimenti che ci sarei venuto a fare, qui?» Neville si lasciò cadere in una poltroncina accanto alla stufa elettrica, poi parve rendersi conto, di colpo, che non aveva invitato i suoi ospiti a sedere, e accennò con una mano alle altre due poltroncine. Aveva mani lunghe, sottili e bianchissime. «Avevamo fissato di vederci qui oggi, a colazione. Dovevamo discutere di alcune cose. Non avendola trovata, ho pensato che fosse uscita a fare qualche spesa e che sarebbe tornata presto. E adesso voi mi dite che è scomparsa. Ma scomparsa come?» «Non sapete niente dell'omicidio?» chiese di rimando l'investigatore. Neville lo guardò spalancando gli occhi verdi con le loro frange di lunghissime ciglia che apparivano ancora più lunghe e scure contro il pallore della sua pelle. «Quale omicidio?» «Non ne avete sentito parlare?» «Ma no, vi dico!» «Conoscevate Edgar Frensham?» «Certo.» «E non sapete che sabato sera qualcuno gli ha sparato, lasciandolo secco?» Neville trattenne bruscamente il respiro, poi si passò una mano fra i capelli. «Frensham è morto?» esclamò. «Allora perché mai Isobel mi ha fatto venire qui?» «Quando avete fissato questo appuntamento con lei?» domandò ancora Royle.
«Sabato mattina. Isobel avrebbe voluto che venissi ieri, ma io dovevo andare a Oxford con alcuni amici, perciò le ho promesso che mi sarei fermato qui oggi, tornando a casa.» «Sicché la polizia non si è ancora messa in contatto con voi?» «No... Ma sentite un po', voi state facendo una quantità di domande... Si può sapere chi diavolo siete?» Charlotte decise di intervenire. «Vedete, signor Neville, il signor Royle non è un vicino. È un investigatore privato, ma non siete tenuto a rispondere alle sue domande, se non volete.» Royle le saettò un'occhiata velenosa, poi si strinse nelle spalle, rassegnato. «È vero» ammise. «Ma siete stato voi a chiedere spiegazioni. Stavo soltanto cercando di scoprire che cosa sapete già, prima di dirvi il resto. Dunque, la signorina Cambrey è arrivata qui sabato pomeriggio, poi è andata a Brickett's Farm ed è stata ricevuta da vostra moglie che, per motivi noti soltanto a lei, si è fatta passare per la signorina Sharpies che, come saprete, è la governante di casa Frensham. La signorina Cambrey si è fermata soltanto pochi minuti» Royle guardò Charlotte, che annuì «e mentre si allontanava dalla casa, è stata sorpassata dall'auto di vostra moglie, lanciata a velocità pazzesca. Da allora nessuno più ha visto la signora Neville. Poco dopo, la vera signorina Sharpies è andata a Beech Cottage, il villino dove abita la signorina Cambrey, e le ha detto che il signor Frensham era morto. Si è poi scoperto che era morto per un colpo d'arma da fuoco alla testa e che aveva lasciato una strana lettera di congedo, come se si fosse suicidato. Ma non c'erano armi nella stanza, il che significa che se veramente è stato un suicidio, qualcuno è poi entrato nella stanza e ha portato via la pistola. È potrebbe essere stata vostra moglie. È quasi certo che sapeva già della morte di Frensham, quando l'ha vista la signorina Cambrey: sembrava sconvolta.» «Ma quante cose avete scoperto!» borbottò Charlotte. «Io non vi ho detto niente di tutto questo.» «Fa parte del mio mestiere, no?» Marcus Neville si strinse la testa fra le mani, come per evitare il rischio che si mettesse a girare per conto proprio. «Oh, Cristo!» mormorò. «Oh, Cristo, Isobel!» «Credete che possa avere ucciso Frensham?» «No, no, ma ha preso la pistola, è evidente!» «Perché?»
Neville tolse le mani dalla testa ed emise un lungo sospiro. «Ha minacciato tante volte di uccidersi, ma io non l'ho mai presa sul serio. Chi lo dice non lo fa, sì pensa sempre, ma non è affatto vero. È molto probabile che prima o poi ci arrivi. E se Isobel si è trovata davanti Frensham morto... Era pazzamente innamorata di lui, capite?» «Ma si era appena fidanzata con Ian Havershaw» proruppe Charlotte. «Lo conoscete?» Neville agitò nell'aria una delle sue lunghissime mani come a cancellare qualcosa di assolutamente insignificante. «Quello che abita nel granaio? Oh sì, ne ho sentito parlare. Però era innamorata di Frensham. E desiderava sposarlo. Per questo voleva vedermi, per parlare del divorzio. Vivevamo separati da più di un anno, da quando lei aveva conosciuto Frensham, ancora prima che venisse ad abitare qui. Ma non avevamo mai parlato di divorzio. L'altro giorno, al telefono, le avevo detto che era inutile, che io non intendevo divorziare, ma lei mi ha pregato e supplicato di venire qui per discuterne. Così sono venuto. Troppo tardi, a quanto pare.» «Perché non volevate divorziare?» domandò Charlotte. «Siete cattolico?» «No, cercavo soltanto di fare quello che ritenevo fosse meglio per lei.» Neville le lanciò una rapida occhiata, poi aggiunse, un po' impacciato: «Ma che cosa dicevate a proposito di quell'Havershaw?» «Soltanto che mi ha raccontato che lui e vostra moglie avevano deciso di sposarsi.» «Ah! Ed è stata Isobel a dirvelo?» «No.» «Allora probabilmente non è vero. Isobel deve averlo preso in giro, come ha già fatto con tanti altri. Io la capisco, e so che ha un gran bisogno della comprensione che può avere da me. Se ne rende perfettamente conto anche lei, quando ragiona a mente fredda, e quando si è trovata in qualche guaio è sempre venuta a rifugiarsi da me. Credo che sapesse benissimo che non le avrei mai concesso il divorzio per consentirle di sposare Frensham, perché un tipo come quello non poteva farle altro che del male. Avevo deciso di lasciare che se ne stesse qui sola finché non le fossero passate le scalmane, poi sarei venuto a riprenderla per riportarla a casa. Ero certo che sarebbe stata felice di tornare, quando avesse finalmente scoperto con che razza di mascalzone s'era messa.» «Voi dove abitate?» s'informò Royle.
«In un appartamento a Fulham. Sono un artista. Non di grande successo, devo dire, ma ho la fortuna di possedere del mio.» «Vostra moglie sapeva dell' altra donna di Frensham, quella che gli scriveva lettere appassionate e minacciose?» Neville trasalì come se si sentisse bruscamente costretto a ricordare qualcosa che stava sforzandosi di dimenticare, ma scosse la testa. «Isobel non ha mai accennato a nessuna donna, ma non mi stupisce che Frensham ne avesse un'altra. Era proprio una delle cose che cercavo di far capire a mia moglie, che prima o poi Frensham l'avrebbe certamente tradita. Chi è?» «La polizia non lo sa ancora» rispose Royle. «Per ora, hanno soltanto trovato nella cassaforte di Frensham un certo numero di lettere. Sono firmate soltanto con una B. e le date coincidono col periodo dei suoi rapporti con vostra moglie. Ma non si sa altro.» Neville si strinse di nuovo la testa fra le mani, premendosi le tempie. «Mi domando...» mormorò. «Forse Isobel lo sapeva e questo spiegherebbe il suo finto fidanzamento con quell'Havershaw. Ripicca. Un tentativo di dimostrare a Frensham che non le importava niente di lui.» Neville si rivolse a Charlotte. «Ho sentito parlare di questo Havershaw, ma non l'ho mai visto. Com'è?» «Molto giovane. Quattro o cinque anni meno di Isobel, direi. Ma un ragazzo affascinante, anche se tutt'altro che bello. E innamoratissimo di lei, incline a idolatrarla per la sua totale onestà e integrità.» «E questo spiega tutto» osservò Neville abbassando le mani e allargandole in un gesto di resa. «Proprio quello che le ci voleva, dopo una carogna come Frensham. Mi dispiace per quel ragazzo, perché naturalmente Isobel non lo avrebbe mai sposato. Alla fine sarebbe tornata da me.» «Però voi pensate che possa essersi uccisa» obiettò Royle. Neville rimase per qualche attimo in silenzio, poi emise un profondo sospiro. «Forse no.» «Che cosa vi ha fatto cambiare idea?» «Oh, soltanto la speranza di essermi sbagliato. Amo immensamente mia moglie, capite? E anche se fosse un'assassina, preferirei sempre saperla viva invece che morta.» Gli si spezzò la voce. «Può darsi che sia fuggita, spinta dal panico. Non è un tipo molto razionale, basta un niente per farle perdere la testa.» «Dove sarebbe andata, secondo voi, se si fosse lasciata prendere dal pa-
nico?» «Non lo so. Non sarebbe possibile che fosse nascosta da Havershaw?» «Penso che la polizia l'avrebbe già trovata, se così fosse.» «Sì, lo credo anch'io. Forse sarà andata all'estero. Può aver fatto qualsiasi cosa. Vedete, se c'era quest'altra donna e Isobel ha trovato Frensham morto, è possibile che abbia temuto di venire accusata dell'omicidio perché aveva un ottimo movente: la gelosia. Vi ho detto che non ha una mente molto logica e nemmeno molto sangue freddo. Un'altra probabilmente sarebbe rimasta qui e avrebbe affrontato a testa alta la situazione, ma Isobel no. Il suo primo impulso sarebbe stato senz'altro quello di correre a nascondersi. Ma a proposito di quella lettera di congedo di cui avete parlato, che cosa c'era di strano?» «Parecchie cose» spiegò Royle. «Tanto per cominciare era debitamente affrancata, con indirizzo e tutto, come se Frensham avesse avuto intenzione di imbucarla prima di uccidersi. Poi era scritta in una forma a dir poco insolita, compilata con estrema cura, non certo la lettera buttata giù alla meglio da un uomo che si accinge a compiere un gesto disperato. Inoltre lo scrivente si diceva dispiaciuto che la morte creasse necessariamente un certo disordine e si riprometteva di fare in modo che la sua ne creasse il meno possibile, e non credo che spararsi alla testa nel bel mezzo di un salotto, dove il sangue sarebbe schizzato tutt'intorno su uno splendido tappeto color crema, sia il sistema migliore per non creare disordine.» «E quindi la polizia pensa che la lettera sia contraffatta.» «No, sembra di no. Sono certi che la grafia sia quella di Frensham. Ma perché avrebbe scritto una lettera simile, così verbosa, per non dire prolissa, non sanno spiegarlo.» «Potrebbe essere stato uno scherzo?» buttò là Neville. «Uno scherzo piuttosto macabro, direi! E a quale scopo?» «Forse per farsi beffe della polizia. Quelli sarebbero arrivati là a sirene spiegate e avrebbero trovato il finto suicida vispo e sano come un pesce. Edgar Frensham sarebbe stato tipo da farlo!» «Già, e qualcuno che era al corrente della lettera ne avrebbe approfittato per fargli saltare le cervella, lasciando lì l'arma del delitto, per completare a dovere il quadro del suicidio. Ma poi è arrivata vostra moglie e ha rovinato tutto, portandosi via la pistola Be' non è poi una teoria tanto sballata!» Un'ondata di tenue rossore colorì il viso di Marcus Neville, che balzò in piedi, il corpo esile e pigro di colpo teso come una molla pronta a scattare. «Accidenti a voi e alle vostre teorie!» gridò in preda a un'improvvisa ec-
citazione. «Andatevene di qui! Lasciatemi! Io muoio di paura all'idea che mia moglie si sia uccisa e voi venite a cianciare di teorie!» «Mi pareva che fosse la "vostra" teoria!» rimbeccò l'investigatore. Neville sembrò non averlo udito. «Fuori di qui, ho detto! Lasciatemi stare! Non siete un poliziotto, voi, non avete alcun diritto di venire a farmi domande!» «Più che giusto» convenne Royle alzandosi, subito imitato da Charlotte. «Spero che abbiate presto notizie di vostra moglie. Salve!» Aprì la porta, lasciò passare Charlotte, poi la seguì nell'aria gelida e umida del mattino. I due tornarono insieme a Beech Cottage, senza parlare. Quando arrivarono al villino. Charlotte disse: «Posso offrirvi la colazione, se volete.» «Grazie, ma non vi disturbate. Vorrei andare a parlare con Havershaw, ora.» «Sapete, quel Neville non è affatto come me l'aspettavo» osservò lei. «A giudicare da quanto mi aveva detto Havershaw, mi ero immaginato una sorta di arido uomo d'affari convinto che il solo compito di sua moglie dovesse essere quello di contribuire al miglioramento della sua posizione. Non mi aspettavo davvero un tipo così sensibile!» «Siete proprio certa che sia tanto sensibile? Potrebbe essere semplicemente un bravo attore. E quei tipi così nervosi e delicati a volte sanno essere duri come l'acciaio. Tanto per cominciare, che cosa cercava con tanto accanimento nello scrittoio di sua moglie? Mi piacerebbe proprio saperlo!» «Allora pensate che fosse perfettamente al corrente dell'omicidio e forse anche che sappia dov'è sua moglie?» «Non mi sorprenderebbe. E mi piacerebbe pure sapere se quella famosa telefonata l'ha ricevuta davvero sabato mattina, molto prima della morte di Frensham, o non piuttosto sabato sera, dopo il delitto. Intanto doveva avere la chiave del villino, questo è certo, vale a dire che aveva sicuramente visto Isobel.» Royle stava per andarsene quando un'osservazione di Charlotte lo fermò. «Tra parentesi, siete un attore per niente disprezzabile anche voi, vero?» disse la ragazza. «La prima volta che vi ho visto, vi ho giudicato un essere insignificante. Sono certa che non vi dispiace sentirmelo dire, perché è proprio quello che volevate, no? Ma ora ho la sensazione che non sia consigliabile attraversarvi la strada!» «È un rischio che voi non correte, per quel che ne so. Per ora, almeno»
ribatté lui con un sorriso. «Vi troverò in casa, più tardi, se mi capitasse di passare da queste parti?» «Penso di sì. Però...» «Però...?» «Vorrei sapere per chi lavorate. Così come stanno le cose ora, non riesco a fidarmi completamente di voi.» «Diciamo che lavoro per me stesso, per il denaro che guadagno» fu l'evasiva risposta. «Ne ho bisogno. Desiderate sapere altro?» Royle alzò una mano in un lieve gesto di saluto e girò sui tacchi. Charlotte rientrò in casa e si accinse a riscaldare la pizza surgelata che si era comprata per colazione, e nell'attesa che fosse pronta, bevve un sorso di whisky e preparò il caffè. Erano già le due, più tardi di quanto pensasse, eppure non aveva fame per niente. Mangiò soltanto mezza pizza. Scoprì che la lunga chiacchierata con Royle e il fatto di avergli confidato i motivi che l'avevano indotta a venire a Brickett's Farm le avevano un po' alleggerito lo spirito, consentendole di rendersi conto che ormai tanto valeva tornarsene a Londra. Quella di venire a Mattingley per cercare di convincere Frensham a modificare la deposizione da lui fatta al processo di Dick non era stata un'idea molto brillante neppure prima. E adesso che Frensham era morto, non c'era più motivo per restare lì. Se il vero Frensham non era stato affatto l'uomo integerrimo, il cittadino scrupoloso e zelante quale lo ritenevano a Mattingley e quale si era ingegnato di apparire al processo, la polizia, che aveva libero accesso alla sua cassaforte, ne sapeva ormai molto più di lei, che in realtà non sapeva niente, e che a sostegno della propria fede nell'innocenza del fratello non aveva altri argomenti se non che Dick, seppure un po' irresponsabile e svagato, era un ragazzo profondamente buono e gentile che non sarebbe stato capace di puntare una pistola addosso a nessuno. Imprese come quella di rintracciare i due supposti complici nella rapina erano infinitamente al di là delle sue possibilità: quello era un compito che riguardava soltanto la polizia. Rendendosi conto a un tratto, con improvvisa chiarezza, di essere e di essere sempre stata nell'impossibilità di fare qualcosa, Charlotte si sentì sopraffatta da un senso di profonda depressione. Ma subito dopo, per un'inspiegabile reazione, provò una sorta di sollievo all'idea di non poter fare niente. Si vergognò di quella sensazione, ma in fin dei conti, di che altro si trattava se non di una resa di fronte a una realtà immutabile?
Sarebbe tornata a Londra l'indomani stesso, decise, a meno che non fosse stata la polizia a impedirglielo. Sarebbe tornata a casa e avrebbe cominciato a darsi da fare per trovare un lavoro, cercando di rassegnarsi al fatto che Dick era in prigione e lei non poteva fare altro che tenere pronta una casa e un po' di denaro per quando sarebbe uscito. Doveva imparare a essere paziente e gentile, due doti per le quali, se ne rendeva conto, non aveva mai brillato, in modo da poterlo aiutare ad affrontare senza troppa amarezza il mondo che lo aveva trattato così ingiustamente. Rammentando di avere visto un telefono pubblico all'inizio del paese, quand'era andata a fare spese, Charlotte decise di andare a telefonare a Barr, sperando di trovarlo a Brickett's Farm o alla stazione di polizia di Mattingley, per chiedergli se poteva andarsene. Erano quasi le quattro quando uscì per andare in paese e con le prime ombre della sera l'aria ricominciava a farsi pungente. Il cielo era un'immensa cupola azzurra già punteggiata di stelle scintillanti. Non appena aprì il cancello, Charlotte si trovò a faccia a faccia con i coniugi Grainger. Entrambi in blue-jeans e giacca di agnellone, i due sembravano ancora più uguali l'uno all'altra di quanto non le fossero apparsi la sera prima. «Oh, uscite?» domandò la signora Grainger. «Non vi tratteniamo, allora. Eravamo venuti soltanto a chiedere se va tutto bene. Non so davvero come facciate a sopportare di starvene qui sola, dopo quello che è accaduto. Ma già, io sono così paurosa! Lo sapete che non so stare sola di notte? Quando non c'è Ben, vado da mia sorella. Lui mi prende sempre in giro per questo. "Che cosa c'è mai da rubare, qui dentro?" dice. Oppure: "Ma pensi davvero che qualcuno venga a violentarti e a ucciderti proprio stanotte?" E se la mettiamo così, naturalmente, mi sento ridicola io stessa, ma non si può cambiare il proprio carattere, non vi pare? In tutta la mia vita, ho sempre avuto una paura terribile a star sola!» «Chiacchieri troppo» la redarguì il marito. «E non le hai detto il vero motivo per il quale siamo venuti. Volevamo chiedervi se vi farebbe piacere venire a stare con noi finché questa buriana non sia passata. Abbiamo una camera in più, nel nostro villino, e voi sareste un'ospite graditissima. È vero che Liz si spaventa anche quando non c'è niente di cui spaventarsi, ma in questo frangente non biasimerei davvero nessuno che avesse paura di restare solo. Sappiamo che c'è un assassino che gira indisturbato, e oltre tutto voi siete stata testimone del delitto. L'assassino potrebbe pensare che abbiate visto anche quello che non avete visto affatto. Perciò, se volete far fagotto e venire ad abitare con noi, sarete la benvenuta.»
«Siete molto gentili» disse Charlotte. «Ma non volete entrare? Stavo andando soltanto a telefonare, ma non c'è alcuna fretta.» «Siete certa che non disturbiamo?» domandò la signora. «Ci fermeremo solo un minuto.» «Ma il nostro invito era sincero» aggiunse il signor Grainger. «Non mi pare giusto che una ragazza giovane come voi debba restarsene qui sola.» «Vi ringrazio, siete molto gentili» ripeté Charlotte, precedendoli. «Ma sto benissimo. E in ogni caso, torno a Londra domani.» Non appena furono entrati, i due si sbottonarono il giaccone, ma non se lo tolsero, come a fare intendere che veramente si sarebbero fermati soltanto un momento. Si sedettero tutti e tre accanto alla stufa. «Me ne andrei tanto volentieri anch'io» confessò la signora Grainger. «Per essere sincera, stiamo pensando di trasferirci a Mattingley. Non ci piace più per niente questo posto. Polizia, stampa, morbosi ficcanaso... non è bello davvero! Anche se è ancora tutto in disordine, saremmo andati addirittura nel nostro appartamento sopra il negozio, ma non abbiamo ancora firmato il contratto e il proprietario non vuole darci le chiavi. Ma ormai è questione di poco tempo e per una o due settimane possiamo andare in albergo. Io non vedo l'ora, nonostante l'altra disgrazia accaduta proprio stamattina a Mattingley. Non l'avete saputo?» Charlotte scosse la testa. «No, non so niente!» «Be', può darsi che non ci sia niente di vero, ma corre voce che la causa sia da cercare fra le carte che erano nella cassaforte di Frensham. Fatto sta che il signor Entwhistle, presidente della commissione urbanistica municipale, si è ucciso, e la gente dice che avesse preso delle tangenti da un importante studio di architettura perché dirottasse da quella parte il maggior numero di contratti. E stamattina lo hanno trovato morto nel suo letto, morto per una dose eccessiva di barbiturici, e si dice che si sia ucciso non appena ha saputo della morte di Frensham, perché la polizia avrebbe scoperto le prove a suo carico raccolte dal nostro caro padrone di casa.» «Stai di nuovo chiacchierando troppo» s'intromise il signor Grainger, seccatissimo. «Probabilmente non c'è una parola di vero in tutta questa storia. Tu sei sempre pronta a ingoiare tutte le chiacchiere che senti. Non datele retta, signorina Cambrey. È vero che questo signor Entwhistle è morto stanotte, lo abbiamo sentito dire dal marito della donna che va a casa sua a fare le pulizie. Stavamo pranzando in un ristorante di Mattingley, dopo essere stati al negozio per stabilire alcuni cambiamenti che intendiamo fare, e quell'uomo si è messo a chiacchierare con noi, parlandoci dello spavento
preso da sua moglie. Poi ha detto che il signor Entwhistle si era ucciso, ma che la cosa non aveva sorpreso nessuno, perché tutti sapevano che intascava grosse tangenti e che prima o poi lo avrebbero certamente scoperto. E la donna delle pulizie una volta aveva sentito Frensham minacciarlo. Ma che questa storia abbia qualcosa a che vedere con quanto ha scoperto la polizia nella cassaforte di Frensham è soltanto un'idea di Liz. Mia moglie ha sempre delle idee bislacche. Bisogna andare molto cauti, prima di credere a questo o a quello!» La signora Grainger fece una risatina di affettuosa protesta. «Sentite come mi tratta, signorina? Ma la polizia non vi ha detto di avere trovato del materiale addirittura esplosivo nella cassaforte di Frensham?» «A me Barr ha detto soltanto di avere trovato materiale "interessante"» precisò Charlotte. «Be', è più o meno la stessa cosa, no? Vuol dire che si tratta di roba che si poteva usare per ricatto, non credete? O se non per ricatto, visto che in fin dei conti non abbiamo prove che il signor Frensham non fosse un uomo assolutamente retto e onesto, per rivelare mangerie e corruzioni e cose del genere, e che fosse proprio così che lui intendeva servirsene, se non lo avessero fatto fuori. Io sono sicurissima che quella roba c'entri per qualcosa nel suicidio del signor Entwhistle.» «E io sono sicurissimo che è soltanto una coincidenza» dichiarò Ben Grainger. «Tutto il resto è soltanto frutto della tua immaginazione. Chissà quanta altra gente è morta a Mattingley la notte scorsa, fra incidenti d'auto, accoltellamenti e vecchi arrivati alla fine dei loro giorni! Soltanto che non se ne è sentito parlare, ecco tutto! Allora, signorina Cambrey, proprio non volete venire da noi? Sareste la benvenuta, ve lo abbiamo detto.» «Vi ringrazio molto e apprezzo la vostra offerta» rispose Charlotte. «Ma sinceramente preferisco restare a casa mia, almeno fino a domani.» Ben Grainger si alzò e batté un colpetto su una spalla della moglie. «Andiamo, allora, Liz. Lasciamo che la signorina vada a fare la sua telefonata.» La donna si alzò a sua volta. «Comunque, se cambiate idea, venite pure. Il nostro villino è dietro quello di Birdie... della signorina Bird, sapete, dove ci siamo trovati ieri sera. Bene, addio, per ora.» Passò un braccio sotto quello del marito e uscì con lui. Charlotte chiuse la porta alle loro spalle e si sfilò la giacca. Non era più tanto certa di voler telefonare a Barr. Era perplessa, come se in quei pochi
momenti le avessero detto qualcosa di molto importante che lei aveva già dimenticato ma che doveva cercare di ricordare bene prima di decidere che cosa fare. Chiuse le tende e prese il suo libro, ma non riusciva a fermare l'attenzione su quello che leggeva. Quanto sarebbe stato meglio se non fosse mai venuta lì! Ma dal momento che c'era e che si trovava quasi coinvolta in un caso di omicidio, sarebbe stato forse più saggio non dare l'impressione di voler fuggire. Oltretutto, se fosse rimasta, avrebbe ancora potuto cercare di scoprire qualcosa di più sul conto di Edgar Frensham. Tanto per cominciare, sarebbe potuta andare a fare una visita alla vecchia signora Frensham, il giorno seguente, e cercare di indurla a parlare del figliastro. Poteva far chiacchierare la signorina Sharpies. Non doveva essere molto difficile. Forse sarebbe stato opportuno anche parlare con la polizia più apertamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento: chissà che non avesse potuto averne in cambio qualche utile informazione su Frensham. Non ci contava troppo, ma valeva comunque la pena di tentare. Qualcuno bussò alla porta. Immersa com'era nei propri pensieri, Charlotte trasalì violentemente, ma non si alzò per andare ad aprire. Poi rifletté che chiunque fosse, il visitatore vedeva certo la luce accesa oltre le tende tirate e sapeva dunque che lei era in casa. I colpi alla porta si ripeterono, infatti e Charlotte stavolta andò ad aprire. Era Angela Bird. Di nuovo in tenuta da gazza, pantaloni neri attillati sulle gambe sottili, pullover bianco e giacca trapuntata nera, entrò nel soggiorno con passi lunghi e aggraziati. «Torno ora da Mattingley» spiegò. «Ho lavorato tutto il giorno e, passando di qui, ho pensato di fermarmi a vedere se ci sono novità. Mi hanno detto che è arrivato Marcus Neville. Sapete se sia ancora qui?» «Da chi lo avete saputo?» «Dalla signorina Sharpies. Prima di venire a casa, sono stata a Brickett's Farm per chiedere se la signora Frensham stava bene e se aveva bisogno di qualcosa. La signorina mi ha detto di essere andata a Mattingley a prendere dei libri in 'biblioteca per la vecchia e di avere visto, dall'autobus, al ritorno, Marcus Neville che usciva da Jasmine Cottage. Era certa di non sbagliarsi perché Marcus è stato qui una quantità di volte, da quando Isobel è venuta ad abitare al villino, e la signorina Sharpies non ha mai visto nessun altro vestito di velluto rosso.» «Sì, era qui, infatti» disse Charlotte. «Ha detto che gli aveva telefonato la moglie dicendo che voleva parlare con lui per il divorzio. Pensando che lei intendesse sposare il signor Frensham, Neville aveva deciso dì rifiutare,
perché era convinto che sarebbe stato un gravissimo errore da parte di Isobel. A quanto pare, non aveva la più pallida idea che si trattasse invece di Ian Havershaw e, quando gliel'ho detto, per poco non si è messo a ridere. Voi lo conoscete bene?» «No, ma dal poco che ne so mi sembra un tipo tortuoso, di cui è bene non fidarsi troppo.» «Ma il signor Frensham lo conoscevate bene, no?» insistette Charlotte. «Che cosa ne pensate?» «Ve l'ho già detto ieri, non era difficile odiarlo» rispose la Bird con una delle sue risatine simili al chiocciare di una gallina. «Tuttavia, per essere sincera, vi dirò che sulle prime non lo avevo trovato antipatico. Sapeva essere affascinante, quando voleva, ma bisognava essere stupidi per credere a una sola parola di quel che diceva, e la falsità è un difetto che io non tollero. Inoltre era un prepotente. Se non eravate d'accordo con lui, se la prendeva a male, vi umiliava davanti a tutti, se poteva, e andava a raccontare in giro le calunnie peggiori sul vostro conto. La signora Frensham ha avuto per un certo tempo un'infermiera, Beatrice Wallace, una brava donna coscienziosa, ma non troppo intelligente, che cercava di far valere la propria autorità per quanto riguardava la sua ammalata, e allora Frensham è andato a raccontare che si era innamorata pazzamente di lui e la prendeva in giro, ci rideva sopra, perché la poveretta era veramente contro tutte le tentazioni. Non perdeva occasione per farle fare la figura della scema davanti agli estranei. Io una volta gli ho cantato chiaro quello che ne pensavo e allora lui se l'è presa con me, ma di me aveva un po' paura e non ha mai tentato di farmi del male.» «Ha sempre abitato qui con la signora Frensham?» «No, soltanto da tre anni a questa parte. Ma nessuno ne ha mai saputo molto sul suo conto. Si sapeva soltanto che era venuto qui per aiutare la matrigna a dirigere la tenuta. La signora Frensham ha detto allora che era stato per qualche tempo in una fattoria sudafricana, ma che era venuto via perché non gli piaceva quel paese. Lui però non ha mai parlato del Sudafrica, sicché qualche volta mi sono chiesta se non ci fosse sotto qualche mistero. Oltre tutto, non mi pareva davvero tipo da preoccuparsi di problemi razziali o cose del genere. Anzi, ho sempre pensato che sarebbe stato ben contento di avere ai propri ordini una schiera di negri da angariare. Ma forse gli sto facendo torto. Non prendete troppo sul serio le mie parole. Il fatto è che Frensham mi era cordialmente antipatico.» Angela Bird chiuse d'un colpo la cerniera lampo del giaccone, augurò la
buonanotte e se ne andò, magra, bianca e nera e bellissima. Ma non fu l'ultima a bussare alla porta di Charlotte, quella sera. La Bird era uscita da un quarto d'ora, quando risuonò un altro colpo. Charlotte andò ad aprire, certa che stavolta fosse Timothy Royle, che aveva accennato alla possibilità di una nuova visita. Invece era una donna. Una donna in cappotto di tweed grigio con un alto collo di volpe, i capelli biondi e lisci pettinati all'indietro, così da lasciare scoperto il pallido volto ovale. Aveva appena cominciato a dire qualcosa, quando echeggiò nell'aria uno strano rumore, qualcosa che pareva l'unione di un leggero schianto e di un sibilo, come lo schiocco di una grossa frusta. La donna emise un lieve brontolio, poi si afflosciò in un mucchio sul pavimento del piccolo portico. Lina macchia di sangue cominciò ad allargarsi sul cappotto grigio, fra le due scapole. 6 Subito dopo, Charlotte, pietrificata sulla soglia, udì un rumore di passi in corsa. Passi che si allontanavano, rifletté. Poi vide delle luci sulla strada, ma era soltanto l'autobus proveniente da Mattingley, che andava verso il paese. Infine udì altri passi, sempre di corsa, che si avvicinavano al villino. Si sentì gelare dal terrore. Doveva muoversi, fare qualcosa prima che quei passi arrivassero al cancello. In preda allo choc, infilò le mani sotto le ascelle della donna esanime sulla soglia e tirò, ma il corpo era più pesante di quanto avesse creduto. Si spostò di qualche centimetro, poi sembrò resistere accanitamente a tutti i suoi sforzi. La luce del soggiorno delineava perfettamente la sua sagoma e il corpo della donna bionda, facendo di entrambe uno splendido bersaglio per la persona che stava sopraggiungendo. Ma quella luce almeno poteva spegnerla. Charlotte tese un braccio all' indietro per premere l'interruttore e nello stesso momento vide che il nuovo arrivato era Timothy Royle. L'investigatore la raggiunse d' un balzo, infilò le braccia sotto le ascelle del corpo inerte, come già aveva fatto Charlotte, e lo trascinò senza fatica apparente oltre la soglia del villino, poi richiuse la porta con un calcio. «Non avremmo dovuto spostarla, naturalmente» osservò. «Per lei stessa e per la polizia. Ma lì fuori c'è qualcuno armato di rivoltella e non avevo nessuna intenzione di servirgli da bersaglio.» Posò una mano sul cuore della donna. «Portate una coperta e una borsa con l'acqua calda, se l'avete, e accendete tutti gli elementi della stufa. Credo che sia ancora viva.»
Charlotte girò una manopola della stufa, poi si precipitò su per la scala. Nella seconda stanza da letto c'erano altre coperte e nella stanza da bagno era appesa una borsa per l'acqua calda. Prese tutto e scese di corsa. Dopo avere aiutato Royle ad avvolgere la donna nelle coperte, si portò la borsa in cucina, riempì d'acqua il bollitore e lo mise sul fuoco. Mentre aspettava che l'acqua bollisse, diede un'occhiata nel soggiorno. La donna aveva il viso color della cenere. Royle le aveva messo un cuscino sotto la testa e le coperte in cui era avvolta nascondevano le macchie di sangue, ma ne era rimasta una lunga traccia sul pavimento, dalla porta d' ingresso fino al punto in cui la bionda giaceva ora. «Non può essere ancora viva» mormorò Charlotte con voce alterata dalla paura. «Non si può mai dire» ribatté Royle. «Mi è sembrato dì sentir battere il cuore. Bisogna chiamare un medico.» «E la polizia.» «Sì, ma prima di tutto il medico.» «C'è il dottor Maynard.» «Dove si potrà trovarlo?» «Abita in passe. Corro a telefonargli, se volete pensare voi all'acqua calda.» «D'accordo.» Charlotte schizzò fuori senza perdere tempo a infilarsi la giacca, ma quando fu al cancello si rese conto di non avere preso la borsa e di non avere le monete necessarie per telefonare. Tornò indietro di corsa e sulla soglia del villino inciampò in qualcosa, evitando per un filo di cadere. Era una borsetta da signora, senza dubbio quella di Isobel Neville, che era sfuggita di mano alla donna, quando era stata colpita. Charlotte la raccattò in fretta, la gettò sul tavolo del soggiorno e prese la propria, insieme con la torcia elettrica. Sentì che Royle era in cucina, evidentemente occupato a riempire la borsa dell' acqua calda. La donna sul pavimento non si era mossa di un filo. Pareva impossibile che fosse ancora viva, ma si doveva comunque chiamare il dottor Maynard e Charlotte uscì di nuovo. Sulla strada era ferma la Renault bianca. Un po' correndo a perdifiato, un po' camminando per calmare il batticuore, la ragazza raggiunse finalmente la cabina telefonica. Solamente quando fu entrata, richiudendosi la porta alle spalle, l'assalì un dubbio. Come mai Royle aveva lasciato uscire lei, con quel buio e un probabile omicida armato che forse si aggirava ancora nelle vicinanze, in-
vece di assumersi lui stesso quell'incarico? Forse perché era il tipo che preferisce lasciare agli altri i compiti più pericolosi? O perché sapeva che non c'erano assassini armati in giro, dato che l'unica pistola esistente nelle immediate vicinanze l'aveva avuta in mano proprio lui? Era forse stata una follia imperdonabile lasciarlo solo con Isobel Neville che, se anche fosse stata ancora viva quando l'aveva trascinata in casa, sarebbe stata sicuramente morta quando lei fosse rientrata? Charlotte sfogliò nervosamente le pagine di un consunto elenco telefonico e finalmente trovò il numero del dottor Maynard. Le rispose una voce femminile, impersonale, evidentemente quella della segreteria telefonica, che comunicò il numero al quale il dottore poteva essere rintracciato in quel momento. Stavolta rispose personalmente il dottor Maynard. A tutta prima parve irritato per la chiamata fuori orario, ma mutò subito tono non appena Charlotte gli ebbe raccontato quello ch'era accaduto. «Capisco. Bene, tornate a casa immediatamente e restate con Isobel» disse. «Penso io ad avvertire la polizia e l'autoambulanza. Sarò da voi fra pochi minuti, Isobel Neville, santo Iddio! Ma siete proprio certa?» «È la donna che ho visto sabato sera a Brickett's Farm» dichiarò Charlotte. «Capisco. A fra poco.» Al villino le cose erano come le aveva lasciate, salvo che Timothy Royle ora sedeva in una poltroncina di vimini, intento a inventariare il contenuto della borsetta che Charlotte aveva lasciato sul tavolo: un portamonete, un portacarte, una penna, un portacipria, un rossetto per le labbra, un pettine e un fazzoletto erano disposti in bell'ordine sul pavimento, ai piedi dell'investigatore, che in quel momento stava sfogliando un piccolo taccuino rosso. «Questo è molto interessante» osservò senza nemmeno alzare gli occhi su Charlotte. «Un'agenda di quest'anno senza una sola annotazione. Da gennaio a dicembre non c'è scritta una riga!» Charlotte non fece commenti. Era intirizzita fino alle ossa e batteva addirittura i denti. Si sedette accanto alla stufa e domandò: «Come sta?» «Non lo so» rispose Royle. «Credo che sia ancora viva, ma se camperà finché si possa fare qualcosa per lei, lo sa il cielo. Ma non vi sembra interessante questo? Perché mai tenere in borsa un' agenda per un anno intero, se non intendeva scrivervi niente?» «Forse avrà scritto con l'inchiostro simpatico» ribatté Charlotte inviperita. «Dite un po': come faccio a essere sicura che non siete stato voi a spararle?»
Royle la fissò sbalordito. «Ma non lo avete sentito scappare, quello che ha sparato?» «Io ho sentito correre soltanto voi. Da dove venivate?» «Ero stato a Brickett's Farm. Ero nel viale, quando ho udito lo sparo e poi qualcuno che fuggiva, ma quando sono arrivato in fondo al viale non ho visto nessuno.» «Proprio nessuno?» «Nient'altro che l'autobus che passava. Ma ditemi, voi tenete un' agenda nella borsa?» «Di solito sì.» «E che cosa ci scrivete?» «Qualche annotazione su qualcosa che temo di dimenticare e talvolta le spese di cui voglio tenere nota.» «Dunque ci scrivete "qualcosa"!» «Sì, certo.» «Allora, siete d'accordo che è strano?» «Oh, non lo so! Può darsi che la signora Neville abbia perduto quella che aveva e ne abbia appena ricomprata un'altra... O forse non usa nessuna agenda, ma qualcuno le ha regalato quella lì e lei ha continuato a tenerla in borsa per un senso di riguardo. Signor Royle...» «Mi chiamo Timothy» l'interruppe lui. «Ma per favore, non Tim. Alcuni miei amici d'infanzia avevano un cagnetto che si chiamava Tim... Mi è sempre sembrato un nome da cane.» «Non mi pare che abbia molta importanza se ci chiamiamo a vicenda così o cosà» ribatté Charlotte. «Non siamo tanto in confidenza da attribuire importanza a cose del genere!» «Che stile forbito!» Charlotte ebbe improvvisamente il timore di scoppiare in singhiozzi. «Oh, sentite, come potete parlare così?» proruppe. «Siamo qui davanti a una persona che sta morendo, se non è già morta, e voi vi mettete a scherzare come uno sciocco!» «Avete ragione, perdonatemi! È il mio modo dì reagire di fronte a una disgrazia. Mi rifugio in qualche sciocca battuta. Che cosa volevate dirmi?» «Avete detto che eravate nel viale dì Brickett's Farm quando avete sentito lo sparo.» «Sì, stavo venendo da voi.» «Che cosa eravate andato a fare, a Brickett's Farm?» «Oh, a fare qualche domanda...»
«Non perché la vostra cliente è la signora Frensham?» Royle si chinò a raccattare con cura i vari oggetti sparsi sul pavimento, ai suoi piedi, e li rimise con studiata lentezza nella borsa, così che Charlotte, per qualche momento, non poté vederlo in viso. «Come mai vi è venuta un' idea simile?» domandò alla fine. «Questo spiegherebbe come mai sapete quello che sapete» spiegò Charlotte. «Siete al corrente di quello che c'era nella cassaforte. Potrebbe avervelo detto la signora Frensham, che lo ha certo saputo dalla polizia.» «Che cosa mai dovrebbe farsene dell'aiuto di un poliziotto privato una donna della sua età, secondo voi?» Royle alzò finalmente la testa, guardando in viso la ragazza. Aveva di nuovo quella sua faccia anonima, comune e inespressiva dalla quale non traspariva alcuna emozione. Charlotte si domandò come mai in qualche momento avesse potuto sembrarle persino bello. «Potrebbe aver desiderato saperne un po' più di quanto non sapesse sul conto del figliastro» rispose. «"È" la vostra cliente, vero? Non lo avete negato!» «Io non nego mai niente, per principio. Se si comincia su questa strada, si può essere poi indotti a continuare finché non ci si trova incastrati in un angolo e si è costretti ad ammettere che è la verità. Se no, si deve confessare di avere mentito dal principio alla fine e questo è rovinoso. A proposito dell'agenda...» «Al diavolo l'agenda!» Il cancello cigolò. «Il dottor Maynard!» Charlotte balzò in piedi e corse ad aprire. Il dottore indossava come sempre il cappotto di tweed e il cappello di feltro, ma ora il suo viso tondo e cordiale era alterato dalla preoccupazione. Tolse cappello e cappotto e li posò con cura sopra una sedia, prima di avvicinarsi alla donna distesa sul pavimento. Si inginocchiò al suo fianco, scostò le coperte, le tastò il polso, poi le auscultò il cuore. «È proprio Isobel Neville» disse, ricoprendo il corpo immobile. «Avevate ragione, signorina Cambrey.» «È viva?» domandò la ragazza. «Appena appena. Se riusciremo a trasportarla all'ospedale in tempo, forse potremo salvarla. Il proiettile per fortuna ha scansato il cuore, ma non so dove sia finito. L'ambulanza dovrebbe essere qui da un momento all'altro, ormai. Avete un'idea del motivo per il quale veniva da voi?»
«No» rispose Charlotte. «Ha bussato alla porta e qualcuno le ha sparato nell'attimo stesso in cui io aprivo. Non ha avuto il tempo di dire nemmeno una parola.» «L'avete trascinata in casa voi, da sola, o vi ha dato una mano questo signore?» aggiunse il medico guardando Royle. Charlotte rifletté che per quanto ne sapeva, il dottor Maynard e l'investigatore non si erano mai visti. «Mi ha aiutato lui, infatti. Mi ha detto di aver sentito lo sparo mentre tornava da Brickett's Farm. Permettete che ve lo presenti: Timothy Royle, investigatore privato. Non state neppure a chiedervi per chi lavora, perché non ve lo direbbe, ma credo che la sua cliente sia la signora Frensham.» Il dottore si alzò. «Collaborate con la polizia?» domandò a Royle. «Non direi. Sono arrivato a Mattingley quando ancora non era stato commesso nessun omicidio.» «Ma ne sapete parecchio su ciò che sta accadendo, immagino.» «Non quanto vorrei.» «Naturalmente. Annaspiamo tutti nel buio. Ma saprete almeno qualcosa a proposito di quella cassaforte e di quel che conteneva.» «A quanto ne so, non doveva contenere molto» fu la cauta risposta. «Alcune lettere di una donna esaltata e qualche documento, nient'altro.» «Chissà che cosa ci sarà mai fra quei documenti!» «La polizia non mi ha detto niente.» «Nemmeno la signora Frensham?» «Dottore, la signora Frensham è molto vecchia» osservò Royle. «Novantaquattro anni, se non sbaglio. Anche se la polizia le ha detto qualcosa, potrebbe non avere capito niente.» Charlotte si rese conto che l'investigatore stava mettendo in atto la sua consueta tecnica evasiva: non aveva negato né ammesso niente. «Certo, certo» mormorò Maynard. «Ma posso dirvi una cosa, giovanotto: la signora Frensham è molto più astuta di parecchia gente che ha vent'anni meno di lei. Non mi stupirebbe che sapesse perfettamente che cosa c'era nella cassaforte. In ogni caso a voi non ha detto niente, è così?» «Perché avrebbe dovuto? Non ho mica detto che sto lavorando per lei mi pare!» «No, infatti. Lo ha detto la signorina Cambrey. Tuttavia...» Gli occhi del dottore si fissarono nel viso imperscrutabile dell'investigatore. «Bene, non è il momento più adatto per discutere di cose del genere. Però mi piacereb-
be sapere... No, non importa! Ma se vorrete venire a farmi una visitina, una volta o l'altra, forse scoprirete che ne valeva la pena. Mi interessa molto quella cassaforte.» Maynard girò la testa verso la porta, tendendo l'orecchio. «Ecco l'ambulanza, credo.» Ma non era l'ambulanza, era la polizia: il sovrintendente Barr, il solito sergente e due agenti. L' ambulanza arrivò qualche minuto dopo. Gli infermieri trasferirono con cautela la signora Neville su una barella e se la portarono via. Dopo aver scambiato poche parole con Barr, il dottor Maynard li seguì mentre il sovrintendente mandò fuori i due agenti a montare la guardia, poi calò la propria mole in una poltroncina di vimini e chiese il resoconto degli ultimi avvenimenti. Charlotte ripeté fedelmente il suo racconto, fino all'arrivo di Royle. Quando sentì quel nome, Barr lanciò un'occhiata all'investigatore, poi tornò a fissare sulla ragazza il suo temibile sguardo. «Sicché non vi ha detto perché era venuta da voi» osservò. «Non ne ha avuto il tempo.» «Perché sarà venuta qui, secondo voi?» «Non ne ho la più pallida idea.» «Vi eravate già conosciute?» «Sì, quella sera a Brickett's Farm.» «Ne siete certa? Siete certa di non averla mai vista prima, a Londra, per esempio?» «Ve l'ho già detto» ribatté seccamente Charlotte. «L'ho vista per la prima volta, e per pochi minuti, sabato sera a Brickett's Farm, quando ha finto di essere la signorina Sharpies.» «Ah sì! E non sappiamo perché lo ha fatto, vero? Avete qualche opinione al riguardo?» «Posso soltanto pensare che fosse atterrita per avere appena inciampato nel cadavere del signor Frensham e che desiderasse ardentemente di potersene andare senza dover spiegare che cosa ci faceva lì. Perché non sappiamo che cosa ci facesse a Brickett's Farm, vero?» «No, non possiamo dire di saperlo, per quanto il signor Havershaw si ritenga sicuro che ci fosse andata per annunciare al signor Frensham che stava per sposare lui. Ma niente prova che le cose stessero effettivamente così. Voi tuttavia, a quanto sento, avete deciso che la signora Neville abbia semplicemente inciampato nel cadavere del signor Frensham, per dirla con le vostre parole, e che non sia stata invece lei a ucciderlo.» «Qualcuno ha cercato di uccidere anche lei, stasera, mi sembra» obiettò
Charlotte. «Pensate dunque che gli assassini siano due?» Barr congiunse le punte delle dita lunghe e forti, e fissò Charlotte da sopra la piccola piramide. «Capita, sapete? Capita abbastanza spesso. Un delitto attira l'altro. La gente è incline all'imitazione. E noi non sappiamo perché la signora sia scomparsa né perché sia tornata. Era davvero così spaventata da essere indotta a fingersi un'altra persona e poi far perdere le proprie tracce? Forse siete stata voi a spaventarla, signorina Cambrey?» «Io? Che cosa intendete dire?» «Supponiamo che il nome Cambrey non le fosse nuovo, che significasse qualcosa per lei?» «E che mai avrebbe potuto significare?» «Oh, andiamo, signorina! Non è un mistero per nessuno che il signor Frensham è stato il principale teste a carico nel recente processo di vostro fratello, e Cambrey non è un nome molto comune. Il signor Frensham sapeva certamente chi eravate quando vi ha affittato il villino. Sarebbe interessante sapere quali motivi lo hanno indotto a farlo, perché un motivo deve averlo avuto, senza alcun dubbio, così come voi avevate i vostri per venire qui. Forse voleva semplicemente scoprire a che cosa miravate, ma in ogni caso, se lui e la signora Neville intrattenevano rapporti così stretti, è molto improbabile che l'avesse messa al corrente di tutta la situazione e che di conseguenza la signora, quando vi ha vista a Brickett's Farm, abbia pensato che ci foste già stata poco prima e che aveste ammazzato Frensham. Come forse è stato, signorina Cambrey.» E posando le mani sulle ginocchia, il sovrintendente Barr si chinò in avanti, in atteggiamento decisamente minaccioso. Timothy Royle, che fino a quel momento se ne era stato in disparte, indolentemente appoggiato alla piccola libreria quasi vuota, andò a piantarsi risolutamente davanti al sovrintendente. «Signor Barr, se intendete adottare questa linea di condotta, non credete che la signorina Cambrey dovrebbe prima procurarsi un avvocato?» «Certo, certo» convenne il sovrintendente in tono conciliante. «Se la signorina lo desidera... Ma stiamo soltanto facendo delle ipotesi, credevo che fosse chiaro. Non le ho nemmeno chiesto di venire alla centrale per rilasciare una qualsiasi dichiarazione! Sono il primo a riconoscere che se la signora Neville fosse fuggita a rotta di collo dopo aver visto la signorina, perché pensava che fosse un'assassina, non aveva motivo per venire pro-
prio qui da lei, stasera. Resta tuttavia il fatto che la signorina Cambrey avrebbe visto una quantità di cose che nessuno è in grado di confermare. Dice di avere visto la signora Neville a Brickett's Farm sabato sera... ma quali prove ci sono? Dice che la signora Neville è venuta qui da lei, stasera, e che le hanno sparato alle spalle prima che potesse dire una sola parola... ma quali prove ci sono? Supponiamo invece che fosse venuta qui molto prima, che fosse rimasta qui per un certo tempo e fosse stata colpita mentre lisciva... Niente prova il contrario.» «Posso provarlo io» ribatté Royle incollerito. «Sono arrivato qui due minuti dopo lo sparo. La signorina Cambrey stava cercando di trascinare in casa la signora Neville, ma non ce la faceva: ho dovuto aiutarla io. E il colpo è stato sparato all'esterno. Subito dopo ho sentito il rumore di passi che si allontanavano di corsa.» Barr chinò due o tre volte il testone massiccio. «Bene, questo è già qualcosa, anche se la direzione dei rumori a volte può esser ingannevole. Ma voi siete in grado di accertare, dal modo come cade un corpo, da quale direzione è stato colpito? Quando è arrivato il dottor Maynard, voi avevate già trascinato in casa la signora Neville, cosicché nemmeno lui ha potuto dirci niente di preciso. Voi però potreste dirci almeno se il corpo era lungo disteso sulla soglia o afflosciato su se stesso, in una sorta di mucchio.» «Afflosciato in un mucchio, credo» rispose controvoglia l'investigatore. «Vedete, dunque? Possono averle sparato da qualsiasi direzione.» «Sicché la vostra teoria sarebbe che sabato sera la signorina Cambrey è andata a Brickett's Farm, ha sparato a Frensham ed è stata colta sul fatto dalla signora Neville, la quale è fuggita in preda al panico, fingendo di non aver visto niente, si è presa un paio di giorni per pensarci su, poi, pur sapendo che la signorina Cambrey era armata e aveva già fatto fuori almeno una persona, ha avuto la bella idea di venire qui a fare una chiacchieratina amichevole con lei. Mi sbaglio?» «Oh, signor Royle, voi andate decisamente troppo in fretta per me» ribatté il sovrintendente in un tono che non nascondeva una sfumatura canzonatoria. «Io non ho nessunissima teoria, per il momento. Vado soltanto rilevando alcune possibilità e sono certo che la signorina Cambrey lo capisce. A proposito, signorina, avete niente in contrario se diamo un'occhiata qui dentro, già che ci siamo? Potete rifiutare, naturalmente, non ho alcun mandato. Ma non mi sarà difficile ottenerlo, e ieri ci avete invitati voi stessa a fare un' ispezione.» «Prego, fate pure» disse Charlotte.
«Ma è inaudito!» proruppe Royle. «Non c'è alcun motivo...» «Calmatevi» l'interruppe la ragazza. «Va bene così. Ma forse voi, signor Barr, dimenticate che io sono corsa in paese a telefonare e che avrei potuto liberarmi facilmente della rivoltella gettandola in un cespuglio!» «Mi sembra di notare una sfumatura ironica nelle vostre parole» rilevò il sovrintendente. «Ma non importa, procederemo ugualmente. E grazie per la vostra collaborazione. Scoprirete che alla fine sarà tutto a vostro vantaggio.» Si rivolse al sergente, ordinandogli di andare a chiamare i due agenti rimasti fuori e di procedere con loro alla perquisizione del villino. Non ci volle molto. I mobili erano così pochi e il bagaglio di Charlotte così modesto da non lasciare molte possibilità di nascondere una rivoltella. Ma Charlotte, costretta a restarsene seduta in soggiorno ascoltando i passi pesanti dei poliziotti che si muovevano per tutto il villino, si sentì invadere a poco a poco da una rigidità di gelo. Rabbrividiva di paura, incapace di fare il minimo movimento, atterrita all'idea che, nonostante tutto, quegli uomini potessero scoprire qualcosa. Sembrava impossibile, ma via via che l'attesa si prolungava, lei si convinceva sempre di più che a furia di frugare dappertutto, di mettere sottosopra i locali, gli agenti avrebbero finito per trovare, se non una pistola, qualcosa che sarebbe risultato catastrofico per lei. Le prove, lo sapeva fin troppo bene, potevano essere ingannevoli e menzognere. Ma alla fine i poliziotti dissero al sovrintendente che non avevano trovato niente. Barr non ne parve sorpreso. Ringraziò ancora Charlotte per la sua collaborazione e finalmente i quattro uomini se ne andarono. «E ora avete assoluto bisogno di bere qualcosa» disse Royle, dopo che ebbero sentito allontanarsi l'auto della polizia. «Sembrate sul punto di crollare.» «Sono morta di paura» confessò la ragazza. «Non vedo perché. Quello che han fatto è stato soltanto ordinaria amministrazione.» «Oh, dicono sempre così.» «Non hanno il minimo straccio di prova contro di voi! E Barr mi sembra un uomo onesto e leale, anche se non troppo gentile. Non vi tenderà trabocchetti. E adesso, che ne dite di un whisky?» «Credo che sia una buona idea, anche se non ne vado pazza!» «Non c'è niente di meglio nei momenti difficili.» «Lo so.» Charlotte accennò ad alzarsi. «Penso che lo berrete volentieri
anche voi, no?» Royle le posò una mano su una spalla, costringendola a sedersi di nuovo. «Restate lì. Ci penso io. Cercate di rilassarvi. Non dovete essere abituata a cose di questo genere.» «A trovarmi con un cadavere sulle braccia e a essere accusata di omicidio? Voglio essere sincera con voi: è proprio la prima volta che mi capita!» «Bene, allora statevene lì tranquilla e non tormentatevi.» L'investigatore sparì in cucina. Charlotte udì un tintinnio di bicchieri e dopo un attimo Royle riapparve con il whisky per entrambi. «Mi domando se quella povera donna morirà o se riusciranno a tirarla fuori!» Charlotte bevve un sorso di whisky, ma solamente quando sentì spandersi nelle vene il calore dell'alcol si rese conto di quanto ne avesse avuto bisogno. «Oh, sentite, smettiamola con questa storia!» esclamò. «Parliamo d'altro. Ditemi di vostra moglie.» «Mia moglie?» «Sì.» «Che... che cosa volete sapere?» «Be', tanto per cominciare, come si chiama?» Per un attimo parve che Royle stentasse a ricordarlo. Poi mormorò: «Mary.» «Com'è?» «Oh, direi... carina... Sì, molto carina.» «Bionda o bruna?» Così così. «Alta o piccola?» «Una via di mezzo.» «Non siete molto loquace, quando parlate di lei!» «Be', sapete com'è, riesce difficile descrivere una persona che si ha sempre sotto gli occhi.» «Con cinque bambine cui badare, non potrà andare a lavorare, immagino.» «No, certo che no. Pensa alla casa, alla cucina e via dicendo. È una cuoca meravigliosa.» «Che cosa faceva prima di sposarsi?» Royle fissò Charlotte quasi spaurito, come se si sentisse inesorabilmente trascinato in quel famoso angolo morto. «Faceva... era impiegata... segretaria.»
«È strano» mormorò la ragazza. «Quando vi ho visto per la prima volta, non mi è sembrato che aveste l'aria del padre di famiglia. Mi siete sembrato, come dire, un po' denutrito, come chi fosse abituato a mangiare alla meno peggio in trattorie a buon mercato, non come un marito coccolato da una cuoca meravigliosa. Ma forse è perché il vostro lavoro vi tiene tanto spesso lontano da casa.» «Sì, certo, è proprio così. E quando sono fuori, preferisco le trattorie a buon mercato, naturalmente. Per quanto ormai nemmeno quelle siano più tanto a buon mercato. Ma perché non parliamo un po' di voi, invece? Avrete anche voi un lavoro, suppongo: come avete fatto a trovare il tempo per venire qui?» «No, no, parliamo di voi. Come mai siete diventato investigatore?» «Proprio la domanda che fanno gli uomini quando vanno con le ragazzine traviate: come mai sei finita nel giro? Vi sembra tanto spregevole il mestiere di investigatore privato?» «Può anche esserlo, immagino. Dipende da come lo si fa.» «Sì, è vero. Bene, ero rimasto disoccupato, dopo che era fallita l'agenzia pubblicitaria dove lavoravo, cosicché ero disposto ad accettare più o meno qualunque cosa mi fosse capitata.» «Lo capisco: con tutte quelle bocche da sfamare!» «Che? Oh, sì... davvero! Ma voi dimenticate le provvidenze per le famiglie numerose. Credo che se si riuscisse a mettere al mondo la quantità sufficiente di figli, si potrebbe poi campare di rendita, senza più alzare un dito. Ma credo che ce ne vorrebbero una dozzina o giù di lì.» «Cinque non bastano?» «Decisamente no. Del resto a quell'epoca non le avevo tutte e cinque: c'erano soltanto Deborah, Vanessa e Judy.» «Credevo che Judy, la patita del telefono, fosse la più piccola.» «Ho detto così? Mi sono sbagliato: la più piccola è Sarah.» «Non mi pare che abbiate mai nominato una Sarah. Ve ne eravate dimenticato?» «No, ma a volte mi confondo con tutti quei nomi. Quando voglio chiamarne una, a volte mi capita di nominarle tutte e cinque, prima di trovare il nome giusto. Bene, come vi dicevo, dunque, ero pronto a fare di tutto, quando ho incontrato un mio vecchio amico che lavorava per Hargreave: mi ha detto che cercavano un collaboratore e che se mi fossi presentato, probabilmente mi avrebbero assunto senz'altro. Io non avevo alcuna pratica, naturalmente, ma a poco a poco ho imparato e vi confesso che ora il
mio lavoro mi piace moltissimo.» «Forse avete un talento particolare per questo mestiere.» «Onestamente, non lo credo» rise lui. «Non credo di essere molto in gamba, come investigatore!» «Ma la vostra eccezionale abilità di cambiare addirittura faccia, di sembrare un tipo comunissimo, senza caratteristiche particolari, non credo che sia da tutti, e in molte occasioni deve riuscirvi utile.» «Mi fa piacere la vostra certezza che si tratti di un trucco da parte mia, invece che della vera faccia che il Padreterno mi ha dato! Sapete, a volte mi guardo allo specchio e dico a me stesso: "Hai la faccia più comune che io abbia mai visto!". Ma anche se è così, avete ragione, ormai è diventata una sorta di maschera professionale. E ora torniamo a voi. Siete impiegata, immagino.» «Lo ero, finché non è morto il mio vecchio generale» spiegò Charlotte. «Stava scrivendo la storia della sua famiglia e io gli facevo da segretaria, lo aiutavo nelle ricerche d'archivio e mi sforzavo di tenerlo su col morale. Sua moglie era morta dieci anni fa e da allora pareva che fosse soltanto il suo libro a tenerlo ancora al mondo. Ma era un lavoro noiosissimo, forse per questo non riusciva mai a conservare a lungo una segretaria. Ne aveva già avute due o tre, prima di me, e io stessa non so quanto avrei resistito, ma lui era un vecchietto così buono e gentile... Ho sofferto per la sua morte molto più di quanto non mi sarei aspettata. E non ho ancora pensato a cercarmi un altro posto. Sapete già perché sono venuta qui, ma purtroppo è andato tutto alla rovescia.» «Suppongo che non vi lasceranno tornare a Londra domani, dopo quello che è accaduto stasera» osservò Royle. «Lo credo anch'io.» La chiacchierata e il whisky avevano fatto bene a Charlotte, che si sentiva molto più calma di quanto non fosse stata in tutta la giornata. «Credete che si salverà?» «Non saprei, non m'intendo molto di queste cose, ma il dottor Maynard sembrava piuttosto ottimista.» «Se non guarisse, non sapremmo mai perché era venuta da me.» «Davvero non ne avete idea?» «No, però penso che dovesse essere in rapporto al nostro incontro di sabato sera.» «O il nostro di stamane con suo marito.» «Credete che si siano parlati?» «Penso proprio di sì. Neville dev'essere venuto al villino a cercare qual-
cosa per conto della moglie. Darei non so quanto per sapere che cosa cercava.» «La pistola, forse?» Royle rifletté un momento su quell'ipotesi, poi scosse la testa. «Non credo. Se ha ucciso Frensham e poi è fuggita portandosi via l'arma, non sarà certo andata a nasconderla nel suo villino, prima di scomparire. Se la sarebbe portata appresso. No, deve trattarsi di qualcos'altro e ho la vaga sensazione di sapere che cosa, ma non riesco a vederci chiaro. Penso però che dovremmo concentrare i nostri sforzi su questi due argomenti: che cosa cercava Neville e perché sua moglie era venuta da voi. Oltre al problema di quell'agenda senza alcuna annotazione.» «Eravate sincero quando mi avete detto di non sapere che cosa c'era nella cassaforte?» domandò Charlotte. Royle appoggiò la testa sullo schienale della poltroncina e rimase a guardare il soffitto, senza rispondere. Per qualche momento, nella stanza regnò il silenzio, un silenzio così gradevole e riposante che Charlotte esitò a interromperlo. Aveva ascoltato tante chiacchiere, negli ultimi giorni, da averne la testa rintronata, e ora quel silenzio, in compagnia di quell'uomo strano ma tutto sommato gentile, era come la carezza di una mano fresca su una fronte scottante. Ma a un tratto Royle guardò l'ora e balzò in piedi. «Devo andare, l'autobus per Mattingley passa fra pochi minuti» disse. «Ma vorrei darvi un consiglio, se non vi dispiace. Andate a trovare la signora Frensham, domani. Credo che possa soddisfare molte vostre curiosità.» «Lavorate per lei, dunque» ribatté Charlotte. «Vi ho detto di no, ma provate a chiederlo a lei e sentite che cosa vi risponde. Però ricordate quanti anni ha. Può darsi che abbia punti di vista molto personali su molte cose. Be', buona notte e speriamo che non dobbiate inciampare in un terzo cadavere.» Dopo la partenza dell'investigatore, Charlotte rimase a lungo immobile dov'era. Benché fosse sola, la testa continuava a ronzarle come il compressore di un frigorifero, ma si rendeva conto che si trattava soltanto di stanchezza: ne aveva sofferto spesso, da quando era stato arrestato Dick. Pensò di bere un altro po' di whisky, ma temette che l'alcol contribuisse ad aggravare il ronzio. Chiuse gli occhi e si sforzò di immaginare di trovarsi nel proprio accogliente appartamento in Maida Vale, invece che in quel villino del malaugurio.
Ma le sembrò invece di udire ancora il trepestio pesante dei poliziotti, in cucina e al piano superiore. Non aveva mai avuto un' esperienza simile, mai nessuno si era introdotto in quel modo nella sua vita privata e ora le sembrava che tutto ciò che le apparteneva lì dentro, seppur poco, fosse stato devastato. Pensò che così dovesse sentirsi chi era stato vittima di un furto. I poliziotti erano stati più riguardosi dei ladri, ma avevano comunque messo le mani fra le sue cose più intime e questo le dava un senso di degradazione. Non era una sensazione logica, se ne rendeva conto, come si rendeva conto che difficilmente avrebbe potuto evitare una perquisizione. Ormai era stata fatta, meglio così, ma l'accogliente tranquillità del suo villino era svanita. A questo si aggiungeva una buona dose di paura. Un omicidio, o un tentato omicidio, era stato perpetrato sulla soglia di casa sua e questo l'avrebbe tormentata per tutta la notte. Charlotte contemplò per qualche momento l'idea di ficcare qualcosa in una borsa, prendere il primo autobus per Mattingley e andarsene a dormire in albergo. Poi a un tratto le vennero in mente i Grainger. Avevano intuito come si sarebbe sentita sola, anche prima che Isobel Neville si abbattesse sanguinante sotto il suo portico, ed erano stati sinceri, invitandola, perciò non si sarebbero certo stupiti se fosse andata a bussare alla loro porta. Corse di sopra, ficcò nella borsa una camicia da notte e l'indispensabile per la toeletta, scese, uscì e si avviò verso Rose Cottage. La Renault bianca non era più lì. Probabilmente l'aveva fatta rimuovere la polizia. 7 I Grainger l'accolsero con cordiali esclamazioni di benvenuto. La signora disse che si aspettava di vederla comparire e si preoccupò subito di sapere se aveva cenato. Charlotte dovette ammettere di non averlo fatto. Benissimo, ribatté la signora, erano rimasti un po' di pasticcio di carne, carote al burro e frutta cotta: sarebbe stato tutto pronto nel giro di pochi minuti e nel frattempo suo marito le avrebbe offerto qualcosa da bere. Charlotte si ritrovò con un bicchiere in mano prima di ricordarsi che aveva già bevuto parecchio, quella sera, e non ebbe il coraggio di rifiutare. Il soggiorno dei Grainger era il tipico ambiente di provincia degli anni trenta: pareti tappezzate di carta color crema scurita dal tempo, mobili
semplici un po' consunti e ampie poltrone di finta pelle con cuscini di velluto marrone largamente spelacchiati, un insieme un po' deprimente che i Grainger avevano cercato, con scarso successo, di ravvivare con vasi contenenti fiori di plastica. Nel camino a piastrelle colorate ardeva un generoso fuoco di legna, insufficiente peraltro a sconfiggere i molteplici spifferi che penetravano da porte e finestre sconnesse. «Vi faccio compagnia» disse Ben Grainger, versandosi una dose abbondante di whisky e sedendo di fronte a Charlotte, in una poltrona. «Abbiamo visto che c'è stato un gran andirivieni al vostro villino, stasera: polizia, ambulanza e tutto quanto, e avevamo pensato di venire a chiedervi se avevate bisogno di qualcosa, ma poi abbiamo temuto di essere importuni. Siamo stati veramente contenti di vedervi, sapete, perché pensavamo proprio che l'ambulanza fosse venuta per voi. Non dite niente, se non ne avete voglia, ma noi non possiamo fare a meno di chiederci chi si fosse sentito male.» «Non so se si possa parlare di "sentirsi male" quando si tratta di una pallottola nella schiena» ribatté Charlotte. «Perché è proprio questo che è accaduto alla signora Neville. Era venuta per parlare con me, quando qualcuno le ha sparato dalla strada e lei è crollata lì sulla soglia del mio villino.» «Oh, santo cielo! È morta anche lei, allora?» «Non lo sappiamo ancora. Il dottor Maynard ha detto che forse c'era qualche speranza di salvarla.» «Santo cielo!» ripeté Ben Grainger, palesemente sorpreso e sbigottito. Poi alzò la voce. «Liz! Liz, hai sentito?» La donna sporse il capo dalla porta della cucina. «Che c'è? Ho da fare, lo sai!» «La signorina Cambrey mi stava dicendo che cosa è successo. Si tratta della signora Neville. Era andata da lei, ma qualcuno le ha sparato alla schiena e hanno dovuto portarla via con l'ambulanza. Adesso non sanno se riuscirà a cavarsela.» «Oh no!» gemette Liz. «È proprio vero, mia cara? Che cosa terribile! Be', in fondo non mi sorprende, sapete? Quella andava a cercarseli, i guai. Chissà dov'era suo marito, in quel momento! Sapete, io l'ho visto soltanto un paio di volte e non mi è piaciuto per niente, non è del nostro stampo, ma non posso fare a meno di compiangerlo per il modo come lo tratta sua moglie! Ma ora lasciatemi andare a dare un'occhiata al mio pasticcio di carne. Non vorrei che si bruciasse.» E sparì di nuovo in cucina.
«Sapete che cosa volesse da voi la signora Neville?» domandò allora l'uomo. Charlotte scosse la testa. «È quello che vorrebbero sapere tutti.» Cominciava a pentirsi di avere accettato dell'altro whisky, ma non osava posare il bicchiere. Poi rammentò a un tratto di non essersi portata la vestaglia, che le avrebbe fatto molto comodo con le correnti d'aria che circolavano in quella casa. Si alzò. «Perdonatemi» disse «ma ho dimenticato una cosa. Vi dispiace se faccio un salto a casa mentre vostra moglie termina di preparare? Torno subito.» «Certo, andate pure, se è necessario. Ma non potrei andare io, invece? Basterà che mi diate la chiave e mi diciate dove si trova quello che occorre. Così risparmiereste di uscire un'altra volta. Mi pare che facciate fatica a reggervi in piedi.» «Ho dimenticato di prendere la vestaglia e non so bene nemmeno io dove l'ho messa. Ma posso andare più tardi. Non vorrei disturbare. Siete stati così gentili tutti e due!» «No, no, va benissimo, però vi accompagno io. Non mi sembra la sera più indicata per lasciarvi andare in giro da sola.» Grainger alzò di nuovo la voce. «Liz, la signorina Cambrey e io facciamo un salto a Beech Cottage a prendere una cosa che ha dimenticato.» «Bene, ma fate presto» gridò di rimando sua moglie. «È quasi pronto.» Grainger aiutò Charlotte a infilarsi la giacca, le tenne aperta la porta e s'incamminò con lei nel buio della sera. Si era portato una torcia elettrica e i due procedettero spediti nel piccolo cono di luce che metteva in risalto ciuffi di erba bagnata e pozzanghere. «Fa un freddo cane» osservò l'uomo. «Non mi stupirei se domattina trovassimo una bella gelata. Una pallottola, avete detto. Ma ne siete proprio certa? Non potrebbe essere stato un attacco di cuore o qualcosa del genere?» «No, no, è stata proprio una pistolettata.» «Roba dell'altro mondo! Così la poveretta non ha avuto nemmeno il tempo di dirvi che cosa voleva. Deve esserci in giro qualche maniaco. A meno che, come dice Liz, non sia stato il signor Neville. Sapete, Liz possiede una sorta di intuito per queste cose, e in genere ci azzecca sempre. Tuttavia... No, io propendo per il maniaco. Ce ne sono tanti in giro! Basta dare un'occhiata ai giornali. Il genere umano va deteriorandosi di giorno in giorno. Siamo troppo teneri con questi pazzi, li trattiamo come se fossero poveri malati innocui e non ci preoccupiamo delle vittime che possono
procurare... Gesù, che c'è ancora?» Grainger si fermò di botto, girando intorno il raggio della torcia finché non inquadrò il cancello di Beech Cottage. Si era appena spento il caratteristico cigolio che Charlotte aveva già imparato a conoscere così bene, quando apparvero due persone provenienti dal piccolo giardino. La reazione di Grainger era stata così brusca, che Charlotte sentì il cuore batterle furiosamente nel petto finché non riconobbe nei due Angela Bird e Ian Havershaw. «Ah, eccovi!» esclamò la signorina Bird. Vestita di nero, coi capelli neri e il viso bianco, sembrava esilissima, appena visibile nel buio. «Ian e io ci siamo appena incontrati. Venivamo tutti e due a vedere se stavate bene, dopo tutto quell'andare e venire della polizia. Che cos'è stato?» «Se vi interessa saperlo, tornate con noi e la signorina Cambrey vi racconterà tutto» disse Ben Grainger. «Fa troppo freddo per restare qui fermi a chiacchierare. La signorina resta a dormire da noi. Siamo venuti soltanto a prendere una cosa che aveva dimenticato. Fate una corsa a prendere quello che vi serve» proseguì rivolgendosi a Charlotte. «Ma fate presto. Liz si arrabbierà se la facciamo aspettare.» «C'era anche un'ambulanza» disse Havershaw e i suoi denti splendettero nel breve raggio di luce della torcia. «Ho sentito la sirena e non avendovi trovata in casa abbiamo temuto che fosse venuta per voi. Per chi era?» «Per la signora Neville» rispose Charlotte, dirigendosi verso il villino. Infilò la chiave nella toppa ed entrò. Sentì alle proprie spalle un suono inarticolato e si rese conto che Ian l'aveva seguita, che stava salendo le scale dietro a lei. Havershaw l'afferrò per un braccio. «Che cosa avete detto?» «Era venuta per la signora Neville» ripeté Charlotte e raccontò dì nuovo tutta la storia, mentre lui la teneva stretta per un braccio, il lungo viso cavallino a pochi centimetri dal suo. Havershaw la lasciò prima che avesse finito e arretrò di un passo. L'eccitazione che gli aveva acceso il viso quando lui aveva sentito il nome di Isobel Neville, si era spenta. «Volete dire che non c'è più speranza? Che è spacciata?» «No, non credo» lo rassicurò Charlotte. «A quanto hanno detto, pensavano che avesse qualche probabilità di cavarsela.» «Oh, dicono sempre così, finché uno non è morto! Non dicono mai la verità.» «Questa volta credo che fossero sinceri, davvero!» asserì Charlotte.
Lui la guardò un attimo come incantato, poi aggiunse con una voce un po' strana: «Perdonatemi... Mi dispiace di avervi costretta a darmi una cattiva notizia. È sempre una cosa incresciosa. L' avranno portata all'ospedale, suppongo.» Dal pianterreno venne la voce di Grainger. «Allora, volete scendere, voi due? Liz si arrabbierà sul serio, se la facciamo aspettare!» «Penso di sì» rispose Charlotte alla domanda di Havershaw. «Ci vado immediatamente» dichiarò lui. «Non ve la lasceranno vedere.» «Lo so, ma almeno sarò lì quando si saprà qualcosa di preciso. Mi lasceranno restare, vero?» «Avete la macchina?» «Sì.» «In bocca al lupo, allora!» Havershaw scese a precipizio mentre Charlotte andava in camera a prendere la vestaglia. Quando arrivò al cancello, il giovanotto era scomparso e Ben Grainger era lì a chiacchierare con Angela Bird. Probabilmente le stava raccontando quanto era accaduto poco prima. I tre si avviarono insieme lungo la strada, ma quando furono all'altezza del villino di Angela, questa disse che sarebbe andata direttamente a casa, senza disturbare ancora i Grainger. Posò una mano leggera su una spalla di Charlotte, parve sul punto di dire qualcosa, ma cambiò idea e si congedò senza aggiungere altro. Quando Charlotte e Grainger rientrarono, la tavola era apparecchiata con una tovaglia di plastica a scacchi bianchi e rossi, forchette e coltelli, pane, burro e un bicchiere di acqua. «È tutto pronto» annunciò Liz. «Vi sentirete meglio, quando avrete cenato. Venite, accomodatevi, signorina Cambrey. Siete stati via molto!» «Abbiamo incontrato Birdie e Ian» spiegò suo marito. «Hanno voluto sapere che cosa era stato tutto quel traffico. Li ho invitati qui, ma Ian è corso all'ospedale e Birdie, quando ha saputo quello che era successo, ha preferito tornare a casa. Per la signorina Cambrey è stato meglio così, penso. Deve avere avuto già fin troppe emozioni, stasera!» «Potrete andare a letto subito dopo cena, cara» disse Liz. «Non è certo un pasto luculliano, ma vi rimetterà in sesto, vedrete!» Andò in cucina e riapparve dopo un attimo col pasticcio di carne e le carote. Charlotte sedette a tavola e, benché un po' a disagio perché i Grainger si
erano seduti di fronte a lei e parevano seguire con estremo interesse ogni suo gesto, riuscì a mandare giù tutto quello che aveva nel piatto. Le era sembrato di non avere appetito ma, come aveva giustamente previsto la sua ospite, dopo i primi bocconi mangiò più volentieri e cominciò davvero a sentirsi meglio. «Sapete» disse a un tratto Liz «sono certa di aver visto la signorina Wallace, l'infermiera, stamattina, a Mattingley.» «Ma non è andata a Madera coi suoi due vecchietti?» ribatté il marito. «Lo credevo anch'io, ma il fatto è che stamattina l'ho vista uscire dal White Horse con un braccio al collo. Avrà forse avuto un incidente che l'ha costretta a lasciare il servizio.» «Se è così, cercherà senz'altro di riavere il suo villino, quello dove abitate voi, signorina Cambrey» osservò Grainger. «C'era molto affezionata.» «Chiamatemi pure Charlotte» disse la ragazza. Lui la guardò sorridendo, mentre ripeteva: «Charlotte.» «Era il braccio destro che aveva al collo» riprese sua moglie. «Sapete, mi è venuta un' idea. Quelle lettere trovate nella cassaforte, delle quali ha parlato la polizia, erano firmate con una B., vero? Bene, la signorina Wallace si chiama per l'appunto Beatrice, sicché mi è venuto in mente che potrebbe averle scritte lei. Ma la polizia non sarà in grado di fare un confronto con la sua scrittura, se lei non può usare la destra, così dovrebbero cercare qualcos'altro che sia stato scritto da lei. Ma lo troveranno? Sapete, per un certo tempo è stata innamorata alla follia del signor Frensham e lui la trattava in maniera ignominiosa, però non l'ha mai respinta, a quanto pare. Ricordo bene come lei lo guardava: sembrava in adorazione. Aveva la pelle dura, povera figliola. Ed è tutt'altro che bella, non si poteva certo aspettare che lui le cadesse ai piedi! Ma io mi sono chiesta se quelle lettere non venissero da Madera e non si fossero fatte sempre più minacciose, visto che lui non rispondeva. La polizia ha detto che erano lettere minatorie, no? Non credete che io possa avere ragione?» «Pettegolezzi» brontolò Ben Grainger. «I tuoi soliti pettegolezzi. Sei una donna pericolosa, Liz. Dovresti imparare a controllare la tua immaginazione.» «Ma lo hai detto anche tu che vedo quasi sempre giusto!» protestò la donna. «Hai detto che ti fidi di più del mio intuito che di quanto vedi con i tuoi stessi occhi!» «Be', è stato soltanto un modo di dire, naturalmente! Probabilmente volevo prenderti un po' in giro.»
«Oh no! Dicevi sul serio. E c'è dell'altro. La signorina Wallace ha vissuto per mesi in quella casa, la conosceva da cima a fondo. E sapeva certo come fare se voleva bloccare l'ascensore della signora Frensham, per impedire che lei scendesse e la sorprendesse mentre ammazzava il suo figliastro!» Liz balzò in piedi, prendendo il piatto vuoto di Charlotte. «Date qua. State già meglio, vero? Si vede.» Schizzò in cucina e tornò dopo un attimo con un piatto di mele al forno e crema. «Non badate a lei, Charlotte» disse Ben, mentre sua moglie sedeva di nuovo. «Non pensa nemmeno un quarto di quello che dice. Ora portaci un po' di caffè, Liz, prima di cominciare a ficcarci in testa che è stata addirittura la signora Frensham a scrivere quelle lettere al povero Edgar. Sei capace di tutto, tu!» La donna lanciò una risatina gorgogliante e sparì di nuovo in cucina. Dopo aver bevuto il caffè, andarono tutti a letto. Charlotte dormì poco e male fino all'alba, poi cadde in un sonno profondo e torpido dal quale la svegliò alle nove la signora Grainger, entrando nella sua camera col vassoio della colazione: tè, un uovo sodo, pane tostato e marmellata. «Ecco qui, mia cara! Mi dispiaceva svegliarvi, sembravate così stanca, ieri sera! Ma Ben e io abbiamo un appuntamento col nostro avvocato, a Mattingley, e dobbiamo uscire subito. Non alzatevi finché non ne avrete voglia e restate qui fin quando vi pare. Siamo felici di avervi con noi. Torneremo nel pomeriggio, penso. Vi lascio una chiave sul tavolo di cucina, nel caso voleste uscire e tornare qui. Fate come se foste a casa vostra. L'acqua calda è pronta, se desiderate fare un bagno. Arrivederci a presto.» Si accertò che il vassoio fosse ben sistemato sulle ginocchia di Charlotte e scivolò fuori. Charlotte, ancora intorpidita dal sonno, mangiò pian piano, bevve tre tazze di tè, poi fu sul punto di addormentarsi di nuovo, ma reagì al torpore, mise da parte il vassoio e si alzò. L'idea di un bel bagno caldo era invitante, pensò. Sbadigliando, raggiunse la stanza da bagno e aprì il rubinetto. Gli avvenimenti della vigilia le sembravano lontani, ora, avvolti in una nebbia biancastra come quella che lambiva i vetri delle finestre. Sentì aprirsi e richiudersi la porta dell'ingresso e un momento dopo il rombo di un'auto che si allontanava. Mentre si vestiva, dopo il bagno, cominciarono a schiarirlesi di nuovo le idee, e gli avvenimenti del giorno prima le si ripresentarono alla mente con inaspettata chiarezza. I sospetti di Barr sul suo conto, a esempio. Ieri le e-
rano sembrati assurdi, ma ora le parevano perfettamente logici. La perquisizione del suo villino non era stata semplice "routine". Quella gente cercava sul serio la pistola che aveva ucciso Edgar Frensham e forse anche Isobel Neville. Chissà se quella poveretta se l'era cavata, si domandò Charlotte, e per un momento fu tentata di uscire per andare a telefonare all'ospedale. Ma dubitava che le avrebbero detto per telefono se era viva o morta. Così, quando finalmente fu pronta e uscì di casa, non si diresse verso il paese, ma imboccò il viale che portava a Brickett's Farm. C'era un freddo umido che gelava le ossa. La nebbia non era molto intensa, ma a Charlotte sembrò che le premesse contro il viso con dita vischiose. La ghiaia scricchiolava sotto i suoi passi e un paio di volte le ragazza si voltò a guardare se qualcuno la seguiva. Se la polizia pensava davvero che lei fosse un'assassina, sarebbe stato logico che le mettessero alle costole qualcuno a tenerla d'occhio. Ma lì non c'era nessuno. Rinacquero in lei i dubbi su quello che pensava la polizia e insieme con i dubbi tornò la confusione delle idee, così che a un certo punto Charlotte prese a chiedersi, oltre al resto, che diavolo ci andasse a fare a Brickett's Farm. In realtà, conosceva benissimo la risposta a quell'interrogativo, ma ormai quella risposta non le sembrava più tanto valida. Fu la sua ostinazione a vincerla: non tornava mai indietro, quando aveva preso una decisione, e anche quella volta continuò per la sua strada. Quando suonò il campanello, si sentì agghiacciare. La porta era aperta di qualche centimetro. Charlotte si sentì in preda alla sconvolgente sensazione di essere catturata in una ragnatela di avvenimenti già accaduti, la sensazione che le cose si stessero ripetendo, offrendole la possibilità di comprendere qualcosa che prima le era completamente sfuggito. Ma non fu così. La porta si aprì del tutto davanti a una donna anziana e grassoccia armata di un aspirapolvere. Stava evidentemente facendo la pulizia nel vestibolo e la porta era rimasta socchiusa dopo che lei aveva spazzato la soglia. Quando Charlotte le chiese se poteva vedere la signora Frensham, la domestica ebbe un'espressione dubbiosa e, come se non volesse assumersi la responsabilità di ammettere chicchessia alla presenza della padrona di casa, se ne andò per tornare poco dopo con la signorina Sharpies. La governante indossava lo stesso vestito grigio dal collettino bianco che Charlotte le aveva già visto, e le pantofole rosa che evidentemente era solita portare per casa. Soltanto i suoi capelli grigi, che la volta precedente erano sciolti in lunghi riccioli, ora erano spartiti nel mezzo e raccolti sulla
nuca in una piccola ordinatissima crocchia. «Oh, siete voi, cara» esclamò prendendo una mano della ragazza e battendovi sopra qualche colpetto amichevole. «Santo cielo, siete gelata! Perché non mettete i guanti? Mi chiedevo proprio come ve la cavavate e avevo intenzione di venire a farvi una visitina, ma lei mi sta mettendo in croce. Ogni volta che mi accingo a fare qualcosa comincia a strillare per farmi fare qualcos'altro di cui dice di aver bisogno. Credo che non ce la faccia a stare sola, nemmeno per un momento. Non sembra eccessivamente addolorata per la scomparsa del signor Edgar, ma il fatto è che è diventata esigente come non è mai stata. Allora...» La signorina Sharpies s'interruppe e girò lievemente il capo, tendendo l'orecchio. «Ecco, la sentite?» Una vecchia voce stridula stava strillando: «Emily! Dove diavolo ti sei cacciata? Quando lo porti questo caffè?» La signorina Sharpies sorrise con aria vagamente soddisfatta, come se assaporasse per la prima volta una sensazione di potere. «È sempre così» disse. «Ma venite, cara, la signora sarà contenta di vedervi, anche se vi tratterà male. Bisogna capirla, povera donna. Non ha più nessuno cui appoggiarsi all'infuori di me, e credo che questo la spaventi un po', benché non abbia alcun motivo di temere che io possa trascurarla. Non la lascerò mai, finché avrà bisogno di me, e gliel'ho detto, ma non sono certa che mi creda.» Precedette l'ospite fino a una delle numerose porte che davano sull'atrio. La stanza nella quale Charlotte entrò era piccola e molto accogliente, un salottino tappezzato di giallo pallido, con alcune poltrone dalla tappezzeria a fiori e un allegro fuoco di legna che scoppiettava nel camino. Sulla mensola c'era la fotografia di un uomo, in una cornice d'argento. A tutta prima Charlotte pensò che fosse Edgar Frensham, ma poi si rese conto che l'uomo doveva avere almeno sessant'anni quando era stata scattata la fotografia, sicché molto probabilmente si trattava del padre di Edgar. Era ancora più bello di suo figlio, ma al contrario di quest'ultimo, aveva un'aria eccezionalmente autoritaria. Se aveva il carattere che la fotografia suggeriva, rifletté Charlotte, quali potevano essere stati i rapporti con la sua seconda moglie, donna che, da quanto aveva potuto giudicare lei, non brillava certo per remissività e condiscendenza? La signora Frensham sedeva in una poltrona a fiori, abbigliata come la volta precedente, in vestaglia trapuntata color porpora, coi brillanti alle orecchie e pantofole nere ricamate a perline. A un bracciolo della poltrona erano appoggiate le stampelle di alluminio. Ma la signora non era sola. In
un'altra poltrona sedeva una donna robusta sui quarant'anni dal viso largo e forte, con folti capelli scuri a frangia sulla fronte, tondi occhi azzurri e bocca un po' cascante. L'abito a scacchi le andava un po' stretto, così che la gonna troppo tesa non arrivava a coprirle le ginocchia massicce. Un grande fazzoletto annodato al collo sorreggeva il suo braccio destro, chiuso in un'ingessatura. «Eccoci qua» disse la signorina Sharpies, che aveva seguito Charlotte nel salottino. «La signorina Cambrey è stata così carina da venire a farci visita. Questa è la signorina Wallace, l'infermiera che era venuta ad assistere la signora Frensham quando è stata ammalata.» «Quando è stata ammalata!» fece eco la vecchia, spazientita, roteando gli occhietti neri per poter esaminare Charlotte senza muovere la testa. «Perché non dici chiaro e tondo quando ha avuto quel maledetto colpo apoplettico? Hai paura a dire colpo apoplettico? È quello che ho avuto, maledizione, ed è già tanto che io riesca ancora a muovermi e a pensare! Grazie al cielo, sono sempre stata forte come un cavallo. Ma al prossimo creperò. E questa stupida allora dirà che sono mancata o qualche altra sciocchezza del genere. Perché la parola morte le fa paura. Non ha mai avuto il coraggio di dire che il mio figliastro è morto. Morto, morto! Questo è, ma l'idiota non riesce a dirlo. Be', che cosa fai lì impalata, Emily? Dov'è il caffè? Portane tre tazze!» La signorina Sharpies guardò Charlotte con un lieve sorriso e scomparve. «E voi, sedetevi!» continuò la vecchia rivolgendosi a Charlotte. «Non mi va di dover tirarmi il collo per guardarvi in faccia. Siete venuta per qualche motivo, suppongo. Non vorrete stare lì impalata a guardarmi come un maledetto giornalista. Ne abbiamo già avuti fin troppi. Dite quello che avete da dire e poi lasciateci in pace.» Charlotte si sedette, e stava per aprire bocca, quando l'infermiera disse, guardandola con un largo sorriso: «"Voi siete la signorina che abita a Beech Cottage, vero? È stata la mia abitazione, finché non me ne sono andata da Mattingley.» «Io ci resterò per poco tempo» spiegò subito Charlotte. «L'avevo affittato per un mese, ma non credo che mi fermerò tanto.» «Oh, aspettate a dirlo» l'ammonì la signora Frensham. «Non conoscete i poliziotti, voi. Sono capaci di trattenervi chissà fino a quando. Mi hanno fatto un sacco di domande sul vostro conto.» «Sarà stato a causa di mio fratello. Non vi hanno chiesto come mai il si-
gnor Frensham avesse affittato il villino a un Cambrey?» I fieri occhi neri osservarono acutamente la ragazza. «Sì, è proprio quello che mi hanno chiesto, ma io che ne sapevo? Non interferivo in quello che faceva Edgar nella tenuta. Gli faceva bene avere delle responsabilità.» «Ma lo sapevate che qualche tempo fa aveva testimoniato in tribunale contro mio fratello, accusato di aver partecipato a una rapina in una banca?» L'infermiera trattenne il respiro con un lieve ansito mentre la signora Frensham sventolava nell'aria una mano artritica come a spazzar via un'insignificante inezia. «Oh, quello! Sì che lo sapevo, ma io che c'entro? Non so niente di quella storia. È per questo che siete venuta da me?» «No, ero venuta per chiedervi se conoscete Un certo Royle.» L'infermiera fece un lieve colpo di tosse. «Scusatemi se vi interrompo, ma se quel villino sarà presto libero, vorreste darlo ancora a me, cara signora Frensham? Sarei così felice di tornare ad abitare qui e avrei la possibilità di venire ad aiutarvi ogni volta che ne aveste bisogno.» La donna si rivolse a Charlotte. «Ho rinunciato al villino soltanto perché mi si era offerta la splendida occasione dì andare a trascorrere l'inverno a Madera, con una coppia di vecchi coniugi simpaticissimi, che avevano bisogno di assistenza, ma ero là da appena tre settimane quando sono caduta e mi sono fratturata un polso. Niente di grave e la frattura si va rimarginando perfettamente, ma ormai non potevo più fare niente per i miei vecchietti, così me ne sono tornata a Mattingley. E mi piacerebbe tanto potermi stabilire di nuovo nel mio villino. Sono certa che anche il signor Frensham l'avrebbe voluto.» «Al signor Frensham non gliene sarebbe importato un corno. Purché gli pagassero l'affitto...» proruppe la vecchia, poi tornò a Charlotte. «Allora, che dicevate di questo Royle?» «È un poliziotto privato e vi chiedevo se lo avevate assunto voi.» «Certo che l'ho assunto io, ma non mi pare che siano affari vostri! L'ho licenziato ieri. Per quello che ha saputo fare, non vedo perché avrei dovuto continuare a pagarlo. Volevo sapere che cosa aveva in mente Edgar quando ha fatto installare quella cassaforte: mi pareva una cosa ridicola, visto che tutto il denaro che gli passava fra le mani era quello che gli veniva dalla tenuta. Un mio amico mi ha parlato per caso di quegli Hargreave, che secondo lui erano tanto bravi e discreti e allora ho chiesto che mi mandas-
sero qualcuno a fare qualche indagine per me. E tutto quello che ha saputo scoprire quel tanghero, è stato ciò che mi aveva già detto la polizia!» «Suppongo che quando ha assunto l'incarico, il signor Royle non sapesse che ci sarebbe stato un omicidio, e che di conseguenza la polizia sarebbe andata a frugare dappertutto» osservò Charlotte. «Se non ci fosse stato quello, forse l'intervento del signor Royle sarebbe risultato utile.» «Non si paga la gente in base a quello che avrebbe potuto fare se le cose fossero andate diversamente. La si paga in base ai risultati che ottiene. Ed è stata la polizia, non il vostro signor Royle, a dirmi che nella cassaforte c'erano dei documenti i quali dimostravano come il mio amato figliastro si dedicasse a un piacevole piccolo traffico ricattatorio. Aveva le prove che quel povero Entwhistle, di Mattingley, si era lasciato corrompere e quello sciocco, quando ha saputo che la polizia aveva aperto la cassaforte, ha pensato bene di ammazzarsi. E c'era dell' altro, roba con la quale Edgar teneva sulla corda anche altra gente, fra cui - lo credereste? - il mio caro Ralph Maynard. Edgar aveva fatto un elenco dei pazienti di Ralph morti improvvisamente, lasciandolo erede di una certa somma, e io credo che si preparasse a strizzare per benino il povero dottore. Ma Royle ha scoperto qualcosa di tutto questo? No, io l'ho saputo da Barr, che me ne ha parlato solo perché voleva scoprire se nel mio testamento avevo lasciato qualcosa al dottore.» «E glielo avete lasciato?» domandò Charlotte, ricordando a un tratto con quanta ansia il medico aveva cercato di ottenere qualche informazione sul contenuto della cassaforte. «Certo. Abbiamo stretto un patto. Se restassi paralizzata al punto di non poter più badare a me stessa o se perdessi il cervello, una sera lui mi farà una bella iniezione e mi addormenterò per sempre. In compenso, gli lascio cinquecento sterline. Ho riflettuto a lungo sull'entità della somma. Non è abbastanza grossa da costituire una tentazione ma è pur sempre un bel regalo.» «Mia cara signora Frensham» interloquì di nuovo l'infermiera, che era impallidita un po', «che razza di discorsi state facendo! Io so che è soltanto uno scherzo, ma la signorina Cambrey, che non vi conosce bene come vi conosco io, potrebbe prendervi sul serio e parlarne con qualcuno, il che sarebbe un bel guaio. Il dottor Maynard non farebbe mai niente del genere per nessuno!» «Ah no?» La vecchia fece una risatina roca. «E allora come mai la povera signora Meadows gli ha lasciato quella bella Jaguar con la quale Ralph
va in giro? E tutte quelle bottiglie di vino pregiato che ha ereditato dal colonnello James, morto poco dopo aver fatto testamento? E guarda caso, morto sereno e in pace dopo anni di sofferenze!» «Ma voi state accusando di omicidio il dottor Maynard!» squittì l'infermiera. «Un galantuomo come il dottor Maynard!» «Non siate sciocca, certo che lo accuso di omicidio!» La vecchia si stava divertendo un mondo, i suoi occhi brillavano di una luce maliziosa e giovanile. «Sono tanti i medici ai quali capita, qualche volta, di ammazzare qualcuno, lo sapete come lo so io. E probabilmente a qualcuno avete dato una mano anche voi. Ralph è un uomo buono e gentile che si addolora se vede soffrire la gente: sono certa che ha aiutato più di un paziente ad andarsene, senza ricevere in cambio un solo penny. E questo è giusto quando si tratta di povera gente, ma non lo è quando si tratta di persone abbienti che possono ricompensarlo per il rischio che corre. Io spero ardentemente che Edgar non abbia raccolto prove tali da consentire alla polizia di perseguirlo.» La signora Frensham si rivolse bruscamente a Charlotte. «Bene, e voi che cosa aspettate ancora? Volevate sapere se avevo assunto Royle. Ebbene sì, l'ho assunto e poi l'ho licenziato. È venuto a lamentarsi con voi?» «No.» «È un vostro amico?» «Penso di sì, in un certo senso» rispose Charlotte, esitante. «Ma volevo chiedervi un'altra cosa...» S'interruppe e la vecchia scattò: «E allora andate avanti, spicciatevi! Sono molto stanca.» «C'era denaro nella cassaforte?» «Nemmeno un penny.» «Sapete dove lo teneva, il signor Frensham?» «Non lo teneva, lo spendeva.» «Ma avrà pure avuto del denaro! Se, come dite voi, si dedicava al ricatto, dove metteva il denaro che ne ricavava?» «Aveva un conto in banca a Mattingley, ma a quanto mi ha detto la polizia, c'era ben poco. E sfido: con i gusti stravaganti che aveva, non gliene restava certo fra le mani!» Una sorta di pellicola offuscò lo scintillio dei vecchi occhi neri, poi le palpebre scesero a nasconderli. La signora Frensham appoggiò la testa allo schienale della poltrona e mormorò con un filo di voce, ben diverso dal tono arrogante che aveva usato fino a quel momento: «Sono molto stanca,, voglio andare a riposare un po'. Infermiera,
volete aiutarmi per favore? E dite a Emily che il caffè lo berrò a letto. Voi potrete prenderlo qui con la signorina Cambrey. Ma state attenta a quel che dite. Questa ragazzina è maledettamente curiosa.» Parve quasi rimpicciolirsi sulla sua poltrona, apparendo a un tratto pateticamente vulnerabile. 'La signorina Wallace si alzò, schioccando la lingua in segno di disapprovazione. «Troppe emozioni, povera signora» osservò. «Si è innervosita troppo. Non avreste dovuto farle tante domande. Ma già, i giovani non capiscono mai le necessità dei vecchi. Non hanno un briciolo di riguardo. Fossi in voi, me ne tornerei a casa, prima di fare altri danni.» «Me ne vado, state tranquilla. Ormai ho saputo buona parte di quel che volevo sapere.» «Io non mi fiderei troppo. Alla signora Frensham è sempre piaciuto imbrogliare il prossimo. Quello che ha detto sul conto del dottor Maynard, a esempio... Santo cielo!» «E se fosse la verità, invece?» In quel momento, Charlotte notò che un occhio della vecchia era leggermente socchiuso e puntato su di lei, ma la palpebra si abbassò non appena la Frensham si avvide che Charlotte se n'era accorta. La ragazza uscì senza aggiungere altro. Stava per aprire la porta d'ingresso quando apparve nell'atrio la signorina Sharpies, che reggeva un vassoio con tre tazze e una caffettiera. «Oh, non vi fermate a bere il caffè, cara?» domandò, stupita. «La signora Frensham sarà terribilmente delusa. Adora avere compagnia.» «Sono certa che non rimpiangerà certo la mia.» «Oh, avrete parlato del signor Edgar, immagino! E questo l'avrà certamente sconvolta. Povera donna, ha fatto davvero tutto il possibile per lui, più che se fosse stato suo figlio. Ha sempre tenuto nascosta anche a me la verità sul suo conto, e nemmeno ora riesco a credere a quello che ha detto la polizia. Avrete sentito anche voi quella storia del suo lavoro in una fattoria del Sudafrica, suppongo. Bene, non c'era una parola di vero. In realtà, era appena uscito di prigione, quando è venuto qui. Una condanna a tre anni per frode, mi pare. E prima ancora aveva avuto altri guai, qualcosa a proposito della contraffazione di oggetti antichi. Aveva usato un nome falso, naturalmente, ma ormai la polizia ha scoperto tutto. Per via delle impronte digitali, capite? Sono stati in gamba, no? E quanto prima queste cose le sapranno tutti e lei ne soffrirà molto. Potrebbe anche morirne. Lo a-
veva fatto venire qui dopo l'ultima condanna, per vedere se riusciva a tenerlo lontano dai guai e gli aveva affidato la direzione della tenuta per dimostrargli che aveva fiducia in lui. Aveva amato moltissimo il padre del signor Edgar, capite, e alla sua maniera è una donna molto buona e generosa. Ma proprio non volete fermarvi per il caffè? Bene, allora buongiorno, cara.» 8 Charlotte era a metà del viale, diretta al villino dei Grainger, quando si ricordò di avere dimenticato la chiave che Liz aveva lasciato per lei sul tavolo della cucina. Era quindi costretta a tornarsene a Beech Cottage. Tutto sommato, non le dispiaceva. Non si sentiva più oppressa dalle cupe sensazioni della sera prima e più tardi, quando i Grainger fossero tornati da Mattingley, sarebbe potuta andare da loro a recuperare la propria roba. Puntò dunque direttamente verso il suo villino e aprì il cancello cigolante. Sotto il piccolo portico sedeva, come il giorno precedente, Timothy Royle. L'investigatore si alzò non appena la vide avanzare lungo il sentiero. Aveva il viso paonazzo per il freddo, e a giudicare dal suo aspetto pareva che non avesse dormito molto. «Mi stavo proprio chiedendo dove vi foste cacciata» disse. «Vedendo tutto chiuso, con le tende tirate, cominciavo a preoccuparmi: temevo che vi fosse capitato qualcosa e stavo già prendendo in considerazione l'idea di entrare da una finestra!» «Ho semplicemente seguito il vostro consiglio» si affrettò a rassicurarlo Charlotte. «Sono andata dalla signora Frensham. Così ora so che non lavorate per lei, ma soltanto perché siete stato licenziato. Lavoravate per lei quando siete venuto qui. E ieri avete spaccato un capello in quattro per non confessarlo.» «Spaccare i capelli in quattro può anche essere segno di lealtà, sapete? Supponiamo che la signora non volesse far sapere che lavoravo per lei. Avevo forse il diritto di spifferarlo?» Charlotte prese dalla borsa la chiave e aprì la porta. Il soggiorno era gelido, e i gelsomini del vaso avevano sparso tutt'intorno i loro petali. Alla ragazza parve persino che stagnasse nell'aria odore di chiuso, benché il villino fosse vuoto soltanto per una notte. «La notte scorsa ho dormito dai Grainger» disse, mentre si sfilava la giacca. «Dopo quello che era accaduto, mi sentivo, come dire, allo scoper-
to. Mi pareva che chiunque sarebbe potuto entrare in casa. E i Grainger hanno insistito tanto, sono stati così gentili!» Accese la stufa elettrica e aprì le tende scarlatte, lasciando entrare la fredda e grigia luce del giorno. «Faccio il caffè?» «Brava, ottima idea.» Charlotte andò in cucina, inserì la spina del bollitore poi si affacciò di nuovo in soggiorno. «Che ci siete venuto a fare qui, stamattina? Il vostro lavoro è finito, no?» Royle si era sfilato il cappotto e si era seduto in poltrona, tendendo le mani verso le resistenze della stufa che cominciavano a farsi incandescenti. «Il mio lavoro finisce soltanto quando io sono soddisfatto dei risultati» ribatté. «Ma ormai più nessuno vi paga. Perché non ve ne tornate a casa? Potrebbe esserci qualche altro lavoro che vi aspetta.» «Forse sarà qualcun altro a pagarmi, prima che abbia finito.» «Non penserete che possa essere io, vero? Perché io non posso permettermi davvero di assumere un investigatore privato, quand'anche ne avessi un bisogno disperato.» «Per essere sincero, avevo proprio pensato a voi, ma non come fonte di guadagno. Diciamo piuttosto come fonte di informazioni, capace di ficcarsi nei guai peggiori, se nessuno la tiene d'occhio.» «Che c'è, sta venendo a galla il vostro istinto paterno?» scherzò Charlotte. «Ma io non sono più preoccupata, adesso. Ieri sì, lo ero. Ho avuto un accesso di vero e proprio panico.» Il bollitore aveva cominciato a borbottare e Charlotte sparì di nuovo in cucina, mise una generosa dose di caffè macinato in una caraffa, vi versò sopra l'acqua bollente e lasciò depositare il tutto, mentre disponeva su un vassoio tazze, piattini, latte e un colino. Poi, quando le parve che il caffè fosse pronto, tornò in salotto col vassoio. «Avete notizie della signora Neville?» Royle sbadigliò e si appoggiò allo schienale della poltroncina intrecciando le mani dietro la testa, come se fosse sul punto di cadere addormentato. «Ho trascorso quasi tutta la notte in ospedale» rispose finalmente. «Resiste, ma tiene l'anima coi denti, a quel che pare. Mi è sembrato che i medici non nutrano molte speranze. Il proiettile ha mancato il cuore ma si è ficcato nel polmone sinistro. E a , quanto mi ha detto Barr, dopo che l'hanno estratto, ha tutta l'aria di essere stato sparato dalla stessa arma che ha accoppato Frensham. Ma non hanno ancora avuto il tempo di fare l'esame
balistico. Non si può escludere, naturalmente, che ci siano in giro due assassini. In ogni caso, si può almeno affermare con certezza che, qualunque cosa stesse facendo la signora Neville a Brickett's Farm, quando l'avete vista voi, non è stata lei a uccidere Frensham. Questo caffè ha un profumo meraviglioso.» «Come vi ho detto, sono stata là stamattina» riprese Charlotte mentre versava il caffè in due tazzine. «Ho potuto chiacchierare un po' con la signorina Sharpies, che mi ha riferito alcune preziose informazioni. A quanto pare, Frensham non era mai stato in Sudafrica come andava dicendo, ma per tutta la sua vita era andato dentro e fuori di prigione, finché la sua matrigna non ha deciso di richiamarlo qui con l'intento di redimerlo. La signorina Sharpies dice che la polizia ha scoperto le sue malefatte grazie alle impronte digitali, e quindi avevo ragione quando dicevo che Frensham era un farabutto e che la sua testimonianza contro Dick non doveva valere niente. Dick è stato soltanto la vittima che lui ha scelto per inscenare una lotta e permettere ai suoi complici di tagliare la corda col malloppo. Dick non c'entrava per niente con la rapina...» Aveva parlato con calma, fino a quel momento, ma a un tratto le si spezzò la voce e per poco non lasciò cadere la tazza che stava porgendo a Royle. Poi, non appena l'investigatore l'ebbe presa, Charlotte crollò su una poltroncina, nascose il viso fra le mani e, sorprendendosene lei stessa, scoppiò in singhiozzi disperati, come se qualcosa che le si era raggelato dentro si fosse sciolto all'improvviso in un fiotto irrefrenabile di lacrime. Royle sorseggiò in silenzio un po' di caffè, poi andò a sedersi su un bracciolo della poltrona di Charlotte e, passandole un braccio attorno alle spalle, strinse a sé la ragazza. «Era questo il motivo che vi ha indotta a venire a Mattingley, vero?» mormorò. «Non eravate certa al cento per cento dell' innocenza di vostro fratello e speravate di scoprirlo attraverso Frensham. Ora lo sapete, ma non avreste scoperto niente se Frensham non fosse morto. Se è stato lui a organizzare la rapina, e possiamo essere quasi certi che sia così, vostro fratello è innocente.» Charlotte gli appoggiò la testa contro il petto, mentre lui le accarezzava lievemente una spalla. «Ma c'è quell'impiegata della banca che lo ha riconosciuto» mormorò la ragazza, dominando a poco a poco i singhiozzi. «E sono certa che fosse in buona fede, convinta di quello che diceva.» «Un'identificazione in quelle circostanze è sempre molto dubbia. È am-
piamente riconosciuto, ormai. La testimonianza di una persona in preda al panico non è per niente attendibile. L'impiegata ha visto vostro fratello entrare subito dopo gli altri due banditi, e quando Frensham ha detto che erano insieme, lei lo ha creduto. Ora bevete il vostro caffè e calmatevi. Potremo chiarire tutto, adesso.» Charlotte si staccò da lui, si asciugò gli occhi col fazzoletto, poi prese la sua tazza di caffè. «Sapete essere molto gentile quando volete!» mormorò. «Un vero angelo consolatore! Ma ora che debbo fare?» «Andiamo a parlare con Barr. Vi ho detto che lo ritengo un uomo onesto Probabilmente è già arrivato anche lui alle stesse conclusioni Dopo parlerete con l'avvocato di vostro fratello. È in gamba?» «Non troppo, direi. Per Dick non ha fatto molto.» «Ne conosco io uno bravissimo. È indispensabile averne uno, nel mio mestiere. Potete rivolgervi a lui perché possa assumere la difesa di Dick prima del processo d'appello. Lo tireremo fuori, vedrete. Ma come mai avete avuto tanta paura che Dick potesse essere colpevole? Oh sì, dicevate che questo non era possibile, ma avevo capito benissimo che avevate una paura terribile.» Charlotte emise un profondo sospiro. Il caffè le aveva ridato vigore. «È sempre stato uno svitato» disse. «Vi ho detto la verità: l'unica volta che ha avuto dei guai con la polizia è stato quando l'hanno beccato a spassarsela con l'auto di un vicino, ma c'era stato dell'altro... Per un certo periodo, quand'era sui quattordici anni, s'era messo a rubacchiare nei negozi, ma lo faceva più che altro per divertimento. Non gli importava niente di quello che prendeva, e dopo un po' ha smesso. Poi, verso i diciotto anni, ha avuto un grande, infelice amore e ha preso a fumare marijuana, ma nemmeno in quel caso è durata a lungo. Quella degli amori grandi e infelici era diventata quasi un'abitudine per lui. ma mi ha giurato che non ha mai più toccato droghe di nessun genere, e penso che fosse sincero. Però non riusciva a conservare un posto. A volte, pochi giorni dopo che era stato assunto, litigava col principale e si faceva licenziare. Per questo, credo, la ragazza con la quale viveva quando è stato arrestato, lo ha piantato e ha sposato un altro. Voleva una casa, un reddito sicuro e dei bambini, tutte cose che secondo lei Dick non avrebbe mai potuto darle. Ma lui mi ha detto che la capiva perfettamente, che sapeva di non essere in grado di offrirle ciò che lei voleva e che non le serbava alcun rancore. È un ragazzo buono, di animo gentile, e non riesco a immaginarlo mentre compie un'azione vio-
lenta. E mi ha giurato e spergiurato di non avere avuto niente a che vedere con quella rapina. Sono certa che diceva la verità, ma al tempo stesso... al tempo stesso, sapete...» Le mancò di nuovo la voce mentre le salivano ancora una volta le lacrime agli occhi. «Sì, capisco. Dev'essere stato un grosso problema per voi. Una responsabilità molto grave per una ragazza della vostra età. Non mi sorprende che siate stata tormentata dai dubbi. Ma vi dirò che cosa faremo ora. Andremo a Mattingley e pranzeremo nel miglior locale. Mattingley purtroppo non è un gran che, in fatto di ristoranti, ma vi farà bene distrarvi un po'. E farà bene anche a me: sono stufo di mangiare da solo. Andremo al White Horse, dove alloggio io. Non ci si mangia troppo male. Intanto potrete dirmi qualcosa che mi interessa. Vostro fratello vi ha mai descritto i due uomini entrati nella banca e spariti con il bottino?» «Oh, sì che me lo ha detto! Erano entrambi in blue jeans e giubbotto di pelle nera, con i capelli lunghi, barba e occhiali neri. Uno aveva una pistola e l'altro una borsa dove ha ficcato il denaro.» «Alti o piccoli?» «Di media altezza, credo.» Magri o grassi? «Non lo ha precisato, ma più o meno normali, credo.» «Con calze di nailon o maschere di qualche tipo sul viso?» Charlotte scosse la testa. «No, non credo.» «Allora possiamo essere certi che la barba e probabilmente anche i capelli lunghi erano posticci, e che se li sono tolti appena fuori della banca. In ogni caso, se la sono squagliata senza lasciare tracce. Ma Frensham doveva essere d'accordo con loro e se ora anche la polizia è convinta di questo, forse potrà essere in grado di scoprire un collegamento. Andiamo, adesso.» Royle guardò l'ora. «C'è un autobus fra qualche minuto. Su, rinfrescatevi un po' il viso e vi sentirete subito meglio.» Charlotte salì al piano di sopra, si lavò la faccia e pensò per un momento di truccarsi, ma poi, riflettendo che se si fosse attardata troppo avrebbero perso l'autobus, si limitò a pettinarsi e scese. Infilò la giacca e uscì con Royle. Piovigginava. Era poco più di una nebbia, ma il fresco delle goccioline sul viso le diede un'improvvisa sensazione di piacere. L' autobus era poco affollato e le conversazioni tra i passeggeri si adivano da un capo all'altro. Tutti parlavano di delitti, passati e presenti, vicini e lontani. Charlotte guardava fuori del finestrino, in silenzio, consapevole, più di quanto si aspettasse, della vicinanza di Royle, incapace di decidere se quella vicinan-
za le fosse di fastidio o di conforto. A Mattingley, l'autobus faceva capolinea alla stazione e proprio di fronte c'era il White Horse Hotel, un edificio grigio e triste in stile vittoriano, con finestre altissime velate da tende a rete e un piccolo portico con i pilastri di pietra a riparo dei pochi gradini che portavano all'ingresso. Nel piccolo atrio rallegrato da una sgargiante moquette gialla e marrone, e da stampe con scene di caccia alle pareti, l'aria era irrimediabilmente compromessa da uno stagnante odore di montone bollito e Royle si affrettò a far passare Charlotte nel piccolo bar adiacente, con la stessa moquette e tavolini rotondi dal ripiano di rame disseminati qua e là, attorniati da poltroncine ricoperte di gelida, lucida similpelle. Ai tavoli non sedeva nessuno. Due uomini, seduti al banco del bar, mangiavano panini imbottiti e bevevano qualcosa che sembrava vodka. Ian Havershaw e Marcus Neville. Non si voltarono quando entrarono Royle e Charlotte: con le teste accostate e i gomiti appoggiati al banco, parevano impegnati in una conversazione molto intima. Fu Ian Havershaw a voltarsi per primo quando Royle, dopo aver fatto sedere Charlotte a un tavolino, si avvicinò al bar per fare le ordinazioni. Il giovane scrittore aveva i capelli in disordine come se vi avesse passato più volte le dita in tutte le direzioni, e le sue lentiggini spiccavano sulla faccia più pallida del solito come le macchie sulle uova di piviere. Il sorriso che gli mise in mostra i larghi denti irregolari era palesemente impacciato. «Salve» disse il giovane. «Non ci sono novità, immagino.» «Sul conto della signora Neville?» Royle si rivolse al barista che usciva dal retro e ordinò due whisky. «Sì, naturalmente, di Isobel» aggiunse Marcus Neville. Se era rimasto sveglio tutta la notte in ansiosa attesa di notizie della moglie, il suo aspetto non lo tradiva certo. I suoi folti, lunghi capelli castani erano in perfetto ordine, il viso era rasato di fresco, il vestito di velluto rosso nitido e perfettamente spazzolato. Soltanto le ombre sotto gli occhi verdi potevano suggerire che non avesse dormito molto. «Sono venuto via dall'ospedale poco più di un'ora fa» spiegò Royle. «E fino a quel momento, pareva che avesse ancora qualche probabilità di cavarsela.» «Sì, lo hanno detto anche a noi» ammise Havershaw. «Però non ce l'hanno lasciata vedere, naturalmente, nemmeno dalla soglia della porta. C'era un poliziotto in corridoio: non appena Isobel sarà in condizioni di parlare, entrerà a interrogarla. Una vera e propria crudeltà, dico io. Do-
vrebbero pensare che preferirà vedersi vicino qualcun altro, se riprenderà conoscenza, non un poliziotto dalla faccia di pancotto che non ha mai visto prima e che le farà prendere chissà che paura. Siamo noi che dovremmo esserle vicini.» «Tutti e due?» domandò Royle. Pagò le consumazioni e portò i due bicchieri al tavolino dov'era seduta Charlotte. «Oh, non mi aspetto che ci lascino entrare tutti e due» disse Neville staccando un morso dal suo panino. «Troppa gente intorno potrebbe scombussolarla. Ma non vedo perché non debbano lasciarci andare, uno alla volta.» «E chi avrebbe il diritto di precedenza?» domandò ancora Royle. Stavolta fu Havershaw a rispondere. «Che importanza ha? Può andarci prima Marcus, se vuole. L'importante è che Isobel non si veda davanti la faccia di un poliziotto appena riapre gli occhi. Ho ragione, Marcus? Avrà bisogno di vedere un viso caro, affettuoso e interessato.» «Esatto» convenne Neville annuendo ripetutamente. «Sai una cosa, Ian? Mi piaci. Sei così pieno di comprensione!» Charlotte si era già resa conto che erano tutti e due ubriachi fradici. «Puoi andarci tu per primo, Marcus» insisté lo scrittore. «Anche tu mi piaci. Devi assolutamente fare quello che preferisci.» «No, devi andare tu» protestò Neville. «Dobbiamo pensare soltanto a quello che sarà meglio per Isobel. Perciò devi andare tu. Lei sarà più contenta.» «Oh, non ne sono tanto certo» ribatté Ian. «Ti vuole sempre molto bene, sai? Mi ha sempre detto che nutre una grande ammirazione per te. È un uomo intelligentissimo, diceva sempre; un giorno o l'altro stupirà tutti quanti. A Isobel piacciono gli uomini intelligenti, lo hai notato? Diceva sempre anche a me che sono molto intelligente e che un giorno o l'altro stupirò tutti quanti.» «Ne sono certo anch'io» dichiarò Neville. «È stata fortunata davvero a conoscere tanti uomini intelligentissimi. Soltanto Frensham non lo era. Ci hai mai pensato? Non aveva un briciolo di cervello. Era un tanghero stupido e ignorante. Eppure lei se n'è innamorata. Roba da non credere. Non era assolutamente il suo tipo.» «Non è mai stata veramente innamorata di lui» affermò Havershaw, tendendo al barista il bicchiere ormai vuoto perché glielo riempisse di nuovo. «Era infatuata, sì, ma lasciatemi dire che questo è diverso dall'essere innamorati. Lo so bene io! Mi capita spesso, ma non significa niente.» Acco-
stò il viso a quello di Neville. «Mi stai a sentire? Non mi pare. Sto dicendo che non è mai stata innamorata di Frensham.» «Non è mai stata innamorata di nessuno all'infuori di me» dichiarò Neville con voce improvvisamente venata di tristezza. «Per questo è una situazione intollerabile: sapere che mi ama e non riuscire a farglielo comprendere. A volte mi domando se non sia una stupida irrecuperabile. Questo spiegherebbe tante cose. Ma non so... È senza dubbio isterica e squilibrata, ma non sono mai arrivato a capire se è anche stupida. Disprezzo profondamente la gente stupida. Non sopporterei di vivere con una stupida... Bisognerebbe aggiungerlo al decalogo dei comandamenti.» «No, no, sei completamente fuori strada» proruppe Havershaw, che cominciava a scaldarsi. «Questa è intolleranza. Che colpa ne ha la gente se è stupida? Credo che non abbia colpa neanche se è malvagia, ma in questo campo bisogna pur tirare una linea di demarcazione, senza tuttavia essere intolleranti. E tu non sei realmente intollerante, vero, Marcus? Sei buono e comprensivo, proprio come me. Lo diceva sempre anche lei, tranne qualche volta, quand'era in collera con te. Diceva che avresti capito quello che c'era fra noi due, quanto ci amavamo. Questa volta non si trattava di un'infatuazione, assolutamente no.» Neville cominciò a battere un pugno sul banco. «E invece no!» gridò. «Non lo capisco e non ci credo. Se ti amava tanto, perché non è venuta da te, ieri sera, invece di andare dalla signorina Cambrey? Me lo sai dire?» «Come posso dirtelo, se non so perché c'era andata? Così come non so perché era sparita dalla circolazione. Non so niente più di quello che sai tu.» «Bene, e allora te lo dico io perché non è venuta da te.» Il viso di Neville arrossì improvvisamente di collera, la collera imprevedibile degli ubriachi. «Semplice come l'acqua. Non è venuta da te perché non voleva più vederti. Sei uno sciocco, se non lo capisci. E se non voleva più vederti, vuol dire che non è affatto innamorata di te. È logico, no? Semplice come l'acqua. Sei tremendamente sciocco, caro Ian, se credi che Isobel sia stata innamorata di te anche soltanto per un minuto. Però puoi andare da lei tu per primo, se credi. Perché sei più giovane di me, e i giovani hanno diritto a qualche privilegio, hanno il diritto di precedenza dappertutto. Non capisco davvero perché, ma è così e io mi adeguo.» Royle si alzò. Lui e Charlotte avevano finito il loro whisky, ormai. «Purtroppo, la prima persona che vedrà sarà proprio l'agente dalla faccia
di pancotto» disse. «E dopo non toccherà a voi decidere. Forse la signora Neville avrà qualche idea sua al riguardo.» «Guardò Charlotte.» Andiamo a vedere che cosa ci danno da mangiare? La ragazza si alzò, ma in quel momento la porta del bar si aprì ed entrò il dottor Maynard, che si diresse difilato al bar come se non avesse visto nessuno, e ordinò un whisky. Aveva la faccia insolitamente tesa e affaticata, ma non appena riconobbe gli altri quattro avventori si sforzò di riprendere la consueta anonima espressione professionale e riuscì persino a mettere insieme un sorriso. «Buone notizie» annunciò. «Splendide. Sarete tutti felici di sapere che la signora Neville sta molto meglio. Dorme, adesso, ma è decisamente sulla buona strada. Vengo ora dall'ospedale e vi assicuro che non c'è più da preoccuparsi.» Quelle parole ebbero un effetto quasi magico: fecero passare di colpo la sbornia a Neville e Havershaw, che si scostarono di colpo l'uno dall'altro, non più amici né nemici. «Ne siete certo?» domandò Marcus. «Senza possibilità di errore?» «È davvero fuori pericolo?» aggiunse Havershaw. «Be', a meno che il Padreterno non decida diversamente, il che può sempre accadere, credo proprio che possiate stare tranquilli» asserì il medico. «Ma non avrà ancora potuto parlare, suppongo» osservò Royle. «No, non credo che sia ancora in grado di farlo.» L'investigatore prese sottobraccio Charlotte e si avviò con lei verso la porta. «E forse, quando sarà in grado di farlo, preferirà non parlare affatto» mormorò. C'era ancora pochissima gente, in sala da pranzo, una stanza grande e molto alta, con tende di rete alle finestre, vasi con fiori di plastica su ogni tavolo e odore di montone bollito ancora più penetrante che nell'ingresso. Una cameriera un po' vecchiotta accompagnò i due nuovi avventori a un tavolo davanti a una finestra e Charlotte si rallegrò di poter guardare fuori finché non avvertì gli spifferi di aria gelida che penetravano dai serramenti sconnessi. Fosse stata più in confidenza con Royle, avrebbe chiesto di cambiare tavolo, ma temette di essere giudicata una delle solite pittime che non sanno entrare in un ristorante senza trovare da ridire su tutto, perciò si limitò a tenersi la giacca sulle spalle e si immerse nell'esame della lista che la cameriera le porgeva, senza accorgersi che due tavoli più in là c'erano i
Grainger che avevano appena pagato il conto e si accingevano ad andarsene. «Ehi, salve, signorina Cambrey! Come va?» esclamò Liz, fermandosi davanti al suo tavolo. «L'avete trovata la chiave? Ci dispiace di aver dovuto lasciarvi sola, ma come vi ho detto, avevamo appuntamento col nostro avvocato. Finalmente abbiamo firmato il contratto ed è tutto sistemato, così potremo andarcene da Rose Cottage fra un paio di giorni al massimo, e trasferirci nel nostro appartamento. Oggi stesso ci andremo con l'architetto per decidere sui lavori da fare. Sarà un disastro abitarci con gli operai per casa, ma io non ci resisto più a Brickett's Farm. Ben dice che è molto sciocco da parte mia, ma quel posto mi fa un effetto, ormai! Avete notizie della povera signora Neville?» «Sì, abbiamo parlato col dottor Maynard poco fa, al bar» rispose Charlotte. «Ha detto che va molto meglio. Ora dorme, ma si può considerarla sicuramente fuori pericolo.» «Oh, è meraviglioso!» La donna si rivolse al marito. «Hai sentito, Ben? Non è meraviglioso? Per essere sincera, sono sempre stata certa che se la sarebbe cavata, me la sentivo. Sono fatta così, io. Ho di queste intuizioni che non saprei spiegare, ma che di solito l'azzeccano. Sareste sorpresa di sapere quante volte indovino, vero, Ben? Non indovino nove volte su dieci?» «Non le ho mai contate» grugnì lui. «Per ora la signora Neville resterà in ospedale, suppongo, ma mi domando dove potrà andare quando uscirà. Vive sola e si sa che negli ospedali dimettono i malati prima che siano in grado di badare a se stessi.» «Be', io conosco almeno due uomini che sarebbero felicissimi di badare a lei» ribatté la signora Grainger con fare civettuolo. «E in ogni caso c'è sempre l'infermiera, la signorina Wallace.» Credo che abiti proprio in questo albergo. Lei potrà certo aiutarla, anche se può adoperare un braccio solo. Anzi, sai che faccio? Vado a cercarla e le chiedo se è libera, poi vado dalla signora Neville e le dico che è tutto sistemato. Così le tolgo un peso dallo stomaco. «Credo che non siano ancora ammesse le visite» obiettò Royle. «E oltre tutto non sono affari tuoi» aggiunse il marito. «Oh sì, invece! È nostra amica, no? Quanto meno, è una vicina. E si trova nei guai. La gente è sempre pronta a dire che questo o quello non sono affari suoi, quando invece potrebbe essere utile a qualcuno. Ma io non sono così. Voglio assolutamente parlare con la Wallace.»
La signora Grainger si abbottonò la giacca, mise in testa un foulard e si congedò, trascinandosi dietro il marito. La cameriera venne finalmente a prendere le ordinazioni e Charlotte e Royle ordinarono entrambi minestra di verdura e filetto di manzo. La minestra era fatta indubbiamente con verdure in scatola, ma almeno era calda. «Mi domando» osservò Royle dopo qualche momento di silenzio, «se le notizie del dottor Maynard sono state davvero buone per tutti!» Charlotte corrugò la fronte. «Sospettate qualcuno di noi?» «Nessuno in particolare, finora. Ma a qualcuno dispiacerà sicuramente che la signora Neville non sia morta e che prima o poi possa parlare. E non è escluso che possa essere qualcuno col quale abbiamo parlato proprio stamattina!» «Probabilmente le hanno sparato proprio per chiuderle la bocca, suppongo. Perché non potesse riferire quello che aveva visto a Brickett's Farm. Credete che abbia visto l'assassino di Frensham?» «Non è improbabile.» «Ma chi poteva sapere che sarebbe venuta da me, ieri sera?» «Può averle sparato chiunque abbia visto la sua Renault bianca davanti al vostro villino.» I piatti vuoti della minestra intanto erano stati sostituiti con quelli del filetto, due fettine mollicce che nuotavano in un sughetto di dubbio aspetto. Royle attaccò la sua. «Demonio!» borbottò. «È terribile, ancora peggio di quello che mi aspettavo. E io che volevo offrirvi una bella colazione sostanziosa! Ne avevate tanto bisogno!» Sembrava proprio avvilito. «Non ha importanza» lo rassicurò Charlotte. «Sono contenta ugualmente.» «Quando tutta questa storia sarà finita, vi porterò a pranzo a Londra e vi offrirò un pasto coi fiocchi.» «Con le vostre cinque bambine e vostra moglie?» scherzò lei. «Mi piacerebbe molto conoscerle, ma vi verrebbe a costare un occhio della testa!» Royle la guardò perplesso. «Oh, sapete, mia moglie non è affatto gelosa. E nemmeno ficcanaso. Mi capita spesso di invitare a colazione qualche bella cliente e lei non fa alcuna obiezione.» «Ma io non sono una cliente.» «Sottigliezze. Mi state aiutando in un caso importante.» «Un caso che non vi riguarda più.» «Vi ho già detto che per me un lavoro è finito quando lo decido io.» «Ma perché vi ostinate tanto?»
«Non mi piace essere sconfitto.» «E ora vi sentite sconfitto?» «Sì e no.» «Vale a dire che avete qualche idea in proposito ma non siete ancora certo del fatto vostro.» «Non ne sono certo per niente. Continuo a pensare alla donna che ha scritto le lettere rinvenute nella cassaforte. Siete certa che non possa averle scritte Isobel Neville?» «Non c'era niente in comune fra la calligrafia della ricevuta che ha fatto a me e quella della lettera che Barr mi ha mostrato.» «Sicché dobbiamo trovare qualcun'altra. Che forse non troveremo mai. Potrebbe anche essere una che non è mai stata qui. C'è un solo elemento che contrasta con questa ipotesi, ed è il fatto che qualcuno, qui, odiava o temeva Isobel Neville al punto di essere indotto a tentare di ucciderla.» «Pensate che possa essere stata una donna?» domandò Charlotte. «Che possa essere stata una donna anche a uccidere Frensham?» «Perché no?» Royle rinunciò a finire il suo filetto. «Sentite, sono profondamente umiliato per questa porcheria. Che ne direste di andare a farci un panino al bar?» Charlotte rise. «Omicidi o no, bisogna pur mangiare, eh? Bisogna mantenersi in forze. Immagino che questo sia molto importante in un lavoro come il vostro.» «Io sono convinto che bisogna continuare a vivere normalmente anche nelle peggiori situazioni» ribatté lui. «Bisogna sempre fare tutto il possibile per fronteggiarle. Pensate a come la gente se l'è cavata nell'ultima guerra. I miei genitori mi dicevano che tutti continuavano a uscire, ad andare a teatri e concerti, a invitare a cena gli amici offrendo loro frittate fatte con uova in polvere, anche quando piovevano bombe.» «Credo che le uova in polvere siano state la cosa più difficile da sopportare!» Royle fissò Charlotte un po' disorientato. «Sapete, a volte penso proprio che non mi prendiate sul serio!» «Dovrei?» «Buon Dio, siete una bambina troppo furba» gemette lui. «Sembrate tanto giovane, ma ragionate come una donna matura. Non si sa mai come prendervi. Bene, vedo che avete finito il vostro filetto: buon segno!» «Oh, non è peggio di quello che cucino io.» «Volete anche un po' di torta al rabarbaro con la crema?»
«Sì, grazie.» «Io però non vi faccio compagnia, non la posso soffrire. Starò qui a guardarvi, cosa che non mi dispiace affatto.» «Sono contenta che mi abbiate portata qui» dichiarò Charlotte. «Se fossimo rimasti a casa, non avremmo ascoltato quell' interessantissima conversazione al bar. Mi domando che cosa provino realmente l'uno per l'altro, quei due!» «Un bell'odio mortale all'antica maniera» ribatté Royle. «Sentite, se non vi dispiace tornare da sola con l'autobus, io tornerei all'ospedale per sentire come va la signora Neville. Chissà che non ci trovi qualcun altro venuto a chiedere la stessa cosa. Potrebbe essere molto interessante.» «Pensate che potrebbe essere l'assassino a interessarsi della sua salute?» «Fra gli altri.» Tutt'a un tratto Charlotte non ebbe più alcuna voglia di torta al rabarbaro, né di crema né di caffè, ma una gran voglia di essere a casa, nell'appartamentino di Maida Vale a scartabellare fra gli appunti del vecchio generale, a cercare di rimetterli in ordine, immersa in un beato torpore non turbato da pensieri di morte. E invece il generale era morto, Dick era in galera e lei si era assunta un compito che non poteva abbandonare. Forse erano più o meno le stesse sensazioni che Timothy Royle provava in quel momento, ma Charlotte non badava più a lui: pensava alla signora Neville, chiedendosi se davvero quella poveretta era in pericolo, e rispondeva con qualche distratto monosillabo a quel che le stava dicendo l'investigatore. Finalmente uscirono dal ristorante e Charlotte si avviò verso la fermata dell'autobus, davanti alla stazione. Piovigginava ancora e faceva molto freddo. Prima che arrivasse l'autobus, sarebbe stata completamente congelata, pensò Charlotte, rialzandosi il colletto della giacca, quando le dissero che mancavano ancora dieci minuti alla partenza. Quella pioggerella nebbiosa faceva penetrare il gelo fin nelle ossa e fa ragazza non fece caso a un'automobile che, uscita dal parcheggio vicino alla stazione, era venuta a fermarsi davanti al gruppetto di persone in attesa. Si riscosse solamente quando una donna accanto a lei la toccò leggermente dicendo: «Signorina, credo che quel tale cerchi voi.» L'uomo al volante dell'auto era Ian Havershaw. «Volete un passaggio?» domandò sporgendo la testa dal finestrino. Pareva che non accusasse i postumi della recente sbornia. «Oh sì, grazie!» Charlotte si affrettò a salire in macchina. «Che gradita
sorpresa! Fa un freddo cane, sotto la pioggia!» «Una gradita sorpresa anche per me» disse lo scrittore rimettendo in moto. «Ho giusto bisogno di parlarvi.» 9 Qualunque fosse l'argomento del quale Havershaw desiderava parlare con Charlotte, non doveva essere il delitto perché, dopo avere guidato per un bel pezzo in silenzio, il giovane disse: «Sapete, non ero davvero ubriaco come forse vi sono sembrato. Mi dispiace che abbiate assistito a quella scena. Era soltanto la tensione per quanto era accaduto che mi dava alla testa. Ho creduto di impazzire per la disperazione.» «Bene, potete smettere di preoccuparvi, ora. La signora Neville guarirà.» «Non mi preoccupavo soltanto per quello. Non so ancora perché fosse sparita né dove fosse andata, ma credo che Marcus lo sappia benissimo, sennò perché mai sarebbe venuto qui? Bene, lasciamo perdere questo, per ora. Ho lasciato che andasse lui all'ospedale, oggi pomeriggio, con la speranza che possa vederla. Noi due ci troveremo più tardi, così potrò sapere da Marcus come va. Mi fa rabbia che sia lui il primo a vedere Isobel, ma abbiamo pensato che il marito avrebbe avuto più probabilità di essere ammesso di quante possa averne un estraneo. Sapete, sarebbe tutto molto più facile se potessi odiarlo sinceramente, ma non ci riesco e lui deve provare gli stessi sentimenti nei miei riguardi. Se non ci fosse di mezzo Isobel, credo che potremmo essere ottimi amici.» «Ma non sono proprio queste le situazioni che un romanziere dovrebbe sforzarsi di capire?» «Sì, avete ragione, ma sarebbe molto più facile capirle se il protagonista fosse qualcun altro!» «Per capire gli altri non bisogna forse cominciare col capire se stessi?» «Sì, certo.» Havershaw fece una lunga pausa prima di proseguire: «Naturalmente voi non prendete affatto sul serio i miei tentativi di diventare uno scrittore.» «Perché non dovrei?» «Non pensate che io sia troppo giovane? Che la mia sia un'ambizione ridicola?» «Una volta o l'altra dovrete pur cominciare, no?» «Ma forse si dovrebbe avere maggiore esperienza della vita, prima di mettersi a scrivere.»
«Bene, quanto a questo direi che ne avete fatta abbastanza ora!» Lui le lanciò una rapida occhiata e sorrise, quel suo sorriso simpatico che gli metteva in mostra tutti i denti. «Mi piacete, signorina Cambrey» disse. «Mi fa bene parlare con voi. E quello che volevo dirvi... be', naturalmente potete rispondermi un bel no chiaro e tondo se non vi va l'idea, ma intendevo chiedervi, sempre che non abbiate altri impegni, se non voleste dare un'occhiata al mio manoscritto. Sono rimasto impantanato e pensavo che se potessi discuterne con qualcuno forse mi si schiarirebbero le idee. In condizioni normali, ne avrei parlato con Isobel, ma ormai chissà quanto tempo dovrà passare prima che possa impegnarsi in un lavoro qualunque e nel frattempo mi aiuterebbe molto poter proseguire con il mio romanzo.» Sorrise ancora, ma nella sua voce c'era una sfumatura di ansia. «Probabilmente penserete che sono un terribile egoista.» Era esattamente quello che Charlotte stava pensando, ma il fatto che lo avesse detto lui stesso la disarmò. Forse, rifletté, aveva solo un gran bisogno di sfogarsi con qualcuno, di parlare di qualcosa che non fosse un omicidio. «Leggerò volentieri il vostro manoscritto» disse, benché quell'idea la sgomentasse. Non aveva nessuna voglia di leggere, era troppo inquieta e frastornata. Ma chissà, quel ragazzo poteva forse essere un genio e in futuro lei avrebbe potuto vantarsi di essere stata fra i primi ad avere scoperto il suo talento! Non le dispiacque vedersi sotto quella luce, anche se si trattava di una probabilità piuttosto remota. Ma più tardi, quando cominciò a leggere il romanzo, non scoprì affatto l'impronta del genio: Ian l'aveva invitata nella propria abitazione, l'ex granaio attiguo al villino della signora Neville, aveva aperto una credenza e ne aveva tratto una grossa cartella contenente un ordinatissimo fascio di fogli dattiloscritti. Charlotte fu sorpresa dell'ordine perfetto e della pulizia che regnavano nel piccolo soggiorno, arredato più o meno come il suo, dove non si vedeva un libro o un oggetto fuori posto e nemmeno il più minuscolo granello di polvere. Sul tavolo c'era una macchina per scrivere accuratamente ricoperta con una foderina e un pacco di carta extra strong insieme con un grosso volume che aveva tutta l'aria di essere un dizionario. Il signor Havershaw, aspirante romanziere, era senz'altro un'ottima governante. Ma non era certo uno scrittore altrettanto bravo. A Charlotte bastò leggere un capitolo del suo romanzo per non avere più alcun dubbio in proposito, anche se riconosceva sinceramente di non avere la stoffa del critico let-
terario. Non ci voleva molto per rendersi conto che era un lavoro quasi infantile, ancora più immaturo di quanto non fosse lo stesso Ian. E un altro particolare curioso le saltò subito agli occhi. I fogli, una settantina circa, erano giallastri, come se fossero stati scritti tanto tempo prima. Charlotte si domandò se il desiderio di Ian di diventare uno scrittore non fosse stato nient'altro che un sogno a occhi aperti, dal quale lui avrebbe potuto destarsi da parecchio tempo se non si fosse innamorato di Isobel Neville che, in buona fede ma con scarso buon senso, lo aveva incoraggiato a proseguire su quella strada. In ogni caso, prima tornava in Arabia Saudita a fare l'insegnante, meglio era. Riuscì tuttavia ad arrivare fino in fondo alle settanta pagine, poi, chiedendosi che cosa avrebbe potuto dire all'autore per non essere troppo crudele ma nemmeno lampantemente disonesta, si fece una tazza di tè e tornò al suo romanzo giallo. Ma non riuscì a concentrarsi su quello che leggeva. Si scoprì invece a pensare che il poco denaro messo da parte non sarebbe più durato a lungo e che, indipendentemente da quanto poteva accadere nei prossimi giorni, avrebbe dovuto cominciare a pensare all'avvenire. Posò il libro sulle ginocchia e lasciò vagare lo sguardo oltre la finestra, mentre cominciavano ad addensarsi le prime ombre della sera. Stava bene lì, rifletté rimpiangendo di avere praticamente promesso ai Grainger di trascorrere anche quella notte a casa loro. Ma non voleva offenderli rimangiandosi la promessa e in ogni caso doveva pure andare a vedere se erano tornati da Mattingley, e spiegare come mai era rimasta chiusa fuori. Decise quindi di muoversi subito, prima che fosse troppo buio, uscì e si avviò verso Rose Cottage. Ma la porta era chiusa, nessuna luce brillava alle finestre e l'autorimessa era vuota. Tornò a casa, accese la luce, tirò le tende e, spinta dal desiderio di leggere qualcosa che non avesse niente a che vedere con omicidi e poliziotti, andò a prendere dallo scaffale uno dei libri lasciati probabilmente dall'inquilina precedente, la signorina Wallace. Ma come aprì il volume prescelto, ne sfuggì un foglietto che calò ondeggiando sul pavimento. Charlotte si chinò a raccoglierlo. C'erano scritte poche parole: "Questi teneteli voi. Io li ho letti tutti". Non c'era firma, ma la grafia era dritta e vigorosa, un po' angolosa, proprio come quella della lettera proveniente dalla cassaforte di Edgar Frensham, e che il sovrintendente Barr le aveva mostrato.
Charlotte fu invasa da un'ondata di eccitazione. Ma si calmò subito. Anche se era evidente che i libri erano stati lasciati alla signorina Wallace dalla persona che aveva scritto il biglietto; restava sempre un mistero l'identità di quella persona. Questo però portava a un'altra conclusione: l'autore di quel biglietto doveva far parte della limitata cerchia di persone che la signorina Wallace conosceva. E le donne che facevano parte di quel giro non erano molte: Isobel Neville, Angela Bird, Liz Grainger. Ma la grafia del biglietto era totalmente diversa da quella della ricevuta che la signora Neville aveva rilasciato a Charlotte, e riusciva piuttosto difficile immaginare la signora Grainger travolta da un amore appassionato per Edgar Frensham. Perciò restava soltanto Angela Bird. Birdie per i Grainger. B. E Birdie era un'artista. Quando aveva scritto il saggio richiesto da Barr poteva benissimo avere alterato la propria calligrafia in modo che non assomigliasse per niente a quella delle lettere rinvenute nella cassaforte. Ed era poi vero che Angela avesse detestato Edgar Frensham come aveva sempre sostenuto? Charlotte fissò a lungo il foglietto, come se questo potesse rivelarle qualche particolare che le era sfuggito, incerta sulla decisione da prendere. Poteva mettersi in contatto con Barr e dirgli che cosa aveva trovato. Oppure telefonare alla signorina Wallace, al White Horse, e cercar di sapere da lei chi le aveva lasciato quei libri. Oppure telefonare a Timothy Royle perché la consigliasse. Sì, quella era la soluzione migliore, pensò. Ma lo avrebbe trovato in albergo a quell'ora? E in caso contrario, dove cercarlo? Gira e rigira, non poteva fare a meno di rivolgersi alla polizia, era chiaro. Controvoglia, andò a prendere la sua borsa e vi ficcò il biglietto. In quel momento, udì il cigolio del cancello seguito dal rumore di passi lungo il vialetto e infine da un colpo bussato alla porta. Andò ad aprire e si trovò davanti Angela Bird. Stavolta non indossava il solito completo nero e bianco da gazza ma un cappotto marrone, scarpe marrone dal tacco basso e un berretto di lana rosso scuro: presumibilmente la tenuta che usava per andare in ospedale, pensò Charlotte. Così vestita sembra più vecchia e un po' spenta, meno sensazionale. Ed era pallidissima. «Posso entrare?» domandò. «È accaduta una cosa terribile e ho pensato che doveste saperlo subito.» Parlava a scatti, con voce un po' ansante. Senza aspettare l'invito di Charlotte entrò risolutamente nel soggiorno, togliendosi il berretto e scuo-
tendo i capelli. «Nessuno sa rendersi conto di come sia potuto accadere» riprese «ma qualcuno è entrato in camera e ha ucciso Isobel con una coltellata.» «Uccisa... in ospedale...» balbettò Charlotte. Angela Bird si lasciò cadere in una poltroncina, si sfilò i guanti e si sbottonò il cappotto. Le tremavano le mani. «Sarebbe dovuto esserci un poliziotto di guardia, in attesa di poterla interrogare» proseguì. «Ma gli avevano detto che avrebbe dormito ancora per parecchie ore perché le avevano somministrato dei sedativi, così lui si era allontanato per qualche momento. E c'era anche una quantità di infermiere in giro, ma era ora di visita, con gente che andava e veniva, così nessuno teneva d'occhio la camera di Isobel. E qualcuno ne ha approfittato per entrare e piantarle un coltello nel petto. Lo ha lasciato nella ferita, un comune coltello da cucina. E hanno portato la signora Grainger alla stazione di polizia per interrogarla.» «La signora Grainger?» esclamò Charlotte sbalordita. «Ma è assurdo!» «Non tanto quanto sembra. L'hanno vista uscire dall'ospedale con un gran mazzo di fiori e quando l'hanno interrogata, ha spiegato che era andata per portare i fiori a Isobel ma, avendo saputo che non erano ancora ammesse le visite, se ne era venuta via con i suoi fiori. Però non ha saputo descrivere la persona che glielo avrebbe detto e la polizia non ha trovato nessuno che ricordasse di avere parlato con lei. E sarebbe stato facilissimo nascondere il coltello in mezzo ai fiori. Poi Liz ha detto di avere parlato con Beatrice Wallace per chiederle se fosse stata disposta ad assistere Isobel quando fosse uscita dall'ospedale e siccome l'infermiera aveva risposto di sì, lei aveva pensato di andare subito in ospedale per dirlo a Isobel, perché non avesse preoccupazioni per quando l'avrebbero dimessa.» «È vero» affermò Charlotte. «Lo aveva detto anche a me. Le ho parlato all'ora di colazione e mi ha detto appunto che aveva intenzione di andare all'ospedale.» «Ma la polizia non ci crede troppo. È chiaro che il mazzo di fiori poteva essere semplicemente un alibi per il caso che qualcuno la vedesse entrare nella stanza: avrebbe detto che era andata a portare dei fiori alla sua amica e avrebbe rimandato l'accoltellamento a. migliore occasione.» «Ma quale motivo poteva mai avere la signora Grainger per uccidere la signora Neville? Potrebbe soltanto significare che c'era entrata per qualcosa nell'uccisione di Frensham. E questo è assurdo.» «Che ne sapete voi? Che ne sapete di quello che Frensham potrebbe aver
fatto a lei e a suo marito? Può darsi che li ricattasse, che li stesse spremendo fino all'osso. Credetemi, chiunque poteva avere validissimi motivi per far fuori Edgar.» «Lo odiavate, vero?» Charlotte fece una pausa prima di aggiungere: «O no?» Appena lo ebbe detto, provò una fitta di paura. Era stata una domanda non soltanto sciocca ma forse pericolosa. Forse lei era in pericolo lì in quella stanza, e il pericolo era impersonato dalla donna inquieta che meditava nella poltroncina di fronte a lei. I piccoli occhi scintillanti della signorina Bird si spalancarono, poi le palpebre scesero a nasconderli e lei parve ritrarsi in se stessa. «Vi ho già detto che dapprincipio mi sono sentita attratta da lui» mormorò. «Sapeva essere affascinante quando voleva. Ma quella parentesi non è durata a lungo, anche se odio è un vocabolo eccessivo per quello che ho provato dopo. Lo trovavo spregevole, ecco tutto. Non so davvero che cosa ho fatto per indurvi a pensare che lo odiassi.» «Forse vi siete preoccupata eccessivamente di farci credere che vi era profondamente antipatico e che di conseguenza non potevate essere voi l'autrice delle lettere rinvenute nella sua cassaforte» ammise Charlotte. «Vi siete forse messa in testa che le abbia scritte io?» «Non è così?» La signorina Bird aveva spalancato di nuovo gli occhi e ora fissava sbalordita la ragazza. «Ma vi rendete conto che potreste cacciarvi in guai grossi dicendo cose simili?» proruppe. «Buon per voi che io non mi offendo facilmente. La differenza della calligrafia come la spiegate?» «Lasciate perdere» mormorò Charlotte. «Ho avuto torto.» «No, no, dovete spiegarvi meglio, adesso» insisté Angela Bird in tono calmo e amichevole. Ma fu proprio quella calma a spaventare Charlotte. «Avevo soltanto pensato che un'artista sarebbe stata in grado di alterare a piacere la propria calligrafia» ammise. «E le lettere sono firmate con una B. B come Birdie.» «Oh Dio, quel nome orribile! Nessuno mi ha mai chiamata a quel modo all'infuori dei Grainger. Lo odio e l'ho anche detto loro chiaro e tondo, ma quelli insistono. Potete star certa che non lo avrei usato davvero scrivendo a un uomo del quale fossi innamorata. Oltre tutto, poi, chi vi dice che quelle lettere le abbia scritte una donna che conosciamo? Può darsi che venga-
no da chissà dove!» «Le ha scritte una donna che la signorina Wallace conosce.» Charlotte prese il foglietto dalla borsa. «In uno dei libri lasciati qui dalla signorina ho trovato questo.» Tese il foglietto alla sua ospite. Questa lo prese, lo osservò per qualche momento corrugando la fronte, poi lo accartocciò bruscamente e ne accostò un angolo a una sbarra incandescente della stufa elettrica. La carta prese subito fuoco. Angela Bird gettò il foglietto fiammeggiante nel camino e, quando si fu ridotto a un mucchietto di cenere, guardò Charlotte e rise. «Volete sapere perché l'ho fatto?» domandò. «La signorina Wallace si chiama Beatrice ed era innamorata di Edgar. Mi ha sempre fatto tanta pena, poveretta. Quel biglietto potrebbe averlo scritto lei stessa, con l'intenzione di lasciare i libri a qualcuno prima di partire, e poi essersene dimenticata. E se ora nega di avere scritto quelle lettere, che Dio gliela mandi buona. Col braccio destro ingessato sarà difficile che possa fornire un saggio della propria scrittura!» «Allora pensate che quelle lettere possa averle scritte lei?» Furiosa con se stessa per essere stata tanto sprovveduta, Charlotte si chiedeva sgomenta quanto potesse essere importante la scomparsa di quella prova. «È molto probabile, ma anche se le ha scritte lei, non ha certo ucciso nessuno. Mi rendo conto che avrebbe potuto aggirarsi per l'ospedale, che conosce bene, senza attirare l'attenzione di nessuno, ma si potrebbe dire lo stesso per me che ci lavoro. Come mai non l'avete ancora detto? Tenevate in serbo la freccia? E che dire del dottor Maynard? Basta cercarli e si possono trovare decine di sospetti.» Charlotte annuì. «Ce n'è uno che non avete nominato. Marcus Neville è stato all'ospedale oggi pomeriggio, me lo ha detto Ian.» «Davvero? Questo è molto interessante! Ce lo vedo bene nelle vesti dell'assassino. Ma voi avete appuntato i vostri sospetti su di me. Non credo di avere mai destato sentimenti simili in nessuno, finora. E pensare che credevo di esservi simpatica! Avete in serbo qualche altra sorpresa per me?» Charlotte si rese conto che Angela Bird si stava burlando di lei e la cosa non le piacque per niente. Cercò di ricambiare la frecciata. «Chiunque abbia sparato alla signora Neville deve avere visto la sua macchina davanti al mio cancello e voi potevate vederla benissimo dalla vostra finestra.» La ragazza balzò in piedi. Adesso sembrava davvero in collera. «Le avete proprio pensate tutte, vero? Mi domando fino a che punto
possiate diventare pericolosa. Avete intenzione di andare a vuotare il sacco col sovrintendente? Per il momento i suoi sospetti sono appuntati su Liz Grainger, che, oltre tutto, avrebbe potuto vedere l'auto dalla sua finestra, ma voi potreste benissimo indurlo a sospettare di me. Tuttavia, credo che non pensiate neppure la metà di quello che state dicendo, altrimenti non me lo direste così liberamente in faccia, e a quattr'occhi: chi potrebbe fermarmi se decidessi di aggiungere all'elenco un terzo defitto? Nessuno mi ha vista venire qui e dipende solo da me fare in modo che nessuno mi veda andar via. E sono forte. Anche se non ho alcuna arma addosso, posso sempre strangolarvi.» «Credo che nessuna di noi due pensi veramente quello che dice» ribatté Charlotte. «Per quanto mi riguarda, intendevo soltanto mettere alla prova le mie idee, sondare alcune possibilità. Non posso fare a meno di pensare a quanto è accaduto e naturalmente mi vengono in mente le cose più strampalate.» «Bene, lasciate che vi dia un consiglio. Non fate chiacchiere del genere con il primo che vi capita a tiro: potrebbe essere pericoloso, per voi. Come lo sarebbe ora, se l'assassina fossi io. Ma fortunatamente per voi, non sono affatto un tipo violento.» Angela Bird raggiunse la porta a passi lunghi e decisi. Charlotte richiuse il battente alle sue spalle, poi tornò alla poltroncina e rimase a fissare il mucchietto di cenere nel camino. Non avrebbe dovuto dare quel biglietto alla signorina Bird, rifletté con un sospiro. Il guaio era, si disse, che lei non era affatto tagliata per il gioco che stava tentando di giocare. Era stata pura e semplice follia parlare come aveva fatto. Aveva avuto ragione, Angela Bird, a metterla in guardia. Ma qual era, in fin dei conti, la verità sul conto di Angela? Le aveva o non le aveva scritte lei quelle lettere? Era così facile negare! Ad accrescere il suo turbamento, concorreva una sorta di assillo, un pensiero importante che pareva sempre sul punto di concretarsi nella sua mente e che lei non riusciva a formulare.' Era qualcosa che aveva attinenza con una frase detta da Angela Bird, ma che continuava a svanire ai margini della sua mente come un' ombra senza corpo. Alla fine Charlotte si arrese e invece di continuare in quella vana rincorsa cercò di riflettere su ciò che le conveniva fare dopo la scomparsa del foglietto che lei avrebbe potuto consegnare alla polizia. Anche se, come aveva insinuato Angela Bird, lo avesse scritto veramente la signorina Wallace, questa lo avrebbe sicuramente negato. Una volta ancora, sarebbe stato così facile negare... a meno che
non si potesse disporre di qualche altro campione della sua calligrafia. Charlotte trasalì lievemente. Ecco qual era il pensiero che le era sfuggito fino a quel momento. Come mai non le era venuto in mente prima? Se il biglietto lo aveva scritto Angela Bird, sarebbe stato facile accertarsene: all'infermeria dell'ospedale doveva esistere senza dubbio qualcosa scritto da lei. Le ombre confuse che le si aggiravano nella mente cominciarono ad assumere contorni più precisi, Charlotte decise a un tratto di andare a telefonare a Royle. Ma aveva appena preso la borsa per cercare gli spiccioli, quando udì cigolare il cancello e subito dopo qualcuno bussò alla porta. Posò la borsa e andò ad aprire. Stavolta erano i Grainger. Sembravano entrambi stravolti e si bloccarono sulla soglia fissando Charlotte come se aspettassero da lei risposta a una domanda inespressa. «Non volete accomodarvi?» li invitò la ragazza, rendendosi conto che erano entrambi in preda a un terribile imbarazzo. «Siete certa di volere che entriamo?» ribatté Ben Grainger, più burbero del solito. «Avete saputo che cos'è successo?» domandò quasi contemporaneamente sua moglie. «Ho saputo della signora Neville» rispose Charlotte. «Me lo ha detto la signorina Bird. E mi ha detto anche che vi hanno portata alla polizia per interrogarvi. Ma sarà stata soltanto una questione di routine, immagino. Non significa certo che vi sospettino di qualcosa!» «Allora come mai voi siete qui, a casa vostra?» domandò Liz alzando improvvisamente la voce. «Perché non desiderate più stare con noi, è evidente; perché avete creduto una cosa tanto orribile sul nostro conto e adesso avete paura di noi! Siamo venuti qui per sapere se è così. Ed "è" così, vero? Lo so. Ho un intuito speciale per queste cose, so sempre quello che la gente pensa. E ve lo leggo in faccia: voi pensate che Ben e io siamo degli assassini!» «Ma che cosa vi viene in mente!» Charlotte si sentiva imbarazzata non meno dei Grainger. Non era leale da parte loro, pensò, affrontarla così, esigendo che li giudicasse! «Sono tornata a casa» disse «unicamente perché uscendo dal vostro villino, stamattina, ho dimenticato di prendere la chiave. Quando sono tornata da Mattingley, voi non c'eravate ancora, così non mi è rimasto altro da fare che tornarmene a casa mia. Ma aspettavo soltanto che ritornaste per venire
a chiedervi se potevo stare con voi anche stanotte. Se per voi non è una seccatura troppo grossa, naturalmente. Ma se preferite restare soli, ditelo pure, me la caverò benissimo anche qui.» Il viso di Liz Grainger si illuminò di colpo. «Oh cara, siete certa di voler venire davvero? Farà bene anche a noi avere la vostra compagnia, ma non dovete venire soltanto per farci piacere. Mi dispiace tanto di non essere stata in casa quando siete venuta, oggi pomeriggio!» «E sapete perché abbiamo tardato tanto?» domandò Ben Grainger con aria feroce, come se stesse accusando Charlotte di chissà quali misfatti. «Perché quei maledetti poliziotti non si sono limitati a interrogarci, non si sono accontentati di insinuare le cose peggiori sul conto di Liz, che era soltanto andata all'ospedale per bontà d'animo, con la speranza di tranquillizzare la povera signora Neville dicendole che era tutto sistemato per quando sarebbe tornata a casa sua... No, hanno voluto venire anche al negozio a buttare all'aria tutto da cima a fondo! Avremmo potuto rifiutarci, è vero, ma hanno detto che tanto sarebbero tornati più tardi con un mandato di perquisizione. Cercavano del denaro, hanno detto. Denaro! Da noi! Abbiamo dovuto fare anni di economie per poter mettere insieme i soldi da dare come acconto. Per il resto abbiamo contratto un mutuo! Siamo stati così felici quando abbiamo trovato questo posto! Ci sembrava l'ideale! E adesso... Bell'ideale davvero. Una follia dopo l'altra: ammazzamenti, sospetti, interrogatori, perquisizioni. Sospettano che abbiamo assaltato una banca, capite? Niente di meno. Hanno in mente che Liz si sia vestita da uomo, che ci siamo mascherati con barbe finte e che ce la siamo squagliata con migliaia di sterline! Ci hanno rovinati. A Liz non passerà mai. Mai! Dice che c'è qualcosa di malefico nell'aria dì questo posto e non mi stupirei che avesse ragione. Ha quasi sempre ragione. Sembra anche a me che questa zona puzzi. Prima ce ne andiamo, meglio è.» Liz Grainger gli diede un paio di colpetti su una spalla, come se la collera del marito avesse fatto sbollire la sua. «Calmati, tesoro» disse. «A volte sbaglio anch'io e in questo caso credo proprio di essermi lasciata trasportare da un accesso di isterismo. Quando ho visto il nostro villino tutto buio e la luce accesa qui da Charlotte, mi sono sentita sconvolgere. Ecco, ho pensato, Charlotte crede a quelle terribili accuse e adesso ha paura di noi. Ma mi sento molto meglio, ora che ho scoperto di avere sbagliato. Venite, cara, andiamo a casa. Berremo qualcosa intanto che preparo la cena. A Mattingley ho preso una scatola di riso surgelato al curry, con gamberetti, così avrò soltanto da scaldarlo.»
«Verranno a perquisire anche il villino?» domandò Charlotte. «Non è da escludere» rispose Ben Grainger. «Ma mentre parlavano ancora con noi, è arrivata una telefonata per quel Barr, il sovrintendente, e tutt'a un tratto hanno detto che potevamo andarcene. In ogni caso, a quel che mi è sembrato, non avevano l'aria di pensare davvero che ci saremmo tenuti in casa tutto quel denaro ma che semmai l'avremmo nascosto da qualche altra parte. E sbagliano, sbagliano di grosso. Perché se per caso mi capitasse di mettere le mani su un grosso malloppo, non andrei a nasconderlo da nessuna parte, dopo questa esperienza. Me lo spenderei, me lo spenderei tutto. Vorrei sentirmi un nababbo, fosse pure soltanto per pochi giorni, prima che mi arrestassero...» Esplose all'improvviso in una risata stridula e incontrollabile che lo scuoteva tutto, mentre le lacrime gli scorrevano sulle guance. Sua moglie continuò a battergli affettuosi colpetti sulla spalla. «Davvero è proprio tutta da ridere, a pensarci bene» esclamò. «Io e Ben! Ma andiamo, ora. Mettetevi la giacca e venite con noi, cara.» Charlotte infilò la giacca, prese la borsa, spense le luci e la stufa e s'incamminò con la coppia. Ma a metà strada dal loro villino si fermò di botto. «Vi dispiace se vado a telefonare, prima?» domandò. «No di certo, andate pure, cara» acconsentì prontamente Liz Grainger. «È una tal noia che non ci sia il telefono in nessun villino! Ma è meglio che vi accompagni Ben. Non avete una torcia elettrica, vero?» Charlotte non aveva pensato a prenderla e quella dei Grainger riusciva a malapena a forare, con un raggio di pallida luce, un brevissimo tratto della cortina di pioggia. Tutto il resto rimaneva immerso in un buio profondo. Charlotte non aveva pensato nemmeno a mettersi in testa una sciarpa e in un attimo ebbe i capelli inzuppati. «Grazie, ma non importa. Ce la farò benissimo da sola» disse. «Prendete almeno la torcia, mia cara» insistette la signora Grainger. «A noi non serve più, ormai. Vi aspettiamo, allora.» Charlotte mormorò un sommesso ringraziamento e si avviò verso il paese, mentre i due proseguivano per Rose Cottage. Procedendo di buon passo lungo la strada buia e disseminata di pozzanghere, la ragazza si rese conto che effettivamente aveva avuto paura dei Grainger, ma a essere sincera, doveva ammettere di trovarsi in uno stato d'animo tale che avrebbe avuto paura anche della propria ombra. La violenza poteva scaturire vicino a lei in qualsiasi momento. In realtà, le era
stata quasi addossò fin dalla sera del suo arrivo al villino, anche se allora non lo sapeva. Che ne sarebbe stato di lei, si domandò, se fosse arrivata a Brickett's Farm soltanto pochi minuti prima, mentre l'assassino stava compiendo la propria opera? Forse neppure lei ne sarebbe uscita viva. Se l'era cavata per il rotto della cuffia. Ma fino a quando le sarebbe andata bene? Ora che il suo cervello si era messo in moto, cominciava a capire tante cose che prima le erano sembrate prive di significato. Particolari estremamente semplici. A esempio, il fatto che la Wallace, col braccio destro ingessato, non avrebbe potuto sparare alla signora Neville, a meno che non fosse mancina. E poteva darsi che lo fosse. Nessuno, per quanto ne sapeva lei, si era ancora preoccupato di accertarsene. E lo stesso valeva per le lettere. A meno che fosse mancina, non era possibile controllare la sua scrittura finché non le avessero tolto il gesso. E a un tratto quel pensiero le riportò alla mente un guanto mezzo sfilato da una mano sinistra con la fede nuziale all'anulare... Meno male che aveva preso la torcia elettrica, perché la luce nella cabina, che avrebbe dovuto accendersi entrando, non funzionava. Aiutandosi con l'esiguo raggio della torcia, Charlotte riuscì finalmente a trovare su un elenco logoro e sudicio il numero del White Horse. Infilò nella fessura il numero necessario di monetine. Lo squillo dall'altra parte echeggiò innumerevoli volte, lontanissimo, prima che una voce annoiata rispondesse. La ragazza chiese del signor Royle e rimase in attesa, mentre dal ricevitore usciva tutta una serie di sibili e di cigolii. Finalmente le arrivò anche una voce. «Pronto, sono Royle.» «Buona sera, sono Charlotte. Vi prego, ascoltate senza interrompermi. Telefono dalla cabina pubblica e non vorrei restare a metà telefonata. Si tratta della donna che ha scritto quelle lettere. È stata la signora Neville. Non può essere stata nessun'altra, ma io ho messo tutti fuori strada perché non avevo capito il significato di un certo particolare. Non ne ho parlato con voi, prima, perché non mi era sembrato importante ma ne avevo parlato con Barr. Però nemmeno lui ha dato peso alla cosa. Quando ho consegnato alla signora Neville il denaro per l'affitto e le ho chiesto la ricevuta, lei aveva cominciato a sfilarsi il guanto sinistro, per scrivere, ma lo ha rimesso subito a posto, poi si è sfilato il destro e ha scarabocchiato poche parole. Allora pensavo che non si fosse tolta il sinistro perché non voleva che vedessi la fede nuziale, dato che aveva detto di essere la signorina Sharpies. Ma non è così. La verità è che stava per scrivere la ricevuta con la sinistra perché è mancina, e, se lo avesse fatto, la ricevuta sarebbe stata
scritta con la stessa calligrafia delle lettere. Ma nessuno doveva sapere che era stata lei a scriverle, perché aveva deciso di squagliarsela col denaro e intendeva far credere a tutti che in quella storia ci fosse di mezzo un'altra donna. Moltissimi mancini sanno scrivere anche con la destra perché lo hanno imparato a scuola, anche se in questo caso la loro calligrafia non è mai regolare come quando scrivono con la sinistra...» «Santo cielo!» l'interruppe l'investigatore. «Ma perché non mi avete mai detto niente? È la cosa più importante...» Si udì qualche cigolio, poi la linea cadde. Le monetine messe da Charlotte nell'apparecchio erano rinite. La ragazza frugò disperatamente nella borsa ma non ne trovò altre. Irritata e delusa, uscì dalla cabina e tornò quasi correndo a Rose Cottage. Andò ad aprirle Liz Grainger, portando con sé una zaffata d'aria odorosa di spezie. «Oh, eccovi finalmente! Entrate, venite a scaldarvi. Ben vi preparerà qualcosa da bene. La cena sarà pronta fra un minuto.» «Scusatemi» ribatté Charlotte senza entrare. «Potreste prestarmi un po' di moneta? Io non ne avevo abbastanza e sono rimasta in secco a metà di una telefonata molto importante.» «Ma certo, cara. Ben, hai moneta? Charlotte non è riuscita a finire la sua telefonata.» L'uomo si frugò in tasca e tirò fuori una manciata di spiccioli, insistendo perché Charlotte li prendesse tutti per non correre il rischio di essere interrotta una seconda volta. La ragazza ringraziò in fretta e ripartì di corsa verso la cabina telefonica. Ormai aveva i capelli completamente inzuppati di acqua e gocce gelide le si infilavano dentro il colletto della giacca. Ma tutta la sua fretta fu inutile. Quando la voce annoiata rispose, e lei domandò ancora del signor Royle, l'ignoto interlocutore le disse che l'investigatore era appena uscito senza lasciar detto dove andava. 10 Quando rientrò a Rose Cottage, i Grainger la spedirono immediatamente di sopra a strofinarsi i capelli con un asciugamano, poi le offrirono una dose generosa di sherry dolce che lei scolò fino all' ultima goccia. Ma prima di sedersi accanto al bel fuoco di legna che avevano acceso, e pur consapevole che Ben Grainger la stava osservando, Charlotte si avvicinò alla finestra e scostò le tende per guardar fuori. Non c'era alcun dubbio: se ci
fosse stata un'auto ferma davanti al suo cancello, da lì lei l'avrebbe vista benissimo. «So che cosa avete in mente» disse l'uomo quando lei si allontanò dalla finestra, fissandola con un sorrisetto sardonico. «Potrei essere stato io, vero? Certo, a patto di muovermi veloce come un fulmine. L'auto si ferma davanti al vostro cancello, io la vedo, vedo scendere la signora, la vedo incamminarsi verso il vostro villino, mi precipito a prendere la rivoltella, corro fuori, al buio, e le sparo. E naturalmente è stato soltanto un caso che io l'abbia vista arrivare, perché non sto di guardia a quella finestra dalla mattina alla sera. Ma chiamate pure la polizia e dite che Liz e io siamo due assassini.» Faceva finta di parlare per scherzo, ma era chiaro che aveva i nervi a fior di pelle. «Non pensavo affatto a questo» protestò Charlotte. «Mi chiedevo soltanto se per caso aveste potuto vedere passare l'auto della signora Neville.» «Bene, non abbiamo visto niente. Avevamo tirato le tende prima che quella storia cominciasse. Così non sappiamo nemmeno se per caso la signora Neville fosse passata prima da Birdie, lasciando l'auto davanti al "suo" cancello, mentre entrava a parlare con lei. Ma naturalmente avete soltanto la nostra parola, a questo proposito. Se avessimo visto l'auto al villino di Angela, avrei avuto tutto il tempo di prendere la rivoltella e di prepararmi per un bell'omicidio, no?» «No, perché in tal caso non avreste aspettato che venisse da me: le avreste sparato prima che risalisse in macchina» obiettò Charlotte. «Non potevate sapere che dopo sarebbe venuta da me.» Il sorrisetto sardonico si trasformò d'incanto in un largo sorriso compiaciuto. «Accidenti, avete ragione! Liz!» Ben Grainger alzò la voce. «Liz! Hai sentito? Charlotte ha appena dimostrato che non possiamo essere stati noi a uccidere la signora Neville. Però...» Il suo viso s'incupì di nuovo. «Supponiamo che invece sia venuta prima da noi, che ci abbia detto che intendeva venire da voi... Ci sarebbe stato tempo per tutto!» «Avreste corso un terribile rischio. Se l'auto fosse rimasta ferma per un certo tempo davanti al vostro cancello, la signorina Bird o io o chiunque fosse passato per caso l'avrebbe vista. Non potevate essere certi che nessuno l'avesse notata e che di conseguenza i sospetti non si appuntassero subito su di voi.» Grainger fece una risatina roca ma allegra.
«Liz... Liz, hai sentito? Charlotte sta dimostrando che siamo innocenti!» «Sciocco, certo che siamo innocenti!» ribatté sua moglie dalla cucina. «Sto arrivando con la cena. Spero che siate affamati.» Entrò in soggiorno con un gran piatto di riso al curry. «Su, su, finite di bere e venite a tavola. Signore, se sono stanca! Quell'interrogatorio mi ha distrutta...» Sussultò visibilmente. Qualcuno aveva bussato un colpo alla porta. «Oh Dio, no!» Liz si portò le mani alle tempie. «Non sarà ancora la polizia! Non potrei sopportarlo!» Ben Grainger andò ad aprire. Non era la polizia. Era Timothy Royle. Al cancello era fermo un taxi. «Scusatemi se vi piombo addosso così» disse l'investigatore «ma sono venuto a prendere la signorina Cambrey. Dobbiamo andare a parlare con Barr e penso che sia meglio farlo al più presto.» «Ma non ha ancora cenato» protestò Liz Grainger, riprendendosi prontamente da quell'attimo di terrore. «Stavamo mettendoci a tavola in questo momento. Perché non vi fermate anche voi, signor Royle? Ce n'è per tutti.» «Ho un taxi che aspetta qui fuori» spiegò lui. «Credo che sia meglio andare subito.» Charlotte inghiottì il resto del suo sherry, poi si pentì di averlo fatto, perché le parve che fosse servito soltanto ad aumentare il lieve senso di nausea che già le disturbava lo stomaco. Ma sapeva che era soltanto una questione dì nervi. «Andiamo davvero da Barr?» domandò quando furono in taxi. «Ma certo.» «Ho cercato di richiamarvi, dopo che è caduta la linea, ma mi hanno detto che eravate uscito.» «Sì, sono andato subito a cercare un taxi. Volevo correre a prendervi prima che parlaste con qualcun altro, magari proprio con l'assassino.» «Sapete chi è, allora? Lo avete capito dopo la mia telefonata?» «Diciamo che le vostre osservazioni mi hanno aiutato.» «Io non ci arrivo proprio» confessò Charlotte. «A poco a poco sono arrivata a capire molti particolari, un pezzo qui, un pezzo là, ma non riesco a metterli insieme.» «Non importa. Non preoccupatevi. Credo che fra tutti e due ci arriveremo.» Royle le sorrise e fu un sorriso così dolce, così particolare e personale, che lei si scoprì a chiedersi come avesse potuto giudicarlo un tipo insignificante.
«Non fate quel viso spaventato» riprese l'investigatore. «Credo proprio che siamo ormai prossimi alla conclusione di questa storia pazzesca.» Charlotte annuì, fiduciosa. Era un immenso sollievo potere affidarsi a qualcuno, sentirsi alleggerita di ogni responsabilità. Se ne era già accollate fin troppe, in quegli ultimi tempi, pensò. Lo aveva fatto per Dick, ma si era trovata alle prese con cose più grandi di lei. O forse no? Aveva forse avuto, nonostante tutto, maggior successo di quanto non pensasse? Era forse arrivata più vicino alla meta di quanto non credesse? Si accomodò meglio contro lo schienale, improvvisamente libera da ogni preoccupazione. Dove la stava portando quel taxi sobbalzante? Alla stazione di polizia o attraverso il buio profondo, in compagnia di quell'uomo la cui vicinanza aveva lo strano potere di ridarle la calma? Non gliene importava niente. Ma com'era naturale, il taxi la portò alla stazione di polizia. Quando Royle chiese di parlare col sovrintendente Barr, il sergente di guardia rispose che il funzionario forse era già andato via, ma dopo una rapida serie di telefonate scoprì che era ancora in sede. L'ufficio nel quale furono introdotti Charlotte e l'investigatore sembrava pieno della sua torreggiate figura, resa ancora più massiccia dal cappotto e, per contrasto, dal cappello appollaiato sulla sommità del suo testone, troppo piccolo per lui, tanto da far pensare che avesse preso distrattamente quello di qualcun altro. Barr si levò il cappello ma non il cappotto, tornò a sedersi dietro la scrivania, e disse: «Sì?» Era evidente la sua irritazione per quella visita inopportuna. Charlotte e Royle sedettero. «La signorina Cambrey deve dirle qualcosa a proposito della signora Neville» esordì l'investigatore. «Qualcosa che mi è sembrato urgente e molto importante. Avanti, Charlotte, raccontategli tutto.» Con qualche esitazione, perché aveva di nuovo le idee un po' confuse, Charlotte riferì al sovrintendente i sospetti che le erano nati ripensando al gesto della signora Neville, quando aveva accennato a sfilarsi il guanto sinistro, che poi aveva rimesso precipitosamente a posto, e gli raccontò del biglietto trovato nel libro della signorina Wallace. «E le lettere trovate nella cassaforte erano firmate con una B. vero?» concluse. «B come Belle, che potrebbe essere stato il diminutivo di Isobel. col quale forse la chiamava il signor Frensham.» Barr cominciò a sbottonarsi lentamente il cappotto, come se ormai fosse rassegnato a una lunga seduta. «Sì, capisco» mormorò. «Ma secondo voi questo dove ci porterebbe?»
Charlotte guardò Royle, aspettando che fosse lui a continuare. «Bene, se non vi dispiace vorrei cominciare dal principio e dirvi come la penso io» continuò infatti l'investigatore. «Risparmieremo tempo. Siamo tutti d'accordo che Frensham era stato in galera più di una volta e che la sua matrigna lo aveva fatto venire qui con la speranza di indurlo a cambiar vita. E per quanto ne sapeva lei, era andato tutto per il meglio, fino al giorno in cui Frensham non ha fatto installare nel suo studio quella cassaforte. Questo l'ha spaventata perché le ha fatto temere che il figliastro fosse tornato ai suoi vecchi trucchi, servendosi della sua attuale posizione rispettabile come di un'ottima copertura. Così ha assunto me perché lo tenessi d'occhio e cercassi di scoprire che cosa stava combinando. Avrei dovuto presentarmi a lei domenica mattina, quando Frensham sarebbe stato fuori, al campo di golf, e la signorina Sharpies sarebbe andata in chiesa. Ma Frensham è stato ucciso ancora prima che io potessi fare un passo e il mio intervento si è rivelato inutile, tuttavia possiamo essere certi che era coinvolto in quella rapina alla banca per la quale è stato condannato il fratello della signorina Cambrey. È stata proprio la testimonianza di Frensham a farlo condannare, insieme con la molto dubbia identificazione di un'impiegata della banca stessa. Frensham ha inscenato una colluttazione davanti all'ingresso per dar modo ai suoi due compagni di filarsela col bottino ed è stato per puro caso che il malcapitato scelto come capro espiatorio fosse proprio Cambrey. Poi il denaro è stato portato a Brickett's Farm e messo al sicuro nella cassaforte, in attesa che le acque si calmassero e che si potesse impunemente procedere alla sua spartizione fra i complici. Chissà, forse là dentro c'erano anche i frutti di altre rapine. È assai poco probabile che Frensham si sia sempre comportato onestamente, da quando è arrivato qui. Siete d'accordo?» Barr annuì. «Tutto questo lo sappiamo già, o quanto meno siamo inclini ad ammettere che le cose siano andate proprio così.» «Certo. Io sto soltanto ponendo delle premesse» ribatté Royle. «Bene, secondo me, sabato scorso sarebbe accaduto questo: era stato fissato un certo termine per la spartizione del bottino, ma poi Frensham ha deciso di non spartire un bel niente con nessuno e di tenere tutto per sé. Probabilmente era stufo della vita insulsa che gli toccava condurre qui e non sopportava più l'atteggiamento autoritario della matrigna, perciò ha deciso di scomparire, inscenando il suicidio. Se non l'avessero fatto fuori, probabilmente voi avreste ricevuto quella strana lettera di congedo, avreste rintracciato la sua auto sul ciglio di un burrone o qualcosa del genere e avreste
concluso che si era gettato nel vuoto. Per questo, penso, non si è preoccupato di avere come inquilina a Beech Cottage una certa signorina Cambrey: lui non sarebbe stato più qui a vedere gli sviluppi della situazione.» Barr annuì di nuovo. «Avevamo pensato anche a questo.» «Però il signor Frensham ha commesso un certo numero di errori» riprese Royle. «Tanto per cominciare, quella lettera. Una lettera tutt'altro che convincente, vero? Poco intelligente. Redatta con troppa cura e troppo poca disperazione. Poi il progetto di portar via con sé anche l'amante. La signora Neville doveva andare a Brickett's Farm con la sua Renault, caricare il denaro e andarsene. Lui l'avrebbe seguita più tardi con la propria auto, che avrebbe poi abbandonata, come abbiamo detto, e finalmente i due avrebbero preso il volo insieme verso la meta prefissata, qualunque fosse. Prima dell'arrivo della signora Neville, Frensham aveva provveduto a staccare l'interruttore della poltrona a rotelle perché la matrigna non potesse scendere e magari sorprenderli sul più bello mentre impacchettavano il denaro. Così, poiché era il primo giorno libero della signorina Sharpies, non avrebbero corso alcun rischio dì essere disturbati. Avevano messo il denaro a bordo della Renault bianca e stavano caricando le valigie, lasciando aperta la porta d' ingresso per andare e venire liberamente, quando qualcuno è entrato e ha visto quello che i due stavano facendo. Quello che lui si aspettava che avrebbero fatto, probabilmente. Se lo aspettava e si era preparato. Era armato, perché era pronto a uccidere.» «Marcus Neville?» suggerì il sovrintendente. «Oh no! Ian Havershaw.» «Come siete arrivato a una conclusione simile?» «Andiamo per gradi. Ammettiamo per un momento che io abbia ragione. Qualcosa ha insospettito Havershaw, forse qualcosa che gli ha detto la stessa signora Neville o qualcosa che lei ha fatto. Può darsi che, abitando vicino a lei, l'abbia vista caricare in macchina le valigie, pur non avendogli mai accennato al progetto di partire. Havershaw decide allora di indagare, sale a Brickett's Farm, trova la porta aperta, entra e si rende conto che quei due hanno fatto fessi lui e Neville.» «Lui e Neville?» fece eco Barr. «C'erano dentro insieme?» «Naturale. Sono i due rapinatori fuggiti dalla banca col malloppo. E credo che nessuno dei due fosse mai stato minimamente innamorato di Isobel. Era tutta una finta. Bene, Havershaw ha sparato a Frensham e avrebbe forse sparato anche alla signora Neville, se in quel momento la signorina Cambrey non avesse suonato il campanello.»
Charlotte inspirò rumorosamente. «Sicché era accaduto proprio allora!» «Eh sì, ci siete stata praticamente in mezzo. L'assassino era ancora in salotto insieme con il cadavere di Frensham, quando la signora Neville è venuta ad aprirvi. E quando le avete dato il denaro dell'affitto e avete chiesto la ricevuta, l'ha scritta con la destra per non essere identificata con la donna che aveva scritto quelle famose lettere. Frensham aveva chiuso la cassaforte proprio perché lei non potesse prenderle. Suppongo che intendesse avere un'arma contro di lei, perché, dalle minacce contenute nelle lettere, appare evidente che Isobel era al corrente delle sue attività criminose.» «Ma avrebbe dovuto immaginare che, scomparendo contemporaneamente a Frensham, avrebbe destato i nostri sospetti.» «Non intendeva affatto scomparire» spiegò Royle. «Se Frensham non fosse morto, sarebbe partita con lui, lo avrebbe lasciato da qualche parte e dopo un paio di giorni o tre sarebbe ritornata. Dopo un po' avrebbe accampato qualche valida scusa per andarsene da Mattingley e, raggiunto l'amante, avrebbe fatto perdere insieme con lui le proprie tracce. Saremmo arrivati molto prima a questa conclusione, se non ci fossimo lasciati fuorviare dalla convinzione che ci fosse di mezzo un' altra donna.» «Mi dispiace, è stata colpa mia» mormorò Charlotte, contrita. «Ma ero certa che ci fosse un'altra donna e avevo pensato alla signorina Bird, alla signorina Wallace e persino, seppur vagamente, a Liz Grainger!» «Voi ci avete riferito quello che avevate visto» la consolò Barr. «Non è stata colpa vostra se anche noi abbiamo interpretato erroneamente i fatti.» Il sovrintendente si rivolse di nuovo a Royle. «E dopo? Abbiamo lasciato la signora Neville a Brickett's Farm insieme con l'assassino. Che cosa ha fatto dopo?» «Se n'è andata a precipizio. Dopo aver chiuso la porta alle spalle della signorina Cambrey, l'ha riaperta immediatamente, ha raggiunto di corsa la sua auto e se l'è filata a tutta birra prima che l'assassino si rendesse conto delle sue intenzioni. Avrà raggiunto il posto dove avrebbe dovuto trovarsi con Frensham, suppongo. Non ho idea di dove possa essere, ma se mai riuscirete a scoprirlo, là troverete il denaro. È rimasta rintanata là per avere il tempo di riflettere e ha cominciato a rendersi conto di aver commesso una grossa sciocchezza. Non aveva affatto l'intenzione di fare la fuggiasca per tutta la vita. Con Frensham sarebbe stata tutt'altra cosa, ma così sola, con Neville, Havershaw e la polizia che le davano la caccia, non avrebbe avuto un attimo di tranquillità. Così ha deciso di mettersi in contatto con il marito...»
«Con il marito?» l'interruppe Barr. «Perché non con Havershaw?» «Per il semplice motivo che nei villini di Brickett's Farm non ci sono telefoni. Perciò ha telefonato al marito, a Londra, e gli ha proposto un baratto. Se lui avesse tatto sparire ogni traccia che avrebbe potuto portare a identificarla con l'autrice di quelle lettere, lei avrebbe rivelato a lui e ad Havershaw dove si trovava il denaro e lo avrebbe diviso con loro. Per questo Neville è venuto a Mattingley e ha buttato all'aria tutto il villino alla ricerca di qualsiasi pezzo di carta sul quale Isobel avesse scritto qualcosa. Con la sinistra, naturalmente. La signorina Cambrey e io lo abbiamo... colto sul fatto! Quando ci ha fatti entrare nel villino, era evidente che stava frugando in tutti i cassetti alla ricerca di qualcosa. Al momento non potevamo immaginare che cosa cercasse, naturalmente, ma questo forse lo scoprirete voi. E intanto anche la signora Neville si stava liberando di tutto quello che aveva scritto, compresa l'agenda che teneva nella borsa. Ricordate che ne avete trovata una nuova di zecca, dopo che le avevano sparato sulla porta della signorina Cambrey?» «Fin qui, fila tutto» ammise Barr. «Ma come mai era andata a casa della signorina? E perché siete così certo che sia stato Havershaw a sparare e non Neville?» «Mi sembra evidente che chi ha sparato si trovava nell'auto della signora Neville. Qualcun altro, la signorina Bird a esempio, o i Grainger, potrebbe avere visto la Renault bianca nella strada, ma non avrebbe avuto il tempo di prendere la rivoltella e arrivare a sparare a Isobel prima che la signorina Cambrey la facesse entrare in casa. No, l'assassino era in macchina con lei. La signora probabilmente si aspettava che la seguisse, ma lui invece le ha sparato alle spalle, poi è tornato di corsa al proprio villino. Difatti io ho sentito correre qualcuno, ma poi è passato l'autobus di Mattingley che ha coperto il rumore. E ho pensato che fosse molto più importante correre ad aiutare la signorina Cambrey piuttosto che dare la caccia al fuggiasco. Però non credo che fosse Neville. Aveva una camera al White Horse, e, perché potesse trovarsi là in macchina con lei, dovrebbe essere stata Isobel a chiamarlo. Senza contare che, dopo averle sparato, non avrebbe avuto nessun posto dove rifugiarsi se non a casa di Havershaw. Perché mai, per uccidere sua moglie, avrebbe scelto un posto dal quale sarebbe stato poi difficile allontanarsi senza essere visto?» Supponiamo invece che la signora Neville sia tornata al proprio villino, poi sia passata da Havershaw e lui l'abbia convinta ad andare dalla signorina Cambrey... Sarebbe tutto molto più semplice e logico, non vi pare?
«Ma perché è venuta da me?» obiettò Charlotte. «È questo che non capisco!» «Può darsi che Havershaw l'abbia convinta a venire da voi per scoprire se qualcuno sospettava che fosse stata lei a scrivere quelle lettere. Inoltre voi avevate la ricevuta scritta da lei e voi sola sapevate dove si trovasse. È chiaro che Havershaw non poteva spararle in casa propria e ritrovarsi col suo cadavere sulle braccia. Lina misteriosa rivoltellata nel buio, mentre era sulla soglia di casa vostra, sarebbe stata la maniera più facile e più sicura per sbarazzarsi di lei. I sospetti avrebbero potuto indirizzarsi su una quantità di persone. Non c'era nessun indizio a suo carico. Naturalmente era già riuscito a farsi dire dov'era il denaro, altrimenti non l'avrebbe ammazzata. E in questo momento non vorrei affatto trovarmi nei panni di Neville, perché Havershaw naturalmente lo vorrà tutto per sé, quel denaro. Non verrò a raccontarvi la favoletta dell'onestà fra ladri!» «Ma all'ospedale, oggi pomeriggio, c'è andato Neville» disse Charlotte. «Ian mi ha riaccompagnata a casa in macchina dopo colazione e mi ha raccontato che si erano messi d'accordo perché fosse lui a cercare di vederla per primo.» «Ah sì?» fece Royle. «Voleva essere certo che lo notassero, con quel suo chiassoso vestito di velluto rosso, mentre lui ci sarebbe poi andato alla chetichella, più tardi.» «Mi ha portata al suo villino e mi ha dato da leggere il manoscritto del suo romanzo» riprese Charlotte. «A dire il vero, mi è sembrato che ci fosse qualcosa che non quadrava perché i fogli erano ingialliti, come se fossero stati scritti molto tempo prima. Ora mi domando se li avesse scritti davvero lui.» «Forse no» convenne Royle. «È probabile che se li sia fatti dare da qualcuno. Poiché fingeva di fare lo scrittore, mentre aspettava il momento in cui si sarebbe diviso il denaro, e avrà pensato che sarebbe stato utile avere sottomano il materiale necessario per sostenere la finzione. Se volete scoprire dove si trova il denaro» proseguì l'investigatore rivolgendosi a Barr «basterà che teniate d'occhio Havershaw.» Il sovrintendente fece uno dei suoi sorrisini smorti. Pareva che ora quel colloquio lo divertisse. «Si dà il caso che sappiamo dov'è» confessò. «Si trova alla stazione di polizia di Brighton. Ci hanno telefonato mentre stavo interrogando i Grainger. Frensham intendeva nascondersi là, per il momento, in un appartamento che aveva affittato alcune settimane fa. Poi, visto che invece di lui
era arrivata una misteriosa signora che andava e veniva nelle ore più strane, il custode ha deciso di dare un'occhiata per controllare che tutto fosse a posto, è entrato nell'appartamento e ha scoperto una valigia piena di banconote. La descrizione della donna corrispondeva a quella che noi avevamo trasmesso alla polizia di Brighton e di altre città, così oggi pomeriggio si sono messi in contatto con noi. L'appartamento è sorvegliato giorno e notte, in attesa di vedere chi tenterà di recuperare il denaro.» Royle lo fissò per un momento, sbalordito, poi scoppiò a ridere. «E io che vengo a raccontarvi le mie scoperte!» esclamò poi. «Sapevate già tutto! Il professionista è sempre più avanti del dilettante!» «Non sempre, non sempre» ammise generosamente Barr. «Voi avete colmato un bel po' di lacune, avete spiegato molti particolari che non capivamo, e io vi sono molto grato per il vostro aiuto. Seguiremo il vostro suggerimento e terremo attentamente d' occhio il signor Neville, perché non gli capiti qualche disgrazia. Ho l'impressione che sarà un testimone utilissimo. Crollerà sotto l'interrogatorio. E se, come dite voi, non c'è entrato per niente nei due omicidi, capirà da solo che avrà tutto da guadagnare a vuotare il sacco. Li conosco bene i tipi come lui. Saprò come trattarlo.» Andò proprio così. I due omicidi avevano spaventato a morte Marcus Neville e, come disse in seguito Barr a Charlotte, non appena cominciò a parlare, non si riusciva più a fermarlo. Ian Havershaw, al contrario, tenne ostinatamente la bocca chiusa. L'aprì soltanto per chiedere un avvocato, il quale gli consigliò evidentemente di continuare a tacere, perché Ian rimase muto come una tomba. Con profonda delusione del sovrintendente Barr perché, all'infuori di ciò che Neville era fin troppo ansioso di spiattellare, non c'erano prove concrete a suo carico. «Ma voi non dovete più preoccuparvi di niente» disse Royle a Charlotte. «Vostro fratello sarà scagionato. La legge si muove molto lentamente e ci vorrà un po' di tempo, ma è assai probabile che gli concedano un risarcimento. In ogni caso, però, credo che non sarebbe male se vi mettessi in contatto con un avvocato in gamba, non appena torneremo a Londra.» Lui e Charlotte stavano andando a Brickett's Farm. La ragazza desiderava informare la signora Frensham che se ne sarebbe andata da Beech Cottage e voleva lasciarle le chiavi. Si era già congedata dalla signorina Bird e dai Grainger, aveva già impacchettato la sua roba e prenotato un taxi. Era una mattinata gelida, con una nebbiolina bassa oltre la quale si intravedeva appena il cielo azzurro.
«Vi rivedrò a Londra?» domandò Charlotte. «Se non avete niente in contrario» rispose Royle. «No davvero, all'infuori di quelle cinque bambine.» Lui le passò un braccio attorno alle spalle. «Oh via, non ci avete mai creduto, vero?» «Certo che no!» «E perché? In che cosa ho sbagliato?» «Be', nel numero, direi. "Cinque"! Se aveste detto uno o due, mettiamo pure tre, ci avrei creduto. Ma cinque erano troppi davvero! E ne parlavate in termini così vaghi, non ricordavate neppure i loro nomi. Senza contare che non c'è assolutamente niente di paterno in voi. Forse non avete l'aria abbastanza preoccupata! Ma la moglie, almeno, l'avete?» «No, neppure quella.» «Ma perché, allora, avete montato tutta quella scena? A che scopo?» «È stato un impulso quando vi ho vista in treno. Sapevo chi eravate, che cosa avevate passato e sembravate così sperduta e chiusa in voi stessa! Allora ho pensato che se avessi tentato un approccio qualsiasi, non sarei approdato a niente, mentre desideravo parlarvi... e non soltanto per motivi professionali. Così mi è sembrata una buona idea quella di presentarmi come un uomo tutto preso dalle proprie responsabilità familiari, una sorta di figura paterna che avrebbe forse potuto invogliarvi alle confidenze.» Charlotte rise. «Io credo piuttosto che vi divertiate a recitare una parte!» «Sì, lo confesso. Mi piace assumere personalità diverse per incarichi diversi. Forse perché faccio una vita tanto anonima, sempre nel tentativo di confondermi con l'ambiente. Allora mi invento un'esistenza più fantasiosa per aiutarmi a tirare avanti. All'infuori di questo, non sono molto bugiardo.» «Meno male!» «E non ho mai nemmeno desiderato di avere cinque figli. Sono convinto che il mondo sia già sovraffollato.» «Sono pienamente d'accordo con voi.» Erano arrivati a Brickett's Farm. Charlotte suonò il campanello e poco dopo la porta fu aperta dalla signorina Sharpies. «Oh, guarda chi c'è! Stavamo proprio parlando di voi, cara. La signora Frensham diceva che certo ve ne eravate andata senza dire niente, lasciando tutto per aria, ora che avevate ottenuto quello che cercavate, ma io dicevo che no, non eravate il tipo, che avreste certo lasciato tutto in perfetto ordine. E lei diceva: "Poveretta me, come posso fare adesso a tener dietro a
tutto, alla mia età, adesso che non c'è più il signor Edgar". Lui era tanto bravo in queste cose, indipendentemente da quello che poteva avere fatto! E allora io le ho detto: "Perché non vendete tutto, cara, e non vi ritirate in una casa di riposo? Coi vostri soldi non avete certo bisogno di preoccuparvi degli affari e potreste anche permettervi di andare in qualche bel posto...".» «Emily!» strillò una vecchia voce dal salotto. «Con chi diavolo stai chiacchierando, lì fuori?» La signorina Sharpies pregò i due visitatori di entrare e li precedette in salotto. La signora Frensham, avvolta come sempre nella sua vestaglia color porpora e con gli orecchini di brillanti, era seduta in poltrona, le grucce d'alluminio posate contro un bracciolo. Sopra il bel tappeto color crema era stata stesa una passatoia per coprire gli aloni lasciati dalle macchie di sangue. «Ah, siete voi!» esclamò la vecchia fissando i nuovi arrivati con uno sguardo scintillante. «Che cosa volete ancora?» «Sono venuta a salutarvi e a riportarvi le chiavi» spiegò Charlotte. «Oh, ve ne andate? Avete diritto di tenere il villino per un mese, lo sapete, no? È scritto nel contratto. E io non ho l'abitudine di annullare i contratti. Sicché in ogni caso mi dovete ancora tre settimane di pigione.» «Vi manderò un assegno.» «Benissimo, ma cercate di non scordarvelo.» Lo sguardo fiammeggiante della signora Frensham si spostò su Royle. «E voi, giovanotto, caso mai pensaste che non voglia tenere fede al "nostro" contratto, potete dire al vostro capo che pagherò quanto abbiamo pattuito fino a oggi. Avete più o meno assolto l'incarico per il quale vi avevo assunto, anche se non si può dire che siate stato molto veloce. Ma non ho l'abitudine di stare a discutere sulle piccolezze, e quel Barr mi ha detto che avete contribuito efficacemente alla soluzione di questo pasticcio infernale. Però, ci pensate? Che cosa posso fare adesso senza l'aiuto di Edgar? Lo sapete che cosa vorrebbe che facessi, quella stupida di Emily? Che mi ritirassi in una casa di riposo! Io! Se c'è una cosa di cui sono sicura, è che intendo morire nel mio letto. Caso mai, assumerò qualcuno che si occupi dei miei affari. Mi deruberà, naturalmente. Tutti pensano di poter derubare una donna della mia età. Ma poco male. Non ho più nessuno cui lasciare la mia roba, ormai, e non mi sorride molto l'idea di lasciare tutto a qualche maledetto ente assistenziale, per quanto non veda che cosa potrei fare d'altro, alla fine. Provvederò a Emily, naturalmente, e lascerò qualcosa anche a Ralph Maynard perché è
un gran brav'uomo, nonostante quello che ha potuto escogitate Edgar per spaventarlo.» E una bella paura deve avergliela fatta prendere davvero, perché un medico non può rischiare uno scandalo, anche se in fin dei conti non ha fatto niente di male. Ma all'infuori dei lasciti per loro due, mi piacerebbe proprio andarmene senza fare testamento. Solo che non sarei più qui per assistere alla buriana che si scatenerebbe, perciò mi perderei ugualmente tutto il divertimento. Peccato davvero che non si possa fare una sorta di prova generale della propria morte per vedere che cosa succederebbe, non vi pare? Mi divertirei un mondo! E ora penserete che sono una vecchia terribile, vero? E all'improvviso, in quella sua caratteristica maniera, la signora Frensham appoggiò la testa allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi, come se intendesse tagliar fuori quei due dalla propria conoscenza e forse già fuori dalla propria memoria. Nella sua lunghissima esistenza, gli ultimi due o tre giorni erano stati soltanto un incidente Forse ne aveva viste di peggio. E in ogni caso l'incidente era chiuso. In punta di piedi, la signorina Sharpies accompagnò Charlotte e Royle alla porta. FINE