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Karl Marx
Opere filosofiche giovanili 1.
Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico 2.
Manoscritti economico-filosofici del 1844
Traduzione e note di Galvano della Volpe
Editori Riuniti
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IV edizione, III ristampa: gennaio 1977 Titoli originali: Kritik des Hegelschen Staatrechts; Oekonomisch-philosophische Manuskripte ans dem jabre 1844.
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Copyright by Editori Riuniti, 1950 Via Serchio 9/11 - 00198 Roma Copertina di Bruno Munari CL 63-0011 -1
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Avvertenza alla seconda edizione
La presente edizione, richiesta da anni dagli studiosi dei problemi filosofici del materialismo storico, reca di nuovo solo un paio di lievi ritocchi nella traduzione e qualche precisazione particolarmente in alcune delle note concernenti il primo scritto, la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (veramente bisognosa di chiarimenti filosofici, senza i quali anche il secondo scritto, i Manoscritti economico-filosofici del 1844, resta assai oscuro almeno nella sua parte metodologicamente piu interessante, l'ultima, intitolata Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale). Se si considera poi la grande importanza che il primo scritto ha per il suo nesso profondo con la Introduzione( metodologica) del 1857 agli Elementi della critica dell'economia politica ( 1857-58) dello stesso autore (e quindi col Capitale), la presente ristampa della prima traduzione completa (e commentata) di esso (la traduzione russa, a opera di due autori, è del 1955 e quella francese, del 1948, è tutt'altro che sicura) può stupire solo per il suo ritardo (di cui primo respon;abile è chi scrive, distratto da altri lavori). Detto primo scritto, è bene si sappia, è stato ora accolto dagli editori russi nel l volume della nuova grande edizione delle opere di Marx e Engels a cura dell'Istituto per il marxismo-leninismo (su cui è esemplata l'edizione tedesca in trenta volumi delle Karl Marx-Friedrich Engels Werke presso il Dietz Verlag Ber/in, 1957 sgg., da chi scrive tenuta presente nel suo Band l, 201-333), mentre il secondo scritto apparirà, a cura degli stessi editori, in un volume (supplementare) a parte perché avente interesse, essi dicono, solo per «una ristretta cerchia di specialisti» e non anche, come il primo scritto, per «un pubblico largo di lettori». Insomma il primo scritto è entrato, finalmente, fra le opere, diciamo, canoniche del marxismo. E niente di meglio può servire da chiusa di questo proemio, crediamo, che il seguente profondo giudizio positivo di Engels rul primo scritto in questione, giudizio comparso nel Demokratische Wochenblatt,
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numero 34, del 21 agosto 1869 (fattoci ora conoscere dagli editori russi a p. 6o4 del l vol. della citata edizione tedesca delle Werke). c Col prender le mosse dalla Filosofia del diritto di Hegel - scriveva Engels - Marx giunse alla cognizione che non lo Stato esposto da Hegel come la "corona dell'edificio" [speculativo o sistema meta fisico] ma la "società borghese", da lui trattata con animus tanto matrignesco, ~ la sferfl in cui è da cercare la chiave per l'intendimento del processo dello sviluppo storico aell'umanità >. Il che significa, in altri termini, che nello scritto in questione Marx pone veramente le premesse per il suo passaggio dall'idealismo hegeliano di sinistra al materialismo storico e relativa sociologia, proprio perché in esso ~ il metodo stesso di H egel ch'egli affronta direttamente, e come non mai, con la sua critica delle astrazioni indeterminate e dei conseguenti processi di assolutizzazione o sostantifica?:ione ( ipostatizzazione) del reale storico che impediscono a Hegel metafisica la visione chiara, scientifica, della dialettica del reale, cioè dello sviluppo storico - in quanto sociale e quindi sempre puntuale o determinato - dell'umanità. E con ciò le indispensabili premesse di un reale e non solo intenzionale « a"ovesciamento > (Marx) o raddrizzamento di quella dialettica, l' hegeliana, c collocata con la testa in giu:. (Marx) e i piedi in aria, non sulla terra. Con tutte le conseguenze da trarne filosoficamente. Le conseguenze incorporate già, niente di meno, nel Capitale, e da esplicare appunto. Galvano della Voltx
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Avvertenza alla prima edizione
Circa la data di composzzzone, di ognuna delle due opere giovanili postume di Marx qui tradotte, certezza si ha solo riguardo ai Manoscritti economico-filosofici del 1844 (Oekonomisch-philosophische Manuskript: aus dem Jahre 1844), appunto terminati a Parigi (e il titolo di questa, e dell'altra opera, è stato fissato dagli editori russi, e su indirette indicazioni di Marx il titolo della seconda). Per la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (letteralmente: Critica del diritto pubblico, o statua/e, hegeliano: Kritik cles Hegelschen Staatsrechts) si può congetturare con sufficiente probabilità il periodo I841-43 come periodo della sua composizione: cioè ch'essa fu iniziata nell'inverno I841-42, prima della collaborazione alla Gazzetta renana, e terminata circa nell'agosto '43, a Kreuznach, cessata quella collaborazione (cui dobbiamo gli scritti: Dibattiti sulla libertà di stampa ... , A proposito del Comunismo, La legge sui furti di legna, ecc.). Si è accettato, cosi, quel tanto di verosimile che c'è nelle induzioni congiunte aell' editore russo e del Lewalter, d'accordo col Cantimori. Ed è poi da ricordare quella specie di Introduzione alla Critica suddetta che è il noto scritto pubblicato negli Annali franco-tedeschi, a Parigi, nel 1844, col titolo: Per la critica della filosofia del diritto di 'Hegel. Introduzione. Nella traduzione presente, ch'è la prima traduzione completa della Critica, cioè della piu tecnica e complessa delle opere filosofiche giovanili di Marx, da cui dipende anche la comprensione della «critica della dia, lettica hegeliana » dei Manoscritti, si è cercato di conciliare la fedeltà allo, spirito della giovanile ricerca di Marx col rispetto del sapore vario pieno e mm·dente della forma, del linguaggio inconfondibile di Marx, qui già manifesto. Sono state, perciò, conservate certe espressioni o formule francesi dell'originale che anticipano e talvolta superano, nel lettore attento~ il gusto del brio e del pungente letterario e filosofictt di certe pagine della Sacra famiglia e di altri scritti posteriori. Una difficoltà pat·ticolare, concernente la traduzione del termin~ c Stand » e del derivato « stiindisch ~. quali si trovano nella Critica, si
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deve segnalare al lettore. In quanto al primo, lo si è tradotto con «stato~ quando lo si trova nel testo dei paragrafi hegeliani della Filosofia del diritto riportati da Marx, e con «classe» o «stato» quando lo si ritrova nel commento di Marx ai detti paragrafi. Ciò non solo perché nell'altra opera, quasi contemporanea, nei Manoscritti, Marx usa indifferentemente « Klasse » e « Stand », ma anche e sopt·attutto perché già nella Critica il concetto tradizionale, meramente politico, di «stato» acquista il significato di un concetto fondamentalmente economico, dato il contesto, il cui Leitmotiv è che «non lo Stato [ Staat] condizioni la "società civile" [o economica o degli "stati"], ma questa lo Stato». E in quanto a « stiindisch :., in espressioni come « stiindischer Wille" e consimili, lo si è tradotto con «costituzionale :t: cioè «volontà costituzionale» (come contrapposta alla volontà regia) ecc.: sia perché, in tali casi, « stiindisch :. sottintende « politisch-stiindisch » usato già da H egel (nella teoria del «potere rappresentativo ») e sia perché la stessa lingua tedesca significativamente lo ammette, col derivare appunto « stiindisch », nel senso di c costituzionale» dagli « Stiinde » o «stati», e però ci soccorre con quella sfumatura storica di modernità ch'è connessa ai termini tecnici « costitu· zionale », « costituzionalità » ecc., sfumatura che manca in c politico-di classe» ( riferibile anzitutto all'ordinamento medievale e in questo senso anche usato da Marx ). E perché, infine, è parso che non si potesse lasciar cadere - proprio nel tradurre questa prima critica socialista della «contraddizione moderna » di una rappresentanza popolare, cioè generale, ma di classe, cioè parziale - quella lezione di storia moderna ch'è contenuta in quei vocaboli tedeschi. E, del resto, Marx, come Hegel, usa raramente « konstitutionell » e quasi sempre in un senso generico. La traduzione è stata condotta sulla K. Marx-F. Engels historischkritische Gesamtausgabe del Marx-Engels-Institut di Mosca: e rispettivamente, per la prima opera, sul volume I, I, I, pp. 401-553 (1927), curato da Riazanov; per la seconda, sul volume I, I, 3, pp. 29-172 (1932), curato da Adoratski. L'edizione Landshut-Mayer, Lipsia, 1932, seguita dal traduttore francese Molitor, è incompleta e assai scorretta, nei riguardi specificamente delle opere in questione. Per la descrizione dei rispettivi Mss. (che presentano lacune) si rimanda all'apparato del testo curato da K. Schmuckle e H. Huppert rispettivamente per la prima e per la seconda opera; e per altre notizie si rimanda, anzitutto, alle Introduzioni degli editori russi. Tutte le parentesi tonde sono dell'originale. Le parentesi quadre sono o degli editori russi o del traduttore secondo i casi. Con un asterisco si contrassegna la sottolineatura fatta da Marx di una parola del testo di H egel o di altro autore (fra virgolette), oppure la presenza, nel testo hegeliano (riportato fra virgolette), di un commento in parentesi di Marx; con due asterischi si contrassegna la sottolineatura di Marx, nel testo IO
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hegeliano o di altro autore . di piu di una parola, cioè anche di una intera frase. Gli altri, numerosi, corsivi non contrassegnati sono, s'intende, di Hegel, o di Marx nel suo commento a parte. lA traduzione del testo hegeliano, specialmente dei § § 261-313 della Filosofia del diritto, è stata in gran parte rifatta dal sottoscritto, date le deficienze della ormai invecchiata traduzione del Messineo. Tutte le note della Critica sono del traduttore, come una parte di quelle dei Manoscritti (le restanti, bibliografiche, sono dell'editore russo). Galvano della Volpe
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Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto
Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (§§ 261-313)
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Critica dei §§ 261-313 dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel, ed. E. Gans (Opere di G. G. F. Hegel, edi:t.ione completa, vol. 8.), I. ediz., Berlino, 1833·
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Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico
§ 261. «Rispetto alle sfere del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e del~a società civile, lo Stato è, da una parte •• un'esterna necessità e la loro superiore potenza, alla cui natura sia le loro leggi che i loro interessi sono subordinati, e da essa dipendenti e d'altra parte**, esso è il loro immanente fine ed ha la sua forza nell'un:.tà del suo universale scopo finale e del particolare interesse degli individui, in ciò, ch'essi hanno dei doveri verso di esso in quanto hanno ad un tempo dei diritti (§ 155) >.
Questo paragrafo ci informa che la libertà concreta consiste nell'identità (normativa e duplice) del sistema dell'interesse particolare (della famiglia e della società civile) 1 col sistema del generale interesse (dello Stato). Si deve ora determinare piu da presso il rapporto di queste sfere. Da una parte, lo Stato è di fronte alle sfere della famiglia e della società civile una « necessità esterna >, una potenza per cui c leggi > e c interessi > gli sono « subordinati e resi da lui dipendenti >. Che, di fronte alla famiglia e alla società civile, lo Stato è una « necessità esterna >, ciò era già implicito in parte nella categoria del « passaggio >, e in parte nel loro consapevole rapporto con lo Stato. La « subordinazione » allo Stato corrisponde ancora completamente a questo rapporto della « necessità esterna>. Ma ciò che Hegel intenda per «dipendenza>, lo mostra la seguente frase della nota a questo paragrafo: « Che l'idea della dipendenza •, particolarmente anche delle leggi di diritto privato, dal carattere determinato dello Stato, e la veduta 1 La c società civile »: si tratta, come dice M. altrove, di quei « rapporti materiali dell'uistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegd, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del sec. XVIII (Ferguson etc.], sotto il termine di " società civile""'· È con questa formula che la filosofia dell'economia classica ha espresso il suo dogma fondamentale dell'homo a:conomicus o bourgeoii distinto dall'homo politicus o citoyen.
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:filosofica di non considerare la parte che nel suo rapporto col tutto,
le abbia tenute presenti specialmente Montesquieu [ ... ] >. Hegel, dunque, parla qui dell'interiore dipendenza ossia dell'essenziale determinazione del diritto privato, ecc., da parte dello Stato; ma al tempo stesso sussume questa dipendenza sotto il rapporto dell'« esterna necessità>, e la oppone, come l'altro lato, all'altro rapporto, in cui la famiglia e la società civile stanno verso lo Stato come verso il loro c scopo immanente>. Per « necessità esterna > si può intendere soltanto che le « leggi > e gli « interessi > della famiglia e della società [civile] debbono, in caso di collisione, cedere alle c leggi > e agli « interessi > dello Stato, che gli sono subordinati; che la loro esistenza dipende dalla sua, o anche che la sua volontà e la sua legge si manifestano alla loro c volontà > e alle loro « leggi > come una necessità. Ma Hegel non parla qui di collisioni empiriche: egli parla del rap·porto delle «sfere del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e della società civile > con lo Stato; si tratta del rapporto ~ssenzial~ di queste sfere. Non soltanto i loro « interessi >, ma anche le loro « leggi », le loro determinazioni essenziali, sono .« dipendenti > dallo Stato, gli sono c subordinati >. Esso si comporta come una « superiore potenza * » verso le loro « leggi e interessi >. I loro «interessi » e « leggi » stanno in rapporto a lui come suoi « subordinati >. Essi vivono nella « dipendenza > da lui. Proprio perché la « subordinazione » e la c dipendenza » sono esteriori rapporti, che stringono l'essere indipendente e lo contrariano, il rapporto della «famiglia» e della società civile con lo Stato è quello dell'« esterna necessità», cioè di una necessità che va contro l'essenza intrinseca della cosa. Questo fatto stesso, « che le leggi di diritto privato dipendano dal determinato carattere dello Stato >, e si modifichino secondo esso, è perciò sussunto sotto il rapporto dell'« esterna necessità >, precisamente perché « società civile e famiglia > sono, nel loro sviluppo vero, cioè indipendente e completo, presupposte allo Stato come particolari « sfere ». « Subordinazione » e « dipendenza » sono le espressioni per un'identità «esterna», forzata, apparente, per l'espressione logica della quale Hegel si serve giustamente della « necessità • esterna ». Nella « subordinazione » e «dipendenza» Hegel ha continuato a sviluppare uno degli aspetti della discorde identità, l'aspetto dell'alienazione nella libertà; c ma d'altra parte, esso [lo Stato] è il loro immanente fine ed ha la sua forza nell'unità del suo universale scopo finale •• e del particolare interesse •• degli individui, in ciò, che essi hanno dei doveri verso di esso in quanto hanno_ ad un tempo dei diritti>. Hegel pone qui un'antinomia irrisolta. Da una parte, necessità estera3.; dall'altra parte, scopo immanente. L'unità dell'universale scopo finale
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dello Stato e del particolare interesse degli individui ha da consistere in ciò: che i doveri di costoro verso lo Stato e i loro diritti di fronte allo stesso sono identici (cosi che, per esempio, il dovere di rispettare la proprietà coincide col diritto alla proprietà). Nella nota [al § 261] questa identità è chiarita cosi:
«Poi che il dovere, in primo luogo, è il comportamento verso qualcosa di sostan:àale per me, di universale in sé e per sé, e il diritto invece è l'esistenza in genere di questo sostanziale, e quindi il lato della sua particolarità e della mia particolare libertà, si manifestano entrambi, nei gradi formali, divisi in aspetti o persone diversi. Lo Stato, come ethos, come compenetrazione del sostanziale e del particolare, comporta che la mia obbligazione verso il sostanziale è, ad un tempo, l'esistenza della mia particolare libertà, che, cioè, in esso diritto e dovere sono uniti in un medesimo rapporto>. § 262. «L'idea reale, lo spirito, che scinde se stesso nelle due sfere ideali del suo concetto, la famiglia e la società civile, come sua finità *, per essere, muovendo dalla loro idealità, spirito reale, per sé infinito**, assegna perciò a queste sfere la materia di questa sua finita realtà, gli individui in quanto moltitudine, cosicché nel singolo questa assegnazione appare mediata dalle circostanze, dall'arbitrio e dalla propria scelta della sua determinazione (§ 185 e nota ivi):.. Traducendo questa frase in prosa ecco quel che ne segue: Il modo in cui lo Stato si media con la famiglia e la società civile sono «le circostanze, l'arbitrio e la propria scelta della determinazione». La ragione dello Stato non ha dunque niente da vedere nella divisione della materia statale nella famiglia e nella società civile. Lo Stato ne scaturisce in una guisa inconsapevole e arbitraria. Famiglia e società civile appaiono come l'oscuro fondo naturale da cui si accende la luce dello Stato. Per materia statale si intendono gli affari dello Stato, la famiglia e la società civile in quanto costituiscono delle parti dello Stato, e partecipano allo Stato come tale. Questo sviluppo è notevole sotto un duplice riguardo. Famiglia e società civile sono intese come sfere del concetto dello Stato, come le sfere della sua finità, come la sua finità. È lo StatÒ che si scinde in esse, che le presuppone·, e fa questo «per scaturire dalla loro idealità come per sé infinito •, reale spirito». «Esso si scinde per». Esso «assegna perciò • a queste sfere la materia della sua realtà, cosicché • questa assegnazione etc. appare • mediata ». La cosiddetta « idea reale » (lo spirito come spirito infinito, realej è rappresentata come se agisse seconoo un principio determinato e per un'intenzione determinata. Essa
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si scinde in sfere finite e lo fa « per ritornare in sé, per essere per sé :. : lo fa precisamente in modo che ciò è proprio come è in realtà. È a questo punto che si manifesta molto chiaramente il misticismo logico, panteistico. Il rapporto reale è <
zum Dasein.
• ztt unwù·klichen, anderes bedeutenden.
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del suo concetto, la famiglia e la società civile, come nella sua finità •• ,: dunque la divisione dello Stato in famiglia e società civile è ideale, cioè necessaria, appartiene all'essenza dello Stato; famiglia e società civile sono delle parti reali dello Stato, delle reali esistenze spirituali della volontà, dei modi di esistenza dello Stato; famiglia e società civile si fanno esse stesse Stato. Esse sono l'agent~. Secondo Hegel esse sono, al contrario, 11gite dall'idea reale: non è la loro propria vita che le unisce allo Stato, ma è al contrario la vita dell'idea, che se le assegna da sé; e invero esse sono [la] finità di questa idea; esse debbono la loro esistenza ad uno spirito altro dal loro; esse sono determinazioni poste da un terzo, non sono affatto autodeterminazioni; perciò sono anche determinate, in quanto c finità :., come la finità propria dell'c idea reale ,. Lo scopo della loro esistenza non è l'esistenza stessa, ma l'idea separa da sé questi presupposti c per scaturire dalla loro idealità come per sé infinito, reale spirito,, cioè lo Stato politico non può essere senza la base naturale della famiglia e la base artificiale della società civile, che sono la sua condirlo sine qua non. Ma la condizione diventa il condizionato, il determinante il determinato, il producente il prodotto del suo prodotto; l'c idea reale , si umilia nella finità della famiglia e della società civile soltanto per produrre e godere - dal superamento di essa finità - la sua infinità. Essa c assegna p~ciò •:. (per raggiungere il proprio scopo) c a queste sfere la materia di questa sua finita realtà, (di questa? ma quale? ma queste sfere sono appunto la sua realtà finita, la sua c materia , ) : assegna « gli individui in quanto moltitudine , (la materia statale sono qui «gli individui, la moltitudine :., « di essi consiste lo Stato ,, questo suo consistere è qui enunciato come un fatto dell'idea, come una c distribuzione, ch'essa compie della sua propria materia: il fatto è che lo Stato risulta dalla moltitudine tale e quale esiste come l'insieme dei membri della famiglia e della società civile, e la speculazione enuncia il fatto come gesta dell'idea, non come idea della moltitudine, ma bensf come atto di una soggettiva idea, distinta dal fatto stesso), «cosi che nel singolo, (precedentemente si discorreva soltanto dell'assegnazione dei· singoli alle sfere della famiglia e della società civile) «questa assegnazione appare mediata dalle circostanze, dall'arbitrio etc. ,. La realtà empirica apparirà, dunque, tale quale è: essa è anche enunciata come razionale, ma non è razionale per sua propria razionalità, bensf perché il fatto empirico ha, nella sua empirica esistenza, un significato altro da se stesso. Il fatto, da cui si parte, non è inteso come tale, ma come risultato mistico. Ciò ch'è reale diventa fenomeno, ma l'idea non ha per contenuto altro che questo fenomeno. E altresf l'idea non ha alcun altro scopo che lo scopo logico: «di essere per sé infinito, reale spirito,_ In questo paragrafo è depositato tutto il mistero della filosofia del diritto e della filosofia hegeliana in geqerale.
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§ 263.
§ 264. «Gli individui della moltitudine, poiché essi pure** sono nature spirituali e però hanno in sé il duplice momento, cioè l'estremo dell'individualità che sa e vuole per sé e l'estremo dell'universalità che sa e vuole il sostanziale, e poiché quindi pervengono al diritto di ambo questi lati solo in quanto essi sono reali sia come persone private che come persone sostanziali, attingono in quelle sfere, in parte, immediatamente il primo; e in parte l'altro, in modo che hanno la loro autocoscienza essenziale nelle istituzioni come nell'universalità esistente in sé dei loro interessi particolari; in parte, cosi che garantiscono loro, nella corporazione, un ufficio e una attività rivolti a uno scopo universale».
§ 265. « Queste istituzioni fanno in particolare la costituzione, cioè la sviluppata e realizzata razionalità, e sono perciò la ferma base dello Stato, come della fiducia e della disposizione d'animo degli individui verso di esso, e le colonne fondamentali della pubblica libertà, giacché in esse esiste la libertà particolare realizzata e razionale, e con ciò in esse stesse esiste in sé l'unione della libertà e della necessità». § 266. «Ma* lo spmto è a sé oggettivo e reale non solo in quanto è questa (quale?)* necessità [ ... ], ma in quanto idealità della medesima necessità e in quanto sua interiorità; cosi questa universalità sostanziale è a se stessa oggetto e fine, e quella necessità è, per ciò, parimente, nella forma della libertà ». Il passaggio della famiglia e della società civile a Stato politico consiste dunque in questo: che lo spirito di queste sfere, che è in sé lo spirito dello Stato, si rapporta ora anche a sé e come loro interiorità è reale per sé. Il passaggio non è dunque derivato dall'essenza specifica della famiglia etc., e dall'essenza specifica dello Stato, ma dall'unit,ersale rapporto di necessità e libertà. È del tutto lo stesso passaggio che, nella Logica, si effettua dalla sfera dell'essere alla sfera del concetto. Lo stesso passaggio è fatto, nella filosofia della natura, dalla natura inorganica alla vita. Sono sempre le stesse categorie, che animano ora questa sfera, ora quella. Ciò che solo importa a H. è di trovare, per le singole determinazioni concrete, le corrispondenti determinazioni astratte. 20
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§ 267. « La necessità nell'idealità è lo sviluppo dell'idea entro se ·stessa; essa è, in quanto sostanzialità soggettiva, il sentimento politico*; e in quanto oggettiva, a differenza di quella, è l'organismo dello Stato, lo Stato propriamente politico e la sua costituzione:..
Il soggetto è qui «la necessità nell'idealità», i'« idea dentro se stessa:.; il predicato è il sentimento politico e la costituzione politica. In tedesco il sentimento politico è la sostanza soggettiva dello Stato; la costituzione politica ne è la sostanza oggettiva. Lo sviluppo logico della famiglia e della società civile a Stato è dunque una pura apparenza; giacché non è spiegato come il sentimento familiare, il sentimento civile, l'istituzione della famiglia e le istituzioni sociali come tali si rapportino ~l sentimento politico e alla costituzione politica e coincidano con essi. Il passaggio, per cui lo spirito è « non solo in quanto questa necessità e in quanto regno del fenomeno>), ma in quanto è la «loro idealità», e come anima di questo regno è per sé reale ed ha un'esistenza peculiare, non è affatto un pass11ggio, giacché l'anima della famiglia esiste per sé come amore etc. La schietta idealità di una sfera reale potrebbe, tuttavia, esserci soltanto come scienza. Ciò ch'è rilevante'è che Hegel dappertutto fa dell'idea il soggetto e del soggetto propriamente detto, reale, quale il « sentimento politico :., fa il predicato. Ma lo sviluppo procede sempre dalla parte del predicato. Il § 268 contiene un bell'esposto sul sentimento politico, sul patriottismo, che non ha niente di comune con lo sviluppo logico: solo che Hegel li determina «soltanto » * come « risultato delle istituzioni esistenti nello Stato, nelle quali la razionalità è realmente presente », mentre all'inverso queste istituzioni sono precisamente un'aggettivazione del sentimento politico. (Cfr. la nota a questo paragrafo). § 269. « Il sentimento [politico] prende il suo contenuto particolarmente determinato dai differenti lati dell'organismo* dello Stato. Questo organismo è lo sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni e nella loro realtà* oggettiva. Questi lati distinti sono cosi* i divérsi poteri e i compiti e le attività loro, per cui l'universale* si produce continuamente, e invero, essendo essi determinati dalla natura del concetto, esso si produce in modo necessario, e, poiché esso è parimente presupposto alla sua produzione, si conserva: e questo organismo è la costituzione politica». La costituzione politica è l'organismo dello Stato, ossia l'organismo dello Stato è la costituzione politica. Che i diversi lati di un organismo :stiano in una connessione necessaria, scaturente dalla natura dell'organi21
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smo, questo è pura tautologia. Che, una volta che la costituzione politica è determinata come organismo, i diversi lati della costituzione, i suoi dif. ferenti poteri, si rapportino gli uni agli altri come determinazioni organiche, stiano gli uni con gli altri in un rapporto razionale, questo è pari· menti tautologia. È veramente un grande progresso considerare lo Stato politico come un organismo, considerare in conseguenza la diversità dei poteri non piu come una distinzione inorganica, ma bensf vivente e razionale. Ma come Hegel presenta questa scoperta? 1. « Questo organismo è lo sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni e nella loro realtà oggettiva ,. Ciò non significa: questo organismo dello Stato è il suo sviluppo in distinzioni e nella loro realtà oggettiva. Il pensiero è propriamente questo: che lo sviluppo dello Stato, ossia della costituzione politica, in distinzioni e nella loro realtà, è uno sviluppo organico. Il presupposto, il soggetto, sono le distinzioni reali, ossia i lati distinti della costituzione politica. Il predicato è la determinazione di esse come organiche. In luogo di ciò, l'idea è fatta soggetto, e le distinzioni e la loro realtà sono intese come il suo sviluppo e risultato, laddove, al contrario, è dalle reali distinzioni che l'idea è stata sviluppata. L'organico è precisamente l'idea delle distinzioni, l'ideale determinazione di queste. Ma qui si parla dell'idea come di un soggetto, dell'idea che si sviluppa nelle sue distinzioni. Oltre a questa inversione 1 di soggetto e predicato, si produce qui l'apparenza che si tratti di un'altra _idea che dell'organismo. Si parte dall'idea astratta, il cui sviluppo nello Stato è la costituzione politica: non si tratta, dunque, dell'idea politica, ma dell'idea astratta nell'elemento politico. Col dire che «questo organismo (dello Stato, la costituzione politica) è lo sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni etc.~; con ciò, non so ancora niente del tutto dell'idea specifica della costituzione politica; la medesima frase può essere pronunciata con la medesima verità a proposito dell'organismo animale come di quello politico. Per che cosa si distingue, dunque, l'organismo animale da quello politico? Da questa determinazione generale non si rivela. Ma una spiegazione che non ci dà la differenza specifica non è una spiegazione. L'unico interesse di H. è di ritrovare l'« idea :. pura e semplice, l'« idea logica », in ogni elemento, sia dello Stato, sia della natura, onde i soggetti reali, come è qui la « costituzione politica :a>, riducendosi al loro puro nome, si ha soltanto l'apparf'nza di una conoscenza reale. Essi, i soggetti reali, sono e restano delle determinazioni inconcepite, perché non concepite nella loro specifica essenza. « Questi lati distinti sono cosz • i diversi poteri e i loro compiti e la loro attività ». Con la paroletta « cosf » è creata l'apparenza di una conseguenza, di una derivazione, di uno sviluppo. Ma c'è piuttosto da chie-
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dere: perché «cosi»? «Che i lati distinti dell'organismo statale» sono i « diversi poteri » e i <( loro compiti e la loro attività », questo è un fatto empirico; che essi sono membri di un « organismo » è il « predicato:. filosofico. Rileviamo qui una peculiarità dello stile di Hegel, che si ripete spesso e ch'è un prodotto del suo misticismo. L'intero paragrafo suona come segue':
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« Il sentimento politico] prende il suo contenuto particolarmente determinato dai differenti lati"" dell'organismo"" dello Stato. Questo"" organismo è lo sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni e nella loro realtà oggettiva. Questi"" lati"" distinti"" sono cosi"" i diversi poteri e i loro compiti e attività, per cui l'universale si produce continuamente, e invero, essendo essi determinati dalla natura del concetto, esso si produce in modo necessario, e poiché esso è parimente presupposto alla sua produzione, si conserva: questo organismo è la costituzione politica».
1. « Il sentimento [politico] prende il suo contenuto particolarmente determinato dai differenti lati • dell'organismo dello Stato:.. « Questi lati distinti sono i diversi poteri e i compiti e attività loro:..
2. « Il sentimento [politico] prende il suo contenuto particolarmente determinato dai differenti lati dell'organismo • dello Stato. Questo • organismo è lo sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni e nella loro realtà oggettiva ... , per cui l'universale si produce continuamente, e invero, essendo esse [distinzioni] determinate dalla natura del concetto, esso si produce in modo necessario, e poiché esso è parimente presupposto alla sua produzione, si conserva; e questo organismo •• è la costituzione politica ».
Si vede come Hegel congiunge le altre determinazioni a due soggetti, ai « diffeFenti lati dell'organismo» e all'« organismo:.. Nella terza frase i « lati distinti » sono determinati come i « diversi poteri ». Con l'intercalare la parola «cosi» si crea l'apparenza che questi «diversi poteri» siano dedotti, in quanto sviluppo dell'idea, dalla frase di mezzo concernente i'« organismo». Si continua poi a parlare dei «diversi poteri». La determinazione che l'universale si « produce » continuamente e però si «conserva :. non 1 La colonna di sinistra reca il testo di Hegel nel suo ordine originale, quella di destra lo reca disarticolato c ricomposto secondo le intenzioni critiche di Marx. Cfr. avanti per il § 279·
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è niente di nuovo, poiché essa c'è già nella determinazione dei «poteri :> come «lati dell'organismo», come lati «organici». O piuttosto quc~ta determinazione dei «diversi poteri» non è che una parafrasi di ciò: che l'organismo è «lo sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni etc.». Le frasi: questo organismo è «lo sviluppo ·dell'idea nelle sue distinzioni e nella loro realtà oggettiva», o in distinzioni per cui «l'universale» (l'universale è qui lo stesso dell'idea) «si produce continuamente, e invero, essendo esse distinzioni determinate dalla natura del concetto, esso si produce in modo necessario e, poiché esso è parimente presupposto alla sua produzione, si conserva»; queste frasi sono identiche: la seconda è semplicemente un'esplicazione particolareggiata dello « sviluppo dell'idea nelle sue distinzioni ». Con ciò Hegel non ha fatto un passo oltre il concetto generale dell'« idea» e tutt'al piu dell'« organismo» in genere (ché propriamente si tratta soltanto di questa idea determinata). Che cosa giustifica dunque la sua frase finale: che «quest'organismo è la costituzione politica»? Perché non invece: «questo organismo è il sistema solare»? Perché Hegel ha determinato piu tardi « i diversi lati dello Stato » come «i diversi poteri ». Ma la frase « i differenti lati dello Stato sono i diversi poteri » è una verità empirica, non può esser spacciata per una scoperta filosofica, non è in alcun modo apparsa come risultato di uno sviluppo [logico] precedente. Bensl, determinando l'organismo come lo «sviluppo dell'idea •• », parlando delle distinzioni deìl'idea, e interpolando poi il concreto: «i diversi poteri • », si introduce l'apparenza di aver sviluppato un contenuto determinato. Di seguito alla frase «il sentimento [politico] prende il suo contenuto particolarmente determinato dai differenti lati dell'organismo dellò Stato •• », Hegel non dovrebbe soggiungere: « questo • organismo», bensl «l'organismo è lo sviluppo dell'idea etc.». Per lo meno ciò ch'egli dice vale per ogni organismo, e non è presente alcun predicato che giustifichi il soggetto « questo ». Il risultato a cui egli propriamente tende è la determinazione dell'organismo in quanto costituzione politica. Ma non c'è ponte attraverso cui si pervenga dall'idea generale di organismo all'idea determinata di organismo statale o costituzione politica, e per l'eternità non si potrà gettare tale ponte. Nella prima frase si parla dei «differenti lati dell'organismo dello Stato» che sono poi determinati come «i diversi poteri». Cosi è detto semplicemente che la «costituzione politica» • dello Stato è « i diversi poteri dell' organtsmo statale u » o «l'organismo statale dei diversi poteri •• ». Non è in base all' « organismo », a « l'idea • » e alle c sue distinzioni etc. », ma è bensl in base al presupposto concetto di « diversi poteri », di «organismo statale • », che è gettato il ponte alla « costituzione politica • ». In verità Hegel non ha fatto che risolvere la «costituzione politica ~ nell'idea generale, astratta, di « organismo », ma in apparenza e secondo la sua opinione egli ha sviluppato dall'idea generale il determinato. Del
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soggetto dell'idea fa un prodotto, un predicato dell'idea. Egli non sviluppa il suo pensiero secondo l'oggetto, bens! sviluppa l'oggetto secondo un pensiero in sé predisposto, e ch'è stato predisposto nell'astratta sfera della logica. Non si tratta perciò di sviluppare l'idea determinata di costituzione politica, ma sf di mettere in rapporto la costituzione politica con l'idea astratta, di ordinarla come un anello della storia della sua vita (dell'idea): una mistificazione manifesta. Cosi un'altra determinazione è che i «diversi poteri» «sono determinati dalla natura del concetto» e che perciò «l'universale li produce in modo necessario>. I diversi poteri non sono, dunque, determinati dalla loro <<propria natura », ma da una natura estranea. Parimente la necessità non è attinta dalla loro propria essenza, né ancor meno criticamente dimostrata. La sua sorte è piuttosto predestinata dalla « natura del concetto », suggellata nei sacri registri della santa casa (della logica) 1 • L'anima degli oggetti, dello Stato nella fattispecie, è predisposta, predestinata, innanzi il suo c:orpo, ch'è propriamente soltanto apparenza. Il «concetto» è il figlio nell'« idea», in Dio padre; è il principio agente, determinante, differenziante. « Idea » e « concetto » sono qui astrazioni personificate 2 . § 270. << Che il fine dello Stato sia l'interesse generale come tale e che in ciò, come loro sostanza, sia la conservazione degli interessi particolari, è r) la sua astratta realtà o sostanzialità; ma essa è 2) la sua necessità in quanto si divide nelle distinzioni concettuali della sua attività, le quali, per quella sostanzialità, sono parimente delle reali, stabili determinazioni, dei poteri*; 3) ma precisamente questa sostanzialità è lo spirito che si sa e si vvole in qu;;nto passato per la forma della cultura. Lo Stato sa, perciò, quel che vuole, e lo sa nella sua universalità, come cosa pensata; esso opera e agisce, dunque, secondo fini saputi, secondo principi conosciuti e secondo leggi che lo sono non soltanto in sé, ma per la coscienza; e anche in quanto le sue azioni si riferiscono a circostanze e rapporti esistenti, secondo la conoscenza determinata dei medesimi ». (A piu tardi la nota a questo paragrafo, riguardante il rapporto di Stato e Chiesa) •. 1 « santa casa >>: in italiano nel testo. Allusione alla santa ;asa di Loreto ovvero (secondo l'ultimo editore russo) al carcere, cosi chiamato, dell'Inquisizione in Madrid. 2 verselbstiindigte. 8 Tale nota non sussiste: o non è stata scritta o è andata perduta con la parte mancante del ms.
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L'applicazione di queste categorie logiche merita un esame del tutto speciale. <
s~in.
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Traduciamo ora l'intero paragrafo in tedesco: r. Lo spirito che si sa e si vuole è la sostanza dello Stato (lo spirito coltivato, cosciente di sé, è il soggetto e il fondamento, l'indipendenza dello Stato). 2. L'interesse generale e in esso la conservazione degli interessi particolari è il fine generale e il contenuto di questo spirito, la sostanza reale dello Stato, la natura statale dello spirito che si sa e si vuole. 3· La realizzazione di questo astratto contenuto l'attinge lo spirito che si sa e si vuole, autocosciente e coltivato, solo in quanto è un'attività distinta, esistenza di poteri diversi, una potenza articolata. Su questa esposizione hegeliana è da osservare quanto segue: a) Sono ridotti a soggetti: la realtà astratta, la necessità (o distinzione sostanziale), la sostanzialità: dunque le categorie logico-astratte. Certo, la «realtà astratta» e la «necessità» sono designate come realtà e necessità «sue*», dello Stato, ma I) è «essa*», la «realtà astratta» o « sostanzialità », la necessità sua [dello Stato]; 2) è essa che « si divide nelle distinzioni concettuali della sua attività », che « sono, parimente, per quella sostanzialità, delle reali, stabili» determinazioni, dei poteri; 3) la « sostanzialità » non è piu intesa come un'astratta determinazione dello Stato, come la sua sostanzialità: essa è come tale fatta soggetto, ché è detto alla fine: «ma precisamente questa sostanzialità è lo spirito che si sa e si vuole in quanto passato per la forma della cultura ». b) E in fin dei conti non è detto che «lo spirito coltivato etc. è la sostanzialità », ma al contrario: «la sostanzialità è lo spirito coltivato etc. ». Lo spirito diventa, dunque, predicato del suo predicato. c) La sostanzialità, dopo esser stata determinata I) come fine generale dello Stato, poi 2) come i diversi poteri, 3) è determinata come il coltivato, che si sa e si vuole, spirito reale. Il vero punto di partenza, lo spirito che si sa e si vuole, senza cui il « fine statale » e i « poteri statali » sarebbero fantasie sregolate, inessenziali e persino impossibili enti, appare soltanto come l'ultimo predicato della sostanzialità già determinata come fine generale e come i diversi poteri statali. Se si fosse partiti dallo spirito reale, il «fine generale» sarebbe stato il suo contenuto, e i diversi poteri il suo modo di realizzarsi, la sua esistenza reale o materiale, la cui determinazione si doveva ricavare precisamente dalla natura del suo scopo. Ma poiché si è partiti dall'« idea » o « sostanza » in quanto soggetto o ente reale, il soggetto reale appare soltanto come l'ultimo predicato dell'astratto [suo] predicato. Il « fine statale » e i « poteri statali » sono mistificati, poiché, rappresentati come « modi di esistenza » della sostanza, e cosi separati dalla loro reale esistenza appaiono allo « spirito che si sa e si vuole, lo spirito coltivato ». d) Il concreto contenuto, la determinazione reale, appare come for-
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male; la determinazione formale, del tutto astratta, appare come il contenuto concreto. L'essenza delle determinazioni statali non è già di poter essere considerate delle determinazioni stata li, ma di poter essere considerate, nella loro forma la piu astratta, come determinazioni logicometafisiche. Non la filosofia del diritto, ma la logica è ciò che veramente interessa. Non che il pensiero prenda corpo nelle determinazioni politiche, ma bensf che le esistenti determinazioni politiche si volatilizzino in astratti pensieri, questo è il lavoro filosofico. Ciò ch'è il momento filosofico non è la logica della cosa, ma la cosa della logica. La logica non serve a provare lo Stato, ma lo Stato serve a provare la logica. I. L'interesse generale e in esso la conservazione degli interessi particolari come fine dello Stato. 2. I diversi poteri come realizzazione di quc<:J fine statale. 3. Il coltivato, cosciente di sé, volente e agente spirito, come il soggetto del fine e della sua realizzazione. Queste determinazioni concrete sono assunte esteriormente, sono degli hors-d'ceuvres; il loro senso filosofico è che lo Stato ha in esse il senso logico: x) come astratta realtà o sostanzialità; 2) che la relazione di sostanzialità tr~ 1Jassa nella relazione di necessità, di realtà sostanziale; 3) che la realtà sostanziale è in verità concetto, soggettività. Omettendo le determinazioni concrete, che potrebbero altrettanto bene essere scambiate, per un'altra sfera, ad es. la fisica, con altre determinazioni concrete, e che sono dunque inessenziali, abbiamo davanti un capitolo della Logica. La sostanza deve «dividersi in distinzioni concettuali, le quali, per quella sostanzialità, sono parimente delle reali, stabili determinazioni 1>. Questa proposizione- l'essenziale- appartiene alla logica ed è già pronta prima della filosofia del diritto. Che queste « distinzioni concettuali 1> siano qui distinzioni della « sua (dello Stato) attività " e siano delle « stabili determinazioni "• dei « poteri statali », questa parentesi appartiene alla filosofia del diritto, all'empiria politica. Cosi l'intera filosofia del diritto è soltanto una parentesi della logica. La parentesi è, si comprende da sé, soltanto un hors-d'reuvre dello sviluppo in senso proprio. Si confronti ad es. p. 34 7 [ § 270, Aggiunta] : «La necessità consiste in questo: che la totalità sia divisa nelle differenze concettuali, e che questa cosa divisa dia una stabile e perdurante determinatezza, che non è morta, ma si riproduce sempre nella dissoluzione ». Confronta anche la Logica.
§ 271. «In primo luogo, la costituzione politica è l'organizzazione dello Stato e il processo della sua vita organica in rapporto a se
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stesso, in cui esso distingue i suoi momenti entro se stesso e li svolge a esistenza. In secondo luogo, esso [Stato] è, in quanto individualità, una unità ·esclusiva, che si rapporta ad altri, volge dunque all'esterno la sua distinzione e secondo questa determinazione pone entro se stesso, nella loro idealità, le sue differenze esistenti ». Aggiunta: «Lo Stato interno come tale è il potere civile **; la direzione verso l'esterno è il potere militare**, che. è però nello Stato un lato determinato in esso stesso».
I. - La costituzione interna per sé § 272. « La costituzione è razionale in quanto lo Stato distingue e determina in sé la sua attività secondo la natura del concetto, cosi che ciascuno di questi poteri stessi è in sé la totalità, in quanto ha in sé attivi gli altri momenti e li contiene, e in quanto questi, giacché esprimono la differenza del concetto, restano semplicemente nella sua idealità e costituiscono soltanto un individuale tutto». La costituzione è dunque razionale in quanto i suoi momenti possono essere dissolti in quelli logico-astratti. Lo Stato non ha da differenziare e determinare la sua attività secondo la sua specifica natura, ma secondo la natura del concetto, che è il mistificato mobile del pensiero astratto. La ragione della costituzione è dunque l'astratta logica e non il concetto dello Stato. Al posto del concetto della costituzione abbiamo la costituzione del concetto. Il pensiero non si regola secondo la natura dello Stato, bens! lo Stato secon..do un pensiero predisposto. § 273. «Lo Stato politico si dirime quindi (come mai?)* in queste distinzioni sostanziali :
a) il potere di determinare l'universale e di stabilirlo - il potere legislativo; b) la sussunzione delle particolari sfere e dei singoli casi sotto l'universale- il potere esecutivo; c) la soggettività*, in quanto ultima decisione del volere, il potere del sovrano, in cui i diversi poteri sono rac\·olti in una unità individuale, che è dunque il culmine e il principio della totalità - la monarchia costituzionale>.
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Torneremo su questa divisione dopo averne esaminato l'esecuzione nei particolari.
§ 274- «Poiché lo spirito* è soltanto in quanto reale*, in quanto ciò che esso si conosce, e lo Stato, in quanto spirito d'un popolo, è al contempo la legge penetrante tutti i suoi rapporti, l'ethos e la coscienza dei suoi individui; la costituzione d'un determinato popolo dipende in generale dal modo e dalla formazione dell'autocoscienza del medesimo**; in questa sta la sua libertà soggettiva e con ciò la realtà della costituzione** ... Ogni popolo ha quindi la costituzione che gli è conforme e che ci vuole per il medesimo». Dal ragionamento di Hegel consegue soltanto che lo Stato in cui «modo e formazione dell'autocoscienza» e «costituzione» si contraddicono non è un vero Stato; Che la costituzione, ch'era il prodotto di una coscienza passata, possa diventare un impaccio opprimente per una coscienza progredita etc. etc., queste sono proprio trivialità. Piuttosto ne conseguirebbe soltanto l'esigenza di una costituzione che abbia in se stessa la determinazione e il principio di progredire con la coscienza; di progredire con l'uomo reale, ciò ch'è possibile solo quando l'« uomo» è diventato il principio della costituzione. Qui Hegel è sofista.
a) Il potere del sovrano § 275. « Il potere del sovrano contiene esso stesso in sé i tre elementi della totalità (§ 272): l'universalità della costituzione e delle leggi, la deliberazione come rapporto del particolare con l'universale, e il momento della decisione ultima come autodeterminazione, in cui ritorna ogni altro momento e da cui esso prende il cominciamento della realtà. Questo assoluto autodeterminarsi costituisce il distintivo principio ** del potere del sovrano come tale, che è da svolgersi per il primo». Il principio di questo paragrafo significa anzitutto nient'altro che: «l'universalità della costituzione e delle leggi» è il potere del sovrano. La deliberazione ossia il rapporto del particolare all'universale è - il potere del sovrano. Il potere del sovrano non è al di fuori dell'universalità della costituzione e delle leggi, dacché per potere del sovrano s'intende quello del monarca (costituzionale). Ma ciò che Hegel propriamente intende non è altro che: l'« univer-
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salità della costituzione e delle leggi ~ è il potere del sovrano, la sovranità dello Stato. È allora erroneo fare del potere del sovrano un soggetto, e poiché per potere del sovrano si può anche intendere il potere del principe si può creare l'apparenza che sia questi il padrone di questo momen· to, e il soggetto del medesimo. Ma se facciamo attenzione anzitutto a ciò che Hegel ci dà come «distintivo principio del potere del sovrano co.me tale •• », esso è: «il momento della ultima decisione come autodeterminazione, in cui ritorna ogni altro momento, e da cui esso prende il cominciamento della realtà >, questo « assoluto autodeterminarsi ». Hegel non dice qui nient'altro che: la volontà reale ossia individuali è il potere del sovrano. Cosi suona il § 12: «Per il fatto che la volontà [ ... ] si dà la forma dell'individualità [ ... ] essa è decisiva, e solo come volontà decisiva [in generale] essa è volontà reale • ». In quanto questo momento della « decisione ultima » o dell' «assoluta autodeterminazione » è separato dall' « universalità » del contenuto e dalla particolarità della deliberazione, esso è la volontà reale come arbitrio; o «l'arbitrio è il potere del sovrano», o «il potere del sovrano è l'arbitrio».
§ 276. «La determinazione fondamentale dello Stato politico è l'unità sostanziale in quanto idealità dei suoi momenti, nella quale D) i particolari poteri e compiti del medesimo sono tanto risoluti che conservati, e cosi conservati solo in quanto essi non hanno una giustificazione indipendente, ma unicamente tale che procede tanto quanto vien determinata nell'idea della totalità**, - ed essi procedono dalla sua potenza**, sono fluidi membri della medesima in quanto loro semplice medesimezza ». Aggiunta: «Di questa idealità dei momenti avviene come della vita nel corpo organico ». S'intende: Hegel parla soltanto dell'idea « dei particolari poteri e compiti »... Essi debbono avere una giustificazione solo per quel tanto che è determinato nell'idea della totalità; essi debbono soltanto « proced~re dalla sua potenza». Che deve essere cosi è implicito nell'idea dell'organismo. Ma bisognava spiegare come ciò si effettui. Giacché nello Stato ha da dominare la ragione cosciente. E la necessità sostanziale, meramente interna e però meramente esterna, l'accidentale incrociamento' dei « poteri e compiti », non può essere spacciato per il razionale. 1 Verschriinkung: termine approssimativo stabilito dall'editore, ché la parola nel ms. è confusa. Noi crediamc che, comunque, il termine scelto renda il senso che aveva m mente M.
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§ 277. M c I compiti e le attività particolari dello Stato gli sonc propri in quanto elementi essenziali di esso medesimo, e son legati agli individui, che li trattano e esercitano, non secondo l'immediata
personalità di essi individui, ma solo secondo le loro qualità universali e oggettive; e quindi sono congiunti in guisa esteriore e accidentale con la personalità particolare come tale. I compiti e i poteri statali non possono quindi essere proprietà privata:.. - S'intende da sé che quando particolari affari e attività sono qualificati come affari e attività dello Stato, come affari statali e poteri statali, non sono proprietà privata, ma proprietà statale. È una tautologia. Gli affari e le attività dello Stato sono legati a degli individui (lo Stato è attivo solo per mezzo di individui), ma non all'individuo fisico, bens! all'individuo politico, alla qualità di membro dello Stato dell'individuo. È perciò ridicolo che Hegel dica ch'essi sono « congiunti in guisa esteriore e accidentale*"' con la personalità particolare come tale ** ». Essi sono anzi legati all'individuo da un vincolo sostanziale, da una qualità essenziale dell'individuo. Essi sono l'azione naturale della sua qualità essenziale. L'assurdo deriva da ciò: che Hegel concepisce gli affari e le attività statali astrattamente per sé e come loro contrario l'individualità particolare. Ma egli dimentica che l'individualità particolare è umana e che gli affari e le attività statali sono funzioni umane; egli dimentica che l'essenza della «personalità particolare» non è la sua barba, il suo sangue, il suo fisiCo astratto, ma bens! la sua qualità sociale, e che gli affari statali etc. non sono nient'altro che modi di esistenza e attività delle qualità socialr degli uomini. S'intende dunque che gli individui, in quanto rappresentanti degli affari e poteri statali, sono riguardati secondo la loro qualità sociale e non secondo quella privata.
§ 278. «Entrambe queste determinazioni - cioè che i comp1U e poteri particolari dello Stato non sono autonomi e stabili né per sé né nella volontà particolare degli individui, ma hanno la loro ultima radice nell'unità dello Stato** in quanto loro semplice medesimezza ** - costituiscono la sovranità dello Stato ». « Il despotismo designa in genere la condizione della mancanza di leggi, in cui la volontà particolare come tale, sia di un monarca o di un popolo, valga come legge o anzi in luogo di legge; mentre, invece, nella condizione legale costituzionale, la sovranità costi:uisce precisamente il momento dell'idealità delle sfere e dei compiti particolari, per cui cioè una tale sfera 1 non è un che d'indipc•tJente, di 1
Intendi: la sovranità.
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autonomo, nei suoi fini e modi di attività, e che si concentra soltanto in sé, ma è in questi fini e modi determinata e dipendente dal fine della totalità (fine che si è chiamato, in generale, con un'espressione vaga, il bene dello Stato). Questa idealità si manifesta in due modi. Nello stato di pace le sfere e i compiti particolari procedono alla soddisfazione dei loro compiti e fini particolari; ed è, in parte, solo la maniera dell'incosciente necessità della cosa, per la quale il loro egoismo si muta nel contributo alla conservazione reciproca e alla conservazione della totalità [ ... ]; ma, in parte, è l'azione diretta dall'alto, per la quale essi sono tanto ricondotti continuamente al fine della totalità, e però limitati [ ... ], quanto tenuti a fare prestazioni dirette per questa conservazione. Ma, nello stato di urgenza*, interna o esterna, è la sovranità: nel cui semplice concetto si raccoglie l'organismo esistente nelle sue particolarità, e alla quale, col sacrificio di queste altrimenti giustificate, è affidato il salvamento dello Stato; nel che dunque quell'idealismo* perviene alla sua caratteristica* realtà». Questo idealismo non è dunque svolto in un consaputo sistema razionale. Esso appare, nello stato di pace, o come soltanto una costrizione esterna esercitata direttamente dall'alto, sulla potenza dominante, la vita privata, o come un -cieco inconsapevole risultato dell'egoismo. La sua c propria realtà » questo idealismo l'ha soltanto nello « stato di guerra e necessità » dello Stato, cosf che la sua essenza si esprime qui come c stato di guerra e necessità » dello Stato realmente esistente; mentre il suo stato «pacifico » è precisamente la guerra e la necessità dell'egoismo. La sovranità, l'idealismo dello Stato, esiste perciò soltanto come interna necessità, come idea. Anche di ciò Hegel si contenta, ché si tratta soltanto dell'idea. La sovranità esiste dunque, da una parte, soltanto come incosciente e cieca sostanza. Impareremo subito a conoscere l'altra sua realtà.
§ 279 '. <
x. «La sovranità, ch'è dapprima soltanto .il concetto generale di questa idealità, esiste soltanto come soggettività certa di se stessa ••. La soggettività è nella sua verità soltanto come soggetto, la personalità • soltanto come persona. Nella
1 La colonna di sinistra reca il testo di Hegel nel suo ordine e col suo corsivo originale; la colonna di destra reca il testo di H. disarticolato dall'analisi critica di Marx, e ricomposto con l'accento del corsivo di M.
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quale autodeterminazione si trova l'estremo della decisione. È questa l'individualità dello Stato in quanto tale, che esso medesimo soltanto in ciò è uno. Ma la soggettività è nella sua verità soltanto come soggetto, la personalità soltanto come persona; e nella costituzione sviluppata a razionalità reale ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo per sé reale separato aspetto. Perciò questo momento assolutamente decisivo della totalità non è la individualità in generale, ma un individuo, il monarca ),
costituzione sviluppata a razionalità reale ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo per sé reale separato aspetto. 2. La sovranità esiste soltanto come autodeterminazione astratta, perché senza fondamento, della volontà, nella quale autodeterminazione si trova l'estremo della deciswne. È questa l'individualità dello Stato in quanto tale, che, esso medesimo, soltanto in ciò è uno (e nella costituzione sviluppata a razionalità reale ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo per sé reale separato aspetto). Perciò • questo momento assolutamente decisivo • della totalità non è l'individualità in generale, ma un individuo, il monarca».
La prima frase non significa che questo: che il pensiero generale di questa idealità, la cui triste esistenza si è vista sopra, dovrebbe essere l'opera consapevole dei soggetti, e come tale esistere per essi e in essi. Se Hegel avesse preso, come punto di partenza, i soggetti reali come basi dello Stato, non avrebbe trovato necessario di soggettivare in guisa mistica lo Stato. «La soggettività ,, dice Hegel, « è nella sua verità soltanto come soggetto, la personalità soltanto come persona ». Anche questa è una mistificazione. La soggettività è una determinazione del soggetto, la personalità una determinazione della persona. Invece di concepirle soltanto come predicati dei loro soggetti, Hegel fa indipendenti i predicati e li lascia poi tramutarsi, in guisa mistica, nei loro soggetti. L'esistenza dei predicati è il soggetto: dunque soggetto è l'esistenza della soggettività etc. Hegel dà un'esistenza indipendente ai predicati, agli qbietti, ma astraendoli dal loro soggetto, ch'è realmente indipendente. Dopo, il reale soggetto 1 appare come risultato loro, mentre, ir.vece, bisogna partire dal reale soggetto e considerare il suo obbiettivarsi. La mistica sostanza diventa, dunque, il reale soggetto, e il reale soggetto appare come 1 Il termine « soggetto» equivale ai termini «reale soggetto», « ente reale», e «supporto>> nel senso dell'ypokeimenon aristotelico usato da Marx, ossia nel senso di sostrato materiale.
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qualcosa d'altro, come un momento della m1st1ca sostanza. Proprio in quanto Hegel prende le mosse dai predicati della determinazione generale, invece che dall'ente reale ( 'ÙrcoxELf!EVOv, soggetto), e ci ha da essere tuttavia un supporto di queste determinazioni, la mistica idea diventa questo supporto. È- il dualismo per cui Hegel non considera l'universale come l'effettiva essenza del reale-finito, cioè dell'esistente e determinato; ossia non considera l'ente reale come il vero soggetto dell'infinito. Cosi la sovranità, l'essenza dello Stato, è qui dapprima considerata come un'essenza indipendente, è obbiettivata. Poi, s'intende, l'obbiettivo deve ridiventare soggetto. Ma questo soggetto appare allora come un'autoincarnazione della sovranità; mentre la sovranità non è nient'altro che l'obbiettivato spirito dei soggetti dello Stato 1 • A parte questo fondamentale difetto dello svolgimento, esaminiamo questa prima frase del paragrafo. Cosi com'è essa non significa che questo: la sovranità, l'idealismo dello Stato come persona, come «soggetto», esiste, è chiaro, in quanto molte persone, molti soggetti, poiché nessuna singola persona, nessun singolo soggetto, esaurisce in sé la sfera della personalità, la sfera della soggettività. Che cosa dovrebbe essere, dunque, questo idealismo politico che, invece d'essere la reale coscienza di sé dei cittadini, l'anima comune dello Stato, sarebbe una persona, un soggetto? Di piu Hegel non spiega neanche in questa frase. Ma esaminiamo ora la seconda frase congiunta con questa. Ciò che a Hegel importa è di rappresentarci il monarca come il reale « uomo-Dio », come la reale incarna· zione dell'idea. « La sovranità... esiste soltanto... come autodeterminazione astratta, perché senza fondamento, della volontà, nella quale si trova l'estremo della decisione. È questa l'individualità dello Stato in quanto tale, che esso medesimo soltanto in ciò è uno ... Nella costituzione sviluppata a razionalità reale ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo per sé reale, separato aspetto. Perciò • questo momento assolutamente decisivo della totalità non è l'individualità in generale, ma un individuo, il monarca ». Abbiamo già prima richiamata l'attenzione su questa frase: il momento della decisione, della decisione arbitraria perché determinata, è il potere sovrano della volontà in generale; l'idea del potere del sovrano, tale quale Hegei la spiega, non è che l'idea dell'arbitrario, della decisione della volontà. Ma nel mentre che Hegel concepisce, sopra, la sovranità come l'idealismo dello Stato, come la reale determinazione delle parti mediante l'idea della totalità, ora riduce la sovranità a «autodeterminazione astratta •, perché senza fondament~ ••, della volontà, nella quale si trova l'estremo della decisione: e questa è l'individualità • dello Stato come tale». 1
Cioè di «reali sogg-etti ».
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Dianzi si discorreva della soggettività, ora dell'individualità: lo Stato in quanto sovrano dev'essere uno. un individuo, deve avere individualità. Lo Stato è uno «non soltanto» in ciò, in questa individualità: l'individualità è solo il momento naturale della sua unità, la determinazione naturale dello Stato: «perciò • questo momento assolutamente decisivo non è l'individualità in generale, ma un individuo, il monarca:.. Donde ciò? Da questo: che «nella costituzione sviluppata a razionalità reale ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo • per sé reale separato aspetto». Un momento del concetto è l'« individualità», ma ciò non è peranco un individuo. E che sarebbe poi una costituzione, in cui l'universalità, la particolarità, l'individualità, avessero ciascuna « il suo • per sé reale separato aspetto:.? Giacché si tratta insomma non di qualcosa di astratto, ma dello Stato, della società, si può anche assumere la classificazione hegeliana. Che cosa ne segue? Il cittadino in quanto determina l'universale è legislatore; in quanto decide nel particolare e realmente vuole è sovrano: che cosa significherebbe che «l'individualità della volontà dello Stato » è « un individuo • », un individuo particolare distinto da tutti gli altri? Anche l'universalità, la legislazione, ha «un per sé reale, separato aspetto :. : si potrebbe per ciò concludere che « questi particolari individui sono la legislazione :..
L'uomo del volgo: Il monarca ha il potere sovrano, la sovranità. 3· La sovranità fa ciò che vuole.
2.
H egel: La sovranità dello Stato è il monarca. 3· La sovranità è « l'autodeterminazione astratta, perché senza fondamento, della volontà, nella quale si trova l'estremo della decisiOne».
2.
Di tutti gli attributi del monarca costituzionale nell'odierna Europa Hegel fa delle assolute autodeterminazioni della volontà. Non dice: la volontà del monarca è la decisione ultima; bensf: la decisione ultima della volontà è - il monarca. La prima frase è empirica, la secon_da stravolge 1 il fatto empirico in un assioma metafisica. Hegel mescola i due soggetti, la sovranità «come soggettività certa di se stessa » e la sovranità « come autodeterminazione senza fondamento della volontà, come volontà individuale », per costruire l'« idea :. come c un individuo». S'intende bene che questa soggettività certa di se stessa deve anche 1
z•erdreht
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volere realmente, deve volere anche come unità, come individuo. Ma i::lù ha anche mai dubitato che lo Stato agisca attraverso individui? Se Hegel voleva spiegare che lo Stato deve avere un individuo come rappresentante della sua unità individuale, non ne avrebbe ricavato il monarca. Come positivo risultato di questo paragrafo riteniamo soltanto: che il monarca è nello Stato il momento della volontà individuale, dell'autodeterminazione senza fondamento, dell'arbitrio. La nota di Hegel al paragrafo è cosi rimarchevole che dobbiamo delucidarla in dettaglio.
«Lo sviluppo immanente di una scienza, la deduzione di tutto il suo contenuto dal semplice concetto [ ... ] mostra la caratteristica che il solo e medesimo concetto, qui la volontà*, che dapprima, poiché è il cominciamento, è astratto, si conserva, ma addensa le sue determinazioni e ciò del pari soltanto per mezzo di se stesso; e in questa guisa acquista un concreto contenuto. Cosi è il momento fondamentale della personalità dapprima astratta nel diritto immediato, che si è perfezionato attraverso le sue diverse forme di soggettività; e che qui, nel diritto assoluto, nello Stato, nella pienamente concreta oggettività della volontà, è la personalità dello Stato, la sua certezza di se stesso; questa cosa ultima, che sopprime tutte le particolarità nelle semplice medesimezza, tronca la ponderazione dei motivi e dei contromotivi, fra i quali ci si lascia sempre oscillare di qua e di là, e li decide con l'io voglio, e inizia ogni azione e realtà». Innanzi tutto, non è affatto la «caratteristica della scienza » che il concetto fondamentale della cosa di continuo ritorni. Ma poi non ha avuto luogo alcun progresso. La personalità astratta era il soggetto del diritto astratto: essa non si è mutata: essa è di nuovo come personalità astratta la personalità dello Stato. Hegel non avrebbe dovuto stupirsi che la persona reale - e le persone fanno lo Stato - si ripresenti ovunque come l'essere dello Stato. Avrebbe dovuto stupirsi del contrario, e ancora di piu che la persona in quanto persona politica sia un ritorno della medesima povera astrazione ch'è la persona del diritto privato. Hegel qui definisce il monarca come « la personalità dello Stato, la sua certezza di se stesso ». Il monarca è la « sovranità personificata », la «sovranità divenuta uomo», la corposa coscienza statale, per cui tutti gli altri sono esclusi da questa sovranità e dalla personalità e dalla coscienza dello Stato. Ma al tempo stesso Hegel non sa dare a questa « Souveraineté Personne » alcun altro contenuto che I' « io voglio», cioè il momento dell'arbitrio nella volontà. La « ragione politica », la « coscienza di Stato »
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è un'empirica «unica» persona, a esclusione di tutte le altre, ma questa ragione personificata non ha altro contenuto che l'astrazione dell' « io voglio ». L'Etat, c'est moi. «Ma la personalità, la sGggettiv~tà in generale inoltre •, in quanto infinito rapporto di sé a sé, ha verità, cioè intima immediata verità semplicemente soltanto come persona, come soggetto che è per sé, e ciò che è per sé è del pari semplicemente uno :.. S'intende bene che, poiché personalità e soggettività sono soltanto predicati della persona e del soggetto, esistono soltanto come persona e soggetto, e la persona a dir vero è uno. Ma Hegel doveva soggiungere che l'uno è schiettamente vero soltanto come molti uno. Il predicato, l'essenza, non esaurisce mai le sfere della sua esistenza in una unità, ma nelle molte unità. Invece Hegel conclude: << La personalità dello Stato è reale soltanto come una persona, il monarca».
Cosf, poiché la soggettività è reale soltanto come soggetto e ogni soggetto è reale soltanto in quanto uno, la personalità dello Stato è reale soltanto in quanto è una persona. Bella conclusione. Hegel poteva concludere parimente: che poiché il singolo uomo è un'unità, il genere umano è soltanto un unico uomo. «La personalità esprime il concetto come tale; la persona contiene in pari tempo ** la realtà del medesimo, e il concetto è soltanto con questa determinazione idea, verità». La personalità è certamente solo un'astrazione senza la persona, ma la persona è l'idea reale della personalità, nella sua esistenza di specie, solo nelle persone. « Una cosiddetta persona morale, società, comumta, famiglia, per concreta che sia in sé, ha la personalità solo come momento astratto in essa: essa qui non è pervenuta alla verità della sua esistenza; ma lo Stato è precisamente questa totalità nella quale i momenti del concetto pervengono alla realtà secondo la loro peculiare verità». Una grande confusione domina in questa frase. La persona morale, la società etc., è detta astratta, dunque parimente le formazioni generiche,
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nelle quali la reale persona dà esistenza al suo reale contenuto, si obbiet· ti va e abbandona l'astrazione della «persona quand meme ». Invece di riconoscere come il piu concreto questa realizzazione della persona, lo Stato deve avere il privilegio che in esso « il momento del concetto» ch'è l'« individualità», pervenga ad una mistica «esistenza». Il razionale non consiste in ciò, che la ragione della persona reale pervenga alla realtà, ma, bensl, che vi pervengano i momenti dell'astratto concetto. «Il concetto di monarca è quindi il concetto piu difficile per il raziocinamento, cioè per la riflettente considerazione dell'intelletto, perché questa si arresta nelle determinazioni isolate, e però anche conosce soltanto ragioni, punti di vista limitati, e il dédurre da ragioni. Cosi rappresenta allora la dignità del monarca come qualcosa di dedotto non soltanto secondo la forma, ma secondo la sua determinazione; al contrario, il suo concetto è di essere non un che di dedotto, ma di avente semplicemente inizio da sé. Piu presso al vero (certamente!)* è quindi la rappresentazione per cui si considera il diritto del monarca come fondato sull'autorità divina, perché in tale rappresentazione è contenuta l'incondizionatezza di esso». « Avente semplicemente inizio da sé »: tale è, in certo senso, ogni necessaria esistenza: sotto questo riguardo, lo è il pidocchio del monarca tanto quanto il monarca. Con ciò Hegel non ci ha detto nulla di specifico sul monarca. Ma è una reale sciocchezza che si debba applicare al monarca qualcosa di specificamente diverso da tutti gli altri oggetti della scienza e della filosofia del diritto; qualcosa che è giusto solo in quanto quest' « una persona-idea » è certamente qualcosa di derivabile soltanto dall'immaginazione, ma non dall'intelletto.
« La sovranità può esser detta popolare nel senso che un popolo in generale sia esteriormente qualcosa di autonomo e costituisca un proprio Stato » etc. Una trivialità. Se il principe è la «reale sovranità dello Stato'>, esso deve anche all'esterno poter valere come lo «Stato autonomo», pur senza il popolo. Ma se esso è sovrano in quanto rappresenta l'unità del popolo, esso medesimo è dunque soltanto il rappresentante, il simbolo della sovranità popolare. La sovranità del popolo non c'è per mezzo di lui, è lui al contrario che c'è attraverso la sovranità del popolo. « Cosi si può anche dire, della sovranità all'interno: che essa risieda nel popolo, se si parla soltanto in generale della totalità, per
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l'appunto come si è mostrato sopra (§ 277, 278) che la sovranità spetta allo Stato>. Come se il popolo non fosse il reale Stato. Lo Stato è un astratto. Soltanto il popolo è il concreto. Ed è notabile che Hegel, che lo fa senza esitazione per l'astratto, ascriva al concreto soltanto con esitazioni e riserve una qualità vivente come quella della sovranità. «Ma una sovranità popolare in quanto assunta in antitesi alla sovranità esistente nel monarca è il significato ordinario in cui si è cominciato a parlare di sovranità popolare nei tempi moderni - e in tale antitesi la sovranità popolare fa parte delle confuse idee, alla cm base sta l'incolta rappresentazione di popolo » 1• Le « confuse idee » e l' « inwlta rappresentazione » si trovano qui solo in Hegel. Certamente: se la sovranità esiste nel monarca, è una sciocchezza parlare di una sovranità contraria esistente nel popolo; ché è proprio del concetto di sovranità che questa non possa avere una doppia e opposta esistenza. Ma: r. La questione è precisamente: non è un'illusione la sovranità assoiuta del monarca? Sovranità del monarca o del popolo, ecco la questione; 2. Si può anche parlare di una sovranità popolare, in antitesi alla soz,ranità esistente nel monarca. Ma allora non si tratta di una e medesima sovranità derivata da due parti, bensf di due del tutto opposte nozioni della sovranità, di cui una è tale che può realizzarsi soltanto in un monarca, e l'altra tale che lo può soltanto in un popolo. Come parimente si chiede: se è Dio il sovrano, o è l'uomo il sovrano. Una delle due è una falsità, anche se una falsità esistente.
« Il popolo, senza il suo monarca e senza la struttura, con ciò * necessariamente e immediatamente connessa, della totalità, è la massa informe che non è piu Stato e alla quale non spetta piu alcuna delle determinazioni che esistono soltanto nella totalità formata in sé - sovranità, governo, giurisdizione, magistratura, stati, e checchessia. Per il fatto che tali momenti, riferentisi a un'organizzazione, alla vita statale, si manifestano in un popolo, questo cessa di essere quell'astratto indeterminato che nella mera rappresentazione generale si chiama popolo >.
1 Qui: Hegel contrario a Rousseau, al massimo teorico della sotJranità popolare (vedi Contratto sociale, I, VII}: e cfr., avanti, l'ultima nota spec.
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Tutto una tautologia. Se un popolo ha un monarca e una organizza-zione con questo necessariamente e immediatamente connessa, cioè se esso è organizzato in. una monarchia, esso è certamente, una volta fuori da questa struttura, una massa informe e una rappresentazione meramente generale. « Se si intende per sovranità popolare la forma della repubblica, e piu determinatamente della democrazia [ ... ] [ ... ], rispetto all'idea sviluppata non si può piu discorrere di una cosiffatta concezione:.. Questo è certamente esatto, se si ha della democrazia soltanto una c cosiffatta concezione :. e nessuna « idea sviluppata :.. La democrazia è la verità della monarchia, la monarchia non è la verità della democrazia. La monarchia è necessariamente democrazia come inconseguenza verso se stessa, l'elemento monarchico non è un'inconseguenza nella democrazia. La monarchia non può, la democrazia può esser concepita per se stessa. Nella democrazia nessuno dei suoi elementi acquista un significato diverso da quello che gli spetta. Ciascuno è realmente solo un momento dell'intero demos. Nella monarchia una parte determina il carattere del tutto: l'intera costituzione si deve modificare secondo un punto fisso. La democrazia è il genus della costituzione. La monaiéhia ne è una specie, e una specie cattiva. La democrazia è «contenuto e- forma ». La monarchia deve esser soltanto forma, ma essa altera il contenuto. Nella monarchia il tutto, il popolo, è sussunto sotto uno dei suoi modi di esistere, la costituzione politica; nella democrazia la costituzione stessa appare semplicemente come una determinazione, cioè autodeterminazione del popolo. Nella monarchia abbiamo il popolo della costituzione; e nella democrazia la costituzione del popolo. La democrazia è l'enigma risolto di tutte le costituzioni. Quivi la costituzione è non solo in sé, secondo l'essenza, ma secondo l'esistenza, secondo la realtà, e ricondotta continuamente al suo reale fondamento, all'uomo reale, al popolo reale, e posta come opera propria di esso. La costituzione appare per quel che è, libero prodotto dell'uomo. Si potrebbe dire che ciò valga anche, sotto certo riguardo, per la monarchia costituzionale: ma la specifica differenza dalla democrazia è che qui la costituzione in genere è soltanto un elemento di esistenza del popolo, e che non la costituzione politica per se stessa forma lo Stato. Hegel parte qui dallo Stato e fa dell'uomo lo Stato soggettivaio; la democrazia parte dall'uomo e fa dello Stato l'uomo oggettivato. Come non è la religione che crea l'uomo, ma è l'uomo che crea la religione, cosf non la costituzione crea il popolo, ma il popolo la costituzione. La democrazia sta, sotto un certo punto di vista, a tutte le altre forme politi-
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che, come il cnsttanesimo sta a tutte le altre religioni. Il cnsttanesimo
è la religione, xar'€~oxT)v ', l'essenza della religione, l'uomo deificato in una particolare religione. Cosi la democrazia è l'essenza di ogni costituzione politica, l'uomo socializzato in una particolare costituzione politica; essa sta alle altre costituzioni come il genere sta alle sue specie; solo che qui il genere stesso si manifesta come esistenza, e però come una particolare specie di fronte alle esistenze non corrispondenti all'essenza. La democrazia sta a tutte le altre forme politiche come a suo Antico Testamento. L'uomo non esiste per la legge, ma la legge esiste per l'uomo, è esistenza umana, mentre nelle altre l'uomo è l'esistenza legale. Questa la differenza fondamentale della democrazia. Tutte le altre formazioni politiche sono una certa, determinata, parttcolare forma di Stato. Nella democrazia il principio formale è al tempo stesso il principio materiale. Essa è, dunque, primieramente la vera unità dell'universale e del particolare. Nella monarchia, ad es., o nella repubblica come forma semplicemente particolare di Stato, l'uomo politico ha la sua peculiare esistenza accanto all'uomo non politico, all'uomo privato. La proprietà, il contratto, il matrimonio, la società civile appaiono qui (secondo l'esattissima spiegazione hegeliana di queste astratte forme politiche, salvo che Hegel crede di spiegare l'idea dello Stato) come dei modi di esistenza particolari accanto allo Stato politico, come il contenuto, di cui lo Stato politico è la relativa forma organizzatrice, e propriamente solo come intelletto senza contenuto in se stesso, determinante e limitante, e che ora afferma e ora nega. Nella democrazia lo Stato politico, in quanto esso si pone accanto a questo contenuto e se ne distingue, è anch'esso solo un particolare contenuto, come un particolare modo di esistere del popolo. Nella monarchia, ad es., la costituzione politica, questo particolare, ha il significato dell'universale che domina e determina tutto il particolare. Nella democrazia lo Statò, in quanto particolare, è soltanto particolare, e in quanto universale è l'universale reale, cioè niente di determinato che sia distinto dall'altro contenuto. I francesi moderni hanno inteso questo cosi: che nella vera democrazia lo Stato politico perisca. Il che è giusto, nel senso che esso, quale Stato politico, quale costituzione, non vale piu per il tutto. In tutti gli Stati che differiscono dalla democrazia, lo Stato, la legge, la costituzione, dominano senza dominare realmente, cioè senza penetrare materialmente il contenuto delle restanti sfere non politiche. Nella democrazia la costituzione, la legge, lo Stato stesso, sono semplicemente un'autodeterminazione del popolo, un contenuto _determinato del popolo, per quanto esso contenuto è costituzione politica. Del resto, s'intende da sé che tutte le forme politiche hanno come 1
« Per eccellenza ,.,
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loro verità la democrazia, e che quindi in quanto non sono democrazia non sono vere. Negli Stati antichi lo Stato politico costituisce il contenuto dello Stato con l'esclusione delle altre sfere; lo Stato moderno è un compromesso fra lo Stato politico e quello non politico. Nella democrazia lo Stato astratto ha cessato di essere il momento dominante. Il conflitto fra monarchia e repubblica è esso medesimo ancora un conflitto all'interno dello Stato astratto. La repubblica politica è la democrazia all'interno della forma politica astratta. L'astratta forma politica della democrazia è quindi la repubblica: ma qui essa cessa di essere la costituzione semplicemente politica. La proprietà etc., in breve tutto il contenuto del diritto e dello Stato, è, con poche modificazioni, il medesimo nell'America del Nord che in Prussia. Là la repubblica è dunque una semplice forma politica come è qui la monarchia: il contenuto dello Stato si trova al di fuori di queste costituzioni. Hegel è dunque nel giusto, quando dice: lo Stato politico è la costituzione, cioè lo Stato materiale non è politico. lvi si ha soltanto un'identità esteriore, una reciproca determinazione. Il piu difficile era di formare lo Stato politico, la costituzione, dai diversi momenti della vita del popolo. La costituzione si sviluppò come la ragione universale di fronte alle altre sfere, come un aldilà delle medesime. Il compito storico consistette poi nella loro rivendicazione; ma le sfere particolari non hanno in ciò la coscienza che il loro essere privato cade con la trascendenza della costituzione ossia dello Stato politico, e che l'essere trascendente dello Stato non è nient'altro che l'affermazione della loro propria alienazione. La costituzione politica fu sino ad ora la sfera religiosa, la religione della vita del popolo, il cielo della sua universalità rispetto all'esistenza terrestre della sua realtà. La sfera politica fu la sola sfera politica nello Stato, l'unica sfera in cui il contenuto fu generico come la forma, fu il vero universale, ma al contempo in tal modo che, con l'opporsi di questa sfera alle altre, il suo contenuto divenne anch'esso un contenuto formale e particolare. La vita politica nel senso moderno è lo scolasticismo della vita del eopolo. La monarchia è l'espressione compiuta di questa alienazione. La repubblica è la negazione della medesima dentro la sua propria sfera. S'intende che la costituzione politica come tale è sviluppata solo là dove le sfere private hanno acquistato un'esistenza indipendente. Là dove il commercio e la proprietà fondiaria non sono liberi, non sono ancora diventati indipendenti, non lo è neanche la costituzione politica. Il Medioevo era la democrazia della illibertà. L'astrazione dello Stato come tale appartiene solamente al tempo moderno, perché l'astrazione della vita privata appartiene solamente al tempo moderno. L'astrazione dello Stato politico è un prodotto moderno. Nel Medioevo c'erano servi della gleba, beni feudali, corporazioni di
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mestiere, corporazioni scieui:iiiche etc.; cioè nel Medioevo la proprietà, il commercio, la società, l'uomo sono politici, il contenuto materiale dello Stato è posto dalla sua forma, ogni sfera privata ha un carattere politico o è una sfera politica, o la politica è anche il carattere delle sfere private. Nel- Medioevo la costituzione politica è la costituzione della proprietà privata, ma solo perché la costituzione della proprietà privata è una costituzione politica. Nel Medioevo vita del popolo e vita dello Stato sono identiche. L'uomo è il reale principio dello Stato, ma l'uomo non-libero. È dunque la democrazia della non-libertà, la compiuta alienazione. L'opposizione astratta, riflessa, appartiene solo al mondo mod~rno. Il Medioevo è il dualismo reale, l'età moderna è il dualismo astratto. «Nel grado sopra notato, in cui è stata fatta la divisione delle costituzioni in democrazia, aristocrazia e monarchia, dal punto di vista dell'unità sostanziale che resta ancora in sé, che non è ancora pervenuta alla sua infinita distinzione e al suo infinito approfondimento in sé**, il momento della decisione ultima della volontà che determina se stessa non appare come immanente momento organico dello Stato per sé in peculiare realtà :.. Nella immediata monarchia, democrazia, aristocrazia non si dà ancora costituzione politica distinta dallo Stato reale, materiale, o dal rimanente contenuto della vita del popolo. Lo Stato politico non appare ancora come la forma dello Stato materiale. O, come in Grecia, la cosa pubblica ~ l'affare privato reale, il reale contenuto dei cittadini, e l'uomo privato ~ schiavo, lo Stato politico come tale essendo il vero, unico contenuto della loro vita e della loro volontà; o, come nella despotia asiatica, lo Stato politico non è che l'arbitrio privato di un singolo individuo, ossia lo Stato politico, come lo Stato materiale, è schiavo. La differenza dello Stato moderno da questi Stati, in cui c'è unità sostanziale fra popolo e Stato, non consiste già nell'esser ognuno dei diversi Stati divenuto in quanto costituzione una particolare realtà, come Hegel vuole; ma bensf in ciò, che la costituzione stessa è diventata una particolare realtà accanto alla reale vita popolare; che lo Stato politico è diventato la costituzione del resto dello Stato. § 280. « Quest'ultimo se stesso della volontà dello Stato è, in questa sua astrazione, semplice e quindi immediata individualità; nel suo concetto medesimo si trova pertanto la determinazione della naturalità; e dunque il monarca è essenzialmente come questo individuo, astratto da ogni altro contenuto, e questo individuo determi-
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nato a dignità di monarca m mamera immediata, naturale, dalla nascita naturale». Abbiamo già udito che la soggettività è soggetto e che il soggetto è necessariamente individuo empirico, uno. Veniamo a sapere ora che nel concetto dell'individualità immediata si trova la determinazione della naturalità, della corporeità. Hegel non ha dimostrato che ciò che parla da sé: che la soggettività esiste soltanto come individuo corporeo, e che, s'intende, all'individuo corporeo si appartiene la nascita naturale. Hegel s'immagina di aver dimostrato che la soggettività dello Stato, la sovranità, il monarca è «essenziale» «come questo individuo, astratto da ogni altro contenuto, e questo individuo determinato a dignità di monarca in maniera immediata, naturale, dalla nascita naturale». La sovranità, la dignità monarchica, nascerebbe dunque. Il corpo del monarca determinerebbe la sua dignità. Alla cima dello Stato deciderebbe dunque, in luogo della ragione, la mera physis. La nascita stabilirebbe la qualità di monarca, come la nascita stabilisce la qualità di bestiame. Hegel ha dimostrato che il monarca deve nascere, di che nessuno dubita, ma non ha dimostrato che è la nascita che fa il monarca. La nascita dell'uomo quale monarca è passibile di erigersi in verità filosofica tanto poco quanto l'immacolata concezione di Maria madre. Come quest'ultima rappresentazione, o questo fatto della coscienza, cosi quel dato dell'empiria è spiegabile con l'umana illusione e le circostanze. Nella nota, che esaminiamo piu da vicino, Hegel si abbandona al piacere di aver dimostrato l'irrazionale come assolutamente razionale. « Questo passaggio dal concetto della pura autodeterminazione all'immediatezza dell'essere e quindi alla naturalità è di natura puramente speculativa; la sua conoscenza appartiene dunque alla logica filosofica ». Certo, il puro speculativo non è che dalla pura autodeterminazione, da un'astrazione, si salti nella pura naturalità (l'accidente della nascita), nell'altro estremo, car les extremes se touchent. Lo speculativo consiste in ciò: che è presunto un «passaggio del concetto» e che si spaccia l'assoluta contraddizione come identità, la massima inconseguenza come conseguenza. Si può considerare una confessione positiva di Hegel che col monarca ereditario, al posto della ragione autodeterminantesi, l'astratta determinazione naturale si presenta non per quel che essa è, cioè determinazione naturale, ma come suprema determinazione dello Stato, e che questo è il punto positivo in cui la monarchia non può piu salvare l'apparenza di essere l'organizzazione della volontà razionale.
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«Del resto, è in fondo il medesimo** ( ?) * passaggio che è noto come natura della volontà in generale** ed è il processo di trasportare un contenuto dalla soggettività (in quanto fine rappresentato) nell'esistenza [ ... ]. Ma la forma peculiare* dell'idea e del passaggio, che qui consideriamo, è la conversione immediata della pura autodeterminazione della volontà** (dello stesso semplice concetto**) in un questo e in un naturale esserci, senza la mediazione attraverso un particolare contenuto (un fine nell'agire)». Hegel dice che il mutarsi della sovranità dello Stato (d'una autodeterminazione della volontà) nel corpo del monarca-nato (nell'esistenza) è in fondo il passaggio del contenuto in generale che opera la volontà per realizzare un fine pensato, per tradurlo in esistenza. Ma Hegel dice: in fondo. La peculiare differenza, ch'egli addita, è tanto peculiare da sopprimere ogni analogia e da sostituire la magia alla « natura della volontà in generale ». In primo luogo, il cambiamento del fine rappresentato in esistenza è qui immediato, magico. In secondo luogo, il soggetto è qui la pura autodeterminazione della volontà che è determinata come soggetto mistico; non è alcun valore reale, individuale, cosciente, è l"astrazione della volontà, che si cambia in un esserci naturale, è l'idea pura, che si incarna in un individuo. In terzo luogo, come la realizzazione della volontà in esistenza naturale si compie immediatamente, ossia senza i mezzi di cui di solito la volontà abbisogna per oggettivarsi, cosi manca persino un fine particolare, cioè determinato; non ha luogo « la mediazione di un particolare contenuto, di un fine nell'agire», s'intende, ché non c'è alcun soggetto agente, e l'astrazione, l'idea pura della volontà, per agire, deve agire misticamente. Un fine che non è particolare, non è un fine, come un agire senza un fine è un agire senza disegno, senza senso. Tutto il paragone con l'atto teleologico del volere si svela dunque, alla fine dei conti, come una mistificazione e un atto a vuoto dell'idea. Il mezzo è la volontà assoluta e la parola del filosofo: il fine particolare è, di nuovo, il fine del soggetto filosofante: di costruire dall'idea pura il monarca ereditario. Che il fine è realizzato è mera assicurazione di Hegel. «Nella cosf detta prova ontologica dell'esistenza di Dio** è la medesima conversione del concetto assoluto nell'essere (la medesima mistificazione) *, ciò che ha costituito la profondità dell'idea nei tempi moderni, ma che negli ultimi tempi è stato spacciato (giustamente)* per inconcepibile:..
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« Ma poiché la concezione del monarca è considerata come devoluta interamente alla coscienza comune (cioè intellettuale)*, tanto pru qui l'intelletto resta a questa separazione e ai risultati relativi deila sua saggezza raziocinante, e nega allora che il momento della decisione ultima nello Stato in sé e per sé (cioè nel concetto razionale) sia legato alla naturalità immediata». Si nega che la decisione ultima nasca, e Hegel afferma che il monarca è la decisione ultima nata: ma chi ha mai dubitato che la decisione ultima nello Stato sia legata a individui reali, corporei, dunque «alla natura· lit~ immediata:.? ~ 28r. «I due momenti, nella loro indivisa unità, il se stesso ultimo e privo di fondamento della volontà, e l'esistenza perciò anche senza fondamento, in quanto determinazione rimessa alla natura questa idea di un incommosso dall'arbitrio costituisce la maestà del monarca. In questa unità si trova l'unità reale dello Stato, che è sottratta soltanto da questa sua immediatezza interna ed esterna alla possibilità di-esser degradata alla sfera della particolarità, all'arbitrio, ai fini e alle vedute di questa, alla lotta delle fazioni contro le fazioni per il trono, e all'indebolimento e distruzione del potere dello Stato:..
I due momenti soao; -Ja casualità del volere, l'arbitrio, e la casualità della natura, la nascita(dunque: Sua Maestà il caso. Il caso è cosi la reale unità dello Stato. Che una «immediatezza interna e esterna » debba essere sottratta alla collisione etc., è un'inconcepibile affermazione di Hegel, ché essa immediatezza è propriamente abbandonata alla collisione. Ciò che Hegel dice della monarchia elettiva vale in misura anche maggiore per il monarca ereditario: «La costituzione, cioè, in una monarchia elettiva diventa una capitolazione elettiva etc. etc., per la natura del rapporto, per cui, in esso regno, la volontà particolare è costituita a dec!sione ultima»; c una remissione del potere dello Stato alla discrezione della volontà particolare, donde il mutamento dei poteri* particolari dello Stato** in proprietà privata** etc.». § 282. «Dalla sovranità del monarca segue il diritto di grazia ai delinquenti, ché solo a essa compete la realizzazione del potere dello spirito, di fare l'accaduto non accaduto e annullare- nella remissione e nell'oblio il delitto:..
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Il diritto di graziare è il diritto di grazia. La grazia è l'espressione suprema dell'accidentale arbitrio che Hegel significativamente fa attributo peculiare del monarca. Nell'Aggiunta Hegel precisa anche che l'origine ne è « la decisione priva di fondamento u ~.
§ 283. Il secondo momento, contenuto nel potere del sovrano,
è il momento della particolarità o del contenuto particolare, e della sussunzione del medesimo sotto l'universale. In quanto esso consegue un'esistenza particolare, sono degli uffici supremi e degli individui deliberanti che portano davanti al monarca*, per la decisione, il contenuto degli interessi dello Stato che si presentano o delle determinazioni legali che diventano necessarie pei bisogni esistenti, coi loro lati oggettivi, con le loro ragioni decisive, con le leggi, le circostanze etc., riferentisi ad essi. La scelta degli individui* per questo ufficio, come la loro rimozione, cadono, poiché essi hanno da fare con la persona immediata del sovrano, sotto l'arbitrio illimitato** di questo~.
§ 284. «In quanto unicamente l'oggettivo della decisione, la conoscenza del contenuto e delle circostanze, le ragioni determinanti legali e d'altra specie, sono atti alla responsabilità, cioè alla prova dell'oggettività, e possono quindi competere a un consiglio distinto dalla volontà personale del monarca come tale; unicamente questi uffici o individui deliberanti sono soggetti a responsabilità*; ma la peculiare maestà del monarca, come soggettività decidente ultima, è elevata al disopra di ogni responsabilità per gli atti di governo». Hegel descrive qui del tutto empiricamente il potere ministeriale come è di solito stabilito negli Stati costituzionali. L'unica cosa che la filosofia vi aggiunge è di fare di questo « fatto empirico », l'essere ', il predicato, del « momento della particolarità nel potere sovrano ». (l ministri rappresentano il lato razionale, oggettivo della volontà sovrana. A essi spetta anche l'onore della responsabilità, mentre il monarca vien soddisfatto con la caratteristica fantasia della « maestà »). L'elemento speculativo è dunque molto scarso. All'incontro lo sviluppo dipende in particolare da motivi del tutto empirici, cioè motivi èmpirici molto astratti, molto cattivi. Cosi, per es., la scelta dei ministri è affidata all'« illimitato arbitrio > del monarca, « poiché essi hanno da fare con la persona immediata del 1
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mvnarca », cioè perché sono ministri. Parimente la « scelta illimitata :. del camerien 1el monarca può esser dedotta 1 dall'idea assoluta. È gia meglio il motivo della responsabilità dei ministri, «in quanto unicamente l'oggettivo della decisione, la conoscenza del contenuto e delle circostanze, le ragioni determinanti legali e d'altra specie, sono atti alla responsabilità, cioè alla prova dell'oggettività*+». S'intende che «la soggettività decidente ultima », la soggettività pura, l'arbitrio puro, non è oggettiva, e dunque non è nemmeno passibile di una prova dell'oggettività, né atta ad alcuna responsabilità, dato che un indivic!uo è l'esistenza consacrata, sanzionata dell'arbitrio. La dimostrazione di Hegel è concludente, se si parte dai presupposti costituzionali; ma Hegel non ha dimostrato questi presupposti con l'analisi di essi nella loro rappresentazione fondamentale. In questa confusione risiede tutta l'acrisia della filosofia hegeliana del diritto. § 285. « Il terzo momento del potere del sovrano concerne l'universale in sé e per sé, che consiste, nel riguardo soggettivo, nella coscienza del monarca, nel riguardo oggettivo, nella totalità della costituzione e nelle leggi; il potere del sovrano presuppone gli altri momenti, cosz come ognuno di questi lo presuppone**:.. § 286. «La garanzia oggettiva del potere del sovrano, della legittima successione in base all'ereditarietà del trono etc., consiste in ciò, che, come questa sfera ha la sua realtà separata* dagli altri momenti determinati mediante la ragione, cosi gli altri hanno per sé i diritti e i doveri peculiari della loro determinazione; ciascun membro, conservandosi per sé, conserva appunto per ciò, nell'organismo razionale, gli altri nella loro peculiarità ».
Hegel non s'accorge che con questo terzo elemento, l'« universale in sé e per sé», butta all'aria gli altri due o inversamente. «Il potere del sovrano presuppone gli altri momenti, cosi come ognuno di questi lo presuppone ». Se questa tesi è intesa non misticamente ma realisticamente • il potere del sovrano non è posto per nascita, ma mediante gli altri momenti; non è ereditario ma fluido, cioè una determinazione dello Stato assegnata alternativamente a individui politici, secondo l'organismo degli altri mome~ti. In un organismo razionale la testa non può essere di ferro e il corpo di carne. Affinché i. membri si conservino bisogna che siano di eguale origine, che abbiano la stessa carne, lo stesso sangue. Ma il monarca ereditario non è della stessa· natura, è di un'altra stoffa. Alla prosa entwickelt. • realiter genommen.
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della volontà razionalistica degli altri membri dello Stato si contrappone qui la magia della natura. Inoltre, dei membri possono conservarsi reciprocamente solo in quanto l'intero organismo è fluido e ognuno dei membri è abolito in questa fluidità, e nessuno, dunque, è, come qui il capo dello Stato, «immobile ~. «inalterabile ~. Hegel con tale determinazione sopprime dunque la « sovranità nata ~. Secondariamente, l'irresponsabilità. Se il principe viola l'insieme della costituzione, « le leggi », cessa la sua irresponsabilità, perché cessa la sua esistenza costituzionale. Ma precisamente queste leggi, questa costituzione, lo fanno irresponsabile: esse stesse si contraddicono, dunque, e questa sola clausola sopprime la legge e la costituzione. La costituzione della monarchia costituzionale è l'irresponsabilità. Ma se Hegel si contenta di ciò, «che, come questa sfera [ha] la sua realtà separata • dagli altri momenti determinati mediante la ragione, cosi gli altri hanno per sé i diritti e i doveri peculiari • della loro determinazione», egli dovrebbe dichiarare un'organizzazione la costituzione del Medioevo: cosi egli non ha piu che una «massa» di sfere particolari che stanno nel rapporto d'una necessità esteriore; e certamente qui conviene soltanto un monarca in carne e ossa. In uno Stato in cui ogni determinazione esiste per sé, anche la sovranità dello Stato dev'essere assicurata in un particolare individuo.
Résumé dell'esposizione hegeliana del potere del sovrano ossia dell'idea della sovranità dello Stato. Al § 279, a p. 367, è detto:
« La sovranità può esser detta popolare nel senso che un popolo in genere è all'esterno autonomo e costituisce uno Stato vero e proprio, come il popolo della Gran Bretagna; ma il popolo dell'Inghilterra o della Scozia, dell'Irlanda o di Venezia, di_ Genova, di Ceylon etc., non sono piu popoli sovrani, da quando hanno cessato di avere per sé p1·incipi propri.,. o governi supremi ». La sovranità del popolo è dunque qui la nazionalità, la sovranità del principe è la nazionalità, o il principio del principato è la nazionalità che forma di per sé ed esclusivamente la sovranità d'un popolo. Un popolo, di cui la sovranità consiste soltanto nella nazionalità, ha un monarca. Le diverse nazionalità non possono stabilirsi ed esprimersi meglio che mediante diversi monarchi. L'abisso che c'è fra un individuo assoluto e l'altro c'è anche fra queste nazionalità. I Greci (e i Romani) erano nazionali perché e in quanto erano il popo-
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lo sovrano. l Germani sono sovrani perché e in quanto sono nazionali. [ § 279] « Una cosiddetta persona morale » - ci dice ancora la stessa nota - «società, comunità, famiglia, per quanto concreta in sé, ha la personalità soltanto come momento astratto in essa ••; essa, qui, non è pervenuta alla verità della sua esistenza*"'. Ma lo Stato è appunto questa totalità, nella quale i momenti del concetto pervengono alla realtà secondo la loro peculiare • verità». La persona morale, società, famiglia etc., ha in essa soltanto la personalità astratta; al contrario, nel monarca la persona ha in sé lo Stato. In verità solo nella persona morale, società, famiglia etc., la persona astratta ha dato alla sua personalità una vera esistenza. Ma Hegel conce· pisce la società, la famiglia etc., in genere la persona morale, non come l'attuazione della reale, empirica persona, ma come persona reale, che ha tuttavia in essa il momento della personalità astrattamente. Perciò, secondo lui, non la reale persona diventa Stato, ma solo lo Stato diventerà persona reale. Invece, dunque, di essere lo Stato prodotto come la suprema realtà della persona, come la piu alta realtà sociale dell'uomo, un singolo uomo empirico, l'empirica persona, è prodotto come la suprema realtà dello Stato. Questo rovesciamento del soggettivo nell'obbiettivo e dell'obbiettivo nel soggettivo (rovesciamento che proviene da ciò, che Hegel vuoi scrivere la storia dell'astratta sostanza, dell'idea, e che l'umana attività deve dunque apparire come attività e risultato di qualcosa d'altro, e che Hegel vuoi fare agire come un'immaginaria individualità l'essere dell'uomo per sé, invece di ]asciarlo agire nella sua reale, umana esistenza) ha necessariamente il risultato che acriticamente viene assunta un'empirica esistenza come la reale verità dell'idea; ché non si tratta di addurre l'empirica esistenza alla sua verità, ma bensl di addurre la verità ad un'empirica esistenza, onde l'esistenza empirica la piu immediata è dedotta come un reale momento dell'idea. (Su questo inevitabile rovesciarsi 1 dell'empiria in speculazione e della speculazione in empiria di piu in seguito). In questo modo è dunque prodotta l'impressione del mistico e del profondo. È molto banale che l'uomo sia nato e che questa esistenza, posta con la nascita fisica, si sviluppi a uomo sociale etc., fino al cittadino; che l'uomo diventi mediante la sua nascita tutto ciò che diventa. Ma è molto profondo, è frappant che l'idea dello Stato nasca immediatamente, che, con la nascita del principe, nasca essa stessa all'esistenza empirica. Non si guadagna in questo modo alcun contenuto, ma soltanto muta la forma dd vecchio contenuto. Questo ha ricevuto una form.1 filosofica, un certificato filosofico. Altra conseguenza di questa speculazione mistica: che una partico' Umsr:hlagen.
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lare, empmca esistenza, una singola empmca esistenza, a differenza ddle altre, è concepita come esistenza dell'idea. Ancora, fa una profonda impressione mistica il vedere posta dall'idea una particolare, empirica esistenza, e l'incontrare a ogni grado un'incarnazione di Dio. Se, per es., nella spiegazione della famiglia, della società civile, dello Stato etc., questi modi sociali di esistenza dell'uomo sono cons~derati come realizzazione, aggettivazione della sua essenza, allora la famiglia etcetera, appaiono come qualità inerenti a un soggetto: l'uomo resta sempre l'essenza di tutte queste entità, e queste appaiono anche come la sua reale universalità, dunque anche come comunità. Se, al contrario, la famiglia, la società civile, lo Stato etc., sono delle determinazioni dell'idea, della sostanza come Soggetto, occorre che abbiano una realtà empirica, e cosi la massa d'uomini in cui si sviluppa l'idea della società civile costituisce i cittadini, l'altra i cittadini dello Stato. Poiché propriamente si tratta soltanto di una allegoria, di conferire a una qualsiasi esistenza empirica il significato dell'idea realizzata, si comprende come que~ti ricettacoli hanno compiuta la loro destinazione quando sono divenuti un'incorporazione determinata di un momento della vita dell'idea. Quindi l'universale appare ovunque come un che di determinato, di particolare, mentre il singolo non perviene in alcun luogo alla sua vera universalità. Ciò sembra, quindi, con la maggiore profondità e speculatività, necessario quando le determinazioni le piu astratte, quelle che non sono maturate in nessuna vera realizzazione sociale, quali gli elementi naturali dello Stato, la nascita (del principe) o la proprietà privata (nel maggiorasco), appaiono come le idee supreme, immediatamente incarnate. E ben s'intende. Il cammino giusto è stato preso a rovescio. Il piu semplice è divenuto il piu complesso, il piu complesso il piu semplice. Ciò che doveva essere punto di partenza diventa mistico risultato, e ciò che doveva essere razionale risultato diventa mistico punto di partenza. Ma se il principe è l'astratta persona che ha lo Stato in sé, ciò significa, insomma, nient'altro che questo: che l'essenza dello Stato è la persona astratta, la persona privata; che solo nel suo apice esso manifesta il suo segreto; e che il principe è l'unica persona privata in cui si realizza il rapporto della persona privata in genere con lo Stato. L'ereditarietà del principe deriva dal concetto di esso. Il principe dev'essere la persona distinta specificamente da tutto il genere, da tutte le altre persone. Ma qual è l'ultima differenza sicura di una persona da tutte le altre? Il corpo. La funzione piu alta del corpo è l'attività sessuale.-L'atto costituzionale supremo del re è dunque la sua attività sessuale, ché è per questa ch'esso fa un re e perpetua il proprio corpo. Il corpo di suo figlio è la riproduzione del suo proprio corpo, la creazione di un corpo reale.
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h) Il potere del governo § 287. «Dalla decisione* si distinguono l'esecuzione* e l'applicazione* delle decisioni del_sovrano e in genere la pros_ecuzione e il mantenimento del già deciso, delle leggi, delle disposizioni, delle istituzioni esistenti per fini comuni etc. Questo compito della sussunzione in generale comprende in sé il potere governativo, in cui sono parimenti compresi il potere giudiziario e quello di polizia, che, piu direttamente, hanno rapporto con la particolarità della società civile e fanno valere in questi fini l'interesse generale~. La consueta spiegazione del potere governativo. Ciò che soltanto può essere indicato come peculiare a Hegel è che egli coordina il potere governativo, il potere di polizia e il potere giudiziario, mentre di solito il potere amministrativo e il potere giudiziario sono trattati come poteri opposti. § 288. « I comuni interessi particolari, che rientrano nella società civile, e che restano fuori dell'universale in sé e per sé dello Stato** (§ 256), hanno la loro amministrazione nelle corporazioni* (§ 251) delle comunità e degli altri mestieri e stati e nei loro magistrati, soprastanti, amministratori etc. In quanto questi affari, di cui essi hanno cura, sono, da una parte, proprietà privata e interesse di queste sfere particolari, e da questo lato l'autorità di costoro dipende dalla fiducia dei loro eguali di stato e dei cittadini, e, d'altra parte, queste sfere debbono esser subordinate ai piu alti interessi dello Stato, si avrà, per il conferimento di questi uffici in genere, una mescolanza di comune scelta di questi aventi interesse e di una superiore ratifica e decisione~.
Semplice descrizione della situazione empirica di alcuni paesi. § 289. «Il mantener fermo l'interesse generale dello Stato e la legalità in questi diritti particolari, e il ricondurre i medesimi a quello, esige una cura da parte dei delegati* del potere governativo, dei funzionari statali esecutivi* e delle superiori autorità consulenti in quanto costituite collegialmente, che convergono nei culmini supremi che toccano il monarca~.
Hegel non ha sviluppato il potere governativo. Ma, anche supposto che l'abbia fatto, non ha dimostrato che esso potere sia qualcosa di piu di una funzione, di una determinazione del cittadino in genere; e come
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un potere particolare, separato, lo ha dedotto soltanto da ciò: ch'egli considera i « particolari interessi della società civile » rome tali interessi che « restano fuori dell'universale in sé e per sé dello Stato ».
«Come la società civile è il campo di battaglia dell'interesse privato individuale di tutti contro tutti, cosi qui ha la sua sede il conflitto del medesimo con i comuni affari particolari, e di questi insieme a quello** contro i piu alti punti di vista e ordinamenti dello Stato. Lo spirito corporativo, che si genera nel diritto delle sfere particolari, si converte in se stesso, ad un tempo, nello spirito dello Stato, giacché esso ha nello Stato il mezzo di conservazione dei fini particolari. Questo è il segreto del patriottismo dei cittadini da questo lato, che cioè essi conoscono lo Stato come loro sostanza, perché* conserva le loro sfere particolari, il loro diritto e la loro autorità, come il loro benessere. Nello spirito corporativo, poiché esso contiene immediatamente il radicarsi del particolare nell'universale, è pertanto la profondità e la forza che lo Stato ha nel sentimento». Ciò è notevole: r) per la definizione della società civile come bellum omnium contra omnes; 2) perché l'egoismo privato è svelato come il «segreto del patriottismo dei cittadini ** » e come la « profondità e la forza dello Stato nel sentimento »; 3) perché il « cittadino » ', l'uomo dell'interesse particolare in opposizione all'universale, il membro della società civile, è considerato come « individuo -fisso », mentre lo Stato si oppone egualmente in degli « individui fissi» ai <
> dei Manoscritti e le altre formule equivalenti viste sopra.
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diatamente confuso con l'empirica esistenza, e il limitato è immantinente preso, in guisa acritica, per la espressione dell'idea. Con se stesso Hegel si trova in contraddizione solo in quanto non considera l'« uomo di famiglia» a pari titolo del cittadino come una razza fissa, esclusa dalle restanti qualità. § 290. «Nel compito del governo** si trova parimente la divisione del lavoro [ ... ] . L'organizzazione delle autorità ha pertanto il compito, formale ma difficile, che la vita civile sia governata concretamente dal basso, dove la medesima è concreta, ma che questo compito sia diviso nelle sue diramazioni astratte, le quali sono trattate dalle autorità peculiari come distinti centri, la cui attività tesa al basso converga di nuovo, come nel supremo potere governativo, in un con._.eto sguardo d'assieme».
Da considerarsi piu tardi l'Aggiunta relativa. § 291. <
Staate.
• siande.
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parimente dalla natura della cosa; e come l'attività delle autorità è il compimento d'un dovere, cosi il loro compito è anche un diritto tolto all'accidentalità». Da tener presente soltanto il «lato oggettivo della sovranità tmma-
nente * al monarca ».
§ 294. «L'individuo che, mediante l'atto sovrano (§ 292), è legato a una carica ufficiale, è destinato al compimento del suo dovere, alla sostanzialità del suo rapporto, in quanto condizione di questo legame, in cui, come conseguenza di questo rapporto sostanziale, trova il potere e la soddisfazione garantita della sua particolarità (§ 264) e la liberazione della sua situazione esterna e della sua attività ufficiale da alira dipendenza e influenza soggettiva». « Il servizio pubblico», è detto nella nota, «esige il sacrificio della soddisfazione autonoma e discrezionale dei fini soggettivi, e dà appunto perciò il diritto di trovar soddisfazione nella prestazione conforme al dovere, ma in essa soltanto. Qui si trova, da questo lato, il legame. dell'interesse generale e del particolare, che costituisce il concetto e la stabilità interna dello Stato (§ 26o) ». « Mediante la soddisfazione assicurata del bisogno particolare è soppressa la necessità esterna, che può far cercare i mezzi occorrenti a spese dell'esercizio dell'ufficio e del dovere. Nel potere generale dello Stato gli incaricati dei suoi compiti trovano difesa contro l'altro lato soggettivo, contro le passioni private dei governanti, di cui l'interesse privato, etc., è offeso col far valere all'incontro l'universale». § 295· «La garanzia dello Stato e dei governati contro l'abuso di potere delle autorità, e dei loro ufficiali, sta, da un lato, immediatamente nella gerarchia e nella responsabilità di costoro, e dall'altro, nel diritto delle comunità e delle corporazioni, come quello per il cui mezzo è per sé ostacolata l'ingerenza dell'arbitrio soggettivo nel potere affidato ai funzionari, e si supplisce dal basso all'insufficiente controllo dall'alto sul contegno individuale». § 296. «Ma che l'equanimità, la legalità e la benignità del contegno diventino costume, ciò dipende, in parte, dalla diretta educazione etica e di pensiero, che fa da contrappeso spirituale a ciò che l'apprendimento delle cosiddette scienze delle materie di queste sfere, il richiesto esercizio dell'ufficio, l'effettivo lavoro etc., hanno in sé di meccanico etc.; e d'altra parte la grandezza dello Stato è un momento principale, per cui tanto vengono indeboliti il peso dei legami
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familiari e di altri privati legami, quanto, anche, diventano piu im~ potenti e quindi piu smussati la vendetta, l'odio e altrettali passioni. Nell'occupazione dei grandi interessi esistenti nel grande Stato scom~ paiono per sé questi lati soggettivi, e si produce l'abitudine degli in~ teressi, delle vedute e degli affari generali ~.
§ 297. « I membri del governo e i funzionari dello Stato costi~ tuiscono la parte principale dello stato medio nel quale travasi l'in~ telligenza educata e la coscienza giuridica della massa d'un popolo. Che essa non assuma la posizione isolata di un'aristocrazia, e che la cultura e la capacità non diventino mezzo di arbitrio e di domina~ zione, ciò è assicurato dalle istituzioni della sovranità**, dall'alto, e dai diritti delle corporazioni**, dal basso~. Aggiunta: «Nello stato medio, a cui appartengono i funzionari statali, ri~ siedono la coscienza dello Stato e la cultura la piu eminente. Perciò esso è anche la colonna basilare dello Stato in rapporto alla rettitudine e all'intelligenza ». << Che questo stato medio si formi è interesse principale dello Stato; ma ciò può avvenire solo in un'organizzazione come quella che abbiamo vista, cioè mediante l'autorizzazione di sfere particolari, relativamente indipendenti, e mediante un mondo di funzionari** il cui arbitrio s'infrange contro tali sfere autorizzate. L'agire secondo un diritto universale e l'abito di agire cos1 sono urta conseguenza dell'antitesi costituita dalle sfere per sé indipendenti:.. Ciò che Hegel dice del << potere governativo » non merita il nome di spiegazione filosofica. La maggior parte dei paragrafi potrebbero stare, parola per parola, nel codice civile prussiano; e tuttavia l'amministrazione propriamente detta è il punto piu difficile da spiegarsi. Poiché Hegel ha già rivendicato alla sfera della società civile i! p~ tere di << poli:tia » e il potere «giudiziario », il potere governativo non è nient'altro che l'amministrazione, ch'egli sviluppa come burocrazia. La burocrazia ha come primo presupposto l'« autogoverno» della s~ cietà civile in <
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individui devono dar prova della loro capacità negli affari governatm, cioè passare degli esami. . È al potere del sovrano che spetta di scegliere, per le pubbliche funzioni, degli individui determinati. La divisione di questi affari è « data dalla natura della cosa >. La funzione pubblica è il dovere, la vocazione dei funzionari. Essi devono perciò essere stipendiati dallo Stato. Garanzia contro gli abusi della burocrazia sono, in parte, la gerarchia e la responsabilità dei funzionari stessi, in parte i diritti della comunità, delle corporazioni. L'umanità dei funzionari dipende in parte dalla loro « diretta educazione morale e intellettuale>, in parte dalla «grandezza dello Stato>. I funzionari costituiscono la c·parte principale dello stato medio >. A protezione contro la classe media, «aristocrazia e casta dominante >, ci sono, da una parte, le « istituzioni della sovranità, dall'alto> e dall'altra «quelle dei diritti delle corporazioni, dal basso>. Lo «stato medio> è la classe della «cultura>. Voilà tout. Hegel ci dà una descrizione empirica della burocrazia; in parte, di come essa è realmente, in parte secondo l'opinione che essa stessa ha del proprio essere. E con ciò è sbrigato il difficile capitolo del « potere governativo>. . Hegel parte dalla separazione dello « Stato > e della società « civile >, dei «particolari interessi > e dell'« universale che è in sé e per sé>, e senza dubbio fonda la burocrazia su questa separazione. Hegel parte dal « presupposto delle corporazioni >, e certamente la burocrazia presuppone le corporazioni, perlomeno lo « spirito di corporazione >. Hegel non sviluppa alcun contenuto della burocrazia, ma solo qualche determinazione generale della sua organizzazione «formale> e veramente la burocrazia è soltanto il « formalismo > di un contenuto che è fuori di essa. Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia, e la burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni. La corporazione è la burocrazia della società civile; la burocrazia è la corporazione dello Stato. In realtà la burocrazia si contrappone perciò come « società civile dello Stato » allo « Stato della società civile », alle corporazioni. Là dove la «burocrazia > è un nuovo principio, dove l'interesse generale dello Stato comincia a diventare un interesse « a parte » e però un interesse « reale >, essa lotta contro le corporazioni come ogni conseguenza lotta contro l'esistenza dei suo presupposti. Al contrario, tostoché la vita reale dello Stato si sveglia e la società civile, mossa da proprio istinto razionale, si libera dalle corporazioni, la burocrazia cerca di restaurarle; ché appena cade lo « Stato della società civile>, cade la «società civile dello Stato>. Lo spiritualismo scompare assieme al materialismo, suo contrapposto. La conseguenza lotta per l'esistenza dei suoi presupposti, tostoché un nuovo principio lotta non contro tale esistenza, ma contro il principio di essa esistenza. Il medesimo spirito che crea, nella società, la corporazione, crea, nello Stato, la burocrazia. Dunque, tostoché è attaccato lo spirito di corporazione, è attaccato
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lo spirito burocratico, e se prima la burocrazia ha combattuto l'esistenza delle corporazioni, per far posto alla propria esistenza, ora essa cerca di mantenere a viva forza l'esistenza delle corporazioni per salvare lo spirito corporativo, il suo spirito. La «burocrazia ~ è il «formalismo di Stato ~ della società civile. Essa è la «coscienza dello Stato :., la « volontà dello Stato », la « forza dello Stato » in. qu-anto è una corporazione (!' « interesse generale :., di fronte all'inr_:·esse particolare, può contenersi soltanto come un « particolare », sino a che il particolare di fronte al generale si contiene come un «generale»: la burocrazia è dunque forzata a proteggere l'immaginaria generalità dell'interesse particolare, lo spirito di corporazione, per proteggere l'immaginaria particolarità dell'interesse generale, suo proprio spirito: lo Stato deve essere corporazione, sino a che la corporazione vuoi essere Stato), dunque una società particolare, chiusa, nello Stato. Ma la burocrazia vuole che la corporazione sia una potenza immaginaria. Certa· mente anche ogni corporazione ha, per il suo particolare interesse, questa volontà contro la burocrazia, ma essa vuole la burocrazia contro l'altra corporazione, contro l'altro interesse particolare. La burocrazia, in quanto corporazione perfetta, ha dunque la vittoria sulla corporazione, burocrazia imperfetta. Essa abbassa questa o vuole abbassarla fino ad un'apparenza, ma vuole che questa apparenza esista e creda alla propria esistenza. La corporazione è il tentativo della società civile di diventare Stato, la burocrazia è dunque Io Stato che si è realmente fatto società civile. Il « formalismo di Stato », ch'è la burocrazia, è Io « Stato come formalismo », e Hegel l'ha descritta come un tale formalismo. In quanto questo « formalismo di Stato :. si costituisce in potenza reale e diventa esso stesso il suo proprio contenuto mataiale, s'intende da sé che la « burocrazia » è un tessuto di illusioni pratiche ossia l'« illusione dello Stato ». Lo spirito burocratico è fin nel midollo uno spirito gesuitico, teologico. I burocrati sono i gesuiti di Stato, i teologi di Stato. La burocrazia è la république pretre. Poiché la burocrazia è, secondo la sua essenza, lo « Stato come formalismo », essa lo è anche secondo il suo scopo. Il reale scopo dello Stato appare dunque alla burocrazia come uno scopo contro lo Stato. Lo spirito della burocrazia è lo « spirito formale dello Stato ». Essa fa, dunque, dello « spirito formale dello Stato », o reale aspiritualità dello Stato, un imperativo categorico. La burocrazia si pretende ultimo scopo dello Stato. Poiché la burocrazia fa dei suoi scopi « formali » il suo contenuto, essa viene ovunque a conflitto con gli scopi «reali». Essa è dunque costretta a spacciare il formale per il contenuto e il contenuto per il formale. Gli scopi dello Stato si mutano in scopi burocratici, o gli scopi burocratici in scopi statali. La burocrazia è un circolo da cui nessuno può saltar fuori. La sua gerarchia è una gerarchia del sapere. La testa affida alle
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sfere inferiori l'esame del particolare, le sfere inferiori affidano a quella l'esame del generale, e cosi si illudono reciprocamente. La burocrazia è lo Stato immaginario accanto allo Stato reale, lo spiritualismo dello Stato. Ogni cosa ha dunque un doppio significato, uno reale e uno burocratico, parimenti il sapere è doppio, un sapere reale e uno burocratico (cosi anche il volere). Ma l'essere reale è trattato secondo la sua essenza burocratica, secondo la sua essenza trascendente 1 , spirituale. La burocrazia detiene l'essenza dello Stato, l'essenza spirituale della società, questa è la sua proprietà privata. Lo spirito generale della burocrazia è il segreto, il mistero, custodito entro di essa dalla gerarchia, e all'esterno in quanto essa è corporazione chiusa. Il palesarsi dello spirito dello Stato, e l'opinione pubblica, appaiono quindi alla burocrazia come un tradimento del suo mistero. L'autorità è perciò il principio della sua scienza e l'idolatria dell'autorità è il suo sentimento. Ma all'interno della burocrazia lo spiritualismo diventa un crasso materialismo, il materialismo dell'ubbidienza passiva, della fede nell'autorità, del meccanismo di un'attività formale fissa, di principi, di idee, di tradizioni fisse. In quanto al burocrate preso singolarmente, lo scopo dello Stato __diventa il suo scopo privato, una caccia ai posti piu alti, un far carriera. in primo luogo egli considera la vita reale come materiale, ché lo spirito di questa vita ha la sua separata esistenza nella burocrazia. Questa deve dunque pervenire a render la vita quanto è possibile materiale. In secondo luogo, la vita è per lui, cioè in quanto essa diventa oggetto dell'attività burocratica, vita materiale, chè il suo spirito gli è imposto, il suo scopo è fuori di lui, la sua esistenza è l'esistenza del bureau. Lo Stato esiste ormai solo come vari immobili spiriti burocratici, il cui rapporto è subordinazione e passiva obbedienza. La scienza reale appare senza contenuto, come la vita reale appare morta, ché questa scienza immaginaria e questa vita immaginaria valgono come l'essenziale. Il burocrate deve quindi comportarsi da gesuita con lo Stato reale, sia questo gesuitismo consapevole o inconsapevole. Ma necessariamente accade che, essendo esso in opposizione alla scienza, esso perviene altresi alla coscienza di sè e diventa ormai gesuitismo intenzionale. Mentre, da una parte, la burocrazia è questo crasso materialismo, il suo crasso spiritualismo si palesa in questo, che essa vuoi fare tutto, cioè fa della volontà la causa prima: poiché essa è m~ra esistenza attiva e riceve il suo contenuto dall'esterno, può dimostrare la propria esistenza soltanto col formare e limitare questo contenuto. Il burocrate ha nel mondo meramente un oggetto da trattare. Quando Hegel dichiara il potere governativo come il lato oggettivodella sovranità inerente al monarca, ciò è esatto nel senso medesimo in 1
ienseitigen.
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cui la Chiesa è stata la presenza reale della sovranità, del contenuto e dello spirito della santa Trinità. Nella burocrazia l'identità dell'interesse statale e del privato scopo particolare è posta in modo che l'interesse statale diventa un particolare scopo privato di fronte agli altri scopi privati. Il superamento della burocrazia è possibile solo a patto che l'interesse generale diventi realmente, e non come in Hegel meramente nel pensiero, nell'astrazione, interesse particolare, il che è possibile soltanto se il particolare interesse diventa realmente l'interesse generale. Hegel parte da un'opposizione irreale e ne fa soltanto un'identitl immaginaria, essa medesima per verità contraddittoria. Una siffatta identità è la burocrazia. Seguiamo ora il suo sviluppo nei dettagli. L'unica determinazione filosofica che Hegel dà del potere governativo è quella della « sussunzione » del singolare e particolare nell'universale etc. Hegel se ne appaga. Da una parte la categoria « sussunzione » del particolare etc. che dev'essere realizzata. Ora egli assume uno qualunque dei dati empirici dello Stato prussiano o moderno, cosi com'esso è all'ingrosso, e che fra altre attua anche questa categoria, sebbene con questa medesima non venga espresso l'essere specifico di esso dato. La matematica applicata è anche sussunzione etc. Hegel non si chiede se questo sia un modo razionale, adeguato di sussunzione. Egli tien fermo alia sola categoria e si contenta di trovarle un'esistenza corrispondente. Hegel dà alla sua logica un corpo politico: non dà la logica del corpo politico (§ 287).
Sul rapporto delle corporazioni e comunità col governo veniamo a sapere anzitutto che l'amministrazione di esse (la nomina della loro magistratura) esige in genere una mescolanza di elezione ordinaria di questi interessati e di superiore approvazione e investitura. L'elezione mista degli amministratori delle comunità e corporazioni sarebbe, dunque, il primo rapporto fra la società civile e lo Stato o potere governativo, la loro identità prima (§ 288). Questa identità è, secondo lo stesso Hegel, molto superficiale, un mixtum compositum, una «mescolanza:.. Questa identità è tanto superficiale quanto è acuta l'opposizione. «In quanto questi affari» (cioè della corporazione, della comunità etc.) «sono, da una parte, proprietà privata e interesse di queste sfere particolari, e da questo lato l'autorità di costoro [gli amministratori] dipende dalla fiducia dei loro eguali di stato e dei Cittadini, e, d'altra parte, queste sfere debbono esser subordinate ai piu alti interessi dello Stato ,... », si ha la notata « elezione mista ». L'amministrazione della corporazione contiene dunque l'opposizione: proprietà privata e interesse delle sfere particolari contro il superiore interesse dello Stato: opposizione fra proprietà privata e Stato.
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Non c'è bisogno di rilevare che la soluzione di questa opposizione mediante l'elezione mista è un mero accomodamento, è una transazione, una confessione dell'irresoluto dualismo, è essa stessa un dualismo, è « mescolanza ~. I particolari interessi della corporazione e della comunità hanno nella loro propria sfera un dualismo, che costituisce altresl il carat~re della loro amministrazione. Ma l'opposizione decisa si manifesta solo nel rapporto fra questi «interessi particolari comuni » etc., che « stanno fuori dell'universale in e per sé dello Stato», e questo «universale, ch'è in sé e per sé, dello Stato». Anzitutto, ancora una volta, entro questa sfera. « Il mantener fermo l'interesse generale dello Stato e la legalità in questi diritti particolari, e il ricondurre i medesimi a quello, esige una cura • da parte dei delegati • del potere governativo*"", dei funzionari statali esecutivi • e delle superiori autorità •• consulenti in quanto costituite collegialmente •, che convergono nei culmini supremi che toccano il monarca» (§ 289). Segnaliamo di passata la costruzione dei consigli governativi, che ad es. in Francia non si conoscono. «In quanto » Hegel menziona queste autorità come «consulenti », « pertanto » s'intende certamente da sé che esse sono «collegialmente costituite». Hegel fa intervenire lo « Stato stesso », il « potere governativo », a «gestire » l' « interesse generale dello Stato e della legalità etc. », mediante «delegati», nel seno della società civile, e secondo lui questi «delegati governativi », i « funzionari statali esecutivi », sono la vera « rappresentanza politica» non «della», ma «contro» la «società civile». L'opposizione di Stato e società civile è dunque fissata, lo Stato non risiede nella, ma fuori della società civile, esso la tocca soltanto coi suoi « delegati », cui è affidata la «gestione dello Stato » entro queste sfere. Mediante questi «delegati » l'opposizione non è soppressa, ma è divenuta opposizione « legale », « fissa ». Lo « Stato » è fatto valere, in quanto estraneo e trascendente l'essere della società civile, dai deputati di questo essere contro la società civile. La « polizia ~ e i « tribunali » e l'« amministrazione » non sono deputati della stessa società civile, che in essi e per essi amministra il suo proprio generale interesse, bens! delegati dello Stato per amministrare lo Stato contro la società civile. Hegel spiega questa opposi· zione ulteriormente nella candida osservazione considerata piu sopra: « Gli affari governativi sono di natura oggettiva, per sé già decisa » (§" 291). Conclude Hegel da ciò che essi tanto meno richiedono una « gerarchia del sapere », che essi posson essere trattati completamente dalla « società civile stessa »? Al contrario. Egli fa la profonda osservazione: ch'essi debbono essere sbrigati da « individui :. e che fra « essi e questi individui non c'è alcun immediato
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legame naturale ». Allusione al potere del sovrano, che non è altro che il «potere naturale dell'arbitrio:. e che dunque può essere «partorito:.. Il « potere del sovrano » non è nient'altro che il rappres('ntante del momento naturale nella volontà, del « dominio della natura fisica nello Stato:.. I « funzionari es.:cutivi dello Stato » si distinguono, dunque, essenzialmente dal «principe» nell'acquisizione delle loro cariche. «Per la loro destinazione ai medesimi (ossia agli affari di Stato) • il momento oggettivo è la conoscenza (l'arbitrio soggettivo manca di questo momento) • e la dimostrazione della loro attitudine, - dimostrazione che assicura allo 'Stato ciò che abbisogna, e in quanto unica condizione assicura, a un tempo, a ogni cittadino u la possibilità • di dedicarsi allo stato generale • ». Questa possibilità di ogni cittadino, di diventare funzionario statale, è dunque il secondo rapporto affermativo fra società civile e Stato, la seconda identità. Essa è di natura molto superficiale e dualistica. Ogni cattolico ha la possibilità di diventar prete (cioè di separarsi dai laici e dal mondo): per questo il clero si oppone meno, come potenza esterna, al cattolico? Che ognuno abbia la possibilità di acquisire il diritto di un'altra sfera prova soltanto che la sua propria sfera non è la realtà di questo diritto. Nel vero Stato non si tratta della possibilità di ogni cittadino di dedicarsi alla classe generale come a uno stato particolare, ma della capacità della classe generale di esser lo stato realmente generale, cioè lo stato di ogni cittadino. Ma Hegel parte dal presupposto dello pseudo-generale, dello stato generale illusorio, della generalità particolare di stato. L'identità, da lui costruita, di società civile e Stato è l'identità di due armate nemiche, in cui ogni soldato ha la « possibilità » di diventare, per «diserzione», membro dell'armata «nemica», e certamente Hegel descrive con esattezza la situazione empirica odierna. Lo stesso accade con la sua costruzione degli « esami ». In uno Stato razionale conviene piuttosto far l'esame per diventare calzolaio che funzionario esecutivo dello Stato; se non che l'arte del calzolaio è un'arte senza la quale si può essere un buon cittadino, un uomo sociale, ma la necessaria « scienza amministrativa » è una condizione senza la quale si vive, nello Stato, fuori dello Stato, staccati da sé, dall'aria che si respirai L'« esame » non è che una formalità massonica, il riconoscimento legale della scienza civica come privilegio. Il « legame » dell'« ufficio pubblico» e dell'« individuo », questo oggettivo legame fra la scienza della società civile e la scienza dello Stato, I'eJame, non è che il battesimo burocratico della scienza, il riconoscimento ufficiale della transustanziazione della scienza profana nella scienza sacra (e si intende da sé che in ogni esame l'esaminatore sa tutto). Non si sente
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mai dire che gli uomini di Stato greci o romani abbiano passato degli esami. Ma certo, che cosa è un uomo di Stato romano confrontato a un uomo di governo prussiano! Accanto al legame oggettivo dell'individuo con l'ufficio statale, accanto all'esame, c'è un altro legame: il sovrano beneplacito [ § 292 ]. «Il lato soggettivo, per cui questo individuo tra molti, dei quali, poiché qui l'oggettività non si trova (come per es. nell'arte) nella genialità, si hanno necessariamente parecchi indeterminatamente, fra cui la preferenza non è assolutamente determinabile, è scelto e nominato a un ufficio ed è delegato alla gestione dei pubblici negozi: questa congiunzione dell'individuo e dell'ufficio come due lati per sé l'uno verso l'altro sempre accidentale, spetta al potere del principe, in quanto potere statuale decidente e sovrano ». Il principe è ovunque il rappresentante del caso. Al momento oggettivo del credo burocratico (l'esame) si aggiunge il momento soggettivo della grazia del principe, affinché la fede rechi frutti. «Gli affari pubblici particolari che la monarchia* affida alle autorità» (la monarchia ripartisce, affida alle autorità, come altrettanti affari, le particolari attività statali, spartisce lo Stato fra i burocrati, conferisce ciò come la sant:1 romana Chiesa gli ordini; la monarchia è un sistema di emanazione, la monarchia dà in appalto le funzioni statali) «costituiscono una parte del lato oggettivo della sovranità immanente al monarca». Hegel distingue qui per la prima volta il lato oggettivo della sovranità immanente al sovrano dal lato soggettivo. Prima li ha confusi. La sovranità immanente al monarca è qui assunta in un modo formalmente mis~ico, cosi come i teologi trovano il Dio personale nella natura. [Prima] è stato detto anche che il monarca è il lato soggettivo della sovranità immanente allo Stato (§ 293). Al § 294 Hegel deduce 1 dall'idea il trattamento economico dei funzionari. Qui, in questo trattamento dei funzionari, o nel fatto che il servizio di Stato garantisce a un tempo la sicurezza dell'esistenza empirica, è posta la reale identità di società civile e Stato. Lo stipendio del funzionario è la suprema identità elaborata da Hegel. È la trasmntazione delle attività statali in impieghi, sul presupposto della separazione dello Stato .dalla società. Quando Hegel dice: «Il servizio pubblico esige il sacrificio della soddisfazione autonoma e discrezionale dei fini soggettivi », e in {)gni servizio lo esige - « e dà appunto perciò il diritto di trovar soddisfazione nella prestazione conforme al dovere, ma in essa soltanto » e «qui si trova, da questo lato, il legame dell'interesse generale e del particolare, che costituisce il concetto e !a stabilità interna dello Stato»: r) ciò vale per ogni servitore; 2) è esatto che il trattamento dei funzionari costituisce 1a stabilità interna e profonda delle moderne monarchie; e che solo l'esi1
entwickelt.
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stenza dei funzionari è garantita, a differenza del membro della societ~ civile. Ora, non può sfuggire a Hegel che egli ha costruito il potere governativo come un opposto della società civile, e invero come un estremo dominante. Come stabilisce ora un rapporto di identità? Secondo il § 295 « la garanzia dello Stato e dei governati contro l'abuso • di potere delle autorità, e dei loro ufficiali » sta, in parte, « nella loro gerarchia» (come se la gerarchia non fosse l'abuso capitale e come se quel paio di peccati personali dei funzionari potessero paragonarsi coi necessari peccati gerarchici; e la gerarchia punisce il funzionario in quanto esso pecca contro la gerarchia o commette un peccato veniale per essa, ma lo prende sotto la sua protezione appena è la gerarchia che pecca in lui, e di piu la gerarchia si persuade difficilmente dei peccati dei suoi membri) e [in parte] «nel diritto delle comunità e delle corporazioni, come quello per il cui mezzo è per sé ostacolata l'ingerenza dell'arbitrio soggettivo nel potere affidato ai funzionari, e all'insufficiente controllo sul contegno individuale» (come se questo controllo non accadesse dal punto di vista della burocrazia-gerarchia), «al controllo dall'alto, si supplisce dal basso>. La seconda garanzia contro l'arbitrio della burocrazia sono cosf i privilegi delle corporazioni. Se, dunque, domandiamo a Hegel che cosa sia la· protezione della società civile contro la burocrazia, egli risponde cosf: r. La·« gerarchia:. della burocrazia. Il controllo. Cioè che l'avversario stesso ha mani e piedi legati, e che se è martello verso il basso, è incudine verso l'alto. Ora, dov'è la protezione contro la «gerarchia:.? Certamente il male minore è soppresso da quello maggiore, in quanto sparisce davanti a questo. 2. Il conflitto, l'irrisolto conflitto fra burocrazia e corporazione. La lotta, la possibilità della lotta, è la garanzia contro la disfatta. Poi (§ 297) Hegel aggiunge come garanzie le c istituzioni della sovranità dall'alto :., sotto cui si intende, di nuovo, la gerarchia. Ma Hegel aggiunge ancora due momenti (§ 296). Nel funzionario stesso - e ciò deve umanizzarlo, e far diventare « costume » l'« equanimità, la legalità e la benignità del contegno » - la « diretta educazione etica e di pensiero :. ha da fare da « contrappeso spirituale » al meccanismo della sua scienza e del suo «effettivo lavoro ». Come se il <<meccanismo » della sua scienza «burocratica :. e del suo « effettivo lavoro » non facesse da « contrappeso» alla sua «educazione etica e di pensiero »l E la sua reale mentalità e il suo effettivo lavoro non trionferanno, in quanto sostanza, sull'accidentale delle sue altre capacità? Il suo ufficio è si il suo « sostanziale » rapporto e il suo « pane ». Il bello è che Hegel contrappone la « diretta educazione etica e di pensiero :. al
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c meccanismo della scienza e del lavoro burocratici:.! L'uomo, nel funzionario, deve salvare il funzionario da se stesso. Quale unità! Equilibrio spirituale. Che categoria dualistica! Hegel cita anche la « grandezza dello Stato> che, in Russia, non garantisce contro l'arbitrio dei « funzionari esecutivi dello Stato », e in ogni caso è uno stato di cose ch'è «fuori :. della « essenza » della burocrazia. Hegel ha sviluppato il «potere governativo» come lo «stato dei servitori dello Stato :.. Qui, nella sfera dell'« universale in sé e per sé dello Stato stesso», non troviamo che dei conflitti irrisolti. L'esame e il pane dei funzionari sono le sintesi ultime. Hegel allega l'impotenza della burocrazia, il suo conflitto con la corporazione, come consacrazione ultima della burocrazia. Al § 297 è posta un'identità, nel senso che « i membri del governo e i funzionari dello Stato » costituiscono « la parte principale dello stato medio ». Hegel esalta questo « stato medio » come « colonna fondamentale » dello Stato « in rapporto alla rettitudine e all'intelligenza >. (Aggiunta al § citato). «Che questo stato medio si formi è interesse principale dello Stato; ma ciò può avvenire solo in un'organizzazione come quella che abbiamo vista, cioè mediante l'autorizzazione di sfere particolari, relativamente indipendenti, e mediante un mondo di funzionari n, il cui arbitrio s'infrange contro tali sfere aventi dei diritti :.. Certamente solo in una cosiffatta organizzazione il popolo può apparire come una classe, come la classe media, ma è una organizzazione quella che funziona mediante l'equilibrio dei privilegi? Il potere governativo è il piu difficile da sviluppare. Esso appartiene all'intero popolo in grado molto piu alto che non il potere legislativo. Hegel esprime poi (§ 308, nota) lo spirito vero della burocrazia, quando lo caratterizza come « routine amministrativa > e «orizzonte di una sfera limitata :..
c) Il potere legislativo § 298. « Il potere legislativo concerne le leggi come tali, in quanto esse abbisognano di ulteriore continua determinazione, e gli affari interni* che secondo il loro contenuto sono del tutto generali** (espressione molto generale!)*. Questo potere è anche una parte della costituzione** che gli è presupposta e che pertanto, in sé e per sé, s1 trova fuori della diretta determinazione di esso, ma che consegue il suo ulteriore svilupp_o nel continuo progresso delle leggi e nel carattere progressivo degli affari generali del governo:.. 66
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Anzitutto, sorprende che Hegel metta in rilievo che «questo potere »
è «anche una parte della costituzione che gli è presupposta e si trova, in sé e per sé, fuori della diretta determinazione di esso », perché Hegel non ha fatto questa osservazione né circa il potere sovrano né circa il potere governativo, per i quali è altrettanto vera. Ma poi Hegel costruisce innanzi tutto l'assieme della costituzione e non può dunque presupporlo; e tuttavia riconosciamo in lui della profondità, in questo suo cominciare ovunque con l'opposizione delle determinazioni (proprie dei nostri Stati) e porvi l'accento. Il « potere legislativo è anche una parte della costitu.zione • » che « si trova, in sé e per sé, fuori della diretta determinazione di esso ». Ma la costituzione non si è tuttavia fatta da sé. Le leggi, che « abbisognano di ulteriore continua determinazione », debbono pertanto essere state fatte. Occorre che ci sia o ci sia stato un potere legislativo prima della costituzione e fuori della costituzione. Occorre che ci sia un potere legislativo fuori del potere legislativo reale, empirico, dato. Ma, risponderà Hegel, presupponiamo uno Stato esistente? Solo che Hegel è filosofo speculativo del diritto e sviluppa la specie Stato: egli non può commisurare l'idea all'esistente, ma deve commisurare l'esistente all'idea. La collisione è semplice. Il potere legislativo è il potere di organizzare l'universale. Esso è il potere della costituzione. Esso oltrepassa la costituZIOne. Ma, d'altra parte, il potere legislativo è un potere costituzionale. t dunque compreso nella costituzione. La costituzione è legge per il potere legislativo. Essa ha dato delle leggi al potere legislativo e gliene dà continuamente. n potere legislativo è potere legislativo soltanto nella costituzione, e la costituzione sarebbe hors de loi se fosse fuori del potere legislativo. Voilà la collisioni Nella recentissima storia di Francia si sono rosicchiate parecchie cose'. Come risolve Hegel questa antinomia? Si comincia col dire: la costituzione è «presupposta» al potere legislativo; essa si trova «pertanto • in sé e per sé fuori • della sua • diretta determinazione ». «Ma» - ma essa «consegue il suo ulteriore sviluppo nel continuo progresso delle leggi e nel carattere progressivo degli affari generali del governo». Ciò significa, dunque: che direttamente la costituzione si trova fuori del dominio del potere legislativo, ma indirettamente il 'potere legislativo 1 Allusione generica al periodo da Luigi XVIII a Luigi Filippo: mentre dice M. altrove - c sotto Luigi XVIII la Costituzione è per grazia del re... sotto Luigi Filippo il re è per grazia della Costituzione ». E per la questione specifica della collisione eventuale fra potere legislativo e carta costituzionale, vedi avanti la nota sulla distinzione di assemblea costituita e assemblea costituente in Francia.
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modifica la costituzione. Esso fa per via obliqua ciò che non deve e non può fare per via diretta. La lacera en détail, non potendola mutare en gros. Fa secondo la natura delle cose e dei rapporti ciò che non doveva fare secondo la natura della costituzione. Fa materialmente, di fatto, ciè che non fa formalmente, legalmente, costituzionalmente. Ma con ciò Hegel non ha tolto l'antinomia, l'ha trasformata in un'altra antinomia, ha posto in contraddizione l'attività del potere legislativo, la sua azione costituzionale, con la sua destinazione costituzionale. Sussiste l'opposizione fra la costituzione e il potere legislativo. Hegel ha definito l'attività di fatto e l'attività legale del potere legislativo come contraddizione, o anche la contraddizione fra ciò che il potere legislativo deve essere e ciò ch'esso è realmente, fra ciò ch'esso crede di fare e ciò ch'esso fa realmente. Come può Hegel esibire que&ta contraddizione come il vero? Il «carattere progressivo degli affari generali del governo» è tanto poco esplicativo quanto appunto è questo carattere progressivo che dev'essere spiegato. Nell'Aggiunta, a dir vero, Hegel non apporta nulla alla soluzione delle difficoltà. Ma le fa risaltare ancora piu chiaramente. «La costituzione dev'essere in sé e per sé il terreno stabile e valido, sul quale sta il potere legislativo, e però non dev'essere soltanto bell'e fatta. La costituzione è dunque, ma, del pari, essenzialmente diviene, cioè progredisce nella formazione. Questo progredire è un mutamento * che non è visibile** e non ha la forma del mutamento**>. Cioè: la costituzione è, secondo la legge (secondo l'illusione); ma diviene in realtà (secondo la verità). Essa è per definizione invariabile, ma in realtà si modifica; questa modificazione è soltanto inavvertita, non ha la forma del mutamento. L'apparenza contraddice l'essere. L'apparenza è la legge consaputa della costituzione, l'essere è la legge non consaputa, contraddicente la prima. Non c'è nella legge ciò ch'è nella natura della cosa. Nella legge c'è piuttosto il contrario. Ma il vero non è che, nello Stato, ch'è, secondo. Hegel, la presenza suprema della libertà e l'esistenza della ragione autocosciente, non è già la legge, l'esistenza della libertà, che governa, ma la cieca necessità naturale? E se la legge della cosa è riconosciuta come contraddicente la definizione legale, perché non riconoscere anche la legge della cosa, della ragione, come la legge dello Stato? Come mantenere ora il dualismo con la coscienza? Hegel vuole ovunque rappresentare lo Stato come la realizzazione dello spirito libero, ma re vera egli scioglie tutte le difficili collisioni con una necessità naturale, che è in opposizione alla libertà.
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Cosi anche il trapasso dell'interesse particolare nell'interesse generale non
è una legge consaputa dello Stato, ma mediata dal caso, adempientesi contro la coscienza; e Hegel vuole ovunque, nello Stato, la realizzazione della volontà libera! (Qui si mostra il punto di vista sostanziale di Hegel). Gli esempi, che Hegel porta circa la progressiva modificazione della costituzione, sono infelici: che la fortuna dei principi tedeschi e delle loro famiglie si è mutata da bene privato in demanio e che la giurisdizione personale degli imperatori tedeschi si è mutata in giurisdizione mediante delegati. Al contrario, il primo trapasso si è .operato soltanto come conversione di ogni proprietà statale in proprietà privata dei principi. Inoltre questi mutamenti sono particolari. Intere costituzioni si sono certo modificate in modo che a poco a poco son nati nuovi bisogni, l'antico stato delle cose è andato in rovina etc.; ma per una nuova costituzione è sempre occorsa una formale rivoluzione. « Cosi lo sviluppo di uno stato di cose », conclude Hegel, « è, dunque, in apparenza ** pacifico ed è inavvertito. Dopo un lungo tempo una costituzione perviene cosi a tutt'altro stato dal precedente».
La categoria della transizione progressiva è in primo luogo falsa storicamente, e secondariamente non spiega nulla. Affinché la costituzione non soltanto subisca la modificazione, affinché, dunque, questa apparenza illusoria non sia alla fine rotta con la violenza, e l'uomo faccia consapevolmente ciò che altrimenti è costretto a fare inconsapevolmente dalla natura della cosa, è necessario che il movimento della costituzione, il progresso, diventi il principio della costitu· zione, che, dunque, il reale sostegno della costituzione, il popolo, diventi il principio della costituzione. Il progresso stesso è allora la costituzione. Deve, dunque, la «costituzione » stessa appartenere al dominio del «potere legislativo »? Tale questione può esser proposta soltanto: 1) se lo Stato politico c'è come mero formalismo dello Stato reale, se lo Stato politico è un dominio a parte, se lo Stato politico esiste come << costituzione:.; 2) se il potere legislativo ha un'altra origine che il potere governativo etc. Il potere legislativo ha fatto la Rivoluzione francese; esso, là dove ha dominato nella sua specialità, ha fatto, in genere, le grandi rivoluzioni organiche generali; esso non ha combattuto la costituzione, ma una particolare costituzione antiquata, precisamente perché il potere legislativo è stato il rappresentante del popolo, della volontà generale. Per contro, il potere governativo ha fatto le piccole rivoluzioni, le rivoluzioni retrograde, le reazioni; esso non ha fatto la rivoluzione per una nuova costituzione éontro una invecchiata, ma contro la costituzione, precisamente
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perché il potere governativo è stato il rappresentante della volontà particolare, soggettiva, della parte magica della volontà 1, Posta rettamente, la questione significa soltanto· ha il popolo il diritto di darsi una nuova costituzione? La risposta non può non essere incondizionatamente affermativa, poiché la costituzione, appena cessa di essere l'espressione reale della volontà popolare, diviene un'illusione pratica. La collisione fra la costituzione e il potere legislativo non è altro che un conflitto della costituzione con se stessa, una contraddizione nel concetto della costituzione. La costituzione non è che un accomodamento fra lo Stato politico e lo Stato non politico; essa è dunque necessariamente in se stessa un trattato fra poteri essenzialmente eterogenei. È dunque qui impossibile alla legge di esprimere che uno di questi poteri, una parte della costituzione, avrà il diritto di modificare la costituzione stessa, il tutto. Se si deve parlare della costituzione come di qualcosa di particolare, si deve piuttosto considerarla come una parte del tutto. Se si è inteso, col nome di costituzione, le determinazioni generali, le determinazioni fondamentali della volontà razionale, s'intende cosi che ogni popolo (Stato) ha queste come suoi presupposti, e che esse devono costituire il suo credo politico. Ciò è propriamente cosa del sapere e non del volere. La volontà di un popolo può trascendere le leggi della ragione tanto poco quanto la volontà d'un individuo. Presso un popolo irragionevole non potrebbe insomma esser questione di un'organizzazione razionale dello Stato. Qui, nella ·filosofia del diritto, è inoltre nostro oggetto la volontà generale. Il potere legislativo non crea la legge; la scopre e la formula soltanto. Si è cercato di risolvere questa collisione mediante la distinzione di assemblée constituante e assemblée constituée •. § 299· «Queste materie (gli oggetti del potere legislativo)* si determinano, in rapporto agli individui, piu precisamente secondo i due lati: a) ciò che va a loro vantaggio, per mezzo dello Stato, e che essi devono godere, e ~ ) ciò che essi debbono prestare al me1 Cfr. sopra, la critica della deduzione del monarca. • Allusione alla differenziazione di «potere costituente» e «potere costitUito» formulata per la prima volta dal Sieyès, in Francia nel 1789, e rimasta nella dottrina costituzionalistica, in connessione con la distinzione di costituzioni « rigide» e costituzioni «flessibili», le prime modifìcabili mediante una procedura e un organo differenti da quelli ordinari (onde si richiede un'as~emblea costituente), le seconde modilìcabili dagli organi della legislazione ordinaria; col sottinteso che solo nelle prime la differenziazione di potere costituente e potere costituito è organica.
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desimo. In quelio sono comprese le leggi di diritto privato in generale, i diritti delle comunità e delle corporazioni e le disposizioni del tutto generali e indirettamente (§ 298) la totalità della costituzione. Ma ciò che si deve prestare, solamente se è ridotto a denaro, in quanto valore universale esistente delle cose e delle prestazioni, può esser determinato in maniera giusta e ad un tempo in modo che i particolari lavori e servizi, che il singolo può prestare, siano mediati dal suo arbitrio :.. Circa questa determinazione del potere legislativo Hegel stesso osserva nella nota a questo paragrafo: « Quale materia si debba rimettere alla legislazione generale e quale alla determinazione delle autorità amministrative e al regolamento del governo in genere, si lascia certo distinguere, in generale, in modo che in quella rientri soltanto l'interamente universale** secondo il contenuto, le determinazioni legali, e in questa rientri il particolare* e il modo di esecuzione. Ma questa distinzione è pienamente determinata non già dal fatto che la legge, per esser legge, e non un semplice comandamento in generale (come il " tu non devi uccidere" [ ... ]) dev'essere determinata in sé; ma quanto piu è determinata, tanto piu il suo contenuto si approssima alla capacità di essere effettuato cosi com'è. Ma al tempo stesso la determinazione che andasse tant'oltre darebbe alle leggi un lato empirico, che, nell'effettuazione reale, dovrebb'essere sottoposto a mutamenti, il che nuocerebbe al loro carattere di leggi. Nell'unità organica** dei poteri dello Stato si trova, tuttavia, che è uno spirito che stabilisce l'universale e che gli dà la sua determinata realtà e lo effettua~.
Ma è proprio questa organica unità che Hegel non ha costruito. I diversi poteri hanno un diverso principio. Essi sono inoltre una ferma realtà. Il rifugiarsi dal loro reale conflitto nell'immaginaria «organica unità ,, invece di averli sviluppati come momenti di una organica unità è dunque soltanto un vuoto, mistico sotterfugio. La prima collisione irrisolta era quella fra l'intera costituzione e il potere legislativo. La seconda è quella fra il potere legi.slatiz,o e il potere gotJernativo, fra la legge e l'esecuzione.
La seconda definizione del paragrafo è che l'unica prestazione, che lo Stato esige dagli individui, è il denaro. Le ragioni che Hegel ne adduce sono:
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r. Il denaro è il valore generale esistente delle cose e stazioni; 2. La prestazione può esser determinata in una giusta tanto attraverso questa riduzione; 3· La prestazione può esser determinata in tale guisa solo i particolari lavori e servizi, che ogni individuo può prestare, diati dal suo arbitrio. Hegel osserva in nota:
delle pre· guisa solin quanto sono me-
ad r. « Può sorprendere dapprima che nello Stato dal gran numero di attitudini, proprietà, attività e talenti, e dalla ricchezza infinitamente varia e viva che si trova in essi, che nello stesso tempo sono legati a sentimenti, lo Stato non esiga una prestazione diretta, ma pretenda la sola ricchezza che appare come moneta. Le prestazioni, che si riferiscono alla difesa dello Stato contro i nemici, rientrano nel dovere, di cui alla sezione seguente (non alla sezione seguente, ma per altre ragioni noi verremo solo piu tardi ' al dovere personale del servizio militare)*. Ma nel fatto la moneta non è una ricchezza particolare accanto alle altre, ma è l'universale di esse, in quanto si producono nell'esteriorità dell'esistenza, nella quale possono esser prese come cosa:.. «Da noi:., è detto piu lontano nell'Aggiunta, «lo Stato compra ciò di cui abbisogna :~>.
ad 2. «Soltanto in questo estremo esteriore (ossia l'estremo in cui le ricchezze si producono nell'esteriorità dell'esistenza, in cui possono esser prese come cosa *) è possibile la determinazione quantitativa e però la giustizia e l'eguaglianza delle prestazioni**:.. Nell'Aggiunta si dice:
«Ma mediante il denaro la giustizia dell'eguaglianza** può esser attuata molto meglio». « L'uomo pieno di talento sarebbe, altrimenti, piu gravato di quello senza talento, se la prestazione dipendesse dalla capacità concreta». ad 3· «Platone nel suo Stato fa assegnare a cura dei superiori gli individui agli stati particolari e imporre loro le particolari prestazioni [ ... ] ; nella monarchia feudale i vassalli avevano parimente servizi indeterminati, ma da prestare anche. nella loro particolarità, ad 1
Ma il manoscritto non reca nulla in proposito.
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es., l'ufficio & giudice e simili; le prestaziom m Oriente, in Egitto per le smisurate costruzioni d'architettura etc., sono del pari di qua. lità particolare etc. In questi rapporti manca il principio della libertà soggettiva: che il fare sostanziale dell'individuo, il quale in tali prestazioni è secondo il suo contenuto un che di particolare, sia mediato dali~ sua volontà particolare; - un diritto ch'è possibile soltanto per l'esigenza delle prestazioni nella forma del valore generale, e ch'è la ragione che ha prodotto questa trasformazione:.. Nell'Aggiunta si dice: « Da noi lo Stato compra ciò di cui ha bisogno, e questo può apparire soprattutto come cosa astratta, morta e inanimata, e può anche sembrare che lo Stato sia decaduto per il fatto che si appaga di prestazioni astratte. Ma è nel principio dello Stato moderno che tutto ciò che fa l'individuo sia mediato dalla sua volontà...~. « Ora, il rispetto* della libertà soggettiva è messo in luce appunto da ciò, che a ciascuno si prende soltanto quel che può essergli preso:.. Fate ciò che- volete, pagate ciò che dovete pagare. L'esordio dell'Aggiunta suona: «I due lati della costituzione si riferiscono ai diritti e alie presta. zioni degli individui. Per quanto concerne le prestazioni, esse si riducono ora quasi tutte a moneta. L'obbligo militare è ora l'unica prestazione personale~. § 300. «Nel potere legislativo in quanto totalità* sono soprattutto attivi gli altri due momenti: il monarchico, come quello cui compete la decisione suprema, - il potere governativo, come momento consultivo, con la conoscenza e la veduta concreta della totalità, nei suoi lati molteplici e nei principi reali che sono consolidati* in essa, come con la conoscenza dei bisogni del potere dello Stato in particolare; - infine l'elemento degli stati.
Il potere monarchico e il potere governativo sono... potere legislativo. Ma se il potere legislativo è la totalità, il potere monarchico e il potere governativo dovrebbero essere piuttosto degli elementi del potere legislativo. L'elemento di classe che si aggiunge è soltanto potere legislativo, ossia è il potere legislativo nel suo distinguersi dal potere monarchico e dal potere governativo. § 301. «L'elemento degli stati ha la determinazione che pervenga all'esistenza l'affare generale non soltanto in sé ma anche per sé, cioè
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il momento della libertà formale soggettiva, la coscienza pubblica come generalità empirica delle vedute e dei concetti dei molti:.. L'elemento di classe è una delegazione della società civile presso lo Stato, al quale essa, in quanto è « i molti :., si contrappone. I molti debbono per un momento trattare con cascienza gli affari generali come loro propri affari, come oggetti della coscienza pubblica che, secondo Hegel, non è altro che la «empirica generalità delle vedute e dei concetti dei molti:. (e in verità essa coscienza pubblica non è nient'altro che questo nelle moderne monarchie, anche costituzionali). È caratteristico che Hegel, che ha tanto grande rispetto per lo spirito dello Stato, lo spirito etico e la coscienza dello Stato, lo disprezzi espressamente allorché esso spirito gli si presenti in forma reale, empirica. È questo l'enigma del misticismo. La stessa astrazione fantastica, che ritrova la coscienza dello Stato nell'inadeguata forma della burocrazia, di una gerarchia del sapere, e che acriticamente prende questa inadeguata esistenza per reale esistenza pie11amente valida, la stessa mistica astrazione concede imperturbabile che lo spirito reale, empirico dello Stato, la coscienza pubblica, sia un mero pot-pourri di « pensieri e vedute di molti:.. Come essa sostituisce alla burocrazia un ente estraneo, cosi la~cia al vero ente l'inadeguata forma del fenomeno. Hegel idealizza la burocrazia e empiricizza la coscienza pubblica. Hegel può trattare la coscienza pubblica reale bene à part, appunto perché ha trattato la coscienza à part come coscienza pubblica. Egli ha tanto meno da preoccuparsi- della reale esistenza dello spirito dello Stato, in quanto crede di averlo già realizzato nelle sue soi-disant esistenze. Finché lo spirito dello Stato era misticamente nel vestibolo, gli si facevano molte reverenze. Qui, dove lo si è afferrato in perpona, è appena guardato. «L'elemento degli stati ha la determinazione che pervenga all'esistenza l'affare generale non· soltanto in sé, ma anche per sé ... »: e invero l'affare generale perviene all'esistenza per sé come <
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ché esso non è l'affare della «società civile:.. Esso ha già trovato la sua essenziale esistenza in sé. Che esso ora divenga anche realmente c coscienza pubblica >, «generalità empirica :., ciò è puramente formale e diventa, per cosi dire, reale soltanto simbolicamente. L'esistenza «formale:. o esistenza empirica dell'affare generale è separata dalla sua esistenza sostanziale. Il vero è che l'c affare generale:. in sé esistente non è realmente generale e che l'affare generale reale, emp~rico, è soltanto formale. Hegel separa contenuto e forma, l'essere in sé e l'essere per sé, e lascia che quest'ultimo si aggiunga esteriormente come un momento formale. Il contenuto è bell'e pronto e esiste in molte forme, che non sono le forme di questo contenuto; e per contro s'intende da sé che la forma, che ora deve valere come forma reale del contenuto, non ha a suo contenuto il contenuto reale. L'affare generale è bell'e pronto, senza ch'esso sia l'affare reale del popolo. L'affare reale del popolo è effettuato senza l'azione del popolo. L'elemento di classe è l'illusoria esistenza degli affari dello Stato come affare del popolo. È l'illusione che l'affare generale sia affare generale, affare pubblico, o l'illusione che l'affare del popolo sia affare generale. Si è giunti al punto che tanto nei nostri Stati che nella filosofia hegeliana del diritto la frase tautologica: «l'affare generale è l'affare generale:. può apparire soltanto come un'illusione della coscienza pratica. L'demento di classe è l'illusione politica della società civile'. La libertà soggettiva appare presso Hegel come libertà formale (è certo importante che ciò ch'è libero sia anche fatto liberamente, che la libertà non regni come istinto naturale, incosciente, della società), appunto perché egli non ci ha fatto vedere la libertà oggettiva come realizzazione e manifestazione di quella soggettiva. Poiché egli ha dato al contenuto presuntivo o reale della libertà un mistico portatore, il reale soggetto della libertà riceve un significato formale. La separazione dell'in e del per sé, della sostanza e del soggetto, è astratto misticismo. Hegel spiega nella nota anche troppo l'« elemento degli stati » come un elemento «formale:., «illusorio>. Tanto il sapere che la volontà dell'« elemento degli stati > sono in parte insignificanti, in parte sospetti, cioè l'elemento di classe non è alcun complemento sostanziale •.
1 Illusione politica, perché la classe, la parte, non può rappresentare il tutto o « popolo » o « affare generale ». In altri termini, la c menzogna sanzionata , dello « Stato moderno rappresentativo» è che la cosiddetta c rappresentanza popolare , è popolare-di-classe: una contraddizione in termini. Necessità di superare, dunque, la società civile classista.
• inhaltvolles.
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r. «La concezione che anzitutto suole avere dinanzi a sé la coscienza comune intorno .alla necessità o utilità del concorso degli stati è particolarmente questa all'incirca: che i deputati del popolo, o addirittura il popolo, debbano intendere nel miglior modo che cosa serva al meglio del popolo; e che il popolo abbia indubbiamente la volontà migliore per questo meglio. Per il primo punto, il fauo sta piuttosto che il popolo, in quanto con questo termine si designa una parte speciale dei membri di uno Stato, significa la parte che non sa quel che vuole. Sapere che cosa si vuole, e piu ancora che cosa vuole la volontà che è in sé e per sé, cioè la ragione, è frutto di piu profonda conoscenza (che risiede certo nei bureaux) * e di penetrazione piu profonda, che non è precisamente affare del popolo:..
Piu sotto è detto in rapporto alle classi stesse: « I piu alti funzionari dello Stato hanno necessariamente una penetrazione piu profonda e comprensiva della natura delle istituzioni e dei bisogni dello Stato, come la piu grande attitudine e consuetudine per questi affari, e possono fare il bene senza stati, come anche essi debbono continuamente fare il bene nelle assemblee degli stati». E s'intende che, per l'organizzazione descritta da Hegel, ciò è pienamente vero'. 2. << Ma per quel che riguarda la volontà speCialmente buona degli stati per il bene generale, si è già notato sopra [ ... ] che appartiene all'opinione della plebe, al punto di vista del negativo in genere, supporre una cattiva o meno buona volontà nel governo - una supposizione che, soprattutto se si dovesse rispondere nella stessa forma, avrebbe per conseguenza la recriminazione che gli stati, giacché derivano dall'individualità, dal punto di vista privato e dagli interessi particolari, sono inclini a usare le loro attività per questi, a spese dell'interesse generale; mentre, invece, gli altri momenti del potere dello Stato sono già per sé posti nel punto di vista dello Stato e dedicati al fine generale :..
Dunque, il sapere e la volontà degli stati sono in parte superflui, in parte sospetti. Il popolo non sa ciò che vuole. Le classi non possiedono 1 Cioè: è pienamente vero in genere per le monarchie costituzionali europee del 1820 e dopo (vedi ad es. anche i funzionari - deputati del regime di Luigi Filippo) e per la prmsiana in specie; ma Hegel non può spacciare ciò c come !"essenza dello Stato 1>; v. avanti.
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la scienza amm1mstrativa nella stessa misura dei funzionari, di cui essa
è monopolio. Le classi sono superflue al compimento dell'« affare generale ». I funzionari possono compiere questo senza gli stati, essi debbono, si, fare il bene malgrado gli stati. In quanto al contenuto, gli stati sono un puro lusso. La loro esistenza è dunque in senso letterale una mera forma. Inoltre, per quel che concerne il sentimento, il volere, delle classi, e~o è sospetto, ché le classi derivano dal punto di vista privato e dai privati interessi. In verità è l'interesse privato il loro affare generale, e non l'affare generale il loro interesse privato. Ma che maniera quella dell'« affare generale», di prender forma, in quanto affare generale, in una volontà che non sa ciò che vuole, o almeno non ha uno speciale sapere del generale, e in una volontà di cui il peculiare contenuto è un interesse contrario! Negli Stati moderni, come nella filosofia del diritto di Hegel, la realtà cosciente, verace, degli affari generali è soltanto formale,, o soltanto il formale è reale affare generale. Non è da biasimare Hegel perché egli descrive l'essere dello Stato mo.derno tale qual è, ma perché spaccia ciò che è come la essenza dello Stato. Che il razionale è reale, ciò è precisamente in contraddizione con la realtà irrazionale che dovunque è il contrario di quel che esprime e esprime il contrario di quel che è. Hegel, invece di mostrare che l'« affare generale » è per sé « soggettivo» e «quindi esiste realmente come tale» e ch'esso ha anche la forma dell'affare generale, mostra solo che la mancanza di forma è la sua soggettività, e che una forma senza contenuto dev'essere informe. La forma, che l'affare generale assume in uno Stato che non sia lo Stato dell'affare generale, può essere soltanto un informe, una forma che inganna se stessa, che si contraddice, una forma apparente, che si mostrerà come tale apparenza. Hegel vuole il lusso dell'elemento di classe solo per amor della logica. L'esser per sé dell'affare generale in quanto generalità empirica deve avere un'esistenza. Hegel non cerca una adeguata realizzazione dell'« esser per sé dell'affare generale», si contenta di trovare un'esistenza empirica, che possa risolversi in tale categoria logica: l'elemento di classe, allora; nel che non manca di osservare egli stesso come questa esistenza sia compassionevole e piena di contraddizioni. E poi rimprovera alla coscienza comune di non contentarsi di questa soddisfazione logica, di non voler risolvere con astrazione arbitraria la realtà in logica, ma di voler vedere la logica trasformata in vera oggettività. Dico: astrazione arbitraria. In effetti, dato che il potere governativo, che vuole, sa e realizza l'affare generale, scaturisce dal popolo ed è una molteplicità empirica {che non si tratti di totalità ce lo apprende Hegel
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stesso), perché il potere governativo non potrebbe esser determinato come l'« esser per sé dell'affare generale»? o perché gli «stati> non ·sarebbero il suo esser-in-sé, dato che solamente nel governo la cosa ottiene chiarezza e determinatezza e compimento e autonomia? Ma la vera opposizione è: che occorre che I'« affare generale» sia tuttavia rappresentato in qualche modo nello Stato come « reale >, e dunque «empirico», «affare generale»; che esso appaia in qualche luogo con la corona e il paramento dell'universale; onde esso diventa di per sé un ruolo scenico, una illusione. Si tratta qui dell'opposizione tra I'« universale » come «forma >, nella «forma dell'universalità», e dell'« universale come contenuto>. Ad es., nella scienza un «individuo» può realizzare l'affare generale, e sono sempre degli individui che lo effettuano. Ma l'affare diventa realmente generale quando esso non è piu cosa dell'individuo, ma della società. E ciò modifica non soltanto la forma, ma anche il contenuto. Ma qui si tratta dello Stato, in cui è il popolo stesso l'affare generale; qui si tratta della volontà che ha la sua vera esistenza come volontà generale 1 solo nella volontà popolare cosciente di sé. E qui si tratta inoltre dell'idea dello Stato. Lo Stato moderno, in cui sia I'« affare generale » che l'occuparsi di esso sono un monopolio, e dove, per contrò, i monopoli sono i reali affari generali, ha fatto la strana invenzione di appropriarsi l'« affare generale :. come una mera forma. (Vero è che soltanto la forma è affare generale). Esso ha con ciò trovato la corrispondente forma al suo contenuto, il quale è solo apparentemente il reale affare generale. Lo Stato costituzionale è lo Stato in cui l'interesse statale, in quanto reale interesse del popolo, c'è soltanto formalmente, e esiste come una determinata forma accanto allo Stato reale. L'interesse dello Stato ha qui formalmente ripreso realtà in quanto interesse del popolo, ma deve anche avere soltanto questa realtà formale. Esso è divenuto una formalità, lo haut goiìt della vita popolare, una cerimonia. L'elemento costituente è la menzogna sanzionata, legale, degli Stati costituzion41i: che lo Stato è l'interesse del popolo, o che il popolo è l'interesse dello Stato. Questa menzogna si scoprirà nel contenuto. Essa si è stabilita come potere legislativo, apounto perché il potere legislativo ha l'universale come suo contenuto, è piu cosa del sapere che del volere, è il potere metafisica dello Stato, mentre la stessa menzogna come potere governativo etc. dovrebbe subito dissolversi o trasformarsi in una verità. Il potere metafisica dello Stato era la sede la piu adatta dell'illusione statale metafisica, generale.
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Gattungsrville: lett.: «volontà del genus », e in tal senso, «generica_:.
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[ § 301]. « La garanzia, che c'è negli stati per il bene generale e la libertà pubblica, si trova, riflettendoci, non già nell'intelligenza particolare di essi [ ... ], ma bensi si trova, in parte, in un'intelligenza supplementare* (! !) dei deputati, specialmente nell'incitamento ai funzionari che stanno piu lontani dagli sguardi degli uffici piu alti, e in particolare nei piu urgenti e speciali bisogni e difetti, ch'essi deputati hanno dinanzi a sé in intuizione piu concreta; e, in parte, in quell'effetto che comporta la prevista censura di molti* e cioè una censura pubblica: di rivolgere già in antecedenza la migliore intelligenza agli affari e ai disegni da proporre, e di disporli soltanto secondo i motivi piu puri, - una necessità che s'impone egualmente ai membri degli stati ». «Per quel che concerne quindi la garanzia in generale, che deve trovarsi particolarmente negli stati, anche ogni altra delle istituzioni di Stato ** partecipa con essi all'esser una garanzia del benessere pubblico e della libertà razionale; e ci sono, tra queste, delle istituzioni, come la sovranità del monarca, l'ereditarietà della successione al trono, la costituzione giudiziaria etc., nelle quali questa garanzia si trova ancora in un grado molto piu deciso. La peculiare* determinazione concettuale degli stati è quindi da cercare in questo: che in essi viene ad esistere in rapporto allo Stato il momento soggettivo della libertà universale, l'intelligenza propria e la volontà propria della sfera che, in questa esposizione, è stata chiamata società civile. Che tale momento sia una determinazione dell'idea sviluppata a totalità, questa necessità interna, che non si deve scambiare con necessità e utilità esterne, consegue, come ovunque, dal punto di vista filosofico».
La libertà generale pubblica è presuntivamente garantita nelle altre istituzioni statali, le classi sono presuntivamente la sua autogaranzia. Giacché il popolo dà piu importanza alle classi nelle quali crede di assicurarsi, che non alle istituzioni, che, senza la sua azione, debbono esser l'assicurazione della sua libertà, conferme della sua libertà senza esser affermazioni della sua libertà. La coordinazione che Hegel assegna alle classi accanto alle altre istituzioni contraddice al loro essere. Hegel risolve l'enigma col trovare la «peculiare determinazione concettuale degli stati » in questo: che in essi « l'intelligenza propria e la volontà propria... della società civile viene ad esistere in rapporto allo Stato :.. È la riflessione della società civile nello Stato. Come i burocrati sono delegati dello Stato presso la società civile, cosi gli stati sono delegati della società civile presso lo Stato. Sono dunque sempre transazioni di due opposte volontà.
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Nell'Aggiunta a questo paragrafo è detto:
«La posizione del governo di fronte alle classi non dev'essere essenzialmente* ostile, e la credenza nella necessità di questo rapporto ostile è un triste errore>. È una « triste verità >.
« Il governo non è un partito, al quale si opponga un altro partito». Al contrario. « Le imposte, che gli stati consentono, non sono inoltre da considerare come un dono* che sia fatto allo Stato, ma esse sono consentite per il bene di coloro stessi che le consentono:.. Il voto delle imposte nello Stato costituzionale è, d'opinione, necessariamente un dono. « Ciò che costituisce il significato proprio degli stati è che lo Stato entra ** per tal modo nella coscienza soggettiva del popolo ••, e che esso comincia a prender parte al medesimo :1>. Quest'ultima cosa è del tutto esatta. Il popolo comincia, nelle classi, a partecipare allo Stato, e precisamente lo Stato entra come qualcosa di esterno nella coscienza soggettiva del popolo. Ma come può Hegel spacciare questo inizio per la piena realtà! § 302. « Considerati come organo di mediazione, gli stati stanno fra il governo in genere, da una parte, e il popolo, risolto nelle particolari sfere e negli individui, dall'altra. La loro determinazione esige in essi tanto il senso e la mentalità dello Stato e del governo, quanto degli interessi delle cèrchie particolari e dei singoli. Nello stesso tem po questa posizione ha il significato di una mediazione comune all'organizzato potere governativo, onde né il potere del sovrano appaia come estremo isolato, e quindi come semplice potere di dominio e arbitrio, né gli interessi particolari delle comunità, delle corporazioni e degli individui, si isolino, o piu ancora i singoli giungano a rappresentare una moltitudine e una massa •: non giungano quindi ad un'opinione e volontà inorganica, e al potere semplicemente di massa contro lo Stato organico». 1
Haufen: ler,. « ammasso •·
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Lo Stato e il governo sono sempre messi dalla stessa parte come identici, e il popolo, risolto nelle sfere particolari e negli mdividui, dall'altra parte. Le classi stanno tra i due, come organo mediatore. Le classi sono il medio, in cui «il senso e la mentalità dello Stato e del governo > devono incontrarsi e unirsi con «il senso e la mentalità delle sfere particolari e dei singoli ». L'identità di questi due sensi e mentalità opposti, identità in cui dovrebbe propriamente risiedere lo Stato, «trova una rappresentazione simbolica nelle classi». La transazione fra lo Stato e la società civile appare come una sfera particolare. Le classi sono la sintesi di Stato e società civile. Ma da che parte le classi debbano rifarsi per unire due mentalità contraddittorie, questo non è mostrato. Le classi sono la posizione della contraddizione di Stato e società civile nello Stato. Nello stesso tempo esse sono le pretese della soluzione di questa contraddizione. «Nello stesso tempo questa posizione ha il significato di una· mediazione comune all'organico • potere governativo» etc, Le classi non mediano soltanto popolo e governo. Esse impediscono il «potere sovrano » come estremo, che apparirebbe quindi come « semplice potere di dominio e arbitrio»; parimente impediscono I'« isolamento » degli interessi « particolari » etc., e la « rappresentazione dei singoli come moltitudine e massa ». Questa funzione mediatrice le classi l'hanno in comune col potere governativo organizzato. In uno Stato, in cui la posizione degli « stati » impedisce che «i singoli giungano a rappresentare una moltitudine o una massa, quindi un'opinione e volontà inorganica, e il potere semplicemente di massa contro lo Stato organico:., lo Stato organico esiste al di fuori della « moltitudine», della «massa>, o la « moltitudine », la «massa », appartiene all'organizzazione dello Stato: solo che la sua «opinione e volontà inorganica » non deve diventare un «opinare e volere contro lo Stato»; per la quale direzione determinata essa diventerebbe un'« organica» opinione e volontà. Parimente questo « potere di massa » deve restare soltanto « di massa >, cosi che l'intelligenza è fuori della massa e questa non può animarsi da sé, bensi può essere messa in movimento soltanto dai monopolisti dello « Stato organico » e essere sfruttata come potere di massa. Là dove « gli interessi particolari delle comunità, delle corporazioni e dei singoli » non si isolano contro lo Stato, e dove « i singoli non giungono a rappresentare una moltitudine e una massa, non giungono quindi ad un'opinione e volontà inorganica e al potere semplicemente di massa contro lo Stato organico >, è ivi precisamente- che si mostra che nessun «interesse particolare» contraddice allo Stato, ma che il reale pensiero organico generale della « moltitudine e massa » non è il « pensiero dello Stato organico », che non trova in esso la sua realizzazione. Ora, in che appaiono le classi come mediazione di questo estremo?' Solo in questo: «che gli interessi particolari delle comunità, delle corporazioni e dei singoli si isolano »; o m
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questo, che i loro isolati interessi regolano mediante le classi i loro contJ con lo Stato, e nello stesso tempo in questo, che l'« inorganica opinione e volontà della moltitudine e della massa » si è occupata, come volontà (come attività), nella creazione delle classi, come opinione nell'apprezzamento dell'attività delle stesse, e ha cosi gustato l'illusione di una propria aggettivazione. Gli « stati » preservano lo Stato dalla massa inorganica solo con la disorganizzazione di questa massa. Ma gli stati devono, nello stesso tempo, fungere da mediatori affinché «gli interessi particolari della comunità, delle corporazioni e dei singoli non si isolino'>. Al contrario, sono mediatori r) transigendo con l'« interesse statale:~>, 2) essendo essi stessi l'« isolamento politico» di questi interessi particolari, questo isolamento come atto politico, in cui, per essi, questi << interessi particolari » conseguono il rango dell'interesse c generale». Infine gli stati devono intervenire contro l'« isolamento » del potere sovrano quale «estremo> (che «appaia • quindi come semplice potere di dominio e arbitrio»). Ciò è importante in quanto il principio del potere sovrano (l'arbitrio) è da essi delimitato, o almeno può muoversi solo con impaccio, e in quanto gli stati stessi diventano associati e complici del potere sovrano. Il potere sovrano o cessa cosi realmente di essere l'estremo del potere sovrano (il potere sovrano esiste soltanto come un estremo, come un'unilateralità, poiché esso non è un principio organico), e diventa un potere apparente, un simbolo, o perde solo l'apparenza dell'arbitrio e del mero potere di dominio. Gli stati intervengono contro l'« isolamento > degli interessi particolari col rappresentare questo isolamento come un atto politico. Es~i intervengono contro l'isolamento del potere sovrano come estremo, in parte perché diventano essi stessi partecipi del potere sovrano, in parte perché essi fanno del potere di governo un estremo. Negli « stati » convergono tutte le contraddizioni della moderna organizzazione dello Stato. Essi sono « mediatori » in ogni senso, perché sono in ogni senso « qualcosa d'intermedio ». Da osservare che Hegel sviluppa meno il contenuto della attività delle classi, il potere legislativo, che non la posizione delle classi, il loro rango politico. Da osservare anche che, mentre, secondo Hegel, gli stati « stanno fra il governo in genere da una parte n e dall'altra il popolo •• risolto nelle sfere e negli individui particolari », la loro posizione, sopra sviluppata, «ha il signìficato di una mediazione comune all'organizzato potere governativo». Per quel che concerne il primo estremo, gli stati sono il popolo contro il governo, ma il popolo en miniature. È la loro posizione di opposizione. Per quel che concerne il secondo estremo, essi sono il governo contro
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il popolo, ma il governo ampliato. È la loro posizione conservatrice. Essi stessi sono parte del governo contro il popolo, ma in modo che essi.hanno contemporaneamente il significato di esser il popolo contro il governo. Hegel ha caratterizzato, sopra, il «potere legislativo come totalità, (§ 300). Gli stati.. sono realmente questa totalità, Stato nello Stato, ma . precisamente in essi è manifesto che lo Stato non è la totalità, bensf un dualismo. Gli stati rappresentano lo Stato in una società che non è uno Stato. Lo Stato è una mera rappresentazione. Nella nota Hegel dice: « Appartiene alle piu importanti vedute logiche che un momento determinato, il quale, stando in antitesi, ha la posizione di un estremo, cessi di esser tale, e sia un momento organico, in quanto è nello stesso tempo termine medio:).
(Cosi l'elemento di classe è 1) l'estremo del popolo contro il governo, ma è 2 ), nello stesso tempo, termine medio fra· popolo e governo, ossia l'antitesi nel popolo stesso. L'antitesi di governo e popolo si concilia mediante l'antitesi di stati e popolo. Gli stati hanno, verso il governo, la posizione del popolo, e verso il popolo la posizione del governo. Col diventare immagine, fantasia, illusione, rappresentazione 1 - il popolo immaginato ossia gli stati che si trovano immantinente, in quanto potere particolare, in una separazione dal popolo reale - esso popolo sopprime l'antitesi reale di popolo e governo. Il pppolo è qui già preparato, come deve esserlo nell'organismo considerato, per non avere alcun carattere deciso). «Nell'oggetto qui considerato è tanto piu importante rilevare questo lato, ché rientra nel pregiudizio, frequente ma sommamente pericoloso, di concepire gli stati principalmente dal punto di vista dell'antitesi verso il governo, come se questa fosse la loro essenziale posizione. Assunto organicamente, cioè nella totalità, l'elemento di classe ** si dimostra soltanto attraverso la funzione della mediazione **. Quindi l'antitesi* stessa è degradata a un'apparenza*. Se essa, in quanto ha la sua manifestazione*, non toccasse meramente la superficie, ma diventasse realmente* un'antitesi sostanziale**, lo Stato andrebbe alla rovina. Il segno che l'opposizione non è di questa specie si ha, secondo la natura della cosa, in questo: che gli oggetti del contrasto non interessano gli elementi essenziali dell'organismo statuale, ma cose piu speciali e indifferenti, e la passione, che si 1
Reprasentation.
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attacca, tuttavia, a questo contenuto, diviene spmto di parte per un interesse meramente soggettivo, forse per le piu alte cariche dello Stato». Nell'Aggiunta è detto: «La costituzione è essenzialmente un sÌJtema di media.zione » "'*. § 303. «Lo stato generale, che si dedica piu da presso al servizio del governo, ha immediatamente, nella sua determinazione, l'universale per fine della sua attività essenziale; nell'elemento di stato del potere legislativo lo stato privato perviene ad un significato e ad un'attività politici. Il medesimo non può ora app:uire, qui, né come semplice massa indistinta, né come una moltitudine risolta nei suoi atomi; ma come ciò che esso è già, vale a dire differenziato nello stato che si fonda sul rapporto sostanziale e in quello che si fonda sui bisogni particolari e sul lavoro che li media [ ... ] . Solo cosi, in questo riguardo, l'elemento particolare, reale nello* Stato, si congiunge veramente col generale». Qui abbiamo la soluzione dell'enigma. «Nell'elemento di stato del potere legislativo lo stato privato perviene ad un significato politico ». S'intende che lo stato privato perviene a questo significato secondo ciò ch'esso è, secondo la sua disposizione nella società civile (Hegel ha già contrassegnato la classe generale come quella che si dedica al governo; la classe generale è dunque rappresentata, nel potere legislativo, dal potere governativo). L'elemento costituzionale 1 è il significato politico della classe privata, della classe impolitica, una contradictio in adjecto; o, nella classe descritta da Hegel, la classe privata (e in genere la distinzione della classe privata) ha un significato politico. La classe privata fa parte dell'essenza della politica di questo Stato. Hegel le dà anche un significato politico, cioè un significato altro dal suo significato reale. Nella nota è detto:
«Ciò va contro un'altra concezione corrente, che, cioè, lo stato privato, essendo elevato, nel potere legislativo, alla partecipazione • alla cosa universale, deve apparire colà in forma di singoli, sia che essi scelgano dei rappresentanti per questa funzione, sia che, anzi, ciascuno debba esercitarvi una parte. Questa veduta atomistica, astratta, scompare già nella famiglia, come nella società civile, dove il sin1
standisch~.
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golo appare soltanto come partecipe di un universale. Ma lo Stato è essenzialmente un'organizzazione di tali membri, che per sé sono cerchie, e in esso nessun momento si deve mostrare come una moltitudine inorganica. 1 molti come singoli, il che s'intende volentieri per popolo, sono bene un insieme, ma solo come moltitudine - una massa informe, il cui movimen~o e fare sarebbe, appunto perciò, solo elementare, irrazionale, selvaggio c terribile». «La concezione che risolve di nuovo in una moltitudine d'individui le comunità esistenti già in quelle cerchie in cui esse si presentano nel campo politico, cioè nel punto di vista della suprema universalità concreta, appunto perciò tiene separate l'una dall'altra la vita civile e la politica**, e campa, per cosi dire, quest'ultima nell'aria, poiché la sua base sarebbe solo l'astratta singolarità dell'arbitrio e dell'opinione, e quindi l'accidentale, non una base in sé e per sé stabile e legittima». « Benché nelle rappresentazioni delle cosiddette teorie gli stati della società* civile, in generale, e gli stati nel significato politico si trovino largamente separati, tuttavia il linguaggio ha conservato ancora quest'unione che, del resto, esisteva prima**:.. «Lo stato generale, che si dedica piu da presso al servtzto del governo:.. Hegel parte dal presupposto che la classe generale sia «al servizio del governo :.. Suppone l'intelligenza generale come « di stato e stabile :.. «Nell'elemento degli stati etc.». Il «significato e l'attività politici:. della classe privata ne sono un significato e un'attività particolari. Lo stato privato non si cambia in classe politica, ma è come classe privata ch'esso compare nella sua attività e nel suo significato politico. Non ha meramente attività e significato politici. La sua attività e il suo significato politici sono l'attività e il significato politici della classe privata come classe privata. La classe privata può dunque entrare nella sfera politica soltanto secondo la divisione in classi della società civile. La distinzione in classi della società civile diventa una distinzione politica. Già il linguaggio, dice Hegel, esprime l'identità delle classi della società civile e delle classi in senso politico, un'« unione ~ « che, del resto, esisteva prima •• », e che dunque, si dovrebbe concludere, ora non c'è piu. Hegel trova che « in questo riguardo, l'elemento particolare, reale nello • Stato, si congiunge veramente col generale:.. La separazione di c vita civile e vita politica:. dev'essere in questo modo soppressa e dev'essere posta la loro «identità ». Hegel si appoggia a questo: c In quelle cerchie (famiglia e società civile) • esistono già delle
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comunità • :.. Come si può voler « risolvere di nuovo in una moltitudine d'individui > queste comunità, « quando si presentano nel campo politico, cioè nel punto di vista della suprema universalità concreta>? È importante seguire accuratamente questo sviluppo. L'apice dell'identità hegeliana era, come Hegel stesso confessa, il medioevo. Quivi le classi della società civile in genere e le classi in senso politico erano identiche. Si può esprimere lo spirito del medioevo cosi: che le classi della società civile e le class"i in senso politico erano identiche perché la società civile era la società politica: perché il principio organico della società civile era il principio dello Stato. Ma Hegel parte dalla separazione della « società civile > e dello « Stato politico >, come due opposizioni fisse e realmente differenti. Questa separazione è certamente reale nello Stato moderno. L'identità delle classi civili e delle politiche era l'espressione dell'identità della società civile e della politica. Quest'identità è scomparsa. Hegel la suppone scomparsa. c L'identità delle classi civili e politiche ,, se esprimesse la verità, potrebbe, dunque, esser soltanto niente piu che un'espressione della separazione di società civile e società politica! o piuttosto solo la separazione delle classi civili e politiche esprime il vero rapporto della moderna società civile con quella politica. In secondo luogo, Hegel tratta qui di classi politiche in tutt'altro senso da quello delle classi politiche del medioevo, di cui è stata detta l'identità con le classi della società civile. Tutta la loro esistenza era politica; la loro esistenza era l'esistenza dello Stato. La loro attività legislativa, il loro voto di imposte per l'impero, erano soltanto l'emanazione particolare del loro significato e del loro operare politico generale. Il loro essere di stati era il loro essere di Stati. Il rapporto con l'impero era soltanto un rapporto di transazione di questi differenti Stati con la nazionalità, ché lo Stato politico, a differenza della società civile, non era altro che la rappresentanza della nazionalità. La nazionalità era il point d'honneur, il senso politico x
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privato, la loro accessione alla sovranità come stato privato. Gli stati della società civile erano nel medioevo, come tali, nello stesso tempo degli stati legislativi, perché non erano degli stati privati, ossia perché gli stati privati erano degli stati politici. Gli stati medievali, in quanto elemento politico-di classe', non acquistano alcuna nuova determinazione. Essi non divennero elemento politico-di classe perché partecipavano alla legislazione, bens! partecipavano alla legislazione perché erano elemento politico-di classe. Che cosa ha ciò di comune con la classe privata hegeliana, che come elemento legislativo perviene a un'aria di bravura politica, a uno stato estatico 2, a un significato e a un'attività politici a parte, sorprendenti, eccezionali? In questo sviluppo si trovano riunite tutte le contraddizioni dell'esposizione hegeliana. r. Egli ha presupposto la separazione della società civile dallo Stato politico (uno stato di cose moderno) e l'ha sviluppata come momento necessario dell'idea, come assoluta verità razionale. Ha rappresentato lo Stato politico nella sua moderna forma della separazione dei diversi poteri. Ha dato al reale e agente Stato la burocrazia come corpo e ha sopraordinato questa, come spirito che sa, al materialismo della società civile. Ha opposto l'universale in sé e per sé dello Stato al particolare interesse e al bisogno della società civile. In una parola, egli espone dovunque il conflitto di società civile e Stato. 2. Hegel oppone la società civile come classe privata allo Stato politico. 3· Egli designa l'elemento di classe del potere legislativo come il semplice formalismo politico della società civile. Lo qualifica come un rapporto di riflessione della società civile nello Stato, e come un rapporto di riflessione che non altera l'essere dello Stato. Un rapporto di riflessione è anche la piu alta identità fra cose essenzialmente diverse. D'altra parte, Hegel vuole: r) non far apparire la società civile, nel suo autocostituirsi quale elemento legislativo, né come massa, massa indivisa, né come una moltitudine decomposta nei suoi atomi: egli non vuole nessuna separazione della vita civile dalla vita politica; 2) dimenticare che si tratta di un rapporto di riflessione, e fare le classi civili, come tali, classi politiche, ma ancora soltanto secondo l'aspetto del potere legislativo, cosi che la loro stessa attività sia la prova della separazione. Egli fa l'elemento di classe espressione della separazione, ma, al tem' politisch-stiindisches. • Cioè: la società civile classista, borghese, «si deve staccare» ossia deve uscire «da se stessa» nell'« atto politico>>, com'è chiarito piu avanti da M. stesso. Il termine «estatico» dal greco ekstasis: uscita da sé, distacco.
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po stesso, questo elemento dev'essere il rappresentante di un'identità che non c'è. Hegel sa della separazione di società civile e di Stato politico, ma vuole espressa all'interno dello Stato l'unità del medesimo, e ciò deve effettuarsi in modo che gli stati della società civile formino contemporaneamente, come tali, l'elemento di classe della società legislativa (cfr.
XIV, X). § 304- «L'elemento politico-di stato contiene, in pari tempo, nella sua determinazione propria, la distinzione degli stati, esistente già nelle sfere anteriori. La sua posizione anzitutto astratta, cioè dell'estremo dell'universalità empirica, di fronte al principio del sovrano o del monarca in genere - nella quale soltanto si trova la possibilità dell'accordo e quindi, del pari, la possibilità di ostile opposizione - questa astratta posizione diventa rapporto razionale (sillogismo, cfr. nota al paragrafo 302) soltanto perché viene ad esistere la sua mediazione. Come già, da parte del potere sovrano, il potere governativo (§ 300) ha questa determinazione, cosi anche da parte degli stati un momento dei medesimi dev'essere rivolto verso la determinazione di esistere essenzialmente come momento del medio :.. § 305. «L'uno degli stati della società civile contiene il principio che per sé è atto a esser costituito come tale rapporto politico, cioè lo stato dell'eticità naturale, che ha a sua base la vita familiare e, riguardo alla sussistenza, il possesso fondiario; e quindi, riguardo alla sua particolarità, ha in comune con l'elemento della sovranità una volontà che si fonda sopra di sé e la determinazione naturale, che l'elemento della sovranità chiude in sé».
§ 306. « Esso stato, piu particolarmente, è costituito per la posizione e la significazione politica, in quanto i suoi beni sono indipendenti tanto dai beni dello Stato, quanto dall'insicurezza del commercio, dal desiderio di guadagno e dalla mutabilità del possesso in generale - come dal favore del potere governativo, cosi dal favore della moltitudine - e persino è rafforzato contro il proprio arbitrio per questo: che i partecipi di questo stato, chiamati a questa determinazione, sono privi del diritto degli altri cittadini di disporre, da una parte, liberamente di tutta la loro proprietà e, dall'altra, di sapere che essa trapassa ai figli in base all'eguaglianza dell'amore per essi; onde la ricchezza diventa bene ereditario inalienabile, gravato da maiorascato :.. Aggiunta: « Questo stato ha una volontà piu consistente per sé. Nel complesso, lo stato dei possessori fondiari si distinguerà nella
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parte cçlta dei medesimi e nella classe dei contadini. Intanto, a queste due specie si contrappongono lo stato industriale, come quello dipendente dal bisogno e ad .:sso diretto, e lo stato generale in quanto dipendente essenzialmente dallo Stato. La sicurezza e la stabilità di questo stato può esser accresciuta ancora mediante l'istituzione del maggiorasco, che, tuttavia, è desiderabile soltanto nel rispetto politico, poiché ad esso è congiunto un sacrificio, per il fine politico che il primogenito possa vivere indipendente. Il fondamento del maggiocasco sta in ciò: che lo Stato deve contare non sulla semplice possibilità del sentimento, ma su un che di necessario. Ora, il sentimento non è, certo, legato a una ricchezza, ma connessione relativamente necessaria è che chi ha una fortuna indipendente non è limitato da circostanze esteriori, e cosi può procedere liberamente e operare per lo Stato. Dove, pertanto, mancano istituzioni politiche, la fondazione e protezione dei maggioraschi non è che un vincolo ch'è posto alla libertà del diritto privato, e deve aggiungervisi il significato politico o esso va incontro alla sua dissoluzione ). § 307. « Il diritto di questa parte dello stato sostanziale, in tal modo, è si fondato sul principio naturale della famiglia**, ma questo è sovvertito, ad un tempo, da duri sacrifici per il fine politico: per cui questo stato è destinato essenzialmente all'attività per tale fine, e parimente, in conseguenza, è chiamato e autorizzato ad essa dalla nascita, senza l'accidentalità di una scelta. Quindi esso ha la posizione stabile, sostanziale, tra l'arbitrio soggettivo o l'accidentalità dei due estremi, e come esso (v. paragr. preced.) porta in sé un'immagine del momento del potere del sovrano, cosi divide anche, con l'altro estremo, i bisogni, che sono del resto eguali, e gli eguali diritti; e cosi diventa, a un tempo, sostegno del trono e della società».
Hegel ha fatto un pezzo di bravura: ha dedotto dall'idea assoluta pari per nascita, il bene ereditario etc., questo « sostegno del trono e della società ». Il piu profondo in Hegel è che egli sente come una contraddizione la separazione di società civile e società politica. Ma il falso in lui è ch'egli si appaga dell'apparenza di questa soluzione e la spaccia per la cosa stessa, allorché le « cosiddette teorie », da lui spregiate, esigono la « sep2razione » delle classi civili dalle classi politiche, e con ragione, perché esse esprimono una conseguenza della moderna società, essendo in questa l'elemento politico-di classe precisamente niente altro che l'espressione effettiva del reale rapporto di Stato e società civile, la loro separazwne.
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Hegel non ha chiamato la cosa di cui qui si tratta col suo nome conosciuto. È la controversia circa la costituzione rappresentativa 1 e la costituzione per stati •. La costituzione rappresentativa è un progresso certo, poiché essa è l'espressione aperta, non falsificata, conseguente, delle condizioni moderne dello Stato. Essa è la contraddizione smascherata. Prima di addentrarci nella cosa stessa, diamo ancora un colpo d'occhio all'esposizione hegeliana. «Nell'elemento di stato del potere legislativo lo stato privato perviene ad un significato politico >. Antecedentemente (§ 301, nota) si diceva: «La peculiare • determinazione concettuale degli stati • è quindi da cercare in questo: che in essi viene ad esistere in rapporto allo Stato... l'intelligenza propria e la volontà propria della sfera che, in questa esposizione, è stata chiamata società civile •• >. Riassumendo, ne segue: che la società civile è la classe privata o che la classe privata è l'immediato, essenziale e concreto stato della società civile. Solo nell'elemento di classe del potere legislativo essa società attinge « significato e attività politici >. È, questo, qualcosa di nuovo che le si aggiunge, una particolare funzione, ché precisamente il suo carattere di stato privato esprime la sua opposizione al significato e all'attività politici, la privazione del carattere politico, cioè che la società civile in sé e per sé è senza significato e attività politici. Lo stato privato è lo stato della società civile, o la società civile è lo stato privato. Quindi Hegel esclude coerentemente lo «stato generale> dall'« elemento di stato del potere legislativo >. « Lo stato generale, che si dedica piu da presso al servizio del governo, ha immediatamente, nella sua determinazione, l'universale per fine della sua attività essenziale >. La società civile o la classe privata non ha ciò come sua determinazione; la sua attività essenziale non ha la determinazione di avere come fine l'universale, ossia la sua attività essenziale non è alcuna determinazione dell'universale, non è una determinazione universale. Lo stato privato è lo stato contro stato della società civile. Lo stato della società civile non è alcun stato politico_ Qualificando la società civile come stato privato, Hegel ha spiegato le distinzioni di classe della socittà civile come distinzioni non politiche, e come eterogenee e opposte la. vita civile e la vita politica. Come prosegue ora? « Il medesimo [lo stato privato] non può ora apparire, qui, né come semplice massa indistinta, né come una moltitudine risolta nei suoi atomi; ma come ciò ch'esso è già, vale a dire differenziato nello stato che si fonda sul rapporto sostanziale e in quello che si fonda sui bisogni particolari e sul lavoro che li media (§ 201 sgg.). Solo cosi, in questo riguardo, l'elemento particolare, reale nello Stato, si congiunge veramente col generale > [ § 303 ]. 'ep,iisentative,, o moderna. • stiindische,, o medievale.
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In quanto è una c mera massa indivisa ~ la società civile (lo stato privato) non può certo apparire nella sua attività legislativo-di classe, ché la mera c massa indivisa~ esiste soltanto nella «rappresentazione~ della c fantasia ~, non nella realtà. Nella realtà ci sono Soltanto delle masse piu o meno grosse (città, borghi etc.). Queste masse, o meglio, questa massa non solo appare ma è ovunque realiter «una moltitudine dissolta nei suoi atomi ~ e come atomica essa deve apparire e prodursi nella sua attività politico-di classe. Lo stato privato, la società civile, non può qui apparire «come ciò ch'è già~. e in effetti che cosa esso è già? è stato privato, cioè opposizione allo Stato e separazione da esso. Per attingere c significato e attività politici :. esso deve piuttosto rinunciare a ciò ch'è già come stato privato. Per ciò soltanto esso consegue il suo « significato politico:. e la sua «attività politica:.. Questo atto politico è una completa transustanziazione. In esso la società civile si deve staccare da se stessa in quanto società civile, in quanto stato privato, e far valere una parte del suo t>ssere che non solo non ha niente di comune con l'esistenza · civile reale del suo t>ssere, ma che le è direttamente opposta. Ciò ch'è la legge generale si mostra qui nell'individuo. Società civile e Stato sono separati. Dunque, cittadino dello Stato e cittadino semplice, membro della società civile, sono ·anch'essi separati. Il cittadino deve, dunque, operare .una rottura essenziale seco stesso. Come cittadino reale esso si trova in una doppia organizzazione: quella burocratica - ch'è un'esterna, formale determinazione dello Stato trascendente, del potere governativo, che non tocca il cittadino e la sua realtà indipendente - e quella sociale, l'organizzazione della società civile. Ma in questa esso sta, come uomo privato, fuori dello Stato: essa non tange lo Stato politico come tale. La prima è un'organizzazione statale, a cui esso cittadino offre sempre la materia. La seconda è un'organizzazione civile', la di cui materia non è lo Stato. Nella prima lo Stato si rapporta come opposizione formale al cittadino, nella seconda questi si rapporta come opposizione materiale allo Stato .. Per comportarsi, dunque, come reale cittadino dello Stato, e attingere significato e attività politici, esso è costretto a uscir fuori dalla sua realtà civile, ad astrarsi da essa, a ritrarsi da tutta questa organizzazione nella sua individualità; ché l'unica esistenza ch'esso trova per la sua qualità di cittadino dello Stato è la sua pura, nuda, individualità, essendo compiuta, senza di lui, l'esistenza dello Stato come governo, t>d essendo compiuta, senza lo Stato, la sua esistenza nella società civile. Solo in contraddizione con queste uniche comunità esistenti, solo in quanto individuo, esso può essere cittadino dello Stato. La sua esistenza come cittadino dello Stato è un'esistenza ch'è situata fuori della sua esistenza comune ed è dunque puramente individuale. Il «potere '
biirgerlich~.
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legislativo:., in quanto c potere:., è soltanto l'organizzazione, il cot-po comune, ch'essa deve avere. Prima del «potere legislativo:. la società civile, lo stato privato, non esiste come organizzazione statale, e affinché pervenga a esistenza siffatta, occorre che la sua reale organizza:~.ione, la reale vita civile, sia posta come non esistente, ché l'elemento di classe del potere legislativo ha precisamente la determinazione di porre come non esistente lo stato privato, la società civile. La separazione della società civile dallo Stato politico appare necessariamente come una separazione del cittadino politico, del cittadino dello Stato, dalla società civile, dalla sua propria effettiva empirica realtà, ché in quanto idealista dello Stato esso è un tutt'altro ente, diverso dalla sua realtà, distinto, opposto. La società civile effettua qui entro se stessa il rapporto di Stato e società civile, che d'altra parte esiste già come burocrazia. Nell'elemento di classe l'universale diventa realmente per sé ciò ch'esso è in sé, cioè l'opposto del particolare. Il cittadino semplice deve abbandonare il suo stato, la società civile, lo stato privato, per pervenire a significato e attività politici, ché precisamente questo stato sta fra l'individuo e lo Stato politico. Se Hegel oppone già l'insieme della società civile, come stato privato, allo Stato politico, va da sé che le distinzioni all'interno dello stato privato, le diverse condizioni civili, hanno soltanto un significato privato, nessun significato politico, in rapporto allo Stato. Giacché i diversi stati civili sono semplicemente la realizzazione, l'esistenza, del principio, dello stato privato come principio della società civile. Ma se si è dovuto rinunciare al principio, s'intende da sé che a maggior ragione le distinzioni all'interno di questo principio non esistono per lo Stato politico. « Solo cosf, in questo riguardo conclude Hegel il paragrafo [§ 303] - l'elemento particolare, reale nello Stato, si congiunge veramente col generale >. Ma Hegel scambia qui lo Stato come l'insieme dell'esistenza di un popolo con lo Stato politico. Quel particolare non è il « partiaJiare nello Stato», ma piuttosto c fuori dello Stato», fuori cioè dello Stato politico. Non solo non è «il particolare reale nello Stato>, ma altresf è l'« irrealtà dello Stato». Hegel intende spiegare che le classi della società civile sono le classi politiche, e per dimostrare questo suppone che le classi della società civile siano la « particolarizzazione dello Stato politico», cioè che la società civile sia la società politica. L'espressione «il particolare nello Statò :. qui può avere soltanto il senso de « la particolarizzazione dello Stato». La scelta dell'espressione indeterminata è dettata a Hegel da una cattiva coscienza. Non solo ha egli stesso svolto il contrario, ma lo conferma egli stesso in questo paragrafo allorché qualifica la società civile come c stato privato». Molto cauta è anche l'indicazione: che il particolare « si congiunge » con l'universale. Congiungere si possono le cose le piu eterogenee. Ma non si tratta qui di un passaggio graduale, bensf di
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una transustanziazione, e non serve il non voler vedere questo abisso che si salta e ch'è dimostrato dal salto stesso. Hegel dice nella nota: «Ciò va contro un'altra concezione corrente:. etc. Abbiamo appunto mostrato come questa corrente concezione sia conseguente, necessaria, una «rappresentazione necessaria dell'attuale sviluppo popolare», e come la concezione di Hegel, sebbene anch'essa molto corrente in certe sfere, sia una cosa non vera. Tornando alla concezione corrente, Hegel dice: « Questa veduta atomistica, astratta, scompare già nella famiglia :li etc. etc. « Ma lo Stato è :. etc. Astratta è certo questa veduta, ma è l'« astrazione » propria dello Stato politico, quale Hegel stesso lo deduce. Atomistica essa è anche, ma è l'atomismo della società stessa. La «veduta :t non può esser concreta quando l'« oggetto » di essa è «astratto ». L'atomismo, in cui la società civile precipita nel suo atto politico, risulta necessariamente da questo: che la comunità, l'esser in comune, in cui esiste l'individuo, è la società civile separata dallo Stato; o che lo Stato politico è un'astrazione da essa società. Questa veduta atomistica, benché scompaia già nella famiglia e forse (? ?) anche nella società civile, ritorna nello Stato politico, precisamente perché esso è un'astrazione dalla famiglia e dalla società civile. E reciprocamente. Con l'esprimere la stranezza di questo fenomeno, Hegel non ha superato l'estraniazione. « La concezione », è detto in seguito, «che risolve di "lluovo in una moltitudine d'individui le comunità esistenti •• già in quelle cerchie in cui esse si presentano nel campo politico, cioè nel punto di vista della suprema universalità concreta, appunto perciò tiene • separate l'una dall'altra la vita civile e la politica, e campa, per cosi dire, quest'ultima nell'aria, poiché la sua base sarebbe solo l'astratta singolarità dell'arbitrio e dell'opinione, e quindi l'accidentale, non una base in sé e per sé stabile e legittima » (§ 303). Tale concezione non mantime separate la vita civile e la vita politica: essa è semplicemente la rappresentazione di una separazione realmente esistente. Essa concezione non pone la vita politica in aria, bensl la vita politica è la vita aerea, l'eterea regione della società civile. Consideriamo soltanto il sistema degli stati e il sistema rappresentativo. È un progresso della storia che ha mutato le classi politiche in classi sociali, in modo che, come i cristiani sono eguali in cielo e ineguali in terra, cosf i singoli membri del popolo sono eguali nel cielo del loro mondo politico e ineguali nell'esistenza terrestre della società. La trasformazione propriamente detta delle classi politiche in civili accadde nella monarchia assoluta. La burocrazia fece valere l'idea dell'unità contro i diversi stati nello Stato. Ciò nondimeno,_ anche a lato della burocrazia del potere _governativo assoluto, la distinzione sociale degli stati rimase una di-
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stinzione politica, politica all'interno e accanto alla burocrazia del potere governativo assoluto. Soltanto la Rivoluzione francese condusse a termine la trasformazione delle classi politiche in sociali, ovvero fece delle differenze di classe della società civile soltanto delle differenze sociali, delle differenze della vita privata, che sono senza significato nella vita politica. Fu con ciò compiuta la separazione di vita politica e di società civile. Le classi della società civile si trasformarono parimente: la società civile con la sua separazione da quella politica era divenuta un'altra. La classe in senso medievale sussistette soltanto dentro la burocrazia stessa, dove la posizione civile e quella politica sono immediatamente identiche. E di fronte sta la società civile come stato privato. La distinzione di stato non è piu, qui, una distinzione secondo il bisogno e il lavoro in quanto corpo autonomo. L'unica differenza generale, superficiale e formale, è qui ancora soltanto quella di città e campagna. Ma entro la stessa società la differenza si è ~volta in cerchie mobili, non fisse, il cui principio è l'arbitrio. E denaro e cultura ne sono i criteri capitali'. Ma non qui, è nella critica dell'esposizione hegeliana della società civile che abbiamo da svolgere ciò. Basta. Lo stato della società civile non ha come suo principio né il bisogno, ch'è un momento naturale, né la politica. È una divisione di masse che si formano fugacemente, la cui stessa formazione è arbitraria e non è un'organizzazione. Caratteristico è soltanto che la mancanza di beni e la condizione del lavoro diretto, del lavoro concreto, costituiscono meno uno stato della società civile che non il terreno su cui posano e si muovono le sue cerchie. Lo stato caratteristico, in cui posizione politica e posizione civile coincidono, è solo quello dei membri del potere governativo. Lo stato attuale della società mostra già la sua differenza dallo stato di una volta della società civile in questo: che esso non è, come una volta, qualcosa di comune, una comunità che tiene l'individuo, ma è in parte caso, in parte lavoro 1 A proposito di questi criteri della società borghese, vedi, nell'lntrodu~ione alla presente Critica ... , pubblicata nel I 844 (cfr. sopra nota I ai Manoscritti), il seguente connesso concetto di «rivoluzione politica» o borghese (ch'era già un « sogno utopistico» nella Germania semifcudale intorno al '40): «In che consiste una rivoluzione parziale, soltanto politica? In questo: che una parte della società civile si emancipa e perviene all'egemonia; e che una determinata classe intraprende, partendo dalla sua particolare situazione, l'emancipazione generale della società. E questa classe emancipa la società intera. ma solo sul presupposto che l'intera società si trovi nella situJzionc di questa classe: ch'essa possieda dunque, ad es., denaro c cultura, o possa procurJrseli ». (Gesamtausgahe cit., I, I, I, p. 6I7). E vedi, poco oltre (p. 619), la conclusione sul « ruolo di liberatore » che spetta infine al proletariato come classe che, « organizzando tutte le condizioni dell'esistenza umana sul presupposto della libertà sociale», e non « meramente politica>>, supera l'emancipazione <<parziale>> o borghese in una emancipazione «generale e umana» dell'uomo. Su rivoluzione «sociale» e rivoluzione «politica», cfr. anzitutto le Glosse critiche marginali all'articolo mi re di Prussia e la riforma sociale, 1844: Gesamtausgabe, I, I, 3, pp. 5-23. E cfr. Questione ebraica, I, Gesamtausgabe, I, 1, I, pp. 593-599. E il Manifesto.
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etc., dell'individuo, si attenga questi al proprio stato o no; è uno stato ch'è a sua volta soltanto una determinazione esteriore dell'individuo, ché esso stato non è inerente al suo lavoro e non si rapporta all'individuo come un'oggettiva comunità, organizzata secondo leggi stabili e avente con lui stabili relazioni. Esso, piuttosto, non è in alcun reale rapporto con l'agire sostanziale dell'individuo, col suo reale stato. L'esercizio della medicina non costituisce nessun particolare stato nella società civile. Un commerciante appartiene a uno stato diverso da quello di un altro commerciante, cioè a una diversa situazione sociale. Cosi come la società civile si è separata da quella politica, la società civile si è separata, nel suo interno, in stato e in situazione sociale, per quante relazioni vi siano fra i due. Il principio della condizione borghese ossia della società civile è il godimento, la capacità di fruire. Nell'acquistare significato politico il membro della società civile si stacca dal suo stato, dalla sua effettiva posizione privata; è colà soltanto che perviene come uomo ad aver significato, ovvero la sua determinazione come membro dello Stato, come ente sociale, si manifesta quale sua determinazione umana. Giacché tutte le altre sue determinazioni, nella società civile, appaiono come inessenziali all'uomo, all'individuo, come determinazioni esteriori, necessarie, è vero, alla sua esistenza d'assieme, cioè quale legame con l'assieme, ma legame di cui può altrettanto bene sbarazzarsi in seguito. (L'attuale società civile è il principio realizzato dell'individualismo; l'esistenza individuale è lo scopo ultimo: attività, lavoro, contenuto etc., sono soltanto dei mezzi). La costituzione di stati, quando non è una tradizione medievale, è il tentativo di rigettare, in parte, l'uomo, dentro la stessa sfera politica, nella limitatezza della sua sfera privata, di 'fare deila sua particolarità la sua coscienza sostanziale, e per il fatto che la distinzione di classe esiste politicamente farne di nuovo una distinzione sociale. L'uomo reale è l'uomo privato dell'attuale costituzione dello Stato. La classe ha soprattutto il significato: che la differenza, la separazione, sono l'esistenza del singolo. Il modo di vivere, l'attività etc., di questi, invece di farne un membro, una funzione della società, ne fa un'eccezione della società, è il suo privilegio. Che tale differenza non sia solo una differenza individuale, ma si stabilisca come comunità, stato, corporazione, ciò non soltanto non sopprime la sua natura esclusiva, bensf ne è piuttosto soltanto l'espressione: invece di essere, la singola funzione, funzione della società', è costituita piuttosto in una società per sé. Non solo la classe si basa sulla separazione della società come legge generale; essa separa l'uomo dal suo essere generale, ne fa un animale che coincide immediatamente con la sua determinatezza. Il medioevo è la storia animale dell'umanità, la sua zoologia. 1
Sozietiit.
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Il tempo moderno, la civiltà, commette l'errore inverso. Separa l'essere oggettivo dell'uomo da questi, come un essere soltanto esteriore, materiale. Non assume il contenuto dell'uomo come la vera realtà di questi. Il resto in proposito si spiegherà nella sezione: « società civile » '. Veniamo al § 304. «L'elemento politico-di classe contiene, in pari tempo, nella sua significazione • propria*, la distinzione degli stati, esistenti già nelle sfere anteriori »Abbiamo mostrato che la distinzione delle classi, esistente già nelle sfere anteriori, non ha alcun significato per la sfera politica, ovvero ha soltanto il significato di una distinzione privata, dunque non politica. Ma essa anche ha affermato qui, secondo Hegel, non la sua « significazione già esistente» (la significazione che ha nella società civile), bens[ l'« elemento politico di classe», in quanto questo l'accoglie, come il suo essere; ed essa, immersa nella sfera politica, assume un « proprio » significato, appartenente a questo elemento e non ad essa. Allorché la struttura della società civile era ancora politica e lo Stato politico era la società civile, questa partizione, questo sdoppiamento del significato delle classi, non c'erano. Le classi non significatfano già questa cosa nel mondo civile e un'altra in quello politico. Esse non già acquistavano un significato nel mondo politico, bensl vi significavano se stesse. Il dualismo di società civile e di Stato politico, che la costituzione classista [moderna] crede di risolvere con una reminiscenza •, viene fuori in tal guisa che la distinzione delle classi (la distinzione della società civile in se stessa) acquista nella sfera politica un altro significato che nella civile. C'è qui apparente identità, medesimo soggetto, ma con una determinazione essenzialmente diversa, dunque in verità c'è un doppio soggetto, e questa illu.(Qria identità (essa è già illusoria perché il reale soggetto, l'uomo, nelle diverse determinazioni della sua essenza, rimane eguale a se stesso, non perde la sua identità, ma qui non l'uomo è soggetto, bensl l'uomo è identificato con un predicato, la classe, e nello stesso tempo si afferma che esso è in questa specifica determinazione e in un'altra, che esso, come questa specifica, esclusiva limitazione, è altro che non tale limitazione) è mantenuta artificiosamente mediante la riflessione che, una volta, la distinzione civile delle classi riceve come tale una determina1 Ma questa (§§ 182-256) precede nel testo hegeliano. Comunque, Marx ne ha trattato qm, e ancora ne tratterà, in rapporto alla terza sezione dedicata allo Stato (§§ 257-360), e propriamente, sappiamo, in rapporto ai §§ 261-313 di questa. • Invece di << significazione », il testo hegeliano reca: «determinazione». 8 Intendi: la « reminiscenza» feudale. medievale, palese nella camera alta costituita di signori di maggiorasco, o carnei a di casta, ch'è, nelle intenzioni di Hegd, « sostegno» del «trono» e della « società», c insomma «suprema sintesi » delle "contraddizioni» fra governo e popolo'
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zione che le deriva dalla sfera politica, e un'altra volta essa riceve una determinazione, nella sfera politica, che non le deriva dalla sfera politica, bensf dal soggetto della sfera civile. Per rappresentare quel soggetto delimitato, la determinata classe (la distinzione di classe), come l'essenziale soggetto dei due predicati, questi vengono entrambi mistificati e sviluppati in una doppia figura illusoria, indeterminata. Il medesimo soggetto è qui preso in differenti significati, ma il significato non è la sua determinazione bensf una determinazione allegorica, interpolata. Si potrebbe assumere per lo stesso significato un altro soggetto concreto, e per lo stesso soggetto un altro significato. Il significato, che la distinzione civile delle classi assume nella sfera politica, non deriva da essa, bensf dalla sfera politica, ed essa potrebbe qui avere anche un altro significato, come dd resto è stato storicamente, e viceversa: È la maniera acritica, mistica, di interpretare un'antiquata concezione del mondo nel senso di una moderna, onde la prima diventa nient'altro che qualcosa di infelicemente ibrido, in cui la forma inganna il significato e il significato la forma, e né la forma perviene al suo significato e ad esser reale forma, né il significato perviene alla forma e ad esser reale significato. Questa acrisia, questo misticismo, è altrettanto l'enigma delle moderne costituzioni ( xm;' 6çoxijv di quelle per stati) che il mistero della filosofia hegeliana, della filosofia del diritto e della religione, prima di tutto. Ci si libera nel moclo migliore da questa illusione se si prende il significato per quello che è, per la determinazione propriamente detta, e se ne faccia come tale il soggetto e si confronti se il soggetto suo presunto appartenente è il suo reale predicato e se esso rappresenta la sua essenza e la sua vera realizzazione. «La sua posizione (dell'elemento politico-di stato) • anzitutto astratta, cioè dell'estremo dell'universalità empirica, di fronte al principio del sovrano o del monarca in genere - nella quale soltanto si trova la possibilità dell'accordo e quindi del pari, la possibilità di ostile opposizione - questa astratta posizione diventa rapporto razionale (sillogismo, cfr. nota al § 302) soltanto perché viene ad esistere la sua mediazione ~ [ § 304]. Abbiamo già visto che le classi formano assieme al potere governativo il termine medio fra il principio monarchico e il popolo, fra la volontà dello Stato, quale esiste come una sola volontà empirica, e quale esiste come molte volontà empiriche, fra l'indzvidualità empirica e l'universalità empirica. Hegel dovette determinare la volontà sovrana come individualità empirica, cosi come determinò la volontà della società civile come univerJalità empirica, ma non esprime l'opposizione in tutta la ~ua acutezza. Hegel continua: « Come già, dal lato del potere sovrano, il potere governativo (§ 300) ha questa determinazione, cosf anche dal lato degli
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stati un momento dei medesimi dev'essere rivoho verso la determinazione di esistere essenzialmente come momento del medio ~. Ma i due veri opposti sono il principe e la società civile. E ab\>iamo già visto che lo stesso significato, che ha il potere governativo dal lato del principe, lo ha l'elemento di classe dal lato del popolo. Come il sovrano si emana in cerchi divergenti, cosi il popolo si condensa in un'edizione in miniatura, ché la monarchia costituzionale può accordarsi solamente col popolo en miniature. L'elemento di classe è assolutamente la medesima astrazione dello Stato politico, dal lato della società civile, ch'è il potere governativo dal lato del principe. Sembra dunque che la mediazione sia completamente costituita. Ambo gli estremi hanno smesso la loro rigidezza, e inviato incontro [l'uno all'altro] il fuoco della loro essenza particolare, e il potere legislativo, di cui sono elementi tanto il potere governativo che le classi, sembra non solo che non possa fare a meno di lasciar pervenire all'esistenza la mediazione, ma che esso stesso sia già la mediazione pervenuta all'esistenza. Hegel ha anche già qualificato questo elemento di classe assieme al potere legislativo come il medio fra il popolo e il principe (e parimente l'elemento di classe come il medio fra la società civile e il governo etc.). Il rapporto razionale, il sillogismo, sembra dunque già pronto. Il potere legislativo, il medio, è un mixtum compositum di ambo gii estremi, del principio sovrano e della società civile, dell'individualità empirica e dell'universalità empirica, del soggetto e del predicato. Hegel concepisce in genere la deduzione come medio: cioè come un mixtum compositum. Si può dire che nel suo sviluppo del sillogismo della ragiom: tutta la trascendenza e il mistico dualismo del suo sistema pervengono a manifestarsi. Il medio è il ferro di legno, è l'opposizione dissimulata di universalità e singolarità. OsservÌamo dapprima, a proposito di tutto questo sviluppo, che la «mediazione», che Hegel vuole effettuare qui, significa quella sua esigenza ch'egli deriva non dall'essenza del potere legislativo, dalla sua peculiare determinazione, ma piuttosto dalla considerazione al riguardo di un'esistenza che resta al di fuori clelia sua de.terminazione essenziale. È una costruzione del riguardo. Il potere legislativo, specialmente, è spiegato soltanto in riguardo di un terzo elemento. È quindi, a preferenza, la costruzione della sua esistenza formale che occupa tutta l'attenzione. Il potere legislativo è costruito molto diplomaticamente. Ciò consegue dalla posizione falsa, illusoria, xcn' fçox:Ì]v politica, rhe ha il potere legislativo nello Stato moderno (di cui Hegel è interprete). Ne consegue da sé che questo Stato non è un vero Stato, giacché in esso le determinazioni statali, di cui una è il potere legislativo, devono esser apprezzate non in se stesse e per se stesse, non teoricamente, bensl praticamente, non come forze indipen-
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der.ti, ma si inficiate di un contrasto; non secondo la natura della cosa, bensl secondo le regole convenzionali. Dunque, l'elemento di classe dovrebbe propriamente essere, «in comune col potere governativo», il medio fra la volontà dell'individualità empirica, del principe, e la volontà della generalità empirica, della società civile; ma in verità, realiter, la «sua • posizione> è una «anzitutto astratta posizione, cioè dell'estremo dell'universalità empirica di fronte al principio del sovrano o del monarca in genere, - nella quale soltanto si trova la possibilità dell'accordo e quindi, del pari, la possibilità di ostile opposizione • »: una «posizione astratta>, come Hegel giustamente osserva. Innanzi tutto, sembra che qui né l'« estremo dell'universalità empirica», n{ il «principio del sovrano o del monarca», l'estremo dell'individualità empirica, se ne stiano l'uno di fronte all'altro. Giacché le classi sono delegate dalla società civile, come il potere governativo è delegato dal principe. Come il principio sovrano cessa, nel potere governativo delegato, di esser l'estremo dell'individualità empirica, e piuttosto in esso rinuncia alla sua volontà «senza fondamento ** » e si abbassa alla «finitezza» del sapere e alla responsabilità del pensare, cosi la società civile non sembra piu esser nell'elemento di classe universalità empirica, ma un tutto molto determinato che ha tanto il « senso e la mentalità dello Stato e del governo, quanto degli interessi delle cerchie particolari e dei singoli» (§ 302). La società civile ha cessato, nella sua classista edizione in miniatura', di essere l' « universalità empirica ». Essa è piuttosto calata a una delegazione, a un numero ben determinato; e come il sovrano si è dato nel potere governativo un'empirica generalità, cosi la società civile si è data nelle classi un'empirica individualità o particolarità. Entrambi sono divenuti particolarità. L'unica opposizione, qui ancora possibile, sembra quella fra ambo i rappresentanti delle due volontà statali, fra le due emanazioni, fra l'elemento governativo e l'elemento di classe del potere legislativo; sembra, dunque, una opposizione entro lo stesso potere legislativo. La mediazione in comune sembra altresl bene adatta a prendersi l'un l'altro per i capelli. Nell'elemento di governo del potere legislativo l'individualità empirica, inaccessibile, del principe si è materializzata in un numero di personalità definite, palpabili, responsabili, e nell'elemento di classe [del potere legislativo] la società civile si è sublimata in un certo numero di uomini politici. Ambo le parti hanno perduto la loro impermeabilità: il potere sovrano, l'inaccessibile, esclusiva, empirica unicità; la società civile l'inaccessibile, vaga, empirica totalità; l'uno la sua rigidezza, l'altra la sua fluidità. Nell'elemento di classe, da una parte, e nell'elemento governativo o 1 Edizione in miniatura, in quanto si tratta appunto di una società civile classista, che, per la sua parzialità, è il popolo in miniatura, come Marx ha detto.
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potere legislativo, dall'altra, che in comune volevano mediare la soCieta civile e il principe, l'opposizione .sembra, dunque, primamente pervenuta ad esser un'opposizione pugnace, dunque anche una contraddi.zione irreconciliabile. Questa « mediazione > necessita so'ltanto di ciò ·che Hegel giustamente spiega: del «perché viene ad esistere la sua • [dell'elemento di classe] mediazione». Essa stessa è piuttosto l'esistenza che non la mediazione della contraddizione. Che questa mediazione si effettui da parte dell'elemento di classe, 'sembra che Hegel lo affermi senza fondamento. Egli dice: «Come già, dal lato del potere sovrano, il potere governativo (§ 300) ha questa determinazione, cosi anche dal lato degli stati un momento dei medesimi dev'essere rivolto verso la determinazione di esistere essenzialmente come momento del medio >. Ma abbiamo già visto che Hegel qui arbitrariamente e inconseguentemente pone a confronto come degli estremi il principe e le classi. Come il potere governativo riceve quella determinazione dal potere sovrano, cosi l'elemento di classe la riceve dalla società civile. Le classi non stanno soltanto, in comune col potere governativo, tra il principe e la società civile, esse stanno anche tra il governo in genere e il popolo (§ 302). Esse fanno, da parte della società civile, di piu di quel che faccia il potere governativo, da parte del potere sovrano, giacché quest'ultimo persino sta di fronte al popolo come suo opposto. Esse hanno cosi colmato la misura della mediazione. Perché, dunque, caricare ancora questi asini di sacchi? Perché deve, dunque, l'elemento di classe fare ovunque da ponte-d'asino, persino fra se stesso e il suo antagonista? Perché esso è ovunque l'abnegazione stessa? Deve esso tagliarsi una mano, affinché non possa tener testa con tutt'e due al suo antagonista, l'elemento governativo del potere legislativo? Vi si aggiunge anche che Hegel primieramente fece risultare le classi dalle corporazioni, dalle differenze di stato etc., affinché non siano una c mera generalità empirica:., e che ora, all'inverso, ne fa una « mera generalità empirica> per farne rilevare la differenza propria della classe! Come il principe si media con la società civile attraverso il potere governativo, suo Cristo, cosi la società si media col principe attraverso gli stati, suoi preti. Sembra ora, piuttosto, che il ruolo degli estremi, potere sovrano (individualità empirica) e società civile (universalità empirica), debba essere di servir da mediatori delle «loro mediazioni>, tanto piu che « appartiene alle vedute logiche piu importanti che un momento determinato, il quale, in quanto sta in antitesi, ha la posizione di un estremo, cessi di esser tale e sia un momento organico, per ciò che esso è, al tempo stesso, termine medio> (§ 302, nota). Sembra che la società civile non possa as100
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sumere questo ruolo, giacché essa non ha posto nel c potere legislativo ,. come ciò ch'è essa stessa, come estremo. L'altro estremo, che come tale si trova nel mezzo del potere legislativo, il principio sovrano, sembra dunque che debba fare da mediatore fra l'elemento di classe e l'elemento governativo. Esso sembra, altresl, qualificato per ciò. Ché, da un lato, esso rappresenta l'intero dello Stato, dunque anche la società civile, e particolarmente ha in comune con gli stati l' « individualità empirica,. della volontà, poiché l'universalità empirica è reale solo come individualità empirica. E inoltre non sta di fronte alla società civile, come soltanto qualcosa di formale, in quanto coscienza statale, come il potere governativo: esso stesso è Stato, ha, in comune con la società civile, il momento materiale, naturale. Dall'altro lato il sovrano è la testa e il rappresentante del potere· governativo. (Hegel, che inverte tutto, fa del potere governativo il rappresentante, l'emanazione, del principe. Poiché, nell'idea, di cui H principe ha da essere l'esistenza, Hegel vede non .J'idea reale del potere governativo, non il potere governativo nella sua idealità, bensl il soggetto ch'è l'idea assoluta, la quale esiste corporeamente nel principe, il potere governativo diventa un mistico prolungamento dell'anima esistente in quel corpo, nel corpo del principe). Il principe dovrebbe, dunque, essere, nel potere legislativo, il termine medio fra il potere governativo e l'elemento [politico-] di classe; ma il potere governativo non è termine medio fra esso e la società [politico-] di classe [o costituzionale], e questa termine medio fra esso e la società civile? Come farebbe il principe a mediare ciò di cui esso abbisogna come di suo medio, per non esser un estremo unilaterale? Qui si affaccia tutto l'assurdo di questi estremi che, alternativamente, ora giuocano il ruolo dell'estremo e ora il medio. Sono teste di Giano, che ora si mostrano davanti e ora di dietro e davanti hanno un carattere diverso che di dietro. Ciò che dapprima si determina come medio fra due estremi si presenta ora esso stesso come estremo, e l'uno dei due estremi, che attraverso quello era stato mediato con l'altro, si ripresenta ora come estremo (perché nella sua distinzione dall'altro estremo) fra il suo estremo e il suo medio. È un complimentarsi a vicenda. Come quando uno s'intromette fra due litiganti e uno di questi a sua volta s'intromette fra l'intermediario e l'altro litigante. È la storia del marito e della moglie che leticavano e del medico che voleva fare da conciliatore, onde la moglie dovette intromettersi fra il medico e il marito e questi fra la moglie e il medico. È come il leone che nel Sogno di una notte d'estate grida: «io sono un leone e non sono un leone, io sono Snug·:. 1 • Cosi ogni estremo 1 Vedi, nella commedia di Shakespeare intitolata Sogno di una notte di mezza estate, la fi JZione in maschera della scena prima dell'atto terzo. Ma parole consimili sono ivi pronunciate da Bottom, non da Snug.
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è qui ora il leone dell'opposizione e ora lo Snug della mediazione. Quando un estremo grida: « ora sono io termine medio », gli altri due non possono toccarlo, ma solo possòno colpire l'altro ch'era estremo prima. Si vede ch'è un'associazione battagliera in fondo al cuore, ma troppo timorosa dei lividi per batter$i realmente; e i due che vogliono battersi si contengono in modo che il terzo, che nel frattempo interviene, debba prendere le percosse, e allora si ripresenta uno dei due come terzo, e cosi a forza di prudenza non giungono ad alcuna decisione. Questo sistema di mediazione procede anche come quell'uomo che vuole battere l'avversario, ma deve anche proteggerlo, d'altra parte, contro altro avversario dai colpi, e cosi in questa doppia occupazione non giunge a compiere la sua faccenda. È singolare che Hegel che riduce questa assurdità della mediazione alla sua espressione astratta, logica, quindi pura e intransigibile, la designa al tempo stesso come mistero speculativo della logica, come il rapporto razionale, come il sillogismo. Estremi reali non possono rnediarsi fra loro, proprio perché sono reali estremi. Ma neanche abbisognano di alcuna mediazione, ché sono di opposta natura. Non hanno niente di comune l'uno con l'altro, non si richiedono l'un l'altro, non si integrano l'un l'altro. L'uno non ha nel suo seno brama, bisogno, anticipazione dell'altro. (Ma quando Hegel tratta universalità e singolarità, gli astratti momenti del sillogismo, da reali opposti, è questo precisamente il dualismo fondamentale della sua logica. Il resto in proposito appartiene alla critica della logica hegelianaì. A questo sembra contrapporsi: les extrèmes se touchent. Che polo nord e polo sud si attraggono, e parimente si attraggono sesso femminile e sesso maschile, onde dal congiungimento delle loro estreme differenze nasce l'u~mo. D'altra parte: ogni estremo è l'altro suo estremo; l'astratto spiritualismo è astratto materialismo; l'astratto materialismo è l'astratto spiritualismo della materia. Per ciò che concerne il primo punto, polo nord e polo sud sono entrambi dei poli; la loro essenza è identica: parimente sesso femminile e sesso maschile sono entrambi un genere, una essenza, l'essenza umana. Nord e sud sono opposte determinazioni di una essenza: la differenza di un'essenza al suo piu alto punto di sviluppo. Sono l'essenza differenziata. Sono ciò che sono soltanto come una determinazione differenziata, e come questa differenziata determinazione dell'essenza. V eri reali estremi sarebbero il polo e il non-polo, il genere umano e l'inumano. La differenza è qui una differenza dell'esistenza; là una differenza dell'essenza, di due essenze. Per ciò che concerne il secondo punto, il tratto principale consiste in questo: che un concetto (esistenza, etc.) è preso astrattamente, che esso ha significato non in quanto indipendente, bensf come un'astrazione da un altro e solo come questa astrazione; cosi, per es., lo spirito è sol102
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tanto l'astrazione dalla materia. S'intende allora da sé che, precisamente perché questa forma deve trovare il suo contenuto, esso spirito è piuttosto l'astratto contrario, l'oggetto, da cui astrae, nella sua astrazione, qui dunque l'astratto materialismo, sua reale essenza. Se la differenza all'interno dell'esistenza di un ente non fosse stata confusa in parte con l'astrazione ipostatizzata 1 '(astrazione, s'intende, non da altro, ma propriamente da se stesso), in parte con l'opposizione reale di enti reciprocamente esclusivi, si sarebbe evitato un triplice errore: I) che, tenendosi per vero soltanto l'estremo, si tenga per vera ogni astrazione e unilateralità, per cui un principio appare, invece che come una totalità in se stesso, solo come astrazione da un altro; 2) che la risolutezza 2 di opposti reali, la loro costituzione in estremi, che non è niente altro che la loro conoscenza di se stessi e il loro accendersi alla decisione della lotta, sia pensata come qualcosa di possibilmente evitabile o nocivo; 3) che si cerchi la luro mediazione. Ché, per quanto ambo gli estremi si presentino nella loro esistenza come reali e come estremi, è proprio soltanto dell'essenza di uno d\ essere estremo, e esso non ha per l'altro il significato della vera 1'ealtà. L'uno invade • l'altro. La posizione non è uguale. Ad esempio, cristianesimo o religione in generale e filosofia sono estremi. Ma in verità la religione non costituisce alcun vero opposto della filosofia: ché la filosofia comprende la religione nella sua illusoria realtà. La religione - in quanto vuoi essere una realtà - è dunque, per la filosofia, risolta in essa filosofia. Non si dà un reale dualismo dell'essenza. Di piu in seguito. Si chiede: come Hegel giunge, insomma, ad aver bisogno di una nuova mediazione da parte dell'elemento di classe? O Hegel partecipa al «pregiudizio frequente, ma sommamente pericoloso, di concepire gli stati principalmente dal punto di vista dell'antitesi verso il governo, come se questa fosse la loro essenziale posizione»? (§ 302, nota). La cosa è semplicemente questa: da una parte, si è visto che, nel «potere legislativo», la società civile come elemento «degli stati» e il potere sovrano come « elemento di governo » si sono ispirati a una reale, diretta opposizione pratica. D'altra parte, il potere legislativo è totalità. Vi troviamo: I} la delegazione del principio sovrano, il «potere governativo»; 2) la delegazione della società civile, l'elemento «degli stati:.; ma oltre a ciò vi si trova 3) uno degli estremi, come tale, il principio sovrano, laddove l'altro estremo, la società civile, come tale non vi si trova. Perciò solo l'elemento «degli stati» diventa l'estremo del principio «sovrano:., estremo che propriamente doveva essere la società civile. Solo come elemento classista 1 2
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verselbstiindigten Abstrak,tion. Entschiedenheit. greift uber.
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la società civile si organizza, come abbiamo visto, in esistenza politica. L'elemento «degli stati» è la sua esistenza politica, la sua transustanziazione nello Stato politico. Solo il «potere legislativo» è quindi, come si è visto, il vero Stato politico nella sua totalità. Qui c'è dunque: 1) il principio sovrano, 2) il potere governativo, 3) la società civile. L'elemento « degli stati » è «la società civile dello Stato politico », del « potere legislativo». L'estremo, che la società civile doveva costituire rispetto al principe, è quindi l'elemento «degli stati». (È perché la società civile è la non realtà dell'esistenza politica, che l'esistenza politica della società civile è la dissoluzione di questa, la sua separazione da se stessa). Parimente esso estremo costituisce dunque un'opposizione al potere governativo. Perciò Hegel designa ancora l'elemento «degli stati» come l'« estremo dell'universalità empirica», il che veramente è la società civile stessa. (Hegel ha, dunque, fatto risultare inutilmente l'elemento politico-di classe dalle corporazioni e dai diversi stati. Ciò avrebbe senso solo se ora i diversi stati fossero come tali degli stati legislativi, se dunque la differenziazione della società civile, la determinazione civile, fosse la determinazione politica. Allora non avremmo un potere legislativo dell'insieme dello Stato, bensl il potere legislativo di differenti stati, corporazioni e classi 1 sull'insieme dello Stato. Gli stati della società civile non riceverebbero determinazione politica, ma determinerebbero essi lo Stato politico. Essi farebbero della loro particolarità il potere determinante della totalità. Sarebbero la potenza del particolare sopra l'universale. Avremmo anche non un potere legislativo, bensl piu poteri legislativi, che transigerebbero. fra loro e col governo. Ma Hegel ha in vista il significato moderno dell'elemento di classe: di esser la realizzazione del cittadino dello Stato, del bourgeois. Egli vuole che l' « universale in sé e per sé », lo Stato politico, non sia determinato dalla società civile, ma, all'inverso, la determini. Mentre, dunque, accoglie la figura del medievale elemento di classe, dà a esso elemento il significato opposto di esser determinato dall'essenza 'dello Stato politico. Gli stati come rappresentanti della corporazione etc. non sarebbero la « universalità empirica », bensl la « particolarità empirica», la «particolarità dell'empiria»!). Il «potere legislativo» abbisogna, dunque, in se stesso della mediazione, cioè di un occultamento dell'opposizione, e tale mediazione deve partire dall' « elemento degli stati », poiché questo elemento perde, entro il potere legislativo, il significato di rappresentanza della società civile e diventa elemento primario, è la società civile del potere legislativo. Il «potere legislativo» è la totalità dello Stato politico, e perciò precisamente la sua contraddizione resa manifesta. Esso è dunque altrettanto la sua dissoluzione posta. Principi del tutto diversi 1
Klassen.
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fan carambola in esso. Certo, ciò appare come opposizione degli elementi del principio sovrano e del principio [politico-] di classe etc. Ma in verità è l'antinomia di Stato politico e società civile, è la contraddizione dell'astratto Stato politico con se stesso. Il potere legislativo è la posizione della rivolta 1 • (L'errore principale di Hegel consiste in ciò: ch'egli assume la contraddizione del fenomeno come unità nell'essenza, nell'idea, laddove essa contraddizione ha la sua ragione in qualcosa di piu profondo, cioè in una sostanziale contraddizione, come, per es., qui il contraddirsi del potere legislativo in se stesso è soltanto la contraddizione dello Stato politico con se stesso, e dunque della società civile con se stessa. (La critica volgare cade in un opposto, dogmatico errore. Cosi essa critica, ad es., la costituzione: attira l'attenzione sull'antitesi dei poteri etc., trova ovunque delle (;Ontraddizioni. Questo è ancora della critica dogmatica, che lotta col suo oggetto, all'incirca come una volta si eliminava il dogma della santa Trinità per la contraddizione di uno e tre. La vera critica, invece, mostra l'intima genesi della santa Trinità nel cervello umano. Descrive il suo atto di nascita. Cosi la critica veramente filosofica dell'odierna costituzione dello Stato non indica soltanto le sussistenti contraddizioni, ma le spiega, ne comprende la genesi, la necessità. Le prende nel loro peculiare significato. Ma questo comprendere non consiste, come Hegel crede, nel riconoscere ovunque le determinazioni del concetto puro •, bensi nel concepire la logica specifica dell'oggetto specifico). Hegel si esprime dicendo che nella posizione dell'elemento politicodi classe rispetto a quello sovrano « si trova soltanto la possibilità dell'accordo e ~uindi, del pari, la possibilità di ostile opposizione~. La possibilità dell'opposizione si trova ovunque s'incontrano volontà diverse. Hegel stesso dice che la « possibilità dell'accordo» è la « possibilità dell'opposizione,. Egli è costretto, dunque, ora a istituire un elemento che sia la «impossibilità dell'opposizione~· e la «realtà dell'accordo». Un tale elemento sarebbe perciò, per lui, la libertà di decisione e di pensiero di fronte al volere sovrano e del governo: non apparterrebbe, dunque, piu all'elemento «politico-di stato». Sarebbe, piuttosto, un elemento della volontà sovrana e del governo e si troverebbe rispetto al reale elemento di classe nella stessa antitesi del governo stesso. Questa istanza è già molto moderata dalla conclusione del paragrafo [ § 304]: « Come già, da parte del potere sovrano, il potere governativo (§ 300) ha questa determinazione, cos{ anche da parte degli stati un momento dei medesimi dev'essere rivolto verso la determinazione di esistere essenzialmente * come momento * del medio * ). gesetzte Revo/te. • logischetl Begriffs.
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L'elemento ch'è delegato dagli stati deve avere la determinazione inversa di quella che ha il potere governativo da parte 'dei -principi, ché l'elemento sovrano e l'elemento d-egli stati sono opposti estremi. Come il principe si democratizza nel potere· governativo, cosi questo elemento «degli stati » deve monarchizzarsi nella sua delegazione. Ciò che Hegel vuole, dunque, è un elemento sovrano da parte degli stati. Come il potere governativo è un elemento di classe, dalla parte del principe, cosi deve anche esserci un elemento sovrano dalla parte delle classi. La < e l'« impossibilita dell'opposizione> si convertono nella seguente istanza: «Da parte degli stati un momento dei medesimi dev'essere rivolto verso la determinazione • di esistere • essenzialmente • come momento • del medio • ». Rivolto verso la determinazione! Questa determinazione l'hanno, secondo il § 302, le classi in genere. Qui non dovrebbe piu trattarsi di « determinazione», bensi di «determinatezza ». E che cos'è-imomma una determinazione «di esistere essenzialmente come momento del medio»? È essere, secondo la propria « essen7.a », l' <
stiindischen,
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l'organizzazione considerata. Certo, non è con ciò raggiunto quel che Hegel vuole, la «realtà dell'accordo ~ e l' « impossibilità di opposizione ostile:., piuttosto si resta alla «possibilità dell'accordo~. Ma è l'illusione posta dell'unità dello Stato politico con se stesso (della volontà sovrana e della volontà costituzionale, oltre che del principio dello Stato politico e della società civile), di questa unità come principio materiale, cioè in modo che non solo due opposti principi si uniscano, ma che l'unità sia la loro natura, il loro fondamento d'esistenza. Questo momento dell'elemento costituzionale è il romanticismo dello Stato politico, il sogno della sua sostanzialità o del suo accordo seco stesso. È un'esistenza allegorica. Dipende ora dal reale status quo del rapporto fra elemento costituzionale e elemento sovrano che questa illusione sia illusione efficace o consapevole autoinganno. Fintanto che gli stati e il potere sovrano son d'accordo di fatto, e s'intendono, l'illusione della loro essen'
§ 305. « L'uno degli stati* della * società civile * contiene il principio che per sé è atto a essere costituito come questo rapporto politico*; cioè lo stato dell'eticità naturale, che ha a sua base la vita familiare e, riguardo alla sussistenza, la proprietà fondiaria, e quindi, riguardo alla sua particolarità, ha in comune con l'elemento sovrano una volontà che si fonda sopra di sé, e la determinazione naturale che l'elemento sovrano chiude in sé>. Abbiamo già mostrato l'inconseguenza hegeliana I) di concepire l'elemento politico-di classe nella sua moderna astrazione dalla società civile etc., dopo averlo fatlo risultare dalle corporazioni; 2) di determinarlo ora, di nuovo, secondo-la differenziazione-in-stati della società civile, dopo aver già determinato le classi politiche, come tali, come l' « estremo della universalità empirica~. Consequenziale sarebbe ora il considerare le classi politiche per se stesse, come nuovo elemento, e in base ad esse costruire la mediazione richiesta al § 304. Ma osserviamo come Hegel reintroduce la distinzione-in-stati della società civile e, nello stesso tempo, fa nascere l'apparenza che la realtà, l'essere peculiare della civile distinzione di stati, non determini la suprema sfera politica, il potere legislativo, ma che, all'inverso, si abbassi a un mero materiale che la sfera politica forma e costruisce secondo il suo intimo bisogno. «L'uno degli stati della società civile contiene il principio • che per
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sé è atto a esser costituito come questo rapporto politico ••; cioè lo stato dell'eticità naturale •• ». (Lo stato dell'agricoltore). In che consiste ora questa capacità fondativa ovvero questa capacità di principio della classe agricola? Essa ha « a sua base • la vita familiare •• e, riguardo alla sussistenza, la proprietà fondiaria •, e quindi, riguardo alla sua particolarità**, ha in comune con l'elemento sovrano una volontà che si fonda sopra di sé ••, e !a determinazione naturale •• che l'elemento sovrano • chiude in sé». La << volontà che si fonda sopra di sé » si rapporta alla sussistenza, alla «proprietà fondiaria»; la <<determinazione naturale», comune al potere sovrano, si rapporta alla «vita familiare'> come base. La « sussistenza della proprietà fondiaria » e una « volontà che si fonda sopra di sé» sono due cose diverse. Ci sarebbe da parlare, piuttosto, di una volontà che si basa su «beni fondiari». E bisogneretbe piuttosto parlare di una volontà riposante sul «sentimento dello Stato», e non su se stessa ma sul tutto. Al posto del « sentimento », del « possesso dello spirito pubblico 1 », si presenta il « possesso fondiario ». Inoltre, per ciò che concerne la « vita familiare » come base, sembra che la moralità «sociale» della società civile sia piu alta che questa « eticità naturale». Di piu, la « vita familiare » è l' «eticità naturale» degli altri stati, ossia della classe cittadina della società civile, altrettanto che della classe terriera. Ma che la «vita familiare» sia nella classe agricola non soltanto il principio della famiglia, bensf anche la base della sua esistenza sociale in genere, ciò sembra piuttosto renderla inidonea al piu alto compito politico, in quanto tale classe applicherà delle leggi patriarcali in una sfera non patriarcale, e farà valere il figlio o il padre, il padrone o il servo, là dove si tratta dello Stato politico, della qualità di cittadino dello Stato. Per ciò che concerne la determinazione naturale dell'elemento sovrano, Hegel ha mostrato non un re patriarcale, bensf un re moderno, costituzionale. La sua determinazione naturale consiste in ciò: ch'esso è il rappresentante fisico dello Stato e ch'è nato re o che la regalità è la sua eredità di famiglia: ma che ha in comune ciò con la vita familiare come base della classe agricola, che cosa ha in comune l'eticità naturale con la determinazione naturale della nascita come tale? Il re ha in comune col cavallo questo: che come il cavallo è nato cavallo, il re è nato re. Se Hegel aveva fatto politica la differenza di classe da lui assunta come tale, la classe agricola era già, come tale, una parte autonoma dell'elemento costituzionale, e se essa è cosi un momento della mediazione col potere sovrano, che bisogno c'era della costruzione di una nuova mediazione! E perché staccare tale classe dal momento propriamente costi1
Staatsgeistes.
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tuzionale, quando quest'ultimo cade in postziOne « astratta :. rispetto all'elemento sovrano proprio solo con quel distacco! Ma dopo che Hegel ha sviluppato precisamente l'elemento politico-di classe come un peculiare elemento, come una transustanziazione dello stato privato nella qualità di cittadino dello Stato, e proprio perciò lo ha trovato bisognevole di mediazione, come può ora decomporre ancora questo organismo nella differenza dello stato privato, dunque nello stato privato, e da questo ricavare la mediazione dello Stato politico con se stesso! Insomma, quale anomalia che la suprema sintesi dello Stato politico non sia nient'altro che la sintesi di proprietà fondiaria e vita familiare! In una parola: Dal momento che le classi civili sono, come tali, classi politiche, non occorre quella mediazione; e dal momento che occorre quella mediazione, la classe civile non è politica, e non lo è dunque neanche quella mediazione. L'agricoltore allora non come tale, bensi come cittadino dello Stato, è parte dell'elemento politico di classe, mentre all'inverso (quando egli è cittadino dello Stato nella sua qualità di agricoltore o agricoltore nella sua qualità di cittadino dello Stato) la sua qualità di cittadino dello Stato è la sua stessa qualità di agricoltore: egli non è cittadino dello Stato in quanto è agricoltore, bensi in quanto cittadino dello Stato è agricoltore 1 1 Anche qui, dunque, c'è un'inconseguenza di Hegel dentro il suo proprio modo di vedere, e una tale inconseguenza è un compromesso. L'elemento politico-di classe è nel senso moderno, nel senso sviluppato da Hegel, la supposta compiuta separazione della società civile dal suo stato prit:ato e relative differenze. Come Hegel può fare lo stato privato soluzione delle antinomie del potere legislativo in sé? Hegel vuole il sistema medievale degli stati, ma nel senso moderno del potere legislativo, e vuole il moderno potere legislativo, ma nel corpo del sistema medievale degli stati: è del peggiore sincretismo •. 1 l capoversi seguenti, nei quali M. caratterizza il c compromesso • hegeliano fra il sistema medievale degli stati (nella fattispecie, l'agricoltore che come tale fa parte dell'elemento politico-di classe) e il sistema moderno degli stati (l'agricoltore che come cittadino dello Stato fa parte dell'elemento politico-di classe nel c potere legislativo»), chiariranno gli apparenti bisticci di que~to passo. Tutte le pagine seguenti, fino all'inizio del commento del § 308 incluso (fino a p. 129, primi due capoversi), sono dedicate alla critica sociologica degli sviluppi finali del dialettico compromesso hegeliano che conclude a fare della carnera alta, dci pari ecc., il vertice dello Stato, la c suprema sintesi :. o conciliazione delle sue c contraddizioni ,. in quanto la detta camera di casta è costituita dai legislatori c nati » (cioè senza l'caccidentalità d'una scelta,. popolare!) che non possono essere che i membri per eccellenza dello « stato sostanziale :. : cioè gli agricoltori o proprietari fondiari signori · di maggiorasco. • È una contaminazione del c legittimismo » di un Haller col c costituzionalismo» di Montesquieu e la c democrazia :. di Rousseau. Come sopra, nella deduzione del monarca e qua e là altrove.
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In principio al § 304 è detto: «L'elemento politico-di stato contiene, in pari tempo, nella sua determinazione propria la distinzione degli stati, esistente già nelle sfere anteriori ». Ma nella sua propria determinazione l'elemento politico-di classe contiene questa distinzione solo in quanto esso l'annulla, in quanto in se stesso la distrugge, in quanto astrae da essa. Se la classe agricola, ossia, come vedremo in seguito, la classe agricola potenziata, la proprietà fondiaria nobile, come tale diventa, nella guisa ·descritta, la mediazione dello Stato politico totale, del potere legislativo in se stesso, ciò è certo la mediazione dell'elemento politico-di classe col potere sovrano, nel senso che è la dissoluzione dell'elemento politico-di classe in quanto elemento politico reale. Non la classe agricola, bens( la classe, lo stato privato, l'analisi {la riduzione) dell'elemento politico-di classe nello stato privato, è qui la ricostituita unità dello Stato politico seco stesso. (Non la classe agricola come tale è qui la mediazione, bensf la sua separazione dall'elemento politico-di classe, nella sua qualità di stato privato civile; vale a dire che il suo esser stato privato le dà una posizione a parte nell'elemento politico-di classe: e dunque anche l'altra parte dell'elemento politico-di classe assume la posizione di uno stato privato particolare, e cessa però di rappresentare la qualità di cittadino dello Stato della società civile). Qui non c'è piu ora lo Stato politico come due opposte volontà, bensf da una parte c'è lo Stato politico (governo e principe), e dall'altra c'è la società civile nella sua distinzione dallo Stato politico. (Le diverse classi). Con ciò anche lo Stato politico come totalità è soppresso. Il primo significato dello sdoppiamento dell'elemento politico-di classe in se stesso, in quanto mediazione col potere sovrano, è insomma che la separazione di questo elemento in se stesso, la sua propria opposizione in se stesso, è la sua restituita unità col potere sovrano. Il dualismo fondamentale fra l'elemento sovrano e l'elemento costituzionale [o politico-di classe] del potere legislativo viene neutralizzato dal dualismo dell'elemento costituzionale seco stesso. Ma in Hegel questa neutralizzazione si produce in quanto l'elemento politico-di classe si separa dal suo elemento politico stesso. Per quel che concerne la proprietà fondiaria come sussistenza, che deve corrispondere alla sovranità del volere, alla sovranità del principe, e la vita familiare come base della classe agricola, che deve corrispondere alJa determinazione naturale del potere sovrano, ci ritorneremo sopra piu avanti. Qui, al § 305, è sviluppato il «principio » della classe agricola, « che per sé è atto a esser costituito come questo rapporto politico ». Al § 306 si tratta di questo «costituirsi » « come posizione e significato politici». Esso si riduce a questo: che «la ricchezza diventa un inalienabile bene ereditario, gravato di maggiorasco • ». Il « maggiorasco :. sarebbe, dunque, il costituirsi politico della classe agricola. IlO
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«La fondazione del maggiorasco:. è detto nell'Aggiunta «sta in ci~, che lo Stato deve contare non sulla mcra possibilità •• del sentimento, bens( su un che di necessario •. Ora, il sentimento non è certamente legato a una ricchezza, ma relativamente necessaria •• connessione è che chi ha una ricchezza autonoma non è limitato da circostanze esteriori e cosi può • procedere liberamente e agire per lo Stato>. Prima tesi. Allo Stato non basta « la mera possibilità del sentimento », esso d-eve contare su un che di « necessario ». Seconda tesi. « Il sentimento non è legato a una ricchezza »: cioè il sentimento della ricchezza è una « mcra possibilità». Terza tesi. Ma ha luogo una « relativamente necessaria connessione >, cioè « che chi ha una ricchezza autonoma etc., può agire per lo Stato :., vale a dire la ricchezza dà la « possibilità » del sentimento dello Stato; ma precisamente, secondo la prima tesi, questa «possibilità» non basta. Di piu, Hegel non ha spiegato perché la proprietà fondiaria è l'unica ricchezza autonoma. La costituzione della sua fortuna come indipendente è la costituzione della classe agricola «come posizione e significato politici». Ossia «l'indipendenza della fortuna » è la sua «posizione e significazione politica>. Questa indipendenza viene inoltre cosi sviluppata: La sua « fortuna • » è « indipendente • dalla fortuna dello Stato •• >. Per fortuna dello Stato è qui intesa palesemente la cassa governativa. In questo senso lo « stato generale» « si contrappone», «in quanto dipendente essenzialmente dallo Stato ». Cosi è detto nella prefazione [alla Filosofia del diritto di Hegel], p. 13: «Del resto, da noi la filosofia • non è esercitata, come all'incirca presso i Greci, quale arte privata, bensf ha un'esistenza pubblica, riguardante il pubblico, principalmente o unicamente • al servizio • dello Stato ». Dunque: anche la filosofia è «essenzialmente » dipendente dalla cassa governativa. La sua fortuna è indipendente «dall'incertezza del commercio, dalla brama del guadagno e dalla mutabilità del possesso in genere ». In questo riguardo vi si contrappone lo « stato della industria », «in quanto esso dipende dal bisogno ed è rivolto ad esso». Questa fortuna è cosi indipendente «tanto dal favore • del potere governativo •• che dal favore • della moltitudine • ». Essa è infine assicurata persino contro il proprio arbitrio, in quanto che i membri di questa classe, chiamati a questa destinazione, «mancano del diritto degli altri cittadini, di disporre, da una parte, liberamente di tutta la loro proprietà, e di sapere, dall'altra, ch'essa trapassa ai figli secondo l'eguaglianza dell'amore per essi ». Le opposizioni hanno assunto qui una figura tutta nuova e molto materiale, quale a mala pena potevamo attenderci nel cielo dello Stato politico. III
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L'opposizione, come Hegel la sviluppa, è, espressa in tutta la sua acutezza, l'opposizione di proprietà privata e fortuna. La proprietà fondiaria è la proprietà privata xa•' Èçoxrrv, la proprietà privata propriamente detta. La sua esatta natura privata si rivela 1) come «indipendenza dalla fortuna dello Stato», dal «favore del potere governativo», dalla proprietà esistente quale «generale proprietà dello Stato politico »j come una particolare fortuna, dopo la costruzione dello Stato politico, accanto ad altre fortune; 2) come «indipendenza dal bisogno » della società, ossia dalla « fortuna sociale », dal «favore della moltitudine ». (È parimente caratteristico che la partecipazione alla fortuna dello Stato è intesa come « favore del potere governativo » e la partecipazione alla fortuna sociale è intesa come «favore della moltitudine»). La fortuna dello «stato generale" e dello «stato industriale» non è una proprietà privata propriamente detta, perché essa è condizionata, nel primo caso direttamente e nel secondo indirettamente, dal rapporto con la fortuna generale o proprietà in quanto proprietà entro la società', ne è una partecipazione, e ha perciò, in ambo i casi, come intermediario il c favore », cioè la « casualità del volere"· Le si contrappone la proprietà fondiaria come proprietà privata sovrana, che non ha ancora raggiunto la forma della fortuna, cioè di una proprietà determinata dalla volontà sociale. La costituzione politica al suo apice è, dunque, la costituzione della proprietà privata. Il piu alto sentimento politico è il sentimento della proprietà privata. Il maggiorasco è meramente la manifestazione esterna deil'interna natura della proprietà fondiaria. In quanto quest'ultima è inalienabile, le sono recisi i nervi sociali e il suo isolamento dalla società civile è assicurato. In quanto essa non è tramandata secondo l' « eguaglianza dell'amore per i figli», è distaccata, indipendente, persino dalla società minore, dalla società naturale della famiglia, dalla sua volontà e dalle sue leggi; e conserva dunque la natura arcigna • della proprietà privata anche davanti al trapasso in fortuna familiare. Hegel aveva dichiarato, al § 305, la classe dei proprietari fondiari capace di esser costituita in «rapporto politico>, poiché la «vita familiare :1> è la sua « base :t. Egli ha persino dichiarato l' « amore " come la base, il principio, lo spirito della vita familiare. Nella classe che si fonda sulla vita familiare manca, dunque, la base della vita familiare, l'amore come principio reale, dunque efficace e determinante. È la vita di famiglia senz'anima, l'illusione della vita familiare. Nel suo piu alto sviluppo il principio della proprietà privata contt·addice il principio della famiglia. Contrariamente dunque alla classe dell'eticità naturale, della vita fami1 2
als sozialem. schrofle.
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liare, è piuttosto nella società civile soltanto che la vita familiare perviene a esser la vita della famiglia, la vita dell'amore. La prima è piuttosto la barbarie della proprietà privata contro la vita familiare. Questo sarebbe, dunque, la sovrana grandezza della proprietà privata fondiaria, per la quale, negli ultimi tempi, ci sono stati tanti sentimentalismi e si sono versate tante svariate lacrime di coccodrillo'. Non giova che Hegel dica che il maggiorasco è meramente un'esigenza della politica e che dev'essere compreso nella sua posizione e nel suo significato politici. Non giova ch'egli dica: «la sicurezza e la stabilità di questo stato possono 'esser accresciute ancora mediante l'istituzione del maggiocasco, che tuttavia è desiderabile solo nel riguardo politico *"', poiché a essa è congiunto un sacrificio per il fine politico n che il primogenito possa vivere indipmdente •• :.. C'è in Hegel una certa decenza, il ritegno dell'intelligenza. Egli non vuole giustificare e costruire il maggiorasco in sé e per sé, lo vuole soltanto in rapporto ad altro, non come autodeterminazione, bensf come determinato da qualcosa d'altro, non. come fine, ma come mezzo per un fine. In verità il maggiorasco è una conseguenza dell'esatta proprietà fondiaria, è la proprietà privata pietrificata, la proprietà privata (quand meme) nella piu alta autonomia e acuità del suo sviluppo. E ciò che Hegel presenta come il fine, la determinante, la prima causa del maggiorasco, è piuttosto un effetto del medesimo, una conseguenza, la possanza dell'astratta proprietà privata sullo Stato politico, mentre Hegel rappresenta il maggiorasco come la possanza dello Stato politico sulla proprietà privata. Egli fa della causa l'effetto, e dell'effetto la causa, del determinante il determinato e del determinato il determinante. Ma qual è il contenuto della costituzione politica, del fine politico? Qual è il fine di questo fine? Quale ne è la sostanza? Il maggiorasco, il superlativo della proprietà privata, la sovrana proprietà privata. Quale potere esercita lo Stato politico sulla proprietà privata nel maggiorasco? Che isola questo dalla famiglia e dalla società, e lo porta alla sua astratta indipendenza. Qual è, dunque, il potere dello Stato politico sulla proprietà privata? Il potere proprio della proprietà privata, la sua essenza fatta esistenza. Che cosa resta allo Stato politico, in opposizione a questa essenza? L'illusione di esser determinante là dove è determinato. Esso spezza, è vero, la volontà della famiglia e della società, ma soltanto per conferire esistenza alla volontà della proprietà privata ch'è senza famiglia e senza società, e riconoscere quest'esistenza come l'esistenza suprema dello Stato politico, come l'esistenza etica suprema. Consideriamo i diversi ·elementi, come si comportano, qui nel potere 1 Lacrime di fisiocratici, di romantici e hegeliani. E cfr. nei Manoscritti la nota di Marx sull'hegeliano Funke;
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legislativo, nello Stato totale, pervenuto alla realià e conseguenza e coscienza propria, nel reale Stato politico, i.n confronto con la determinazione e la figura ideali o normative ', logiche, di questi elementi. (Il maggiorasco non è, come Hegel dice, « un impaccio alla libertà del diritto privato~. è piuttosto la «libertà del diritto privato scioltosi da tutti gli impacci sociali e morali »). (« La piu alta costruzione politica è qui la costruzione della proprietà privata astratta »). Prima di fare tale confronto, c'è da esaminare ancor piu da vicino una disposizione del paragrafo, secondo cui la fortuna della classe agricola, la proprietà fondiaria, la proprietà privata, è, mediante il maggiorasco, « assicurata persino contro il proprio arbitrio, in quanto che i membri di questo stato, chiamati a questa destinazione, mancano del diritto degli altri cittadini di disporre liberamente di tutta la loro proprietà ». Abbiamo già rilevato che mediante l' « inalienabilità » della proprietà fondiaria i nervi sociali della proprietà privata sono recisi. La proprietà privata (la proprietà fondiaria) è assicurata contro l'arbitrio proprio del possessore in quanto che la sfera del suo arbitrio si converte, da generale umano arbitrio, nello specifico arbitrio della proprietà privata, e la proprietà privata è divenuta il soggetto della volontà e la volontà il mero predicato della proprietà privata. La proprietà privata non è piu un determinato oggetto dell'arbitrio, bensl l'arbitrio è il predicato determinato della proprietà privata. Tuttavia, confrontiamo ciò che dice Hegel stesso nel campo del diritto privato: § 65. « La mia proprietà posso alienarla, perché essa è mia solo in quanto io ponga in essa la mia volontà [ ... ] ; ma unicamente in quanto la cosa sia, per sua natura, un che di esteriore». § 66. «Inalienabili sono, quindi, quei beni, o piuttosto quelle sostanziali determinazioni, cosi come imprescrittibile è il diritto ad esse, che costituiscono la mia persona piu propria e l'essenza generale della mia autocoscienza: come la mia personalità in genere, la mia generale libettà di volere, la mia eticità, la mia religione». Nel maggiorasco la proprietà fondiaria, l'esatta proprietà privata, diventa perciò un bene inalienabile, dunque una determinazione sostanziale, che costituiscono la «persona piu propria, l'essenza generale dell'autocoscienza» della classe dei signori di maggiorasco, la loro «personalità in genere », e « libertà generale del volere » e « eticità ~ e « religione ». È, dunque, anche logico che, dove è inalienabile la proprietà privata, il possesso fondiario, siano alienabili, per contro, la « genera],. libertà del 1
uin sollenden.
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volere~ (cui appartiene anche la libera disposizione di una cosa esterna, qual è la proprietà fondiaria) e la eticità (cui appartiene l'amore in quanto reale spirito manifestantesi anche come reale legge della famiglia). L' « inalienabilità » della proprietà privata è in uno l' « alienabilità » della generale libertà del volere e della moralità sociale 1 • La proprietà qui non è piu «in quanto io ponga in essa la mia volontà ~. bensl la mia volontà è «in quanto posta nella proprietà ~. La mia volontà qui non possiede, bensl è posseduta. L'uzzolo romantico del regime di maggiocasco è precisamente che la proprietà privata, dunque l'arbitrio privato, vi appaia nella sua piu astratta figura; che la volontà rozza, assolutamente limitata, immorale, vi appaia come la piu alta sintesi dello Stato politico; come la suprema spogliazione dell'arbitrio; come la piu dura e la piu disinteressata lotta con la debolezza umana, giacché l'umanizzazione della proprietà privata appare qui come umana debolezza. Il maggiorasco è la proprietà privata divenuta religione di se stessa, la proprietà privata assorbita in se stessa, incantata della sua autonomia e sovranità. Come il maggiorasco è sottratto all'alienazione diretta, lo è anche il contratto. Hegel presenta il passaggio dalla proprietà al contratto nel modo che segue:
§ 71. «L'esistenza, in quanto essere determinato, è essenzialmente essere per altro [ ... ] ; la proprietà, dal lato ch'è un'esistenza in quanto cosa esterna, è, per altre esteriorità, e in connessione con queste, .necessità e contingenza. Ma, in quanto esistenza della volontà, essa è per altro solo per la volontà di un'altra persona. Questo rapporto di volontà a volontà è il vero e proprio terreno nel quale la libertà ha esiste11za. Questa mediazione, per cui si ha proprietà* non piu solo mediante una cosa e la mia soggettiva** volontà, ma parimente mediante un'altra Yolontà e quindi in una comun~* volontà, costituisce la sfera del contratto :..
(Nel maggiorasco è legge dello Stato che si abbia proprietà non in una volontà comune, bensf solo «mediante una cosa e la mia volontà soggettiva :. ). Mentre H egel intende, nel diritto privato, l'alienabilità, e la dipendenza della proprietà privata rispetto a una volontà comune, come il suo vero idealismo, inversamente, nel diritto pubblico, esalta la sovranità immaginaria d'una proprietà indipendente contro « l'incertezza del commercio, la brama del guadagno, la mutabilità del possesso, la dipendenza dalla fortuna pubblica:.. Che Stato, che non può tollerare neanche l'idealismo del diritto privato! Che filosofia del diritto, quella per cui l'indi1
Sittlichk~it.
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pendenza della proprietà privata ha nel diritto privato un significato diverso che nel diritto pubblico! Rispetto alla rozza stupidità della proprietà privata indipendente l'incertezza del commercio è elegiaca, la brama del guadagno patetica (drammatica), la mutabilità del possesso un fatto serio (tragico), la dipendenza dalla pubblica fortuna morale. In breve, in tutte queste qualità il cuort umano palpita attraverso la proprietà, è la dipendenza dell'uomo dall'uomo. Come che sia quest'ultima in sé e per sé, essa è umana a confronto dello schiavo che si crede libero perché la sfera che lo limita non è la società, ma un pezzo di terra: la libertà di questa volontà è la sua vacuità di ogni altro contenuto eccetto la proprietà privata. Il definire uno sconcio come il maggiorasco una determinazione della proprietà privata da parte dello Stato politico è insomma inevitabile, quando s'interpreta una vecchia concezione del mondo nel senso di una nuova'; quando si dà a una cosa, come qui alla proprietà privata, un doppio significato, un significato davanti al tribunale del diritte astratto e uno opposto nel cielo dello Stato politico. Veniamo al confronto suaccennato. Al § 257 è detto:
«Lo Stato è la realtà dell'idea etica - lo spirito etico in quanta volontà sostanziale manifesta, a se stessa chiara ... Esso ha nell'ethoJ la sua esistenza immediata, e nell'autocoscienza del singolo ... la sua esistenza mediata, cosi come questa, mediante i sentimenti, ha in esso, come sua essenza, fine e prodotto della sua attività, la sua libutà sostanziale>. Al § 268 è detto:
«Il sentimento politico, il patriottismo in genere, come certezza stante nella verità [ ... ], e la volontà divenuta consuetudine, sono soltanto risultato delle istituzioni esistenti nello Stato, nel quale la ra· zionalità esiste realmente, cosi come essa consegue la sua attuazione mediante l'agire conforme ad esse istituzioni. Questo sentimento è, in generale, la fiducia (che può diventare intelligenza piu o meno coltivata) - la coscienza che il mio sostanziale e particolare interesse è contenuto e custodito nell'interesse e scopo d'un altro (qui dello Stato) in quanto in rapporto con me quale singolo, per cui precisamente questo altro non è immediatamente un altro per me e io sono libero in questa coscienza». 1
Cioè ancora: il diritto feudale inteso nel senso del diritto (pubblico) moderno.
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La realtà dell'idea etica appare qui come la religione della proprietà privata (poiché, nel maggiorasco, la proprietà privata si trova seco stessa in un rapporto religioso, ne consegue che, nei nostri tempi moderni, la religione è divenuta in genere una qualità inerente alla proprietà fon. diaria, e che tutta la letteratura concernente il sistema del maggiorasco è piena di religiosa unzione. La religione è la suprema forma intellettuale di questa brutalità). La « volontà sostanziale manifesta, a se stessa chiara :. si trasmuta in una volontà oscura, che si frange contro la gleba, e s'inebria precisamente dell'impenetrabilità dell'elemento a cui è attaccata. « La certezza stante nella verità », ch'è il « sentimento politico~. è la certezza fondata sul suo «proprio terreno» (in senso letterale). La «volontà:. politica «divenuta consuetudine » non è piu c soltanto risultato» etc., bens( un'istituzione esistente al di fuori dello Stato. Il sentimento politico non è piu la «fiducia », ma piuttosto la « sicurezza, la coscienza, che il mio sostanziale e particolare interesse è indipendente dall'interesse e scopo di un altro (qui dello Stato) nel rapporto di questi a me come singolo:.. È la coscienza della mia libertà dallo Stato. Il «mantener fermo l'interesse generale dello Stato:. etc. (§ 289) era il compito del «potere governativo». In esso trovavasi c l'intelligenza educata e la coscienza giuridica della massa d'un popolo» (§ 279). Esso rende « per parlare propriamente, superflui gli stati :., ché i funzionari « possono fare il bene senza stati, come anche essi debbono continuamente fare il bene nelle assemblee degli stati:. (§ 301, nota). «Lo stato generale, che si dedica piu da presso al servizio del governo, ha immediatamente, nella sua determinazione, l'universale per fine della sua attività essenziale» [§ 303]. E come appare ora la classe generale, il potere governativo? «Come dipendente essenzialmente dallo Stato», come la «fortuna dipendente dal favore del potere governativo ». La stessa trasformazione è avvenuta nella società civile che aveva precedentemente raggiunto nella corporazione la sua moralità sociale. Essa società è una potenza dipendente «dall'incertezza del commercio» etc ... , dal «favore della moltitudine». Quale è, dunque, la presunta qualità specifica del maggiorasco? E in che può consistere, insomma, la qualità morale di una fortuna inalienabile? Nell'incorruttibilità. L'incorruttibilità appare come la piu alta virtu politica, un'astratta virtu. Inoltre, l'incorruttibilità è, nello Stato costruito da Hegel, qualcosa di cosi a parte da dover essere costruita come un potere politico particolare, e perciò dimostra precisamente che essa non è lo spirito dello Stato politico, non ne è la regola, bens( l'eccezione, e come tale eccezione è costruita. Per preservarli dalla corruttibilità, si corrompono con la proprietà indipendente i signori di maggiorasco. Mentre, secondo l'idea, la dipendenza dallo Stato e il sentimento di questa dipendenza dovrebbero esser la suprema libertà politica, perché si tratta
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del sotimento che ha la persona privata di esser astratta persona dipendente e che questa piuttosto si sente e deve sentirsi indipendente solo in quanto cittadino dello Stato, qui è costruita la persona prit·ata indipendente. «La sua fortuna è parimente indipendente dalla fortuna dello Stato che dall'incertezza del commercio :. etc. Vi si contrappongono « lo stato industriale in quanto dipendente dal bisogno e ad esso rivolto, e lo stato generale in quanto dipendente essenzialmente dallo Stato :.. C'è, dunque, qui indipendenza dallo Stato e dalla società civile, e questa realizzata astrazione da entrambi, ch'è realiter la piu rozza dipendenza dalla gleba, costituisce, nel potere legislativo, la mediazione e l'unità di entrambi. La fortuna privata indipendente, cioè l'astratta fortuna privata e la corrispondente persona privata, sono !a costruzione suprema dello Stato politico. L'« indipendenza» politica è costruita quale «proprietà privata indipendente :. e quale persona di questa proprietà indipendente. Vedremo quanto prima che cosa siano re vera l'« indipendenza» e l'« incorruttibilità » e la mentalità pubblica che ne scaturisce. Che il maggiorasco sia un bene ereditario s'intende da sé. E i dettagli a dopo. Ch'esso sia, come Hegel osserva nell'Aggiunta, il bene del primogenito è semplicemente storico.
§ 307. «Il diritto di questa parte dello stato sostanziale è certo, da un lato, fondato sul principio naturale della famiglia, ma questo è, nello stesso tempo, sovvertito da duri sacrifici** per il fine politico, per cui** questo stato è essenzialmente destinato all'attività per tale fine, e parimente in conseguenza di ciò è chiamato e autorizzato ad essa attività palla nascita, senza l'accidentalità d'una elezione». Come il diritto di questa classe sostanziale sia fondato sul principionaturale della famiglia, Hegel non l'ha spiegato, a meno che non intenda come tale spiegazione l'esistenza della proprietà fondiaria quale bene ereditario. Con ciò non è spiegato alcun diritto di questa classe in senso politico, bensi solo il diritto per nascita, del signore di un ma.ggiorasco, alla proprietà fondiaria. Ma « questo », il principio naturale della famiglia, «è, nello stesso tempo, sovvertito da duri sacrifici per il fine politico». Abbiamo, si, veduto che qui « il principio naturale della famiglia è sovvertito », e come, tuttavia, ciò non sia affatto un « duro sacrificio per fine politico», bensi soltanto l'astrazione realizzata della proprietà privata. Piuttosto, con questo sovvertimento del principio naturale della famiglia, è parimente sovvertito il fine politico: <
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Qui, dunque, la partecipazione al potere legislativo è un diritto innato dell'uomo. Qui abbiamo dei legislatori nati, la generata mediazione dello Stato politico seco stesso. Si sono molto scherniti, specie da parte dei signori di maggiorasco, i diritti innati dell'uomo 1 • Ma non è piu comico che sia devoluto a una particolare razza umana il diritto alla piu alta dignità del potere legislativo? Niente di piu ridicolo che il contrapporre, da parte di Hegel, la designazione per nascita del legislatore, del rappresentante del cittadino dello Stato, alla « designazione [dello stesso] secondo l'accidentalità d'una elezione». Come se l'elezione, il prodotto cosciente della fiducia del cittadino, non stesse in un rapporto ben altrimenti necessario col fine politico che non l'accidente fisico della nascita. Ovunque Hegel cade dal suo spiritualismo politico nel piu crasso materialismo. All'apice dello Stato politico è ovunque la nascita che fa di determinati individui le incarnazioni dei piu alti compiti dello Stato. Le supreme funzioni statali coincidono con l'individuo, per nascita; cosi come la situazione dell'animale, il suo carattere e il suo modo di vivere etc., gli sono immediatamente congeniti. Lo Stato, nelle sue piu alte funzioni, assume una realtà animale. La natura si vendica su Hegel del disprezzo dimostratole. Se la materia non deve esser piu niente per se stessa di fronte all'umana volontà, la umana volontà non conserva piu niente per sé all'infuori della materia. La falsa identità, l'identità frammentaria, parziale, di natura e spidto, di corpo e anima, appare come incarnazione. Poiché la nascita dà all'uomo soltanto l'esistenza individuale e lo pone dapprima soltanto come individuo naturale, e tuttavia le determinazioni politiche, come il potere legislativo, etc., sono dei prodotti sociali, generati dalla società e non dall'individuo naturale, cosi ciò che colpisce come un miracolo è precisamente l'identità immediata, la coincidenza immediata della nascita individuale e dell'individuo come individuazione di una determinata posizione e funzione sociale etc. In questo sistema la natura fa direttamente dei re, fa direttamente dei pari etc., come fa degli occhi e dei nasi. Il sorprendente è di considerare come prodotto immediato della specie fisica 1 Cioè: il diritto naturale, secolare sistema di «ideologia» politico-morale il cui sviluppo culmina nel Contratto sociale (1762) di Rousseau e nella Metafisica del diritto (o diritto razionale puro) di Kant (1797) e della scuola kantiana; sistema dei diritti universali inerenti aprioristicamente all'individuo umano e fatti valere contro le diseguaglianze e ingiustizie sociali dell'epoca delle monarchie assolute: diritti universali di libertà personale, di proprietà ecc., « scherniti » quindi dalla minoranza dei privilegiati, dai nobili signori di maggiorasco e simili. Tipica ideologia della libertà classista borghese, della «libera iniziativa» ecc. La loro formulazione assolutistica, aprioristica, rende fittizia l'universalità di quei diritti: li fa inadatti alla difesa contro le ingiustizie storicamente maturate. Li fa scadere, a loro volta, a istanze di privilegi. E Marx li critica appunto nella Questione ebraica ( 1 844), in quanto che, stgnificando essi i diritti di una persona a priori, astratta, presociale, non sono che « i diritti dell'uomo distinti dai diritti del cittadino» ossia dell'uomo sociale, «umano», concreto.
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ciò ch'è soltanto prodotto della specie cosciente di sé. Uomo sono per nascita, senza il consenso della società; ma questa determinata nascita è nascita di un pari o di un re solo per il consenso generale. Il consenso soltanto fa della nascita di quest'uomo la nascita di un re: dunque è il consenso e non la nascita che fa il re. Se è la nascita, a differenza delle altre determinazioni, che dà immediatamente all'uomo una posizione, è cosf il suo corpo che ne fa questo determinato funzionario della società. Il suo corpo è il suo diritto sociale. In questo sistema la dignità corporale dell'uomo o la dignità del corpo umano (il che compiutamente suona: la dignità dell'elemento naturale fisico dello Stato) appare in modo che delle dignità determinate, e per vero le supreme dignità sociali, sono le dignità di corpi determinati, predestinati dalla nascita. C'è, quindi, naturalmente presso la nobiltà, l'orgoglio del sangue, della discendenza, in breve la storia della vita del suo corpo; ed è naturalmente questa concezione zoologica che ha nell'araldica la sua scienza corrispondente. Il segreto della nobiltà è la zoologia. Due momenti sono da rilevare nell'ereditario maggiorasco: 1. Il momento costante è il bene ereditario, la proprietà fondiaria. È ciò che permane nel rapporto - la sostanza. Il signore di maggiorasco, il possessore, è in verità solo accidente. La proprietà fondiaria si antropomorfizza nelle diverse generazioni. La proprietà fondiaria eredita sempre, per cosf dire, il primogenito della casa come un attributo connesso. Ogni primogenito, nella serie dei proprietari fondiari, è la parte ereditaria, la proprietà della proprietà fondiaria inalienabile, ch'è la sostanza predestinata della sua volontà e attività. Soggetto la cosa, predicato l'uomo. La volontà diventa la proprietà della proprietà. 2. La qualità politica del signore di maggiorasco è la qualità politica del suo bene ereditario, una qualità politica inerente a questo bene ereditario. La qualità politica appare, dunque, qui parimente come proprietà della proprietà fondiaria; come una qualità che spetta immediatamente alla terra, alla natura puramente fisica. Consegue dal primo punto che il signore di maggiorasco è il servo della proprietà fondiaria, e che nei servi-della-gleba, a lui soggetti, appare soltanto la conseguenza pratica del rapporto teorico in cui egli stesso si trova con la proprietà fondiaria. La profondità della soggettività germanica appare ovunque come la grossolanità di una oggettività senza spirito. C'è qui da spiegare: 1) il rapporto fra proprietà privata e eredità; 2) il rapporto fra proprietà privata, eredità e il privilegio, di conseguenza, di certe famiglie di partecipare alla sovranità politica; 3) il rapporto storico reale, o rapporto germanico. Abbiamo visto che il maggiorasco è l'astrazione della «proprietà privata indipendente~. Ne deriva una seconda conseguenza. L'indipendenza, l'autonomia, nello Stato politico, la cui costruzione abbiamo seguito fin 120
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qui, è la proprietà privata che al suo apice appare come proprietà fondiaria inalienabile. L'indipendenza politica non procede, dunque, ex proprio sinu dallo Stato politico; essa non è affatto un dono dello Stato politico ai suoi membri; non è lo spirito che anima questo; bensl i membri dello Stato politico ricevono questa loro indipendenza da un ente che non è lo Stato politico, da un ente di diritto privato astratto, dall'astratta proprietà privata. L'indipendenza politica è un accidente della proprietà privata, non la sostanza dello Stato politico. Lo Stato politico, col potere legislativo ch'è in esso, è, come abbiamo visto, il mistero svelato del vero valore e della vera essenza degli elementi dello Stato. Il significato che la proprietà privata ha nello Stato politico è il suo significato essenziale, vero; il significato che la distinzione di classe ha nello Stato politico è il significato essenziale della distinzione di classe. Parimente si manifesta nel «potere legislativo» l'essenza del potere sovrano e del governo. È qui, nella sfera dello Stato politico, che i singoli elementi dello Stato se ne stanno come all'essenza del genere, alla loro «essenza generica:.; ché lo Stato politico è la sfera della loro determinazione generale, la loro sfera religiosa. Lo Stato politico è lo specchio della verità dei diversi momenti dello Stato concreto 1 • Se, dunque, la « proprietà indipendente » nello Stato politico, nel potere legislativo, ha il significato di indipendenza politica, essa è l'indipendenza politica dello Stato. La « proprietà privata indipendente», ossia la «reale proprietà privata:., è allora non soltanto il «sostegno della costituzione », ma la « costituzione stessa ». E il sostegno della costituzione non è bene la costituzione delle costituzioni, la costituzione primaria, la costituzione reale? Nel costruire il monarca ereditario, Hegel, sorpreso egli stesso, per cosi dire, dallo « sviluppo immanente di una scienza», dalla « dedt~zione di tutto il suo contenuto dal semplice concetto » (§ 279, nota), ha fatto la seguente osservazione: «Cosi è il momento fondamentale della personalità • dapprima astratta nel diritto immediato, che si è perfezionato attraverso le sue diverse forme di soggettività; e che qui, nel diritto assoluto, nello Stato, nella pienamente concreta oggettività della volontà, è la personalità dello Stato, la sua certezza di se stesso ». Cioè, nello Stato politico si mostra che la « personalità astratta » è la suprema personalità politica, la base politica dell'intero Stato. Parimente, nel maggiorasco, il diritto di questa personalità astratta, la sua oggettività, I'« astratta proprietà privata», si manifesta come la suprema oggettività dello Stato, come il suo supremo diritto all'esistenza. Cioè, tenendo presente anche il capoverso che segue, si deve intendere polemiconcreto,. la stessa società civile classista hegeliana o mondo della « reale proprietà privata ,. riflesso nello c specchio » dello c Stato politico •· 1
c~mente per questo «Stato
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Che lo Stato è il monarca ereditario, un'astratta personalità, ciò non significa nient'altro che la personalità dello Stato è astratta, o che è lo Stato della personalità astratta. Anche i Romani, del resto, hanno spiegato il diritto del monarca semplicemente secondo le norme dd diritto privato, ossia il diritto privato come la suprema norma del diritto statuale. I Romani sono i razionalisti, i Germani i mistici della sovrana proprietà privata. Hegel qualifica il diritto privato come il diritto della personalità astratta o come il diritto astratto. E, in verità, bisogna che esso sia spiegato come l'astrazione del diritto e però come il diritto illusorio della personalità astratta, cosf come la moralità 1 spiegata da Hegel è l'esistenza illusoria della soggettività astratta. Hegel spiega il diritto privato e la moralità come astrazioni di tale genere, e presso di lui non ne consegue già che lo Stato, l'eticità • che ha quelli come suoi presupposti, non possa esser altro che la società (la vita sociale) di tali illusioni, bensf se ne conclude all'inverso che quelli sono momenti subalterni di questa vita etica. Ma che altro è il diritto privato se non il diritto, e la moralità che altro è se non la morale •, di questi soggetti dello Stato? O meglio, la persona del diritto privato e il soggetto della moralità sono la persona e il soggetto dello Stato. Si è molto combattuto Hegel a proposito del suo sviluppo della morale. Ma egli non ha fatto altro che sviluppare la morale dello Stato moderno e del moderno diritto privato. Si è voluto separare maggiormente la morale dallo Stato, emanciparla maggiormente. Che cosa si è con ciò provato? Che la separazione dello Stato attuale dalla morale è morale: che la morale è impolitica • e lo Stato è immorale. È piuttosto un grande merito di Hegel, sebbene inconsapevole sotto un certo aspetto (sotto l'aspetto per cui Hegel spaccia per idea reale dell'eticità lo Stato che ha come suo presupposto una cosiffatta morale), l'aver messo la moderna morale al suo vero posto •. Nella costituzione in cui il maggiorasco è una garanzia, la proprietà privata è la garanzia della costituzione politica. Nel maggiorasco ciò si manifesta in modo che una specie particolare di proprietà privata è questa garanzia. Il maggiorasco è semplicemente una particolare [manifestazione Mora/. Sittlicl,keit. 3 Mora/. • unstaatlich. • Intendi: l'aver considerato la morale individualistica di Kant, la morale della «legge» come «massima » personale c del «dovere>> come pl'ra «intenzione», soltanto quale un astratto momento e un presupposto dell'eticità concreta, dialettica, ch'è lo Stato. Ma l'approvazione di Marx è inscindibile dalla censura che Marx stesso muove (come può essere realmente « etico » uno Stato che ha un cosiffatto « presupposto»?): Marx imposta, dunque, ex novo il problema: cioè come problema del· l'ethos concreto sociale o organicismo socialista (mentre l'« organicismo » hegeliai10 è conservatore, è l'organicismo dello Stato della Restaurazione). 1
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di J esistenza del generale rapporto di proprietà privata e Stato politico. Il maggiorasco è il senw politico della proprietà privata, è la proprietà privata nel suo significato politico, cioè nel suo significato generale. La .:ostituzione è, dunque, qui costituzione della proprietà privata. Dove troviamo il maggiorasco nella sua classica formazione, presso i popoli germanici, troviamo anche la proprietà privata come costituzione. La proprietà privata è la categoria generale, il ge11erale legame politico. Le stesse funzioni generali appaiono come proprietà privata, ora di una corporazione, ora di uno stato. Commercio e industria sono, nelle loro particolari gradazioni, proprietà privata di speciali corporazioni. Cariche di Corte, competenza giudiziaria etc., sono proprietà privata di particolari stati. Le diverse province sono proprietà privata di separati principi etc. Il servizio militare per il paese etc., è proprietà privata del signore. Lo spirituale è proprietà privata del clero. La mia attività conforme al dovere è proprietà di un altro, come il mio diritto è una speciale proprietà privata. La sovranità, qui la nazionalità, è proprietà privata dell'imperatore. Si è spesso detto che nel medioevo ogni forma .di diritto, di libertà, di esistenza sociale, si manifesta come un privilegio, come un'eccezione alla regola. Non si poteva lasciare inosservato il fatto empirico che questi privilegi si presentano tutti nella forma della proprietà privata. Quale la ragione general,e di questa coincidenza? Che la proprietà privata è l'esistenza del privilegio come genere, del diritto in quanto eccezione. Dove, come in Francia, i principi intaccarono l'indipendenza della proprietà privata, essi attentarono alla proprietà delie corporazioni prima di attentare alla proprietà degli individui. Ma con l'intaccare la proprietà privata delle corporazioni, intaccarono la proprietà privata come corporazione, come legame sociale. Nel governo feudale si rivela apertamente che il potere del principe è il potere della proprietà privata; e nel potere del principe è depositato il mistero di ciò ch'è il potere generale, di ciò ch'è il potere di tutte le sfere dello Stato. (Nel principe, in quanto rappresentante del potere dello Stato, si esprime ciò ch'è la possanza 1 dello Stato. Il principe costituzionale espri-' me, quindi, l'idea dello Stato costituzionale nella sua astrazione piu acuta. Esso è, da un lato, l'idea dello Stato, la sacra maestà dello Stato, e invero come questa persona. Al contempo, esso è una mera immaginazione: come persona e come principe non ha né potere reale né attività reale. È qui espressa nella sua piu alta contraddizione la separazione della persona politica e della persona reale, della persona formale e della persona materiale, della generale e dell'individuale, dell'uomo e dell'uomo sociale). 1
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La proprietà privata è di ragione romana, e germanica di sentimento. A questo punto sarà istruttivo stabilire un confronto fra questi due sviluppi estremi. Il che ci sarà di aiuto nella soluzione del problema politico discusso. l Romani veramente hanno sviluppato per primi il diritto della proprietà privata, il diritto astratto, il diritto privato, il diritto della persona astratta. Il diritto privato romano è il diritto privato nel suo sviluppo classico. Non troviamo mai presso i Romani che il diritto della proprietà privata sia stato, come presso i Tedeschi, mistificato. E mai diverrà diritto pubblico. Il diritto della proprietà privata è lo ius utendi et abutendi, il diritto di disporre liberamente delle cose. L'interesse principale dei Romani consiste nello sviluppare e determinare i rapporti che si danno come rapporti astratti della proprietà privata. Il vero fondamento della proprietà privata, il possesso, è un fatto, un fatto inspiegabile, non u11 diritto. Solo mediante le determinazioni giuridiche, che la società dà al possesso di fatto, questo riceve la qualità di possesso di diritto, di proprietà privata. In quanto al rapporto, presso i Romani, fra costituzione politica e proprietà privata, è manifesto: I) che l'uomo (in quanto schiavo) è, come presso i popoli antichi in genere, oggetto di proprietà privata: e in ciò niente di speciale; 2) che; i paesi conquistati sono trattati come proprietà privata, e lo jus utendi et abutendi vi è fatto valere; 3) che nella loro stessa storia compare la lotta fra poveri c ricchi (pa. trizi e plebei) etc. Del resto, la proprietà privata in complesso si afferma, come presso i popoli antichi in genere, in quanto proprietà pubblica, oppure, come nei tempi prosperi, in quanto spese suntuarie della repubblica, o sotto forma di beneficenza di lusso e generale (terme etc.) verso la massa. · La guisa in cui è spiegata la schiavitu è il diritto di guerra, il diritto di occupazione: appunto perché la loro esistenza politica è annientata, essi sono schiavi. Rileviamo principalmente due rapporti che distinguono i Romani dai Germani: · I. Il potere .imperiale non era il potere della proprietà privata, ma la sovranità della volontà empirica come tale, -che, ben )ungi dal considerare la proprietà privata come legame fra sé e i suoi sudditi, disponeva, per contro, della proprietà privata, come di tutti gli altri beni sociali. 11 potere imperiale non era, quindi, nient'altro che ereditario di fatto. Il piu alto sviluppo del diritto di proprietà privata, del diritto privato, cade, è vero, nell'età imperiale; ma è esso una conseguenza del dissolvimento politico piuttosto che esser questo una conseguenza della proprietà privata. Inoltre, quando il diritto privato perviene in Roma al suo pieno
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sviluppo, il diritto pubblico è abolito ed entrato in dissoluzione, mentre in Germania accade l'inverso. 2. Le dignità pubbliche non sono mai ereditarie in Roma, cioè la proprietà privata non è la categoria politica dominante. 3· In contrasto al maggiorasco germanico etc., la libertà di testare appare in Roma come un'emanazione della proprietà privata. In quest'ultima opposizione risiede l'intera differenza dello sviluppo romano della proprietà privata da quello germanico. (Nel maggiorasco appare che l'esser la proprietà privata in rapporto con la funzione pubblica fa si che l'esistenza statale sia un'inerenza, un accidente della proprietà privata immediata, del possesso fondiario. All'apice lo Stato appare, cosi, come proprietà privata, mentre la proprietà privata dovrebbe apparire qui come proprietà dello Stato. Invece di fare della proprietà privata una qualità del cittadino dello Stato, Hegel fa della qualità di cittadino dello Stato, e dell'esistenza dello Stato e della mentalità pubblica, una qualità della proprietà privata).
§ 308. «Nell'altra parte dell'elemento degli stati rientra il lato instabile della società civile, che esteriormente per la moltitudine dei suoi membri, ma sostanzialmente per la natura della sua destinazione e occupazione, può manifestarsi soltanto mediante deputati. In quanto costoro sono deputati dalla società civile, è facile capire immediatamente che questa fa ciò in quanto essa è quello che è; quindi non in quanto risolta atomisticamente nei singoli e adunantesi per un atto isolato e temporaneo, in un momento, senz'altro comportamento, ma in quanto organizzata nelle sue associazioni, comunità e corporazioni senz'altro costituite, che in questo modo acquistano una connessione politica. Nel suo diritto* a tale delegazione, convocata dal potere del sovrano, come nel diritto del primo stato alla manifestazione (§ 307) ', l'esistenza degli stati e la loro riunione trovano una garanzia costituita, peculiare». Troviamo qui una nuova opposizione della società civile e delle classi: una parte mobile, c dunque anche una immobile delle medesime (quella della proprietà fondiaria). Si è rappresentata questa opposizione anche come opposizione di spazio e tempo etc., di conservativo e progressivo. Su ciò vedi il paragrafo precedente. Del resto, Hegel ha parimente fatto stabile, mediante le corporazioni, la parte mobile della società. Questa seconda opposizione è che i signori di maggiorasco, la prima parte, testé sviluppata, dell'elemento di classe, sono come tali legislatori; 1 Per questo « primo stato » intendi lo « stato sostanziale •· coi relativi eventuali diritti di maiorascato, di cui sopra.
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che il potere legislativo è un attributo della loro empirica persona ed essi non sono deputati, ma sono loro stessi; mentre presso l'altra classe hanno luogo elezione e deputazione. Hegel dà due ragioni per cui questa parte mobile della società civile può entrare nello Stato politico, nel potere legislativo, solo mediante dei deputati. La prima, la moltitudine, la dice egli stesso esteriore, e ci risparmia la replica. ' Ma la ragione sostanziale sarebbe la « natura della sua destinazione e della sua occupazione»: l'« attività e l'occupazione politiche» sono qualcosa di straniero « alla natura della sua destinazione e della sua occupazione ». Hegel ripete la sua vecchia canzone di queste classi come « delegat.~ della società civile». Questa dovrebbe «fare ciò in quanto essa è quel che è». Ma essa deve farlo piuttosto come quel ch'essa non è, ché essa è una società apolitica, e deve compiere qui un atto politico come atto a lei essenziale, procedente da essa stessa. Con ciò essa è «risolta atomisticamente nei singoli » e « si raduna per un atto isolato e temporaneo, in un momento, senz'altro comportamento». In primo luogo, il suo atto politico è un atto «isolato e temporaneo» e solo come tale può manifestarsi, quindi, nella sua realizzazione. Esso è un atto vistoso 1 della società politica, un'estasi della medesima, e come tale ha da manifestarsi. In secondo luogo, Hegel non ha trovato difficoltà in ciò, e ha persino stabilito come necessario che la società civile si separi materialmente dalla sila realtà civile (si produca soltanto come una seconda società delegata dalla prima), e si ponga come ciò ch'essa non è: come può ora rifiutare formalmente questo? Hegel crede che, in quanto la società fa delle deleghe nelle sue corporazioni etc., queste associazioni tuttavia costituite acquistino in tal modo una «connessione politica ». Ma o esse ricevono un significato che non è il loro, o la connessione loro propria è come tale quella politica e non « riceve » soltanto un colore politico, come si è spiegato sopra, ma la « politica » riceve da essa la connessione propria. Hegel, per il fatto che designa soltanto questa parte dell'elemento di classe come quello dei «deputati», caratterizza, senza volerlo, l'essenza di ambo le camere (là dove esse hanno realmente fra loro il rapporto da lui indicato). Camera dei deputati e camera dei pari (o comunque si chiamino) non sono qui esistenze diverse di un medesimo principio, bensf sono attinenti a due essenzialmente diversi principi e condizioni sociali. La camera dei deputati è qui la costituzione politzca della società civile, in senso moderno; la camera dei pari lo è in un senso di casta. Camera dei pari e camera dei deputati stanno qui di fronte come rappresentanza meramente di 1
Ek.lat machender.
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classe e rappresentanza politica della società civile. L'una è l'esistente principio di classe della società civile, l'altra è la realizzazione della sua astratta esistenza politica. S'intende da sé, quindi, che quest'ultima non può esistere di nuovo come rappresentanza di classi, corporazioni etc., ché essa non rappresenta precisamente l'esistenza di classe, ma l'esistenza politica della società civile. E s'intende anche da sé che nella prima camera ha sede soltanto la parte classista della società civile, la proprietà fondiaria sovrana, la nobiltà ereditaria; ché quest'ultima non è una classe fra altre classi, ma il principio classista della società civile, in quanto reale principio sociale, e quindi politico, esiste ormai soltanto in essa. È lo stato. La società civile ha allora nella camera di casta la rappresentante della sua esistenza medievale, e nella camera dei deputati la rappresentante della sua -::sistenza politica (moderna). Qui il progresso sul medioevo consiste soltanto in questo: che la politica di casta è abbassata a un'esistenza politica particolare accanto alla politica del cittadino dello Stato. L'empirica esistenza politica che Hegel tiene presente (l'Inghilterra) ha, dunque, tutt'altro senso che quello da lui interpolato. La costituzione francese 1 è anch'essa un progresso in questo senso. Essa ha, a dire il vero, ridotto la camera dei pari a una pura nullità; ma questa camera, secondo il principio della regalità costituzionale, come Hegel pretendeva svilupparlo, può esser soltanto, di sua natura, una nullità, la finzione dell'armonia fra principe e società civile, o del potere legislativo o Stato politico, seco stesso in quanto esistenza particolare e precisamente ancora contraddittoria. I francesi hanno mantenuto l'inamovibilità dei pari, per esprimere la indipendenza di questi dalla scelta da parte del governo e del popolo. Ma hanno abolito l'espressione medievale: l'ereditarietà. Il progresso consiste in ciò: ch'es5i non derivano piu la camera dei pari dalla società civile reale, ma l'hanno creata dall'astrazione sua. La sua designazione la fanno derivare dallo Stato politico esistente, dal principe, senza aver legato questi a una qualsiasi qualità civile. La parla è realmente, in questa costituzione, uno stato nella società civile, una classe ch'è puramente politica ed è creata dal punto di vista dell'astrazione dello Stato politico; ma essa appare piu una decorazione politica che una classe reale, provvista di particolari diritti. La camera dei pari sotto la Restaurazione: una reminiscenza. La camera dei pari della Rivoluzione di Luglio è un'effetttvu creazione della monarchia costituzionale. Poiché, nell'età moderna, l'idea dello Stato non poteva manifestarsi che nell'astrazione dello Stato «puramente politico,, o nell'astrazione della società civile da se stessa, dalla sua condizione reale, è cosi un me1 Allude a quella della cosiddetta «monarchia di Luglio» (1830), di Luigi Filippo d"Orléans, data nella Carta del 14 agosto.
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rito dei francesi di aver tenuto fermo a questa astratta realtà, di averla prodotta, e aver con ciò prodotto il principio pOlitico stesso. Ciò che si rimprovera ad essi come astrazione è, dunque, conseguenza verace e prodotto della ritrovata mentalità di Stato, anche se soltanto in un'opposizione, tuttavia necessaria. Merito dei francesi è qui, dunque, di aver stabilito la camera dei pari come prodotto proprio dello Stato politico, o di aver fatto, in genere, del principio politico nella sua peculiarità l'elemento determinante e efficace. Hegel osserva ancora che, nella deputazione da lui costruita, è nel «diritto delle corporazioni, etc., a tale delegazione:. che l'esistenza delle classi e la loro riunione «trovano una costituita, peculiare garanzia:.. La garanzia dell'esistenza dell'assemblea degli stati, la sua vera esistenza primitiva, diventa dunque il privilegio delle corporazioni etc. Con ciò Hegel è del tutto disceso al punto di vista medievale, e ha completamente sacrificato la sua astrazione dello Stato politico quale sfera rlello Stato come Stato, o «universale in sé e per sé~In senso moderno l'esistenza dell'assemblea degli stati è l'esistenza politica della società civile, la garanzia della sua esistenza politica. Dubitare di essa esistenza è, dunque, dubitare dell'esistenza dello Stato. Come, presso Hegel, precedentemente, la «mentalità di Stato:., l'essenza del potere legislativo, trova la sua garanzia nella c proprietà privata indipendente :., cos( la sua esistenza trova la garanzia nei «privilegi delle corporazioni:.. Ma l'elemento di classe è piuttosto il privilegio politico della società civile, o il suo privilegio d'esser politica. Esso non può, dunque, esser mai il privilegio d'un particolare modo civile della sua esistenza, né tantomeno trovarvi la sua garanzia, ché esso deve esser piuttosto la garanzia generale. Cos( Hegel si riduce ovunque a rappresentare lo « Stato politico:. non come la realtà piu alta, in sé e per sé consistente, dell'esistenza sociale, ma a dargli una realtà precaria, dipendente in rapporto ad altro: a rappresentarlo non come l'esistenza verace delle altre sfere', ma a fargli trovare, piuttosto, la sua vera esistenza nelle altre sfere. Esso abbisogna ovunque della garanzia delle sfere che si trova dinanzi. Non è il potere realizzato: è l'impotenza sostenuta; non è il potere su questi sostegni, bensl il potere dei sostegni: il sostegno è il potere. Che dire di un'altra esistenza che, per sussistere, abbisogna di una garanzia fuori di lei medesima, e che deve inoltre esser l'esistenza generale di questa stessa garanzia, e dunque la sua reale garanzia? Hegel retrocede, insomma, ovul.]-que, nel suo sviluppo del potere legislativo, dal 1 Le sfere della « famiglia » e della « società civile ». suoi diretti e « astratti presupposti nello scherma dialettico-triadico hegcliano.
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punto di vista filosofico all'altro punto di vista che non considera la cosa in rapporto a se stessa. Se l'esistenza delle classi abbisogna di una garanzia, esse non sono un'esistenza reale, ma soltanto una fittizia esistenza politica. La garanzia dell'esistenza delle classi è negli Stati costituzionali la legge. La loro esistenza è dunque esistenza legale, dipendente dall'essenza generale dello Stato, e non dalla potenza o impotenza delle particolari corporazioni o associazioni; in quanto, bensl, realtà dell'associazione statale. (Le corporazioni etc., le particolari cerchie della società civile, devono precisamente ricevere soltanto qui la loro esistenza generale, e ora Hegel anticipa di nuovo questa esistenza generale come privilegio, come esistenza di queste particolarità). Il diritto politico in quanto diritto di corporazìoni etc., contraddice totalmente il diritto politico in quanto politico, o diritto dello Stato, o qualità del cittadino dello Stato, ché esso non deve essere precisamente il diritto di questa esistenza in quanto esistenza particolare, il diritto in quanto questa particolare esistenza. Prima di passare alla categoria dell'elezione, ch'è l'atto politico per cui la società civile si concentra in una delegazione politica, aggiungiamo ancora qualche precisazione tolta dalla nota a questo paragrafo. « Che tutti singolarmente debbano prender parte alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato, perché questi tutti sono membri dello Stato e gli affari dello Stato sono gli affari di tutti, nei quali essi hanno diritto di essere col loro sapere e volere; questa concezione, che vorrebbe porre l'elemento democratico, senza alcuna forma razionale, nell'organismo statale, ch'è tale solo per mezzo di siffatta forma, si presenta ovvia perché si ferma all'astratta determinazione dell'esser membro dello Stato, e perché il pensiero superficiale si attiene a delle astrazioni :. [ § 308]. Innanzi tutto, Hegel chiama una «astratta determinazione l'esser membro dello Stato:., benché ciò sia, secondo l'idea, secondo l'opinione del suo proprio sviluppo, la piu alta e la piu concreta determinazione sociale della persona di diritto, del membro dello Stato. Attenersi alla c determinazione dell'esser membro dello Stato,, e considerare l'individuo in questa determinazione, non sembra quindi precisamente il « pensiero sup-èrfièiale che si attiene a delle astrazioni :.. Ma che la « determinazione dell'esser membro dello Stato:. sia una determinazione «astratta:., ciò non è difetto di questa determinazione, bensf dello sviluppo che ne fa Hegel e delle moderne reali condizioni, che presuppongono la separa12~
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zione della vita reale dalla vita pubblica -e fanno della qualità pubblica una « astratta determinazione ) del reale membro dello Stato. La diretta partecipazione di tutti alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato ammette, secondo Hegel, «l'elemento democratico senza alcuna forma razionale nell'organismo statale ch'è tale solo • per mezzo di siffatta forma»: cioè l'elemento democratico può esser ammesso soltanto come elemento formale in un organismo statale ch'è soltanto formalismo statale. L'elemento democratico dev'essere, piuttosto, l'elemento reale che si dà nell'intero organismo statale la sua forma raziotlale. Se, al contrario, esso entra come un elemento « particolare :» nell'organismo o formalismo statale, sotto la «forma razionale» della sua esistenza è da intendere l'addomesticamento, l'accomodamento, una forma in cui esso non mostra la peculiarità della sua essenza; ossia ch'esso vi entra soltanto come principio formale. Abbiamo già accennato che Hegel sviluppa solo un formalismo dz Stato. Il vero principio materiale è per lui l'idea, l'astratta forma pensata dello Stato, in quanto soggetto; è l'idea assoluta, che non reca in sé alcun elemento passivo, materiale. Rispetto all'astrazione di questa idea le determinazioni del reale formalismo empirico dello Stato appaiono come contenuto, e quindi il contenùto .reale appare come materia informe, disorganica (qui: l'uomo reale, la società reale, etc.). Hegel ha posto l'essenza dell'elemento di classe in ciò: che la «generalità empirica » vi diventa il soggetto dell'universale in sé e per sé. Ora, che cosa d'altro ciò significa se. non che gli affari dello Stato «sono gli affari di tutti, nei quali essi hanno diritto di essere col loro sapere e volere »; e le classi non debbono essere precisamente questo loro diritto realizzato! Ed è sorprendente che i tutti voglian ora anche la «realtà:» di questo loro proprio diritto! « Che tutti singolarmente debbano prender parte alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato... >: In uno Stato realmente razionale si dovrebbe rispondere: « non devono tutti singolarmente prender parte alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato >, ché i « singoli :» partecipano in quanto « tutti >, cioè nella società e come membri di questa, alla discussione e risoluzione degli affari generali: non tutti in quanto individui, ma gli individui in quanto tutti. Hegel si pone il dilemma: o la società civile (i molti, la massa) prende parte per mezzo di deputati alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato, o tutti fan ciò in quanto indivi(lui. Non è questa un'opposizione dell'essenza, come Hegel cerca di presentarla in seguito, bensl dell'esistenza, e invero dell'esistenza esteriore, del numero, per cui la ragione che Hegel stesso ha designato « esteriore :» - la moltitudine dei membri - resta sempre la migliore contro la partecipazione
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immediata di tutti. La questione di sapere se la società civile deve prender parte al potere legislativo in modo che essa vi entri o per mezzo di deputati, oppure in modo che « tutti singolarmente » vi partecipino immediatamente, è essa medesima una questione all'interno dell'astrazione dello Stato politico, ossia all'interno dello Stato politico astratto; è una questione politica astratta- In ambo i casi si tratta, come Hegel stesso l'ha svolto, del significato politico della «generalità empirica ». L'opposizione, nella sua forma propria, è la seguente: i sùzgoli fanno ciò in quanto tutti, o i singoli fanno ciò in quanto pochi, in quanto non tutti. In entrambi i casi la totalità sta soltanto come la pluralità o totalità la piu esteriore degli individui: la totalità non è una qualità essenziale, spirituale, reale, del singolo. La totalità non è qualcosa per cui esso perda la determinazione dell'individualità astratta; bensf la totalità è soltanto numero totale di singolarità. Una individualità, molte individualità, tutte le individualità. Una, molte, tutte - nesstma di queste determinazioni muta l'essenza del soggetto, dell'individualità. • « Tutti » devono « singolarmente » « prender parte alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato »: ciò significa dunque che tutti devono prendervi parte non in quanto tutti, ma in quanto « singoli ». La questione sembra esser contraddittoria da un duplice punto di vista. Gli affari generali dello Stato sono l'affare pubblico, lo Stato in quanto affare reale. La discussione e decisione sono l'effettuarsi dello Stato in quanto affare reale. Sembra, dunque, per sé pacifico che tutti i membri dello Stato hanno un rapporto con lo Stato come loro reale affare. È già implicito nel concetto di membro statale che essi sono ciascuno un membro dello Stato, una parte del medesimo, che li ritiene ciascuno sua parte. Se sono ciascuno una parte dello Stato, la loro esistenza sociale è già, come $'intende da sé, la loro reale partecipazione allo Stato. Essi non sono soltanto parte dello Stato, ma lo Stato è loro parte. Esser parte consapevole di qualcosa è prenderne con coscienza una parte, prendervi parte cosciente. Senza questa coscienza il membro dello Stato sarebbe una bestia. Quando si dice «gli affari generali dello Stato» si produce l'apparenza che gli « affari generali » e lo « Stato » siano qualcosa di diverso. Ma lo Stato è l'« affare generale», dunque realmente gli «affari generali». Prender parte agli affari generali dello Stato e prender parte allo Stato è, dunque, identico. Che, dunque, un membro dello Stato, una parte dello Stato, partecipi allo Stato, e che questa partecipazione possa ·manifestarsi soltanto come discussione o decisione, o in simili forme; ( che perciò ciascun membro dello Stato prenda parte alla discussione o. decisione degli affari generali dello Stato (se queste funzioni sono intese 131
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come le funzioni della reale partecipazione allo Stato), è una tautologia. &- è questione, dunque, di reali membri dello Stato, non si può parlare di questa partecipazione come di un dovere. Altrimenti, si tratterebbe, piuttosto, di tali soggetti che debbono e vogliono essere membri dello Stato, ma che realmente non lo son~. D'altra parte, se è questione di affari determinati, di un particolare atto dello Stato, s'intende ancora da sé che non lo compiono tutti singolarmente. Altrimenti, l'individuo sarebbe la vera società e renderebbe superflua la società. L'individuo dovrebbe fare di tutto ad un tempo, !addove la società fa agire, come lui per gli altri, anche gli altri per lui. La questione: se tutti singolarmente «debbano prender parte alla discussione e risoluzione degli affari generali dello Stato ~ è una questione che deriva dalla separazione di Stato politico e società civile. L'abbiamo visto. Lo Stato esiste soltanto come Stato politico. La totalità dello Stato politico è il potere legislativo. Prender parte al potere legislativo è, quindi, prender parte allo Stato politico; è manifestare e realizzare la propria esistenza come membro dello Stato politico, come membro dello Stato. Dunque il voler prender parte tutti singolarmente al potere legislativo non è altro che il voler tutti essere dei reali (attivi} membri dello Stato, o darsi una esistenza politica, o manifestare e effettuare la propria esistenza in quanto politica. Abbiamo inoltre visto che l'elemento di classe è la società civile in quanto potere legislativo, in quanto sua propria esistenza politica. Che, dunque, la società civile penetri in massa, tutta intera se possibile, nel potere legislativo, che la reale società civile voglia sostituirsi alla fittizia 1 società civile del potere legislativo, ciò non è che la tendenza della società civile a darsi esistenza politica, o a fare dell'esistenza politica la propria esistenza reale. La ten• denza della società borghese a trasformarsi in società politica, o a fare della società politica la società reale, si manifesta come la tendenza della partecipazione il piu possibile generale ~l potere legislativo. Il numero non è qui senza importanza. Se già l'accrescimento dell'elemento di classe è un accrescimento materiale e morale di una delle ostili forze in lotta (e abbiamo visto che i diversi elementi del potere legislativo sono opposti come forze nemiche), all'incontro la questione, se tutti debbano essere singolarmente membri del potere legislativo o intervenirvi mediante dei deputati, è la messa-in-questione del principio rappresentativo all'interno dello stesso principio, all'interno della concezione fondamentale dello Stato politico che ha la sua esistenza nella m
fiktivm.
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e vogliono tutti partecipare ad esso in una volta. 2. Tutti come singoli. Nell'elemento di classe l'attività legislativa non è considerata come attività sociale, come una delle funzioni della socialità ', ma piuttosto come l'atto per cui soltanto gli individui assumono una funzione realmente e consapevolmente sociale, cioè una funzione politica. Il potere legislativo non è qui un'emanazione, una funzione della società, ma semplicemente il costituirsi della società. La costituzione del potere legislativo esige che tutti i membri della società civile si considerino come singoli; e essi stanno realmente di fronte come singoli. La determinazione dell'« esser membri dello Stato » è la loro « determinazione astratta », una determinazione che non si realizza nella loro vivente realtà. O c'è separazione di Stato politico e società civile, e allora non possono partecipare tutti singolarmente al potere legislativo: lo Stato politico è un'esistenza separata dalla società civile. Da un lato, la società civile rinuncerebbe a sé, se tutti fossero legislatori, e d'altro lato lo Stato politico, che le sta di fronte, può sopportarla soltanto in una forma che sia commisurata alla propria norma. Ossia la partecipazione della società civile allo Stato politico mediante deputati è precisamente l'espressione della loro separazione e della loro unità solo dualistica. O viceversa: la società civile è società politica reale. E allora è un nonsenso porre un'istanza che consegue unicamente dalla concezione dello Stato politico come esistenza separata dalla società civile, un'istanza che scaturisce soltanto dalla rappresentazione teologica dello Stato politico. Nel caso presente scompare totalmente il significato del potere legislativo come potere rappresentativo. Il potere legislativo è qui rappresentativo nel senso in cui ogni funzione è rappresentativa: come, ad esempio, il calzolaio è mio rappresentante in quanto soddisfa un bisogno sociale; come ogni determinata attività sociale, in quanto attività generica •, rappresenta semplicemente il genere, cioè una determinazione della mia propria essenza; come ogni uomo è il rappresentante dell'altro uomo. È qui rappresentante non per un altro, ch'egli rappresenta, ma per ciò ch'egli è e fa. Il potere « legislativo » è voluto non in ragione del suo contenuto, ma in ragione del suo significato politico formale. In sé e per sé il potere governativo, ad es., doveva essere il fine dei desideri popolari assai piu del potere legislativo, della funzione metafisica dello Stato. La funzione legislativa è la volontà non nella sua energia pratica, ma nella sua energia teoretica. La t'olontà non deve qui valere in luogo della legge; bensf importa scoprire e formulare la legge reale. Da quèsta discorde natura del potere legislativo - come funzione legislativa reale e funzione rappresentativa, politico-astratta - deriva una 1 1
Sozialitiit. Gattzmgstiitigkeit: cioè attività del genus (uomo).
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peculiarità che si fa valere a preferenza in Francia, nel paese della cultura politica. (Nel potere governativo abbiamo sempre due cose: l'azione reale e la ragion di Stato di quest'azione, come un'altra coscienza reale che, nella sua totale struttura, è la burocrazia). Il contenuto proprio del potere legislativo è trattato (per quel tanto che gli interessi particolari dominanti non entrano in un conflitto importante con lo obiectum quaestionis) molto a parte, come cosa accessoria. Attenzione particolare una questione la suscita solo appena diventa questione politica, cioè o dal momento che può esservi connessa una questione ministeriale, e quindi l'autorità del potere legislativo sul potere governativo; o dal momento che si tratta in generale di diritti che si collegano col formalismo politico. Come questo fenomeno? Perché il potere legislativo è' ad un tempo la rappresentazione dell'esistenza politica delia società civile; perché l'essenza politica di una questione consiste insomma nel rapporto di essa ai ·4iversi poteri dello Stato politico; perché il potere legislativo esprime h :eoscienza politica, e que~ta può mostrarsi come politica soltanto nel conflitto· col potere governativo. Questa istanza essenziale - che ogni bisogno sociale, ogni legge etc., si verifichi nel suo significato sociale come politico, cioè determinato dall'insieme dello Stato questa istanza assume nello Stato dell'astrazione politica la figura di una tendenza formale contraria a un'altra forza (o contenuto) e esteriore al suo reale contenuto. Questa non è un'astrazione dei francesi, ma necessaria conseguenza, giacché lo Stato di fatto esiste solo come il politico formalismo di Stato sopra considerato. L'opposizione all'interno del potere rappresençativo è l'esistenza politica xar' li'çoz~v dello stesso potere. Entro questa costituzione rappresentativa la questione esaminata prende, intanto, un'altra forma da quella in cui l'ha considerata Hegel. Non si tratta qui di decidere se la società civile debb:t esercitare il potere legislativo mediante deputati o mediante tutti individualmente presi, bensl si tratta dell'estensione e della generalizzazione al massimo possibile dell'elezione, sia del diritto di suffragio attivo che di quello passivo. Questo è il punto propriamente controverso della riforma politica, e in Francia e in Inghilterra. Non si considera l'elezione filosoficamente, cioè nella sua essenza specifica, quando la si intende immediatamente in rapporto al potere del principe o al potere governativo. L'elezione è il rapporto reale, della reale società civile alla società civile del potere legislativo, all'elemento rappresentativo. Ossia l'elezione è il rapporto immediato, diretto, non meramente rappresentativo ma reale, della società civile con lo Stato politico. S'intende quindi da sé che l'elezione costituisce l'interesse· politico fondamentale della società civile reale. Soltanto nell'elezione illimitata, sia attiva che passiva, la società civile si solleva realmente all'astrazione da se stessa,
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all'esistenza politica come sua vera esistenza generale·, essenziale. Ma il compimento di questa astrazione è al contempo la soppressione dell'astrazione. Quando la società civile ha realmente posto la sua esistenza politica come la sua vera esistenza, ha contemporaneamente posto la sua esistenza civile, nella sua distinzione da quella politica, come ine.rsenziale; e con una delle parti separate cade l'altra, il suo contrario. La riforma elettorale è, dunqu~, entro lo Stato politico astratto, l'istanza dello scioglimento di questo, come parimente dello scioglimento della società cit,ile. Incontreremo piu tardi la questione della riforma elettorale in un'altra forma, cioè sotto l'aspetto degli interessi. Parimente discuteremo piu tardi gli altri conflitti, che derivano dalla duplice determinazione del potere legislativo (da un lato, deputato, mandatario della società civile, dall'altro, piuttosto semplicemente sua esistenza politica, e una peculiare esistenza, entro il formalismo politico di Staro). Frattanto ritorniamo sulla nota al nostro paragrafo.
[ § 308]. « La considerazione razionale, la coscienza dell'idea, è concreta, e pertanto coincide col vero senso pratico ch'è esso medesimo nient'altro che il senso razionale, il senso dell'idea». «Lo Stato ~oncreto * è la totalità organizzata nelle sue cerchie particolari; il membro dello Stato è un membro di un cotale stato; solo per questa sua oggettiva determinazione può venire in considerazione nello Stato». In proposito si è già detto il necessario sopra. <
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non lascia che la società diventi determinante reale, perché a ciò occorre un reale soggetto, ed egli ne ha soltanto uno astratto, immaginato. § 309. « Poiché la deputazione avviene per la discussione e la decisione degli affari generali, essa significa che vi son destinati dalla fiducia individui tali che s'intendano di questi affari meglio dei mandanti; e anche che essi fan valere non l'interesse particolare di una comunità, di una corporazione, contro l'interesse universale, bensi essenzialmente questo. Essi, quindi, non sono nella situazione d'essere dei mandatari-commessi o apportatori di istruzioni; tanto meno in quanto l'assemblea ha la destinazione d'essere un'adunanza viva, ove ci si informa e ci si persuade mutuamente e si discute in comune~.
r. I deputati non devono « essere dei mandatari-commessi o apportatori di istruzioni :., perché essi devono « far valere non l'interesse particolare di una comunità, di una corporazione, contro l'interesse universale, bensf essenzialmente questo>. Hegel ha costruito dapprima i rappresentanti come rappresentanti delle corporazioni etc., per poi attribuir loro l'altra determinazione politica: che essi non hanno da far valere l'interesse particolare delle corporazioni etc. Egli sopprime con ciò quella sua prima determinazione, giacché li separa del tutto, nella loro essenziale determinazione di rappresentanti, dalla esistenza corporativa. Cosf egli separa ari' che la corporazione da se stessa come suo proprio reale contenuto, ché essa deve scegliere [i rappresentanti] non dal suo punto di vista, bensl dal punto di vista dello Stato; cioè essa deve scegliere nella sua inesistenza di corporazione. Egli riconosce, dunque, nella determinazione materiale, ciò che ha preso a controsenso nella determinazione formale: l'astrazione della società civile da se stessa nel suo atto politico; e la sua esistenza politica non è che questa astrazione. Hegel adduce come ragione che i rappresentanti debbono esser scelti per l'esercizio degli «affari generali:.; ma le corporazioni non sono l'esistenza di affari generali. 2. La « deputazione > deve « significare > che « vi sono destinati dalla fiducia individui tali che s'intendano di questi affari meglio dei mandanti:.: da che deve, tuttavia, conseguire che i deputati non sono, dunque, nella situazione di «mandatari>. Che i deputati se ne intendano « meglio>, e non intendano « semplicemente >, Hegel può concluderlo solo con un sofisma. Si potrebbe concludere ciò solo se i mandanti avessero la scelta di discutere e decidere essi stessi gli affari generali, o di delegare determinati individui per l'esecuzione di essi; cioè se, precisamente, la deputazione, la rappresentanza, non appartenesse essenzialmente al carattere del potere legislativo della so-
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cietà civile, il che costituisce precisamente l'essenza peculiare di essa società nello Stato costruito da Hegel, come si è mostrato. Esempio molto caratteristico di come Hegel, quasi a disegno, rinuncia alla cosa qual è nella sua particolarità, e le presta, nella sua figura limitata, il significato opposto a quella limitatezza. Hegel dà infine la vera ragione: i deputati della società civile si costituiscono in un'« assemblea :., e questa assemblea soltanto è la reale esistenza politica e volontà della società civile. La separazione dello Stato politico dalla società civile si manifesta come separazione dei delegati dai loro mandanti. La società delega semplicemente gli elementi della sua esistenza politica. La contraddizione appare duplice: x) formale: i delegati della società civile sono una società, e non stanno in rapporto, sotto forma di «istruzioni ), di mandato, coi loro committenti; essi sono formalmente commessi, ma appena lo sono realmente, essi non sono piu commessi; essi devono esser delegati e non lo sono; 2) materiale: rispetto agli interessi. Di ciò dopo. Qui ha luogo l'inverso: i delegati sono commessi come rappresentanti degli affari generali, ma rappresentano r~almente affari particolari. È caratteristico che Hegel designi qui la fiducia come la sostanza della deputazione, come il rapporto sostanziale tra mandanti e mandatari. La fiducia è un rapporto personale. Su ciò è detto ancora nell'Aggiunta:
«La rappresentanza si fonda sulla fiducia, ma la fiducia è qualcosa d'altro dal dare, io come tale, il mio voto. La maggioranza dei voti è parimente contraria al principio che, in quel che mi deve obbligare, devo esser presente io come tale. Si ha fiducia in un uomo quando si ritiene suo intendimento di trattare la mia cosa come sua cosa, secondo la sua migliore conoscenza e coscienza). § 310. « La garanzia * delle qualità e del sentimento corrispondenti a questo fine - poiché la ricchezza indipendente accampa il suo diritto già nella prima parte degli stati - si mostra nella seconda parte, che deriva dal mobile e mutevole elemento della società civile, particolarmente nella disposizione d'animo, attitudine e conoscenza degli ordinamenti e degli interessi dello Stato e della società civile, acquistate con l'effettiva gestione degli affari negli uffici delle magistrature o dello Stato, e convalidate dal fatto; e nel senso dell'autorità e nel senso dello Stato, cosi educato e sperimentato». Primieramente è stata costruita da Hegel la prima camera, la camera della proprietà privata indipendente, come garanzia per H principe e il
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potere governativo contro i sentimenti della seconda camera in quanto esistenza politica della generalità empirica; e ora Hegel richiede una nuova garanzia, che deve garantire i sentimenti etc. della stessa seconda camera. Prima era la fiducia, garanzia dei mandanti, a esser la garanzia dei deputati. Ora questa fiducia abbisogna anch'essa della garanzia della 'sua validità. A Hegel non spiacerebbe di fare della seconda camera la camera dei funzionari statali pensionati. Egli non esige soltanto « il senso dello Stato», bensi anche il senso dell'« autorità», il senso burocratico. Ciò ch'egli realmente esige qui è che il potere legislativo dev'essere il reale potere governativo. Egli si esprime in modo per cui reclama la burocrazia due volte: una volta corrie rappresentanza del principe, e un'altra come rappresentanza del popclo. Se in Stati costituzionali sono ammessi come deputati anche dei funzionari, ciò accade soltanto perché in genere si fa astrazione dallo stato, dalla qualità di cittadino, ed è dominante l'astrazione della qualità di cittadino dello Stato. Hegel dimentica qui che ha fatto prevenire la rappresentanza dalle corporazioni c che còntro di queste sta direttamente il potere governativo. Egli procede in questa dimenticanza - che egualmente ripete nel paragrafo seguente - fino al punto da creare una distinzione essenziale fra i deputati delle corporazioni e i deputati degli stati [in genere]. Nella nota a questo paragrafo è detto: «L'opinione soggettiva di sé trova facilmente superflua, anzi forse offensiva, la richiesta di tali garanzie, quando è fatta nei riguardi del cosiddetto popolo. Ma lo Stato ha a sua determinazione l'oggettivo, e non un'opinione soggettiva e la fiducia in sé** di questa. Gli individui posson essere, per lo Stato, solo ciò ch'è in essi oggettivamente riconoscibile e sperimentato; e lo Stato, in questa parte dell'elemento degli stati, ha da guardare a ciò tanto piu in quanto essa parte ha la sua radice negli interessi e nelle occupazioni volte al particolare, in cui la contingenza, la mutabilità e l'arbitrio hanno il diritto di spaziare ». Qui l'inconseguenza spensierata di Hegel e il suo senso «dell'autorità» diventano realmente nauseanti. Alla fine dell'Aggiunta al paragrafo precedente è detto: «Che il deputato compia e promuova questo (ossia il compito sopra descritto)*: di ciò si abbisogna a garanzia per gli elettori**».
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Questa garanzia per gli elettori è diventata sotto mano una garanzia contro gli elettori, contro la loro «fiducia in sé». Nell'elemento di classe la «generalità empirica » doveva diventare il « momento » della « libertà soggettiva, formale». « La coscienza pubblica » doveva pervenire in esso all'esistenza come generalità empirica dei punti di vista e dei pensieri della moltitudine (§ 301). Ora questi « punti di vista e pensieri » devono prima dare al governo la prova di essere « suoi l> punti di vista e pensieri. Cioè Hcgel parla qui storditamente dello Stato quale esistenza conclusa, sebbene egli stia compiendo, nell'elemento di classe, la costruzione dello Stato. Egli parla dello Stato come soggetto concreto, che «non si scontra con l'opinione soggettiva e la fiducia di questa in sé», e dal quale gli individui si sono fatti «riconoscere » e a cui hanno fornito « prove ». Manca soltanto che Hegel richieda che gli stati passino un esame dinanzi all'onorevole governo. Hegel rasenta qui la servilità. Lo si vede contagiato nelle midolla dalla miserevole mutria del mondo burocratico prussiano, che, nel suo limitato spirito d'ufficio, guarda dall'alto la «fiducia in. sé» dell'opinione « soggettiva » del popolo. Lo « Stato :li è qui per Hegel sempre identico al «governo» 1 • Certo, in uno Stato reale la « pura fiducia », l'« opinione soggettiva », non bastano. Ma nello Stato costruito da Hegel il sentimento politico della società civile è una mcra opinione, precisamente perché l'esistenza politica di essa società è una astrazione dalla sua esistenza reale; precisamente perché l'insieme dello Stato non è l'oggettivazione del sentimento politico. Se Hegel voleva esser conseguente, doveva piuttosto far di tutto per costruire l'elemento di classe, secondo la sua determinazione essenziale (§ 301), come l'esser per sé dell'affare generale nei pensieri etc. della moltitudine, dunque proprio del tutto indipendente dagli altri presupposti dello Stato politico. Come Hegel ha indicato prima che veduta plebea è di supporre la cattiva volontà del governo etc., cosi e tanto piu veduta plebea sarà di supporre la cattiva volontà nel popolo. Allora Hegel non può trovare, presso i teorici da lui disprezzati, né « superfluo » né « offensivo » che, se si richiedono, da pàrte del governo, delle garanzie « nei riguardi del cosiddetto • » Stato, del soi disant Stato, si richieda garanzia che il sentimento burocratico sia il sentimento dello Stato. 1 Cioè Hegel si scorda, ancora una volta, di Rousseau (per cui lo Stato, ch'è il popolo, è il vero «sovrano») e torna d'accordo col « legittimista » Hallcr, sostenitore del governo di Federico Guglielmo IV di Prussia. - Concludendo, la posizione complessiva di Hegel in materia è la seguente: anche per lui lo Stato è sovrano, non il monarca, e tuttavia la sovranità è monarchica, cioè la sovranità dello Stato si esprime nell'individuo monarca. Cfr. sopra la criticata «zoologia politica» hegeliana, risultato della «deduzione» della persona del monarca, del principe.
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§ 311. «La deputazione, in quanto emana dalla società civile, ha inoltre • il significato che i deputati siano edotti degli speciali bisogni, difficoltà e particolari interessi di questa e vi partecipino. Poiché essa emaru, secondo la natura della società civile, dalle sue diverse corporazioni (§ 308), e il semplice modo del suo procedimento non è turbato da astrazioni e dalle rappresentazioni atomistiche, essa soddisfa pertanto immediatamente quel punto di vista, e l'elezione o è in genere qualcosa di superfluo o si riduce a un debole gioco dell'opinione e dell'arbitrio>. Innanzi tutto, Hegel collega con un semplice c inoltre > la deputazione qual'è nella sua determinazione di «potere legislativo> (§ 309, 310) alla deputazione « in quanto emana dalla società civile >, cioè nella sua determinazione rappresentativa. Le enormi contraddizioni giacenti in questo c inoltre> sono da lui formulate con pari storditezza. Secondo il § 309 i mandanti devono « far valere non già l'interesse particolare di una comunità, di una corporazione, contro l'interesse generale, bensf essenzialmente • questo >. Secondo il § JII i deputati emanano dalle corporazioni, rappresentano questi interessi e bisogni particolari e non si lasciano stornare da c astrazioni>; come se l'c interesse generale> non fosse anch'esso una tale astrazione: un'astrazione precisamente dai loro interessi corporativi etc. Secondo il § 310 è richiesto che c con l'effettiva gestione degli affari etc.> i deputati acquistino e serbino il c senso dell'autorità> e il « senso dello Stato>. Al § 3II si esige il senso corporativo e civile. Nell'Aggiunta al § 309 è detto che c la rappresentanza è fondata sulla fiducia • >. Secondo il § 3II l'c elezione>, questa realizzazione della fiducia, questa affermazione e manifestazione della medesima, c o è in genere qualcosa di superfluo o si riduce a un debole gioco dell'opinione e dell'arbitrio>. Ciò che fonda la rappresentanza, la sua essenza, è dunque c o in genere qualcosa di superfluo > etc. per la rappresentanza. Hegel pone cosi, in un momento, delle contraddizioni assolute: la rappresentanza si fonda sulla fiducia, sulla fiducia dell'uomo per l'uomo, e non è fondata sulla fiducia, è piuttosto un puro gioco formale. Non è l'interesse particolare l'oggetto della rappresentanza, bensf L'uomo e la sua qualità di cittadino dello Stato, l'interesse generale. D'altra parte: l'interesse particolare è la materia della rappresentanza, e lo spirito di questo interesse è lo spirito dei rappresentanti. Nella nota a questo paragrafo, ch'esaminiamo ora, queste contraddizioni sono sostenute in guisa ancor piu stridente. Una volta la rappresen-
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tanza è rappresentanza dell'uomo, l'altra volta dell'interesse particolare, della materia particolare. « Si presenta ovvio l'interesse che, fra i deputati, si trovino per ogni speciale grande ramo della società, ad es., per il commercio, per le manifatture etc., individui che lo conoscano a fondo e appartengano ad esso. Nella concezione di un'elezione incoerente, indeterminata, questa circostanza importante è lasciata soltanto al caso. Ma ognuno di tali rami ha egual diritto di fronte agli altri di esser rappresentato. Se i deputati sono considerati come rappresentanti, ciò ha un senso organicamente razionale solo quando essi siano non rappresentanti di singoli, di una moltitudine, ma rappresentanti di una delle sfere essenziali della società, rappresentanti dei suoi grandi interessi. Il rappresentare non ha piu cosi il significato che uno* sia in * luogo di un altro, ma che l'interesse stesso è realmente presente nei suoi rappresentanti, cosi come il rappresentante è là per il suo speciale elemento oggettivo. - Circa l'elezione mediante molti singoli, può ancora notarsi che, in particolare nei grandi Stati, sopravviene necessariamente l'indifferenza nel dare il proprio voto, come se esso avesse, nella quantità, un effetto insignificante; e che gli aventi diritto al voto, per quanto questo diritto venga loro vantato e presentato come qualcosa di elevato, non compaiono a votare - cosi che, da tale istituto segue piuttosto il contrario della sua destinazione, e l'eleggere cade in potere di pochi, di una parte, e quindi del particolare, accidentale, interesse che doveva proprio essere neutralizzato , [§ 31I ]. Entrambi i paragrafi 312 e 313 sono stati sbrigati precedentemente e non meritano una discussione particolare. Li mettiamo, dunque, qui. § 312. «Delle due parti contenute nell'elemento degli stati (§ 305, 308), ciascuna arreca una particolare modificazione nella discussione; e poiché, inoltre, l'un momento ha la funzione peculiare della mediazione entro questa sfera, cioè fra le cose che esistono in essa, consegue parimente per il medesimo un'esistenza separata, e l'assemblea degli stati si dividerà quindi in due camere).
Ahimé!
§ 31 3· « Mediante questa separazione non solo la maturazione delle decisioni consegue la sua piu grande sicurezza grazie a una
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pluralità di istanze, ed è allontanata l'accidentalità di un voto del momento, come l'accidentalità della decisione a maggioranza del numero dei voti; ma, soprattutto, l'elemento degli stati si trova meno nel caso di stare direttamente contro. il governo; o nel caso che il momento mediatore si trovi, parimente, dalla parte del secondo stato, il peso della sua opinione è tanto piu rafforzato, in quanto essa appare cosi imparziale e la sua opposizione appare neutralizzata~.
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Manoscritti economico-filosofici del 1844
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Per la critica dell'economia politica con l'aggiunta di un capitolo finale sulla filosofia di Hegel
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Prefazione
Ho già annunciato negli Annali franco-tedeschi la critica della scicnzr. Jel diritto e dello Stato sotto forma di una critica della filosofia del diritto hegcliana '. Nella redazione di essa per la stampa, la mescolanza dt'lla critica diretta unicamente contro la speculazione con la critica delle diverse materie mi si mostrò del tutto sconveniente, di ostacolo allo svolgimento e gravosa all'intelligenza. Inoltri, la ricchezza e varietà dei temi da trattare avrebbero permesso di condensare il tutto in uno scritto soltanto in maniera aforistica, come, del resto, una tale esposizione aforistica avrebbe prodotto l'apparenza di una sistemazione arbitraria. Farò quindi seguire, in diversi opuscoli separati, la critica del diritto, della morale, della politica etc., e finalmente tenterò di ridare, in un lavoro speciale, la connessione dell'assieme, il rapporto delle singole parti, come anche la critica conclusiva dell'elaborazione speculativa di quel materiale. Per questa ragione nello scritto presente la connessione dell'economia politica con lo Stato, col diritto, con la morale, con la vita civile etc., è toccata proprio solo per quel tanto che l'economia politica tocca ex . professo questi soggetti. . Al lettore familiare con l'economia politica non occorre che assicuri fin da principio che i miei risultati sono stati ottenuti attraverso un'analisi del tutto sperimentale, fondata su un coscienzioso studio critico dell'economia politica. • Per contro, l'ignaro recensore, che cerca di nascondere la sua completa ignoranza e la sua povertà di pensiero col buttare addosso al critico pòsitivo la formula: «frase utopistica :., o anche frasi come «la critica to:almente pura, totalmente decisa. totalmente critica :., la «società non meramente giuridica, ma sociale, del tutto sociale:., la «compatta e massiccia massa :., gli «oratori portaparola della massa massiccia :., questo recensore ha ancot·a da fornire la prima prova di essere in grado di pronunciarsi 1 Deutsch-Franziisische fahrbucher, Paris, I 844, p. 7I sgg.; Zur Kritik der Hegt:lscht:n Ruht.s.phi/osophie. Von Karl Marx. Einleitung. [Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Di Carlo Marx. Introduzione]. Ges11mtau1gabe, I, I, I, pp. 607·621.
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anche in affari mondani, al di fuori dei suoi familiari affari teologici 1 • . S'intende da sé che, oltre i socialisti francesi e inglesi, ho messo a profitto anche lavori socialisti tedeschi. Ma i lavori tedeschi, ricchi di contenuto e originali, in questo campo scientifico si riducono - oltre agli scritti di W eitling - agli articoli forniti da Hess nei Ventuno fogli •, e ai Lineamenti di una critica dell'economia politica di Engels, negli Annali franco-tedeschi •, dove io ho parimente accennato, in guisa del tutto generale, i primi elementi del presef!te lavoro. • Oltre a questi scrittori, che si sono occupati criticamente di economia politica, la critica positiva in genere, dunque anche la critica positiva tedesca dell'economia politica, deve la sua vera fondazione alle scoperte di Feuerbach, contro le cui Filosofia dell'avvenire e c Tesi [provvisorie] per la riforma della filosofia » negli Anekdota' - per quanto silenziosamente utzliz.zate - la gretta invidia degli uni e la reale rabbia degli altri sembrano aver suscitato un formale complotto per tacerne •. Da Feuerbach soltanto data la positiva critica umanistica e naturalistica. Quanto piu senza rumore, tanto piu sicuro, profondo, esteso e durevole l'effetto degli scritti feuerbachiani, gli unici scritti, dalla Fenomenologia e dalla Logica di Hegel in poi, nei quali è contenuta una reale rivoluzione teoretica. Il capitolo conclusivo del presente scritto, la mia spiegazione con la dialettica e la filosofia hegeliana in genere, l'ho ritenuto del tutto necessario in opposizione ai teologi critici del nostro tempo, dacché un tale lavoro non è stato fatto: è una inevitabile superficialità, restando il teologo critico pur sempre un teologo, che, dunque, o deve partire da determinati presupposti filosofici come da una autorità, oppure, se gli sono nati, nel processo della critica e da scoperte altrui, dei dubbi sui presupposti filosofici, vilmente e ingiustificatamente li tralascia, astrae da loro, e la sua schiavitu sotto i medesimi e il dispiacere di questa schiavitu manifesta solo in guisa negativa, irrif/essiva e sofistica. • LA esprime, perciò, solo negativamente e irriflessivamente: in parte, zn quanto ripete continuamente l'assicurazione della purezza della sua 1 Cfr., per le frasi citate di Bruno Bauer, la mensile Allgemeine literatur-Zeitung [Gazzetta generale di letteratura], Charlottenburg, 1844, fase. l, p. 1 sgg.; fase. 8, p. 1 sgg. • Einundzwanzig Bogen aus der Schweiz, pubblicati da Georg Herwegh a Zurigo e Winterthur, 1843: parte I: articoli di Hess: Sozialismus und Communi ...mus [Socialismo e comunismo], p. 74 e sgg.; Die eine und ganze Freiheit [La libertà una e intera], p. 92 sgg.; Philosophie der Tat [Filosofia dell'azione], p. 309 sgg. 8 Umrisse zu einer Kritik der Nationalokonomie, nei cit. Deutsch-Franz. Jahrb., Paris, 1844, pp. 86-114. ' Grundsittze der Philosophie der Zukun/t, Ziirich· und Winterthur, 1843. Vorlitufìge Thesen zur Reformation der Philosophie: in Anekdota zur neuesten deutschen Philosophie und Publizistik (Aneddoti dell'ultima filosofia e pubblicistica tedesca], pubblicati da Arnold Ruge, Zurigo-Winterthur, 1843, vol. Il, p. 62 sgg.
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critica, e in parte, in qua·rno, per allontanare i suoi occhi e quelli dello spettatore dalla necessità di una spiegazione della critica col proprio principio originario, la dialettica hegeliana e la filosofia tedesca in genere. cioè per allontanarsi da questa necessaria elevazione della moderna critica sulla propria limitatezza e spontaneità, cerca, piuttosto, di creare l' apparenza che la critica abbia ancora da fare soltanto con una limitata forma di critica fuori di essa - all'incirca quella del XVIII secolo - e con la stupidità della massa. Infine, in parte, si dà l'aria, il teologo critico, quando siano fatte delle scoperte, come quelle feuerbachiane, sull'essenza dei suoi presupposti filosofici, di averle egli stesso fatte, e si dà questo sembiante allorché, senza poter/i sviluppare, getta i risultati di quelle scoperte, sotto forma di motti pungenti, contro gli scrittori ancor involti nella speculazione; e in parte si crea la coscienza persino di una sua superiorità su quelle scoperte, allot·ché non cerca o non può collocare al giusto posto quc:gli elementi della dialettica hegeliana di cui osserva la mancanza nella suddetta critica della medesima, che non gli si presentano ancora al suo gusto critico; ma bensf li fa valere nascostamente, maliziosamente e scet ticamente contro quella critica della dialettica hegeliana, e dunque, all' incirca, la categoria della prova mediatrice contro la categoria della verità positiva cominciante da se stessa [ ... ] etc., lo fa valere in quella forma che le è peculiare, in modo di far di tutto un mistero. Cioè il critico-teologo trova perfettamente naturale che tutto quanto è da farsi dal lato filosofico è ch'egli possa ciarlare di purezza e risolutezza ·e della critica totalmente critica. E si crede il vero superatore della filosofia quando sente all'incirca che un motivo hegeliano manca in Feuerbach; giacché il critico-teologo non progredisce dal sentimento alla coscienza, per quanto pratichi l'idolatria spiritualistica della «autocoscienza» e dello « spirito • ». Rigorosamente considerata, la critica teologica - per quanto sia stata al principio del processo un reale motivo di progresso - non è in ultima istanza che l'estrema conseguenza, stravolta in caricatura teologica, della vecchia trascendenza filosofica, hegeliana specialmente. Questa interessante giustizia storica, che destina la teologia, da tempi immemorabili piaga della filosofia, a rappresentare in se stessa la risoluzione negativa della filosofia e cioè il suo processo di putrefazione, - questa nemesi storica .la proverò ampiamente in altra occasione. • Fino a che punto, invece, le scoperte di Feuerbach sull'essenza della filosofia, abbiano resa indispensabile tuttora - almeno per la prova di -essa essenza - una spiegazione critica con la dialettica filosofica, questo Jo si vedrà dalla mia stessa ej-posizione - - •.
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Primo manoscritto Salario - Profitto del capitale - Rendita fondiaria Il lavoro alienato
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Salario
[ /] Il salario vien determinato attraverso la lotta ostile fra capitalista e lavoratore. Necessi\.à della vittoria del capitalista. Il capitalista può vivere piu a lungo senza il lavoratore che non questi senza di lui. L'unione fra capitalisti abituale e efficace, quella fra lavoratori vietata e con cattive conseguenze per loro. Inoltre il proprietario di terre e il capitalista possono aggiungere ai loro redditi dei profitti industriali, il lavoratore non può aggiungere al suo salario né rendita fondiaria, né interessi di capitale. Perciò la concorrenza fra i lavoratori [è] tanto grande. Dunque, per il lavoratore soltanto la separazione di capitale, proprietà fondiaria e lavoro è separazione necessaria, essenziale e nociva. Capitale e proprietà fondiaria non hanno bisogno di restare in questa astrazione, ma si il lavoro del lavoratore. Per il lavoratore, dunque, la separazione di capitale, rendita fondiaria e lavoro è mortale. L'infimo e solo necessario saggio del salario è dato dalla sussistenza del lavoratore durante il lavoro, e da quel tanto di piu affinché egli possa nutrire una famiglia e la razza dei lavoratori non si estingua. Il consueto salario è, secondo Smith ', quell'infimo ch'è compatibile con la « semplice umanità», cioè con un'esistenza animalesca. La domanda di uomini regola necessariamente la produzione di uomini, come di ogni altra merce. Se l'offerta è assai maggiore della domanda, una parte dei lavoratori cade in mendicità o muore di fame. L'esistenza del lavoratore è cosi ridotta alla condizione di esistenza di ogni altra merce. Il lavoratore è divenuto una merce, ed è una fortuna per lui se può trovare un acquirente. La domanda, da cui dipende la vita del lavoratore, dipende dall'umore dei ricchi e dei capi1 Vedi la traduzione francese con note di Germain Garnier, a Parigi, r8o2, tomo I, p. 138, delle Recherches sur la nature et les causes de la richuse des nations, di Adam Smith.
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talisti. Se [la] quantità dell'offerta su[pera] la domanda, una delle parti costituenti il prezzo, cioè profitto, rendita fondiaria e salario, è pagata sottoprezzo; [una parte di queste l prestazioni si sottrae dunque a questo impiego e cosi il prezzo di mercato gravita verso il prezzo naturale come centro. Ma 1) è la cosa piu difficile per il lavoratore, che partecipa di una grande divisione del lavoro, dare al suo lavoro un'altra direzione; 2) il primo a essere in svantaggio è lui, per la sua relazione di subalterno del capitalista. Nella gravitazione del prezzo di mercato verso il prezzo naturale è dunque il lavoratore che perde piu di tutti, in modo assoluto. Precisamente la facoltà del capitalista, di indirizzare altrimenti il suo capitale, fa si che l'operaio di un determinato ramo di lavoro resti 'enza pane, o lo costringe a sottomettersi a tutte le pretese del capitalista. [II] L~ accidentali e improvvise oscillazioni del prezzo di mercato colpiscono meno la rendita fondiaria che quella parte del prezzo che si risolve in profitto e salario, c meno il profitto che il salario. A un salario che sale sopravviene, per lo piu, un salario che rimane stazionario, e uno che cade. Il lavoratore non deve necessariamente guadagnare se guadagna il capitalista, ma necessariamente perde con esso. Cosi l'operaio non ci guadagna, se il capitalista, mediante i segreti della manifattura o del commercio, mediante i monopoli o la situazione favorevole dei suoi terreni, mantiene il prezzo di mercato sopra il prezzo naturale. Inoltre: i p1·ezzi del lavoro sono molto piu costanti dei prezzt dei mezzi di sussistenza. Spesso essi stanno in opposto rapporto. In un'annata di carestia il salario diminuisce col diminuire della domanda, cresce col crescere dei mezzi di sussistenza. Si bilanciano cosi. In ogni caso: una quantità di lavoratori senza pane. In anni di buon mercato il salario cresce col crescere della domanda, diminuisce coi prezzi dei mezzi di sussistenza. Cosi si bilanciano. Un altro svantaggio del lavoratore: I prezzi del lavoro delle diverse categorie di lavoratori variano di piu dei guadagni dei diversi rami d'impiego del capitale. Nel lavoro emerge intera la diver~ità naturale, spirituale e sociale dell'attività dell'individuo, ed è diversamente ricompensata, mentre il capitale, cosa morta, va sempre ad un modo ed è indifferente alla reale attività individuale. In genere si osserva che là dove lavoratore e capitalista parimente soffrono, il lavoratore soffre nella sua esistenza, il capitalista nel guadagno del suo morto mammone.
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Il lavoratore è costretto a lottare non solo per i suoi mezzi fisici di sussistenza, ma altresi per ottenere lavoro, cioè per la possibijità e i mezzi di realizzare la sua attività. Prendiamo i tre principali stati in cui la società può trovarsi, e consideriamo la situazione relativa del lavoratore. 1) Se la ricchezza della società è in declino, il lavoratore soffre piu di tutti, perché, se la classe dei lavoratori non può, nello stato prospero della società, guadagnare tanto quanto quella dei possidenti, nessuna soffre tanto crudelmente del proprio declino quanto la classe dei lavoratori 1•
[Ili] 2) Prendiamo ora una società in cui la ricchezza è in progresso. Questa situazione è l'unica favorevole al lavoratore. Qui interviene la concorrenza fra i capitalisti. La domanda di lavoratori supera l'offerta. Ma: Primieramente: la salita del salario porta seco il sopralavoro degli op~r3-Ì. Quanto piu essi vogliono guadagnare, tanto piu essi debbonr:,.sacrificare il loro tempo e, rinunziando completamente alla liberta; compiere al servizio della cupidigia d'altri un lavoro da schiavi. Cosi accorciano la loro vita. Questo accorciamento della durata della loro vita è una circostanza favorevole alla classe dei lavoratori nel suo assieme, poiché rende necessaria una sempre nuova offerta. Questa classe deve sempre sacrificare una parte di sé, per non andare tutta in rovina. Secondariamente: quando una società si trova in progressivo arricchimento? Con lo sviluppo di capitali e di redditi fondiari. Ma questo è possibile soltanto a) perché si è accumulato molto lavoro, essendo il capitale lavoro accumulato: dunque, perché dal lavoratore si ricavano sempre piu prodotti; perché il suo proprio lavoro sempre piu gli sta di fronte come proprietà estranea, e i mezzi della sua esistenza e della sua attività si concentrano vieppiu nelle mani del capitalista; ~ ) [perché] l'accumulo del capitale rafforza la divisione del lavoro, e la divisione del lavoro rafforza il numero dei lavoratori; e all'inverso il numero dei lavoratori rafforza la divisione del lavoro, come questa l'accumulo dei capitali. E con questa divisione del lavoro, da una parte, e l'accumulo dei capitali, dall'altra, il lavoratore dipende, sempre piu, meramente dal lavoro, e da un determinato, assai unilaterale, meccanico lavoro. In quanto esso è, dunque, mentalmente e fisicamente abbassato a una macchina, e da uomo diventa un'astratta 1
Opera citata, t. Il, p.
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(l'ultimo periodo è nel francese del traduttore nel
testo). I
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attività e un ventre, diventa anche sempre piu dipendente da tutte le oscillazioni del prezzo di mercato, dell'impiego dei capitali e dell'umore dei ricchi. Proprio col crescere della classe [IV] soltanto lavoratrice, cresce la concorrenza degli operai, e diminuisce dunque il loro prezzo. Nell'industria questa posizione dell'operaio raggiunge il suo apice. y ) [Perché] in una società, che si trova in un benessere crescente, i piu ricchi possono vivere ormai· soltanto del denaro a interesse. Tutti gli altri debbono col loro capitale darsi agli affari, o metterlo nel commercio. Per ciò la concorrenza fra capitali diventa maggiore. La concentrazione dei capitali aumenta, i grandi capitalisti rovinano i piccoli, e una parte dei capitalisti di prima cade nella classe dei lavoratori, che per questo apporto soffre di nuovo di un parziale ribasso del salario e cade in una ancor maggiore dipendenza dai capitalisti, pochi ma grossi. Mentre diminuisce il numero dei capitalisti, la loro concorrenza riguardo ai lavoratori quasi sparisce, e mentre aumenta il numero dei lavoratori la concorrenza fra questi diventa sempre piu grande, innaturale e violenta. Una parte della classe 1 dei lavoratori cade, quindi, necessariamente in condizione di mendicità o di affamamento, come una parte dei capitalisti med~ cade nella classe dei lavoratori. Dunque, persino in quello stato della società ch'è il piu favorevole al lavoratore, il risultato inevitabile per il lavoratore è sopralavoro e morte precoce, abbassamento a una macchina, schiavitu rispetto al capitale che minacciosamente gli si accumula di contro, nuova concorrenza, morte per fame, o mendicità, di una parte dei lavoratori. [V] L'aumento del salario scatena sul lavoratore la brama di arricchimento propria del capitalista, che egli può soddisfare soltanto col sacrificio del suo spirito e del suo corpo. L'aumento del salario presuppone l'accumulo del capitale, e lo porta seco; mette di fronte al lavoratore il prodotto del lavoro come vieppiu estraneo. Parimente la divisione del lavoro rende il lavoratore sempre piu unilaterale e dipendente, in quanto essa comporta non solo la concorrenza degli uomini, ma anche delle macchine. Poiché il lavoratore è degradato a una macchina, questa gli può star di fronte come una concorrente. Finalmente, come l'accumulo di capitale aumenta la quantità di industrie, e però di lavoratori, la medesima quantità di industrie attraverso questo accumulo comporta una maggior quantità di manufatti, che diventa sovrapproduzione, e con ciò finisce o di disoccupare una grande quan1
Stanti.
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tita di lavoratori o di ridurre il loro salario ad un minimo miserrimo. Queste le conseguenze di uno stato della società ch'è il piu favorevole al lavoratore, cioè di uno stato di crescente, progrediente ricchezza. Ma alla fine questo stato di progresso ha pur da raggiungere l'acme. Quale è ora la situazione del lavoratore? 3) « In un paese che avesse raggiunto l'ultimo stadio possibile della sua ricchezza, salario e interesse del capitale sarebbero entrambi molto bassi. La concorrenza fra i lavoratori, per conservare un'occupazione, sarebbe cosi grande che i salari sarebbero ridotti a ciò che basta alla sussistenza di quel medesimo numero di lavoratori, numero che non potrebbe aumentare in quanto il paese sarebbe già sufficientemente popolato> '. Il sovrappiu sarebbe condannato a morire di fame. Dunque, nello stato di declino della società, progressiva miseria del lavoratore; nello stato di progresso miseria complicata; nello stato di acme miseria stazionaria. [VI] Ma poiché, secondo Smith •, non è una società fèlice quella in cui la maggioranza soffre, e poiché lo stato di massima ricchezza della società conduce a questa sofferenza della maggioranza, ed è l'economia politica (e in genere la società dell'interesse privato) che conduce a questo stadio di massima ricchezza, il termine dell'economia politica è dunque l'infelicità della società. Circa il rapporto fra lavoratore e capitalista c'è ancora da osservare che l'aumento del salario è piu che compensato al capitalista dalla diminuzione della quantità del tempo di lavoro, e che l'aumento del salario e l'aumento dell'interesse del capitale agiscono sul prezzo della merce nella misura rispettiva dell'interesse semplice e dell'interesse composto. Mettiamoci ora totalmente nell'angolo visuale dell'economista, e da esso confrontiamo le pretese teoriche e pratiche dei lavoratori. L'economista ci dice che originariamente e idealmente l'intero prodotto del lavoro appartiene al lavoratore •. Ma ci dice a un tempo che, nella realtà, al lavoratore tocca la parte minima e strettamente indispensabile del prodotto; solo quanto è necessario affinché egli esista non come uomo, bens1 come lavoratore; ·affinché non l'umanità egli propaghi, ma la classe schiava dei lavoratori. L'economista ci dice che tutto si compra col lavoro, e che il ca1 Op. cit., t. l, p. 193 (con omissioni). • Op. cit., t. l, p. 159 sgg. 1 Op. cit., t. I, p. 129.
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pitale non è che lavoro accumulato, ma ci dice a un tempo che il lavoratore, ben !ungi dal poter comprare tutto, deve vendere se stesso e la sua umanità. Mentre la rendita fondiaria del proprietario di terre inattivo ammonta per lo piu alla terza parte del prodotto della terra, e il profitto del capitalista attivo ammonta persino al doppio dell'interesse del suo denaro, il piu che l'operaio,· nel miglior caso, guadagna ammonta a tanto che su quattro figli suoi due debbono morire di fame, passare a miglior vita. [Vll] Mentre, secondo l'economista, unicamente col lavoro l'uomo aumenta il valore dei prodotti naturali, e il lavoro è la sua attiva proprietà, c'è, secondo la medesima economia politica, il proprietario fondiario e c'è il capitalista che come proprietario fondiario e come capitalista sono puramente delle privilegiate e. oziose deità, dappertutto superiori al lavoratore e suoi legislatori. Mentre, secondo l'economista, il lavoro è l'unico immutabile prezzo delle cose, non c'è niente di piu accidentale del prezzo del lavoro, niente esposto a maggiori oscillazioni. Mentre la divisione del lavoro aumenta la forza produttiva del lavoro e la ricchezza e il raffinamento della società, impoverisce il lavoratore sino a farne una macchina. Mentre il lavoro fa sorgere l'accumulazione del capitale, e con ciò il crescente benessere della società, rende il lavoratore sempre piu dipendente dal capitalista, lo mette in una maggiore concorrenza, lo spinge alla caccia forzata della sovrapproduzione, a cui segue quella atonia. Mentre l'interesse del lavoratore non si oppone mai, secondo l'economista, all'interesse della società, questa si oppone sempre all'interesse del lavoratore. Secondo l'economista l'interesse del lavoratore non si oppone mai a quello della società, r) perché l'aumento del salario è piu che compensato dalla diminuzione nella quantità dd tempo di lavoro, assieme alle altre conseguenze sopra spiegate, e 2) perché rispetto alla società l'intero prodotto lordo è prodotto netto, e soltanto rispetto all'individuo privato il prodotto netto ha un senso. Ma che il lavoro stesso, non soltanto nelle presenti condizioni, bensi in quanto, in generale, il suo scopo è il mero accrescimento di ricchezze, che il lavoro, dico, sia dannoso e funesto, ciò consegue, senza che l'economista lo sappia, dalle sue proprie deduzioni. In teoria, rendita fondiaria e profitto del capitale sono detrazioni che soffre il salario. Ma, nella realtà, il salario è una detrazione che
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terra e capitale fanno pervenire al lavoratore: una concessiOne del prodotto del lavoro ai lavoratori, al lavoro. Nello stato di declino della soCietà, il lavoratore pena durissimamente. Esso deve la specifica gravezza della propria oppressione alla sua posizione di lavoratore, e l'oppressione in generale allo stato della società. Ma nello stato progressivo della società il decadere e l'impoverimento del lavoratore sono prodotti del suo lavoro della ricchezza da lui prodotta. La miseria, che consegue dunque dalla essenza dell'odierno lavoro stesso. Lo stato di massima ricchezza della società, un ideale tuttavia approssimativamente raggiunto, e perlomeno scopo della economia politica come della società borghese', è miseria stazionaria per i lavoratori. S'intende da sé che l'economia politica considera soltanto come lavoratore il proletario, cioè colui che, senza capitale e rendita fondiaria, vive puramente del suo lavoro, e di un lavoro unilaterale, astratto. Essa può quindi stabilire il principio che il lavoratore deve, come un cavallo, guadagnarsi tanto da poter lavorare. Non lo considera come uomo, nel tempo in cui non lavora; ma lascia questa considerazione alla giustizia criminale, ai medici, alla religione, alle tabelle statistiche, alla politica e agli sbirri dell'accattonaggio. Solleviamoci ora sopra il livello dell'economia politica e cerchiamo, partendo dalla esposizione sino a qui fatta quasi con le stesse parole dell'economista, di rispondere a due quesiti:
e
1) Che senso ha, nello svolgimento dell'umanità, questa riduzione della maggior parte di essa a un astratto lavoro? 2) Che errore commettono i riformatori en détail che o aumentano il salario, e con ciò vogliono migliorare la situazione della classe lavoratrice, o considerano, con Proudhon •, l'eguaglianza del salario come il fine della rivoluzione sociale? Il lavoro compare nell'economia politica soltanto nella figura di attività di guadagno.
[VIII] «È lecito affermare che quelle occupazioni, che presuppongono specifiche disposizioni o piu lunga preparazione, in complesso son divenute piu lucrative; mentre il salario relativo per l'attività meccanica e uniforme, alla quale uno come un alt.r.o può fabiirger/ichen Gesel/schaft. Cfr. la prima nota alla Critica. • Vedi di Proudhon, ad es.: Qu'est-ce que la proprihé?, Parigi, 1840.
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cilmente e rapidamente essere avviato, con la crescente concorrenza ~ caduto, e necessariamente doveva cadere. E propriamente questa categoria di lavoro è, nello stato attuale della sua organizzazione, di gran lunga la piu numerosa. Se, dunque, un lavoratore della prima categoria ora guadagna sette volte di piu, e uno della seconda guadagna quanto circa cinquant'anni fa, entrambi certamente guadagnano in media quattro volte tanto. Soltanto, se in un paese la prima categoria di lavoro tiene occupati r.ooo uomini e la seconda un milione, 999.000 non stanno meglio di cinquant'anni prima, ma stanno anzi peggio, se intanto è rincarata la vita. E con cosiffatti superficiali calcoli di medie si vuole ingannare se stessi sulla piu numerosa classe della popolazione. Inoltre, la quantità del salario è solo tm elemento dell'apprezzamento del reddito del lavoratore, ché per la misura di quest'ultimo entra nel conto essenzialmente anche la durata garantita del medesimo, della quale semplicemente non si fa discorso nell'anarchia della cosiddetta libera concorrenza, con le sue sempre ricorrenti oscillazioni e pause. Infine, c'è anche da tener presente il precedente e l'attuale tempo ordinario di lavoro. Ma questo, per i lavoratori inglesi, nella manifattura del cotone, da circa 25 anni, dunqué proprio dall'introduzione delle macchine, risparmiatrici di tempo, è stato elevato, dalla brama di guadagno degli imprenditori, [IX] a 12-16 ore giornaliere, e questo aumento in un paese e in un ramo dell'industria doveva valere piu o meno anche altrove, dato che ovunque era ancora riconosciuto il diritto di un incondizionato sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi:.. Schulz, Movimento della produzione, p. 65 1 • « Ma anche se fosse vero, il che non è, che il reddito medio di tutte le classi sociali sia ingrandito, tuttavia sarebbero ingrandite le differenze e le proporzionali distanze di reddito, e da ciò piu acuti i contrasti di ricchezza e povertà. Proprio perché la produzione totale cresce e, nella stessa misura in cui ciò accade, aumentano anche i bisogni, i desideri e i diritti, e la povertà relativa può cosi crescere, mentre quella assoluta diminuisce. Il samojedo non è povero col suo olio e pesce rancido, perché nella sua società chiusa hanno tutti eguali bisogni. Ma in uno Stato progrediente, che nel corso di un decennio ha aumentato di un terzo, in rapporto alla società, la sua produzione 1 W. Schulz, Die Bewegung der Produktion. Eine geschichtlich-statistische Abhandlung [Il movimento della produzione, trattato storico-statistico J, Ziirich und Winterthur, 1843. (Citato da M. spesso liberamente: ad es. sostituendo significatamente c società,. a c popolazione • ccc.).
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totale, l'operaio che per tutti i dieci anni ha sempre guadagnato lo stesso non è rimasto ugualmente benestante, ma è diventato d'un terzo piu bisognoso:.. ibid. pp. 65, 66. Ma l'economia politica conosce il lavoratore solo in quanto bestia da soma, animale ridotto ai piu stretti bisogni corporali. «Un popolo, affinché si formi spiritualmente libero, non può piu restare nella schiavitu dei suoi bisogni corporali, non può esser piu servo del corpo. Gli deve, dunque, restare innanzitutto tempo per potere anche operare e godere spiritualmente. I progressi nell'organismo del lavoro gli procurano questo tempo. Con le nuove forze motrici e le macchine perfezionate, oggi un singolo operaio di cotonificio compie non di rado il lavoro di cento, e persino di 250-350 operai. Risultati simili in tutti i rami della produzione, ché le forze naturali esterne sono vieppiu costrette a partecipare [X] al lavoro umano. Se prima era necessario, per il soddisfacimento di un quantum di bisogni materiali, un dispendio di tempo e di energia umana che si è ridotto poi alla metà, nello stesso tempo, senza perdita di benessere materiale, è stato di tanto allargato il campo dell'operare e fruire spirituale ... Ma sulla ripartizione del bottino, che noi riusciamo a strappare al vecchio Kronos nel suo stesso dominio, decide ancora il giuoco dei dadi del caso cieco e ingiusto. Si è calcolato in Francia che allo stato attuale della produzione un tempo medio di lavoro di cinque ore per ogni lavoratore basterebbe alla soddisfazione di tutti gli interessi materiali della società ... Malgrado il risparmio di tempo dovuto al perfezionamento delle macchine, la durata del lavoro schiavo delle fabbriche è soltanto accresciuta per gran parte della popolazione». pp. 67, 68, ibid. « Il passaggio [alle macchine] del lavoro manuale complesso presuppone una scomposizione di quest'ultimo nelle sue operazioni semplici. Ora, anzitutto, solo una parte delle uniformi e ricorrenti operazioni tocca alle macchine, l'altra agli uomini. Secondo la natura della cosa e le concordanti esperienze, una cosiffatta attività continua e uniforme è tanto svantaggiosa allo spirito che al corpo; e cosi debbono venir fuori, da questo collegamento delle macchine con la semplice divisione del lavoro fra una mano d'opera piu numerosa, anche tutti gli svantaggi patiti da quest'ultima. Questi svantaggi si rilevano, tra l'altro, nella maggiore mortalità fra operai di fabbrica ... [XI] Questa grande differenza, che gli uomini lavorino con le macchine o come macchine, non è stata considerata :). ibid., p. ~<< Ma, nel futuro della vita del popolo, le sorde forze naturali r61
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agenti nelle macchine diventeranno nostre schiave, c1 serv1ranno :.. ibid., p. 74· «Nelle filande inglesi sono occupati soltanto 158.818 uomini e 196.8I8 donne. Ad ogni 100 operai dei cotonifici della contea di Lancaster corrispondono 103 operaie, e in Scozia persino 209. Nelle tessiture di lino inglesi di Leeds si sono contate I47 operaie contro 100 'operai, e a Druden e sulla costa orientale scozzese persino 28o. Nei setifici inglesi ... molte operaie; nei lanifici, .che richiedono piu forza lavoratrice, ci sono piu uomini ... Anche nei cotonifici nordamericani erano occupate, nell'anno I833, non meno di 38.927 donne accanto a I8.593 uomini. Coi cambiamenti nell'organamento del lavoro è, dunque, toccato al sesso femminile un settore piu ampio di attività industriale ... , alle donne una posizione economica piu indipendente..., e ambo i sessi nei loro rapporti sociali accostati di piu l'uno all'altro>. pp. 71, 72, ibid. «Nelle filande a vapore inglesi lavoravano nell'anno I835: 20.558 ragazzi fra gli 8 e i 12 anni; 35.867 fra i 12 e i I3 anni e infine 108.208 fra i 13 e i I 8 anni... Certamente gli ulteriori progressi della meccanica producono una graduale eliminazione fXII] dell'abuso, in quanto sottraggono vieppiu agli uomini tutte le occupazioni uniformi. Ma questi rapidi progressi sono ostacolati precisamente dalla circostanza che i capitalisti possono impossessarsi, nella guisa piu facile e piu economica, delle forze delle classi inferiori, fino dail'infanzia, per usarne in vece dei mezzi ausiliari meccanici, e abusarne». pp. 70, 71. Schulz, Mov. d. produz. «L'appello di lord Brougham agli operai: "diventate capitalisti!" ... Il male è che milioni di uomini possono guadagnarsi uno scarso alimento solo con un lavoro affaticante, fisicamente logorante, deformante moralmente, spiritualmente; e che, persino, debbono ritenere una felicità l'infelicità di aver trovato un tale lavoro». p. 6o, ibid. << Pour vivre dane, les non-propriétaires sont obligés de se mettre directement ou indirectement a u servi c e d es propriétaires, c'est à dire sous leur dépendance ». Pecqueur, Tlzéorie nouvelle d'écono. l mze soc. etc. p. 409 . Domestiques - gages; ouvries - sa/aires; employés - traitement ou émoluments, ibid. pp. 409, 410. « louer son travail », « prber son travail à l'intérét », « travailler à la piace d'autrui ». 1 Tlzéorie nouvel/e d'économie sociale et politique, des sociétés, di C. Pccqueur, Parigi, 1842.
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hudes sur l'organisotion
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. c louer la matière du travail », « préter la matière du trat•ail .l l'intér~h, « faire travailler autrui à sa piace». ibid. [pp. 4II, 412]. [XIII] « Cette constitutian économique candamne les hommes à des métiers tellement abject~·, à une dégradatian tellement désolante
et amère, que la sauvagerie apparalt en comparaison, camme une royale condition .». l. c. pp. 417, 418. «La prostitution de la classe non prapriétaire sous toutes les farmes ». p. 421, sgg., Cenciaioli. C h. Laudon nello scritto: Solution du problème de la population, etc., Parigi, 1842, dà come numero di prostitute in Inghilterra la cifra di 6o-7o.ooo. E parimente grande è il numero delle femmes d'une vertu douteuse: p. 228 '. «La moyenne vie de ces infortunées créatures sur le pavé, aprè.; qu'elles sont entrées dans la carrière du vice, est d'enviran six au sept ans. De manière qtte pour maintenir le nombre de 6o à 70.000 prostituées, il doit y avoir, dans /es 3 rayaumes, au mains 8 à gooo fem · mes qui se vouent à cet infdme métier chaque année, au enviran vingt-quatre nauvelles t•ictimes par jaur, ce qui est la mayenne d'un e par heure; et canséquemment, si la méme prapartian a lieu sur taute la surface du glabe, il dait y avair canstamment un millian et demi de ces malheureuses ». ibid. p. 229. «La papulation des misérables cralt avec leur misère, et c'est à la limite extréme du dénument que /es hres humains se pressent en plus grand nombre paur se disputer le drait de sauffrir... En 1821, la papulatian de. l'lrlande était de 6.8o1.827. En 18p, elle s'était élévée à 7·764.010; c'est 14 p. % d'augmentation en dix ans. Dans le Leinster, province où il y a le plus d'aisance, la population n'a augmenté que de 8 p. %. tandis que, dans le Connaught, province la plus misérable, l'augmentation s'est élevée à 21 P·%· (Extrait cles Enquétej publiées en Angleterre sur f!lrlande. Vienne, 1840) ». Buret, De la misère etc. t. I p. [36.] 37 '. L'economia politica considera il lavoro astrattamente come una cosa: le travail est une marchandise; se il prezzo è alto, la merce è molto richiesta; se è basso, è molto offerta; camme marchandise, le travail doit de plus en plus baisser de prix "; costringono a ciò in parte la concorrenza tra capitalista e operaio, in parte la concorrenza tra operai. «La papulatian auvrière, marchande de travail, est farcément réduite à la plus faible part du praduit ... la 1 Solution du problème de la population et de la subsistance, soumise à un médécin dans une série de lettres, di C. Loudon, Parigi I 842. 2 De la misère des classes laboriet/Ses en Angleterre et en France, di E. Buret, Parigi, I 84o. • Buret, opera cit., t. l, p. 42.
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théarie du travail marchandise est-elle autre chase qu'une théarie de servitude déguisée? l. c. p. 43 1 • « Paurquai dane n'avair dans le travail qu'une valeur d'échange? :.. ib. p. 44· I grandi ateliers preferiscono comprare il lavoro delle donne e dei fanciulli, perché questo costa meno di quello degli uomini. l. c. <
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l'aspra necessità della fame. Essi non hanno né attaccamento né riconoscenza per i loro chefs; e questi stanno assieme ai loro dipendenti senza alcun sentimento di benevolenza: non li conoscono come uomini, ma solo come strumenti della produzione, che devono rendere quanto è possibile e costare il meno possibile. Queste popolazioni operaie, vieppiu serrate, non hanno nemmeno la sicurezza di esser impiegate sempre: l'industria, che le ha chiamate a raccolta, le lascia vivere solo fino a quando ne ha bisogno, e appena può sbarazzarsene le abbandona senza il minimo scrupolo; e gli operai sono costretti ad offrire la loro persona e la loro forza per il prezzo che si vuole accordar loro. Quanto piu è lungo, penoso, disgustoso, il lavoro che si dà loro, tanto meno essi vengono pagati. Se ne vedono taluni che, con 16 ore di lavoro al giorno, di un continuo sforzo, comprano appena il diritto di non morire>. l. c., p. [68,] fl9. [XV] « Nous avons la conviction ... partagée ... par /es commissaires chargés de l'enquhe sur la condition des tisserands à la main, que les grandes villes industrielles perdraient, en peu de temps, leur population de travailleurs, si elles ne recevaient, à chaque instant, des campagnes voisines, des recrues continuelles d'hommes sains, de sang nouveau >. p. 362, l. c.
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Profitto del capitale
[I] 1) Il capitale
I) Su che si fonda il capitale, cioè la proprietà privata dei prodotti del lavoro altrui? « Quando anche il capitale ~.::m si riduca a furto o malversazione, esso abbisogna, tuttavia, del concorso della legislazione, per la consacrazione dell'eredità). Say, t. l, p. 136, nota'. Come si diventa proprietari di capitali produttivi? Come si diventa proprietari dei prodotti creati con questi? Mediante il diritto positivo. Say, t. Il, p. 4· Quale potere si acquista col capitale? Con l'eredità di una grande fortuna, per esempio? «Chi, per esempio, erediti una grande fortuna non acquista perciò immediatamente potere politico. La specie di potere, che questo possesso ·gli conferisce immediatamente e direttamente, è il potere di comprare, cioè un diritto di comando su ogni lavoro altrui o su ogni prodotto di questo lavoro, ch'esista in quel tempo sul mercato». Smith, t. l, p. 61 •. Il capitale è, dunque, potere di comando sul lavoro e i suoi prodotti. Il capitalista ha questo potere non per le sue personali o umane qualità, bens! in quanto proprietario del capitale. Il suo potere è il potere di acquisto del suo capitale, cui niente può resistere. Vedremo piu tardi, prima, come il capitalista eserciti, per mezzo del capitale, il suo potere di comando sul lavoro, e poi il potere di comando del capitale sul capitalista stesso. Che cosa è il capitale? «Une certaine quantité de travail amassé et mis en re serve». Smith, t. Il, p. 312. Il capitale è lavoro accumulato. 1 J. B. Say, Traité d'économic politiquc. 3· ed., t. I-II, Paris, 1817. • Smith, Rechcrches cit.
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2) fonds, stock, è ogni cumulo di prodotti della terra e del lavoro di manifattura. Lo stock significa capitale solo quando esso dà un reddito o guadagno al suo proprietario. Smith, t. Il, p. 191.
2) Il profitto del capitale
Il profitto o guadagno del capitale è del tutto diverso dal salario. Questa diversità si mostra in duplice guisa: primieramente i guadagni del capitale si regolano del tutto secondo il valore del capitale impiegato, potendo restare il medesimo il lavoro di sorveglianza (. direzione di capitali diversi; secondariamente si aggiunge che nelle grandi fabbriche tutto questo lavoro è affidato ad un direttore generale, il cui stipendio non sta in alcun rapporto col [Il J capitale di cui sorveglia la messa in opera. E sebbene qui il lavoro del proprietario si riduca quasi a nulla, questi pretende tuttavia dei profitti in proporzione al suo capitale. Smith, t. I, pp. 97·99· Perché il capitalista pretende questa proporzione fra guadagno e capitale? Egli non avrebbe alcun interesse a occupare degli operai se non si aspettasse dalla vendita della loro opera di piu di quanto sia necessario per reintegrare i fondi anticipati per salari, e non avrebbe interesse a impiegare una somma grossa piuttosto che piccola di fondi, se il suo profitto non stesse in rapporto al volume dei fondi impiegati, t. l, pp. 96, 97· Il capitalista, dunque, primieramente ottiene un guadagno sui salari, secondariamente sulle materie prime anticipate. In che rapporto sta ora il profitto col capitale? Se è già difficile determinare il comune saggio medio del salario in un dato luogo e in un dato tempo, è ancor piu difficile determinare il profitto dei capitali. Variazioni nel prezzo delle merci che il capitale tratta, buona fortuna o cattiva dei suoi competitori e clienti, mille altri accidenti, cui le merci sono esposte, sia nel trasporto che in magazzino, fanno f-luttuare il profitto ogni giorno e quasi ogni ora. Smith, t. I, pp. 179, 180. Per quanto sia impossibile determinare con precisione i profitti dei capitali, si può tuttavia farsene un'idea dail'interesse del denaro. Se si può guadagnare molto col denaro, si dà molto per averne l'uso; se poco per suo mezzo, poco. Smith, t. I, p. 181. La proporzione, che deve serbare il comune saggio dell'interesse col saggio del profitto netto, varia necessariamente col salire o cadere del profitto. Nella Gran Bretagna si calcola al doppio dell'interesse
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quello che i commercianti chiamano un profitto onesto, moderato, ragionevole, termini non significanti altro che un profitto ordinario, usuale. Smith, t. I, p. 198. Qual è il piu basso saggio del profitto? Qual è il piu alto? Il piu basso saggio del profitto ordinario dei capitali deve sempre essere qualcosa di piu di quanto è necessario per compensare le perdite accidentali alle quali ogrii impiego di capitale è esposto. Questo sovrappiu è propriamente il profitto o beneficio netto. Egualmente per il piu basso saggio dell'interesse. Smith, t. l, p. 196. [III] Il piu alto saggio, a cui possono salire i profitti ordinari, è quello che assorbe nella maggior parte delle merci la totalità della rendita fondiaria, e riduce il salario corrispondente alle merci fornite, all'infimo prezzo, alla stretta sussistenza dell'operaio durante il lavoro. In un modo o nell'altro l'operaio deve sempre esser nutrito, finché è applicato a un lavoro; ma la rendita fondiaria può non aver luogo del tutto. Esempio: nel Bengala i membri della Compagnia commerciale delle Indie. Smith, t. I, p. 198. Oltre a tutti i vantaggi di una scarsa concorrenza, che il capitalista può sfruttare in questo caso, egli può onestamente tenere il prezzo di mercato al di sopra del prezzo naturale. Primieramente, lo fa mediante il segreto commerciale, allorché il mercato è molto lontano da coloro che lo provvedono: cioè col tener nascosto il mutamento del prezzo, il suo rialzo sopra il livello naturale. Questa segretezza ha, cioè, il risultato che altri capitalisti non lanciano il loro capitale in tal branca. Secondariamente, lo fa mediante il segreto di fabbrica, per cui il capitalista, su minori costi di produzione, offre la sua merce con maggior profitto ai prezzi medesimi, o persino piu bassi, dei suoi concorrenti. (L'inganno mediante la segretezza non è immorale? Commercio di Borsa). Poi: lo fa quando la produzione è legata a una determinata località (come, ad es., per vini costosi) e l'effettiva domanda non può mai esser soddisfatta. Infine: mediante monopoli di individui e compagnie. Il prezzo di monopolio è il piu alto possibile. Smith, t. l, pp. 120-124. Altre cause accidentali che possono elevare il profitto del capitale: l'acquisto di nuovi territori o nuovi rami di commercio aumenta spesso, anche in un paese ricco, il profitto dei capitali, perché· sottrae ai vecchi rami una parte dei capitali, diminuisce la concorrenza, fa provvedere il mercato di meno merce, il cui prezzo allora si alza, e con questo i commercianti possono pagare un interesse piu forte per il denaro avuto a prestito. Smith, t. I, p. I<)O.
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Piu una merce è lavorata e oggetto di manifattura, e piu aumenta la parte del prezzo che si scompone in salario e profitto, rispetto alla parte che si risolve in rendita fondiaria. Col progresso che compie la manifattura di questa merce non aumenta solo la cifra dei profitti, ma ogni successivo profitto è maggiore del precedente, giacché il capitale, da cui [IV] deriva, è necessariamente sempre maggiore. Il capitale che impiega dei tessitori è necessariamente sempre maggiore di quello che fa lavorare dei filatori, perché non solo reintegra quest'ultimo capitale coi suoi profitti, ma inoltre paga i salari dei tessitori, ed è necessario che i profitti stiano sempre in una sorta di proporzione col capitale. t. I, pp. 102, 103. Il progresso che il lavoro umano fa sul prodotto naturale, trasformandolo nel prodotto manifatturato, non aumenta il salario, bensi, in parte, il numero dei capitali proficui e in parte la proporzione di ogni successivo capitale ai precedenti. Sul profitto che trae il capitalista dalla divisione del lavoro diremo piu tardi. Egli guadagna doppiamente: in primo luogo dalla divisione del lavoro; in secondo luogo dal progresso, in generale, del lavoro umano sul prodotto naturale. Quanto maggiore la parte dell'uomo in una merce, tanto maggiore il profitto del morto capitale. In una medesima società il saggio medio dei profitti del capitale è piu prossimo ad un medesimo livello che non il salario delle diverse specie di lavoro. t. l, p. 228. Nei diversi impieghi del capitale l'ordinario saggio del profitto varia secondo la maggiore o minore certezza del ritorno del capitale. « Il saggio del profitto si alza col rischio, anche se non in una proporzione perfetta :.. ibid. [pp. 226, 2271. S'intende che i profitti del capitale salgono anche con la facilitazione o minor costosità dei mezzi di circolazione (ad esempio, la carta-moneta).
3) Il dominio dél capitale sul lavoro e i motivi del capitalista L'unico motivo, che determina il possessore di un capitale a impiegarlo a preferenza nell'agricoltura o nella industria o in un ramo particolare del commercio all'ingrosso o al dettaglio, è il punto di vista del proprio profitto.·Non gli viene mai in mente di calcolare quanto lavoro produttivo ognuna di queste diverse specie d'impiego di capitale realizza [V] o quanto aggiunga di valore al prodotto annuale dei terreni e al lavoro del suo paese. Smith, t. II. pp. 400-401.
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L'impiego piu utile del capitale è per it capitalista quello che éi pari sicurezza rende il maggior: profitto. Questo impiego non è sem· pre il piu utile per la società: il piu utile è quello rivolto a trarre dalleforze naturali produttive la loro utilità. Say, t. II, p. 131'· Le operazioni piu importanti del lavoro sono regolate e condotte secondo i piani e le speculazioni di coloro che impieg:.no 1 capitali, e lo scopo ch'essi si propongono in tutti questi piani e speculazioni è il profitto. Dunque: il saggio del profitto non sale, come la rendita fondiaria e il salario, col benessere della società, e non cade, come quelli, con la sua rovina. Al contrario, questo saggio è naturalmente basso nei paesi ricchi, e alto in quelli poveri; e non è mai tanto alto come nei paesi che piri rapidameme rovinano. L'interesse di questa classe non sta, dunque, nella medesima relazione delle altre due con l'interesse generale della società ... L'interesse particolare di coloro cht' >i occupano di una data branca del commercio o dell'industria è sotto un certo rispetto diverso da quello del pubblico e spesso gli è persino nemico. L'interesse del commerciante è sempre di allargare il mercato e di limitare la concorrenza dei venditori ... È una classe, questa, di gente il cui interesse non sarà mai esattamente quello stesso della società; di gente che in generale ha un interesse: di defraudare il pubblico e raggirarlo. t. Il, pp. I63-165. Smith.
4) L'accumulazione dei capitali e la concorrenza fra capitalisti L'aumento dei capitali, che alza il salario, tende a diminuire il profitto dei capitalisti attraverso la concorrenza fra loro. t. I, p. I79· Smith. · Se, per esempio, il capitale ch'è necessario ad un commercio di drogheria di una città si trova diviso fra due droghieri, la concorrenza fa si che ognuno di essi vende piu a buon mercato che se il capitale si fosse trovato nelle mani di un solo; e se esso è ripartito [VI] fra venti, la concorrenza sarà per l'appunto tanto piu attiva, e tantomeno ci sarà la possibilità che essi si intendano fra loro per aumentare il prezzo delle loro merci. Smith, t. II, pp. 372, 373· Poiché sappiamo già che i prezzi di monopolio sono alti quanto è possibile, e poiché l'interesse dei capitalisti, persino dal punto di vista dell'economia politica, è nemico alla società, e l'aumento del profitto del capitale, come l'interesse composto [su un debito], agi1
Say, Trait~ cit.
I'JO
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sce sul prezzo delle merci (Smith, t. l, pp. 199-201 ), la concorrenza
è, cosi, l'unico ausilio contro i capit3listi: la concorrenza che, secondo la dichiarazione dell'economia politica, influisce tanto beneficamente sia sull'aumento del salario che sul buonmercato delle merci, a favore del pubblico che consuma. Ma la concorrenza è possibile solo in quanto i capitali aumentino, e in verità in molte mani. La formazione di molti capitali è possibile solo mercé una molteplice accumulazione, ché il capitale in genere si forma con l'accumulazione, e l'accumulazione molteplice si converte necessariamente in accumulazione unilaterale. La concorrenza fra capitali aumenta l'accumulazione di capitali. L'accumulazione che è sotto il dominio della proprietà privata concentrazione del capitale in poche mani, è in genere una necessaria conseguenza, quando i capitali sono abbandonati al loro corso naturale e attraverso la concorrenza questa disposizione naturale del capitale si apre via libera. Abbiamo udito che il profitto del capitale sta in rapporto alla sua grandezza. Astraendo innanzi tutto completamente dalla concorrenza intenzionale, un grosso capitale si accumula, dunque, in proporzione alla sua grandezza, piu rapidamente di un piccolo capitale. [VIII] Per conseguenza, astraendo ancora del tutto dalla concorrenza, l'accumulazione del grande capitale è molto piu rapida di quella del piccolo. Ma seguiamo ancora il processo. Con l'aumento dei capitali diminuiscono, per via della concorrenza, i profitti degli stessi. Ne soffre, dunque, anzitutto, il piccolo capitalista. L'aumento dei capitali e un gran numero di essi presuppongono inoltre la ricchezza progressiva del paese. «In un paese ch'è giunto a un grado molto alto di ricchezza il saggio ordinario del profitto è cosi piccolo che il saggio dell'interesse, che questo profitto permette di pagare, è troppo basso perché possano vivere dell'interesse del denaro altri che i piu ricchi. Tutti coloro che posseggono medie fortune sono obbligati a impiegare essi stessi il loro capitale, a darsi agli affari o occuparsi di qualche ramo del commerciO~. Smith, t. l, pp. [ 196], 197. Questo stato di cose è quello prediletto dall'economia politica. « La proporzione che c'è fra la somma dei capitali e i redditi determina ovunque la proporzione in cui si trovano l'industria e l'oziosità; dove i capitali vincono, domina l'industria; dove i redditi, l'ozio~. t. Il, p. 325. Smith.
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Come si presenta ora l'impiego del capitale in questa concorrenza aumentata? « Con l'aumento dei capitali la quantità di capitale da esser prestata a interesse deve diventare gradualmente sempre piu grande; ron l'aumento di questi fondi il saggio dell'interesse diminuisce: 1) perché il prezzo di mercato di ogni cosa cade, con l'aumento della quantità di cose; 2) perché con l'aumento di capitali in un paese diventa piu difficile di collocare un nuovo capitale in modo vantaggioso. Sorge una concorrenza fra i diversi capitali, sforzandosi in ogni modo il possessore di un capitale di impadronirsi dell'impiego che trova occupato da un altro capitale. Ma per lo piu non può sperare di metter fuori d'impiego l'altro capitale se non con l'offerta di condizioni migliori. Egli non deve soltanto vendere piu a buon mercato, ma spesso, per aver l'opportunità di vendere, deve comprare piu caro. Con l'aumento dei fondi destinati al lavoro produttivo, aumenta la domanda di lavoro: gli operai trovano facilmente occupazione, [IX] ma i capitalisti hanno difficoltà ad aver operai. La concorrenza dei capitalisti fa alzare i salari e abbassare i profitti:.. t. Il, pp. 358, 359· Smith. Il piccolo capitalista ha dunque la scelta: 1) o di consumare il suo capitale, giacché non può piu vivere dell'interesse, e cessar di essere capitalista: o 2) di imbastire egli stesso un affare, e vendere la sua merce piu a buon mercato e comprarla piu cara che non il capitalista piu ricco di lui e pagare un salario piu alto: perciò rovinarsi, dato che il prezzo di mercato, per la presupposta alta concor~:enza, sta molto basso. Se il grosso capitalista vuole invece spazzar via il piccolo, egli ha rispetto a questo tutti i vantaggi che il capitalista come tale ha di fronte al lavoratore. I profitti minori sono compensati dalla maggior quantità del suo capitale e persino perdite momentanee egli può sopportare fintanto che il piccolo capitalista sia rovinato ed egli si veda libero da questa concorrenza. E accumuli cosi i profitti del piccolo capitalista. Ancora: il grosso capitalista compra sempre piu a buon mercato del piccolo, perché compra in blocco, e può dunque vendere senza danno piu a buon mercato. Ma se la caduta dell'interesse del denaro trasforma i medi capitalisti da redditieri 1 in uomini di affari, viceversa l'aumento dei capitali da impiego e la conseguente diminuzione del profitto provoca la caduta dell'interesse. c Per il fatto che diminuisce il beneficio che si può trarre dell'uso 1
Nel testo: c rentiers 11.
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di un capitale ... diminuisce necessariamente il prezzo che si può pagare per l'uso di questo capitale :.. t. II, p. 359· Smith. « Quanto piu aumentano ricchezza, industria e popolazione, tanto piu diminuisce l'interesse del denaro, dunque il profitto del capitalista; ma aumentano [i capitali] non di meno e tanto piu rapidamente di prima malgrado la diminuzione dei profitti ... Un grosso capitale, pur con piccoli profitti, aumenta in generale piu rapidamente di un piccolo capitale con grossi pwfitti. Il denaro fa denaro, dice il proverbio ». t. I, p. 189. Quando, dunque, per il presupposto stato di forte concorrenza, si contrappongono a questo grosso capitale piccoli capitali con piccoli profitti, esso li schiaccia completamente. L'inevitabile ulteriore conseguenza di questa concorrenza: il generale peggioramento delle merci, la loro contraffazione, la produzione illusoria, il generale attossicamento, come si vede nelle grandi . ' . Citta. [X] Una condizione importante nella concorrenza fra capitali grossi e piccoli è inoltre il rapporto di capitale fisso e capitale circolante '. Capitale circolante. è un capitale che viene impiegato a produrre derrate, nella manifattura o nel commercio. Questo capitale cosi impiegato non apporta al suo possessore reddito o profitto fin!:hé resti in suo possesso o continui nella medesima forma. Esso esce continuamente dalle sue mani in una forma determinata per ritornarvi in un'altra, e reca profitto soltanto mediante questa circolazione o successivo tramutamento e scambio. Il capitale fisso consiste nel capitale impiegato nel miglioramento delle terre, nell'acquisto di macchine, strumenti, utensili e simili cose. Smith, [t. II], pp. 197, 198. c Ogni risparmio nel mantenimento del capitale fisso è un aumento del profitto netto. Il complessivo capitale di ogni imprenditore di lavori si divide necessariamente in capitale fisso e capitale circolante. A parità della somma, una parte diventa minore con l'aumentare dell'altra. Il capitale circolante fornisce all'imprenditore la materia e i salari del lavoro e mette in moto l'industria. Dunque, ogni risparmio nel capitale fisso, che non diminuisca la forza produttiva del lavoro, aumenta i fondi». t. II, p. 226. Smith. Si vede fin dal principio che il rapporto di capitale fisso e capitale circolante è piu favorevole al grosso capitalista che al piccolo. Un banchiere molto grosso abbisogna solo in misura insignificante di 1
Nel francese del cit. traduttore nel testo.
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maggior capitale fisso che non un banchiere molto piccolo: il suo capitale fisso si limita alla stanza d'ufficio. Gli strumenti di un grosso proprietario di beni fondiari -non aumentano in proporzione dei suoi beni fondiari. Parimente il credito, che un grosso capitalista ha di fronte al piccolo, è un maggior risparmio nel capitale fisso, cioè nel denaro ch'egli dev'esser sempre pronto ad avere. Si intende infine che, dove il lavoro industriale ha raggiunto un alto grado, e quindi quasi tutto il lavoro manuale è diventato lavoro di fabbrica, al piccolo capitalista non basta il suo intero capitale anche solo per avere l'indispensabile capitale fisso. Si sa che i lavori della grande cultura non occupano abitualmente che un piccolo numero di braccia 1 • Insomma ha luogo, nell'accumulazione dei grossi capitali, una proporzionale concentrazione e unificazione del capitale fisso rispetto ai piccoli capitalisti. Il grosso capitalista stabilisce per sé una sorta [XI] di organizzazione degli strumenti di lavoro. « Egualmente, nell'ambito dell'industria, ogni manifattura e fabbrica è già una congiunzione piu ampia di grande ricchezza reale e di numerose e diverse capacità intellettuali e abilità tecniche, per un comune scopo di produzione... Dove la legislazione tiene unita la proprietà fondiaria in grandi masse l'eccedenza di una popolazione crescente si- affolla nelle fabbriche, ed è dunque, come in Gran Bretagna, il campo dell'industria quello in cui principalmente si addensa la maggior moltitudine di proletari. Ma dove la legislazione permette la continua divisione della terra, ivi aumenta, come in Francia, il numero dei piccoli e indebitati proprietari, che, col progrediente frazionamento, sono gettati nella classe degli indigenti e scontenti. Se, infine, questo frazionamento e forte indebitamento sono spinti a un alto grado, la grande proprietà fondiaria ingoia la piccola, come la grande industria distrugge la piccola. E poiché ora si ricostituiscono grandi complessi di beni fondiari, la massa dei lavoratori proletari, non strettamente richiesta per la coltivazione della terra, vien ricacciata nell'industria:.. p. [58,] 59· Schulz, Movimento della produzione. « La qualità delle merci della medesima specie muta col mutare della specie di produzione e specialmente con l'applicazione delle macchine. Solo escludendo la forza umana è stato possibile filare da una libbra di cotone, del valore di 3 scellini e 8 pence, 350 matasse, della lunghezza di 167 miglia inglesi, cioè 36 tedesche, e di un valore commerciale di 25 ghinee :.. ibid. p. 62. 1
In francese nel testo.
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«In media, in Inghilterra, da quarantacinque annt m qua, i prezzi della tela di cotone sono diminuiti di undici o dodici volte, e secondo i calcoli di Marshall la medesima quantità di prodotti, per cui nell'anno I8I4 venivano pagati r6 scellini, ora viene fornita per I scellino e IO denari. Il maggior buonmercato dei prodotti industriali ha allargato il consumo tanto all'interno che sul mercato estero; e con ciò si connette il fatto che in Gran Bretagna il numero degli operai del cotone non solo non è diminuito,· dopo l'introduzione delle macchine, bensi è salito da 4o.ooo a I milione e mezzo. [XII] Per quanto concerne ora il guadagno degli imprenditori industriali e degli operai, con la crescente concorrenza dei padroni di fabbrica il guadagno loro, rispetto alla quantità di prodotti, da essi forniti, è necessariamente diminuito. Negli anni I820-33 il ricavo lordo del fab. bricante di Manchester per una pezza di calicò è caduto da 4 scellini e I penny e I/3 a I scellino e 9 pence. Ma a risarcimento di questo danno il volume della fabbricazione è stato tanto piu ampliato. La conseguenza di ciò è... che in singoli rami dell'industria sopravviene una parziale sovrapproduzione; che risultano frequenti fallimenti, da cui si origina dentro la classe dei capitalisti e padroni del lavoro un pericoloso oscillare e fluttuare della proprietà, tale da gettar nel proletariato una parte di coloro che sono rovinati economicamente; e che spesso e all'improvviso diventa inevitabile una sospensione o diminuzione del lavoro, i cui svantaggi li sente sempre amaramente la classe dei salariati ». ibid. p. 63. Louer san travail, c'est commencer son esclavage; louer la matière du travail, c'est constituer sa liberté ... le travail c'est l'homme, la matière au contraire n'est rien de l'homme ». Pecqueur, Théor. soc. etc. pp. 4rr, 4I2. « L'élément m a t i è re, qui ne peut rien pour la création de la richesse sans l'autre élément tra v a i l, reçoit la vertu magique d'étre fécond pour eux camme s'ils y avaient mis, de leur propre fait, cet indispensable élément » ibid. l. c. « En supposant que le travail quotidien d'un ouvrier lui apporte en moyenne 400 fr. par an, et que cette somme suffise à chaque adulte pour vivre d'une vie grossière, tout p;opriétaire de 2.ooo fr. de rente, de fermage, de loyer, etc. force dane indirectement 5 hommes à travailler pour lui; roo.ooo fr. de rente représentent le travai/ de 250 hommes et I.ooo.ooo le travail de 2.500 individus (dunque i 300 milioni di Luigi Filippo rappresentano il lavoro di 750 mila operai)». ibid. pp. 4I2, 4I3· « Les propriétaires ont reçu de la loi des hommes le droit d'user et d'abuser, c'est-à-dire de faire ce qu'ils veulent de la matière du I75
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travail... ils sont nullement obligés par la loi de fournir à propos et toujours du travail aux non-propriétaires, ni de leU1· payer un sa/aire toujours suffisant etc.~- p. 413, L c. « Liberté entière quant à la nature, à la quantité, à la qualité, à l'opportunité de la production, à l'usage, à la consommation des richesses, à la disposition de la matière de tout travail. Chacun est libre d'échanger sa chose camme il l'entend, sans autre considération que son propre intér~t d'individu ,_ P· 413 l. c. «La concurrence n'exprime pas autre chose que l'échange facultatif, qui lui-m~me est la conséquence prochaine et logique du droit individuel d'user et d'abuser des instruments de toute production. Ces trois moments économiques lesquels n'en font qu'un: le droit d'user et d'abuser, la liberté d'échange et la concurrence arbitraire, entrainent /es conséquences suivantes: chacun produit ce qui'il veut, camme il veut, quando il veut, où il veut; produit bien ou produit mal, trop ou pas assez, trop tot ou trop tard, trop cher ou à trop baJ prix; chacun ignare s'il vendra, comment il vendra, quand il vendra, où il vendra, à qui il vendra: et il en est de m~me quant aux achats. [XIII] Le producteur ignare /es besoins et les ressources, les demandes et /es offres. Il vend quand il veut, quand il peut où il veut, à qui il veut, au prix qu'il veut. Et il achète .de m~me. En tout cela, il est toujours le jouet du hasard, l'esclave de la loi du plus fort, du moins pressé, du plus riche ... Tandis que sur un point il y a disette d'une richesse, sur l'autre il y a trop-plein et gaspillage. TandiJ qu'un producteur vend beaucoup ou trop cher, età bénlfice énorme, l'autre ne vend rien ou vend à perte... L'offre ignare la demande et la demande ignare l'offre. Vous produisez sur la foi d'un gotit, d'une mode qui se manifeste dans le public des consommateurs; mais déjà lorsque vous ttes préts à livrer la marchandise, la fantaisie a passé et s'est fixée sur un autre genre de produit... conséquences infaillibles, la permanence et l'universalisation des banqueroutes; les mécomptes, les ruines subites et lès fortunes improvisées; les crises commercia/es, les chomages, les encombrements ou les disettes périodiques; l'instabilité et l'avilissement des sa/aires et des profits; la déperdition ou le gaspillage énorme de richesses, de temps et d'efforts dans l'arène d'une concurrence acharnée :.. pp. 414-416 e l. c. R i c ardo nel suo libro (Rendita della terra): le nazioni sono soltanto ateliers di produzione, l'uomo è una macchina per consumare e produrre, la vita umana è un capitale, le leggi economiche regolano ciecamente il mondo. Per Ricardo gli uomini non sono
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niente, il prodotto è tutto'. Nel capitolo ventJseiesimo della traduzione francese è detto: «Il serait tout-à-fait indifférent pour une personne qui sur un capitai de 20.000 L. st. ferait 2000 L. st. par an de profit, que son capitai employat cent hommes ou mille ... L'intéret réel d'une nation n'est-il pas le meme? Pourvu que son revenu net et réel, et que ses fermages et profits soient les mémes, qu'importe qu'elle se compose de dix ou de douze millions d'individus? » [t. Il, pp. 194> 195] «En vérité, dit M. de Sismondi (t. Il, p. 331 ), il ne reste plus qu'à désirer que le roi, demeuré tout seul dans l'1le, en tournant constamment une manivelle (Kurbel), fasse accomplir, par des automates, tout l'ouvrage de l'Angleterre » •. «Le maltre qui aclzète le travail de l'ouvrier, à un prix si bas, qu'il suffit à peine aux besoins /es plus pressants, n'est responsable ni de l'insuffisance des sa/aires, ni de la trop longue durée du travail: il subit lui-méme la loi qtt'il impose ... Ce n'est pas tant des hommes que vient la misère, que de la puissance de choses ». [Buret] I. c. 82. « Ci sono in Inghilterra molte località in cui gli abitanti mancano dei capitali per una coltivazione completa delle terre. La lana delle contee orientali della Scozia deve in gran parte fare un lungo viaggio per terra su pessime strade per esser lavorata nella contea di York, mancando, ove si produce, un capitale per la manifattura. E ci sono, in Inghilterra, molte piccole città industriali, i cui abitanti mancano del capitale per il trasporto dei loro prodotti industriali sui lontani mercati, ove ce n'è domanda e consumo. I commercianti sono qui [XIV] solo agenti di commercianti piu ricchi, che risiedono in alcune delle grandi città commerciali». Smith, t. Il, pp. 381, 382. « Per aumentare il valore del prodotto annuale della terra e del lavoro non c'è altro mezzo che aumentare di numero gli operai produttivi o aumentare di potenza la facoltà produttiva degli operai già impiegati, Nell'uno e nell'altro caso occorre quasi sempre un aumento di capitale». Smith, t. Il, p. 338 •. 2
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1 D. Ricardo, On the principles of politica[ economy and ta:ration [Sui prindpi de11'economia politica e delle tasse, Londra, I817; cap. Il, sulla rendita; cap. XXVI, sul profitto lordo e netto]. • Vedi dell'op. cit. di Ricardo la traduzione francese di F. S. Constancio, con note del Say, seconda ediz.,· Parigi, I835, cap. XXVI: Des principes de l'économie politique et de /'impot. 8 Nouveau:r principes d'économie politique [Nuovi prindpi di economia politièa, di J.-C.-L. Simonde de S1smondi, Parigi, I 8I9: t. I, p. 33 I (nota contro Ricardo)]. Il passo su cit. è preceduto da: «Che dunque! la ricche. 1.a è tutto e gli uomini non sono assolutamente ,nulla? e la stessa ricchezza non è qualcosa che rispetto alle imposte? ». • Nel francese del cit. traduttore nel testo.
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« Come è nella natura delle cose che l'accumulazione di un capitale preceda necessariamente la divisione del lavoro, cosi il lavoro può esser suddiviso ulteriormente solo in relazione all'accumularsi vieppiu dei q.pitali. Quanto piu il lavoro si suddivide, aumenta la quantità di materiali che il medesimo numero di uomini può mettere in opera; e come il compito di ciascun operaio si riduce vieppiù a un grado maggiore di semplicità, viene cosi scoperta una quantità di nuove macchine per facilitare e abbreviare questi compiti. Con l'avanzare dunque della divisione del lavoro, è necessario, per un costante impiego del medesimo numero di operai, che si accumuli prima una eguale provvigione di alimenti, di materie, di istrumenti e utensili, provvigione maggiore di quella necessaria in un precedente stato di cose meno avanzato. Il numero degli operai aumenta in ogni branca di lavoro e nel medesimo tempo con l'aumentare della divisione del lavoro, o piuttosto è questo aumento del loro numero che li mette in condizione di classificarsi e suddividersi in tal guisa». Smith, t. II, pp. 193· 194· «Come il lavoro non può sostenere questo grande ampliamento della sua forza produttiva senza una precedente accumulazione di capitali, cosi l'accumulazione di capitali porta seco naturalmente questo ampliamento. Il capitalista vuole, cioè, produrre col suo capitale la piu grande quantità possibile di manufatti, e tende dunque a introdurre fra i suoi operai la piu conveniente divisione del lavoro e a provvederla con le migliori macchine possibili. I suoi mezzi per attingere entrambi gli obiettivi [XV] sono in rapporto all'estensione del suo capitale e al numero degli uomini che questo capitale può tenere occupato. Non solo, dunque, la quantità di industrie aumenta in un paese con l'aumento del capitale che la mette in moto, ma in conseguenza di questo aumento la medesima quantità di industrie produce una molto maggiore quantità di manufatti ». Smith, l. c., pp. 194, 195· Dunque: sovrapproduzione. « Piu vaste combinazioni delle forze produttive ... nella industria e nel commercio mediante l'unione di piu numerose e diverse forze umane e naturali per imprese su maggior scala. Anche, qua e là, un collegamento piu stretto fra le branche principali della produzione. Cosi grossi fabbricanti cercheranno ad un tempo di acquistare grosse proprietà fondiarie, per non dover ricevere da terzi almeno una parte della materia prima necessaria alla loro industria: oppure aggiungeranno un commercio alle loro imprese industriali, non solo per lo spaccio dei loro prodotti, bensi anche per l'acquisto di prodotti d'altra specie e per la vendita dei medesimi ai loro operai. In Inghilterra, dove
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singoli padroni di fabbrica talvolta sono a capo di 10-12.000 operai ..., già non sono rare queste unioni di rami diversi della produzione sotto la guida di una intelligenza, questi piccoli Stati o province nello Stato. Cosi, negli ultimi tempi, i proprietari di miniere presso Birmingham hanno assunto l'intero processo della lavorazione del ferro, prima ripartito fra diversi imprenditori e proprietari. Vedi « Il distretto minerario presso Birmingham >. Deutsche Viertelj[ ahrsschrift], 3, 1838 '. «Finalmente vediamo nelle grandi imprese anonime, divenute cosi numerose, delle combinazioni comprensive della potenza finanziaria di molti membri con la conoscenza scientifica e tecnica e le capacità di altri cui è commessa l'esecuzione del lavoro. Con ciò è possibile ai capitalisti di impiegare i loro risparmi in varia guisa, e anche contemporaneamente, nella produzione agricola, industriale e commerciale, con molte maturazioni contemporanee di interessi: [XV I] onde i contrasti d'interesse fra agricoltura, industria e commercio si attenuano e fondono. Ma anche questa facilitata possibilità di far fruttare, nel modo piu disparato, il capitale deve aumentare il contrasto fra le classi fornite di mezzi e le classi sprovviste». Schulz, l. c., pp. 40, 41 •. Spaventosi guadagni che ricavano dalla miseria i locatori di case. Il fitto sta in rapporto inverso alla miseria industriale. Parimente: percentuali sui vizi del proletariato rovinato (la prostituzione, il bere, i pegni). L'accumulazione di capitali cresce e la loro concorrenza diminuisce quando capitale e possesso fondiario si trovano nelle stesse mani e parimente quando il capitale è in grado per il suo volume di combinare diversi rami di produzione. Indifferenza verso gli uomini. I venti biglietti della lotteria di Smith. Revenu net et brut Say •.
·' Periodico trimestrale tedesco, Stoccarda e Tubinga, 1838; prima annata, terzo fascicolo, pp. 47 sgg.: Il distretto minerario fra Birmingham e Wolverhamptoll, di A. vòn T[reskow]. 2 Schulz, Il movimento ctt. • Say, Trattato ci t., t. Il, cap. V [ « reddito netto o lordo » ì. 1 79
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Rendita fondiaria
[I] Il diritto dei proprietari fondiari trae origine dalla rapina. Say, t. I, p. 136, nota. I proprietari fondiari, come tutti gli uomini, amano raccogliere dove non hanno seminato e pretendono una rendita persino per il prodotto naturale della terra. Smith, t. I, p. 99· «Si potrebbe pensare che la rendita fondiaria sia soltanto il guadagno del capitale impiegato dal proprietario per migliorare la terra ... Si danno casi in cui la rendita fondiaria può parzialmente esser questo... ma: 1) il proprietario fondiario pretende una rendita persino per la terra non migliorata, e ciò che potrebbe considerarsi l'interesse o profitto dei costi di miglioria è per lo più solo un'addizione a questa rendita primitiva; 2) tali migliorie inoltre non sono sempre fatte coi capitali del proprietario, bens1 spesso con quelli dell'affittuario: e nondimeno, quando si tratta di rinnovare l'affitto, il proprietario pretende comunemente un aumento della rendita, come se tutte queste migliorie fossero state fatte coi suoi propri capitali; 3) anzi pretende spesso una rendita persino da ciò ch'è affatto inidoneo al minimo miglioramento da parte della mano dell'uomo:.. Smith, t. l, pp. 300, 301.
Smith reca come esempio dell'ultimo caso la salicornia, una specie di pianta marina che, bruciata, dà sale alcalino, con cui si può fare vetro, sapone etc. Essa cresce in Gran Bretagna, specialmente in diversi luoghi della Scozia, ma solo sulle rocce giacenti sotto l'alta marea e coperte due volte al giorno, e il cui prodotto, dunque, non può mai esser aumentato dall'industria umana. E tuttavia il proprietario delle terre in cui cresce tale sorta di pianta pretende una rendita come dal terreno adatto alla coltivazione di biade. Vicino all'isola di Shetland il mare è straordinariamente ricco, e gran parte dei suoi abitanti [II] vive di pesca. Ma per trarre guadagno dai prodotti del mare bisogna abitare sulla terra circonvicina: e la rendita fondiaria è in proporzione non a ciò che l'affittuario può fare con la terra, bens1 a ciò 180
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ch'egli può fare con la terra e col Mare. Smith, t. l, pp. 301, 302. « Si può considerare la rendità fondiaria come il prodotto di quella forza della natura, l'uso della quale il proprietario presta all'affittuario. Questo prodotto è piu o meno gtande secondo l'estensione di tale forza, o in altri termini secondo l'estensione della fertilità naturale o artificiale della terra. Essa è l'opera della natura, che resta, detratto o calcolato tutto ciò che può esser considerato opera dell'uomo », Smith, t. Il, pp. 377, 378. «La rendita fondiaria, considerata come il prezzo che si paga per l'uso della terra, è dunque naturalmente un prezzo di monopolio. Essa non è affatto proporzionata alle migliorie della terra fatte dal proprietario, o a ciò ch'esso deve ricavare, per non perderei, bensi è proporzionata a ciò che l'affittuario ha la possibilità di dare, senza perderei ». Smith, t. l, p. 302. «La classe dei proprietari fondiari è quella delle tre classi produttive a cui il suo reddito non costa né lavoro né cura, bens1 viene, per dir cosi, da sé, senza alcun suo avvedimento o piano:.. Smith, t. Il, p. 161. Abbiamo già udito che la quantità della rendita fondiaria dipende dalla proporzione di fertilità del suolo. Un altro momento determinante è la situazione. «La rendita varia secondo la fertilità della terra, quale che sia in ogni tempo il suo prodotto, e secondo la situazione, quale che sia in ogni tempo la sua fertilità». Smith, t. l, p. 306. « Se i terreni, le miniere, le peschiere, sono di pari fertilità, il loro prodotto è in proporzione al volume dei capitali impiegati nella loro coltura e nel loro sfruttamento, come è altres1 [III] in proporzione al modo piu o meno abile d'impiego dei capitali. A capitali pari e con pari abilità applicati, il prodotto sarà in proporzione alla naturale fertilità dei terreni, delle peschiere e delle miniere :.. t. Il, p. 210. Questi principi di Smith sono importanti perché, a pari costi di produzione e a pari volume della rendita riducono la rendita fondiaria alla maggiore o minore fertilità della terra: donde, è chiaro, lo stravolgimento dei concetti dell'economia politica che tramuta la fertilità della terra in una virtu del proprietario fondiario. Ma consideriamo ora come la rendita fondiaria si configura nel rapporto [economico] reale. La rendita fondiaria vien stabilita attraverso la lotta fra l'affittuario e il proprietario fondiario. Nell'economia politica troviamo ovunque il contrasto ostile degli interessi, la lotta, la guerra, come base dell'organizzazione sociale. r81
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Vediamo in che rapporto stanno fra loro il proprietario fondiario e l'affittuario. «Il proprietario cerca, nella stipulazione dei termini d'affitto, di non lasciare possibilmente all'affittuario niente di piu di quanto basti a ristorare il capitale che fornisce le sementi, che paga il lavoro e acquista e mantiene il bestiame e gli altri istrumenti,. e frutti oltre ciò l'ordinario profitto delle affittanze della contrada. È evidente che questo è il minimo di cui può accontentarsi l'affittuario senza rimetterei, e di rado il proprietario è del parere di !asciargli di piu. Tutto quel che resta del prodotto, o del suo prezzo, oltre questa porzione, quale che sia il resto, il proprietario cerca di riserva do .a sé come rendita fondiaria, la piu forte che l'affittuario possa pagare nelle attuali condizioni della terra. [IV] Questo surplus può sempre esser considerato come la naturale rendita fondiaria, ossia la rendita per la quale i terreni per la maggior parte sono naturalmente affittati ... >. Smith, t. l, pp. 299· 300. « I proprietari terrieri - dice Say - esercitano una specie di monopolio verso gli affittuari. La domanda della loro merce, del fondo e del terreno, può essere illimitata; ma. la quantità di essa si estende solo fino a un certo punto... Il mercato che si conclude fra il proprietario e l'affittuario è sempre il piu possibile vantaggioso per il primo ... Oltre questo vantaggio, ch'egli trae dalla natura delle cose, ne trae un altro dalla sua posizione: dalla maggior fortuna, dal credito e dalla considerazione. Ma già il primo di questi vantaggi basta perché egli sia sempre in grado di profittare da solo delle condizioni favorevoli della terra. L'apertura d'un canale, d'una strada, il progresso della popolazione e del benessere di un cantone, alzano sempre il prezzo di affitto ... L'affittuario stesso può, certo, migliorare i fondi a sue spese; ma di questo capitale egli trae beneficio solo per la durata della sua affittanza e, con lo spirare di questa, esso beneficio resta al proprietario, che da questo momento trae degli interessi senza anticipi di capitale, ché l'affitto si eleva ora in proporzione>. Say, t. Il, pp. 142, 143· « La rendita fondiaria, considerata come il prezzo che vien pagato per l'uso della terra, è dunque naturalmente il piu alto prezzo che l'affittuario possa pagare nelle condizioni presenti del fondo e del terreno>. Smith, t. l, p. 299· <. rv] Smith, t. l, p. 351. « Di rado questa rendita ammonta a meno di un quarto del prodotto totale>. ib., t. Il, p. 378.
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Non per tutte le merci può esser pagata la rendita fondiaria. Ad esempio, in molti casi, per il pietrame non vien pagata alcuna rendita. « Comunemente si possono portare sul mercato solo quelle parti dei prodotti della terra il cui prezzo ordinario è sufficiente per ristorare il capitale impiegato nel trasporto e per gli ordinari profitti di questo capitale. Se il prezzo è superiore, il surplus va naturalmente a costituire la rendita fondiaria. Se è solo sufficiente, la merce può esser portata al mercato, ma non dà rendita al proprietario terriero. Il prezzo sarà sufficiente o no? Ciò dipende dalla domanda:.. Smith, t. l, pp. 302, 303. «La rendita fondiaria entra nella composizione del prezzo delle merci in un modo del tutto diverso da quello del salario e del profitto del capitale. Il saggio alto o basso dei salari e profitti è la causa del prezzo alto o basso della merce : il saggio alto o basso della rendita è l'effetto del prezzo ». Smith, t. l, p. 303. I generi alimentari sono fra i prodotti che apportano sempre una rendita fondiaria. « Poiché gli uomini, come tutti gli animali, crescono in proporzione ai loro mezzi di sussistenza, si dà sempre una maggiore o minore domanda di generi alimentari. Con questi si può sempre comprare una maggiore o minore [VI] quantità di lavoro, e si può sempre trovare della gente disposta a fare qualcosa per guadagnarseli. Il lavoro che con essi si può acquistare non è sempre, invero, uguale in quantità a quello che con essi si potrebbe mantenere, se fossero distribuiti nella guisa piu economica, e ciò a causa dei salari talvolta alti; ma con essi si può pur sempre acquistare tanto lavoro quanto essi possono mantenerne, secondo il saggio a cui questa specie di lavoro sta comunerrente nella regione. La terra produce quasi in qualunque situazione piu generi alimentari di quanti ne siano necessari per il mantenimento di tutto il lavoro che serve a portare questi generi 1 sul mercato. Il surplus di questi generi è sempre piu che sufficiente per ristorare insieme con profitto il capitale che mette in moto questo lavoro. Dunque, resta sempre qualcosa come rendita del proprietario fondiario». Smith, t. I, pp. 305, 306. «La rendita fondiaria non trae la sua prima origine solo dai generi alimentari, ma quando un'altra porzione del prodotto della terra dà in seguito una rendita, la rendita deriva questa aggiunta di valore dallo sviluppo di forza che il lavoro ha raggiunto nel produrre generi alimentari mediante la coltura e il miglioramento della terra ». Smith, t. I, p. 345· « I generi 1
Nel testo c'è un evidente errore di trascrizione, corretto già da N. Bobbio.
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alimentari umani bastano dunque sempre al godimento della rendita fondiaria >. t. l, p. 337· « Le terre si popolano non in proporzione del numero d'uomini che il loro prodotto può vestire e alloggiare, bensi in proporzione del numero che il loro prodotto può nutrire>. Smith, t. l, P· 342· « Dopo il nutrimento i due maggiori bisogni umani sono il vestimento e l'alloggio riscaldato. Essi fruttano per lo più una rendita, ma non' sempre necessariamente>. Smith, t. l, ib., pp. 337, 338. [V III] Vediamo ora come il proprietario fondiario sfrutta tutti i vantaggi della società. 1) la rendita fondiaria aumenta con la popolazione. Smith, t. l, p. 335· 2) Abbiamo già udito da Say come la rendita salga con le strade ferrate etc., col miglioramento, la sicurezza e il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione. « Ogni miglioramento delle condizioni della società tende direttamente o indirettamente ad alzare la rendita, ad aumentare la ricchezza reale del proprietario, cioè il suo potere di acquisto del lavoro altrui o del suo prodotto ... L'estendersi del miglioramento delle terre e della coltura tende direttamente a questo. La partecipazione del proprietario al prodotto cresce necessariamente con l'accrescersi del prodotto ... L'aumento del prezzo reale di questa specie di materia prima, ad es., l'aumento del prezzo del bestiame, tende anch'esso direttamente a questo: ad aumentare la rendita e in una proporzione ancor piu.forte. Non solo col valore reale del prodotto necessariamente cresce il valore reale della porzione del proprietario, il potere reale che gli dà questa porzione del prodotto sul lavoro altrui, ma anche, con questo valore, aumenta la grandezza di questa porzione in rapporto al prodotto totale. Aumentato il prezzo reale del prodotto, quest'ultimo non richiede alcun ·Iavoro ulteriore per esser fornito e per ristorare, insieme con gli ordinari profitti, il capitale impiegato. Quella porzione restante del prodotto che appartiene al proprietario diventa, dunque, rispetto al prodotto totale, maggiore di prima». Smith, t. II, pp. 157-159· [IX] La maggior domanda di prodotti grezzi, e quindi l'aumento di valore, può scaturire, in parte, dall'aumento della popolazione e dall'aumento dei suoi bisogni. Ma ogni nuova invenzione, ogni nuova applicazione, che permette la manifattura di una materia prima fin qui poco o niente usata, aumenta la rendita fondiaria. Cosi, ad esempio, la rendita delle miniere di carbon fossile è enormemente cresciuta con le strade ferrate, i piroscafi, ecc.
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Oltre a questo vantaggio, che il proprietario trae dalla manifattura, dalle invenzioni, dal lavoro, ne vedremo ancora un altro. 4) «Quei miglioramenti della forza produttiva del lavoro, che mirano direttamente ad abbassare il prezzo reale dei prodotti manifatturati, tendono indirettamente a elevare la rendita reale della terra. Cioè il proprietario terriero scambia col prodotto manifatturato quella porzione del suo prodotto grezzo che supera il suo personale consumo o il prezzo della medesima. E tutto ciò che riduce il prezzo reale della prima specie di prodotto aumenta il prezzo reale della seconda: una medesima quantità di prodotto grezzo corrisponde ora a una maggiore quantità di prodotto manifatturato, e il proprietario si trova in grado di procurarsi una quantità piu grande di comodità, di ornamenti e cose di lusso». Smith, t. Il, p. 159. Ma che Smith, dal fatto che il proprietario fondiario sfrutta i vantaggi della società [X] concluda (p. r6r t. Il) che l'interesse del proprietario è sempre idefltico a quello della società, questo è sciocco. Nell'economia politica, sotto il dominio della proprietà privata, l'interesse che un singolo ricava dalla società è proprio in rapporto inverso all'interesse che la società cava da lui, come l'interesse dell'usuraio per il prodigo non s'identifica con l'interesse di questo. Ricordiamo solo di passaggio la brama di monopolio del proprietario fondiario contro la proprietà terriera straniera, donde datano, ad es., le leggi sui grani'. Parimente sorvoliamo sulla medievale servitu della gleba, sulla schiavitu coloniale, sulla miseria dei contadini, dei braccianti in Gran Bretagna. Teniamoci ai principi dell'economia politica stessa. r) Che il proprietario è interessato al benessere della società significa, secondo i principi dell'economia politica, che egli è interessato al progressivo aumento della popolazione, alla produzione tecnica, allo sviluppo dei bisogni, in una parola, alla crescita della ricchezza: e questa si identifica, secondo l~ considerazioni fatte finora, con la crescita della miseria e della schiavitu. Il crescente rapporto dell'affittanza con la miseria è un esempio dell'interesse del proprietario fondiario alla società, ché con l'affittanza cresce la rendita fondiaria, l'interesse del suolo abitato. 2) A detta degli stessi economisti l'interesse del proprietario fondiario è nemico dell'interesse dell'affittuario, dunque di una parte considerevole della società. [Xl] 3) Poiché il proprietario può pretendere dall'affittuario 1
In vigore, in Inghilterra, nd decennio I838-1848.
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tanto piu di rendita quanto meno di salari l'affittuario paga, e poiché questi tanto piu abbassa il salario quanto piu di rendita fondiaria pretende il proprietario, l'interesse del proprietario fondiario è propriamente tanto nemico dell'interesse dei garzoni di campagna quanto l'interesse del manifatturiere lo è di quello dei suoi operai. Esso riduce il salario a un minimo. 4) Poiché il reale abbassamento di prezzo dei prodotti manifatturati alza la rendita, il proprietario fondiario ha cosi un diretto interesse alla pressione sui salari degli operai di manifattura, alla concorrenza fra i capitalisti, alla sovrapproduzione, a tutta la miseria industriale. 5) Se l'interesse del proprietario fondiario, ben !ungi dall'identificarsi con l'interesse della società, sta dunque in contrasto ostile con l'interesse degli affittuari, dei garzoni di campagna, degli operai di manifattura e dei capitalisti, neanche l'interesse di un solo proprietario è identico a quello di un altro, a causa della concorrenza, che vogliamo ora considerare. Già generalmente la grande proprietà fondiaria e la piccola sono fra loro in rapporto come il grande e il piccolo capitale. Ma sopravvengono anche speciali ·circostanze che producono l'accumulazione della grande proprietà fondiaria e senz'altro l'inghiottimento della piccola nella medesima. [XII] I) Il numero proporzionale di operai e strumenti non diminuisce, con la grandezza dei capitali, in nessun luogo di piu che presso il possesso fondiario. Parimente in nessun luogo aumenta di piu, con la grandezza dei capitali, la possibilità dello sfruttamento totale, del risparmio nei costi di produzione e dell'abile divisione del lavoro, che presso il possesso fondiario. Un terreno può esser piccolo quanto si vuole, ma gli strumenti di lavoro, ch'esso rende necessari, l'aratro, la sega etc., raggiungono un certo limite per cui non possono diminuire, mentre la piccolezza del possesso fondiario può superare largamente questo limite. 2) Il grande possesso fondiario accumula per sé i frutti del capitale impiegato dall'affittuario per il miglioramento del fondo e del terreno. Il piccolo è costretto all'impiego del proprio capitale: per lui dunque tutto questo profitto non ha luogo. 3) Mentre ogni miglioramento sociale giova alla grande proprietà fondiaria, danneggia la piccola, in quanto fa vieppiu indispensabile per questa il denaro contante. 4) Ci sono ancora da considerare due leggi importanti di questa concorrenza:
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n) La rendita dei terreni che sono coltivati per la produzione di generi alimentari umani regola la rendita della maggior parte dei restanti terreni coltivati. Smith, t. I, p. 33r. Alla fine solo il grande possesso fondiario può produrre generi alimentari, come bestie da macello, eccetera. Esso regola dunque la rendita dei restanti terreni e la può abbassare a ~n minimo. Il piccolo proprietario fondiario ch'è insieme coltivatore si trova cosi col grande proprietario nella situazione di un lavoratore manuale possessore di un istrumento rispetto a un padrone di fabbrica. Il piccolo possesso fondiario è diventato un mero strumento di lavoro. [XV I] La rendita fondiaria scompare del tutto per il piccolo proprietario, gli resta tutt'al piu il frutto del suo capitale e il suo salario, dacché la rendita può, attraverso la concorrenza, esser spinta al punto da essere solo piu il frutto del capitale non pur impiegato. ~ ) Abbiamo del resto già appreso che, a pari fertilità e a pari abilità di sfruttamento di terreni, miniere e peschiere, il prodotto è in proporzione alla larghezza dei capitali. Dunque: trionfo del grande proprietario fondiario. Egualmente nel caso di pari capitali in rapporto alla fertilità: a capitali pari trionfa dunque il proprietario del terreno piu fertile. · y) « Di una miniera in genere si può dire che essa è fertile o sterile secondo che la quantità di minerale ricavabile da essa con una certa quantità di lavoro è maggiore o minore di quella che la medesima quantità di lavoro può cavare dalla maggior parte delle altre miniere della medesima specie ». Smith, t. l, pp. 345, 346. « Il prezzo della miniera piu fertile regola il prezzo delle miniere per tutte le miniere dei dintorni. Proprietario e imprenditore trovano entrambi che l'uno può avere una piu forte rendita e l'altro un piu forte profitto se vendono a un prezzo inferiore dei loro vicini. Questi sono ora costretti a vendere allo stesso prezzo, benché siano meno in condizione di farlo e questo prezzo diminuisca sempre piu e talvolta tolga loro l'intera rendita e l'intero profitto. Alcuni sfruttamenti vengono allora completamente abbandonati, altri non dànno piu rendita e possono esser sviluppati soltanto dal proprietario stesso». t. I, p. 350, Smith. « Dopo la scoperta delle miniere del Peru le miniere d'argento europee furono, nella maggior parte, abbandonate ... Lo stesso accadde con le miniere di Cuba e San Domingo, e anche rispetto a quelle piu antiche del Peru, dopo la scoperta di quelle di Potosi », p. 353, t. I. La stessa cosa detta da Smith per le miniere vale piu o mer>n per il possesso fondiario in genere. ) c i! da osservare che il prezzo corrente dei terreni dipende
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sempre dai saggi correnti dell'interesse ... Se la rendita fondiaria cadesse per una differenza molto forte al di sotto dell'interesse, nessuno vorrebbe piu comprar terra, il che ridurrebbe subito di imovo il suo prezzo corrente. Al contrario, se i vantaggi della rendita facessero molto piu che compensare l'interesse del denaro, tutti vorrebbero comprar terra, e questo farebbe subito alzare di nuovo il suo prezzo corrente~. t. Il, pp. 367, 368. Da questo rapporto di rendita e interesse del denaro segue che la rendita è sempre soggetta a cadere, cosi che alla fine solo i piu ricchi possono vivere di rendita. E dunque la concorrenza fra proprietari non locatori cresce sempre. Rovina di una parte di essi: nuova accumulazione della grande proprietà fondiaria. [XV l/] Questa concorrenza ha inoltre il risultato che una grande parte della proprietà fondiaria: cade nelle mani di capitalisti e che i capitalisti diventano cosi contemporaneamente proprietari fondiari, come anche in genere i proprietari minori sono soltanto ormai dei capitalisti. Parimente, una parte della proprietà fondiaria diventa a un tempo proprietà industriale. L'ultimo risultato è, dunque, l'annullamento della differenza fra capitalista e proprietario fondiario, cosicché, in complesso, ci sono ormai solo due classi della popolazi.one: la classe dei lavoratori e la classe dei capitalisti. Questo traffico della proprietà fondiaria, la trasformazione di essa in una merce, è l'ultima rovina dell'antica aristocrazia e l'ultima perfezione dell'aristocrazia del denaro. I) Le sentimentali lacrime del romanticismo in proposito non le condividiamo. Il romanticismo confonde sempre l'infamia del traffico della terra con la conseguenza del tutto razionale e necessaria per la proprietà privata, e desiderabile, ch'è contenuta nel traffico della proprietà privata della terra. Primieramente la proprietà fondiaria feudale è già, nella sua essenza, terra trafficata, terra ch'è estraniata dall'uomo e lo fronteggia quindi nella figura di alcuni pochi grandi padroni. Già nel possesso fondiario feudale il dominio della terra è dominio di una forza straniera sugli uomini. n servo della gleba è un accidente della terra. Parimente il signore di maggiorasco, il primogenito, appartiene alla terra: questa lo eredita. In genere col possesso fondiario comincia il dominio della proprietà privata, esso è la sua base. Ma nel possesso feudale chi ne è signore almeno appare come re della sua terra. Egualmente c'è ancora l'apparenza di un rapporto piu stretto fra il possessore e la terra che non nella mera ricchezza materiale. Il possesso terriero si individua insieme col suo signore, ha il suo rango, è seco lui baronale o comitale, ha i propri privilegi, la
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propria giurisdizione, la propria situazione politica etc.: appare come il corpo inorganico del suo signore. Quindi il detto proverbiale: nulle terre sans mattre, in cui si esprime la coerenza di signoria e possesso fondiario. Parimente il dominio della proprietà fondiaria non appare immediatamente come dominio del puro capitale: i suoi appartenenti stanno in rapporto piu con esso che con la loro patria. È una specie di nazionalità dal fiato corto. [XVIII] Precisamente la proprietà fondiaria feudale dà il nome al suo signore come un regno lo dà al suo re. La storia della sua famiglia, la storia della sua casa etc., tutto ciò, agli occhi del signore, fa del possesso fondiario un individuo, glielo rende domestico, una persona. Parimente i coltivatori del possesso fondiario non sono nella situazione di braccianti, bensi, in parte, sono essi stessi sua proprietà, come servi della gleba, in parte stanno in un rapporto di rispetto, di sudditanza e di obblighi. La sua posizione rispetto a loro è quindi immediatamente politica e ha parimente un lato affettivo. Costumi, caratteri etc., mutano da un possedimento all'altro e paiono far tutt'uno col lotto di terreno; mentre, in seguito, solo piu la borsa dell'uomo, non il suo carattere, la sua personalità, lo connette al possedimento. Infine il signore non cerca di trarre il piu possibile di vantaggi dal suo possesso fondiario: piuttosto consuma ciò che vi si trova, e lascia pacificamente la cura del raccolto ai servi della gleba e ai fittavoli. Questa è la nobile condizione del possesso fondiario, che irradia sul suo signore una romantica gloria. È inevitabile che questa apparenza sia tolta; che la proprietà fondiaria, radice della proprietà privata, sia tratta nel movimento di quest'ultima e diventi merce; che il potere del proprietario si manifesti come puro potere della proprietà privata, del capitale, spoglio di ogni tinta politica; che il rapporto fra proprietario e lavoratore si riduca al rapporto fra sfruttatore e sfruttato; che ogni personale rapporto del proprietario con la sua proprietà cessi e diventi reale, materiale ricchezza; che in luogo del matrimonio d'onore con la terra si abbia un matrimonio d'interesse e la terra cali, come l'uomo, a valore commerciale. È inevitabile che ciò ch'è la radice della proprietà fondiaria, il sudicio interesse personale, si manifesti anche nella sua forma cinica. È inevitabile che il pacifico monopolio si cambi in un monopolio movimentato e inquieto, nella concorrenza, e il godimento fannullone dell'altrui sudore di sangue si cambi nel commercio moltu indaffarato del medesimo. È infine inevitabile che in questa concorrenza la proprietà fondiaria mostri, nella forma del capitale, la sua signoria tanto sulla classe dei lavoratori che sui proprietari medesimi, in quan-
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to le leggi del movimento del capitale rovinano o innalzano questi ultimi. Con ciò la sentenza medievale: nulle terre sans seigneur, è sostituita da un altro detto: l'argent n'a pas de maltre, in cui è espresso tutto il potere della morta materia su gli uomini. [XIX] 2) Per quanto concerne la disputa suila divisione o non del possesso fondiario, è da osservare quanto segue: La divisione della proprietà fondiaria nega il grosso monopolio, lo toglie, ma solo in quanto generalizza questo monopolio; essa non annulla il fondamento del monopolio: la proprietà privata. Investe l'esistenza, non l'essenza del monopolio. Ne risulta ch'essa è sacrificata alle leggi della proprietà privata. La divisione della proprietà fondiaria corrisponde cioè al movimento della concorrenza nel campo industriale. A parte gli svantaggi economici di questa divisione di strumenti e della separazione di un lavoro dall'altro (ch'è da distinguere accuratamente dalla divisione del lavoro nella quale il lavoro non viene spartito fra molti, bens1 il medesimo lavoro è eseguito da ognuno a sé e si ha una moltiplicazione del medesimo)', questa divisione inevitabilmente si cambia, come quella concorrenza, in accumulazione. Dove ha luogo, dunque, la divisione della proprietà fondiaria non resta altro che tornare al monopolio nella sua forma piu odiosa oppure negare e superare la divisione della proprietà fondiaria stessa. Ma questo non è ritorno alla proprietà feudale, bens1 superamento della proprietà privata del suolo in genere. La prima soppressione ùel monopolio è sempre la sua generalizzazione, l'ampliamento della sua esistenza. Ma la soppressione del monopolio pervenuto all'esistenza il piu possibile ampia e comprensiva è la sua completa distruzione. La socializzazione del fondo e del suolo • condivide il vantaggio della grande proprietà fondiaria intesa secondo il punto di vista deil'ec0nomia politica • e realizza per prima la tendenza originale della divisione della proprietà fondiaria, cioè l'eguaglianza; come quella che, in una guisa razionale, mediata, e non piu per virtu della servitu della gleba, del potere signorile e di una sciocca mistica della pro1 Distinzione. da parte di M .. della divisione «sociale>> del lavoro, con la sua caratteristica «anarchia», dalla divisione o suddivisione « manifatturiera» o della faborica, col relativo « d:spotismo » derivante dall'anarchia della prima, data la «guisa capitalistica>> della produzione. Vedi: Il capitale, l, p. 341 (Amburgo, r867). 2 Letteralmente: «l'associazione applicata al fondo e al suolo». " Intendi: i «vantaggi economici» sociali di uno sfruttamento piu ampio, sicuro e razionale del suolo, offerti dalla « agricoltura in grande» della «grande proprietà fondiaria » (di cui parla poco piu oltre, rilevando la « sofistica » dei suoi « difensori " in proposito).
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prietà, restaura anche il rapporto morale dell'uomo con la terra, cessando la terra di essere un oggetto di traffico e diventando mediante il libero lavoro e il libero godimento di essa una vera, personale, proprietà dell'uomo. Un grande vantaggio della divisione della proprietà fondiaria è che la massa di lavoratori, in altra guisa che la massa industriale, va in rovina nella sua proprietà, ed è una massa che non può piu rassegnarsi alla servitu. In quanto alla grande proprietà fondiaria, i suoi difensori hanno sempre identificato, in guisa sofistica, i vantaggi economici, che l'agricoltura in grande offre, con la grande proprietà fondiaria, come se questi vantaggi non avessero l'estensione piu grande possibile e non fossero delle utilità sociali soltanto con la soppressione della proprietà. [XX] Parimente hanno attaccato lo spirito trafficante della piccola proprietà fondiaria, come se la grande proprietà fondiaria, persino già nella sua forma feudale, non avesse in sé il traffico allo stato latente. A tacere della sua moderna forma inglese, in cui feudalismo del proprietario fondiario e traffico e industria dell'affittuario sono congiunti. Come la grande proprietà fondiaria può rintuzzare il rimprovero di monopolio, fattole dalla proprietà fondiaria divisa, in quanto anche questa è basata sul monopolio della proprietà privata, cosi la proprietà fondiaria divisa può rintuzzare alla grande proprietà fondiaria il rimprovero di essere divisa, giacché anche presso questa domina la divisione, solo in forma piu rigida e fissa. In genere la proprietà privata consiste appunto nella divisione. Del resto, come la divisione della proprietà fondiaria riconduce alla grande proprietà fondiaria come ricchezza-capitale, cosi la proprietà fondiaria feudale deve inevitabilmente procedere a dividersi o almeno a cadere nelle mani dei capitalisti, giri e rigiri come vuole. In effetti la grande proprietà fondiaria spinge, come in Inghilterra, la preponderante maggioranza della popolazione dell'industria nella povertà e riduce in completa miseria i suoi lavoratori. Essa produce e accresce, dunque, la potenza del suo nemico, del capitale, dell'industria, in quanto caccia dall'altra parte le braccia da lavoro e tutta l'operosità del paese. Fa diventare industriale la maggioranza del paese, nemica dunque della grande proprietà fondiaria. Raggiunta che abbia l'industria, come oggi in Inghilterra, un'alta potenza, strappa via via alla grande proprietà fondiaria i suoi monopoli contro quelli stranieri e la butta in concorrenza con la proprietà fondiaria straniera. Cioè: sotto il dominio dell'industria la proprietà fondiaria può assicurare la sua feudale gràndezza solo mediante il monopolio
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contro l'estero, per proteggersi cosi contro le leggi generali del commercio, contrarie al suo feudalismo. Una volta gettata nella concorrenza, essa segue le leggi della concorrenza, come ogni altra merce che vi è soggetta. Ma essa diventa cosi oscillante, diminuendo e accrescendosi, passando· da una mano all'altra, che nessuna legge la può piu mantenere in poche mani predestinate. [XXI] Il risultato immediato è la sua dispersione in molte mani, in ogni caso la sua caduta · sotto la potenza dei capitali industriali. Finalmente il grande possesso fondiario, ch'è stato in tal guisa mantenuto a forza e ha generato accanto a sé una temibile industria, conduce alla crisi piu rapidamente di quanto vi conduca la divisione della proprietà fondiaria, presso la quale la potenza dell'industria resta sempre di secondo ordine. Il grande possesso fondiario ha, già per questo, dimesso, come vediamo in Inghilterra, il suo carattere feudale e assunto un carattere industriale, in quanto esso è inteso a far denaro il piu possibile. Esso dà al proprietario il piu possibile di rendita e all'affittuario il piu possibile di profitto del suo capitale. I lavoratori della terra sono quindi già ridotti al minimo, e la classe degli affittuari rappresenta già, entro la proprietà fondiaria; la potenza dell'industria e del capitale. Attraverso la concorrenza con l'estero la rendita fondiaria cessa, per la massima parte, di costituire un reddito indipendente. Una gran parte dei proprietari è costretta a prender il posto degli affittuari, e questi decadono cosi, parzialmente, a proletariato. D'altronde anche molti affittuari si impadroniscono della proprietà, ché i grandi proprietari, dediti, in massima parte, per il loro comodo reddito, alla dissipazione e, per lo piu, inabili a dirigere l'agricoltura in grande, in parte non possiedono né capitale né talento per sfruttare il terreno. Dunque,. anche una parte di costoro viene completamente rovinata. Infine, il salario, già ridotto a un minimo, dev'essere ridotto ancor piu, per sostenere la nuova concorrenza. Ciò conduce poi, inevitabilmente, alla rivoluzione. La proprietà fondiaria doveva svilupparsi in ambo le guise, per trovare in entrambe il suo inevitabile tramonto, come altres1 l'industria e nella forma del monopolio e in quella della concorrenza do veva rovinarsi, per imparare a credere nell'uomo.
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Il lavoro alienato
l XXII] Siamo partiti dai presupposti dell'economia politica. Abbiamo accettato il suo linguaggio e le sue leggi. Abbiamo presut'posto cosi la proprietà privata, la separazione di lavoro, capitale, terra e parimente di salario, profitto del capitale e rendita fondiaria, come abbiamo presupposto la divisione del lavoro, la concorrenza, il concetto del valore di scambio, eccetera. Con l'economia politica stessa, con le sue proprie parole, abbiamo mostrato che l'operaio decade a merce, la piu miserabile merce; che la miseria dell'operaio sta in rapporto inverso alla potenza e grandezza della sua produzione; che il risultato inevitabile della concorrenza è l'accumulazione del capitale in poche mani, dunque una restaurazione piu spaventosa del monopolio; e che infine scompare la distinzione fra capitalista e proprietario fondiario, come quella fra contadino e operaio di fabbrica, e l'intera società deve sfasciarsi nelle due classi dei possidenti e dei lavoratori senza possesso. L'economia politica parte dal fatto della proprietà privata. Non ce la spiega. Essa esprime il processo materiale della proprietà privata, il processo da questa compiuto in realtà, in formule generali, astratte, che essa poi fa valere come leggi. Essa non comprende queste leggi, cioè non mostra come esse risultino dall'essenza della proprietà privata. L'economia politica non ci dà alcun chiarimento della ragione della divisione di lavoro e capitale, di capitale e terra. Quando, per esempio, determina il rapporto del salario al profitto del capitale, vale per essa come ultima ragione l'interesse del capitalista: cioè suppone ciò che deve spiegare. Parimente la concorrenza entra dappertutto: essa viene spiegata con condizioni esterne. Come queste condizioni esterne, apparentemente accidentali, siano soltanto l'espressione u1 uno sviluppo necessario, questo, l'economia politica non ce lo dice. Abbiamo visto come lo scambi.o stesso le appaia un fatto accidentale. 193
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Le uniche ruote che l'economia politica mette in movimento sono la cupidigia e la guerra fra cupidi, la concorrenza. Proprio perché l'economia politica non comprende la coerenza del movimento [economico] essa poté contrapporre, per esempio, la dottrina della concorrenza alla dottrina del monopolio, la dottrina del libero mestiere alla dottrina della corporazione, la dottrina della divisione della proprietà fondiaria alla dottrina della grande proprietà fondiaria. Giacché concorrenza, libertà di mestiere, divisione della proprietà fondiaria, furono spiegate e comprese soltanto come conseguenze accidentali, volute e violente, non come conseguenze necessarie, inevitabili, naturali, del monopolio, della corporazione e della proprietà feudale. Ora dobbiamo comprendere il nesso essenziale fra la proprietà privata, la cupidigia, la divisione di lavoro, capitale e proprietà fondiaria, di scambio e concorrenza, di valore e disvalore dell'uomo, di monopolio e concorrenza ecc., e di tutta questa alienazione col sistema del denaro. Evitiamo di trasferirei come l'economista politico, quando vuole spiegarsi, in un inventato stato originario. Un tale stato originario non spiega niente. Sposta semplicemente la questione in una grigia nebulosa lontananza. L'economista presuppone cosi nella forma di un fatto, di un accadimento, quel che deve dedurre, cioè il rapporto necessario fra due cose, per esempio, fra divisione del lavoro e scambio. Cosi la teologia spiega l'origine del male con la caduta del primo uomo: cioè anche l'economista presuppone come un fatto, nella forma della storia, ciò che deve spiegare. Noi partiamo da un fatto economico, attuale. L'operaio diventa tanto piu povero quanto piu produce ricchezza, quanto piu la sua produzione cresce in potenza e estensione. L'operaio diventa una merce tanto piu a buon mercato quanto piu crea delle merci. Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere. Questo fatto non esprime nient'altro che questo: che l'oggetto, prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, che si è fatto oggettivo: è l'aggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua aggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare, nella 194
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condizione descritta dall'economia politica, come privazione dell'operaio, e l'aggettivazione appare come perdita e schiavitu dell'oggetto, e l'appropriazione come alienazione, come espropriazione. La realizzazione del lavoro si palesa tale privazione che l'operaio è spogliato fino alla morte per fame. L'aggettivazione si palesa tale perdita dell'oggetto che l'operaio è derubato non solo degli oggetti pi11 necessari alla vita, ma anche degli oggetti piu necessari del lavoro. Già, lo stesso lavoro diventa un oggetto di cui egli può impadronirsi solo con lo sforzo piu grande e le interruzioni piu irregolari. L'appropriazione dell'oggetto prodotto si palesa tale estraniazione· che piu oggetti l'operaio produce, meno può possederne e tanto piu cade sotto il dominio del suo prodotto, del capitale. Tutte queste conseguenze si trovano nella determinazione: che l'operaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo. Poiché è chiaro, per questo presupposto, che quanto piu l'operaio lavora tanto piu acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, ch'egli si crea di fronte, e tanto piu povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede. Come nella religione. Pi(I l'uomo mette in Dio e meno serba in se stesso. L'operaio mette nell'oggetto la sua vita, e questa non appartiene piu a lui, bensl all'oggetto. Piu è grande questa sua facoltà e piu l'operaio diventa senza oggetto. Ciò ch'è il prodotto del suo lavoro, esso non lo è. Quanto maggiore dunque questo prodotto, tanto minore è egli stesso. L'espropriazione dell'operaio nel suo prodotto non ha solo il significato che il suo lavoro diventa un oggetto, un'esterna esistenza, bensi che esso esiste fuori di lui, indipendente, estraneo a lui, come una potenza indipendente di fronte a lui, e che la vita, da lui data all'oggetto, lo confronta estranea e nemica. [ XXllll Consideriamo piu da vicino l'aggettivazione, la produzione dell'operaio, ed in essa l'alienazione, la perdita dell'oggetto, del suo prodotto. L'operaio non può fare nulla senza la natura, senza il mondo esterno sensibile. La natura è il materiale su cui il suo lavoro si realizza, in cui esso è attivo, da cui e mediante cui esso produce. Ma come la natura fornisce l'alimento del lavoro, nel senso che il lavoro non può sussistere senza oggetti, sui quali esercitarsi. cosi essa fornisce d'altra parte anche gli alimenti in senso stretto, cioè i mezzi per la sussistenza fisica dell'operaio stesso. Dunque, quanto piu l'operaio si appropria col suo lavoro il mondo esterno, la natura sensibile, tanto piu si priva di alimento, nel duplice senso: ché, in primo luogo, il sensibile mondo esteriore cessa 1 95
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sempre piu di esser un oggetto appartenente al suo lavoro, un alimento del suo lavoro e, in secondo luogo, esso mondo sensibile cessa sempre piu di esser alimento nel senso immediato di mezzo per la sussistenza fisica dell'operaio. Sotto questo duplice aspetto, dunque, l'operaio diventa uno schiavo del suo oggetto: primieramente in quanto egli riceve un oggetto di lavoro, cioè lavoro, e secondariamente in quanto riceve mezzi di sussistenza. Primieramente, dunque, in quanto può esistere come lavoratore, secondariamente in quanto può esist.ere come soggetto fisico. L'apice di questa schiavitu è che egli solo in quanto è piu che operaio può conservarsi come soggetto fisico e che solo in quanto è piu che soggetto fisico egli è operaio. (L'alienazione dell'operaio nel suo oggetto si esprime, secondo le leggi dell'economia politica, in modo che, quanto piu l'operaio produce, tanto meno ha da consumare, e quanto piu crea dei valori e tanto piu egli e senza valore e senza dignità, e quanto piu il suo prodotto ha forma e tanto piu l'operaio è deforme, e quanto piu è raffinato il suo oggetto e tanto piu è imbarbarito l'operaio, e quanto piu è potente il lavoro e tanto piu impotente diventa l'operaio, e quanto piu è spiritualmente ricco il lavoro e tanto piu l'operaio è divenuto senza spirito e schiavo della natura). L'economia politica occulta l'alienazione ch'è nell'essenza del lavoro per questo: ch'essa non considera l'immediato rapporto fra l'operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente il lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell'operaio. Produce palazzi,. ma caverne per l'operaio. Produce bellezza, ma deformità per l'operaio. Esso sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l'altra parte. Produce spiritualità, e produce la imbecillità, il cretinismo dell'operaio. L'immediato rapporto del lavoro ai suoi prodotti è il rapporto dell'operaio agli oggetti di sua produzione. Il rapporto del facoltoso agli oggetti della produzione e a questa stessa è soltanto una conseguenza di questo primo rapporto. E ne è la conferma. Considereremo piu tardi quest'altro lato. Se ci chiediamo dunque quale sia il rapporto essenziale ch'è il lavoro, ci chiediamo del rapporto dell'operaio con la produzione. Abbiamo finora considerato l'alienazione, l'espropriazione dell'operaio solo secondo un lato: quello del suo rapporto coi prodotti del suo lavoro. Ma l'alienazione non si mostra solo nel risultato, bensl anche nell'atto della produzione, dentro la stessa attività producente.
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Come potrebbe l'operaio confrontarsi come un estraneo col prodotto della sua attività, se egli non si è estraniato da se stesso nell'atto della produzione stessa? Il prodotto non è che il résumé dell'attività, della produzione. Se, dunque, il prodotto del lavoro è la espropriazione, la stessa produzione dev'essere espropriazione in atto, o espropriazione dell'attività, o attività di espropriazione. Nell'alienazione dell'oggetto del lavoro si riassume soltanto l'alienazione, l'espropriaziont>, dell'attività stessa del lavoro. In che consiste ora l'espropriazione del lavoro? Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e che l'operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensi si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna· libera energia fisica e spirituale, bensi mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito. L'operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di sé nel lavoro. Come a casa sua è solo quando non lavora e quando non lavora non lo è. Il suo lavoro non è volontario, bensi forzato, è lavoro costrittivo. Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensi è soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni a esso. La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d'altro genere, il lavoro è fuggito come una peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si espropria, è un lavoro-sacrificio, un lavoro mortificazione. Finalmente l'esteriorità del lavoro al lavoratore si palesa in questo: che il lavoro non è cosa sua ma di un altro; che non gli appartiene, e che in esso egli non appartiene a sé, bensi a un altro. Come nella religione l'attività spontanea· dell'umana fantasia, dell'umano cervello e del cuore umano, opera indipendentemente dall'individuo, cioè come un'attività estranea, divina o diabolica, cosi l'attività del lavoratore non è attività spontanea. Essa appartiene ad un altro, è la perdita del lavoratore stesso. Il risultato è che l'uomo (il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare, tutt'al piu nell'aver una casa, nella sua cura corporale etc., e che nelle sue funzioni umane si sente solo piu una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale. Il mangiare, il bere, il generare etc., sono in effetti anche schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell'astrazione che le separa dal restante cerchio dell'umana attività e ne fa degli scopi ultimi e unici. Abbiamo considerato da due lati l'atto di alienazione dell'attività pratica umana, del lavoro. 1) Il rapporto dell'operaio col prodotto del lavoro come oggetto estraneo e avente un dominio su di lui. Rapporto
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ch'è contemporaneamente rapporto col mondo sensibile, cogli oggetti naturali, come mondo che gli sta di fronte estraneo, nemico. 2) Il rapporto dell'operaio con l'atto di produzione nel lavoro. Rapporto ch'è il rapporto dell'operaio con la sua propria attività come estranea, non sua, l'attività come passività, la forza ch'è debolezza, la generazione ch'è impotenza, l'energia fisica e spirituale propria dell'operaio, la sua vita personale - che cos'è la vita se non attività - come un'attività rivolta contro lui stesso, e da lui indipendente, a lui non appartenente. L'autoalienazione; come vedemmo sopra l'alienazione della cosa. [XXIV j Abbiamo ancora da trarre dalle precedenti una terza caratteristica del lavoro alienato. L'uomo è un ente generico non solo in quanto egli praticamente e teoricamente fa suo oggetto il genere, sia il proprio che quello degli altri enti, ma anche - e questo è solo un altro modo di esprimer la stessa cosa - in quanto egli si comporta con se stesso come col genere presente e vivente; in quanto si comporta con se stesso come con un ente universale e però libero. La vita del genere, tanto dell'uomo che delle bestie, consiste sotto l'aspetto fisico anzitutto in questo: che l'uomo (come la bestia) vive della natura inorganica, e quanto piu universalmente ne vive l'uomo della bestia, tanto piu universale è l'ambito della natura inorganica di cui egli vive. Come le piante, gli animali, le pietre, l'aria, la luce etc., formano una parte della coscienza umana teoretica, sia in quanto oggetti delle scienze naturali che in quanto oggetti dell'arte - formano la sua spirituale natura inorganica, gli alimenti spirituali, ch'egli deve soltanto preparare per goderne e digerirli; cosi anche praticamente essi formano una parte della vita umana e dell'attività umana. Fisicamente l'uomo vive solo di questi prodotti, appaiano essi nella forma di alimenti, riscaldamento, vestimenti, abitazione etc. L'universalità dell'uomo si manifesta praticamente proprio nell'universalità per cui l'intera natura è fatta suo corpo inorganico, 1) in quanto questa è un immediato alimento, [2)] in quanto ess~ è la materia, l'oggetto e lo strumento dell'attività vitale dell'uomo. La natura è il corpo inorganico dell'uomo: cioè la natura che non è essa stessa corpo umano. Che l'uomo vive della natura significa: che la natura è il suo corpo, rispetto a cui egli deve rimanere in continuo progresso, per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell'uomo è congiunta 1
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11niversellen.
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con la natura, non ha altro significato se non che la natura si congiunge con se stessa, ché l'uomo è una parte della natura. Poiché il lavoro alienato 1) aliena all'uomo la natura, e 2) aliena all'uomo se stesso, la sua attiva funzione, la sua attività vitale, aliena cosi all'uomo il genere; gli riduce cosi la vita generica 1 ad un mezzo della vita individuale. In primo luogo estrania l'una all'altra la vita generica e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest'ultima nella sua astrazione lo scopo della prima, parimente nella sua forma astratta e alienata. Giacché primieramente il lavoro, l'attività vitale, la vita produttiva, appare all'uomo solo come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservazione dell'esistenza fisica. Ma la vita produttiva è la vita generica. È la vita generante la vita. Nel modo dell'attività vitale si trova l'intero carattere di una specie, il suo cacarattere specifico. E la libera attività consapevole è il carattere specifico dell'uomo. Ma la vita stessa appare, nel lavoro alienato, soltanto mezzo di vita. L'animale fa immediatamente uno con la sua attività vitale, non si distingue da essa, è essa. L'uomo fa della sua attività vitale stessa l'oggetto del suo volere e della sua coscienza. Egli ha una cosciente attività vitale: non c'è una sfera determinata con cui immediatamente si confonde. L'attività vitale consapevole distingue l'uomo direttamente dall'attività vitale animale. Proprio solo per questo egli è un ente generico •. Ossia è un ente consapevole, cioè ha per oggetto la sua propria vita, solo perché è precisamente un ente generico. Soltanto per questo la sua attività è libera attività. Il lavoro estraniato sconvolge la situazione in ciò: che l'uomo, precisamente in quanto è un ente consapevole, fa della sua attività vitale, della sua essenza, solo un mezzo per la sua esistenza. La pratica produzione di un mondo oggettivo, la lavorazione della natura inorganica è la conferma dell'uomo come consapevole en.~ generico, cioè ente che si rapporta al genere come al suo proprio essere ossia si rapporta a sé come ente generico. lnvero anche l'animale produce: esso si costruisce un nido, delle abitazioni, come le api, i castori, le formiche etc. Ma esso produce soltanto ciò di cui abbisogna immediatamente per sé o per i suoi nati; produce parzialmente, mentre l'uomo produce universalmente; produce solo sot:o il dominio del bisogno fisico immediato, mentre l'uomo produce an1 2
Gattungsleben: ossia la « vita del genere ». Gattungst<Jesen.
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.che libero dal bisogno fisico e produce veramente soltanto nella libertà dal medesimo. L'animale produce solo se stesso, mentre l'uomo riproduce l'intera natura; il prodotto dell'animale appartiene imme
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si trovi con se stesso, si realizza soltanto ed esprime nel rapporto nel quale l'uomo sta con gli altri uomini. Dunque, nel rapporto del lavoro alienato ogni uomo considera gli altri secondo la misura e il rapporto in cui si trova egli stesso come lavoratore. [XXV] Siamo partiti da un fatto dell'economia politica, dell'alienazione dell'operaio e della sua produzione. Abbiamo espresso il concetto di questo fatto: il lavoro alienato, espropriato. Abbiamo analizzato questo concetto: abbiamo cosi analizzato semplicemente un fatto economico. Vediamo ora dell'altro: come il concetto del lavoro alienato, espropriato, possa esprimersi e presentarsi nella realtà. Se il prodotto del lavoro mi è estraneo, e mi sta di fronte come una potenza straniera, a chi esso appartiene allora? Se la mia propria attività non mi appartiene, ma è un'estranea e coartata attività, a chi appartiene allora? A un ente altro da me. Chi è questo ente? - La Divinità? Certamente nei primi tempi la produzione principale, ad es. la costruzione di templi etc., in Egitto, in India, al Messico, appare al servizio degli Dei e anche il prodotto appartiene agli Dei. Ma gli Dei non furono mai i soli padroni del lavoro. Tanto meno la natura. E quale contraddizione sarebbe anche che, vieppiu l'uomo si sottomette la JJ.atura col suo lavoro, e vieppiu i prodigi degli Dei sono resi superflui grazie ai prodigi dell'industria, l'uomo debba rinunciare per amore di tali potenze alla gioia della produzione e al godimento del prodotto. L'ente estraneo, al quale appartiene il lavoro e il prodotto del lavoro, al servizio del quale sta il lavoro e per il godimento del quale sta il prodotto del lavoro, può esser soltanto l'uomo stesso. Quando il prodotto del lavoro non appartiene all'operaio, e gli sta di fronte come una potenza estranea, ciò è solo possibile in quanto esso appartiene a un altro uomo estraneo all'operaio. Quando la sua attività gli è penosa, essa dev'essere godimento per un altro, gioia di vivere di un altro. Non gli Dei, non la natura, soltanto l'uomo stesso può esser questa potenza estranea sopra l'uomo. Si rifletta ancora al principio stabilito prima: che il rapporto dell'uomo a se stesso è oggettivo e reale soltanto per il rapporto dell'uomo agli altri uomini. Quando egli sta in rapporto, dunque, al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato, come ad un oggetto estraneo, nemico, pos201
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sente, da lui indipendente, sta in rapporto ad esso cosi perché un altro uomo, a lui estraneo e nemico, possente, indipendente da lui, è il padrone di questo oggetto. Quando egli si riferisce alla sua propria attività come ad un'attività non libera, si riferisce a essa come ad un'attività al servizio, sotto il dominio, la costrizione e il giogo di un altro uomo. Ogni autoalienazione dell'uomo a se stesso e alla natura si palesa nel rapporto, ch'egli stabilisce, di sé e della natura, con un altro uomo, distinto da lui. Perciò l'autoalienazione religiosa si palesa necessariamente nel rapporto del laico col sacerdote, o anche, poiché si tratta qui del mondo intellettuale, con un mediatore, etc. E nel mondo pratico e reale l'autoalienazione può palesarsi soltanto nel rapporto pratico e reale con altri uomini. Il mezzo con cui procede l'alienazione è esso stesso un mezzo pratico. Attraverso il lavoro alienato l'uomo non istituisce, dunque, soltanto il suo rapporto con l'oggetto e con l'atto della produzione come con un uomo estraneo e nemico, ma istituisce anche il rapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e il suo prodotto, ed il rapporto in cui egli sta con questi altri uomini. Come egli genera la produzione sua per la propria privazione, per la propr_ia pena, e il suo prodotto quale perdita, quale prodotto non appartenente a lui, cosi egli genera il dominio di chi non produce sulla produzione e il prodotto. Come egli si aliena la sua propria attività, attribuisce cosi all'estraneo la attività non propria. Abbiamo considerato fino ad ora il rapporto solo dal lato del lavoratore, lo considereremo poi anche dal lato del non-lavoratore. ! Dunque, nel lavoro alienato, espropriato, l'operaio produce il rapporto a questo lavoro da parte di un uomo estraneo e che sta fuori. Il rapporto dell'operaio col lavoro genera il rapporto del cap:talista - o come altrimenti si voglia chiamare il padrone del lavoro - col medesimo lavoro. La proprietà privata è dunque il prodotto, il risultato, la necessaria conseguenza del lavoro espropriato, del rapporto estrinseco dell'operaio alla natura e a se stesso__. : La proprietà privata risulta cosi dall'analisi del concetto del lavoro espropriato, cioè dell'uomo espropriato, del lavoro alienato, della vita alienata, dell'uomo alienato. Abbiamo certamente ricavato il concetto del lavoro espropriato (della vita espropriata) dall'economia politica come risultato del movimento della proprietà privata. Ma nell'analisi di questo concetto si mostra che, mentre la proprietà privata appare come ragione e causa del lavoro espropriato, essa è piuttosto una conseguenza di quest'ultimo, cosi come gli Dei sono in origine non causa ma bensl effetto 202
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d~llo
smarrimento dell'intelìetto umano. Poi questo rapporto si rovescia in un effetto reciprcco. Solo all'ultimo punto culminante Jello sviluppo della proprietà privata questa mostra di nuovo in risalto il suo segreto: cioè che, da una parte, essa è il risultato del lavoro espropriato, e secondariamente ch'essa è il mezzo col quale il lavoro si espropria, la realizzazione di questa espropriazione. Questo sviluppo illumina subito diverse collisioni finora insolute. 1) L'economia politica parte dal lavoro come an:ma autentica della produzione, e tuttavia al lavoro non dà nulla e alla proprietà privata dà tutto. Proudhon da questa contraddizione ha concluso a favore del lavoro contro la proprietà. Ma noi comprendiamo che questa speciosa contraddizione è la contraddizione del lavoro alienato con se stesso e che l'economia politica ha espresso soltanto le legrri del lavoro estraniato. Noi quindi comprendiamo anche che salario e proprietà p. wata sono identici: ché il salario, in quanto retribuisce il prodotto, l'oggetto del lavoro, il lavoro stesso, è solo una necessaria conseguenza dell'alienazione del lavoro, cosi come nel salario il lavoro non si palesa fine unico, bensi mezzo che serve al salario. Concluderemo su ciò piu tardi, ora traiamo soltanto ancora alcune conseguenze [XXVI]. Un forzato aumento del salario (prescindendo da tutte le altre difficoltà, prescindendo dal fatto che, essendo un'anomalia, esso potrebbe anche esser mantenuto soltanto con la forza) non sarebbe dunque altro che una migliore paga di schiavi e non sarebbe la conquista né per il lavoratore né per il lavoro della loro umana, vocazione e dignità. Si, anche l'eguaglianza dei salari, come l'esige Proudhon, trasforma soltanto il rapporto dell'odierno operaio al suo lavoro in un rapporto di tutti gli uomini al lavoro: e la società è allora concepita come un astratto capitalista. Il salario è un'immediata conseguenza del lavoro alienato, e il lavoro alienato è la causa immediata della proprietà privata. Con un aspetto deve, quindi) cadere anche l'altro. 2) Dal rapporto del lavoro alienato alla proprietà privata consegue inoltre che l'emancipazione della società dalla proprietà privata etcetera, dalla servi tu, si esprime, nella forma politica dell'emancipazionf operaia, non come se si trattasse soltanto dell'emancipazione dell'operaio, bensi, poiché nell'emancipazione di questo è implicita la generale emancipazione umana, anche questa vi è contenuta, in quanto l'intera servitu umana è coinvolta nel rapporto dell'operaio alla pro203
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duzione, e tutti i rapporti di servitu sono soltanto modificazioni e conseguenze di questo rapporto. Come abbiamo ricavato, con l'analisi del concetto del lavoro alienato, espropriato, il concetto della proprietà privata, cosi possono esser spiegate, con l'ausilio di entrambi questi fattori, tutte le categorie dell'economia politica, e noi troveremo in ogni categoria - ad esempio, il traffico, la concorrenza, il capitale, il denaro - solo un'espressione determinata e sviluppata di questi primi fondamenti. Tuttavia, prima di considerare questa conformazione, cerchiamo di risolvere due problemi. I) Di determinare - nel suo nesso con la proprietà veramente umana, sociale - l'essenza generale della proprietà privata, quale è risultata dal lavoro alienato. 2) Noi abbiamo accettato l'alienazione del lavoro, la sua espropriazione, come un fatto e abbiamo analizzato questo fatto: ci chiediamo ora come l'uomo giunga a questo, a espropriarsi del suo lavoro, a estraniarsi da esso. Come questa alienazione è fondata nell'essenza dello sviluppo umano? Abbiamo già guadagnato molto per la soluzione del problema allorché abbiamo convertito la questione dell'origine della proprietà privata in quella del rapporto del lavoro espropriato col processo di sviluppo [storico] dell'umanità. Giacché quando si parla di proprietà privata si crede di aver a che fare con una cosa fuori dell'uomo, ma quando si parla del lavoro si ha immediatamente a che fare con l'uomo stesso. Questa nuova impostazione del problema include già la soluzione. Ad I) [ossia] natura generale della proprietà privata e suo nesso con la proprietà veramente umana. Il lavoro espropriato ci si è risolto in due elementi che si condizionano a vicenda o che sono soltanto due diverse espressioni di un solo e medesimo rapporto. L'appropriazione si palesa alienazione, espropriazione, e l'espropriazione appropriazione, l'estraniazione la vera naturalizzazione. Abbiamo considerato un aspetto: il lavoro espropriato nel suo rapporto con l'operaio stesso, cioè il rapporto a se stesso del lavoro espropriato. Come prodotto, come risultato necessario di questo rapporto abbiamo trovato il rapporto di proprietà del non-lavoratore col lavoratore e col lavoro. La proprietà privata, come espressione materiale riassuntiva del lavoro espropriato, comprende ambo i rapporti: il rapporto dell'operaio co/lavoro e col prodotto del suo lavoro e col non-lavoratore ed il rapporto del non-lavoratore con l'operaio e col prodotto del suo lavoro.
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Se abbiamo vìsto che in relazione all'operaio, che col lavoro si appropria della natura, l'appropriazione si palesa alienazione, l'attività spontanea attività per un altro e attività di un altro, la vitalità sacrificio della vita, la produzione dell'oggetto perdita dell'oggetto presso una estranea potenza, presso un uomo estraneo, consideriamo ora il rapporto che quest'uomo estraneo al lavoro e all'operaio ha con l'operaio, col lavoro e col suo oggetto. In primo luogo, è da notare che tutto ciò che si palesa nell'operaio come attività di espropriazione, di alienazione, si palesa nel non-lavoratore come stato di espropriazione, di alienazione. In secondo luogo, che il contegno reale pratico dell'operaio nella produzione e rispetto al prodotto (come stato d'animo) si presenta nel non-lavoratore, che gli sta di fronte, come contegno contemplativo'. [XXVIII] In terzo luogo: il non-lavoratore fa contro l'operaio tutto ciò che l'operaio fa contro se stesso, ma non fa contro se stesso ciò che fa contro l'operaio. Consideriamo piu da vicino questi tre nessi.
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Secondo manoscritto
Il rapporto della proprietà privata
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[Il rapporto della proprietà privata]
[XL] ... forma gli interessi del suo capitale. Nell'operaio c'è, dunque, soggettivamente, che il capitale è l'uomo completamente perduto a se stesso, cosi come c'è nel capitale, oggettivamente, che il lavoro è l'uomo perduto a se stesso. Ma l'operaio ha la sfortuna di essere un capitale vivente e quindi avente dei bisogni, e che ad ogni momento, in cui non lavori, perde i suoi interessi e con ciò la sua esistenza. In quanto capitale, il valore dell'operaio sale secondo la domanda e l'offerta, e anche fisicamente, si è saputo e si sa, la sua esistenza, la sua vita, è un'offerta di merce, come un'altra. L'operaio produce il capitale, il capitale produce lui, l'operaio produce dunque se stesso, e l'uomo, come operaio, come merce, è il prodotto dell'intero movimento. Per l'uomo che non è niente piu che operaio, in quanto operaio, le sue umane qualità esistono solo in quanto esse sono per lui del capitale straniero. E poiché entrambi, l'uomo e il suo lavoro, sono reciprocamente estranei, e però stanno in un rappo~to di indifferenza, esteriorità e accidentalità, questa estraneità loro doveva anche apparire reale. Appena, dunque, piaccia al capitale, per necessità o arbitrio, di non esistere piu per l'operaio, questi anche non esiste piu per sé, non ha piu lavoro, dunque non ha piu salario, e poiché egli esiste non come uomo ma come operaio, può lasciarsi sotterrare, morir di fame etc. L'operaio esiste come operaio solo quando è per sé capitaie, ed è capitale solo quando esiste un capitale per lui. L'esistenza del capitale è la sua esistenza, la sua vita, di operaio, in quanto essa determina il contenuto della sua vita in guisa a lui indifferente. L'economia politica non conosce, dunque, l'operaio disoccupato, l'uomo-operaio che si trova fuori di questo rapporto di lavoro. Il ladro, il mariuolo, il mendicante, il disoccupato, l'affamato, il lavoratore miserabile e delinquente, sono figure che non esistono per essa economia politica, bens1 solo per altri occhi, per quelli del medico, del giudice, del becchino, del birro ett.; come fantasmio fuori del suo regno. I bi-
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sogni dell'operaio sono, dunque, per essa soltanto il bisogno di mantenerlo durante il lavoro, affinché la razza dei lavoratori non muoia. Il salario ha quindi assolutamente lo stesso significato del mantenimento e della manutenzione di ogni altro strumento produttivo; del consumo del capitale in genere, che occorre affinché il capitale si riproduca con gli interessi; dell'olio adoperato nelle ruote per tenerle in movimento. Il salario appartiene, perciò, al costo necessario del capitale e del capitalista, e non può eccedere il bisogno di questa necessità. Fu, dunque, del tutto un atto coerente che i padroni di fabbrica inglesi, prima dell'Amendement Bill del 1834, detraessero dal salario le pubbliche elemosine, che l'operaio riceveva a mezzo della tassapoveri, e le considerassero una parte integrante del salario medesimo. La produzione produce l'uomo non solo come una merce, la merce umana, l'uomo col carattere della merce, ma lo produce, conformemente a questo carattere, come un ente disumanato sia spiritualmente che fisicamente. - Immoralità, mostruosità, ilotismo, degli operai e dei capitalisti. - Il loro prodotto è la merce auto-cosciente e automatica ..., la merce umana... Grande progresso di Ricardo, Mill etcetera, rispetto a Smith e Say: la loro dichiarazione che è indifferente e persino dannosa l'esistenza dell'uomo, la maggiore o minore produttività umana di merce; e che il vero scopo della produzione è non la quantità di operai che un capitale mantiene, bensi la quantità di interessi ch'esso frutta, la somma delle economie annuali. Fu parimente un grande e conseguente progresso della piu recente [XLI] economia politica inglese che essa- ch'elevò il lavoro ad unico principio economico-politico - spiegasse, ad un tempo, con piena chiarezza il rapporto inverso di salario e interessi del capitale e come il capitalista, di regola, possa guadagnare soltanto con l'abbassare il salario, e viceversa. E il normale rapporto sia non l'utilizzazione del consumatore, bensi la reciproca utilizzazione del capitalista e dell'operaio. Il rapporto ch'è la proprietà privata contiene in sé, latente, il rapporto della proprietà privata come lavoro, cosi come il rapporto della medesima proprietà come capitale, e la relazione reciproca di entrambe le espressioni. Contiene il prodursi dell'umana attività come lavoro, e dunque come un'attività completamente estranea a se stessa, completamente estranea all'uomo e alla natura, e quindi alla coscienza e alla vita; l'esistenza astratta dell'uomo come un mero uomoda-fatica, che giornalmente può precipitare dal suo niente di contenuto nell'assoluto niente, nella sua inesistenza sociale e però effettiva; come, d'altra parte, la produzione dell'oggetto dell'umana attività in 2IO
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quanto capitale, in cui ogni determinatezza' naturale e sociale dell'oggetto si estingue e la proprietà privata ha perso le sue qualità naturali e sociali (e dunque tutte le illusioni politiche e sociali, e non è piu mescolata con nessun rapporto d'apparenza umana), e in cui anche il medesimo capitale rimane il medesimo nella piu varia esistenza naturale e sociale, completamente indifferente al suo reale contenuto. Questo contrasto spinto all'estremo è necessariamente l'apice, l'apogeo e lo sfacelo di tutto il rapporto •. È, ancora, una grande impresa della piu recente economia politica inglese l'aver spiegato la rendita fondiaria come la differenza fra i frutti del terreno peggio coltivato e quelli del terreno meglio coltivato; l'aver additato le romantiche fantasie del proprietario fondiario, la sua pretesa importanza sociale e identità del suo interesse con quello della società, affermata ancora dopo i Fisiocrati da Adam Smith; e aver anticipato e preparato il movimento della realtà, che muterà il proprietario fondiario in un capitalista del tutto ordinario e prosaico, e però semplificherà il contrasto, lo acuirà e ne solleciterà la soluzione. La terra come tale, la rendita fondiaria come tale, hanno perduto la loro distinzione di stato e sono diventate capitale e interesse insignificanti o piuttosto significanti soltanto moneta. La distinzione di capitale e terra, di profitto e rendita fondiaria, come di entrambi e salario, di industria e agricoltura, di proprietà privata immobile e mobile, è ancora una distinzione storica, non fondata nell'essenza delle cose, è un momento fissato della formazione e origine del contrasto di capitale e lavoro. Nell'industria etc., in opposizione all'immobile proprietà fondiaria, si esprimono soltanto il modo d'origine e il contrasto per cui l'industria si è formata rispetto all'agricoltura. In quanto specie particolare di lavoro, in quanto differenza essenziale, importante, abbracciante la vita, questa distinzione sussiste solo per quel tempo che l'industria (la vita cittadina) si costituisce di fronte al possesso fondiario (la vita nobile feudale) e porta seco ancora il carattere feudale del suo contrasto nella forma del monopolio, della consorteria, della gilda, della corporazione etc., nelle quali istituzioni il lavoro ha ancora un significato apparentemente sociale, il significato di una comunità reale, e non ha ancor progredito all'indifferenza verso il suo contenuto e ad una piena esistenza indipendente, cioè all'astrazione da ogni altra esistenza, e perciò non ancora progredito a capitale libero. 1
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Bestimmtheit. Ch'è la proprietà priv,aa. 2Jl
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[LXII] Ma il necessario sviluppo dd lavo;:-o è l'mdustria libera, stituita per sé come tale, e il capitale emancipato. La possanza dell'industria sul suo contrario si mostra subito nella nascita dell'agricoltura come industria effettiva, mentre prima l'agricoltura lasciava la fatica principale alla gleba e allo schiavo di questa, mediante il quale la gleba si coltivava da sé. Con la trasformazione dello schiavo della gleba in libero lavoratore, cioè in salariato, il padrone terriero in sé si trasforma in un padrone industriale, in un capitalista: trasformazione che avviene dapprima con l'affittuario come intermediario. Ma l'affittuario è il rappresentante, il mistero svelato, del proprietario fondiario: solo con esso si ha la esistenza economico-politica di questo, la sua esistenza di proprietario privato, ché la rendita della sua terra c'è soltanto per la concorrenza degli affittuari. - Dunque, il padrone terriero è già sostanzialmente divenuto nell'affittuario un capitalista volgare. E ciò deve pure compiersi nella realtà: il capitalista che fa dell'agricoltura - l'affittuario - deve diventare padrone terriero, o inversamente. Il traffico industriale dell'affittuario è quello del proprietario fondiario, ché l'esistenza del primo comporta quella del secondo. Memori della loro opposta formazione e origine, il proprietario fondiario conosce il capitalista come il suo petulante, emancipato e arricchito servo di ieri e si vede, in quanto capitalista, minacciato da quello; e il capitalista conosce il proprietario fondiario come l'ozioso, crudele, egoistico, padrone di ieri, sa di fargli, in quanto capitalista, del danno e di esser debitore pertanto all'industria di tutta la sua attuale importanza sociale, del suo possedere e godere; e vede in lui un'opposizione alla libera industria e al capitale libero, indipendente da ogni determinazione naturale. - Questo contrasto è amarissimo ed è un dirsi reciprocamente la verità. Basta soltanto leggere gli attacchi della proprietà immobiliare contro quella mobiliare, e viceversa, per farsi un'immagine evidente della loro scambievole indegnità. Il proprietario fondiario fa valere la nobile nascita della sua proprietà, i souvenirs feudali, le reminiscenze, la poesia della reminiscenza, la propria natura romantica, la propria importanz« politica etc.; t quando parla un linguaggio economico dice che soltamo l'agricoltura è produttiva. Egli dipinge, a un tempo, il suo ~ vversario come un furbo mariuolo trafficante, sottilizzante, frodolento, cupido, venale, insof-· ferente, senza cuore e senz'anima, estraneo alla comunità ch'esso traffica liberamente, esercitante l'usura, ruffianeggiante, servile, pieghevole, vanitoso, gabbatore, arido, generatore e coltivatore e vagheggiatore della concorrenza, e quindi del pauperismo e della delin212
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quenza e della dissoluzione di ogni legame sociale; senza onore, senza principi, senza poesia, senza niente. ry edi, fra gli altri, il fisio-crate Bergasse, che Camille Desmoulins frusta nel suo giornale Révo-Jutions de France et de Brabant e vedi von Vincke, Lancizolle, Haller, Leo, Kosegarten • e vedi Sismondz). La proprietà mobile, da parte sua, addita il miracolo dell'industria e del movimento [della ricchezza]; essa è figlia dell'età moderna e l'unica sua genitura legittima; essa compatisce il suo avvet·sario come uno sciocco, non illuminato (e questo è completamente vero) sulla propria natura, che vorrebbe mettere al posto del morale capitale e del libero lavoro la forza grossolana e immorale e la servitu della gleba. Lo dipinge come un donchisciotte che, sotto l'apparenza della dirittura, della onestà, dell'interesse generale, dell'ordine, cela l'incapacità a muoversi, la cupida sete
1 Rivoluzioni di Francia e di Brabante, giornale politico di Camille Desmoulins, Parigi, Anno Primo (1792], numeri: 16, p. 139 ~gg.; 23, p. 425 sgg.; 26, p. 580 sgg. • [Nota in calce di Marx]. Vedi il prolisso teologo, basso-hegeliano Funke, che, con le lacrime agli occhi, secondo il signor Leo, racconta che un suo schiavo, all'abolizione della servitu della gleba, si è rifiutato di cessar di essere una proprietà nobile. Vedi anche le Fan;asie patriottiche di fustus Mose•·. che si distinguono per il fatto che non abbandonano un istante l'orizzonte onesto, piccolo-borghese, «casalingo :o, ordinario e ristretto del filisteo, e tuttavia sono delle pure fantl't'chcrie. Cnntraddi·zione che le ha rese cosi piacevoli all'animo tedesco.
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tanto un'occhiata al suo fittavolo e dica se egli non è un onesto, inimaginatitlo, furbo briccone, che col cuore, e nella realtà, appartiene da gran tempo alla libera industria e all'amabile commercio, per quanto se ne difenda e chiacchieri di ricordi storici e di scopi etici o politici. Tutto ciò ch'egli, in realtà, reclama a suo favore è vero soltanto dei coltitlatori (il capitalista e gli schiavi del lavoro), di cui il proprietario fondiario è, piuttosto, il nemico; ed egli attesta, dunque, contro di sé. Senza capitale la proprietà fondiaria è materia morta, priva di valore. La civile vittoria del capitalista è, appunto, di aver scoperto e posto il lavoro umano come fonte di ricchezza, in luogo della morta cosa. (Vedi : Paul Louis Courier, St. Simon, Ganilh, Ricardo, Mill, Mac Culloch e Destutt de Tracy e Miche! Chevalier). Dal corso reale dell'evoluzione (qui: aggiunte) segue la inevitabile vittoria del capitalista sul proprietario fondiario, cioè della pro· prietà privata progredita sulla proprietà non progredita, o semi-proprietà; come in genere il movimento deve prevalere sull'immobilità, la bassezza aperta e consapevole su quella celata e inconsapevole, la cupidigia sulla sete di piacere, l'egoismo illuminato, confesso, irrequieto e piu che agile, sull'egoismo superstizioso, locale, prudente, onesto. pigro e fantastico; e il denaro sull'altra forma di proprietà privata. Gli Stati ', che presentano qualcosa d::l pericolo della perfetta libera industria, della perfetta pura morale, e del perfetto umanitario commercio, tentano - ma del tutto invano - di arrestare la capitalizzazione della proprietà fondiaria. La proprietà jondiaria, nella sua distinzione dal capitale, è la proprietà privata, il capitale, ancor affetto di pregiudizi locali e politici, il capitale non ancor riavutosi dalla sua confusione con la terra, il capitale ancor incompiuto. E occorre ch'esso, nel corso della sua evoluzione universale, pervenga alla sua astratta, cioè pura espressione. Il rapporto della proprietà privata è lavoro, capitale, e il loro nesso. Il movimento che hanno da percorrere questi elementi è: primieramente - l'unità immediata e mediata dei due. Capitale e lavoro sono da prima ancora uniti: poi in vero sono separati e resi estranei, ma reciprocamente si sostengono e sollecitano come condizioni positive. Opposizione di entrambi: essi si escludono vicendevolmente: 1
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l'operaio conosce il capitalista come la propria inesistenza, e viceversa; ognuno cerca di togliere all'altro la sua esistenza. Opposizione di ognuno contro se stesso. Capitale lavoro accumulato = lavoro. Come tale, il capitale, si suddivide in sé e nei suoi interessi, come questi, di nuovo, in interessi e profitto. Sacrificio continuo del capitalista. Cade nella classe operaia; come l'operaio ma solo eccezionalmente - diventa capitalista. Il lavoro come momento del capitale, il suo costo. Dunque, il salario come una vittima del capitale. Lavoro decomposto in sé e nel salario. L'operaio stesso un capitale, una merce. Collisione di reciproche opposizioni.
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Terzo manoscritto Proprietà privata e lavoro - Proprietà privata e comunismo Bisogno, produzione e divisione del lavoro - il denaro Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale
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[Proprietà privata e lavoro]
lf J ad pag. XXXVI. L'essenza >oggettiva della proprietà privata, la proprietà privata come attività riflessa', come soggetto, come persona, è il lavoro. S'intende da sé, dunque, che soltanto l'economia politica che ha riconosciuto come suo principio il lavoro - vedi Adam Smith - e non ha piu saputo la proprietà privata soltanto come una condizione esterna all'uomo, questa economia politica è da considerare tanto un prodotto della reale etzergia, e del movimento, della proprietà privata, quanto un prodotto della moderna industria; come, d'altra parte, essa economia sollecita l'energia e lo sviluppo di questa industria, li glorifica e ne fa una forza della coscienza. Agli occhi di questa economia politica illuminata, che ha scoperto l'essen:z:a soggettiva della ricchezza nella proprietà privata, i seguaci del sistema monetario-mercantilista, che conoscono la proprietà privata come un'essenza -soltanto oggettivo per l'uomo, appaiono quindi dei feticisti, dei cattolici. Engels ha perciò denominato giustamente Adam Smith: il Lutero dell'economia politica •. Come L utero riconobbe la religione, la fede, quale essenza del mondo reale e quindi si contrappose al paganesimo cattolico, allorché egli soppresse la religiosità esteriore, facendo della religiosità l'essenza interiore dell'uomo, e negò il prete fuori del laico, trasferendo il prete nel cuore dell:tico; cosi vien soppressa la ricchezza esterna all'uomo, da lui indipendente, e quindi conservabile e difendibile in una guisa soltanto esteriore, e cioè viene soppressa questa sua oggettività esterna e priva di pensiero, allorché la proprietà privata s'incorpora nell'uomo- stesso e questi è riconosciuto come la sua essenza, e però è incluso nella definizione della proprietà privata, come, presso Lutero, in quella della religione. Dunque, sotto l'apparenza di un riconoscimento dell'uomo, l'econoFur sich seiende. • Nei cit. Lineamenti del 1844.
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mia politica, il cui principio è il lavoro, è, piuttosto, soltanto la co •. seguente effettuazione del rinnegamento dell'uomo, dacché l'uomo non sta piu in una tensione esterna verso l'esistenza esteriore della proprietà privata, bensi è diventato esso stesso questo essere teso della proprietà privata. Ciò ch'era prima un trovarsi fuori, una reale espropriazione dell'uomo, è ora divenuto l'azione dell'espropriarsi, dell'alienarsi. Se, dunque, tale economia politica comincia con l'apparenza del riconoscimento dell'uomo, della sua indipendenza e spontaneità etc., ed essa, col trasporre la proprietà privata nell'essere stesso dell'uomo, non può piu essere condizionata dai caratteri locali, nazionali etc., della proprietà privata considerata come esistenza esteriore, e svolge dunque un'attività cosmopolitica, universale, travolgente ogni limite e impaccio, per sostituirsi come la sola politica e universalità e il solo limite e impaccio, è cosi costretta, nel suo ulteriore sviluppo, a mettere da parte questa ipocrisia e a farsi innanzi in tutto il suo cinismo. E fa questo allorché - noncurante di tutte le apparenti contraddizioni in cui l'avvolge questa teoria - determina molto piu ristrettamente e però piu acutamente e piu conseguentemente il lavoro come l'unica essenza della ricchezza, e prova che le conseguenze di questa teoria, all'opposto della primitiva concezione, sono piuttosto avverse all'uomo; e finalmente dà il colpo mortale all'ultima forma esistente - individuale, naturale e indipendente dal movimento del lavoro - della proprietà privata e fonte della ricchezza: alla rendita fondiaria, a questa espressione della proprietà feudale, già del tutto divenuta economico-politica e quindi incapace di resistere alla economia politica. (Scuola di Ricardo ). Non solo il cinismo dell'economia politica cresce relativamente da Smith a Say e fino a Ricardo, Mill etc., in quanto agli occhi di questi ultimi le conseguenze dell'industria emergono piu sviluppate e piu piene di contraddizioni, ma anche, positivamente, essi procedono sempre piu con coscienza oltre i loro predecessori nell'alienazione an ti-umana; ma solo perché la loro scienza si svolge sempre piu consequenziale e verace. Poiché essi fanno della proprietà privata nella sua forma attiva il soggetto, e dunque fanno l'uomo l'essenziale, e al contempo lo fanno essenziale in quanto inessenziale, la contraddittoria realtà corrisponde, cosi, interamente all'essenza pienamente contraddittoria che hanno riconosciuto come principio. L ungi dal confutarlo, la divisa [II] realtà dell'industria conferma il loro principio in sé diviso. Il loro principio è appunto il principio di questa scissione. - La teoria fisiocratica del dott. Quesnay costituisce il passaggio dal sistema mercantilista a Adam Smith. La fisiocrazia è immediatamente
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la dissoluzione economico-politica della proprietà feudale, ma è perciò altrettanto immediatamente la trasformazione economico-politica e la restaurazione della medesima: solo che il suo linguaggio ora non è piu feudale, bensi economistico. Ogni ricchezza è ridotta nella terra e nell'agricoltura. La terra non è ancora capitale, essa è ancora un particolare modo di esistenza di esso, che ha da valere nella e per la sua naturale particolarità; e la terra è tuttavia un generale elemento naturale, mentre il sistema mercantilista conosceva soltanto il metallo nobile come esistenza della ricchezza. L'oggetto della ricchezza, la sua materia, ha attinto, dunque, immantinente la massima universalità nei limiti naturali~in quanto esso è anche come natura ricchezza oggettiva immediata. E la terra è per l'uomo soltanto mediante il lavoro, l'agricoltura: e cosi: l'essenza soggettiva della ricchezza è già trasferita nel lavoro. Ma al contempo l'agricoltura è l'unico lavoro produttiz,o: e dunque il lavoro non è ancor còlto nella sua generalità e astrazione, bens1 è ancor legato a un particolàre elemento naturale come sua materia, ed è quindi ancor riconosciuto soltanto in un modo di esistenza particolare, determinato dalla natura. Esso è perciò, innanzi tutto, un'alienazione determinata, particolare, dell'uomo; come il suo prodotto è ancora inteso quale una determinata ricchezza, pertinente piu alla natura che al lavoro stesso. La terra è qui ancora riconosciuta come esistenza naturale indipendente dagli uomini: non ancora come capitale, cioè momento del lavoro stesso. È, piuttosto, il lavoro che appare come suo momento. Ma poiché il feticismo dell'antica ricchezza esteriore, esistente solo oggettivamente, è ridotto ad un molto semplice elemento naturale e l'essenza della ricchezza è già, sebbene parzialmente, riconosciuta nella sua soggettiva esistenza, si ha il necessario progresso che l'essenza universale della ricchezza è ravvisata e però è elevato a principio il lavoro, nella sua completa assolutezza, cioè astrazione. Alla fisiocrazia vien mostrato che l'agricoltura, sotto l'aspetto economico, unico giustificato, non differisce da alcuna altra industria, c non è dunque un lavoro determinato, una particolare manifestazione di lavoro, legata a un peculiare elemento; ma che bensl essenza della ricchezza è il lavoro in generale. La fisiocrazia nega la ricchezza particolare, esteriore, soltanto oggettiva, allorché ne dichiara sua essenza il lavoro. Ma, innanzi tutto, il lavoro è per essa soltanto l'essenza soggettiva- della proprietà fondiaria (essa prende le mosse da quella specie di proprietà che appare storicamente riconosciuta e dominante); essa lascia che soltanto la proprietà fondiaria divenga uomo espropriato. Le toglie il suo carattere 221
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feudale allorché ne dichiara sua essenza l'industria (l'agricoltura); ma si comporta negativamente rispetto al mondo dell'industria e conferma il feudalismo allorché dichiara unica industria l'agricoltura. S'intende, appena che è còlta soltanto l'essenza soggettiva dell'industria costituentesi come tale in contrasto con la proprietà fondiaria, questa essenza racchiude in sé quel contrasto: giacché, come l'industria comprende la soppressa proprietà fondiaria, cosi la sua essenz;t soggettiva insieme ne comprende l'essenza soggettiva. Come la proprietà fondiaria è la prima forma della proprietà privata e l'industria dapprima le si contrappone storicamente solo quale una specie particolare di proprietà - o è piuttosto lo schiavo liberato della proprietà fondiaria - cosi questo processo si ripete nella comprensione scientifica dell'essenza soggettiva della proprietà privata, del lavoro, e il lavoro appare dapprima solo come lavoro agricolo, e poi si fa valere come lavoro in generale. [Ili] Ogni ricchezza è divenuta ricchezza industriale, ricchezza del lavoro, e l'indt-utria è lavoro perfetto, come la manifattura è l'essere perfetto dell'industria, cioè del lavoro, e il capitale industriale è la perfetta forma oggettiva della proprietà privata. Noi vediamo anche come ora soltanto la proprietà privata può perfezionare il suo dominio sull'uomo e diventare, nella sua forma la piu generale, potenza storica universale.
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fProprietà privata e comunismo]
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ad pag. XXXIX. Ma l'opposizione tra non-proprietà e proprietà
è peranco un'opposizione indifferente, non còlta nel suo rapporto attivo alla sua intima connessione, e non ancora come contraddizione, finché non è concepita come opposizione di lavoro e capitale. Anche senza il progredito movimento della proprietà privata, nell'antica Roma, nella Turchia etc., questa opposizione può esprimersi nella sua prima forma: e cosi essa non appare ancora come posta dalla proprietà privata stessa. Ma il lavoro, l'essenza soggettiva della proprietà privata, in quanto esclusione della proprietà, e il capitale, il lavoro og· gettivo, in quanto esclusione del lavoro, sono la proprietà privata come sviluppato rapporto di contraddizione e però rapporto energico, motivo di risoluzione. * • ad ibidem. La soppressione dell'autoalienazione segue la stessa via dell'autoalienazione. Dapprima la proprietà privata è soltanto considerata nel suo lato oggettivo, ma tuttavia avente il lavoro come sua essenza. La sua forma di esistenza è quindi il capitale, che, « come tale», è da sopprimere (Proudhon). Oppure una guisa particolare di lavoro, livellato, parcellato, e però non-libero, è considerato come la fonte della nocività della proprietà privata e della sua esistenza estranea all'uomo: [vedi] Fourier, che conformemente ai fisiocrati, concepisce ancora una volta l'agricoltura almeno come lavoro superiore; mentre St. Simon, al contrario, dichiara essenziale il lavoro indwtriale come tale e chiede, tuttavia, il predominio esclusivo degli industriali e il miglioramento della posizione dei lavoratori. Infine, il comunismo è l'espressione positiva della proprietà privata soppressa; e in primo luogo è la generale proprietà privata. In quantù esso abbraccia questo rapporto [la proprietà privata] nella sua generalità, esso è I), nella sua prima forma, soltanto una generalizzazione .e perfezione della medesima proprietà; e come tale si mostra in duplice figura. Da una parte il dominio della proprietà di cose gli si presenta cosi
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grande che esso intende annullare tutto ciò che non è suscettibile d1 esser posseduto da tutti in proprietà prit•ata, e vuole astrarre con la violenza dal talento etc. Il possesso fisico immediato vale come unico scopo della vita e dell'esistenza; la prestazione dell'operaio non è soppressa, bensl estesa a tutti gli uomini; il rapporto della comunità al mondo delle cose resta il rapporto della proprietà privata. E finalmente questo procedimento, di contrapporre alla proprietà privata la proprietà privata generale, si manifesta nella forma animale: per cui al matrimonio (ch'è certamente una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone la comunione delle donne, in cui anche la donna diventa una proprietà comunitaria, una proprietà comune. Si può dire che tale concetto, della comunione delle donne, è il segreto svelato di questo comunismo ancora tutto rozzo e irriflessivo. Cosi come la donna procederebbe dal matrimonio a una prostituzione generale, l'intero mondo della ricchezza, cioè dell'esistenza oggettiva dell'uomo, procederebbe dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario privato a quello di un'universale prostituzione con la comunità. Questo comunismo, in quanto nega la personalità dell'uomo ovunque, è soltanto l'espressione conseguente della proprietà privata, ch'è tale negazione. L'invidia generale, che diventa una forza, è soltanto la forma nascosta in cui la cupidità sì stabilisce e si soddisfa in un'altra guisa: il pensiero di ogni proprietà privata come tale si stravolge, almeno contro la proprietà privata piu ricca, in invidia e brama di livellamento, cosi che queste ultime costituiscono persino l'essenza della concorrenza. Il comunista rozzo è solo il perfezionamento di questa invidia e di questo livellamento da un minimo immaginato. Esso ha una misura determinata, limitata. Quanto poco questa soppressione della proprietà privata sia una reale appropriazione lo prova precisamente l'astratta negazione di tutto il mondo della cultura e della civiltà, il ritorno alla innaturale [IV] semplicità dell'uomo povero e senza bisogni, che non ha ancor sorpassato la proprietà privata, che anzi non è ancor pervenuto alla medesima. La comunità è soltanto comunità del lavoro ed eguaglianza del salario che paga il capitale comunitario, la comunità come capitalista generale. Ambo i termini del rapporto sono elevati ad una universalità immaginata: il lavoro, in quanto destinazione di ognuno; il capitale, in quanto riconosciuta universalità e potenza della comunità. Nel rapporto verso la donna, preda sottomessa alla libidine della comunità, è espressa la smisurata degradazione in cui l'uomo si trova ad esistere di fronte a se stesso; ché il segreto di tale rapporto si esprime non ambiguamente, ma risolutamente, manifestamente, sco224
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pcrtam.:me, nel rapporto dell'uomo l singolo J alla dvnna l singola J e nel modo in cui è compreso l'immediato, naturale, rapporto generico'. Il rapporto immedia!o, naturale, necessario, dell'uomo all'uomo è il rapporto dell'uomo alla donna. In questo rapporto generico-naturale il rapporto dell'uomo alla natura è immediatamente il suo rapporto all'altro uomo, come il rapporto dell'uomo all'uomo è immediatamente il suo rapporto alla natura, la sua propria determinazione naturale. In questo rapporto appare, dunque, sensibilmente, e ridotto ad un fatto intuitivo, che, nell'uomo, l'essenza umana è divenuta natura, e che la natura è divenuta l'umana essenza dell'uomo. Da questo rapporto si può, dunque, giudicare ogni grado di civiltà dell'uomo. Dal carattere di questo rapporto consegue quanto l'uomo è divenuto e si è còlto come ente generico, come uomo. Il rapporto dell'uomo alla donna è Il piu naturale rapporto dell'uomo all'uomo. In esso si mostra, dunque, fino a che punto il comportamento naturale dell'uomo è divenuto umano, ossia fino a che punto la sua umana essenza gli è diventata esistenza naturale, fino a che punto la sua umana natura gli è diventata naturale. In questo rapporto si mostra anche fino a che punto il bisogno dell'uomo è divenuto umano bisogno; fino a che punto, dunque, l'altro uomo come uomo è divenuto un bisogno per l'uomo, e fino a che punto l'uomo, nella sua esistenza la piu individuale, è ad un tempo comunità. Il comunismo rozzo, la prima positiva soppressione della proprietà privata, è cosi soltanto una manifestazione della bassezza della proprietà privata che intende porsi come positiva comunità. 2) Il comunismo è a) ancora di natura politica democratico o dispotico; ~ ), pur con la soppressione dello Stato, esistenza ancor incompiuta e sempre affetta dalla proprietà privata, cioè dall'alienazione umana. In ambo le forme il comunismo si sa già come reintegrazione o ritorno dell'uomo in se stesso, soppressione dell'umana autoalienazione; ma, poiché esso non ha ancor còlto l'essenza effettiva della proprietà privata e tantomeno ha inteso l'umana natura del bisogno, è ancor in balla e inficiato della proprietà privata. Esso ne ha còlto la nozione, non ancora l'essenza. 3) Il comunismo in quanto effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell'uomo, e però in quanto reale appropriazione dell'umana essenza da parte dell'uomo e per l'uomo; e in quanto ritorno completo, consapevole, compiuto all'interno di tutta la ricchezza dello svilt:ppo storico, dell'uomo per sé quale uomo 1
Cioè: pertinente al g~nl!r~ (umano).
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sociale, cioè uomo umano. Questo comunismo è, in quanto compiuto naturalismo, umanismo, e in quanto compiuto umanismo, naturalismo. Esso è la verace soluzione del contrasto dell'uomo con la natura e con l'uomo; la verace soluzione del conflitto fra esistenza 1 ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, Jra individuo e genere. È il risolto enigma della storia e si sa come tale soluzione. [V] L'intero movimento della storia è, quindi, tanto il reale atto di generazione del comunismo - l'atto di nascita della sua empirica esistenza - quanto è, per la sua coscienza pensante, il movimento concepito e saputo del proprio divenire; mentre quel comunismo ancor incompiuto cerca, in separate figure storiche contrapposte alla proprietà privata, una prova storica per sé, una prova nell'esistente, staccando singoli momenti dal movimento (Cabet, Villegardelle etc., cavalcano particolarmente questo cavallo) e fissandoli quali prove della propria pienezza storica: con che fa manifesto che la parte incomparabilmente maggiore di questo movimento contraddice. le sue affermazioni e che, se esso comunismo è mai esistito una volta, preci>amente la sua esistenza passata confuta la sua pretensione all'essenza. È facile vedere la necessità del fatto che l'intero movimento rivoluzionario trovi tanto la sua base empirica che quella teoretica nel movimento della proprietà privata, precisamente dell'economia. Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è l'espressione materiale, sensibile, della vita umana estraniata. Il suo movimento - la produzione e il consumo - è la manifestazione sensibile del movimento di tutta la produzione fino a questo tempo, cioè la realizzazione o realtà dell'uomo. Religione, famiglia, Stato, diritto, morale, scienza, arte, etc., sono soltanto particolari modi della produzione e cadono sotto la sua legge generale. L'effettiva soppressione della proprietà privata, come appropriazione della vita umana, è quindi l'effettiva soppressione di ogni alienazione, e con ciò la conversione dell'uomo dalla religione, dalla famiglia, dallo Stato etc., alla sua esistenza umana, cioè sociale. L'alienazione religiosa come tale si produce soltanto nel dominio della coscienza, dell'interno dell'uomo, ma l'alienazione economica è l'alienazione della vita reale: la sua soppressione abbraccia quindi ambo i lati. S'intende che il movimento s'inizia, presso i diversi popoli, secondo che la vita del popolo, vera, riconosciuta, si svolga piu nella coscienza o nel mondo esteriore, sia piu la vita ideale o la reale. Il comunismo comincia 1
Existenz.
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subito con l'ateismo (Owen); l'ateismo è, dapprima, ancora ben lontano dall'essere comunismo, ogni ateismo essendo, piuttosto, ancora una astrazione. La filantropia dell'ateismo è, quindi, dapprima, soltanto una filantropia ,filosofica astratta, quella del comunismo è subito rea/t' e immediatamente tesa all'effetto. Abbiamo visto come, presupposta l'effettiva soppressione dell.1 proprietà privata, l'uomo fa l'uomo, fa se stesso e l'altro uomo; e come l'oggetto, ch'è l'immediata realizzazione della sua individualità, è ad un tempo la sua propria esistenza per l'altro uomo, l'esistenza di questo e l'esistenza di questo per lui'. Ma parimente e la materia del lavoro e l'uomo quale soggetto sono tanto il risultato che il punto di partenza del movimento (e che essi debbano essere questo punto di partenza, in ciò, precisamente, consiste la necessità storica della proprietà privata). Dunque, il carattere sociale è il carattere generale dell'intero movimento; e come la società stessa produce l'uomo in quanto uomo, cosi essa è prodotta da lui. L'attività e lo spirito, come sono sociali per il loro contenuto, lo sono anche per il loro modo d'origine: attività sociale e spirito sociale. L'umanità della natura c'è soltanto per l'uomo sociale: giacché solo qui la natura esiste per l'uomo come legame con l'uomo, come esserci dell'uomo per l'altro e dell'altro per lui; e solo in quanto elemento vitale della realtà umana essa è fondamento della umana esistenza. Solo cosi l'esistenza naturale dell'uomo è per lui la sua esistenza umana, e la natura per lui si è umanizzata. Dunque, la società è la compiuta consustanziazione • dell'uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il realizzato naturalismo dell'uomo e il realizzato umanismo della natura. [VI] L'attività sociale e lo spirito sociale non esistono affatto soltanto nella forma di una diretta attività comune e di un diretto spirito comune: sebbene l'attività comune e lo spirito comune, cioè l'attività e lo spirito che si manifestano e confermano direttamente nella reale società con altri uomini, abbiano luogo ovunque quella diretta espressione della socialità è fondata nell'essenza del suo contenuto e conforme alla sua natura. Ma anche quJndo io sono attivo scientificamente etc. - un'attività ch'io medesimo posso realizzare in comunanza diretta con altri io sono sociale perché attivo come uomo. Non soltanto il mate1 Non condividiamo la correzione del testo proposta qui da N. Bobbio. • Wesenseinheit.
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riale della m1a attività - lo stesso linguaggio con cui il pensato i , opera - m1 e dato come prodotto sociale, ma la mia propria esistenza è attività sociale, e però ciò che io faccio da me lo faccio da me per la società e con la coscienza di me come ente sociale. La mia coscienza generale è soltanto l'aspetto teoretico di ciò di cui la reale comunità, l'essere sociale, è la vivente forma; mentre oggigiorno la coscienza generale è un'astrazione dalla vita reale e come tale le si contrappone nemica 1 • Perciò anche l'attività della mia coscienza generale - come tale - è l'esistenza teoretica di me come ente sociale. È da evitare innanzi tutto di fissare ancora la «società» come un'astrazione di fronte all'individuo. L'individuo è ente sociale. La sua manifestazione di vita - anche se non appare nella forma diretta di una manifestazione di vita comune, compiuta a un tempo con altri - è quindi una manifestazione e una affermazione di vita sociale. La vita individuale e la vita generica dell'uomo non sono distinte, per quando - e necessariamente - il modo di esistenza della vita individuale sia un modo piu particolare o piu generale di vita generica, e la vita generica una piu particolare o piu genera/t vita individuale. Come coscienza generica • l'uomo conferma la sua reale vita sociale e ripete soltanto la sua reale esistenza nel pensiero; come inversamente l'esistenza generica • si conferma nella coscienza generica, e nella sua generalità, come ente pensante, è per sé. L'uomo, per quanto sia un individuo particolare - e propriamente la sua particolarità lo faccia individuo e reale ente comune individuale - è parimente la totalità, l'ideale totalità, è l'esistenza soggettiva della società pensata e sentita per sé, tanto che egli, in realtà, esiste sia in quanto intuizione e spirito reale dell'esistenza sociale, sia quanto totalità di umane manifestazioni di vita. Pensare e essere sono, dunque, certamente distinti, ma ad un tempo in unità l'un con l'altro. La morte appare una dura vittoria del genere sull'individuo e una contraddizione della loro unità; ma l'individuo determinato è soltanto un ente generico-determinato, e come tale mortale. 4) Come la proprietà privata è soltanto l'espressione sensibile del 1 Allusione critica alla coscienza generale = autocoscienza o spirito: cioè al concetto cardinale dell'hegelismo e idealismo in genere; e cfr., per una critica approfondita, spec. l'ultima parte del III manoscritto. • Gattungsbewusstsein: coscienza del genere. 1 Gattrmgssein.
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fatto che l'uomo diventa a un tempo oggettivo a se stesso e piuttosto oggetto estraneo e disumano, e che la sua manifestazione di vita è la sua espropriazione di vita, e la sua realizzazione è la sua privazione, una realtà estranea; cosi la soppressione effettiva della proprietà privata, cioè l'appropriazione sensibile dell'esistenza e vita umana, dell'uomo oggettivo, delle opere umane, per e attraverso l'uomo, non è da prendersi soltanto nel senso dell'immediato, unilaterale godimento, nel senso del possedere, dell'avere. L'uomo si immedesima, in una guisa onnilaterale, nel suo essere onnilaterale, dunque da uomo totale. Ognuno dei suoi umani rapporti col mondo, il vedere, l'udire, l'odorare, il gustare, il toccare, il pensare, l'intuire, il sentire, il volere, l'agire, l'amare, in breve ognuno degli organi della sua individualità, come organi che sono immediatamente nella loro forma organi comuni, [VII] sono, nel loro oggettivo contegno, ossia nel loro comportamento verso l'oggetto, appropriazione di questo medesimo. L'appropriazione dell'umana realtà, il comportamento umano verso l'oggetto, è la verifica dell'umtma realtà'; è umano agire e umano patire, ché il patire umanamente inteso è auto-fruizione dell'uomo. La proprietà privata ci ha fatti talmente ottusi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo abbiamo, quando, dunque, esiste per noi come capitale, o è immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato etc., in breve utilizzato. Sebbene la proprietà privata comprenda tutte queste immediate realizzazioni del possesso soltanto come mezzi di vita, la vita, cui servono come mezzi, è la vita della proprietà privata, lavoro e capitalizzazione. Tutti i sensi, fisici e spirituali, sono stati quindi sostituiti dalla semplice alienazione di essi tutti, dal senso dell'avere. A questa assoluta povertà doveva ridursi l'ente umano, per produrre alla luce la sua intima ricchezza. (Sulla categoria dell'avere vedi Hess nei V mtuno foglt)". La soppressione della proprietà privata è, dunque, la completa emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane; ma è questa emancipazione precisamente perché questi sensi e qualità sono divenuti umani, sia soggettivamente che oggettivamente. L'oc1 L'aggiunta seguente, recata nell'apparato dell'ed., cioè che c essa [realtà] è quindi tanto molteplice quanto sono molteplici le determinazioni e le ottitJità essen· ziali dell'uomo», è svolta nelle pagine immediatamente seguenti. • Op. cit, p. 329.
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chio è divenuto occhio umano in quanto il suo oggetto è divenuto un oggetto sociale, umano, dell'uomo e per l'uomo. I sensi sono quindi divenuti dei teorici immediatamente, nella loro pratica. Essi si rapportano, si, alla cosa per amore della cosa, ma la cosa stessa è un comportamento oggettivo-umano seco stessa c con l'uomo e viceversa. Il bisogno o il godimento ha perciò perduto la sua natura egoistica, e la natura ha perduto la sua pura utilità, dal momento che l'utile è divenuto utile umano. Precisamente cosi i sentimenti e lo spirito degli altri uomini diventano mia propria appropriazione. Oltre a questi organi immediati, si formano quindi organi sociali, nella forma della società: e cosi, per esempio, l'attività immediata in società con altri etc., è diventata un organo di manifestazione vitale e un modo di far propria la vita umana. S'intende che l'occhio umano gode altrimenti che non l'occhio rozzo, disumano, e l'orecchio umano altrimenti che non quello rozzo, etc. Abbiamo visto. L'uomo non si perde nel suo oggetto solo se questo gli diventa oggetto umano o uomo oggettivo. Ciò è possibile solo quando questo oggetto gli diventi un oggetto sociale, ed egli stesso diventi un ente sociale come la società viene ad essere per lui in questo oggetto. Da un lato, perciò, quando ovunque, nella società, la realtà oggettiva diventa per l'uomo realtà delle forze essenziali dell'uomo, realtà umana, e perciò realtà delle sue proprie forze essenziali, tutti gli oggetti gli diventano la aggettivazione di lui stesso, oggetti che affermano e realizzano la sua individualità, oggetti suoi, e cioè egli stesso diventa oggetto. Come essi diventino suoi, ciò dipende dalla natura dell'oggetto e dalla natura della corrispondente forza essenziale, ché precisamente la determinatezza di questo rapporto costituisce, il particolare, reale, modo dell'affermazione. L'oggetto dell'occhio si diversifica da quello dell'orecchio, e l'oggetto dell'occhio è altro da quello dell'orecchio. La peculiarità di ogni forza sostanziale è precisamente la sua peculiare essenza, dunque anche la peculiare guisa della sua aggettivazione, del suo oggettivo, reale, vivente essere. Non solo col pensiero, [VI/l] ma bensi con tutti i sensi, l'uomo si afferma quindi nel mondo oggettivo. · D'altro lato, sotto l'aspetto soggettivo, come la musica stimola soltanto il senso musicale dell'uomo, e per l'orecchio non musicale la piu bella musica non ha alcun senso, [non) è un oggetto, in quanto il mio oggetto può esser soltanto la conferma di una mia forza essen-
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ziale, e dunque può essere per me solo com'è la mia forza essenziale quale facoltà soggettiva per sé, andando il significato di un oggetto per me (oggetto avente significato soltanto per un senso corrispondente) tanto lontano quanto va il mio senso; cosi i sensi dell'uomo sociale sono altri da quelli dell'uomo asociale. È soltanto per la dispiegata ricchezza oggettiva dell'ente umano che la ricchezza della soggettiva umana sensibilità, che un orecchio musicale, che un occhio, per la bellezza della forma, in breve le fruizioni umane, diventano dei sensi capaci, dei sensi che si affermano quali umane forze essenziali, e sono in parte sviluppati e in parte prodotti. Giacché non solo i cinque sensi, ma anche i sensi detti spirituali, la sensibilità pratica (la volontà, l'amore etc.), in una parola la umana sensibilità, l'umanità dei sensi, c'è soltanto per l'esistenza del suo oggetto, per la natura umanizzata. L'educazione dei cinque sensi è opera dell'intera storia universale fino a questo tempo. Il senso costretto al rozzo bisogno pratico ha anche soltanto una sensibilità limitata .. Per l'uomo affamato non esiste il carattere umano del cibo, bensl soltanto la sua astratta esistenza di cibo: questo potrebbe indifferentemente presentarsi a lui nella forma la piu rozza; e non si può dire in che questa attività nutritiva si distingua da quella bestiale. L'uomo assorbito da cure, bisognoso, non ha sensi per lo spettacolo piu bello. Il mercante di minerali vede solo il loro valore mercantile, non la bellezza e la peculiare natura del minerale; non ha alcun senso mineralogico. Dunque, si richiede l'aggettivazione dell'ente umano, e sotto l'aspetto teorico e sotto quello pratico, tanto per rendere umani i sensi dell'uomo che per creare la sensibilità umana corrispondente all'intera ricchezza dell'ente umano e naturale. Come, per il movimento della proprietà privata e della sua ricchezza e miseria materiali e spirituali, la società in formazione trova pronto tutto il materiale per questa educazione, cosi la società formatasi produce l'uomo in questa intera ricchezza del suo essere, l'uomo ricco, e profondo, di senso universale', come sua ferma realtà. Si vede come soggettivismo e oggettivismo, spiritualismo e materialismo, attività e passività, soltanto nella socialità perdano la loro opposizione, e però la loro esistenza di opposti; si vede come la soluzione stessa delle antitesi teoriche sia possibile soltanto in una guisa pratica, soltanto per l'energia pratica dell'uomo; e come tale soluzione non sia affatto soltanto un compito della conoscenza, bensl un reale compito di vita, che la filosofia non poteva risolvere, precisa· 1
<1llsinnigen.
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mente perché essa lo concepiva come un compito soltanto teorico. Si vede come la storia dell'industria, l'esistenza divenuta oggettiva dell'industria, sia l'aperto libro delle forze essenziali umane, la psicologia umana sensibilmente presente, che finora non fu vista nella sua connessione con l'essenza dell'uomo, ma sempre solo in un esteriore rapporto di utilità perché - muovendocisi entro l'alienazione - si seppe vedere [IX] come realtà delle forze essenziali umane e atti dell'uomo come ente generico soltanto l'esistenza generale dell'uomo, la religione, o la storia nella sua essenza generale-astratta, come politica, arte, letteratura etc. Nell'ordinaria industria materiale (che si può prendere tanto bene come una parte di quel generale movimento che come una parte speciale dell'industria, poiché ogni umana attività è stata finora lavoro, e dunque industria, attività alienata a se stessa) abbiamo davanti, sotto la forma di oggetti sensibili, estrcmei, utili, sotto la forma dell'estraniazione, le forze essenziali oggettivate dell'uomo. Una psicologia cui sia chiuso questo libro, cioè precisamente la parte la piu presente sensibilmente e la piu accessibile della storia, non può diventare una scienza reale e con effettiva pienezza di contenuto. Che cosa si deve pensare, insomma, di una scienza che astrae aristocratica da questa grande parte dell'umano lavoro e non avverte in sé la propria incompletezza, fino al punro che cosi larga ricchezza dell'umano operare non le dice niente altro che quello che si può dire in una parola: c: bisogno:., « volgare bisogno:.!? Le scienze naturali hanno svolto un'enorme attività e si sono appropriate di un materiale ognora crescente. Ciò nondimeno la filosofia è rimasta loro estranea tanto quanto esse san rimaste estranee alla filosofia. La loro momentanea unione è stata soltanto una fantastica illusione. Il volere c'era, ma mancò il potere. La stessa storiografia fa attenzione alle scienze naturali solo incidentalmente: come momento del rischiaramento dei pregiudizi • e dell'utilità di certe grandi scoperte. Ma quanto piu praticamente la scienza della natura è penetrata, mediante l'industria, nella vita umana e l'ha riformata e ha preparato l'emancipazione umana dell'uomo, tanto piu essa immediatamente ha dovuto completarne la disumanizzazione. La industria è il reale rapporto storico della natura, e quindi della scienza naturale, con l'uomo. "Se, quindi, essa è intesa come rivelazione essoterica delle forze essenziali dell'uomo, anche la umanità della natura 1
Aufkliirung.
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o la m:tur12litiJ dell'uomo è intesa. E però le scienze naturali abbandonano il loro indirizzo astrattamente materiale, o piuttosto idealistico, e diventano la base délla scienza umana, cosi come ora sono già divenme - sebbene in figura di alienazione - la base della vita umana effettiva; ed una base per la vita e un'àltra per la scienza, questo è senz'altro una menzogna. La natura che nasce nella storia umana- nell'atto del nascere della società umana- è la natura reale dell'uomo, dunque la natura come diventa attraverso l'industria anche se in forma alienata - è la vera natura antropologica. La sensibilità (vedi Feuerbach 1 ) dev'esser la base di ogni scienza. La scienza è reale scienza solo quando procede dalla sensibilità, nella duplice forma: della coscienza sensibile e del bisogno sensibile; dunque solo quando procede dalla natura. L'intera storia è storia di preparazione affinché l' « uomo :1> divenga oggetto della coscienza sensibile e il bisogno dell' « uomo come uomo :1> divenga bisogno. La storia stessa è una parte reale della storia naturale, della umanizzazione della natura. La scienza naturale comprenderà un giorno la scienza dell'uomo, come la scienza dell'uomo comprenderà la scienza naturale : non ci sarà che una scienza. [X] L'uomo è oggetto immediato della scienza naturale; perché l'immediata natura sensibile è, per l'uomo, immediatamente la sensibilità umana (un'espressione identica), immediatamente come l'altro uomo presente a lui sensibilmente; perché la sua propria sensibilità c'è per lui stesso comè umana sensibilità solo mediante l'altro uomo. Ma la natura è oggetto immediato della scienza dell'uomo, il primo oggetto dell'uomo - l'uomo - è natura, sensibilità, e le peculiari forze sensibili essenziali all'uomo, in quanto hanno la loro oggettiva realizzazione soltanto in oggetti naturali, possono trovare la loro autoconoscenza soltanto nella scienza dell'ente naturale in genere. L'elemento stesso dd pensare, l'elemento della manifestazione vitale del pensiero, il linguaggio, è di natura sensibile. Realtà sociale della natura e scienza naturale umana, o scienza naturale dell'uomo, sono espressioni identiche. Si vede come al posto della ricchezza e della miseria (che sono argomento] della economia politica sorga l'uomo ricco, e il bisogno umano ricco. L'uomo ricco è al contempo l'uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane. L'uomo per cui la sua propria realizzazione è come interna necessità, come bisogno. Non solo 1 Vedi, ad es.: Principi del/Q filosofia dell'avvenire [1844], trad. Bobbio, ed. Einaudi, Torino, 1947·
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la ricchezza, anche la povertà dell'uomo assume parimente - nell'ipotesi del socialismo - un significato umano e però sociale. Essa è il passivo legame, che fa sentire all'uomo il bisogno della ricchezza piu grande, dell'altro uomo. Il dominio dentro di me dell'ente oggettivo, l'erompere sensibile dell'attività del mio essere, è la passione che qui diventa perciò l'azione del mio essere. 5) Un ente si stima indipen.dente solo appena sta sui suoi piedi, e sta sui suoi piedi appena deve la propria esistenza a se stesso. Un uomo che vive per grazia di un altro si considera un essere dipendente. Ma io vivo completamente per grazia di un altro quando non solo gli sono debitore del mantenimento della mia vita, bensi anche quando è esso che ha creato la mia vita, quando esso è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente un tale fondamento fuori di sé quando essa non è mia propria creazione. La creazione è quindi una rappresentazione molto difficile da scacciate dalla coscienza popolare. La sussistenza per opera propria • della natura e dell'uomo le è inconcepibile, perché contraddice a tutte le evidenze della vita pratica. La creazione della terra ha ricevuto un potente colpo dalla geognosia, cioè dalla scienza che descrive la formazione della terra, il divenire geologico, come un processo di generazione spontanea. La generatio aequivoca è l'unica confutazione pratica della teoria creazionistica. Ora è facile, in verità, dire al singolo individuo ciò che dice già Aristotele: tu sei generato da tuo padre e tua madre, dunque l'accoppiamento di due esseri umani, un atto generatore di uomini, ha prodotto l'uomo in te. Vedi dunque che l'uomo è debitore, anche fisicamente, della sua esistenza all'uomo. Tu non devi, perciò, tener d'occhio soltanto uno dei due aspetti, il progresso all'infinito, per cui poi chiedi chi abbia generato mio padre, e chi suo nonno etcetera. Tu devi anche ritenere il movimento circolare ch'è visibile in quel progresso, e secondo cui l'uomo nella generazione ripete se stesso, e dunque l'uomo resta sempre il soggetto. Ma tu mi risponderai: concessmi questo movimento circolare, concedimi il progresso che mi porta sempre piu oltre, fino a che mi domando: chi ha generato il primo uomo e la natura in genere? Io posso soltanto risponderti: che la tua domanda stessa è un prodotto dell'astrazione. Domanda a te stesso come tu sia giunto a quella domanda; domandati se la tua domanda 1
Durchsichselbstsein.
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non pwvenga da un punto di vista a cui non posso rispondere perché assm do. Domandati se quel progresso come tale sussista per un pensiero razionale. Quando tu t'interroghi sulla creazione della natura e dell'uomo, tu fai astrazione, dunque, dall'uomo e dalla natura. Tu li poni corne non-esistenti, e tuttavia esigi ch'io te li dimostri esistenti. lo ora ti dico: rinuncia alla tua astrazione, e rinuncia cosi alla tua domanda; oppure, se vuoi mantenere la tua astrazione, sii conseguente, e se pensando [XI] l'uomo e la natura come non-esistenti, pensi, pensa anche te stesso come non-esistente, ché anche tu sei tuttavia natura e uomo. Non pensare, non chiedermi, giacché, appena tu pensi e chiedi, il tuo astrarre dall'esistenza della natura e dell'uomo non ha piu senso. O sei tu un tale egoista da ridurre tutto a nulla e volere tu parimente essere? Tu puoi replicare: io non voglio l'annullamento della natura ere.; io -t'interrogo circa il suo atto d'origine, come interrogo l'anatomico sulla formazione delle ossa etc. Ma poiché, per l'uomo socialista, tutta la cosiddetta storia universale non è che la generazione dell'uomo dal lavoro umano, il divenire della natura per l'uomo, cosi esso ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascita da se stesso, del suo processo di origine. Poiché è divenuta praticamente sensibile e visibile l'essenzialità dell'uomo e della natura, ed è divenuto praticamente sensibile e visibile l'uomo per l'uomo come esistenza naturale e la natura per l'uomo come esistenza umana, risulta praticamente impossibile la questione di un ente estraneo, di un ente al di sopra della natura e dell'uomo; questione che implica l'ammissione dell'inessenzialità della natura e dell'uomo. L'ateismo, come negazione di questa inessenzialità, non ha piu senso, perché esso è una negazione di Dio e pone l'esistenza dell'uomo mediante questa negazione. Ma il socialismo come tale non abbisogna piu di questa mediazione: esso parte dalla coscienza sen_;ibile teorica e pratica dell'uomo e della natura come l'essenziale. Esso è la positiva coscienza di sé, non piu mediata dalla soppressione della religione, che ha l'uomo; come la vita reale è la positiva realtà dell'uomo, non piu mediata dalla soppressione della proprietà privata, dal comunismo. Il comunismo è la posizione come negazione della negazione, e perciò il momento reale - e necessario per il prossimo sviluppo storico - dell'umana emancipazione e restaurazione. Il comunismo è la forma necessaria e l'energico principio del prossimo avvenire; ma esso non è come tale il termine dell'evoluzione umana - la forma dell'umana società.
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fBisogno, produzione e divisione del lavoro l
l XIV J 7) Abbiamo visto quale significato abbia, nella ipotesi del socialismo, la ricchezza di bisogni umani, e quindi tanto un nuovo modo di produzione che un nuovo oggetto di produzione: nuova realizzazione della forza sostanziale umana e nuovo arricchimento dell'ente umano. Il significato inverso all'interno della proprietà privata. Ogni uomo spera di creare all'altro un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo in una nuova dipendenza e indurlo a un nuovo modo di godimento e però di rovina economica. Ognuno cerca di creare sopra l'altro un'estranea forza sostanziale, per trovare in ciò la soddisfazione del suo egoistico bisogno. Con la massa degli oggetti cresce, quindi, il regno degli enti estranei cui l'uomo è sottomesso, e ogni· nuovo prodotto è una nuova potenzfl di reciproco inganno e reciproco spogliamento. L'uomo diventa sempre piu povero comt.:: uomo, egli abbisogna sempre piu di denaro pzr Impossessarsi di un ente ostile, e la forza del suo denaro cade precisamente in ragione inversa della massa della produzione, cioè cresce la sua indigenza col cn.:scere della potenza del denaro. - Il bisogno di denaro è quindi il vero bisogno prodotto dall'economia politica e l'unico ch'essa produca. - La quantità del denaro diviene vieppiu il solo attributo di forza di esso; e cosi come il denaro riduce alla propria astrazione ogni ente, riduce anche se stesso, nel suo movimento, alla qua11tità. Sua vera misura diventa la smisuratezza, la sregolatezza. Sotto l'aspetto soggettivo ciò si presenta come segue. Da un lato, l'espansione dei prodotti e dei bisogni diventa schiava ingegnosa e sempre calcolatrice di appetiti disumani, raffinati, innaturali e immaginari; la proprietà privata non sa fare del rozzo bisogno un bisogno umano; il suo idealismo è presunzione, arbitrio, capriccio. E un eunuco non lusinga piu bassamente il suo despota, e non cerca con dei mezzi piu infami di eccitarne la ottusa facoltà di godimento, per carpirgli un favore, di come l'eunuco dell'industria, il produttore, per
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carpire la moneta d'argento o cavar fuori l'uccellino d'oro dalle tasche del prossimo cristianamente amato (ogni prodotto è un'esca con cui si vuole attirare la sostanza dell'altro, il suo denaro, ogni reale o possibile bisogno è una debolezza che condurrà la mosca nella colla: generale sfruttamento dell'essere umano comune, ché, come ogni imperfezione dell'uomo è un legame col cielo, un lato per cui il suo cuore diventa accessibile al prete, ogni suo bisogno è un'occasione per abbordare, con la piu amabile apparenza, il proprio prossimo e dirgli: amico caro, io ti dò quanto di cui abbisogni, ma tu conosci la conditio $.Ìne qua non, tu sai con quale inchiostro hai da impegnarti con me, io ti scortico quando ti procuro un godimento), si piega ai capricci piu bassi dell'altro, fa da mezzano fra questi e il suo bisogno, eccita in lui desiderì morbosi, spia ogni sua debolezza, per poi chiedere il compenso per questo affettuoso servizio. - Dall'altro lato, questa alienazione si mostra nel fatto che il raffinamento dei bisogni, e dei mezzi relativi, di una parte produce la demoralizzazione bestiale, la completa semplicità rozza e astratta del bisogno, dell'altra parte; o piuttosto essa alienazione riproduce se stessa semplicemente in senso contrario. Persino il bisogno di aria libera cessa, per l'operaio, di esser un bisogno; l'uomo torna ad abitar caverne, ma che sono ora avvelenate dai mefitici miasmi della civiltà e ch'egli occupa ormai soltanto precariamente, in quanto gli sono qualcosa di estraneo che gli vien meno da un giorno all'altro e da cui può esser espulso, se [XV j non paga, da un giorno all'altro. Questo sepolcro deve pagar/o. La luminosa dimora, che Prometeo designa in Eschilo come uno dei maggiori doni con cui ha fatto uomo il selvaggio, non c'è piu per l'operaio. La luce, l'aria etc., la piu elementare pulizia animale cessa di essere un bisogno per l'uomo. Il sudiciume, questa depravazione e corruzione dell'uomo, la fogna (alla lettera) della civiltà gli diventa l'elemento in cui vive. L'incuria totale, innaturale, la natura corrotta, gli diventa suo elemento vitale. Nessuno dei suoi sensi c'è piu, non solo nella sua guisa umana, ma nemmeno in una guisa disumana, cioè bestiale. I piu rozzi procedimenti (e strumentz) del lavoro umano riappaiono: cosi il verricello degli schiavi romani è diventato un modg di produzione e di esistenza di molti lavoratori inglesi. Non solo l'uomo non ha piu bisogni umani, anche i bisogni animali cessano in lui. L'irlandese conosce solo il bisogno di mangiare, e veramente mangiar patate e anzi soltanto patate con polmone, la peggior specie di patate. Ma Inghilterra e Francia hanno già in ogni città industriale una piccola Irlanda. Il selvaggio, la bestia, hanno tuttavia il bisogng '\ella caccia, del movimento etc., della socievolezza. - La semplifi237
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cazionf' propria della macchina e il lavoro servono a trasformare in operaio l'uomo in procinto di diventar uomo, l'uomo non ancora interamente costituito, il fanciullo, come l'operaio è diventato un fanciullo guastato. La macchina si adatta alla debolezza dell'uomo, per far dello stesso uomo debole una macchina. Come l'aumento dei bisogni e dei mezzi di soddisfarli generi la mancanza di bisogni e la mancanza di mezzi, questo lo dimostra l'economista (e il capitalista: noi in genere parliamo sempre degli empùici uomini di affari quando ci rivolgiamo agli economisti, che ne sono la testimonianza e sussistenza scientifica), lo dimostra I) quando riduce il bisogno dell'operaio al sostentamento piu indispensabile e miserabile della vita fisica, e la sua attività al movimento meccanico piu astratto, e però dice: l'uomo non ha alcun altro bisogno né di attività né di consumo; giacché anche una vita cosiffatta egli la dichiara vita e esistenza umana; 2) quando calcola come norma, generale, la vita (l'esistenza) la piu indigente possibile: come norma generale, in quanto valida per la massa degli uomini; e fa
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tende di arte, di scienza, di curiosità storiche, di potere politico, pu~ viaggiare, può farti possessore di tutto questo, può comprare tutto questo; è la vera potenza. Ma esso, ch'è tutto questo, non può che produrre se stesso, comprar se stesso, ché tutto il resto gli è già asservito, e quandb .tengo il padrone tengo il suo servo, non abbisogno del suo servo. ·'Ogni passione, ogni attività, deve dunque finire nella cupidigia. All'operaio è concesso di avere solo tanto di che vivere, e di voler vivere solo per avere. Certo, si solleva ora una controversia sul terreno dell'economia politica. Una parte (Lauderdale, Malthus etc.) raccomanda il lusso ed esecra il risparmio; l'altra (Say, Ricardo etc.) raccomanda il risparmio ed esecra il lusso. Ma l'una confessa che vuole il lusso per produrre lavoro (cioè il risparmio assoluto), e l'altra confessa che raccomanda il risparmio per produrre ricchezza, cioè il lusso. La prima ha l'idea romantica che non l'avarizia soltanto debba determinare il consumo da parte dei ricchi, e contraddice le sue proprie leggi quando spaccia immediatamente la prodigalità per un mezzo di arricchimento; e dall'altra parte le viene dimostrato seriamente e particolareggiatamente che, con la prodigalità, io riduco il mio avere e non lo aumento. L'altra parte commette l'ipocrisia di non confessare che proprio l'umore, l'idea capricciosa, decide la produzione; essa dimentica i « bisogni raffinati ~; dimentica che senza consumo non sarebbe prodotto nulla, dimentica che la produzione per la concorrenza non può diventare che produzione vieppiu multiforme e di generi di lusso; dimentica che, per lei, è l'uso che determina il valore della cosa, e che è la moda che determina l'uso; ed essa, che desidera di veder prodotto solo « qualcosa di utile», dimentica tuttavia che la produzione di troppe cose utili genera troppa popolazione inutile. Entrambe le parti si dimenticano che prodigalità e risparmio, lusso e privazione, ricchezza e povertà si equivalgono. Ma non soltanto i tuoi sensi immediati del mangiare etc., tu devi risparmiare: anche la partecipazione a interessi generali, la pietà, la confidenza etc., anche tutto questo devi risparmiarti, se vuoi esser uomo economico; se non vuoi andar in malora dietro illusioni. Tu devi render venale, cioè utile, tutto ciò ch'è tuo. Quando io chiedo all'economista se obbedisco alle leggi economiche quando traggo denaro dall'abbandono o messa in vendita del mio corpo al piacere di estranei (l'operaio delle fabbriche francesi chiama ennesima ora di lavoro la prostituzione della moglie e della figlia, com'è 2 39
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letteralmente vero), o se agisco economicamente allorché vendo un amiéo ai marocchini (in tutti i paesi civili ha luogo la vendita diretta di uomini nella forma di commercio dei coscritti etc.), l'economista mi risponde: tu non agisci contro le mie leggi, ma vedi che cosa dice la mia signora cugina la morale e che cosa dice la cugina la religione; la mia morale e la mia religione economiche non hanno nulla da obiettarti, ma -. Ma a chi devo ormai credere? All'economia o alla morale? La morale dell'economia è il guadagno, il lavoro e la parsimonia, la sobrietà, ma l'economia politica mi promette di soddisfare i miei bisogni. L'economia della morale è la ricchezza di coscienza, d.i virtu etc. : ma come posso esser virtuoso se io non sono? come posso avere una buona coscienza se io non so? L'alienazione, nella sua essenza, implica che ogni sfera mi imponga una norma diversa e antitetica, una la morale, un'altra l'economia politica, perché ciascuna è una determinata alienazione dell'uomo e [XV II] fissa una particolare cerchia dell'attività sostanziale estraniata e si comporta come estranea rispetto all'altra estraniazione. Cosi il sig. Miche/ Chet,alier rinfaccia a Ricardo di astrarre dalla morale. Ma Ricardo lascia che l'econo~ia politica parli la propria lingua, e se questa non è morale Ricardo non ci ha colpa. Il sig. Chevalier astrae dall'economia politica, in quanto moraleggia; ma astrae necessariamente e realmente dalla morale, in quanto fa dell'economia politica. Tuttavia, la relazione dell'economia politica alla m9rale, se non è arbitraria, accidentale, e quindi infondata e ascientifica, se non è ridotta a un'apparenza, nìa bensi intesa come essenziale, può esser soltanto la relazione delle leggi dell'economia politica alla morale. Se questa relazione non ha luogo, o piuttosto ha luogo il contrario, che colpa ne ha Ricardo? Del resto, l'antitesi di economia politica e morale è solo un'apparenza, ed è un'antitesi e non lo è. L'economia politica le leggi morali le esprime semplicemente a sua gutsa. La mancanza di bisogni, in quanto principio dell'economia politica, si mostra nel modo piu luminoso nella teoria. della popolazione. Ci sono troppi uomini. Persino l'esistenza umana è un puro lusso, e se l'operaio è morale (Mill' propone degli elogi pubblici per coloro che si mostrano continenti sotto il rispetto sessuale, e dei biasimi pubblici per quelli che peccano contro questa infecondità del matrimonio ... : e non è questa una morale ascetica?), l'operaio sarà 1
Paris,
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James Mill, Eléments J'économie politique [trad. frane. di J. T. Parisot], 823, p. IO sgg,
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économo nel generare. La produzione di uomini appare una calamità pubblica. Il significato che la produzione ha per i ricchi si mostra palesemente nel significato ch'essa ha per i poveri; in alto la espressione ne è sempre delicata, dissimulata, ambigua, un'apparenza; in basso è grossolana, aperta, schietta, sostanziale. E il rozzo bisogno dell'operaio è una fonte assai maggiore di profitto che quello delicato del ricco. Le abitazioni-sottosuolo londinesi rendono ai loro proprietari piu dei palazzi, cioè sono una ricchezza maggiore, e dunque, per parlare il linguaggio dell'economia politica, una maggiore ricchezza sociale. E come l'industria specula sul raffìnamento dei bisogni, specula parimente sulla loro grossolanità, sulla loro grossolanità prodotta artificialmente, il cui vero spirito quindi è l'autostordimento, questa apparente soddisfazione del bisogno, questa civiltà dentro la rozza barbarie del bisogno: le liquorerie inglesi sono perciò simboliche rappresentazioni della proprietà privata. Il loro lusso è indice del vero rapporto del lusso industriale, e della ricchezza, con l'uomo. A ragione sono anche gli unici divertimenti domenicali popolari trattati dalla polizia inglese almeno con indulgenza.
Abbiamo già veduto come l'economista stabilisca l'unità di lavoro e capitale in vario modo: x) Il capitale è lavoro accumulato; 2) la determinazione del capitale entro la produzione: in parte, riproduzione del capitale con profitto; in parte capitale come materia prima (materiali del lavoro); in parte come strumento lavorativo esso stesso - ché la macchina è capitale identificato immediatamente col lavoro - esso è lavoro produttivo; 3) l'operaio è un capitale; 4) il salario dell'operaio fa parte del costo del capitale; 5) rispetto all'operaio il lavoro è la riproduzione del suo capitale vitale; 6) rispetto al capitalista è un momento dell'attività del suo capitale. Infine 7) l'economista suppone un'unità primitiva dei due come unità di capitalista e operaio, e questo è il paradisiaco stato. originario. Come questi due momenti [XIX] si scontrino, quasi persone, ciò è per l'economista un fatto accidentale e però spiegabile solo esteriormente. (Vedi Mill) 1 • Le nazioni che sono ancora abbagliate dello splendore materiale dei metalli nobili, e perciò sono feticiste della valuta metallica, non sono ancora perfette nazioni capitalistiche. Contrasto fra Francia e 1
Op. cit., p. 59 sgg.
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Inghilterra. Nel feticismo, ad es., si mostra quanto la soluzione di un enigma teorico sia còmpito della pratica, e sia praticamente mediata, e come la vera pratica sia la condizione di una reale e positiva teoria. La coscienza sensibile dei feticista è diversa da quella del greco, perché la sua esistenza sensibile è ancora diversa. L'astratta inimicizia fra sensi e spirito è inevitabile fintanto che non si produca dal lavoro proprio dell'uomo il senso umano per la natura, il senso umano della natura, dunque anche il senso naturale dell'uomo. L'eguaglianza non è altro che il tedesco Io = Io, tradotto in forma francese, cioè politica. L'eguaglianza come fondamento del comunismo è la sua fondazione politica, ed è lo stesso che se il tedesco giustificasse il comunismo in quanto concezione dell'uomo quale generale autocoscienza. S'intende che la soppressione dell'estraniazione accade sempre partendo dalla forma di estraniazione ch'è la potenza dominante; in Germania l'autocoscienza, in Francia l'eguaglianza perché [domina] la politica, in Inghilterra è il reale, materiale, bisogno pratico, che si commisura solo a se stesso. Da questo punto è da criticare e legittimare Proudhon. Quando noi designiamo ancora il comunismo stesso, perché negazione della negazione, come appropriazione dell'essenza umana, che si media seco stessa attraverso la negazione della proprietiì. privata, e quindi non ancora vera posizione, cominciante da se stessa, ma cominciante piuttosto dalla proprietà privata [ ....... ] •. L'alienazione della vita umana resta, e resta un'alienazione tanto piu grande quanto piu si abbia coscienza di essa come tale: se può esser consumata, lo è soltanto mediante il comunismo messo in opera. Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta del tutto il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista. La storia la recherà, e quel movimento, che nel pensiero sappiamo già come tale che sopprime se stesso, nella realtà percorrerà un processo molto aspro e lungo. Ma dobbiamo considerare come un reale progresso il fatto di aver acquistato, fin dal principio, coscienza tanto del limite che dello scopo del movimento storico, e una coscienza che sorpassa esso movimento. - - , Quando operai comunisti si riuniscono, loro scopo è innanzi tutto la dottrina, la propaganda etc. Ma al tempo stesso acquistano con ciò un nuovo bisogno, il bisogno della società, e quel che appare un mez1
Grund. ·La pagina è in gran parte lacerata e restano frammenti di frasi che non dànno un semo coerente (v. p. 134 della Gesamtausgabe). 1
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zo diventa uno scopo. Questo movimento pratico lo si vede nei suoi risultati piu splendidi quando si osservano degli ouvriers socialisti francesi riuniti. Fumare, bere, mangiare etc., non sono piu ivi mezzi di unione o associativi: la società, l'unione, la conversazione, che la loro società ha per scopo, bastano loro, la fraternità umana non è una frase, ma la verità presso di loro, e la nobiltà dell'umanità ci splende incontro da quelle figure indurite dal lavoro. [XX] Quando l'economia politica afferma che domanda e offerta si coprono sempre, essa si scorda subito che, per sua propria dichiarazione, l'offerta di uomini (teoria della popolazione) supera sempre la domanda; e che, dunque, nel risultato sostanziale dell'intera produzione - cioè l'esistenza dell'uomo - la sproporzione fra domanda e offerta trova la sua espressione piu decisa. Quanto il denaro, che pare mezzo, sia la vera potenza e l'unico scopo; quanto insomma il mezzo, che mi fa essere, che mi fa appropriare dell'ente oggettivo estraneo, sia scopo a se stesso ..., lo si può vedere da come la proprietà fondiaria, dove la terra è fonte vitale, o il cavallo e la spada, dove questi sono veri mezzi di vita, sono riconosciuti anche vere forze vitali politiche. Nel medioevo una classe' si emancipa appena può portare la spada. Presso i popoli nomadi è il cavallo che mi fa libero, e partecipe della comunità. Abbiamo detto sopra che l'uomo torna all'abitazione in catJerne etc., ma in una forma di estraneità e ostilità. Il selvaggio nella sua caverna - elemento naturale sereno che gli dà gioia e protezione non si sente estraneo, o piuttosto si sente cosi familiarmente come il pesce nell'acqua. Ma l'abitazione-sottosuolo del povero è un'abitazione ostile, che « sta come una potenza estranea, che gli si concede soltanto per il suo sudore di sangue~; ch'egli non può considerare come il suo focolare, dove egli possa finalmente dire: qui sono a casa mia; dove egli, piuttosto, si trova in casa di altri, in una casa estranea, di chi sta quotidianamente in agguato e lo caccia fuori, s'egli non paga la pigione. Parimente egli sa che la sua abitazione è per qualità l'opposto dell'umana abitazione posta al di là, nel cielo della ricchezza. L'alienazione si mostra tanto nel fatto che il mio mezzo di sussistenza è nelle mani di un altro, e che il mio desiderio è possesso inaccessibile di altri, quanto nel fatto che ogni cosa è altra da se stessa, che la mia attività è altra, e che insomma - e ciò vale anche per il capitalista - un'inumana potenza domina. La ricchrzza destinata a esser sacrificata soltanto al piacere, a esser inattiva e prodiga - per 1
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cui chi ne gode si realizza, da una parte, come un individuo meramente effimero, irreale, languido; che sa, parimente che il lavoro servile, straniero, l'umano sudore di sangue, è preda delle sue voglie, e con esso l'uomo, sapendo, dunque, anche se stesso come un essere sacrificato e nullo, con che lo sprezzo degli uomini appare come protervia, come spreco di ciò che potrebbe prolungare la vita di cento uomini, e in parte come l'infame illusione che la propria prodigalità sfrenata e lo sregolato e improduttivo consumo siano condizioni del lavoro e però della sussistenza altrui; e che considera la realizzazione delle umane forze sostanziali soltanto come realizzazione del suo disordine, del suo capriccio e delle sue idee arbitrarie e bizzarre - questa ricchezza, che, d'altra parte, conosce se stessa come un semplice mezzo, e cosa soltanto degna d'essere annientata, e che è dunque, a un tempo, schiava e padrona di sé, e a un tempo magnanima e abietta, capricciosa, presuntuosa, boriosa, fine, coltivata, geniale; questa ricchezza non ha ancora sperimentato su di sé la ricchezza come una interamente estranea potenza, e piuttosto vede in essa soltanto la propria potenza, e [non] la ricchezza ma il piacere [ ....... ] [XXI l ... E alla brillante illusione, abbagliata dall'apparenza sensibile, sulla natura della ricchezza, si oppone l'attivo, sobrio, economico, prosaico, industriale illuminato sulla natura della ricchezza, il quale, come crea una piu ampia cerchia all'avidità di piaceri e le rivolge adulazioni coi suoi prodotti, e questi sono altrettanti bassi complimenti alle voglie del dissipatore, sa cosi appropriarsi nell'unica guisa utile la potenza che sfugge a quest'ultimo. Se, quindi, la ricchezza industriale appare, dapprima, risultato della ricchezza prodiga e fantastica, il movimento della prima soppianta anche, in modo attivo, attraverso se stesso quello dell'ultima. La caduta dell'interesse del denaro è, cioè, necessaria conseguenza e risultato del movimento industriale. I mezzi del rentier prodigo diminuiscono, dunque, in rapporto inverso precisamente all'aumento dei mezzi e degli inganni del godimento: egli è costretto cosi o a consumare il suo capitale, e andare in rovina, o a diventare anch'egli capitalista industriale ... D'altra parte, la rendita fondiaria sale, è vero, immediatamente e costantemente in seguito al corso del movimento industriale, ma - lo si è già visto - giunge necessariamente un momento in cui la proprietà fondiaria deve cadere, come ogni altra proprietà, nella categoria del capitale riproducentesi con profitto, e certo quest'è il risultato dello stesso movimento industriale. Dunque, il p~oprietario fondiario prodigo o ha da consumare il suo capitale, e rovinarsi, o ha da diventare egli stesso l'affittuario della sua terra - industriale agricoltore. -
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La diminuzione dell'interesse del denaro - che Proudhon considera come soppressione del capitale e tendenza alla socializzazione del medesimo - è quindi, piuttosto, soltanto un sintomo diretto della vittoria completa del capitale industriale sulla ricchezza prodiga, cioè la trasformazione di ogni proprietà privata in capitale industriale; la completa vittoria della proprietà privata su tutte le qualità, secondo l'apparenza, ancora umane della medesima, e la completa soggezione del proprietario privato alla essenza della proprietà privata - al lavoro. Certamente gode anche il capitalista industriale. Egli non torna affatto a una semplicità innaturale del bisogno, ma il suo godimento è solo cosa secondaria, un riposo, subordinato alla produzione, godimento calcolato, dunque anch'esso economico, ché egli mette il suo godimento nel costo del capitale, e quindi il suo godimento gli costa solo quanto di ciò che ha dissipato in esso è risarcito dalla riproduzione del capitale con profitto. Il godimento è cosi sussunto sotto il capitale, e l'individuo che gode sotto quello che capitalizza, mentre prima avveniva il contrario. La diminuzione degli interessi è quindi un sintomo della soppressione 1 del capitale solo in quanto essa è un sintomo del compiersi del suo dominio, dell'alienazione che si compie e però si affretta alla propria soppressione. Questa l'unica guisa, in genere, in cui ciò che sussiste conferma il suo contrario. La disputa degli economisti sul lusso e il risparmio è, quindi, soltanto la disputa dell'economia politica, venuta in chiaro sull'essenza della ricchezza, con quella giovane, ancor affétta di reminiscenze romantiche, anti-industriali. Ma entrambe le parti non sanno ridurre alla sua semplice espressione l'oggetto della disputa e quindi non se la cavano fra loro. Inoltre la rendita fondiaria come tale fu abbattuta in quanto dalla recente economia politica, in contrasto all'argomento dei fisiocrati, per cui il proprietario fondiario è l'unico vero produttore, è stato piuttosto dimostrato che il proprietario fondiario come tale è l'unico redditiero interamente improduttivo; e che l'agricoltura è affare del capitalista, che dà al capitale questo impiego quando se ne possa attendere l'ordinario profitto. La tesi fisiocratica - per cui la proprietà fondiaria deve, in quanto unica proprietà produttiva, essa sola pagare le imposte e dunque votarle e prender parte allo Stato - è rovesciata quindi nella determinazione contraria: che 1
Aufhcbung.
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l'imposta sulla rendita fondiaria sia l'unica imposta su .un reJdito improduttivo, e quindi l'unica non nociva alla produzione nazionale. S'intende che cosi anche il privilegio politico dei proprietari fondiari non consegue piu dalla loro preminenza di contribuenti. Tutto ciò che Proudhon concepisce come movimento del lavoro contro il capitale è soltanto il movimento del lavoro nella determinazione del capitale, del capitale industriale contro il capitale che non si consuma come capitale, cioè che non si consuma industrialmente. E questo movimento va per la sua strada vittoriosJ, ch'è la strada della vittoria del capitale industriale. - Si vede, dunque, che solo quando il lavoro è inteso come essenza della proprietà privata, anche il movimento economico come tale può esser conosciuto nella sua reale determinatezza. La società - quale appare all'economista - è la società civile, in cui ogni individuo è un insieme di bisogni ed è solo per l'altro individuo, come l'altro è solo per lui, in quanto divengono reciprocamente un mezzo. L'economista - come la politica coi suoi diritti dell'uomo - riduce tutto all'uomo, cioè all'individuo a cui toglie ogni concretezza per fissarlo come capitalista e operaio. La divisione del lavoro è l'espressione economica della socialità del lavoro nell'alienazione umana. Ossia, poiché il lavoro è soltanto un'espressione dell'attività umana nella espropriazione, della manifestazione della vita come espropriazione della vita, la divisione del lavoro non è anch'essa altro che la posizione straniata, di e.<:propriazione, dell'umana attività quale reale attività generica 1 o attività dell'uomo come ente generico. . Circa l'essenza della divisione del lavoro - che naturalmente doveva esser intesa come principale motore della produzione della ricchezza non appena il lavoro fosse riconosciuto come essenza della proprietà privata - cioè circa questa forma alienata e spogliata dell'umana attività in quanto attività generica, gli economisti sono molto all'oscuro e in contraddizione. Adam Smith. «La divisione del lavoro non deve la sua origine alla scienza umana. Essa è la necessaria, lenta e graduale conseguenza dell'inclinazione allo scambio e della reciproca vendita dei prodotti. Questa inclinazione al commercio è verosimilmente una necessaria conseguenza dell'uso deìla ragione e della parola: è comune a tutti gli uomini, non si trova in alcuna bestia. La bestia, appena cresciuta, vive di sua iniziativa; l'uomo abbisogna costan1eme1. c 1
Gattungstiitigkeit.
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dell'aiuto degli altri, e vanamente lo attenderebbe dalla loro benevolenza soltanto. Sarà piu sicuro rivolgersi al loro personale interesse e persuaderli che il loro vantaggio esige ch'essi facciano ciò ch'egli desidera da loro. Presso gli altri uomini non ci rivolgiamo alla loro umanità, bensi al loro egoismo; non parliamo a loro mai dei nostri bisogni, ma sempre del loro vantaggio. Poiché, dunque, otteniamo attraverso lo scambio, il commercio, il traffico, la maggior parte dei servizi reciprocamente necessari, è cosi questa disposizione al traffico che ha dato origine alla divisione del lavoro. Ad esempio, in una tribu di cacciatori o pastori un tale fa archi e corde con piu rapidità e abilità di un altro. Egli scambia spesso coi compagni questa specie di lavqri contro del bestiame e della selvaggina, e presto osserva che questi ultimi se li procura piu facilmente con questo mezzo che se andasse egli stesso a caccia. Con un calcolo d'interesse fa, dunque, della fabbricazione di archi etc. la sua principale occupazione. La differenza dei talenti naturali fra gli individui non è tanto la causa quanto l'effetto della divisione del lavoro. Senza la disposizione dell'uomo al commercio e allo scambio, ognuno sarebbe stato costretto a procurarsi egli stesso tutte le cose necessarie e le comodità della vita. Ognuno avrebbe avuto da adempiere il medesimo lavoro quotidiano e non ci sarebbe stata quella grande diversità di occupazioni che sola può produrre una grande diversità di talenti. E come questa inclinazione allo scambio genera la diversità di talenti fra gli uomini, cosi è anche la stessa inclinazione che rende utile questa diversità. Molte razze animali, benché della medesima specie, hanno ricevuto da natura caratteri diversi, che sono, in quanto concernono le loro attitudini, molto piu evidenti di quelli osservabili negli uomini rozzi. Per natura un filosofo non è la metà cosi diverso in talento e intelligenza da un facchino di quel che sia un cane mastino da un levriere, un levriere da un b;-acco da quaglie e questo da un cane da pecore. E tuttavia queste diverse razze, benché della medesima specie, non sono veramente di alcun::: utilità reciproca. Il mastino ai vantaggi della sua forza [XXXV l J nulla può aggiungere per servirsi della leggerezza del levriere etc. Gli effetti di questi diversi talenti o gradi di intelligenza non possono, per mancanza di capacità o inclinazione al commercio e allo scambio, essere riuniti e messi in comune e non possono affatto contribuire al vantaggio o alla comune comodità della specie. Ogni best.ia è costretta a mantenersi e difendersi indipendentemente dalle altre, non può trarre il minimo utile dalla diversità di talenti che la natura ha ripartiti fra i suoi simili. Fra gli uomini, al contrario, i talenti piu
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disparati sono l'un l'altro utili, perché i diversi prodotti dei loro rispettivi rami d'industria si trovano, mediante questa generale inclinazione al commercio e allo scambio, gettati, per cosi dire, in una massa comune, in cui ogni uomo, secondo i suoi bisogni, può andare a comprare una parte del prodotto dell'industria dell'altro. Poiché questa inclinazione allo scambio dà origine alla divisione del lavoro, Io sviluppo di questa divisione è, cosi, limitato sempre dall'estensione della capacità di scambio o, in altre parole, dall'estensione del mercato. Se il mercato è molto piccolo, nessuno avrà coraggio di darsi interamente a un'unica occupazione, mancandogli di poter scambiare l'eccedente del prodotto del suo lavoro, che supera il suo consumo, contro una pari eccedenza del prodotto del lavoro di un altro, ch'egli desidera procurarsi ... :. ' In una situazione progredita: « Ogni uomo sussiste di scambi, e diventa una sorta di commerciante, e la società stessa diventa propriamente una società commerciale. (V ed i Destutt de Tracy: la società è una serie di reciproci scambi, nel commercio· è tutta l'essenza della società) •. L'accumulazione di capitali sale con la divisione del lavoro e reciprocamente:.. A quanto ci dice Adam Smith •. c Se ogni famiglia producesse la totalità degli oggetti del suo· consumo la società potrebbe aver il suo corso pur non effettuando alcuna specie di scambio: senza esser fondamentale lo scambio è indispensabile nello stato avanzato della nostra società. La divisione del lavoro è un'abile applicazione delle forze dell'uomo, aumenta i prodotti .della società, la sua potenza e i suoi piaceri, ma essa sottrae, diminuisce capacità a ogni uomo individualmente preso. La produzione non può aver luogo senza lo scambio :t. Cosi J. B. Say •. c Le forze inerenti all'uomo sono la sua intelligenza e la sua attitudine fisica al lavoro; quelle che hanno origine dallo stato sociale consistono: nella capacità di dividere il lavoro e ripartire i diversi lavori fra i diversi uomini... e nella facoltà di scambiare i reciproci servizi e i prodotti, che questi mezzi costituiscono. Il motivo per cui un uomo dedica i suoi servizi all'altro è l'interesse personale; l'uomo domanda una ricompensa per i servizi resi a un altro. Il diritto della proprietà privata esclusiva è indispensabile affinché si stabilisca lo· Sm.ith, Rjcerche cit., t. I, pp. 29 sgg., 32 sgg., 36 sgg. Destutt de Tracy, Eléments d'ldéologie. Traité de la volonté et de ses effets,. Paris, 1826, pp. 67, 78. 1 Op. cit., p. 46. 4 Trattato cit., t. I, pp. 300, 76 sgg. 1 1
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scambio fra gli uonum :.. « Scambio e divisione del lavoro si condizionano reciprocamente:.. Cosi Skarbek '. Mill rappresenta lo scambio sviluppato, il commercio,. come conseguenza della divisione del lavoro. « L'attività dell'uomo può esser ridotta a elementi molto semplici. In verità egli non può fare niente altro che produrre movimento, può muovere le cose per allontanarle l'una dall'altra [XXXVII] o per avvicinarle, e le proprietà della materia fanno il resto. Nell'impiego
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particolari qualità delle diverse razze di una specie animale sono per natura piu spiccate della diversità delle attitudini e delle attività umane. Ma poiché gli animali sono incapaci di scambi, non giova ad alcun individuo animale la qualità diversa d'un altro animale della medesima specie ma di razza differente. Le bestie sono incapaci di riumre Je,diverse qualità della loro specie; sono impotenti a contribuire al comune vantaggio e comodo della loro specie. Diversamente l'uomo, presso cui i piu disparati talenti e modi di attività sono reciprocamente utili, perché gli uomini possono mettere insieme i loro diversi prodotti in una massa comune, a cui ognuno può comprare. E come la divisione del lavoro scaturisce dall'inclinazione allo scambio, cosi essa aumenta e trova il suo limite con l'estensione dello scambio, del mercato. In condizioni progredite ogni uomo è commerciante, e la società una società commerciale. Say ritiene lo scambio accidentale, non fondamentale. La società potrebbe sussistere senza di esso, che diventa indispensabile nello stato avanzato della società. E tuttavia la produzione senza esso non può aver luogo. La divisione del lavoro è un mezzo comodo, utile, un'abile applicazione delle forze umane alla ricchezza sociale, ma essa scema la capacità di ogni uomo, individualmente preso. Quest'ultima osservazione è un progresso compiuto da Say. Skarbek distingue le forze individuali, inerenti all'uomo, intelligenza e disposizione fisica al lavoro, dalle forze derivate dalla società, scambio e divùione del lavoro, condizionantisi a vicenda. Ma il necessario presupposto dello scambio è la proprietà privata. Skarbek esprime qui in forma obiettiva ciò che Smith, Say, Ricardo etc., dicono quando designano l'egoismo, l'interesse privato, come fondamento dello scambio: o il traffico come la forma essenziale e adeguata dello scambio. Mill rappresenta il commercio come conseguenza della divisione del lavoro. L'umana attività gli si riduce a un movimelzto meccanico. Divisione del lavoro e impiego di macchine promuovono la ricchezza di produzione. Occorre affidare a ogni uomo una cerchia di operazioni breve il piu possibile. Da parte loro divisione del lavoro e impiego delle macchine condizionano la produzione della ricchezza in massa, dunque del prodotto. Questa la ragione delle grandi manifatture. [XXXV III] La considerazione della divisione del lavoro e dello scambio è di grande interesse, perché divisione e scambio sono espressioni sensibili dell'espropriazione dell'umana attività e forza sostanziale in quanto attività e forza sostanziale generica.
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Che la divisione del lavoro e lo scambio si basino sulla proprietà privata, ciò è nient'altro che l'affermazione che il lavoro è l'essenza della proprietà privata: affermazione che l'economista non può dimostrare, e che noi vogliamo dimostrare in sua vece. Proprio in ciò, che divisione de/lavoro e scambio sono configurazioni della proprietà privata, si trova la duplice dimostrazione: che l'umana vita ha abbisognatoJ, per la sua realizzazione, della proprietà privata, come, d'altra parte, essa abbisogna ora della soppressione della proprietà privata. Dùùione de/lavoro e scambio sono i due fenomeni per cui l'economista si vanta del carattere sociale della sua scienza ed esprime ad un tempo, inconsapevole, la contraddizione della sua scienza: la fondazione della società sull'asociale interesse particolare. Momenti da considerarsi. Primieramente l'inclinazione allo scambio - il cui fondamento vien trovato nell'egoismo - è considerata come ragione o effetto mutuo della divisione del lavoro. Say ritiene lo scambio come non fondamentale per l'essere della società. La ricchezza, la produzione, si spiega con la divisione del lavoro e lo scamb:o. L'impoverimento e indebolimento dell'attività individuale attraverso la diviswne del lavoro sono ammessi. Scambio e divisione del lavoro sono riconosciuti come produttori della grande diversità dei talenti umani, diversità che, in virtu di essi, diventa utile. Skarbek divide le forze sostanziali di produzione o forze produttive dell'uomo in due parti: 1) quelle individuali, e a lui inerenti, la ma intelligenza e la speciale disposizione o capacità al lavoro; 2) quelle derivate dalla società, Mn dal reale individuo: divisione del lavoro e scambio. Inoltre: la divisione del lavoro è limitata dal mercato. L'umano lavoro è semplice movimento mecctmico; il principale lo fanno le qua.lità materiali degli oggetti. A ogni singolo individuo deve esser assegnato il minimo possibile di operazioni. Divisione del lavoro e concentrazione del capitale, nullità della produzione individuale e produzione della ricchezza in massa. Intelligenza della libera proprietà ,rivata nella divisione del lavoro.
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[Il denaro l
[XLI] Se le sensazioni, passioni etcetera, dell'uomo non sono soltanto delle determinazioni antropologiche in [stretto] senso, ben si davvero affermazioni essenzialmente antologiche' (la natura); e se esse si affermano realmente solo in quanto il loro oggetto è sensibile per esse, s'intende cosi: 1) che la guisa della loro affermazione non è affatto una e medesima, bensi, piuttosto, la diversa guisa dell'affermazione costituisce la peculiarità del loro esserci, della loro vita, e il modo in cui l'oggetto è per esse, è il modo peculiare del suo godimento; 2) che, là dove l'affermazione sensuale è un'immediata soppressione dell'oggetto nella sua forma indipendente (mangiare, bere, manifattura dell'oggetto etc.), è ben questa l'affermazione dell'oggetto; 3) che in quantO l'uomo è umano, e dunque anche la sua sensazione etcetera è umana, è parimente suo proprio godimento l'affermazione dell'oggetto da parte di un altro; 4) che soltanto mediante l'industria sviluppata, cioè per la mediazione della proprietà privata, l'essenza antologica dell'umana passione nasce sia nella sua totalità che nella sua umanità; e la scienza dell'uomo è dunque essa stessa un prodotto della pratica automanifestazione dell'uomo; s) che il significato della proprietà privata liberata dall'alienazione è l'esistenza degli oggetti essenziali all'uomo, sia come oggetto del godimento sia come oggetto dell'attività. Il denaro, poiché possiede la proprietà di comprar tutto, la proprietà di appropriarsi tutti gli oggetti, è cosi l'oggetto in senso eminente. L'universalità della sua proprietà è l'onnipotenza del suo essere; esso vale quindi come ente onnipotente... Il denaro è il lenone fra il bisogno e l'oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell'uomo. Ma ciò che mi media la mia vita mi media anche l'esistenza degli altri uomini. Questo è l'altro uomo per me. 1
Testo: ontologischen Wesens: lett.: «di essenza ontologica :t.
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c Che di:1::1inel certamente mani e piedi e testa e di dietro, questi, sono tuoi! E pure tutto quel di cui frescamente godo è perciò meno mio? Se io posso comprarmi sei stalloni, le loro forze non sono mie? Io ci corro sopra e sono un uomo piu in gamba, come se avessi ventiquattro piedi». Goethe, Faust (Mefistofele) '. Shakespeare, in Timone d'Atene: c Oro? Prezioso, scintillante, rosso oro? No, dei, non è frivola la mia supplica. Tanto di questo fa il nero bianco, il brutto bello, il cattivo buono, il vecchio giovane, il vile valoroso, l'ignobile nobile. Questo stacca ... il prete dall'altare; strappa al semiguarito l'origliere; si, questo rosso schiavo scioglie e annoda i legami sacri; benedice il maledetto; fa la lebbra amabile; onora il ladro e gli dà il rango, le genuflessioni e la influenza nel consiglio dei senatori; questo conduce dei pretendenti alla troppo stagionata vedova; questo ringiovanisce, balsamico, in una gioventu di maggio, colei ch'è respinta con nausea, marcia com'è di ospedale e pestifere piaghe. Maledetto metallo, comune prostituta degli uomini, che sconvolgi i popoli :.. E piu avanti: « Tu, dolce regicida, nobile strumento di discordia fra figlio e padre! tu brillante profanatore del piu puro letto nuziale! valoroso Marte! eternamente fiorente e teneramente amato amante, il cui rosso splendore fonde la sacra neve del puro grembo di Diana! Visibile deità*, che strettamente congiungi gli impossibili*, e li costringi a baciarsi! tu parli in ogni lingua, [XLII] a ogni fine! tu pietra di paragone dei cuori! Considera: si ribella il tuo schiavo, l'uomo! « Consuma* la tua forza a confonderli tutti, che la bestialità diventi padrona di questo mondo!» •. Shakespeare rappresenta la natura del denaro in guisa eccellente. Per intenderlo, cominciamo con la spiegazione del passo goethiano. Ciò ch'è mio mediante il denaro, ciò che io posso, cioè può il denaro, comprare, ciò sono io, il possessore del denaro stesso. T anta grande la mia forza quanto grande la forza del denaro. Le proprietà del denaro ~on mie, di me suo possessore: le sue proprietà e forze essenziali. Ciò ch'io sono e posso non è, dunque affatto determinato dalla mia individualità. lo sono brutto, ma posso comprarmi le piu belle donne. Dunque non sono brutto, ché l'effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro. lo sono, come Faust, I parte, scena 4· • Timone d'Atene, trad. Schlegel-TJeck (seguita da M.J, IV atto, scena 3· Cor-
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SlVl
di M.
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individuo, storpio, ma il denaro mi dà 24 gambe: non sono dunque: storpio. lo sono un uomo malvagio, infame, senza coscienza, senza ingegno, ma il denaro è onorato, durlque lo è anche il suo possessore, Il denaro è il piu grande dei beni, dunque il suo possessore è buono;' il denaro mi dispensa della pena di esser disonesto, io sono, dunque, presunto onesto; io sono senza spirito, ma il denaro è lo spirito reaie di ogni cosa: come dovrebbe esser senza spirito il suo possessore? Inoltre, questi può comprarsi la gente ricca di spirito, e chi ha potere sulla gente ricca di spirito non è egli piu ricco di spirito dell'uomo ricco di spirito? lo, che mediante il denaro posso tutto ciò che un cuore umano desidera, non possiedo io tutti i poteri umani? Il mio denaro non tramuta tutte le mie impotenze nel loro contrario? Se il denaro è il legame che mi unisce alla vita umana, alla società, alla natura e agli uomini, non è esso il legame dei legami? N on può esso sciogliere e stringere tutti i legami? E non è perciò anche il generale mezzo di separazione? Esso è la vera moneta divisionale, come anche il vero legamento, la forza galvano-chimica della società. Shakespeare rileva nel denaro particolarmente due proprietà: r) è la visibile deità, il tramutamento di ogni qualità umana e naturale nel suo opposto, la generale confusione e perversione delle cose, la conciliazione delle impossibilità; 2) è l'universale prostituta, l'universale mezzana di uomini e popoli. La perversione e la confusione di ogni qualità umana e naturale, la congiunzione delle impossibilità, la possanza divina, del denaro, consistono nella sua essenza di estraniata, spogliantesi e alienantesi esistenza generica degli uomini. Esso è il potere espropriato dell'umanità. Ciò ch'io non posso come uomo, ciò che non possono dunque tlltte le mie sostanziali forze individuali, lo posso mediante il denaro. Il denaro fa cosi di ognuna di queste forze essenziali qualcosa ch'essa non è, il suo contrario. Se io desidero un cibo o voglio servirmi della diligenza, perché non sono abbastanza in forze da far la strada a piedi, il denaro mi procura cosi il cibo e la diligenza, cioè trasforma i miei desideri-rappresentazioni, traduce la loro esistenza pensata, rappresentata, voluta, nella loro esistenza sensibile, reale, la rappresentazione in vita, l'essere rappresentato nell'essere reale. In quanto è questa mediazione, esso è forza veramente creatrice. La domanda c'è anche da parte di chi non ha denaro, ma la sua
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domanda è un mero essere rappresentato, che per me, per un terzo [ ... ] [XLIII], non ha alcun effetto, alcuna esistenza, e resta, dunque, anche per me irreale, senza oggetto. La differenza fra la domanda effettiva, basata sul denaro, e quella senza effetto, basata sul mio bisogno, sulla mia passione, il mio desiderio etc., è la differenza fra l'essere e il pensare, fra la mera rappresentazione, in me esistente, e la rappresentazione come reale oggetto fuori. di me per me. lo, se non ho denaro per viaggiare, non ho alcun bisogno, cioè non ho alcun reale e realizzantesi bisogno di viaggiare. Se ho vocazione allo studio, ma non ho il denaro occorrente, non ho nessuna vocazione allo studio, cioè nessuna vocazione efficace, vera. Per contro, se non ho realmente nessuna vocazione allo studio, ma ho volontà e denaro, ho un'efficace vocazione. Il denaro, in quanto mezzo e potere esterni e generali - non derivanti dall'uomo come uomo né dalla società umana come società - di far della rappresentazione la realtà e della realtà una mera rappresentazione, tramuta parimente le reali forze sostanziali umane e naturali in rappresentazioni meramente astratte e però in imperfezioni e penose chimere; come d'altra parte, tramuta le reali imperfezioni e chimere, le forze sostanziali effettivamente impotenti, esistenti soltanto nell'immaginazione dell'individuo, in reali forze sostanziali e poteri. Già solo per questa caratteristic~ esso è dunque il generale pervertimento delle indivi· dualità: che le rovescia nel loro contrario e aggiunge alle loro qua. lità delle qualità contraddittorie. Come tale forza sconvolgente esso appare contro l'individuo ( contro i legami sociali etc., che affermano di essere delle entità per sé. Tramuta la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, l'odio in amore, la virtu in vizio, il vizio in virtu, lo schiavo in padrone, il padrone in ;chiavo, l'idiozia in intelligenza, l'intelligenza in idiozia. Poiché il denaro, in quanto concetto esistente e attuale del valore, confonde e scambia tutte le cose, esso è cosi la generale confusione e inversione di ogni cosa, dunque il mondo sovvertito, la confusione e inversione di tutte le qualità naturali e umane. Chi può comprar la bravura è valoroso, anche se è vile. Poiché il denaro si scambia non contro una qualità determinata, contro una wsa determinata, contro [qualcuna] delle forze sostanziali umane, ma contro l'intero mondo oggettivo umano e naturale, cosi esso cambia - considerato dal punto di vista del suo possessore - ogni qualità contro ogni qualità e ogni oggetto anche contraddittorio; è la congiunzione delle impossibilità, costringe i contraddittori a baciarsi.
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Ma se supponi l'uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come rapporto umano, tu puoi scambiare amore solo contro amore, fiducia solo contro fiducia, etcetera. Se vuoi godere dell'arte, devi essere un uomo colto in fatto di arte; se vuoi esercitare un'influenza su altri uomini, devi essere un uomo attivo realmente stimolante e trascinante altri uomini. Ogni tuo rapporto con gli uomini - e con la natura - dev'essere un'espressione determinata, corrispondente all'oggetto da te voluto, della tua reale vita individuale. Quando tu ami senza provocare amore, cioè quando il tuo amore come amore non produce amore reciproco, e attraverso la tua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fai di te stesso un uomo amato, il tuo . amore e' 1mpotente. e' una sventura
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[Critica della dialettica e della filosofia he~eliana in generale 1
6) Questo è forse il luogo per accennare qualcosa sia - per intenderei e giustificarci - sulla dialettica hegeliana in genere, sia, specialmente, sulla esecuzione di essa nella fenomenologia e nella logica, e infine sul suo rapporto al movimento critico recente. La preoccupazione per il contenuto del vecchio mondo, lo sviluppo, imbarazzato dalla materia, della moderna critica tedesca, furono cosi violenti che si ebbe un atteggiamento completamente acritico nei riguardi del metodo della critica e una completa inconsapevolezza della questione, in parte formale, ma realmente sostanziale, di come contenerci con la dialettica hegeliana. L'ignoranza del rapporto della critica moderna con la filosofia hegeliana in genere e con la dialettiça in specie fu tanta che critici come Strauss e Bruno Bauer ', il primo in tutta l'opera sua, il secondo nei suoi « Sinottici » (dove, di contro a Strauss, sostituisce l'« autocoscienza» dell'uomo astratto alla sostanza della « natura astratta »), e persino nel « Cristianesimo scoperto» •, restano, almeno virtualmente, del tutto invòlti nella logica hegeliana. Cosi, ad esempio, è detto nel << Cristianesimo scoperto»: «come se l'autocoscienza, col porre il mondo, la differenza, e col produrre se stessa in ciò che produce, ché supera la differenza del prodotto essa medesima, in quanto essa è se stessa soltanto nel produrre e nel movimento, - come se essa non avesse il suo 1 David Friedrich Strauss: Leben Jesu [Vita di Gesu], 1835, etc.; Bruno Bauer: Kritik der evangelischen Guchichte des Tohannes [Critica della storia evangelica gioannea], Bremen, 1840; Kritik der evangelischen Geschichte der Synoptiker [Critica della storia evangelica dei Sinottici], Leipzig und Braunschweig, 1841-42 (v. vol. Il, p. 154 sgg.: § 42, 1). 1 B. Bauer, Das entdeckte Christentum, Eine Erinnerung an das achtzehnte }ahrhundert und ein Beitrag zur Krisis der llèunzehntm [Il cristianesimo scoperto, un ricordo del secolo decimottavo e un contributo alla crisi del decimonono], Ziirich und Winterthur, 1843.
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fine in questo movimento~ etc.' o anche: «essi (i materialisti francesi) non hanno ancora saputo vedere che il movimento dell'universo soltanto come movimento dell'autocoscienza è divenuto per sé reale e raccolto in unità seco medesimo:. •. Espressioni che non solo non mostrano una differenza nemmeno di linguaggio dalla concezione hegeliana, ma bensl ripetono questa parola per parola. [XII] Quanto poco durante l'esercizio della critica (Bauer, nei « Sinottici ») ci fosse una coscienza del suo rapporto alla dialettica hegeliana, quanto poco questa coscienza si formasse, anche dopo l'atto della critica materiale, lo mostra Bauer, allorché nella sua << Buona causa della libertà », respinge la questione indiscreta del signor Gruppe: « che accade ora della logica », col rimandarla ai critici venturi •. Ma anche adesso, dopo che Feuerbach, tanto nelle sue «Tesi» negli Anekdota, che, in dettaglio, nella «Filosofia dell'avvenire», ha sradicato la vecchia dialettica e filosofia; dopo che quella critica', che non ha saputo compiere tale azione, ha per contro creduto di compierla in quanto proclamata critica pura, risoluta, assoluta, consapevole di sé; dopo che essa, nella sua boria spiritualistica, ha ridotto tutto il movimento della storia al rapporto fra se stessa e il resto del mondo, che di fronte ad essa rientra nella categoria della <<massa>, e ha risolto tutte le antitesi dogmatiche nell'unica antitesi dogmatica della sua propria saggezza e dell'insipienza del mondo, del Cristo critico e dell'umanità come «folla»; dopo che essa ha dimostrato ogni giorno e ora la propria eccellenza con l'aspiritualità della massa; dopo che essa ha ani1unciato il giudizio finale critico,• nella figura dell'approssimarsi del giorno in cui l'intera umanità decaduta si adunerà di fronte ad essa, che la dividerà in gruppi, ciascuno dei quali riceverà il suo certificato di povertà; dopo che essa ha lasciato imprimersi la sua sublimità sui sentimenti umani e sul mondo, sui quali troneggiando in un'augusta solitudine essa fa risonare dalle sue labbra sarcastiche di tempo in tempo il riso degli dei olimpici; dopo tutti questi atteggiamenti divertenti dell'idealismo (dei giovani hegeliani) spirante sotto le spoglie della critica, esso idealismo non ha 1 Op. ci t., p. I I3. L'ultima riga nell'originale: «come se essa non avesse il suo fine e non. possedesse se stessa in questo movimento ch'è essa medesima». 2 Op. ci t., p. I I 4 sgg. • B. Bauer, Die gute Sache der Freiheit und meine eigene Angelegenht:it [La buona causa della libertà e la mia posizione person
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nemmeno una volta espresso l'idea che ora bisognava spiegarsi criticamente con la propria madre, la dialettica hegeliana, e nemmeno ha saputo indicare alcun suo rapporto critico con la dialettica feuerbachiana. Contegno completamente acritico verso di sé. Feuerbach è il solo che sia in un rapporto serio e critico con la dialettica hegeliana, e che abbia fatto delle vere scoperte in questo campo e sia insomma il vero vincitore della vecchia filosofia. La grandezza dell'opera e la tacita semplicità con cui Feuerbach l'ha data al mondo stanno in un contrasto singolare con l'inverso contegno altrui. Il contributo grande di Feuerbach è: 1) l'aver provato che la (vecchia] filosofia non è altro che religione trasposta in pensieri e sviluppata col pensiero; e che, dunque, è un'altra forma e un altro modo dell'alienazione dell'essere umano, da condannare parimente; 2) l'aver fondato il vero materialismo e la scienza reale, facendo parimente del rapporto sociale «dell'uomo con l'uomo~ il principio fondamentale della teoria; 3) l'aver contrapposto alla negazione della negazione - che afferma di esser l'assoluto positivo - il positivo riposante su se stesso e su se stesso positivamente fondato'. Feuerbach spiega la dialettica hegeliana (e con ciò fonda il suo punto di partenza dal positivo, dal sensibile-certo) nella maniera seguente: [in primo luogo], Hegel parte dall'alienazione (in termini logici: dall'infinito, dall'universale astratto), dalla sostanza, dall'astrazione assoluta e fissa; cioè, in termini popolari, parte · dalla religione e teologia; in secondo luogo, sopprime l'infinito e pone il positivo, il sensibile, il reale, il finito, il particolare (filosofia come soppressione della religione e della teologia); in terzo luogo, sopprime anche il positivo, restaura l'astrazione, l'infinito: restaurazione della religione e della teologia. Feuerbach concepisce, dunque, la negazione della negazione .rolo come la contraddizione della filosofia con se stessa, come la filosofia 1 Ma dr., per la rettifica di queste lodi a F., la critica radicale contenuta nelle celebri Tht:st:n ubt:r Ft:uerbach (1845), traduzione italiana in: F. Engels, 1-t~do vico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tt:desca, Mosca, Edizione in lingue estere, 1947, pp. 63-66; e cfr. Dit: dt:utsche Ideologi~: l (1846), traduz:one itahana: L'ideologia tt:dt:tca, Editori Riuniti, Roma, 1958 •
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che afferma la teologia (la trascendenza etc.) dopo averla negata, e l'afferma dunque in contrasto seco stessa. La posizione o autoasserzione e autoconferma, ch'è contenuta nella negazione della negazione, è [da lui] intesa come una posizione non ancora sicura di sé, affetta però dal suo contrario, di se stessa dubitosa e però bisognosa di prova, e dunque incapace di dimostrar se stessa mediante la sua esistenza come una posizione inconfessata [XIII]; e perciò le è contrapposta direttamente e immediatamente la posizione sensibilmente certa ', su se stessa fondata. Ma in quanto Hegel ha concepito la negazione della negazione, secondo il rapporto positivo, che vi si trova, come il verace e solo positivo, e secondo il rapporto negativo, che vi si trova, come l'unico verace atto e atto di autoaffermazione di ogni essere, egli ha soltanto trovato l'espressione astratta, logica, speculativa, del movimento della storia, che non è peranco la storia reale dell'uomo come soggetto supposto, ma soltanto atto creazionistico •, storia originaria • dell'uomo. - Spiegheremo sia la forma astratta sia la differenza che questo movimento ha presso Hegel, in contrasto alla critica moderna del medesimo processo nell'Essenza del cristianesimo di Feuerbach; o piuttosto spiegheremo la forma critica di questo movimento peranco dogmatico in Hegel. Uno sguardo al sistema hegeliano. Occorre cominciar<:. con la Fenomenologia hegeliana, vero luogo di nascita e arcano della filosofia di Hegel.
Fenomenologia. A. L'Autocoscienza. l. La coscienza. a) La certezza sensibile o il questo e l'opinione; ~) La percezione o la cosa con le sue proprietà e l'illusione; y ) La
forza e l'intelletto, il fenomeno e il mondo soprasensibile. Il. L'autocoscienza. La verità della certezza di se stesso. a) Indipendenza e dipendenza dell'autocoscienza: signoria e servi tu. b) Libertà dell'autocoscienza. Stoicismo, scetticismo, coscienza infelice. III. La ragione. Certezza e verità della ragione. a) Ragione osservatrice: osservazione della natura e dell'autocoscienza. b) Attuazione dell'autocoscienza razionale mediante se stessi. Il piacere e la necesSinnlichgewisse. Erzeugungsakt. • Entstef.ungsgeschichtc.
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;nà. La legge del cuore e il delirio della presunzione. La virtu e
il corso del mondo. c) L'individualità che è a se stessa reale in sé e per sé. Il regno animale dello spirito e l'inganno o la cosa stessa. La ragione. legislatrice. La ragione esaminatrice delle leggi.
B. Lo Spirito. I. Lo spirito vero: l'eticità. II. Lo spirito a sé alienato, la cultura. III. Lo spirito certo di se stesso, la moralità.
C. La religione. [Religione] natttrale, religione estetica, religione rivelata.
D. Il Sapere assoluto. Come l'Enciclopedia di Hegel comincia con la logica e termina col pensiero puro, speculativo, e col sapere assoluto, con lo spirito autocosciente, autoconoscente, filosofico o assoluto cioè superumano, astratto, cosi l'intera stessa Enciclopedia non è che l'essenza dispiegata dello spirito filosofico', la sua auto-oggettivazionè. Cosi come lo spirito filosofico non è che lo spirito pensante del mondo dentro la sua autoalienazione, cioè lo spirito alienato astrattamente comprensivo di sé. La Logica: la moneta dello spirito, il valore speculativo, di pensiero, dell'uomo e della natura- la loro essenza divenuta completamente indifferente a ogni reale determinatezza e però divenuta irreale - il pensiero alienato, quindi astraente dalla natura e dall'uomo reale; l'astratto pensiero, - L'esteriorità di questo astratto pensiero ... la natura, com'essa è per questo astratto pensiero. Essa gli è esterna, è la sua perdita ed esso la considera anche come esterna, come pensiero astratto, ma alienato pensiero astratto. Infine, lo spirito, questo pensiero ritornante nel suo luogo di nascita, che, quale spirito antropologico, fenomenologico, psicologico, etico, artistico-religioso, vale pur sempre soltanto per se stesso, fino a che finalmente 1 L'apparato reca la seguente osservazione di .M., posta dopo «spirito filosofico :o, senza segno di collocazione, al margine inferiore della colonna sinistra: « Feuerbach giudica, ancora, la negazione della negazione, il concetto concreto, come il pens1ero· che si sorpassa nel pensiero e che come pensiero vuole esser immediatamente inmizione, natura, realtà •· Allusione a un passo della citata Filosofia d~ll'avv~nir~ di F.
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come sapere assoluto si trovi e si rapporti a sé nello spm•o ormai assoluto, cioè astratto, e attinga la sua consapevole, adeguata, esistenza. Poiché la sua reale esistenza è l'astrazione. Un doppio errore in Hegel. Il primo si manifesta in guisa chiarissima nella Fenomenologia, questo luogo di nascita della filosofia hegeliana. Se Hegel, per esempio, considera la ricchezza, la potenza dello Stato etc., come l'essenza alienata dell'ente umano, ciò accade soltanto per la loro forma di pensieri ... Si tratta di enti del pensiero - quindi meramente di un'alienazione del pensiero filosofico puro, cioè astratto. L'intero movimento finisce, perciò, col sapere assoluto. Ciò da cui questi oggetti sono alienati e a cui stanno di fronte con pretesa di realtà è appunto il pensiero astratto. È il filosofo - dunque proprio un'astratta figura dell'uomo estraniato - che si pone come la regola del mondo alienato: tutta la storia dell'alienazione e tutta la revoca 1 dell'alienazione non è, dunque, che la stqria della produzione del pensiero astratto, cioè assoluto, del pensiero logico, speculativo. L'alienazione, che costituisce dunque il vero interesse di questo annullamento e del superamento di esso, è l'opposizione di in sé e per sé, di coscienza e autocoscienza, di oggetto e soggetto: cioè l'opposizione, entro il pensiero stesso, di pensiero astratto e realtà sensibile .o sensibilità reale. Tutte le altre opposizioni e tutti gli altri movimenti di queste opposizioni sono soltanto l'apparenza, l'involucro, la forma essoterica di queste opposizioni unicamente interessanti, che costituiscono il senso delle altre, profane, opposizioni. Ciò che vale come la essenza posta e da sopprimere dell'alienazione non è che l'ente umano si oggettivi disumanamente in opposizione a se stesso, ma bensl ch'esso si oggettivi a differenza e in opposizione dell'astratto pensiero. [XVIII] L'appropriazione delle forze sostanziali umane, diventate oggetti, e oggetti stranieri, è dunque primieramente solo un'appropriazione che accade nella coscienza, nel puro pensiero, cioè nell'astrazione; l'appropriazione di questi oggetti come pensieri e movimenti di pensiero; ed è per ciò che già nella Fenomenologia - malgrado la sua sembianza affatto negativa e critica e malgrado la critica ivi realmente contenuta e spesso largamente anticipatrice dello svolgimento ulteriore - è latente, come germe, come potenza e come segreto, il posirivismo acritico e l'idealismo parimente privo di critica delle opere posteriori di Hegel - questa filosofica decomposizione e restaurazione dell'empiria presente. In secondo 1
Zuriicknahme.
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luogo, la rivendicazione all'uomo del mondo oggettivo - ad es., la conoscenza che la coscienza sensibile non è una coscienza sensibile astratta, bensl una coscienza sensibile umana, che la religione, la ricchezza [la proprietà privata l etc., sono soltanto la realtà alienata dell'aggettivazione umana, delle forze essenziali umane destinate ad operare e però semplice via d'accesso alla verace realtà umana - questa appropriazione, o l'intendimento di questo processo, appare dunque presso Hegel in modo che sensibilità, religione, potenza statale etc., sono essenze spirituali - ché solo lo spirito è la verace essenza dell'uomo, e la verace forma spirituale è lo spirito pensante, lo spirito logico, speculativo. L'umanità della natura e della natura prodotta della storia, dei prodotti umani, appare in questo: che tali prodotti sono prodotti dello spirito astratto, e però momenti spirituali, enti del pensiero. La Fenomenologia è quindi la critica nascosta, ancora non chiara a se stessa e mistificatrice; ma in quanto tiene ferma l'alienazione umana - anche se l'uomo appaia soltanto nella figura dello spirito - si trovano in essa nascosti tutti gli elementi della critica, e spesso preparati e elaborati in una guisa che sorpassa di molto il punto di vista hegeliano. La « coscienza infelice», la « coscienza nobile », la lotta della « coscienza nobile » con la « bassa » etc. etc., questi particolari capitoli contengono - sebbene in una forma ancora straniata - gli elementi di una critica di intere sfere, quali la religione, lo Stato, la vita civile etc. Come l'essere, l'oggetto, è un ente ideale, cosi il soggetto è sempre coscienza o autocoscienza; o piuttosto l'oggetto appare soltanto come astratta coscienza, l'uomo [il soggetto] soltanto come autocoscienza, e le diverse forme di alienazione che compaiono sono dunque soltanto figure variate della coscienza e dell'autocoscienza. Come, in sé, l'astratta coscienza - sotto la quale è inteso l'oggetto - è puramente un momento della differenziazione dell'autocoscienza, COSI si produce anche, come risultato del movimento, l'identità dell'autocoscienza con la coscienza, il sapere assoluto, il moto non piu verso l'esterno, ma soltanto procedente in se stesso del pensiero astratto come risultato: cioè il risultato è la dialettica del pensiero puro. [XXIII] L'importante nella Fenomenologia hegeliana e nel suo risultato finale - la dialettica della negatività come principio motore e generatore - è dunque che Hegel intende l'autoprodursi dell'uomo come un processo, l'oggettivarsi come un opporsi, come alienazione e come soppressione di questa alienazione; che egli dunque coglie l'essenza del lavoro e concepisce l'uomo oggettivo, l'uomo verace perché uomo reale, come risultato del suo proprio lavoro. Il reale,
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.attivo contegno dell'uomo con se stesso come ente generico, o la manifestazione di sé come reale ente generico, cioè ente umano, è possibile solo in quanto esso esplichi realmente tutte le sue energie di genere 1 - il che a sua volta è possibile soltanto per l'agire in comune degli uomini, soltanto come risultato storico - e si contenga verso esse energie come verso qualcosa d'oggettivo, il che anzitutto è ancora possibile soltanto nella forma di un alienarsi. L'unilateralità e il limite di Hegel li faremo vedere ora per esteso nel capitolo conclusivo della Fenomenologia - il sapere assoluto- un capitolo che contiene sia lo spirito condensato della Fenomenologia, e il suo rapporto alla dialettica speculativa, sia la consapevolezza hegeliana di entrambe e del loro rapporto reciproco. Provvisoriamente anticipiamo ancora soltanto questo: Hegel resta al punto di vista dell'economia politica moderna. Egli intende il lavoro come l'essenza, l'essenza che si avvera dell'uomo: vede soltanto l'aspetto positivo del lavoro, non quello negativo. Il lavoro è il divenir per sé dell'uomo nell'alienazione o in quanto uomo alienato. Il lavoro che Hegel soltanto conosce e riconosce è il lavoro spirituale astratto. Questo, che costituisce dunque in genere la essenza della filosofia, l'alienazione dell'uomo che conosce se stesso, o la alienata scienza auto-cosciente, questo intende Hegel come l'essenza sua, e può quindi rispetto alla filosofia anteriore ricapitolarne i diversi momenti e presentare la sua filosofia come la filosofia. Ciò che gli altri filosofi hanno fatto - cioè di intendere dei momenti particolari della natura e della vita umana come momenti dell'autocoscienza e invero dell'astratta autocoscienza - Hegello sa dal fare della filosofia, e però la sua scienza è assoluta. Passiamo al nostro oggetto. Il sapere assoluto. Capitolo ultimo della Fenomenologia. La cosa principale è che l'oggetto della coscienza non è altro che autocoscienza, o che l'oggetto è soltanto l'autocoscienza oggettivata, l'autocoscienza come oggetto. (Posizione dell'uomo = autocoscienza). Si tratta quindi di superare l'oggetto della coscienza. L'oggettività come tale .vale come un rapporto umano alienato, ·inadeguato all'essenza umana, all'autocoscienza. Il recupero dell'essere umano estraneo, oggettivo, prodotto sotto il segno dell'alienazione, non ha quindi soltanto il significato di sopprimere l'alienazione, ma anche l'oggettività, e cioè l'uomo vale come un ente non-oggettivo, spiritualistico. 1
Gattungskrii/te.
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Hegel descrive come segue il movimento del superamento dd!'oggetto della coscienza. L'oggetto si mostra non soltanto (tale è, secondo Hegel, la concezione unilaterale, che coglie dunque un solo aspetto, di quel movimento) come .un ritorno nell'lo. L'uomo è posto come eguale all'Ego. Ma l'Ego è solo l'uomo colto astrattamente, prodotto dall'astrazione. L'uomo è egoista. Il suo occhio, il suo orecchio etc., è egoista; ciascuna delle sue forze sostanziali ha la proprietà dell'egoità. Ma perciò è ora del tutto falso dire: l'autocoscienza ha degli occhi, degli orecchi, della forza sostanziale. L'autocoscienza è piuttosto una qualità 1 della natura umana, dell'occhio umano etc., non è la natura umana una qualità della [XXIV] autocoscienza. L'lo per sé astratto e fi~sato è l'uomo in quanto egoista astratto, l'egoismo elevato nella sua pura astrazione a pensiero. (Ritorneremo su questo piu tardi). · L:ente umano, l'uomo, per Hegel è uguale ad autocoscienza_ Ogni alienazione dell'ente umano non è, quindi, niente altro che alienazione dell'autocoscienza. L'alienazione dell'autocoscienza non vale come espressione, riflettersi nel sapere e nel pensiero, della reale alienazione dell'ente umano. L'effettiva alienazione, che si presenta come reale, è piuttosto, secondo la sua intima essenza celata e messa in luce soltanto dalla filosofia, nient'altro che il fenomeno [o apparenza l dell'alienazione dell'ente umano reale, - dell'autocoscienza. La scienza che comprende questo si chiama perciò Fenomenologia. Ogni recupero dell'ente alienato, oggettivo, si mostra quindi come un'incorporazione nell'autocoscienza: l'uomo che s'impossessa del suo essere è soltanto l'autocoscienza che s'impossessa dell'ente oggettivo, e ritorno dell'oggetto nell'lo è dunque il recupero dell'oggetto. Formulato onnilateralmente il superamento dell'oggetto della coscienza significa: I) che l'oggetto come tale si presenta alla coscienza come dileguante; 2) ch'è l'alienazione dell'autocoscienza che pone la cosalità "; 3) che questa alienazione non ha solo significato negativo, ma anche positivo; 4) che essa ha tale significato non solo per noi [filosofi osservatori) o in sé, ma per l'autocoscienza stessa; 5) che per essa autocoscienza il negativo dell'oggetto •, o la soppressione dell'oggetto, ha significato positivo, ossia essa sa questa nullità dello stesso oggetto, per il fatto che è essa stessa autocoscienza che si aliena, poiché in = attributo. • Dingheit. Intendi: la cosa (le cose) in genere. 1 Cioè: il negativo della negazione ch'è già l'alienazione (= aggettivazione).. 1
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questa alienazione si pone come oggetto, o pone l'oggetto come se stessa per l'indivisibile unità del suo esser per sé; 6) che, d'altra parte, c'è qui ad un tempo quest'altro momento: che l'autocoscienza ha pure appresso questa alienazione e oggettività e l'ha ripresa in sé, e che dunque nel suo esser-altro come tale essa è presso di sé; 7) che tale è il movimento della coscienza, e tale perciò la totalità dei suoi momenti; 8) che la coscienza deve parimente rapportarsi all'oggetto secondo la totalità delle determinazioni di questo e averlo cosi compreso secondo ognuna: e che questa totalità delle sue determinazioni fa dell'oggetto in sé un ente spirituale, e per la coscienza questo avviene in verità per il suo comprendere ciascuna delle medesime come determinazione dell'Io, o per il suddetto rapporto spirituale ad esse'. ad I) Che l'oggetto come tale si presenti alla coscienza come dileguantesi, è il surricordato ritorno dell'oggetto nell'lo. ad 2) L'ahenazione dell'autocoscienza pone la cosalità. Poiché uomo è eguale ad autocoscienza, il suo essere alienato, oggettivo, o la cosalità (ciò ch'è per lui oggetto, e veramente oggetto per lui è soltanto ciò ch'è per lui oggetto essenziale, dunque ciò ch'è il suo essere oggettivo: e come ora a esser soggetto non è l'uomo reale, e quindi neanche la natura - l'uomo è natura umana- ma solo l'astra~ione dell'uomo, l'autocoscienza, cosi la cosalità può essere soltanto autocoscienza alienata) è eguale all'autocoscienza alienata, e la cosalità è posta per questa alienazione. È del tutto ovvio che un ente vivente, naturale, munito e dotato di forze essenziali oggettive; cioè materiali, abbia degli oggetti reali e naturali del suo essere, come altresl che la sua autoalienazione sia il porsi di l}n mondo reale, ma avente la forma dell'esteriorità, dunque non appartenente al suo essere, e predominante e oggettivo. Non c'è niente d'inconcepibile e misterioso in questo. Il contrario sarebbe piuttosto un mistero. Ma è parimente chiaro che una autocoscienza, cioè la sua alienazione, può porre soltanto la cosalità, ossia soltanto una cosa astratta, una cosa dell'astrazione • e nessuna cosa reale. È [XXVI] poi chiaro che la cosalità non è affatto nulla di autonomo e di essenziale di fronte all'autocoscienza; ma una mera creatura, un qualcosa di posto da questa; e che il qualcosa posto, invece di affermar se stesso, è soltanto una affermazione dell'atto di porre, che, per un istante, fissa nel prodotto la propria energia, e gli conferi1 Questo passo da « r) che l'oggetto » fino a « spirituale ad esse » è tolto di peso (il che è sfuggito anche agli ultimi editori russi) dalla Fenomenologia di Hegel. Vedi il vol. II della trad. italiana (1933), pp. 307-308. • Cioè appunto: la cosa in genere.
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sce in apparenza il ruolo - ma solo per un istante - di un ente autonomo reale. Ma se l'uomo reale, corporeo, che sta sulla ferma solida terra, espirando e aspirando tutte le forze naturali, pone, nel suo alienarsi, le sue reali, oggettive forze sostanziali come oggetti estranei, questo porre non è Soggetto: è la soggettività di oggettive forze sostanziali, la cui azione perciò dev'essere anche una azione oggettiva. L'ente oggettivo agisce oggettivamente, e non potrebbe agire oggettivamente se l'oggettivo non fosse sua determinazione sostanziale. Esso crea, pone soltanto oggetti, perché è posto da 1 oggetti, perché è intrinsecamente natura. Nell'atto di porre qualcosa, non esce, dunque, dalla sua «attività pura» per una creazione dell'oggetto, bensi il suo prodotto oggettivo attesta semplicémente la sua attività oggettiva, la sua attività in quanto attività di un oggettivo ente naturale. Qui vediamo come il compiuto naturalismo o umanismo si distingua tanto dall'ideaJismo che dal materialismo, e ad un tempo sia la verità che li congiunge entrambi. Vediamo al tempo stesso che soltanto il naturalismo è capace di comprendere l'azione della storia universale. L'uomo è immediatamente ente naturale. Come ente naturale, e ente naturale vivente, è da una parte fornito di forze naturali, di forze vitali, è un attivo ente naturale, e queste forze esistono in lui come disposizioni e capacità, come impulsi; e d'altra parte, in quanto ente naturale, corporeo, sensibile, oggettivo, è un ente passivo condizionato e limitato, come è anche l'animale, e la pianta: e cioè gli oggetti dei suoi impulsi esistono fuori di lui come oggetti da lui indipendenti, e tuttavia questi oggetti sono oggetti del suo bisogno, oggetti indispensabili, essenziali alla manifestazione e conferma delle sue forze essenziali. Che l'uomo sia un ente corporeo, dotato di forze naturali, vivente, reale, sensibile, oggettivo, significa ch'egli ha come oggetto della sua esistenza, della sua manifestazione vitale, degli oggetti reali, sensibili, o che può esprimere la sua vita soltanto in oggetti reali, sensibili. Esser oggettivi, naturali, sensibili, e avere altresi un oggetto, una natura, un interesse • fuori di sé, oppure esser noi stessi oggetto, natura, interesse di terzi, è l'identica cosa. La fame è un bisogno naturale, le occorre dunque una natura, un oggetto, al di fuori, per soddisfarsi, per calmarsi. La fame è il bisogno oggettivo che ha un corpo di un oggetto esistente fuori di esso, indispensabile 1 1
Durch. Sinn.
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.alla sua integrazione e alla espressione del suo essere. 11 sole è oggetto .della pianta, un oggetto indispensabile, che ne conferma la vita, come la piatit.a è oggetto del sole, in quanto è manifestazione della forza vivificante del sole, dell'oggettiva forza essenziale del sole. Un ente che non abbia fuori di sé la sua natura non è un ente naturale, non partecipa dell'essere della natura. Un ente che non abbia alcun oggetto fuori di sé non è un ente oggettivo. Un ente che non sia esso stesso oggetto per un terzo non ha alcun ente come suo .oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è niente di oggettivo. [XXVII] Un ente non oggettivo è un non ente'. Supponete un ente che non sia oggetto né abbia un oggetto. Un tale ente sarebbe innanzi tutto l'unico ente, non esisterebbe alcun altro fuori di lui, esso solo esisterebbe, solitario. Giacché subito che si .dànno oggetti fuori di me, subito che non ci sono io solo, io sono un altro, un'altra realtà che non l'oggetto fuori di me. Per questo terzo oggetto io sono dunque una realtà altra da esso, cioè suo oggetto •. Un ente che non è oggetto di un altro ente presuppone dunque che non d sia ente oggettivo. Tosto che io ho un oggetto, questo oggetto ha me stesso come oggetto. Ma un ente non oggettivo è un ente irreale, non sensibile, soltanto pensato, cioè soltanto immaginato, un ente dell'astrazione. Esser sensibile, cioè reale, è esser oggetto di senso, esser oggetto sensibile, dunque avere oggetti sensibili fuori di sé, avere degli oggetti della propria sensibilità. Esser sensibile è esser passivo. L'uomo in quanto è un ente oggettivo è dunque un ente patiens, e poiché è un ente che avverte il suo patire esso è un ente appassionato. La passione è la sostanziale forza umana tendente con energia .al suo oggetto. Ma l'uomo non è soltanto ente naturale, bens1 è ente naturale umano: cioè ente che esiste a se stesso, perciò ente generico, e come tale deve attuarsi e confermarsi tanto nel suo essere che nel suo sapere. Dunque, né gli oggetti umani sono gli oggetti naturali quali si presentano immediatamente, né la sensibilità umana, quale è immediatamente ed è oggettivamente, è umana sensibilità, umana oggettività. Né la natura obiettiva, né la natura subbiettiva, è immediatamente presente come adeguata all'ente umano. E come tutto ciò ch'è naturale deve nascere, cosi anche l'uomo ha il suo atto di nascita, 1 Ein Unwesen. • Gegenstand.
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1a storia, ch'è tuttavia da lui consaputa, e però, in quanto atto ili nascita con coscienza, è atto di nascita che supera se stesso. La storia è la vera storia naturale dell'uomo. (Su ciò ritorneremo). In terzo luogo, poiché questo porre la cosalità è esso stesso solo un'apparenza, un atto contraddicente all'essenza dell'attività pura, dev'essere anch'e~so soppresso, e la cosalità negata. ad 3, 4, 5, 6. 3) Questa alienazione della [auto ]coscienza non ha solo un significato negativo, bensl anche positivo, e 4) questo significato positivo non è solo per noi o in sé, ma per essa, la [auto ]coscienza stessa. 5) Per essa il negativo dell'oggetto, o il sopprimersi dell'oggetto, ha significato positivo, o essa sa questa nullità dello stesso oggetto, per il fatto che è essa stessa che si aliena, poiché in questa alienazione si sa come oggetto, o sa l'oggetto come se stessa per l'indivisibile unità dell'esser per sé. 6) D'altra parte, c'è qui ad un tempo l'altro momento: che l'autocoscienza ha pur soppresso questa alienazione e oggettività e l'ha ripresa in sé, e che dunque nel suo esser altro come tale essa è presso di sé. Abbiamo già visto. La [ri]appropriazione dell'ente alienato oggettivo o la soppressione dell'oggettività nella determinazione dell'alienazione - e quest'ultima deve procedere dall'indifferente estraneità alla reale alienazione ostile - ha per Hegel a un tempo, principalmente, il significato di sopprimere l'oggettività, in quanto non il carattere determinato dell'oggetto, bensl il suo carattere oggettivo è per l'autocoscienza lo scandalo dell'alienazione. L'oggetto è quindi un che di negativo, che si sopprime da sé, una nullità. Questa nullità del medesimo ha per l' [auto] coscienza non solo un significato negativo, ma anche positivo. ché tale nullità dell'oggetto è precisamente l'auto-conferma della non oggettività, della [XXVIII] astrazione, di se stesso. Per la stessa [auto] coscienza la nullità dell'oggetto ha, perciò, un significato positivo: che essa sa questa nullità, l'ente oggettivo, come propria autoalienazione, e sa ch'essa è soltanto per mezzo della propria autoalienazione. Il modo in cui la [auto ]coscienza è, e qualcosa è per essa, è il sapere. Il sapere è il suo unico atto. Qualcosa è, quindi, per la medesima, in quanto essa sa questo qualcosa. Sapere è il suo unico comportamento oggettivo. - Esso sapere sa ora la nullità dell'oggetto, cioè l'indistinguibilità dell'oggetto da esso, il non-essere dell'oggetto per esso, per ciò che sa l'oggetto come la propria autoalienazione: cioè sa se stesso - il sapere come oggetto - per ciò che l'oggetto è solo l'apparenza di un oggetto, un vapore fattizio, e essenzialmente nient'altro che il sapere stesso che oppone sé a se stesso e quindi si op-
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pone una nullità, un qualcosa che non ha alcuna oggettività fuori del sapere; ossia il sapere sa che, in quanto si rapporta a un oggetto, esso è soltanto fuori di sé, ch'esso si aliena: che esso stesso soltanto appare a se stesso come oggetto, o che quanto gli appare come oggetto è esso stesso soltanto. D'altronde, dice Hegel, qui c'è insieme quest'altro momento: che essa [autocoscienza] ha parimente soppresso e ripreso in sé questa alienazione e oggettività, e dunque nel suo esser-altro come tale essa si trova presso di sé. In questa spiegazione abbiamo tutte insieme le illusioni della speculazione. Primieramente: la coscienza, l'autocoscienza, nel suo esser-altro come tale è presso di sé. Ossia, se astraiamo qui dall'astrazione hegeliana, e al posto dell'autocoscienza mettiamo l'autocoscienza dell'uomo, questa è quindi nel suo esser-altro come tale presso di sé. Qui si ha primieramente che la [auto ]coscienza, il sapere. come sapere, il pensare come pensare, afferma immediatamente di esser altro da se stesso, di esser sensibilità, realtà, vita - il pensiero che si sorpassa nel pensiero (Feuerbach). Si ha questo aspetto, in quanto la [ ~uto ]coscienza come solo [auto ]coscienza ha la sua pietra di scandalo non nell'oggettività alienata, ma nella oggettività come tale. Secondariamente, si ha che l'uomo autocosciente, in quanto ha riconosciuto e soppresso come autoalienazione il mondo spirituale, ossia la generale esistenza spirituale del suo mondo, conferma, tuttavia, di QUovo il medesimo mondo in questa figura alienata e lo dà per la sua vera esistenza, lo ristabilisce, pretende di esser presso di sé nel suo esser-altro come tale, e quindi dopo la soppressione, per esempio, della religione, dopo il riconoscimento della religione come un prodotto dell'autoalienazione, si trova, tuttavia, confermato nella religione come religione. È qui la radice del falso positivismo di Hegel o del suo solo apparente criticismo: ciò che Feuerbach designa come posizione, negazione e restituzione della religione o teologia, ma ch'è da comprendere piu generalmente. Dunque: la ragione è presso di sé nella non-ragione come non-ragione. L'uomo, che ha riconosciuto di condurre, nel diritto, nella politica etc., una vita alienata, conduce in questa vita alienata come tale la sua vera vita umana. L'autoaffermazione, l'autoconferma in contraddizione con se stessi, sia col sapere sia con l'essere dell'oggetto, è quindi il vero sapere, la vera vita. Superfluo, dunque, discorrere di un accomodamento di Hegel 270
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con la religione, lo Stato etc., ché questa menzogna è la menzogna del suo [concetto di] progresso. [XXIX] Se io so la religione come autocoscienza umana alienata, io non so dunque confermata in essa come religione la mia autocoscienza, bensi so confermata la mia alienata autocoscienza. La mia autocoscienza, appartenente a se stessa, alla sua essenza, non la so allora confermata .nella religione, ma piuttosto nella religione annullata, soppressa. Presso Hegel la negazione della negazione non è quindi la conferma del vero essere precisamente mediante la negazione dell'essere apparente, bensi è la conferma dell'essere apparente, o dell'ente alienato nella sua negazione, o la negazione di questo essere apparente in quanto essere oggettivo, dimorante fuori dell'uomo, da lui indipendente, e la sua conversione nel Soggetto. La soppressione, in cui si congiungono la negazione e la conservazione, l'affermazione, giuoca un ruolo caratteristico. Cosi, per es., nella filosofia del diritto di Hegel, il diritto privato soppresso è uguale alla morale, la morale soppressa è uguale alla famiglia, la famiglia soppressa è uguale alla società civile, la società civile soppressa è uguale allo Stato, lo Stato soppresso è uguale alla storia universale. Nella realtà diritto privato, morale, famiglia, società civile, Stato etc., continuano a sussistere; solo che son divenuti dei momenti, delle posizioni, dei modi d'essere dell'uomo, che non valgono isolati, e si dissolvono e producono reciprocamente, etcetera. Momenti del movimento. Nella loro reale esistenza questa loro dinamica essenza resta nascosta. Essa si manifesta, si rivela, solo nel pensiero, nella filosofia, e perciò la mia vera esistenza religiosa è la mia esistenza filosoficoreligiosa, la mia vera esistenza politica è la mia esistenza filosofico-giuridica, la mia vera esistenza naturale l'esistenza filosofico-naturale, la mia vera esistenza artistica l'esistenza filosofico-artistica, la mia vera esistenza umana l'esistenza filosofica. Egualmente la vera esistenza ddla religione, dello Stato, della natura, dell'arte etc., è la filosofia della religione, della natura, dello Stato, dell'arte. Ma se la filosofia religiosa etc. soltanto è per me la vera esistenza religiosa, io sono anche religioso solo in quanto filosofo della religione e cosi disconosco la reale religiosità e il reale uomo religioso. E tuttavia, al tempo stesso li confermo, in parte nella mia propria esistenza o nell'esistenza estranea ch'io loro oppongo, ché questa è soltanto la loro espressione filosofica; in parte nella loro peculiare forma originaria, ché essi valgono per me soltanto come esser~altro apparente, come allegorie, 271
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come forme celate sotto involucri sensibili della loro propna vera esistenza, cioè della mia esistenza filosofica. Parimente la qualità soppressa è uguale alla qutmtità, la quantità soppressa è uguale alla misura, la misura soppressa è uguale all'essenza, l'essenza soppressa è uguale alla part~enza, la parvenza soppressa è uguale alla realtà, la realtà soppressa è uguale al concetto, il concetto soppresso è uguale all'oggettività, l'oggettività soppressa è uguale all'idea assoluta, l'idea assoluta soppressa è uguale alla natura, la natura soppressa è uguale allo spirito soggettivo, lo spirito soggettivo soppresso è uguale allo spirito etico, obiettivo, lo spirito etico soppresso è uguale all'arte, l'arte soppressa è uguale alla religione, la religione soppressa è uguale al sapere assoluto 1 • Da una parte, questa soppressione è una soppressione dell'ente pensato, dunque la proprietà privata pensata si sopprime nel pensiero della morale. E poiché il pensiero si figura di essere immediatamente altro da se stesso, -;oè realtà sensibile, e dunque la sua azione vale per lui anche come azione sensibile, reale, cosi questa soppressione intelletlUale ', che lascia sussistere il suo oggetto nella realtà, crede di averlo superato realme~te. E d'altra parte, poiché esso oggetto è ora divenuto per essa un momento del pensiero, per essa vale, anche nella sua realtà, come l'autoconferma propria, dell'autocoscienza, dell'astrazwne. [XXX] Da ·un lato, l'esistenza che Hegel sopprime nella filosofia non è dunque la religione reale, né lo Stato reale, né la natura reale, bensila religione in quanto è già un oggetto del sapere, la dogmatica, e cosi la giurisprudenza, la scienza politica, la scienza naturale. Da un lato egli si trova cosi in opposizione sia con l'ente reale sia con la scienza immediata, non filosofica, o con le nozioni non filosofiche, di tale ente; e ne contraddice quindi i concetti correnti. D'altro lato, l'uomo religioso etcetera può trovare in Hegella sua ultima convalida. Bisogna ora comprendere i momenti positivi della dialettica hegeliana all'interno della determinazione dell'estraniazione. a) La soppressione, come movimento oggettivo riassorbente 3 in sé l'alienazione. - È questa, espressa all'interno dell'estraniazione, la concezwne dell'appropriazione dell'ente oggettivo mediante la 1 M. dà qui lo sche~a deii'Enciclop~dia delle scienze filosofich~ in comp~ndio (secondo la 3· ediz., Heidelberg. 1830), come ha dato prima quello della Fenomenologia dello Spirito (I 8o7 ). 1 denkende. • zuriicknehmend~.
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soppressione della sua alienazione; la concezione estraniata della reale aggettivazione dell'uomo, della reale appropriazione del suo essere oggettivo mediante l'annullamento dell'alienata determinazione del mondo oggettivo, mediante la sua soppressione nella sua esistenza alienata; come l'ateismo, quale soppressione di Dio, è il divenire dell'umanismo teorico; come il comunismo, quale soppressione della proprietà privata, è la rivendicazione della reale vita umana come sua proprietà, è il divenire dell'umanismo pratico; ovvero l'ateismo è l'umanismo mediato dalla soppressione della religione, e il comunismo è l'umanismo mediato dalla soppressione della proprietà privata. Solo con la soppressione di questa mediazione - ch'è tuttavia un presupposto necessario - nasce l'umanismo procedente positivamente da se stesso, l'umanismo positivo. Ma l'ateismo e il comunismo non sono affatto la fuga, l'astrazione, la perdita del mondo oggettivo prodotto dall'uomo, delle forze sostanziali umane divenute oggettive; non sono affatto una povertà per cui si ritorni a una semplicità innaturale, embrionale. Sono, piuttosto, solamente il reale divenire, la realizzazione divenuta effettiva per l'uomo del suo essere, del suo essere come essere reale. Hegel pensa dunque, mentre si forma il concetto - anche se di nuovo in guisa estraniata - del senso positivo della negazione rapportata a se stessa, che l'autoalienazione, l'espropriazione e privazione della propria essenza e oggettività e realtà, da parte dell'uomo, è conquista di se stesso, rinnovamento del suo essere e aggettivazione e realizzazione sua. In breve, concepisce - entro l'astrazione - il lavoro come l'atto di autoproduzione dell'uomo, e il rapporto a se stesso quale ente straniero, e il manifestarsi di se stesso in quanto ente straniero, come la diveniente coscienza generica e vita generica. b) Ma in Hegel - astraendo o piuttosto in conseguenza della su descritta assurdità - questo atto appare, da prima, come soltanto formale, perché astratto, perché lo stesso ente umano vale soltanto come ente astratto pensante, come autocoscienza; o in secondo luogo, poiché la concezione ne è formale e astratta, la soppressione dell'alienazione diventa perciò una conferma dell'alienazione; ossia per Hegel quel movimento dell'auto-prodursi, dell'auto-oggettivarsi, inteso come tlUto-espropriazione e auto-alienazione, è l'assoluta espressione della vita umana, e però l'espressione ultima, avente se stessa per scopo. e in sé pacificata e pervenuta alla sua essenza. Questo movimento, nella sua astratta [XXXI] forma, quale dialettica, vale quindi come' la vemce vita umana; e poiché esso è tut-
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tavia un'astrazione, un'estraniazione della vita umana, vale come processo divino, quindi come il divino processo dell'uomo - uu processo che percorre la sua stessa essenza distinta da lui, astratta, pura, assoluta. In terzo luogo: questo processo deve avere un portatore, un soggetto; ma il soggetto si forma soltanto come risultato; e questo risultato, il Soggetto che si sa come assoluta autocoscienza, è quindi Dio, spirito assoluto, l'idea che sa e attua se stessa. L'uomo reale e la natura reale diventano dei semplici predicati, dei simboli di quest'uomo nascosto, irreale, e di questa natura irreale. Il soggetto e il predicato si trovano quindi fra loro nel rapporto di un rovesciamento assoluto, mistico Soggetto-oggetto o Soggettività prevaricante l' oggetto; il Soggetto assoluto come un processo, come Soggetto alienantesi e dall'alienazione ritornante a sé, ma al contempo recuperandola in sé, e il Soggetto come questo processo; il puro, continuo movimento circolare in sé. Primieramente, concezione formale e astratta dell'atto per cui l'uomo si produce o si oggettiva. L'oggetto alienato, l'alienata realtà dell'essere dell'uomo non è - poiché Hegel pone l'uomo autocoscienza - che coscienza o soltanto il pensiero dell'alienazione, la sua espressione astratta e però senza contenuto e irreale, la negazione. Il superamento dell'alienazione non è quindi che un'astratta, vuota soppressione di quella vuota astrazione, è la negazio1ze della negazione. La piena, vivente, sensibile, concreta attività dell'auto-aggettivazione diventa per ciò la sua propria pura astrazione, la negatività assoluta, un'astrazione che si fissà di nuovo come tale e che vien pensata come un'autonoma attività, come pura attività. Poiché questa cosi detta negatività non è nient'altro che la forma astratta, priva di contenuto, di quel reale vivente atto, anche il contenuto di questo può esser soltanto un contenuto formale, risultato dell'astrazione da ogni contenuto. Si tratta, quindi, di forme d'astrazione generali, astratte, concernenti qualunque contenuto, e però tanto indifferenti ad ogni contenuto che valide per ogni contenuto, forme di pensiero, categorie logiche staccate dallo spirito reale e dalla natura reale. (Svilupperemo piu sotto il contenuto logico della negatività assoluta). · • Ciò che di positivo Hegel ha compiuto qui - nella sua logica speculativa - è che i concetti determinati, le generali forme fisse del pensiero, nella loro autonomia rispetto alla natura e allo spirito, sono un risultato necessario della generale alienazione dell'ente umano,
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quindi anche del pensiero umano; e che Hegel li ha esposti e sistemati come momenti del processo di astrazione. Per esempio, il superato essere è essenza, la superata essenza è concetto, il superato concetto ... idea assoluta. Ma che è ora dell'idea assoluta? Essa stessa si supera, se essa non vuole ripercorrere da capo l'intero atto d'astrazionè e però contentarsi di essere una totalità d'astrazioni o l'astrazione che abbraccia se stessa. Ma l'astrazione che coglie se stessa come astrazione si sa come un nulla; deve rinunziare a sé come astrazione, e cosi pervenire ad un essere ch'è propriamente il suo contrario: la natura. La logica intera è dunque la prova che l'astratto pensierv non è nulla per sé, che l'idea assoluta non è nulla per sé, che la natura soltanto è qualcosa. [XXXII] L'idea assoluta, l'idea astratta, che « considerata* secondo l'unità seco stessa è intuire» (Enciclopedia di Hegel terza edizione, p. 222) 1 ; che (1. c.) «nell'assoluta verità di se stessa si decide a lasciar uscire liberamente da sé il momento della sua particolarità o del suo primo determinarsi e esser altro: l'idea immediata, come suo riflesso, - se stessa come natura»: tutta questa idea, dall'aria cosi strana e barocca, che ha cagionato agli hegeliani atroci mal di testa, non è assolutamente nient'altro che l'astrazione, cioè l'astrazione dei pensatori astratti, che, scaltrita dall'esperienza e edotta della sua verità, si decide, sotto varie condizioni false e ancora astratte, a rinunciare a se stessa, a porre il suo esser-altro, il particolare e determinato, in luogo del suo esser-presso-di sé, del suo non-essere, della sua generalità e indeterminatezza, e a lasciar libera da sé la natura ch'essa nascondeva in sé come un che di astratto e cosa del pensiero; cioè a disertarsi come astrazione e a considerarsi una buona volta come la natura libera dall'astrazione. L'idea astratta, che diviene immediato intuire, non è assolutamente altro che il pensiero astratto che rinuncia a sé e si decide ad essere intuizione. Tutto questo passaggio dalla logica alla filosofia della natura non è altro che il passaggio - cosi difficile a effettuarsi da parte del pensatore astratto e quindi cosi bizzarramente da lui descritto- dall'astrarre all'intuire. Il mistico sentimento, che sospinge il filosofo dall'astratto pensare all'intuire, è la noia, è il desiderio intenso di un contenuto. È parte del primo periodo de!Pultimo paragrafo (244) della Logica rieli'Enciclocit. (come la citazione che segue nel testo è l'ultimo, intero periodo dello stesso paragr.): c L'idea - la quale è per sé - considerata secondo questa sua unità seco stessa è intuir~; e l'idea intuitrice è natura •· 1
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(L'uomo estraniato da se stesso è anche il pensatore estraniato dal suo essere, cioè dal suo essere naturale e umano. I suoi pensieri sono quindi spiriti 1 fissi, dimoranti fuori della natura e dell'uomo. Hegel ha fatto un blocco, nella sua Logica, di tutti questi spiriti fissi, ed ha concepito ognuno una volta come negazione cioè come alienazione del pensiero umano, e poi come negazione della negazione, id est, come soppressione di questa alienazione, come reale manifestazione dell'umano pensiero. Ma poiché essa stessa è ancora involta nell'estraniazione, questa negazione della nega:z;ione in parte è il ristabilirsi della stessa negazione nella sua estraniazione; in parte è il permanere nell'atto ultimo, quello in cui si rapporta a se stessa nella alienazione come vera esistenza di questi spiriti fissi ) (cioè Hegel sostituisce l'atto del circolare in sé dell'astrazione a quelle fisse astrazioni, e però ha una volta tanto il merito di aver mostrato il luogo di origine di tutti questi concetti incongrui in quanto appartenenti secondo la loro data di nascita a distinte filosofie, e di averli riuniti e aver presentato come oggetto della critica l'astrazione nel suo intero ambito, invece che determinate astrazioni - e vedremo piu tardi perché Hegel separa il pensiero dal soggetto [umano], benché sia già chiaro che, se non c'è l'uomo, neanche la manifes-tazione del suo essere può esser umana, neanche può intendersi il pensare come una manifestazione dell'essere dell'uomo quale soggetto umano e naturale, con occhi, orecchi etc., vivente nella società, nel mondo e nella natura) ( ; e in parte, poiché questa astrazione coglie se stessa e sente di sé un tedio infinito, la rinuncia a sé dell'astratto pensiero moventesi solo in se stesso, senza occhi, senza denti, senza orecchi, senza niente, si presenta in Hegel come la decisione di riconoscere la natura come essere e di rimettersi all'intuizione). [ XXXllfl Ma anche la natura, presa astrattamente, per se stessa, fissata nella separazione dall'uomo, è niente per l'uomo. Che l'astratto pensatore, decisosi all'intuizione, intuisca astrattame~te la natura, lo si intende da sé. Come la natura è racchiusa dal pensatore nella sua forma, a· lui stesso nascosta e problematica, quale idea assoluta, cosa del pensiero, cosi, in verità, quando esso l'ha lasciata uscire da sé, ha lasciato uscire soltanto questa astratta natura, soltanto la natura come cosa del pensiero, ma con l'intesa che essa è l'esser-altro del pensiero, la natura reale, intuita, diversa dall'astratto pensiero. O per parlare un linguaggio umano, nella sua intuizione della natura il pensatore 1
Geister.
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astratto esperimenta che gli enti, ch'egli credeva di creare dal niente, dalla pura astrazione, nella divina dialettica, come meri prodotti del lavoro del pensiero che tesse in se stesso e non guarda mai fuori, alla realtà, non sono nient'altro che astrazioni di determinazioni naturali. L'intera natura gli ripete cosi soltanto, in una forma sensibile, esteriore, le astrazioni logiche. - Egli analizza di nuovo la natura e queste astrazioni. La sua intuizione della natura è, dunque, soltanto l'atto di conferma della sua astrazione dall'intuizione della natura, il processo di creazione della sua astrazione, ripetuto consapevolmente. Cosi, ad es., il tempo è uguale alla negatività che si rapporta a se stessa (p. 238, l. c.) 1 • Al divenire superato nell'esistenza corrisponde, nella forma naturale, il movimento superato nella materia. La luce è la forma naturale, è la riflessione in sé. Il corpo, come luna e cometa, è la forma naturale dell'opposizione, che è, secondo la Logica, da una parte, il positivo riposante su se stesso, dall'altra, il negativo riposante su se stesso. La terra è la forma naturale del fondamento logico, come unità negativa della opposizione ecc. La natura come natura, ossia in quanto si distingue sensibilmente da quel significato segreto in essa riposto, la natura separata, distinta da queste astrazioni, è niente, è un niente confermantfSÌ come niente, è senza significato, o ha soltanto il significato di una esteriorità ch'è stata superata. «Nel punto di vista teologico-finito si trova un giusto presupposto: che cioè la natura non contenga in se stessa lo scopo assoluto :. (p. 225). Il suo scopo è la conferma dell'astrazione. « La natura si è mostrata come l'idea nella forma • dell'esser-altro. Poiché l'idea è cosi la negazione di se stessa, ossia è esterna a sé, la natura non è esterna soltanto relativamente, rispetto a questa idea; ma l'esteriorità costituisce la determinazione nella quale essa è come natura» (p. 227) •. L'esteriorità non è qui da intendere come la sensibilità che si esterna e s'apre alla luce, all'uomo sensibile; questa esteriorità è da 1 È la conclusione riassunta del seguente paragrafo :t57 della Filosofia della natura nell'Enciclopedia cit.: c La negatività, che come punto si riferisce allo spazio c svolge in questo le sue determinazioni come linea e superficie, è tuttavia nella sfera dell'esteriorità altresl per sè, e pone qui dentro [c cioè nell'esser per sé della negatività »: 2. ediz.] le sue determinazioni, ma insieme in modo conforme alla sfrra dell'esteriorità, apparendovi come indifferente verso la giustapposizione immobile. Posta cosi per sé, la negatività è il tempo ». • Le due righe hegeliane, date nel testo immediatamente prima di questo passo, appartengono al paragrafo 245 della cit. Fil. d. nat.: questo passo invece costituisce il paragr. 247, salvo la seguente parentesi omessa11 c rispetto a quest'idea (e rispetto all'esistenza soggettiva di essa, lo spirito): ma :t ecc.
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prendersi nel senso della alienazione, di un errore, di un difetto, che non deve essere. Ché il vero è ancora e sempre l'idea: e la natura è soltanto la forma del suo esser-altro. E poiché il pensiero astratto è l'essere, ciò che gli è esterno è essenzialmente soltanto esteriorità. Il pensatore astratto riconosce del pari come essenza della natura la sensibilità, l'esteriorità in opposizione al pensiero in sé moventesi. Ma al contempo esprime questa opposizione nel senso che tale esteriorità della natura è la sua antitesi al pensiero, è il suo proprio difetto, e che essa, in quanto si differenzia dall'astrazione, è essere manchevole.
[XXXIV] Un ente manchevole non solo per me, ai miei occhi, ma in se stesso manchevole, ha qualcosa fuori di sé, che gli manca. Cioè il suo essere è altro da se stesso. La natura ha, dunque, da sopprimersi, per il pensatore astratto, poiché essa è già posta da questi come un ente virtualmente soppresso. « Lo spirito ha per noi come suo presupposto la * natura, della quale è la verità e perciò l'assoluto principio. In questa verità la natura è sparita*, e lo spirito risulta come l'idea giunta al suo esser-persé, il cui oggetto e soggetto insieme è il• concetto. Questa identità è assoluta negatività, perché nella natura il concetto ha la sua perfetta oggettività esteriore. Ma ora ha superato questa sua alienazione ed è, in essa, diventato identico con sé. Esso è siffatta identità solo in quanto è ritorno in sé dalla natura:.. (p. 392)'. c La rivelazione, che - in quanto è l'idea astratta - è passaggio immediato, divenire della natura, in quanto rivelazione, invece, dello spirito ch'è libero, è un porre la natura come mondo suo: un porre che, come riflessione, è insieme un presupporre il mondo in quanto natura indipendente. Il rivelare, nel concetto, è creare il mondo come suo proprio essere: nel quale lo spirito si dà l'affermazione e la verità della sua libertà:.. c L'assoluto ~ lo spirito; questa è la piu alta definizione dell'assoluto:. •
Enciclopedia cit., paragrafo 381 della Filosofia dello Spirito. • Op. cit., paragr. 384.
1
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Indice dei nomi
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Adoratski V., ro. Aristotele, 234.
Ganilh C., 2I4. Garnier G., I53 n. Goethe W., 253· Gruppe O. F., 258.
Bauer B., I48 n., 257, 258. Bergasse N., 2I3· Bobbio N., 183 n., 227 n., 233 n. Brougham H., I62. Buret E., I6~. I64, 177·
Cabet E., 226. Cantimori D., 9· Chevalier M., 214, 240. Constancio F. S., I77 n. Courier P. L., 214.
Desmoulins C., 21 3· Destutt de Tracy A. L., 2I.f, 248.
Engels F., 7, 148, 219, 258 n., 259 n. Eschilo, 237· Federico Guglielmo IV, I39 n. Ferguson A., 15 n. Feuerbach L., q8, 149, 233, 258260, 26I n., 270. Fourier C., 223. Funke G., II3 n., 213 n.
Haller K., I09 n., I39 n., 2I3· Hegel F. G., 7· 8, IO, II, I5, 16, IB-24, 30-5I, 53-55, 57-69, 7I, TJ., 74-77, 79, Bo, 82-90, 92, 93, 96ns, II7-II9, I2I, 122, I2)-I31, I34-I40, 148, 259-265, 266 n., 2~ 276. Herwegh G., I48 n. Hess M., I48, 229. Hirzel K., 258 n. Huppert H., IO.
Kant I., I 19 n., 122 n. Kosegarten W., 2I3· Lancizolle K., 213. Lauderdale J., 239· Leo H., 213. Lewalter E., 9· Loudon C. H., 163. Luigi XVIII, 67 n. Luigi Filippo d'Orleans, 67 n., 76 n., 127 n., I75· Lutero M., 219.
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Mac Culloch J. R., 214. Malthus T., 239. Marheineke P. K., 258 n. Marshall A., I75· Marx K., 7-II, rs n., 23 n., 31 n., 33 n., 34 n., 67 n., 87 n., 96 n., 99 n., 109 n., II3 n., rr9 n., 122 n., 147 n., r6o n., 190 n., 213 n., 253 n., 258 n., 26r n. Messineo A., rr. Mill J., 2ro, 214, 220, 240, 241, 249, 250. Montesquieu C., r6, 109 n. Moser I., 213 n.
Owen R., 227. Parisot J. T., 240 n. Pecqueur C., r62, I75· Platone, 72. Proudhon P. J., 159, 203, 223, 242, 245· 246. -Quesnay F., 220.
Rousseau J.J., 40 n., 109 n., II9 n., 139 n. Ruge A., 148 n. Saint-Simon C. H., 214, 223. Say J. B., r66, r7o, 177 n., 179, r8o, r82, r84, 210, 220, 239, 248, 250, 25!. Schlegel A., 253 n., Schmiickle K., ro. Schulz W., r6o, r62, 174, I79· Shakespeare W., ror n., 253, 254· Sieyès E. J., 70 n. Sismondi J. C. L. Simonde de, r77, 213. Skarbek F., 249-251. Smith A., !53· 157· r66-I73· rnr8s, r87, 2ro, 2rr, 219, 220, 246, 248-250. Strauss D. F., 257. Tieck L., 253 n. Treskow A. von, 179 n. Villegardelle F., 226. Vincke F. von, 213 .
.Ricardo D., 176, 177 n., 210, 214, 220, 239· 240, 250·
Weiùing W., 148.
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Indice del volume
Avvertenza alla seconda edizione
7
Avvertenza alla prima edizione
9
Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico 026r~r~
13
I. La costituzione interna per sé a) Il potere del sovrano h) Il potere del governo c) Il potere legislativo
29 30 53 66
Manoscritti economico-filosofici del r844
143
Prefazione
147
Primo manoscritto
151
Salario Profitto del capitale r) Il capitale 2) Il profitto del capitale 3) Il dominio del capitale sul lavoro e i motivi del capitalista 4) L'accumulazione dei capitali e la concorrenza fra i capitalisti Rendita fondiaria Il lavoro alienato Secondo manoscritto
Il rapporto della proprietà privata
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153 166 r66
167 169 170
18o 193 207
~09
Terzo manoscritto
Proprietà privata e lavoro Proprietà privata e comunismo Bisogno, produzione e divisione del lavoro Il denaro Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale
217 219 223 236 252 257
279
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