Robert F. Taft
Oltre l'oriente e l'occidente Per una tradizione liturgica viva
O 1997 Poadftdo Istituto Orientale, Roma O 1999 Upa Srl. Roma ptma ~ Jl'CMI'kl 1999
Upa Edizioni via Paolina, 25
00184Roma (>064747770
fax 06 -485876 e-mail: Lipa.IJpaOagor.l.it ~
Robert F. Taft 1Jiolo: Oltre l'oriente e l'occidente
(d!DkJ origin;de: Bepld .&1St atJd We.st. Problems ht IJturglaiJ Utuletstandltzg)
Sotlotltolo: Per una tradizione liturgica vtva ~SaraStalfuzza
ColltJna: Pubblicazioni del Centro Aletti ~1301210mm
~356 In~
paJticolare di un mosaico di Marko l. Rupnik
Slampato nel gennaio 1999 da Abllgraf, Yia C>aoboni, l l-Roma Sàezioni di copertina: Studio l..odoli Sud, Aprilia
Propried kueratia riservata Prlnled in IlaJv cudlce ISBN ~17-38-6 -
Alle sorelle del Centro Akttt Mfcbelina Tenau Maria Campale/li Satrl Slaffuz:r.a Marina ~mnfolj Monue/Q V"aezzoli
con stima e affeno
Indice
Lista delle abbreviazioni ............................................ 9 Introduzione ............................................................. 11 Capitolo 1: Verso una teologia della festa cristia1la .................................................. 15 Capitolo 2: Storicismo riVisitato ............................... 31 Capitolo 3: La domenica nella tradizione bizanJina. ..................................... .S1 Capitolo 4: Quaresima: una meditazione..............73 Capitolo 5: La frequenza dell'eucarestia nella storia .................................................................89 Capitolo 6: Ex oriente lux? Alcune riflessioni sulla concelebrazione eucaristica ......................... 117 Capitolo 7: Ricevere la comunione: un simbolo dimenticato?........................................ l41 Capitolo 8: lo spin'to della liturgia cristiana orientale................................................... 153 Capitolo 9: "Ringraziamento per la luce" Vmo una teologia dei vespri ................................. l73 Capitolo lO: L'analisi strnttura/e delle unità liturgiche. Un saggio di metodologia.201 Capitolo 11: Come crescono le liturgie. L'evoluzione della divi1za liturgia bizantina .......219
C..apitolo 12: Liturgia come teologia .......................253 Capitolo 13: Cbe cosa fa la liturgia? VetSo rma soteriologia della celebrazione liturgica: a/(,11ru? tesi................................................................ 259 Capitolo 14: L'ufficio divino: coro monastico, libro di pregbiere o liturgia del popolo di Dio?. .... 283 Capitolo 15: Risposta al Premio Berakab: Arl.atntlesi ...................... ,......................................... 307 Glossario .................................................................. 337 Indice analitico ........................................................ 341
Lista delle abbreviazioni
AAS AC ALW
BEI.S CCL CSEL DOP GCS
JTS
.. =
LF
..
LMD
=
LQF Mansi
oc OCA OCP PG PIO PL PO
se ru
= = = = = =
.. ..
Acta Apostolicae Sedis Antike und Christentum Archivfur Liturgiewissenschaft Bibliotheca Ephemerides Liturgicae, Subsidìa Corpus Christianorum, Series latina Corpus Scriptorum Eccles~ticorum Latinorum Dumbarton Oaks Papers Die griechischen christlichen Schriftsteller Tbe ]oumal of Tbeologtcal Studies Linlrgiegeschichtliche Fon;chungen La Maison-Dteu Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen ). D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio... Oriet1S Christianus Orientalia Christiana Analecta Orientalia Cbristiana Periodica Migne, Patrologia graeca Pontifido Istin1to Orientale, Roma Migne, Patrologia latina Patrologia otientalis Sources chrétiennes Texte und Untersuchungen
Introduzione
Non dall'oriente, non dall'occidente, non dal deserlo, tzon dalle montagne ma da Dio viene il giudizio: è lui che abbatte l'uno e innalza l'altro (Sal 75, 7-8)
Questa antologia non è semplicemente una ristampa di articoli apparsi precedentemente altrove. Molto materiale è stato riveduto e corretto, in alcuni casi in maniera sostanziale. Per di più è stato fatto il tentativo di unificarlo, evitando le ripetizioni e aggiungendo un indice. 11 titolo rappresenta forse il "credere dò che si desidera" dell'autore. Da orientalista specializzato nella storia della liturgia cristiana orientale, la maggior parte delle mie pubblicazioni ha un carattere tecnico di poco o nessun interesse per i non-specialisti. Niente di questo materiale è qui presentato. Ma oggi, quando si parla tanto di "ciò che è rilevante" in materia liturgica, è mia ferma convinzione che niente è così importante quanto Ja conoscenza e niente così irrilevante quanto l'ignoranza Ca;ì, penso che in questioni di rilevanza pastorale, ci sia ancora qualcosa da imparare dal metodo storico comparato tra un'ampia gamma di tradizioni, ed è ciò che ho tentato di dimostrare in molti miei saìti meno tecnici. Da qui ho tratto il materiale per questo libro. Essi si occupano di liturgia, sia orientale che occidenlale, da una prospettiva storica, teologica e pastorale. Affronro que;tioni
Il
Oltn•li ll"il'fllt' 1' l'otxitll'llll' l R F. Tc!fl
di liturgia orientale non solo perché è la mia specializzazione ma perché lo studio della liturgia, come la linguistica, è una disciplina comparativa: non si può essere un liturgista studiando una sola tradizione, allo stesso modo di come non si può sviluppare una teotia linguistica conoscendo una sola lingua. Dal momento che nel metodo sono fondamentalmente uno storico, di nonna il mio punto di partenza è la storia della tradizione. Questo passo precede la teologia, che è la riflessione sulla tradizione nei suoi nessi con l'esperienza contemporanea. La pratica pastorale dovrebbe essere in continuità con questa tradizione, ed entrambe dovrebbero rispecchiare e plasmare la nostra riflessione. Sottolineo un ultimo aspetto: la pratica non è detemtinata dal passato, ma dalla tradizione, che comprende non solo il passato ed il presente, ma la riflessione teologica su entrambi. È questo il motivo per cui la Chiesa Cattolica non è mai stata guidata da una ideologia retrospettiva. La tradizione non è il passato; è l'autocoscienza della Chiesa ora di ciò che ha ricevuto non come un tesoro inerte, ma come una dinamica vita intetiore. La teologia dev'essere una riflessione sull'interezza di questa realtà, sull'interezza della tradizione, non solo sulla sua espressione odierna. Una delle più grandi illusioni contemporanee è quella di poter costruire una teologia liturgica senza una profonda conoscenza della tradizione liturgica. Così, nonostante il disagio piuttosto imbarazzante (per me) che molti sembrano avere per la storia, non ci può essere teologia senza di essa. Forse tale disagio nasce da un malinteso sulla natura della storia e sul suo impiego nella teologia. Si è portati a pensare che la storia sia il passato, e si è giustamente più coinvolti nel presente. Ma la storia non è il passato. È piuttosto la comprensione contemporanea della vita nei termini delle sue origini e della sua evoluzione visti attraverso il prisma dei nostri tiferàmenti attuali. Utilizziamo in teologia i metodi della storia perl
12
ché siamo interessati alla tradizione, e la tradizione non è il passato, ma il presente compreso geneticamente, in continuità con ciò che lo ha prodotto. Snidiamo quindi la storia della tradizione liturgica per lo~ so motivo per cui uno psichiatra cerca di scoprire i traumi infantili dei suoi pazienti: non per capire la loro infanzia, il loro passato, ma la loro personalità adulta attuale segnata da tali esperienze infantili e comprensibile solo in relazione ad esse. Credo sia importante insistere su questo. La liturgia cristiana è un dato, un oggetto, una realtà già esistente, come la letteratura inglese. Si scopre ciò che è la letteratura inglese solo leggendo Chaucer, Shakespeare, Eliot, Shaw ed i contemporanei. Lo stesso è per la liturgia. Se vogliamo sapere cosa significhino Natale, Crismazione, eucarestia e Pasqua, non dobbiamo metterei a studiare l'antropologia o la teoria del gioco, o a domandarci che cosa pensiamo che significhino. Dobbiamo tuffarci nell'enorme mare di testimonianze liturgiche e patristiche e sguazzarvi pezzo per pezzo, età per età, sempre attenti a cogliere i cambiamenti nella corrente, dal momento che ogni generazione cerca di arrivare ad una propria comprensione di ciò che è. È questa, nel bene e nel male, la fùosofJa sottesa alla maggior parte dei saggi riportati in questo libro.
13
l. Verso una teologia
della festa cristiana*
Nel suo eccellente studio sui racconti evangelici riguardanti gli inizi della vita terrena di Gesù, 1 così come nel suo più breve compendio sullo stesso argomento/ Raymond Brown dimostra che lo scopo delle narrazioni dell'infanzìa non è bicr grafico; esse non cercano di fornire una storia delle origini terrene di Gesù. Presentano piuttosto un messaggio, quello dell'intero vangelo in miniatura: l'annuncio della buona notizia, la sua accoglienza da parte dei discepoli, ma il suo rifiuto dalla maggioranza di Israele, la sua diffusione al mondo pagano. Non è la storia di Gesù bambino a Betlemme a detenninare i racconti, ma il significato di Cristo per l'umanità nell'era della Chiesa post-pentecostale. Ora, penso si possa applicare un'analoga ermeneutica alle feste del calendario cristiano come modalità per scoprire il suo senso teologico, e quindi il suo scopo liturgico o pastorale, risolvendo allo stesso tempo le numerose antinomie che • Originariamente pubblicato come sezione ftnale di "1be litwgical Year: Studies, Prospects, Reflections", W!m'biJ> 55 0981) 2-23. 1 Tbe Birtb of tbe Messiab. A Commemary on tbe bifancy NarmNves In Mattbew and Luke (New York: Doubleday 1977). 2 Atl Aduli Cbrl.st al Cbrl.stmas. Essays on tbe 7brw Bibllclll Cbrlstmas Storles (Collegeville: Liturgical Press 1977).
15
<>ltlt•l'orl,•/llt• ,, l rN.:cidl'llle /R. F. Tujl
emergono in qualsiasi discussione sull'anno liturgico: tra escatologia e stolia, tra ciclo domenicale e ciclo annuale, tra kair6s e cbronos. Non voglio insinuare che queste tensioni non siano vere. Penso piuttosto che nascano, almeno in germe, non nella Gerusalemme del IV secolo, come generalmente si pensa, ma al tempo del Nuovo Testamento. E ritengo che proprio il Nuovo Testamento ci fornisca gli elementi per una teologia equilibrata che può condurci alla loro soluzione. Questo è ciò che ci guida nella nostra riflessione. La domanda fondamentale ad ogni livello-storico, teologico, pastorale-è il problema del signijìcato: cosa facciamo esattamente quando celebriamo una festa cristiana? Siccome il problema di ogni festa fondata non sul mito, ma sulla storia sacra, è il problema della relazione tra tempo ed evento, cioè la relazione tra un evento passato irripetibile e la celebrazione attuale, è stato versato molto inchiostro per scoprire qualche particolare filosofia sémitica del tempo alla base dell'intera questione. Ma questo non è stato molto fruttuoso. Recenti studi di semantica greca ed ebraica e del materiale dell'Antico Testamento relativo alla questione hanno concluso che non esiste una ragione evidente per attribuire un senso particolare del tempo al pensiero ebraico e che niente nelle affermazioni neotestamentarie sul tempo e sull'eternità fornisce una base adeguata per un diverso concetto cristiano del tempo.-1 Ciò che è vero, comunque, è [l) che la Bibbia presenta una teteologia storica, un forte senso della sequenza degli eventi storici come movimento fmalizzato verso una mèta, [2) che usa questa sequenza come stmmento per presentare la st01ia di un incontro con Dio,' [3] che presenta le successive celebrazioni me3 J. Ban, Btblfcal Words for 1Yme (Studies in Bihlical Tht:<>IOb'Y· London: SCM J>ress 1962). 4 Jbtd.144.
l. Ver~o
ltlltl
lefJkJf.lla tkUa /t'51a crl."llana
moriali cultuali di tale incontro come mezzi per SUfX.>rJre la separazione nel tempo e nel\o spazio dal reale evento di Séllvezza. ~ La salvezza manifestata nel passato continua a vivere nel presente come una forza attiva nelle nostre vite se noi l'incontriamo di nuovo e siamo disposti a recepirla nella fede, e non possiamo fare questo senza ricorc\arla. Nell'Antico Testamento, il memoriale culnaale è uno dei modi in cui Lc;raele ricordava, renclendoli presenti, gli eventi salvifici passati come mezzi per incontrare in ogni generazione l'opera salvifica di Dio. Quell'incontro presente è il punto essenziale. Nel memoriale noi non compiamo un viaggio mitico nel passato, né trasciniamo il passato nel presente ripetendo l'evento primordiale in un dramma mitico. 6 Gli eventi di cui stiamo parlando non sono miti, ma storia. Come tali, essi sono ephapax, una volta per nane. C'è stato un solo esodo dall'Egitto ed una sola risurrezione di Cristo, e noi non possiamo né tipeterli, né tornare ad essi. Ma ciò non vuoi dire che questi siano morti, statici, fmiti. Essi hanno creato e manifestato-e ne rimangono i portatori-una nuova e permanente qualità dell'esistenza chiamata salvezza, che inizia una dialettica continua di chiamata e risposta tra Dio e il suo popolo. Gli eventi che hanno iniziato e per la prima volta manifestato la premura divina verso l'umanità possono essere passati, ma la realtà è sempre presente, poiché le promesse sono state fatte -a te e alla tua discendenza, per sempre• (Gen 13,15). La liturgia presenta questa sfida ad ogni nuova generazione, che può rispondere alla chiamata nella fede e nell'amore. Così, nel fare il memoriale dell'evento passato, non torniamo ad esso, né lo ricreiamo nel presente. L'evento passato è U segno efficace dell'eterna opera salvifica di Dio e, in quanto passato, è contingente. Tuttavia la realtà che quest'opera salviflC"J. ; .B. s. Childs, Memory and Tradttioll iiJ Israel (Stutlies in Bihlic:al Theolo~'Y 37, NapeJVille, Ill.: A. R. Allenson, s.cl.).
6
!bid. 81ss.
introduce c.• si~nitka non è né passato né contingente, ma sempn.• pn.·sc.·nte in Dio c, attraverso la fede, a noi, in ogni momento della nostm vita. E se l'evento passato è sia causa pernumente che segno storico contingente della salvezza, il memoriale cult\1ale è il segno presente efficace della stessa eterna realtà. Il momento rituale, quindi, è una sintesi eli passato, presente e fut\1ro, poiché è sempre vero nel "tempo di Dio". Ciò che il Nuovo Testamento aggiunge è il messaggio sorprendente che il "tempo di Dio" è stato compiuto in Cristo. Così il tempo nel Nuovo Testamento non è qualche teoria palticolare del tempo, ma la pienezza del tempo. Ciò che lo distingue è la sua completezza, il suo pteroma; non è stata inaugurata una nuova fùosofia del tempo, ma una nuova qualità della vita. L'escbaton non è tanto una nuova era, quanto una nuova esistenza. La "nuova era" è tuttavia una delle sue metafore, ed è importante non confondere il segno con ciò che è significato, e non essere distratti sul da farsi da elevate disquisizioni sulla natura del tempo. Siccome il nostro pleroma è in Dio, ciò a cui noi siamo messi di fronte non è il passato reso presente, o persino il futuro presente, ma la fine presente, non nel senso del termine, ma della completezza: Dio stesso presente a noi. Tale presenza è compiuta in Gesù, e questo è ciò che noi vogliamo dire con la natura "escatologica" della Nuova Era. Patrick Regan lo ha detto meglio di me: La morte e la risurrezione di Gesù sono escatologiche, dal momento che portano a termine la storia di fede e la storia della divina presenza facendole giungere a compimento. Nella mo1te di Gesù la fede trova piena espressione; nella sua risurrezione la presenza divina è offerta pienamente ... Ma es.-.e giungono a tennine come storia solo perché hanno raggiunto la condizione di pienezza (p/éroma) verso la quale le loro rispettive stotie erano ordinate. La mèta ven;o la quale tendeva tutta la fede e dalla quale essa ha derivato il&~o potere salvifko è la morte di Crb1o. E la mèta verso la quale hanno teso tutti i doni di Dio è il dono eli sé a Cristo nello Spirito. Quindi l'intera storia della fede dell'uomo e del dono di sé di Dio so-
18
no destinati a trovare la loro perfe-t.ionc t~tologx;;J nella gllJOf-..azione dd Crocifis.'iO. Di conseguenza, né la ft..ù:, né la prt..~7.;. •..bvina cessano di csi'ilerc. Restano piuttCY.-ilo Clt:rnamer~ attuali propno perché hanno raggiunto la forma defmitiva e finale in err.u, pit:nt'J di Spirito. Quindi l'e:.chaton in realtà non~ una cosa (eschatott) ma una persona (eschatos). È lo ~tes.'iO Signore Gesù--.J'ultiroo ~. 1·uorm spirituale-l'unico in cui Dio e l'uomo si siano piena~ e dt:finitivamente incontrati nello Spirito. La morte e la risurrezione di Gesù portano a compimento non solo la storia ma anche la creazione ... In lui l'uomo e il mondo, per la prima volta, divengono ciò che sono stati designati ad essere. Gli "ultimi giorni" escatologici si uniscono quindi ai "primi giorni" protostorici. Il regno è il giardino. Cristo è Adamo. L'eschaton è lo Shabbat; il giorno in cui Dio riposa dal suo lavoro e si rall~ della sua perfezione.'
In altre parole, il Nuovo Testamento fa due cose. In primo lucr go, come dice Cullmann, divide il tempo in un modo nuovo! Non aspettiamo più la salvezza. È qui in Cristo, sebbene la manifestazione della sua parusia debba ancora venire. In secondo luogo, il Nuovo Testamento ricapitola e "personalizza" tutta 1a storia della salvezza in Cristo. Nel Nuovo Testamento niente è più chiaro del fatto che tutto nella storia sacra~ento, oggetto, luogo sacro, teofania, culto--è stato assunto completamente nella persona di Cristo incarnato. Egli è il Verbo eterno di Dio ( Gv 1,1.14); la sua nuova creazione (2Cor5,17; Ga/6,15; Rm8,19ss; Ap21-22)ed il nuovo Adamo (1Cor15,45; Rm 5,14); la nuova Pasqua e il suo agnello(1Cor5,7; Gv1,29.36; 19,36; 1Ptl,19;Ap5sspassim);la nuova alleanza (Mt26,28; Mc 14,24; le 22,20; Eb&-13 passim), la nuova circoncisione (Co/2, 11-12) e la manna celeste ( Gv6J058; Ap2,17); il tempio di Dio (Gv2,19-27), il nuovo sacrificio e il suo sacerdote (E/5,2; Eb 2,17-3,2; 4,14-10,14); il compimen7 P. Regan, "Pneumatologiaù and E.
19
co dd IÌJ'Xl.~ .s:1bhatko ( (.h/2,16-17; MI 11,28-12,8; Eb 3,7-4,11) d'cm •ncs..'\ianica funtm (Lc4,16-21; A/2,14-36). Né l'elenco, né le dt.lZioni sono esaustive. Egli è semplicemente •tutto in tutti.. (Co/ 3, Il), ·l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il p1incipio e la fine· (Ap l ,8; 21 ,6; 22,13). Ciò che è venuto prima si è compiuto in lui: ·poiché la legge ha solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle co..c;e. (Eh 10, l); e ciò include la realtà del culto: "Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo• (Co/2,16-17). Questo è fondamentale per ogni comprensione del culto cristiano. Il tempio e l'altare dell'Antico Testamento con i loro lituali e sacrifici vengono sostituiti non da una nuova serie eli rituali e santuari, ma dall'offerta di sé fatta da una persona, proprio il Figlio di Dio. D'ora in avanti il vero culto gradito al Padre non è nient'altro che la vita, morte e risurrezione salvifiche di Cristo: ·iam Pascha nostmm Christus est, paschalis idem victima!•9 E il nostro culto è questa stessa esistenza sacrificale in noi. 111 Paolo ci dice: ·E come abbiamo portato l'inunagine dell'uomo di terra, così porteremo l'inunagine dell'uomo celeste- (1Co1"15,49; cf Fi/2,711; 3,20-21; E/4,22-24), il Cristo risorto, ·immagine del Dio i.nvi9 Dal quarto verso dell'inno ambrosiano del VII sec. Ad rr!gias Ag11i dapes, usato nell'ufficio romano ai vespri della domenica del tempo pasquale.
10 Tutti e quattro i livelli-il ntlto dell'Antico Testamento compiuto da Cristo nella liturgia della sua autodonazione, mcx.lello d1e imitiamo nelle nostre vite e nella nostm liturgia come indicazione del compin1ento funun--sonoespressi in Eb 13,11-16: ·Infatti i COlpi degli animali, il cui safl!,'lle viene por: tal o nd santuario dal sommo sacerdote per i peccati, vengono hmdati fuon dall'accampamento. Perciò anche Gesù, per santitkare il popolo con il pro: prio san&rue, patì fumi della porta della dttà. Usciamo dunque :mche no! tlall'accunp:mlt!nto e andimno verso di lui, portando il suo obbrobrio, pef(he non ahbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella funua. Per mezzo di lui dunque offriamo continu:unente un satlifido di lode a Dio, tioè il fmtto di labbra che confessano il~>'Uo nome. Non scordatevi della benetìcenza e di f.tr parte dei vostri beni agli altri, perché di tali saaifid il Signore si compiat-e.•
20
sibile, generato prima di ogni creanwd•( OJ/1,15; d 2GOr4,4J, che ci rende conformi alla sua immagine attraverso il dono dd SU() Spirito (2Cor 3, 15; Rm 8,11 ss. 29). Per san Paolo •Vivere è Cristo• (Fi/1 ,21), ed essere salvati è essere resi conformi a Cristo morendo a noi stessi e risorgendo a vita nuova in lui (2Cor4,10ss; 13,4; Rm 6,3ss; Co/2,12-13.20; 3,1-3; Gal 2,20; E/2,lss; Fil 2,5ss; 3,10-11.18-21) che, quale ·ultimo Adamo- (1Cor15,45), è la forma definitiva della natura umana redenta (1Cor15,21-22, Rm 5,12-21, Co/3,9-11, E/4,22-24). Fino a quando questa fonna non sarà ripetuta in ciascuno di noi, in maniera che Cristo sia davvero •tutto in tutti• (Co/3,11), non avremo ancora -completato ciò che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa· ( Co/1 ,24). Infatti, conosciamo ·la potenza della sua risurrezione· solo se ·partecipiamo alle sue sofferenze, diventandogli confonni nella morte- (Fi/3,10). 11 Per esprimere questa identità spirìnJale, Paolo usa molto verbi composti che iniziano con la preposizione syn (con): soffro con Cristo, sono crocif1SSO con Cristo, muoio con Crisro, sono sepolto con Cristo, sono tisotto e vivo con Cristo, sono portato in cielo e siedo alla destra del Padre con Cristo (Rm 6,3-11, Gal 2,20; 2Cor1,5; 4,7ss; Co/2,20; E/2,5-6). 12 Questo è uno dei modi in rui Paolo sottolinea la necessità della mia personale partecipazione alla redenzione. Devo ·rivestirrni di Cristo- ( Ga/3,27), assimilarlo, in qualche modo sperimentare, tramice la grazia di Dio, e ripetere nella tnia vita i principali eventi grazie ai quali Cristo mi ha salvato, dal momento che sottoponendosi ad essi ha trasfor11 In 1Gv 3 14 noi L'on
21
Oltn-1 tW'Ittffr rl lllt't lfft•tlll' l H. ,.. Tafl
m;no le esperienzt.• umane fondamentali in nuova creazione.
Come posso spe1imentare questi eventi? In lui, così che emrJndo nel mistero della sua vita posso affem1are con Paolo: ·Sono stato crocifisso con Cristo; e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me• ( Ga12,20). Questo sembra essere ciò che è la liturgia per san Paolo. Egli non usa neppure una volta termini cultuali (liturgia, sacrificio, sacerdote, offerta) se non per una vita di autodonazione, vissuta sul modello di Cristo.~,, Quando parla di ciò che chiamiamo lintrgia, come in JCorl0-14, Ef4 o Ga/3,27-28, chiarisce che il suo scopo è contribuire a quella "liturgia della vita", lenerahuente edificare, costruire il corpo di Cristo in quel nuovo tempio, liturgia, sacerdozio, nei quali santuario, offerente e offerta sono tutt'uno. Perciò è nella liturgia della Chiesa, nel ministero della parola e del sacramento, che il modello biblico della ricapitolazione di tutto in Cristo è restituito alla collettività e applicato alla comunità di fede che vivrà in lui. Così, per tornare da dove siamo partiti e prendere a prestito un'espressione dai biblisti, la liturgia è l'attuale Sitz im Leben del modello salvifico di Cristo in ogni epoca, e ciò che facciamo nella liturgia è esattamente ciò che il Nuovo Testamento stesso ha fatto con Cristo: ha riferito lui, ciò che era e che è al presente. Il Sitz im Leben dei vangeli è infatti lo sfondo storico non dell'evento originario, ma della sua narrazione durante i primi anni della Chiesa primitiva. Penso che sia questo a smentire la nozione secondo la quale la celebrazione di ogni festa, tranne la domenica e, forse, la Pasqua, è "storicismo". Perché se le feste "storicizzano", fanno lo stesso i vangeli. Sia il Nuovo Testamento che la liturgia non ci raccontano sempre di nuovo questa storia sacra come una perpetua anamnesi? 13 a ad esempio Rm 1,9; 12,1; 15,16; Ft/2,17; 4,18; 2Ttn 4,6. Anche Eb 13,15-16, àtato in nob 10.
22
Perciò penso di rammentarol sempre quesle <.:ose reoctlé le ~ppime ~ stia~c sal~ i ndla vt:rità d1e possrot.1e. Io m~~ giusto .. d1 te~efVI desti mn ~l rm~numtaroi... E procurerò<.:~ anche dopo la 1ma partenza vo1 ahb1ate a rlcordan:i di queste cose. Infatti, non per es.o;ere andati dietro a favole artifK.iosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Ge:;ù Cristo, ma perché siamo stati testimoni <X.11lari della sua grandezza (2Pt 1,12-16).
Va notato che questo non è kerygma, come spesso è erroneamente chiamato, ma anamnesi. È kerygma la predicazione della Buona Notizia per suscitare la risposta di fede al nuovo messaggio. Ma il kerygma scritto e proclamato ripetutamente nell'assemblea liturgica per ricordarci la nostra adesione alla Buona Notizia già ascoltata e accettata nella fede, anche se oSaJr piamo queste cose e siamo saldi nella verità·, è anamnesi, in altre parole quello che è la liturgia. Il problema della storia sacra nel calendario cristiano è allora così diverso dal problema di meditare sulla storia sacra nella Bibbia e proclamarla tutti i giorni nella liturgia della parola? Ma occorre badare a come il Nuovo Testamento proclama questo messaggio. Ciò che Brown dice a proposito dell'infanzia è vero dei vangeli tout court. Essi non sono solo una storia di ciò che Gesù ha fatto, ma un'interpretazione teologica post factum, per la Chiesa apostolica, del significato di ciò che egli disse, fece ed era alla luce della riswTezione e degli eventi ad essa successivi. Così i vangeli, -storie della passione con una lunga introduzione•, secondo la famosa frase di Kahler," sono stati scritti a ritroso, e il loro Sitz im Leben è la vita della Chiesa al momento in cui i racconti furono scritti. Così, quando la versione della missione dei dodici in MI 10,18 accenna all'essere portati davanti a governatori e a re, e a 14 "Pa.o;sionsgeschichten mit auslùhrlidler Einleilung", M. Kibler, Dt!T sogennatJte btstorlscbe ]esu ut~d der gescbtcbtltcbe blb/1.scbe amstvs (Leipzig 18961; tr. ingl. Philadelpbia: Fortress Press 1964) tn
rlfrno l'r.,.,..,llr t' /hr<'lllt•lltt• /R. 1-" Ttift
dare te~imonianza davanti ai gentìli, è considerando una nuo\r.t situazione che non aveva niente a che fare con il contesto storico originale .•~ Gli Alli d<.~li Apostoli mostrano che per la Chiesa apo..'itolica d volle un lungo periodo per comprendere che ci sarebbe stato un tempo della missione, un tempo della Chiesa tra ascensione e pamsia. Ecco perché ci fu una tale resistenza ad accogliere gli estranei nella Chiesa giudeo-Ciistiana (A t l O-Il, 15). Ma una volta capito questo, non ci furono esitazioni nel1iscrivere un racconto della chiamata dei dodici che riflettesse tale nuova situazione. Allo stesso modo in cui il libro del Deuteronomio riferila prima esperienza dell'esodo all'Isnlele successivo, così anche il Nuovo Testamento riferl Cristo alla situazione di vita, al Sitz im Leben della Chiesa apostolica. E quando preghiamo e meditiamo la stessa chiamata e missione degli apostoli, e l'applichiamo alle domande della nostra vocazione e missione di oggi, noi utilizziamo i vangeli come fece la Chiesa apostolica e come erano destinati ad essere usati: non come una storia del passato, ma come •potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco• (Rm 1,16). Il vangelo, dunque, non è una storia, ma una forza (Paolo scrisse questo prima che il Vangelo divenisse i vangeli). È lo Spirito di Dio in noi ora, nell'età della Chiesa, che ci chiama a sé. Così Matteo non opera una "storicizzazione" quando riporta la chiamata dei dodici, né sant'Ignazio di Loyola quando propone nei suoi Esercizi Spirituali le meditazioni sulle azioni sal· vifiche di Gesù nei vangeli, né la Chiesa quando ci presenta gli stessi misteri di salvezza in parola, rito e festa. Perché la centralità non è posta né sulla storia, né sul passato, ma su ciò che Paolo chiama -potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima, e poi del Greco•, e proprio ora, per te e per me. È ciò che facciamo nella liturgia. Noi facciamo anamnesi, tS
24
Stanley (nota 12 sopm) 168-175.
memOJiale, di questa dinamica potenza salvifica nelle nostre vite, perché penetti sempre pill nelle profondità del nostro es.')Cre, per la costnazione del Corpo di Cristo. Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò d1e noi abbiamo vedmo con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, os.o;ia il Verho ddla vita-poiché la vita si è fatta vio;ibile, noi !"abbiamo veduta e di ciò rendiamo tesrimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a no~uello che abb~mo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Ge~1.ì Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostt:l gioia sia perfetta (JGv 1,1-4).
Mi sembra allora che il problema escatologico/storico sia sorto e sia stato risolto dalla Chiesa apostolica. Ma non è stato
risolto abbandonando l'escatologia del Nuovo Testamento, che vede Cristo come colui che inaugura l'era della salvezza. Ciò che venne abbandonato fu l'errata credenza che questa implicasse una parusia imminente. Ma ciò non ha modificato il punto centrale dell'escatologia oristiana, cioè che la fine del tempo non è per il futuro, ma ora. Ed essa è operante ora, sebbene non esclusivamente, attraverso l'anamnesi in parola e sacramento della realtà dinamica presente dell'Enunanuele, "Dio con noi", attraverso la potenza del suo Spirito in ogni epoca. Nei vangeli il passaggio a questa nuova era della storia della salvezza è tratteggiato nei racconti delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione. 11' Essi d introducono ad un modo nuovo della sua presenza, una presenza che è reale e provata, sebbene del tutto differente dalla presenza precedente alla sua Pasqua. Quando appare non è 1iconosciuto immediatamente (Le 24,16.37; Gv 21,4,7.12). C'è una strana aura attorno a lui; i discepoli sono incerti, spaventati; Gesù deve rnssicurarli (Lc24,36ss). A Emmaus 16
Jòtd. 278ss.
25
lo riconoscono solo dallo spe7.ztre il pane, ed allora egli scompare (le 24,16.30-31.35). Come ora la sua presenza in mezzo a noi, è accessibile solo attraverso la fede. Ciò che questi racconti del dopo risurrezione sembrano volerei dire è che Gesù è con noi, ma non come lo era prima." È con noi e non è con noi, reale presenza e reale assenza. Egli è colui che -deve essere accolto in cielo fino ai tempi della restaumzione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità , per bocca dei suoi santi profeti• (Al 3,21), ma che anche ha detto: ·Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fme del mondo· (Mt 28,20). Èsemplicemente questa realtà che noi viviamo nella liturgia, a-edendo, secondo Mt 18,20, che ·dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro-,'K nello stesso tempo celebrando la cena del Signore per ·proclamare la morte del Signore fmché egli venga· ( 1Cor 11,26) nello spirito dei primi cristiani, con il loro grido liturgico di speranza: ·Maranatha! Amen. Vieni Signore Gesù!· (Ap 22,20). Così il Gesù della Chiesa apostolica non è il Gesù storico del passato, ma il Sacerdote celeste che intercede costantemente per noi davanti al trono del Padre (Rm8,34; Eb9,11-28), e che guida attivamente la vita della sua Chiesa (Ap 1,17-3,22 e passim). 19 Lo sguardo degli uomini che hanno prodotto questi documenti non era rivolto indietro, ai "vecchi giorni felici" quando Gesù era con loro sulla terra. Noi scorgiamo questa nostalgia solo dopo la morte di Gesù, prima che le apparizioni del Risotto dessero origine alla fede cristiana. lhtd. »«.>ss. Sono consapc::vole della sfida ra:ente deU'inteq>retazione linargia~ ili qutSa pc::rimpc:: (j. Duncm M. Derrett, '"Where two or thret: are convened in my name .. .': a sad mi.-;understanding", &posltory 1Ymes91 n. 3 (dicen~ hre 1979) 83-HC)), ma non impoatt; l'applicazione linargi<:a è divenuta tradJ.ziorude, nonostante l'originale Sitz lm u!l>ell dd leslo, ed è questo credo trJilizionale d1e qui d interessa. 19 Stanley. op. clt. lM-28;. 17
U!
26
La Chiesa si attenne ai fatti degli eventi storici, ma essi furono reinterpre!ati alla luce della risurrezione, allo scopo di aiutare i cristiani a cogliere il significato di Gesù nella loro vita. 3 ' Che l'interesse principale della Chiesà del Nuovo Testamento fosse il Cristo 1isorto, contemporaneo, operante, presente nella Chiesa attraverso il suo Spirito, lo si può constatare negli scritti più antichi, le epistole di san Paolo, che non dicono quasi niente sui particolari storici della vita di Gesù. È questa coscienza di Gesù come Signore non del passato, ma della storia contemporanea, che è lo scopo di tutta la predicazione, della spiritualità e dell'anamnesi liturgica cristiana. La visione cristiana si è radicata nella percezione, acquisita gradualmente dalla Chiesa apostolica, che la parusia non era imminente e che la vittoria defmitiva ed escatologica riportata da Cristo doveva ripetersi in ciascuno di noi, fmo alla fme del tempo. Edal momento d1e Cristo è sia il modello che l'origine di tale conquista, il Nuovo Testamento presenta sia la vittoria, sia il suo culto al Padre come nostri: se siamo morti e risorti con lui (Rm6,3-11; 2Cor4,10ss; Gal 2,20; Co/2,12-13.20; 3,1-3; E/2,5-6), allora siamo noi ad essere diventati nuova creazione (2Cor5,17; E/4,22-24), nuova circoncisione (Fi/3,3), nuovo tempio (1Cor 3,16-17; 6,19; 2Cor5,16; F/ 2,19-22), nuovo sacrificio (E/5,2), e nuovo sacerdozio (1Pt2,59; Ap 1,6; 5,10; 20,6). Questo è il motivo per cui meditiamo sull'esempio della sua vita, lo proclamiamo, lo predichiamo, lo celebriamo: per farlo nostro sempre più profondamente. Questo è il motivo per cui la Chiesa apostolica ci ha lasciato un libro e un rito, parola e sacramento, perché ciò che Cristo fece ed era, anche noi possiamo farlo ed esserlo in lui. Per tale motivo la sroria sacr.t non è mai finita e continua in noi. Questo è il perché nella linu-gia noi festeggiamo i santi, ed anche noi stessi, così come Cristo, perché la vera glorificazione di Dio è la vita di Cristo che 20
Jbtd.
z.s;.
27
Oltn• horic'ffft.' c• lhn:iclc•llll! l R. F. Taft
egli ha impiantato in noi. Così la "comunione dei santi" è anche un ~gno della storia sacra, pmva della costante azione salvifica di Cristo in ogni tempo. Infatti, la vita cristiana, in accordo con molte metafore del Nuovo Testamento, è un processo di conversione a Cristo. 1' Egli è l'Ursakramentche, come abbiamo visto, il Nuovo Testamento presenta come la personificazione di tutto ciò che era prima, e la ricapitolazione, il compimento, il modello, l'anticipazione di tutto quello che sarà. Come tale, egli non è solo il mistero dell'amore del Padre per noi, ·l'immagine del Dio invisibile· (Co/ 1,15); è anche la rivelazione di ciò che divetTemo ( 1Cor15,49; 2Cor3,18; Rm 8,29). La sua vita è la storia dell'entrata nell'umanità peccatrice e del ritorno di essa al Padre attraverso la croce, un ritorno che fu accettato e coronato nella liberazione dalla morte ed esaltazione di Cristo (Fil2,5ss). E questa stessa storia, come abbiamo visto, è presentata anche come la storia di ognuno, l'archetipo della nostra esperienza, del nostro ritorno a Dio attraverso una vita di motte a noi stessi, vissuta sul modello che Cristo ci ha mostrato: ·Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro• (2Cor5,15). 22 Nel Nuovo Testamento, proprio il processo della sua composizione rivela la progressiva comprensione di questo fatto: che il nostro passaggio finale al Padre attraverso la morte e la risurrezione doveva essere preceduto da una vita di morte al peccato e di nuova vita in Cristo. Tutto lo scopo della riscrizione della vita di Cristo operata dal Nuovo Testamento è farla parlare a questa nuova consapevolezza: che la nuova epoca non doveva essere una rapida fine, ma una nuova storia sacra. Come ha asserito Patrick Regan nel passo già citato, l' escbaton non è un tempo o 21 V~li M. Searle, ~n'le journey of Conversion", Worsbip 54 0980) 48-49, e ~Liturgy as Metaphor", Worsbtp ;; (1981), sopr. 112ss. 22
28
Vedi and1e 1Gv 3,14 dt. aDa nota 11.
una cosa, è una persona, il nuovo Adamo, Gesù Cri<;to ( JCr" 5,20ss. 42ss). E la nuova creazione è una vita vissuta in lui (2Cor5,13-19); o, piuttosto, la sua vita in noi (Ga/2,20). Le feste liturgiche, quindi, hanno la stessa finalità del vangelo: presentare questa nuova realtà in "anamnesi" come un segno continuo per noi, non di una storia passata, ma della realtà presente delle nostre vite in lui. ·Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della nostra salvezza!· (2Cor6,2). Èquesta visione dei misteri della vita di Cristo che ora vediamo nelle omelie festive dell'età d'oro dei Padri, come quelle di san Leone il Grande (440-461), che sottolinea sempre la realtà salvifica attuale della commemorazione liturgica. 2.\ Infatti, la storia della salvezza va avanti, ma non nel senso che Cristo a Natale in qualche modo rinasca di nuovo. Tali eventi sono storici, sono passati, e la liturgia non festeggia il passato. Ciò che è presente è il nostro essere nati di nuovo in Cristo, la nastraentrata nella nuova vita mediante la venuta di Dio a noi. 21 Così come dice san Leone nel suo famoso aforisma, che è una intera teologia lin1rgica, ciò che Cristo fece visibilmente dmante il suo ministero terreno è ora passato nel sacramento: -Quod itaque Redempto1is nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivit.•2' Da ciò è owia una conclusione pastorale: non c'è un modello ideale di festa cristiana o di calendario da "scoprire" e a cui "ritornare". Piuttosto, sta ad ogni generazione fare ciò che la Chiesa apostolica fece appunto nella composizione deJ Nuovo Testamento: applicare il mistero e il significato di Cristo al Silz im Leben di 23 Ad esempio, Sent~o 63 (De passton~ 12) 6,.1'1. ;4,356; .Qm~ iS!" tur quae Dei ftJius ad recondliationem mundi et fet1t. ~~ d~'U&t. non ~ bistoria tantum pr.&eteritarum attionum novimus, lied dìam m ~raelientium operum vi mite sentimus.• Sulla tc;oto~ I~Q,'Ìt<~ di san k'
s, Lf! mystèro liturgfque d aprr!S s. Léon le Gratld CLQF 34. Muns&:r: Asdtendodf 19;8). 24 Sermo36 (lfl epfpb. 6)7, PL 54,254. 25 Senno 74 (De asams. 2) 2, l,L ;4,398.
29
(À'fn•lhrlenlt•e
n..xuk'llll! /R. F. TtJ}t
oggi. una Jinugla ha efficacia non per 1::1 sua fedeltà a qualche pass;;to kte-.de, ma perché edifica il co1po di Cristo in un tempio spi-
rin1a)e e un sacerdozio che sostiene lo scopo della vita cristiana: l'amore e il seJVizio di Dio e del prossimo; la morte eli sé per la vira per gli altri come fece Cristo. Ecosì Narale non riguarda solo la venuta eli Cristo a Betlemme ma la venuta di Cristo a me e, attraverso di me, agli allri. E la' Pasqua non riguarda la tomba vuota a Gerusalemme circa 2000 anni fa, ma il risvegJiarsi qui e Ora della mia lllOI1e battesimale e risurrezione in Cristo. Vedremo questo, penso, se tralasciamo il folklore del passato e le moderne teorie del tempo, del tempo libero e del gioco, e meditiamo i testi della parola di Dio, dei Padri, e della liturgia della Chiesa. Allora scopriremo che il ciclo festivo è solo una sfaccettatura della vita della Chiesa, solo un modo di esprimere e vivere il mistero di Cristo che è fondamentalmente uno solo in tutti gli aspetti della sua espressione cristiana. Come ha detto Daniélou, La fede cristiana ha solo un oggetto, il mistero di Cristo morto e risono. Ma questo unico mistero sussiste in differenti modi: è prefigurato nell'Antico Testamento, è storicamente compiuto nella vita terrena di Crio;to, è contenuto in mistero nei sacramenti, è mistit:amente vissuto nelle anime, è socialmente compiuto nella Chiesa, è com;umato escatologicamente nel regno dei cieli. Così il cristiano ha tra le mani molti registri, un simbolismo multi-dimensionale, per esprimere quest'unica realtà. L'intera t1.tltura crio;tiana consiste nel tenere strette le t'Onnes.o;ioni che el\istono tra Bibbia e liturgia, vangelo ed escatologia, mio;ticismo e liturgia. L'applicazione di questo metodo alla St1itn1ra è chiamato esegesi; applicato alla liturgia è chiamato mistagogia. Si tratta di leggere nei riti il mistero di Cristo, e nel contemplare al di sotto dei simboli la realtà i.nvisibile. 11'
Questo è ciò che è l'anno liturgico e in realtà tutta la liturgia. ' '
26
30
·te :.ymho)io;me des riles haptismaux~, Dieu tJit'Uil/1 o94;> 17.
2. Storicismo rivisitato*
È divenuto un cliché riferirsi alla "storicizzazione" della liturgia del IV secolo e, in particolare, della celebrazione pasquale annuale. Ciò che un tempo era olistico ed escatologico diventa frammentato e storico; ciò che una volta era un'espetienza unitaria prolettica dell'intero mistero della redenzione presente ed operante in mezzo a noi, si decompone in una serie di commemor.azioni che richiamano le fasi successive del suo compimento storico passato: l'entrata trionfale a Gerusalemme, Utradimento, l'ultùna cena, la passione, la sepolnara, la risurrezione. Un cambiamento parallelo si osserva nella storia dell'arte cristiana, che si muove dalle prime forme simboliche ai successivi modelli narrativi e didattici.• Almeno per quel che riguarda la liturgia, il cambiamento viene proposto come se fosse il risultato di uno spostamento di importanza dall'escatologia alla storia. I ptimi cristiani vivevano • Oall'originale inglese "Historicism Revisited". in W. Vos e G. WainWiight (edd.), LiiW'Rica/ nme. (Relazioni lette nell981 in (X.'GI.o;ione dd Con!,rresso della Sodetts Lirurgim (Pari~. aoiìt 1981), Rottenlam: liturgicaJ Ecumenica l <::enter Trust 19H2) • Studia fllll~ica 14, nn. 2-4 0982> 97-109. 1 Cf). G. O
31
nell'attesa di un'imminente pa111sia. Quando questa non avVt:'nne, insorge la disillusione, l'escatologia è smussata, la cristianit:'l, precedentemente "dell'altro mondo", diventa pa11e della storia, e l'antica Pasqua unificata, basata sul senso dell'immediatezza della presenza del Risotto, degenera in un ricordo storico di cose passate. Questa, in breve, è la tesi divulgata da Dix.~ C'è davvero ancora qualcosa da dire su tutto ciò dopo gli ammonimenti e le precisazioni offetti in maniera così eccellente da Thomas). Talley nel 1973?1 Ho già scritto altrove riguardo all'applicazione alla storia liturgica della teOiia scientifica secondo la quale la conoscenza in un campo avanza non per l'accumulazione di nuovi dati, ma per l'invenzione di nuovi sistemi; non per la verifica delle ipotesi, ma per la loro negazione.' Ora, il grande melito del lavoro di Dix consiste nel fornire tm tale sistema, una struttura di comprensione all'interno della quale percepire relazione e modello nella storia della liturgia festiva aistiana. Ma noi dobbiamo sempre verificare tali ricostruzioni sintetiche di fronte alle analisi dettagliate di ogni loro componente, cercando costantemente di riconfigurare le nostre strutture per fornire una comprensione più precisa e sfumata dei dati della ricerca storica. Qui, tentando di fare questo, mi sono tiferito soprattutto all'analitica Wissenschaft della scuola tedesca rappresentata da Lohse, Huber, Strobel, per menzionare alcuni dei più recenti autori.~ I risultati di tale esercizio non nega2
G. Dix, Tbe Sbape of tbe Lfttl'R)' (London: Dacre 1945) 333ss.
3
T. J. Talley, "History and Eschatoloh'Y in the Primitive l'ascha",
4
Vedi cap. 10.
Wo~htp 47 0973)
212-221.
5
B. I..ohse. Das Passafest der Quanodeclmaner (Beltrilge zur F6rderoug cbrlstlicber 11Jeologie Il .54, Gi.itersloh 1953); W. Huher, Passa utuJ Ostem. Untmucbung zur Osterjèler der ulten Kircbe(Beiheft zur Ze/tscbrift far dte 1/etllest. Wiss. u. elle Kunde cler illtenm Kircbe 35, Berlin: A. T<>pdmann 1969); A. Strol~, UISJJnltlif zmd Gescbfcbte clesfnUxbrlstlicben Osterkahmders <TIJ 112, Berbn: Akadelllle-Verlag 1977-in St:!b'l.ùto l.itato come Strobd).
32
no le tesi storiciste. Ma le relativizzano, e le situano in un COO(esto più ampio dell'antitesi di Dix "escatologia contro samifozione del tempo", che secondo me si è dimostrato essere un'invenzio. ne dei liturgisti, con nessun fondamento nella storia.<· Ritengo che le due componenti essenziali dello "storici.smo" siano: l) la frantumazione della primitiva celebrazione integrale; 2) una visione liturgica retrospettiva che conunemora il passato precisamente come storia passata piuttosto che come realtà presente-o quanto meno mette troppo peso su quel piano della bilancia. È fuori dubbio che alla fme del IV secolo compaia qualcosa di nuovo nella liturgia. Quando a Pasqua Giovarmi Crisostomo proclama: •L'altro ieri il Signore è stato appeso alla croce; oggi è risotto-, 7 dice qualcosa che nessuno avrebbe detto un secolo prima. C'è dunque un cambiamento, e può essere datato. Ma che cosa vi condusse, quanto "nuovo" esso realmente fosse, e cosa significhi, sono questioni più complesse. Una volta Anton Baumstark disse che -clie Entwicklung der Liturgie nur aus Sonderentwicklungen entsteht (l'evoluzione della liturgia non è che la sonuna di particolari sviluppi)•," e lo stesso è vero per l'interpretazione lin1rgica. Così, piuttosto che iniziare con qualche idea preconcetta della festa cristiana, e quindi guardare indietro per cercare una verifica nelle fonti, affrontiamo le cose pezzo per pezzo, passo per passo.
6
Cf capp. 9. 14.
Hom. tu sanctum Pascba 5, PG 52, 770. SuUa ques~ioo~ delfaut~ntidtà, oggi h't:~.tlm~nte :tl."(."t!!tlta, cf). '!-· De~~· ~um J'I!'!Udocbrysostomicum (Dcx:um~nL~, etudes et repeltO&re:i 10, Pans: CNR4i 1965) n. 144. H Ho dimenticato da molto tempo in qual~ dd molli sc.:riUi di Baumstark ho trovato questa espressione. Ma è il meglio di Bawmtuk. e mi è rimasto dalla prima volta che l'ho letto. 7
33
otrn·/
'"'"'llr' t·lì~ntlt'll/t' :R. F 7it/f
1.1 primi tre secoli l~•
ptima cosa che le prime fonti rilevano è che la storia non è slot1cismo. La seconda è che la storia e l'escatologia non si escludono reciprocamente. La tensione escatologica tra l'epoca presente e quella futura nella ptima Chiesa è troppo ovvia per aver bLc;ogno qui di dame i patticolari.'1 I ptimi cristiani erano con\'inti di vivere ·negli ultimi tempi• ( 1Pt l ,20). Preghiamo . nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo•; 1" i primi cristiani pensavano che sarebbero vissuti tanto da vederlo. Ma affermare come fa Davies che ·una conseguenza della tendenza escatologica era una completa mancanza di interesse per tutta la storia• 11 è completamente falso. La fede biblica è sempre stata radicata nell'evento stotico, e il fatto che il Nuovo Testamento scelga la storia della salvezza come stntmento per presentare la Buona Notizia dovrebbe bastare per pronunciare qui una nota di cautela. Ma andiamo oltre. August Strobel ha mostrato che nella Chiesa primitiva ·Kalender und eschatologisches Geschichtsbewusstsein geh6rten ... eng zusammen (Il calendario e una coscienza storica escatologica erano intimamente connessi).• 12 Lungi dal non avere alcun interesse per la storia, i primi cristiani erano molto interessati a stabilire l'esatta cronologia della mmte di Gesù. Ma questo non era storicismo. Escatologia e stotia erano inseparabili, poiché i p!imi cristiani avevano trasformato l'attesa messianica del giudaismo apocalittico contemporaneo (Sap 18,~19, lss) in attesa della pamsia: era a mezzanotte della Pasqua che il Signore, come nella 9 Si veda, comunque, lo studio di J. Catntignac, li! m tra}{~ .de l'escbatoiQRie(Paris: Lt!touzy et Ane 1979) per controbilanciare le tt"dtbztonali esagerazioni in questo campo. 10
Emlx>lismo dopo il Padre No...,1ro nella messa romana.
11
Holy Week 13. Strohel12.
12
34
2. S/or1cl.nnll r1t'lcltatt•
prima notte di Es 12,29, sarebbe venuto ancora. 1' Lo storicismo appare più tardi tra i quartodecimani, quando essi cambiano la loro originaria cronologia giovanne-J con quella sinottica per giustificare l'eucarestia pasquale nella none del 14-15 del mese di Nisan, data dell'Ultima Cena nei sinottici. 1 ' Ma questo non ha niente a che fare con la loro tradizione originaIia, che era anamnetica ed escatologica: -annunziare la morte del Signore finché egli venga· (1Corl1,26) a Pasqua, il giorno nel quale, secondo Giovanni, Egli era morto ed in cui si supponeva sarebbe tornato di nuovo. Questo è il motivo per cui essi erano così inflessibili nel conservare la loro Pasqua con precisione storica, cioè nello stesso momento degli Ebrei: Siamo noi che celebriamo scmpolosamente il giorno (della Pasqua], senza aggiungere né togliere niente. È nell'Ao;ia infatti che si sono estinti i grandi luminari, che risorgeranno nel giorno della Parusia del Signore, quando il Signore vemì. con gloria dal cielo e risusciterà i santi. 1 ~
Strobel vede l'attesa escatologica di questa Urvigil nella parabola delle vergini in M t 25, 16 e la stessa tradizione è ancora viva nell'interpretazione che ne dà Girolamo (398): La tradizione degli Ebrei è che Ge:.1.ì vemì a mezzanotte, a imitazione del tempo in cui la Pasqua era celebrata in Egitto ... Io credo sia questo il motivo per cui abbiamo conservato la tradizione apostolica secondo la quale nel giorno della vigilia pasquale la~ te che aspetta la venuta di Cristo non può essere congedata pnma di mezzanoue ... 17 13
Ihld. 12~s. 29ss.
14
Jbld. 22-28, 30.
1; l'olicmte, porttv<x.~ dei Qw.u:todecimani nella disputi pasqwll! della metù dd II secolo, citato in Eusebto (ca. 363) Hlsl. ecci. V, 22,4. 16 Strohel 37ss. ..~ 't. • ('ltnd3J3)Div 17 Com m. /liMI. 4, 2;, 6, CU 77, ~237. ~ "'"ttmzlO ~ · tust. 7, 19, 3, C.'iEL 19, 64;, e la Jenemtum alala m Str0bel39ss.
()/tl't' Hllit'lffl' ,. /ill.'t'klr•ntr• /R.
F Tajl
La Pasqua 01;gina1ia non era dunque la festa di una realt;ì eli risurrezione meta-storica, escatologica, come oggi amiamo pen~re, ma ·semplicemente la festa della Pasqua ebraica trascesa e cristianizzata.•'~ Era la festa della redenzione cristiana, così come la Pasqua ebmica festeggiava la redenzione giudaica. In altre parole essa celebrava un mLc;tero piuttosto che un evento. Ma l'evento scelto come tramite per la presentazione eli questo mistero era la morte di Gesù in attesa della parusia, ed in entrambe, la morte ed il ritorno, Gesù è il protagonista. 19 Naturalmente in questo periodo plimitivo non si tr,mava di separare la morte dalla risurrezione.11' Ma val la pena notare che lo scenario scelto come base storica dell'ananmesi-la morte piuttosto che la risun·ezione-non era una peadiarità quartodecimana. Era carattelistica anche della primitiva tradizione della Domenica di Pasqua, come ha mostrato duistine Morhmann. 2' Né Tertulliano, né Origene erano quartodicimani, ma entrambi affennano esplicitamente che la Pasqua commemora la passione: Tertulliano (ca. 198-202) De bapt. 19, l: La Pasqua è un giorno più solenne del battesimo, quando anche la passione del Signore in <.:ui noi siamo battezzati era compiuta.!! Origene (ca. 235-245) ltzls. Horn 5, 2: Ora c'è una gran folla presente ... soprattutto alla domenica, che commemora la passione lH
G. Dix, 7be Treatise 011 tbe Apostolic Tradttto11 ofSt. Hippolytus
of Rome (London: SPCK 1968) 73. Cf Sbape q( tbe LttttT]{}' 33Hss, 34Hss; Strohd 29; A. Baumstark, Comparative LthJT]{}' (Westminster. MatylamJ: Newman 1958) 164-174. ·
19 . Quest~> .i! sottolineato da R. Cantalamessa, La pasqua 1wl/a chie-
sa aJlltca (Tr.tdltio chrio;tiana 3. Torino: Società Editrice Internazionak 197H) xviii-s.o; (in seguito Cantalaiues.o;a).
. 20. Loc. ctt.; C. Mohmunn, "Pasdta, passio. tmno;itus~, Epbemerides ~u~~6f' 0952) 37-52, spec. 41-42 (in se~ruito. Mohnuann); B. Botte, l ascha ' L Orte1U syrtt•u 8 0963) 213-226. . 21 a i riferimenti della nota preu:dente. 22
CCL l, 293.
di Cristo (infatti la risurrezione del Signore non e cdcnrJta -ok-J una volta all'anno c non sempre ogni otto giorni) ... "
Tutto ciò riflette la primitiva tipologia pasquale-quello che Raniero Cantalamessa ha definito la "pasqualizzazione~ dell'evento Cristo-in cui l'uccisione dell'agnello era il tiJX> principale eli Cristo. 2' La risurrezione non ha alcun ruolo in queste immagini. La prima testimonianza di questa "pasqualizzazione" c'è in 1Cor5,6-8: Non sapete che un po' di lievito fa fennentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, ~ stato inunolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
Questo testo, che per Strobel dà il "Konzentral" della primitiva Haggadah aistiana di Pasqua,l'abbozza anche la seconda tendenza della primitiva interpretazione pasquale cristiana, che spiritualizza l'evento pasquale e rende il cristiano suo protagonistl. ,y, Rm 6,3-23 fa lo stesso attraverso il battesimo: è il cristiano che mU
JIG 13, 236.
24 2; 26
Cantalamessa xvii-ss.
Strohell9. Canralames..'i
27
Loc. clt.
37
la ct.-nfr:dt• né ndla tt'Oiogia ,-xtsquale, né in quella battesimale, fm. rhé non è stata nxupercua da Clemente ed Origene all'inizio del mst'\"'io.~ Lungi c~tll'essere "stolicismo", quello che vediamo nei <.1istiani ales..·•~mchini, come in Filone prima eli loro, N è una fone
destoricizzazione della Pasqua (e di tutta la liturgia, infatti). C'è una chiar.t attenuazione clell'impo1tanza della storia della salvezza come storia. L' ewnto salvifico diventa un tipo, il simbolo di una re-.tltà interiore, spirituale.-~' In Contra Celsum, ad esempio, Origene (ca. 246) spiritualizza tutte le festività: ... per il petfetto t1istiano, che in parole, opere e pensit!1i ~rve sempre il ~11o Signore naturale, il Dio della Parola, rutti i suoi giorni sooo del Signore ed egli osseJVa sempre il giorno del Signore. Lui che si prepara int-essanremente per la vera vita ... osserva sempre giorni di preparazione (venerdì). Antura, lui dre s.1 che .Qi-;ro nost1~1 Pasqua fu sauifie~ro per noi-, e che è suo dovere osse1vare la testa mangiando 28 Per Pasqua, cf loc.cit. Per il battesimo, yedi A. Benoit, Le hapteme cbrétfen au second siècle. La tbéologie des Pr!ll!s (Etudes d'hist. et de phil. rei. de Strdshourg 43, l'aris: Pres.o;es Universitaires de Fnmce 19;3) 227ss;J. N. D. Kelly, Early Cbristta11 Dxtritles(London: A. & C. Black 1975~) 194; G. W. H. L:m1pe, 7be Seal oftbe Spiri/ (Lomlon: SPCK 1967l) 149ss; E.). Kilmartin, "Palristic Views of Sacrttmental Santtity", Proceedings oftbe Eigbth Allnual Cormmliotl oftbe Soc. qlCatb. College Teacbers ofSacn!d Doctrine 8 0962) 59-82, spec. 6o, 65ss, 71ss; Morhmann, 46ss; S. G. Hall, "Paschal Baptism", Studia etJQ11gelica 6 (TU 112, Berlin: Akademie-Verlag 1973) 239·251. G. Winkler nel suo lavoro sui riti di iniziazione am1eni mostra che Rm 6 non fornisce il simholismo per il battesimo nelle tmdizioni primitive siriache e annene (Das anneuiscbe lnitiattonsrituale. EmwtckJuugs..~eschichtlicbe u. /iturgff!Vf!l'g/elcbe11de Untersucbtmg der Quel/eu des 3. bis JO.jahrbunde!'s, OCA 217, Roma: l'IO 1982). Vedi anche E. C. Ratdiff, "The Old Synan Baptismal Tmdition andito; Resenlement unùer the InlluenL-e ofjemo;alem in the Folllth Century". Liturgica/ Studies. ed. A. H. Coumtin e D. H. Tripp (l.cm{km: SPCK 1976) 142.
29 Cf Filone Ales.o;andrino, (ca. 30 a.C.-45 d.C.), De sfX:'Cia/tlms kgf· bus 11, 147, ed. R. Amaldez et al., Les oeut'll!S tle Pbilorz tl'Ak.").·amlrie 24 .1~~: per Ongene, d Comra Celsum 8, 22 dtato sotto, e numerosi altn tesu 10 Cmttlames..;a 62-75.
38
~ c.ar~1e della Par~la, non cessa mai di o:lt:hrare la ft:SU pa~ualt: d~~: sJgmhca "pas:·;;lgg~o", egli cht: si sta sfo!7.ando in tuui i suoi ~i., ~arole ed opere di passare dalle co-;e di quc:sta vib a Dit'J, e si~ aftrett<mdo verso la Sua citt3:"
Il saggio Sulla Pasqua (ca. 245), edito da O. Guérard e P. Nautin da un papiro scoperto a Tura (Egitto) nell941, è ancora più audace: Cristo è s:~crificato secondo la figura ddla Pasqua, ma non è offe1to in sacrificio dai santi, e così la Pasqua è figura di Cri'òlo, ma non della sua passione ... Egli stesso dice che la Pasqua è qualcosa di spirituale e non di sensibile: .se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete la vita in voi.· Dovremmo allora mangiare la sua carne e bere il suo sangue in modo sen'iihile? Ma se è in modo spirituale che egli sta parlando, allora la Pasqua è spirituale, non sen'iihile.u
Questo spostamento del III secolo da pascba =passio a pascha = tra11situs, avrà alla fine successo e diventerà detenninante per l'eortologia pasquale cristiana.11 Lo stesso è vero per la tipologia battesimale di Rm 6. Insieme al battesimo, componenre permanente della veglia pasquale, almeno dal msecolo," la tiscoperta di Paolo avrà grande influenza sulla tipologia della Pasqua come Pasqua dei cristiani così come di Cristo. È imp<>ssibile detenninare quanto ciò sia dovuto ad un indebolito senso dell'attesa escatologica. Ovviamente, dal Wsecolo non fu più possibile sostenere la credenza in un'imminente parusia, e cettamente
31 H, 22, ed. l'. Koetsdutu, Origetlt!S 2 (GCS, Leipzig:J. C. HiruidJs lb'99) 239-240. 32 12-13 Origène, Sur la Pl/queed. O. Guéranl, P. Nautin (a.Nianisme antique, l'ari.<~: Beéluchesne 1979) 176.~. 33 Cf Mohmtann e Cantdames...a xxi-xxiii, xxv-xxix. 34 Su quando il battesimO divenne una parte &sa delb c::debazit> ne pasquale, ved. l'articolo <.U Hall (:>-upt'a noti 28).
39
dò dll)l' <.·ffi.·tto ~ulla pit•t:ì litul~iGI. Ma dubito che questo da SO-
lo p
2. Mistagogia~· Una sisten1.1tica teologia liturgica cristiana compatve per la prima volta nelle omelie catechetiche nel IV secolo. Fondamentalmente, ciò che esse fanno è estendere alla comprensione della liturgia cristiana il metodo dell'esegesi scritturistica sistematizzara per la prima volta da Origene per interpretare il culto dell'Antico Testamento. Da allora tutti gli intetpreti patristici della linugia evidenzieranno uno o l'altro aspetto di questa realtà sfaccettata. Gli alessandrini, seguendo la propensione esegetica allegorica di Origene, intepretarono la liturgia con un processo di anagogia per mezzo del quale elevarsi dalla lettera allo spirito, dai riti visibili dei misteri liturgici all'unico mistero che è Dio. Questo metodo anagogico è sistematizzato alla fme del V secolo nella Gerarchia Ecclesiastica dello Pseudo-Dionigi.-i('' Niente potrei>3; Per tlfi
36 I>G 3. 369-48;. Per la m.istagogia ales.'\-Dioni~i. dR. Bomert, h.!s comnumtaitt'S h)zautins de la Dft:ilre LitUfRie dtt Vll' au .X V sfède(An:hives de I'Orient dt~en 9. Pmis: In'il. Fr.tnçai'i d'En~<.les hyz.antines 1966) 52-72: E. l:h.l~lr<.l. "L'Euc.:hcuistie d'apres le Pseudc>-f>enys l'Areopagite". Bui/. de litt. ecclésiastique 5H 0957) 193-217: ;9 (1958) 129-164; R. Roques. L 'tmitif!T!\ dio1~~'Sfell. Strnctufl! blt!rurcbique du moude se/o11 le Ps.-Dei~}'S |
York: l'uehlo 191-16) 2;ss; "Kuh-:;ymholik der hyzantinisc.:hen Kin:he". IO Symboltk cles ortbodaw11 u. orletlta/iscben Cbrtsteumms (Stuttg:1rt: A. Hìt-r.;em.ann 1962> 9-17.
40
be essere più lontano dallo "storicismo". Per Dionigi, la hrurgia è un'immagine di una tona e di un'ascesa spirituale, con pochi riferimenti all'economia terrena di Cristo e nessuno a ciò che riguarda la sua mediazione divino-umana, o alla sua morte e ri· surrezione salvifiche.-" L'economia cristiana non è semplicemente iltmx:lello della celebrazione liturgica. Per questo noi dobbiamo tornare agli antiocheni. Gli esegeti antiocheni, più attenti al senso letterale della Scrittura, erano meno propensi degli alessandrini ad interpretare l'Antico Testamento in termini più allegorici che tipologici-'' La stessa inclinazione è evidente nella loro mistagogia, che vede i misteri liturgici soprattutto come una descrizione dei misteri storici della salvezza.-'1 Vediamo questo chiaramente nel IV secolo nelle catechesi battesimali e in altri scritti di Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia •• Prefigurati nei tipi dell'Antico Testamento, i riti sacramentali sono un'"inùtazione" (mimests. Cirillo) o "memoriale" (anamnésis. Crisosromo) degli atti salvifici della vita di Gesù e un'anticipazione della liturgia celeste. •• In questi due sistemi la dimensione escatologica della liturgia non è abbandonata. Ma tra gli antiocheni l'enfasi si sposta piuttosto su un"'escatologia realizzata", cultuale della presenza del 37 38
Ecci. bier. III passim, I'G 3, 424-45.
Su questa scuola antiochena di est1,>eti, ved. C. Sdtaublin, Uutersucbunge11 zur Metbode uud Herlnmjt der anliocbeniscbetr Exl!geSe (Theophaneia 23. K61n-8onn: l'eter Hanstein 1974). 39 8ornett, Commeutalres 72-82; Sdmlz, 1be Byzarlltne IJturg)' 15-22, 154-l;H. 40 Cyrille de J~rusalem, catécbèses mystagoglques, ed A.. Piétbgnd. tr.td. 1'. l"dri'i (SC 126hLo;. Jl;lri'i: Cerf 1~ll:Je-dn Ouysostmle, Huil calièbèses haptismales luédttes, ed. A. Wen~;,>er (SC ;ohis. P..uis: Cerf 1970'); R Tonneau. R Dt:vreesse /.es bomélies CIJiécbéttques de '1h!odon! de MofJsueste (Sl\Ki t: tt:sti 145, V~ticano: Bihliothet"a Apostolica Vatit:ana 1949). 41 Bomert, Commelltalm73.';.o;. L·app~ più 4liDfli:t: di~ liturgia è vi.'ii1Jile nelle ultime due omelie di Teodoro di Mo(Nle'itla ( b-16>.
41
Rì:olo trn i suoi, come l~"PC•ienz~l prolcttica della Pasqua dei giorni tìnali. Tr:.l gli alessandrini è sottolineata un'escatologia morale individuale: il ,·ero cristiano non aspetta la Pasqua della parusia ' ma ·passa continuamente dalle cose di questa vita a Dio, affret-' t.mdosi verso la sua città.• 12
3. L'influenza deU'arianesimo Più importante per la teologia lintrgica è stato l'effetto delle grandi dispute cristologiche nate dalla controversa atiana. '·1 Questa contesa spostò l'attenzione dalla seconda venuta di Cristo alla parusia alla sua prima venuta nell'incarnazione, e condusse ad una rinnovata enfasi sulla divinità pre-esistente del Logos e sulla sua uguaglianza consustanziale con il Padre: Cristo è mediatore non come subordinato al Padre nella divinità, ma come uomo. Nella teologia alessandtina, ciò portò acl un indebolimento della mediazione di Cristo. Tra gli antiocheni questo provocò una grande sottolineantra del sommo sacerdozio di Cristo come proprio della sua umanità.~~ Nell'interpretazione lintrgica, la scuola alessandrina, più concentrata sulla divinità del Logos, ha meno da dire a proposito dell'economia storica dell'opera salvifica di Cristo. Tra gli antiocheni, sempre più attenti all'umanità ed al senso letterale nell'esegesi scritturistica, ciò produsse l'effetto opposto: una rinnovata enfasi sull'opera umana salvifica di Ctisto. H
42
Origc::ne, Co11tra Celsum citato soprct. Cf Cantalamessa, xx-xxi. 43 Sugli c::tTetti liturgici di queste controversie, ved.). A. .Jung~li~n~, -La lotta contro !"arianesimo gem1anico e la crisi della cultma reli.W05 ·~ nel!"
42
Ciò che accadde è che si perse la via di mezzo, il Dio-UOJT)(J risotto che intercede per noi ora come sommo sacerdote divinoumano; e noi siamo rimasti con i due poli scollegali del dilemma: Dio e il Gesù storico. Il punto d'intersezione che è la base di tutta la teologia liturgica cristiana è precisamente la mediazione divino-umana del Signore risotto, che rende attuale nell'evento liturgico presente sia l'opera salvifica passata che il compimento futuro. Questa tensione anamnetico-escatologica, di passatofuturo, è ciò che la liturgia è chiamata a risolvere, ed ogni scuola, durante tuna la storia della spiegazione liturgica si è scontrata a modo suo con questo problema, in risposta alle esigenze della propria epoca. La sfida ariana portò tra gli alessandrini ad una maggior enfasi sulla divinità. Gli antiocheni, pur mantenendo ferma fede nella divinità, erano più attenti all'umanità, ma, in risposta all'attacco ariano sulla mediazione divina come subordinazionista, gli autori liturgici antiocheni elaborarono il loro simbolismo della liturgia come una rappresentazione dell'opera umana di salvezza dell'uomo Gesù.ìc•
4. Storicismo prima deUo storicismo Questo non significa d1e non ci fosse uno "storicisrno" liturgico nell'aria. L'abbiamo già visto nell'uso posteriore quartodecimano della cronologia sinottica. Sia la Tradizione Apost.olica .~ (ca. 215) che Cipriano<~~ (t 258) collegano le ore di preglùera agli 46 H. -J. Schulz ( 7be Byzanfitw Llturgy lOss, l ;4ss) ha not~to nello st~::sso peliodo un ratforz.amento dell'eucarestia come un. memo~le de~
storia della salvezza anmverso una duplice ~stensic~ne dell anan~~e.~-1? pn_: mo luogo il testo liturgico stesso è esteso hno ad mdudere _nuo;ten deve~ da qudli della morte t: risurreziont:. In St:cundo luogo: nell illlerpretazro-sok · t· ·· "' est..c·• fino ad, mdudere non . ) ue liturgica la noztone t t anamne111 o:: • •·•·•• • • l'anafora, ma l'intero rito. Cf Dix, Shape ofthe LIIUTID 264ss. 47 41, ed. B. Hone (LQF 39, Munster: Aschendorff 1963) 90-92 . 48
Df! orat. 34, CCL m A. 111-112.
43
e\'enti della pa.'\sione di Cli.sto. l
Segue un lungo e noioso tentativo di conciliare i va1i racconù
evangelici del tempo esatto in cui Gesù sarebbe risorto, dopo di che l'autore esprime il suo giudizio: Se le cose stanno così, diamo la seguente affennazione e spiegazione a chi cerca un'esatta descrizione dell'ora precisa, o della mezz'ora, o del quarto d'ora in cui è opportuno iniziare la festa per la rLo;urrezione dalla morte di nostro Signore. Noi biasimiamo come negligenti e smodati coloro che sono troppo affrettali e cedono anche prùna di mezzanotte, e poiché quasi deviano dalla loro direzione nella loro fretta, a questo proposito c'è una parola dell'uomo saggio, •non è poco nella vita quello <.:he si trova nel piccolo-.
Questo è storicismo ad oltranza, 120 anni prima che Egeria fal'u V, 10-20, ed. Funk I, 264ss .. cap. 21, R. H. Connolly, Dtdasca 1 apostolorum (Oxford: Clarendon 1929) 178-192.
49
;o Ed. C. L Fekoe, 7be Ietters ami otber RemaitiS of Dioii)'Si~ A/e.:wmdria(Camhridge I)atr. TextS, Camh1idge: Uniwrsìty Press t904> :;: ·
.f
44
cesse il pellegrinaggio a Gen1salemme. Gabriele Winkler ha defmilìvamenre dimostrato che il primitivo strato semitico dei riti di iniziazione siriaci e anneni è stato modellato non sul motivo escatologico della morte-rislltrezione di Rm 6, ma suU'unzione messianica di Gesù al momento del suo IY<~.ttesimo nel Giordano, che era ritualmente rappresento nei riti battesimali. s' Ciò che cerco di evidenziare con questi esempi è che la stoila della linu·gia e la sua mistagogia non si è sviluppata in un'evoluzione organica da un"'escatologia pre-nicena" ad uno "storicismo costantiniano", ma Io ha fano con una complessità notevolmente maggiore. Alessandria mostra nell'eortologia una propensione decisamente destoricizzante, spiritualizzante. Nella tradizione shiaca il cuore della Pasqua era l'eucarestia,~ ed anche oggi non è la Pasqua, ma il Giovedì santo che porta il nome di "Pasqua" nella Chiesa siriaca.~.i È nell'area dominata dalla più realistica scuola antiochena-la Siria, la Palestina e l'Asia Minore ellenofone-che per la prima volta vediamo frammenti "storicizzanti" della festa pasquale compresa come una sola \mità in una sequenza di celebrazioni che seguono lo sviluppo degli eventi storici della passione. Ma questa è una tra le molte tendenze concorrenziali della tradizione.
5. Egeria e oltre Egeria descrive i risultati dell'incontro tra questo realismo antiocheno e la scopetta dei luoghi santi: le celebrazioni liturgich~ stazionalì ·adattate al giorno e al luogo- della celebrazione.~ E cii. supm, nota 28.
;1
Op.
52
Cf Cantalamessa, xxiii-xxv.
53
Brwiarlum juxta rilum ecclesiae anllocberltll! syrornm, paJ'l\
verna secunda, vol. V (in siriaco, Mo$ullb'92) 140. 54
"apta dici et kl(:o· (25,10; 29.2 e ~; 31,1).
Cf {:,.t.
joUniiJl de
~neÌ6s,Z70 o
t.Q).w3gt' (/li1lértdfl!), ed. l'. Mardval (SC 296, Pans: Cetf19tl2) 252.
m
- ·-
45
Oltn• t tii'H'fllt' rl un ulclllt' 'R. F. Tafl
lbvvero necessario mettere in gioco qualche nuova rivoluzione del IV secolo nella coscienza religiosa per capire questo? Non era forse la cosa più normale del mondo che i pellegrini andassero. preferibilmente all'anniversario dell'evento, dove Gesù aveva fano questo o quello e leggessero là il racconto scritturistico e meditassero sul suo significato per loro? Da ciò d1e dice Cirillo
Inoltre, l'assenza in Egeria di qualsiasi festa del giovedì dell'Ascensione (il solo giorno la cui cronologia è indubitabile, in At 1), o della celebrazione della Cena del Signore nel cenacolo il Giovedì santo, dovrebbe portarci ad evitare di gridare allo "storicismo" per ogni sosta stazionate nelle processioni della Settimana santa a Gerusalemme. John Baldovin, nel suo studio su queste liturgie stazionali a Gerusalemme, tira le conclusioni seguenti: . Prima della fine del IV secolo non si fece alcuno sforzo per indicare con grande esattezza il luogo dell'Ultima Cena o per integrarlo nella liturgia di Gerusalemme. Piuttosto, il complesso del Samo Sepolcro selVì come luogo della celebrazione per l'inizio di tutta la Pa'i(!ua. Così l'intera celebrazione costituì una so1ta di i11~lus_io che ini~iava e t~nninava in qut!sto complt!sso. Qui la mori' azioni! era Sia eccle-;mle che storica . . Il sec?ndo asper~o non storicizzato della liturgia della Grande Settm1ana e la pfOl-essione che scende dal Monte! degli Ulivi nelle pri-
;s nt'Cat. 16 4 PG 33 924 (SOttO1ineatUI"d aonmota) · · .L..tl'·•u• ·,,, d La questiOOe ,e ICI.;. e · c.:ateclte.'II·· non 11ot ruevanza per00 la nostl"d• discussione.
~
46
na' '
n
'
l. Stm1U~III
me ore del mattino del Venerdì santo. Questa processione non tenta una mimesi storica delle ptime ore del mattino di Vent.'fdì santo. Questa pr~e~sione ~1on tenta una mimesi storica dt:lla pa.-;-;ione, con devtaztom da Ca ifa o da Pilato, piuttosto va dritta lungo la strada ptinci~~le ~b oriente a occidente verso il Golgota. Su que!>1a hase, votTet tndtcare che la stessa processione era tanto importante quanto le caratteristiche storiche delle !>1Je stazioni, sebbene il carattere storico della funzione come un tutto non possa essere negato."'
Ho già evidenziato l'enonne (e molto trascurato) significato dei setvizi stazionati nello sviluppo della liturgia urbana a partire daJ IV secolo,'7 e sospetto che abbiano giocato un ruolo nell'evoluzione della Settimana santa di Gerusalemme maggiore di quanto non abbia fatto nessuna nuova mentalità storicizzante. Ho usato la Pasqua come un esempio, perché per secoli il ciclo pasquale era la sola celebrazione annuale domenicale. Ma forze analoghe erano al lavoro alle otigini e nello sviluppo del ciclo della Natività-Epifania e della sua teologia. Queste feste vennero introdotte nel IV secolo per ragioni apologetiche, e non per qualche impulso stoticizzante vòlto a celebrare l'anniversario della nascita e del battesimo di Gestì. Un'indagine delle fonti sulle origini e sul significato di ambedue le feste dimostra che esse erano entrambe celebrazioni della stessa cosa, il mistero della manifestazione di Dio in Gesù, e non di eventi storici. L'evento era il mezzo attraverso cui era manifestato il mistero, e serviva come scenario per la sua anamnesi linn-gica. Così il processo continuava. Agostino (t 430) considerava "mistero" solo la Pasqua; tutte le altre feste erano "memoriali. "111 56 J. F. Baldovin, 7be Urba11 CharacterofCbrlstfa11 Worsblp(OCA. 22H, Roma: PIO 1987) 87-88. 57 Vedi cap. 11. 58 Cf quello che forse è il primo tr.tttato sulla teologia liturgk:a.
Agostino, Ep. 55 a quel fastidioso laico Januat!us ~C.~ ~'i ~~:::in~· Hudon, "Le mystère de Not!l dans le temps de l église ap · · · IMO 59 0959) 60-84.
47
PadriStK'l"t.>S.'\ivi. come Leone il Grande (440-461), ampliarono il Ct''li'K't'ftO di "mistero'' per ù1duderc altre commemorazioni dei misteri del Signore."" Èquesta la •Vittoria della visione "storicizzante~•, come Hubcrvmrebbe?•• Nel migliore dei casi è una ben ma!otJ':.l vittori~t. Dopotutto, anche sotto Leone la Chiesa romana ancora leggeva a Pasqua l'intera passione.<>' Ho sempre pensato che il vero storicismo nella devozione, contro il qu~ùe oggi la gente si lamenta-"Gesù Bambino" nel presepe, le processioni della "sepoltura di Ctisto" il Venerdì samo, la mozzata "devozione deUa passione" del c-.unmino della croce, ecc.-, abbia le sue radici molto tempo dopo Egeria nella devozione storicizzante eli tipo cosiddetto "francescano", le cui origini sono descritte così bene da jungmann.112 Ma anche riguardo a coloro che criticano il tardo medioevo in occidente, gli studi recenti mostrano che ciò che è stato detto sullo storicismo nella pietà popolare ha bisogno dello sguardo fresco di coloro che vogliono leggere le fonti invece che ripetere clichés.M Non sto cercando di minare la nozione dell'esistenza dello storicismo. Ci sono suoi segni ovunque: la scelta definitiva deU'Epifania e deUa Pentecoste come feste battesimali, \a separazione del giovedì dell'Ascensione dall'originatia unitarietà della festività pentecostale,64 la riduzione del vangelo del mat-
59
6o 61
CfJ. GaUiard. "Noel, memoriél ou mystère?" LMD 59 0959) 37-59. Passa tmd Ostenz (supra ncltél 5) 183ss. Senno 59, l. Léon le Grcllld, Sennonslll. ed. R Dolle (SC 74,l)ari~:
Cerf 1961) 128.-;s,
62 ..l..éllotta çontm l'élriane:;imo" dtato sopr.t, nota 43. Vedi andte l'in· lerei.'iallte studio di A. Kolping, "Amalar von Metz und Flonts von Lyfion, Zalgen eines Wandelo; im liturgischen Mysterienverstandni.o;~, Zeitsebrift ur ltatbollscbe 17x'Oiogie73 09;1) 424-464.
63 CfJ.l..eder~.:q. "La dévotion médiévale envers le ~~~~·· •. LM~ ~~ 0963> 119-132; F. Vandenhrouc.'ke, Ml.a dévotion :m ~.:tucihe a la tì moyen-iige-, ibtd. 133-143. 64 Cf R. Callié, La PfmtecOie. L t.'1JOiutiou de la ciuquaultJilll! pasca/e
tino di Pasqua al racconto della risurrezione nellezionario armeno di Ge111salemme durante il Vsecolo ,t·\ ecc. Ma Io storicismo è solo uno spaghetto in un piatto pieno di spaghenL Ci sono suoi segni molto tempo prima che Egeria venisse sulla scena, esso è lungi dall'essere compiuto molto tempo dopo di lei, ed è costretto a competere con altre tendenze d'inclinazione chiaramente clestoricizzante. Inoltre, esso è pa1te eli un problema più ampio manifestato in tutto l'ambito della teologia pat1istica, non solo nella liturgia. La prefigurazione veterotestamentaria compiuta in Cristo, vissuta e celebrata nella Chiesa, immagine e garanzia del regno futuro; Pasqua degli ebrei, Pasqua eli Gesù, Pasqua della Chiesa, Pasqua della parusia; presenza e assenza; già e non ancora; escatologia realizzata ed escatologia futura-questi livelli e le tensioni tra ciascuno eli essi si trovano alla radice dell'intera tradizione.c~ Come equilibrarli è il fondamento eli tutta l'esegesi e la mistagogia cristiana, a partire dal Nuovo Testamento in poi. Ciò che abbiamo in tutta la storia della teologia e della lin•rgia cristiana sono varie sintesi e risistemazioni di queste sfaccettature ad ogni rotazione dell'unico caleidoscopio. Gli alessandrini un modo, gli antiocheni un altm; i Padri greci e latini così, i Padri siriaci ed armeni in un altro modo. Credo che sia inutile ogni tentativo di guardare indietro per "scoprire la tradizione originale", perché non esiste. Perché il Nuovo Testamento non è una storia di Gesù, ma un libro di intepretazioni del suo significato per il Silz i m Leben del suo rempo. Tutto ciò che fa lo sviluppo del calendario è continuare queau cours des ctuq premiers sii!cles HHss. 65 Vi era anche indlLo;o il r.tcconto della sc~polll!r~ (.Uc_1Hi.,,l~~]· ma fu ridotto a Mc 16,2-8. A. Renoux, Le codex anneme11]erusa · 1: lntroduction, PO 35, 156. .. amp1·an•unte 66 TrAtto questo tema ptu ... •..... .... u·artkolo dtato sopr.t, nota3;.
49
~ 1~ rlbu:*"'* · R f Tqft
_, professo. Non voldio dire che ogni pas..o;o sia sl:tto organica. equilibr.uo. Questo non è vero nemmeno per lo stesso Nuovo Testamento. Né sto dicendo che tutto è n:lativo. Perché la t»se comune di ogni festivit\ ortodossa c1istiana è chiara: Gesù Cristo vì.•isuto, morto e risorto per la nostra salvezza. Ma i modi simbolici concreti scelti per esprimere questa realtà sono molteplici fm dall'inizio. Così, studiando l'eortologia cristiana, dobbiamo accettare la diversità, non cercando di omogeneizzare tutto in una sintesi, evitando allo stesso tempo quelle disgiunzioni eccessive come "dort Passah hier Ostern",67 qui il mistero, lì la storia. Poiché, sebbene ·il mistero è Cristo tra voi- (Co/1,27), la comunicazione di questa realtà è inseparabilmente connessa alla storia. In breve, penso sia chiaramente dimostrabile che il significato di ogni festa, domenica inclusa, è una sintesi, il tennine di un processo e non il suo inizio. Quando torniamo a quell'inizio, ciò che troviamo non è una qualche sintesi primitiva, ma parecchie tendenze. Sceglieme una come preferibile è perfettamente legit· timo finché si comprende che il gusto personale o il pregiudizio non fanno una teologia, tanto più una tradizione. Perché, se si considera la tradizione come quod semperet ubique et ab omnibus, allora, per l'eortologia cristiana, non c'è niente di simile. ~
67
C. Schmìdt, Gespracbe }esu mtt seltlen jat~grmz 110 '~
~r
Al~llgOU 43, Leipzlg:J. C. Hioricb..'ll919) 579. dt. in CanraJameS'ill .
50
3. La domenica nella tradizione bizantina*
Ci sono sette tradizioni liturgiche cristiane orientali, che condividono tutte un ethos comune, almeno quando sono contrapposte all'occidente. Parlerò della più rappresentativa di tali tradizioni, la bizantina, che ingloba l'ampia maggioranza dei cristiani orientali. Molti di essi appartengono alle Chiese cristiane ortodosse, ma esistono anche circa ono milioni di bizantini cattolici. Gli epiteti "d'oriente" o "orientale" possono evocare immagini di Bangkok e Taj Mallal. Ma l'oriente cristiano è l'oriente nel senso pre-rinascimentale. Esso include l'Italia meridionale e la Sicilia, gran parte di jugoslavia, Bulgaria, Romania, Grecia, Asia Minore, così come quello che chiamiamo Medio oriente-in alrre parole, la metà orientale del bacino mediterraneo, culla del nostro comune retaggio greco-romano. Così parliamo della cristianità del mondo pabistico orientale che non è più esotico o straniero della Bibbia, che, dopo tutto, fu scritta in ebraico e greco. Come molte grandi tradizioni culturali, il rito bizantino è un ibrido.' Alla sua base giacciono le sintesi liturgiche fonnate nel• Riveduto e tradotto da ·sunday in dte Eastern Tr:tdition", in: M. Searle (ed.), Stmday Momi11g: A Ttmefor Wotlbip(Colle!,~iUe: (jl\Uyiall
Press 1982) 49-74. 1 Sullo ~viluppo di questa trcldizione, ved. R. F. T~ ~ sit~ del rito btzantt11o (Collanot di past
51
(lltrt-/illlf"rh'l'l'rkl'ltft•nlt' .' R f Wjl
l;l littt~i
oriRini della Jit\Jrgia che emersero da questa riforma monastica. dobbiamo guardare a Gemsalemme. Dopo che i persiani ebbero distmtto la Città Santa nel614, i monaci del monastero dì ~m Saba nel deserto vicino a Gerico raccolsero i resti e restaurarono la vira monastica. Come capita spes.•;o dopo violente dislntzioni, un periodo straordinariamente creativo seguì l'oloaiUsto, e nacque un nuovo ufficio monastico attraverso una massiccia infusione di poesia ecclesiastica nella primitiva salmadia monastica grave e sobria. È dalla poesia che la nostra attuale antologia liturgica bizantina dei propri domenicali, chiamato Oktoichos, o Libro degli Otto Toni, è stata costituita. Per farla breve, questa sintesi monastica palestinese venne adottata dai monasteri studiti di Costantinopoli e, dopo la caduta della dttà in mano ai latini nel1204, questo ufficio monastico rimpiazzò il più elaborato rito di cattedrale anche nelle chiese secolari. Così, per la celebrazione della domenica nella tradizione bizantina, abbiamo oggi una sintesi che si trova in due insiemi di libri liturgici: il sacramentario (Eucbologion) e i Iezionari locali costantinopolitani; e un libro delle ore (Horologion) e i suoi propri domenicali ( Oktoichos), entrambi provenienti da Gemsalemme. Chiunque si accinge allo studio della domenica nella prima letteratura cristiana, l'impressione iniziale è di confusione: la domenica è il primo giorno, il giorno della creazione, il giorno della luce, il giorno dei tempi nuovi. Ma è anche l'ultimo giorno, l'ottavo giorno, il giorno al di là dei giorni, il giorno del giubileo, il giorno della fine del tempo. È il giorno della risurrezione, ma anche il giorno delle appatizioni e dei pasti dopo la risurrezione. È il giorno della discesa dello Spilito, il giorno dell'ascensione, il giorno dell'assemblea, il giorno dell'eucare: scia. il giorno del battesimo, il giorno delle ordinazioni-fmche
52
:1 f.u dome111t'tt 11elfu trutltzltme lllzarrllrra
uno chiede: ·C'è qualcosa che la domenica non significhi?· La risposta, naturalmente, è no. Perché nella chiesa primitiva, la domenica era davvero tutto. Era il giorno simbolico, segno del tempo della Chiesa tra l'Ascensione e la pamsia, il tempo in cui noi stiamo vivendo ora. È il giorno simbolico di tutti i giorni, poiché lo scopo dell'intera liturgia cristiana è esprimere in un momento rituale ciò che dovrebbe essere l'atteggiamento di base di ogni momento della nostra vita. Boone Porter ha ben espresso questo nel suo piccolo libro sulla domenica: Tune le cose nella vita cristiana sono compiute nella fede, speranza e carità, guardando alla gloria che deve ancora essere rivelata. Questo è vero preminentemente per il raduno domenicale dei fedeli. Nell'ottavo giorno, l'eterno primo giorno della nuova era, questa visione dell'eternità viene a fuoco. Allora, in un sen'iO specifico, la nostra cittadinanz;t celeste è chiaramente ed inequivoc.abilmente affern1ata ... Qui noi rinnoviamo la nostra fedeltà ogni settimana alla Gerusalemme di lassù, qui riceviamo qualche vi-;ione della speranza della nostra chiamata. Di domenica questo d è dato non solo nelle esortazioni omiletiche o nelle dichiarazioni catechetiche della fede, ma nella esperienza reale vissuta di una liturgia piena e comprensiva.!
È questa -esperienza vissuta di una liturgia piena e comprensiva• che caratterizza la domenica nell'oriente cristiano. È •piena· perché include ancora il ciclo completo degli uffici di cattedrale per la ptima volta sintetizzati nell'età d'oro dei Padri della Chiesa. È -comprensiva• perché ha consetvato la polivalenza simbolica dell'originario giomo del Signore. Gli occidentali sono abituati alle linu-gie tematiche. Fino a qualche tempo fa, n1tte le domeniche ordinatie erano, nella tradizione romana, feste della Trinità, con un loro proprio prefazio. Tutto ciò è sconosciuto in oriente, dre;.c; 1978) 83.
53
~mhrerehbe
limitJl't' ad alcuni temi di nostm scelta l'inesauribile ricchezza simbolica della celcbmzionc domenicale. Nell'insieme, la pietà mientale è restata libera da ~viluppi storici che in altri luoghi hanno talvolta portato a dar rilit."VO ad aspetti della vita devozionale aistiana relativamente second~-ui. Di conseguenza, il deposito devozionale olientale è rimasto più o meno sgombro; la sua devozione è ancora focalizzata quasi esclusivamente su elementi essenziali della fede. Questo è vero soprattutto per la domenica, che in oriente ha tifiutato di essere utilizzata per interessi speciali non suoi. Non setve ad altro scopo che a se stessa. Come tale ha la gratuità e l'inutilità di ogni simbolo. Non significa qualcosa; semplicemente signifìca. Non ha più utilità dell'arte, della poesia, o di un bacio. Questo è in contrclSto radicale con il narcisismo contemporaneo relativo al culto di Dio: •Non vado in chiesa perché non ne ticavo niente•. Ciò che è "ricavato" è l'inestimabile privilegio di glorificare Dio. Se la domenica significa tutto, due dei suoi tenù si distinguono in questa tradizione: giorno di luce, giorno del mistero pasquale. I due poli dell'espressione liturgica di questa realtà nell'antichità cristiana erano la veglia e l'assemblea della Parola e dell'eucarestia. Entrambe sono state mantenute nella tradizione bizantina. Non intendo soffennarmi sull'eucarestia, perché il suo signifJ.Cato per la domenica è simile in tutte le tradizioni. Così, per la spiegazione dei temi domenicali, consideriamo la veglia. La "veglia di tutta la notte" della tradizione bizantina è in origine un setVizio di cattedrale inclusivo di vespri solenni, veglia della domenica di risurrezione, mattutini e kxli, protratta nei mona· steri durante la notte con una lunga salmodia monastica. Nella uf· ftciatura parrocchiale la veglia o è anticipata in parte con i vespri il sabato sera, celebrando ill'esto la don1enica mattina prima della messa, oppure, come si fa in Russia, può essere celebrata come unità a sé stante il sabato sera, ma senza la lunga salmodia monastica. Anche in questa fotma parrocchiale abbreviata dura al· meno un'cn e mezzo, e resta un ufficio di incomparabile bellezza.
Si apre con un profluvio di luce e di incenso, non appena vengono aperte le pone del sanruario splendidamente illuminato davanti alla chiesa immersa nell'oscurità, mentre il celebrante proclama solennemente nel camo: -Gloria alla santa, consustanziale, vivificanre e indivisa Trinità, ora e sempre e nei secoli dei secoli!· Nessun ufficio bizantino ha inizio senza una benedizione o glorificazione della Santa Trinità, scopo ultimo di tutta la liturgia. Quindi il diacono ed il sacerdote invirano l'assemblea a pregare con i verserti adattati dal Sa/94,6: Venite adoriamo il Re, nostro Dio! Venite adoriamo Cristo, Re e nostro Dio! Venite adoriamo e prostriamoci allo stesso Signore Gesù Cri~to Re e nostro Dio! Sì, adoriamo e inginocchiamoci davanti a lui!
Dopo di che il diacono, illuminando il percorso con un grande cero, simbolo di Cristo che illumina il nostro cammino, conduce il celebrante attraverso tutta la chiesa incensando-realmente incensando, con nuvole di fumo, non con qualche scarsa ed affrettata oscillazione del turibolo dal santuario distante. Nel frattempo, il coro canta il salmo invitatorio dei vespri, Sa/103 (104), un salmo della creazione. In oriente, la liturgia non è solo un ufficio. È anche il luogo della teofania. Nella veglia domenicale, come del resto nella Bibbia, la creazione è la prima teofania. Cantando il salmo invitatorio, è data particolare importanza al tema cristologico delle tenebre e della luce, che costituisce il simbolismo base dell'ufficio di cattedzale. I vezsetti del salmo che esprimono questo tema sono ripetuti due volte: Il sole conOS<.-e il:.uo uamonto; stendi le tenebre, viene la noae. Quanto sono grandi le tue opere, o Signore! Tuno hai fatto t-on
saggezza!
Il tema della luce è riassunto immediatamente nel rito centrale del vespro, nlucernarium, che coroinda con il Sa/140,
55
ct~twlui'II'PIIrrliultlc'llfc• R 1: 1ìJ/I
l''\tOrt' dì o~ni ~thnodi:t vespl'ttina cristiana: '
Sisnor'l' j te .!(rido: as<:ollami o Signore' Come inrenso s:tlga a Le la mia preghiera, le mie mani alzatt (t)l\\C: s:H:ritìdo dell:t sera.
Mentre nuvole di incenso riempiono di nuovo la chiesa, segno delle nostre preghiere che salgono al trono di Dio, come dice il ~mo, si accendono Mte le candele della chiesa, e il coro cmla i titomelli propri di cui la salmodia è inframezz.Ha, titornelli che spiegano come il mistero della luce che trasfonna la creazione è compiuto nella m01te e tisunezione di Cristo. Ecco alcuni dei ritornelli mobili del terzo tono dell'ufficio domenicale: 1 La tua risurrezione ha illuminato l'universo, o Signore, e il paradi'iO è srato aperto di nuovo; tutto il creato, esalwndoti, ti otl're l'inno di lode senza fine.
Noi, che indegnamente d troviamo nella tua casa pum, Cristo Dio, rivolgiamo a te l'inno della sera, gridando dal profondo: ·Tu, che hai illuminato il mondo con la tua risurrezione, lihem il tuo popolo dalle mani dei tuoi nemici, o amante degli uomini.· O Cristo, che con la nta passione hai oscurato il sole, e con la Iut-e della tua risurrezione hai illuminato l'universo: accetta il nostro inno vespertìno, o amante degli uomini. Pere~ il nostro genere si liberasse dalla morte; tu, Cristo, ti sei sott<>mes.<;Q al\a mone, e risorgendo da\la morte il terzo giorno, ri-
:it.L'ititasti con te coloro che ti hanno riconosciuto come Dio. Tu hai illuminato il mondo, Signore, gloria a te.
Durante il canto del1itomello finale , il sacerdote e il diacono, reggendo il ntribolo fumante, si muovono in processione attrJ· verso la dùesa. Giungendo alle porte del sanrualio, intonano l'an3 Trdd. da 7be Offtce oj V(.'S/)ers tu tbe Byzauttue Rlte (London: r>-.uton, umgman and Todd 1965) 42-43.
56
J
h1 dtllll<'llft:am•lfalrudt;;/t,l<'ln7.tlllllnu
tichissimo inno della luce, il Phus hilaron, che per [Wl di <;<:di
La colletta al termine delle intercessioni vespertine riassume i temi dell'ufficio: O Dio grande ed ecce bo! Tu solo sei immortale e dimori in una luce inaccessibile! Con sapienza hai creato ogni es.o;ere: hai separato la luce dalle tenebre, ponendo il sole per S<.."andire il giorno e la luna e le stelle per S<:andire la notte. Anche in quest'ora,_ Tu d.~· pect'atori come siamo, di ;lVvicinarci a te per ren~e~1 ~z..e e offrirti la lode della sern. Tu stesso, amante degli uommt, fut gtungere la nostra preghiera come incen'ìO al nto cospetto e ricevila mme soave odore. Concedici di tt-aS<:orrere in pace questa sera e la notte che si avvicina. Rivestici dell':umaturn della luce, s.1lvaci d1l terrore delIn De Spiri/t~ Sa11cto 29,73, SC 17his, ;os..;IO s PG 3Z. 20:). ; Trad. da A. Tripolitis, ~ PbOs bf/aron. Andent Hynm and Mc:xlem Enignm". Vf.~ilfue cbrlslianae 24 0970) 189. 4
57
b nott~ ... dac.:d il sonno c.:he hai <.:re~uo per ristoro alla nostra del)(). k-u.a ... F~,· c.:he, anrhe sui nostri giadgli, ti invoc~1iamo compunti e fun:iamo memoria <.Id n10 Nome nella notte. E, illumitMi dai tuoi coll"ttoiliuuenti, t'Ont-euid di alzarci <..un la gioia nel utore per glorifìc.:a•~ L1 ma hontà, implorando b tua misericord~1, non solo per i no~ (')f(.'Giti, ma per quelli di tuno il nto popolo. E per le preghiere della M:ldre di Dio, vi.o;italo con la nt:l misericordia. Perché tu, o Dio, sei buono c mnantc degli uomini, e noi ti glorifi<.:hiamo, Padre, Figlio e Spirito Santo: orJ e sempre, c nei secoli dei secoli. Amen."
Nonostante la sua grande solennità, questa liturgia è in grandissima parte elementare, assume le paure comuni e universali e i bi.c;ogni della vita umana e li tr.asfonna in teofania, segni di Dio. La paura del buio è una paura elementare; la luce che la scaccia è un bisogno sentito da tutti. ·Dio è luce-, dice 1Gv 1,5, e questa luce brilla nel nostro mondo dal volto trasfigurato di Gesù Ctisto, ·la luce vera che illunùna ogni cosa· (Gv 1,9). Nella liturgia domenicale bizantina, questo tema diviene la matrice simbolica per esprimere l'unità del mistero della domenica-la Pasqua di Cristo-ed i suoi simboli sacramentali: il battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato photismoso "illuminazione", e l'eucarestia. È un tema che pervade tutta la spirintalità e la mistica bizantini. In un toccmte brano del Discorso suDa Trasfigurazione, Anastasio Sinaita (t ca. 700) fa dire al nostro Signore trasfigurato: In que~>to modo il giusto ri.o;plenderà nella risurrezione. In qutSo modo elisi saranno glorificati; sarJnno trasfonnati in me, resi <:onfonni a que~>ta immagine, a questa figura, a questa lu<..-e, a questo godimento e regneranno con me, il Figlio di Dio: Tr.td. da A Pra_lt't'OOok(Camhri<.lgt:, N.Y. ~ Skete 1976} 198-199. A. Guillou, "Le MoruLo;tère de la Théotokos au SiruU. Orq,rines; épidè;e; mosaique de la Trmsfit,•tmltion; HomHie inédite d'Anastase le Siruù\e sur la TrJnsfìgur.ltion (étude et texte critique)", Mélanj.,lèS d 'arr;béologte et d'btstotre67 0955) 253.
6 7
58
J. f.u tlomeutut rwlkJ trudtz11me /Jtumttnu
Tale simbolismo segna non solo il ritmo delle ore nell'ufficio bizantino. PeiVade anche i propri. Ai vespri del saiY.uo (tono 5) noi cantiamo con i salmi vespertini: Offriamo l'adorazione serale a te, luce SC!l7..a tramonto. Nella pienezza dd tempo tu splendesti sul mondo ... e scendesti nell"infemo per dissipare l'oscurità che vi era, e mostrare ai popoli la luce della risurrezione. O Signore donatore della luce, gloria a te!
E nella l ode del canone del mattutino domenicale, tono 2: O unica pura, attraver.;o la porta inaccessibile del tuo grembo chiuso, il Sole di giustizia è passato ed è apparso nel mondo ...
Poiché Cristo è la luce, Maria è la lampada che lo genera, tema favorito dei ritornelli della festa del21 novembre della Presentazione di Maria al Tempio. E alla Teofania, il6 gennaio, Giovanni Battista è il candelabro della luce, il precursore del sole, la stella del mattino. Non c'è niente di specificatamente orientale o bizantino in tutto questo, tranne il fatto che in oriente è ancora una realtà vivente. Nella veglia domenicale, i vespri sono seguiti dal mattutino, dalla veglia di risurrezione e dalle lodi. DSal 117 nella versione dei lXX, che è l'invitatorio del mattutino, riassume ancora una volta il tema della luce applicandolo a Cristo: Il Signore Dio è apparso .a noi! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Versetto: Rendete grazie al Signore, perché egli è buono! Senza fine è il suo amore! VersettO: Mi hanno circondato, mi hanno a<.'Cerchiato, ma nel nome del Signore li ho S<.unfitti! . VetSetto: No, non morirò; resterò in vira, e annuOZJerò le ope-re dd Signore! . . , Ve~O: La pietra sautam dai <."OStfllna:l è. div_enura ~ti-~ angolo; e<..'CO l'opera del Signore, una meraVIglia at no.'itn occh1.
59
~ /bril'ltlt' t' /'r)(X(t/1!1111! l
R. F. Taji
Nella celebrazione parrocchiale, la salmodia monastica del mattutino è generalmente omessa, e si passa direttamente ai tre salmi del terzo notturno, che nella notte del sabato è trasfonnato nella salmodia della veglia di risurrezione descritta da Egeria (24, 9-11), dalle Costituzioni apostoliche(II, 59,2-4), e da altre fonti antiche. Ecco gli elementi della celebrazione: 1) Tre salmi
in ricordo dei tre giorni trascorsi nella tomba. 2) Un'incensazione in ricordo degli aromi po1tati dalle donne per ungere il corpo del Signore, inaugurando in questo modo la prima veglia davanti alla tomba, modello di tutte le veglie eli risurrezione, inclusa quella che chiamiamo veglia funebre. 3) Una solenne proclamazione del vangelo della risurrezione, in ricordo dell'angelo che stava accanto al masso rotolato via dal sepolcro annunciando la risurrezione. Egeri.a descrive questa funzione così come la vide circa 1600 anni fa alla Rotonda della risurrezione a Gemsalemme:
nsettimo giorno, vale a dire la domenica, prima del cantare dd gallo, tutta quanta la folla che può essere contenuta in quel luogo si raccoglie, come avviene durante le celebrazioni della Pasqua ... Non appena il primo gallo ha cantato, subito il vescovo scende ed entra nella grotta dell'Anartas~. Tucte le porte sono ape1te e l'intera folla entra nell"Auastaris, dove già risplende un gran numero di luci; appena la gente è entrata, uno dei sacerdoti recita un salmo e tutti rispondono; poi si dice una preghiera; quindi uno dei dia· t'Oni l'e<.:ita un salmo, uguahnente segue una preghiera; un terzo sal· mo è detto da un membro del clero, si recita una terza preghiera e si fa memoria di tutti. Detti questi tre salmi e fatte queste tre preghiere, ecco che si portano nella grotta ddl"Auastasis alcuni in· ~ensieri, in modo che tutta la basilica si riempia di profumi. A.ll~rJ li vescovo, in piedi dietro i cancelli, prende il vangelo, si avvaona alla porta e l~e lui stes."' il fa{.'<.:onto della risurrezione del Sign<>te· Non appena incomincia que:-;ta lettura si levano tali gemiti e gri~ da pane di tutti e tale è il pianto, che perfino !"uomo più insenst·
60
3. la dmmmlca 11ella tradizttme hizamtna
bile.può essere toccato fino alle lacrime per il fatto che il Signore ahbta tanto soffet1o per noi. Dopo la lettura del vangelo, il vescovo esce ed ~ accompagnato con inni alla Croce, e tutto il popolo lo seg~e. ~~·nuovamente si dice un salmo c si recita una preghiera. Qumdt ti vescovo benedice i fedeli e avviene il com01iato.'
Nella tradizione bizantina l'attuale veglia si apn:~ con il canto solenne di alcuni versetti tratti dai Sa/134, 135 e 118 accompagnati dai titomelli delle mirrofore, che andarono al sepolcro per ungere il corpo del Signore e divennero così le ptime testimoni della risurrezione. Appena il coro intona ·Lodate il nome del Signore- dal Sa/134, si aprono le potte del santuario, vengono accese tutte le luci e le candele della chiesa, e il celebrante, preceduto ancma una volta dal diacono con il suo cero, incensa di nuovo tuna la duesa. I ritornelli delle minofore spiegano il senso di questo rito: Rifulgendo sulla tomba, l'angelo si rivolse alle mirrofore dicendo: ·Perché mescolate alla mirra lacrime di compassione? Osservate il sepolcro e intendete: il Salvatore è risorto dalla tomha!· Di buon mattino le mitrofore accorrevano in pianto alla tua tomba, ma l'angelo appatve loro e disse: ·Il lutto è fìnito, non piangete: annunciate la risurrezione agli apostoli!· Le donne tue amiche, Signore, erano venute con gli aromi, sperando di poter ungere il nto l"Orpo, l"Ontuso e torturato, freddo nella morte. Ma l'angelo appa1Ve davanti a loro, dkendo: ·1 1en:hé ren:ate tra i morti colui cile è vivo? Egli è Dio! È rL'iOrtO dal sepok.ro!·
Segue il responsorio e il canto solenne del vangelo della risurrezione, poi il libro del vangelo è portato in processione al centro deUa chiesa e là intronizzato, mentre il coro canta l'inno della risurrezione che professa la fede che, avendo udito il vangelo pasquale, anche noi abbiamo visto e gustato la gloria di Dio: 9 [bteria Pvlk-grltUlgSIO 111 Terra SatJta (Roma: Città Nuovd 1985) tr. it. di P. ~k:o e L. Scampi. 136-137.
61
Contempl:mdo la risurrezione di Cristo, adorianH> il Santo, il Signore Gesù Clisto, il solo scn~1 peccato. Adoriamo la tua croo:, 0 Cristo, c.mtiamo c glotitkhiamo la tua santa risullezione. Perché tu sci il nostro Dio, all'infuoti di le non ne riconosciamo altri. bcciamo appt'IIO al n1o nome. Venite voi tutti, fedeli. adoriamo la santa risurrezione di Cristo. Poiché attraverso la croce la gioia è venuta nel mondo. Benediciamo il Signore sc~1 sosta, canriamo la sua risurrezione, pt't'Ché ha sotfet1o la croce c con la mo11e ha vinto la motll:. '''
Dopo le intercessioni, si canta uno degli otto canoni della risurrezione secondo il tono domenicale, mentre i fedeli si accostano a venerare il vangelo, a farsi ungere con l'olio aromatico, e a ricevere un pezzo di pane benedetto, segno della fortezza necessaria per affrontare la vera veglia, quella della vita. In tutto il patrimonio poetico delle lodi, soprattutto nelle odi del canone, una serie eli ritornelli composti in annonia con i temi dei cantici biblici, ricorrono le stesse tematiche della luce e del trionfo pasquale. Non ho tempo per descrivere tutto questo, ma vi sono proclamate le stesse realtà: tenebre e luce; le tenebre del peccato sconfitte dall'illuminazione eli Cristo riso1to. Altrettanto importante dal punto di vista liturgico è che queste realtà non sono affennate solo pro forma, in maniera facilona. Esse sono gridate, cantate, rese liriche. Sono intrecciate in un insieme di poesia e di ritmo, di movimento e di stabilità, di tenebre e di luce, di incenso, di simbolo e canto, al punto che un visitatore casuale si sentirebbe quasi travolto e spin· to ad esclamare: ·Ma questi credono davvero!· Ed è proprio così. La Costituzione del Vaticano II sulla Sacra Liturgia (n. 2) dice che la liturgia ·contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa.• Un esempio con· creto di che cosa signifiChi questa affermazione può essere con· statato in ogni domenica nella tradizione bizantina, dove la li· 10
62
Prayerbook 110-111.
.i
!.11 dulll<'lliLa 11t'lfa lratllz/1,1/e /Jiuml/na
turgia permea la vita quotidiana delle persone in un modo che è cessato da tempo nella maggior parte delle altre tradizioni. I cristiani otientali hanno un senso di possesso e di orgoglif1 del loro rito. Si tratta della loro chiesa, della loro tradizione, della loro comunità legata all'intera loro storia e cultura. Non c'è separazione tra pietà e liturgia. Liturgia e pietà personale sono tutt'uno, e segnano ancora il ritmo della vita quotidiana. Amo far scrivere ai miei studenti orientali un saggio su ciò che la loro tradizione significa per essi. Qui c'è un passaggio tipico di uno di questi saggi, scritto da un giovane laico americano della Chiesa Cattolica Ucraina: Essere al centro della folla che spinge per baciare la croce in alcuni giorni delle feste maggiori, ciascuno in attesa di aver la fronte segnata con l'olio e forse di scambiare qualche parola con il prete; sai di essere circondato da gente che non sarehhe mai soddisfatta dalle strette di mano quasi furtive che si scambiano nelle d1iese latine durante il rito della pace. Ma il sentimento caldo per la tradizione non si esaltlisce dentro l'editkio della chiesa. È portato in molti modi nella vita quotidiana della gente. Le icone che si trovano nelle case sono un modo in tu i questo è fatto: gli stessi santi che uno vede in chiesa li vede anche in <.udna o in camera da letto, spesso con una candela accesa o una stola da:omtiva. Nelle grandi feste sono henedene le cose che usiamo ogni giomo: l'acqua alla Teofania, la frutta alla Trastìgurazione, le erbe e i tìoti alla Donnizione. Queste cose sono portate a casa e usate: l'acqua è hevuta, la fnttta mangiata, ed i f10ri decorano la tavola per parecchi giomi.
Basta così per la liturgia. Ho iniziato da lì deliberatamente, perché in oriente comincia sempre tutto da lì. Là la lintrgia non è una delle molte cose che la Chiesa fa. È proprio la sua vita. Naturalmente, uno potrebbe chiedere che rilevanza abbia oggi tutto ciò. Posso solo riferinni alla mia esperienza ed alla testimonianza di altti che non possono in nesstm modo essere accusati di vivere in una romantica nuvola di incenso separati dalle realtà del mondo moderno. Uno è Olivier Clémenr, scrittore e teologo laico francese contemporaneo, convertitosi
63
daiLHdsmo ;dl't•tù di 27 anni. Scelse l'ottodossia perché, secondo le :->Ut' parole. -ero affamato di una Chiesa che fosse sopr:.ututto eucarestia. Di una comunità che professasse di essere il corpo di Cristo nell'eucarestia. Di una teologia che sgorgasse dal calice. È allora che incontrai l'ortodossia.• 11 Forse più espres..o;;iva è la testimonianza di Tatjana Goticeva, femminista ed :lttivista del movimento di rinnovamento cristiano a Leningrado, espulsa dall'Unione Sovietica nel giugno dell980. Nata nel 1947 da genitori atei, non conosceva assolutamente nulla della religione, non era mai stata in una chiesa. Poi visitò una chiesa ortodossa e scoprì la liturgia: Ero incantata dalla liturgia, dalla hdlezza del tito ... Non volevo lasciare la chiesa dopo le celebrazioni liturgiche. Sembrava come lasciare il paradiso e indietreggiare nell'inferno. Ero sopraffatta e vinta <.la lUtto questo non a causa di qualche estetismo, ma, per così dire, {!
Non voglio dire che i cristiani occidentali dovrebbero eliminare tutto e dirigersi ad oriente. Anche l'oriente cristiano ha il suo lato negativo. Ma sono forse buone le qualità che gli occidentali desiderano imparare. Quali sono alcune delle cose buone che abbiamo visto nella tradizione orientale della domenica su cui i clistiani occidentali potrebbero riflettere con profitto? l) la domenica non è solo eucarestia. Se tutto ciò che nt hai di domenica è l'eucarestia, allora stai offrendo un banchetto con solo la portata principale. Credo che questo sia illustrato abbastanza chiaramente da ciò che ho detto a proposito della veglia. 2) la liturgia è liturgia, cioè servizio comune del popolo cti 11
O. Qément, L 'altltl! soleil. Noti!S d'autobiogrupbie spirilllelle
(Jl:tris: Stock 1975) 142.
12 P. Modesto, "lntervist.- a Tat'jana Gorireva", Russia cristiana 2 076) anno 6 (m;trzo-aprile 19tn> 5H.
64
3. lLt tlomelli
Dio. Lo illustrerò con un paio di esempi fomiti dall' esperi<:m..a JX.--rsonale. Una domenica del luglio 1%6 mi trovavo a Timi.:;o'c~ra, capitale del Banato, nella Romania occidentale, e decisi di andare alla liturgia domenicale nella cattedrale ortodossa. La chiamo fa liturgia domenicale perché ce n'em una soltanto. Era concelebr-c~ta da tre presbiteri e da due diaconi. Dato che non era un giorno di festa, l'arcivescovo non celebrava, ma presiedeva dalla sua cattedra nella navata. Il resto dei sacerdoti assisteva dal coro. Inutile dire che questa era anche la loro eucarestia domenicale e non una sotta di messa conventuale o di capitolo a cui erano obbligati ad assistere pro forma, e alla quale avrebbe fatto seguito la celebrazione privata della loro messa! Questa em la loro messa, la messa del vescovo, la messa della cattedrale, la messa di tutti. Un popolo, una comunità, una chiesa, una liturgia. Alcuni anni fa, la Domenica delle Palme, mi trovavo in una casa cattolica per rititi. Chiesi della messa domenicale e ricevetti uno sguardo perplesso che diceva: ·Ma non sei un prete?· e fui informato che là c'era una messa "per la gente" alle 7.30 del mattino. Siccome nutrivo l'illusione che io fossi "gente", mi concessi di partecipare. La celebrazione cominciò con il sacerdote che annunciava che non ci sarebbe stata l'omelia a causa della lunghezza del vangelo (a conti fatti, l'intera messa durò esattamente trentotto minuti). Non voglio proseguire in tutti i dettagli. Il celebrante fece ogni cosa da solo, comprese tutte le letture. Le ostie furono consacrate alla messa, ma non per noi. A noi fu data la comunione dal tabernacolo, dopo di che le ostie appena consacrate furono conservate per la settimana seguente. Sebbene la casa di esercizi fosse piena, c'erano pochissime persone a questa messa. Comunque, nel frattempo, molti preti stavano dicendo la messa privata (cioè solitaria) da entrambi i Iati della stessa cappella. E durante tutto il giorno, altri gruppi facevano le loro cose. Le palme vennero benedette ad altre due messe. Ma tutto era così diviso, così frammentato. Usemplice cristiano "non di cricca" che voleva la liturgia co-
65
della f)omenìc:t ddk P:tlml' ll
11\\Ullttria
ma non venivano a f.trlo mstemc; SI cltvtdev:tno. Sto l'\'idenziando il t~mo che da nessuna palle nella Chiesa orientale potrebbe aver avuto luogo quella scena. E non so di nessuna cattedrale della Chiesa cattolica romana dove la scena della canedmle di Timi~ara potrebbe aver luogo. Questo è pane di ciò che è sbagliato nella liturgia cattolica occidentale. È troppo spesso un incontro privato. 3) La liturgia domenicale orientale è tmdizionale. Èsempre la stessa liturgia familiare. Settimana dopo settimana gli stessi ùwitatori aprono gli uffici, le incensazioni sono sempre fatte nello stesso luogo e nello stesso modo, la litania della pace prega per gli stessi bisogni elementari. Il salmo 140 e l'inno della luce sono sempre il cuore dei vespli. Dopo il vangelo della veglia, è cantato lo stesso inno di risurrezione. Naturalmente ci sono numerose parti variabili, ma questo è un problema del clero e del coro. Tutto è familiare, è nostro, noi lo conosciamo. Non è noioso perché è splendido, ed è fatto bene. Così, in base alla mia esperienza, sono tentato di pensare che la mania occidentale contemporanea che cerca la varietà nella liturgia è dovuta al fatto che la liturgia è spesso celebrata in modo così povero-a volte così spaventosamente--<:he la gente si dà da fare per uscire dall'impasse cercando sempre qualcosa di nuovo. Qualcuno una volta mi chiese come preparare la lintrgia pa· squale. Suggerii alcuni vecchi elementi, come il cero pasqua· le. ·L'abbiamo fatto lo scorso anno•, fu la risposta che ricevet· ti. Bene, i cristiani hanno fatto tantissime cose per quasi due· mila anni, e spero che continuino a farle ftno alla pantsia. Il sug· gerimento non è per sostintire ciò che facciamo, ma per farlo sul serio. Né bisogna andare ad oriente per trovare esempi di ciò dte cerco di proporre. All'università di Notre Orune ogni domenica c'è sempre lo stesso vespro familiare, anno dopo anno: e nessuno protestt, perché è buond. Ce1to che una delle ragiont
66
per cui è buono l.· pere l! C: i: familiare. e quindi fattibile. Il var~re non è la risposta alla robaccia. 4) La liturgia domenicale orientale è tradizionale am.he perché è centrata. C'è veramente un solo tema di base: Gesu Cristo motto e risono per la nostra salve7J..a, che è con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi. Ma ho gi.à detto abbastanza
su questo punto. 5) Si potrebbero sottolineare molte altre caratteristiche. Tuttavia un'ultima deve essere segnalata: la liturgia orientale ha il senso della trascendenza. Questo è vero non solo per la l..imrgia in sé, ma per l'intera atmosfera di sacralità e mistero che avvolge ogni suo gesto e comunic-c:1 un senso di timore reverenziale. Vedere una lin1rgia bizantina nella cornice riccamente iconografica di una chiesa bizantina opportunamente arredata è varcare la soglia di un altro mondo, poiché in oriente iconografia e liturgia hanno la stessa qualità. La liturgia non è una "cerimonia"; è un oggetto di contemplazione, è una visione solenne piena di mistero, davanti a cui ci si prostra con timore reverenziale. Celebrando in questa atmosfera di profuso simbolismo attraverso cui cì si awicina allo splendore sovrannaturale della inaccessibile maestà divina, i cristiani orientali testimoniano l'esaltazione e la santificazione della creazione, la maestosa apparizione di Dio che ci divinizza attraverso la luce trasfigurante della sua grazia celeste. Non è solo questione di ricevere i sacramenti, ma anche di vivere abitualmente in un'atmosfera liturgica che ci stimola in corpo e anima a trasformard davanti ad una visione di bellezza e di gioia spirituale. La nostra modestia e umiltà di fronte a tale intensa espressi
67
dd dì~K'Of\{l.
Questi sentimenti trovano comunque equilibrio in un ~1 1rru tentt costantt.'ll'\entc tipetuto: Cristo è il Re ddl\miverso, cetto; ma è anche il divino fùantropo, l"'amanle degli uomini" che h.1 dato se stesso per la nostra salvezza. Non ~-olo nelle preghiere dei sacerdoti, ma anche nelle esclam.1zioni a cui il popolo risponde con il proprio "Amen", questo equilibrio tra la glorificazione e il tenero amore è un ritornello che si alterna costantemente. Poiché tu sei buono, o Dio, e amante degli uomini, e noi ti diamo gloria ... Ancora e ancora noi ci inchiniamo davanti a te e ti supplichiamo, o misericordioso amante degli uomini ... A te, o Signore e
Quindi non c'è solo maestà e timore, ma anche un'integrità ed un equilibrio, un senso equilibrato dell'interezza. La liturgia è trascendente ma non distante, ieratica ma non clericalizzata, comune ma non impersonale, tradizionale ma non fonnalistica. Tralasciando gli aspetti liturgici descritti, anche molti fattori non religiosi a livello sociologico e storico contribuiscono a fare della domenica ciò che essa è nelle tradizioni orientali. Per molti cristiani orientali, la Chiesa è divenuta e rimane il simbolo della loro identità nazionale, specialmente nelle aree come Serbia, Grecia, Macedonia e Medio oriente, dove secoli di tirannia ottomana hanno lasciato la gente senza altri baluardi di comune identità e rispetto di sé se non la Chiesa. Un secondo aspetto è quello della misura. Molte assemblee orientali sono piccole e, secondo gli standard occidentali, anche molte costruzioni di chiese orientali sono piccole. Questo ha un impatto considerevole sugli aspetti scenografici e conCl-eti della preghiera liturgica: il suo movimento e la sua messa in scena, la sua coreografia e il loro effetto. Molte chiese medievali bizantine non erano più lunghe di tre meni. Forse questa mi·
68
niaturizzazione rifletteva il desiderio di una liturgia piu intima che facesse da contrappunto agli cffeui del cambiamcmo verificatosi dall'apertura classica della liturgia antica al più l()ntano e inaccessibile culto del monachesimo medievale bil..antino. •J In ogni caso, questi piccoli aimi scacciano l'anonimato delle moderne comunità parrocchiali. E questo non è solo un fenomeno del vecchio mondo. Al contrario, si trova persino accentuato nella diaspora, dove le parrocchie rimangono spesso l'ultimo baluardo della vita comunitaria nazionale. In molte chiese degli Stati Uniti, dopo la liturgia della domenica mattina c'è un assalto al parcheggio, come se qualcuno gridasse "Al fuoco!" Questo non è vero in molte parrocchie orientali. Ognuno, quando il tempo è buono, fa un giretto e chiacchiera. Nelle patTocchie più piccole c'è un incontro per prendere un caffè nella sala parrocchiale. Questa sala è una componente essenziale della pianta della parrocchia, ed è il centro di tutta una serie di attività. Anche il giovane spesso irraggiungibile sembra attratto da questo ritrovarsi assieme. (In un giro di conferenze tra le comunità cattoliche ucraine del Canada occidentale, stavo nella canonica dei redentoristi ucraini a Saskatoon. Il posto, durante i pochi giorni in cui ero là, era invaso da adolescenti che venivano per vari incontri). Un'altra comunità orientale esemplare si trova vicino a Chicago, nella chiesa ucraina cattolica dei santi Volodymyr e Oll1a. La parrocchia, in un quartiere interno della città vecchia, qualche anno fa è stata scelta come soggetto di un programma alla televisione pubblica. Là non si trova solo la bellissima costruzione di una nuova chiesa completamente decorata con affreschi in stile tradizionale, ma questa parrocchia è diventata il nucleo del rinnovamento tubano deU'intern area. Gente che si era tr.lSferira verso i sobborghi è ritornata al vecchio quartiere. \écchi edifici 13 Ved. T. P. Mathews, "Priv-.lte liturgy in Bynntine _An.:hitature: Tow.trd a Reappr.ùsal", Cabters archéologtques ?IJ (1982) 125-138.
:~ono l't;tlll'Oillpr.lti. l'l'SI
··•· ·'eJ'l•nze I'>-1JKhetti ed altri avvenimenti socmh e culturah. Dietro Ja chiesa c'è un centro giovanile con un suo edifiCio. h} un'altrJ costruzione panucchiale c'è un centro culturale ucraino dove molti giovani che sn1diano per il sacerdozio abitano e condividono intimamente la vita della comunità. Di fronte alla chiesa c'è la casa di riposo, gestita anch'essa dalla pan·occhia. E c'è la liturgia. Il coro è superbo, dal punto di vista estetico le celebmzioni sono tra la più pura e migliore linu·gia orientale nell'emisfero occidentale. Ero là di domenica, i vespri del sabato sera durarono circa un'ora. Poi ci fu una cena nella sala parrocchiale, dove tenni una conferenza ad un uditorio di circa duecento persone, comprendente molte famiglie e giovani. Di domenica mattina, il matnttino della risurrezione iniziò alle ono, seguito immediatamente dall'eucarestia. Questi uffici del mattino, fatti in ucraino con grande venerazione e devozione, durarono circa due ore. Naturalmente qualcuno protesterà immediatamente: ·Un'ora di sabato sera, più due la domenica mattina-chi lo sopporterà?· Qualcuno non solo lo sopporta, ma lo chiede. Alcuni vengono solo per una parte, secondo la propria devozione, ma persino loro sarebbero gli ultimi a dire che bisognerebbe accorciare od omettere qualcosa. La liturgia in oriente è come la lin•rgia in un monastero. Ha una qualità indivisibile, un'oggettività che lichiede che il ciclo di preghiera sia compiuto nella sua interezza. Questo opus Dei è primariamente l'opera della comunità nella sua interezza, e non di suoi membri individuali. II fatto che qualcuno non possa o non voglia partecipare a nitto non è un argomento per la sua soppressione. Così nelle chiese orientali la gente entra ed esce dalla celebrazione a seconda del proprio fetvore e delle proprie esigenze. A Chicago, ad esempio, c'er.ano molte persone durante tutti i vespri del sabato sera, mentre ~.1. COIU 1
70
•
• '
•
; I.Jt tlrmu•ul•;(l lll'l/utrar/t;:t'm••ht1tlllfi>IO
pochi erano presenti all'inizio del mattutino dell
·n
Patrian:hate, Cllltmbé:.y-Genc!ve) n. 246 05 febbrnK> 1981) 7.
71
n1enk~t. t'ti andll' questa cifm
può cs..'ierc considerata generosa.~~ AJtn.· statistiche danno come pratica domenicale dei greco-ono. dossi dn.~t il6% nei paesi e il 5% nelle aree urbane, con una frequen71t in chiesa delle donne doppia Jispetto a quella degli uo. mini.~<> Tr.t gli slavi OJtodossi dei Balcani, la frequenza settimanale è ancom infe1iore." Per contrasto, nell'occidente supposto "secolare", in Francia, dove la pratica religiosa è notoriamente bassa. nello stesso anno il12o/o dei cattolici anelava regolarmente in chiesa. •~ E neUa Gennania occidentale il 30% andava alla messa la domenica ..., Basta questo per il secolarismo "occidentale" e la testimonianza ortodossa in occidente come comunità eucaristica di preghlera! Trn i cattolici ortentali la percentuale di quelli che praticano regoJannente e si comunicano è molto più alta. Ma l'onestà ci obbliga ad anunettere che, sebbene le Chiese orientali abbiano una gloriosa eredità ancora osservabile nelle loro liturgie domenicali e nelle prntiche sociali, potrebbero imparnre una o due cose dall'occidente cattolico sul portare Ja gente in chiesa e alla comunione. Tutti noi abbiamo dunque qualcosa da imparare l'uno dall'altro. Questo è il perché la risposta definitiva ai nostri problemi è la sola che Cristo in primo luogo ha avviato: l'unione di tutto in lui.
Episkepsis, n. 240 (l novembre 1980) 8. 16 M. Rinvolucri, Tbe Auatomy of a Cburcb: Greek Ortbodox)' Today(London: Bumo,; and Oates 1966) 27. 15
17 18 13, 15.
19
72
Ihid. In, e mie osservazioni in Serhia e Macedonia.
biformattou.s catboltques tmemaNonales n. 548 (15 marzo 1960) lbld. n. 557 05 dicembre 1980) 34.
4. Quaresima: una meditazione*
Molto nella spiritualità cattolica contemporanea dimostra un allontanamento daiJ'orienramenro più escatologico prevalente nella visione spirituale dei c1istiani antichi (1Pt 1,20). Naturalmente l'escatologia cristiana ha sempre sostenuto che gli ultimi giorni sono già aiTivati in Cristo. Ma questo è stato interpretalo a significare che in lui siamo già portati fuort dal mondo presente. 1 Ciò non significava che la trasformazione fmale di tutto in Cristo fosse per concentrarsi su questo mondo qui sotto. Sono sicuro che ciò che Tertulliano ci dice sarà per i più una novità: il cristiaoo non è interessato agli affari pubblici (Apo/38), desidera addiritnu-a essere portato fuori da questo mondo (Ad uxorem 1,5) ed è ·uno strnniero in questo mondo, un cittadino di Gerusalemme, la città di lassù· (De corona 13). Questa è stata tradizionalmente la posizione del monachesimo cristiano, sia orientale che occidentale. Ma è radicalmente differente dalla spiriruaJità inalrnazionista prevalente negli ultimi quarant'anni, che ci dice che, da quando Dio è diventato uomo, Cristo è il nostro prossimo e la vera opera della spiritualità cristiana non è abbandonare il mondo, ma immergersi ed afferrare la vita con entrambe le mani. La Tr.td. da "Lent: A MediWlion·, Wor:0ip ;1 0983) 123-134. Gal 1,4; Co/1,13; Fl/3,20; Eh 6,;.
73
giu~tizia è
pill im(X)Jtante della mo1tificazione, l'amore più imponante del celibato, e così via. lln 1isult.tto di questa ideologia spirituale contemporanea è l'~l\"er infeno un colpo mottale al digiuno, alla penitenza, alla mortificazione. Og._~i tra i religiosi contemporanei si possono ascoltare più cose da buongustai della cucina che sul digiuno-un controsimbolo impressionante per chiunque conosca anche superficialmente la letteratura spitituale alle origini della vita religiosa. Eppure il tempo di Quaresù11a è ancor~1 una delle pa1ti più importanti dell'anno liturgico. Un tale peliodo eli penitenza ha ancora quakhe significato reale per noi oggi? È nel contesto di questo dilemma che vorrei suggerire alcuni temi scrittuiistici e liturgici per una meditazione durante i quaranta giorru della Quaresima, per aiutare a ricavare senso dalla stmttura della penitenza in cui la liturgia ci introduce in questi giorni. Solo grazie ad una riflessione personale sulla tradizione possiamo decidere che cosa questa Quaresima potrebbe essere nella nostra vita. Il problema è ampio e complicato. Anzinttto esiste, per gli uomini e le donne di oggi, il dubbio assoluto sulla penitenza e l'ascetismo-un problema che deiiva dalla psicologia moderna, e la ricerca ili significato e sincerità in un mondo tecnologico sempre più disumanizzato. I cristiani moderni rigettano la penitenza e l'ascetismo perché spesso essi pmtano alla distorsione o alla distmzione di valori umani più impOitanti. Le cose difficili non sono necessariamente cose buone. La crescita nella libertà è più in1p01tante che la cieca conformità ad un insieme di regole. Lo sviluppo di sé è più importante dell'ali· to-repressione. E dal punto di vista pragmatico, l'ascetismo è spesso visto come falso-o almeno inutile perché non produce. Non siamo impressionati dalla pove1tà e dalla preghiera di un monaco dell'Athos quando abbiamo esperienza della sua opposizione fanatica all'ecumenismo o deUa sua faziosità contro i a·istiani che non appartengono alla sua Chiesa. Si trana dunque di un problema concreto. La penitenza non
74
4
Q11urvs1ma· 1111a 11N.'tlllo2Yfflt'
trasforma la gente in cristiani. E comunque, qual è il valore della pena auto-inflitra per gli uomini e le donne di oggi che spendono ~ttta l~ loro ene_rgia per eliminare la sofferen7.a e sviluppare nella hl:>etta la propna autonomia? Fuggire il mondo? Vogliamo immergerci in esso, affermarlo per tutta la gloria che ha! Per affrontare questo problema, andiamo anzitutto al Nuovo Testamento, unica fonte rivelata per capire la vita cristiana. Nel Nuovo Testamento è innegabile il molo della penitenza e dell'auto-abnegazione. L'esatta introduzione della preghiera del regno, la sua prima parola è, in re-altà, •metanoeite, perché il regno dei cieli è vicirlo- (Mt 3,2). E la vita del predicatore è testimonianza di ciò che egli predica. Il metanoeite del Battista è tradotto nella Vulgata •fJOenitentiam agite--storicamente forse la prima distorsione del significato della penitenza cristiana. la nostra "pena" deriva da poena (penalità, punizione), e si potrebbe ccr struire nttta una ricerca teologica attorno a questa confusione. Ma ora noi sappiamo di più. Ciò che Giovanni Battista, o meglio, il Precursore come è conosciuto nell'oriente cristiano, colui che venne prima per preparare la strada al Messia-ciò che Giovanni predicava era la conversione, un cambiamento del pensiero o della mentalità, meta-noiìs, come è chiaro non solo dal greco, ma da ciò che egli fece. Egli non spinse i suoi ascoltatori fuori nel deserto per imitare la sua vita ascetica; li invitò a cambiare vita e a portare buoni frutti, per paura che la scure si abbattesse sulla radice. E il suo battesimo era il rituale o l'espressione liturgica di questo "cambiamento del cuore". Infatti la vita è una celebrazione della realtà, e la liturgia una celebrazione della vira: abbiamo bio;ogno di esprimere ciò che siamo non solo per il gusto di esprimerlo, ma per esserlo, perché noi siamo persone, non anime e siamo noi, non le nostre anime, che Gesù è venuto a salvare. Quindi il pentimento del Nuovo Testamento è accompagnato dall'espressione di ciò che lo precedeva interiormente: il riconoscimento e l'ammissione deffa realtà di ciò che siamo (cf Lc5,8; 18,13s).
75
lln po' do!X), l'annuncio da pa11e di Gesù della nuova legge in MI S
Si potrebbe obiettare d1e qui Gesù fa di necessità vi1tù. Ea volte la Chiesa ha fatto proplio questo, trasfonnando la coercizione in santità, la scarsità in pmvvidenza. Dove uomini e donne non avevano nessuna scelta, nessuna opzione, la teologia andava in soccorso, alleviando l'impotenza ed esaltando l'inutilità, spesso a favore proprio della Chiesa, così che era una vera e propria inerzia davanti al potere a passare per confonnità al volere di Dio. Ma non è questo che Cristo intendeva. Giovanni Battista attaccava i sadducei e i farisei, e Cristo stesso era molto più che un rivoluzionario di quanto molti leaders della Chiesa di oggi abbiano il coraggio di ammettere. Credo sia solo la croce a fornirci la base per una teologia veramente cristiana di autorinuncia e penitenza. Il Nuovo Testamento non dice praticamente niente su ciò che oggi è capito spesso come penitenza: l'inflizione di auto-punizione. La penitenza del Nuovo Testamento è metanoia: l'imitazione di Gesù liberandosi dal vecchio Adamo per rivestirsi del nuovo, morendo a noi stessi per poter di nuovo risorgere in Cristo. E ciò implica l'ascetismo: .se qualcuno vuoi venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.•2 Questo ascetismo non è niente di più d1e la necessaria og· gettività e distanza da qualunque cosa sia precalia e secondaria nello sforzo umano; l'autodisciplina necessaria a mantenere la ve· l"d libertà e a fare le giuste scelte, la distmzione dell'egoismo da parte della persona onesta che ha il coraggio di stare allo scope1to
2
76
Mt 16,24·25; cf Mc H,34-35; Le 9,23-24.
'l Quan.,;tma: mru rn.'iltfazt(Jne
davanti a sé e a Dio. ·Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me- ( Gal2,20). Questo è il pun.. todi tutto, non un ripiegarsi su di sé, non una concentrazione su un'autodisciplina come una sorta di atletica spiriruale, ma un'apertura alla nuova vita e, attraverso di essa, un'apertura agli altri, scopo a cui si suppone tutto conduca. Non dimentichiamo che ci sono solo due comandamenti, e il secondo è lo stesso che i1 primo. La penit~nza del Nuovo Testamento è quindi nel segno della croce. E una vita faccia a faccia con il mistero della morte come un segno della vicinanza a Dio, poiché Cristo è ·il primogenito dei mortf, (Ap 1,5). E la sequela di Cristo, sia sul piano operazionale che mistagogico (o se si preferisce ontologico), è una radicale trasformazione nella morte di Cristo. Siamo stati creati secondo l'immagine di Di(}-kat'eikona tou 7beou-ma secondo i Padri greci questa immagine di Dio è il Logos; noi viviamo quindi a ìnunagine dì un Dio che è morto. Il grande paradosso della vita cristiana è che la morte di Gesù era la morte della morte. Tuttora possiamo entrare in questa nuova vita solo attraverso la morte di sé, inclusa l'accettazione della morte fisica. David M. Stanley, nel suo splendido libro Un approccio seri/turistico moderno agli Esercizi Spirituali, ha espresso così questo insegnamento paolino: Gesù Cristo, accettando la sua morte in tutta la sua realtà concreta dalle mani dal Padre, ha distnmo per sempre la solidariefà pe<..'caminosa che aveva legato l'umanilà al primo Adamo. Infatt~ egli liberamente ·divenne obbediente fmo aUa morte, e alla morte d1 aoce· (Fi/2 8) come l'unico redentore·rappresentante di rutra la raz-
za. Con Ìa ~ua risurrezione, Cristo creò una nuova solida~ S(}vrannaturale di grazia, creando quindi la pos,<;ibilità di una ~:wone completamente nuova dell'uomo verso Dio come propno Padre, · F1g · 1·10 d't.o·lO.·Ed egli è morto attraverso la sua unione con l'umco . per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se Slesst, ma per <:olui che è morto e risuscitato per loro- (2Cor5.15). Tunora, affinché l'uomo pos.<;a ~on-;e~ire ~~ sta salvezza, deve passare attraverso l espenenza redentiva
cllrn·fil,."-'"''' ,·/ ou ,,,.,,,,. 'R 1: 7itfl
l:t motte nistian:t, la "nuova l'l~tzione" che è divenula una realt;ì nel. la mol1l' di lìesù. La possibilità di raggiungcrl' questa esperienza mtàtlc nt.•n:ssari:t, itt-;c"'gn:t Paolo, è apctta inizialmente all'essere unttno a!tt~t\'l't'SO il battesimo, (Xlltedpazione sacramentale alla motte rctlentiv:.t di Gt'SÙ (Rm6,3-4). Ma è necessaria anche un·altt:tcs~ 1ie1JL1 la p:utedpazionc alla risutl'ezione di Gesù, che il hallesimo rende pu: re pos.sihile, per il completamento della salvez.za dell'uomo: ed essa ;tvviene alla pan.tsia (1Cor15,23s.s). Così, nel pensiero di Paolo, la sottolineatura non è sulla natur:J vicaria dell'opera redenllice di Gesù, sebbene questo elemento non sia as.sente, piuttosto sull'eftìcacia della motte e risturezione di Cristo nd coinvolgere l'uomo in un'esperienza umana totalmente nuova. Per questo egli è preparato in questo mondo dai sacramenti cristiani, soprattutto (k1l battesimo e dall'eucarestia. Comunque in definitiva egli è salvato dall'es.sere totalmente confonnato a Cristo a!traverso la morte e la rislllrezione in Cristo, che mostf'J in se stesso come "ultimo Adamo" la fonna defmitiva della natura umana redenta. 1
Tale tema della morte è presente fin dall'inizio della vita cristiana, quando ne] battesimo siamo battezzati neBa morte di Cristo, come dice san Paolo (Rm 6,3-11). È questo che rende possibile la conformità alla sua vita, alla sua immagine. Per il cristiano la sequela di Ctisto non è mai puramente di attività, ma una conformità di noi a lui, per lui, nel mistero del suo Spirito che ora dimora nella Chiesa. Come chiariscono le catechesi mistagogiche del IV secolo, noi non solo ci sforziamo di imitare la bontà della sua vita, ma egli ci rende conformi a se stesso nel mistero liturgico della Chiesa. Negli insegnamenti di Origene questa è esplicitamente un'introduzione alla storia della salvezza, ed in questa prospettiva appare la quadrupla dimensione della storia della salvezza: la prefigurazione dell'Antico Testa· mento rivelata da Cristo; ri-presentata a noi nella vita e nella li· turgia della Chiesa; vissuta da noi nella "liturgia" di ogni gior· no che è la nostra vita in Cristo. Se la vita cristiana è in sostan· 3
78
(Chicago: Instilule of jesuil Sources 1967) 294-29;.
1 !,!uure.\lmu· rmu medlluz/lme
za una configurazione alla morte e alla risurrezione di Cristo, i sacramenti dell'iniziazione sono solo l'iniziazione radicale, mistagogica di un lungo esodo di combattimento spirituale, secondo l'insegnamento di Crisostomo. Poiché come egli dice, iJ Cristo presente in noi è un Cristo crocifisso, e la sua vita crescerà solo in una carne crocifissa. Sia Crisostomo che Cirillo di Gerusalemme esprimono questo processo di crescita in termini di un esodo spirituale che il neofita, come l'ebreo in Egitto, inizia in compagnia di tutta la Chiesa. E, secondo la densa espressione di Evagrio, l'ascesi è un elemento essenziale di questo processo, dal momento che è il solo modo che Dio ci ha dato per distaccarci da noi stessi. Questo ci polla alla pratica della Quaresima, dal momento che abbiamo discusso il molo della penitenza e dell'ascetismo in termini personali e liturgici, e la Quaresima dovrebbe produrre l'unione di entrambi. Come preparazione non solo per la Pasqua, ma per il battesimo, la Quaresima è rivolta non soltanto alla vita (risurrezione), ma alla morte che la precede: la croce, vita come morte battesimale in Cristo, vissuta nella morte a se stessi. In termini scritturistici, la Quaresima è un tempo di deserto. Nell'ambiente medio orientale delle Scritture, la battaglia per la vita è una battaglia per l'acqua, e il deserto è il luogo della maledizione per eccellenza. Abitabile solo da bestie selvatiche, il desetto è ostile agli umani; là solo il maligno vaga liberamente, intrepido e indiscusso. Ma è anche là che è più manifesto il potere di YHWH, perché nel deserto non c'è salvezza se non in Dio: è là che YHWH è il ·Dio che salva•. Il grande dono di Dio a Israele fu condurlo fuori dall'Egitto per il deserto attraverso le acque del Giordano nella Terra Promessa. Dio ci conduce fuori dal deserto il nemico desidera. portarci nelle sue profondità per sconfiggerei (cf Le 8,29 e il rito del capro esptat~no ~ Lev 16,20ss). Il desetto è anche dove il nemico cerca rifugto quando è scacciato (Mt 12,43). '
•
•
o
79
Olttt• l ut1t'lfh' l' /rlttlc/1'1111' H l; lilfl
Allor;t, pt•rché il Battista. Cristo, c più tardi i monaci anda-
,·ano nd dt•serto? Nel simbolismo della Scrittura, non era per fuggire il mondo che Dio conduceva nel dese11o il suo popolo, Giovanni il Batrista, Gesù, e più tardi gli anacoreti e gli ere. miti, ma piuttosto perché potessero manifestare là, dove la battaglia è più difficile, la sua vittoria e i suoi diritti. Se Cristo si ritirò nel desetto dopo i suoi miracoli, non era per fuggire, ma per incontrare la potenza di Dio.' La storia della salvezz.'l iniziò in un giardino ed è stata guastata dal cibo; la Buona Notizia si apre nel deserto ed è accompagna· ta dal digiuno. Questa è l'antinomia della storia della salvezza po· sta simbolicamente dalla Quaresima. Solo con la preghiera e il digiuno alcuni demoni sono scacciati (Mc 9,29). Il desetto è quindi la figura perfetta del "mondo" nel senso del Nuovo Testamento. È il regno di Satana, ostile a Dio. È là che il Figlio dell'Uomo deve predicare la Buona Notizia. Il "tema del deserto" della Quaresima, quindi, non è un invito a fuggire il mondo reale. Inoltre, in recenti discussioni sulla "città secolare" di fronte alla Chiesa c'è stato in generale troppo parlare della "rilevanza" e della "fuga dal mondo reale" e dei "ghetti culturali". Il mondo del cristiano che sta nella veglia davanti a Dio è "reale" esattamente come qualsiasi "reale", e coloro che non hanno mai fatto esperien· za di ciò sono quelli inguaiati in un ghetto irrilevante e irreale. Richiamando il modello biblico della storia della salvezza, la nostra storia della salvezza e il significato della Quaresima per noi diventano chiari. Ciò che fece Israele prefigurò Cri!,to; ciò che egli fece, la Chiesa lo ripresenta nella teofania liturgica quotidiana del· la sua azione salvifica così che essa può toccare le nostre vite. Ma ciò che la dliesa attualizza in noi radicalmente attraverso la sua vita sacramentale deve essere da noi vissuto nell'esodo del nostro pellegrinaggio. Israele attraversò il deserto entrando in 4
80
Mc 1.35; Lc4,42; 5,16.
Israele, e così devo fare io. Naturalmente non ci ritiriamo fisicamente in un deserto. Per noi il deserto della Quaresima, come rurta la liturgia, è un luogo spirituale: un riatteggiarsi del cuore con l'ascetismo di un ritiro non dalla vita, ma dall'attenzione ai nostri "io" insignificanti, e dalla massa di cose irrilevanti di cui ci circondiamo. Questo non per fuggire la vita, ma per iniziare a vivere evitando le innumerevoli droghe con cui abitualmente intorpidiamo le nostre sensibilità spirituali. Proprio come il deserto bilancia il lussureggiante giardino orientale dell'Eden, allo stesso modo anche il frutto proibito ha la sua antitesi nel digiuno. Credo che, per capire ciò che il digiunare rappresenterebbe per noi, dobbiamo ricordare nruolo straordinariamente ampio giocato nella Bibbia dal cibo e dal mangiare. La rivelazione è immersa nelle abitudini più semplici della vita. Abbiamo mai considerato quante volte Cristo mangia o parla di mangiare nel Nuovo Testamento~ Si tratta di qualcosa di intimamente connesso con la tradizione veterotestamentaria del pasto messianico: sedere a tavola e festeggiare con il Messia è uno dei segni del regno: ·E io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno.• 6 Questi pasti con Gesù mostrano la differenza tra il periodo di Giovanni il Battista (il digiuno in attesa del regno) e la venuta di Cristo (un periodo di gioia e di banchetto). Gesù e gli apostoli non digiunano, perché, come Gesù stesso dice, non si digiuna quando lo sposo è con noi. 7 Ma la nota toccata da Cristo al termine deUa sua vita, nel voto di astinenza,g introduce il tema del digiuno nelb 5 Cf MI 9,11: 14,15-21; 15,32-38; 22,1ss: 25, 10; 26,20s:;; :Mc 8·!;~ 14,3-25; 16,14; Le 5,29-35; 7,33-34; 9,13-17: 1~,40; 11.37s.~; 13:29. 1 ~·~ i7' 22,16ss.29-30; 24,28-35.41; GtJ 2,1-11; 6; 7.33-;o; 13ss; 21,9-13, Ap l • · · 6 7
Le 22,29-30; cf 13,29; Mt 22,1s.~. Mt9,15; Mc 2,18-20; Le 5,33-35: 7,33-34.
8
M/26,29, Mc 14,25; Lc22,16.
81
\it:t t:rish:m:t tra I';IS<."t'lt'\ione l'la pamsia, tìncht· ~IITivi la pienezza dd l'c~no: ·l~• donna invece fuggì nel dese11o, ovc Dio le aveva p 1 ~par.tto un rifugio perché vi fosse nutrita pc.T milleduel..'l'rtW~"CS..."
9
82
Mt24.42-51; 25,1-13; Mc13,33-37; Le 12,35-40.46; 2Pt 3,10; Ap3.3.
·1 f.JIItln~sJma ,1,a 11u:t/ttuz;,,,_.
Non aspettiamo dunqut: dalla liturgia qualche tipo di Y>luzi
83
no i soli ~ìomì in cui era celebrata pienamente l'eucarestia. Ma il d~~iuno è Jichiesto non solo dalla natura della Chiesa, ma andlt.• dalla natur.1 umana. Questo è il digiuno ascelico, il digiuno nL>ikl Chiesa. Cristo digiunò in preparazione al suo ministero (M/4,2) ed è soltanto digiunando che alcuni demoni sono scacciati (MI 17,21). Ècon il cibo che Satana sedusse Adamo ed Eva. Quindi il digiuno ascetico è il simbolo radicale della nostra pos~ zione quaresimale davanti a Dio. È la rinuncia, l'esorcismo di Satana accettando il paradosso che coloro che non mangiano muoiono, ma d1e solo d1i perde la propria vita la troverà, perché non è di solo pane che si vive. Ma la sua assoluta raclicalità, almeno nell'intenzione simbolica, porta alla libertà perché è vera morti· fìcazione, cioè morte di sé per la rinuncia a ciò che è considerato necessario per vivere. Iltifiuto di sottomettersi alla necessità è libertà, parte dell'essenza di tutta la vera vita in Cristo. Così non c'è niente di innaturale o di degradante nell'ascetismo quando è inserito nel contesto della tradizione. Qui non c'è una negazione dei valori umani per i cristiani che sanno nella fede che cosa essi siano. Con le parole di Origene, la vita in Cristo è una partecipazione al mistero della Chiesa, e il mistero della Chiesa è un mistero nuziale, un mistero di fedeltà totale attraverso l'amore che unisce. Ma l'unica prova defmitiva è la fedeltà fmale attraverso il tempo, e questo significa morte di sé, dell'egoismo; e significa pazienza e sofferenza. Tale è il motivo per cui per secoli la Chiesa non ha definito "santo" e non ha celebrato liturgicamente nessuno che non fosse un martire. Il martirio era prova di santità non a causa dello stoicismo o perché d sia qualche valore nella sofferenza, ma perché era un segno eli amore duraturo fino alla fine. Come ha detto Ctisostomo, la carità senza martirio può fare seguaci, ma mai vengono generati seguaci da martiri senza carità. 10
lO
84
De Sa neto Romano mal"t)'n! I, 1.
Non possiamo essere tutti martiri, ma possiamo e dobbiamo dare tutti testimonianza del nostro amore duraturo. Allora la Chiesa iniziò ad assimilare ai martiri e a chiamare usanto~ chi attraverso l'ascesi era morto a se stesso per vivere per Cristo, per il Cristo totale che è ciascun uomo e donna. In questo vediamo il profondo valore umano dell'ascetismo: l'apertura agli altri è l'inizio della crescita, e la morte di sé è la condizione di questa apertura. Naturalmente è difficile morire a noi stessi quando non sappiamo chi siamo-un problema attuale molto particolare-ma questo non dovrebbe scoraggiarci, poiché aprendo noi stessi a Cristo negli altri noi scopriamo chi siamo nel senso più profondo della parola, molto più profondamente che attraverso un cammino superficiale di autoaffermazione emerso dall'insicurezza di una immagine di sé indeterminata. La Quaresima, dunque, come il battesimo a cui originariamente essa preparava, ci dovrebbe portare faccia a faccia con il mistero della morte, e quindi con noi stessi, perché la morte è la sola cosa che dobbiamo affrontare completamente da soli. Allo stesso modo in cui è un errore pensare a qualsiasi aspetto della vita cristiana come ad un evento statico, così anche la morte. La morte non è una porta attraverso la quale passeremo una volta, ma un passaggio in cui entriamo fisicamente alla nascita e misticamente in Cristo al battesimo: •Non so' no più io che vivo, ma Cristo vive in me• (Gal 2,20). Abbiamo meditato sulla nostra tradizione estremamente ricca, e di questo tradizionalismo non mi scuso affatto. Guardiamo infatti al passato, alla nostra memoria collettiva. alla memoria di una realtà salvifica resa presente ora dalla Chiesa che è la radice di tutto ciò che la cristianità ha sempre inteso.'Harvey Cox sbaglia dicendo che la Chiesa guarda SO:, al futuro. Soltanto coloro che non hanno passato possono : frontare tale schizofrenia. Noi viviamo tanto di fede che di speranza, e la vera soluzione della polarità passat
85
srritt;1 nell:t vita liturgica esprimendo l'eterno nel tempo e oltre: passato c futuro diventano presenti nella celebrazione cristiana della vita, a condizione che accettiamo il presupposto di questa realtù: che il mondo eli questa nuova vita è un mondo oltre la morte. e qui sulla terra ciò significa motte a sé. Questo, dunque, è ciò che è la nostra liturgia in senso più ampio: la celebrazione cristiana della vita, dove la vita eli Cristo tocca le nostre. Questo non significa che liturgia e vita abbiano sempre la stessa estensione, perché il legame con Cristo può essere dissolto. Se la nostra liturgia non è un momento privilegiato che festeggia una realtà permanente nelle nostre vite, allora è una vana esibizione. Se la nostra veglia celebrata non è lo scoppio comune in canto e preghiera dell'anima cristiana vigile davanti a Dio, allora cosa significa? Il movimento è naturalmente dialettico: la lintrgia non è meramente espressione, ma anche fonte trasformatrice di ciò che dobbiamo essere. E questo dev'essere vero per la nostra veglia di Quaresima, che è il motivo per cui abbiamo parlato di così tante cose, poiché nme fanno parte della nostra intera vita in Cristo, ma noi siamo chiamati a celebrarle ora in un modo speciale. Allora, che cosa dovremmo fare durante la Quaresima? Proprio questo: celebrare l'evento permettendo agli elementi che abbiamo discusso, che sono parte della nostra esistenza quotidiana di ogni tempo, di emergere alla superficie ed arrivare ad espressione ed unità attraverso la tradizione della Chiesa come è tipresentata nella liturgia della Quaresima. Così che a sua volta essa possa, attraverso l'azione sacra della Chiesa orante, far sì che il dito curativo di Dio possa poggiarsi sulle ferite della nostra vita. La tradizione non distruggerà la nostra libertà ma la petfezionerà, così come l'eternità non rende il tempo assurdo, ma gli dà piuttosto il giusto peso. È nel nostro "typikon", nelle nostre usanze e nei riti antichi, che la Chiesa ha nascosto la sua comprensione e trasformazione del tempo. La nostra lintrgia quaresimale non è una questione di "programmazione di uffici", né
86
di "santificazionc dd tempo··. ma di santificazionc della vita mediando a noi la presenza di Cristo nel nostro temJXJ. Solo urn tale comprensione della liturgia non divide la vita in sacr& e profana, ma trasfigura l'una nell'altra, rende tutta la vita una testimonianza al Signore. Poiché egli è venuto non per "simbolizzare" la sua presenza reale nella liturgia, ma per trasformare e salvare, attraverso la sua reale presenza in te e in me. La Quaresima sia dunque un tempo curativo (salus, salvezza) e il nostro digiuno sia la "dieta" di questa restituzione di salute. Entriamo nel deserto dei nostri cuori dove, messe da parte le discussioni, possiamo affrontare ciò che siamo, ed in compunzione, penthos, facciamo "penitenza"-cioè, metanoia- di questa realtà, morendo a noi stessi, così da poter vivere per gli altri, mentre facciamo la veglia prima della venuta del Signore. Ho forse dipinto un quadro macabro, incompatibile con la gioia pasquale che permea la tradizione cristiana? Nikolaj Arsen'ev ha scritto che la gioia della risurrezione è il tratto fondamentale della visione ortodossa del mondo. Ma san Pimen disse all'abate Arsenio, molto tempo prima che chiunque sentisse parlare del suo omonimo Arsen'ev: ·Tu sia benedetto per aver pianto su di te in questo mondo di quaggiù•. La contraddizione è solo apparente. La gioia del Tabor è sulla vetta di una montagna spirin1ale-o, se si preferisce Climaco, in cima ad una scala-e tutti i Padri sono d'accordo che si tratta di un'ardua salita. Forse Simeone il Nuovo Teologo ha sintetizzato la fusione di entrambi gli elementi quando ha parlato di •Un canto mescolato alle lacrime-. Il canto è il canto della risurrezione, e le lacrime non sono la tristezza interdetta di chi non è salvato-nessun cristiano può essere ttiste-ma il pentbos di cui parlano i Padri. Entrando allora di buon grado nel deserto della nostra Quaresin1a, noi conosciamo che la rismTezione di C~o è sùnboleggiata per noi dal cero pasquale già acceso, che o P~ come la colonna di fuoco che condusse gli ebrei anraverso il~ serto alla terra promessa. È questo che dà significato a rutto.
5. la frequenza dell'eucarestia nella storia*
Gesù ha detto: ·Fate questo in memoria di me-. Non ha detto quanto spesso, e il problema che ci troviamo davanti è quello delle diverse risposte date a tale domanda nel corso della storia. nmio punto di partenza sarà la tradizione eucaristica cristiana stabilita di questo "comando di reiterazione" riportato da Le 22,19 e da 1Cor11,25-26, ma non da Mc o Mt. Se Gesù lo abbia detto realmente, e se fondamentalmente è emerso come l'eucarestia vada contro le aspettative originali di un'inuninente parusia, va oltre lo scopo del mio interesse qui. Anche con l'eliminazione di tali questioni spinose, ci sarà spazio solo per il più semplice abbozzo dell'evoluzione generale, sebbene riconosca che si possano trovare eccezioni a qualsiasi quadro generale. Anzitutto alcune distinzioni. Ci sono eucarestie comunitarie ed eucarestìe di carattere più privato. C'è la liturgia eucaristica, o messa; e la comunione eucaristica, durante la messa e non; e la relativa frequenza di ognuna. Infme, ciascuna di queste "eucarestie" ha i propri ritmi e richiede una propria risposta individuale alla domanda "Quanto spesso?". Qui il nostro interesse principale non è la frequenza della comunione-
• Rivisto da Concilium 1;2 (1982) 13-24.
89
con che frt'<-}lll'l17.:1 è celebrata la messa o la comunione 0 resa disponihik :ti comunicanti fuori dalla messa.
1. l primi tre secoli [}.ù Nuovo Testamento nulla eli certo possiamo concludere circa la frequcn7.a dell'eucarestia. Tutti erano "assidui" nella "frazione del pane" (At 2,42), sebbene quanto spesso non sia indicato: !'-ogni giorno· di At 2, 46 si riferisce con ce1tezza soltanto alla preghiera del tempio. Un incipiente litmo domenicale può essere implicito in At20,7-12 e in lCorl6,2 e lo stesso si potrebbe dedurre dalle cene del Signore risorto al "primo giorno", o dal parallelismo tra la "Cena del Signore" e il "Giomo del Signore" in Ap 1,10.' Dalla metà del II sec., tuttavia, il quadro è chiaro: per la sinassi comunitaria, domenica ed eucarestia formano un'unità come celebrazione simbolica della presenza del Signore riso1to fra i suoi, presenza che segna l'avvento della nuova era. 2 Generalmente si conviene che ciascuno dei presenti si comunicasse. Sebbene questa sinassi domenicale costituisse inizialmente l'unica eucarestia comune, era consuetudine per i fedeli prendere da essa una certa quantità dei santi doni, sufficiente per comunicarsi durante la settimana. La testimonianza di ciò, a pattire da Tertulliano, è incontestabile.-\ Questa pratica della comunione fuori dalla messa si è conservata fra i laici fmo al VII secolo,' e negli ambienti monastici anche oltre, come vedremo. l
Vedi \V/. Rordorf, Sutlday(Plùladdphi.a: \Y/estminster l %H) 205ss.
2
Vedi Giustino, Apo/.1, 67, 3-7, PG 6, 429-432.
3 Tertulliano, Ad ttxon!m 2, 5,2-;s, CCL 1. 3h'9ss; Cipriano, De /apsts JfJ, CU 3, 235; Severo di Antiochia
4
90
NtL'ishaum. Die Auj1)(.ift/Qbnm.~ 269, 274.
5. ILt {IW(III'rtZtt ddft:utun:vtu nt:lkt
""''<'
Oltre a questi usi "ordinari" dell'eucarestia, si ~volg~ano delle celebrazioni eucaristiche "occasionali" per gmppi speciali e scopi del più svariato genere: sul luogo della sepoltura,~ negli oratori dedicati ai martiti," nelle celle dei prigionieri,' nelle case private.• Neli'Aflica del nord queste eucarestie "particolari" erano così comuni che Cipliano (t 258) riferisce di sacerdoti che celebmno qootidianamente la messa,'1 forse per soddisfare a questa domanda. Ma questo genere di messa di un "piccolo gmppo" non dev'essere confuso con la messa "privata", che appare solo più tardi. A partire dalJa fme del II secolo assistiamo ad un rimpolpamento del culto comunitalio. Le messe vengono celebrate sulle tombe dei martili nell'anniversario della loro vittoria. Wl Il sabato viene gradatamente assùnilato alla domenica e, a partire daJ N secolo, ovunque, tranne che a Roma e ad Alessandria,' 1 acquisisce una celebrazione eucaristica. E nell'Africa del nord, al tempo di Tertulliano (ca. 200)1 2 le stazioni settimanali, o giorni di digiuno, del mercoledì e del venerdì sono già diventate giorni eucaristici.
2. L'eucarestia dopo Costantino Con la pace di Costantino (313) e la diffusione del movimento monastico, dobbiamo distinguere non soltanto le eu-
5
L'apocrifo Atti di Giovanni (ca. 170) 72,85-86. H. Ddehaye, Les orlgfnes du eu/te des martyrs (Subsidia hagiogr.tphk."a 20, Bmssels: Société des Bollandistes 1933') 31ss.
6
7 H
Cipriano, Ep. 5, 2, CSEL 3, 479. Cipriano, Ep. 63, 16, CSEL 3, 714: vedi anche sotto le nOle 13-22.
9
Cipriano, Ep. 57, 3, CSEL 3, 6;2.
lO
Veùi sopra nota 6.
11 Rordo1f, Sunday 142-153. . · rda l'euc:uesna 12 Deoratfotle19, CCL l. 267-268. l'er qullntO ngua ..-........h(LQF nei giorni stazionali, vedi J. Schi.immer. Dle altcbrlst/tcb Fast~''f'' -~ 27. Mi.lnster: Aschendorff 1933) 105ss.
91
t..':lrt'Stie "comunitarie", quelle "d'occasione" o "domestiche", ma ~tnche
la prJtica "monastica". Sia in oriente che in occidente, la pratica delle eucarestie "domestiche" diventa comune. In Cappadocia, Basilio (t 379) allude a sacerdoti sotto interdizione che possono celebrare l'eucarestia soltmto in abitazioni private.'-' Gregorio Nazianzeno (t ca. 389) celebra nella casa di sua sorella, e il loro padre, anche lui vescovo, celebra un'eucarestia nella notte di Pasqua nella sua camera di malato. 14 Le liturgie nelle case sono una pratica ben consolidata nella Costantinopoli del V secolo, come il patriarca Nestorio (428-431) viene informato quando rimprovera di ciò il presbitem Filippo.•~ Ambrogio (t 397) celebra per una nobildonna romana nel suo palazzo a Trastevere, 16 e Melania la Giovane (t 439) ha il proprio cappellano Geronzio che celebra la messa per lei quotidianamente, -come era usanza della Chiesa romana•. 17 Ma certo la situaZione divenne incontrollabile, così che il Concilio di Laodicea (ca. 360-390) e quello di Seleucia-Ctesifonte (410) vietano completamente la pratica, mentre il secondo Concilio di Cartagine (ca. 390) richiede per questo l'autorizzazione del vescovo.•~ La pratica comunque continuò. Resistette in occidente nonostante i tentativi dì sopprimerla fmché alla fine non vi riuscì la XXII Sessione di Trento (1562). 19 Nella Chiesa ortodossa, la 13
Ep. 199, ed Courtonne II, 155.
14
Or. 8, 18, t>G 35, 809ss; Or. 18, 29, PG 35, 1020-1021. Vedi F. van
de Paverd, "A Text of Gregory of Nazianzus Misinterpreted by F. E. Brightman~, QCJ>
1; l, 1322.
42 0976) 197-206.
]. Hardouin. Acta cottcflionnn (Paris: Typogr.tphia Regia 1715)
16
t>aolino, Vita Ambrosti 10, PL 14, 30.
17
R. Raahe (ed.), Petrus der /bett!r(Leipzig: J. Hinrichs 1895) 36.
18 Man.c;i 2, 574 e 3, 695; J.-B. Chabot, Synodicon orientale (Pari.~: Imprimerle nation:de 1902) 267. Sulla questione ved. J. A. Jungmanfl, Mtssarum sollemnta l, parte
n. s.
19
92
Jungmann, loc. ctt. nota 22.
5. f.tl freqw.mza
ciel/ 1:1/WTNWTU!fla f/ttrfo
troviamo ancora nel VII secolo. l.a vira del cipriota san Giovanni Elemosiniere (t ca. 620), patriarca calcedonese di Alessandria fa due volte allusione al vescovo che celebra privatamente neÌ proprio oratorio domestico. 1'' Il canone 31 del Concilio Quinsesto in Tmllo (692) esige, per la pratica, l'autorizzazione del vescovo-sicuro segno che essa era ancora in vigore.zl Infatti le cappelle di famiglia, o euktéria oikoi, erano cosi comuni che costiniivano una categoria speciale nell'ambito del diritto bizantino concernente la proprietà. 22 Nell'uso comunitario, o "di cattedrale" è assolutamente certo che si celebrasse quotidianamente la messa a Milano,Z.I ad Aquileia/ 1 in Spagna2; e nell'Africa del nordx. dalla fine del IV secolo. Agostino (t 430) ci dice cose diverse per l'oriente,27 ma ciò non significa che l'eucarestia quotidiana fosse un fenomeno esclusivamente occidentale. L'attestazione orientale è più disparata, e non sempre è chiaro a qual genere di liturgia si riferisca, ma il processo di completamento della settimana euca20 Ca pp. 39, 42, H. Gdzer (ed.), Leontfos'IJ01l Neapolts Lebell des hl. Iobatmes votzAlexarzdriell(Freiburg!B.- Leipzig:J. C. B. Mohr 1893) 77-78, 84; trad. in E. Dawes e N. H. Baynes, 7bree By:zat~ttue Salflts(Oxford: B. Blackwell1948) 247, 250. Sono grato a T. Mathews per questo riferimento e per quelli alle note 22. 81. 21 G. Nedungatt e M. Featherstone (edd.), 7be Cowu:if t, Truffo Revisited(Kanonika 6, Roma: PIO 1995) 1o6 =Mansi 11,956. 22 Codex Justttztanus I, 2: 25, P. Krueger (ed.), Corpus turis ctvt/ts Il (Berlin: Weidmann 1900) 18.
23 J. Scluuitz, Gottesdietzst im altcbrlstltchetzM'!i~lui(Theopbmeia. 25, Bonn: P. Hanc;tein 1975) 233-240. Natur.ùmente, leSLstenza della messa quotidiana non ci dk-e niente su dù vi assL~~-;e. Ju~gma~ ~nna che solo nel tardo periodo carolingio vediamo in <>Cadente t fedeli a.'iSI.'itere quotidianamente alla messa (Mfss. sollemni/J I, parte 11.7). 24 Cromazio, Tract. 14 in Mt. 6, 5, PL 20, 361. 25 Toledo I (397-400), canone 5, Mansi 3. 999. 26 Agostino, De serm. itl monte Il, 7, 6, CCL 35. 114-115; Trac/. irz lob 26, 15, CCL 36, 267; Ep. 228, 6, CSEL 57, 489. 27 De senn. 111 mo11teOoc cii.); cf Ep. 54. CSEL 34. 161.
93
ristk1f era chi:munenre cominciato anche lì. Ad Ales.,mchi~l Atanasio (ca. 340) e Sonate (ca. 38()) lìmitanoenu~unbi J'euc;ut·stia alla domenica,.!ll ma i Res;xmsa canonica attribuiti al patriarca Timoteo di Alessandria (381-385) parlano di euc:~resria ;ti sabaro, così come alla domenica/'' e secondo Cas.-;iano i monaci egiziani verso i1400 avevano lo stesso uso.'' Non molto tempo dopo, Cirillo di Alessanchia (t 444) accenna all'eucarestia quotidiana:11 Nonostante la giornata liturgica straordinariamente piena, nell'uso di cattedrale di Gemsalemme al tempo di Egeria (ca. 384), c'era la messa feriale soltanto nei mercoledì e venerdì f\lorì della Quaresima, nei sabati di Quaresima e, naturalmente, anche incetti giorni festiviY Severìano di Gabala (t 408) concorda con Egerìa:1J Eusebio (t 339) d'altra parte parla di •Un me-
28 Atanasio, Apo/. contra Atitmos 11, PG 25, 268: non c'è eucarestia etx.:etto la domenka, perché ·il giorno non lo richiede·; S<x:rate, Hist. ecc/. V, 22, 41-46, GC.Ii neue Folge l, 301 • PG 67, 636-637. 29 PG 33, 130;. Sulla diffi.tsione della frequenza eucaristica nella tr.t· dizione egiziana vedi H. Quecke, Ut~tersucbuugeu zum koptfscbell StutUJengebet (Ptthlications de l'Institut orientaliste de Louvain 3, Louvain: Université catholique de Louvain 1970) 9. nota 52.
30 /mt.lll, 2, ed.].-C. Guy (SC 109, I>aris: Cerf 196;) 92-94. Vedi an· che Hlstoria monacbomm tu AePJ-pto (ca. 394-;) XX, 7-H, tra d. N. Russell, Tbe /Jves oftbe Desert Fatbers (Cistercian Studies Series 34, Kalamaz(X> MI; Cisten.ian Puhlkations 1980) 106. Per infom1azioni complete sul cursusG 68, 70H. La liturgia quoti· diana è implicit. Tbe Cat1ons ofAtbamiSitJS ofAlexaudria (London: Williams antl ~org
L
33 J. B. Aucher (~.), &."'.!erfalli sttl{! Selx."'"teml Gabalorum Episcopi Emeusts bomtltae(Venezia: Mechitaristi 1827) HP.
94
moriate quotidiano del corpo e sangue di Cristo- in Palestina,~· sebbene altrove accenni alla sinassi comune solo di domenica."· Il Testamentum Domini I, 22, un documento siriaco del v secolo proveniente da qualche pane dell'entroterra del litorale mediterraneo in cui si parlava siriaco, segnala l'eucarestia di domenica, di sabato e nei giorni festivi. 11' E I'Oratio de sacra synaxi, attribuita ad Anastasio Sinaita, che morì qualche temPo dopo il 700, allude alla liturgia eucaristica come ad un awenimento quotidiano ..~ 7 Epifania di Salamina di Cipro Ct 403) scrive ca. nel377 della messa lì alla domenica, al mercoledì e al venerdì, come a Gerusalemme.-111 L'uso agiopolita si trova anche nella Chiesa siro orientale, nel 400 circa, in una lettera del vescovo Marutha di Maipherkat, e in altre fonti mesopotamiche.'1 Nei dintorni di Antiochia, le Costituzioni apostoliche( ca. 380) accennano al digiuno del mercoledì e del venerdì, ma parlano di celebrazione eucarestica soltanto di sabato, di domenica e nei giorni festivi."' Nella stessa Antiochia, n1ttavia, Crisostomo (ante 398) attesta che il venerdì, il sabato e la domenica erano i normali giorni eucaristici al di fuori della Quaresima. 11 Così, se ag34 Demonstratto etJang. I, 10. I. A. Ht!ikd (ed.), Eusebius Werlle 6 (GCS, Leipzig:J. C. Hinrkhs 1913) 46. 35 /11 ps. 21, 30-31, PG 23, 213; /tz ps. 91, 2-3, PG 23 ,1169-1172; De sol. pascb. 7, PG 24, 701. 36 Ed. I. E. Ralu1lani (Mainz: F. Kirchhdm 1H99) 34-35. PG H9, H41. 3R De./ìde 22. GCS 6, 522 = PG 42, H25. 39 Citato in F. van dt! Pavt!rd, Zur Gescbicbte der Mess/iturgl~;;• Anttocbela tmd KonstalltlnOfX!I gegc.'ll Eude des tl{ertenjabr'!ullllerts<._OCA · Roma: PIO 1970) 67, nott 2. Jkvo molti dt!i rift!rimenti qtu soprd a ibld. 64,<;..;. 37
40 U, 59,3-4; V, 20,19; VII, 23,2-3, 36,6; VOI, 33,2. t!~- M. Mt:agt!f, ~ 320, (Patis: Ct!rf 19H5) 324-326; SC 329 (Pari.o;: Cerf 1986) 2H4; SC 336(P'.m · Ct!rf 191-m ;o, H4-H6, 240. 41 Vaa de P..wero, zurGescbicbtederMesslinugù!61-79. dà un'anali'ii tU tutti i testi pt!rtinenti.
95
~i\m~aamo te ft.'Sie e le conunemomzi_oni de~ m~~rtiri alle c_tuali al-
lude anche Crisostomo. la sua asserztone eh un cucarestta •quasi quotidiana• è abbastanza esatta. '2 11 Concilio di Laodicea (ca. 360-390Y1 e Crisostomo a Costantinopoli (398-404)" contribuiscono a far sì che la norma, in Asia Minore e a Costantinopoli, sia quella dell'eucarestia di sabato e domenica--doè la stessa consuentdine della Siria del nord, oltre Antiochia, secondo le Costituzioni apostoliche. Naturalmente, l'eucarestia si svolgeva anche per le feste e per le C011111U!mOI"aZiOni. Una lettera attribuita a san Basilio il Grande, ma probabilmente scritta da Severo di Antiochia (t 538), raccomanda la comunione quotidiana e afferma come la pratica fosse quella di comunicarsi il mercoledì, il venerdì, il sabato e la domenica.' 1 Questo va riferito alla messa e non alla comunione in casa propria; altrimenti perché non comunicarsi quotidianamente? Egli parla anche di solitari che si amministravano da soli la comunione con le specie messe da parte, e attesta che in Egitto anche i laici facevano lo stesso. Così, assistiamo all'eucarestia che, dalla sola domenica, comincia ad essere celebrata il sabato e la domenica ad Alessandria, nel nord della Siria, in Asia Minore e a Costantinopoli; il mercoledi, il venerdì e il sabato in Palestina (Gerusalemme compresa), a Cipro e in Mesopotamia; il mercoledì, il venerdì, il sabato e la domenica ad Antiochia; e infine "tutti i giorni" nell'Alessandria del V secolo. Ma solo pitJ tardi la messa quotidiana compare a Roma o a Costantinopoli. 42
In Mt. bom 50151,3, PG 5H, 50H.
4~
Canoni 16, 49, 51. Mansi 2, 567, 571. Altri riferimenti all'Asia mi·
nore m V'.tn de Paverd, Zur Gescbtcbte der Mess/tturgte 65 nota 1. 44 Ibtd. 422-424.
45 Ep. 93, ed.• Courtonne l, 203-204: d s. J. Voil.'u, "Cesaria, Basilio <Ep. 9.il94> e Severo, Ausustttlianum 35 Ù995) 697·703.
Il sistema romano può essere rintracciato nello sviluppo del sacramentano e dellezionario. Inizialmente ci sono i propri feriali soltanto per una sinassi non eucaristica nei mercoledì e nei venerdì di Quaresima. Dal IV secolo vengono aggiunti il lunedì, il martedì e il sabato. Dal VI secolo, nme queste sinassi sono diventate eucaristiche. Gregorio II (715-731) completa la settimana con una messa al giovedì e la Quaresima diventa la prima e sola stagione romana con messa e stazione proprie per ogni giorno feriale. 16 Da notare che i tradizionali giorni di digiuno, mercoledì e venerdì, diventano in determinate zone-Africa, Roma, Gerusalemme e Palestina, Cipro, Mesopotamia-le prime ferie eucaristiche, mentre a Costantinopoli e in Asia Minore giorni di digiuno ed eucarestia erano considerati reciprocamente incompatibili. A Costantinopoli assistiamo ad un ciclo annuale più o meno completo a partire dagli inizi del IX secolo. ;7 Un secolo più tardi il Typikon della Grande Chiesa fornisce un quadro completo della liturgia di cattedrale della capitale."' L'eucarestia viene celebrata il sabato e la domenica durante tutto l'anno, quotidianamente da Pasqua a Pentecoste, nelle feste di Nostro Signore e in alcune commemorazioni mariane e dei santi. In questi ultimi casi non si trana, comunque, di messe in ogni chiesa , ma di una funzione stazionate ad un santuario stabilito. Tuttavia, niente messa non significa niente comunione. A Costantinopoli, nei giorni di digiuno non c'era di solito nessuna messa, ma il digiuno veniva rotto di sera, ad una liturgia dei Doni Presantificati. Sebbene il Typikon non sia esplicito, tale servizio veniva celebrato a quanto pare il mercoledì e il venerdì 46 A. G. Martimort et al., L 'Égltse eu prièn! (Pari~: Desdée 1961) 702ss. 47 P.-M. Gy, "La question du système des le<.1Ures de la U~~~ zantine", Mtscellcmea ltturstca t11 onore dt S. E. G. Lercaro · Desclée 1967) 251-261. 48 J. Mateo..~ (ed.), 1.1! '/}'pie<»l de la Grande ~ltse(OCA 16;-166. Roma: PIO 1962-1963) U, 302.
97
della settimana prima della Quaresima, dal lunedì al venerdì durante la Quaresima, e dal lunedì al mercoledì della Settimana santa.·~ La Liturgia dei Presantificati poteva inoltre essere celebr.tta tutti i mercoledì e venerdì durante l'anno, sebbene, dal tempo del 7jpil.>on, la messa fosse permessa anche in quei giorni. Molto di ciò è contrario all'attuale consuetudine bizantina, che discende dal monachesimo palestinese. Ritorneremo in seguito sulla questione dell'eucarestia nei giorni eli digiuno. Secondo l'H(çtorianun compendiwncli Cedreno, nel1044l'imperatore Costantino IXMonomaco (1042-1055) fissò delle entrate per far celebrare l'eucarestia a Santa Sofia quotidianamente, e non solo di sabato e domenica, com'era stata consuetudine.'il Così il moltiplicarsi delle eucarestie non era in nessun modo un monopolio del meclioevo latino. Lo stesso è vero per l'eccesso eucaristico. nsinassario della Chiesa copta parla di eretici del VII secolo che si comunicavano venti volte al giorno. ' 1 E un tomos ~ nodikmbizantino del IX secolo decreta che ·il prete dovrebbe celebrare solo una volta al giorno, non di più·'2-sicuro indizio che l'abuso esisteva. La condanna di questa pratica è ripetuta nelle fonti bizantine della metà dell'XI secolo, come la ProtheoriaY EThomas Mathews ha notato il moltiplicarsi di piccole cappelle eucaristiche nelle chiese medio e tardo-bizantine, forse provocato
49
Ibid. n, 189, 31;-316.
;o I. Bekker (ed.), Georgius Cedrrmus, 2 voli. (Bonn 183H-1H39) II, 609 =PG 122, 340. Cfloannes Skylitzes, Synopsis bisto1iarnm (Berlin- New York: ed. l. Thurn 1973) 477. 51
3,488.
R. Basset (ed.), w syuaxarle arabe1acobite (rédactioll copte) l'O
;2 V. Grumel (ed.), /es n.'gestes des actes du Patrlarr:at de Constautiuople l, fase. 2 (Kadikoy: Sodi Assumptionistae Chak:edonenses 1936) n. 588. 53 PG 140, 46;. Altre fonti inj. Dam>Uzès, "Nicolas d'Andida et les azymes", Revue des études byzantiues 32 0974) 200-201.
98
S /.t1 jrl!tflll!nza tklli.'llfArt'
llf#W
dalla necessità di conciliare molteplici eucarestie con il vcto di cc· lebrare più di una messa al giorno a ciascun altare.~ La storia più recente deli'
3. Eucarestia e digiuno Abbiamo osservato che la graduale estensione dell'eucarestia dalla domenica ad altri giorni non derivava dall'intima dinamica dell'eucarestia stessa. È dipesa da qualche altro fattore della vita liturgica della chiesa locale; l'assimilazione del sabato alla domenica, una stazione, una festa, un memoriale. la messa comunitaria non veniva celebrata solo perché è cosa buona in sé, ma perché la sua celebrazione era richiesta per solennizzare il giorno. ;c, In altre parole, l'estendersi dell'eucarestia ha seguito lo sviluppo del calendario. E, in tale evoluzione, si ritenne necessario non solo celebrare l'eucarestia in detennina54 "'Private Utuq,>y' in Hyzantine Architecture: Toward a Re-appr.mal', Cabiers archéologfques 30 (1982) 125-138. ndiviet esisteV'J.llhneno ~ ~ ~ <.:olo. Leone il Gmnde allude ad esso scrivendo a DIOSI..'Oro 1.ti Ales.c;;uxlria il21 giugno del 445 (Ep. 9, PL 54, 626-627). Em in vigore CIJ!che in ak..~ Chiese ocddentali: ve1.U il canone 10 del Condlio di Auxerre ()78), Mansi 9,913. 55 Gli studi recenti pitì importllnti sono: O. Nussbaum •. Kloster, Prlestenn6ncb und Prlvatmesse(TIIeophaneia 14, Honn: P. Han
Vedi nota 28.
99
ti ~iomi. ma viet:ula in altri. Così l'eucarestia non possedeva un v;.;km.' assoluto; la sua celebrazione non era autogiustificante, come si ritiene oggi. Ma stiamo parlando di sinassi comunitaria. 11 ritmo delle cuca restie "d'occasione" era più flessibile; tuttavia anche in questo caso era )"'occasione" a richiedere l'eucarestia. non l'eucarestia a creare l'occasione. Eppure non si può elaborare una tesi teologica al di fuori delle ragioni per cui c'era o non c'era l'eucarestia in detenninati giorni, dal momento che il problema dell'eucarestia in giorno eli digiuno divide Roma ed Alessandria dal resto dell'oriente. A partire dal VI secolo, le sinassi romane in giorno di digiuno sono diventate eucalistiche, e analoga evoluzione può essere osservata in Egitto. L'originaria consuetudine alessandrina, così come viene descritta da Socrate nel V secolo, era una sinassi seguita dalla comunione con i doni Presantifìcati, al mercoledì, al venerdì e al sabato.'7 Ma, come a Roma, in questi giorni alla fme si celebra una messa, e la chiesa copta rappresenta oggi l'unica tradizione orientale con l'eucarestia quotidiana durante i peliodi di digiuno. Questo è esattamente l'opposto di quanto si verifica in Asia minore, dove la messa è vietata nelle ferie di Quaresima e in certi altri giorni di digiuno nel corso dell'anno, tranne quando c'è una festa. Ciò risale almeno al IV secolo, quando i canoni 49 e 51 del Concilio di Laodicea (ca. 360-390) vietano le commemorazioni dei martiri e la messa in Quaresima, tranne il sabato e la domenica.~ 57
Htst. ecci. V, 22 (vedi nota 28 sopra). Soltanto un manoscritto litur-
gim ac(."enrut ad una liturgia alessandrina dei Presantitìcati. Vedi E. Renaudot, lilurxtarum orletllalium coll<.'Ctio (Fmnkltut: J. Baer 1847) 1. 76, 321-322; J.M. Han.o;.<;ens, IustttUJioues ltturgfcae de rltibus orlelllalibus(Roma: Pontificia
Università Gregoriana 1930) II, 92-93. Nd X secolo nd rito copto c'em anc.:orJ la l'OillUnione dei Presantitìcati illUéutedì della Settimana santa. Vedi G. Viaud, La liiU.fMie des coptes d 'Égypte (Pari.'i: A. Maisonneuve 1978) 52. 58 Man.'ìi 2, 572. Il codice di diritto canonico ortodosso nel Peda/lon dà la St!!,'Uente interpretazione: ·l giorni della santa Quaresima sono giorni di lutto, di contrizione e di penitenza. Ma perché si offrJ a Dio un sacrificio perfetto... ciò è considerJto dalla maggiomnza delle persone come materia di prosperità, di gioia e di festività.•
100
S /.a /reque11za tMI'eUUln!Yllil11f!/Jo lll.tna
Le due cose vanno assieme: non si può celebrare una festt, perché ciò lichiede un'eucarestia. ncanone 52 del Concilio Quin<;e<;ao in Trullo (692) ribadisce il veto, ma stabilisce che la liturgia dei Presantificati venga celebrata tutti i giorni di Quaresima, eccetto il sabato, la domenica e all'Annunciazione.~~ È rimasto questo, più o meno, l'atteggiamento dell'oriente non egiziano: la liturgia eucaristica è festiva e quindi non appropriata ai tempi di penitenza. Questo non significa, comunque, che non ci fosse la possibilità di comunicarsi nei giorni non eucaristici, sebbene ciò dipendesse totalmente dalla consuetudine locale, e si trovi differenza da luogo a luogo e di epoca in epoca anche all'interno della stessa tradizione. Nell'am1ale consuetudine bizantina, che non ha seguito l'antico rito di cattedrale di Santa Sofia da quando il typikon monastico di san Saba entrò in uso dopo la caduta di Costantinopoli per mano dei latini nel1204,<~ la divina liturgia è vietata nelle ferie di Quaresima e in alcuni altri giorni di digiuno, ma quella dei Presantificati viene celebrata soltanto in Quaresima, il mercoledì e il venerdì, e in determinate feste. I maroniti avevano un tempo la liturgia dei Presantifteati nelle ferie di tutta la Quaresima, ma hanno abbandonato la loro tradizione in favore della consuetudine latina della messa durante la Quaresùna, eccetto il venerdì santo.(•' Fra gli ortodossi siriaci, il Nomocanonedi Bar Hebraeus (t 1286) allude alla soppressione dell'eucarestia in Quaresima e alla liturgia dei Presantificati, che
"J!'e
;9 G. Nedungatt e M. Feadterstone (ed.), CouriCi/ltl TruJJo RwisUed(Kanonika 6, Roma: PIO 199;) 133 • Mans1ll, 967.
60 Ved. Simeone di TessaloniC'd
101
cvrtt•lllll•'""'•''iiC.dtl••rtt•• l R F. Taj/
anribuiS<.'C a Severo d'Amiochia (t 538).~>z Infatti troviamo una tale linu-gia nei n~moscrirri lin1rgici, e ad essa si accenna in altre fonti sitiache.•·• l siri OJtoclossi hanno abbandonato questo rito, sebbene il messale siro-carrolico di Shatfeh ( 1922) lo comprenda ancora!'' Tra i siri orientali esiste un'analoga arrestazione nell'anonima E:rpo...;;itio officionmt•' del IX secolo, e alcuni manoscli((i liturgici poste1iori comprendono una liturgia dei Presantificati ad uso parrocchiale."' Nella tradizione annena, nella prima delle tre settimane prequaresimali di "digiuno dei catecumeni" e durante tutto il proprio quaresimale, non è permessa nessuna messa, tranne il sabato e la domenica.1'' Molti manoscritti liturgici armeni contengono una liturgia dei Presantificati, sebbene non più in uso.~ 62 Codrington, "Syrian Liturgies of the Presanctified", JTS 5 (1904) 371. Altre attestazioni in Nussbaum, Dte Aujbewabn.mg 40-41; P. Hindo. Disciplina a1ltiocbcma antica, Siri III (Fonti codif. canon. orient. ser. II, fase. 27, Roma: Typis polyglottis Vaticanis 1941) 164ss. 63 Codrington, "Syrian Liturgies of the Presanctitìed", JTS 4 (1903) 69ss, e "Liturgia praesanctificatomm syriaca S. Ioannis Chrysostomi", XPY· COCTOMIKA (Roma: Pustet 1908) 719-729; M. Rajji, "Un ;maphore )1-yriaque de Sévère d'Antioche pour la messe des presanctifiés", Revue de I'Oricmt cbrr!tieu21 (1918-1919) 25-39; Hanssens, Itzstitutioues II, 615-616. 64 Hanssens, 111Stitutiones II, 552ss. 65 R. H. Connolly (ed.), AtZouymt auctorls Expositio offìciorum ecclestae Giorgio Arbeleust rJUigo adscrlpta 1 (CSCO 71 = s<."''. )>)'ri 28, ser. 2, tomo 91, Roma: C. de Luigi 1913) 52, 153. 66 Codrington, "Syrian Liturgies of the Presanctitìed", JTS 5 (19(}4) 535-537; Hanssens, Instltutio11es II, 91-92, 627. Sul suo in1piego, vedi J. Mateo.o;, "Les 'semaines des mystères' du <.meme chaldéen", L'Orlent syrle11 4 0959) 449-458. Le attestazioni siro-orientali, non facili da interpretcrre, vengono più ampiamente <.li'i<.'lrsse in T. l)amyd<.ly, A Commrmtou Sentice in tbe Eust Syrtau Cburcb (tesi di laure<1 non pubblkat::t, Roma: PIO 1980). 67 C. Tondini de Quarenghi "Noti<.'t! sur le calendrier linrrgique de la nation annénien", Bessarlotlè 11 (1906) fase. 91-92, pp. 77ss; N. Nilles, Kalendarlum manuale Ulrlusque ecc/estae orienta/fs et occtdenta/isCWien: f. Rauch 1H97l) n. 560.
68
J. Gatergian, Dte Liturgten bel ck'tl Annenfem. Faujzebn Texle mul
Utrtersucbut~grm, ed.). Oashian <Wien: Druck und Verlag der Mechitharisten-
102
5. La frequenza del/ i!uaJTWia tldhl fkll10
La linea generale emerge con sufficiente chiarezza: a parte l'Egitto e l'occidente, niente messa nei giorni feriali di Quaresima A partire dal VI secolo, comunque, si è provveduto alla comunione ai Presantificati in tali giorni, sebbene tale pratica sia stata abbandonata, o almeno di molto ridotta in nme le tradizioni.
4. La consuetudine monastica Quanti 1ichiamano l'attenzione alla letteratura del movimento liturgico legato all'esuberante revival benedettino, ricorderanno i riferimenti alla messa conventuale quotidiana come ); Han'i.'òt!ll.'i, hlsttturlonesm, 585.
69 Vedi J. DulxJis, "Otlke de'i heures et messe dan.c; la tr.u.lilioo monastique", LMD 135 (1978) 62ss; A. de Vogiié, La R~le de s. Benoil'VU: Comm~tntaill! (SC hon; ~rie, Paris: Cerf 1977) 240ss. 70 A. de Vobr\ié, "Le pretre et la conununauté J.llOnliStique ctms l':mriquiré",IMD 115(1973)61-69. 71 J. Leden.-q, "On Mona..'òtic Priesthood aa.:ording ro !be .Ancieol
103
tl" ;t che fare
con l'eurart•stia. Il problema era come tenere imonad ~parati dai secolari, e allo stesso tempo proteggerli dall'orgt>glio, dall'ambizione, dall'invidia e dall'opposizione all'autorità dell'abate laico che si sarebbe potuta verificare in seguito all'introduzione dei preti nel monastero. 72 Secondo la Historia monachonun in Aegypto (ca. 394395), nelle comunità cenobitiche della Tebaide dell'alto Egitto c'era la comunione quotidiana, ma non c'è nessuna prova della messa quotidiana.7.1 Nella prebenedettina Regola del Maestro• degli inizi del VI secolo, l'abate laico distribuiva la comunione quotidiana. La messa c'era soltanto la domenica, per la festa del patrono dell'oratorio monastico e in occasione della consacrazione di un abate. Non c'erano sacerdoti monaci nella comunità, ed i monaci si recavano così, per l'eucarestia domenicale, nella chiesa del luogo, o, forse, si servivano occasionalmente di sacerdoti ospiti. Benedetto ammise i sacerdoti, ma la sua Regola (ca. 530560), come altre/5 accenna appena all'eucarestia e, oltre alla messa domenicale nell'oratorio del monastero, non è chiaro neanche se ci fosse la comunione quotidiana. 76 In ogni caso, Medieval Trc~.dition", Studia monasttca3 (1961) 137-156. Sull'ordinazione degli eremiti vedi anche P. Canivet, "Tiléodoret et le monachisme syrien avant le cond1e de Chalcédoine", ~ie de la vie monasttque(Théologie 49, Paris: Aubier 1961) 278ss.
72 A. de Vog\.ié, "Le pretre et la communauté monastique" 64-65; A. Veilleux, La liturgie dans le cétzobtttsme pacb6mten au quatrlème siècle (Studia anselmiana 57, Roma: Herder 1968) 232. 73 II, 7-8; vm, 50, 56, tr.td. Russe li (nota 30 sopr.t) 64, 77-78, e d 131 nota 12, che riguarda la tr.tduzione corretta. 74 Capp. 21-22,45,75, ~.83,93,A. deVogOé (ed.), LaRègledu mafht'D (SC 106, P..tris: Cert' 1964) 102-106, 208-209, 314, 328-330, 342ss, 424-426. 75
Vedi i riferimenti in A. de Voglié, Règle de s. Beuoft VII:
Comrrnmtalre 240 nota 157. 76 J. Neufville e A.de Voglié, Règle de s. Be11oftll (SC 182, Paris: Cerf 1972) 572-574.
104
non c'era sicuramente nessuna messa conventuale quotidiana nei monasteri benedettini o in altri monasteri occidentali di quel tempo. 77 Per essa, dobbiamo attendere il periodo carolingio. Nel monachesimo bizantino più tardo, I'HJP01)1Josisstudita del IX secolo stabilisce la messa quotidiana, eccetto per i giorni non eucaristici. 'K Anche nei giorni in cui non c'è messa, alcuni typika prevedono la comunione quotidiana."' Ma la consuetudine palestinese, fondata sui typika sabaitici, più tardi adottati in tutto l'oriente ortodosso, era più restriniva per quanto riguardava la comunione ai Presantificati, come abbiamo già visto. 110 Secondo Leone Allazio (t 1669), nell'uso monastico greco la divina liturgia talvolta era celebrata quotidianamente, ma non dall'intera comunità: In alcuni monasteri si trovavano tante parecdesie [cappelle] quanti sono i giorni della settimana. In queste, ad eccezione delle domeniche e dei giorni delle feste dei santi, quando tutti i monaci sono obbligati ad assistere alle funzioni religiose, uno dei monaci, al quale spetta come compito, e che viene chiamato bebdomadarios, celebra il rito-un giorno in una parecclesia, quello seguente in un'altra. In questo modo, trascorsa una settitnana, ha celebralO in altrettante parecclesie. Quindi il compito di celebrare spetta ad un altro elxlomadario, che ricomincia di nuovo. Quando viene celebrata la liturgia in una parecclesia, le altre tacdono.11
77
A. de Vogiié, Règ/e de s. Btmof1VII: Commenta/re 242.
78
PG 99, 1713.
=/dmJnjaSàllbsja
79 A. Dmitrievskij, optsatJie /tturgléesklkb bibllotekakh pravoslavr1ago ~oka I (~e.v: G. T. KorèakNovitskaso 1895) 515. Sulla questtone vedi 1 rifenmenb alla JlOtl.seguenle.
;npo ..
tJ
HO Cf E. Hemtan, "Die haufige und tagliche K~~ in <Jt:n by. .d Kl"'~ n JI,"W,,,..J~I L PéJII (An:hives de l Orienl duélien l. zantìfliS "lefl Ul>teffi t JYlt;;;•~ovTIUI " • 948) 203-217· V ~ •(.a Buc:uest: Institut Franf<Us ?'Etudes _byzan~.!- ..:~· ()(]» ~ (19(70 2lOi& partie vesper.tle de la Lituigie byzanline cles r(Qji.UU.II...., • 81 L. Allatios, 1be Newer Temp/es of !be Greells, ttad A. Cudrr (University Park&London: Peno. State Univef'Sity 1969) *-35.
.
105
(ltn./ ill1t'flll' l' l ht ·t:tc/t'llft'/ R. F Tclft
Qui d troviamo forse di fronte ad un processo parallelo a quello ossemto da Haussling nei grandi monasteri romanici del nord Europa: il trasferimento del sistema stazionate di cattedrale cittadino al microcosmo della clausura monastica?M2 In ogni caso, per quanto riguardava la frequenza alla messa, inizialmente i monaci facevano come facevano tutti: andavano a messa la domenica e in alcune feste, forse anche il sabato, ma certamente non più spesso, a meno che, almeno in Egitto, un monaco stesse per essere sepolto. 83 Questo valeva anche per gli eremiti: abbandonavano il loro isolamento per la sinassi domenicalet'1-nel basso Egitto c'era anche una sinassi del sabato"'-e in certi tempi e luoghi gli anacoreti portavano la comunione ai loro eremi, per comunicarsi durante il resto della settimana.!(, Lo vediamo soprattutto in Siria. Più tardi in occidente-tranne a Camaldoli-questo problema fu risolto ammettendo alla vita solitaria solo preti. 117 Si possono persino trovare delle testimonianze di reclusi che rifiutavano di uscire per l'eucarestia domenicale. Dadisho
82
Vedi il suo lavoro dtato sopr.t, nota 55.
Veilleux, Liturgie 373ss e D. Clùtty, JTS 21 (1970) 199. 84 Vedi Canivet, loc. ctt. alla nota 71 sopr.t; Veilleux, Liturgie 226ss; D. Chitty, Tbe Deserta City(Crestwood N.Y.: St. Vladimir's Seminary Press s.d.) 31, 33, 90, 96, 151; Muyser, "Samedi et dimanche" (soprc1 nota 31); O. Hendriks, "La vie quotidienne du moine syrien", L'Orlenl syriell5 (19()0) 32~325, 418-420; l. Pena, P. Castellana, R. Femandez, Les n>clus syrlens(Studla biblica frmd'iC'd.lla, Collettio minor 23, jentsalem: Frmcio;can Printing Press 1980) 122-128. Sono grato a V. Poggi per questo ed altri riferimenti riguardo al monachesimo siriaco. 83
85
Vedi soprc1 nota 30. 86 Sulla <.'OOltlnione monastica vedi Mateos, USerruùnes ùes mystères" 453456; Hendriks, "la vie quoti<Jienne• 419; Peful et al., Ies n'Cius syrtetTs 124ss; l)<mty.tùy, CommurUotl S<.>nJice57ss, 113ss; Veilleux, Uturgte235, dit-e che non c't: prova di questa usanza nel monachesimo pacomiano, pace Severo (nota 45 sopra) e altri (cf Pena et al., loc.ctt.). 87 l.eclercq, art. dtato alla nota 71.
106
) ILl /req11e11za tlelli.'UUJrt!1lla rudla 11tlrla
Qatraya, uno scrittore nestoriano della fine del VI secolo, dice che quelli che osse!Vavano la reclusione totale durante le sette settimane di digiuno prima di alcune feste non avrebbero lasciato le loro celle per niente, nemmeno per la sinassi domenicale. ~t~ Ma l'astensione dall'assemblea domenicale, sebbene non sconosciuta, era un'eccezione persino per gli anacoreti.~~'~ C'erano anche altri abusi ed esagerazioni. Alcuni monaci si astenevano dall'eucarestia o si comunicavano solo una volta all'anno ....' Altri vivevano della sola eucarestia, e così ne chiedevano più di una porzione normale.9 ' È ben nota la diffusione delle "messe private" a partire dall'VIII secolo nei monasteri occidentali.'12 Meno noto è il fatto che simili pratiche esistessero una volta anche in oriente. I canoni siriaci attribuiti a Giacomo di Edessa (t 708) vietavano agli stiliti di celebrare sulle loro colonne-il che certamente significa che lo facevano-ma autorizzavano i reclusi a farlo nei propri eremi, nel caso non avessero nessuno che portasse loro la comunione93 (gli stiliti, le cui colonne non si trovavano nel deserto, non potevano addurre lo stesso pretesto). E nelle fonti bizantine troviamo un ci88 A. Guillaumont, relazione ad un seminario alla Sorbona, all'École prJtique des Hautes Études, V" se<..1ion: Sciences religieuses, AlltiUOire86 0977-1978) 347. 89 Htst. motUJCbomm 111 AegJpto XXV, 2 (tr.td Rus.'iel116); ~ (nota 71 sopm); L. Leloir, ·La prière des pères du désen d'apres les ~
annéniennes des apophtegmes", Mékmges /Uurgtques B. Botte(Louv.un: ML Cés-.tr 1972) 317-318. 90 Leloir, loc. ctt.; Pena et. al., Les reclus syrler&s 123; Veilleux. LlturRte 227; Canivet (nota 71 sopra). 91 A. V<x>bus, Syrtac and Arabi_c Documet~ regarrJitJ8. ~isJm!oll wlattw to Syrtau Ascettcism (l'apers ot the E..;thoruan Titeologt<:al Sodely in Exile Il, Stcx:kholm: ETSE 1960) 61. 92 Vedi nota 55 sopm. 93 A. VMhus, Tbe Syllodicotl.ltllbtl West Syrld!l Trrui~~~ 367 .. S<:r. b)'Ii 161, Louvain; Secretafìlll ùu ~O ~97,) 2'!-7: 2 5 «d un't!ucarestia wSirneone Stilita Ct 459) vedi Ev.tgno Sl.:olastico. Hls/. · I, 13, J>G 82l, 2453.
107
ft•rimc.·nto. nella vita di san Giovanni Elemosiniere (t ca. 620), a dd monaci che celebravano l'eucarestia privatamente nelle loro celle.~' Ma tutto ciò è periferico, e non si può cost111ire una teoria sul perifetico---eccetto forse in occidente, dove si nota una tendenza a rendere centrale il periferico. Non si inunagini che questa diversità di consuetudine monastica, o l'assenza della messa quotidiana, siano scanuiti da una qualche antica "libettà di spirito". La Regola del Maestro chiarisce che l'intera comunità doveva assistere e comunicarsi al quotidiano rito di comunione .'l'
5. nperiodo moderno e il ripristino della comunione frequente Il declino della comunione dei laici è lamentato già da Crisostomo ad Antiochia alla fine del IV secolo, e da allora le cose vanno precipitando.ox' Questa disgiunzione tra sempre più messe e sempre meno comunioni è uno dei fattori che i riformatori del XVI secolo cercarono di correggere: loro principio fondamentale era di non celebrare la Cena del Signore senza che la comunità fosse presente e si comunicasse. Ma la Riforma non riuscì a ripristinare l'antica disciplina eucaristica. Numerosi gruppi protestanti non hanno affatto la cena del Signore, e tra quelli che ce l'hanno non tutti la celebrano ogni domenica, sebbene certamente niente meno di questo rifletta la pratica della Chiesa antica. 94
Cap. 42, ed. citata sopra, nota 20: Gdzer 85; tr-..td. 251.
95
Cap. 22, ed. de Vogiié (SC 106) 106.
96 In Heb. 10 horn 17, 4, PG 63, 131; ulteriori riferimenti e precisalioni in Hem1an, "Die hiiufige und tiigliche Kommunion" 204ss. Vedi anche H. Bohl, Kommunto11empjang der Glaubtgen (Disputationes theologicae 9, Fr.mkfurt: P. Lang 1980); P. Browne, Deftt>qU<..>llti communtone in ecclesla occidentali, usque ad amzum c. l 000, documenta varia (Textus et documenta, series theologica 5, Roma: Pontificia Università Gregoriana 1932).
108
5 ILI frl!!f/WIIZU ~-// éwun~•llu ndlu dtKiQ
Per qua~t~ rigt~~rcla l'attuale pratica cattolica, fra il clero piu preparato SI e venfiCata una ritirata dal narcl
98
Dismto questi problemi al cap. 6, par. 3. I. Kologrivof, Essai surla satntt..lfécm Russte(Bruges: Beyaert 1953>
66.
99 Cf ep. Alexander (Semenoff-Tian-Chansky), CJ19Fa~~;t Kronstadt. ALtje(CrestwoodN.Y.: Sl VJadimir'sSem. Press l
109
0/ht' l'cii'Hmh: ,, l 'o!:cki!'IIW l R. F. Tafl
Comunque, in materia di comunione frequente, la pratica ortodossa è meno che ideale. Fino alle opere del canonista bizantino Teodoro Balsamone (t dopo il 1195), la comunione quotidiana è ancora prevista per coloro che sono degni e preparati. m• E nel monachesimo medio bizantino non era rara la celebrazione della liturgia quotidiana o almeno molte volte alla settin1ana, e la comunione quotidiana era l'ideale. Come abbiamo visto sopra, anche quando non c'era la divina liturgia, la comunione era disponibile dai doni Presantificati. Ma i typika monastici dal XII al XIV secolo rivelano la crescita di una politica più restrittiva. I monaci potevano comunicarsi una volta alla settimana, o meno spesso-ogni due settimane, mensilmente, un mese sì e uno no, o solo tre o quattro volte all'annoa seconda del giudizio dei superiori. Dal XV secolo si possono ancora trovare testimonianze della comunione quotidiana, ma sono segnalate come eccezioni anche nel monachesimo. Oggi è in atto un movimento per cambiare questo, soprattutto nei monasteri cenobiti rinnovati del monte Athos w• e in alcune comunità della diaspora, tra i laici. Ma la stragrande maggioranza dei laici orientali ortodossi ancora si comunica al massimo una volta, o alcune volte all'anno, e solo dopo una lunga (e del tutto ammirevole) preparazione, che comprende digiuno, preghiera e confessione dei peccati. 1" 2 Tra gli orientali (cioè i non-calcedonesi) ortodossi, la situazione è quasi la stessa. I siri ortodossi devono comunicarsi annualmente, e sono consigliati di farlo ogni quaranta giorni. In India, i nomi di quanti non si comunicano almeno a Pasquadi solito il Giovedì santo-sono letti ad alta voce in chiesa, e so100 Qui st:guo Ht:nnan, "Oie haufige un<.! tagliche Kommunion" (so· pr.t, nota 80). 101 Vedi Kallistos di Diokleia (Timothy Ware), "Wolves and Monks: Ufe on the Holy Mountain Today", Sobomost S (1983) 63. 102 '!edifoumal oftbe Moscow Patrtarcbate(l980) n. 10,76-77.
110
5. La /ri!I.[Uenzo di!JiiniUJTINia nt!llo JUK/a
no esclusi dagli altri sacramenti. 111·1 Nella Chiesa armena, anche nei monasteri, la liturgia eucaristica si svolge normalmente soltanto di domenica e nelle feste.~~o~ La frequenza della comunione varia da parrocchia a parrocchia. Molto dipende dallo zelo e dal buon senso del pastore. In alcune parrocchie degli Stati Uniti, il 300Al si comunica ogni domenica; in altre solo il celebrante. Negli Stati Uniti c'è una certa evoluzione verso la comunione frequente, soprattutto tra i giovani. I copti ortodossi celebrano l'eucarestia il mercoledì, il venerdì e la domenica, in diciannove giorni festivi, e quotidianamente durante la Quaresima.•os Pochissimi laici ricevono la comunione più di una volta all'anno. Anche qui si verifica una crescente tendenza all'interno delle classi colte verso una comunione più frequente. Un tempo la messa quotidiana era in genere ignota persino nei monasteri. Più recentemente è divenuta più comune-sebbene, in ogni modo, non universalmente-in monasteri rinnovati. Questa rinascita è iniziata con il patriarca ortodosso copto il papa Cirillo VI 0959-1971), che si dice abbia celebrato la messa quotidianamente per oltre trent'anni, e ci sono altri esempi di preti copti ortodossi con una grande devozione per il servizio all'altare. 1116 Gli etiopi celebrano solo di domenica e nei giorni festivi, benl 03
Informazione tlal vescovo Mathews Mar Severios della Chiesa si-
m ortodossa in India. 104 Z. Aznavourian, "Sinmzione attuale del monachesimo nella~ armena .. , StutJi jratzcescatZt 67 (1970) 246. L'eucarestia è ~-elebr'ctt~! anche di sabato nelle maggiori chiese, co~1e nell~ ca.ne
sta lntonuazione. 105 M. Hanna, "Le rllle de la divine liturgie eud~o;tique dan'iia vie de I'Église Copte hier et aujourd'hui", Procbe-orletll cbn!tlen 23 (1 '173) 71/). 106 o. F. A. Melnardus, Monlt$ a11d MotJaSterles of tbe Egypltan ~(Cairo: American Uruversity 11t Cairo Pres.<>l96l) 393.
111
d'K' m ;llnmi monastt'IÌ li sia l'euc:m:stia quotidiana. C~li unici a ril''l'Vere la comunione con relativa frequenza sono i monaci, il den.l. i preadolescenti e, tra i laici adulti, quanti sono canonicamente sposati. Poiché le unioni regolari dal punto di vista canonico sono mre, eccetto che tra il clero; e dal momento che, tra i non sposati, l'incontinenza viene semplicemente presunta, salvo che il tempo dimostri essere vero il contrario, la maggioranza dei laici non si comunica mai dopo la pube1tà. 1117 Comunque, nell'antica "Chiesa d'oriente", la Chiesa siroorientale, c'è la comunione generale del popolo alla sinassi euc.uistica della domenica e delle feste.
6: Conclusione Dal II secolo assistiamo ad un'evoluzione dalla messa comunitaria domenicale con la comunione quotidiana a casa, verso la messa in alcuni giorni feriali. La ragione di tale sviluppo, comunque, non ha nulla a che fare con la "devozione eucaristica", ma segue la crescita del ciclo liturgico. Quando un giorno viene ad essere rilevante dal punto di vista liturgico, la messa è celebrata come parte dei festeggiamenti. Vediamo questo per il sabato, quindi per le stazioni del mercoledì e del venerdì, per gli anniversari dei martiri, ecc. Finalmente arriviamo almeno alla possibilità della messa comunitaria quotidiana, tranne che in alcuni periodi penitenziali, sebbene nella pratica si approfitti di una simile opportunità solo in poche tradizioni. Ironicamente, tale accrescimento della frequenza dei servizi di comunione è seguito da una diminuzione della frequenza alla comunione. Possiamo fondare dei giudizi di valore qualsiasi su delle simili 107 Infonnazione ottenuta da Ahuna Yesehaq, Arcivescovo della ~lio ~ della Oùesa etiope ortodossa nell'emisfero occidenttle; e dal dott. William F. Macomher, per gentile interessamento della prof. Gabriele Winkler.
112
'i l.tt fn'lfiii.!IJZLt rldléw.ar~e>lta nella llt#fo
sabbie mobili? Tuttavia penso che emergano delle Uh'tanti: l. La frequenza dell'eucarestia è variata, ma sembra che nei
tempi più antichi, la comunione quotidiana sia stata l'ideaÌe. e la messa quotidiana fosse nota in alcune Chiese fin dal IV secolo. Considerare quindi tale frequenza come "medievale" 0 "recente", o "occidentale" è assolutamente falso. ' 2. L'eucarestia era affare della Chiesa, sono il controllo della Chiesa, e non alla mercé di ciò che dettava la "devozione" di qualcuno. L'espressione di questa comune vita ecclesiale era una totalità che implicava più che l'eucarestia. Il suo ritmo non era mai autodeterminante, ma dipendeva da altri fattori, quali lo sviluppo del ciclo liturgico. 3. In questo ciclo c'erano dei tempi in cui non avere la messa era ritenuto preferibile all'averla, e l'astensione da essa poteva essere, e lo fu, imposta. L'eccesso eucaristico era condannato. Quindi, persino l'eucarestia ha un valore relativo. È possibile averne troppa, e talvolta è meglio non averne affatto. 4. È mutata la valutazione di quello che è troppo, o troppo poco. Gli estremi sono chiari: meno di ogni domenica non può pretendere di essere in linea con la tradizione; più di una volta al giorno è eccessivo, eccetto in particolari circostanze. 5. La varietà tra questi due estremi è dovuta a numerosi fattori: necessità pastorale, cambiamenti della pietà eucaristica, sistemi simbolici differenti in uso in epoche e in luoghi diversi, ecc. 6. Tali sistemi possono essere reciprocamente contraddittori: i copti hanno l'eucarestia quotidiana solo in Quaresima; i bizantini ritengono la festività eucaristica incompatibile con la Quaresima. Ciò non significa che un sistema sia "giusto" e l'altro "sbagliato". Significa che nessuno dei due può essere assolutizzato. Lo stesso deve essere detto degli attuali tentativi di costruire sistemi simbolici per poi usarli per controllare l'~ liturgico. Penso al cliché corrente secondo il quale la domeruca soltanto è "escatologica" e quindi adatta alla celebrazione eu-
113
caristlca "esc
114
questioni dovrebbero essere determinate dalle nect-s.<.,ila JY.lstorali della comunità celebrante e dalla natura della particolare celebrazione, e non dalle singole esigenze del clero, che non ha speciali "diritti" che abbiano la precedenza sulle esigen7..e ecclesiali e pastorali più ampie. 1111 L'eucarestia non è solo partecipazione alla croce di Cristo. È anche un'epifania della Chiesa, nel contesto di una tradizione liturgica totale che, per essere celebrata, esige un discernimento pastorale molto più sfumato di qualsiasi "devozione" individuale. Quale dovrebbe essere tale discernimento oggi non spetta allo storico dirlo. Infatti la storia mostra che il passato è sempre istruttivo, ma mai normativo. Ciò che è normativa è la tradizione. Ma la tradizione, a differenza del passato è una forza vivente le cui espressioni contingenti, nella liturgia come altrove, possono mutare.
108 Per una dis<."Ussione più completa su questo probledla ~ ap. 6, par. 3.
115
6. Ex oriente lux?* Alcune riflessioni sulla concelebrazione eucaristie/l
Le note seguenti sulla concelebrazione non pretendono di offrire uno studio completo della tradizione orientale, né so-
luzioni definitive alla crescente insoddisfazione del ripristinato rito romano della concelebrazione eucaristica. Ma possono aiutare a chiarire lo status quaestionis, a rettificare le errate interpretazioni della primitiva disciplina eucaristica, a dissipare i malintesi riguardanti l'antichità e il valore normativo dell'usanza orientale. Inizierò con quest'ultimo punto e lavorerò a ritroso. A lungo è stato uno straragenuna teologico guardare ad oriente cercando testimonianze liturgiche che supportassero dò che si era già deciso comunque di fare. Qualcosa di simile era in atto in alcune discussioni precedenti al Vaticano ll sulla possibilità di ripristinare la concelebrazione nel rito romano. ll presupposto che ne sta alla base sarebbe quello che la pratica orientale riflette una più antica-in realtà la antica-tradizione della Chiesa indivisa. Riesaminiamo le testimonianze.
1. La concelebrazione nell'oriente cristiano oggi L'informazione sulle forme orienrali contemporanee della • Rivisto da Wor.sb~54 (1980) 308-325, (.:on materiale aggiunto dal mio con~nentario riferito alla nota 44 sotto.
117
concdebrazione eucaristica fornita da McGowan e da King' è in genere acctmlta, con poche eccezioni che qui vetTanno cotTette. Gli armen; praticano la concelebrazione eucaristica solo in occasione delle ordinazioni episcopali e presbiterali, un'usanza che hanno preso in prestito dai latini.! Gli anneni cattolici hatulo iniziato a praticare la concelebrazione eucaristica a partire dal Vaticano Il, ad imitazione del nuovo uso latino. 1 maroniti, pure influenzati dai latini, probabilmente devono la loro pratica di co-consacrazione verbale alla teologia scolastica dell'eucarestia. Prima del XVII secolo, era in uso la concelebrazione senza co-consacrazione. ·1 Nella Chiesa copta orlodossa molti presbiteri partecipano all'eucarestia comune vestiti con i paramenti sacri, nel santuario. Solo il celebrante principale (che non è il celebrante che presiede se è presente un vescovo) sta all'altare, ma le preghiere sono distribuite tra molti preti. Alcune preghiere, ma non necessariamente la parte "consacratoria" dell'anafora, sono riservate al celebrante principale all'altare. • I copti cattolici, come i maroniti, hanno adottato un tipo di co-consaa-azione verbale. Questo potrebbe rappresentare la ril J. McGowan, Concelebratton: Sigu of tbe U11i~y ql tbe Cburcb (New York: Herder and Herder 1964) 39-53; A. King, Concelebratiotz i ti tbe Christian Cburcb (London: A. R. Mowbmy 1966) 102-132. Lo sn1dio fondamentale è A. Raes, uLa concéléhration eucharistique dano; les rites orientaux", 1MD 35 0953) 24-47. 2 Sull'influenza latina in Annenia, vedi G. Winkler, UAnuenia and the Graduai Dedine of ito; Trc~ditional Litur~:.rical Pr,Ktk:es as a Result of the Expanding Influence of the Holy See from the 11th to the 14th Centtuy", in Lilurgie de l'église particulièn! et liturgie de l'ég/ise r.mtwrsel/e(BEL." 4, Roma: Edizioni Liturgiche 1976) 329-368.
3 Cf l'., "Notes sur !es origines ~la t:oncélt:hmtion eudtari'itique t~ms le rite maroniteM, OCP 6 (1940) 233-239.D-clou (236-239) nega dte la pnL'i.~i man~l sia sorta come imitazione dell'tL'i<> lirurgico latino, ma essa è ~..:eitan~en te il n-;ultato della teologia eucaristica latina, di cui pmprio il suo ;uticolo e un e~mpio perfetto. 4 copto.
118
lnformazione dalnùo collega, Sanùr Khalil, S.J., prete di rito
nascita di un'usanza più antica. In molti antichi manoscritti alessandrini, le ammonizioni diaconati alle parole ic;tituzionali es011ano i concelebranti ad unirsi al celebrante principale in questo momento solenne dell'anafora.\ Sebbene questa non necessariamente sia una prova di co-consacrazione verbale certamente implica la "concelebrazione" anche nel senso ~retto moderno del termine. Tra i siri orlodossi è abitudine di molti presbiteri unirsi al vescovo nella celebrazione della liturgia. Solo il vescovo è completamente vestito con i paramenti sacri. I presbiteri che ass~ no indossano solo la stola sulla veste clericale, un indumento simile al rason bizantino, ma all'inizio dell'anafora uno di loro indossa il phaino (il phainolion greco, il prindpale paramento esterno) e si unisce al vescovo all'altare per l'anafora. Sebbene il vescovo spartisca tra i presbiteri le varie preghiere dell'anafora, egli recita da solo le parole di istituzione e l'epidesi, fmo alla benedizione dei doni inclusa/' momento in cui si ritira verso la sua cattedra, mentre il presbitero nel phaino subentra all'altare a completare la preghiera epicletica e a dividersi il resto dell'anafora con gli altri presbiteri. Alla fine dell'anafora il vescovo prende ancora il suo posto all'altare, e il prete che assiste si ritira per togliersi il phaino. Solo per il vescovo è necessario comunicaisi, ma nan1ralmente lo possono fare anche i concelebranti, se adeguatamente preparati. Benché questa forma di concelebrazione non sia menzionata nella maggior parte delle descrizioni del rito siro-
; Vedi R.-C. Coquin, ~vestij,teS de c:on~l~.t~n eu~ chez les mdkiles i:j,>yptieno;, !es coptes el !es étluopJenS : le Museon 0967) 37-46; andlt~ J.-M. Hansseno;. ·~n _!ilO di con<.-elehrclllOile ~ sa propria della lilurgia alessandnna , Studia orleflt~/ta cb Collf!ctemea 13 (Cairo 1968-1969) 3-34, e le fonti <.-ople ~te sotto al atp. 7, par. 3, dove solo uno dei preti officianti è detto es,c;ere il <.'dehranle.
6 Cioè fmo all'" Amen" in F. E. BrightoWl, /JlU1gleS Eastem 111111 Western (Oxford: Clarendon 1896> 89 riga 11.
119
occitkttrtal<~ ·ho assistito a una tale celebrazione e, su richiesta, fui ;tssicurato che è di uso comune. Inoltre, sia i siri cartolici che i si1; 01todossi praticano un rito di "messe sincronizzate", in cui ogni celebrante ha il proprio pane e calice.~ Gli etiopi hanno non solo un rito simile di "messe sincronizzate". ma anche un'altra fonna di celebrazione eucaristica in cui più presbiteli-idealmente u·edici-prendono patte attiva con varie funzioni e preghiere disuibuite u-a di loro, vale a dire non fatte simultaneamente da tutti come nella co-consacrazione verbale.9 In realtà, questa è la forma normale di eucarestia ti-a gli etiopi ortodossi e se l'eucarestia deve essere celebmta sono considerati essenziali almeno cinque presbiteri, ma preferibilmente sette. Questi presbiteri devono tutti comunicarsi alla celebt-azione. Nella tradizione eucaristica siro-orientale, il vescovo è circondato dai suoi presbiteri durante la liturgia della parola fatta dal berna, nel mezzo della navata. 111 Quando si awicina il tempo dell'anafora, uno dei presbiteri è scelto per leggerla. Egli solo "consacra". In questa tradizione tutti i servizi e i sacramenti sono "concelebrazioni" in cui tutti i vari ordini di ministeri partecipano secondo il loro rango: i cantori cantano, i lettori leggono, i diaconi proclamano, i presbiteri si disUibuiscono le preghiere. Ma essi non dicono tutti le stesse preghiere. Il ptincipio è la distiibuzione. Ma
7 Un'eccezione è A. Cody, "L'otlke divin chez les Syriensjacohites, Leurs eucharisties épiscopales et leurs tites de pénitence. Description des céremonies, avec notes historiques", Procbe-Oriellt cbrétietz19 (19{59) 1-6. 8 Q'King, Concéléhrattotz121-122. Un'indagine personale trJ il clero siro ottodosso ha confem1ato che questo rito è ancorJ in uso.
Le mie infonnazioni sull'uso etiopico provengono da Abba Te,kle9 Mariam SenùtarJy Selim, Règles speciales de messe étbtopiemze (Roma: Ecole typogr.tphique "Pie X" 1936) 10. 10 Ved. W. F. Macomher, ·con<.:dehnttion in the EéL<;t Sytian Rite" · J. Vdli:.m (ed.), 7be MalabarCburcb (OCA 186, Roma: PIO 1970) 17-22; S. Y. H. J~nuno, La structure de la messe cbaldéenne du début jusqu 'à /'auapbon!. Elude bistorlque(OCA ?JJ7, Roma: PIO 1979) passtm; R. Taft, "On th Use ofdle Bema in the Ea.'>l-Syrian liturgy", Eastem Cbtm:bes Rwtew 3 (1970) 30-39.
120
dopo il Concilio Vaticano Il fra i cattolici caldei e sirrrmala~Ydn: si si è sviluppata una forma eli concelebrazione "verb·,tle" simile alla concelebrazione latina. Apparentemente, la primitiva tradizione bizantina segui un rito simile in cui solo un celebrante recitava l'anafora, ma più tardi vediamo, come in occidente, l'inesorabile crescita nella verbalizzazione della concelebrazione eucaristica, con le stesse preghiere dette da tutti i ministri concelebranti. 11 In questa come in altre tradizioni, si può distinguere la pratica ortodossa da quella cattolica orientale. Molti preti cattolici orientali, sono l'influenza occidentale, celebrano la messa quotidianamente a causa della devozione, anche quando non c'è un bisogno pastorale per cui essi debbano celebrare, così per loro la concelebrazione è pressoché la stessa cosa che per i loro confratelli latini del dopo-Vaticano Il: uno stmmento per soddisfare la loro devozione privata, il loro desiderio di "dir messa" ogni giorno, evitando nello stesso tempo la dissoluzione della koinonia eucaristica rappresentata da quel curioso contro-simbolo della comunione ecclesiale, la cosiddetta "messa privata". 12 11 Sulla prinùtiva fonna di con<.:elebmzione bizantina vedi R. Taft, "Byzantine Liturgi<..:al Evidence in the Life of St. Marctan tbe OecorwmOS: Concelebr.ttion and the PreanaphorJl Rites", OCP 48 (1982) 1;9-170. Il migliore studio esistente sulla concelebmzione bizantina è H. Brdkmann. "•Kal al!aytllt!JoKovcn TrQVT(~ ol 'IE{J('fs" Tl)v E(Jxapt.un'p.OII Ev_xr1v.. Zum gemeinschaftlichen Eucharistiegebet byzantinischer Konzeleb~.mten •. OCP 42 0976) 319-367. Da notare che ogni celebmnte dice la preglùerd a se Slesso. Non c'è una recita cor.tle comune come nell'uso latino, en."t!tto che trd alcuni <.'er cui, le prove talvolta ad<~?tte rt:r dimostJ?lre. t."SL~dle "messe private~ nell'anticllit.-1 è uno sproposito. T~ili ~~ er.mo ciò potremmo clùamare "picçole mes.o;e di gn.1ppo · che ::000 ~ un'altr.t co..o;a. La questione non è "contare le persone ·ma il n.wegliare
121
Tr.t i biZa111i11i ortodossi, la concelebrazione è praticata nonualmente solo quando un vescovo celebra solennemente 0 per solennizzare una liturgia presbiterale festiva. Così in un monastero in un giorno ordinario, un prete celebrerebbe e gli altri assiSlerebbero modo laico, non indossando i paramenti sacri, nella navata o nel santuatio. Nelle feste pochi presbiteri concelebranti si unirebbero al celebrante principale. Un vescovo è solitamente raggiunto da numerosi presbiteri concelebranti ed anche da altri vescovi. l bizantini cattolici e quelli ortodossi che seguono l'usanza russa in questo campo, praticano la co-consacrazione vetbale. Un tempo questo era considerato il risultato dell'influsso occidentale nel XVI secolo, ma recentemente gli studiosi hanno messo in dubbio con successo questa teolia_ u A. Jacob ha inoltre dunostrato che la concelebrazione verbale a Costantinopoli era in uso almeno dal X secolo, 1i ed è difficile supporre l'adozione dell'uso latino là, durante quel peliodo di crescente ostilità e disputa rituale tra le Chiese bizantina e latina. n Comunque, tra i greco ortodossi sembra ci siano usanze conl
kotncmia posta in secondo piano rispetto al desiderio devozionale di singoli presbiteri di dire la "loro" messa. Questo sarebbe stato inconcepibile nell'antichità. Resti di un approccio più tr'.tdizionale sono stati mantenuti dalla Chie~a latiml ftno a poco tempo fa. L'assoluta proiiJizione delle messe private il Giovedì santo, al conclave, all'apertura di un sinodo (cf McGowan, Cotu:elebrutton 55ss) m<>:-.tr.t che quando la Clùesa desiderJva manifestare nella sua pienezza il segno eucaristico della comunione ecclesiale, er.t proibita la di-;persione eucaristica in messe inllividuali. Se la moltiplicazione delle ~nes se o i desideri devozionali c.lel singolo celebr.tnte di dire la "sua" messa to.s.~ ver.tmente di maggior v-c~lore spirituale, una fonte 35 0969) 249-256. 14 Cf nota precedente. 15 Cf O. Rousseau, "La question des ritel' entre Grecs et Latins des premien; sièdes au concile de Florence", lréntkott 22 (1949) 248ss.
122
trastanti che coesi:-;tono in una pacifica competizione. Ln prt1e da me inten·ogato mi ha assicurato che tutti i concelebranti direbbero tutte le preghiere sacerdotali, comprese le parole istituzionali e l'epiclesi; un altro mi ha informato che solo il celebrante principale consacra. Lo Hieratikon dì Atene dell951 contiene una rubrica per l'inizio dell'anafora secondo la quale -ruai i preti leggono la preghiera eucaristica-:<· ma la stessa edizione più tardi nel testo dà l'impressione che solo il celebrante principaJe reciti il racconto istituzionale e l'epiclesi. 1; H. Brakmann ha ccr munque dimostrato che queste rubriche alludono al ruolo del celebrante principale, e non possono essere interpretate resuittivamente come esclusive della recita della preghiera consacralOria da parte dei presbiteri concelebranti. 18 Tuttavia, lo Hieratikon dell'edizione dell'Apostoli~ Dialoonia dell%2 chiari'iCe bene che solo il primo prete consacra. 19 Qui sembriamo trovare un caso in cui la concelebrazione verbale si usa tranne che per la consacrazione! Ma non dobbiamo immediatamente concludere che questa pratica sia in continuità diretta con la tradizione antica. Può essere il risultato dell'insegnamento di Nicodemo l'Agiorita 07491809), che riteneva che, per presetvare l'unità dell'offerta, solo Wl prete dovesse dire le preghiere.20 Ma è ovvio, dalla polemica di Nicodemo contro ·alcuni concelebranti... ciascuno dei quali ha 16
Nell'appendice "Hferalikon sylleitoursou" 170.
17 18
lbtd. 170-171. "Zum gemeinsdutftlichen Eucharistiegebet" 324-3.34.
19 Appendi<..-e 'Hieralikon sylle{tourgon"Z1!J-2~9: ~~ 1?-16. ~ mbric:a fmale (n. 25, p. 250) non f?Olrebl~ es.~ pau_ esplicita: r.e il pnmo a;_ lehmnte concede ai cont-elehr.mu le patti a ltu propne, sopr.a~tto_la l~ zione (sellZ
.
.
·z
m gemeinSChafdkhen
20 Su Nicodemo, v~dt_ B~aktn.~~· . u . d' . S71D Eudlarisliegebet'" 334ss. Cf l obteztone simile ID Tommaso AqWOO. 82, 2.
123
clltlt'/c"'lc'llfl'c'/i>tndc•ll/(': R F. 1(!/1
il proprio libro separato della divina liturgia e recita le preghie-
n.· plì\-at:unente•, che egli sta discutendo contro la pratica esistente .z• Vale la pena notare che nella bizantina, come i n altre tradizioni, la concelebrazione non è limitata all'eucarestia. Le stesse norme si riferiscono acl altri uffici. Quando un vescovo celebra i vespri, una veglia, un requiem, ha sempre dei concelebranti e lo stesso è vero per gli uffici più solenni anche quando non c'è un vescovo che celebra. In tali concelebrazioni, molte pa1ti sono riservate al celebrante principale, altre sono distribuite. L'unlione degli infermi è fatta (idealmente) da sette presbiteri. Ma, tranne che la benedizione dell'olio in questo rito e le preghiere della liturgia eucaristica, i concelebranti non recitano tutti le stesse preghiere. La nonna è piuttosto la disttibuzione. Ma l'unzione degli infemli è una reale concelebrazione "sacramentale", perché le unzioni stesse sono suddivise fra i concelebranti. Un rito simile si trova tra i copti e gli armeni. 22 Non abbiamo ancora a nostra disposizione studi per valutare le ragioni della comparsa e della diffusione in oriente della concelebrazione verbale. Ma essa non rappresenta la pratica della Chiesa antica.
2. Celebrazione eucaristica nella Chiesa antica: celebrazione o concelebrazione? In JCor, la nostra prima testimonianza dell'eucarestia, san Paolo presenta la forma ideale di questa liturgia come un banchetto fraterno che l'intera comunità "celebra" assieme (11,1734; cf 10,16-17). Presumo che il capo della comunità presiedesse 21 Heottodromfoll étot b(:•nuéneta eis tous asmatikous lumortas ton despotikOukat tbeométortk011 béotton (V~n~zia: N. Glykei 18.36) 576 nota l. 22 Cf H. Denzinger, Rttus orieutalium coptomm syromm et a~IWrwn in admillistrandis sacramenlis ... vol. 2 (Wlirzburg: Stahd 1864) 483ss, ;t9ss.
124
la celebrazione e dicesse la preghiera della benedizione della mensa, secondo l'usanza dei pasti ebraici. ' 1 Paolo sembra insinuare questo in 1Cor 14,16-17: ·... se tu benedici soltanto con lo spirito, colui che assiste come non iniziato come potrebbe dire l'Atnen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? Tu puoi fare un bel ringraziamento, ma l'altro non viene edificato.• E la sua insistenza sull'unità in JCor 11 sembrerebbe esigere una benedizione sul cibo condiviso. Naturalmente, parlare di "concelebrazione" in questo contesto sarebbe tautologico, implicando una divisione clero-laici che non era consolidata così chiaramente. Paolo parla di una varietà di moli e di ministeri al servizio comune {1Cor12 e 14), e del bisogno del ministero dell'ordine per la comunità (JCor 12,27-30) e le sue assemblee (1Cor14, sopr. 26-40). Ma certamente non si ha l'impressione di una comunità divisa in "celebranti" e "assemblea". Piuttosto tutto il problema in 1Cor12 e 14 è che ciascuno entra in scena senza l'attenzione dovuta all'altro, provocando perciò il disordine e la disunità nell'unica (idealmente) celebrazione. Lo stesso riguarda l'unità nel discorso dell'Ultima Cena in Giovanni 03,3-16.34-35; 15,1-12; 17,11.20.23) e nelle descrizioni della primitiva assemblea ecclesiale negli Atti(1,14; 2,1.42-47; 432-35; 20,7). E questa è la cosa più importante nella mente dei Padri apostolici. Ignazio di Antiochia all'inizio del Il secolo è il testimone classico: Abbiate cura, allora, di consumare una sola eucarestia, perché c'è una sola carne di nostro Signore Gesù Cristo ed Wl solo cal.i<.:e per unirei al suo sangue, un solo altare così come Wl solo vescovo con i presbiteri e i diaconi ... (Pbil. 4; cf 6.2).. . . . . .. . Tutti voi senza eccezione di un uomo... VI numte tn u~ st~ sa fede in Gesù Cristo ... per obbedire al vescovo e al pre.i>tteno,
Spirllfsli7r:f....:.be
23 Cf L. Bouyer, Euchartst. Theolo8Y atJd EucbartsNc Pmyer(Notre Dame: University of Notte D-.une
96B
125
Olllt'lill'h'llft' t• li._, lilt•llll'l R. F 1l!/l
Spt'ZT..
Barnaba (Ep. 4.10) e Clemente di Roma (Ep. 34.7) rispecchiano la stessa preoccupazione. 2' Ma in questa letteratura vediamo più che una continuazione della preoccupazione paolina dell'unità a Corinto. Alla fine del I secolo è emersa, per servire questa unità, una stmttura ministeriale più a1ticolata, ed è rispecchiata nell'ordine degli uffici. Il ministro che presiede o "sommo sacerdote" è unito nella celebrazione ad altri ministri. Essi si distinguono dai "laici"-termine che appare per la prima volta in questo periodo 2 ~-per il ruolo e il posto a sedere nell'assemblea. Se tale sistema non può ancora essere considerato generale, la Lettera di Clemente Io testimonia, almeno per Roma e Corinto, attorno al96 d.C.: 40.1 .... Dovremmo fare con ordine (taxis) tutto ciò che il Maestro ha preStTitto di c-ompiere ai tempi stabiliti. 2. Ora egli ordinò che le offerte (prospborar) e le funzioni pubbliche (/eitourp,im) fos24 Barnaba, Ep. 4.10 J>G 2, 733-734; Clément de Rome, Epltn! au.x Corlutbiells, ed. A. jaubert (SC 167, Paris: Cerf 1971) 156. 25 La nostm prima testimonianza ~ il testo di Clemente (405) ~~t~to sotto. Cf l. de la J>otterie, ML'origine et le sens primitif du mot 'Ime ' Nouvelle Revue TbéologtqueOO (195R) 840-8;3.
126
se~o fat~.e n~n ca~ualmen!e o irregolarmente, ma ad un ~nfXJ t:tJ un ora hssat1. 3. Ed egli slesso ha tlt:terminato con sua w11t'm!A -.uprema dove e tl.a chi Egli desidera che questo sia fatto ... 4. rf.N ur loro i quali fanno le loro offerte (prosphora{) ai tempi fissati 'l)fVJ accetti e benedetti ... 5. Poiché al sommo sacerdote (arcbiereus) VJfVl assegnati i se!Vizi (leitoUIRim) a lui propri, e ai preti (bieTt~) e stato designato il loro proprio posto (topos), ed ai leviti lcioè i diaconi] sono stati imposti i loro propri mini-;teri (diakonim). laico (laikos anthmpos) è tenuto alle regole per illaicato. 41.1 Ciasnmo di noi, fratelli, piaccia a Dio nel suo proprio ordine (taf.:ma) ... senza infrangere le regole prescritte tl.al suo ufficio (leitou~Ria) ...Y.
n
Qui almeno vediamo un accenno al sistema che emerge nei documenti del III secolo: i presbiteri, diversamente dal presidente l'assemblea, non si può dire abbiano partecipato alla liturgia semplicemente "come laici". Non erano solo "presenti" alla funzione, sebbene con "posti riservati"; essi compivano anche azioni liturgiche. 27 Ma ogni tentativo di interpretare questa partecipazione come "concelebrazione" nel senso di esercitare consciamente in comune qualche tipo di "potere" sacramentale proprio alloro ordine, sembra andare al di là dell'evidenza. Piuttosto, si ha l'impressione di una sola assemblea comune nella quale ogni categoria di laici, così come il clero, ha il suo luogo e ruolo speciale. Certamente la maggior parte delle fonti dice molto di più sul ruolo dei diaconi e della gente nella celebrazione eucaristica di quanto faccia sul ruolo dei presbiteri, ma nessuno avrebbe pensato di chiamarli "concelebranti" nel senso stretto, attuale, del tennine! Fmo al N secolo, la testimonianza orientale generalmente eo~r corda sul fatto che l'eucarestia più soleMe coinvolgesse il vescovo 26 27
Trctdotto dall'edizione dijaubert, 166. Q' Tradizione Apostolica 4, ed. B. Botte, lA trrldi/IOtl ~ de s. Hippolyte. Essai de recotiStitutiOtz (LQF 39, M = 1963) 11; Didascalia II, 57, R. H. Connolly, Didasc'fla Ci lSiitu/iOtii!S ti{JOCl-.tderbom: F. Scb.oeningh 1905) l, 158-1 ·
127
cit'l'Ondato dai suoi prt•sbiteri, che non erano solo "presenti" nel presbitctio, ma pattecipavano mtivamcntc al rito nel modo riSt'tYato alloro ordinc.l>l Questo è chiaro dalla letteratura canonica, come il canone 1 del Concilio eli Ancira (ca. 314) o la Seconda lettera canonica di san Basilio (t 379) che aveva sotto gli occhi il caso di un presbitero sotto sanzione ecclesiastica che manteneva il suo posto nel presbitetio mentre era sospeso da tutte le funzioni ministeliali, compreso il clititto di "offtire" l'eucarestia.l'> Qui è tracciata una chiara linea tra i presbiteti presenti all'eucarestia e coloro che "offrono". Ma non si può insistere sul significato teologico di questo per la concelebrazione. Una situazione sitnile è stata affrontata per i laici nelle tappe conclusive della penitenza: i laici erano consistentes, era loro pennesso di "assistere" a tutta la liturgia, senza tuttavia partecipare all"'offerta" .:~1 Così non è facile individuare quale significato teologico comporterebbero tali te28 Cf Coust. Ap. (tardo IV sec.) II, 57 e VIII, 11.12; 12.3-4, SC 320,310320; 336, 76-178, e la successiva Ieneratum collegata: Didascalia arabica 35, Funk ll, 124-125; F.,"(COtlSNtuttonibus capttula 14, ibid. li, 139; Constitutiones ecclesiae aeg)pliacael (XXXI) 10, 31, tbid. li, 99, 102; Teodoro di Mopsuestia (ca. 388-392), Horn. 15, 42; Horn. 16, 24, ed. R. Tonneau e R. Devreesse, /J!S bomélies catécbt..Jfiques de 7béodore de Mopsueste(Studi e testi 145, Vaticano: Bibliotheca Apostolica Vaticana 1949) 527, 569; Sin<XIo <.liMar L-;aac (a.D. 410), ].-B. Chahot, Synodtcorz orientale (Paris: Imprimerle nationale 1902) 268; Testamentum domttzi nostri Iesu Cbristi (V sec.) I, 23, ed. I. E. Ralunani (Mainz: F. Kirchheim 1899) 34-36; Ps.-Dionigi (ftne del V sec.) De t'C~/. bier. 3, 2, PG 3, 425; Narsete (t 502) Homily 17, 1be Liturgica/ Homtlies o} Narsa~ tnKI. R. H. Connolly (Text'ì and Studies8.1, Cmnbridge: UniversityPres.'ì 1909). 4-5, 9, 27; Ordoquoeptscopus urbem iuiredebet, del VI sec., ed. I. E. Ralun:mJ (Studia Syriaca, fase. 3, Ch;ufeh 1908) 34 [22], tmd. G. Khouri-Sarkis, "Réc~ptJon d'un év~ue syrien au VI" siéde", L'Orlent syrlen2 0957) 16o-162, R. Taft, J!'t: Great EtùrUru:e. A Hlstoryq{tbe TmnsjerofG!fts and otber Pmauapboral R1M oj tbe LiiUTPJ' of St. ]obn Cbry•sostom (OCA 200, Roma: PIO 19781) 40-41; Canone 11 della Lettera oflso'yahb I al Vescovo di Dm·ai (a.D. 585), Chahot, Syuodfcon 430; Gahriel Qatntya bar Lipah (ca. 615), ed. )ammo, La meSSI! cbaldérme 33s.'ì; e le fonti sucL-es.-;ive in )ammo, passim, e Taft, 7be Gtt'(JI Etztrance 166-168, 197-198, 201-206, 210-213, 264ss, 291-310 . . 29 Basilio, Ep. 199, 27 PG 32, 724; AnLyr.t, canone l, Mansi 2, 514 (d Neocesarea, canone 9, tbtd. 542). 30 Basilio, Terza lettera can.(,. F.p. 217,56, 75, 77, PG 32,797, 004-00J).
128
stimonianze senza voler leggere la storia a ritroso. lJove le t<:'>fimonianze sono chiare, come nelle tradizioni siriache, esse faw,riscono la conclusione che solo il sacerdote princip-,lle '"consacrasse" i doni. 11 Ma ormai la teologia sacrificale è in fiore, e trrr viamo testi che dicono che i ministri concelebranti almeno di rango presbiterdle "offrono" Cprospherein, offerre), anche "come preti" (bierourgein) la comunione eucaristica.-11 Ora, sebbene occona esser cauti nel leggere i nostri presupposti teologici posteriori nei testi che sembrano affermare ciò che speriamo di mr vatvi, dobbiamo anche evitare di dare ai testi un'interpretazione minimalista solo perché non incontrJ.no i requLc;iti romani moderni per la "verd, sacramentale" concelebrazione. Le omelie eli Teodoro eli Mopsuestia, acl esempio, chiariscono proprio (l) che i concelebranti "offrono" l'eucarestia, (2) che ciò richiede l'esercizio di un ministero proprio al loro ordine non condiviso con illaicato, (3) che solo il vescovo dice la preghiera eucaristica. 3J Due conclusioni sembrano ovvie: (l) dal N secolo possiamo osservare una consapevolezza crescente che i presbiteri che celebrano l'eucarestia assieme al vescovo stanno facendo qualcosa che i laici non possono fare, qualcosa che solo i preti hanno il mandato di eseguire. (2) Senza prove ulteriori, questo non può essere interpretato come che essi stessero "co-consacrando" ver31 Te<xloro di Mopsuestia, vedi sono, nota 3~; N~t~i. Homi(l•! 7. in Connolly 4, 7ss, 12-;s, lHss, ma soprattullo 27; Ps.-Dtomgt, De ecci. hlf!r. 3. PG 3, 42;; Test. domini I, l.:S, ed. Rahmani. 38ss. 32 Conc.:ilio di Neocesarea (ca. 31;} c:anoni 13-14. Man.o;i 2.: ;42;43; Teodoro di Mopsuestia, Hom. 15, 42, ed. To~e-.tu-Dev~-;e. )1.7; la lettem del preshitero Ur;mio che descrive l'em:aresua t.-e_l~hr.~~~ sul.suo.letto di morte da Paolino da Nola (t 431) con i due veSt.UVIIJl VISiti ~u ~ Addino: •... una <.:um sant.1b episcopio; ohlato sac.:ritki<>- CEp. 2. PL '3: H60); il rac:conto di Evagrio Scolastico 1.-ulla visita dd v~scom J}~l di Antiochia a Simeone Stilita (t 4;9) e l'eucarestia dlt! <.-elehr.trono:L~ne: •... To acbramou blerougésantes soma ...• (Hist. eccl l, 13. PG 86', -4'3).
33 Hom. 15 passim, spec. 36, 41, 44, Hom. 1~, p~~~ 2, 5-16, 20; ed. Tonneau-Devreesse ;11-;19, ;2;, ;29, ;31-)3), '37-))9. ;63.
129
Olll'l"l'rll'lt'llh'l' l'r~tdtlt'llll' /N. F 1i!fl
balmente, che recitassero in comune la preghiera eli heneclizio. ne dei doni. Tale supposizione sarebbe anacronistica, basata su una successiva identitìcazione nella teologia scolastica dell"'essenza" del sacrificio eucaristico con la "consacrazione" dei doni. Questa teoria è logica e potrebbe anche essere vera. Ma non è antica, e questo è il punto in questione. G. Dix ha ritenuto che la consapevolezza crescente che i presbiteli "concelebranti" "co-offrano" il sactitìcio con il vescovo rifletta l'estensione ai presbiteri di ciò che un tempo era riservato ai vescovi.~' Quando il sistema episcopale dell'ordine ecclesiastico descritto da Ignazio d'Antiochia appare per la prima volta sulla scena, sembra che solo il vescovo presiedesse l'assemblea eucaristica, tranne quando avrebbe delegato un presbitero a presiedere in suo nome l'assemblea di qualche comunità lontana. Ma suggerirei che le origini della nostra "concelebrazione" siano da cercare altrove, non in questa espressione di koinonia della Chiesa locale, celebrata dal vescovo con presbiteri, diaconi, diaconesse, vedove, vergini e così via, ma piuttosto nell"'ospitalità eucaristica" accordata ai vescovi in visita come segno di comunione tra Chiese sorelle. Ci sono molti chiari esempi storici di questo nel caso di vescovi in visita o di vescovi in sinodo. 3 ~ A livello locale, lo stesso privilegio era concesso ai "corepiscopi" (cioè suffraganei, vescovi di campagna) dal loro supeliore, il vescovo della città ..iC• È precisamente nell'ultimo caso che vediamo per la prima volta il termine di 34
7be Sbape oftbe LifUI1{)' (London: Dacre 194;) 34. 3; Molti e~mpi in Ml'Gowan, Co11a-iebration 24ss, 40ss. Ma andlt' nt'i casi più antidli <.li questo n< m c·~ evidenza di ''l"O-<:Onsacr.tzione" sehhene l' episcopéc.lell'as.-;emhlea fos.o;e mndiviso e dò fos.o;e dliamato •·con~-elehmziont'~. l testi dliari in materia semhr.mo inùkare che in tali diUJ~~tanze al vescovo ospt~ fos.o;e "mnl'l!'i.'\a"la henedizione dei doni. CfEu~hio, Hlst. ecc/es. V, 24, 17, EuS<.-hfus We~ll, l, ed. E. Schwartz(GC.Ii, Leipzig:.J. c. Hinrichs 1903) 496"' PG 20, ~; Didascalia Il, 58, ed. Funk l, 16H • Connolly 122.
36 Ne
130
"concelebranti" <.~ylleitourgol), ed è ciò che il canone 13 del Concilio di Neocesarea (ca. 315) proibiva esplicitamente ai presbiteri di campagna." Ma poiché divenne sempre più comune per i presbiteri l'essere assegnati alla presidenza eucaristica, forse crebbe la consapevolezza che pure alla liturgia del vescovo anch'essi avrebbero potuto "co-offrire", così come i vescovi in visita erano soliti fare. È certo comunque che questo awenne, che tale consapevolezza crebbe finché l'orientale "sylleitourgein" di pochi secoli prima divenne, almeno per i latini, "co-consacrare"." Siamo alla soglia della "concelebrazione" identificata come co-consacrazione verbale degli stessi elementi eucaristici da più di un ministro ahneno di rango presbiterale. Questo si trova in occidente in un passo dell' Ordo romantiS III del VII secolo:'1 l.a noSb"a prima prova orientale si trova in una rubrica della diataxis bizantina del X secolo o libro delle rubriche incorporato nella versione di Leone Toscano della liturgia di Crisostomo. •• In modo abbastanza interessante, quest'ultimo testo testimonia un'altra innovazione precedentemente sconosciuta: una concelebrazione eucaristica di soli presbiteri, senza la presidenza del vescovo. Il defunto ecclesiologo russo-ortodosso N. Afanas'ev, nel suo snello, ma prezioso studio La cena del Signore, •• ha indagato proprio quale tipo di ecclesiologia tale servizio potrebbe rappresentare. Loc. cii. 38 Cf la lettem di papa Giov;mni VIII a Fozio (a.D. 879~. E/J. 248, ~L 126, h'71: •tecum ... consecrare• - •sylleitourgesai sol> nellil ver.;Jone grect m 37
Man~i
17', 4138. m 1. ù1s ''Orrliues roma111" tlu baut mo)'!tl-dge, ed. M. Andrieu, vol. 2 (Spicllegium sacmm Lovaniense. Ént
39
131
Oltn•l t >l'N'IIft' 1' lì-llt/,•11/t' R F. 1i!fl
j. Riflessioni La tt':\timoni:mza pnxedente rivela almeno questo: che non c'è una tradizione "orientale" da volgere a proprio suppo11o, né come siajungm:um che DLx ha1mo mostrato una generazione fa,' si può semplicemente presumere che "01ientale" equivalga ad "antico''. •! La celebrazione co-consacratoria presbiterale praticata nella maggior p
42 J. A. Jungmann, ~La lotta conlm l'arianesimo genmtnico e la clisi <.le!la t'Ukur.t religiosa neU'alto M~lioevo", nd suo En!dftcì /fturRfca e anuaj ltta pastora/e(Ronl
132
questione secondaria (per me) della conc<:lebrazionc U)J1X: una manifestazione dell'unità del sacerdozio ministeriale (Sacrosanctum Concilium 57). Da questo punto di vista, il rito ripristinato deve essere considerato un successo considen:vole. I preti cattolici hanno imparato di nuovo a pregare insieme. Non ci sono più comunità religiose di preti messi di fronte alla suprema ironia di una vita di preghiera di comunità in cui ogni cosa è fatta in comune tranne la sola cosa che Cristo abbia lasciato come il sacramento della loro unità in lui. È a tali questioni ampiamente clericali che era dedicata molta della letteratura preparatoria sulla concelebrazione del peri~ do precedente al Vaticano II. Rileggendo patte di questo mareriale, sono rimasto impressionato da quanto gli interessi di questi autmi siano totalmente estranei a quelli del presente. Gran parte della loro discussione mira a stabilire se si possa dire che un presbitero che non co-consacra verbalmente "offra il sacrificio", intendendo con questo che "esercita il suo potere sacerdotale" in gesti ed intenzione, attraverso la voce del celebrante principale. Persino atticoli di Ralmer, tra i più equilibrati interventi dell'intero dibattito precedente al Vaticano II, sono troppo preoccupati del celebrante e di che cosa egli ne ricava. i.l Vedo questa aisi attuale come un segno di salute per cui, avendo tratto grande vantaggio nella preghiera dall'unità sacerdotale promossa dal rito restaurato della concelebrazione, oggi siamo pronti per una prospettiva più atnpia. Preoccupazioni clericali eccessivamente anguste sono ora rigettate come irrilevanti, e il rito attuale è sempre più percepito come una celebrazione della divisione-non più della divisione eucaristica tra i preti causata dalla 1uessa privata, ma la divisione della comunità in quelli che "celebrano" e quelli che "assistono". Non penso che la concelebrA43 K. R:iliner e A. Hiius:ding, Tbe Concelehmtiotl (New York: Herder ;m<.l Herder 1968).
of tbe EucbatiSI
133
R. F Tajl
manitl>stì nea.•ss~uiamente la dit,isione. piuttosto la stntttura .~.,·mt·Mca della comunit~'l ecclesiale. Ma quando uno pensa a quelle sbilanciate concelebrazioni eli massa che sono diventate monect comune; alla confusione dì ruoli creata dall'unione dei laici con i concelebr..mti ~momo all'altare per l'anafora e persino dalla recita di essa con loro; o peggio, quando si vede improvvisamente una mano protesa da un banco, ed un prete che assiste alla mes..c;a con i fedeli che inizia a monnorare le parole istituzionali--quando uno è stato sottoposto a tali abenazioni, è difficile non condividere un malessere crescente. Ciò con cui abbiamo a che fare qui è (oltre ad un'evidente ignoranza e cattivo gusto) un conflitto di teologie. È mia propria convinzione che solo un'equilibrata teologia della Chiesa può essere la norn1a direttiva per la fom1a della nostra celebrazione, e non la "devozione", il "desiderio", il supposto "diritto" di "esercitare il proprio sacerdozio", di "offrire un sacrificio" o qualsiasi altra cosa di chicchessia, prete o no. Un conunentario sulla "concelebrazione interrituale"-ministri ordinati che concelebrano ad un'eucarestia celebrata in un rito diverso dal proprio-emesso dalla Congregazione per le Chiese Otientali nel 1980 mostra, credo, che il pensiero ufficiale cattolico sulla concelebrazione inizia a muoversi in tale direzione. 11 Il rispetto per l'integrità della tradizione della comunità locale che celebra come espressione concreta di comunione ecclesiale è il motivo principale del documento. Il rito da usare è preferibilmente quello della Chiesa ospite, contrariamente alla precedente legislazione che dava sempre 1.ìone
44 Semizlo i11jonnazio11e per le Chiese ortentttli. vol. 45, nn. 4~-4 1? (Roma, luglio-agosto 1980) 8-1R. Vedi R. Taft "lnterritÙal Com:elehmtton · Worsbip55 (1981) 441-444. Queste ed altre e~cellenti nonne e principi che ~,'Ui<.bno la concelehmzione sono state incorpomte nd n. 57 di Congrega·. zione per le Chiese Orientali, Istruzione per l'applicazione delle pn>SC~zi01.~ 1 lttu'8iCbe del Codice dei CUtlOill delle Cbtese Ortellfali (Vaticano: Ubren,l Editri(."e V<Jtkana 1996).
134
precedenza al1ito del celebrante. '1 E il documento mostra un senso di gran lunga migliore degli elementi fondamentali di quello eli solito riscontrato nelle discussioni sulla concelebrazione: cioè che l'eucarestia è una communio, una celebrazione dell'unità non una litualizzazione della divisione; che, di conseguenza, le sue nonne sono determinate dalle domande ecclesiali e pastorali più ampie eli tale communio, non dai bisogni devozionali dei ministri, che sono lì per se1vire la Chiesa, non se stessi. Forse, persino più basilare dell'ecclesiologia è un problema fondamentale nella teologia liturgica cattolica romana: la distinzione classica tra eucarestia ut sacramentum e l'eucarestia ut sacrificium, con la riduzione della prima ad una discussione sulla "presenza reale", e il molo, fmo a poco tempo fa predominante fino all'oppressione, della seconda nella teologia della celebrazione eucaristica. In quanto sacrificio, l'eucarestia è effettuata dal sacerdote nella consacrazione. Anche se fatta privatamente, si dice ancora essere "pubblica", offerta, come l'offerta di Cristo sulla croce per la salvezza del mondo intero. La messa è il segno di questa offerta, e come tale condivide il suo significato impetratorio ed espiatorio. Inoltre, il prete offre agendo in persona Christi, ed ogni offerta sacerdotale comporta un "atto separato" di Cristo, Sommo Sacerdote (Pio XII). 16 Dal momento che questo è vero per cinque messe private, o per una co-consacrazione verbale di cinque preti, ma non è vero (ancora Pio XII) '7 per la messa detta da un solo prete con altri quattro che assistono o solo "concelebrano cerimonialmente", non "sacramentalmente", allora la conclusione tratta da questa teoria per i preti cattolici è ineluttabile: ciascuno dovrebbe "co-consacrare". A sostegno di ciò è la nozione che in qualche l
4;
Canone 2.1 dd motu proprio Cleri satlclitati(l9;7).
46
Maguificalr! domluum, 2 novembre 19;4, AA5 46 (19;4) 668ss.
47
Loc. ctt.
135
modo "lll
136
fonna meno stnmurata. Non appena emergono c si consnlidano ordini e strutture, questi abbastanza naturalmente trovano espressione nell'assemblea: i presbiteri e i diaconi hanno posti speciali e ruoli cerimoniali alla liturgia presieduta dal vescovo, e i ministri in vi.<;ita sono invitati a partecipare in modo conveniente alloro rango. Quelli che oggi sono afflitti dalla presenza di numerosi presbiteri vestiti in paramenti sacri nel sanntario troveranno ben poco conforto nella storia! Ma da qualche patte lungo la strada si è presa una svolta, e la liturgia è iniziata ad apparire meno come celebrazione comune di tutti, ciascuno secondo il proprio rango e molo, e sempre più come ciò che è fatto dai ministri per gli altri. Dal sommo sacerdote (vescovo) che presiede su nmo il popolo sacerdotale. d siamo spostati al sommo sacerdote/preti (presbiteri)/laicL '' Sospeno che la disintegrazione dell'effettiva unità eucaristica durante il declino della comunione del IV secolo e la divisione della comunità in più categorie non comunicanti (catecumen~ energoumenoi, il/uminandi, penitenti) fosse all'origine di questo processo. L'eucarestia non fu più capace di sostenere un'ideologia di /..>oinonia che la linu-gia in realtà non esprimeva più, così l'ideologia crollò e il rito (il rintale sopravviVe sempre alla teoria) fu costretto a cercare altrove un supporto ideologico.9 ' Questo accadde sia in oriente che in occidente. Solo che l'occidente, con la consistenza logica inesorabile con cui trae le conclusioni, fece il passo ulteriore di dedurre (abneno irnplidtamente) che il/aos poteva essere dispensato, aprendo così la porta allo sviluppo della messa privata. Ma anche prima di questo, notiamo la crescente consapevolezza che i ministri or-
==
49 Oix, Sbape, 33ss; H.-M LegrJnd, "''te Presiden<.y uflhe Eudl:ui<òl according t.o the Ancient TrJdition~. \Vorsbip ;3 0979) 422. 50 Oiso.ato questo nd m.io ;uticolo, ·n~ I.ln•lb')' of d'le Gre'.lt an lnitial Synthesi.o; of Strm.1ta~ ;and Interpretmon oll dte Eve of Ian
·
nop 34-3; 0980-81) 68..;.o;.
137
dinati Ml'Oill'clebr:mti" "co-offrono" l'eucarestia in un modo differentt' da quello in cui si può dire che tuna la Chiesa la offre, una consapevolezza che alla fine trova la sua espressione linu-gica nella concelebrazione co-consacratoria. Dubito molto se una teologia in persona ChrL'ìti del ministero eucaristico abbia qualcosa a che fare con le origini di questa pratica in oriente. Ma certamente questo è ciò che oggi la tiene in vita nella Chiesa cattolica. Quale prete vuole rinunciare al diritto di esercitare questo molo privilegiato, sopratnltto quando esso è la base per tutta la sua spirin1alità e devozione sacerdotale? !.asciatemi sottolineare che le precedenti osservazioni non sono costruite come un attacco alla teologia dell'eucarestia come sacrificio. La mia preoccupazione è liturgica: il sacrificio di chi e di che cosa, offerto da chi, con quale scopo, ed espresso come? Alcuni anni fa Aelred Tegels dichiarò dove giace la risposta e quale dovrebbe essere la fonna della concelebrazione: Dio è adorato nella liturgia fmo al punto che il popolo che adora è santificato, e il popolo è santificato fmo al punto che è procurata "la consapevole, attiva e piena partecipazione". La liturgia è essenzialmente pastorale. La fonna ideale di celehf'J.Zione è quella che più efficacemente assocerà questa assemblea, in questo tempo e in questo luogo, all'atto di culto proprio di Cristo."
Questa norma fornisce poca giustificazione ai preti in visita che vorrebbero semplicemente usare la linu-gia di una Chiesa locale come un modo convenienté di "dire la loro messa", con nessuna preoccupazione per problemi più ampi. Questo non per escludere le legittime domande di devozione dei sacerdoti: anche i preti sono popolo, e dovrebbero essere capaci di ritualizzare le realtà significative della loro vita religiosa. Ma questo non può essere isolato dalla regola ecclesiastica che governa la concelebrazione e, in verità, ogni liturgia: ·Nisi uti/itas ;1
138
"Chronide",
Wo~b(D44
0970) 183.
fuJelium ... hoc impediat-se l'utilità dci fedeli non lo impcdisce.•~2 Davanti a tale norma, ogni discussione su come questo o quel prete ottiene più o meno devozione, su quanti "atti di Cristo" o "sacrifici" sono offe1ti, su chi "esercita o non esercita il suo sacerdozio", se una o più "messe sono dette", diventa totalmente secondario. Ma anche se si prescindesse da tutte le questioni ecclesiali e pastorali e si accettasse semplicemente il fatto che i preti cattolici latini devono ''esercitare il loro sacerdozio", si potrebbe a stento considerare ideale da un punto di vista lin1rgico l'attuale rito romano della concelebrazione. Secondo l'attuale disciplina della Chiesa cattolica romana, nessun presbitero concelebra "validamente" l'eucarestia se non recita la preghiera di consacrazione, incurante di ciò che altro potrebbe fare in gesti o simboli per mostrare che egli intende chiaramente partecipare-cioè concelebrare-alla liturgia eucaristica secondo il suo rango presbiterale. Anche se si potessero 1igettare i presupposti della teologia eucaristica e sacramentale medievale latina che hanno condotto a tale conclusione, si potrebbe a stento mettere in dubbio il diritto della Chiesa romana di detenninare la prassi concreta dei ministri nella disciplina della concelebrazione. Ma innalzare tali particolari esigenze disciplinali allivello di un principio dogmatico universale, e quindi applicarlo nel giudicare la pratica di altre Chiese o di altre epoche, è una procedura ingiustificata. Se ci awiciniamo alle nostre fonti primitive e orientali con tali presupposti, siamo costretti o a concludere che nell'antica cristianità non è mai esistita una "reale" concelebrazione, o altrimenti a inventare per il periodo antico una nuova fonna di concelebrazione, mai sentita allora: concelebrazione "cerimoniale" come opposto a "sacramentale", che è l'unica considerata "reale". Sostenere che la concelebrazione "verbale" è la sola "reale" ;2
Eucbarlsttcum mysterium, 2; maggio 1967, n. 47.
139
sì~lifka
anche metrel't' in discus.'\ione molto della tradizione oril'llt.' le. Infatti nma questa problematica è estranea ad una sana ment.dìt:llintrgica. in cui l'intero co1po dei presbiteri è il soggetto momle del ministero comune da loro esercitato in solidum. Esigere che nttti loro recitino insieme ce1te parole manifesta un'ignoranZ.'l della nantra gerarchica e simbolica del sacramento espresso in presenza, in gesto, in testimonianza, così come nella parolaY La concelebrazione, anche nel senso clericale più stretto, è l'atto comune di un collegium, non la sincronizzazione di una somma di atti di più invidui. Quindi, anche per chi ha una preoccupazione puramente "clericale", l'attuale rito romano di co-consacrazione verbale sembra più un rifiuto che una manifestazione dell'unità collegiale del presbyterium. '' E per chi ha più marcati interessi pastorali per l'espressione liturgica dell'unità di nttta la Chiesa-koinonia nel rito eucaristico, la concelebrazione presbiterale, in alcune delle forme attualmente in uso, lascia molto a desiderare come simbolo della nostra unità e non di ciò che ci separa.
;3
Così per secoli i tre wscovi che imponevano le mani aU'ortlinazio·
ne epi'it.·npale eranc >giu....tamente Lun-;iderati veri "co-cono;acranti". Sm\!hbe una
di'ilorsione dell'intera tmdizione con-;ider.trli qualcos'altro, anche se un<~ solo diceva la formula di cono;acr.tzione. Ma dal tempo di Pio XII tutti e tre 'coconsalTJnti devono redtare la fonnulét (F.ptscopalls Consecralionis, AAS 37 11945) 131-132>. CfML'Gowan, Concelebratiou66-f:J7. ;4 Vedi le osserv;tzioni conclusive di H. Sdmltze, "Das theologische Prohkm der Konzdehmtion·, Gregorianum 36 (19;;) 268-271.
140
1. Ricevere la comunione: un simbolo dimenticato?*
Nel linguaggio comune, noi "riceviamo la comunione" o "facciamo la comunione". Alcuni parlano anche di "prendere la comunione". Credo che le differenze siano più che semantiche. "Prendere la comunione", come il riflessivo in alcune lingue moderne (per esempio, nell'italiano comunicarsi, nel msso pricastit~;a), pone l'enfasi sulla comunione come ano del singolo credente, esercizio personale di pietà; qualcosa che io faccio piuttosto che qualcosa che è fatto a me, qualcosa "preso" piuttosto che un dono dato e ricevuto, la condivisione di qualcosa che noi abbiamo e facciamo e riceviamo in comune e reciprocamente-in breve, una comunione. Che quest'ultimo fosse il senso originale della koinonia eucaristica nella Chiesa primitiva dall'inizio è ovvio. In JCor10,17 Paolo ci dice: ·Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane.• E quindi prosegue nel decifrare le implicazioni di questa comunione. Un po' dopo, all'inizio del II secolo, Ignazio di Antiochia ammonisce: ·Abbiate cura, allora, di comunicarvi a una sola eucarestia, perché c'è una sola carne di nostro Signore Gesù Cristo ed un solo calice per unirei al suo sangue, un solo altare così ar Ampliato da Worsbip 57 (1983) 412-418.
141
un m
\'t'~"0\'0 <."011 i
preshill'li c i diaconi .. •' QUt."St3 reWlb di comunione er.t così ri~ntnsa che ini?.ialnll·n~ i preshit~ri-i "pn:-ti", come li chiami:lmo-non "diceV'.lllO llleS."i11onia. Secondo l'ultimo studio sull'argomento, Roma, con la sua usuale sobrietà liturgica e il suo rispetto per la tradizione, preservò questo uso almeno fino al VI secolo. La domenica il vescovo di Roma celebrava l'intera eucarestia per i fedeli, mentre in altre chiese della città un presbitero celebrava solo la liturgia della Parola per i catecumeni e i penitenti, tutti non comunicanti, poi egli solo riceveva la comunione dal fermentum del pane eucaristico consacrato alla messa del papa. Si dice che questa stessa regola di una sola messa sia stata in vigore anche ad Alessan-dria e Cartagine. 2 Quindi la comunione eucaristica non è solo il sacramento della comunione personale di ciascuno con il Signore risorto. È piuttosto il sacramento della nostra comunione gli uni gli altri neU'unico corpo di Cristo, un corpo allo stesso tempo ecclesiale ed eucaristico. Che questo fosse il significato pieno della koino· nia eucaristica nella Chiesa prinùtiva è stato dimostrato abbastanza chiar.unente da altri..l È anche l'insegnamento di san Tonunaso d'Aquino, che dice che ·l'eucarestia è il sacramento dell'unità della Chiesa, derivante dal fatto che molti sono uno in Cristo.•' l1lr'
l Pbll. 4. 2 ~unto di un re<.:ente seminario alla Sorhnna in patristk~ e o· ria del dogrn:t, puhbli<:ato successivamente per intero. Vedi P. Nautm, Le ~ du.{ennetUUnì, École pr.ttique des Hctutes Études, V" settion-Sdent-es
:t
rdigieu.o;es, Amruai~90 0981-1982) 338.
3
Vedi L. Hertling. Commuutou, Cburcb at1d Papacy tu EtlrlY
Ori.sttaruty (Chiacago: Loyola University 1972). 4 STIO, K2. 2 ad 3; d 82.9 ad 2.
142
Le riforme liturgiche cor11empt Jranee hanno aJlCOr.l una wj. ta portato in rilievo laji·a<.:twdì un solo pane, un·~~Jflf: ntuale originaria di questo mistero. Ma la ricerca srorica m ain aspetti dei riti di comunione smaschero~ il nostro fallimeruJ net compiere questo pensiero fino ad includere il modo in 011 il sacramento è amministrato. Una storia dettagliata dei riti di comunione nelle varie tradizioni ci porterebbe oltre lo scopo di queste brevi note. Ma conservo dei testi rinvenuti per caso ctx: penso riflettano una più acuta comprensione liturgica della comu-
nione di quanto facciano alcune pratiche che oggi si possono osservare. La norma generale nei riti di comunione in nmo il medioevo, sia in oriente che in occidente, prevedeva che la comunione non fosse semplicemente presa, nerruneno dal clero, ma data e ricevuta. Perché la comunione è contemporaneamente un ministero, un dono e una condivisione, e come tale è amministrata al comunicante attraverso le mani di un altro.
1. Fonti latine Negli Ordines romani dell'VIII secolo, ad esempio, un diacono porta la comunione al papa alla sua cattedra, l'arddiacono o un suddiacono gli porge il calice, quindi i vescovi e i presbiteri si avvicinano per ricevere il pane consacrato dalle mani del papa. Uno dei vescovi o dei presbiteri dà il calice agli altri vescov~ presbiteri e diaconi, e il diacono a sua volta dà il calice agli ordini minori. Poi il popolo riceve il pane dal papa o dai vescovi e presbite~ e i diaconi aJDJDinjstrano il adire-In una parola, ognuno riceve la comunione da qualcun'altro. NessunO. nemmeno il papa, la prende da solo.~ 5 Vedi ad esempio Ordo l, 106-121, io M. Andri'u. US. ~~ _.q,... ...J'Iumsaaum [DNilii!QSe. ~ mant "du bautmoyen-...s"'• vo.1 2 (C~t ...~-. . MA)~J06: ()nl) et documents, f.tsc. 23 Louvain: UniVersilé Calbdicple l;,uuo XV, 54-65, tbtd. vol. 3'(fasc. 24, Louwin 1961) 1~109-
143
2. Forfli bizantine Ndlc ptimitivc fonti hi7.antine, la sola testimonianza che io co. nosca è la vit;t di san Marciano I'Oeconomos che descrive una concelebrazione a Costantinopoli nel 468-600 ca. Marciano sebbene a quanto pare sia solo un presbitero, amministra la munione a tutto il resto del clero, incluso, sembra, l'arcivescovo.'' Allo stesso modo, la più vecchia (Xl secolo) diataxiso ordo della liturgia patriarcale bizantina, che ho edito alcuni anni fa dal codice Britisb Librmy Add 341%0del XII secolo, dà questo complicato insieme di rubliche per la comunione del patriarca:
c;
X.l ... (il p:Hriarca] scende dalla piattafonna e si inchina tre volte a otiente ... 2. mn lui si inchina il prete che è temtto a dargli la comunione, ed entrambi salgono la piattaforma e baciano il santo altare. 3. E prima rk:eve il vescovo, avendo steso in avanti le sue mani. 4. Quindi, tenendo il pane nelle ultime due dita, con le altre tre prende l'altra pattimla e la dà a colui che gli ha dato la comunione ... 8. E l'arcidiamno dà il calice al prete, e il vescovo, dopo essersi rivolto a lui e inchinato, si comunica ... 10. E dopo aver baciato il santo altare, si volge, e il calk:e è preso dal prete, e (il vescovo] lo comunica.'
Poi due di loro vanno ad amministrare il pane ed il calice al resto del clero e al popolo. Non solo il patriarca 1iceve la comunione da un "prete" (biereus, probabilmente uno dei vescovi concelebranti: nel greco bizantino hiereus è usato indiscriminatamente per chiunque appartiene all'ordine "sacerdotale"). Egli aspetta anche che quel ministro riceva l'ostia in mano, così entrambi possono consumare assieme il santo cibo. Questa usanza era la regola delle concelebrazioni pontificati bizantine
6 R. Tafl, -Byzantine Uturgkètl Evidence in the L({e q/'St. Marci?" tbe Oeco11omru~ Concdehration and the Preanaphor.tl Rites", OCP 4H (19t;2) 159-170, S(~. 161-166. 7 R. Taft, "The Pontith.:al Litur~:y of the Great Church a<.:<.:
144
7. /(tn·tt•n•lfl um 1111 tt 1111(.
1111 .1 1 , .l .\ 111 Jl~ttJ t I"U!ItiJr..at'''
. Pe r rutto il tempo che le rubriche della diataxt~·' d'• l".. ~mctno Gemistos (ca. 1380) erano in vigore." Ec;se vennero abbandonate al tempo della dialaxis del Patriarca Atanasio 111 P<.'telaras. composta a Mosca nel 1653 per la riforma di Nikon e più tardi confennata dal Patriarca Paisio di Alessandria e Macario di Antiochia al Sinodo di Mosca nell667.'1 In queste rubriche posteriori vediamo l'uso attuale: il vescovo si dà da solo la comunione, poi l'amministra ai presbiteri concelebranti.'" Ma l'usanza più vecchia non era determinata dal rango-cioè dal fatto se il celebrante principale fosse o no più alto nella scala gerarchica che i suoi concelebranti. Infatti, vediamo la stessa cosa nelle mbtiche delle concelebrazioni presbiterali bizantine. Ad esempio, l'eucologio dell'XI secolo del codice Grottaferrata Gb /I(f. 20r-v) ha queste ntbriche alla comunione: E il prete si inchina tre volte davanti al santo altare, e uno dei preti concelebranti gli
8
Testo in A. Dmitrievskij, Dpisallfe liturgileskikb mkopisej kbm-
ll}asclkhsja v IJihliotekakh prat:oslat'llago t'OSioka Il (Kiev: Tipografta G. T.
Ko~tk-Novit<J\ab'<> 1901) 315-316. Tn:>/mikl slavi del XVll St!(.'O'? hanno S~ so •llustr.tzioni che mostr,tno un vescovo che riceve la comuruone da un altro vescovo (Kiev 1646, L'viv 1682 e 1695). Sono !,'l'
10 Dejauja mosko11skikb sohorotJ 1666-1667 godotJ. n: Kt1iga SDbomykb ckjautj 1667 goda (Moskv;t 1h'93) 59ss. 11 J.-M. Hanssens, ·ne concdehmtione mL'i.'ìéle in riti!~'~~~ hlL~", DifJinftas 10 (1966) 512. Un uso simile si trova in mano.~'Iiltl :;~a.,, Ud
145
Olrll' liiiWntt•c•l Ìll.l.'klt•n/1! l R. F. Ta./t
La versione di Leone Toscano della liturgia di C1isostomo del 1173/4 basata su un eucologio manoscritto ha una pratica simile, e sebbene il presbitero che celebra da solo si comunichi da sé, la mbrica specifica: Quindi se è da solo riceve il corpo del Signore. Ma se ci sono molti preti, il primo tra loro, avendo ricevuto la comunione, la dà agli altri, che baciano la sua mano e la guancia. Ed egli allo stesso modo riceve l'eucarestia da uno degli altri. E in questo modo essi si danno il calice l'un l'altro, così che possono bere il sangue del Signore.'!
3. Fonti copte medievali Non abbiamo nessuna testimonianza in materia dell'uso dell'antico Egitto, ma i riti di comunione copti medievali sono descritti dal Patriarca Gabriel II ibn Turalk (1131-1145): Regole (rubriche) per il prete che celebra la litut"Ria. Egli ricew la comunione per primo. Quindi comunica il corpo a quei preti che ufficiano con lui. Ma sono essi che prendono il calice e lo (k1.nno a lui da ricevere. Quindi si danno il calice l'un l'altro in comunione. Allora il prete celebrante dà la comunione ai preti non officianti che as.'ìbtono in d1iesa, e dà loro il calice, o lui stesso o i preti officianti con lui...' 1 Le rubriche nei capp. 6-7 del Libro della Guida del Patriarca Cirillo ITI ibn Laklak (1235-1243), una sorta di manuale di nlbriche per i celebranti trovato nel codice Vaticano Arabo 117, pre-
vede il prete celebrante dare la comunione anche ai vescovi che XII-XIII secolo. Vedi A. Pétrovski, "Histoire de la t~daLtion slave de la liturgie de s. jean Chrysostome", XPYCOCIOMIKA. Studi e ricerche intomo a san Giovanni Crisostomo (Roma 190H) 870, Hn. 12 A.Jacob, "La trc1duction de la liturgie de s. Jean Chrysostom par l..éon Toscan". OCP 32 (1966) 160. ·
13 L. Villecourt "l..es obseiVances liturgiques et la disc.:ipline du jeiì· ne dans l'Église copte!", li! Muséon 37 (1924) 201.
146
assistono alla lin1rgia, tranne nel caso dell'ordinario locale, che precede il celebrante nel dare a se stesso la comunione.''
4. Uso siro-orientale Ma come spesso capita nel caso di questioni liturgiche, è la
chiesa siro-orientale (assira) di Persia che riflette l'usanza più antica e la miglior comprensione di ciò che è la comunione. ncanone 2 del Calholicos Mar ISo'yahb I (518-596) prescrive il rito di comunione dei ministri. Il presbitero che è stato scelto per consacrare il sacramento riceve per primo, anche prima del vescovo:'s ... Il vescovo, se è presente, lo [=il pane consacrato] dà a lui; se non è presente, il prete più anziano nell'ordine di precedenza lo dà a lui. E a sua volta colui che consacra lo dà a quello che lo ha dato a lui. E dovrebbe esser fano lo stesso per il l'alice del Signore. Colui che ha consacrato dà la comunione ai preti e ai diaconi che sono nel santuario ... Poi i preti distribuLo;cono la comunione ... 16
L'anonimo Commentario sugli lfffici ecclesiastici del IX secolo, attribuito a Giorgio di Arbela, ha la stessa usanza, e ci dice il perché: la salvezza è mediata da Nostro Signore. Così anche il prete, che come inunagine del Signore è egli stesso un mediatore della salvezza per gli altri, deve riceverla da un altro. 17 14 G. Gmf, uUturgi.o;che Anwei.c;tmgen cles koptischen P..urian:beo Kyrillos ihn LaklalC ,jahmucb far /.Jtt.4TlJiewlssellSCba}t4 (1924~ 125. Le 5le5se usanze s.i trovano nell'Ordine Uturgi<:o dell'atrian:a Gahnde V O~ 1427), disposizioni che governano ancora oggi il rito copto. Vedi A. 'Alxlallah, L'orrJtuamelllo /iturntco dt Gabriele V- 88° Patria~ ~ 1409-1427 (Studia orientalia chri.o;tiana: Aegypt!aca. Cairo: Edizioni del Centro Frdn<:escano di Studi orientali cristiani 1962) 381. 15 Nell'eul'étrestia sinK>rientale trddizionale, uno dei presl'lireri <.'ODcelehrJnti er.1 Sl'dto per dire l'anafora. Vedi Cip. 6. sezione l soprd. 16 Letter.t di go•y-dhh 1al vesl'OVO di fr,u-.li, a.D. 58?• inJ.-~. ~ Syrrodtcotz ortetllale ou rtJCt~!il des sytwdes uestortens(l>-.w: lo1prillleDe tiorutle 1902) 429-430. 17 Cap. IV, 2;, R. H. Connoly (ed.>. AtJOtlytni QUCtorlS E:cposllfiO qf
147
Più interessante di tutto è il testo siriaco seguente della fine del IX secolo, nella collezione canonica del nestoriano Gabriele di Bas~t: Domamla 19. Quando ci sono solo un prete e un diacono, che msa devono fare, tblmomento che in un canone è prescritto che il diacono non dovrebbe dare la comunione al prete? Risposta: Su questo argomento il Catholicos Iso'yahh ha detenuinato come segue. 1• Non è penuesso che il diacono dia la comunione al prete, che si distingue dal diacono per il suo rango superiore. Così se lì non c'è nessun altro prete per dare la comunione, ma solo un diacono, la situazione andrebbe risolta secondo una buona usanza, vale a dire: il prete prende il "carbone"[= particola consacrata] dall'altare e lo mette nelle mani del diacono. Quindi si inchina davanti all'altare, prende il "carbone'' dalle mani del diacono con le dita della mano destra, lo mette all'estremità delle due dita della mano sinistra, e lo riprende sul suo palmo destro. Il diacono dice soltanto: ·Il Corpo di nostro Signore•. Allo stesso modo il calice: lo dà nelle mani del diacono, e dopo essersi prostrato ed inchinato, si rialza e prende il calice con entrambe le mani, mentre il diacono regge la base del calice con una mano. Mentre il prete si comunica, il diacono dice: ·Il Sangue di nostro Signore·. Quindi il diacono mette il calice sull'altare ... 19
Il punto di vista del documento è abbastanza chiaro: se la comunione euauistica, sacramento della nostra comunione ecclesiale condivisa nell'unico Corpo Mistico di Cristo, è un nuuimento condiviso, un dono licevuto dalle mani di un altro come da Cristo, quando c'era solo un prete a celebrare c'era un proftciornm eccksiae Georglo Arbelensl ou{~o adscripta, vol. 2 (C'ìCO 76 =.scr. !\)'Ti 32, ser. 2, tom. 92, Roma: C. de Luigi 1915) 70-71 in traduzione latma. lH Il riferimento è al c.:~mone 3 di Iso'yahb I, Chalx>t, Synodicon (nota 16 sopra) 430. 19 H. Kaufltokl, Die Rechtssammlw18 des Gabrie/tJOII Basra mulibr \'erhtlltnis zu den amlenm juristischen Sammelwerlum der Nestorlaner
(Mlinchener Universit!ito;.-;duiften, Juristische FakuiUit, Abham.llungen. zur recllL,wis.o;enschaftlichen Gnmdlagenforschung, Bd. 21, Berlin:J. Schwe1tzer Verl:tg
148
1976) 242-243.
blema reale: chi gli avrebbe dato la comunione? nfano che fX"Jfl ci verrebbe mai in mente di considerare qU<.'Slo un problema è il punto preciso che sto cercando di porre: cè stato un decisivo cambiamento di mentalità, e con esso un cambiamento nel rituale. La preoccupazione di preservare la precedenza ger-.trchica sembra essere almeno un motivo di questo cambiamento. Bar Hebraeus (t 1286), il giacobita mesopotamico Maphrian di Tikrit, nell'amJale Iraq, dice nel suo Nomocanone IV, 5 che il diacooo oon può dare la comunione a un prete, né il prete ad un vescovo. li' Ad ogni modo, alla fine il rango la spunta sul simbolismo, e gli usi più antichi non sopravvivono nel periodo moderno tranne che nelle tradizioni più conservatrici come la copta e l'assira.
5. Uso attuale e alcune riflessioni Oggi nella tradizione bizantina, i presbiteri concelebranti o comunicanti si amministrano da soli la comunione tranne quando il celebrante principale è un vescovo. Ma, come abbiamo visto, la primitiva tradizione di ricevere la comunione dalle mani di un altro non dipendeva in nessun modo da tali differenze di rango. Altre Chiese hanno mantenuto almeno qualcosa dell'uso originale. Nella Chiesa rumena ottodossa, i presbiteri o persino un vescovo che si comunica alla liturgia eucaristica riceve l'ostia inrinta dal vescovo celebrante o dal presbitero, dopo che questi si è comunicato. 21 Tra i copti ortodossi, il presbitero concelebrante principale dà la comunione agli altri presbiteri dopo essersi conrunicato egli stesso. Non so quale sia la loro usanza nella liturgia ponlifi20 P. Bedjan (ed.), Nomoca11o11 GT'f!gori~ Ba~behrae~ .(l.eipZi~: Harmssowitz 1898) 4;-46 (=testo siriaco); tr.t<.l. latina tUJ. A. As.~ ~ A. MCii, Scriptomm t!(!temm
llOt}a
collectio X.2 (Roma: Typi.~ O~
u::
l8~) 24: Il Maphrum erd una specie <.li esarca o meuopolita JlfUll"lle ClueSél stro giacobita in Mesopot;unia.
~l
maztone.
Sono gmto all'Ardvest.nvo Kll
149
rale. Nella tl-:t<.lilione etklpic;t, il prcshitero n·ll'hranre principa. le d'l il pane <.'C>nsamtto prima ~• se stesso. poi al prcle che a~i Sft'. d1e a sua voha anuninl'\b';t il calice prima al <:dcht:mte ptindpak.· quindi a se stes..~.!! Nella linugia sira ott<xi<Jssa il celebt'ante prende per primo la comunione, seguito dal ves<:ovo, se è presente e desiderJ ticeverla. Gli altti presbiteti possono sia prendere la comunione da soli, sia richiedere al celebtdnte di amministrarla loro. t• Per quel che so, gli assiri hanno preservato la loro antica usanza: il celebrante riceve il pane consacrato da un altro presbitero; il calice è consegnato a lui dal diacono.z'
Non sono abbastanza informato sulle usanze liturgiche protestanti per commentarle. Nell'uso romano rifonnato ci sono varie possibilità fornite dalle istntzioni nel messale: il celebrante principale si comunica, poi gli altri concelebranti possono avvicinarsi e fare lo stesso; o il pane e il calice possono essere portati loro ai loro posti; o possono ricevere la comunione per intinzione. Si vedono anche usanza meno che ideali nella comunione dei ministri eucaristici: almeno per la comunione del calice, talvolta essi si mettono in ft.la per prenderla, piuttosto che riceverla. Pratiche simili non sono sconosciute nelle messe in cui il calice è amministrato ai laici (come naturalmente dovrebbe essere sempre): i calici sono sistemati sull'altare in punti strategici, ed ognuno si avvicina per servirsi. Alcune tradizioni sono, almeno per il momento, così inguaiate dall'eredità rituale in questa materia, che per ora sono restie o incapaci di cambiare per un insieme di motivi di cui qui non è necessario occuparsi. Ma questo non è vero per l'atnta, 22 Ahha Tekle-Mariam Senthardy Selim, La messe éthiopienne
l SO
le rito romano, cne na acqm<;rar() una tena t~d a pan.. re dal Valicano Il. Che cosa dcNrcbbc essere (Jggl l'organaza. zione dei riti di comunione non può naturalmente ~e ri.v.Jtio dalla conoscenza storica o da rubriche universalmente applicabili. Ci sono troppe variabili implicate: il numero dei CorJlU. rucanti, la disposizione liturgica della chiesa, le tradizioni locali... Ma dalle fonti che abbiamo studiato, almeno una cosa è chiara: l'eucarestia, almeno idealmente, non è qualcosa che uno prende. È un dono ricevuto, un pasto condiviso. E finché i sa· cramenti per loro natura sono un simbolo di ciò che signifJCa. no, allora i riti di comunione stile self-service o caffetteria proprio non c'entrano.
prt•ma crist~tlli7.7.:.tziont· della loro fede. Secondo la cosiddetta <.hmafa di Nestmt', nell'anno 987 i bulgari ( musulmani), i ted<."SC'hi (larinD, gli ebrei c i greci avrebbero tutti tentato eli per!\Uaclere il principe Volodymyr di Kyiv ad adottare la loro fede come religione della Rus'. Quando il principe convocò i notabili del regno per ascoltare il loro parere, essi lo informarono: Tu sai, o p1incipe, che nessun uomo condanna ciò che ha, ma im•t•ce l'apprezza. Se desideri acce1ta1ti, hai se1vi a tua disposizione. Manda li a infonnarsi dd rito di ognuno e di come adorano Dio. (Da notare l'oggetto della loro indagine: non il
credo ma la
lilurgia)
Volodymyr accolse il loro consiglio ed inviò degli emissari. Quando raggiunsero Costantinopoli,
... l'imperatore mandò un messaggio al patriarca per informarlo che una delegazione 1ussa era arrivata per esaminare la fede greca, e gli ordinò di prepar-Jre la chiesa ed i sacerdoti, e di abbigliarsi l"On le vesti sacerdotali, così che i russi potessero vedere la gloria di Dio dei greci. Quando il patriarca ricevette questi comandi, in· vitò l'as..o;emblea degli ecclesiastici, ed essi celebrarono i riti usuali. Bruciarono l'incenso, e il coro cantò inni. L'imperatore accompagnò i rus..-;i in chiesa, e li pose in un ampio spazio, richiamando la loro attenzione alla bellezza dell'edificio, ai canti e alle funzioni pontiflcali e ai ministeri dei diaconi, mentre spiegava loro la liMgia del suo Dio.
Quando atTivarono a casa, gli ambasciatori fecero un resoconto a Volodymyr. La liturgia dei musulmani non li aveva itnpressionati. Per quanto riguarda i tedeschi, li avevano visti ... l-elehrare molte l-erimonie nei loro templi, ma lì non trovanllno gloria. Quindi andanuuo in Grecia, e i greci ci condussero agli edifici dove adorano il loro Dio, e non sapevamo più se erJvamo in delo o in tetTa. Poiché in tetTa non c'è tale splendme o tale he~ lem, e non ~ppianto come descriverli. Sappiamo solo d1e DiO abita lr.l quegli uomini, e la loro liturgia è più bella delle cerimonie del-
154
11 /.11 '{liri/H df.111Jfllll~lu V'tilllurru ~~
le altre nazioni. Pcr<:hé non fJ(JssiJn~tJ dimcntiorc una ble ~,
Da questa leggenda possiamo capire JX.-rché i cristiani orientali non troverebbero niente di rivoluzionario nei JYJragrafi introduttivi della costituzione del Vaticano II sulla Sacra Liturgia: ... è attraverso la liturgia ... d'le -è esercitata l'opera della no<.tra redenzione.· L1 liturgia è così il mezzo preminente mn tui i fedeli possono t!Sprimere nella loro vita, e manifestare agli altri, il 111;. stero di Cristo e la reale natura della vera Chiesa. la maggior parte delle Chiese orientali è rimasta fedele ano spirito liturgico dell'età d'oro dei Padri, quando la società pagana divenne aistiana per il potere salvifico della Parola e del Saaamento celebrati nell'assemblea linu-gica. In un senso davvero reale l'intera vita della Chiesa nel periodo patristico era "liturgica". Non c'erano scuole cristiane o classi di catechismo, né missioni popolari o ritiri. Ma c'erano assemblee quotidiane per la preghiera del martino e della sera, in cui le Scritture erano abbondantemente lene e commentate. Nel giorno del Signore c'era la veglia e la sinassi eucaristica, con letn1re e omelie. E c'era la Quaresima, quando il vescovo preparava i candidati della comunità per il battesimo pasquale con lunghe omelie catechetiche, come d è stato tramandato da Giovanni Crisostomo, Cirillo di Gerusalemme e Teodoro di Mopsuestia. Anche i ministeri più ordinari erano parte dell'assemblea linugica. Le offerte per l'ammalato e il povero erano portate là e date ai diaconi che provvedevano alla loro distribuzione; era lì che i cateauneni erano istruiti e battezzati, i penitenti riconciliati, il testardo corretto. Così, dire che l'intera vitl della Chiesa era lin•rgica non significa che la Chiesa non facesse niente se non "dire messa". La compartimentalizzaziooe conlempc>2 S. H. Cross e O. P. SherhowilZ-WellZor, Tbe_ /luSSIIIII ~ Cbromcle. Laure111iot1 Tett(Cambridge, Moa.'ili.: 1be .Metliaew&Aot:a&llllalf America 19;3) llQ-111.
155
r.ult'a ddb vira in carego1ie ch~uamente detìnite e rl'ciprocamente c.-~:lusìn.·, e anche la più recente limitazione della vita liturgica par. Ilx.·chìale all'eucarestia erano estranee alla Chiesa primitiva, la cui vita er;a liturgica per il fatto che era una comunitù di cui ogni atti\'it:\ era /eitourgia, utlìcio pubblico dell'unico corpo di Cristo. Questo spirito pe1vade ancora oggi le Chiese orientali. Attraverso tutte le vicissitudini della sua storia, l'oriente cristiano ha prese1vato una continuità di fede e culto che ha sostenuto i suoi fedeli dur:mte i tempi bui dell'oppressione. Circostanze politiche hanno spesso privato i cristiani orientali della possibilità di sviluppare più attive opere apostoliche, così integranti della vita della Chiesa e dell'organizzazione in occidente. Ma finché sono liberi di pattecipare alla liturgia della loro Chiesa locale, i cristiani otientali possono soprawivere. Finché i misteli possono essere celebrati, la Chiesa vive, tenuta assieme non dall'orga· nizzazione, né dall'autorità, né dall'educazione, ma dalla comunione anno dopo anno nel ciclo regolare della festa e del digiuno. Questo è il segreto della soprawivenza dell'oltodossia mssa nell'URSS. Per prowidenza di Dio, i comunisti lasciarono alla Chiesa l'unica libe1tà che essa stessa avrebbe scelto di proteggere più di tutte. Come disse una volta il defunto metropolita Nikodim di Leningrado, ·la nostra salvezza si fonda sulla nostra fedeltà alle nostre fonue cultuali.··1 Peter Hanunond, nella sua toccante descrizione della Chiesa greca subito dopo la seconda guen-a mondiale, ha espresso in tenuini impressionanti il potere esercitato dalla liturgia sui clistiani d'oliente: Nessuno che ahhia vis.-;uto per qu
156
Cf notll l.
de Quar~.~ima con la Chit-sa gn.:e1, che ahhia condivi.•;o il <.ltgjunotht: pt!Sa sull mtera t~IZtone .rer qu;~ranta ~iorni; che sia nma.•ito in f*.Ù pt!l' lun?he ore, u~o del.lmnumcr~n>lc moltitudine dM: affolla le pil.:cole duese 1)17..antme d1 Atene e s1 nver.-.;1 sulle Slraùc, llM:Olrt: il ffi(Jdello familiare dell'economia salvifica di Dio verso gli uomini è fatto pre~nte nel_ sa_lmo e ~ella .profezia, nelle lt:tture dal vangdfJ. e nell meguaghabtle poes~a de1 cmoni; dlt! ahhia conosciuto 1a <.~e<;o.. (azione del santo e g1~10de Venerdì, quando ogni campana in Grtcia suona a moltO il suo lamento e il corpo ùd Salvatore giace copt:tto di fiori in tutte le chiese dei villaggi di tutto il paese; che sia stato presente all'accensione dd nuovo fuoco ed ahhia gustato la gioia ùi un mondo liberato dalla schiavitù del f>t!CClto e della morte-nt::s.'illno può aver vis.suto tutto questo e non es.o;ersi reso conto che per i <.Tistiani greci il vangelo è inseparabilmente connesso alla liturgia che è :."Velata settit1~1na pt!r settimana nella sua dliesa parrocdliale. Non solo tra i greci, ma in tutta la cristianità ortodossa, la liturgia è rimasta il cuore della vita della Chiesa. •
Quali sono alcuni trani salienti di questa liturgia che è proprio l'anima dell'oriente cristiano?
2. Liturgia della Chiesa locale Da un punto eli vista puramente esteriore, sociologico, ciò che si sottolinea della lintrgia orientale è la sua intima unione con la cultura e la storia della Chiesa locale. Questo può essere il motivo per cui la liturgia significa così tanto anche per il semplice fedele. Gli orientali non sono disturbati dal fatto che essi appattengono ad una "Chiesa nazionale" più di quanto un olandese sia nuùato dallo scoprire di essere cittadino dei Paesi Bassi! La loro Chiesa e la loro liturgia è per loro piena di significato, perché è totalmente e intimamente loro, non perché è anche tua. Il fatto che il loro rito sia inestricabilmente connesso alla storia del loro popolo, che adorino Dio in una lingua e 4 P. ffiunmond, 7be Watell ofMarub. 1be /'n!Sl!tll Slale rftbt Glt'l'lt Cburcb (London: Rockliff 19;6) 51-;2.
157
ìn un 1ìto eh~ sono il prodotto della loro cultura, è per loro inevittbile. Qualsiasi altra cosa sarebbe incomprensibile. Lungi dall'implicare una negazione della cattolicitù della Chiesa. questo è l'unico mezzo possibile per assicurarla. Paradossalmeme, è solo attraverso una molteplicità eli pa1ticolarismi e la diversità che ne risulta che l'universalità della Chiesa può raggiungere la sua piena espressione. Se uno desidera rivolgersi a tutta l'umanità, deve parlare tutte le lingue. Pretese di universalità attraverso l'unifonnità possono condtme a formalismo e a superficialità. Ciò che è imposto a tutti diventa proptìetà eli nessuno. Si sarebbe potuta evitare più di una tragica lacerazione nella veste della cristianità occidentale se non ci fosse stato il risoluto rifiuto di Roma di concedere più tolleranza per Iegittin1are le Iichieste locali in materia di politica ecclesiastica e pratica liturgica. Ma la cautela romana non è inunotivata, poiché la stoiia della d1iesa occidentale a pattire dal periodo post-patristico è una dialettica di estremi. Paradossalmente, in oriente l'autonomia locale non ha prodotto l'anarchia, ma la continuità di una tradizione viva-seconda caratteristica della liturgia dell'otiente ciistiano.
3. La continuità deUa tradizione Un attaccamento alla tradizione, agli usi trasmessi da tempo immemorabile dai propri padri nella fede, è evidente in ogni
aspetto della vita della Chiesa in oriente, ma soprattutto nella liturgia. La sicurezza che deriva dal pregare Dio nelle forme che erano note a Basilio il Gmnde e a Giovani Crisostomo potrebbe essere presa come un segno di stasi. Ma lo studioso di lin1rgia, spinto nel tentativo frenetico di rintracciare le disgressioni dello sviluppo lin1rgico nella liturgia orientale, può essere solo divertito dalle accuse di inunobilismo rivolte ai riti orientali. In realtà, c'è sempre stata una lenta, quasi impercettibile crescita e cambiamento. Tuttavia è meno facile da osservare per lo stolico, poiché
158
8 l•• '/'".''''dd/a /tt,~tu ,_rt\ltanu ·~nlak
si è trattato di un processo naturale, non mmpiuto grazie ad un ftatdall'alto. Una crescita attraverso cambiamenti graduali che in se stessi sono insignificanti può e~s<.:re meno drammatica di periodi di uniformità imposta seguiti da una repentina rifonna progettata da una commissione-ed è certamente più naturale: Dalla riforma liturgica del rito romano istituita dal Concilio Vaticano Il, è divenwo comune per i cattolici occidentali chiedere ai loro confratelli orientali se i loro riti abbiano subito una simile riforma, se ne sia progettata una e, se no, perché. Tale interrogarsi mostra la tendenza ad elevare la limitata esperienza occidentale allivello di un principio universale, ad una norma generale con cui misurare l'esperienza degli altri. Contrariamente all'opinione corrente, le rifanne liturgiche del Vaticano II non erano una risposta cattolica universalmente applicabile alle esigenze della vita moderna, piuttosto il prodotto della storia peculiare del rito romano nell'era post-patristica. La stabilità liturgica fu raggiunta in occidente molto dopo che in oriente. Sebbene tutto l'occidente fosse latino ed unito sotto il primato di una Sede Apostolica, c'era una grande diversità liturgica fmo alle rifanne decretate dal Concilio di Trento. Infatti, è stato il crescente caos liturgico che infme ha provocato in occidente nel XVI secolo la riforma dei libri liturgici del rito romano-gallicano e la loro imposizione a quasi tutta la Chiesa occidentale come libri liturgici "tipici", con l'obbligo che fossero seguiti verbatim da tutti. Questo passaggio fu necessario, causato dalle circostanze del tempo, ma portò ad una certa rigidità. L'anarchia cessò, ma al prezzo del soffocamento della crescita naturale della lin1rgia, forzando la devozione del popolo di Dio ad esprimersi nelle cosiddette devozioni "non-liturgiche", sepamte dalla tradizione della preghiera ufficiale della Chiesa. Questa situazione liturgica post-tridentina era un'innOvaZione occidentale estranea all'esperienza della c:ristianità orientale. Non esiste una cosa simile ad un libro liturgico •tipico" in
159
ncs..'\tlll rito orientale.' E nessuna Chiesa orientale ha mai imJX)sto una liturgia di cui né uno iota né una briciola non possano essere cambiati senza l'approvazione dall'alto. Questo non significa però che la liturgia orientale sia alla mercé del capriccio individuale, come è accaduto in occidente quando la nonna liturgica è stata resa meno rigida dal Vaticano II. In oriente l'alternativa al legalismo e al mbricismo imposti non è un individualismo anarchico, ma la fedeltà spontanea alla tradizione comune. Nelle Chiese di rito bizantino, acl esempio, tranne alcuni dea-eti sinoclali e alcune 110tx?llaecli Giustiniano, non c'è un corpus di nonne linu·giche obbligatorie Per quanto incredibile possa sembt
4. Liturgia comunitaria La Chiesa latina ha sofferto dal medioevo di una graduale ptivatizzazione dell'eucarestia nella devozione personale del prete, che aveva la "sua" messa quotidiana, ed una monasticizza~ Tun·~~ia, d fu un movimento definitivo in qut:sta direzione i~ R~1~s~a ~on la _nfonna l.li ~ikon nd 1666-1667, ed and1e oggi una l..'t:rta n-
g•lhta ntuale e car.1ttens11ca dello spirito msso.
6 Cf J. Darrouzès. Recbercbes sur /es "offìkla ··de /'é~llse I~J'Ztllltilll! (• An.:hi':es de l'Orient Chrétien 11, Pm"i.o;: ln<;t. FÌ
160
zione del mattutino e dei vespri, che in passato eran(J 1a pregtoc'Ta matnJtina e serale di tutta la comunità cristiana. La liturgia <Jrien. tale, essendo sia locale che tradizionale, è rimasta più vicina alle sue radici popolari e più comunitaria. È inutile dire che 1a "messa privata" è estranea allo spirito orientale, e la concelebrazione è praticata come una manifestazione dell'unità della Chiesa locale in un'unica eucarestia, non per dare ai presbiteri l'opportunità di soddisfare la loro devozione privata con l'evitare l'abuso di messe private o addirittura celebrate da soli. Anche la liturgia delle ore è rimasta una parte integrante di tutto l'ufficio della liturgia parrocchiale delle domeniche e delle feste. Piuttosto di ridurre la liturgia ad una lunghezza più maneggevole e quindi di moltiplicare le messe per favorire molti turni, la Chiesa orientale si è sforzata di mantenere il ciclo linJrgico dei vespri, del mattutino e dell'eucarestia in tutta la sua solennità come patrimonio e responsabilità della comunità parrocchiale, e non come una riserva monastica, tanto meno la corr grega di iniziati professionali come i canonici di cattedrale che in occidente ancora mantengono l'ufficio in alcune basiliche. In oriente ogni parrocchia ha i suoi cantori e lettori, la cui conoscenza di complicati uffici e canti si è tramandata di generazione in generazione come preziosa eredità della comunità. La descrizione degli uffici greci di Peter Hammond Io illustra: ... una delle cose che comunemente colpisce il visitatore in Greda che per la prima volta va in una chiesa panocchiale è la parte inaspettatamente importante (qual<.:uno direbbe invadente) ~"VOl ta dai laici nelle funzioni religiose. Molto spesso lunghi traiti di incomprensibili uffici sono condotti interamente <.la laid; il pamx:o appare occasionalmente dal santuario e scompare cCieii vekx:emente dopo tma breve ekpb6tresis, da lasciare la co.o;a totalme(j~ nelle mani di due uomini di mezza età in doppio petto, SOSlenub <.la un mucchio indefinito di giovani e ragazzi: 7
Wate~ ofMarab 62.
161
Co..o;ì, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, i riti orientali per tutto il loro complesso splendore rituale e i magnifici paramenti, le loro barbe e il broccato, le nuvole eli incenso ed i canti monastici senza fine, sono molto meno clericalizzati della liturgia in occidente prima del Vaticano II. Èvero che in molte tradizioni orientali c'è l'iconostasi o barriern che circonda e fino ad un ce1to punto nasconde il santuario alla gente. Ma non dobbiamo ridurre la paitecipazione popolare al vedere, perché la liturgia orientale è sempre cantata: non esiste qualcosa come la "messa bassa." E il diacono, in una vivace inunagine di san Giovanni Clirnaco, stando in piedi alla testa dell'assemblea davanti alle p01te centrali dell'iconostasi, forma un ponte tra la gente e il Santo dei Santi, ..un corpo che sta davanti agli uomini, ma un'anima che bussa alle p01te del parndiso attraverso la preghiera•. ~ Inoltre, non ci sono-almeno idealmente-banchi, così l'assemblea non è costretta ad una sistemazione da pubblico che è diventata la quasi esclusiva disposizione liturgica della chiesa occidentale. Di conseguenza, non solo il santuario, ma tutta la chiesa è "spazio liturgico". Infatti, il santuario è idealmente la riserva del canone eucalistico. Nella tradizione bizantina quasi tutti i riti non-eucalistici sono celebrati al centro della Chiesa. Ela stessa eucarestia è strutturata attorno ad una serie di apparizioni in cui il clero esce dal santuario e attraversa la chiesa in due solenni processioni, il "piccolo" e il "grnnde ingresso", o compare da dietro l'iconostasi per benedire, incensare, leggere le SCiitture, pregare e portare la comunione ai fedeli,'!
H
Ibtd.
36.
9 T. Mathews, Tbe Early Cburcbes of Costalllinople: Arcbttectttll! atul Litu'XY (Uniwrsity Park & London: Penn. State University 1971) 111.
162
8
f.,, 'fJ/1'1/1• rl.·lla lllttTP,Io ur.tumu '"lt'nluk
5. Comunione dei santi Anche nell'atmosfera eli profuso <>imh(Jiismo in cui la liturgia orientale e l'iconografia avvolgono, i cristiani orientali si sentono completamente a casa e per niente imbarazzati, perché è anche qui che essi possono essere toccati dalla tradizione continua che è sia comunitaria che loro propria. I cattolici latini spesso visitano le chiese per essere soli con Dio; hanno una sensazione di vuoto in una chiesa protestante dove il sacramento non è consetvato. Non è così per i cristiani bizantini. Entrando in chiesa, non iniziano le loro preghiere private senza aver prima visitato le icone, averle baciate e avervi acceso davanti una candela, salutando così i santi e unendosi alla loro comunione. 1" Infatti, il senso della "comunione dei santi" è una delle impronte più profonde della liturgia bizantina.' 1 Le rappresentazioni iconografiche dei santi ricoprono le pareti della chiesa: patriarchi e profeti della legge antica si uniscono ai padri e ai dottori della nuova; Gregari e Cirilli di fama universale sono spalla a spalla con i santi e i martiri locali che possono aver vissuto proprio in quella città in cui si erge la chiesa. Gli inni e i cantici cantati in loro onore sono per i fedeli una parte della loro storia di famiglia. Le loro leggende sono narrate e rinarrate, la loro intercessione costantemente implorata. Nell'oriente cristiano, parte integrante di questa mentalità è la grande devozione ai mOtti. La devozione ai santi e ai morti equivale realmente alla stessa cosa: il senso di unità con un passato comune che è così forte nella liturgia dell'oriente. Anche oltre alla liturgia, in oriente la vita della Chiesa non è mai diventata un campo d'interesse esclusivamente clericale. Teologi e predicatoti laici, diaconi permanenti e suddiaconi, rapIO Cf N. Zernov, "The Worship of the OJthod~ ~un:h and ils Messab>e", A.). Philippou (t:d.), 7be Ortbodox Ethas(Studtes m Orthodn"tY 1· Oxford: Holywelll%4) 117. 11 Cfr. Ware, "The Communion ofSainl.'i", ibld. 140-149.
163
pn.·scnranti laici nell'amministrazione della Chiesa sono del tutto (0111Uni. Egli ecclesiastici orientali, gcneralmeme sposati, non
appattengono ad una classe sociale al eli sopra del livello del loro gregge. Andate in qualsiasi villaggio greco nelle fresche sere d'estate e troverete il papas locale, un abitante del villaggio distinguibile dai suoi compaesani solo per la sua acconciatura di capelli e per !"abito, d1e si ben"à un ouzo con gli uomini del suo gregge. L'accesso al vescovo locale è ugualmente casuale. In oriente le cancellerie sono sempre stratipanti di laici, contadini e mercanti così come dignitati, che sono venuti per cercare un favore, riparare un torto, o presentare i propri ossequi. Inevitabilmente tutto ciò ha il suo effetto sulla liturgia, che in oriente è rimasta una vera leitourgia o funzione pubblica di tutta la comunità. Perciò non esiste alcun bisogno di un "movimento liturgico" per ripottare la devozione popolare alla sua fonte nella preghiera della Chiesa. L'oriente non ha mai conosciuto la separazione di spiritualità, teologia ed ecclesiologia dalla liturgia, con la conseguente degenerazione della devozione nell'individualismo che trova la sua espressione nella preghiera privata, nella meditazione e nelle devozioni di fronte ai riti pubblici inaccessibili, clericalizzati. In occidente questi strenui tentativi di forzare ancora una volta il legame tra devozione individuale e preghiera pubblica della Chiesa mettono in evidenza la facilità con cui gli orientali situano la loro vita spirituale nel quadro della preghiera liturgica. Se chiedessimo ai cristiani orientali quali delle loro devozioni sono "private" e quali "liturgiche", essi non saprebbero di cosa stiamo parlando. È tutt'uno: la devozione popolare è liturgia, la stessa vita della Chiesa locale. ~ Liturgia come icona Quest'integtità ed equilibtio, questo senso di equilibrata totalità delle cose, è un'altra qualità dell'esperienza liturgica orientale: u-a-
164
H. IJ 1SJ1Irl/r1 della llt11~1a cri~tana 'trk71/ok
scendente ma non dL">tante, ieratica ma non clericali7..7..ata, comunitaria ma non impersonale, tradizionale ma non formali'itica. Come è facile spezzare l'equilibrio omettendo una tessera dal mosaico delle parti integranti! Questo può essere il perché della natura iar nografica della lin1rgia in oriente: l'azione liturgica non è solo una "cerimonia"; è un oggetto di contemplazione, una visione solenne piena di mistero davanti a cui prostrarsi in timore reverenziale. Questo è vero non solo per il rito in sé, ma per l'intera atmosfera di sacralità e di mistero che circonda ogni suo movimento e comunica un senso di timore reverenziale. Nella creazione di questo spirito sarebbe difficile esagerare l'importanza della chiesa e della sua iconografia. Che monotona e scialba può sembrare una liturgia bizantina quando è celebrata in una chiesa occidentale! Ma vederla in una chiesa bizantina opportunamente arredata è varcare la soglia di un altro mondo, o piuttosto di questo mondo reso visibile nella sua realtà redenta come cosmo trasfigurato oltre il tempo. E questo è il motivo per cui le icone sono chiamate fmestre su un altro mondo, per cui, secondo san Germano di Costantinopoli, la chiesa del più umile villaggio è ·il cielo sulla tena•, ·il luogo dove il Signore del cielo dimora e si ml.l(}ve-; dove uno può •mettere da parte ogni preoccupazione terrena•, come ammonisce l'Inno dei cherubini, -per ricevere il Signore di tutto.• È il santuario celeste -dove uomini e donne, secondo le loro capacità e i loro desideri, sono afferrati dalla liturgia adorante del cosmo redento; dove i dogmi non sono sterili astrazioni, ma inni di preghieta esultante.•12
7. La liturgia cekste I cristiani orientali, cantando la linu-gia in quest'atmOSfera, come nuvole di incenso si elevano con la preghiera al Cristo 12
Hammond, Watetl ofMarab 16.
165
P:mtoçr.llort• nella cupola, sono nd mondo dt'i Padri della Chies:1. La loro tt•ologia della creazione visibile come simbolo ddl'invisibile. dell'incarnazione come icona-restauratrice del riflesso ddb divina bellezza sull'umanità, rendendo così possibile l'iconografia cristiana~ l'anima dello spirito liturgico ed estetico bizantino. Nel suo trattato Sul Santo Tempio, Simeone di Tessalonica (t 1429) applica questa tipicità incarnazionista alla Chiesa bizantina. La chiesa, come casa di Dio, è un'immagine del mondo intero, perché Dio è ovunque e al di sopra eli ogni cosa ... Il santuario è un sùnholo delle sfere più alte e sovracelesti, dove si elice siano il trono di Dio e la sua dimora. È questo trono che l'altare rappresenta. Le ge· rarchie celesti si trovano in molti luoghi, ma qui sono accompagna· te dai preti che prendono il loro posto. Il vescovo rappresenta Crbto, la chiesa rappresenta questo mondo visibile ... Fuori ci sono le regio· ni più basse e il mondo degli esseri che non vivono secondo ragio· ne, e non hanno vita superiore. Il santuario riceve dentro di sé il ve· scovo, che rappresenta il Dio-uomo Ge~l\ di cui condivide i poteri on· nipotenti. Gli altri mini'>tri sacri rappresentano gli apostoli e spedal· mente gli angeli e gli arcangeli, ciascuno secondo il suo ordine. Parlo di apostoli con angeli, vescovi e preti perché c'è solo una chiesa, so· pra e sotto, da quando Dio s<.:ese e visse tra di noi, facendo ciò per cui venne mandato in nostro favore. Ed è un'opem che è unica, come lo è il sacrificio di nostro Signore, comunione e contemplazione. Ed è compiuta sia sopra che sotto, ma con questa ditl'erenza: sopra è fat· ta senza almn velo o simbolo, qui è fatta attmverso i simboli, perché noi uomini siamo oppressi dalla carne che è soggetta a com1zione.''
L'arredo e la disposizione dello spazio della chiesa bizantina riflettono anche queste inunagini. Chiunque visiti una chiesa bizantina si sente subito in un luogo di mistero, un luogo santo, staccato dal mondo e inondato dalla presenza di Dio. La grande barriera dell'iconostasi si erge davanti al santuario, Santo dei Santi e lrono di Dio. Attraverso le JX>tte di questo altare-balaustra nessuno 13
166
PG 155, 337-340.
tranne i sacri ministri osa passan:. Per 1 < ri~i<~ni (Jflcntali, b rj.. vendicazione dei latini eli guardar~.: ti.w) a !Jio, di t.:~
Nell'attuale economia, è solo in questo modo, nel simbolo, che siamo messi in grado di penetrare ·dietro il velo dove Gesù è entrato per noi come precursore- (Eb6,20). L'entrata non è tuttavia meno reale, perché da quando Cristo è entrato una volta per tutte •attraverso una tenda più grande e perfetta, non costruita da mani d'uomo• (Eb 9,11), una breccia è stata aperta nel muro del cielo e noi siamo in comunione con la liturgia ' celeste offerta dalle potenze del cielo attorno al trono di Dio. Questa visione della lin•rgia come partecipazione aUa liturgia del cielo raggiunge il suo apice nel rito bizantino del ~Grande 14
1902) 2;.
N. V. Gogol RazmyS/euija o boiHstl.lf!mwj /i1J11Bij(S. ~
'
167
ln~rcs.o;o~. quando
il clero pmta le sacre offette in processione d~\ll'alt~u-e della pt-eparazione all'altare del sacrificio. L'Inno dei chembini cantato durante la processione esprime il simbolismo in cui l'intero culto è immerso, ammonendo i fedeli ad unirsi ai cori celesti e a condividere la loro visione eterna: Noi che mistk~1mente rappresentiamo i cherubini e cam~uno !"inno tre volte santo alla Trinità datrice di vita, mettiamo da parte tutte le preoccupazioni te.re-1ri per ricevere il Signore di tutto il mondo invisibilmente scortato dai corpi angelici. Alleluia, Alleluia. Alleluia!
Adorando in questa atmosfera di profi.tso mi'iticismo, anraverso il quale è awicinato lo splendore soprannanu·ale della inaccessibile maestà e santità divina, i cristiani orientali testimoniano l'esaltazione e la santificazione della creazione, la maestosa apparizione di Dio che li penetra, li santifica, li divinizza anraverso la luce trasfigurante della sua grazia divina. Non è solo questione di "ricevere i sacramenti", ma di vivere abintalmente in un ambiente liturgico che awolge in colpO e spirito, trasfigurando la fede in una concreta visione di bellezza spirintale e di gioia.
8. nsimbolismo deUa luCe 1' Uno dei temi più suggestivi usati nella liturgia bizantina per illustrare la natura trasfigurante della nostra vita in Cristo è la luce. Il tema giovanneo della luce, la luce dell'Agnello nella città di Dio (Ap21,22-26), pervade la spiritualità e il misticismo orientali. La vita dello spirito è un'illuminazione attraverso questa luce divina, vedere Dio attraverso questa luce è vivere in Lui. Sant'lreneo scrisse: ·Vedere la luce è essere nella luce e partecipare alla sua chiarezza; allo stesso modo, vedere Dio 15 a· N. Egender, "Liturgie et vie spirituelle en Orienf', Les que~ stions liturgicJUes et paroissiales43 (1962) 2<56-221. Un po' del materiale qtn presenttto ~ preso dal mio p<~mphlet Eustenz-rlte Catboltcism: tts Heritage tmd Vocatto11 (Glen Rock: J>aulist Press 1963).
168
è essere in lui e par1ecipare al suo splendore darore di vita; w-
sì, coloro che vedono Dio panecipano alla sua viu.·~~'· 11 simbolismo della luce segna il ritmo delle ore nell'ufficio bizantino, evocando nei fedeli una nostalgia della visione divina che ad essi è concesso intravedere simbolicamente qui sulla ten-a. È un simbolismo compiuto nella liturgia eucaristica, come udiamo nel ritornello cantato dopo la comunione: Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede adorando la Trinità indivio;a che d ha salvati.
I tropari liturgici della festa della Trasfigurazione portano Io stesso messaggio: O Cristo-Dio, fosti trasfigurato :-.111 monte, rivelando ai discepoli la tua gloria fmo al punto d1e essi potevano ~enerla. La rua luce eler· na illumini anche noi peccatori ... O Datore di Iut-e, gloria a Te! Andiamo, saliamo al monte del Signore nella casa del nostro Dio e contempliamo la gloria della sua Trastìgurazione; ... nella sua luce acquistiamo la luce, ed elevati dallo Spirito cantiamo inni alla Trinità consustanziale in ogni tempo.
9. L'importanza della. risurrezione neUe liturgie orientali Ma i testi liturgici dùarificano che la gloria del Tabor non è che un segno della risurrezione, una figura della diVinizzazione cosmica che verrà: Prima della tua <.TOCUL'iSione, o Signore, avendo portato i ~ discepoli su un alto monte, ti trasfigura:-.ti davanti a loro... ~ rando mostrare lo splendore della rumrrezione. 16
Adv. baer. IV, 20, 5; PG 7, 1035.
169
~· (t.,..... r
ltn*hft• i R ,.. 'Tn(l
Pokhé è sopt~utuno la ft'Cie nel mistero della risurrezione ct· Cristo d'le rende effic-Jce la confes~ione della litmgia bizantin~
dclht realtà della visione di Dio. E difficile comunicare l'importanza di questo mistero nella vita dell'oriente. Persino nella Settìm:ma santa, quando il gr-Jnde digiuno pesa sulla Chiesa e la liturgia sottolinea il lamento e la desolazione della morte in croce. si sente la nota della gioia. 17 Non piangere per me, o Madre, quando guardi nella tomba il figlio, che senza seme tu concepisti nel tuo grembo, perché risusciterò e mi glorificherò; e poiché sono Dio Iisusciterò alla gloria senza fine coloro che con fede e amore ti esaltano.
Questa gioia va in crescendo al momento della risurrezione altnatnltino di Pasqua, quando la chiesa, allora illuminata da centinaia di c-.mdele tremolanti, risuona per il grido del prete: .Cristo è risorto!-. Ed un mondo che sta rivelando la gioia della sua liberazione dalla schiavitù del peccato e della motte esulta: ·È veramente risorto!• Tutta la vita liturgica dell'oriente bizantino è una preghiera a questo Signore risorto, la ·luce senza tramontO». Tuni gli altri misteri indicano tale passaggio salvifico; in esso trovano il loro compimento. Gli uffià di ogni domenica dell'anno sono dedicati alla celebrazione della risurrezione. Ogni sabato sera, durante il matnltino della vigilia, è proclamato uno degli undici vangeli della risurrezione, seguito da questo inno: Avendo visto la ri...,1.1rrezione di Cri~o. adoriamo il Santo Signore Ge.-ù, il solo senza peccato. Adoriamo la rua croce, o Cri.o;to, e preghiamo e glorifid1iamo la rua santa ri...,urrezione: perché ru sei Dio e non conosdamo altro fuori di te· è il ruo nome che noi proclamiamo. Andiamo fedeli, adoriamo la sa~ta risurrezione di Cristo. Perché, ecm, attraverso la crot-e la gioia è venuta nel mondo. Benedicendo sempre il Signore, cantiamo la l\l.Ia ri.o;urrezione: perché, avendo sopportato la crcx.-e per noi, con la sua morte ha calpestato la morte.
17
170
0 Hammond, Waten ojMarab 20.
H. '-'' .'fllrl/u dd/a il tm){ la al
1o. Vieni e vedi Questa non è pura poesia. In oriente, la liturgia è ter>fania terreno privilegiato del nostro incontro con Dio. in cui i mister; sono veramente veduti, sebbene con gli occhi trJsfigurati della fede. Ciò che questo significa per i cristiani orientali può essere visto nella risposta seguente di un batju.ska russo ortodosso ad un suo confratello cattolico che cercava di dirgli che ciò che è importante era la conversione dei peccati, la confessione, l'insegnamento del catechismo, la preghiera, nei cui confronti il u 0_ to" gioca solo un ruolo secondario. Il prete russo replicò: Tra di voi è davvero solo secondario. Tra noi ortodossi (e a queste parole si fece il segno della croce) non è così. La lirurgia è la nostra preghiera comune, introduce la nostra fede ai misteri di Cristo meglio di tutto il vostro catechismo. Fa passare davanti ai nostri occhi la vita del nostro Cristo, il Cristo russo, e questo può essere capito solo in comunione, nei nostri santi riti, nel mistero delle nostre icone. Quando uno pecca, pecca da solo. Ma per capire il mi'ìtero di Cristo risorto, né i vostri libri, né le vostre prediche sono di alcun aiuto. Per questo uno deve aver vissuto con la Chiesa ortodossa la Notte Gioiosa (Pasqua). E di nuovo si fece il segno della croce.'"
Allo stesso modo, le nostre parole sono a stento adeguate per comunicare lo spirito della tradizione vivente che non è una curiosità esotica, un piacevole hobby d'antiquariato proprio a qualche eccentrico dilettante in cose orientali, ma una visione divina che deve essere vissuta nella fede e nell'amore. Al lettore interessato si può solo dire, con le parole di Filippo allo scettico Natanaele, ·Vieni e vedi· (Gv 1,46).
18 C. Bourgeois, ~chez les pa~ de la Podladlie er_dt_! ~de la Pologne. Mai 1924- décembre 1925", É/udeS 191 0927) ;s;.
171
9. "Ringraziamento• per la luce"! Verso una teologia dei vespri
1. nsignificato del rituale Per chiarire il significato dei vespri dobbiamo prima di runo chiarire alcune nozioni sulla natura della liturgia o celebrazione rituale. Perché la liturgia delle ore è proprio questo: liturgia, una celebrazione comunitaria, il culto pubblico della Chiesa. Questa dev'essere la struttura di qualsiasi discussione sull'ufficio. Non è solo preghiera comune, né è "dire il breviario". È proprio dell'essenza della vita sacramentale e liturgica manifestare simbolicamente ciò che essa rappresenta, e la liturgia è per narura un'"attività pubblica". 2 Perché gli esseri umani di ogni tempo e di ogni religione si Riadattato da Dtakouia 13 (1978) 27-50. l "Epilycbntos eucbartslia ·; il nome dato aDa preghiera ser.de in Gregorio di Nissa, Vita di Macrlna. sua sorella e sorella di san Basilio il GrcUlùe, così come in Sullo Sptrlto Sa tito di Basilio. entr.unbi àtHì sc.XJO. In m<xlo simile in occidente, Gregorio di Tours chiamò i ve;pri "8'".diil ve-spertina• (•ringrdZiamento semle•), De miruculis S.juliarli 2D, Pl 71. 813.
2 Nall.tr.llrnente l'ufficio e le altre preghiere llwgicbe po&'iODO et!lt're usate per la preghiera privatl e la medittziooe. Quando Oòè 68>.. al._.
173
riuniscono per esprimersi in un rituale? E che cosa esprimono? 11 rituale è un complesso eli convenzioni, un modello organizT.ato di segni e gesti che i membri di una comunità usano per interpretare e rappresentare a se stessi la loro relazione con la t't'altà, e per esptimerla e trasmette da acl altri. 1 È un modo di dire ciò che come gruppo siamo, nel senso pieno eli questo siamo. con il nostro passato che ci ha fatti come siamo, con il nostro presente nel quale viviamo ciò che siamo e con il futuro che speriamo essere. Il rito, dunque, è ideologia ed esperienza in azione, celebrazione e interpretazione-mediante-l'azione della nostra esperienza umana e di come la vediamo. Le società umane hanno usato i rituali specialmente per esprimere le proprie vedute religiose, i loro sistemi universali, per mettersi in relazione con i problemi fondamentali della vita. Una religione è differente da una filosofia personale di vita, in quanto è una prospettiva condivisa, una visuale comune della realtà. Come tale è la risultante della storia come ricordo po opportuno, ùa qualcuno impossibilitato ad unirsi alla celebrJzione comunituia, l'uffido a'isume un valore che va oltre quello della nostrJ preghierJ pur.mlente individuale.lnoltre, il senso originale della parola leitOU'8ia-Uftìdo pubhli<:o-non in1plica un'attività mmunitaria, non~tante dò d1e spes.'iO è affemuto. Gli individui <.1>mpivano servizi pubblid per, o in nome della c~.u nità, e questi erJno dliamati "liturgie". Natumlmente la comprensione cnsuana della liturgia non è detenninata dalla etùuologia, ma anche nel Nuovo Testamento il termine è usato per diversi aspetti della vita cristiana. Quindi s!oricamente la parola liturgia riflette la stessa ricchezza poli-;en.o;a della pa~>~ mglese servlce. essa può significare un servizio in dliesa o qualsiasi attivt~ d~ vota al servizio di Dio e del pro.o;sùuo. Oggi, mmunque, tL'iiamo il tem~·~ liturgia per riferird al culto pubblim (.'(>munitario, un'eo;pressione di untta del Corpo di Cristo mme tale, e la pregllierJ liturgica redtata privatamente non <.k>vrehhe es.c.ere cono;iderJta liturgia in questo se n'iO ristretto del temline. Per una di'i(.'t.tssione più <x>mplt.tl~o'llll'uftìdo divino come liturgia, si veda R. F. Taft, Ul Ulrugta delle Ore iti oriente e t n occldetue. Le origini deO'Ulftdo dtuitW e Il~ stgrUftcato oggi (Testi lli Teologia 4, Cinio;ello Balo;amo [Milano]: Ed. Paol.ine 1988), parte IV. 3 VictorTumer, "Ritual, Trib·.U and Catholic", WorsbqJ50 (1976) ~ 526, offre ak.-une rifles.'iioni di un antropologo cattolico ~o'Ulla natui"'J del nruale. Qui sono riprelie ak:une idee di Tumer.
174
collettivo di gmppo di cose passate, di eventi che sono stati Ira· sformati dalla memoria della comunità in episodi-chiave simbolici determinanti per l'esistenza della comunità e per 1a propria autocomprensione. Questo è il fondamento del comportamento rituale. È atuaverso l'interpretazione del proprio passato che una comunità entra in relazione con il presente e fa fronte al futuro. Nel processo della Iipresentazione rituale, gli eventi costitutivi passati sono resi presenti nel tempo rituale, allo scopo di comunicare la loro forza alle nuove generazioni del gruppo sociale, assicurando in tal modo una continuità di identità attraverso la storia. Negli antichi sistemi religiosi naturali il passato era visto come ciclico, come modello eternamente ripetuto delle stagioni naturali. I rituali erano celebrazioni di questo ciclo di autunno, inverno, primavera, estate-morte naturale e rinascita. Ma, perfmo in quest'epoca primitiva, uomini e donne finivano col vedere tali ritmi naturali come simboli di realtà più elevate, di morte e di rinascita, del perdurare dell'umana esistenza oltre la morte naturale. Così, perfino il rituale religioso naturale non è solo una interpretazione dell'esperienza, ma implica una ricerca dell'aldilà, di un significato ultimo nel ciclo della vita che sembra essere un ciclo di eterno ritorno concluso dalla morte. La scoperta della storia fu un avanzamento in questo processo: la vita fu vista avere un modello che oltrepassava i cicli chiusi della vita e della morte.' Il tempo acquistava un nuovo significato e i rituali umani furono trasformati da un modo di interpretare la natura a un modo di interpretare la storia. Con la celebrazione rituale di eventi del passato, che avevano acquistato una valutazione simbolica universale nel pensiero della comunità quali eventi fondatori che creavano e costituivano la sua vera identità, col celebrare questi eventi fi.. P
4
L. Dei.o;.o;, God's WonJ and God'S PeofJie
(CollegeViDe=
res.s 1976}cap. l, clesc.:rive questo prooe550 oeDasrOOa religjola
175
clllrt•/fll'lt'lltr• r' l i11xltlerrtc• l R. F Tu.fl
nsalmente. la comunit~l rendeva ancora presente e mediava ai suoi membri il loro potere formativo. Naturalmente si trattava di solito di eventi di salvezza, di scampo da calamità e dalla morte, e tutto questo non era che un passo ulteriore perché venissero trasformati nella memoria collettiva del gruppo in simboli della protezione di Dio e della salvezza eterna. Questo è quanto awenne per Israele. Ciò che rende la linsrgia israelitica diversa dagli altri rituali è la rivelazione. Gli ebrei non dovevano immaginare che il loro fuggire dall'Egitto fosse un segno della prowidenza salvifica eli Dio: egli Io disse loro. Quando celebravano ritualmente questo esodo nel pasto pasquale, essi sapevano di celebrare qualcosa di più che l'universalizzazione di un evento passato nella immaginazione storica dei loro poeti e profeti. L'alleanza con Dio che essi liaffermavano ritualmente era una realtà pennanente e da allora in poi sempre presente, perché Dio aveva detto così. Qui incontriamo una differenza fondamentale tra il culto giudeo cristiano e gli altri culti. Il culto biblico non è un tentativo di entrare in contatto con il divino, per ottenerci la potenza dell'intervento di Dio negli eventi salvifici del passato. È l'opposto. È il culto dei già salvati. Non dobbiamo raggiungere Dio per placarlo; egli è chino su di noi.
2. Liturgia cristiana Con la liturgia cristiana facciamo ancora un passo avanti nel· la nostra comprensione del rituale. Come nell'Antico Testamen· to, così anche noi celebriamo un evento salvifico. Per noi, inoltre, il significato di questo evento è stato rivelato. Ma a que· sto punto il parallelo finisce. Per l'Antico Testamento il rituale guardava avanti verso il compimento promesso; esso non era solo un'attualizzazione dell'alleanza, ma il pegno di un futuro messianico non ancora realizzato. Nella cristianità, ciò che tut· ti gli altri rituali cercavano di raggiungere è stato, noi crediamo,
176
già portato a compimento una voha per tutte da Cri.W>. La riconciliazione con il Padre è stata eternamente compiuta nel mistero del suo Figlio (2Cor5,18-19; Rm 5,10-llJ. La frattura estata sanata per sempre per iniziativa di Dio. Così il culto cristiano non è il modo di cercare di entrare in contatto con Dio; è la celebrazione di come Dio ci ha toccato ' ci ha uniti a sé ed è sempre presente a noi e dimora in noi. Esso non è il protendersi verso una realtà lontana, ma una gioiosa celebrazione della salvezza che è veramente tanto reale e attiva nella celebrazione rituale quanto lo fu nell'evento storico, sebbene in fanna sacramentale, non naturale. È rituale reso perfetto dal realismo divino; rituale nel quale l'azione simbolica non è un memoriale del passato, rna una partecipazione alla Pasqua di Cristo eternamente presente e salvifica. La liturgia, perciò, è l'opera comune di Cristo e della sua Chiesa. È la sua gloria. È anche ciò che rende possibili le straordinarie asserzioni che abbiamo fatto sulla natura del culto cristiano. Le nostre preghiere sono indegne, ma nella liturgia Cristo stesso prega in noi. Giacché la liturgia è il segno efficace della presenza salvifica di Cristo nella sua Chiesa. La sua offerta salvifica è eternamente operante e presente dinanzi al tnr no del Padre. Attraverso la nostra celebrazione dei divini misteri siamo assumi nell'azione salvifica di Cristo, e l'ablazione personale di noi stessi è trasformata in un atto del Corpo di Cristo attraverso il culto del Corpo con il suo capo. Ciò che l'umanità ha inutilmente tentato lungo la storia nei rituali naturali-il contatto con il divino-si è trasformato, in Cristo, da immagine in realtà.
3. Liturgia e spiritualità Questa comune celebrazione della nostra salvezza in Cristo è la più perfetta espressione e realizzazione deiJa spiritualitì deDa Chiesa. Vi sono molte "scuole" di spiritualità, ma esse sono le-
177
~ittunc- solo in quanto radk-ate
nel culto clelia Chiesa.\ Il fine clelIa vita spitituale è "rivestit~i di Ctisto" ( Ga/3,27), in mcxlo che, collll' dice ~\Il Paolo, •non sono pitì io che vivo, ma Cristo vive in mt"' ( Ga/2.2()). E questa vita è creata, alimentata, rinnovata dalla linugia. Battezzati nel mistero della sua motte e tisutrezione, noi tisorgiamo a nuova vita in lui. D'ora in poi egli dimora in noi, prega in noi, proclama a noi la Parola del suo nuovo patto, la sigilla con il suo sacrificio, ci alimenta con il suo corpo e il suo sangue, ci induce alla penitenza e alla conversione, glorifica il Padre in noi. Nella proclamazione e nella predicazione egli ci spiega il suo mistero; nel rito e nel canto egli lo celebra con noi, nella grazia sacramentale ci dà la forza di viverlo. Il mistero che è Cristo è il centro della vita clistiana ed è questo mistero e nient'altro ciò che la Chiesa rinnova sacramentaimente nella liturgia così che possiamo essere inunersi in esso. Quando lasciamo l'assemblea per tornare agli alni nostii doveri, abbiamo solo da assimilare ciò che abbiamo spetimentato e da realizzare il mistero nelle nostre vite: in una parola, divenire altri Cristo. Poiché il fme della liturgia è riprodurre nelle nostre vite ciò che la Chiesa esemplifica per noi nel suo culto pubblico. La vita spitituale è solo un'altra espressione per indicare la nostra relazione per· sonate con Dio, e la liturgia è niente di meno che l'espressione comune della relazione dell'intero Corpo Mistico con Dio. In tale spiritualità liturgica, il culto pubblico della Chiesa e la vita spirituale dell'individuo sono una sola cosa. Tutta la supposta tensione nella spiritualità tra pubblico e plivato, oggettivo e soggettivo, liturgico e personale, è un'illusione, una falsa dicotomia. Poiché nel suo culto pubblico la Chiesa persegue precisamente questa attività di formazione spirituale. ;
Per una dist1.1ssione <.Iella spiritualità liturgi<:a della Chiesa, vedi
G. Br.L\0. LftWID' cmd sptritualfty(Collegeville: Linn·gical Press 1976).
178
4. La liturgia deUe ore In tal senso la lintrgia è proprio una celdJrazione della ~ cristiana. L'evento Cristo eternamente presente è un inno perenne di lode e di gloria dinanzi al trono del Padre. Poiché la oosua vocazione è entrare in questo evento salvifico, per vivere la vira di lode e gloria sacerdotale di Cristo, la Chiesa, quale suo Mistico Corpo, associa se stessa all'eterna preghiera sacerdootle del suo capo. Facendo questo, partecipa autenticamente alla lode salvifica di Cristo, secondo la teologia del Vaticano Il: Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre quell'inno che viene eternamente cantato nella sede celeste. Egli unL-;ce a sé tutta l'umanità, se l'~"ììCia nell'elevare questo divino canto di lode. Questo ufficio sacerdotale Cristo lo continua per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore in<.:essantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione deU'eucare8tia, ma anche in altri modi, specialmente con l'uffiCio divino ... esso è veramente la voce della Sposa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo stesso, unito al suo corpo, eleva al Padre. Pettanlo, tuni coloro che compiono questa preghiera, adempiono da una parte l'obbligo proprio della Chiesa, e dall'altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, lodando il Signore, stanno davanti al trono di Dio in nome della Madre Chiesa.6
Tradizionalmente le lodi del mattino e il vespro, con l'eucarestia, sono sta~i i mezzi principali con cui la Chiesa ha esercitato questa leitourgia.
6
Costituzione sulla Saa-d tituJgia .sacrosatfdlll' QJat1lluM. $-85.
179
5. Pr?gblera del mattino e della sera 11ella Chiesa prlmitir'a · Non c'l' niente di specitkatamente nistiano sul mattino e la ser.t come tempi di preghiera. Sono l'inizio e la fine naturale del ~iomo, erano le ore del saetitìdo del tempio e dell'offerta dell'incenso prescritte nell'Antico Testamento (Es 29,38-42; 30,7-8; Nm 28,1-8), e le ore in cui lo Sbema era redtato nella sinagoga. Èdliaro dagli scritti dei plimi Pachi, come Tertulliano, che le prescrizioni dell'Antico Testamento erano il motivo per considerare queste due ore di preghiera "obbligatorie" per tutti i c1istianP In origine c'erano tempi di "preghiera privata" o di preghiera comune in piccoli gruppi. La nostra prima testimonianza della pratica di celebrare queste ore in comune come una parte normale del culto pubblico, all'inizio del IV secolo è dovuta al famoso storico della Chiesa Eusebio (ca. 263-339), vescovo della sua città natale, Cesarea di Palestina, a pa1tire dal313. Nel suo Commentario al salmo 64 , versetto 9b (LXX): ·Allieterai le uscite del mattino e della sera•, Eusebio spiega che queste gioie del mattino e della sera sono state interpretate come inni (bymnologias) e preghiere (ainopoiesis), e quindi egli espone il motivo: Poiché non è sicuramente un piccolo segno del potere di Dio che in ntno il mondo nelle chiese di Dio al sorgere del sole e alle ore serali, inni e lodi, vere delizie divine, siano offerti a Dio. Delizie di Dio sono infatti gli inni innalzati ovunque sulla terra nella sua Chiesa al mattino e alla sera. Per questa ragione è detto in qualche luogo ·La mia lode sia cantata dolcemente a lui· (cf Sa/146,1), e .COme incenso salga a te la mia preghiera• (Sa/140,2).9 7 P'.lrte l. H
/11
Per una !r.tttazione completa del tema, dTaft, La LftutMia delle Ott!, -rertulliano De oratto11e 2,- ,~ CCL 1 272-273· and1e Crisostomo,
J' ' Cf M: t G 55, 430; Cas.'iiano, De inst. coenob. Il, 3. C.')EL 17, 19. J. 1e. f~ l
'
'
'
"The Origin'i of the Divine Oftke", 479, "Qudques andens d<x.umenl'i sur l 0 fk.'t! du soir", OCP 35 (1969) 370-71; e Taft, La Liturgia delle Om, QIPP· 2·3.
9
180
l>G 23. 640.
Si noti che Eusebio sta parlando di quello che noi chiameremmo "culto parrocchiale", non della preghiera dei monaci. Mattutini e vespri non sono di origine mona~ica. contrariamente a ciò che comunemente si crede. La preghiera del martino e della sera spettava a tutti, ai laici come ai religiosi. Nelle Costituzioni apostoliche (Il, 59), un documento dei dintorni di Antiochia di circa il 380, vediamo che un salmo scelto per la sua opportunità all'ora di preghiera costituì il nucleo di entrambi i servizi: Quando ino;egni, o vescovo, comanda ed esorta il popolo a frequentare la chiesa regolannente, ogni giorno al mattino e alla sera e a non rinuncian:i mai, ma a riunirsi sempre per non ~ lire la chiesa as.o;entandosi e privando il corpo di c.rNo di uno dei suoi membri. Perché questo è detto non solo per il benefri> dei preti, ma ognuno dei laici ascolti come rivolto a se stesso il detto del Signore: .COlui che non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, di'iperde- (Mt 12,30)... Non siate negligenti con voi~. non privare il Salvatore deUe ~ue stes..o;e membra, non dividete il suo corpo, né W. sperdete le ~ue membra, non preferire i bisogni di questi vira alla Parola di Dio, ma riunitevi ogni giorno, mattino e sera, canrando salmi e preghiere neUa casa del Signore, al mattino cantando il salmo 62 e alla sera il salmo 140.'0
Gli uffici si concludevano con un esercizio del sacerdozio comune intercedendo per i bisogni di tutta l'umanità, così come per quelli della Chiesa, un atto del popolo di Dio come~ pe eletta, sacerdozio regale- (1Pt2,9) attuando la sua attività comune (/eitourgia) per la società, secondo le istruzioni di san Paolo in 1Tm 2,1-6.8: Ti raccomanc.lo dunque, prima di tutto, dre si f~ ~ mande, supplid1e, preghiere e ringraziamenti per~~ UOOUOI. per i re e per nttti quelli d1e staMO al potere, peJdlé ~tra scorrere una vita cahna e tranquilla con tutta pietà e dignili- Qucs&2 10
se 320, 324. 181
l.· tlllOI n.ls;l hdk1 ~ ~~~dit:l :.•l ~'O~pt'UO di O~o, nostro Salvatore, il quail' ,·uok rhc tUili~~~ uom1111 s1ano salvati c arnvmo alla conoscen7~1 ddb \'t'IÌI:1. Uno solo, inbtti è Dio, e uno solo è il mediatore fra
Dio t' ~li uomini, l'uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per nllti ... Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino. alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese ...
San Giovanni Crisostomo applica questo passaggio alla mediazione della Chiesa nelle intercessioni della preghiera del mattino e del vespro: Che cosa significa "prima di tutto" nel culto quotidiano? Gli iniziati sanno come questo è fatto al mattino e alla sera, ogni giorno: come preghiamo per tutto il mondo, per i re e per tutti quelli che hanno autorità. 11
Altrove Crisostomo parla del ·grande potere della preghiera offerta dal popolo assieme alla Chiesa•, 12 un potere che supera di gran lunga la forza delle nostre suppliche individuali. Tali preghiere, alla fine della funzione, costituiscono un ponte che collega la celebrazione liturgica ai bisogni della vita quotidiana a cui l'assemblea sta per essere benedetta e congedata. ~
Lo spirito della preghiera della sera nei Padri
Crisostomo, commentando il salmo 140 nell'ufficio quoti· diano serale di Antiochia prima che diventasse arcivescovo di Costantinopoli nel 397, esprime lo spirito di questo salmo vespertino che divenne il centro dei vespti in tutte le tradizioni a-i· stiane: Molte cose in questo salmo sono adatte per il tempo serale. Comunque, non per questo motivo i padri scelsero questo sallllO, 11 12
182
In lTim. 2 bom. 6, PG 62, 640. Df! proph(.'farum obscurltate 11, 5, PG
56, 182.
9 ·RII7/Vf1Zklmm~ /1WI41t~a·
ma piuuosto ordinarono che fos~ recitato come una medicina~ lutare c una remissione tki pcu:ati, così d1e qualu~ 00!!13 ci av~ se sp~rcato dur.m~e il giorno, sia al mercato, o a ca.o;a, od ovunque avess1mo passato d nostro tempo, alla sera cc ne sbarazza.'liSimo attraverso questo canto spirituale. Poiché è davvero una mWicina che: distmgge nllle queste cose.' 1
Nelle sue Catechesi battesimali VIII, 17-18, date ad Antiochia circa nel 390, Crisostomo ci fornisce la stessa motivazione per la preghiera serale: ... Ognuno vada alle sue faccende con timore e tremore, e così passi il giorno nel pensiero che la sera dovrà tornare qui [alla chiesa] a rendere conto al padrone dell'intero giorno e a chiedergli perdono per le inadempienze. Poiché è impossibile, anche se prendiamo mille precauzioni, evitare di essere esposti a ogni genere di colpe. Sia che abbiamo detto qualcosa di inopportuno, o ascoltato discorsi oziosi, o se siamo stai disturbati da qualche pensiero indecente, o non abbiamo controllato il nostro sguardo o speso tempo invano e in cose oziose, piuttosto che fare ciò che avremmo 00. vuto. Ecco perché ogni sera dobbiamo chiedere perdono al Signore per tutte queste colpe ... Dobbiamo poi trascorrere il tempo della notte in sobrietà spirin1ale e così essere pronti per presenlan:i di nuovo alla lode del mattino .....
Per Crisostomo, quindi, i vespri sono fondamenralmente un ufficio penitenziale e-potrenuno aggiungere---efficace: il perdono richiesto sinceramente è, infatti, accordato. La spiegazione dei vespri di san Basilio alla domanda 37 delle Regole più ampie aggiunge il ringraziamento prima del pentimento come un altro tema fondamentale vespertino: E quando il giorno è terminato, dobbiamo~~ perciò che ci è stato donato durante la giornata o per ciò d1e abbiamo &Ilo 13
In ps. 140, PG 55, 427.
14 A Wenger(ed.).Je-.mCiuysostome,HuU~l.w.f«! t itJédltes(SC 50bis, Paris: Cerf 1970) 257. ·.
l ti
Clltrd "''c'Hfc• c•/ i tt"c lt/c•flfc' l R. F. 1iJjl
di htKlllO, t'lklhhi;.lmo mnfes.•;ard per ciò in cui ahhiamo shagliatotnùllh:sa l'Oilllllt"Ssa, si;.l ess1 volont:uia o involontaria o tor~ non ~r n.·pil:l in parole e in opere oppure nel segreto del urore-chiedcnlk1 a Dio nelle nostre preghiere di es.-;erci bvorevole nel giudicare tutte le nostre mancanze. L'esame delle colpe passate è di grande aiuto pt•r prewnire simili Gtdute in h.nuro. Perciò si dice: ·Di ciò che dite nei voslli cuori sui vostri giacigli abbiate compunzione· (Sa/4,5)."
Lt colletta che conclude i vespri nelle Costituzioni apostoliche VIII, 37 esprime un'idea simile: O Dio ... che hai fatto il giorno per le opere della luce e la not· te per il ristoro della nostra infermità ... accetta ora misericordiosamente questo nosu·o ringraziamento della sera. Tu che d hai accompagnati lungo tutto il giorno fino all'inizio della notte, conservaci per mezzo del tuo Cristo. Accordaci una ser.t tranquilla e una notte senza peccato e senza incubi, e giudicaci degni della vita eterna per il tuo Cristo. 16
È chiaro da questi testi che la primitiva tradizione di preghiera pubblica non eucaristica non ha niente a che fare con le teorie della "santificazione del tempo", con k.airos e chronos, con una liturgia del "tempo" o della "storia" come distinti dall'eucarestia "escatologica". Piuttosto, l'ufficio della sera alla fine del giorno ci porta a riflettere sulle ore appena traseorse, ringraziando per il bene che ci hanno portato e ranunaricandoci per il male che abbiamo commesso.
7. La ritualizzazione deU'uffJCio Gli uffici di cattedrale dall'inizio del V secolo in poi avevano rinsanguato l'ossatura scarna della salmodia e della preghiera con riti e simboli che trasfonnavano le ore del mattino e della sera in 15
PG 31, 1014.
16
se 336, 24H.
184
? 'Rinwuz~u,.,11, prr klluu.
sacramenti del mistero di Cristo. In questo senso i primi uffki di cattedrale possono essere chiamati una "samifJCazione del &empo", in quanto il tempo è "sacramentalizzato" in un simbolo dd tempo che trascende il tempo. Nel mistero liturgico il tempo viene trasformato in evento, un'epifania del regno di Dio. Tutta la creazione è un sacramento cosmico del nostro Dio salvatore, e l'uso della Chiesa di tale simbolismo nell'ufficio è solo un passo verso la restaurazione di tutte le cose in Cristo (E/ 1,10). Per il clistiano tutto, inclusi la mattina e la sera, il giorno e la notte, il sole e il suo tramonto, può essere un mezzo di ca. munione con Dio: ·l cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento• (Sa/19,1).
8. «Dio è luce» (1Gv 1,15) Il simbolo naturale fondamentale dal quale scaturisce questa elaborazione rituale è, naturalmente, la luce, un tema che si può far risalire all'Antico Testamento e oltre, al cospicuo uso dell'immagine del sole nel paganesimo del mondo mediterraneo. Dietro l'immagine della luce e del sole nelle religioni dd V.K:ioo oriente c'era il tentativo di trovare signifiCltO e speranza per la vita umana nella vittoria quotidiana della luce 1oulle tenebre: l'alha era il messaggero della divina liberazione e dell'eterna salvezza. Infuai. il polere della llJ(.'t! 'li recare speranza è molto più antiro e profondo della storia umana. Nel rispondere al porere della IU<.:e ~ ~ ~ ro, le religioni del Vicino oriente diedero un'espressJOOe lllUCgiC3 al desidelio ardente e alle trepide attese del proloplasma. al ~:al za nome della materia prima ili e..-.;ere sostenuta dalla hx.-e.
Nonostante la potenza dell'immagine del sole e deDa luce nel giudaismo ellenistico (Filone) non sembra che esso abbia esercitato un influsso particolare ~ rituale giudaico della preghiera 17 J. Pelikan Tbe Llgbt of tbe World. A /JIISIC Jmt,l8r #11 Chrtsttatl 1bougbt (New y otk: Harper and BrolheJ5 1962) 13.
~
185
dd m:tnìno e dcii;{ scm. La lx•tK'dizione }·(>lzerdello Shema redt~tta in qul'lk' ore ndla sina~oga si titetisce alla luce e ~ùle tenebre nd ~,"ont<.'Sfo dclb cre:tzione, ma la sua applicazione simbolica non ~·mhra t"S..
luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 18 Cf W. O. E. Oesterley, Ibejewisb Backgroutzd ofthe Cbristtau Litwgy(Gloucester, Mass.: Peter Smith 1965) 48. Naturalmente la tradizione giudaica presenta dei paralleli nel rito delle luci di Hanukkah, e soprAttutto nel rituale dell'accensione delle luci dello Sbabbat il venef(U sera e della lampada deli'Havda/ab alla fine dello Sbabbat. Ma non conos~o ri.nm!i par.llleli nei riti quotidiani sia domestici che di sinagoga degli ebre1 ne1 pnnù secoli ùell'em cristiana. Negli odierni servizi giudaici la preghient serale quotidiana loda Dio per l'os<..urità naturale, così come per la luce, senza akun riferimento o simlx>lizzazione alla lampada serale: ·Sia lcxle a. t~, 0 Signore, per l'imbrunire• Weekday Prayer Book (New York: Rahhmu:al As.uito alla nota 23.
186
Gv8,12 (9,5): lo sono la luce del mondo; chi ~"l(Ue me IY.)fl nelle tenebre, ma :~vr;Jla luce della vila.
a~mmina
Gv 12,45-46: Chi vede me ve<.lc colui che mi ha marxbto. lo 'rOno venuto nd mondo come luce, perché chiunque cre
In Cristo, questa illuminazione si è già compiuta: Co/1,12-13: ... ringraziando con gioia il Padre che d ha messi in grado di pa11ecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nd regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. (cf 1Ts5,5; Eb6,4; 10,32).
E/5 e 1Gv sottolineano che questa illuminazione ha una dimensione morale e comunitaria: IGv 1,5-7: ... Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifK.-a da ogni pa:cato. 1Gv 2,8-11: E tuttavia è un comandamento nuovo quello di tui scrivo, il che è vero in lui e in vo~ perché le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende. Chi di<.:e di esser nella loc-e e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama ltUO fratello, dimora nella luce e non v'è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occlù.
Ma forse il passaggio più ricco di bellezza per il nostro scopo è la descrizione di Ap 21,22-26 della luce dell'Agnello nella dttà celeste, la Nuova Gerusalemme: Non vkli alcun tempio in es...;a perché il Signore Dio, !"Onnipotente, e l'Agnello sono ill>l.IO tempio. La dttà non l~ b~ ~ ~ ce del sole, né della luce della luna perché la~ di Dio la ~ na e la :tl.ta lampada è !·Agnello. Le nazioni ~alla M
187
cc c i re della terra a lei p01teranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai di giomo poiché non vi sarà più notte ...
Il brano è un compimento deliberato della profezia eli Isaia (60,1-3.11.19-20) nella visione del profeta della stessa dimora celeste: Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la glotia dd Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore dd tuo sorgere ... Le tue porte saranno sempre aperte; non si chiuderanno né di giorno né di notte ... Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna; il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più, né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto ...
Non ci volle molto tempo prima che questo simbolismo passasse nella poesia e nell'innoclia del culto cristiano. Un venerabile inno è citato in parte in lif5,14. Clemente di Alessandria (t 215) nel suo Protreptico9, 84,2 presenta il testo intero: Svegliati, o tu che donni, e destati dai morti, e Cristo ti illuminerà, il sole della risun-ezione, generato prima della stella del mattino (Sa/109) che dà la vita con i suoi stessi raggi. 19 19
Ed. O. Stahlin, Clemens AII!Xatldrtuus I (GCS, Leipzig: J.C.
Hinrichs 19<);) 63.
188
Questa luce che Cristo concede è la salvezza e viene ricevuta nel battesimo. La Lettera agli Ebrei, in un passaggio che presenta sorprendenti reminiscenza delle tre tappe dell'iniziazione, parla di ·quelli che furono ... illuminati, gustarono il dono celeste e diventarono pattecipi dello Spirito Santo e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro .... (6,4-6). 21 ' E nella chiesa primitiva il battesimo era chiamato phOtismos, ph6tisma, illuminazione; quelli che dovevano essere battezzati erano illuminandi, ph6tizomenoi. Si possono ancora trovare antiche preghiere per loro nella liturgia bizantina dei Presantificati delle ultime settimane della Grande Quaresima. Non è sorprendente, allora, che nell'ufficio serale, celebrato al calare del sole e all'inizio delle tenebre, all'ora dell'illuminazione artificiale, i cristiani fossero indotti a vedere nella lucerna della sera il simbolo di Cristo, luce del mondo, lampada della città celeste dove non ci sono né tenebre né none, ma solo il giorno, e a render grazie a Dio per questo. L'ufficio serale iniziava con l'accensione delle lampade di cui c'era bisogno per far luce per l'ufficio. Nella nostra epoca di abbondante elettricità ·è difficile per noi apprezzare la meraviglia delle tremolanti lampade ad olio che penetrano la determinante oscurità della none. Ma le culture pre-edisioniane accoglievano la luce artificiale con un senso di riconoscente benvenut0.•1' I pagani erano soliti accogliere la luce con l'esclamazione ·Chaire, ph6s agathon (Salve, luce buona)!· o ·Chaire, phOs philon (Salve, luce amichevole)!•. E Clemente Alessandrino raccomanda di accogliere il vero Dio con .Salve, luce!•.n Quindi an20 Vedi T. Camdot, sptritalité dt.t bapteme (Lex or.mdi 30. Pari.o;: Cd 1963) Célp. 4. 21 A. Cifemi "The Lucernarium", LiturgiCa/ ~l't!l'; <Winter 1976n>32-33. l
22 Prolrr!pticus 11, 114: 1 ed. StaWin, 80. CfF.J. OOiger, ·~ireJ: ro~t Pb& als antikt: Ud1thegrussing bei Nikarchos und}eslls al" bt:ilige' 1Je1 Klemen'i von Alexandrien~, AC 6 (194{)) 147-1;1.
189
Olm• llmc•llfe c' li~exidc•lllt' l R. F. Taft
cor prima dello sviluppo dei vespri in un ufficio divino tenuto in chiesa, la devozione cristiana domestica aveva ereditato dal paganesimo il lucc..>rnarium, la pratica di accogliere la lampada serale con la preghiera e la lode.H San Gregorio di Nissa (t 394), fratello eli san Basilio il Grande, descrive nella sua Vita di santa Macrina la mo1te della loro sorella nel379, all'ora dell'accensione delle lampade. E quando giunse la sera e fu pottata la lampada, lei aprì gli occhi che erano rimasti chiusi fino ad allora e guardò la luce. Fece capire che desiderava recitare la preghiera di ringraziamento per la luce, ma siccome la sua voce veniva meno, compì l'offena con il suo more e con i movimenti delle mani, mentre muoveva le ~me labbra in annonia con l'impulso interiore.!•
Le primitive fonti delle Chiese occidentali ci danno l'interpretazione cristiana di tale simbolismo della luce nella preghiera serale molto prima che essa diventasse un ufficio pubblico. San Ciptiano (t 258), ad esempio, interpreta così la preghiera serale:
23 Per qud che ri!,•uarda il lucemarium dei primi cristiani ed i ~u~i pa· nùleli pag-J.ni, oltre ai lavori dtati alle note 17 e 22, vedi i numerosi scntu di F. J. Dolger Die S01111e der Gen.'Cbtigkeft zmd der Scbll'arze(LF 2 [14], Miinster. Aschendorff 19U!); Sol salutis. Gebet und Gesang tm cbristltcben Altertu.m (J! 4/5 [16/17], Mi.in-;ter: A'iChendorlf 1920): "Sonne und Sonnen-;tmh.l ab GleKhrus in der Logostheologie des christlichen A.ltertums", AC l (1929) 271·2?CJ: "Konstantin der Grosse und der Manichaismus. Sonne und Chrisnts un Manidiliìsmus", AC 2 0930) 301-314; akune brevi note in AC 3 0932) 76-_1?· 282; ~ùunen Christi", AC 5 (1936) 1-43 (tmd. fnmc. di M. Zemh, Paris: Cerf 19Ylf. "Sonnengleìchnis in einer Weihnacht-;predibrt des Bischofs Zeno von Verona. Christus als wahre und ewige Sonne'', AC 6 (1940) 1-56. Vedi ;~dte J. Mateos, "Quelques anciens document-; Sttr .l'otlìce du soir"' OCP 3) o96~) 348-351: A. Tripolitis, "PbOs btlarou. Ancient Hymn and Mtxlem Enigma' Vigfltae Cbrtstia11ae24 0970) 190ss; A. Quacquarelli, Retorica e /itwgfa an· tiufcena (Ricerche patristiche 1, Roma: Desd~ 1960) cap. 7: "LUX pe_rpet;Ul e l'inno lucernare", I53-1HO. G. Winkler preferisce un'origine giudmca l o· ~estica dellu_cemariw~ cristiano nel suo studio "Ùher die KathedrJ.lv~~ m den versduedenen Riten des Ostens und Westens", ALW 16 (1974) · 24 Cap. 22; P. Marava.l (ed.), Gregoire de Nysse, Vte de saftlte Macrlue(SC 178, Paris: Cetfl971) 212.
190
Allo st.csso modo, al tra~nonto dd sole c al pas.o;art: dd giorno è nccessano pregare. Pcrchc, s1ccomc Cristo t: il vero sole e il ve-
ro giorno, quando preghiamo perché calano il sole cd il giorno del mondo e chiediamo che la luce ci copra ancora, noi chiediamo la venuta di Cristo, che ci dà la grazia della luce ctcma.s
E la Tradizione Apostolica (ca. 215) descrive un primitivo Jucernarium domestico cristiano che include una preghiera di "ringraziamento per la luce": Quando il vescovo è presente, ed è venuta la sera, un diacono prende una lampada; e stando in piedi in mezzo a tutti i fedeli che sono presenti (il vescovo) ringrazierà ... E pregherà così, dicendo: ·Ti ringraziamo, Signore, attraverso tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore, attraverso il quale sei rifulso su di noi e ci hai rivelato la luce incstinguibile. Così quando abbiamo concluso la durata del giorno c siamo giunti all'inizio della notte, e siamo felici della luce del giorno che tu hai creato per la nostra soddisfazione; e poiché attraverso la tua grazia non perdiamo la luce della sera, noi ti preghiamo e glorifichiamo attraverso tuo Figlio Ge:-.ù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale sia gloria e potere e onore a te e allo Spirito Santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen..,J6
Dalla fine del IV secolo, gli elementi del rituale domestico e del simbolismo della lampada serale appaiono nei vespri di cattedrale in Cappadocia ed in Palestina, ma non ad Antiochia. v AGerusalemme, Egeria, la famosa monaca pellegrina che scrive ca. nel384, descrive l'accensione della lampada serale dalla luce che arde sempre nella grotta del Santo Sepolcro, un simbolo ovvio di Cristo risotto, luce del mondo: .... All'ora decima, che qui si chiama lycbr~icon, e noi dtiamiamo lucemario, tutta la gente si raduna come le altre volte 2; 26 27
De domtntca oratione 35, CSEL 3/1, 293. Cap. 25. Vcùi Mateos, ..Quclques an
191
l'il'"''' ,. liiiXItleull'l R. F. Taj/
ali'Anastasis: si
)/!
Anche in Cappadocia, san Gregorio di Nissa nella Vita di santa Macrina già citata, parla dellucernarium come di un ufficio pubblico: ·La voce dei cantori che convocano al ringraziamento per la luce chiamano anche me in chiesa.•29 San Basilio (t 379) parlando dello stesso inno di ringraziamento di accensione della lampada, cita l'antico Ph& hilaron (Svete tikh~J) che costituisce ancora il centro dell'ufficio della luce dei vespri bizantini. O luce radiosa, o Sole divino di Dio Padre dal volto immortale, o immagine della luce sublime che riempie la dimora celeste. Signore Gesù Cristo, mentre la luce dd giorno svanisce, mentre risplendono le luci della sera, preghiamo il Padre con il Figlio, lo Spirito santo uno con loro. O Figlio di Dio, fonte di vita, La lode ti è dovuta notte e giorno. Labbra pure devono evocare la melodia del tuo splendido nome rivelato.~'
Basilio dice che l'inno era già vecchio al suo tempo-tanto vecchio che egli non sapeva chi l'avesse scritto. 2H 11tl,~~io
29 30
Cap. 24,4; tr. it. P. Siniscalco e L. Scampi (edd.), Egeria, Pellegrl111 Terra Santa (Roma: Città Nuova 19H;) 132.
Cap 2;, ed. Maraval, 226. TrJd. dal magnilko adatttmento contempomneo di W. G. Storef• Monti l~ Pratse and Er}(!11S01lg (Notte Dame: Fides 1973) 73.
192
9. "RtnwuztumentiJ /ll'l'lu luu:.
Sembrava giusto ai nostri genitori non ricevere il dono dd la lu-
ce della sera in silenzio, ma ringraziando immediatamente al suo apparire. Non sappiat~lo chi fu il padre delle parolt: di ringraziamento per la luc~. Ma ''.popolo pronuncia l" antica formula, e qudli che dicono ·no t ononamo te Padre, Figlio e Spirito Santo di Dionon furono mai ritenuti empi da alcuno:"
Questa epilychnios eucharistia, uno dei primi inni cristiani ancora esistenti, è una preghiera a Cristo vera luce che risplende nelle tenebre del mondo e illumina-cioè salva-tutti gli uomini e le donne. Questo è il secondo elemento fondamentale del rito dei vespri in ogni tradizione: il ringraziamento per la luce, in cui la chiesa utilizza l'accensione della lampada al tramonto per ricordarci la visione giovannea dell'Agnello, la lampada eterna della Gemsalemme celeste, sole senza tramonto.
9. «Come incenso salga a Te la mia preghiera...» (Sal 140,2) Un ulteriore elemento del rin1ale vespertino è l'offerta dell'incenso, ispirata senza dubbio al sahno 140,2: .Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera,• e all'ablazione serale dell'incenso dell'Antico Testamento al momento dell'accensione delle lampade (Es 30,8): ·E lo brucerà anche al tramonto, quando Aronne riempirà le lampade: incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni.• Questa offerta è menzionata per la prima volta riguardo ai vespri cristiani da Teodoreto nelle sue Questioni sul/ 'Esodo 28, scritte qualche .. 31 . DeSpiritoSaucto29, 73, SC 17his, ;os.;IO• PG 32. zo;. Nella lr~ dtztone htzantina l'inno è alltihuito em>neamente ad Att:nogene. un em • n: basato :0.11 un·~mlla intetpretazione di Basilio. Vedi Tripo~. "PbOs bil~n:I:e ~1-3. Do una hihliogmtìa ulteriore in R. Taft, "lbe Byzantme O!lk~ 48 ruyeriJook of New Skete: Evaluation of a Propost:d Refonn · ( 982) 367 nn. 1;3-1;6; vedi anche nn. 83, 97.
193
tl"mpo dopo il45.3. Commentando Es 30,7-8 in relazione al CUllO crio;tiano. Teodoreto dice: .Celeh1iamo la liturgia rise1vata all'intt,no del ~tbcmacolo [cioè l'offertJ dell'incenso). Infatti, è l'incenso e ht luce delle lampade che noi offriamo a Dio, così come l'uffi. do dei misteri della santa mensa.• 12 Nelle tradizioni orientali, l'of. ferta vespe1tina dell'incenso accompagna il salmo 140 ed ha un significato penitenziale: è un simbolo della nostra offe1ta di pentimento che si alza con le nostre preghiere e con le mani sollevate. Altri canti, letture e preghiere aggiunti allo schema basilare non cambiano il significato fondamentale del Iito serale. Quindi, non è difficile cogliere da ciò che abbiamo visto gli elementi primitivi costitutivi d1e ancora sono inclusi nei nostri vespri bizantini e lo spirito che li anima. Il ringraziamento e il perdono erano i due temi fondamentali espressi dai nostri testinloni ai vespri nell'antica letteratura aistiana. Nel rito di oggi, dopo la meditazione monastica della salmodia continua,-u l'ufficio di cattedrale si apre con il salmo vespertino 140, accompagnato dall'offerta dell'incenso. Il tema del pentimento per i peccati del giorno converge su questo salmo serale, il cuore dei vespri che Crisostomo interpreta come un atto efficace di perfetta contrizione. Con il tempo, questa preglùera penitenziale venne ad essere ritualizzata con l'aggiunta di un rito dell'incenso. Il "ringraziamento serale" trova espressione nell'antico Pb& bilaron (Svete tikhij) di ringraziamento per Cristo, luce del mondo, simbolizzato dalla lampada serale. Nell'ufficio appaiono anche altri temi minori: la preparazio32 PG 80, 284. 33 Sotto l'intlw;so dd monachesimo urbano nt aggiunta all'inizio dei vespri di cattedrdle la s:tlmodia continua della tt"tica ai veo;pri bizantini, vediJ. Mateos, "La synaxe monasuqu_e des ve~e e byzantinet, OCP 360970) 248-272. Sugli uffici monastid e d• c.:att~();:ore b kxo relazione neRa Chiesa primitiva, vedi il mio Uhro La LJwrgltJ ' (sopr-d. nota 2) e la letteratura là citata.
194
9. 'Rtnwuztarrumto fKr lo lllce·
ne per la none che viene, la vigilanza e l'attesa per iJ nuovo giorno quando noi ci alzeremo ancora per lodare Dio, ecc. Come ad ogni sinassi cristiana, l'assembl~a finisce con intercessioni generali per la salvezza e per i bisogni fondamentali della vita quotidiana a cui i partecipanti stanno per awiarsu•
10. L'uffu:io come una proclaTIIQzione del mistero pasquale Da notare la limpida semplicità della teologia liturgica della Chiesa primitiva che si riflette nella struttura fondamentale e nello spirito dei vespri. Come ogni preghiera, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, essi sono una glorificazione di Dio che sgorga dalla gioiosa proclamazione delle sue azioni salvifiche: oGrandi cose ha fano in me l'Onnipotente e Santo è il suo noiTle» (Le 1,49). Questo è il cuore della preghiera biblica: memoria, lode e rendimento di grazie-che possono poi sfociare nella richiesta perché prosegua questa cura salvifica nei bisogni del nostro tempo presente. la memoria-anamnésLç--è anche il cuore di tutte le celebrazioni rin1ali, dal momento che le celebrazioni sono celebrazioni di qualcosa: mediante simboli, gesti e testi rendiamo presente-proclamiamo-ancora una volta la realtà che celebriamo. Nella tradizione liturgica primitiva questa realtà è un evento unico, il mistero pasquale nella sua totalità, il mistero di Cristo e della nostra salvezza in lui. Questo è il significato del battesimo; il significato dell'eucarestia; come anche il significato dell'ufficio. L'anamnésisdell'evento Cristo è la fonte perenne di tutta la preghiera cristiana. Questo si tiflene anche nel proprio dell'ufficio bizantino situato nel ciclo quotidiano dell' Oktoichos. I testi sono tutti direttamente focalizZati sul mistero pasquale della salvezza. • 34 S\IUe intt:n.:essioni che (.'OOcl\ldono le sinaSSi LTistiane vedi MaleOS. Quelques anciens Uoc"'.tments" 351·9, 362-7, e R. Taft, 71Je Greal Ell/rrlna
195
Ahhiamo qui per esempio alcuni dei ritornelli dell'ufficio biz.1 ntino per i vespri del sabato, tono 3: 11 Noi d inginocchiamo in adorazione dinanzi alla tua croce preziosa, o Cristo, e lodiamo e gl?ritìch.i;~mo la tua risurrezione: poiché per le tue piaghe siamo statt guantt. Noi lodiamo il Salvatore, inGimato da una Vergine: poiché fu crocifis.'iO per noi e risorse il terzo giorno, facendoci dono della sua grande misericordia. Cristo, dLo;ceso tra coloro che erano negli inferi, ha proclamato: ·Riprendete coraggio, ho vinto. Io sono la ri<>urrezione e vi porterò via, dopo aver distrutto le po1te della morte.• La tua ri'>lllTezione datrice di vita, o Signore, ha illuminato il mondo intero, e la tua creazione, che era stata corrotta, è stata rinnovata. Perciò, liberati dalla maledizione di Adamo, gridiamo: ·O Signore onnipotente, gloria a te•.
Non è corretto, dunque, considerare l'ufficio prima1iamente come "storico" piuttosto che "escatologico". Teologicamente la venuta di Cristo è un evento indivisibile, sebbene possa intersecare la storia umana in punti differenti nel tempo. L' eschaton, il compimento finale della storia, è già arrivato in C1isto. Il tempo del regno, l'inizio degli ultimi giorni, è già incominciato. In tutto il culto cristiano autentico l'accentuazione di base dev'essere sempre su questo elemento' escatologico; sulla storia della salvezza, certo, ma come un'indivisibile realtà eternamente presente, che è il regno di Dio realizzato nella sua pienezza nella passione di Cristo. Quindi la liturgia delle ore, come tutta la liturgia aistiana, è una proclamazione escatologica della salvezza ricevuta in Clisto, e una glorifiCazione e un rendimento di grazie a Dio per tale dono. In (Lo
3l
Traduzione adattata da 7be O.lftce ofVespers iu tbe ByzantiiW RJte n >n: Darton, Longman and Todd 1965) 42-43.
196
questo senso originale e primitivo, la liturgia deiJe ore-anzi. tutta la liturgia-è oltre il tempo. Per il cristiano non c'è rcalnx.-nre nessuno spazio sacro, nessuna persona e tempi sacri: tutti sono redenti in Cristo, per cui solo Dio è Santo e coloro ai quali egli ha dato la sua santificazione, i suoi santi-doè il suo popolo. Per una curiosa inversione del processo rituale, l'ulteriore sviluppo del calendario cristiano e del suo proprio ha introdotto nell'ufficio le commemorazioni storiche di eventi particolari della storia della salvezza, permettendo così una scomposizione del mistero nelle patti che lo compongono. Non abbiamo tempo per affrontare tale questione molto complessa di come la comunità cristiana sia giunta a dare maggior attenzione alla dimensione storica della sua anamnesis liturgica. Né è nostra intenzione denigrare ciò. Ma è stata un'innovazione che non deve oscurare la purezza originale del significato della primitiva preghiera cristiana del mattino e della sera, che non era una "commemorazione storica" né una "liturgia del tempo" in opposizione alla celebrazione eucaristica "escatologica", "oltre il tempo". Entrambe erano e sono una lode allo stesso Dio per la stessa motivazione: Ctisto. I cristiani, mediante la fede, avevano la gioia suprema di sapere che vivevano una nuova vita in Cristo, una vita di amore condivisa con tutti gli appartenenti alla stessa fede. Cosa poteva esserci di più normale allora, per quelli che erano in grado di riunirsi all'alba, se non volgere i prinù pensieri del giorno a questo stesso mistero della loro salvezza e lodare e glorificare Dio per esso? E alla conclusione del giorno si riunivano di nuovo insieme per domandare perdono per le mancanze del giorno e lodare Dio ancora una volta per le sue azioni potenti. In tal modo, il ritmo naturale del tempo era trasformato in un inno di lode a Dio e in una proclamazione di fede davanti aJ mondo per la sua salvezza in Cristo.
197
11. L'ufficio come celebrazione deUa nostra vita in Cristo l.a liturgia delle ore, quindi, è t.ma santificazione del giorno attraverso il nostro Iivolgersi a Dio al suo inizio e alla sua fine per compiere quello che tutta la liturgia fa sempre: celebrare e manifestare nei momenti rituali, ciò che è e dovrebbe essere il nostro atteggiamento costante in ogni minuto del giorno, la nostra offerta sacerdotale, in Cristo di noi stessi a lode e gloria del Padre, in rendimento di grazie per il suo dono salvifico in Clisto. nlituale cti<>tiano è caratterizzato non solo dal suo compimento escatologico e dal suo realismo sacramentale; si distingue anche perché è l'unica espressione esterna di quanto è presente dentro di noi: la nostra salvezza è una realtà interiore che in1plica tutto un modo eli vita ..~ Così il vero Iituale clistiano è l'opposto dei riti magici, che si concentrano sulla manipolazione delle cose. Il rituale cristiano è personalistico. il fme dell'eucarestia non è cambiare il pane e il vino, ma cambiare te e me:17 E così la nostra liturgia deve essere un'espressione dell'alleanza nei nostti cuori, una celebrazione di ciò che siamo-altrimenti è un segno vuoto. Nella liturgia esiste quindi una dialettica costante tra celebrazione e vita. Perché, se non viviamo ciò che celebriamo, la nostra liturgia è un'espressione insignificante eli quello che non siamo. Niente è più chiaro, nel Nuovo Testamento, specialmente in san Paolo, del fatto che il vero culto del cristiano è interiore; è la vita di auto-donazione nella carità, una vita, come quella di Cristo, vissuta in un servizio di amore-in breve, una vita di auto-ablazione. Paolo dice ai Colinzi ( 1Cor 11,17-34) che la loro eucarestia di fatto non è per niente eucarestia, perché 36 Vali S. Lyonne::t, "La nature du culte l~ms le Nouveau Testmnenf •. Y. Congar et al., La liturgie après Vatican Il (Unam Sanctam 66, Paris: Cerf 1967> 357-3H4, J. Mate::os, Beyoud Cormmlioual Cbristfcmfty (Manila: East A.'>i.an P~L'itmallnstit\lte:: 1974) spec. cap. 2; e cap. l soprJ. 37 L'espressione è presa a prestito de~ Joseph l'owers, S.J.
198
il mistero di comunione-cioè l'unità in Crist(}-(:he l'eucarestia esprime, non era vissuto nella loro vita. lA Questo mistero è un mistero di auto-donazione, un dono di sé per gli altri, secondo il volere del Padre, che ci ha mOSlralo in CrLc;to che questa è la sola vita degna di una persona umana. È quanto san Paolo esptime in Rm 12,1: ·Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offtire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo iloostro culto spiritUIJ/e.• Nella presenre economia c'è naturalmente solo un sacrificio accettabile, quello di Cristo. Ma la sua offerta ha bisogno di essere "completata". Noi dobbiamo completare ciò che manca al sacrificio di Cristo (Co/l ,24). Ciò non significa che l'opera salvifica di Cristo sia imperfetta. Piuttosto, essa rimane incompleta fino a quando tutti gli uomini e le donne non siano entrati liberamente nell'offerta di Cristo, facendo anche delle loro vite un'ablazione cristiana. Questa offerta è gradita agli occhi di Dio solo perché Cristo ha fatto di noi il suo corpo, di modo che la nostra affetta è unita alla sua e trasfonnata in essa. Noi compiamo questa offerta in ogni atto della nostra vita cristiana. La compiamo quando la nostra fede è espressa nella carità, come in Eb 13,15-16:
Per mezzo di Gesù ... offriamo a Dio continuameme un sacrifido di lode cioè il frutto di labbra dte confes.'i300 il suo nome. Non dimentkat~vi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacr({ici il Sigrwro st compiace. Offriamo inolu·e una liturgia quando proclamiamo la nostra fede. In Fi/2,37 Paolo parla di .quel sacrificio che è l'offerta della nostra fede-. In Rm 1,9 dice: -Quel Dio, al quale rendo ~1to nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio su?", .e 10 15,16: ·Il mio ufficio sacro è di annunciare il vangelo di Dt<>o. 38 Ved. J. Murphy-O'Connor, "Eudtarist and ~un.ity in FitSl Corintbian.,.~, Worsbip ;o (1976) 370-385; 51 (1977) 56-,9.
199
~: pt•r qlll'Sto dw si;tmo tutti sacerdoti: come cristiani, ojfrire è l.t \'t'r.' essen~t ddl:t no.'\tra vita. Eciò che dobbiamo offtire siamo noi stessi, in testimonianza della nostra fede, professando la dw:mti agli altri e vivendola nell'amore: ·Ma voi siete la stirpe elett.t, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquist.uo perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha ('hiam~uo dalle tenebre alla sua ammirabile luce.• ( lPt 2,9)
12 Liturgia e vita Ecco perché nel Nuovo Testamento non c'è alcuna separazione tra liturgia e vita. La nostra vita cristiana è la nostra liturgia. E questo è il motivo per cui il Nuovo Testamento usa il vocabolario liturgico e sacerdotale solo per due cose: l) per Cristo e la sua offerta; 2) per tutti noi e per l'offerta delle nostre vite. Quindi per il cristiano culto, sacrificio, liturgia sono una vita di fede e di amore fraterno-cioè un'offerta a Dio e un se1vizio agli altli. E queste due realtà, fede e carità, sono realmente una. Poiché mediante la fede, noi vediamo il mondo come il luogo dove l'amore di Dio è operante e si dona ad ogni persona in un modo unico, e perciò consideriamo ciascuno amabile. Dire "sì" a Dio e "no" all'uomo è impossibile per un cristiano. ·Se uno dicesse "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore• (JGv 4,20). Il culto, quindi, non è un settore della vita: è la vita stessa. Ogni autentica liturgia cristiana è una celebrazione di questa realtà. Così, gli uffici all'inizio e alla fme del giorno non sono che momenti rituali simbolici del tempo intero. Come tali sono una proclamazione di fede al mondo e partecipano della nostra missione di testimoni a Cristo e alla sua salvezza. Essi sono anche una lode e un rendimento di grazie per questo dono della salvezza in Cristo. Infme, sono la nostra preghiera sacerdotale, come popolo sacerdotale di Dio, per i nostri bisogni e per quelli del mondo inlero. Questo è ciò che significa la liturgia. Questo è ciò che significano i vespri. In realtà, questo è ciò che significa la vita.
200
10. L'analisi strutturale delle unità liturgiche. Un saggio di metodologia•
Con un'ammirabile audacia, gli autori francofoni mettono in piazza una teolia in fteri affinché i critici la discutano prima di riprendere ciò che rimane e sistemarlo per una seconda edizione. Si coprono il ftanco chiamando le loro sortite esquisses,jalons, essais. Le pagine seguenti non sono niente più di questo. Non propongono il metodo per studiare la lirurgia, nemmeno una metodologia organica, completa. Sono semplicemente alcune riflessioni sul metodo che nel mio lavoro ho trovato fruttuoso. Allo stato presente della situazione metodologica, tra i professionisti del nostro mestiere, forse non ci si può aspettare di più.' Chiamo volutamente il metodo "strutturale", anziché "strutturalista". Geneticamente non è debitore in niente alla sc.uola strutAdattato da Worsbip 52 (197H) 314-329. l Per riflessioni più rt!centi sul metodo, vedi il mio A Hlslor)' oftbe Litu'ID' ofSt.]obtl Cbtysostom, vol. IV: 1be Dtptycbs(OCA_ 231'1, Roma: PIO 1?91) xxix-xxxi; "Recostnllting the History of the Byzanttne Com~1~ru~ Ri~ual: Prindples, Methods, Results", Ecclesia oratzs 11 0?94> j))-377, "L•turgiewissenschaft Heute", in 7beologiscbe Quartalscbri./1 17! 0997) 243-255. Una buona di.'iL1.1Ssione dei L'lllUhiamenti nella L"t)lllpren~mc: ddlo stu~io della liturgia e dei suoi scopi, con un·amp~ hil~>b~.tlta. SI~-~ va re 10 A. Haussling "Die kritische Funktion der LilUrg.eWL'iSenschafi · m Lttu,.gte tmd Geseltsl.:baft, ed. H.- B. Meyer (Innsbruck: T~lia 1.?~) 103130. Vedi anche le sottolineature di HiitL~sling in ALW 17-18 097,-r6)409.
201
0/trt•l'orit'flfe! t' l'cii.Xidllnte l R. F. Tqfl
ruralista, è piuttosto una mia elaborazione delle procedure imparate dall'apprendistato in ciò che legittimamente può essere chiamata la "scuola di Mateos" dello studio della liturgia orientale/ un metodo che è esso stesso un allargamento del sistema della "liturgia comparata" di Anton Baumstark, più tardi perfezionato da H. Engberding e da altri della scuola di Baumstark.-1 Tuttavia, il metodo comparativo ha qualcosa in comune con lo strutturalismo: entrambi sono modi di rendere intelligibile attraverso la sistematizzazione. Non c'è comunicazione senza chiarezza, non c'è chiarezza senza comprensione, non c'è comprensione senza organizzazione-e organizzazione significa sistema. La linguistica strutturale, ad esempio, tenta di sviluppare sistemi unificati, "ossature di intelligibilità", come li chiamo, per scoprire la struttura e le leggi fondamentali di come funziona il linguaggio. Questo è il motivo per cui gli insegnanti del2
Juan Mateos è professore emerito di liturgia orientale al Pontificio Roma. Studi rdppresentativi di questa "s<..uola" possono essere trovati, ad esempio, nella serie monogmfka OCA pubbli<..
3 la teoria di Baumo;tark della liturgia comparata, dabof'dta nei suoi primi studi, fu esposta per la prima volta nel suo Vom Rescbfchtlicben Wen:len der Liturgie (Ecdesia <mtns 10, Freiburg/Breisgau: Herder 1923) e successivamente in modo più completo in ComparaNue Litl.tTXY(Wes~i.o;t~r~ Maryland: Newman 1958). Le maggiori modilìche <.li Engherding ai pnnCJpl di Baumsttrk <.letivarono dal~>l.to studio classico, Da.s eucbartstische Hochgebet der BasikioslihJrgie. Textgescbicb/tche Uutersuchzmge11 wuJ krllische Ausgalx! (Titeologie des Christlichen Osten.o;. Texte und Untersudmngen, Heft 1; Mlinster: Aschendorlf 1931). Altri studi di questa so.to!a si pos.o;ono tmvare nella serie LQF (in passato LF) e nel periodico OC. Per la vita di Baumstark e la. bihliogmfia, ve<.li TI1. Klauser, "Anton Baumo;tark ( t872-194H)". Epbemertde: Litu~icae63 0949) 11-M-207; OC 37 0953) 2-3. Per un':malisi critica della h· turgia compamta <.li Bamnstark nei suoi preredenti intellettuali. vedi F. S. W~t, Allfoll Baumstarlz's Comparative LitU'RJ' 111 fts Jutelk-ctual Coute.\1(Universtty of Notre Dame doctoral dissertation, Ann Athor: University Microfilms lntemationall988). Anche G. Winkler, R. F. Taft (edd.), Comparattw LituTID; Fifty Yean a.fter Auto11 Baumstarlz (f 1948) (OCA, Roma: l'IO, in corso d• stampa).
202
10. l'una/W .~tntnurale delle urrttli lltu11Qcbe
le elementari sono capaci di insegnare che cosa è un verbo, ed è il motivo per cui, ad un livello molto più sofisticato, degJi esperti sono in grado di rovesciare il processo, dal sistema di costmzione alla ricostruzione di linguaggi e di forme linguistiche estinte o anche di intere lingue, a partire da loro frammenti ancora esistenti. Ciò che Lévi-Strauss chiama la "struttura superficiale" può variare da lingua a lingua, ma la "struttura profonda" è comune-e ciò che è comune è il fondamento di tutte le generalizzazioni e il prerequisito dell'intero sistema. Lévi-Strauss ha applicato questo tipo di analisi allo studio del mito, e credo si possa applicare, mutatis mutandis, allo studio della liturgia. Anche le liturgie hanno una comune "struttura profonda"; anch'esse operano e si sviluppano secondo alcune "leggi" comuni. Per di più, entrambi i metodi sono "comparativi", cercando di trovare la profonda comunanza sottostante a tutte le differenze individuali che la sistematizzazione permette. Infine, entrambi i sistemi manifestano le stesse caratteristiche:' (l) economia di spiegazione; (2) unità di soluzione; (3) abilità nel ricostmire il rutto dai suoi frammenti esistenti; (4) abilità di ricostruire dai primitivi gradi di sviluppo i livelli successivi. Ci sono tuttavia alcune differenze. Lo strutturalista cerca il significato·, io ' anzitutto , cerco la stmttura stessa. Perché nella storia dello sviluppo liturgico, la struttura sopravvive al significato. Gli elementi sono conservati anche quando il loro significato è perso (conservatorismo), o quando sono divenuti staccati dalla loro originaria collocazione e scopo limitat~, acq~i sendo nel processo nuovi e più ampi significati (tmlversalizzazione). E sono introdotti elementi che non hanno una relazione evidente con altri (arbitrarietà). Nella storia della spiegazione liturgica, c'è stat~ tutta~ia un movimento contrario dalla struttura all'interpretaZlone si.mbo4 Claude Lévi-Strauss, Structurul Atztropo/ogy (New Books 1963) 211.
Yodc BaSic ·
Jìc:•. La m~f~~ior p~u1e dei commenratori liturgici medioevali si oc.."t"ltpavano solo del significato, c spesso le loro intrepretazioni farevano violenza alla stmttura. Nel periodo della Riforma, la stmttura fu piegata a setvire la teologia. La regola legem credeudi le::\: staftlat supplicandi ~ fu raggirata, e la teologia definiva, piuttosto che interpretare, il testo e la forma liturgica. Recentemente si presta più tispetto alla storia e al testo, ma non alla struttura, almeno tra i liturgisti occidentali. Nel mio lavoro cerco di rovesciare questo processo, insistendo con gli stnttnualisti sull'importanza dell'analisi immediata della struttura stessa, prima di collegarla ad altre discipline come la storia, la sociologia, o anche la teologia. Queste discipline sono essenziali per la spiegazione del "come" e del "perché", ma l'analisi strutturale precedente è necessaria per scoprire il "cosa". Lo scopo di questo metodo è la comprensione. La "struttura" è semplicemente un modello che rivela come l'oggetto "lavora". Nantralmente, questa analisi non si fa nel vuoto. Ci dev'essere una dialettica costante tra analisi stmtturale e ricerca storica. Descrivo anzitutto l'analisi perché concettualmente viene per prima, anche se non è sempre così nell'esecuzione. In verità, per me l'analisi stnttntrale è fondamentalmente un aiuto non solo per la comprensione, ma anche per la ricostntzione storica. Karl Popper ed altri filosofi della scienza hanno proposto che la conoscenza in un campo vada avanti non per l'accumulo di nuovi dati, ma per l'invenzione di nuovi sistemi; ; Questa proposizione, solitamente dtata erroneamente, quasi sempre interpretata m;~le, tolta dal contesto. è diventata un aforisma per esprimere la nozione-vere~ se l<tpita in modi> gitJSt<~he la liturgia è una nom1<1 della !etle. Noi qui la usiamo in questo signitìc.:ato comunem~nte acl"ett~tto. Per t! suo contesto origimtle in Capitula Celesti/li (prohah•ln~ente denv;tto da Prospero tU Aquitania, t ca. 463). vedi Mansi. 4. 461. Cos1. per il suo significato ori~,'inale, vedi la tliSl"'.tssione in M. Righetti. Mciii uale di storia liturgica l (Milano: Ancom 1964·') 35-36, e sopraltlltto ~trl Federe~, llhJrgie utu/ Glaube, El11e tbeologtegescbicbtllcbe Untersucbmrg (Pamd<>SL~ IV. Freihurg: Paulu:.verl.ag 19;Q).
204
l O l "cl tta/1~1 .\lmlturak delle rtrrllù 1Urt'1liebt
non per la verifica di ipotesi, ma per la loro falslfica 7.ione.~ La ripetizione dello stesso esperimento in condizioni identiche per ottenere gli stessi risultati può essere rassicurante, ma non aumenta per niente la nostra comprensione. Ciò che l'aumenta è una nuova struttura eli intelligibilità, come quando Einstein r~r vesciò la fisica newtoniana. Se la nostra comprensione della liturgia deve aumentare, dobbiamo anche costantemente cercare di piegare e negare le nostre strutture di lavoro, creare nuovi sistemi che producano nu~r va conoscenza. 7 Sono convinto che uno non possa fare questo ignorando la storia. Negli ultimi anni è diventato comune accusare gli esperti di lintrgia di essere solo storici (presumibilmente un insulto) e persino fare la straordinaria affennazione che, nella liturgia, il lavoro storico è già stato fano. Ma la storia è denigrata solo da chi ne è ignorante. E quelli che pensano che il suo lav~r ro sia già stato fatto hanno frainteso la natura e gli usi del mestiere. Se c'è qualcosa che i filosofi ci hanno insegnato negli ultimi anni, è che tutto, comprese le scienze "esatte" o naturali, ha la sua storia, e le cosiddette "leggi scientifiche" sono strutture 6 Vedi sopmttutto K. Popper, Logtk der Forscbu11gCWien 1935); anche Conjectures aud Refutattous. 7be Growth of Sctcmttfic Krwul/edge (London: Routledge and Kegan Paul1963). 7 Per un esempio di questo, vedi G. Kretdunar, "Recent R~ on Christian Initiation" Studia liturgica 12 (1977) 87-to6, che sf~ alcuni principi correnti per la comprensione dell'iniziazione-ad c:se~PJO dJe le L~techesi del IV secolo mppresentassero la sua fo~a ·~~'ilOI- ; ~ha~ sm10-confemtazione-eucarestia fonnassero un solo nto orìgJJllUIO. mtre ti~ pe che si sarebbe scomposto nel medioev?. Ci? cl_le ancor.t lJ!lll volta dimostnllo studio di Kreto;dunar non è che~ n?Zloru ~ono ~~~e,= sono anche "sttUtture di intelligibilità", modi di orgaruzzare 'dah m ·aJbero comprensibili, e non in conclusioni per~ evidenti che c:adon<~ ~ come la mela di Newton. Ciò che rende m qualche modo~~ ~ S& e piegare la stmttura, avanzando così nella nOiitt"J <-:om~~mc:· • · no alcuni processi astratti di riflessione ~'Uila "teol~ de~~·= una nuova riflessione e la conseguente nuova orga~ sullil :oDla storia. Qualsiasi "teologia dell'in.iziazione" che non Sia basa~· . c creta tntdizione storica dd battesimo è un ingal1llO e una ~rdila di tempo.
ipotetiche, prodotti della mente umana. Esse non fanno balzare la realtà agli occhi di ogni ossetvatore. Piuttosto, sono struttun> {Jell:vtew6l [19751 271.) È proprio nellihemrd dal reS di contempormei cltcbése pregiudizi, che possiamo vedere le cose presenti nelle loro origini e nella crescita, e quindi con una nuova, più obiettiva per· t-ezione. 9 A questo proposito ved. il commento di Kretschmar (nota 7 ~l'itr.t pratica e dottrina. Studi della storia del battesimo non Cl di·
206
I O. L 'atuJlLtl stnllturaltt delk llfii/A 11111~
Come si adatta l'analisi stmtturale come melOdo con lUUO ciò? Nel mio primo lavoro di storia della liturgia mi è diventato subito chiaro che nello studio di qualsiasi problema bisogna arrivare presto alla formulazione di ipotesi se si vuole arrivare da qualche parte. La conoscenza non è l'accumulazione di dati, ma la percezione delle relazioni che permette ai dati di essere organizzati in modelli intelligibili. Quanto prima si arriva ad intuire modelli sufficienti per ipotesi di lavoro, tanto più velocemente andranno le cose. Questo è vero anche se l'ipotesi risulta sbagliata. Colombo scopri che la terra era rotonda prima di salpare--e, se non lo fosse stata, l'avrebbe scoperto abbastanza presto. Più di una volta proseguivo solo per provare una tesi che un'ulteriore ricerca e prova mostrava essere l'opposto della verità. Non importa. Provare è ciò che conduce alla risposta esatta, che è fin dall'inizio dove volevo arrivare. Ora, in questo processo di formazione delle ipotesi, ho trovato che l'analisi strutturale delle unità liturgiche è il primo passo più utile dopo la raccolta dei dati iniziali Ho trovato doè preferibile identificare, isolare e ricostruire ipoteticamente srrutture liturgiche individuali, quindi tracciare la loro storia come tale piuttosto che tentare di studiare i riti completi come un·~ in ogni periodo storico. Infatti è stata una mia osservazione costante che le liturgie non crescono regolarmente, come gli organismi viventi. Piuttosto, i loro elementi individuaJi possiedono una loro vita propria. Invece di cercare di descrivere o giustificare concettualmente questa procedura, darò semplicemente qualche esempio. Prendendo anzitutto le litanie e la saimodia antifooale, cer-
l"clJUl? se dohhiamo o no battezzare i neonati, ma<.~~ ci~ che il problema dev'es.o;ere risolto da consapevoli dedsiOili pasrorali. non aderendo ad alcune im.:ondizionarezze tt'L'iiUeSSC da un passato 11011 sempre chiaro, ma intatto.
Cllr11• /hr1t'llft' 1' /'ncddt•ll/1' /
R F 1il/l
cht•n.) di mostr~tre come vorrei usare l'analisi strutturale comparata per ticostmire ipoteticamente le origini e la storia di queste unità. Quindi, nel capitolo seguente, applicherò lo stesso metodo per risolvere un attuale problema storico, la forma originaria della liturgia bizantina.
1. Litanie Una varietà di forme di preghiera per le intercessioni o "preghiere comuni", che tradizionalmente concludeva tutte le sinassi cristiane, si trova ancora, a volte in forma confusa o degradata, nelle nostre attuali liturgie. L'unità fondamentale primitiva è l'invito diaconale a pregare ( Oremus) seguito dalla preghiera silenziosa, e concluso da una colletta: Diacorza: Preghiamo. (Preghiera silenziosa) Presbitero o vescoVO: Colletta.
Almeno in alcuni luoghi e/o tempi, era consuetudine dell'assemblea inginocchiarsi o prostrarsi per il periodo della preghiera silenziosa, quindi alzarsi per la colletta. Vediamo questo, ad esempio, descritto da Cassiano per l'ufficio monastico egiziano alla fme del IV secolo. 111 Nelle preghiere romane talvolta questo veniva fatto esplicitamente dietro i comandi del diacono di inginocchiarsi, poi di alzarsi: Diacono: Oremus. Flectamus Renua.
(Preghiem silenziosa). Levate. Prete. Colletta. 10
73.
208
De IIISI. coen.Il, 7, 1-2, ed.J.-C. Guy (SC 109, Paris: Cerf 1965) 70·
l fJ l a nul"t <Jml/urule t/nk
,,ltll flfrt~hr
Occasionai mente l' Oremus cr.t ampliato per~ le intenzioni per cui pregare: ·Orcmus pro pontifice ll05lto N.. ut oeus eum custodiat. .. •'' La cosiddetta "piccola litania" ( mikra synapli) che abbonda nella tradizione bizantina è un resto fedele di quesra struttura: (l) Oremus, (2) comando di alzarsi, (4) colletta, aUa quale è stata aggiunta, in alcuni casi, una commemorazione della Madre di Dio (3): Diacono: (l) Ancora e ancora preghiamo in pace iJ Signore. (2) Aiutaci, salvaci, abbi pietà e preseiVaci, o Dio, con la tua grazia. (3) Facendo memoria deUa tutta santa, pura, benedetta e gloriosa Signora, la Madre di Dio ... Prete. (4) Colletta. Mateos ha dimostrato che il secondo elemento (2) è una rielaborazione del vecchio comando di alzarsi (I.evate).u La commemorazione della Theotokos (3) è un'aggiunta successiva alla synapte in solo alcuni casi. 13 Nelle tradizioni romana ed alessandrina, era usanza ripetere questa unità fondamentale (in tutto o in parte) per le molte intenzioni per cui si pregava. 14 Si noti anche la fonna letteraria: il celebrante indirizza la preghiera a Dio, in nome dell'assemblea, come ministro. O l'assem11
Vedi G.G.WillLo;, "Tite Solemn l'rayers of Good Friday", EssaJ5 ili
Early Romcm Li/u'ID'(Ak:uin dub Colla.1ion.o; 46; London: SPCK 1964) 1-48.
. 12 ]. Mateos, La célébralioll de la parole da11s la ltJurgie byzrmlfrw. Etude htstorlque(OCA 191, Roma: l'IO 1971) 31-33, 165-166. 13 Mateos, Célébratiotl, 31. l'er la S)rtNJ/Jié senza~ l'tJIDillemorazione, vedi F. E. Hrightman, Lfturgies Eastem aud Western C<>xf'Ofd: Clarendon 1896) 375-376.397. 14 Vedi sopr.t n~ 11 e Hrightman, LttwgiesEas/et71 aliti~ 121-122, 158ss, 170ss, 223ss.
Oltrt'l ulfr!lll' c•/ ilu.ltlt•llll' (R. F 1ujl
blc:t in qu;mto "popolo sacerdotale" prega Dio come un'unità 1i<.'hbenc qui ciò sia fatto in silenzio. Quando il diacono parla, 5; ri\'olge non a Dio, ma all'assemblea: "Preghiamo." Nelle tonti del IV secolo di tradizioni orientali non egiziane, compare un nuovo sviluppo: la litania. Diversa da come potrebbe sembrare inizialmente, è solo un'espansione della primitiva unità ( OrPmus-colletta) :mcora mantenuta nella tradizione romana, più conservattice. Infatti la litania non fa che riempire con una se1ie di suppliche espresse dal diacono ciò che nel più vecchio sistema era un momento di preghiera silenziosa. E dalle Costituzioni apostoliche, dalle Omelie di Crisostomo ad Antiochia e a Costantinopoli, dal Testamentum Domini e da fonti bizantine c'è una ricca testimonianza del fatto che il popolo si inginocchiasse durante la litania, di cui l'ultima parte includeva il comando di alzarsi (Levate). 1" La forma letteraria rimane la stessa: il diacono si rivolge al popolo (·Per... preghiamo il Signore•), ma nella loro risposta, se espressa, i fedeli si rivolgono a Dio (Kyrie eleison), come fa il celebrante nella preghiera conclusiva. Un'ulteriore espansione può essere trovata, ad esempio, nelle preghiere dei fedeli (ricostruite) nella tradizione bizantina. Mentre il diacono riempiva il momento precedente di preghiera silenziosa con suppliche affidate al popolo, il celebrante diceva silenziosamente un'orazione pro clero in cui pregava per la grazia di fare ciò che stava per compiere, cioè dire la colletta in no15 CotlSt. ap. VIII, 10-11, se 336, 166-176; Crisostomo, /lz ep. 2 ad Cor. horn. 2, He horn. 18, 3, PG 61,404 e 527 (=Antiochia); 111 acta apos~. bom. 24, 4, PG 60. 190 (=Costantinopoli); Test. dorni11fl, 35; ed. Rahmam •. 82-89. Per le fonti bizantine vedi R. Taft, Tbe Great Eutra11ce. A Hfstol)' o} the TrutlSfer ofGifts mul otber Precmapboral Rttes of tbe Ltturp.y ofSt.jobtz Chryosostom (OCA 200, Roma, PIO 1975') .325-326. Cf J. Mateos, .. Quelques anciens documents sur l'oftke du soir", OCP 35 (1969) 354ss; Célébrati01l, 163ss; F. van c.le J>averd, ZurGeschtcbte der Mess/tturgie tn Antiochefa Wl~ Ko11sta11ffllopel gege11 Ende des 4.]abrhunderts. Analyse der Quellen bel ]ohamzes CbT)•sostomos(OCA 187, Roma: PIO 1970) 139, 148-149, 153-154, 157-160, 176, 197, 199-200, 205-206, 21B, 220, 462-463.
210
l'' l. cmalt4/.\lmllurak ddw Il n/là IIIUf1fk-
me del popolo.''' Se la litania concludeva un uffido, 0 <."1'3 per una categoria che stava per essere congedata, la colletta era seguila da un saluto (·Pace a tutti•), da un comando del diacono(.Piegare il capo al Signore•) e dalla "Preghiera di inclinazione" o benedizione finale sulle teste piegate del popolo. 17 Lo scopo iniziale, e pertanto sufficiente, di questa analisi è semplicemente l'intelligibilità. Ma questa comprensione delle stnttture può avere implicazioni più ampie. Non solo può fornire paradigmi per la lettura di testi oscuri e la ricostituzione nella loro forma originaria di resti degradati; può anche aiutare ad identificare un ritmo organico e una teologia della preghiera comunitaria, dei ruoli ministeriali e così via, soggiacenti alle antiche strutture e alla loro forma letteraria.
2. Salmodia antifona/e La salmodia è un'altra area in cui questa analisi può essere
esemplificata.'" Generalmente si crede che "salmodia antifonale" significhi l'alternarsi dei versetti del salmo da parte dell'assemblea o della comunità divisa in due cori. Tale salmodia monastica al16 La preghiem mi ci si riferisce è la "Prima preghiern dei fedeli", (Brightman, 37;-376). Cf. Mateos, Célébralio11, ;7-61, 100-161, 168-173. 17 Vedi Mateos, Célébratton, ;7s..<;, t69ss; •Quelques ancien.s -267, 429-430. 18 Per una l.'OlTeltl anali<;i della sahnodia antifonale. vedi. ad t'Selll(lKl. Mateos Célébratton, 7-26; Haumstark, Noctuma laus. Tjptmjn1bcbrisii/Cbt!r Vigfllef!fi..-'ier Wld thr Fo11/ebe11 fm romtscbell IUW moriQS/#Cbetl RitUS.
:l=
Nachlass hrsg. von o. Heiming (LQF 32, Munc;tet: Ascheododf l95_7) ~ Wi . I.eeb, Dte Psalmodie bel Ambroslus(Wsener Beitrlige zur1bc:ologìe 1 · Jell: Herder 1967); Taft, 7be Great Etllrrmce, 86ss.
211
<)/trt•lilr1t•lllt' t' /'uccftlt•fl/1' l R. F.
Tafl
temata è desCJitta da alcuni autoti antichi, tra cui Basilio il Grande. l? Ma questa non è salmodia antifonale. Da un'analisi delle fonti stotichc e dalla liturgia comparata, si ricava che la salmodia antifonale em una forma di salmodia di cattedrale (cioè non monastica) che emerse dal primitivo metodo responsotiale di esecuzione del salmo. 211 Il responsorio consisteva nell'avere i versetti del salmo cantati da un solista e il popolo che rispondeva ad ogni versetto con un singolo versetto eli salmo fisso chiamato responsotic. Questo versetto era dapptima intonato dal solista, eli modo d1e il popolo sapesse con che cosa rispondere: Solista: responsorio Popolo: responsorio Solista: versetto l Popolo: responsorio ecc. Nell'elaborazione antifonale di questa forma biblica originaria, il popolo è diviso in due cori e risponde alternativamente con un ritornello o con un'antifona. Il ritornello è per lo più una composizione ecclesiastica (cioè non biblica), e il salmo finisce con il Gloria Patri. Nella salmodia responsoriale, il responsorio è sempre il versetto di un salmo (o alleluia), e la salmodia non finisce con la dossologia. Questi sono gli elementi fondamentali; all'interno di tale cornice si possono osservare tutti i tipi di vatianti. Alcune volte ci sono due solisti che alternano i versetti del salmo e ogni coro risponde al suo solista. Spesso è usato un titornello diverso da ogni coro. Se il ritomello è troppo lungo per essere completamente ripetuto dopo ogni versetto, è usata solo la sua par19 Ep. 207, 3, l'G 32, 764; dj. Mateos, "L'office monastique à la fin du IV" siède: Antioche, Palestine, Cappadoce", OC 47 0963) H3-H4. 20
212
Baumstark, NocttmUllaus 124.
l O. l 'tma/L~I stntlflll'tlle delle lin/là 11111~Jche
te finale, chiamata nella tenninologia tecnica greca akroteleutton. All'inizio e alla fine della salmodia, i solisti ed i cori si uniscono a formare un'unità. Dopo il Gloria Patri che segna Ja fine del salmo, si usa spesso un ritornello diverso, chiamato in greco perisse o "appendice". 21 Ecco, acl esempio, una forma di salmodia antifonale trovata nei primi documenti bizantini. 22 Solisti insieme: ritornello (3 volte) Lettori e popolo: ritornello (3 volte) Primo solista: versetto l Primo coro: ultima parte del ritornello (akroteleution) Secondo solista: versetto 2 Secondo coro: ultima parte del ritornello ecc. Primo solista: Gloria Patri Primo coro: ultima parte o l'intero ritornello Solisti insieme: ritornello o perisse Lettori e popolo: ritornello o perisse
In quasi tutte le tradizioni, la salmodia antifonale fu scomposta, e ciò con cui siamo rimasti sono i frammenti dell'unità originaria. Ma una intuizione della sua fonna originaria ci può aiutare a ricostruire l'unità a partire dai suoi frammenti. Un passo nel processo di scomposizione si verifica perché il coro subentra al molo del solista. Un altro perché l'unità stessa è abbreviata. Nell'ufficio romano questo fu fatto sopprimendo il ritornello tranne che all'inizio e alla fine del salmo, lasciando che i cori alternassero solo i versetti del salmo (da qui l'attuale confusione tra salmodia antifonale e salmoclia alternata in molti scritti litwgici oc21 Cf Mateos, Célébralion13-26: Taft, 1be Gn!al Entnmce~s. Per~ te~in~>logia tecnica greca con:mlll,! l"ec(:ellente "Index liturgiq~·, alla~
M,lte<>S, h! Typtcon de la Graude Ep,liSe, vol. 2 (OCA 166, Roma. IlO bv3).
22
Ricostruzione di Ml1teos (Célébralioll 17) da. c. H~g~ G. :u~~
~lx.1o/ogium(Monumenlll muskae byzantirule: Lectionana, v .l. ~·
Copenhagen: E. Munksgaard 1939) 39-41. O"Taft, 7be GTf!fll EtlhTJIICt
.
213
ddentalì). Nelle tradizioni orientali, era più comune che i due co. ri diventassero uno, e che il ritomello soffocasse la maggior parte o nttto dell'elemento hiblico. 2J Vediamo questo, ad esempio, nel Ttìsagio della linn-gia biz.1ntina, attualmente cantato come segue: l. Santo Dio, santo, fotte, santo, immottale, abbi pietà di noi (3 volte). 2. Gloria al Padre ... ora e sempre ... 3. Santo, immortale, abbi pietà di noi. 4. Santo Dio, santo, forte, santo, immortale, abbi pietà di noi.
Ciò che abbiamo qui è l'inizio (l) e la fine (2-4) di un antico salmo antifonale, che include l' al.,,-oteleution (3), con i versetti del salmo e i loro ritornelli completamente soppressi. 2' Si noti la nann-a popolare della salmodia. Il popolo risponde con un ritornello fisso, facilmente eseguibile. E l'elemento scritturistico, cantato chiat-amente e comprensibilmente da un solo solista, non soccombe allo smorzamento c01-ale. La mancata comprensione di queste fonue originarie ha portato alla confusione tra salmodia alternata (che è monastica) e antifonale (che è popolare) e all'esecuzione-in un modo spesso incomprensibiledei versetti del salmo da parte del coro invece che del solista, e così via. E ciò provoca frequentemente anche un fraintendimento delle fonti storiche, speciahuente per la lintrgia delle ore.
3. Analisi strutturale e studio comparato della storia liturgica L'analisi stn.Jttumle unita alla conoscenza della lintrgia comparata è anche d'aiuto nel percepire come sono atticolate le 23
24
214
Vedi Taft, '!be Gn!at Elllratrce 112ss. Mateos, CélébraNotzl06-114.
IO l 'tmall.fl.ctmllurule clelk rmtta IIIJ1'1(kbr
unità liturgiche c i gmppi di unità, come crescono e come si scompongono. Ho trovato utile questa specie di analisi per decifrare lo stato confuso e disordinato di molte parti liturgiche ancora esistenti e per ricostmire la loro forma originaria. Avolte i liturgisti sono accusati di arcaismo, della sindrome del "più vecchio è meglio". Quest'accusa è ingiustificata. 1.o scopo dell'andare a ritroso non è pervenire il più possibile alle forme temporalmente più remote per imitarle ma, ancora una volta, capire. Si tenta di riandare al punto in cui l'unità che si sta studiando emerge nella sua integrità originaria, prima che cominciasse la scomposizione. Solitamente la scomposizione è provocata da successive aggiunte. Alla fme i riti sovraccaricati, come i circuiti sovraccarichi, fanno saltare un fusibile. Qualcosa finisce per essere tolto, e in questa riduzione del carico liturgico, l'integrità delle unità è raramente rispettata, soprattutto se la loro forma originaria non è più capita, o se esse non sono più eseguite come originariamente erano destinate ad essere. Osservare come questo accade alle strutture liturgiche ci dice qualcosa non solo riguardo al passato, ma anche a proposito delle stesse dinamiche di crescita e cambiamento della liturgia. Prendiamo un esempio dall'eucarestia. Cercando di capire la storia di come il rituale eucaristico si è evoluto nelle varie tradizioni nel periodo della pre-Riforma, ho sviluppato la seguente stmttura di intelligibilità-ciò che I.onergan chiamerebbe, forse, una "struttura euristica"-come modello per comprendere ed organizzare i dati disparati che le fonti offro~. Naturalmente questo non può essere un modello rigido. E semplicemente un ulteriore stnunento per aiutare l'interprerazione dei dati della ricerca. La scoperta di dati che con~~: cono la struttura e non possono essere spiegati come~ aberranti conduce a modificare la struttura, e la comprenswne fa ancora un altro passo. . Inizialmente, dunque, dividerei la storia sttutturaledel nto eucaristico in alcuni periodi:
Zl5
t. Nel pctiodo di formazione iniziale, il "primo strato" di ciò che Dix ha chiamato la classica "fonna della lintrgia", emerge dalhl metà del li secolo nell'Apologia di Giustino O, 65, 67):' 1 letture predica preghiere comuni bacio di pace trasferimento dei doni anafora (frazione) comunione (congedo)
2. Dopo la pace di Costantino nel313, entriamo in un nuovo periodo di sviluppo ed arricchimento stntttu1ali, ma anche di unificazione e standardizzazione. L'anicchimento era centrifugo, portando una più grande diversità tra le famiglie; l'unificazione era centripeta, pmtando ad una maggior standardizzazione all'interno delle famiglie. Scambi reciproci da famiglia a famiglia controbilanciavano entrambe queste forze. 3. In uno stadio successivo della storia liturgica, le famiglie liturgiche continuarono ad evolversi, ma da allora in poi come entità distinte già formate e quindi identificabili, con una loro vita propria relativamente indipendente. Ora, nonostante la grande diversità nella storia di parecchie famiglie liturgiche, si possono osservare modelli comuni di crescita. Se si confronta lo sviluppo liturgico nel secondo e nel terzo periodo al "primo strato" di Giustino del servizio eucaristico, si vede che l'evoluzione liturgica ha rispettato questo lineamento ptimitivo nel secondo periodo di sviluppo liturgico, e lo ha violato nel terzo. nsecondo petiodo, il periodo dell'unificazione dei liti, vide un
lllli
25 J>G 6, 428-429. Giustino non menziona la fr.tzione o il congedo, sil'ummente essi er.tno parte della "fom1a" originaria.
216
W. L ·cmu/Ld !
riempimento nello schema fondamentale comune deU'euar~ia nei tre "punti deboli" del rito: ( 1) prima delle letture, (2) tra la lintrgia della parola e la preghierJ eucaristica, e (3) alla cC.:liDUJli>. ne e al congedo che segue questa preghiera. Nella liturgia primitiva questi erano momenti di azione senza parole:(]) J'enrrata in chiesa; (2) il bacio di pace e il trasferimento dei doni; (3) la frazione, la comunione e i riti di congedo. Dal momento che il cerimoniale e il testo si affrettano a riempire il vuoto dei tre momenti d'azione della liturgia, ricoprendo così la forma primitiva con un "secondo strato" di inlroito, riti preanaforici e riti di comunione, viene provocato un movimento contrario. La liturgia, così riempita, appare sovraccarica e deve essere ridotta. Ciò che caratterizza questo passo ulteriore è l'abbandono del rispetto precedente per la forma primitiva. Infatti, si può generalmente verificare che gli elementi così ridotti o soppressi non sono mai le aggiunte successive, ma glielementi del nucleo originario: le letture dell'Antico Testamento, la salmodia responsoriale tra le letture, le preghiere dopo le letture, il bacio di pace, e così via. 26 Soltanto un'analisi delle fonti liturgiche di ogni epoca e di ogni area di influenza liturgica o centro di diffusione può fornire i dettagli storici di quando e da dove queste aggiunte successive siano state introdotte. Nel capitolo successivo tenterò di dimostrare come questa analisi strutturale delle unità può aiutare nell'interpretazione delle fonti storiche e nell'identifiCaZione e ricostmzione delle forme liturgiche originarie. Vedremo una ripetizione fondamentale della stessa struttura di base per tutti e tre i "momenti d'azione" tradizionali della liturgia~ un'azione rituale (introito, trasferimento o preparaziOne dei 00. ni, comunione), ricoperta da un canto antifonale e~ da una colletta. Ma questo è ciò che troviamo anche neJ rito ~
26
Cf Baumastark, comparatttJe Uturgy 235-'i.
217
mano, anneno. siro-orientale ecc., una volta tolte via dall'unità fondamentale le aggiunte successive. Penso che questo illustri non solo 1\ttilità di un approccio strutturale nell'isolare la forma e lo scopo originari nei nostri riti liturgici ormai piuttosto disordinati, ma mostti anche la sottostante comunanza di parecchie tradizioni liturgiche, che l'analisi stnmurale comparata rende possibile nello studio della liturgia, come nella linguistica. Da questa specie di analisi non ho tentato eli ricavare qualche implicazione più ampia. Ma in alcuni casi essa può portare ad una radicale reinterpretazione del significato e dello scopo antichi delle unità liturgiche, come si può vedere, credo, nel mio studio sui riti preanaforici bizantini. 27 È owia l'importanza di tale reinterpretazione per la comprensione liturgica e quindi per il rinnovamento liturgico. Ed in ogni caso è un processo che credo si debba esaminare attentamente come preludio all'enneneutica e persino all'esegesi: è impossibile interpretare, se non si conosce ciò che si sta interpretando.
7:7
218
1be Grr.1at EtllratJCe.
11. Come crescono le liturgie L'evoluzione della divina liturgia bizantina*
In questo capitolo cercherò di collocare l'evoluzione della liturgia eucaristica bizantina nel contesto più ampio della storia liturgica, usandola come un "modello" o "caso di studio" con cui illustrare alcuni dei principi metodologici generali enunciati nel capitolo precedente. Come abbiamo visto, dopo la pace di Costantino nel313, quando il culto cristiano divenne il cerimoniale pubblico di una Chiesa affrancata da restrizioni civili e divenuta rapidamente un'impo1tante forza sociale, lo sviluppo liturgico si fece più rapido. È in questo periodo che noi per la prima volta sentiamo parlare del rito bizantino. Certamente si può dire che tale rito caratterizza questo periodo della storia lin•rgica. Perché è il rito della nuova capitale di Costantino, la cui fondazione nel315 inaugura la nuova era della cristianità costantiniana o imperiale. Questo è il periodo dell'unificazione dei riti, quando la lirurgia, come il governo della Chiesa, non solo sviluppò nuove forme, ma anche pe1mise l'estinzione delle varianti più deboli della specie, dal momento che la Chiesa si sviluppò, attraverso la creazione di unità inte1medie, in una federazione di federazioni di Chiese locali, con un'unità sempre maggiore di pratica all'in• Riadattato da OCP 43 09n) 35;-378.
219
temn dì ogni ft'derazìone, ed una diversità sempre crescente da federazione a federazione. In altre parole, ci<'> che una volta era una l~tccolta imprecisa di indiviclue Chiese locali, ciascuna con i suoi prop1i usi liturgici, si sviluppò in una serie eli stmtture intermedie o federJzioni (più tardi chiamate patriarcati) raggruppate ~momo ad alcune sedi vescovili maggimi. Questo proces.)() stimolò un'tmitìcazione COITispondente e una standardizzazione della p~.ttica ecclesiale, liturgica e non. Quindi il processo di fonnazione dei riti non è un processo di diversificazione, come solitamente si crede, ma di unificazione. E quello che oggi si trova nei riti ancora esistenti non è una sintesi di tutto ciò d1e accadde p1ìma, piuttosto il risultato di un'evoluzione selettiva: la soprawivenza del più adatto-il più adatto, non necessariamente il migliore. Nel periodo medievale questi riti continuarono ad evolversi, ma ora come famiglie liturgiche distinte in maniera identificabile. Come scrisse Anton Baumstark: Sembra appartenere alla natura della liturgia mettersi in relazione a situazioni concrete di tempo e luogo. Avevano appena avuto origine vasti teiTitori liturgici che iniziarono a dividersi in territori più piccoli le cui molteplici fonne liturgiche furono adattate alle esigenze locali.' Ora, ciò che si vede accadere nel periodo di unificazione dei
riti è un riempirriento della struttura di base, comune, dell'eucarestia in ciò che ho chiamato i suoi "punti deboli", i tre punti di "azione senza parole" della struttura prinlitiva: (l) l'enn-ata in duesa, (2) il bacio di pace e il tt-asferimento dei doni, e (3) la ft-azione, comunione e riti di congedo. Cosa potrebbe essere più naturale che sviluppare il cerimoniale di queste azioni, coprendolo con canti, ed aggiungendovi preghiere opportune? Poiché uno dei più comuni fenomeni nello sviluppo lintrgico successivo è il fenno rifiuto di lasciare che un gesto parli da solo. l
220
Comparative Liltt'ID'(Westnùnster Md.: Newman 1958) lH-19.
l l. Come C:rt'XOmole /1/u'Rie
Spesso quest<~ processo assunse la forma di un'aggiunta permanente alla funzione dei riti e delle cerimonie che in origine avevano un esclusivo scopo locale nei riti festivi 0 stazionali di un patticolarc tempo e luogo. Quando intere parti furono aggiunte in maniera stabile al rito eucaristico, inevitabilmente perdettero il loro legame originale alla topografia religiosa del loro luogo d'origine--e quindi pure il loro scopo e significato originario--e assunsero una vita indipendente dal loro passato. Anche questo è un evento comune nella storia liturgica. È particolarmente evidente nei riti derivati dalle cinà dove la liturgia era stazionale: Roma, Gerusalemme e Costantinopoli, i tre centri più imp01tanti di diffusione liturgica nel periodo successivo a Calcedonia ( 451). 2 Ma, mentre la liturgia acquista così un "secondo strato" di riti di introito, preanafora, comunione e congedo, nasce per reazione un movimento contrario. La liturgia così riempita risulta sovraccarica, e dev'essere ridotta. Ma in questa potatura non sono mai le aggiunte successive, secondarie, spesso discutibili, ad essere ridotte e soppresse, ma gli elementi della "forma" primitiva.
1. La divina liturgia bizantina: tratti generali Per il nostro scopo, mi limiterò qui al periodo che va dalla fine del IV secolo all'inizio del XVI. Dalla fine del IV secolo, dato che gli scritti di Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli dal 397 al 404, sono le nostre prime testimonianze degli usi liturgici della nuova capitale di Costantino; fino all'inizio del XVI secolo, perché la prima edizione stamp~ ta della nostra liturgia apparve nell526, e fu la mac~hina tipografica, piuttosto che l'intervento del vescovo, del smodo 0 -'~
. • ap P"'"'<> Da quando questo e, stato s<.n~o.e ...... 1'..'" <.-cellente 7bestudio o di). itiS.
F. Haldovin, 7be Urban Cbaracter Q/ Gbrlsttan \~~~bip. .. PIO~). Dewlopmeut, atld Meanlng qfStatloual LIIUIT{V(OCA 228, Roma.
221
ddl
222
Il.
o l1rll! 'f\'J((tntlle lltu'*
tenni. L'introito minore o "Piccolo lngresso" della liturgia della Parola, dopo l'ape1tura del rito dell'enarxis, è una proce::ssiont con il vangelo, detto simbolizzare la venuta di Cristo a noi nella Parola. L'altro, maggiore o "Grande Ingresso" all'inizio della parte eucaristica della liturgia, subito dopo le preghiere di intercessione che seguono le letture, è una processione che porta all'altare i doni del pane e del vino preparati prima dell'inizio della liturgia. È detto prefigurare la venuta di Cristo a noi nel sacramento del suo corpo e del suo sangue. Entrambe queste prefigurazioni sono compiute in due apparizioni successive, la processione del diacono con il lezionario del vangelo all'ambone per la lettura, e la processione del celebrante per distribuire nella comunione i doni consacrati, dopo che essi sono stati benedetti nella preghiera eucaristica. La maggior parte del rituale aderisce a questo andare e venire. Ma la liturgia non è cerimoniale. È preghiera E dunque queste cerimonie sono l'espressione rituale di un testo. Nell'attuale rito bizantino, le fommle liturgiche comprendono due distinti livelli. Mentre il diacono sta in piedi fuori delle porte dell'iconostasi cantando le litanie e guidando il popolo in preghiera, all'interno del santuario procede un servizio parallelo. Attraverso le porte aperte dell'iconostasi, l'altare è visibile da lontano, splendidamente illuminato ed avvolto da nuvole d'incenso, imprimendo ai fedeli un senso di mistero e di sacralità. Davanti a questo altare, nel Santo dei Santi, il celebrante sta in piedi con le spalle alla gente guardando ad oriente, recitando in silenzio le preghiere sacerdotali. Quando il sacerdote ~e benedire o rivolgersi al popolo, esce. Denrro parla con Dto. Questo modello rituale è il risultato di secoli di lenra evoluzione, in cui molti riti, inizialmente aggiunti per un motivo~ ciso, persero successivamente il loro scopo originario e quindi si d~composero sotto la pressione di success~vi ~~ aggmnte, acquisendo nel processo nuove tnte~iche stagogìche spesso molto lonrane dalle loro vere radici~
223
2. L'enarxis Ci sono molti modi in cui si può avvicinare la storia di comc ciò sia accaduto. Il mio approccio è stnitturale e storico, cerco cioè di identificare ed isolare le stmtture liturgiche individuali o le unit:.ì, quindi tracciare la loro storia come tale piuttosto che tentare di studiare il rito intero come un'unità in ogni periodo storico. Per quanto ho detto nel capitolo 10, le liturgie non crescono regolannente come un sano organismo vivente. Piuttosto, le loro stnmure individuali possiedono una loro vita propria. Più come un cancro che come cellule naturali, possono presentarsi come aggressori, mostrando una crescita turbolenta quando tutte le altre sono inattive. Vediamo come ciò accadde nella tradizione bizantina. Prescinderò dall'elaborato rito della protesi o preparazione del pane e del vino, che precede la liturgia.• Con l'eccezione della preghiera della protesi o preghiera dell'offerta, essa iniziò ad evolversi solo nell'VIII secolo, in larga misura come risultato dell'influenza monastica. Più importante è l' enarxis che introduce la liturgia della Parola. Oggi la lettura dell'epistola è preceduta eia un ufficio di tre antifone, ciascuna con la propria litania e colletta. Il Piccolo Ingresso ha luogo durante il canto della terza antifona. Questo ingresso è accompagnato anche da una colletta, la preghierJ d'ingresso, detta fuori dalla porta centrale dell'iconostasi prima che la processione vada verso l'altare. Là seguono vari tropari o ritornelli, e quindi il canto del Trisagio con la sua preghiera accompagnatoria. Tutto ciò ci dà la stnlttura seguente: lkneùizione iniziale Litania e preghiera l 4 La sua stotia t! riesaminata in G. Descoeudres, Dle Pastopborlell im syrohyzantluiscben Oste/l. Elne Untersuchu11g zu an:blteklur- 1111d /il~rgte geschichtlichell Problemrm (SI.:hriften zur Geistesgeschidlle des ilsdtehen Europa, &1. 16,Wieshaden: Harms. ;owitz 19R3).
224
Antifona I Litania e preghiera Il Antifona II Litania e preghiera III Antifona III con tropari (ritornelli) aggiunti, processione d'entrata, preghiera d'entrata Preghiera e canto del Trisagio Processione alla cattedra Saluto: "Pace a tutti"
Durante il Trisagio, i celebranti procedevano verso la cattedra dietro l'altare per l'ascolto delle letture. Con questa processione verso la cattedra ci ritroviamo al punto dell'introito originario della liturgia, come è descritto nelle omelie di Crisostomo alla fine del IV secolo: il clero entra in chiesa con il popolo, e procede direttamente alla cattedra nell'abside. Là il vescovo saluta la gente con "Pace a tutti", quindi si siede per le letture; né antifone, né litanie, né preghiere, niente. Ma all'epoca del ncr stro più antico manoscritto di liturgia bizantina, il codice Barberini 336' dell'VIII secolo, abbiamo già la nostra enarxis quasi come è oggi. Da dove viene? Prima di tutto, possiamo vedere a colpo d'occhio che l'enar.xis è fatta di aggiunte secondarie più tarde della liturgia, poiché le sue fonnule sono tutte comuni alle liturgie di Crisostomo e Basilio, che sono indipendenti solo dalla preghiera per i catecumeni.6 Ora, ogni volta che vediamo elementi comuni nelle due liturgie, è ovvio che passavano da un formulario all'altro, o che erano intrO5
Per la letterJturd su quest:l e altre fonti della liturgia hizan~. v.;-
?iIndex R. Taft, 7be Gmat Entrcmce(OCA .2f!J, Ro~1~: Pl~ 1978 ·.~ of Manuscripto;"; e la nuova edizione m!ìca di S. Jlarentì e E. Ve 1 )
(t!dd.), L 'Eucologio Barberl11l gr. 336 (ff. 1-.263J(BEL<; 8J. Roma l995).
6 AlL'Uni antidù mss. italiani riempiono l' e1tarxiS del foon4) ~ C.risostomo con le preglùere di altre lituq,>ie greche. A. JaLW ha ~~?~ ~?IDe di questa peculiarità locale, d1e in passato ha çoodoUo gli st~ di liturgia a supporre che il fommlario di CrisoStomo fosse un rem~=B*' quello di Basilio nel!RJo complesso. Vedi A.jaL"Ob, J/lstOitffdur··· -·hhlìnde la Liturgie de s.]eatl Cbrysostome (dissertaziOne doUonale non...,...-
225
Ollrt•/llr'lt'frlt• t' l'ucxklvlllr•l R. F. 1ì!/1
doni in entrambi simultaneamente da qualche terza fonte dopo che avevano iniziato a condividere una storia comune come formulari liturgici diversi di una stessa chiesa locale alla cui forma lintrgica cntmmbi erano da allora resi conformi. a) La litania
Consideriamo le unità liturgiche di questa enar:xis. 7 Possiamo subito fare a meno della benedizione iniziale; non comincia ad apparire fino al X secolo.~ La litania iniziale è anche fuori luogo. Nella nostf'J fonna originaria, tali intercessioni si trovano solo dopo le letture, salvaguardando così la priorità dell'azione divina nell'ordine del servizio: solo dopo che Dio ci rivolge la sua Parola, noi rispondiamo nella salmodia e preghiera. In realtà la nostra litania una volta si trovava proprio prima del trasferimento dei doni. I suoi resti sono ancora visibili nella recensione vulgata dei libri slavi.9 Ma seguendo una tendenza osservabile in quasi tutte le ta, louvain 196H); "La tr.tdition manuscrite de la liturgie de s. Jean duysostome (VIII• - XII• sièdes)", Eucharisties d'Orlent et d'Occident (Lex onmdi 47,
Paris: Cerf 1970) II. 109-138; "L'evoluzione dei libri liturgici bizantini in Calabria e in Sicilia dali VIII al XVI secolo, con particolare ri!,'tlélrdo ai riti eu~ caristici", Calabria 1Jtzautt11a. Vita religiosa e stmtture ammirztstratfw(Atu_ del primo e del secondo in<.:Ontro di Studi Bizantini, Reggio Calabria: Ediziont Par.tllelo 38, 1974) 47-69; cfTaft, 7be Great Eutraucexxxi-xxxii.
7 Per una st01ia completa e attendibile della liturgia della Parola bizantina, vediJ. Mateos. la célébratt01z de la parole datzs le /iturf!,ie byza~ltille (OCA 191, Roma: PIO 1971). Lo studio di Mateos è completato in aku~• dettagli dal lavoro successivo di jacob sulla tr.tdizione manoscritta (vedi nota precedente). 8 La troviamo per la prima volta nel ux.lill! del X secolo Grotta}i!rrata Gb IV. tl 2'-3', tr: S. Paremi, L'eucolo~io rrumoscrltto r.B.IV(X. sc.:•c.J clelia Bthlioh!ca di Grottq/i!nuta. Etlizlone(Excerpta ex Dio;.o;e1tatione ad D<x.1oratun~, Roma, PIO 1994) §§ 4, 31: d'G.l.l'a.o;.-;arelli, L'eucologio Crypte1zse r.B. Vl!~sec. X) (Analeklll
Vlatadon 36, Titessaloniki 1982) 39-iO; id., "Osse1vazioru hn•r·
b>idte'', Bolk1tt,o clelia Badia GltJCa di Grottaferrata 33 (1979) 75-85.
9
Vedi A. Strittmatter, ~N(J{es on dle! Byzantine Syru1pte ·, Traditi~ ~~ '
(19;4) 51-100: "A l'ec.:uliarity oflhe Slavic Uturgy found in Greek EudtOk~
226
tradizioni liturgiche, queste intercessioni o furono soppr~ 0 spostate all'inizio della liturgia della Parola. Cosi, nelle fonr; della nostra liturgia del X e Xl secolo, troviamo questa lirarua nel suo luogo originario prima del trasferimento dei doni, e anche dopo il Piccolo Ingresso, proprio prima che l' enarxi! fosse aggiunta. Alla fme dell'XI secolo si trova anche davanti alle antifone, cioè al nuovo inizio. Nel XII secolo scompare dal suo luogo originario nella preghiera dei fedeli; nel XIII scompare davanti al Trisagio, restando solo dove la troviamo ancor oggi. • Così la nostra litania è realmente la litania dei fedeli originaria della messa bizantina. Le due litanie abbreviate che accompagnano le preghiere della seconda e terza antifona ~ babilmente sono proprio uno sviluppo dell'antico Oremusdelle due collette che ora esse accompagnano.
b) Le antifone Che dire di queste tre antifone e delle loro collette? Da dove derivavano, e quando furono aggiunte alla liturgia? Dquando è facile: in un periodo tra il 630 e il 730. Non si ha alcun accenno ad esse nella Mistagogia di Massimo il Confessore, scritta intor· no al630. 11 Come egli la descrive, la liturgia inizia con I'enll3tl in chiesa del popolo con il vescovo, seguita i.nunecUatamente dalle letture. Ora, almeno fino all'Xl secolo, il vescovo non era JXCSt!ilk in chiesa per l'enarxis, ma entrava solo al Piccolo lngreSS0- 11 Èovvio dunque che al tempo di Massimo non ci fosse l'enar.tit Ma late Classietll and Mediet411 StudU!S t" Ho11orojAlbet1 MaJb~Frilmdfr~ ed K. Weitzmann (Prim:eton, NJ.: Priru:eton University I>ress 19;)) 197-.1}3. Loc. clt. e MG 91, 688-689. 12 La trdttazione di Mateos deUa lintrghi ~ (Ci/ibiiii'PI 40-4_1) ha bisogno di essere t:orrena un ~ sulla~ delb riL'eOI 10
ll
s;
cesstv-J. VaUTuft Tbe G1t1al Etrlratlal lb7-7il); ~ci C.~· u~llcbe E111b'mlgs:selte der Kircbell tiOII KosttmlfncJ1111. .• ()(]» 4l ( J,.,.,.,
221
solo un se<:olo dopo, il nostro commentario liturgico bizantino successivo, la Hi...;;foria ecclesiastica del patriarca san Germano 1 {t ca. 730), menziona le antilone. 11 Quindi, esse appa1vero perla plima volta all'inizio dell'VIII secolo. Ma questo non significa che a quel tempo ci fossero elementi fissi. Le liturgie tendono acl essere snobistiche. Hanno bisogno di tempo per accettare i nuovi venuti come membri pennanenti. Almeno tìno al X secolo, le tre antifone non avevano ottenuto un posto stabile come parte tìssa eli ogni messa." La nostra fonte principale per la storia di come esse vi riuscirono è il Typikon del X secolo della Grande Chiesa edito da juan Mateos, S.j. del Pontificio Istituto Orientale di Roma.'; Questo documento ctuciale ha fornito la chiave di quasi l'intera storia della liturgia bizantina nell'era post-giustiniana. Un typikon non è usato nell'attuale celebrazione della liturgia, ma fornisce le indicazioni per un uso corretto dei libri esistenti, indicando il proprio della messa e dell'uftìcio, e dando, come i vecchi ordines romani, rubriche dettagliate per speciali celebrazioni che si trovano nel ciclo liturgico. e soprattutto "The Pontificai Liturgy of the Great Church according to a Twelfth-Century Diataxis in Codex Brlttsb Museum Add. 3406(]', parte n, OCP 46 (1980) 105ss. Ho rivisto in dettaglio l'intera questione in R. F. Taft, "Q!Ulestiom.>s dtsputatae: The Skeuophylakion of Hagia Sophia and the Entrances ofthe Liturgy Revisited", parte I, OC 81 (1997) 1-35; parte II, OC 82 (1998) 53-87. 13 N. Borgia (ed.), Il commetUarlo liturgico dt S. GennanoPatrla'?! Costanttrzopolttauo e la oersioue /atiua di Anastasio Bibliotecario (Smch hturgid l, Grottaferrata: Badia Greca 1912) 21; St. Ge1manus of Constantinople, 011 tbe DitJitle Ltturgy, testo greco e traduzione, introduzione e comme~ tario di Pau! Meyendorff (Crestwood, N.Y.: St. Vladimir's Seminary Press 1984) 72-73. 14 La storia delle antifone è ricostruita in dettaglio da Mate?s, Célébratton34-71; vedi anche Baldovin, Tbe Urbau CbaracterofChrlstiall Worsbtp 214ss. 15 ]. Mateos (ed.), Le Typicorz de la Grarule Égltse. Ms. SairUe-C~ No. 40. lturoductiorz, te:xte crllique et notes, 2 voU. (OCA 165-166, Roma: 1962-1963).
228
Il r;.~ 'retu""'
w11111~
ora, nel '(ypikon del X .'><:colo di Sanra Sofia vt"
. 16 Sul solea ed altri aspetti della disposizione lirurgica ~ liva costruzione della chiesa bizantina vedi T. MatheM, 7be Early Londoo: oj CostallNrzople: Arcbitecturr! atuÌ Liturgy (U~ver.iity l,..:~tk ~..tic 1be Jlenn. State University 1971) neU'indk"e alla voce -~~.:1 :S. G.~ l9 Chance! Barrier, Solea and Ambo of Ragia Sophia : 7be. Art il sole2 -. (1?~7) 1-24. Mateos (7ypicotJ n, 321) errone-.unente 1~ nuu~o con la piattafonna del santuario, che nella <.-onente turgtca bizantina è il solea. Cf Taft, 1be GnJtl/ EtJinlna! 79.
Oltrt• /l•t1t'll/t•t•/il('(/(/t•utl'/ R F. '/it/1
mostr~Ho es.o;erc un esano parallelo dell':mtico solea bizanlino.l' Per quel che ne so, questa sorprendente somiglianza tra le due liturgie ora così diverse nella stmttura e nello spirito non è mai stata notata dagli studiosi di liturgia. È più di una indicazione della comunanza eli molte cose nella liturgia antica, dimostrando ancora una volta la validità del metodo comparato nello sntdio della lintrgia formulato per la prima volta da Anton Baumstark (t 1948) più di mezzo secolo fa. 1x Ho già notato che le tre tradizioni-base-Roma, Costantinopoli, Gerusalemme---da cui provengono gli unici due riti universali della cristianità, il romano e il bizantino, erano tutte distinguibili per il loro carattere stazionale. Non è un'esagerazione dire che praticamente ogni aggiunta all'eucarestia bizantina da Giustiniano fmo al periodo post-iconoclasta aveva la sua origine nei riti stazionali di Costantinopoli. Le antifone saranno il nostro primo esempio. L'antico typikon ci dice che in alcune feste, lungo il percorso verso la chiesa stazionale, la processione stazionale si sarebbe fermata per una rogazione o nel foro o in qualche chiesa lungo il cammino processionale. In alcuni giorni questa funzionepreghiera includeva un ufficio di tre antifone. Dopo questa rogazione, la processione avrebbe proseguito verso la chiesa sta· zionale, accompagnata dall'usuale antifona processionale. Ma, evidentemente, l'ufficio delle tre antifone era molto popolare, perché diventò subito usanza celebrarlo in chiesa pri-
17 M. Andrieu, Les "Ordines romaui" dtt haur moyen-é).~e Il: /..eS tex· /es (Ordllles 1-XIJJ) (Spicilegium sacnun Lovaniense, éntè.les et documents, fase. 23, Louvain: Université Catholique 1960) 74ss; T. Mathews, '"An Early
Roman Chancd Ammgement and its Liturgica! Fum.tions'", RitJisl~ di a~· cbeo/ogia cristiana 3H 0962) 73-9;; G. G.WiUis, "Roman Stational Lintrb'Y' Fmtber Essay t11 Early Ronum LtiUJID'(Al<.:uin Club Collections ;o, London: Sl'CK 1968) 3-87: J. A. jungmann, Missarum sol/emilia l, p<~rte I.H. 18 V~di il suo Vom geschicbr/icbe" Werrltm der Liturgie (E~de::~~ or.ms 10, Freihurg/8.: Herder 1923) e ComparatltJe Lilt118.Y· Sulla bntrgu compar.tta vedi anche sopr.t, pp. 204ss.
230
l 1 Cmrw
'-'{'$(;""''/e 11111~
ma della liturgia nei giorni in cui non c'era la processione stazionate. Qui vediamo un esempio di unità liturgica che si stacca gradualmente dall'ufficio in cui ebbe origine e che diventa parte integrante di un'altro ufficio. Va notato ntttavia che queste tre antifone celebrate in chiesa prima delle liturgie non staziona li erano una combinazione delle tre antifone rogazionali con una quarta antifona, l'antifona processionale alla chiesa. Ad esempio, nel typikm per il Capodanno-cioè il primo settembre-c'er.mo due liturgie prescritte, una nella chiesa della Theotokos a Chalkoprateia, una in Santa Sofia.''' Quella in Chalkoprateia era stazionate, preceduta da un ufficio di tre antifone nel foro, seguita da una processione verso Chalkoprateia per la messa con l'accompagnamento di una quatta antifona. Ma la liturgia in Santa Sofia in memoria di santo Stefano Stilita inizia proprio lì con un ufficio di tre antifone. Ed alla terza antifona sono cantati due ritornelli, quello del santo e quello della quarta antifona processionale della liturgia stazionale di Chalkoprateia. Hanno semplicemente fuso assieme la terza antifona dell'ufficio devozionale con l'antifona d'introito, probabilmente perché tre antifone, e non quattro, era l'usuale unità liturgica nell'ufficio della Grande Chiesa. Così l'ufficio rogazionale di tre antifone e l'antifona d'introito sono due cose diverse, che spiegano perché oggi abbiamo quattro orazioni-tre preghiere antifonali più una preghiera d'introito-con solo tre antifone. Fino al X secolo le tre antifone non erano una parte obbligatoria di ogni linu-gia. Persino dopo questa data il patriarca non entrava in chiesa fmo alla terza antifona, 3 ' perché questo, cornea~ biamo visto sopra, è l'antico introito della liturgia. Ed anche~ gi nel tito bizantino le messe della vigilia, precedute dai \'eSPDt non hanno nessun antifona, ma iniziano con il Trisagio. Si dice d1e 19 Mateos, T)picotJI, 2-11; Célébratiorl37ss. , 20 Vedi Taft, "TI1e Pontificai Utt.rr~:yofthe Gte'tarun:b· L t05-to6; 'Quaestfon.es disputatae"U, par. 8.1-V.
231
clltn·li•rlt'rlll'l'liK.t"ttic•nll'l R. F 1i!/1
in tali messe i vespri timpiazzino la liturgia della Parola. Non titnpiaZ?..ano niente, ma sono uniti alla messa al suo vecchio inizio il Trisagio, dimostrando così la leg,_qe di Baumstark secondo cui gli usi più ~mtichi si mantengono nei tempi e nei riti più solenni.11 Og,_qi le tre antifone sono state ridotte a pochi frammenti della loro fanna originale, e i tropati dopo la terza antifona sono stati così moltiplicati da raggiungere un'esistenza indipendente staccata dalla salmodia che originariamente erano destinati a setvire come ritornelli. Questo esemplifica un altro sviluppo comune nella storia liturgica: il processo per mezzo del quale composizioni ecclesiastiche moltiplicano e alla fme soffocano l'elemento scritturistico di un canto liturgico, forzando, a sua volta, la scomposizione dell'originale unità liturgica, così che ciò con cui siamo lasciati sono semplicemente i frammenti, pezzetti e resti di questo e quello, un verso qui, un ritornello là, che non rivelano una f01ma riconoscibile o un'unità finché non sono accuratamente ricostituiti nelle loro stmtture originarie mettendo insieme i frammenti restanti, quindi riempiendo gli spazi vuoti, facendo una specie di puzzle con solo una decina dei suoi pezzi rimasti. 22 Questo è il motivo per cui lo studio delle unità liturgiche e la loro mutua articolazione all'interno di stmtture rituali più ampie è così cmciale nella ricostmzione delle fanne liturgiche originarie.
c) Il Trisagio Vediamo un altro esempio di ciò nel prossimo pezzo, il Trisagio. Oggi è cantato come segue: Santo Dio, santo, forte, santo, immortale, abbi pietà di noi (3 volte). Gloria al Padre ... ora e sempre nei secoli dei secoli, amen. 21 "Das Gesetz der Erhaltung des Alten in liturgisch hoclmte1tiger Zeit", ]abrbuch jùr Liturgtewfsscmscbaft 7 (1927) 1-23; Comparative Ltturgy 26ss. 22
232
Vedi Taft, 1be Great Entrcmce 112o;s.
Santo, immonal~:, ahh1 pietà di noi. Santo Dio, santo, forte, santo, immo~t~lc. abhi pk.-ta di not.
Da quanto abbiamo detto sopra al cap. 1O, par. 2, sulla stmttura della sal modia antifona le bizantina, sembra che qui abbiamo l'incipite il finale del salmo antifonale, cioè la tripla ripetizione d'apertura di tutto il ritornello, poi la dossologia conclusiva, l'dKpoT€À.€VTLOII e la ripetizione finale del ritornello (perisse), con i versetti soppressi del salmo che si frapponeva.zJ Ora, per la prima volta abbiamo notizie del Trisagio nel V secolo, quando era evidentemente usato come un'antifona processionale durante le liturgie staziona li a Costantinopoli. u Presto nel VI secolo lo vediamo all'inizio della messa. Questo canto è dunque ciò che resta dell'originaria, invariabile antifona d'introito della nostra messa, a cui in data posteriore furono aggiunte prima una, quindi tre antifone variabili. Così, all'inizio del V secolo la nostra liturgia si apriva con l'entrata in chiesa del clero e del popolo senza cerimonia o, a quanto pare, canto d'accompagnamento. Dal VI secolo questo introito è stato ritualizzato dall'aggiunta di un elemento dalle processioni stazionati, un salmo antifonale con il Trisagio come suo ritornello fisso. Circa un secolo più tardi, senza dubbio come risultato di sviluppi ulteriori nei riti stazionati, tutto tranne il ritornello di questa antifona è stato soppresso in favore di una più recente antifona stazionate che forniva più varietà per questo rito rapidamente in espansione. Perché l'originario ritornello fiSSo non fu proprio soppresso, o conservato come una variante oçcasionale? ProbabUmente a causa della sua immensa popolarità, com'è testimoniato dal2~ L' akroteleutioll è la clausola finale del rito~llo: ~ e r f . = ~opo 1 versetti del salmo; la pc.'1'issé("appendice") è la ~peUZl~. Marea", nt?'?ello dopo la dossologia che segnala la fine del salmo. edi · Celebratiotl 16ss. 24
lbid. 99-100, 112ss.
233
le~ ~ullc ~ue ol\~lnl nella divina rivelnione, perché er.t di\'l"Ol3l0 un elemento liturgico comunt' in ttl!to l'oriente , e a ('3US3
del ruolo che ~i<X"aVa nella controver:-;ia monofisita.
dJ L<*tenia l ~n ulteriore elemento che entrò nella liturgia dagli uffici stazionati è l'ektenia o lit~mia che segue immediatamente il van-
gelo. Talvoha in versioni moderne è definita come preghiera "ecumenica" o "universale" per tutte le necessità-cioè l' oratio fidelium della messa bizantina. Non è così, come sembrerebbe ovvio dalla sua posizione prima del congedo dei catecumeni. La preghiera comune con la loro partecipazione era esclusa, motivo per cui erano congedati prima, e non perché non potevano ricevere la comunione, come si pensa spesso. Essi erano congedati anche a liturgie non eucaristiche, dove non c'era rischio che andassero a licevere la comunione. Nel nostro typikon del X secolo questa ektenia o litania penitenziale era cantata dopo il vangelo nelle liturgie rogazionali stazionali, e le rubriche prescrivono la stessa pratica dopo il vangelo della liturgia della Parola in certi giorni dell'anno. 2 ~ Questo può forse essere preso come il residuo di un primitivo stadio di evoluzione, quando tale litania stava gradualmente prendendo piede nella messa, dove appare già nel codice Barberini 336 dell'VIII secolo.
l Tratti regressivi Intanto continua l'evoluzione regressiva con cui gli elementi originari furono soppressi a favore di aggiunte più tarde. Dall'VIII secolo la lettura dell'Antico Testamento, le preghie· I('
25
Mat~.
26
Mateos, Célébratlotl 131.
234
7}'ptco" 11, 293.
1/ () "fW L IN.IIflt1 lr fllu,.W
re per i penitenri·· e gli elt-menti della salmodia sono Mati ~ pressi, !>l e la preghiera di henedizi(Jnc che concludeva la liturgia della Parola al tempo di CrL-;o~1omo è stata spostata.~'~ DaU'XJ secolo la litania dei fedeli è stata spostata più avanri. La scomparsa dalla liturgia della Parola della sua benedizione
fmale illustra un altro comune sviluppo lirurgico in questo periodo: il graduale offuscarsi della chiara divisione (fa liturgia della Parola ed eucarestia. Le attuali preghiere dei fedeli della lirurgia di Basilio sono un altro esempio di ciò. Esse sono davvero preghiere di preparazione per l'eucarestia, e certamente non provengono dalla lirurgia della Parola. Nello stesso processo, il bacio di pace, un tempo conclusione della liturgia della Parola,.. divenne isolato dalle preghiere conclusive della sinassi e spostato plima dell'anafora per l'aggiunta di elementi rituali successivi tra la pax e la fme della liturgia della Parola.
4. La preanafora Questi elementi successivi sono i riti preanaforici che oggi precedono la preghiera eucaristica.3' Essi comprendono:
27 Questa preghiera è menzionata da Giova~ni C~~ a Costantinopoli (398-404) ma non si ha tr.u;cia di essa ne1 ~ litur: gi<;i bizantini, il primo dei quali risale ali VIII secolo. SUlla teslimomanza di Cnsostomo, velli F. van de Paverd, Zur Gescblcbte der Mess/UUrgle In A7lltOCbeia U.tld KollSitmltllopel gegt!ll E7ule des t!/em!rl]abrbullderts(OCA Ul7, Roma: PIO 1970) 4;3,-;s, 467. 28 Per esempio nel Trisagio e prokéimellO~I (Mareos •. ~ 106ss, 133-134) così l.·ome nel koillollikoll, dte sar.l trAttato pau avaoiL
. .29 . Crisostomo sembrA indiçare la presenza di questi ~ve":!t la ltturgm costantinopolitana alla fine dd IV SC:~? C~ de · Mess/Uurgie 464, 467) ma non si troVa nei manoscnmlitwgict. 30
Vedi Taft, Tbe Grear Erurrmce50-51, 3~378.
31
Sulla storia di questi rili vedi lbld.
~'k'flll' ,. l rll'
lt/,.,,,. l N l'
li 1/1
Inno dci chemhini Prqothicra ddl'lnno dci che111hini l"Nt·ssuno i: degno ... •) hKt'nsazione Trastt.·rimento e deposizione dei doni
Dialogo Omte.fratms Lit;mia e preghiera della proskomide Bacio di pace Credo niceno
Il tentativo perseverante di interpretare i riti preanaforici orientali in termini occidentali di "offertorio" ha viziato completamente la comprensione di ciò che stiamo trattando qui. Il nucleo primitivo comune alla preanafora orientale e occidentale era il semplice, non ritualizzato trasferimento dei doni all'altare fatto dal diacono. In alcune liturgie occidentali questo si trasfonnò successivamente nei riti di offerta. Tentativi di leggere allo stesso modo la testimonianza orientale sono stati sterili. La mia analisi delle fommle della preanafora nelle tradizioni orientali mi ha obbligato a concludere che il paradigma dell'"offertorio" non è il modello da utilizzare nell'interpretare questi riti. Idee di offerta trovano espressione soprattutto nelle preghiere successive, ma non sono il tema dominante. E nella liturgia di san Giovanni Crisostomo non trovano alcuno spazio nello strato più antico del tito. Nelle prime fonti di questa liturgia, troviamo solo tre elementi: 1) il trasferimento, la deposizione e la copertura dei doni ad opera del diacono 2) un'orazione detta dal sacerdote 3) l'Inno dei cherubini cantato dal popolo durante tutta l'azione liturgica. È probabile che la deposizione dei doni includesse un'incensazione dell'altare e che la preghiera fosse preceduta da un lavabo e da un breve dialogo, simile al romano Orate Jratres, tra il vescovo presidente e i presbiteri suoi concelebranti. Da questa semplicità originale emergono la natura e lo sco-
236
Il
f,tlfrll! Uf!V.I-,Jr
/1111~
po dei riti preanaforici l>ii'.antini. Essi formano una duplice preparazione all'anafora: l) la preparazione materiale dell'altare c dei doni 2) la preparazione spirituale dei ministri con la preghiera e del popolo con il canto che suscita le dLsposizioni appropriate per l'imminente offerta eucaristica.
a) La processione del Grande Ingresso Nella tradizione bizantina la preparazione materiale dei ckr ni è diventata estremamente ritualizzata nella processione del Grande Ingresso, a cui oggi prendono parte anche i presbiteri. Ma ciò non deve nascondere le sue umili origini che consistevano nel trasferimento dei doni ad opera dei diaconi, originariamente un atto materiale di nessuna importanza rituale. Precedentemente il Grande Ingresso era un vero ingresso in chiesa dall'esterno, poiché i diaconi dovevano andare a prendere i doni dalla sacrestia o skeuophylakion, che a Costantinopoli non era una stanza ausiliaria dentro la chiesa, ma un edificio separato come il battistero e il campanile di molte chiese italiane.JZ Dunque la liturgia bizantina dell'eucarestia, coma la lituigia della Parola, tma volta iniziava con un introito in chiesa. In entrambi i casi l'enttata degenerò in seguito in una processione non funzionale all'interno della chiesa, che fmiva dove iniziava, nel santuario. Qui abbiamo un perfetto esempio di riti che perdurano, supportati da significati simbolici acquisiti successivamente, molto tempo dopo essersi separati dal loro scopo pratico originale.jj t-=o..., 178; Tali. • 32 Mathews, Early Churcbes 13-18,84-85,87. 89· ~ Quaesttorzes dtsputataè' I; II, par. B. VI. 33 Sullo sviluppo del simbolismo Iiturgic..-o ~~ ~ "The Liturgy of the Great Church: An Ini.tia1 Synthesis ~75 lnterpretation on the Eve of Iconoclasm·, DOP 34-35 (199)-l98l) ·
237
!'IIJtt• /ul'lt.'ll/c' c' f ( Kùtfc•llll' , R. 1'. 1i!/1
IJ)
Ptt>parazioue dei ministri
1\·ft>ntrc i diaconi portavano i doni, il ministro che presiedeva si lavava le mani, sollecitava la preghiera degli altri ministri quindi con loro diceva la seguente preghiera della prosko~ mide: O Signore onnipotente, che solo sei santo, che solo accetti il ~•critìcio di lode da quelli che ti invocano con tutto il cuore, accetta and1e la preghiera di noi peccatori e p01taci al tuo santo altare; reodici degni di presentarti questi doni e sacrifici spirituali per i nostri peccati e per i peccati di ignoranza del popolo, e rendici degni di trovare grazia presso di te, così che il nostro sacrificio possa esserti accetto e il buono Spirito della tua grazia possa riposare su di noi, su questi doni qui preparati e su tutto il tuo popolo.
La preghiera chiede tre cose: l) che i ministri siano condotti all'altare, 2) che sia loro concesso di offrire lì l'eucarestia, 3) che siano resi degni affinché questa offerta sia accetta, e venga lo Spirito.
Non è una preghiera di offerta, ma una preghiera di preparazione per la vera offerta, l'anafora. È una preghiera di accessus ad altare in cui i ministri pregano Dio di renderli degni del ministero che stanno per compiere. Esiste solo in funzione di ciò che segue, secondo un modello visto anche nelle due preghiere dei fedeli. Nella prima, i ministri pregano per la grazia di intercedere per il loro popolo, cioè per la grazia di proclamare la colletta di intercessione che segue immediatamente. Ma da quando la nostra orazione preanaforica è detta "preghiera dell'offerta" (Euxfl Tijs' TTpomroJ.Lt8fjs') è chiaramente quasi sempre mal interpretata e mal tradotta. In effetti, questa non è la denominazione della preghiera, ma dell'intero rito eucaristico, di cui questa preghiera era solo la prima formula, un fatto che fu più tardi messo in ombra per l'aggiunta di alu'i nu-
238
merosi elementi alla preanafora prima di questa denominazione:1'
c) Il canto d 'entrata Mentre tutto questo va avanti, il popolo canta il Cherubicon/' un ritornello che fu aggiunto alla liturgia sono Giustino II ne1573-574. Oggi questo tropario si trova da solo, ma da ciò che sappiamo della storia del canto liturgico, non doveva essere così nella sua forma originaria. Nei primi secoli un canto lin1rgico a sé stante, cioè una composizione non scrinuristica cantata indipendentemente, era una rarità, almeno dopo il II secolo, quando la reazione agli psalmoi idiotikoi eretici gnosticicomposizioni private, cioè non scrinuristiche-apparentemente tendeva a limitare il canto liturgico a qualche forma di salmodia biblica. Ad ogni modo, prima del VI secolo non esiste testimonianza che i canti ecclesiastici abbiano avuto un'esistenza indipendente nella liturgia eucaristica tranne che nell'anafora, sebbene l'ufficio divino conoscesse inni come il Ph& bilaron.Y> Nell'eucarestia tali composizioni servivano solo come ritornello da ripetere dopo i versetti di un salmo. E infatti le testimonianze storiche sembrano indicare che il Cherubicon fosse aggiunto o sostituisse, al momento del trasferimento dei doni, un precedente salmo antifonale, il Sa/23 (24),7-10 con l'alleluia come ritornello. In questo modo, la liturgia bizantina aveva un'antifona d'in34 35
Vt:d. Taft, The Great Entrauce 352-355. l't:r uno studio <.:ompleto di questo inno vedi tbtd. Cip. 2·
. 36 Cf A. Baumstark, "Psalmenvortr.tg und Ki~chendich7~~ Onents", Gottesmimze. Mouatsschrljì jur w/fgi6se Diebtlnmst ·m 1912-1913) 305, 428, 540-558, 887-902; H. Leeb, Dte Gesdng~ Ge~'!_ltldf!Rotlesdietzst votz jerusalem ( vom 5. bts B.]abrburuter;:::!n ve~ltr'dge zurThelogie 28, Wien: Hen.ler 1970) 41, 104. Sul Pb6s <.U R Taft, La Liturgia delle Orr!, a~ p. 3. e sopr.t PP· 188.'15.
239
non solo al suo ptimo ingresso, così come l' anlijJhona ad intmìlwn JUmana; ne aveva una anche al secondo ingresso, come l'antipbona ad ojfe1tori11m romana. La successiva degenerazione della salmodia ha fatto dimenticare la sua forma originaria, ma il parallelo è esatto in entrambi i casi. L'og_~eno del canto, tuttavia, spesso è stato analizzato in manie•a troppo meticolosa, cbl momento che l'interpretazione errata di una parola ha limitato Usuo significato all'entrata dei doni. ncanto dice come segue:
troìlO
Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini e alla Trinità vivifiCante cantiamo l'inno Trisagio, deponiamo ogni mondana preoccupazione per ricevere il Re di tutto scortato da schiere di angeli invisibili. Alleluia.
La frase ·per ricevere URe di tutto• si fa di solito significare
-dare il benvenuto a Cristo che entra ora in processione sono i simboli del pane e del vino.• Ma inroMxoJl.aL significa ricevere in comunione, come si può vedere non solo dalla terminologia liturgica bizantina, ma anche dalla Protheoria (1085-95), il primo commentario bizantino a interpretare la fraseY ncanto dunque non si riferisce solo alla processione, ma è un'introduzione all'intera azione eucaristica dall'anafora alla comunione. Insegna ai fedeli che coloro che stanno per cantare l'inno tre volte santo dei cherubini (il Sanctusdell'anafora) devono abbandonare tutte le preoccupazioni mondane (Sursum corda) per prepararsi a ricevere Cristo (nella comunione). Uno studio di numerosi altri inni orientali per il trasferimento dei doni ha confennato questa conclusione: essi non sono canti d'offertolio, né antifone puramente processionali, piuttosto
:u
'?7. Il passo della Protbeorta si trova in PG 140, 441. L'intero problediscusso da T~ !7'~ ~at E!ltrmzce62-68. Sulla data della P;Otbeorta J. Darrouzès Ntcolas d Andtda et les azymes" RL>tJue des etudes byzamt1les 32 (1974) 199-203. · '
240
11
o lffJf! ''fltel "", le llhnfllt
introduzioni all'intero seiVizio eucaristico, che servono 3 MJscitare nei fedeli i sentimenti appropriati per l'azione che~ per iniziare. Capito questo, il canto del Grande Ingresso assume un ruolo liturgico più ampio ed equilibrato, moderando l'esagerata importanza simbolica assegnata alla processione stessa del Grande Ingresso nel periodo medievale successivo. All'enrrata noi accogliamo i doni, simbolo di Cristo, ma solo in vista della loro consacrazione e ricevimento nella comunione.
d) Credo epace 311 Non intendo tracciare le origini di altre numerose fonnule minori che sono state aggiunte alla preanafora a partire daJ medioevo, ma due elementi più antichi devono essere ricordati. Il primo, il credo, sta piuttosto al di fuori dello scopo di questi riti. Fu aggiunto nel VI secolo durante la crisi monofJSita, e portò con sé alcune formule minori che hanno offuscato il secondo rito, il bacio di pace. Questo saluto fraterno, un elemento originario della fonna primitiva, sin dal XI secolo era scambiato solo dal clero. Come abbiamo già accennato precedentemente, il suo scopo originario era concludere la liturgia della Parola.
5. Riti di comunione YJ Il terzo "punto debole" del rito eucaristico include i riti e le preghiere che seguono la consacrazione dei doni: Litania e preghiera Padre nostro Preghiera di inclinazione Preghiera di elevazione 38
Vedi Taft 71Je Great Entremce cap. 11.
stUdio: R. F. Taft. • 39 Su questo' argomento s1· veda il ffi1·o recel.lle . RinJal: PrinCìples. Reconstrutting the History of the Byzantine CommWUOil Methods, ResuJts", Ecclesla orrms 11 (1994) 355-377-
241
Elevuziont.>: ·l doni s.1nti ai Santi• ·Unire il Samo· KOt J.'CIWlK6v (com mu uio) Azioni manuali (fraziont>, co..:.) Comunione Benedizione con i doni: ·Salva, o Dio, il tuo popolo e benedici la ll!a eredità· Canto: ·Abbiamo visto la vera lU<.:e ... • Doni riportati all'altare, incensati ·In ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli· Canto: ·Amen. Che la nostra bocca sia ripiena ... • Doni riportati all'altare della preparazione Litania e preghiera di ringraziamento ~mto:
Può sembrare strano saltare quella che chiaramente è la preglùera più importante di tutto il rito, la preghiera eucaristica stessa, ma l'anafora ha subito poca evoluzione rituale, e le modifiche testuali che mostra richiederebbero un'analisi accurata del testo greco qui difficilmente realizzabile. Quindi passerò direttamente ai riti di comunione, dopo aver menzionato che l'anafora di Crisostomo mostra chiari segni di rifacimento in molte parti. Il semplice fano che non ci sia il comando di reiterazione (·Fate questo in memoria di me•) e che la commemorazione dei morti preceda quella dei vivi, 10 è singolare se non addirittura problematico.
a) La litania e la preghiera prima della comunione Dopo la dossologia che conclude l'anafora, c'è una lunga li. . 40 Vedi G. Winkler, "Die Interzessionen der ChrysostomusanaJ?h~>rJ m 1hrer geschichtlichen Entwicklung", OCP (1970) 302-303, e .. ~m1ge R
242
Il
co,e {;fDC/Jrtt>wllhtllfJr
rania che comprende due distinti gruppi di intercessioni. t;na litania simile si trova con la preghiem della prosi«Jmidé, proprio prima dell'anafora. ' 1 Una comparazione testuale di quesu Jirania con le litanie parallele nella liturgia di Giacomo e nella liturgia armena mostra, credo, che la seconda serie di invocazioni, le cosiddette al nJat"LS' (''domande") nella terminologia bizantina, è un'aggiunta successiva presa dall'ufficio divino. 12 Non ho ancora decL'iO quale delle due preghiere che ora vengono prima e dopo il Padre nostro sia la più antica, ma è più probabile che solo una di esse sia originaria a questo punto deUa liturgia. Lo stesso Padre nostro non si trova nella liturgia eucaristica neppure in documenti così tardi del IV secolo come Costituzioni apostoliche VIII, 13 o l'Omelia 16, 21-22di Teodoro di Mopsuestia. u Sembra che la nostra prima testimonianza di essa prima della comunione in una liturgia eucaristica si abbia con Cirillo (Giovanni II) di Gerusalemme (dopo il300), Calechesi mistagogiche 5,11-18." Un po' dopo, Agostino dichiara che .quasi tutta la Chiesa ora conclude- la preghiera eucaristica con il Padre nostro.·~ Crisostomo lo testimonia all'eucarestia a Costantinopoli alla svolta del secolo (3~. 16 ma non vi sarebbe stato da lungo tempo. Precedentemente alla sua introdu41 Vedi R F. Taft, "Tite lirany foUowing the Anaphora in the ~ Liturgy", in W. Nyssen (ed), Stmtmdrcm. Der WocbkJ(#er. Gedetlkscbri}iftir K/aus Gamber ( 1919-1989) (Koln: Luthe-Verlagl~) 23}-256. . 42 Per l'argomentazione, vedi Taft, 7be G~ Et.l/rfJIICf!CJp. 9. ~·ar ~<.:ol? di van de Paverd "Anaphor.tllnten:essions, E~ea.". and ~ ntes (sopr.tttuno 332ss) fornis<.-e anche nuove pn:zu~ in!"~~~ fOmlél Originaria della litania dopo ranafor.t nella htuq;Jll di \..UIWIIUUVJA43 se 3.36 206-210· R. Tonneau e R. nevreesse, Les ~ ctlléchétiques de ~Ott! de Mo~te(Studi e testi 145, Vaticmo: Bil'lliahecl Apostolica Vatkana 1949) 56}-565. 44 se 126bis, 160-168; sulla data e l'autore, 177-187. 45 Ep. 149, 16, eSEL 44, .362. 46 De capto Eutropio 5, PG 52, 396; cf v-.m de PaYeiÙ. .~ 526-527.
243
(>lfll! l'oriellft' C' /i~ecldt'flfl! l
R. F. Tajl
zione nei 1iti di preparazione p1ima della comunione, l'eucarestia bizantina poteva aver seguito la stmttura vista in Costituzioni apostoliche VIII, 13,3-14: anafora, litania, preghiera, ·l doni santi ai Santi· .'7 Mateos pensa che la preghiera di inclinazione dopo il Padre nostro nel formulario di Crisostomo dell'odierna divina liturgia bizantina fosse originariamente la preghiera fmale dei fedeli che, come abbiamo visto sopra, era anche una conclusiva preghiera di inclinazione. 18 Contro questo va la liturgia comparata: qualche preghiera di inclinazione è testimoniata da Crisostomo per l'eucarestia costantinopolitana,~ c'è una formula parallela nella messa descritta da Teodoro di Mopsuestia;o e il testo dell'attuale preghiera bizantina non è diverso dalla preghiera precedente ·l doni santi ai Santi• in Costituzioni apostoliche VIII, 13, 10.51 Così, tutto ciò che possiamo dire con certezza è che il Padre nostro è un'aggiunta successiva e che, prima della sua introduzione, la litania proprio prima della comunione poteva essere seguita da una sola preghiera. Quanto alla preghiera di elevazione che ora segue la preghiera di inclinazione, è comune sia alla liturgia di Crisostomo che a quella di Basilio, e sappiamo che si tratta di un'aggiunta successiva.s2 47 SC 336,206-210. Su "l doni santi..." vedi R. F. Taft, "'HolyThings for the Saint..o;'. The Andent Cali to Communion and its Response", in: G. Austen (ed.), Foutltain ofLife. 1t1 Memory ofNiels K. Rasmusse11, O.P. (NP~ Studies in Church Music and Uturgy, Washington DC: The Pastoral Pres~ 1991) 87-102.
48 Célébratton 6o, 169ss, 180-181. Su questa preghier.t vedi R. F.: "The Inclination Praye~ hefore Communion in the Byzantine Utuq,'Y of St. J..(fJ Chrysostom: A Study m Compar.ttive Uturb'Y", Ecclesia orrm.s 3 0986) 29 · 49 V an de Paverd, Mess/iturgfe 527-528. 50 Hom 16, 22, ed. Tonneau-Devreesse 565. 51 se 336, 206-208. 52 Vedi A. Jacoh, Historle du.fòrmulaire groc60-61 e parte I passi"!J R. P. Taft, "TI1e Precommunion Elevation of the Byzantine Divine unul.'Y OCP 62 (1996) 15-52.
244
11 · C(Jme creJCtmo le lltrlfJlfe
b) L'antifona di comunione H Più problematici sono i tre canti che ora accompagnano la comunione. Attualmente essi sono una confusione strutturale completa, che nan1ralmente tradisce la loro giovinezza: 1a liturgia primitiva, se non altro, era ordinata. Vediamo se possiamo ricostruire la loro forma originaria. Oggi i riti di comunione sono così. Dopo il Padre nostro, la preghiera di inclinazione e la preghiera di elevazione, noi vediamo: l. Diacono: .Stiamo attenti!· 2. Sacerdote: ·l doni santi ai Santi.• 3. Popolo: ·Unico il Santo, unico il Signore, Gesù Cristo, per la gloria di Dio Padre. Amen.• 4. Popolo: koinonikon (communio),versetto di salmo variabile con triplo alleluia. 5. Azioni manuali (frazione, ecc.). 6. Comunione, con formule accompagnatorie. 7. Sacerdote: (benedicendo la gente con il calice): .Salva, o Dio, il tuo popolo e benedici la tua eredità.· 8. Popolo: ·Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede, adorando la Trinità indivisibile, poiché essa d salvò.• (Durante questo canto i doni sono riportati all'altare, preparati per il trasferimento e incensati con formule accompagnatorie.) 9. Sacerdote: (in silenzio) ·Benedetto il nostro Dio (ad alta voce) In ogni tempo, ora e sempre, e nei ~coli dei secoli.· 10. Popolo: ·Amen. Che la nostra bocca sia ripiena della tua lode, o Signore, perché tu ci hai fatti degni di partecipare ai tuoi misteri santi, immacolati e inunortali conservaci nella tua santità, così che possiamo cantare la tua glori;, meditando ogni giorno la ma giustizia, ~~~ leluia, alleluia, alleluia.· (Durante questo canto i doni sono trasfentt alla protesi o luogo di preparazione.) . 11. Litania e preghiera di ringraziamento dopo la comuruone.
. 53
Oltre al mio articolo citato sopra alla nota ~2, ve~ R. F. Taft. ~
On~:ins and Development of the Byzantine eommuruon Psabnody", ~7 Studi sull'Oriente crlslta110 1/1-2 (1997) 108-134, parte ll, 2/1 (J<)C)i) S5-
.
245
llrl'an;tlisi ini7.iale dd ll'L' canti in qucs! i< lllt'
Taft, 7be Great Etllrauce 84.
55
lbid. 83-108; Mateos, Célébruttou34-44, 106-114.
246
Il
ClltTW '1ftU _, "
'"' 'fflll
re allo.skeuojJbylalmmJ pn:zio-;i ripidl3, patl"ffe c caiK.J, e abn 'la-
ai vas~; e do!)(} b tiJ~tnhuzJonc della wmunionc <Ja 1 tavoli latt:'l'ali, ogm wsa c n portata al santo aha re; c alla fine, dopo il OntfJ del verso finale ~Ici. koiii(ÌIIikrJII; sia cant:.llo questo tropario: .che la oo-
stra bocca s1a np1ena della tua kx.lc, Signore ... ·"'·
Da ciò è chiaro che: l) il koinonikon non era solo il versetto di un salmo con l'alleluia come ritornello, ma un salmo intero; 2) il ritornello ·Che la nostra bocca sia ripiena della tua lode ... • era aggiunto come una variante perisse o ritornello conclusivo da cantare dopo la dossologia del salmo; 3) la frase .. Jn ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli• che il sacerdote canta ora per introdurre questo ritornello è semplicemente il resto della stessa dossologia. E infatti uno studio della tradizione manoscritta rivela che il materiale introdotto che noi oggi troviamo tra il versetto di comunione (4) e le rimanenze della dossologia (9) è un'aggiunta successiva, non rintracciabile in nessuna fonte precedente il XII secolo. La proposizione ·Benedetto è il nostro DiOo fu aggiunta alfinale della dossologia (·In ogni tempo, ora e sempre...•) per dargli qualche senso (9). Dunque ciò che abbiamo è il frammen[o di quello che una volta era una completa unità di salmodia Ciò che resta è il suo inizio e la sua fme, con tanti pezzetti. vaganti successivi aggiunti dopo che l'unità originaria si era staccata in un processo degenerativo già osservato nel caso della salmodia antifonale Oiiginaria al Piccolo e Grande Ingresso. Ogni volta che nella liturgia saltano fuori queste schegge di versetto o di canto, esse sono o i frammenti di un'unità liturgica degenerata, 0 elementi staccati aggiunti nel periodo successivo, quando la gente aveva dimenticato che cosa fosse la salmodia. 5~ L. Dindorf (cd.), Cbronicoll pascbu/1!. 2 voll (Corpus scripKWID hL~tonae Byzantinae, Bonn 1832) I, 714 = J>G 92. 1001.
247
Mil qut'/\lll unii:'\ salmodica era originariamente antifonale come risulterebbe dalla presenza della dos.sologia e della /Jeli.~ dw conclude il tropario? L'uso di ritornelli non scritturistici al l!e.>itzollil~n nel Typikon del X secolo della Grande Chiesa e nell'uso successivo-ad esempio ·Ricevi il corpo eli Cristo. e ·Alla tua cena mistica-sembrerebbe confermare questa visione.~1 Infatti, nell'uso bizantino la dossologia conclusiva etali ritornelli non biblici sono caratteristici della salmodia antifonale.'<~ Nella salmodia responsoriale la risposta era un versetto della Scrittura-solitamente il versetto di un salmo--o l'alleluia.w Ma l'esaustiva analisi di Thomas H. Schattauer dell'intero corpo dei koinonika o versetti di comunione nel Typikon del Xsecolo, mostra d1e questi versetti sono le risposte originarie al salmo di comunione, che quindi un tempo doveva essere un responsorio e non un'antifona.']() Questo si accorda con la nostra prima prova storica per la salmodia alla comunione in Cirillo (Giovanni Il) di Gerusalenune, Catechesi Mistagogiche 5, 20,6' Costituzioni apostoliche VIII, 13,16-17,62 e l'esposizione di Giovanni Crisostomo del salmo 144. 6~ Dalla descrizione di Crisostomo è chiaro che il salmo cantato ad Antiochia durante la comunione era responsoriale e, sebbene il testo dì Cirillo non sia esplicito, successive fonti agiopolite confennano lo 57 Vedi T. Schattauer, "TI1e Koinonicon of the Byzantine litu~gy:.An Historical Srudy", OCP 49 0983) 91-129 per uno studio esauriente de1 kom6tlika nel 1}ptkou. I due ritornelli non scritturistid sono <.list.ussi alle pp. l~ 101, 109-110 (nn. 3 e 19). Cf anche i miei articoli dtati sopr.t alle note 52 e ::d. 58 59 60 61 62
Vedi Mateos, Célébrattorz 16· Taft 1be Grr!at Entrauce86-88. ' ' Mateos, Célébrattorz 7-13. "The Koinonicon" 115ss. se 126bis, 168-170. se 336, 216-218.
63 PG 55, 464; cf van de Paverd Messltturgte 395· Schattauer, ''fhe Koinonicon" 116-117. ' '
248
l l O~tT~e
stesso per GenJsalemme, come ha dimostrato Helmut Lceb."" Questo doveva essere vero anche per le Costiluzitmt aJXJSio/tche provenienti dai sobborghi di Antiochia, sebbene non dalla metropoli stessa,<·' poiché tutte queste fonti della fine del rv secolo antidatano l'introduzione della salmodia antifonale nella liturgia eucaristica all'introito e alla preanafora.Ui Possiamo così solo concludere che il koin6nikon bizantino originariamente era un salmo responsoriale successivamente "antifonalizzato" dall'introduzione di una dossologia conclusiva e perisse e dalla sostituzione delle composizioni ecclesiastiche con il responsorium in certi giorni. L'apparizione di tali strutn•re ibride in sviluppi liturgici successivi non dovrebbe sorprenderei. Leeb ha mostrato che la stessa cosa accadeva con il responsorio di comunione nell'eucarestia di Gerusalemme.6' La preghiera di ringraziamento dopo la comunione è parallela al postcommunio della messa romana. La litania accompagnatoria, come simili sviluppi altrove nella tradizione bizantina e in altre tradizioni, è proprio un oremusampliato, come spiegato al cap. 10. Così alla comunione uno vede una ripetizione della stessa struttura di base che è emersa nell'analisi degli altri due "punti d'azione" della liturgia, i due ingressi: la struttura comprende un'azione rituale, coperta dal canto della salmodia, e conclusa da una colletta, proprio come nel rito romano. 64
Dle Gestlnge im (](..>rrJel1ldegottesditmst vonjenJSalem 128. 6; Van de Paverd, Messliturgie lo6, 1;6, 164. 18;.186. 66 Si parla per la prima volta della salmodia antifonale nel 34_7-348 ad Antiochia, in Teodoreto di Ciro, Hist. eccl II, 24, ~11, L. p-~~~ Tbeodoror Kirr:bengescbicbre riadattato <.la F. Sch~1dweiler (G~ ·. \d Akademie-Verlag 19;41) 154-155. Dcanto preanafom:o a~ Pf! la PJ'ilW ta in fonti del V-Vl secolo (cfTaft, Ibe Gn!tll EtlhrJt~40~ )3, 6;.66). 0 canro ~'introito appare nelle liturgie stazionati romane e haan~~ nodo (Junmn-..nn Mtssarum soJ/emtlfa I, part m.S; Mateos. (..CK'tl'--· ~m 67 --Die Gestlnge im GemetndegotlesdfetiSI VOti .JeriiSIIlem 1
249
6. Il congedo La conclusione della liturgia è abbastanza chiara. Va come S<.'gue: ·Proct'
"Preghiera dietro l'ambone" (6rnaOdJ1f3wvoç), era probabilmente detta dal grande ambone al centro della navata quando il clero, alla fine della liturgia, andava in processione lungo il solea o itinerario processionale per uscire dalla chiesa ed entrare nello si..'I!Uophylakion. Un'ulteriore preghiera, la "Preghiera nello sk.euophylakion ", era detta nello sk.euophylakion al momento della consumazione degli avanzi dei doni, completando così la liturgia proprio come era iniziata, con una preghiera sui doni in sacrestia. Ciò che nel rito attuale segue questa preghiera è la conclusione tradizionale dell'ufficio monastico bizantino, che è stata aggiunta alla messa come una seconda conclusione, nel medioevo, a causa di una tendenza più recente nello sviluppo liturgico bizantino che modellava tutte le liturgie in maniera che il loro inizio e la loro fine fossero più o meno simili. I romani fanno oggi qualcosa di simile. La sola differenza è che hanno scelto come loro modello la liturgia della Parola, mentre i bizantini, sotto l'influsso monastico, optarono per l'ufficio monastico palestinese che si impose in tutto l'cliente bizantino dopo la caduta di Costantinopoli da parte dei latini nella Quarta Crociata (1204). Non abbiamo bisogno di discutere i dettagli di quando e da
250
l l Omll! C1810mcJ
wlltllf1ll'
dove le aggiunte posteriori furono introdone.IJO Quello che abbiamo visto dovrebbe essere sufficiente ad indicare come l'ana. lisi stn1tturale delle unità può aiutare all'interpretazione deiJe fonti storiche e all'identificazione e ricostruzione delle forme lj... turgiche primitive, in questo caso le aggiunte successive al IV secolo alla divina liturgia bizantina.
~ory
=
68 Nei miei prossimi volumi: A c( tbe Cbrysostom. Vol. v, 111e Precommunton(di pi'()SSiiDa 7barzksstvtng and Ftnal Rttes
~~ 251
12. liturgia come teologia*
Questa breve apologia pro disciplina sua è nata da alcune annotazioni informa/i fatte ai graduates students in liturgia all'Università di Notre Dame al primo Colloquio liturgico nel settembre 1977, all'inizio del mio periodo di due anni come coordinatore del Graduate Program in studi liturgici a quell'università. Le mie riflessioni evocarono un 'eco più ampia di quanto fosse originariamente prevedibile, efu suggerito di pubblicarle. Nel testo scritto, preparato après coup, ho esplicitamente omesso i riferimenti al contesto da cui esso trasse origine. Tranne ciò, il testo riporta sostanzialmente ciò che bo detto in quell'occasione. Gli scrittori spirituali ci dicono che è utile vedersi come gli altri ci vedono-anche se non si è sempre d'accordo con la valutazione esterna. Così, come punto di partenza di queste riflessioni, vorrei utilizzare la valutazione solita della liturgia come disciplina accademica. È stato detto che oggi il campo degli studi liturgici manca di una direzione, di un chiaro senso delle lllète e degli obiettivi. Questo è percepito anzitutto nelle varie tensioni il-risolte tr.t !'approccio storico allo srudio della liturgia, pritna dominante, e l'approccio pastorale, o sistematiCO (concettuale), o interdisdplinare più recente. Più se:riameflte, Ripreso da Worship 56 (1982) 113-117.
253
fnrst>, l''è un senso di malessere tra i ricercatori di liturgia a pro. posito della loro posizione e identit:'t nell'ambito più ampio della teologia accademica, il senso che essi debbano giustificare b loro esistenza, mostrare che lo studio della liturgia è un'un. presa intellettualmente valida e un'impresa teologica, e non 50• lo una questione eli preparazione per le funzioni liturgiche e di preoccupazione pastorale. Permettetemi eli fare qualche sottolineatura su questi due punti. Quello che dirò non dovrebbe essere preso come una soluzione studiata a fondo a questi problemi, né come un programma d'azione, piuttosto come ri· flessioni personali e forse disordinate, nella speranza disti· molare un'ultetiore riflessione e discussione. Prendiamo per ptimo il secondo punto: la crisi d'identità dei ricercatori di liturgia. Credo che sia ovvia l'esistenza della cri· si, e che sia ampiamente imposta dall'esterno. Ci si potrebbe legittimamente chiedere perché i liturgisti debbano giustificare il loro mestiere quando le altre discipline teologiche possono semplicemente presumere droits de cité incontestati. Ma la li· turgia è una disciplina teologica relativamente recente nel mondo accademico, e nmi i nuovi venuti devono, volenti o nolenti, combattere per il loro pezzo di terra. Oltre nmo, i problemi non possono essere rimossi dalla ret01ica. Guardiamo quindi ai problemi reali: cosa stiamo facendo? È un compito legitti· mamente teologico? La lin1rgia è un oggetto di indagine teologica perché è al· trettanto un'espressione del credere quanto lo sono i mon~· menti letterari della tradizione (scritti patristici, trattati teologi· ci, decreti conciliari, persino la Bibbia). Pensare che un'ome· lia di Giovanni Crisostomo o Giovanni Calvino, o un libro ~i Karl Rahner o di Karl Barth, siano degni di attenzione teologi~ ca, e non riuscire a capire come i modi e le preghiere con cui questi stessi signori, insieme con altri milioni di persone, han~ no adorato Dio sia degno della stessa cosa, è il pregiudizio di chi ha un concetto così limitato dell'espressione da pensare che
254
/2. IJIUf'llkJ CllfM ltltk-cld
solo le parole comunichino qualcosa di teologico. La fede cristiana non è un insieme di proposizioni verbali. Ese anche lo fosse, perché le proposizioni espresse nei testi liturgici lJSale da innumerevoli milioni di persone per innumerevoli anni non dovrebbero essere una fonte teologica degna di considerazione? Così, anche se la liturgia non fosse niem'allro che uno dei nostri principali mezzi di espressione teologica, sarebbe sicuramente un oggetto essenziale dell'indagine teologica. Ma la liturgia è molto di più che un'espressione della fede. È prima e anzitutto un'attività di Dio in Cristo. Cristo salva attraverso i tempi nell'attività del Corpo di cui egli è il capo. Egli lo fa nella sua Parola che ci chiama all'unione con lui in quel Corpo, riconciliandoci gli uni gli altri e con il Padre attraverso la sua grazia salvifica-e questo è la liturgia. Tale attivirà salvifica di Dio sarebbe riconoscibile come oggetto di riceoca da parte di una scienza che studia un Dio conoscibile solo attraverso la sua azione. La liturgia è anche un'attività di uomini e di donne in unione con il loro capo: è un'attività della Chiesa. È come la Chiesa risponde in preghiera, abbandono e ringraziamento a questa chiamata della parola di Dio, rivelalrice e salvatrice. L'eucarestia inollre, almeno per come è concepita in alcune tradizioni, è l'atto supremo della vita della Chiesa in questa dinamica salvifica di chiamata e risposta. Ora, siccome l'ecclesiologia è cettamente considerata una disciplina teologica, allora presumo che un atto principale della vita della Chiesa ricadrebbe senza obiezioni in tale studio. Ma si può andar ollre. Non solo la liturgia è un oggetto del. ,.,..,nm C'è la teologia, così da dover avere una teologia della uLs.u~ . anche un senso assai reale per il quale rutta la vera teologwa 0'1stiana dev'essere liturgica-cioè dossologica, coinvoka con l'attività salvifica incessante di Dio e la devora rispOSta ad esso di uomini e donne per tutte le generazioni. Altrimefltlla ll()Sb3 teologia non è lo studio di come un Dio vivente salva.
255
Qucst:\ ~la diale~tica della storia della salvezza e della preghit'r.t nella Bibbia. E la dialettica che oggi chiamiamo liturgia: Dio agisce, il suo popolo tisponde. ·Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome! .. (Le 1,49). Molto della stessa Sacr.l Scrittura è un prodotto del culto, e non precedente ad es..-.o. E la Bibbia è il primo libro liturgico della Chiesa, le cui ricchezze sono più propriamente rivelate nell'assemblea dell'alleanza r.:tdunata per l'ascolto della Parola. E anche questo è liturgia. La Parola raduna la comunità, e dunque è precedente. Ma è la comunità radunata che ha fatto il libro che p01ta quella Parola. Quindi, se la teologia studia l'attività salvifica di Dio in Cristo, allora la liturgia è un oggetto della teologia. Se studia la natura e la vita della Chiesa di Clisto, di come il libro che conserva la Parola è stato formato, proclamato, pregato e inneggiato, di come noi preghiamo insieme, riceviamo il perdono, portiamo Cristo che cura e confotta l'ammalato e il morente, chi è solo, abbandonato, oppresso, disperato; se la teologia studia tutto ciò, allora lo studio della liturgia è lo studio della teologia. Ancora di più-vorrei sostenere-dello sn1dio delle opinioni di Calvino o Kting, Basilio o Barth, Lutero o chiunque. La linugia, dunque, è teologia. Non è storia o antropologia culturale o archeologia o criticismo letterario o estetica o filosofia o cura pastorale... Come ogni altro rispettabile indirizzo della teologia, naturalmente essa usa queste e altre, diverse, discipline e metodologie per ciò che io considero essere il ptimo e autogiustificante fme di ogni studio: la comprensione. Questo ci riporta al primo problema: la questione della metodologia. Per ciò che ho già detto, dovrebbe essere owio che lo sn1dio della liturgia non è solo storia. Ma natmalmente ha una dimensione storica perché, come tutto il resto sulla faccia della terra, la linu-gia ha una storia. E questa stolia è sntdiata non per recuperare il passato (U che è impossibile), tanto meno per ricrearlo (il che sarebbe sciocco), ma semplicemente per rendere intelligibile il presen-
256
te, che può essere pienamente <.:ompreso solo come pane di un Mto più ampio. In alu·e parole, la liturgia e (Y.tne delb lradizic>. ne, e la tradizione non è il passato, ma il presente per quello che è in continuità con il passato. La ricerca storica ci aiuta a scoprire e vedere la tradizione nella sua totalità, neutralizzando così la comune tentazione di prendere ciò che è più prossimo e immediato per il nitto. Senza una prospettiva storica, siamo come qualcuno che sta troppo vicino ad un dipinto: se ne vede solo una parte, e anche quella fuori prospettiva. In breve, per studiare una vera tradizione, bisogna anzitutto recuperare qualsiasi cosa di essa possa essere stato spazzato via dalle tendenze del tempo. Ancora più importante, la storia è essenziale alla formazione di un "punto di vista in movimento", di un senso di relatività, di una visione del presente sempre in tensione dinamica tra passato e futuro, e non come un "dato" statico. In questo modo si può evitare l'inganno troppo comune di considerare ogni più recente cambiamento nella coscienza moderna come qualche grande conquista dello spirito umano impercettibile ai nostri ottusi antenati. L'analogia potrebbe essere sostenuta per altri metodi usati nei nostri studi. La liturgia non è filologia. Ma se uno legge un testo, la filologia aiuta a conoscere che cosa le parole significassero all'epoca in cui esse furono scritte. E lo stesso vale per l'archeologia e il resto, fmo alle scienze del presente, come la teologia pastorale. La liturgia è anche questo, ma non solo questo. Infatti, lo sn1dio della liturgia non può essere solo pratico nell'orientamento, non può essere solo una scienZa applicata. Abbiamo avuto abbastanza persone assai attiVa~te impegnate nell'applicazione di ciò che non possiedono. Emutile pretendere di essere un lin1rgista "pratico" o "pastorale" senza esser prima passati attraverso alcuni dei lavori di altre ~ todologie e discipline. Questo è evidente in bu~ parte del ntuale ridicolo e convenevole inflitti oggi ai fedeli. . Tutto questo è un modo indiretto di dire che : 111 lo srudio
257
della liturgia è teologia.l21 Come ogni altro indirizzo della leo. l<'gia degno eli essere considerato scri:unentc, richiede molte ca. r~tcit:ì-storiche. filologiche, conccttua li-per poter padro. neggiare l'oggetto di studio, nella ricerca della comprensione t.' nella scope11a del significato. [3] Conseguentemente, gli studi liturgici, come ogni altro programma di studi (o così presumo), sono diretti ad una sola cosa: l'intelligibilità, la comprensione dell'oggetto di indagine. [4] Dobbiamo studiare la liturgia da tante prospettive quante sono necessarie per raggiungere questo scopo. Questo significa che lo studio accademico della liturgia ha un'unità, ma non che essa può essere imposta dal di fuori in base a qualcosa da fare, né cercando di avere tutti lo stesso punto di vista, né usando la stessa metodologia. Deve derivare da un dialogo di metodologie tutte impegnate nel rendere intelligibile lo stesso oggetto glorioso, la liturgia di Dio onnipotente. Penso dunque che i liturgisti dovrebbero resistere alla tentazione di risolvere la forte tensione tra approcci diversi riconoscendo la legittimità di un solo orientamento, sia esso pastorale, sistematico, storico o qualsiasi altro. Abbiamo bisogno di discutere queste diverse metodologie e di metterle in dialogo. Credo che si tratti della parte principale delle cose da fare per l'immediato futuro.
258
13. Che cosa fa la liturgia? verso u11a soteriologia della celebrazione liturgica: alcu11e tesi*
Certamente è molto azzardato da parte mia assumermi l'onere di specificare ciò che, eia un punto di vista teologico, accade realmente nelle nostre celebrazioni liturgiche e che cosa, secondo la nostra fede, legittima tale specificazione, dal momento che sono indegnamente insignito del titolo di "teologo"} Infatti sono semplicemente un orientalista che si occupa del più prosaico, positivistico e fenomenologico lavoro di storico del•Questo capitolo t: nato come conterenza pubblica tenuta all'università di Notrc: Dame il24 giugno 1991, e riadattato da Worsbip dll'0 Qlll. ~ ~ .~ stem e<~ ti suo in<;egnamento fm dai giorni del senunano sono .stltl ~: delle mte 1iflessioni sulla lin•rgia. In secondo ltK>gO. ~no dehttore '1 e .f. .Bucktey S.J., protes.<;ore presso la Facoltà di Teok>sJ:ll al Boston~ Dtrettore deljesuit Instinne di là. che è stato tanto ge~ da~ .Jl01113 stesum tli questo articolo dandomi munenJ~;i, al·uti e utili SU8b~
I:
259
b lilmgia orientale cristiana. e (ancor più umilmente) un ostiruto difensore dell'approccio tìlologico ai testi liturgici, oggi snobbato in quanto ritenuto superato. 2 M;t siccome la ditlìdenza non è proprio il mio mestiere, pro(t•derò senza reticenze, cominciando con un concetto, non St.upetto da me, ma preso a prestito da una fonte da molto tempo dimenticata, un concetto che ho già usato e che continuerò ad usare ancora, dal momento che lo ritengo adeguato. Nel 1513, Michelangelo Buonarroti completava gli affreschi che abbelliscono la Cappella Sistina ancora oggi. Nella magnifica scena della creazione, il dito datore di vita di Dio si allunga quasi a toccare il dito proteso di Adamo reclinato. La liturgia colma il vuoto tra quelle due dita. Infatti, Dio nella metafora della Sistina è una mano creatrice, datrice di vita, salvatrice e redentrice, sempre tesa verso di noi, e la storia della salvezza è la storia delle nostre mani alzate (o che rifiutano di alzarsi) in un'accoglienza senza fine e piena di gratitudine per quel dono. Non è proprio questo che è la liturgia? Naturalmente sto usando il tennine "liturgia" nel senso più ampio, paolino, che include quello che i Padri della Chiesa chiamavano l'intera oikonomia o commercium, quel continuo scambio salvifico tra Dio e noi, la scala di Giacobbe della storia della salvezza. Cettamente è un'affermazione ardita dire che la liturgia è la relazione salvifìca tra Dio e noi e che le nostre liturgie, terreno privilegiato di questo incontro salvifico, costituiscono ed esprimono tale relazione. L'affermazione, comunque, non è soltanto mia. Credo che lo stesso Nuovo Testamento intenda così la liturgia ·1 E più recentemente la costituzione sulla Sacra Liturgia 2 Cf, ad ~sempio, M. D. Stringer, "Liturb'Y and Anthropol<>~.'Y: 'Du! Hio;tory of a Relationship~, Worsb;p 63 (1989) 503-521. 3 Ved. il çap. l, sopl"'.t; R F. Taft, La Liturgia delle OnJ 111 orlt!t~e~ occtckmle. Le orlgit~t de//'U.fftcto divino e il suo sigutftcato oggjL:(Testi Teologia 4, Cinisello Bal~mo [Milano): Ed. l'aoline 1988) 334-3'fV·
260
11
r.be Cf14a fa la lllu~;
del Concilio Vaticano II (n. 2) afferma: ... mediante la liturgia ... "si attua l"opt:ra
Cercherò di giustificare questa affermazione e di riflettere sulla sua possibilità e sul suo significato, attraverso una serie di proposizioni o di tesi, un espediente che prendo a prestito dal teologo francescano tedesco Bernhard l.angemeyer, s che segue sia gli scolastici che Martin Lutero e che si presta bene a ciò che intendo fare qui: riassumere una visione canolica della natura della liturgia nell'ambito di un breve articolo. Naturalmente intendo queste proposizioni come punti di riflessione, passibili di critica e di rifinitura, come visione di un uomo e non come un decalogo inciso nel granito. Alcune di esse sono esclusivamente mie; per altre sono debitore alla lenura del pensiero contemporaneo canolico tedesco sull'argomento, specialmente allo studio del già citato Berrù13Id Langemeyer "Die Weisen der Gegenwart Christi im liturgischen Geschehen-Le vie della presenza di Cristo nell'azione liturgica."6 Ed ecco, una per una, le tesi: l. La liturgia della nuova alleanza è Gesù Cristo Come le anafore eucaristiche di tipo classico antiocheno non si stancano mai di ripetere, quando noi eravamo inunerSi nel peccato, Gesù è morto per i nostri peccati d è risorto per la no4
Sacrosauctum Conctlium n. 2. ; Vedi il suo studio "Die Wei.c;en der Gegenw.u1 Chrisli ~ schen Geschehen", in O. Senm1elroth (ed.), Martyria, li!~GebwtSIII!'.
Fest~chrift far Hermau Volk, Blscbof tJOtl MalriZ, zum (Mamz: Matthias-Griinw.ald-Verlag 1968) 286-307. 6
Cf nota precedente.
o.
0111\' lìn1entl!" l ìJCX/tll!nll! l R. F. Tujl
stra salvezza, pot1andoci all'unità con Dio e tra di noi in lui. Secondo il Nuovo Testamento, è questo Signore incarnato e salvatore nel suo darsi, nella sua obbedienza riconciliatrice con la volontà del Padre, la vero liturgia dei seguaci di Gesù Cristo. È questo, e non un nuovo sistema rituale, che compie e sostituisce ciò che esisteva prima. Il nuovo tempio e il suo sacerdote, il sacrificio e la vittima; la nuova creazione e il nuovo Adamo; la nuova alleanza, la nuova circoncisione e il nuovo ti poso sabbatico; la nuova Pasqua e il suo agnello pasquale-Gesù Cristo è tutto questo nella sua vita-salvifica-per-gli-altri. È semplicemente •tutto in tutti•, come dice Co/3,11, ·l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, l'inizio e la fine- (Ap 1,8; 21,6; 22,13). Tutto ciò che è venuto prima è stato compiuto in lui: ·Poiché la legge possiede solo un'ombra dei beni funtri e non la realtà stessa delle cose- (Eb 10,1), comprese le realtà liturgiche: ·Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati; tutte cose queste che sono ombm delle future; ma la realtà invece è Cristo!· ( Co/2, 16-17).
2. La liturgia cristiana nel senso paolino è questa stessa realtà, Gesù Cristo in noi 7 La nostra liturgia, il nostro servizio, deve essere inserito in lui, che è la nostra salvezza incarnata e consiste nel vivere la
' sua vita, come egli ci ha mostrato, morendo al peccato per risorgere a vita nuova in lui. In breve, la nostra salvezza è la gloria di Dio, ed è Lui che ce la dà, non noi a Lui. Lo fa attraverso lo Spirito che abita e muove la sua Chiesa.
3. Questa realtà è un 'e;perienza personale che ag~çce solo attraverso la fede Questa esperienza di salvezza attraverso la fede data da Dio ' 7
262
Cf i riferimenti aU:~ nnta 3, sopm.
U C'w vaa /a lo IUufllltK
e accolta da noi, è un incontro con Dio, tramite l'epifania di Dio che è Gesù Cristo, continuata tra noi oggi attrclver.;o Jo Spirio di Cristo che inabita nella comunità che egli dliama sua. 1.a sua azn. ne è anteriore: è lui che deve chiamare. Per questo la Chiesa è una "chiamata insieme''-in greco ekklesia-e non un •metlersiinsieme" per nostra ini7Jativa, non un'"assemblea~ ma una "convocazione'. Egli quindi deve chiamare per primo. Ma la chiamara deve avere una risposta. Qualcuno deve alzare il telefono.
4. La liturgia nel senso pitì stretto del tennimr--le attuali liturgie cristiane, i seroizi di culto, la celebrazione liturgica-è un terreno privilegiato di questo incontro divino, una teofania o rit~ne della presenza salvifzca di Dio tra noi nel mondo oggi Non è tuttavia l'unico terreno di questo incontro, perché Dio non dipende dalla nostra lin1rgia per incentrarci e chiamarci a sé. Ma credo non ci sia bisogno di alcuna prova per dire che il Nuovo Testamento descrive le riunioni deUa Chiesa nascente per ascoltare la Parola e spezzare il Pane come momenti privilegiati della presenza del Signore risorto. Se quanto ho detto finora è vero, allorJ possiamo enunciare altre tesi: 5. La lihJrgia non è una cosa, ma un incontro di persone, fa ce/ebrrlziOne
e l'espressione di una relazione vissuta concretamente: la tWStra relazione con Dio e con gli altri in Cristo attratY!rsO lo Spiri/o. lo spirito Samo, quindi, è colui che rende possibile il culto cristiano È una verità evidente dal momento che tutto ciò che Dio opera nella Chiesa lo fa ;ttraverso lo Spirito. nnon aver esplicitato le dimensioni trinitarie e pneumatologiche della lit_Urgia può es..~re considemto il difetto maggiore di alcune teOlogie occidentali del culto, un difetto accortamente evitato da Edward Kilinartin.11 t!
Cf sopr.t, nota l.
263
6. Poiché la IXIS<' e la sorgente di questo i1zcontro colmo di grazia sono la morle e la ri.,11rrezione di Gèst4, tutta la liturgia crr~~tiana lij>ropone qmost'rmica metafora radicale del mistero pasquale come rivelazione, a coloro cbe si accosteranno ad essa nella jède, della realtà ultima, del significato ultimo e dejìnitivo di tutto il creato, deUa slolia e della vita Per il CJistiano, Gesù è l'immagine di Dio e tutte le altre esperienze ed immagini alle quali dà origine sono modellate, qualificate e reintrepretate alla sua luce, come tutta l'esperienza di Israele era considerata ricapitolata nell'evento dell'esodo-alleanza. In breve, la liturgia cristiana è un'attualizzazione del mistero pasquale di Gesù come rivelazione di Dio e del suo disegno per noi. Co/1,15 chiama Gesù ·immagine del Dio invisibile· e, almeno per i Padri greci, la liturgia è l'immagine di questa immagine. La liturgia cristiana ha celebrato questa metafora radicale nella Parola e nel Sacramento, soprattutto, e fin dall'inizio, nel battesimo, nell'eucarestia, alla domenica, a Pasqua, ma anche nei mattutini e nei vespri, nei funerali e nelle feste e, in realtà, ogni volta che dei cristiani si sono riuniti nel nome di Gesù. 7. L'attualità, la contemporaneità di tutto questo, è dovuta al fatto che non celebriamo un evento passato, ma una realtà sempre presente, una continua chiamata e risposta, una nuova vita, che chiamiamo saltxaza, cbe è stata chiamata all'essere da quegli eventi passati Gli eventi del passato sono causa e modello della prin1a manifestazione o epifania di tale re-altà. Ma gli eventi salvifici della vita terrena di Gesù, specialmente la sua morte e rislllrezione per la nostra salvezza, sono più che una semplice epifania o segno, più che una semplice manifestazione di salvezza: sono i mezzi attuali dì questa salvezza, la sua vera e propria causa strumentale.') 9 Pt!r una di'i<.u•;sione di come dò può essere, cf Brian McN
264
1 j f';br r.nwfa la lttt111{11P
Questi eventi del passato sono passato solo nella modald storica della loro manifestazione, cioè in quanto percep1li da fi(Ji all'interno della storia umana. Per questo la nOSlr.llradizione insegna con Uprologo di Giovanni che Gesù CINo 11011 è solo uomo, ma anche la Parola eterna di Dio. In quanto tale, egli è per nitta l'eternità ciò che ha fatto. Non è solo la sua salvezza, ;w. ro-donazione eterna; egli è il suo eterno auto-offrirsi ed è in questa sua presenza tra noi che questo sacrificio è eternamente presente a noi.
8. Quindi la nostra liturgia non celebra un evento passato, ma una persona presente, che contiene per sempre tutto ciò che è ed è sta/o, e tutto quello che ha fatto per noi Per questo la Chiesa può cantare l'antico inno latino: ·lam pascha nostrum Christus est, paschalis idem victima-per questo la nostra vera pasqua è Cristo, e lui è la vera vittima.•
9. La liturgia cristiana, quindi, è un 'icona vivente, composta fondamentalmente da persone, non da segni È immagine peculiare, in quanto essa è umana, dinamica. Le sue componenti fondamentali sono persone e non cose, perché noi siamo parte costitutiva di essa. Non è qualcosa fuori di noi che noi contempliamo, allo stesso modo della danza, che non sussiste se non per i danzatori, o dell'amore che sussiste solo nell'amante che ama l'amato.
10. Anche Gesù è un componente costitutiro della liturgia Questo è un fatto di tutto rilievo: Gesù non è esainsfCO al nostro culto, egli è il suo costituente fondante. Egli. come ~ Paolo,. è il capo del Colpo e, percontin~ la~.~ come m ogni corpo vivente, sono solo 1 segnali P"?~che capo e la loro ricezione ed esecuzione da parte dei membri fanno della celebrazione una celebraziOne. Se ne manca uno.
265
il darsi di Gesù o il nostro accogliere, non c'è celebrazione. Così. quindi, abbiamo chiuso il cerchio. Se per il Nuovo Testamento il nuovo culto, l'unico culto degno d'ora in poi del Padre, è la ~na.,isauto-offerta di suo Figlio, questo non vuoi elire che noi siamo lasciati fuori al freddo. Perché il nostro culto è quella stessa vita saoificale, eternamente personificata nel Signore risorto, comunicata, espressa e vissuta in noi attraverso lo Spirito nella liturgia della Chiesa. Detto in termini più tecnici, il fondamento della soteriologia liturgica cattolica, espressa nel brano del Vaticano II citato sopra, va posto nella cristologia e nella pneumatologia. Infatti, se solo la cristologia può spiegare l'esistenza del Signore riso1to, solo la pneumatologia può spiegare la sua presenza. Esolo la sua presenza può spiegare la presenza del suo sacrificio salvifico operante nel mondo oggi. Odo Casei è andato oltre, sottolineando che gli stessi misteri di salvezza sono in qualche modo presenti nella celebrazione liturgica della Chiesa. Quindi, non solo l'eterno offrirsi di Gesù in obbedienza alla volontà del Padre, ma il suo vero morire e risorgere. Ora, è chiaro che il mistero eli Cristo operante in questi avvenimenti, cioè la salvezza, deve essere presente nella Chiesa e nella sua liturgia. Ma sono presenti in qualche modo gli stessi eventi salvifici? Certamente non nella loro storicità, in quanto eventi storici passati. Ma è sicuramente vero che essi sono presenti nell'eterna auto-offerta di Gesù davanti al trono di Dio, perché tutto è presenza simultanea a lui-e Dio è presente a noi non solo come creatore che fonda e sostiene il nostro essere, ma come il Dio che ci salva attraverso la strumentalità dei misteri salvifici della vita terrena di Gesù. 111 Possiamo quindi almeno affermare che l'attuale forma della loro epifania, fonte del nostro attuale incontro con le realtà che essi significano, non
10
266
McNamard <nota 9, sopra), 29ss e passim.
Jj.
Che CII$(J/tJ /(J fltllfRiu'
è meno reale degli eventi storici stessi: poiché sono storici so-
lo per noi, non per Dio.
11. La liturgia Cii,tiana, quindi, si fonda sulla realtà di Crislo risorto, dello "liturgie de source", per usare la felice espressione del teologo melcbitajean Corbon 11 Poiché Gesù risorto è l'umanità glorificata, egli è presente tramite il suo Spirito in ogni luogo e tempo non solo come colui che ha salvato, ma come colui che salva, non solo come Signore, ma come sacerdote, sacrificio e vittima. Niente nel suo essere o agire è passato per sempre, eccetto le modalità storiche della sua manifestazione. Come la liturgia bizantina lo prega dicendo di lui: ·Tu sei l'offerente e l'offerto, il recipiente e il dono•. Thomas]. Talley una volta si espresse così: In virtù della ri'iurrezione Cri'ito ora è transtorico ed è presente in ogni momento. Del CrL'ito,risorto non possiamo mai parlare al passato. L'evento della sua passione è stori<:O, ma il Cri'ito che è risorto non appartiene ad allora, ma ad ora e poiché noi vivia~ nella mobile linea divisoria tra memoria e speranza, tra la memona della sua passione e la speranza del1ìUO ritorno, siamo sempre alla presenza di Cristo, che è sempre presente ad ognuno. In questo cotl-
siste l'essenza reale della uostra auam1zesi. Il
Owiamente ha un senso dire che ogni evento swrico vive · ne1 suoi effetti e nel suo ricordo. Ma, almeno neIla tradizione . nurgica non cattolica/ortodossa il fondamento dell'anamnesi 1 , ' . · ontro di fede con e un ricordo psicologico, ma un amvo mc l'azione salvifica di Cristo operante ora. Per parafrasare la reo11 19R8).
Ed. inglese Tbe Wellsprlug of Worsblp,
w y mk: J'auli.'il l'res.~
, . . . ·h Talley ha ~:entiJmenre 12 O<~lle dLo;pen~ sull ;mno liturgtco .C e ~· messo a mia disposizione molti rumi fa (cots~vo JlllO).
267
del Vaticano n. è lui che predica b SU:I Parob, è lui che d chiama a sé, è lui che cura le ferite dci nostri peccati e ci la,.a nelle acque della salvezza, è lui che ci nutre con la sua stessa vita, è lui che è la colonna eli fuoco che ci guida anraverso l'orizzonte della nostra storia eli salvezza, illuminando il nostro sentiero oscuro eli peccati. Egli fa questo in Parola e Sacramento-non solo lì, ma lì ce1tamente. Ancora qualche tesi: lo~ia
12. Se la Bibbia è la Parola di Dio nelle parole degli uomini, la liturgia sono i gesti salviflci di Dio nelle azioni di quegli uomini e donne che mgliono r·ivere in lui
Il suo scopo, per completare ancora una volta il cerchio e tornare alla teologia paolina della liturgia con la quale abbiamo cominciato, è di trasformare te e me nella stessa realtà. Lo scopo del battesimo è renderei acque purificatrici e olio che sana e fortifica; lo scopo dell'eucarestia non è cambiare il pane e il vino, ma te e me. Attraverso il battesimo e l'eucarestia, siamo noi che diventiamo Cristo l'uno per l'altro, e segno al mondo che deve ancora sentire il suo nome. Questo è la liturgia cristiana, perché questo è il cristianesimo. Quindi un'altra tesi:
13. la nostra vera liturgia cristiana è proprio la vita di Cristo in noi, Pita vissuta e celebrata. Questa vita non è nient'altro che ciò che noi chiamiamo Spirito Santo Questa è la salvezza, la nostra mèta finale. L'unica differenza tra questo e ciò che noi speriamo di godere nel compimento finale è che lo specchio di cui parla 1Corl3,12 non sarà più necessario: come dice Adrien Nocent il velo sarà Iimosso. '
Tutto ciò può suonare bello ed anche esaltante. Ma abbiamo appena toccato i problemi teorici relativi al come Cristo vi· vente e salvatore è presente a noi ora nella Chiesa. Una presenza
268
lJ Cix: Cfl!iQ fa lo IUrtfRia'
che, come ho detto, crediamo dia alla vita cristiana e al culto una connotazione completamente nuova. Dio infatti è sempre Slato presente in tutte le età c a tutti i popoli, molto prima della venuta di Gesù. Che cosa c'è allora di nuovo e diverso nella presenza di Gesù nella Chiesa-e quindi nella sua liturgia? Se essa significa qualcosa, significa Gesù che agisce in noi, che ci salva, si mette in relazione e comunica con noi come salvatore.•' La teologia cattolica moderna, dalla Mediator Dei e dalla Mystici Corporis Ch1i\li di papa Pio XII alla teologia di Mysteriengegenwart di Odo Casei e alla costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, non si è mai stancata di sottolineare la presenza attiva di Cristo nella vita e nella liturgia della Chiesa: quando la Parola è predicata, è Gesù che predica; quando l'acqua e l'olio sanano, è lui che risana; quando la parola di perdono riconcilia, è lui che perdona; quando il corpo e il sangue vengono offerti, è lui l'offerente e il dono. La riflessione teologica, comunque, si è soffennata su queste affermazioni: la presenza di Gesù nella Parola si spiega solo attraverso una solida teologia della Parola; la sua presenza nel ministero con una teologia del ministero e degli ordini; la presenza del suo sacrificio ablativo con una teologia del sacrificio e del sacerdozio. Queste affermazioni devono restare in divenire. Se il Concilio Vaticano II ha riaffermato la presenza di Cristo nella liturgia, non è stato senza una lotta che, come le lotte di questo genere, ha portato a un compromesso, con l'aggiunta della glossa, che Cristo è presente "soprattutto n ( rnaxz'me) sotto le specie eucaristiche: • d [ .'oè la salvezza anraverPer realizzare un'opera cos1 gran e cl · lla sua so il ministero della Chiesa], Cristo è sempre p~o;ente ne 1sa · . . . 'd E presente ne . Chiesa, e in modo speciale nelle az1oni 11lllf81. ~e. · s ttutcritìcio della Messa, sia nella persona del miniStro... sia opra
·m su Dio presente a
13 Vedi McNamara (nota 9, sopra). 29 e fX1SS' '· noi con la sua azione in noi attrclverso Gesù.
269
10 solto le spede c•ucmi~tic:be. È preseme con il suo potere nt!i sa. l·a~m~nti,
Ji modo dre quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua Parola, giacd~é è lui che parla quando nella chiesa viene letta la Sana Scrittura. E presente infine quando b Chiesa prega e loda ... 11
Naturalmente ogni presenza divina è reale, e questa presenza è dinamica, producendo un effetto o un cambiamento nella persona o nella cosa in cui Dio è presente. Come è possibile per Gesù essere realmente presente non solo nell'eucarestia ma in n•tto il ministero linu·gico della Chiesa, è nan1ralmente facile spiegarlo metaforicamente, come è stato fatto classicamente nella teologia del mistero dei Padri greci, che hanno reso il neoplatonismo operante e aperto alla teologia biblica assumendo una visione statica ve1ticale della scala degli esseri, la relazione tra il mondo visibile e il mondo invisibile, spostandola lateralmente, orizzontalmente, rendendola dinamica attraverso il suo uso per interpretare non le cose, ma la storia della salvezza. Alexander Gerken, un altro francescano tedesco, ha spiegato bene questo nel suo trattato sull'eucarestia.•~ In questa visione, che trova giustificazioni bibliche sopratrutto, ma non esclusivamente, nella lettera agli Ebrei e nel libro dell'Apocalisse, il nostro inno di lode terreno non è che immagine-riflesso, nel senso paolìno di my14 Sacrosauctwn Cotzciltum, 7. Forse l'inciso •soprattutto sotto le specie eucaristiche::· rivela le incertezze eU una teologia cattolica ancord embrionale su Gesù presenza (tinamk:a nella sua Chiesa, al di fuori della su~ presenza nel tabernacolo? Non ne::cessariamente. Se Gesù t! presente n~_lla Cltie.a in tutti gli altri aspetti della sua attività salvitka elencati dal ConcU_I(), tale presenza o è reale o è inuna!,rinata e ovviamente il Concilio affem1a dle è re-.de. Ciò che è "special~· nella pre~enza neltéth~rnacolo non è solo u~a te::ndenziosa riaffe::nnazione della presenza reale eucaristica, co1~1e se ~~ qualdl~ modo fos.o;e )"unica davve::ro re-.tl~ ma la profession~ di CIÒ che " fede anolica ha sempre sostenuto, cioè d1~ la presenza nell'eucares~ n~lll è la stessa presenza che c'è nell"acqua del battesimo o nell'olio ddl ~OZI<~ ne, o in dli presiede o nella comunità. ma è una presenza reale negb ste~· si doni, per 1..ui possono essere aùor.tti in se stessi. 15 Tb(!Oiogte der Eucbartstk! (MOnch~n: K<~sel-Verlag 1973) 64ss.
270
l 3. C/w UMI fu la ltluf1lltl~
sterion, apparenza visibile ponatrice della re-,dtà che r.tppresenra-, della liturgia celeste del nostro Signore eterno davanti aJ ~ no di Dio e, in quanto tale, è un'eterna, vibrante panecipazione aJ culto di suo Figlio autenticamente escatologico, ephapax, realizzato una volta per sempre. Per rimanere con i frati--quesra volta con un domenicano fiammingo, per p-aura che qualcuno pensi che i gesuiti leggano solo francescani tedeschi-la teologia clell'Heilseconomie di Edward Schillebeeckx è simile a quesra: Gesù è l'icona di Dio, la Chiesa è l'icona di Gesù, i gesti ministeriali della Chiesa-cioè la liturgia-sono segni del ministero salvifico di Gesù ancora tra noi. 16 Tutto ciò è ispiratore e anche poetico, ma non spiega ancora come accada a noi. Per questo !asciatemi aggiungere altre tre tesi: 14. Fondamentale per tutte le presenze del Cristo risorto nella sua Chiesa è la sua presenza nella fede. 11 Tuttatlja precedente alla fede è la presenza dello Spilìto. Poiché la fede si fonda sull'azione dello Spirito, che rende la fede possibile e attraL'ef'SO la quale Cristo èpresenle In Mt 18,20 Gesù dice: ·Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro•; in Le 10,16: .Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. Echi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato-. In Mt 25 impariamO che quando diamo da mangiare ad un affamato o confortiamo un malato o visitiamo un prigioniero, lo facciamo a Gesù, perch~ lui si è identificato con loro. Ed alla fme dello stesso vangelo egli · · · · 'orni ' fmo alla fine . CI promette: ·Ecco, io sono con vot rum l 81 ture del mondo· (Mt 28 20) Indipendentemente dalle sfuma ' · •ha nnmd"O che la dottrina neotestamentaria contemporanea Cl r--~ & Beldlovefl 1~2>. De sacramemele h<.>i/sGJCOilomle(Ailtwerreofntbe /!n&f:IUtllt'urllb Questa teologia è riassunta in Cbrlst tbe Sacrflnlertl God(New York: Sheed ;~nd Ward 1963). 17 Tesi 1 in B. .t.angemeyer (nota 5, :;opna) .l88$S.
16
271
per ta comprensione di questi testi. la Chiesa h:t st'mprc creduto che Gesù è con noi perché ha detto che lo sarehhc stato. Ma solo dopo la risurrezione, grazie allo Spirito, gli è possibile essere presente tra noi nella sua umanit;ì glorificata. Esebbene Ctisto come Parola di Dio abbia avuto fin dall'inizio la pienezza dello Spirito, solo dopo la risurrezione lo Spirito-lo Spirito escatologico-determina la sua umanitl. Solo allora è la fine di tutta l'esistenza umana, p01tata a compimento "nel tempo venturo• in lui, nuovo Adamo e nuova creazione; solo allora è l'inizio della Nuova Era. È questa presenza, la continuazione dell'umanità glorificata di Gesù nella gloria del Padre, la forma principale della presenza o dell'essere in cui essa si manifesta, atu-averso lo Spirito, nella Chiesa. Questa risurrezione non è un evento storico come la morte di Gesù sotto Pilato, verificabile come altri fatti della storia umana. È una realtà escatologica e pneumatica, metastorica ed accessibile solo attraverso la fede. Nelle apparizioni dopo la risurrezione, è chiaro che troviamo una nuova fonua di presenza di Gesù, una presenza che è reale e sperimentata, ma che è molto diversa dalla presenza precedente, prima della sua pasqua. Quando appare nel suo -corpo spirituale· (1Cor15,44) non è riconosciuto dai suoi discepoli (Le 24,16.37; Gv 2,14; 7,21) fino a che egli non si mostra loro, fino a che lo Spirito non lo rivela attraverso il dono della fede che li rende capaci di riconoscerlo e di esclamare: ·È il Signore!•. A Emmaus, dopo un'intera giornata alla sua presenza, lo riconoscono solo nello spezzare il pan~ allora egli scompare (Le 24). È un processo duale: egli deve manifestarsi, noi dobbiamo accogliere dallo Spidto il dono della fede cristiana-cioè dopo la risun·ezione-, e credere. Negli Atti degli Apostoli è proplio attraverso la fede della comunità che Gesù continua ad operare nella storia. Questa fede è l'opera dello Spirito Santo effuso nell'evento pentecostale, segno della nuova era della profezia di Gioele (2,28-32), ripresa a Pentecoste nell'omelia di Pietro di At 2,14-36. È per
272
questo che la cronolfJgia di ( ;iovanni ~mbra dog11131icanx:nte più coerente: Gesù effonde il suo Spirito wme parte mgrante del suo transito pasquale al Padre, sia sulla croce ( Gv 19,30.35; 20,22) che nella stessa domenica di Pasqua (Gv 21>,22). Ciò non significa, naturalmente, che il Dio Trinita, Padre, Figlio e Spirito, non sia e non sia stato sempre preseme e operante dove egli vuole, al di fuori della comunità. Quesro era vero anche prima dell'incarnazione, prima che esistesse qualsiasi comunità. Ma non è ciò che noi intendiamo con la presenza di Gesù nel suo Corpo, la Chiesa, come redenrore glorificato. Questo incontro personale si realizza solo quando è creduto, liberamente accettato, in quanto è una relazione. Nel cristianesimo occorre essere in due per credere, come bisogna essere in due per ballare il tango: Cristo che dà il suo Spirito, noi che lo riceviamo. Questa fede, infatti, è naturalmente anche opera sua. Egli l'ha suscitata in noi attraverso lo Spirito, come dke Paolo in 1Cor12,3: ·Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sono l'azione dello Spirito•. È questo Spirito il primo frutto e la garanzia della nostra eredità, secondo 2Cor 1,22; 5,5; Rm 8,23; E/1,14. Questa •nuova creazione• di cui parla Paolo (2Cor 5,17; Ga/6, 15) è però una realtà oggettiva differente da qualsiasi presenza di Dio nella sua onnipresenza attiva e operante che sostiene tutto il creato anche indipendentemente dalla fede. Ed è anche più che la nostra fede soggettiva in questa onnip~~ generale. È una realtà di fede nuova e specificamente cnsuana. completamente oggettiva, indipendente dalle. no.stre opere, mai operante al di fuori della fede: la presenza dt Cristo~ credente attraverso l'inabitazione dello Spirito di Cristo. Chiunque abbia fatto gli Esercizi Spirituali ignaziani avrà contem~lat~ questi diversi livelli dell'azione dinamica creativa e reden~ di Dio in noi nella Contemplatio ad amorem-Contemplazi<>ne per ottenere l'amore di sant'Ignazio. questa Ciò che noi chi-o "grazia" è ~te
273
prt•st•nza in quanto è un cambiamento in noi,'" l'effetto cremo dall'inahitazione dello Spirito. lnt~mi, ciò che è nuovo deve essere una creatura, non Dio in cui non c'è niente di nuovo o eli vecchio. e poiché ciò che è nuovo significa cambiamento, tale cambiamento ci può essere solo in noi e non in lui. Questa presenza è pennanente nella fede continuata della Chiesa. L'opera salvifica di Ctisto fu la sua obbedienza alla volontà del Padre. Essa è continuata nella fede obbediente della Chiesa. Ma continua in me solo quando io rispondo nella fede con la mia pattecipazione al Corpo di Cristo, che è l'unione di coloro che vivono in lui.
15. Tutte le forme della presenza salvifica di Cristo nella Chiesa sotw realizzazioni di questa presenza fondamentale attraverso lo Spirito,~~ accolta tlella fede Il ministero apostolico si fondava sulla fede dei testimoni oculari. Paolo insiste in 1Cor9,1: ·Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, nostro Signore?· Ciò che questa fede apostolica comprendeva non era una selie di proposizioni, ma l'adesione alla persona di Gesù come Salvatore tisotto, un'adesione il cui contenuto può essere riassunto nella professione, resa possibile solo dallo Spirito, -Gesù è il Signore· (1Cor12,3). È quanto predicarono gli apostoli fm dall'inizio, come leggiamo in 1Gv 1,1-4: Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, dò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ... 18 Cf McNamam (nota 9, soprc1) 29: ·Dio è presente all'uomo agen· do nell'uomo.• 19
274
Tesi 2 in Langemeyer (nota 5, sopr.t) 292ss.
n
r,he C11141fa la 11111~'
Anche il ministero petri no si fonda sulla fede di Pietro (Le 22,31-32); in JCor 15,5 (cf Le 24,34) er.t a lui che il Signore risortù appaiVe per primo. Questa fede apostolica è più che la fede degli apostoli nella presenza escatologica di Cristo, che fu significata in Parola e Sacramento nella Chiesa. Fu questa fede che costituìla Chiesa primitiva, secondo il più antico racconto della risurrezione di 1Cor 15,3-6, con quella che fu forse, al versetto 6, l'unica apparizione dopo la risurrezione ai cinquecento. la fede è il fondamento del primo ministero nella Chiesa dopo la risurrezione. Quindi anche il ministero della Chiesa si fonda sulla fede: i discepoli annunciano la Parola e sono suoi servitori, in quanto testimoni oculari di questa fede. Per questo non solo le ipsissima verba di Gesù, ma anche la parola dei suoi discepoli, nel Nuovo Testamento è Parola di Dio. Con un gioco di parole possibile solo in tedesco, I.angemeyer affenna giustamente che la Parola di Dio nel Nuovo Testamento non è solo Wort ma anche Antwort, non solo Parola, ma Risposta, non solo chiamata, ma anche risposta, perché la fede viene a noi solo per la risposta apostolica nella fede alla Parola risorta di Dio.)> Lo stesso è vero per i sacramenti. Le parole sacramentali che evocano il significato storico-salvifico del rito sono le parole della fede della Chiesa , la nostra Antuvrtal Wortdi Dio. Come dice la costituzione del Vaticano II sulla Liturgia, al n. 59, ·l sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono la irrobustiscono e la esprimOnO; per' tnetJiti. 'l ciò vengono chiamati sacramenti della fede ffidei sacra ·· Equesta fede sacramentale della Chiesa è fede nella presenza permanente del Cristo risorto che opera ora, secondo la sua . neIl'econOilU·a sacramentale.deln lonta, attraverso Io Spinto realtà, è proprio questa c;ntinua presenza salvifJCa ora
7"
20
Ibid., 294.
21
SacrostmchJm Conctlium, n. ;9.
275
Cristo risorto che tali ministeri sacramentali rendono possibile ndla Parola e nel Segno. Come ha detto il papa san Leone Magno (440-461) più di 1500 anni fa, in uno dei più incisivi sommari dell'insegnamento della Chiesa cattolica sul ministero ecclesiale, •Quod itaque Redemptoris nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivit-Ciò che era visibile nel nostro Redentore è passato nel sacramento·. 22 Un'ultima tesi:
16. La presenza speciale di Cristo nel ministero liturgico della Chiesa si basa sulfatto che la liturgia è la celebrazione in comune dell'azione salviftca di Gesù tra noi ora. In quanto tale è un 'espressione della fede della Chiesa .!.! Usacramento, cioè la liturgia, è l'espressione esistenziale comune del darsi di Dio in Cristo. È una teofania, un'inuzione nell'ordinario di una straordinaria manifestazione di Cristo in quanto vita-nel-suo-corpo, la Chiesa. Ciò rende trasparente e visibile la profonda esperienza della vita di fede. Anche qui, dunque, è richiesta la fede. Ancora una volta, questo non significa rendere soggettiva la presenza, rendere l'azione salvifica di Dio un ostaggio della nostra fede. La presenza di Clisto non dipende dalla fede individuale né è provocata dalla fede indipendentemente dallo Spirito di Cristo. Ma è dipendente dalla fede della Chiesa, in quanto senza l'Antworl degli apostoli non sarebbe mai venuta ad esistenza. E dipende dalla fede individuale l'essere personalizzata in ciascuno di noi, perché solo la fede solleva il velo. Come ha detto Origene nel suo Commentario ai Romani, 4,2: •Noi vediamo una cosa e ne intendiamo un'altra. Noi vediamo un uomo [cioè, Gesù], ma ere22 23
276
Sermo 74 (De ascens. 2), PL ;4, 39H. Uno sviluppo della tesi 3 ùi B. Langemeyer, 295ss.
lJ Clw CiM/1 /111111~
diamo in Dio•. 11 Questo è il fondamento della leologja dei !lacramenti di Origene: noi vediamo un lavacro di acqua ma crediamo in un'altro:! più grande purificazione; noi vediamo pane e vino ma crediamo in un cibo superiore, il corpo e il sangue di Cristo. Così facendo, noi crediamo in Gesù "per noi", che è il fondamento del nostro "uno per l'altro" in lui, come la nostra unica possibile Antwort a lui, che è a sua volta il fondamento di ogni vita cristiana. Questo è allora ciò che, credo, voglia dire la Chiesa cattolica quando afferma che la liturgia è opera di Cristo intero, capo e membra. Ed è la fede che rende il fano concreto trasparente nella sua verità. In quanto tale, la liturgia è escatologica, perché ciò che è presente è il compimento finale dell'umanità, l'eschaton, in cui Cristo ha già fatto irruzione, portandoci incoativamente con sé. In realtà, come ha detto giustamente Patrick Regan, non è tanto un escbaton, una cosa finale, ma l 'escbatos, la persona finale, Gesù Cristo stesso, la cui vita è in noi attraverso lo Spirito, che è l'era finale verso la cui perfezione noi tendiamo sempre nella fede. 25 È solo così, nel suo Corpo, cioè in noi, che Cristo risorto è visibilmente presente nel mondo. Ed è solo nella sua celebrazione liturgica che la Chiesa è costituita popolo escatologico~ Dio tra le nazioni del mondo. Per questo nell'insegnamento di san Paolo, come in quello del Vaticano II, liturgia e vita in Cristo sono la stessa cosa. Quindi la liturgia non è solo rituale, non è solo un culto, ~ è solo il culto che offriamo a Dio. È anzitutto la venuta ~ 010 a noi in Cristo. Non è individuale o narcisistica, in quanto e anche ministero degli uni per gli altri. È solo anrave~ la ~ fede che Cristo può essere visibilmente presente agli altri 24
PG 14, 968h.
. 25 P. Regan, "Pneumamlogit'lll and E.~bar Uturgkal Celebration", Worsb~Sl (1977) 346-47.
.-15
otogìcal M,--
o1
·.
m
01111• l'w1t'llll' d i nldt•utel R. F Tafl
la situazione presente. L'affermazione che si sente spessoripetere oggi •Non vado in chiesa perché non ci trovo niente. il massimo del narcisismo autosufficiente che esprime il nos;ro tempo, dimostra quanto poco sia compreso questo dono di Cristo che noi possiamo portare agli altri facendo risplendere l'intensità della nostra fede nella vita dell'assemblea! Come ha eletto Gerharcl Delling, ·Il culto è l'autoritratto della religione. Nel culto sono rese visibili le radici eli cui vive la religione, sono espresse le sue aspettative e speranze e fatte conoscere le forze che la sostengono. Sotto molti aspetti l'essenza di una religione è più direttamente intelligibile nel suo culto che nell'esposizione dei suoi principi fondamentali o anche nelle descrizioni dei suoi sentùnenti•. 26 Ciò che Delling dice qui del livello fenomenologico/epistemologico è persino più vero di quello esistenziale: nel culto la religione non solo viene conosciuta, ma è attraverso il culto che essa è mtttita e vive. Per questo, alla fine del IV secolo, le Costituzioni apostoliche, libro II, cap. 59, parlando della liturgia delle ore, contengono l'esortazione del vescovo ai fedeli perché vengano in chiesa non per quello che vi trovano, ma per quello che danno: Quando in-;egni, o vescovo, comanda ed esorta il popolo afre· quentare la chiesa regolannente, ogni giorno al mattino e alla ~ ra e a non rinundard mai, ma a riunirsi sempre per non rimptc· ciolire la chiesa assentandosi e privando il corpo di Cristo di un~ dei l'tUOi membri. Perché questo è deno non solo per il beneficio de• preti, ma ognuno dei laid ascolti come rivolto a se stesso il detto del Signore: .COlui che non è con me è contro di me, e chi non rac· coglie con me, disperde- (Mt 12,30) ... Non disperdete voi stessi~ raccogliendovi insieme, voi che siete membra di Cristo... Non sta· te negligenti con voi stessi, non private il Salvatore delle sue stesse membra, non dividete il !\UO corpo, né disperdete le sue tne~n bra, non preferite i bisogni di questa vita alla Parola di Dio, ma nu· nitevi ogni giorno, mattino e sera ... 26
278
Worsbtp ill tbe New Testametli(London 1961) xi.
/3. Che Cfl.f(J fa /o lilll1]fla?
Questa è sempre stata la testimonianza del cristianesimo ortodosso/cattolico, occidentale e orientale: è attraverso 1a liturgia che Cristo ci nutre e noi viviamo. Un'espressione orientale di questo può essere gustata in uno degli aneddoti che preferisco, già citato sopra al cap. 8, la risposta data dall'anziano sacerdote di un villaggio ortodosso msso al suo interlocutore occidentale che Io infastidiva cercando di fargli capire che la cosa impattante era la conversione, la confessione, l'istruzione catechetica, la preghiera-di fronte alle quali l'esagerato rituale liturgico in cui era immersa la sua tradizione ortodossa passava in secondo piano. Il sacerdote msso rispose: Tra di voi è davvero solo secondario. Tra noi ortodossi (e a queste parole si fece il segno della croce) non è così. La liturgia è la n
Ma l'oriente non ha il monopolio della verità. Lo stesso insegnamento infatti può essere visto altrettanto bene, anche se ' ' . . XII espresso meno drammaticamente, in ciò che dtsse Pto sull'anno liturgico nella sua enciclica Mediator .Deidel1947 (n. 165): •... Non è una rappresentazione f:redd a e PriVa di vira degli eventi del passato o un semplice vuoto ricordo di un tempo passato. Ma piuttosto Cristo stesso sempre viVente nella sua Chiesa.. . . . · Cristo vive, la ltE poiché noi siamo quella Chresa tn cut . Chez !es paysan.~ de la Racmmato da Charles Bourgeo~s S.).. ' • bre 1925", Étlllies PodJadu~ ~t du nord-est de h•l'ologne. Mru1924- c.lét:em 27
191
279
1\uwa. come ct.•k•hr:.t?.ione comune della nostra salvezza in lui i..• l't•spressiom.• più perfetta e la realizzazione clelia spiritualità ddla Chiesa. 2M Ci sono diverse "scuole" di spiritualità in orienlt' t'in <XYidente, ma sono solo varianti locali diverse eli una stes~t rc;tlt;) spirituale originale, la sola spiritualità della Chiesa. E la spiritualità della Chiesa è una spiritualità biblica e liturgica. Lo scopo della spiritualità cristiana consiste semplicemente nel vivere la vita di Cristo, nel "rivestirsi eli Cristo", come dice san Paolo in Ga/2,20: ·Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me•. Questa vita è iniziata, alimentata, rinnovata nella Parola e nel Saacunentcr-in breve, nella Bibbia e nella liturgia, le
In questi par.tgmfi finali riassumo quanto ho già esposto nel mio 3, sopr.t) 346.
La lilurgta delle Oro lrz Ortetlte e iu Occidente (nota
280
l : 0JI! C1NI{u
la IUUiflltl'
sperimentato e rcaliZi'..arc questo mi<;~ero nella ncJStr.t vlla; muna parola, diventare altri Cristo. La liturgia infatti è come una profezia attiva. Il suo scopo è riprodurre nelle nostre vire ciò che la Chiesa esemplifica per noi nel suo culto pubblico. La vita spirituale è solo un altro modo per dire la relazione personale con Dio, e la liturgia non è niente più che l'espressione comune della relazione personale del Corpo Mistico con Dio, che a sua volta è semplicemente la relazione dell'uomo Gesù con suo Padre, data come suo Spirito, suo dono a noi. Il valore di questa spiritualità liturgica è l'unità che essa realizza e manifesta tra il ministero pubblico e il culto della Chiesa e la non meno importante vita spirituale nascosta nutrita di incessante preghiera e di carità vissute in fede e speranza, dai singoli membri del Corpo di Cristo. La pretesa tensione tra pubblico e privato, oggettivo e soggettivo, pietà liturgica e personale, è un'illusione, una falsa dicotomia. Infatti, nel culto pubblico, la Chiesa, in quanto Corpo di Cristo, capo e membra, porta avanti proprio questo lavoro di formazione spirituale. Questo è ciò che fa la liturgia, ciò che la liturgia significa. Ma senza che noi incontriamo questo Cristo totale, capo e membra, e non solo Cristo in se stesso, ma anche negli altri, nella fede, speranza e carità, non realizzerà né significherà per noi dò che essa dovrebbe.
281
14. L'ufficio divino: coro monastico, libro di preghiere o liturgia del popolo di Dio? Una valutazione della nuova liturgia deUe ore nel suo contesto storico*
Nel coro schiacciante di voci di approvazione che accolse le riforme liturgiche del Vaticano II, se n'è udita una discordante.' Riguarda la nuova liturgia delle ore. Nonostante gli sforzi conciliari e postconciliari, c'è stato poco progresso reale nel restaurare l'ufficio divino come parte integrante della linugia parrocchiale nel rito romano. Per capire alcune ragioni di questo fai-
Adattano da René I...atourdle (ed.), Vaticano Il: bilancio e pro2 voli. (Assisi 19!·,'7) l: 62.34Xl.
SfJettfw /l(!lltfctnque amzi dofXJ (1962-1987),
l W. G. Storey "The Uh.lfh'Y ofthe Hours. Prindples and PrJl1i<:e; Worsb;p 46 0972) 194-203: id. "The Hours for tJ1e People-. Lfturgy_l8h
0973) 3-7; id. "Parish Wo1~ship. The Uh.lfh')' of rhe Hours·. rr~orsb;p 4?
~l975) 2-1 ~; id. '"Tile Ut1.1rgy of the Hours: Cathedr:~} vs. Monas!~~ · W~ìf 50 (1976) 50-70; W. J. Grishrooke, ·The Divine OtlJ<.-e anc.l Puhlic ~orslup' Studia_ liturgica H (l971-1972) 155-159; C. Dehne, ·Rom~•~ Catho~ ~ot~•br
~votmns··. in.J. Gallen (ed.). Cbris/ia11sat Pro)'f!l; ururg•c_JI_S!udies(~'~ ?illlle/London, 1977>, H3-99: La rilonna deU'utfido e le mhdle su di ~·;o sono passate in mssegna in Th. A. Schnitker. Pubi/ca oratio. Laudes ma-
~~HfiWe und Vesper als Gemefndegott(!S()iellsff! in diesem.fabrbf!lulert. ~Ile
;""~l~bistorische tmd lfturgfetbeologiscbe llntersucbull,~ (di.,o;ert:mooe (eli uruv. di Mi.inster, 1977), 34-87, spec. 78-84.
283
Jimento nd lavoro liturgico generalmente positivo degli ultimi
den.•nni, vediamo che cosa ci dice la storiogralb contemporanea dell'ufficio divino a proposito delle sue origini e del suo signitìcato nella vita della Chiesa. 2 Prima di decidere che cosa fare dell'ufficio, dobbiamo conoscere che cosa doveva essere. Dalla comparsa nel1945 del classico 17Je Shape q/tbe Lilurgy di Dom Greg01y Dix, si è stati soliti mettere l'ufficio sono il titolo eli "santificazione del tempo", una sotta eli "liturgia del tempo" distinta dall'eucarestia "escatologica". Dix vede inoltre l'ufficio come il risultato della rivoluzione avvenuta nel IV secolo nello spirito clelia liturgia. Nel periodo pre-niceno, quando la vita secolare era pagana-afferma-la liturgia e la vita quotidiana erano distinte ed addirittura opposte. Quando il movimento monastico si diffuse nel mondo del IV secolo, pottò al suo seguito una nuova sottolineatura della edificazione personale nella liturgia cristiana. Per Dix, la Tradizione Apostolica presenta una fonna di preghiera ·dal carattere riconoscibilmente semi-monastico·, che ·rappresenta l'aspetto puramente personale della devozione, separato... dalla liturgia collegiale della ecclesia ... La liturgia collegiale dei cristiani pre-niceni. .. era un culto di assoluta "rinuncia al mondo", che rigettava deliberatamente e rigidamente tutta l'idea di santificazione e manifestazione a Dio della vita e della società umana in genere ..... ~ Questo è lo scenario tracciato da Dix, di cui tutto, egli dice, stava per cambiare nel IV secolo, quando il sistema pre-niceno di preghiera privata, sviluppato dai monaci in gran parte della loro liturgia pubblica, potta all'introduzione di uffici di preghiera nella liturgia pubblica delle chiese secolaii. La liturgia più 2 Per un esame wmpleto, vedi R. F. Taft, La LUurgia delle Ore Il~ o~ellle e t;JCcfde~ll~. le origt11t dell'Ufficio ditJtuo e il suo stguificato oggt(TesU dt teologta 4, CtnL'iello Balsamo (Milano): Ed. Paoline 1988). 3
284
1be Sbape oftbe Lttu'R}'(Westminster. 1945). 324.
vecchia sottolineava l'azione mllegiale ddb Um:<.;:J. 1 m11r, 111 f. fici, sebbene fatti in comune, ~ono t<:si principalrn<:nre ad t:<tpn· mere ed evocare la devozione dd fc:ddc mmc individwJ. e v,. no .un risultato diretto del movimcnro mona~tico-a.<,ectico .. · Esaminiamo dunque questo modello storico proJX)S(o da Dix per vedere anzitutto se un'altra interpretazione non potrebbe accordarsi meglio ai fatti e, secondariamente, che cosa tale visione revisionista potrebbe significare alla luce delle recenti riforme liturgiche.
1. L'apparizione di un ciclo ftsso di preghiera quotidiana nel III secolo Dal Nuovo Testamento e dalla Didache8, 2-3, sappiamo che i primi cristiani pregavano quotidianamente, da soli o in comune, in certi momenti del giorno o della notte. Ma è solo dall'inizio del III secolo che iniziano ad accumularsi le testimonianze di un sistema di preghiera quotidiana specificatamente cristiana a tempi stabiliti. Lo vediamo in Clemente di Alessandria, Origene, Tertulliano, Cipriano e nella Tradizione Apostolica. l. Il cursus. La testimonianza è abbastanza diversa da escludere ogni facile tentativo di armonizzare il tutto in un solo sistema di preghiera senza fare violenza ai fatti. Tra gli egiziani, sentiamo della preghiera del mattino-mezzogiorno-sera-notte, ma niente a proposito delle fonne o del contenuto di questa preghiefa quotidiana. s Le fonti egiziane sono meno interessate ai tempi e ai modi della preghiera che alla preghiera incessante. L'esortazione alla preghiera incessante, ripetuta quattro volte nel Nuovo ~stamento (17SS,16-18; E/6,18; Col 4,2; Le 18,1 e 21,36!, ~ ndamentale per la tradizione egiziana e, attraverso di essa, di-
-----4
lbtd., 326, 328.
ne1_ Clemente, Stromatavn 7 40 3 39.3-4; Pal!dag. 2.9-10; ()rigene, w"(• 12,2. ' • ' ' . 285
1 llfll•
l oi'H'IIfc• c'l on tdc•ll/c·. R. F Jit/1
vt>n:.tla base della preghiera monastic:1. l cristiani dovevano pre-
gart' inces..~mtementc. c i tempi menzionati-tutti normali punti di 1ifeJimento cronologico nell'antica cultura-erano sempliet'mente il modo egiziano di dire che i cristiani devono pregare "mattina, mezzogiorno e notte", cioè sempre. Con i nordafricani e la Tradizione Apostolica, siamo più vicini alla serie completa delle ore che alla fine confluiranno nel Cllt~IIS del IV secolo: preghiera all'alzata, di terza, di sesta, di nona, di sera e durante la notte." 2. Contenuto della preghiera. Nel III secolo, queste ore di preghiera iniziano anche ad assumere qualche forma ed elemento comune. Tertulliano ci dice che le preghiere quotidiane cristiane erano recitate da soli o in compagnia di altri, che er,mo utilizzati gli inni e i salmi biblici e sia lui che la Tradizione Apostolica indicano che a volte i salmi erano eseguiti in modo responsoriale.' Ma, tranne i riti sacramentali, la sola litmgia cristiana che si è evoluta in una chiara forma rituale in questo periodo è l'agape, un occasionale pasto fraterno tenuto alla sera.K La liturgia iniziava con l'accensione delle lampade, una necessità pratica per fornire luce alla liturgia. Ma anche tra i non cristiani, l'accensione della lampada serale aveva un significato più profondo, come abbiamo visto al cap. 9. 3. Significato. Qui vediamo gli inizi di quella che diventerà l'interpretazione comune dell'iniziale cursus cristiano della preghiera quotidiana-la sua "teologia"-specialmente nell'uso di cattedrale. Alla sera e al mattino, al tramonto e al sorgere del sole, ci ricordiamo il passaggio di Gesù dalla morte alla vita,: la sua seconda venuta. 1 Clem. 24, 1-3, alla fine del I secolo, e la nostra prima testimonianza di questo simbolismo: 6 Tradizione Apostoliw 35, 41; Te1tulliano, De orat. 25-27; Ad uxon>m Il, 4,2: De ieiunio 9-10; Cipriano, De domiuica orat. 34-36. 7
Tertulliano, De orat. 27; Tradizione ApOStolica 25.
H
Tertulliano, Apol. 39,1H; Tratlizioue Apostolica 25.
286
14 lll/fk.w1 41ftflf,
Considenamo, t :IIJ..,..,inu, come il Signore ininlerrf..(Umencc u la tutura ri:-.un ez1one, della quale tiM:dc un 10100 nt:f Signore Gesù Cristo ri:-.uscitandolo dai molli. Vediamo, flllt.'i o n b risurrezione che avviem: nella vicenda dd tempo. Il giorno c 13 ~.J( te d mani~es~~mo una r!surrezione; s'addormenta la noue, ric.orgt: il giorno; ti gtorno decima, la notte soprawicne. n"~<mifcsti
Nelle fonti del III secolo, tale simbologia è applicata direttamente alla preghiera del mattino e della sera, come leggiamo in Sulla preghiera del Signore 34-36 di Cipriano: Quando poi il sole tramonta c viene meno il giorno, bisogna mettersi di nuovo a pregare. Infatti, poiché Crio;to è il vero sole e il vero giorno, nel momento in cui il sole e il giorno del mondo vengono meno, chiedendo attraverso la preghiera che sopra di noi ritorni la luce, invochiamo che Crio;to ritorni a portarci la grazia della luce eterna ...
Anche la pratica dell'orientamento nella preghiera testimoniato da Clemente, Origene e Tertulliano" era riferita sia a questo simbolismo di Cristo come sole di giustizia e luce del mondo, sia all'attesa escatologica della seconda venuta del Signore, -come la folgore viene da oriente e brilla fmo a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo- (Mt24,27). Clemente, Pedagogo2,9, è il nostro primo testimOne del carattere escatologico della preghiera cristiana della notte, un carattere fondamentale di tutte le veglie cristiane: Bisogna dunque nel sonno essere pronti a svegliar.ii. Dice iofatti il Signore: ·siate pronti, con la cintura ai ftanchi e le lu<.:erne acl'eSe; siate simili a coloro che aspettano il padrone q~ [Ofl13 ~ le nozze .... (l.c 12,35-37)... Quindi anche di notte bL~ ~· spes.o;o dal letto e benedire Dio; beali coloro d~e veglianO per L sono simili agli angeli che chiamiamo -vigilanlr. lia 9 Clemente, Stromata VII, 7, 43,6-7; Origeoe, De omt. 3Z: TcrDJIno, Apo/. 16; Ad IIQtiOtleS 1,13.
Quindi, dal III secolo la preghiera ctistiana quotidiana ha acquistato non solo una cet1a consistenza e forma, ma anche un fondamento logico. Il sole nascente e la luce della lampada serale alla preghiera vespertina simboleggiano Cristo, luce del mondo. Le ore del giorno richiamano la passione del racconto di Marco; l'ora terza è anche un memoriale della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. La preghiera notturna è escatologica, come la veglia per la venuta dello sposo, e la lode incessante degli angeli. Questa preghiera era "liturgica" o "privata"? La domanda è anacronistica. I cristiani pregavano. Se lo facevano da soli o in compagnia, dipendeva non dalla natura della preghiera, ma da chi era presente quando l'ora della preghiera arrivava. La questione era pregare. In tempi di persecuzione, o in giorno lavorativo, questo significava abitualmente farlo da soli. Quando potevano trovarsi as..'ìieme, lo facevano, perché la natura stessa della Chiesa significa raccogliersi. Ma, da soli o insieme, la preghiera era la stessa.
2. L'ufficio di cattedrale nel lV secolo Dopo la pace di Costantino nel313, il culto cristiano che precedentemente era affare clandestino di una minoranza perseguitata, divenne parte integrante della vita pubblica quotidiana dell'impero romano. La liturgia delle ore era parte di tale esplosione di sviluppo liturgico. In questo periodo si sviluppano tre tipi di ufficio: (l) di cattedrale, (2) egiziano-monastico, e (3) urbano-monastico. Queste non sono tre tappe successive nello sviluppo di un unico ufficio, ma tre tipi distinti di ufficio eh~ si svilupparono in tre aree separate della vita della Chiesa. l pnmi due simultaneamente dalla metà del IV secolo. Il terzo, una sintesi dei primi due, è già visibile nell'ultimo quarto dello stesso secolo. L'ufficio delle chiese gestite dal clero secolare è chiamato "eli
288
14 L 11/fii..IIJ dtt·1ntl
cattedrale" piuttosto che "parrocchiale", perché per ~c()Ji iJ Cl-otro di Ul(ta la vita liturgica era la chiesa del vescovo. L'ufficio comprendeva liturgie popolari caratterizzate da simbolo e cerimonia (luce, incenso, processioni, ecc.), da canti (respont;Ori, antifone, inni), da diversità di ministri (vescovo, presbitero, diacono, lettore, salmista, ecc.), e dalla salmodia che era limitata e scelta, piuttosto che continua e completa. I salmi cioè non erano letti uno dopo l'altro in maniera continua secondo il loro ordine numerico nella Bibbia. Piuttosto, venivano scelti alcuni salmi o sezioni di salmi per la loro adeguatezza all'ora o all'ufficio. Inoltre, gli uffici di cattedrale erano uffici di preghiera edi intercessione, non una liturgia della Parola. Contro una idea sbagliata diffusa, tranne in Egitto e in Cappadocia, nel primitivo ufficio di cattedrale non c'erano letture scritturistiche. 10 Sentiamo per la prima volta di questo ufficio all'inizio del IV secolo, da Eusebio di Cesarea in Palestina (ca. 263-339). Nel suo commentario al salmo 64,9, ci dice ·che attraverso il mondo intero vengono offerti a Dio inni e lodi, vere delizie divine, al sorgere del sole del mattino e alla sera nelle chiese di Dio.• Da allora, dal IV secolo, abbiamo testimonianza di tale ufficio popolare in Egitto, in Cappadocia, a Cipro, ad Antiochia e i suoi dintorni, a Costantinopoli e in Palestina. 11 Quello che è più rilevante, le fonti concordano sulla struttura fondamentale di questi uffici: preghiera mattutina e funzione serale aperte con un salmo fisso-il salmo 62/63 o 50/51 al mattino e il salmo l40/141 alla sera-e conclusi con intercessioni per i bisogni del ~~lo._ Aq~testa struttura di base, sempre nel IV secolo, furono raggiunti altri elementi, a seconda del tempo, del luogo e dd ~tt:re della funzione. Alla preghiera del mattino, ad esempiO, vedtamo il Gloria in excelsis e i salmi di lode; alla sera, un in-
--10
Vedi Taft, La Liturgia delle On!, cap. 3.
UITì~~ di ~edi ibtd., t'app. 3 e 5, per complete infonnazioni su) prioùliVO cattednlle in queste aree.
289
no per ~K~:ompagnarc l'accensione della lampada e l'offerta ddl'ìnccnso con il salmo 140. Occasionalmenre sentiamo di una lt·tn.tra c dì un'omelia. Qui non abbiamo spazio per spiegare tutta la testimonianza. Diamo solo un'occhiata ai nostri primi esempi, dalla C:.lppadocia, dove vediamo un ufficio di cattedrale ancora molto vicino alle sue radici domestiche. Gregorio di Nissa (t 394) nella sua Vrta di santa Macrina, descrive la morte della sorel-' la, avvenuta nel 379. Il giorno prima, Gregorio avrebbe preferito restare con la debole Macrina, ·Ma-ci dice-la salmodia dei cantori invitava a Iingraziare per la luce, e lei mi mandò in chiesa.• 12 Nella Tradizione Apostolica (ca. 215), lo abbiamo visto al cap. 9, questo lucernario era collegato anche con l'agape, e includeva una preghiera di Iingraziamento per la luce. Verso la fme del IV secolo in Cappadocia, questo rituale e il suo nome sono stati incorporati nei vespri di cattedrale. Vediamo questo nuovo sviluppo già nel 374 nell'orazione funebre di Gregorio Nazianzeno per suo padre. n Sullo Spirito Santo 29 (73), di un altro fratello di Macrina, san Basilio, ci fornisce la preziosa informazione che questo "rin· graziamento per la luce" era l'inno vespertino Ph& hi/aron, che è ancora l'inno del lucernario dei vespri bizantini secondo la tra· dizione di san Saba. Sembra che Basilio abbia conosciuto la litania dell"'angelo di pace", formula tradizionale di congedo alla fine dell'ufficio della sera. Nella Lettera 11 scrive: Dopo aver trascorso, per grazia di Dio, il giorno .int~ro in <.:ompagnia dei nostri bambini e dopo aver celebrato per Il Stgnore una fe..,ta veramente completa ... li mandànuno a vostra eccellenza
· e (SC
12 P. Maraval (ed.), ';Grégotro de Nysse'; Vie de s. Macnll · · 17H, Pari.c;, 1971), cap. 22, 212. 13
290
Oratio, 18, 28-29, J>G 3;, 1017-1021.
14 L'tif/lcl" dlt1#n<1
in buona salt~tc, dopo av~r pr~)!.ato Dio, a1nante degli uomini di dar loro un angelo di p;tec t(Jlllc aiuto c com(YJgno di viaggio,:.''
Troviamo la stessa cosa in Siria. Attorno al 380, le Costituzioni apostoliche (Il, 59) riferiscono dei salmi 62 e 140 come salmi d'inizio dei due setvizi quotidiani, e forniscono anche iJ testo di prolisse intercessioni, che si concludono con le petizioni dell'"angelo di pace", una benedizione finale e il congedo (VIII, 35-39).'~ Mezzo secolo dopo, Teocloreto (ca. 393-466), vescovo di Ciro, una piccola città ad est di Antiochia, testimonia l'abbellimento cerimoniale eli questa struttura di base nel suo Questioni sull'Esodo (posteriore al453), quando parla dell'·incenso e la luce delle lampade che noi offriamo a Dio, come pure il servizio dei misteri della sacra mensa.·'6 In altre parole, oltre all'eucarestia, la liturgia cristiana include uffici con un rituale della luce e l'uso dell'incenso. Per quanto riguarda gli sviluppi della preghiera mattutina, i salmi di lode sono già attestati alla fine del secolo da Crisostomo ad Antiochia e da Cassiano a Betlemme, 17 e da altre fonti del periodo sappiamo di elementi come il Gloria in excelsis e un cantico dell'Antico Testamento. '8 Sebbene la testimonianza occidentale sia successiva, la stessa struttura di base e gli stessi sviluppi si possono vedere anche là. Gregorio di Tours (ca. 540-595), ad esempio, descrive la preghiera mattUtina come comprensiva del Miserere (Sa/50/51), del cantico del S. Basilt:, Lettn!S, vol. I, Y. Courtonne (ed.), (Paris, 1957) 41·
14 15
se 320, 324; se 336, 246-z;4; dVIII, 6-9, se 336, 150-I66.
16
PG HO 284.
17 . Crisos~omo, In l Ttm bom. 14, 3-4; Cassiano, Jnst.l~, ~:n·ill rprtlaZJon~:: di qu~::sti tt!sti, vedi Taft, La Liturgia delle Orr!, a~p. · 18 A l 68 (69) 3' Const .Ap., VII, 47, se 336 l t:s., Crisostomo, Itz Matt bom. d>' 1· 6. Ps -Attna.'ìio. De V{ • 112; Basilio, Lettera 2, 2, Y. Courtonne (e · • • ' .. (111 19 neft
Il!
2a'Rill!tate 20 (ca. 370), E. von der Goltz (ed.), J)e Vfrghlitate 'klpzig, 1905), 55-56.
'
291
Daniele 3,57-RS, dei salmi eli lode e delle intern~s..,ioni conclusive. N Che cosa potcv~l e:->scre più semplice di queste devozioni popolati? Tutta la comunità locale è lì, vescovo, clero, popolo. Esperti cantori intonano versetti differenti, mentre la pa 1tecipazione del popolo è assicurata attraverso un repe1torio limitato di ritornelli fissi ed inni. Il se1vizio si apre con un salmo invitatoriale fisso, scelto per fissare il tono. Seguono due o tre altri inni scelti, salmi o cantici biblici. Poi il diacono proclama le litanie per le intenzioni del popolo. Il breve servizio tennina con una colletta ed una benedizione finale del vescovo, quindi via al lavoro o a casa, a cena e a letto. Crisostomo ad Antiochia nel390 ca. dà la motivazione delle due sinassi quotidiane di cattedrale nelle sue Catechesi battesimali VIII, 17-18: &mC"rlicite di
Siate molto diligenti nel venire qui presto al mattino per presentare preghiere e lodi al Dio di tutti, per ringraziare per i benefici già ricevuti e per implorarlo di degnarsi di esserci un vicino alleato che ci protegge nel futuro ... Ognuno vada alle sue faccende con timore e tremore, e così passi il giorno come uno che deve tor· nare qui alla sera a rendere conto al padrone dell'intero giomo e a chiedergli perdono per le inadempienze. Poiché è impossibile ... evitare di essere esposti ad ogni genere di errori... Ecco perché ogni sera dobbiamo chiedere perdono al padrone per tutte queste colpe ... Dobbiamo poi trasmrrere il tempo della notte in sobrietà . e così essere pronti per presentarci di nuovo alla lode de l matuno. )!
Nel suo Commento al salmo 140, Crisostomo ripete lo stes· so insegnamento/• e spiegazioni simili sono date da Basilio, 19 Vitae patrnm 6,7, Monumenta Gem1aniae Historica, Serm. 68; (• PL 71, 1034).
20
se ;ohis, 2;6-2;7.
21
PG ;;, 426-430.
292
!,
14. L uf/lctr, dii~ w,
Cassiano ed altri. 11 Dunque la teoria è tanto semplice quanto la stn~tnua. Al mattino, ci raduniamo per consacrare il giorno a Dio inizianclolo con le sue lodi, ringraziandolo per i benefici passati e implorando la protezione continua per il giorno che inizia. Alla sera, ritorniamo a ringraziarlo per le grazie della giornata, chiediamo perdono per le colpe e cerchiamo la protezione per il terrore della notte, paure molto reali quando non c'era l'elettricità e prima di una comprensione più complessa della natura dei sogni e del sonno. Per dirla in termini attuali, la preghiera di cattedrale mattutina era una specie di offerta del mattino in comune, e i vespri un comune esame di coscienza e atto di contrizione.
3. L'uffu:io monastico egiziano Mentre la fonnazione della liturgia delle ore di cattedrale era in via di sviluppo, una serie parallela di uffici si evolveva nelle comunità monastiche. Giovanni Cassiano, che dal 380 al 399 circa visse aScete, l'attuale Wadi an-Natmn, a 65 Km a nordest del Cairo, ci ha lasciato una dettagliata descrizione degli usi del basso Egitto.u C'erano solo due uffici, uno al canto del gallo, alle prime ore del mattino, e uno alla sera. Entrambi gli uffici comprendevano dodici salmi, con una preghiera personale, una prostrazione e una colletta dopo ciascun salmo. La preghiera si concludeva con un Gloria Patri e due letture della Sacra Scrittura. Un altro ufficio monastico egiziano del quale si hanno att~ stazioni è quello delle fondazioni cenobitiche iniziate da Paconoo
------VI 22 Bllsilio, Regole più ampie 37, 2-;; Cassiano, Coli. 21,6: Const. Ap. n, 34, 37-38, se 336, 242, 246, 248-2;2. 23 Inst., Il, H 1; m, 2; cf Taft, l.tl Liturgia delle Ore, OlP· 4·
293
~lt-t.. itie~
a non.1 di Teht.•.'' Alla sinassi, i monaci seduti conu. nu.1\'a00 i loro tradizionali lavoti manuali intrecciando giunchi per fabhrican· t-estini e stuoie, mentre le persone stabilite anela. vano ;t turno all'ambone per recitare un passo biblico (non net~ria•nente un salmo). Dopo ogni passo, il lettore dava un segnale e tutti si alzavano, facevano il segno della croce sulla fronte e recitav·.mo il Padre nostro con le bmccia apette a fanna di croce. Al secondo cenno si segnav-.mo ancora e si prostravano a terr.t. p~'lll._'tCndo i propri peccati. Poi si alzavano, si segnavano di nuovo e pregavano in silenzio. Dopo un segnale fmale si sedevano ancora una volta per ticominciare l'intero ciclo. Quello che vediamo in queste fonti egiziane è un puro uffi. cio monastico. Come nel sistema di cattedrale, c'erano solo due ore, all'inizio e alla fme del giorno. Ma qui fmisce la somiglian· za, perché l'ufficio monastico non era una cerimonia liturgica, ma una meditazione sulla Sacra Scrittura fatta in comune. Qui sarebbe anche anacronistico chiedersi se questa fosse preghiera "privata" o "liturgica". Per i primi monaci c'era una sola preghiera, sempre personale, talvolta fatta in comune con al· tri, talvolta da soli nel segreto del proprio cuore. Nella lettera· tura monastica dell'epoca di fondazione, l'unica differenza tra preghiera solitaria e preghiera comune era se ci fosse più di una persona presente. Lo stesso vocabolario della preghiera tradì· sce la medesima mentalità nei primi documenti monastici. 21 Il tennine "sinassi" è usato indifferentemente sia per le assemblee comunitarie che per le preghiere dei solitari. E le fonti pacemiane usano la stessa tenninologia ( meletan, apostètbizein) per riferirsi alla meditazione sulla Sacra Scrittura da soli o alla comune sinassi.:r. La questione non era con chi uno pregava e nepVali Tali. loc. clt per Ja c.kx:umentazione pertinenre. Loc. cii. c A. Veilleux, La fltuJXIe daiiS le cétwb{tisme pacbfJmfell m1 quatrlème slècle(Studia Anselmiana 57, Roma, 1968) 293sli· 26 lbld. 308.
24 2S
pure dove, né in çhc forma, o in quali momenti ddmninati, né in quante sinas.."ii wmunitaric, ma che la vira di ogni individuo fosse totalmente preghiera. l pacomiani Facevano t'ufficio usieme, gli anacoreti di Scete si riunivano solo nel Fine settimana, ma nella loro mente questo non cambiava in nessun modo la natura della loro preghiera.
4. L'u.[fido monastico urbano Ma il deserto egiziano non era la sola culla monastica nel IV secolo. Epifania di Salamina nel suo trattato Sui/a fede 23,2, sailto verso il374-377, ci informa che -alcuni monaci risiedevano nelle città, altri invece nei monasteri e si ritiravano in zone remote•. Alla fine del secolo, oltre ai semplici uffici di cattedrale emonastid, si stavano evolvendo uffici misti per opera dei monaci che abitavano vicino ai centri urbani in Palestina, Mesopotamia, Siria e Cappadocia. Questi monaci erano in contatto con la vita delle chiese officiare dal clero secolare e adottavano nei loro uffici gli usi di cattedrale, senza abbandonare comunque la salmodia monastica continua ereditata, a quanto pare, dal basso Egitto. 27 Dunque, alla fine del IV secolo, i monaci dei centri ulbani che erano fuori dall'Egitto avevano fatto fare allo sviluppo della liturgia delle ore tre passi ulteriori: l. Avevano fano una sintesi degli usi monastici e di cattedrale adottando elementi della preghiera di cattedrale del mattino e della sera conservando allo stesso tempo Ja .saimodia mo' . nastlca continua all'inizio e alla fine della giornata monasnca. . 2. Avevano riempito l' borarium giornaliero~~ ore liturgiche fomlali di terza sesta e nona, fissandole agli akri ttadizionali tempi di preghi~ra privata cristiana-· 27
Vedi Taft, La UIU'1Jia delle ()n!, cap. S.
~.Avevano introdotto un
nuovo ufficio, la compil'ta, come pre~hiem all'or.~ di andare a letto, duplicando così i vespri. Sia per il sistema egiziano che per quello di cattedrale, è ai vespri che si rivede e si conclude il giorno. Questo è una sotta di ufficio ibrido descritto da Cassiano per i monasteri della Palestina, Mesopotamia e Gallia; per Antiochia da Crisostomo; per Cesarea da Basilio; e per l'Italia dalla Regula Magislri e da Benedetto. 21\ Sebbene gli ingredienti eli base restino gli stessi, la ricetta cambia da luogo a luogo. In generale gli uffici orientali, all'infuori che in Egitto e in Etiopia, conservarono meglio l'integrità delle antiche ore di cattedrale. 29 Ma a Roma, dove le grandi basiliche erano se1vite da comunità monastiche, predominava il carattere monastico."'' Una forma abbreviata di questo ufficio romano prevalentemente monastico era la preghiera quotidiana della curia papale sotto Innocenza III nel1213-1216, adattata a sua volta e diffusa nell'Europa del XIII secolo dai Frati Minori, e codificata infine nella riforma dell'ufficio che ebbe origine dopo il Concilio di Trento:11
5. Alcune conclusioni daUa tradizione: verso una teologia della Uturgia deUe ore Questa storia ci ha portato lontano da Greg01y Dix. Egli sostenne che l'ufficio era tm risultato diretto del movimento monastico. Ma noi abbiamo visto che esso è in continuazione diFonti importanti citate in tbid., capp. 5 ~ 7. Vedi ibid., part~ n.
28 29
li .1 ~~~id.. L<tp.? ~G. F~rr.1ri, Early Romau Monasteries (StmU di an· c uta m~tl.ln;~ 23, Cma dd Vaticano, 1957) xi.x, 365-375.
.3? ...
~ J ~:~.zd~~ft, La lifiiT"Ria delle Ort>, cap. 19, ~ sopmttutto S. J. P. Van Oijk Ut;l Ce
,
tbn
Walker.
Tbe On'gius of the MO
0 :J? ,if< e Papa/ Coun a11d tbe Fra11ciscan Order tu tbe Tbuteentb ' li'J l.ondon & W~stn'\i.nster, MD, 1960).
296
,.. ' Jt/IU· ~
uru1 tradizione di preghiera quOOd;ana che eJileY:I ma che si fosse sentito parlare di monachesimo. Egli~ uffici di cattedrale per essere più un'espressione deUa pieU ~ dividuale che un'azione collettiva della Chiesa. Ma Costitllzion; apostoliche (Il, 59) del IV secolo è piuttosto esplicita su queso punto: retta con
Quando insegni, o vescovo, romanda t'd esorta apopolo afrequentare la chiesa regolarmente, ogni giorno a( mattino e ala !era e a non rinunciare mai, ma a riunirsi sempre per non rimpio:i>lire la Chiesa assentandosi e privando iJ corpo di Csioito di uno dei suoi membri. Ognuno dei laid ascolti come rivokoa se~ il dfs.. to del Signore: .COlui d1e non è con me è oonlro di me, e dli si l& sce a me disperde· (Mt 12,30), perché quesro non è stato deao solo per i sacerdoti. Non disperdetevi non riunendovi insieme, \'oidle siete membri di Cri~o ... ma riunitevi ogni giorro maRino e ser.a. c.:mtando salmi e preghiere nella casa del Signore, aJ mattino C2ntmdo il salmo 62 e alla sera il salmo 140. Ma specialmenle al sabillo. e nel giorno della risurrezione del Signore, inconcrateVi con msgior attenzione, innalzando lodi a Dio ....!!
La sola conclusione che si riferisce ~e aD'ufficio quotidiano e all'eucarestia domenicale IJl()S(I2 che oon c'è alcun fondamento per distinguere na messa come •azione della Chiesa in quanto corpo" e "uffiào di devozione" del IV secolo. Quanto all'accusa che lo spirito di queste funzioni, dirette all'edificazione, fosse una novità, non c'è alcuna differenza tra questa e lo spirito delle assemblee cristiane nel N~vo Testamento stesso, dove lo scopo della sinaSSi eta preasamente costintire il popolo di Dio in Corpo di~· . E, come si può seriamente contrappo~ l~ : ore, luna come "escatologica", le altre come ~. tempo", quando gli scrittori primitiVi collegavano espld:lmente il simboUsmo della preghiera del roattin<>. delb sef2 e 32
se 320, 324. 1!J1
Cllfno /ill1t'1tlt' t•li~t.'c:ftlt•lllt' i R. 1-'. Tajl
dt•lla notte alla seconda venura di Ctisto e alla risurrezione del cotpO nell'ultimo giudizio? In queste fomi primitive, è chiaro che le ore non ricavano il loro significato dalla vita quotidiana come opposta all'attesa escatologica di un altro mondo, né dal ciclo naturale del mattino e della sem, né dalla devozione ed eclificazione personale come distinta dal culto della comunità. Piuttosto, assumono il loro significato da ciò che unicamente d1 significato a tutto il culto e la vita cristiana: il mistero pasquale della salvezza in Gesù Ctisto. Tutta la liturgia è una celebrazione della vita cristiana, e lo stesso è vero per la liturgia delle ore. Non è né più né meno che una comune celebrazione di ciò che noi siamo diventati in Cristo. La preghiera del mattino e della sera, con il battesimo e l'eucarestia, erano i modi principali in cui la Chiesa primitiva esercitava questa leitourgia. Non c'è un particolare significato mistico del mattino e della sem come tempi di preghiera. Essi sono l'inizio e la fine del giorno, e dunque era perfettamente naturale sceglierli come "momenti sìmbolicì" in cui esprimere ciò che deve essere la qualità di tutto il giorno. Il simbolismo non era arbitrario, ma tratto dal Nuovo Testamento stesso, dove l'oscurità è peccato e male, la luce grazia e salvezza, e Gesù è la luce del mondo. Così, nella Chiesa primitiva, il battesimo era chiamato photismos, "illuminazione", e quelli che stavano per essere battezzati erano photizomenoi, i/luminandi, coloro che stanno per essere illuminati. E i ctistiani pregavano tivolti ad oriente, guardando il sole nascente come un simbolo del Signore risorto, luce del mondo. Dal momento che il fenomeno naturale che caratterizza l'inizio e la fine del giorno è il crescere e il calare della luce, che cosa poteva esserci di più normale dell'integrare la preghiera del mattino e della sera con testi e riti che manifestano il mattino e la sera come sacramenti di questo mistero di salvezza in Cristo? Così, quando iniziamo la giornata con la preghiera, il sole nascente ci ricorda quel vero Sole di giustizia nel cui sorgere rice·
298
14 L'tifA/t, d~~J~rrt,
viamo la luce della salvezza. Basilio' Cr cntt,._,. r_ . . ' 1·....... ~........ '"""~no e Costituzioni aJX_JSloliche VII, 38-39, tutti chiariscono che la preghiera del mattmo selVe per consacrare il giorno alle opere di Dio, per ringraziarlo per i benefici ricevuti, specialmente per quello della redenzione nella risurrezione di suo Figlio, per riaccendere il nostro deside1io di lui come rimedio contro il peccatO, durante il giorno che inizia, e per chiedere il suo costante aiuro.» Alla sera, conclusa la giornata di lavoro, torniamo ancora una volta a Dio in preghiera. Il calare del giorno ci ricorda le tenebre della passione e morte di Cristo e la natura effimera di Mta la creazione terrestre. Ma il dono della luce ci ricorda ancora Cristo, luce del mondo. Come alla preghiera del mattino, la liturgia del vespro fmisce con le intercessioni per i bisogni di tutta l'umanità. Quindi, nella colletta e benedizione finale, fin. graziamo Dio per le grazie del giorno, soprattutto per la grazia di Cristo risorto, chiediamo perdono per i peccati del giorno, e protezione per la notte che sta giungendo..l4 La richiesta di protezione nell'oscurità della notte ha sottintesi escatologici: lo sposo verrà nella notte e noi dobbiamo essere trovati pronti, con le lampade accese (Mt 25, 1-13~ Questo è un tema tipico della preghiera notturna; lo è anche~ tema cosmico di coloro che nella veglia uniscono le loro voa a quelle degli angeli e a tutta la creazione nella preghiera a Dio, come nel Benedicite di Daniele, mentre il mondo donne. n Quindi, la primitiva tradizione di preghier.t pubbl~ no~ eucaristica non aveva niente a che fute con le teorie di"~ . del "tempo o del tempo", con kairose chronos, con una li~~ . nosro l'uf· della "storia" distinta dall'eucarestia "escatologtca · Pru ' 33
Note 23-24 sopra.
34
Loc. CII.
•· 111m /1ol&
-' .d, 41 Cris()li(OillO "' 35 Clemente, Paedag. 2,9; .rra". ''~"" • ta delle ore. ap. 9. 14,4. Per le veglie successive, vedi Tah, La /Jturg
fK"ìo del m:.tttìno dedica il nuovo giorno a Dio, e l'ufficio della set~t. alla conclusione del giorno, ci conduce a titlettere sulle ore appena tr.tscorse, ringraziando per ciò che hanno portato di bene e r.munaricandoci per il male che abbiamo fano. Sì noti la limpida semplicità della teologia liturgica della Chiesa ptirnitiva, riflessa nella struttura fondamentale e nello ~-pirito della preghiera del mattino e della sera. Come la preghiera sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, esse sono una glorificazione di Dio che scaturisce dalla proclamazione gioiosa delle sue azioni salvifiche: -Grandi cose ha fano in me l'Onnipotente! Santo è il suo nome!· (Le 1,49). Questo è il nucleo della preghiera biblica e liturgica: ricordo, preghiera e ringraziamento----che quindi può sfociare nella richiesta perché Dio continui acl elargire la sua protezione salvifica nel nostro tempo di necessità. Nella tradizione liturgica primitiva, ciò che noi richiamiamo e celebriamo è un unico evento, il mistero pasquale nella sua totalità, il mistero di Cristo e della nostra salvezza in lui. Questo è il significato del battesimo; il significato dell'eucarestia; come pure il significato dell'ufficio divino. Quindi, la liturgia delle ore, come tutta la liturgia cristiana, è una proclamazione della salvezza ricevuta in Cristo, una glorificazione e un rendimento di grazie per tale dono, e un grido di speranza nel suo compimento finale. Non è una preghiera monastica o clericale, ma semplicemente la preghiera del popolo di Dio. Questo è il motivo per cui Costituzioni apostoliche II, 59, già citato, 16 esorta la comunità ad essere regolarmente presente agli uffici della preghiera del mattino e della sera e dichiara esplicitamente che questa esortazione è diretta non solo al clero ma anche ai laici. Si sente spesso che cette categorie e gmppi nella Chiesa sono "deputati" a pregare l'ufficio in nome della Chiesa. Ora, si può pregare per tutti, inclusa la 36
300
Sopm alla nota 32.
14 t·Hf/b,d*"'tb
Chiesa. Ma nessuno può pregare al posto dt qualcun ab quasi fosse una mOla di preghiera vivente che gira in ma . ro, vicaria, mentre il mondo va per i fatti suoi. Qualcuno può sere chiamato ad assumere liberamente le obbligazioni di una vita dedita totalmente alla preghiera comune, ma non nel senso che essi sono gli uoranti ufficiali" per gli altri, i quali possono perciò considerarsi esonerati dal comando evangelico di pre· gare sempre. La responsabilità della preghiera comune incombe su tutti. Nessun monaco o monaca antichi aveva l'idea di .assolvere un atto in nome della Chiesa~ nella sua preghie. ra. Questa nozione puramente latina è ampiamente il risultato del monachesimo urbano occidentale a partire dal V·Vl seccr lo, quando le comunità monastiche prestavano servizio nei maggiori santuari delle città, come nelle grandi basiliche nr mane, ed erano responsabili del culto pubblico. Quindi la "nùstica liturgica" del moderno monachesimo è più debitrice verso la rinascita religiosa neogotica del roman· ticismo del XIX secolo di quanto lo sia rispetto ai Padri della Chiesa. Per i primi monaci, la vita era una continua preghiera,.. senza nessuna suddivisione in compartimenti stagni tra ~ ghiera "liturgica" e altri tipi di preghiera e attività. Essi pregawno mentre lavoravano e lavoravano mentre pregavano. Dovunque fossero, in refettorio, in oratorio, nei laboratori di lavoro, in cella, le differenze erano solo accidentali. Attendere all'ufficio non esauriva l'obbligo del monaco di pregare più di quanto l'andare alle ore di cattedrale assolvesse i laici dal vivere il mistero pasquale durante il resto del giornO- La
O:
37 A. de Vob>iié, lA Règll! du s. Benoft VD: Comtnelltuire doc;htftlll et spirttuei(SC hors ~rie, P
l~u-gi.1 ll'ÌSti:ma è un simbolo di vita, della vita autodonata di Cristo
e della nostra vita in lui, e finché il mistero cekbrato non diventa un mistero vissuto, è fatto invano. Quando i cristiani vegliano dwanti a Dio, non fanno nient'altro che esprimere in modo sitnbolico quella che deve essere l'istanza fondamentale di ogni momento della loro vita. Questo è il signitìcato di tutta la liturgia, incluse le ore di cattedrale e monastiche. La sola differenza tra i laici e i monaci è che i monaci trasfonnano il simbolo in vita. Gli antichi anacoreti vivevano la liturgia piuttosto che celebrarla: tutta la loro vita era una veglia continua davanti al Dio vivente. ~
Dalla liturgia allibro di preghiera: in occidente
l'ufficio diventa un breviario Solo dopo che l'ufficio diventa un obbligo esclusivamente clericale, e solo molto dopo, nella tendenza generale occidentale verso la privatizzazione di una liturgia già clericalizzata, la preghiera un tempo comune del popolo di Dio diventa un libro di preghiera per l'uso privato del clero. Oggi, naturalmente, c'è una reazione contro questo obbligo clericale, ma non è necessariamente quella esatta. L'obbligo occidentale di "recitare il breviario" è considerato come un prodotto relativamente recente di un legalismo inadatto alla nostra moderna mentalità. La realtà dei fatti è qualcosa di più sfumato. Perché è tradizionale che le ore siano considerate obbligatorie. La novità è pensare che solo il clero vi sia obbligato. Nella Chiesa primitiva era un obbligo della suocera del prete come del prete stesso. Quindi, quello che non è tradizionale non è l'obbligo dell'ufficio, ma la sua clericalizzazione. Come in tanti altri casi nella storia della Chiesa, ciò che una volta era proprietà dell'intero popolo di Dio è degenerato in un residuo clericale di ciò che originariamente era chiamato ad essere. Naturalmente non bisogna biasimare per questo il basso clero. Essi furono le princi·
302
14. L uf/lc/11 dlt!l,,
pali vittime di sviluppi che andarono oltre il suo ' ff" . ll . Controllo Quando l u JCIO cre_J :>e 1~ un_ ca~i~o insopponabile e continuÒ ad essere celebrato m latmo, 1la1c1 semplicemente -- celebrarlo in pubblico se ne andarono e 1·1 clero non pote, p1u e fare qualche altra cosa nel corso del giorno.
7. L'ufficio riformato: una critica Con l'avvento del movimento liturgico e la costituzione risultante dal Vaticano II sulla Sacra Liturgia, venne la speranza che la liturgia delle ore diventasse ancora una volta liturgia. Questa speranza è stata realizzata? La riforma del Vaticano II riuscì a risolvere i problemi di linguaggio e di lunghezza, ma molti credono che la mancanza di volontà per rompere in una maniera più radicale, non solo con le forme, ma anche con la mentalità di questo passato, abbia danneggiato la recente riforma dell'ufficio romano. Nelle discussioni del post-Vaticano II sull'ufficio, più di una voce informata si sollevò adducendo il caso di un ufficio "di cattedrale" popolare, disponibile per le celebrazioni pubbliche nelle parrocchie. Ma quando si legge il recente resoconto di Annibale Bugnini sulle deliberazioni della commissione per la riforma dell'ufficio,"') sono chiare tre cose: l. La logorante preoccupazione della commissione era prc:r durre un libro di preghiera per il clero e i religiosi. 2. Era semplicemente presunto che questa pre~era ~osse fatta, per la maggior parte, in privato. La celebrazione_ con il popolo", come la chiamavano, era invisa ed anche densa, ma tut· to il tenore e il vocabolario della discussione mostranO che questa era l'eccezione e non il punto di partenza per la comprensione delle ore. O"C'I c 3 Roma. 1983), 482-;;7. 39 La rtjonna lih.tTMial (1948-1975)(m;.o..> ' /JaSstm, sopr.tttuno 482-483, 503.
3. La base storica sottostante a gran pane della discussione era carente in modo imbarazzante, fondata com'era quasi esclusivamente sulla tradizione latina postmeclievale. Gli stessi difetti di clericalismo, privatizzazione ed ignoranza della tradizione antica ed orientale si possono vedere anche nelle discussioni sulla concelebrazione eucaristica, e sono dawero specifici di molte iniziative liturgiche occidentali. Nei dibattiti sull'ufficio della commissione postconciliare, si può vedere, ad esempio, affiorare questo problema nelle critiche per cui tale ufficio era troppo "monastico". "1 Ciò che si intendeva era che aveva elementi designati per l'uso comune-<:ome se storicamente questa fosse la caratteristica di un'usanza monastica invece che secolare! Allo stesso modo, le obiezioni contro l'introduzione di intercessioni generali alla fine delle lodi e dei vespri mostrano un'assoluta ignoranza dell'enorme rilievo che tali richieste detenevano nel primitivo uso di cattedrale. 11 A queste condizioni non c'è da sorprendersi che la nuova Liturgia delle ore abbia un'impronta monastica. Un tale ufficio, più una preghiera contemplativa che un servizio devozionale popolare, può essere adatto soprattutto per la preghiera privata del clero e dei religiosi. Ma questo sfiora il problema reale, cioè se la liturgia delle ore sia un libro di preghiera per il clero o qualcosa di più. Ma non desidero fare la Cassandra. La flessibilità è una delle caratteristiche della liturgia romana cattolica del post-Vaticano Il. Inoltre, il desiderio di una celebrazione veramente pubblica della nuova liturgia delle ore e, cosa più importante, della sua teologia sottostante, trovano una piena collocazione nell'eccellente Istruzioni Generali sulla Liturgia delle Ore del 2 feb40 41
304
Ibfd., 503. lbtd., 543. nota 2.
bra io 1971. '2 Tutto quello di cui c'è bisogno è un po' di immaginazione. Prendendo una pagina del nuovo Lurheran fh.Ju.( Worship degli Stati Uniti o del Book of Common Prtl)t'repiscopaliano, alcune comunità hanno trovato che un lu.cernarium può semplicemente essere usato per aprire i vespri •ufficiali", e ciò è certamente in accordo con lo spirito di Istruzioni Generali. Inoltre, lo stesso documento fornisce una taJe varietà di inni e tipi di salmodia che il vero problema non sta tanto nelle limitazioni dell'ufficio in sé, quanto nell'incompetenza di coloro che sono incapaci di celebrarlo propriamente e nell'indifferenza di quelli che non lo celebrano affatto. Ciò che porterà il futuro non sta agli storid prevederlo. Ma nei giorni prima della televisione, del Concilio Vaticano n, deU'aumento della criminalità urbana, il fedele era presente alla benedizione, alle novene devozionali, alle quarant'ore ecc. Come ha dimostrato Cari Dehne nel suo acuto articolo suHe devozkr ni private cattoliche, questi servizi riempivano un bisogno reale ed erano gli autentici successori nell'occidente dell'ufficio di cattedrale. 13 Forse per i cattolid ocddentali è tempo di chiedersi ancora una volta se una tradizione di litwgia quotidiana che in pratica è limitata all'eucarestia significhi realmente offrire una dieta bilanciata. Un ripristino delle ore in parrocchia è una po.Y sibilità fattibile? Questo lo devono decidere i lin.ugisti pastorali. Tutto ciò che lo storico può fare è rimuovere gli ostaroli aDa comprensione prodotti da un fraintendimento del passato.
em:
42 Testo in R. Kaczynski (ed.), E11cblrdiotJ ~ ratlotzls liturgtcae (Roma, 19~6), doc. 141, 734-782: lat,_ /JlMID Commission on English in the LitWgy (ed),~:; l982> Wc. 1963-1979. Co11ciJiar. Papa/ a'ld curia/ Tem<~·-· · · 426, 1091-1132. 43 Citttosopra, nota l.
15. Risposta al Premio Berakah: Anamnesi*
Il Premio Berakah per i/1985 a Robert Francis Ta.ft SJ. Assemzato eppure vivace, multiliugue ma sagace nella~ sa, projèssiouista dotato di Ostkirchenkunde, lei d ba doro un paradigma di dpX71 ~ r{Aoç per l'i,u/agitle liturgica. Da utz quatto di secolo la sua ricerca, negli scritti e neO'insegn.ametzto, è stata una fonte di illuminazione, UtUl parola di sfui.a pastorale, ed mza festa di itltuilo. Per questi dotzi, uniti ad una profatuia esperienZa e visione ecumenica, la rzostra duratura gratitudine. Accademia di Liturgia del Nord America.
Grazie, sorelle e fratelli, per questo riconoscimento. Essere onorati da un proprio collega è sicuramente il più grande premio possibile. Corona la ricompensa che mi è propria ogni giorno della vita, perché non posso inuuaginare niente di più soddisfacente che studiare come uomini e donne, attraverso le vaIie epoche, hanno adorato Dio. Devo confessare che ho un po' tergiversato su quale atteggiamento tradizionale assumere in risposta a questo onore che Ripreso da Worsbip 59 (1985) ,304-325.
~7
mi conferitc.-. Tra i \t;Ui modi che ho individuato nei miei illustri pn'<.k·ces.o;ori, ilt1l<xlo Oberliefenmg und At~/.~abeo anamnetko e parenetico sembra aver prevalso, e non ho visto motivi per :tbbandonare la tradizione. Tuttavia, l'anamnesi pone un problema. Rovistando nella soffitta del mio passato, ho trovato pochi motivi per confondere la mia biogr.ttìa con la storia della salvezza, o anche con la storia liturgica. Non avevo mai sentito la parola liturgia prima di entrare dai gesuiti nell'agosto del1949. Naturalmente andavo in chiesa ma, come Monsieur jourdain di Molière, che non sapeva di star parlando in prosa, io non sapevo che ciò che facevamo in chiesa fosse liturgia. Così è stato nel noviziato dei gesuiti che per la prima volta sono venuto a sapere di due cose che avrebbero segnato il corso futuro della mia vita: del movimento liturgico, e della Missio Orientalisdella Compagnia di Gesù. Appresi dell'esistenza del movimento liturgico da un compagno novizio che aveva subito l'influenza di William Leonard al Boston College, e la parola "liturgia" entrò per la prima volta nel mio vocabolario. Acquistai un messale quotidiano e successivamente un Piccolo Ufficio della Beata V~ine, naturalmente in latino, che sarebbe diventato il mio libro di preghiera per anni. Ma ero ancora lontano da qualunque interesse professionale per la liturgia. Non era nemmeno un hobby. Stavo solo cercando di adorare Dio nel modo migliore che la gente colta pensava fosse giusto. Il mio bruciante interesse era altrove. La mia mente è sempre stata quella di un turista. Da bambino il mio libro preferito era il Book ofMaroels di Richard Halliblllton, che narrava le meraviglie del mondo dalle piramidi al Cremlino, da Santa Softa all'inerpicato monastero di Simonopetras sul Monte Athos. Altri popoli, altri modi, mi hanno sempre attratto. Con me nel noviziato c'era un novizio che veniva dalla leggendaria Mesopotamia, la nostra prima vocazione dalla missione di Baghdad, sulle rive del Tigri, appartenente alla Provincia del
308
l S Rlf(,lflll
u/"'"""" IJrraW
New England. Era un cattolico di rito siro amiocheno. Non 3\'e· vo mai saputo eh~ ~i fosse qualc~>Sa di simile. Come avm P()· ruto essere un mm1stro della m~a Chiesa se conoscevo COJi poco di lei? (Solo successivamente ho imparato che tale ignr>ranza non è un ostacolo). Lessi un libro di saggi intitolato 7be Eastern Branches oftbe Catbolic Church, quindi 7be Eastern Catholic Cburcbdi Donald Anwater e l'oriente cristiano divenne, nel 1949, il mio priroo amore e la porta che mi introdusse nel mondo della liturgia cristiana che in seguito avrebbe occupato la mia vita. nmio imeresse, iniziato come curiosità intellettuale, presto fu alimentato dalla rabbia e dall'imbarazzo. Ero imbarazzato per la miope visione della cristianità che avevo, e ancor di più per la visione ingenua e settaria della storia e delle virtù della mia propria Chiesa. Ero indignato per come erano trattati i cristiani orientali in comunione con la Chiesa cattolica. Ero affascinato dalla loro lunga battaglia per l'emancipazione, rulminata nel Congresso Eucaristico di Gerusalenune dell893, di rui il primo i:mportante risultato concreto fu la costituzione Orienlalium dignilas di Leone XIII dell'anno seguente, giustamente considerala la Magna Carta delle Chiese orientali cattoliche. Un altro risultlto di questo movimento, la fondazione del Pontificio l.stituro Orientale a Roma nel 1917, stava per avere un'im.pOrtaDZ3 per la mia vita, che naruralmente allora non potevo capire. Nel frattempo avevo scoperto la Russia, una scoperta che doveva far convergere i miei nascenti interessi inteDenuali ed ecumenici verso una cultura particolare dell'oriente CJNjano. Nd 1924, seguendo il trattato di Riga che determinava il ~ orientale della Polonia nuovamente ristabilita dopo .la prtma guerra mondiale, migliaia di cattolici bizantini si troWfOOO ~ tro i confini della Polonia e con il bisognO di preti. d papa PiO XI chiese aiuto ai gesuiti, e così nacque la MissiO ~~ la Compagnia di Gesù, a cui successiVaJDeDle IDl sam UDIO· Alcuni gesuiti di questo gruppo, esiliati a causa della $IC'C()IltÙ
Olrrt• lilf'if.'lttr t' lilr<'ftklllt' l R. F Tt!/1
w.•e~r.t
mondiale e delle sue conseguenze, vennero nel 1949 alla Fordham University per fondare hìun centro russo, nel momento in cui gli studi russi iniziavano a diventare popolari nelle università americane. Questo è come per la prima volta ho sentito di questo apostolato fatto su misura per i miei interessi. Un ideale mozzafiato era rievocato dal mio romanticismo adolescenziale: aprire la propria ragione e il proprio cuore a questo popolo grande e lungamente provato con la sua ricca cultura cristiana, lavorare per la riconciliazione dell'o1iente e occidente. Immediatamente mi misi in contatto con i gesuiti di rito russo alla Fordham University ed iniziai a tormentare i miei scettici superiori per assegnarmi a questa missione. Per il decennio successivo, più o meno, mentre sgobbavo nei lunghi anni di formazione dei gesuiti, divorai la letteratura, la fùosofia e la storia russa. Dostoevskij e Solov'ev erano molto lontani dal mio iniziale incontro con il novizio di Baghdad, ma nel 1956 i miei interessi tornarono al punto di pa1tenza quando fui assegnato alla missione in Iraq. Il mondo dell'oriente cristiano, finora conosciuto solo attraverso i libri, visite occasionati alle Chiese ortodosse e frugando nei negozi d'arte del Back Bay di Boston alla ricerca di icone, stava per diventare la mia vita quotidiana per tre anni. Dopo un viaggio di diciannove giorni da Hoboken a Beirut, andammo in autobus oltre le montagne e attraverso la valle Bekaa, ora famosa, a Damasco, dove le carovane della Nairn Desert Transport Company, nel fresco del pomeriggio, partivano per un viaggio attraverso il Grande Deserto Siriaco verso la Mesopotamia. Questo servizio passeggeri attf".tverso il desetto impiantato da due ff"atelli australiani dopo la prima guerra mondiale aveva ridotto considerevolmente i rischi della lunga traversata del dese1to verso Baghdad. Gli enonni rimorchi e fuori serie del deserto tir.Iti da trattori diesel non erano Boeing, ma erano di gf".tn lunga su· periori ai canuuelli. Credo che i reattori abbiano già da luns<: tempo sostituito la Nairn, ma la traversata del deserto non sara
310
15. R(
più la stessa. Circa a trenta miglia a est di Damasco la strada ftniva e da lì in poi cominciava un percorso guidato dall'osservazione delle stelle, mentre la carovana serpeggiava per 2;o miglia attraverso il deserto aperto per incontrare di nuovo la strada a Rutba, il primo avamposto nel deserto in Iraq, a metà strada da Baghdad. Baghdad stessa, leggendaria capitale di Harun al-Rashid 1a ' città delle mille e una notte, era una cura sicura per il romanticismo. La scuola al Baghdad College iniziò a settembre, per fermarsi improvvisamente quando i tumulti nei confronti del patto di Baghdad seguiti alla crisi di Suez portarono alla chiusura delle scuole. Utilizzai l'inattività imposta per cominciare la mia iniziazione alle liturgie "esotiche" di ciò che Fortescue ha chiamato ·le Chiese orientali minori•. Festa o funerale, matrimonio o battesimo, mi invitavano. Block notes in mano, andai attraverso vicoli nascosti e fetidi del quartiere cristiano nella città vecchia verso una delle tante cattedrali ammassate alla rinfusa in quel piccolo ghetto affollato. Là osservai e tentai di trovare nella traduzione che avevo in mano il testo di quei suoni che il gruppo di diaconi sul bema emetteva, e di annotare attentamente qualsiasi bizzarra curiosità avesse destato il mio interesse, qualsiasi cosa sembrasse deviare da ciò che doveva andare secondo la mia più o meno sicura versione inglese. Mi sentivo molto come il professore di Evelyn Waugh all'incoronazione dell'imperatore Ha ile Selassie ad Addis Abeba ne11930, come descritto nel suo piacevolissimo libro Remote People. La cerimonia era estremamente lunga, anche secondo il previsto, e gli a:clesiastid riuscirono a proltmgarla di ahnenO un'or:' e mezzo oltre il tempo<.:orx.:~. I sei giorni :.11~~vi ~ ~: vevano essere prevalentemente Inilitan, ma il giOOlO Sles50 . <.'?ronazione era nelle mani della Clù~, ed~ avev_a di fare il massimo. Sahni, cantici e rn:ghiere SI~ a-detro, erano letti lunghi passi della Scrimua, tu1b muna lingua.. . siastica e:.1inta, il ge'ez. Le c;andele erano aa:ese una ad una. 1 gau-
l'inl= 311
0/ht' l'm'it'fffl' t' /ll(xid<•llfl' l R. F.
7tift
mmcnti dì incoronazione furono presentati e pronunciati; i diplo. m:llìd si muovevano scomocbmente sulle loro sedie doJ~lle, chiassosi alterchi prorompevano vicin~ all'entrata tra la guardia im~ria le e i ,~tssallì <.lei capi locali. Il protessor W., che e1~1un esperto di fama mondiale del rito copto, sottolineò OCGlsionalmente: ·Ora stanno iniziando la messa·, -Quello era l'otlertorio·, ·No, ho sbagliato; era la consacrazione-, ·No, ho sbagliato penso fosse il vangelo segretOo, ·No, ne<.lo debba essere l'epistola·, ·Come è strano, non credo pro. prio che tosse la messa•, •Ora stanno iniziando la messa ...• e così via. Amomenti i vescovi iniziarono ad anneggiare nella cappelliera, e l'investitura iniziò. A lunghi intetvalli l'imperatore t'la presentato con la toga, il globo, gli speroni, la lancia e alla fme con la corona. Un cannoneggiamento a salve fu sparato, e la folla all'esterno, sparpagliata nei deserti spazi drcostami, iniziò ad applaudire; i cavalli im~riali si impennarono, si gettarono uno sopra l'altro, scaldarono le dorature dalla parte anteriore <.Iella carrozza e ruppero le loro briglie. Il cocchierere saltò dal sedile e li frustò da una distanza di sicurezza. Nel padiglione c'era un senso generale di sollievo; tutto eta stato molto bello e solenne, ora d sarebbe stato il tempo per una sigaretta, una bibita e pervestir.\i in modo meno fonnale. Niente affatto. La cosa ~uc <:essiva fu l'incoronazione dell'unperatrice e dell'erede in line:J. diretta; seguì un'altra cannoneggiata a salve, durante la quale uno stallìere abissino si ruppe due costole nel tentativo di levare la bardantra ad un paio di cavalli imperiali. Cercammo di nuovo i nostri cappelli e i guanti. Ma il coro copto cantava ancorc1; i vescovi continuarono poi a restituire le insegne reali con preghiere, letture e cantici propri. •Ho notato alcune variazioni molto curiose nel canone della messa·, sottolineò il professore, •soprattutto al bacio della pace.• Proprio allora cominciò la messa. 1
Trascorsi tre anni come lo stordito professore, e riuscii a far uscire la mia prima pubblicazione, laboriosamente prodotta, un articolo molto corto nella livista jesuit Missions, intitolato ·From Detroit to Zakho·/ che descriveva l'ordinazione episcopale di Qas Tuma Rais, precedentemente pastore a Detroit, come vel
Evelyn Waugh, Remote Pc:•op/e(London: Duckworth 1931) ;6-5!!.
2
}est1ft Mfsslous 31/10 (De(:ember 19;7) H-10.
312
l S RL'/Jfl!l/u ul Premlt, &rullub
scovo caldeo cattolico di Zakho, nell'altopiano curdo a nord di Mosul, sul fiume Khabur che divide l'Iraq dalla Turchia. Jniziahnente queste scorrerie erano più il risultato della mia curiosità sui modi dell'oriente, che un interesse nella scien7.a liturgica. Ciò che alla fine mi spinse verso gli studi liturgici fu un incontro fortuito, ma fatidico, nell'estate del1957. Era arrivato il caldo, la scuola era finita, e ancora una volta i fratelli Nairn ci sballottarono attraverso il deserto per passare l'estate al seminario maronita di Ghazir, un villaggio montano che sovrasta la bella e allora intatta jouneih Bay, a nord di Beimt. Fu là che incontrai per la prima volta juan Mateos. È un enorme privilegio aver avuto grandi maestri. juan Mateos è uno dei grandi insegnanti di liturgia dei nostri tempi. In quei giorni egli era ancora un dottorando che stava compiendo ricerche per la sua dissertazione pionieristica sui notn1mi e i mattutini nella tradizione caldea. Fu egli che formulò ciò che avevo già cominciato a percepire dalla mia esperienza: che la liturgia è l'anima dell'oriente cristiano. Per uno così appassionatamente interessato all'oriente cristiano come io ero, sosteneva Mateos, quale porta meglio della liturgia era aperta su questo mondo? Durante la lunga, oziosa estate a Ghazir, trascorsi le maninate più fresche divorando libri francesi, compreso il mio primo libro di jungmann. In quei giorni le case dei gesuiti di tradizione francese non erano famose per il loro impianto idraulico, ma avevano biblioteche sorprendentemente ricche, un tributo all'incomparabile tradizione intellettuale deUa Franci.a. Di domenica andavo alla liturgia maronita nella chiesa ~.1 ~ laggio, battendo i miei piedi al tempo dei cembali e det ntmtci canti arabi, e osservavo. . be L'autunno seguente Mateos era in Iraq per ~ ~ere . nei villaggi cristiani di lingua siriaca e nei monasten net pressr di Mosul, e io presi il treno lungo il Tigri per incon~ a Natale. Uscimmo nei villaggi e nei monasteri per vedere 1 Olanoscritti che lui stava studiando, alcuni dei quali erano man
313
OliA' /.,..,..,lt' ~ l hc:.:tdl'llh' / R. F 7ilfl
scritti del rito di Tikrit, una tradizione giacobita mcsopotamica ftnor.t sconosciuta che egli aveva scoperto attraverso la sua ricert'J.. Ecco il lavoro dello storico di prima mano; era come guardare il vasaio alla sua 111ota, e per la prima volta considerai creativo il mestiere dello studioso. Non è da tutti vedere il mondo dello storico. Qualcuno deve chiamarlo ad esistenza dalle nebbie amorfe del passato. Il consiglio raggelante di Mateos quando chiesi cosa avrei dovuto fare per preparanni per gli studi futuri in liturgia fu imparare le lingue, ancora più lingue, e infine ancora più lingue. Non ricevetti mai consiglio migliore. Confidare sulle traduzioni è condannarsi a vedere la realtà di seconda mano, rifratta dal prisma di una mente estranea. Tuttavia la lingua più importante che ho imparato in questi anni, è stata la lingua dell'ecumenismo. L'ecumenismo non è solo un movimento. Èun modo nuovo di essere cristiani. È anche un modo nuovo di essere studiosi. Il sapere ecumenico significa molto di più che il sapere oggettivo, va molto oltre dall'essere solamente onesti e giusti. Esso si sforza di lavorare in modo imparziale, non servendo la causa ma la verità, dovunque possa essere trovata. Cerca di vedere le cose dal punto di vista deU'altro, di prendere seriamente le critiche dell'altro alla propria comunione e ai suoi errori storid e alle sue debolezze. Come negli Esercizi spirituali di sant'Ignazio,3 il sapere ecumenico cerca di dare la miglior interpretazione a ciò che gli altri fanno e dicono, di far risplendere la luce imparziale del criticismo sia sulle debolezze della propria Chiesa che su quelle delle altre. In breve, cerca di trasferire l'amore cristiano nel regno del rigore scientil"aff;nnazi•... che ogni l~on cristiano dehlY.t essere più w...posto a salvare :h" di one del prossuno dle a condanrutrla; e se non la possa salv-.tre, cere 1 losapere quale signitkcuo egli le dia; e, se le desse un signific.tto erI"OI\eO. corregga con amore- <.EsSp 22).
314
l J . .,.... 111 ,...,_, . . . .
fico, ed è il nemico implacabile di tulte le forme di~ .,_ tollemnza, scorrencu.a, cronaca seJettiva, e confrorla ~ che contrappongono l'ideale irrealimto della propria Oiesa la realtà meno che ideale deUa Chiesa di qualcun'aire. oon Ho imparato l'ecumenismo leggendo FAstern Cburcbes Quarler/y, Irénikon e Istina, volume dopo volume. Questi • riodici cattolici trattavano l'oriente ortodosso con owe:e amore. Ho imparato l'ecumenismo dotto leggendo FI2JlCis Dvornik, un prete cattolico la cui impeccabile erudizione e 1a serena oggettività riabilitarono il patriarca Fazio ed illusmuono sinceramente la parte di Roma nell'allontanamerwo 113 oriente e occidente, che culminò negli eventi dell054.' Nel maggio del 1959 ritornai dal Medio oriente dopo uo anno lacerante di disordine e lotta civile che seguì la rivoluzione del14luglio 1958, ed i pezzi disparati del mio puzzle cominciarono a trovare il loro posto. Ottenni un Master of AJts in studi russi alla Fordham University, quindi iniziai i miei studi reologici al Weston College nel1960. Nell962 venni ll2Sferilo dalla missione irachena alla missione russa, ricevetti da Roma i documenti necessari per il cambiamento di rito, e lo stessO anno fui ordinato diacono secondo il rito bizantin" portuno. nresto era solo questione di imparare i trUCChi del~ stiere, cosa che feci a Roma, vivendo come alunno al collqio Russicum e studiando sotto la direzione di Juan .Maleos all'Istituto Orientale. Dopo aver conseguito là il miO~ alla fine del1970 andai in Belgio per stUdi posr-
31S
( Jtno /r wl('fltl• «' /rJC 1 ltll'lllr' i R 1: '{il/t
glio pensando, in~~nando. scrivendo o parlando di liturgia. Ho cercato di farlo come un sctvo della Chiesa. Molti grandi esperti lìturgisti-Edmund Bishop, Anton Baumstark, Anselm Strìttmattcr, Hieronymus Engberding-ebbero poco o nessun risultato sulla praxis liturgica della Chiesa. Ma questa non er.t 1:1 tradizione dei miei antenati gesuiti come jungmann 0 Hanssens, né dei miei insegnanti gesuiti Ligier, Raes e Mateos, la cui entdizione non era meno dotta per la loro relazione diretta con una visione della Chiesa e la pratica della liturgia. Ciò non significa che il compito dello storico sia trovare soluzioni pastorali ai problemi concreti delle comunità dei fedeli. Nel rinnovamento liturgico, il lavoro dello storico consiste nel rimuovere gli ostacoli alla comprensione prodotti dai fraintendimenti del passato. L'entdizione storica non può dire alla Chiesa che cosa deve fare. Può solo aiutare la Chiesa a vedere che cosa dovrebbe fare se coloro che esercitano il ministero pastorale lo credessero fattibile. Ma questo non è un modesto reclamo, perché sono le scienze storiche che più di ogni altra realtà umana hanno reso possibile il rinnovamento lintrgico di cui oggi godiamo. Anche altre discipline come la sociologia e l'antropologia culturale, la teologia pastorale e la spititualità hanno dato i loro contributi. Ma la loro parte è come niente rispetto a quella paziente scoperta di tutte le possibili opzioni nella tradizione riapparse scavando pazientemente attraverso gli strati del nostro passato. È questo lavoro degli studi del Nuovo Testamento, di pattistica, di teologia storica, di liturgia che ha alimentato e continua ad alimentare Mti i progressi sostanziali che abbiamo fatto. Non abbiamo forse tiscoperto il significato della domenica come il giorno che include nttti i giorni? In questo siamo debitori a studi come quello di Willy Rordorf. Qualcuno non liconosce il ruolo di Missamm sollemnia dijungmann nella riforma della messa romana? Dove pensiamo che Pio XII abbia preso l'idea di ripristinare la veglia pasquale? Qualcuno oserebbe sfidare l'im-
316
'' -...~""'-
....
portanza schiacciante della scopena e~ dtk bJI della Tradizione Apostolica per la ll08tr.l compren.~one ..... ca e per il rinnovamento liturgico? Il RJCA (liro di bllil.iaziont Cristiana degli Adulti) universalmente acdamaro ~ ao possibile senza ciò che il sapere storico d ha insegnarolllleatechesi e sull'iniziazione nella Tradizione Aposro/icae in simii fonti antiche? La storia non ci ha aiutato a ripristinare 1a cdetnzione pasquale come centro dell'intero anno. e asuo milleroe» me la radice che dà significato ad ogni giorno cristiano e ad ogni rito? Che cosa se non il sapere storico ci ha messi in grado di superare la pseudo-dicotomia escarologia/santificaziooe dd rem. po? Che cos'altro ha relegato al regno del cliché la suppoa aotinonùa kairos-chronoi La distinzione b3 uffici JOOOaStid edi cartedrale, così fruttuosa per capire la liturgia delle ore come JRghiera di tutto il popolo di Dio e non solo qualcosa per i llllnad; la tenue esistenza nei più antichi strati di alcune tradiziooi di ciò che a volte è chiamato "sacramento della confermazione•; la ricomposizione dell'iniziazione cristiana in un solo procesa:> almeno nella nostra comprensione, se non ancora in tutti i Jntri rituali; il nostro accordo ecumenico crescenre ver.;o il signfutodi eucarestia come sacrificio; recenti movimeotl verso la~ prensione ecumenica e il mutuo ri<:onosdmeDlD dei ~J~i~Ji!ibiai stiani; il ripristino dell'eucarestia e della sua anafoa al ceono ddla sinassi domenicale in alcune comunioni; la riscopeltl del fU()o lo delle donne nella vita della Chiesa primitiVa e del pai&O ddla metafora fenuninile nel suo pensier
tflllkf!JIII!"'
JI7
la liturwa è st..na una delle: grandi forze intellettuali liberanti dall~ pa:\loi<.' di un gretto passato. Questo è il motivo per cui la stori;l della tradizione cristiana sc1itta da studiosi cristiani a benefiCio dei loro compagni cristiani è, almeno per me, un ministero cristiano. Come tale è diversa dal modo in cui lo storico delle religioni studia la cristianità, o dal modo in cui un cristiano studia il buddismo, o un buddista la cristianità. È un tipo paiticolare di storia con uno scopo speciale, perché prende origine dal fenomeno di cambiamento e di sviluppo, e il suo scopo è una ricerca di continuità essenziale, quel residuo che può legittimamente essere qualificato tradizione, cavalcando il flusso e il riflusso delle mutanti maree. Naturalmente, la storia vera non è solo cronaca, ma un'in· terpretazione del passato risultante da modelli percepiti o imposti dalla mente dello storico. Comunque, per lo storico della tradizione cristiana, quel modello non è tanto una ricerca della tradizione, quanto la sua prova. La tradizione non è la storia, né lo è il passato. La tradizione è l'autocoscienza della Chiesa ora di quello che le è stato consegnato non come un tesoro inerte, ma come un dinamico principio di vita. È la realtà contemporanea della Chiesa compresa geneticamente, in continuità con ciò che l'ha prodotta. La base proplia dell'ideale della Chiesa è rappresentare fedelmente e reinterpretare per ogni nuova circostanza e per ogni nuovo tempo il volere e il messaggio del suo fondatore non solo al suo punto d'oligine, ma ad ogni momento del continuum in cui quel volere e quel messaggio sono stati manifestati. Noi studiamo la storia della tradizione non perché sia· mo interessati a far rivivere un passato morto, ma per promuovere un'attuale comprensione della vita cristiana nei tennini delle sue origini e della sua evoluzione. È un'illusione pensare che si possa costruire una teologia di alcuni aspetti di quella tradizione senza una profonda conoscenza della sua storia. Se la teologia è una riflessione sulla tradizione nella sua intersezione con l'esperienza contemporanea-Karl Barth disse una volta che un
318
I 5. Raptllla ul ht'mkJ Bnultrlh
teologo doveva vedere il mondo con la Bibbia in una marv, e~ giornale nell'altra-, se la teologia focaliu..a questo incroao dobbiamo conoscere entrambi i poli dell'interazione, e la~ zione non è qualcosa che reinventiamo ogni giorno, ma una realtà data per essere conosciuta attraverso lo studio dei SUOi monumenti ancora esL'ìtenti. Si conosce la liturgia cristiana solo conoscendo ciò che è e ciò che è stata, così come si imparare che cos'è la letteratura italiana solo leggendola. Questo non significa che la storia ci fornisca modelli da imitare. La Chiesa e i suoi rifonnatori non possono mai essere guidati da un'ideologia retrospettiva. La riforma sul principio della mimesis insegue un mito, perché il passato alla wie es ei8f!ntlich gewesen ist di Ranke è radicalmente irrecuperabile, e i riformatori retrospettivi riempiono sempre le spaccature con le loro deduzioni. No, la vera riforma non può essere basata sulla "scelta di un'epoca preferita". npassato è sempre istruttivo, ma mai normativo. Ciò che il suo studio, come ogni studio, dovrebbe fornire è la comprensione, una comprensione che sfida i miti e ci libera dalla tirannia non solo di un pezzo congelato del passato, ma anche dalla tirannia dell'ultimo cliché, così che possiamo andare avanti verso soluzioni adatte all'oggi in una fedele libertà, fedele alla tradizione vivente, che è sempre debitrice al passato, ma libera. Tuttavia non si pensi che la storia sia una sorta di prova del fuoco della validità per l'oggi. Gli storici e i riformatori hanno abbastanza spesso sbagliato clan10rosamente per aver preteso di essere l'ultimo giudizio. La storia della tradizione,_ come ogni altro mestiere che si conosca, ha costantemente bisognO di rielaborazione, in quanto le nostre prospettive cambiano e noi abbandoniamo un pregiudizio per assumerne un altro. Quello elle è importante dunque, è che il lavoro prosegua- u~ di . dellauVolta ho sentito dire da qualcuno che il lavoro stona. . turgia è fano e ora possiamo dedicard ad altro, a quesoom pastorali più ril~vanti. Questo è profondamente sbaglialO. .AnChe l
319
(liiJt' ll>~'it'ttft•c•lrlt\'kll'lltc• ··R. F Ttt/1
se illa\'oro fosse stato fatto (c non lo è) dovrebbe essere fatto annxa, e :mcor.t, e ancor.t. Perché Pelikan sta scrivendo una nuova stotìa del dogma dopo Harnack? Sicuramente, non perché il passato è cambiato, ma perché noi siamo cambiati, perché il nostro presente non è quello eli Harnack. Quali sono, dunque, da una prospettiva storica, alcune delle co...;e che ora bisogna fare o tifare? Ne suggelisco due che hanno, penso, rilevanza per la stotia della liturgia, oltre alla lista quasi interminabile di punti patticolari che necessitano ancor.t di ricerca. Anzitutto, dobbiamo integrare nel nostro lavoro i metodi delle relativamente recenti pietà popolare o scuole delle annale5de1la storia clistiana in Europa. A parte le pose che assumono gli storid marxisti, tentando di mettere in atto le loro inevitabili antinomie di classe, non serve essere un comunista per vedere che non si può andare oltre nel ricostmire il passato solo dall'alto in basso. Ciò che troviamo nei manosaitti liturgici era radicato in un ambiente socio-culturale al di fuori del quale esso non può essere capito come liturgia, cioè qualcosa che la gente reale faceva. Per di più, tali monumenti letterari sono un prodotto di alta cultura, e quindi solo metà della storia. Gli storici di ment.alités come Delamelle parlano di deu:x cbristianismes, l'uno ufficiale, del clero, raffmato, esoterico, espresso in un linguaggio inaccessibile alle masse, e l'altro della gente, semplice, ignorante dotttinalmente, marginale nella sua impOitanza, e radicato in pratiche e in pietà non sempre sotto il controllo ufficiale. Per comprendere questo, bisogna studiare molto più che la liturgia. Lo storico della tradizione liturgica deve essere immerso nella vita totale del periodo considerato. Così noi abbiamo bisogno di stOiie della liturgia scritte da una nuova prospettiva, con tempi e luoghi piuttosto che con tituali come loro camice eli controllo. Dobbiamo studiare non solo la messa romana attraverso le epoche, come fece Jungmann, ma la vita liturgica nel sud della Gallia o nel nord Italia in alcuni periodi stabiliti, e lo dobbia-
320
/5 RL..ptrr.ta al Prt!miiJ !Jerakah
1110 fare
all'interno dd contesto socio-culturale globale di cuel tempo. Dobbiamo immergerci in quello che jacques le Gof} ha chiamato ·l'archeologia elci quotidiano•, accantonando la visione del XIX secolo sul medioevo come urbano e borghese. Quasi nma la storia ufficiale della Chiesa è stata storia ulbana, perché è nei centri di potere che la storia-almeno una visione della storia-è fatta. Evelyne Patlagean ci ha mostrato comunque che la campagna cristiana esce fuori nelle vite dei santi,~ e quindi anche l'agiografia deve essere la nostra argilla del vasaio. Ma per fare tutto questo, forse, dobbiamo prima affrontare un'altra più fondamentale lacuna nella nostra abilità del mestiere. Lo studio della lintrgia è una scienza giovane e non strutturata, e non abbiamo ancora riflettuto abbastanza su ciò che stiamo facendo. Penso che sia vero pastoralmente così come scientificamente. Se gli sntdi biblici sono in disordine a causa di un eccesso di metoclologie concorrenti, noi non abbiamo ancora cominciato a capire che cosa significhi lo sntctio della lintrgia. Naturalmente, non intendo insinuare che i lintrgisti lavorino senza metodo. Chiunque fa una cosa, la fa con dei mezzi e con un fine. Comunque, la metodologia è una riflessione sul metodo, e qui è dove noi abbiamo bisogno di un bel po' di riflessione. Questo è importante soprattutto a causa della soggettività della conoscenza. La conoscenza non è una collezione di fatti, ma la percezione della loro interrelazione, e la conoscenza avanza non tanto dalla scope1ta di dati finora sconosciuti quant~ dali~ percezione di nuove relazioni che pennettono l'elaboraZione dl nuovi modelli o sistemi. Einstein non scoprì un mondo diverso dall'universo di Newton; egli presentò solamente un modo 5
Cf''An<.:ient Byzl)'\1,!'~
~d.), Satms a11d their Cults. Studies in Religious Socioi~Y. Fol ttuttoin E~01J'.(Cambridge: CUP 1983) 101-121, spedalnlt!O!e 110s.~: ~~dnon do-
cSltto, 1 papùi presentano anche una visione tlell:t VJta quolidian :umentata In altre fonti.
321
1 llm· l Pllc'll/c' !'l< u ldc•lll<' 'J..' F l
nuovo dì \'L'dere l:t stess:1 rosa. Dunque un metodo l' proprio un modo dì avvicinarsi e di org:mizz:lrL' l'informa1.iunc grezza che possediamo. Come il linguaggio, b storia, o b tcol()gia, i mettxli sono prodotti della mente umana, strumenti per l'organizzazione consapevole di dati in unità e strutture intelligibili e quindi comunicabili. Senza questa organizzazione non c'è né intell(~ibilità né comunicabilità. La massa di dati a nostra disposizione è amort~t e non produce da sola comprensione. Dobbiamo renderla intelligibile attraverso la spiegazione, e per farlo dobbiamo avere il coraggio di essere soggettivi. Le cose non sono state le stesse da quando Hans-Georg Gadamer ha dichiarato che l'obiettività metodologica è un'illusione. Noi tutti abbiamo modelli ideologici che condizionano il nostro lavoro. Ma si suppone che lo studioso sia consapevole eli essi, e li sottometta acl una sfida critica-in breve uno studioso necessita non solo di un metodo, ma eli una metodologia. La riflessione metodologica esamina i nostri presupposti e scopre i modelli dei nostri modelli. Penso che ciò sia essenziale se il nostro campo deve progredire,<· perché al momento esso è dominato da troppe ipotesi inesaminate. Acl esempio, per una generazione abbiamo parlato, scritto, fatto progetti, incoraggiato la riforma liturgica, o in un modo o nell'altro ne siamo stati coinvolti. Non conosco ancora una sola riflessione sull'esatta natura di questa realtà. Abbiamo studi sui principi dello sviluppo dottrinale, ma pochi sui principi dello sviluppo liturgico. Abbiamo studi sul concetto e la natura della riforma della Chiesa, ma nessuno sull'idea esatta e sulla natura, e nemmeno sulla possibilità, della riforma littu·gica. I problemi della riforma risalgono proprio alle origini della Chiesa quale movimento di riforma interno al giudaismo, movimento contro il quale il vecchio mondo sollevava la
. _~
. F. ~ohl'ì<:hd~ dliama questo •·eine dlingenùe Fon;dumgsaufgabe"
m liturg1ewlssenschaft im Wandd?", Wurgisc:bes]tlhrhucb 34 (1948) 43.
322
15. kl!fJ< tStu u/ Prt-mll, Beralruh
costante c terribile accusa che la cristi·· ·ta· f . . . ...nJ osse qualcosa d' 1 nuovo. La stona Cl mostra una Chiesa eh 1 Il . . . e Ja a contmuamente un mmuctto tra un cambiamento in atto ,d . e un a es1011e esplicitamente proclamata al famoso detto d1·papa St f . . .. . . e ano I, Nibil mnouet111 1m t quod tradttum esf.l Gerhard ladn . . .. er, ne1suo studiO~~~ tutt~ r~hevo ~e ~d~a of Reform,g sostiene che proprio la nozione eh nforma e cnst1ana. Com'è strano che noi che siamo così implicati con la riforma sembriamo inconsapevoli dei problemi impliciti nella sua stessa idea. Abbiamo bisogno di una fenomenologia e di una filosofia della riforma liturgica, e ne abbiamo bisogno urgentemente. L'eccellente sntdio di René Bornert sulla riforma liturgica del XVI secolo a Strasburgo9 è un passo nella giusta direzione, ma è solo un passo, un mattone in un edificio necessario. Ora che ho fatto l'elenco delle cose che possono tener occupati per più di un anno gli storici e i liturgisti, finché il prossimo destinatario del Premio Berakah ci proponga di battere un altro sentiero, offrirò alcune riflessioni sul culto non solo come storico della tradizione lintrgica, ma anche dalla mia personale esperienza di preghiera lintrgica. La mia esperienza d'infanzia di poche semplici ma invariab~ usanze lin1rgiche di famiglia mi ha imbevuto di un profondo nspetto per la tradizione. Durante la Quaresima ci alzavamo alle sei e ci trascinavamo, ogni giorno, per amore o per fo~, ~ . , santo 1a f:anug · lia andava ass1eme atlmessa. Alla sera del G1oved1 sepolcri di sette chiese abbondantemente decarati' amorevo
..... 'rU1zi
ien derfriihdut.llichen
Cf P. Stockmeier, "'Alt · un 15-22· 7
(Paderl)(>rn-Miinchen-W1en-Zunch: S<.:horung o · 1ge, Massac .. ·lms·etts· 1959. o Ca m1)l'K · · H·uvard •
. . "·""/.. 1523, -.srrasboutg au .X l'l ~Jf:\,~ 9 La rrfjònne protestant du eu/te a~ atfoll tbéologique {Smdies 10 1598: approcbe sociologique et fnterpret.d . Brill191-H). Mediaeval and Refonnation Thought 28, Lei en. •
• •
323
mente preparati. Durante il tricluo della Settimana santa, andare in chiesa non era qualcosa che tu facevi ma, oltre ;tlle necessità della vìt-ct, er-a tullo ciò che facevi. Il Venerdì santo, da mezzogiomo alle tre quando il Salvatore fu crocifisso, stavi nella tua stanza da solo a bocca chiusa: nessun nnnore, niente radio rùente giochi. Quindi c'em la liturgia della passione del pome-' riggio, lo svelamento della croce mentre il prete stonato cantava Ecce lign.um crucis, la spogliazione degli altari, Utabernacolo vuoto ... La mattina del Sabato santo vedeva i rametti del fuoco nuovo, la benedizione delle acque, le profezie; e la mattina di Pasqua albeggiava con i nuovi vestiti alla messa, con ìl gloria, le campane, L'alleluia e i paramenti bianchi e oro. La gente avrebbe detto dopo che questa era una bmtta liturgia. Non ne sono così sicuro. Aveva difetti. Aveva bisogno di un cambiamento e l'abbiamo cambiata. Ora non si farebbe, soprattutto dopo la nostra esperienza con le Lingue volgari. Ma il solenne potere di questo rituale impressionava estremamente un ragazzo. Non ricordo di essere stato soggetto a qualche prolissa mistagogia nella spiegazione di tutto ciò. So che c'erano cose che segnavano il ritmo dell'anno con richiami alla nascita, morte, risurrezione e ritorno del Salvatore. Più importante, questi richiami avevano implicazioni con quello che io, allora un ragazzino, ero tenuto a fare. Questa specie di cose non ti abbandona. Ancora non posso-proprio non posso fisicamente-fare qualcosa da mezzogiorno alle tre del Venerdì santo, tranne andannene da solo e pensare all'enonnità di tutto questo. La tradizione liturgica è formata dalla ripetizione dell'usanza, prendendo i bambini quando sono molto piccoli e facendo le stesse cose con loro all'Awento e a Natale, in Quaresima e nella Settimana santa, di domenica, alle feste e ai digiuni, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Queste semplici esperienze d'infanzia, comuni e condivise da milioni di persone, mi hanno reso scettico verso alcuni dei principi del nostro approccio moderno alla liturgia e le sue rifor-
324
l S Rllpl.- u1 Prrrtw, .._,
me conseguenti, sopranuno verso la domanda . . .' . .' dt V3fietà Inni\.. rane1ta, creahv1ta, semplicità , chiarezza . Come osserv •-,......~:amen te Cari Delme qualche aMo fa nel ava asw. . . suo eccellente anicolo sulle devoztont pnvate ' la varietà è un pMCtplO . . . delJa Iìu · . ·• monastica. E anche un principio di una liturgia d' élile. rzr:' ce Dehne, .Come ditende ad essere generato non.solo da"•roo. lo stile d monastico . nacl, ma a ogm gmppo con uno speciale inlereSl r · . .t . .. " . l "d se re tgn;O... Le · ~ ' 1 urg1t~ pm monast1c 1e i <.:ui io abbia mai avuto no state celebrate attorno ai tavoli da caffè in lontari laici. Una tale apostolfscbe Sitzmesseè car.urerizzata da~ . ,. l se gn1 c 1 co~sapev? :zza, profonda interiorizzazione: lunghi silenzi, tom1entat1 sfom ù1 es.<>ere onesti su dove uno si trova, nessun abito, quasi nessun gesto tranne emettere un sospiro. Mohe persone che preparano la lirurgia e molti musici.o;ti religiosi, quando~ sfano semplicemente i loro bi.'iOgni e le loro ~ibilità, tendono a produrre liturgie monastiche. 1"
awa:
Ora noi siamo un'élite. Ma ciò che iniziarono le riforme del Vaticano II fu un ritorno della liturgia al popolo. Le lingue volgari furono il primo passo più importante, ma la nuova disposizione liturgica della chiesa, i ministeri ripristinati del diacono, del cantore, dellenore, del musicista, l'istituzione dei ministri della comunione, tuno ciò ha contribuito enonnemente a prendere ciò che era diventata un'arcana riserva di un circolo professionale e a renderla di nuovo popolare. Ma il solo modo in cui può rimanere popolare è se la lasciamO in pace. Problemi reali di liturgia pastorale esistono in parrocchie ~ve, in alcuni casi migliaia di persone vanno in chiesa ogru domenica ' Ili del moQuesti problemi sono completamente diversi da que · · della scuola dove un nastero o del convento, del senunano o • gmppo di controllo relatiVamente unifonne va in chieSa quo. • J Ga)len (t.Ù ), c.1JrlSIIIIIU
lO "Roman Catholic l,opu~Jr Oevooons • · at .Pmyer(Notre Dame: UND 1977) 84-85.
Oltrt•li>~"ic'llf<' ,. ltll.<"itl••"ft' 'R. F. 7itfl
ridian:mwnte in condizioni quasi di laboratorio. Tale liturgia ha prop 1; problemi p:uticolari che necessitano di loro proprie soluzioni. Ciò di cui la gente comune nelle parrocchie comuni ha bisogno è la familiarità, l'identità, la stabilitù di una tradizione rituale che può essere conseguita solo con hl ripetizione, e che non tollera cambiamenti ogni volta che il prete legge un nuovo
PG 48, 673ss; 49, 38; 57, 264.
12
PG 37, 1255ss.
13
PG 37, 1256.
14
Socm.te, Hlst. eccl. VII, 13.
326
1 5 RL~KI!I(u uJ /'rwriol!tmuoh
seguaci procuravano loro applausi preparati." Se na sospettosamente come industria dell'' t .questo SUo, m rattenunent 11 ra la questione è chiara. I primi Padri si s~o . 0 • a o. . .. . .. , .. . rzarono dJ rendere la htmgJ.t eh cLmechale ,lttfaente e piacevole, cioè . · · cle l IV se · •co · lo e1·ano contenti alla liturgta· popolare. l cnsuam d quan o era dato loro qualcosa da fare-ciò che noi chiamta· ~ . mo partectpa. ., , ZJone popolai e . Non_ c è alcuna obiezione al fatto che il canto assembleare fosse mtrodotto non a causa di qualche mp~sa teoria sullo spazio essenziale della musica nel cu\to~ub bhco, ma per tenere la gente occupata, interessata e coinvolta. E funzionava. Quasi l'unica cosa liturgica per la quale i Padri elogiavano la gente era il loro canto.'6 Fatemi enunciare un principio liturgico: il rituale-chiamatelo pure ordine del culto, se appartenete alla tradizione che non ama la parola Iituale-, una certa stabilità nello svolgimento del culto, !ungi dal precludere la spontaneità e la partecipazione assembleare, è la sua conditio sine qua non, come è vero in qualsiasi evento sociale. La folla italiana grida spontaneamente "brava" alle dive all'opera-ma non nel mezzo di un'ariasecondo le convenzioni del dettarne di cortesia per cui c'è un tempo e un luogo per ogni cosa. Quando i liturgisti parlano di spontaneità, intendono la loro spontaneità, non quella della comunità. Il solo modo per assirorare l'appropriazione del culto da parte dell'a.$emblea è cele~.ue l'ordine del culto che è loro e non imporre sulle loro spalle già affaticate un viaggio eli spontaneità a cui essi non hanno~~ te. Quindi la varietà deve essere limitata, e deve essere attribuita una posizione di rilievo alla spontaneità dell'assemblea, non a quella del celebrante. r itì e la Qualcosa di simile può essere detto per la semp lC Eusebio, H/st. ecc/. VII . .30, 9.
. . ...r- u. ;64· ?4 ; 8· &tsilio. rv :JU· · • 16 Ad esempio Egeria, Itlm!ra~::"' ·ca'w~. 313-315. Ambrogio, CSEL 64, 7-8; 32/1, 75 ; Ago.~ no, • 15
3'17
o/m•/i111c'flh'r'li•cxk/r'lr/c•/ R F Tajl
dtian:·zza. 1~1 st•mplicità ecces:;iva è solo noiosa, c il disagio per
un rituale che non sia mitigato da spiegazioni è un problema dell'aristocr.tzia bianca. La liturgia ha bisogno di molti simboli immt'<.liati. di una gran quantit:ì di movimento e n1more, di incenso e camp-.me, e non di un conunentatore in giacca e cravatta per spiegarla ftno in fondo. Lasciamo che h\ liturgia parli direttamente alla gente, piuttosto che progranunare ogni sua reazione. Capita frequentemente che uccidiamo la spontaneità rifiutando in modo inflessibile che ogni segno parli da sé. Questo concorda con quanto ho detto p1ima a proposito della stabilità e della varietà. La ripetizione fa parte dell'essenza del comportamento rituale. Dovremmo sempre spiegare le cose solo se insistiamo nello scoprire di nuovo l'acqua calda ad ogni liturgia. Nella liturgia è necessaria anche la creatività, ma ancora una volta dobbiamo esaminare che cosa essa sia. Tutta la liturgia è Urisultato della creatività umana. Ma come per ogni comtme eredità-ad esempio la lingua di un popolo-il processo creativo è stato lungo e complesso, giungendo ad un compromesso tra la creatività degli individui e la ricettività del gruppo sociale. Una nuova attività creativa è sempre limitata e condizionata dall'eredità già esistente, e non può procedere come se si creasse su una tabu/a rasa. La gente ha composto anafore e ha progettato chiese nel passato, così come lo fa oggi. Tuttavia, non lo facevano in qualsiasi modo rispondesse alle richieste di una creatività artistica disinibita, ma sulla base delle norme proposte non solo dal loro genio e dalla loro ispirazione, ma anche dalla tradizione, che non è proprietà di un artista, compositore, liturgista o poeta singolo, ma di un gruppo. Ciò che essi h:.mno creato, come i nuovi libri liturgici che pubblichiamo oggi, diventava litU1-gia solo quando era accolta dal gruppo. La creatività dentro ad una tradizione è una creatività guidata e !imitala da qualcosa di più importante del creatore. Questo significa che la tradizione reprime la creatività? Sostenere ciò significa sfidare l'intera storia della music.t, del rea-
328
15RJ.yx . llta uJ f>rrmk,Bn,.,
~o, della letterarur-J-e deUa liturgia. Qualcu namente sostenere che i musicisti che no potrebbe sedi Beethoven non sono creativi dal puesegud~ una Sinfonia . nto 1 VJSta musicale meno che non narrangino i movimenti . . a 00 0 11110 che propria melodia, e buttino via me•~ d. . ~ruerpoheha CC\n'\nn. qualId l CIO C sto.Beethoven? Forse che un attore non è un anJSta . -···rr se non ha scntto la rappresentazione un soprano non e' d. , .. ' una 1va se non ha composto l ana~ Le tragedie 0 i sonetti di Shakes . . l, h l peare sono meno creatiVI pere 1e c i i ha scritti non ha inventato i · genen lenera n.·?T: Et·10t non e' un poeta perché ha scritto in inglese, invece che m qualche nuovo esperanto inventato da lui stesso? Credo che sia arrivato il tempo che noi liturgisti prendiamo energicamente posizione contro questo approccio amatoriale al culto solenne di Dio, e restituiamo al popolo la tradizione che è loro, non solo nostra. Predichiamo ciò che la Chiesa d ha sempre detto, che la prin1a spontaneità e creatività del culto cristiano è quella dei cuori e delle menti liberamente elevate a Dio in amore, canto e preghiera. Ciò che sto cercando di dire è che devo far si che la liturgia parli da sola invece di cercare di farla parlare al posto mio, invece di sfnlttarla come strumento di autoespressione. Come )e cattedrali medievali, le liturgie furono create non come monumenti alla creatività umana, ma come atti di culto. L'oggetto della liturgia non è l'auto-espressione, nemmeno l'auto-appagamento, ma Dio. ·Egli deve crescere e io invece diminu~: ~ ce di Gesù Giovanni Battista ( Gv 3,30), e questo è un pnnapto eccellente per i ministri del culto. Comunque, l'esperienza 0X: stra che il massimo della spontaneità è spontaneo sol~ la poma volta. In seguito è sempre lo stesso. Inoltre, la maggtor par· . . qualche alttO te della gente non è particolannente creanva 10 . aspetto della propria esistenza, e non c'è ragione di pensare che lo sia quando viene alla litUigia. Essi tuttavia possono esse_~: scinati a partecipare all'eredità comune ~ 8r:m lunga~ bile e ricca della creazione di ciasCuno di 1101 come
Ciò di cui abbiamo bisogno non è .scop1ire di nuovo l'acqua calda, né dare una nuova forma alla nostra liturgia ogni volta che leggiamo un nuovo articolo, ma soltanto prendere quello che abbiamo ed usarlo i11olro bene. Thomasj. Talley narra una storia che illustra quello che sto tentando di dire: Poiché avevo lavorato una domeni<.
330
15. R~ al i'rrrmo Beruft.t&
to un po' d'acqua. Egli deve aver creduto che . to :;icur:.unente :dl'Ullima Ct:na 0 forse ha q~esto sta ~lO fat. G. . liaputo che t!t3 ~A,,_ po <. I1 •lllstmo manire, c può anche esse . "'"'"~" . . . · .u la tra<.!IZIOnc piUttosto costante dell'interpre stato. con'ia..-,ol . t·~· e ut:J. retaZJone s1mbolica ·he questa az1one ha goduto dal tempo di Ci . · 1.: ·, . 'fi pnano. Davvero P""' aver tr~vato no s1gm 1cativo. Ma io avevo la netta . •. U\J che lo tacesse perché era un prete che compiva .lffiP1feliSIOne " 1 .1 . 1 unntuae equesto. era. c1o c 1e 1 ntua e gli richiedeva · Dnnn aver ffiOSitdtO'a. pane -~·~ e 1l cah~e alla ~ente durante il canone, si inginocchiava re<Ùmente ad ogm occas1one. E dopo aver spezzato l'ostia aUa frazi , . f one, ne stacco un p1cc~1o .rammento e lo pose nel calke. Sta\'a pensando alfetmelltum <.h cu1 Innocenza scris.o;e a [)e(:enzio, o al riro del satJcta nell'Orcio I? Aveva letto l'lmmixtio et Cot~secmtiodi Andrieu?In quald1e modo avevo l' impre;sione che la risposta a tutte que;te domande fosse no, e questo non faceva alcuna differenza. Eper 1a1e ragione, sentii profondamente la forza della tradizione in queU'a&semblea di gente che mi em scono.~ciuta. Questa liturgia era dò che ha prodotto la rifonna del Vaticano Il, ed era qualcosa di chiaro, forte, diretto e profon<.lamente arcak:o. Questo significa, come per tutti i buoni rituali, che era fonemente autorevole. Non potrei vedere un modo in t:ui l'elezione o la nomina dì una nuova t~ne liturgica potrebbe modificare questa autorità, perçhé non era qual· cosa di fano in casa. Mentre questa liturgia avrebbe ben potuto essere ancora nuova per i laici pitì anziani, per me era Vet't:hia quanto la storia della nostra gente, e nuova quanto lo era :;tata in questi venti secoli. Ora, io semplicemente non ho la sen.-;ibilità, l'ingenuità o l'emdizione ~r produrre questo :;enso di autorità. E nemmeno. ne t·. ' 'siede nel sono sicuro, quel giovane prete. Que.o,to tipo di autoritll ru· rituale stesso." l
•
.· omune un ideaIn altre parole, la liturgia è una tradIZJOne c . ' nvato le eli preghiera a cui devo crescere, e non qualche g•oco p . U d ll mia banalità. Equanche sono libero di ridurre al hve o e a aie · pranutto se è qu osa do il rito ha qualcosa che non capiSCO, so " · T
J
TaUey Worslnp. Re.[ontli"'J
17 "The future of rbe l'asl • 10 , •. • t990> 1'52-153. Tratlttion (Wasltinbrton, D.C.: Pastorali res.o;
331
~ /hf11'flh' r l 'ntl'Ulc•rtlt' l R. F Tttf/
che i cristiani in quasi ogni tr.tdizione, in oriente e in occiden-
te. hanno fatto per circa un millenio, allora il mio istinto iniziale dovrebbe forse sospettare qualche lacuna nella mia comprensione, prima di procedere immediatamente a tagliare qualsiasi cosa che ha la sfrontatezza di sottrarsi ai limiti della mia intelligenza. Non dico questo perché sono così ingenuo da pensare che i nostri testi ufficiali non potrebbero essere migliorati, né perché sia ignaro del fatto che i membri di questa Accademia siano davvero capaci di perfezionarli. Piuttosto dico questo perché l'esperienza concreta prova che la schiacciante maggioranza dei nostri celebranti non solo sono incapaci di migliorarli; non sono neanche capaci di prenderli come sono e di usarli bene. Se non credete a questo, non siete mai stati di recente in chiesa. Se il progresso richiederà un mutamento di condotta ed una rifonna, sono profondamente convinto che questo lavoro deve essere fatto in comune, non privatamente, e che il campo di battaglia proprio degli sforzi futuri è l'aula, il centro liturgico, la commissione liturgica, le pagine delle nostre riviste di studio, e non i santuari delle nostre chiese parrocchiali. Quindi, non sto sostenendo l'abolizione della creatività. Comunque, mi piacerebbe vederla limitata a chi è competente e veramente creativo, e che fosse reindirizzata al suo oggetto proprio, dove il bisogno è più grande. Potremmo fare a meno di una nuova emissione di anafore di second'ordine, ma abbiamo un grande bisogno di una musica migliore e di chiese decenti in cui celebrare. La grande ironia della maggior parte degli sforzi atnmli di creatività è che la creatività è lasciata precisamente in modo ufficiale a due aree-l'omelia e le intercessioni che seguono le letture della Scrittura-
332
l S. ~ 111 ,.,..., l1rn&ire
denti, un mL-.sionario di rito latino nel Medio oriente. Come • cidentale che aveva studiato liturgia orientale egt· dov oc . . • 1 evacelebrare una htt~rgta che non aveva studiato, e studiante una che non aveva maa celebrato, non solo perché non era la sua perché non desiderava farla sua. La trovava sovraccarica,·.: notona in modo insopportabile, lunga in maniera sbalordiriva. Inoltre, i membri di quella Chiesa non avrebbero mai toUerato un intrigante straniero in qualcosa di così vicino a tutto il loro essere e alla propria identità come il loro rito. Forse avrebbe dovuto studiare la Sacra Scrittura? Risposi con queste righe che riassumono, meglio di qualsiasi altro espediente che potrei comporre per concludere queste riflessioni, ciò che spero sia il senso del lavoro della mia vita. Carissimo amico.
... Credimi quando dico che ho letto e riflettuto spesso sul ruo cri du coeurriguardo al tuo futuro negli studi lirurgici... In primo luogo, tu devi restare con il tuo rito latino, e questo è_ in se.~~ problematico in una terra di rito orientale. a sono ~b modi ma.u uno può servire la Chiesa là senza cambiamell(O dt ~lo, e davvero . . a cut. un oc:cide-·-•credo d siano aku m. riti IWIJI; semplicemenre non .. Può adattarsi e non dovrebbe provarci. r è così monaslieiZZata, (..'0· [ l In secondo luogo, ... questa l1\1lgl3 dilftcile da vivere piesì onerosa, che fuori dal ~~e~~ . come w hai del· namente. E l'ufficio ha un unifonnitl che mtonllSCe, anninnt> in -·•; sono una <.:ertavita bUc--·to <."OSI• bene. Tuttt· qu"'.,.. . segni di • prendere e iniziate anun ·antica tradizione che un gK>ffiO dovrà • c-0 solo dal di . . Ma q_~esto. puo '"" Io srudio com una volta a svaluppa~1. voiessere richiederà denrro della tradizione ~tes.-:a, e CIO a sua :. ama il suo popolo della tradizione, lo studiO da uno che la ama e desidera servirlo. . . r.;ona1e dell'enorme imPosso solo dare u~a t~wnaa:~~. QDtSO, scienportanza che si può attnbuu-e ad uno· • aunbiare per sem. · . gnante uno puo tifico della liturgaa. Come anse 1 ' diretto conlllttO con le sor: pre la vita delle persone portan~~ e ~ degli ultimi. infelici sviluppt genti della tradizione dopo che gli ~r~...... _,.;w...,.. si può ancbe '-""'""' e incompreno;ioni sono stati eliminatLcl1e sono guardiaW ('()5I #" avere un profondo effetto su coloro ... · o
o
ò)U ....... W
o
•
333
c•trll""il'llh't•l '", klt•rrtt'' R F. lì!/1
lo.-.i lk'lla pmpria ereditù. N:llu1~1lmentt' questo può essere fauo solo con b m;lssim;l ohienivit:ì, e con nessun :1hro motivo che il deskk.'rio ùi serYìre Dio Sl'IWlldo il suo popolo. So perfeuamente che ro~1 tlon't'i t:u't' per Gunhiare, restaurare, riformare alcune liturgie che ~1udio, ma non mi sono mai fatto avanti come riformatore ... Ciò rhc lo sn1dioso deve offrire è la conoscenza, da cui deriva la comprensione. Con poche eccezioni, a causa della situazione presente in molte Chiese orientali, questo è un servizio che noi in occidente possiamo meglio fornire. Non dico questo con anoganza, o con qualche pretesa di essere "migliori" o ··più intelligenti" degli orientali. Ma noi non siamo oppressi dal comunismo o daii'Islam, ed abbiamo il livello economk.-o e di isrnrzione necessario per fornire questo servizio, che è un vero ministero della Chiesa di Dio. Questo è un servizio ecumenico che i cattolici possono offrire alle Chiese orientali non con interesse per sé o con il tentativo di pescare nelle loro acque. Ogni ministero cristiano, come quello del nostro Redentore, è un ministero dì riconciliazione e di servizio. Ciò comprende il ministero dell'erudizione, che non serve ad altro se non alla verità, al servizio della Verità. Quindi sbagli pensando che uno straniero come te non sarà capace di coinvolgersi in queste materie. Perché non c'è nessun altro a farlo ... Naturalmente ci sono quelli che dal loro alto trono sentenzieranno ... e diranno che naturalmente finché tu non sei ortodosso e non vivrai veramente la tradizione, non potrai realmente mnoscere co..'i'è tutto questo. Ma non si può essere infastiditi da questa specie dì gnosticismo. Credo che tu sia in errore sopratnrtto pensando che forse dovresti scegliere un'altra area di interesse. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. La chiave per il cuore dell'oriente cristiano è la sua liturgia. Come tu stesso dici, è solo attraverso la liturgia che la Scrittura, la Tradizione, i l>adri, la pietà, la spirimalità-tutto--è trasmesso e vi-;.-;uto. A volte, come m riconosci, questa espressione di fede vivente può divenire sderotica, ercessiva, troppo pesante. Ma sotto la crescita troppo rapida dei secoli giacciono i gioielli dell'incarnazione del vangelo operata da un popolo, che aspetta di essere scoperta da quak.1.mo che ha la volontà di ripulire le incrostazioni. Non riesco ad immaginare un ministero più appropriato, più immensamente remunerativo d1e studiare l'eredità di un popolo-e in oriente que1>1a eredità è conservata e trasmessa attraverso la li-
334
15. RllptJIIQ al Prrmft, Brr'*'b
turgia-a\ fine di scoprire le sue ricchezze per Ubene di quello ~~es so popolo, e di tutti i popoli, per la gloria senza fine del nomeetcr. no di Dio. Naturalmente non è un ministero facile, ed i risukali non vengono immediatamente, ma davvero non riesco ad immaginare di fare qua \cos'altro. A parte la soddisfazione inte\\enua\e e spirituale che può dare, e il bene che può fare, è anche un divenimerto piacevole e pulito.
GLOSSAIUo
AKROTELEUTION, greco ~finale", l'ultima frnse di . . . Il .. l . un tropaoo ~ sta ntome o pm ungo, npetuto dopo i Versetti di salroo tifonale, dal momento che la ripetizione del~ . anè risetvato all'inizio e alla fine dell'antifona per ~~~ero AN~FORA,
greco "oblazione", l) la preghiera eucaristica, OS5ia il canone •della messa; 2) il sacrifico eucaristico stesso che Vie· ne compmto per mezzo di questa preghiera.
ANAMNESI, greco anamnesis, "memoria, commemorazione, memoriale", l) il memoriale liturgico dei misteri della salvezza:"&te questo in memoria (= greco anamnésin) di me"; 2) tenDine tecnico per la parte dell'anafora che segue questo "comando d'iterazione" del Signore con l'enumerazione dei misteri ricordati, ad es. nell'anafora di san Giovanni Criso5tomo: ·memod dunque di questo precetto salvifico e di tutto àò che è srato fatto per noi, la croce, la sepoltura, la risurrezione il terzO giorno...~
BEMA, greco "tribuna, piattafonna", l) piattaforma elevata del santuario bizantino, 2) oppure il santuario stesso; 3)nei riti siri, una piattafom1a. nel centro della chiesa, fornita di pulpili e di una credenza dove si celebravano la liturgia della Parola della messa e una ~arte notevole dell'ufficio divino e di altre uffidarure. CANONE, greco kam5n, una lunga serie di amti poetici.~ to caratteristico del mattu~o b~~?· ~.~; 9 odi com~te in base a1 9 cantla scn~ cantab duta invece della poesia attuale. La 2a ode e~
anes:·;oa.
nmte le ferie della quaresima ce ne sono 2. 3, o 4mvece .. .. la . " el ..:to L:-...ano .le _., EKPHONESIS greco ~esc 1113Zlone, n u• sologie pr6clan1ate ad alta voce dal sacerdote alla~ delle preghiere. l}U.61•
•
Oltll•l <~llt'll/t' diù'ldt•rr/t' 'R. F 7ì!fl
EKTENE, greco "inten~a", nome proprio della litania dopo il vangelo nell'eucarestia bizantina come pure in altre uffìciaturc, chiamata "imen~a" a causa della triplice ripetizione della rispo~ta Kyrie eleison. EKTENIA, fonna slava del termine precedente usata per qualsiasi litania. ENARXIS, greco "introduzione", rito introduttorio prima del Piccolo Ingresso della liturgia eucaristica di rito bizantino, composto di tre litanie, preghiere e antifone. FERMENTUM, latino "fermento", una porzione dell'eucarestia consacrata alla messa papale e portata alle altre chiese dell'Urbe per essere consumata durante la comunione alle loro liturgie come segno della comunione ecclesiastica di tutte le comunità della Chiesa locale, comunione simboleggiata liturgicamente nella participazione ad una sola eucarestia sono la presidenza del vescovo. GIORNI ALITURGICI, giorni di penitenza e digiuno quando la liturgia eucaristica non viene celebrata. GRANDE INGRESSO ossia Introito Maggiore, solenne processione di trasferimento dei doni all'altare per l'anafora, all'inizio della parte eucaristica della liturgia bizantina ed annena. ICONOSTASI, tramezzo con tre porte, capetto di icone, che rinchiude il santuario, separandolo dalla navata, nelle chiese di rito bizantino. INNO DEI CHERUBINI ossia "Cheroubikon", canto del Grande Ingresso nel rito bizantino e armeno. INTERCESSIONI ANAFORICHE, le preghiere per i vivi e i morti nella preghiem eucaristica. KOINÒNIKON, greco "comunione (canto di)", canto salmico che una volta accompagnava la comunione nel rito bizantino, adesso ridono a un solo versetto o ritornello.
338
r.i-..,., LITANIA, greco "processione" • una se.ne d'1 pctizion· l>li • ~oste ad alta voce dal diacono 0 dal prete alle 1 . ~•. pro. nsponde con una breve rU;posta fissa ' quak apopolo "C .d. s· come KyrJe ,J_.___ once 1, o •gnore", così chiamata perché v . ~o te spesso durante le processioni di ~ . ~ano canraclude la litania con una orazione. ogaZJOne. prete conLUCERNARIO, l) ?to della luce vespertina, simbolo di Cri5lo iuce del mondo (Gv9,5), antichissimo elemento litu . ' . . · onenta · li·; 2) i vespri stessi. f8ICO Del Ves•p n. d'1d'1vers1' ntl METANIA, riverenza, prostrazione, usata nei riti orientali invece della genuflessione per onorare il Santissimo, un'icona 0 altri oggetti sacri. PERISSE, greco "appendice", un secondo tropario ossia ritornello sostituito al tropario ordinario dopo la dossologia alla fine della salmodia antifonale. PICCOLO INGRESSO ossia Introito Minore, solenne processione con il santo vangelo dopo l' enarxis all'inizio della liturgia della Parola di rito bizantino ed anneno. PREANAFORICI RITI, i riti che seguono le intercessioni (litanie) alla fme della liturgia della Parola nei riti orientali. Sono riti di preparazione materiale e spirituale per l'eucarestia. PRESANTIFICATI (liturgia dei), celebrata dopo i vespri in~ giorni aliturgici, è un rito di comunione dalla riserva eucanstica consacrata ad una liturgia precedente. PROKEIMENON, sahuo responsoriale di rito bizanlin<>, ~to nell'ufficio divino, o prima dell'epistola nell'euc.aro113PROSKOMIDE greco "offerta, offertorio, oblazjone·, l)~rerdi~ ' 1 --J..;...r.~ hizanbll3 nùne per l'anafora stessa·, 2) adesso__ a pn.oa-....~ itntllediawnente preparc~zione per l'anafora d1e la ~rt:\.~e 3) sinonimo per il rito della protest. PROSKOMIDIA, termine slavo per il rito della protesi.
PR01Ril. gret"' ·otTertorio", rito di prepara1jone e otfcrta del pane c del calice prima delh.lliturgia eucaristica hizamina ed armena. C'è un rito simile in altre eucarestie orientali. SKEllOPHYLAKION, greco letteralmente "guardaroba", il tesoro-sagre~1ia delle antiche chiese bizantine, originariamente in un'edicola separato all'angolo nor-dest della chiesa, usato anche come luogo della protesi. STAZIONALE (liturgia), liturgia processionale attraverso la città da un santuario ad un altro-la "stazione" del giorno-dove si celebrava la liturgia eucaristica. TRISAGHION, antichissimo tropario "Santo Dio, santo, forte, santo, inuuortale, pietà di noi!", d'origine bizantina o antiochena, cantato al Concilio di Calcedonia nel451 e usato fmora in molti riti orientali. TROPARIO, greco "ritornello", composizione poetica bizantina ripetuta dopo i versetti di un salmo antifonale, oppure adoperata come canto liturgico indipendente. lYPIKON, greco "nomutiva, regola", dal greco typos, "modello", l) una regola monastica bizantina con delle indicazioni liturgiche per gli uffid del monastero; 2) un calendario liturgico bizantino fornito di rubriche e indicazioni dettagliate per lo svolgimento della liturgia, soprattutto per spiegare le particolarità liturgiche dei giorni festivi. VIGiliA DI TUITA LA NOITE, greco pannychis ossia agrypnia. Nei monasteri bizantini si celebra l' agrypnia il sabato sera o alla veglia delle feste. La funzione comprende i vespri, una veglia festiva con la proclamazione del vangelo della risurrezione (le domeniche) o della festa, e il mattutino con le lodi, il tutto esteso dur,mte la notte da una lunga salmodia monastica che si conclude all'alba o pònu con l'eucarestia. Una forma abbreviata di due ore circa è celebrata nelle chiese parrocchiali in alcune usanze del rito bizantino.
340
INDICE ANALITICO ·AJxlallah, A.. 147
An-.utt, .... 202
Men'tv. N.. K7 Arr.enio, Ahate. K7
IDOftf'x:azioae 7~ accessus ad altare, 238; vedi prea- a5a.'tismo. 85; vedi~·-. ' ,....,, 8}. Assema . ""''§'UUIll, pe-.za naforid riti nt,J A.,149
Atti di Giovanni. apocrifo, 91 Afanas'ev, N., 131, 132
akroteleutioll, 213-214, 233, 337 alessandrino(i), 40-;o Aleksij l, Patriarca di Mosca, 153 Allazio (Allatios) Leone, 105, 106 Ambrogio, 20, 92,211,327 anamnesi, 16-18, 22-30,31,36-37,4042,47-49,00-81,82, 173ss, 195-197, 267, 307-308;eucaristica,43;neUe ore, 173ss, 195-197; base della liturgia e della preghiera cristiana, 195-197 anafor.t, 43, 117-121, 131, 134, 147, 216, 235, 237-240, 242, 243, 244, 246, 317, 328, 332, 337, 338. 339; di tipo antiocheno, 261 Anastasio il Bibliotecario, 228 Anasta.o;io Sinaita, 58, 95 Andrieu, M., 131, 143, 230, 331 anno liturgico, 15-30, 195-197; e Bibbia, 23-24; st-opo dell', 23-24, 28-30; vedi domenica, feste, Natale, Pasqua, pasquale nùstero, Quaresima, Settimana santa, storictsmo antifone, saJmodia antifonale: signifkato, eset'UZione, ricostruzione di, 207, 211-214, 227-232, 239-241, 245-249; bizantine, 232, 245-249; ritornelli (antifone) di, 55-56, 58, 61, 62, 196,211-214,225, 231,239240, 245, 288-289, 291-292 antiocheno (i), 41-45, 49 apparizioni di Gesù nel dopo-riSUfrezione, 25 artanesimo, 40, 42-43, 48, 132 Arnaldez, R., 38
Atanasio di Ales6andria. ~ ALanasio (Ps.), 291 Atanasio IO Petebr.&s, Palriara di ~145 Altwater, D., 309 Aucher, J 8., 94 ~.47,93.243,327
Avr.wnij di Smolesnk, 109 Aznavourian, Z., 111
Badger, G. P., 150 Baldovin,j.. 46, 47,221.228 Balsamone, Teodoro, 110 Bar Hehraeus, Gregorio,101, 149
Barr,J., 16 Barsamian, Kh.,
111, 149 Barth, K., 254, 256, 318 Basilio il Grande S7. 90. 92, 96. 128. 158, 173, 183, 190. 192-193, 202. 212, 225, 235, 244, 256. .$293. 296,299,327;lluqpabizàotill:adi. 202, 225. 235, 244
Barnaba, 126 Basset. R., 98 batteSimO, 1!), 30. 36. J1. 38. Y'J, 45, 47, 52, 58. 75, 78. 79, 83. 85. 155. 189, 195, ~ l06. 1JTT, ~. ZfJ8. 270, 298. 300: come iiDi nioue, 58. 189. 298; la Qu3leSiml c:ome preparaziOOe per il. 73-79. 155
Bawnstatk. A.., ~~,~~l-ZlZ. 217,220, 230, ~ ~· aaynes. N. K., 93 Hedjan. P., l49
- 296. 301
JJenedeUO, 103, 104. 105. BeoOit. A., 38
BeiZ.~·· 42 . ~ I:Jà8lltil'l cifidlfllllil
Oltn> litl'ierltt' c! l'oaitlt•lltc! l R. F Taj/
intercessioni anaforiche. 242-244; antifone e loro preghiere, 213, 225, 227-2..~2. 247-249; bado di pace, 216, 217. 220, 235, 236, 241, 312; Chentbicon, 165, 168,235-241, 338; cont-elebrazione, 122-124, 144-145; wngedo, 250-251; credo, 236, 241; disposizione e atmosferJ della duesa, 162. 164-168, 222-223, 229, 237; enarxis, 223,224-226, 227, 338. 339; evoluzione della, 219-251; frequenza della t-elebrJzione, 99-103, 111, 117; litanie, 208-211, 226-227, 236237, 241, 242-243; liturgia t·eleste, 165-168; Wi110tlii..'OII, 235, 245, 246, 247, 24R, 249, 338; patriaKale/pontilkale, 149-150, 227; Piccolo e Grmde Ingres.<;o, 162, 167, 168, 223225,227-234.235-237,241,246,247, 24R, 336, 339, 338; preglliere dei fedeli,210,211,227,235,238,244;riti di comunione, 142-143, 144-145, 146, 149-150, 241-249; riti preanaf<>rid, 220, 235-241; molo del diacono, 162; presbitemle, 147; protesi, 224, 245, 339, 340; stntttum, simlx>lismo, spirito, 165-168, 221-223; tmsferimento e disposizione dei doni, 216, 217, 220, 226, 227, 236, 237, 239, 240, 245, 338; Trisagio, 214, 224, 225, 227,231,232-234,235,240 bizantina tr.tdizione liturgica, 51-52, 153-171; ambiente e atmosfem, 6768, 163-168, 221-223; çaratteristidte della, 157-170, 221-223; domenica nella, 51-73; fom1azione della, 5355, 219-251; liturgia t'deste, 165-168; liturgia come il'ona, 164-165; non divorziata da t1tltura, pietà, teologia, spiritualità, ecclesiologia, 157159, 163-164; tema della ri.<.1urezione in, 58-64, 169-170; ruolo dell'il'onosta-.i, 161ss; spirito e simboli<;nm, 5455, 63-64, 153-171, 221-223; spiri-
342
n•alit<ì della, 61-72; veglia di nnta lJ notte, 54-61; vespri, 173-200; vedi bizantina divina linu-gia bizantino rito, vedi voce precedente bizantina spiritualit<ì, SH; liturgica, 62-72 Bohl, H., 108 Borgia, N., 228 Bomert, R., 40, 41, 323 Botte, B., 36, 43, 107, 127 Boulard, E., 40 Bourgeois, C., 171, 279 Bouyer, L, 125 Brakmann, H., 121, 122, 123 Braso, G., 178 Brightman, F. E., 92, 119, 209, 211 Brown, R., 15, 23 Browne, P., 108 Buckley, M.J., 259 Bugnini, A., 303 Buonarroti, Michelangelo, 260 Cabié, R., 48 calendario, vedi anno liturgico Calvino, vedi Giovanni Calvino Camelot, T., 189 Canivet, P., 104, 106, 107 Cantalamessa, R., 36-39. 42, 45, 50 carità, base della vita cristiana, 53, 84, 198,200 Cannignac, J.. 34 Casei, 0., 266, 269 Cassiano, 94, 180, 208, 291' 293. 299,301 Castellana, P., 106 catechesi battesimali e tipologià, 3740,41,183 Catergian.].. l 02 Cedreno, Giorgio. Hist. compe"· dlum,98 Chalx>t,j.-B., 92, 128,147,148 Cherubicon Inno dei cherubini. 165. 168, 235~241, 338; significato di.
m.
India! atlilllllciJ
240-241 Cbronlcon pascbale, 246, 247
~~modella, 141-143. 147·151:del
~len>, 144·151; di IUC>flali e .Mna. chiesa: edificio, simlxJ!ic;mo, dic;posiche, 103·11~; ~i solitari, 96. 103, zione; atmosfera delle c. orientali 106-107; .net gJOmi aliturgici, 9968-71, 162, 164-165, 221-223, 229: 102; ~on della messa, ro-91. 99231 108; nto della, 142·151; (anneoo) Chiese orientali cattoliche, vedi 149, (bizantino), 144-146. Cropto) orientali Chiese cattoliche 146-147, 149,(etiope), 15Ò,(~ Childs, B. S., 17 per), 150·151.
1.~
Condh. Sinudi: Andra 19: Auxcrrc 99: C:ut:lJ~ine Il 92: L;uKiicea 96, 100: Mar ls:t:u.: llH; Mosca 145; Monte Li ha no 101: Neocesarca UR. 129. 130, 131; SeleudaOt'Sifonte 92: Toledo I 93: Trento 92. 159. 296; Tntllo (Quinsesto) 93. 101; Vaticano II 62, 109, 117, 118, 121. 132, 133, 151. 155, 159, 160, 162, 179, 261, 266, 268, 269, 275.277.283,303,304,305,325, 331 Cong-.tr. Y., 198 Connolly. R. H., 44, 102, 127, 128, 129, 130, 211 mnversione a Cristo, 28 Coquin. R.-C., 119 Corhon,J., 267 Costantitlo I il Gr.tnde, 91, 216, 219, 221,288 Costantino IX Monomaco, 98 Costituzioni apostoliche 60, 95, 96, 181, 184, 210, 211, 243, 244, 248, 249,278,291,297,299,300,301 Courtonne, Y., 90, 92, 96, 291 Crisostomo, vedi Giovanni Crisostomo <.Tistianità orientale, vedi orientale cristianità Cromazio, 93 Cronaca di Nestore, 154 eros.~. s. H., 155 Crum, W. E., 94 Qdlmann, 0., 19 culto, signifkato, scopo del, vedi liturgia, narcisismo nel, 54, 109, 136, 278 (}.adi.~ho Qatr.tya, 106 (}.mic!lou,J., 30 D-mouzès, J., 98, 160, 240 Oa.'ihian,J., 102 Daou, P., 118
Davies. J. G., jl. }i Oawes, E.. 9.~ Oe Aldama,J. A., .:u Oecenzio di Gubbio. j31 destoridzzante tendenza nella liturgia, 38-39, 45, 47-4H Dehne, C., 283. 305, 325 Deiss, L., 175 Ddantdle, E., 320 de la J>otterie, 1., 126 Oelehaye, W., 91 Delling, G., 278 Demetrio Gemistos, 145 Denzinger, H., 124 Oerrett,J. D. M., 126 deserto, come simbolo in Quaresima, 79-82, 87; nd NT, 80 de Soos, M. B., 29 de Vo&riié, A., 103, 104, 105, 108, 301 devozione(i), sorta dal naS<:ondimento/esposizione, 163-164, 165-168; privata, non-liturgica, 48, 54, 109, 115, 164, 284 Devreesse, R., 41, 128, 129, 243, 244 Didascalia, 44, 127, 128, 130 Diataxi.~ (ordo) della lintrgia bizantina, 131; in Brltlsh Llbrary Add. 34060, 144, 228; di Gemistos, 145; di Atanasio III J>etelar.as, 145; digiuno, e penitenza, 74, 80-84, 99103; e celehmzione eucari.o;tica, 83, 91-97, 99-103, 113-114; ascetico, 83; mme dieta, 87; come simbolo, 82-83; eucaristico, H4; nel NT, 7576, 80-82, 84; liturgico, 83-84; della Chiesa/nella Chiesa, H3-84; par.tdosso del, 84 l's.-Dionigi, 40, 41, 128, 129 Dionigi di Alessandria, Lettera a Basilide, 145 Dio.'i<."Oto di Alessandria, 99 Dix, G., 32, .33, 36, 43, 1.30, 132, 137, 216,284,285,296 Dmitrievskij, A., 105, 145
htdlw~J
Dfllger, F. J., 1H9, 190 Dollc, R., 4H domenica, 51-72; ed eucarestia, 6467,90-91, 113, (a Roma), 142; veglia bizantina t~Ua, 54-62; escatologica, 114-115; focalizzata sul mistero pasquale, 58, 67; nella trcldizione bizantina, 51-72; nel cristianesimo primitivo, 52, 155; nella cristianità orientale, 53ss; significato della, 52-54; non osservata dai solitari, 106-107; osservanza in oriente e in occidente, 70-72; unità della, 53-54, 316 Dostoevskij, F., 310 Dubois,J., 103 Dvomik, F., 315
138, 139-140, 141-14}.11 ........._ 134-136. 215-216; concdet~ delb, l17-140; fattori~ la sua forma e rilroo, 112-llS, 134140,141-143; nelle case~ 91_ 93; tipi di, 91-93, 121-12}. dillinzione laici!dero all', 124-134, 138: ~e indiviWal&no-~ .... 54,' 109,132-140,278;~
cante, 99-101, 112-113, Prerr.ud'.. Celti, 97-98, 100, 101, 102, 103, IO;, 110; presieduta dal presbilcro, J.29. 130; prete olfre •lti penotlil OJrtstr 135-138; segno di <XliDllniooe ecclesiale, 114, 122, 134-135.136,141142, 148, 197; "grazia speciale" del mini.c;tro, 132, 135-136; eeologiaddJa, 134ss; chi la offre, 127-140; w.d bizantina divina lilwgia, axnunione, concelebrazione, messa, messa t
ecumenismo, 314-315, 317-318 Egender, N., 168 Egeria,44,45-49,57,60,61,94,191, privata -frequenza della celebraziooe, 89192, 211, 327 115, ; quotidiana, 9(}-96, 96; (in S. enarxts, 223, 224-226, 227, 338, 339 Sofia), 97; eccessi nella, 98, 113; Engberding, H., 202, 316 segue lo sviluppo del calendario, epiclesi, 119, 123, 242, 243 99, 112-113; norme generali per. Epifania di Salarnina, 95, 295 112-114; aumento nella, 91-99, Epstein, A. Wharton, 31 112; nelle Chiese orientali. 98-:103, escatologico contrapposto a storico 108-112, 117-124: in Quareama. nella liturgia, 25, 34-35, 113-114, 95-96, 99-102, 113; nei tempi mo184, 196-197, 277 derni, 108-112; nell'(f, 90-91; oelescatologia, 15-19, 25-30, 73-74, 81l'er.a pa;t-coslaJitinialla. 91-99; ael82, 114, 184, 197 le case private, 91-93; nella tradiesegesi, patristica, e mi~tagogia, 30, zione romana, 99. 103, l·U-~42; 40-43, 45, 49 monastica, 94, 103--lGJ; multipla. eucarestia: una realtà ecclesiale, 10899· non detennillata dalla deYO109, 114, 121, 132-140; un'epifani3 zi~e. 114; ()CC3Sionale, 90-9~· 99deUa Chiesa, 114-115; e devozione 1\1\.. lvv; net• digiuni o nei gtomi .n.."-clericale, 108-109, 114-115, 121, zjona)i, 95. 96-99. 9')-103: jllll; _ . . 132-140; e Rifom1a, 121-122; come dei martiri. 91. 96. 100; al~· sacr.unento/sacrificio, 129139; (fa 91, 99. 112; una messa al teologia di Pio Xli), 135; celebr.t la per altare. 99. 109. 12S; uoa . presenza del Signore risorto, 90, sa~aJiodll.~ 142, 262-2ti6, 270-:?81; celebraziOne A]cssal1dd8, 142o sdo Jt ~ di tutta la comunitl, 124-125, 136-
S:
\~1. 90-91.94. ll.t prcllt·~tantl'. IOH: 1;t..:inni 1~•· varit•t:) in. Il.~: \'t•di
t·nmunion~.- rk't'\'l'l't' 1'. dome· OÌl~l
Eu~·hin ..~S.
94. 1.'\0, IHO, !Hl. 2.h'9.
.'\l7 E\·:t~rio Pontico, 79 E,·:t~rio Sml:l~tico, 107, 129
f.uniglie liturgiche (riti), for111azione di, .Zl6-220 Featherstone. M., 93, 101 festa, litur~ia festiva, base nel mistero p~1Sq\1~1le, 49-50; diverSt! tr,ldizioni di. 49-50; ideale, 29-30; scopo tipico del NT, 20-22; teologia della, 19-30, 31-32, 40-42 Federer, K.. 204 Feltoe, C. L, 44 ft>n,elltum, 142, 331, 338 Filone,38, 185 Femandez. R., 106 Fozio. 131, 315 frdZione, simbolo della comunione euc:aristica, 143 francescana pietà, 48 frequenza dell'euc.:arestia, vedi comunione, eucarestia
Funk, F. X., 44, 127, 128, 130 Gabriel II Ibn Ttu·,lik, Patriarca copto, 146 Gabriele V, l1atriarca copto, 147 Gabriele di Bosr.1, 148 Gabriele Qatrdya bar lipah, 128 Gadamer, H.-G., 322 G-Jillard, J., 48 Gallen . .J., 283, 325 Gelzer, H., 93, 108 Gerken, A., 270 Gem1ano l. P
)<)<), 2(J) -2(12: lT<~l'l'. )l:I\:O.ÌOilt',
ridi. \ ('()j lllÌ.~ll'I'O pasqll:l k: .~:ll'erdlltt· l'dl'stl' e liturgia. 2H-29. ·i-1-i'i. 12'i-12o. 179:suo culto rome nostro. 2.-\ss, 2H, 7H. 176ss, 19H-200: storico. 2H-)0; imitazione dì. 7'i-79: vit:l in. sua vita in noi, 7H-79. H5-H7. 176ss. l9H-200 261-262; luce del mondo. vedi lu~ <:e; mediatore. 41-45. 147, 1H2; mistero dell'economi:rten't'na, 24, ZH30, 40-4.~. 46-49, 177-17H. 195-197; nostro archetipo, 27-30. 76ss; perS\II'I'l'ZÌOI\l'
sonalizzazione della storia della
salvezza e del culto. 20ss, 27-29, 199; presenza di, 25-29, 31ss, 42, 49-50, 87, 90, 263-264, 274-276; risorto, contemporaneo, 25-30, 274275; tr.tsfonuazione, conversione a, 28-30, 76-78; Ursakrament, 28; vedi vita in Ctisto Giacomo di Edessa, 107 Giacomo, liturgia di, 243 Ps.-Giorgio di Ar11ela, 102, 147 giomi aliturgici, 94-105 Giovanni Calvino, 254, 256 Giovanni Cassiano, vedi Cassiano, Giovanni Crisostomo, 33, 41, 79, 84, 95,96, 108,146,155,158,180,182, 183,194,210,211,221,225,235, 243, 244, 248, 254, 291, 292, 296, 299, 301, 326; liturgia bizantina di, 131, 146, 225, 235, 236, 242, 244, 337 Giovanni Climaco, 87, 162 Giovanni VIII, papa, 131 Giovanni Mosco, 90 Giovanni di Kron.~tadt, 109 Giovanni l'Elemosiniere, Patriarca di Alessandria, 93, 108 Girolamo, 35 Giustiniano l, imperatore, 160, 230 Giustino martire, 90, 216, 331 Giustino Il, imperdte>re, 239
1111Hu llfllllllfa,
Gogol. N.. 1(>7 Graf, G .. l·iì Grande lngre~~o. 162. 167. 16H, 223. 237, 241. 216. 217, 24H, 33H: antifona origin;lle dd. 239-240, 247248 Gregorio Il. papa. 97 Gregorio Nazianzeno, 92. 290, 326 Gregorio tli Nissa, 173. 190, 192, 243, 2<)0
Gregorio di Tours, 173. 291 Grisbrooke, W. j., 2H3 Grumel, V., 98 Guér.ud, 0., 39 Guìllaumont, A., 107 Guillou, A., 58 Guy, ].-C., 94, 208 Gy, P.-M., 97
Hiiussling, A., 99, 106, 133, 201 Hall, S., 38, 39 Hallihurton, R., 308 Hamrnond, l>., 156,157,161, 165, 170 Hanna, M., 111 Hanssen'i, J.-M., 100, 101, 102, 103, 119, 145, 316 Hardouin,J., 92 Harn~ICk, A., 320 Heikel, A., 95 Heiming, 0., 211 Hendriks, 0., 106 Hem1:tn, E., 105, 108, 110 Hertling, L., 136, 142 Hindo, J>., 102 H0eg, C., 213 Hudon, G., 47 Huher, W., 32.48 iconografico amtttere dell:1 Jiturgino1>t1si, icone e ruolo nella liturgia, 162, 166s.'i, 219-223, 224 lb'IlaziO di LoyoJa, EserCIZi SfJirltua/1, 24, n,273,314
lgn;tzio di Anliod~r.~. IZS, 1 ~ 141 ~nt~r~z~nlr.1Z, 73.166.273.
~n~a_nz~a, ra~:wflt.i dd!'. 15, 23
lfliZJall<~nr;:' l~. o\S.'79. llf), 2fh.
3!7. nella tr.tdizi<.>ne arrnma.
}1.
4);VedihJ!tesimo
lnnocenzo I. (Ydpa. 331 lnnocenzo ru, papa, 296 intt:n:e:<.sioni, anaforkhe, 242-24}. ponte alla vita quOOdiana, 182, 19S: n:mdudesinassi.un-182, 19S;aao sacerdotale di tutta la cOIJJUOilà. IR J.1 82; vedi litanie introito, vedi Piccolo lngra~ introito, C'doto di, 249 Ireneo, 168 Iserloh, E., 323 ISo'yahh l, Catholicos neslori2no, 128,147,148
Jacob, A, 122, 131. 146, 22;, 226,244 Jammo, S. Y. H., 120, 128, 202 janerdS, S. (V.), 105, 202 jauhert, A., 126, 127 jungmann,). A., 42, 48, 92, 93, 132, 230.249,313,316,320 Kahler, M., 23 Kaufhold, H., 148 Kaczynslti. R.. 305 Kelly J. N. D., 38 kerygma, 23 .Khouri-Sarkis, G., 128 Kìlmartin, E.J., 38. ?59, :z63 King, A. 118, 120 KJau<;er, lh., 202 Koetschau, P., ?IJ Kohlschein, F., 322 ~zo~,,o,lkon. 235. :z4;, 246.
,-.
w. -
249.338 Kolping, A.. 48 Kologrivof, l.. 109 Kret.'iChmar. G., ~. 206 Krueger. P., 93
utttnzio. 3'5 L;un(ll'. G.. 3N Ltdner. G.. 32.~ Ll~'emeyer. B., l61, 271, 274, 275,
276 Latourelle. R.. 283 kxli. vedi mattutini Leden:q.).. 48, 106, 108 Leeh, H., 211, 239, 249 Le Goff,J.. 321 Legrnnd, H.-M., 137 Leloir, L, 107 Leone XIU. 309 Leone Magno, 29, 48, 99,276 Leonard, W .. 308 Leonzio di Napoli, 93 Leone ToS<.-ano, 131, 146 Lévi-Str.mss, C., 203 Ugier, L. 316 litanie, sbUltl.mt, fonna letter.uia, evoluzione delle, 208-211, 226-227, 242-244. 245, 250; "angelo di pa<.-e", 291; bizantine, 208-211, 224225, 234-235, 241-243, 249; assemblea inginocx:hiata dur.mte, 208-210; petizioni indirizzate all'assemblea, 210 litufb>ia: e Cllltur.t, 157-158; e storia, 316-325; e legge, 160; e vita, 21,6263, 200; e teologia, 253-2;8; élnlinomie della, 81-85; come ripristino rituale dell'economia terrena di Gesù, 40-45, ro, vedi anamnesi; <.'ome teofania. visione, oggetto di <.'Oillemplazione, 56, 164-168, 171; hase, significato, scopo, car.ttteristidte <.leDa, 19-25, 29-30,49-50. 5255.~71,80hH5, 138, 173-178,i95196. 253-281; (come il NT), 22-;s, 27; centmta sul mi.'teru pasquale, 67, 195-200, 264, 297-298; cristiana. novitl ddla, 176s..-;, 198ss; pubhtica,64H65, 70, 1~162, 173,200, 255; velli messa privata; completa,
348
1.i, H6, l ';4-1 ';7: in oriente/occidente, 65-72. 15.~-lìl. 221-223; focalizzata al presente, 21-.30, 264: crescita dd b. 15H-1 ';9, 206-251; ce~ leste, 165-16H. 271: stoJica/escatologica, 31-.33. 41-42, 1U-114, 184, 196-197; immobilismo nella, 158; n1lro inleJiore, 198-200, 26R~s: liwrgia di Gesù in noi, 21ss. 28. 176ss, 198-200, ehraic1, 176.1H5~ 1H6, 190; b'iudeo-cti-;tiarul (biblici). 175-176; leg-,tli-;mo e mi )Ji<.:ismo nel~ la, 159; signific1to della parola, 173174; nonne per, 149-151; personalizzata in Gesù, 1Hs.o;, 198-199, 26;266; privatizzazione, clericalizzazione della l. in ocddente, 64.Q5, 160-162, 302-303; aru11i-;i strultl.tr.Ile della, 201-218; tematizzazione della, 53; teologia della, 40-43, 173178, 195-200, 253-281; tr.tdizionale, 66, 158-159, 323-333; unifomtità, varietà, diversità, spontaneità, creatività nella, 66, 157-158, 323-333; vedi anamnesi, comunione, con<.~ lehrazione, bizantina ... , liturgia orientale, eucarestia, storicismo, liturgia delle ore, paolina liturgica pietà, orientale, 51-72, 153171; storicismo in, 47-49 liturgica preghiem, struttum della, ]JJ7211; indirizzata all'as.o;ernhlea, a Dio, 209-211 liturgica rifonna, rinnovamento, 158160, 278-279, 285, 322-323, 324 liturgici studi, metodo in, 201-218 liturgidte unità, 201-21H passim, 224· 251, decomposizione delle, 213214, 217-218, 232, 237-241, 244248; ri<.·ostmzione di, 201-218 passtm 222-251 passtm, (re)interpretazi~ne di, 203, 217-218, 235-237, 250-251 liturgil:o studio, natur.t e metodo del-
lnd'" lllftlllll(s,
lo, 11. 201-2IH lin•rgia delle o~. :>4-63, 103-104, 173200, 2H}·:W5: e preghicrJ ebrait:a Jl(}, 1H5, 193; c santifiGizione deÌ tempo/escatologia, 113-114 1H4 196-197, 2H4; e Vaticano 2H3~ 284, 303-305: come obbligatoria. 105, 179. 1HO, 30lss; veglia bizantina di tutta la notte, 54-62, 170; celebrazione ddla vita in Cristo, 198200; derit'alizzazicme e privatizzazione in (X:cidente, 160-161, 302303; nella Chiesa primitiva, 18019;, 284-296; origini della, 1~, H
n:
larou
lucernario, 55-58, 189-193,305; vedi luce Lyonnet, S., 198 M-Jcomher, W. F., 112, 120 ~crina, 173,190,192,290 Magmssi, M., 42 ~i,A.,149
Mano;i, J. D., 9, 92, 93, 96, 99. 100. 101,128,129,130,131,204
Maphrian di Tllut, 149 Mam~:1l, P., 45. 94. 190. 192 Mar~'l:lno 1'01.-collomos, 121 Martìmort A. G., CJ7 ' '" M:~rtin Lutero. 261 Ma~~la di Maipheritat, 95 martìrìo. 84 Mary <~dre), 71 Mateos, J.. '17, 102, 106 180 190 191, 194, 195, 19ft, zo9. 21 ~ 214, 226-229, 231, 233. 234 235 244.246,248,249,313-316' ' Mateos. S<..1.1ola di, 202 Mathews Mar Severios (Mattathil) 111, 150 ' Mathews, Th. F., (i), 93, 98, 162, 229, 230,237 mattutini e lodi, 11ll-182, m-7!»; bizantini, 54, ;8-61, 70-71, 169-170: elementi dei, 18)..181; simbolismo del sole in, 189 Mas:>imo il Confessore, 21:l M<.:Gowan,J., 118, 122, 130, 140 McNamarn, B., 264, 266, 'JJ/), 274 Meinardus, O. F. A., 111 Melania la Giovane, 92 memoriale, l1.1huale, vedi anamnesi messa: tunventuale, 65, 103-105; di monad, stilili, rech1si, 106-107; divisiva, 64-65, 121, 133; iD orienle, 91-93, 106-107, 1()1).110: in QL~ pivatl, 91-93; intenziooe, 13355: non tunune nell'antichitl, 121; sokluna mes.o;a domeni<:ale pt(Xde a Roma-
';'!?
zoi,
142; Jlk.'-ulo gruppo, 89-93. CJ1, IZl122; privata, 99, 107.121; , _ . .. ak:une oc'OISiOni. 121; sillc;rtlllimtl, 11~120: seom lUDUJiic;aDii.J{Il 109; vedi uxx:efebrazioat: t,'UC.2R!'stin, OOmtniCa
metodo: stfUllUJ"dle, nellosrudio~ la liturgia. 201-218, 224: della liturgia t'tlltlparata. lOl-203. lll. 214-215, 246
~k~'l.'l'. Il -li .. Min;l. T. 9-4 mìm,fo~.
21,)) .
.;!"9
61
11\lsla,L.'\l~ia ..'ID. 40-·H. 4'i. 49, 79-HO.
Hl-H.t 16:;·167 Modesto. P.. M
Mnhnn:mn. C.. .~6. 39 morte come din:uni<::l. 7H-H3
Murphy-O'Connor, J., 199 Muyser. .J .. 94. 106
tilimna liturgici, l 'iH-160, 16-i; Gl· l~lllt'IÌSiidll• t' spitil< l di. )}-';4, 62-72paragona te a ll'ocmlente, 62-72' 153-171 fr.lssim: difetti di. 70-72: de~ vozione ai mnt1i nella, 163: t~ma della litttrgia celeste, 41, 165-16H; liturgia come oggetto di mntemplazione in, I65-16H; non sepamta da L1.tltura, teologia. 157-159, 163164; :m1hiente e atmoster.t di. 67-<JH 163-16H, 221-223; vedi bi.Z
Narsete. 12H. 129, 211 Natale. 13. 29. 30. 4H Natività-Epifania. ddo, 47-4H; vedi Natale Nautin, P., 39, 142 Nedungatt, G., 93. 101 Nestorio, 92 Neufville. J., l 04 Nf, compamto alla liturgia, 23-2;, 2930 Nic<Xlemo l'Agiorita, 123 Nikodim, Metropolita di Leningr.tdo, 1;6 Nikon, Patriarca di Mosca, rifonua Pacomio, 106, 293-29; Padre nostro, preghiera del Signore liturgica di. 14;. 160 nella liturgia eucaristica, 241-244; Nilles, N., 102 alla sinassi comunitaria, 294 Nocent. A., 268 Parayady, T., 102, 106 Nussbaum. 0., 90, 99, 102 Parenti, S., 225, 226 ocddentale pietà, contmpposta al- t>am1entier, L., 249 l'orientale, 63-72 parusia, 19, 24, 2;, 27, 32, 34, 3;, 36, Oesterley, W.O.E., 186 39,42,49,;3,66, 7H,82,h~ offertorio, 236. 240, 246, 339, 340 Pasqua, 22-23, 30, 33, 34-39, 4;, 49, offertorio, L<&nto tli, 240 60~1.~7. 79,97, 110,171,264, 272-273; celebmzione pasquale, Orrllnes romtmi, 131, 143, 22H, 230 orit'ntalt' cristianità, ;1; nella dia29, 31, 3;-40. 42, 44-;0, 156-1;7, spord, 69-72; tr.tdizioni <:onsidt't69-17o, 11G-111. 261-262, 265. rdte più antiche, 117, 132; vt'di bi316; cronologia della, 34-3;, 43· 4;; destoricizzata, 37-3H; fnuuzantino ... , concdebr.tziont', orienmentata 31-4;· come baJ1Madab tali cattolici, orientalt' pit:tà. ortol' dossia cristian;!, 37; mattutini pasqua l, 168-170; come passaggio, 3;-42; orientale pietà, L1.tlto, liturgia, ;I-72, come passto, 35-40, 48; Quaresinlll 1;3-171; e cleriad.izzazione, 161; e l
350
l
mme preparazione per, 79, l 56157; veglia pa~qualc, 39. 316 Pasqua chraict. 34-37 pasquale mi~ter< '· passaggio di Gtw dalla morte alla vita, oggetto e h.t.~ di lede cristiana e di cdehr.tZione liturgica, 29-30. 31-32, 37,49-50,676H,H2, 195-197,264,~281,29B;e domenica, 54, 5H, 67; come ascetismo, 75ss; come salvezza, 7Hss; nel battesimo e nell'eucarestia, 58. 78, H2, H5; nell'utlkio bizantino, 53-63; nella liturgia delle ore, 195-197; "pasqualizzazione~ di, 37; vetli Gesù, risurrezione Passarelli, G. 1., 226 pasti nel NT, 52, Hl pastorAli conclusioni su: feste, 11-12; frequenza dell'eucarestia, 112-115; Quaresin1<1, 79ss, 86-87; rito di comunione, 149-151 paolina visione della liturgia, 20-21, 25-27, 39, 78, 198-199, 260-260, 262; della salvezza, 20-21, 27-28, 77-7R Paolino di Milano, 92 Paolo VI, papa, 330 Paolino di Nola, 129 Paolo di Samosala, 326 Pelikan,J., 185, 320 Pena, l., 106,107 penitenza, vedi digiuno pembos, compunzione, 87 pe~, 213,229,233,239,247-249 personalizzazione della storia della salvezz.a in Cli'ito, 20-21, 28-29, 265266, 276-277 Pétrovski, A., 146 Philippou, A.]., 163 Ph& bilaron (StJete tikhij), 57, 190, 192,193,194,239,290 Pict·olo Ingresso e preghiera di, 162, 223-225. 227-234. 235-237, 336. 339; cclJlto originario del, 227-234
PiMignd, A., 41
pict_à, _vedi orient:.le/ciCCidenuJe pietà Pietro l'Ux:rko, 92 Pimen. H7 Pic1X, 109 Pio XI, 309 Pio Xli, 135, 140. U:i>.l79. 316 Poggi, V., 106· . Policr,lte, 35 Popper, K., 204, 205 Porter, H. B., 53 Powers.J., 198 preghiera dietro l'ambone (optsthamhOtzos), 250: nello~ lakiou, 250; di inclinazione, 211, 241, 244, 245; della proskomlde, 236,238,243,339 preghierA, l'rJSe biblica e liturgia della, 193ss preghierA, prima e dopo la comunione, 242-244. 249; dei fedeli. bizantina, 210, 2?:7, 235. 238, 244; pro clero, 210 pre-d!laforià riti: elementi, signifìaro. strutturA, 217-218, 221-222. 23;.. 241, 245-246, 248-249 Presantifkati eucarestia, 97-98, 100, 101,102,105,110,189,339 Prospero di Aquitania, 204 Protbeorla, 98, 240 protesi, 224, 245, 339• .340 psalmoi tdiotikoi. 239 Quacquarelli, A., 190 Quaresimll, 73-ffl,lOI;come~ 79; t'(llne simbolo, 79-ffl; l'tliDe Ytgilia, 86; biz;mtina, 156-157. )'~. 1h'9; eu~ duranre. ~. 95. 97. 101-102, 111; lilurgia della.~ 87· pt'dlÌOI dellll. 78, 8).87; prept" r~ per .la l,.A.'iQU3 e per il htl· tesimO, 78, J5j;scopodela, 78;~ di digiuno
3Sl
s.accrdozio c sanilkio dci cristiani 27, .iO, IHI-IH2. 19H-199 ' Q\k'd~c. H.• 94 san~tmt·nto: tn:azionc come, 185; natura simbolica del, 139-140, 173, ballt'. R. 92 1~-185; vetti hanesùno, comunioR:JeS. A.. llH, .~16 ne, concelehr.tzionc, euc;arestia, tiRahnllo messa papale al~ Schwartz, E., 130 la domeniCél, 142; uso delfemum- Searle, M., 28, 51 tum, 142 SemenotT-Tian-Chansky, A., 109 Rnques, R., 40 Semmdroth, 0., 261 Rordorf, W., 90, 91,316 Senyk, S., 145 . Rnusseau, 0., 122 Sergio l, J>atrian.'él di Costtntinopoh, iq.'Oia, di Benedetto, 104, 296, 301; 246 dd Mclestro,l04, 108, 296; studitt, Settimana santa, 44, 46, 47, 98. 100, 52; typtca, 105, 110 170,324 Ru..._o;ell, N., 94, 104 Severiano di Gabala, 94
qtl:trtode\:im:mi . .~! . .~; ..-\6. 4.i
352
hrdJu lllttllrfu,
Severo d'Antiochia, 90, 96, 102, 106 Sherhowitz-Wdtzor, O. P., 155 simbolo-sistemi. liturgid, 113-115 Simeone di TessaloniCr.:me-.t, 73-74, escuologica/incamazionistica, 73; monastica73; vedi bizantina, orientale pietà, Quaresima, vita in Cristo, liturgia e vita Stahlin, o., 188, 189 Stanley, D. M., 21, 24, 26,77 stazionate liturgia, 106, 229-234, 248, a Costantinopoli, 97, 221-234; a Gerusalemme, 47, 220, 230; a Roma, 97, 221, 229-230; infllLo;so della litur!,>ia eucaristica, 221 stazioni, 47, 91, 112, 293 Stef.tno l, papa, 323 Stefano, Stilita, 231 Stockmeier, P., 323 Storey, W. G., 192, 283 storia, significato e scopo della, 1113, 31-35, 49-50, 83, 113-114, 174, 184, 205-206, 215; nello studio della liturgia, 316-323; liturgicd, f.tsi della, 215-216; metodo nella, 201218, speç. 214-218; vedi escatologia storia della salvezza, 15--19,21-22,2429, 34-35, 79-8}, 82, 196-197, 25?,;.'ij attualizzata nei sacr.unenti, 43, 7900, 196ss; e battesimo, 41-42, 45. 78; modello delle nostre vite, 79ss;
stc ~~-llurgia e via: anamne.t • )11(.1.<;11\(), 22, 31-50: C!JIIf-ad escttologia nella ;;-n~~' 4H. 184, 19S-197 ~ Stringer, M. D., 260 Strittmatter, A., 226. 316 Strobel, A., 32, 34. 35, 36.37 Strube, Ch., 27:7 struttur.tle all:l&i delle unirà liluq;~.201-218.224,232,~251;e mterpretazione liturgie~, 203-204, 218-219, 237, 250 struttur.de storia della liturgia euaristica. 214-218 struttur.tlismo, strutturalil;ti, 2.01ss strutture, euristiche, 215-218; delb preghiera liturgia: SCOOlp(l5i2ione della, 213-214, 218, 231-233, 237251; ricostruzione della, 201-218 passtm; 224-251 passtm, tipi di~ mus, t'Oilette, liranie, D'r211
Taft, R. F., 51, 94,101, 120, 121.128. 131, 134, 144, 145, 174, 180, 193, 195, 202, 210, 211, 213, 314, 222. 225, 226, 227, 228, 2'19, 231, 232, 235, 237, 239, 240, 241, 242,243, 244,245,246,248,249,260,284, 289. '191, '193, 294. 296. ?IJ7; Premio Berakak; riOessiooi hio~,rr.dìdte, ?IJ7-335 TaUey, T.J., 32, 71J7, 330.331 Tegels, A., 138 tempo, nella Btilia e oella Jirurgia. 15ss, as-87, 184, 195-196.1.84, 2.99; nella <.:ukura grea ed ebaiCa. 16: della Chiesa lr.l ~e piiU" sia 23. 26. 196-197; lluale,17H~
m,
m.
vedi ~ddtanpo. esoatolugill, stnria Teodoro BaJs;anooe, Vt:di tW x• Teodoro di ~ 4l. 128.
129. 155. 243. 244 Teodoro Studila, 52
Oltrt'l ()r'IC'Iflt' d01 • ttfc•rt/t' h' F 1it/l
h'('tC.kll~ln di
Ciro. 19.~. 19{ .2•i9. 291 Vl'illl'liX, A.. l Oi l O(,, l 07, 294 tt•olo~i;J della lilm~ia. 14. ltl. 40-4.~. Vellian,.J., 120 u-;. n.'\-17~. 19:;-2oo. 25j-2'iH. Velmans, T., 51 vespettino salmo (Sal 140), 55, JHO. .296-30.2 193 ' Tertulliano. 36, 73. 90. 91. H!O, .2H5vespri, 173-200, 290-291, 297-29H, 2~7.j01 T<'Staltlt'llfum Domiui. 9:;, 12H, 210 304; bizantini, i54-59. 70, 173-200. 231, 2H9, 290; centrati sul mistero Tiemey, B.. 206 Tunoteo d'Alessamhia, 94 pasquale, 195-197: elementi dei, Tonunaso d'Aquino. 123, 136, 142 180-1H1, 191-194; nella Chiesa priTondini de Quarenghi, 102 mitiva, 1H0-197; Sa/140 e ofterta Tonneau, R.. 41, 12H, 129, 243, 244 dell'incenso in, 193-195; funzione tradizione.ll-14, 28. 66, 113-114, 134, penitenziale, 1H3-184, 194; spirito 158, 318-320. 328, 332ss; vedi bidei, 182-184, 195-197; ringraziazantina trm.lizione liturgica, orientùe mento per il giomo, 183-1H4; vedi lucernario LTistianitì, linargia Tradizfo11e apostoltca, 36, 43, 127, Viaud, G., 100 veglia, 86; di natta la notte (bizanti191,284,285,286,290,317 na), 54-55, 340; prima delle feste, Tripolitis, A., 57, 190, 193 Trisagio, 214, 224, 225, 227, 231, 23283; pasquale, 35-37, 39, 54, 60,91234,235,240 93, 169-170, 316; di Quaresima, 86; Tumer, V., 174 tleUa vita, prima della parusia, 61, ~tipici~ libri lintrgici, 159, 222 80-83; domenica di risurrezione, l)plkon, 86, 228, 230, 340; monastico, 54,59~2,83, 157,171 105, 110; sntdita, 52; di san Saba Villecourt, L., 146 (palestinese), 101; della Grande vita in Cristo, morte di sé per vivere Chiesa (Santa Sofia), 97, 98, 228, per gli altri, 21, 76, 77-87, 178, 279229,,231, 234, 248 280 Voloc.lymyr di Kyiv, 154 unzione dei malati, concelebrazio- Vogel, C., 99 ne di, 124 Volk, H., 261 uflkio di cauedr,tle e monastico, 51- von der Goltz, E., 291 55, 184, 191, 194, 212, 221-222, Voi>bus, A., 106, 107 284-286, 288-296, 325; egiziano, Vos, W., 31 293-295; mhttno, 295-296 uffido divino. vedi liturgia delle ore, Wainwright, G., 31 vespri, matn1tini, veglie Ware, Kallistos (Timothy). 71, 110, Urdnio, preshitero, 129 163 Waugh. E., 311,312 Vandenbroucke, F., 48 Weitzmann, K., 227 van de Paverd, F., 92, 95, 96, 202. Wenger, A., 41, 183 210,235.242,243,244.248,249' Williams, A. L., 186 v-~ e unifonnitìl nella liturgia, 66, Willi-;, G. G., 209,230 323ss Wil'\on, S.. 321
354
Winkler. Ci. 51-ì. 'Ì5. 112. IIH. IH6, 190. 202. 2/12
Xydis, S. G .. 229 Yeseh:1q (Ahunal. 112 Zemh, M., 190 Zernov, N., 163 Zuntz, G., 213
355