DAVID BALDACCI PURO GENIO (Simple Genius, 2007) Alla mia cara amica Maureen Egen. Possano i giorni essere lunghi e i mar...
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DAVID BALDACCI PURO GENIO (Simple Genius, 2007) Alla mia cara amica Maureen Egen. Possano i giorni essere lunghi e i mari calmi.
1 Esistono quattro modi per andarsene all'altro mondo. Si può morire per cause naturali, comprese le malattie; si può morire in seguito a un incidente; si può morire per mano altrui; si può morire per mano propria. Se però abiti a Washington esiste un quinto sistema di tirare le cuoia: la morte politica. Diverse possono essere le cause di questo tipo di morte. Puoi, cioè, sguazzare dentro una fontana in compagnia di una ballerina esotica che non è tua moglie; puoi infilarti in tasca buste piene di banconote quando purtroppo chi te le ha appena date è dell'FBI; oppure, se abiti in quella Casa Bianca che si trova al 1600 di Pennsylvania Avenue, puoi tentare di in-
sabbiare un furto compiuto da ladri maldestri. Michelle Maxwell in quel momento percorreva a lunghi passi una strada della capitale, ma non essendo un personaggio politico non poteva contare su quel quinto modo di andarsene. Pensava unicamente a farsi così male da svegliarsi la mattina dopo con qualche ricordo in meno. Erano tante le cose che voleva dimenticare; erano tante le cose che doveva dimenticare. Attraversò la strada, spinse la porta del bar ed entrò. A colpirla subito fu il fumo, solo in parte di sigaretta. Gli altri aromi che si respiravano nel locale provenivano da certe sostanze che danno lavoro e soddisfazioni a quelli dell'Antidroga. Tra i rumori all'interno del bar ce n'era uno in particolare, di quelli che perforano il cervello, che sovrastava tutti gli altri e che nel giro di pochi anni avrebbe garantito affari d'oro a un esercito di specialisti dell'udito. Un terzetto femminile, circondato dal tintinnio di bottiglie e bicchieri, si stava scatenando sulla piccola pista da ballo mentre due cameriere dall'aria scostante si facevano strada con il vassoio sollevato sopra il capo, pronte a tirare un cazzotto sul naso al primo che avesse osato dar loro una palpata al culo. L'attenzione di tutti si rivolse subito su Michelle, unica cliente WASP e probabilmente non soltanto quella sera. Lei ricambiò con uno sguardo così carico di sfida che tutti ripresero a bere e chiacchierare, ma la tregua avrebbe avuto breve durata essendo Michelle Maxwell alta e molto bella. I presenti non potevano però sapere che quella donna era pericolosa come un terrorista imbottito di tritolo e cercava una scusa qualsiasi per tirare un calcio sui denti a qualcuno. Michelle si trovò un tavolino in un angolo, in fondo al locale, e ci si sistemò sorseggiando il primo bicchiere della serata. Un'ora e diversi bicchieri dopo, la sua rabbia prese a montare e le pupille sembrarono asciugarsi e indurirsi, mentre il resto del bulbo oculare si iniettava di sangue. Sollevò un dito per bloccare una cameriera che le passava davanti in quel momento, e che soddisfece per l'ultima volta la sua sete. A quel punto Michelle aveva bisogno soltanto di un bersaglio sul quale scaricare il furore che si era impossessato di ogni centimetro del suo corpo. Mandò giù l'ultimo goccio di alcol, poi si alzò e scuotendo il capo allontanò dal viso i lunghi capelli scuri. Quindi passò in rassegna il locale, dividendolo idealmente in riquadri, alla ricerca del fortunato vincitore. Era una tecnica appresa negli anni passati nel Servizio segreto, e divenne l'unico modo in cui era in grado di guardare qualcosa o qualcuno.
Non impiegò molto a trovare l'uomo del suo incubo in fase di cristallizzazione. Superava di un'intera testa i presenti, una testa color cioccolata, calva e gradevolmente lucida, con una colonna di orecchini d'oro infilata in ciascuno dei grossi lobi. Indossava larghi pantaloni mimetici, scarponi militari neri e una camicia verde dell'esercito con le maniche corte che sottolineavano la possente muscolatura delle braccia. Se ne stava in piedi a sorseggiare la sua birra, ondeggiando il capo al ritmo della musica e biascicandone le parole, impossibili da udire. Era proprio il tipo d'uomo che stava cercando. Michelle spostò da un lato un uomo che le si era parato davanti, poi si avvicinò a quella montagna vivente e gli dette un colpetto sulla spalla. Le sembrò di toccare un blocco di granito, aveva scelto bene. Quella sera Michelle Maxwell avrebbe ucciso un uomo: quell'uomo. Lui si girò, si tolse la sigaretta dalle labbra e mandò giù una sorsata di birra da un boccale che quasi spariva dentro quella zampaccia. Le dimensioni contano, ricordò Michelle a se stessa. «Che cosa c'è, baby?» le chiese l'uomo, lanciando un anello di fumo verso il soffitto e poi distogliendo lo sguardo da lei. Mossa sbagliata, baby. Il piede di lei entrò in contatto con il mento di lui, che barcollò all'indietro facendo cadere due uomini un po' più piccoli di lui. Il mento era così duro che l'impatto le provocò un'ondata di sofferenza dall'alluce alla coscia. L'uomo le lanciò contro il boccale, mancandola. A differenza del piede di lei rapido come il fulmine, che lo fece piegare in due mentre l'aria gli usciva dalle budella. Subito dopo Michelle gli assestò un calcio al cranio con tale violenza che le sembrò quasi di udire l'urlo delle vertebre nonostante quell'apocalisse di musica a tutto volume. L'uomo cadde indietro premendosi una mano contro il viso insanguinato, con gli occhi sbarrati dal panico di fronte a tanta violenza pura e alla precisione e velocità dell'aggressione. Michelle diede con calma un'occhiata a entrambi i lati del grosso collo tremante, chiedendosi se colpire la giugulare pulsante o la carotide spessa come una matita. O forse era il caso di mirare alla cavità toracica, facendo perdere un battito fatale al cuore? Lui, comunque, sembrava non avere più alcuna intenzione di battersi. Forza, maschione, non mi deludere, con tutta la strada che ho fatto... La piccola folla aveva mosso qualche passo indietro con l'eccezione di una donna, che si stava precipitando dalla pista da ballo urlando il nome
del suo uomo. La donna tentò di sferrare un bel cazzotto al capo di Michelle, che lo schivò abilmente per poi afferrare il braccio dell'assalitrice, piegarglielo dietro la schiena e darle una spinta. Quella continuò la sua corsa finché non rovesciò a terra un tavolo e i due clienti che fino a un attimo prima vi erano seduti. Poi Michelle si voltò per affrontare di nuovo l'amichetto della donna, sempre piegato in due senza fiato e con le mani strette sul ventre. All'improvviso l'uomo la caricò come un toro, ma la carica fu interrotta da un calcio in faccia seguito da una gomitata alle costole. La controffensiva di Michelle si concluse con la perfetta esecuzione di un calcio laterale che spezzò una certa quantità di cartilagine nel ginocchio sinistro di lui. L'omaccione crollò al suolo urlando di dolore, la lotta si era trasformata in un massacro. I presenti si fecero indietro come un sol uomo, incapaci di credere che Davide stesse davvero facendo a pezzi Golia. Il barista aveva già chiamato la polizia, in un locale del genere il numero del pronto intervento è l'unico memorizzato nel telefono con quello dell'avvocato. Ma da come si stavano mettendo le cose era difficile che gli agenti sarebbero arrivati in tempo. L'omone, con il sangue che gli colava sul viso, tentò di raddrizzarsi sull'unica leva rimasta. Lo sguardo d'odio nei suoi occhi gonfi era fin troppo eloquente: Michelle avrebbe dovuto ucciderlo, perché altrimenti sarebbe stato lui a uccidere lei. Quello stesso sguardo Michelle l'aveva letto sul viso di tutti i figli di puttana ai quali lei aveva preso a calci l'ego, e il loro era un elenco incredibilmente lungo. Ma prima di quel giorno non era mai stata lei a dare inizio alle ostilità, che di solito scoppiavano quando qualche scemo sfigato ci provava, senza riuscire a capire gli inequivocabili segnali che gli giungevano come risposta. In quei casi Michelle lo affrontava per difendersi e l'importuno finiva a terra con l'impronta dello scarpone di lei sul cranio. La lama, estratta dalla tasca posteriore della montagna, fendette l'aria davanti a Michelle, che rimase delusa sia dalla scelta dell'arma sia dalla scarsa energia di quel colpo. Le bastò assestare un calcio alla mano dell'uomo per fare volare via il coltello, oltre che per spezzargli un dito. Lui indietreggiò fino a trovarsi con la schiena contro il bancone del bar, e ora non sembrava più tanto grosso. Lei era troppo veloce ed efficace e la superiore statura e muscolatura dell'omone non servivano a molto. Michelle sapeva che con un altro colpo avrebbe potuto ucciderlo, sarebbe stato sufficiente spezzargli la spina dorsale o schiacciargli un'arteria per
farlo finire sotto due metri di terra. E anche lui lo sapeva, a giudicare dall'espressione che gli era apparsa sul viso. Sì, Michelle avrebbe potuto ucciderlo riuscendo forse ad avere così ragione dei demoni che si portava dentro. Fu a quel punto che nel suo cervello scattò qualcosa, con una tale ferocia che per poco lei non depositò tutto l'alcol che aveva in corpo sul pavimento di legno rigato dai tacchi dei clienti. Dopo tanti anni era finalmente riuscita forse per la prima volta a vedere le cose con la necessaria chiarezza. Si stupì della velocità con cui prese la decisione, sulla quale non intendeva per nessun motivo tornare. Facendo ricorso a ciò che aveva contrassegnato la sua vita, Michelle Maxwell agì d'impulso. L'uomo le tirò stancamente un pugno che lei non ebbe difficoltà a schivare, per poi sferrargli un altro calcio diretto stavolta all'inguine. Ma lui riuscì ad afferrarle la coscia con una delle sue manone. L'avere finalmente bloccato la sua sfuggente avversaria sembrò infondergli nuove energie, sufficienti per sollevarla da terra e lanciarla al di là del bancone contro una mensola del bar piena di bottiglie. Felici per questo rovesciamento di fronte, i presenti presero a incitarlo. «Uccidi quella stronza. Uccidila.» Il barista andò su tutte le furie vedendo la sua mercanzia in frantumi scolare sul pavimento, ma si calmò quando l'omone scavalcò il bancone e lo stese con un terribile uppercut. Poi il nero sollevò Michelle e le tirò due schiaffoni facendole sbattere il capo contro lo specchio sospeso al di sopra delle bottiglie spaccate, incrinandolo e incrinando probabilmente anche il cranio di lei. Sempre gonfio di collera le sferrò una tremenda ginocchiata alla pancia e poi la lanciò contro i presenti dall'altra parte del bar. La ragazza atterrò di schianto e rimase sul pavimento, con il viso coperto di sangue e il corpo scosso dalle fitte di dolore. La piccola folla si ritrasse di scatto quando lo scarpone numero 48 dell'omaccione si stampò sul pavimento accanto alla testa di Michelle. Poi lui l'afferrò per i capelli sollevandola come uno yo-yo che ha perso l'elasticità, e si mise a studiare le sue forme come afflosciate, cercando probabilmente di decidere dove piazzare il colpo seguente. «In faccia, daglielo in faccia Rodney. Conciala per le feste» gridò la sua donna, che si era rialzata dal pavimento e con un fazzoletto di carta stava tentando di asciugare la birra, il vino e tutto il resto che le si era rovesciato addosso. Rodney annuì e prese a roteare il suo enorme pugno. «In faccia, Rodney!» gridò ancora la sua donna.
«Uccidila, quella stronza!» le fecero eco gli altri avventori, ma con minore entusiasmo: avevano capito che lo spettacolo stava per terminare e sarebbero dovuti quindi tornare ai loro drink e alle loro sigarette. Il braccio di Michelle si mosse con una tale velocità che lui sembrò non essersi nemmeno accorto di essere stato colpito alle reni, fino a quando il cervello non l'informò del terribile dolore. E il suo urlo si sovrappose completamente alla musica che ancora usciva dalle casse dello stereo. Poi il pugno entrò una prima volta in contatto con la testa di lei, che sputò un dente, poi una seconda volta facendole schizzare sangue da naso e bocca. Il grosso Rodney si apprestava a darle il colpo di grazia quando la porta fu abbattuta dall'irruzione dei poliziotti, alla ricerca di un pretesto qualsiasi per aprire il fuoco. Michelle non li sentì arrivare, salvarle la vita e arrestarla. Il secondo pugno l'aveva spedita in una dimensione d'incoscienza dalla quale lei non prevedeva di fare ritorno. E fu semplice il pensiero che Michelle formulò prima di perdere del tutto i sensi: Addio, Sean. 2 Sean King osservava quel calmo spicchio di fiume mentre la luce del giorno svaniva rapidamente. A Michelle Maxwell stava succedendo qualcosa e lui non sapeva come affrontarlo, la sua socia appariva ogni giorno più depressa e questa tristezza rischiava di farsi cronica. Alla luce di quella preoccupante situazione lui le aveva proposto di tornarsene entrambi nella zona di Washington e ricominciare daccapo. Ma il cambio di ambiente non era stato granché di aiuto e, con le finanze che scemavano rapidamente e il lavoro che scarseggiava in quella città terribilmente competitiva, Sean si era visto costretto ad accettare qualche elargizione da parte di un amico che si era affermato nel giro della sicurezza privata e che alla fine era riuscito a vendere la sua società a una di quelle davvero grosse. Sean e Michelle erano andati a stare nella foresteria della grossa tenuta di questo amico, sul fiume a sud di Washington. Per la precisione era Sean che ci abitava, perché Michelle non si faceva vedere ormai da parecchi giorni e non rispondeva più al cellulare. L'ultima sera che era tornata a casa era così distrutta che lui l'aveva rimproverata per essersi messa al volante in quelle condizioni. E al risveglio, la mattina dopo, lei se n'era andata.
Passò un dito sull'armo da competizione di Michelle, legato a una bitta della banchina sulla quale si era andato a sedere. Michelle Maxwell era un'atleta nata, medaglia olimpica di canottaggio, una vera fanatica dell'esercizio fisico; oltre a ciò era cintura nera di diverse arti marziali e poteva quindi fare male al prossimo in tanti modi, tutti molto efficaci. L'armo era rimasto lì fin dal giorno del loro arrivo e lei non era mai andata a correre lungo la vicina pista ciclabile né aveva manifestato alcun interesse per altre attività fisiche. E alla fine Sean aveva insistito perché si mettesse nelle mani di un medico specialista. «Ho terminato le opzioni» aveva risposto lei, con una determinazione che l'aveva fatto trasalire. Conoscendola, Sean sapeva che la sua amica agiva spesso istintivamente, senza riflettere, e sapeva anche che in questo modo è facile lasciarci le penne. E mentre se ne stava lì a guardare morire il giorno, continuava a domandarsi se lei stesse bene. Alcune ore dopo, mentre se ne stava ancora seduto sulla banchina, gli giunsero alle orecchie certe urla che lo fecero incazzare più che preoccupare. Allora si alzò lentamente in piedi e si incamminò lungo la banchina, lasciandosi alle spalle la quiete del fiume. Si fermò alla foresteria accanto all'ampia piscina per prendere una mazza da baseball e alcune palline di cotone che si infilò nelle orecchie. Sean King era un omone di un metro e ottantasette e pesava oltre novanta chili ben distribuiti ma era ormai vicino ai quarantacinque anni, aveva le ginocchia malandate e la spalla destra indolenzita in conseguenza di una vecchia ferita. Per questo si armava ogni volta di quella maledetta mazza. E si infilava il cotone nelle orecchie. Risalendo verso la villa vide la vecchia che lo guardava nell'oscurità, con le braccia conserte e un'aria contrariata. «Sto andando su, signora Morrison» le disse sollevando la sua arma di legno. «È la terza volta questo mese» fece lei visibilmente contrariata. «La prossima volta chiamerò subito la polizia.» «Non sarò io a fermarla, non mi pagano per fare ciò che sto per fare.» Arrivò alla grossa villa dal retro. Aveva solo due anni, quella casa, ed era una di quelle residenze costruite dopo l'abbattimento di una cascina molto più piccola che sorgeva un tempo sullo stesso terreno. I proprietari si vedevano di rado, era gente che preferiva salire sul jet di famiglia per andarsene d'estate nella loro tenuta degli Hamptons o, d'inverno, nella villona sull'oceano a Palm Beach. Ma ciò non impediva al loro ragazzo in età
da college e ai suoi amici snob di devastare regolarmente la villa. Sean passò davanti alle Porsche, alle piccole BMW e alle Mercedes vecchie e ammaccate e salì i gradini di pietra entrando nel caos della cucina. Nonostante le palline di cotone nelle orecchie, la musica a tutto volume gli provocava delle fitte al cuore ogni volta che sentiva picchiare sulle corde del basso sparato a tutto volume. «Ehi!» gridò cercando di farsi sentire in quel frastuono, mentre si faceva strada tra le piroette dei diciannovenni. «Ehi!» gridò di nuovo. Nessuno gli dedicò la minima attenzione e proprio per questo lui si era portato la mazza. Si avvicinò al bar improvvisato sul banco centrale della cucina, sollevò sulla spalla la fidata mazza modello Louisville Slugger e assunse la posizione del battitore come se si trovasse allo Yankee Stadium. Con il primo colpo fece a pezzi la metà delle bottiglie e con il secondo distrusse ciò che era rimasto. La musica tacque e i ragazzi sembrarono finalmente accorgersi di lui, anche se metà di loro erano troppo fatti per provare un qualche interesse. Alcune delle signorine sommariamente vestite si misero a ridacchiare mentre un paio di ragazzi a torso nudo lo fissarono torvi serrando i pugni. Un altro ragazzo, alto e tarchiato con una massa di capelli ondulati, si precipitò in cucina. «Ma che diavolo sta succedendo?» Poi si fermò vedendo le rovine del bar. «Maledizione, questa la pagherai, King!» urlò. «Altro che pagare, Burt.» «Mi chiamo Albert!» «Okay, Albert, chiamiamo il paparino e vediamo che ne pensa.» «Non puoi venire qui ogni volta e fare questi numeri.» «Cioè impedire che la casa dei tuoi genitori venga distrutta da una manica di ricchi stronzi?» «Ehi, tu, vacci piano» gli disse una ragazza, che barcollava su tacchi a spillo di dieci centimetri. Indossava soltanto una T-shirt aderentissima che le arrivava a filo del culo, non lasciando assolutamente nulla all'immaginazione. «Ah, sì?» Sean la guardò. «Qual è la parola che ti dà fastidio, ricchi o stronzi? A proposito di stronzi, ti informo che nonostante quella salviettina che ti sei messa addosso ti si vede il buco del culo.» Poi Sean tornò a dedicarsi ad Albert. «Mettiti in testa una volta per tutte, Burt, che tuo padre mi ha autorizzato a sgomberare questa casa ogni volta che a mio giudizio la situazione sta per degenerare.» Sollevò la mazza.
«Fai conto che questo sia il martelletto del giudice, ho appena emesso il mio giudizio.» Fissò gli altri. «Quindi potete togliervi dai piedi prima che chiami gli sbirri.» Burt emise un risolino di scherno. «Gli sbirri al massimo ci diranno di abbassare il volume della musica.» «Anche se qualcuno dirà loro che qui dentro si fa uso di droga? Che ci sono minorenni che fanno sesso e bevono?» Guardò i teenager presenti. «Secondo voi papà e mamma come la prenderebbero se finiste in cella con un'accusa del genere? Non credete che si riprenderebbero le chiavi della Mercedes e vi taglierebbero la paghetta?» Bastarono quelle parole a svuotare per metà la cucina. L'altra metà sparì quando Burt tentò di saltare addosso a Sean e si prese una randellata nella pancia per il disturbo. Poi Sean l'afferrò per la collottola e lo sollevò dal pavimento. «Sto male!» gemette Burt. «Sto male!» «Respira profondamente. Ma non provarci più.» Burt non ci mise molto a riprendersi. «Questa te la farò pagare.» «Lo sai invece che cosa farai? Metterai in ordine questo casino.» «Non muoverò un dito!» Sean gli afferrò un braccio e glielo torse. «Pulisci questo bordello oppure vieni con me dalla polizia. Scegli.» Poi puntò la mazza contro i cocci di bottiglia. «Tornerò tra un'ora a controllare l'andamento dei lavori, Albert.» Ma non ci fu alcun controllo. Quaranta minuti dopo, infatti, Sean fu informato via cellulare che Michelle giaceva priva di conoscenza in un ospedale di Washington dopo essere stata arrestata per aggressione aggravata. E lui quasi buttò giù la porta di casa per precipitarsi a prendere l'auto. 3 «Non si preoccupi, è meno grave di quanto non appaia» disse il medico a Sean, che aveva per un momento distolto lo sguardo dal letto dove giaceva Michelle. «Ha subito una commozione cerebrale ma per il resto le radiografie del capo non destano preoccupazione e non c'è alcuna emorragia interna. Le è saltato un dente, ha due costole incrinate e contusioni un po' in tutto il corpo. Quando si risveglierà soffrirà molto, nonostante gli antidolorifici.» Sean puntò lo sguardo su un particolare che sembrava assolutamente fuori luogo, la manetta che serrava un polso di Michelle mentre l'altra era
assicurata a un montante del letto. Per non parlare di quel corpulento poliziotto davanti alla porta che l'aveva perquisito per vedere se era armato, ricordandogli poi che aveva soltanto dieci minuti a disposizione. «Che cosa diavolo è successo?» chiese Sean. «La sua amica è entrata in un bar e ha aggredito un uomo, anzi un omone.» «Lei come fa a saperlo?» «Perché l'omone è giù e i medici ci stanno lavorando sopra.» «Ed è stata lei ad attaccare briga?» «Per questo è ammanettata, direi, nonostante non sia certo in condizioni di fuggire. Anche l'altro è conciato mica male. Dev'essere un bel tipino dolce, la sua amica.» «Non può immaginare quanto» borbottò Sean. Poi, quando il dottore uscì, si avvicinò al letto. «Michelle? Puoi udirmi, Michelle?» Ottenne come risposta un gemito soffocato. Allora uscì dalla stanza camminando all'indietro, senza riuscire a staccare gli occhi dalle manette. Non gli ci volle poi molto a ricostruire l'accaduto, gli bastò fare una telefonata a un amico della polizia di Washington che andò a leggersi il verbale di arresto. «Sembra che quel tipo voglia farle causa» disse a Sean il detective. «Sono sicuri che non sia stata provocata?» «Ci sono una cinquantina di testimoni pronti a giurare che è stata lei a prenderlo di mira. Ma poi, che ci faceva la tua amica in quella zona di Washington, Sean? Voleva morire?» Volevi morire, Michelle? In un corridoio dell'ospedale incrociò poco dopo Rodney, sempre in compagnia della sua donna che continuava a tentare di togliersi con una spugna le macchie dal vestito. «La mia amica sta attraversando un periodo bruttissimo» spiegò loro Sean. «E a noi che cazzo ce ne fotte!» gridò la donna. «Le intento una causa da toglierle la pelle del culo» muggì Rodney. «E fai bene, maledizione» rincalzò la dose la donna. «Guarda come mi ha ridotto il vestito, quella stronza!» «Ma non ne ricaverete un centesimo» li avvertì Sean. «Potreste portarle via il fuoristrada, che però ha sulle spalle oltre centocinquantamila chilometri.»
«Mai sentito parlare del pignoramento?» gli chiese lei. «Le porteremo via lo stipendio dei prossimi vent'anni e vediamo come la prenderà.» «No, potrete prenderle solo una parte dello stipendio ma lei non ha nemmeno un lavoro. Anzi, è molto probabile che quando la dimetteranno da qui sarà riportata all'istituto.» «Istituto? Quale istituto?» chiese la donna, interrompendo di strofinarsi il vestito. «Al St. Elizabeth. Sa, quello per chi ha qualche problema mentale.» «Non ci credo a questa stronzata!» esclamò Rodney. «Quella troia mi ha aggredito!» «Sta dicendo che è toccata in testa?» chiese ansiosa la donna. Sean le indicò con il capo Rodney. «Andiamo, non penserà mica che una persona sana di mente se la possa prendere con lui? Una donna, poi?» «Maledizione, forse quest'uomo ha ragione» disse Rodney. «Voglio dire, quella deve essere proprio pazza per aver fatto una cosa del genere. Non ti sembra, tesoro?» «Be', io voglio soldi da qualcuno.» La donna si portò le mani ai fianchi e fissò Sean. «Se li farà dare da un amico, i soldi. Altrimenti la stronza signorina karate e il suo ossuto culo bianco si faranno qualche anno di prigione.» «Okay, forse posso racimolare qualche soldo.» «Quanto?» esclamò la donna. Sean calcolò velocemente quanto gli era rimasto sul conto corrente. «Diecimila, grattando il fondo del barile. Vi basteranno per pagare il conto dell'ospedale e con quello che rimane potrete dimenticare questa faccenda.» «Dieci? Mi hai preso per un'idiota? Ne voglio cinquantamila!» ruggì lei. «Il dottore ha detto che Rodney deve farsi una radioscopia al ginocchio, e quella stronza gli ha anche rotto un dito.» «Non ce li ho cinquantamila.» «Be', non prenderò un centesimo sotto i quarantacinquemila, mettitelo in testa. In caso contrario andiamo davanti al giudice e con qualche anno di prigione la tua amica potrà imparare a controllare la sua rabbia.» «D'accordo, quarantacinque.» Sarebbero rimasti completamente al verde. «Ci sono anche i danni del bar» gli ricordò Rodney. «Il proprietario vorrà essere risarcito.» «Quindicimila per lui, è la mia ultima offerta.»
La mattina seguente la faccenda venne sistemata sul marciapiedi davanti all'ospedale e il procuratore archiviò l'istruttoria quando Rodney dichiarò di non volere intentare la causa. «Devo riconoscerglielo, comunque» disse l'omone mentre piegava l'assegno. «Stava per farmi a pezzi, ma poi...» «Ma poi?» gli chiese subito Sean. Rodney si strinse nelle spalle. «Mi stava facendo a pezzi, non mi vergogno ad ammetterlo, con tutte quelle mosse di kung fu. Ma proprio quando avrebbe potuto darmi il colpo di grazia mi ha tirato quel calcetto moscio. E dopo per lei non c'è stato più niente da fare. Mi è sembrato che volesse proprio farsi dare una lezione... ma, come hai detto tu, quella è matta.» Sean rientrò di corsa in ospedale, non voleva che Michelle si risvegliasse ammanettata al letto. 4 Grazie alla sua perfetta forma Michelle si riprese in fretta, anche se solo fisicamente. Le conseguenze della commozione cerebrale svanirono, le costole cominciarono a rimettersi a posto e il dente saltato via fu sostituito da una protesi. Sean aveva preso una stanza in un motel non lontano dall'ospedale e andava a trovarla ogni giorno. Ma non tardò a sorgere un altro problema. Quando lei fu dimessa la caricò in macchina; arrivati davanti alla foresteria, però, scoprirono che la serratura era stata cambiata e che qualcuno aveva preparato le loro valigie lasciandole poi sulla veranda. Sean telefonò al proprietario suo amico e l'uomo che rispose gli disse che doveva considerarsi fortunato se il padrone di casa non lo denunciava per aver aggredito il figlio con una mazza da baseball. Lo stesso interlocutore sconosciuto concluse la conversazione diffidando Sean dal richiamare. Sean guardò la sua amica, seduta al posto del passeggero. Michelle aveva lo sguardo perso nel vuoto, e non solo per effetto degli analgesici. «Mi spiace, Michelle, ma... ehm... me n'ero dimenticato. Stanno ristrutturando la foresteria.» Lei continuò a guardare fuori dal finestrino, come se la sua mente non avesse registrato quelle parole. Sean si fermò davanti a un motel e prese una stanza con due letti: non si fidava a lasciarla sola. Aveva preso un po' di contanti in banca, senza nemmeno avere il coraggio di leggere il saldo. Poi aveva comprato qualcosa da mangiare a un take-away cinese mentre Michelle, con la mascella in disordine e il dente finto, poteva soltanto ingerire liquidi.
Andò a sedersi sul bordo del letto dove lei se ne stava raggomitolata. «Devo cambiarti le bende sul viso. Okay?» Lei aveva qualche taglio superficiale sulla mascella e sulla fronte, zone entrambe ancora sensibili al contatto. E trasalì quando lui le tolse i vecchi cerotti. «Scusami.» «Fai quello che devi fare» esclamò Michelle, con un tono che gli fece una certa impressione. Lui la guardò negli occhi, che però erano tornati vitrei. «Come vanno le costole?» le chiese allora, nel tentativo di avviare una conversazione. Ma l'amica voltò il capo dall'altra parte. «Hai bisogno d'altro?» le chiese a operazione conclusa, senza ottenere risposta. «Michelle, dobbiamo parlare di questa storia.» Lei, senza aprire bocca, si sdraiò sul letto rannicchiandosi a palla. Sean si alzò e prese a camminare su e giù, con in mano una bottiglia di birra. «Mi spieghi perché diavolo te la sei dovuta prendere con uno che potrebbe benissimo giocare come placcatore con i Redskins?» Silenzio. Smise di camminare. «Ascolta, le cose si aggiusteranno, mi hanno accennato a un nuovo lavoro» aggiunse mentendo. «L'idea ti fa sentire meglio?» «Smettila, Sean.» «Smettila che cosa? Di essere ottimista e propositivo?» Stavolta ebbe come risposta una specie di grugnito. «Stai a sentire, c'è il rischio che nel prossimo bar in cui entrerai per menare le mani qualcuno tiri fuori una pistola e t'infili una palla in testa. A quel punto fine dei giochi.» «Bene!» «Ma che ti succede?» Michelle si trascinò in bagno e chiuse a chiave la porta, poi lui sentì che stava vomitando. «Stai bene, Michelle? Hai bisogno di aiuto?» «Lasciami in pace, maledizione!» Sean uscì seccato dalla stanza e andò a sedersi sul bordo della piscina, dondolando i piedi nell'acqua calda e respirando i vapori di cloro mentre si scolava la sua birra. Era una bella serata. E, degna conclusione, una bella signora tra i venti e i trenta scivolò in acqua indossando un bikini così minuscolo da non poter nemmeno rientrare nella categoria degli indumenti.
La donna prese a farsi una vasca dietro l'altra con bracciate potenti ed efficaci. Alla quarta vasca si fermò davanti a lui, tenendosi a galla, con i suoi seni pieni che ballonzolavano in superficie. «Ti andrebbe di fare una gara?» «Da quello che ho visto direi di non essere in grado di impensierirti.» «Ancora non hai visto niente, e comunque non mi dispiace dare lezioni di nuoto. Mi chiamo Jenny.» «Grazie per l'invito, Jenny, ma temo di non poterlo accettare.» Si alzò, allontanandosi. E udì alle sue spalle la voce delusa di Jenny. «Santo Dio, ma perché scelgo sempre quelli carini e gay?» «È stata proprio una gran bella giornata» borbottò lui. Quando rientrò in camera, Michelle dormiva e lui andò a sdraiarsi sull'altro letto e la fissò. Passarono altri due giorni senza alcun miglioramento e a quel punto Sean prese una decisione. Capì cioè di non disporre degli strumenti per aiutare la signora, qualsiasi fosse stato il male che l'affliggeva: apparentemente una profonda amicizia non era sufficiente a placare i tormenti di un'anima ferita. Ma lui conosceva qualcuno che forse quegli strumenti li aveva. 5 La mattina seguente Sean telefonò a Horatio Barnes, un vecchio amico che faceva lo psicologo nel Nord Virginia. Era sulla cinquantina, Horatio, portava il codino e un pizzetto argenteo e ispido, indossava di preferenza jeans scoloriti e T-shirt nere e si spostava su una Harley-Davidson d'epoca. Era specializzato nell'aiutare i federali ad affrontare i problemi causati dal loro stressante lavoro, ed era per questo che Sean l'aveva conosciuto. Sean riferì all'amico l'episodio del bar e quanto Rodney gli aveva detto riguardo alla rissa. Poi prese un appuntamento per portargli Michelle, con la scusa di farla vedere per i postumi delle botte. Lo studio di Horatio Barnes, ricavato all'interno di un magazzino abbandonato, era ampio e arioso con una serie di finestre sporche e pile di libri sul pavimento. La scrivania era qualcosa di simile a una grossa porta poggiata su cavalietti da cantiere edile. In un angolo si vedeva la Harley nera. «Da queste parti, se la parcheggiassi fuori, potrei dirle addio» spiegò loro con un enorme sorriso. «Bene, Sean, fuori dai piedi. Michelle non ha alcun bisogno della tua triste presenza mentre mi racconta tutto di lei.» Sean obbedì e andò a sedersi in una piccola e disordinatissima sala d'attesa. Do-
po un'ora Horatio lo raggiunse, da solo. «È vero, ha dei seri problemi» gli disse. «Seri quanto?» «Abbastanza da consigliare un ricovero.» «Ma il ricovero non è previsto nei casi in cui la persona può rappresentare un pericolo per se stessa o per gli altri?» «Credo che Michelle sia entrata in quel bar in parte per morire.» Sean trasalì. «Te l'ha detto lei?» «No, ma il mio lavoro consiste anche nel leggere tra le righe.» «Dove si trova questo posto?» «A Reston. È una clinica privata non precisamente economica, caro amico.» «In qualche modo riuscirò a trovare i soldi.» Horatio andò a sedersi su una vecchia cassetta da imballaggio e fece segno a Sean di imitarlo. «Allora, dimmi quale credi sia il problema.» E Sean parlò per mezz'ora, spiegandogli ciò che era successo a entrambi a Wrightsburg. «Mi sorprendo, sinceramente, che non siate tutti e due in terapia» fu alla fine il commento dello psicologo. «Sei sicuro di star bene, tu?» «Abbiamo sofferto entrambi, ma per lei la botta è stata più forte.» «Michelle pensa evidentemente di non potere fare più affidamento sul suo giudizio, e per lei è un handicap notevole.» «Lei ci teneva a quell'uomo, e quando poi ha scoperto di che pasta era fatto... Secondo me sarebbe stato uno shock per tutti.» Horatio lo fissò attentamente. «E tu come hai reagito?» Sean aprì la bocca. «Davanti a uno che aveva massacrato un sacco di gente? Come pensi che abbia reagito?» «No, intendevo dire come hai reagito quando Michelle si è messa con un altro?» Sul viso di Sean si disegnò un'espressione più pacata. «Ah be', all'epoca ero già coinvolto sentimentalmente con una persona.» «Non era precisamente a questo che mi riferivo.» Sean lo guardò perplesso ma il suo amico lasciò cadere l'argomento. «Credi che possa migliorare?» gli chiese allora. «Se ne ha veramente voglia. Se invece ha un atteggiamento ambivalente possiamo quanto meno illustrarle i vari passi da compiere per stare meglio.» «E se non volesse stare meglio?»
«Qui entriamo in un pianeta completamente diverso.» Horatio fece una pausa. «Ti ho detto che era entrata in quel bar in parte per morire, ricordi? Aggiungo che il fatto di avere deciso di prendersela con il più grosso figlio di puttana che era riuscita a trovare potrebbe essere il sintomo di una sua effettiva voglia di stare meglio.» Sean lo guardò sorpreso. «Da che cosa lo capisci?» «Era un grido di aiuto, Sean, anche se anomalo. Ciò che mi incuriosisce è perché abbia preso quella decisione proprio ora, dal momento che certi traumi se li porta dietro da tanto tempo.» «Perché, secondo te?» «Come ti ho detto, lei sente di non potersi più fidare del proprio istinto. E quindi la fermata successiva è stata quel bar e il trasformarsi in bersaglio per i pugni di quel tipo. Si è punita, insomma.» «Punita? E per che cosa?» «Non lo so.» «E se non volesse farsi ricoverare?» gli chiese Sean. «Nessun giudice autorizzerà un ricovero coatto. Quindi o entra in clinica di sua volontà oppure dovrò curarla in studio.» «In qualche modo riuscirò a farla ricoverare.» «Come?» «Come fanno di solito gli avvocati: mentendo su tutta la linea.» 6 Quella sera Sean sedette di fronte a Michelle nella loro stanza. «Ascolta» incominciò. «Quel tipo che hai aggredito ti ha fatto causa. Io posso farla archiviare senza che tu debba presentarti in aula, ma so che il giudice vorrà da te qualcosa.» Lei lo fissò. «Che cosa?» «Che ti sottoponga a una terapia psichiatrica. Horatio conosce un posto dove potresti andare.» «Credi che io sia pazza?» «Quello che penso non ha importanza. Ora, se vuoi farti processare per poi passare un po' di tempo dentro un altro tipo d'istituto, liberissima di farlo. Se invece accetti di farti ricoverare le accuse cadranno. Meglio di così non ti potrebbe andare.» Pregò in cuor suo che lei non scoprisse mai la verità, che cioè Sean si era inventato tutto. Ma Michelle per fortuna accettò il ricovero e firmò una specie di delega, grazie alla quale Sean poteva
essere informato sul trattamento al quale sarebbe stata sottoposta e sull'andamento del ciclo terapeutico. A quel punto Horatio Barnes avrebbe dovuto dare il meglio di sé. «Ma non aspettarti miracoli da un giorno all'altro» disse lo psicologo a Sean mentre se ne stavano seduti in un caffè. «Per queste cose ci vuole tempo, e lei ha una personalità fragile.» «Non l'ho mai notata questa fragilità.» «Esteriormente non lo è, ma dentro di lei sono convinto che agiscano certe dinamiche di natura assolutamente diversa. Quella donna è il classico soggetto che vuole eccellere a tutti i costi ed è animata da un chiaro istinto ossessivo. Mi ha detto che lavora in palestra per ore: è vero?» Sean annuì. «Una pratica seccante, la sua, ma che ora mi manca.» «È anche ossessivamente ordinata, per caso? A questa domanda non ha voluto rispondere.» Per poco Sean non sputò il caffè che stava bevendo. «Non me lo chiederesti se solo vedessi l'interno del suo fuoristrada. È la persona più sciatta che esista al mondo e per lei non esiste una pila di cose gettate alla rinfusa alle quali non se ne possano aggiungere altre.» «E ha quattro fratelli più grandi di lei?» «Sì. Il padre era il capo della polizia di un paese del Tennessee e i fratelli sono tutti poliziotti.» «Una condizione dura, la sua. Forse troppo dura. Se avessi vissuto in quella famiglia sarei stato arrestato un fracco di volte prima di laurearmi.» Sean sorrise. «Commettevi reati a raffica, vero?» «Amico mio, erano gli anni Sessanta e tutti quelli sotto la trentina commettevano reati a raffica.» «Non mi sono ancora messo in contatto con i suoi genitori, non volevo che lo venissero a sapere.» «Dove si trovano?» «Stanno passando una seconda luna di miele alle Hawaii. Ho parlato con il maggiore dei fratelli, Bill Maxwell, che è nella polizia di Stato della Florida, e gli ho accennato qualcosa. Voleva venire ma gli ho detto di aspettare.» Sean fece una pausa. «Si rimetterà?» chiese poi all'improvviso. «Lo so che cosa vorresti sentirmi dire, ma dipende tutto da lei.» Qualche ora dopo Sean andò a trovare in clinica Michelle, che quel giorno indossava un paio di jeans, scarpe da ginnastica e una felpa sformata e aveva i capelli legati dietro la nuca a coda di cavallo. Sedette di fronte a lei e le prese una mano. «Ti rimetterai, sei nel posto
migliore per rimetterti.» Gli sembrò di percepire sulla mano una stretta, che ricambiò immediatamente. Quella sera andò a prendere dei contanti a un Bancomat e gli venne quasi da ridere leggendo l'insignificante ammontare del suo saldo. Anche le prime fatture della clinica erano proibitive e, purtroppo, non coperte dall'assicurazione di Michelle. Lui aveva già prelevato dei soldi da un fondo pensioni e successivamente si era fatto liquidare una vecchia polizza assicurativa, ma da quando Michelle si era messa in quel guaio non aveva lavorato nemmeno un giorno e ora si era quasi arrivati a un punto di crisi. Attivò tutti i suoi contatti ma nessuno aveva nulla di consistente da proporgli. Le agenzie di investigazione che pagavano meglio a Washington richiedevano una licenza speciale, che lui una volta aveva e ora non aveva più. E cercare di riottenerla avrebbe richiesto un mucchio di tempo. Sean strinse quindi la cinghia e continuò a fare telefonate e a bussare alle porte. Fin quando, esaurite tutte le opzioni, decise di fare qualcosa che aveva promesso a se stesso di non fare più. Telefonò cioè a Joan Dillinger, un'ex agente del Servizio segreto diventata vicepresidente di una grossa agenzia di investigazioni. Purtroppo era anche la sua vecchia amante. Joan rispose alla chiamata. «Certo, Sean, pranziamo assieme domani. Sono sicura di trovare qualcosa che tu e io possiamo fare insieme.» Lui riagganciò, fissando poi al di là della finestra di quello squallido motel che non poteva più permettersi. «Temevo che avrebbe detto qualcosa del genere» biascicò. 7 Dovette ammettere che quella donna non era niente male. Niente male e letale. Coiffure e trucco erano inappuntabili, il vestito corto e stretto, con i tacchi alti il suo minuscolo personale rimaneva ancora venti centimetri al di sotto di Sean, che superava il metro e ottantacinque. Le gambe erano snelle e sode, il petto grande ma morbido e soprattutto autentico, questo lui lo sapeva per esperienza diretta. Sì, era bella, anzi di più, splendida. E Sean non provava per lei assolutamente nulla. Joan Dillinger sembrò accorgersene e subito gli fece segno di accomodarsi su un divano, poi sedette su una sedia accanto a lui e gli versò il caffè. «Una vita che non ci vediamo» osservò amabilmente. «Hai arrestato altri
pluriassassini?» «Questa settimana nessuno» le rispose, abbozzando un sorriso mentre con il cucchiaino rimescolava lo zucchero. «Come sta quella detestabile ragazzina con la quale lavoravi? Si chiamava Mildred, vero?» «Si chiama Michelle e sta bene, grazie.» «Lavorate ancora insieme?» «Sì.» «Deve essere proprio brava a indagare nell'ombra, perché non riesco nemmeno a vederla.» Sean a quel punto s'insospettì, temendo che Joan avesse scoperto ciò che era successo a Michelle. Né ci sarebbe stato da sorprendersi, considerando la sua smania di tenere tutto sotto controllo. «Oggi ha un impegno» le spiegò lui evasivamente. «Come ti ho detto al telefono, siamo appena tornati in città e mi chiedevo appunto se tu non avessi tra le mani qualche lavoro da affidarci come free lance.» Joan posò la tazza di caffè, si alzò e prese a camminare per la stanza. Il perché di quella passeggiata circolare Sean non lo capì, e pensò che forse lei volesse ostentare ulteriormente il suo fisico. Joan, donna di solito complessa, si faceva a volte trasparente quando c'erano in ballo il sesso e i rapporti personali. E lui aveva il forte sospetto che lei usasse il sesso come surrogato dei rapporti personali. «Fammi capire. Tu vorresti un lavoro da free lance, pur sapendo che la mia società può contare su esperti investigatori in grado di svolgere qualsiasi lavoro? Tra l'altro non ti sento da... quanto, oltre un anno?» «Mi è sembrato opportuno mantenere le distanze.» I suoi lineamenti s'indurirono. «Non mi stai aiutando ad aiutarti, Sean.» «Perché allora hai voluto vedermi, se non avevi nessun lavoro da propormi?» Lei si appollaiò sulla scrivania, accavallando le gambe. «Non lo so. Forse perché mi piace guardarti.» Sean si alzò e le andò vicino. «Ho davvero bisogno di lavorare, Joan. Ma se non hai niente da darmi va bene lo stesso, non ho intenzione di farti perdere altro tempo prezioso.» Posò il caffè e fece per allontanarsi, ma lei gli afferrò un braccio. «Aspetta, capoccione. Una ragazza avrà pure diritto a tenere un po' il broncio, mi pare.» Andò a sedersi dietro la scrivania e tornò a essere una manager efficiente e professionale, mettendogli davanti una bozza di ac-
cordo. «Prenditi qualche minuto per leggertelo; lo so che, tra l'altro, sei un avvocato.» «Qual è il compenso?» «La tariffa base per questo tipo di lavoro, oltre a un ragionevole rimborso spese su base quotidiana e una bella gratifica in caso di successo.» Lo squadrò da capo a piedi. «Hai l'aria di chi ha perso peso.» «Mi sono messo a dieta» le rispose distrattamente, leggendo attentamente i termini del contratto. Alla fine lo firmò e glielo rese. «Posso vedere il dossier, adesso?» «E se t'invitassi a pranzo e ne parlassimo a tavola? Ho qualche idea e tu devi firmare altre carte, per poi farle firmare alla tua socia.» Lui s'irrigidì. «A dire il vero, questa volta non lavoreremo insieme.» Joan prese a tamburellare con la penna su una cartellina. «La vecchia Mildred si sta occupando d'altro?» «Sì, e si chiama Michelle.» Parlarono dell'incarico a un tavolo della Morton's Steakhouse, ma Sean sembrava concentrato soprattutto sulla sua bistecca. «L'abbiamo abbandonata la dieta, vero?» gli chiese Joan, vedendolo lavorare alacremente di forchetta e coltello. Lui fece una risatina timida. «Avevo più fame di quanto pensassi.» «Magari fosse così» fu il sardonico commento di Joan. «Allora, si tratta di un caso che potrebbe rivelarsi una bella sfida. Una morte sospetta, il morto si chiamava Monk Turing ed è stato trovato cadavere in una tenuta di proprietà della CIA nei pressi di Williamsburg, Virginia. Suicidio o omicidio? È quello che va accertato, oltre al motivo e, in caso di omicidio, al quesito principe: chi è stato?» «Questo Turing lavorava per la CIA?» «No. Hai mai sentito nominare un posto che si chiama Babbage Town?» Sean scosse il capo. «Che cos'è?» «Mi è stato descritto come una specie di pensatoio con potenziali enormi sbocchi commerciali. Turing ci lavorava, lui era un fisico. La faccenda va trattata con estrema cautela, perché c'è di mezzo la CIA e perché le indagini le fa l'FBI in quanto la morte è avvenuta in territorio di proprietà federale. Potrei mandarci alcuni dei miei particolarmente in gamba, ma sicuramente non in gamba come te.» «Grazie per la fiducia. Allora, chi è il nostro cliente?» «Quelli di Babbage Town.» «E chi sono?»
«È quello che dovrai scoprire, tra l'altro. Se ce la farai. Ci stai?» «Parlavi di una gratifica?» Lei sorrise e gli dette una leggera pacca sulla mano. «La preferisci in contanti o in servizi professionali?» «In contanti, per cominciare.» «Di solito ce la dividiamo con chi opera sul campo su una base del 6040.» Piegò il capo di lato. «Come l'ultima volta, Sean, ricordi? Solo che quella volta non hai voluto accettare quei soldi che ti spettavano di diritto e hai preferito lasciare tutto a me. E non ho ancora capito perché tu abbia fatto una cosa del genere.» «Diciamo che mi è sembrato più prudente per me come per te. Pensavo anzi che con quei soldi ti saresti messa a riposo.» «Non sono riuscita a tenere sotto controllo la mia smania spendereccia, ahimè. E quindi devo continuare ad affannarmi con il lavoro.» «Se risolvo questo caso che somma devo aspettarmi?» «Difficile dirlo su due piedi, perché bisogna applicare certe formule. Sappi comunque che stiamo parlando di un bel boccone succoso.» Lo squadrò di nuovo. «E non sarai più così magro.» Lui mandò giù dell'altra purea di patate. «Allora, t'interessa?» gli chiese Joan. Sean prese dalla tavola il voluminoso dossier. «Grazie per il pranzo. E grazie per il lavoro.» «Ci penso io ai preparativi della partenza. Diciamo che andrai tra un paio di giorni?» «Bene, ne ho bisogno per sistemare certe faccende.» «Come per esempio dire addio a Mildred?» E, prima che lui potesse risponderle, gli fece scivolare sotto gli occhi una busta. Sean la guardò incerto. «È un anticipo sulle spese, ho pensato che potessi averne bisogno.» Lui guardò l'assegno prima d'infilarselo in tasca. «Sono in debito con te, Joan.» «Spero che lo pensi davvero» si disse lei, mentre l'amico si allontanava. 8 Michelle osservò la maniglia della porta in attesa che si aprisse per fare entrare un'altra persona che voleva farle altre domande. Ogni giorno era come il precedente. Colazione, seduta di psicanalisi con lo strizzacervelli,
pranzo, esercizi, dell'altro psicoblabla, un'ora per se stessa e poi ancora pratica interattiva con lo strizzacervelli per cercare di dominare le emozioni, per attenuare quel grumo di violenza che minacciava di distruggerla. Poi la cena, un paio di pillole se ne aveva voglia - e di solito non ne aveva - e infine il letto dove avrebbe potuto sognare ciò che sarebbe successo il giorno seguente in quella specie d'inferno. Ma la maniglia non fu girata e lei allora si alzò lentamente dalla sedia e fece scorrere lo sguardo sulle quattro pareti dalle tinte vivaci e prive di finestre. Poi si dondolò sui talloni e respirò a fondo, per accertare il miglioramento delle due costole incrinate. Non aveva quasi più pensato a quella sera in quel bar, dov'era andata per bere e dimenticare e poi, ubriaca, aveva fatto del suo meglio per uccidere un uomo. Be', non proprio il meglio. In un angolo del suo cervello aveva voluto farsi del male? Morire, magari? No, non riusciva ad ammetterlo. E comunque, se quella era davvero stata la sua intenzione, non era nemmeno riuscita a farsi uccidere. Che voto si può dare a un tale livello d'inettitudine? Si voltò di scatto quando la porta si aprì e fece il suo ingresso Horatio Barnes, che indossava i soliti jeans scoloriti, scarpe da tennis e una T-shirt nera con la famosa immagine di Jimi Hendrix che si accaniva sulle corde della chitarra. Da quando si era fatta ricoverare aveva visto Horatio parecchie volte, ma la loro conversazione si era sempre tenuta sulle generali. Lei cominciava a pensare che quell'uomo non fosse poi tanto intelligente, oppure che non gliene fregasse niente se lei si ristabiliva o meno. A me invece me ne frega qualcosa? Le chiese di sedersi e Michelle obbedì, come al solito. Che altro avrebbe potuto fare? Horatio le andò a sedersi di fronte e sollevò un piccolo registratore che aveva in mano. «Posso adoperarlo? Sento la demenza senile che avanza, per fortuna mi ricordo dove si trova la porta di casa perché altrimenti non potrei più uscire.» Michelle fece spallucce. «Non m'interessa, registri pure.» Horatio accettò con spirito quelle parole brusche, accese il registratore e lo posò sul tavolo accanto a lei. «Come andiamo oggi?» «Alla grande. E come va a lei oggi, dottor Barnes?» gli chiese a sua volta, imitando alla perfezione la voce dello psicologo. Lui sorrise. «Horatio, per favore, diamoci del tu. Il dottor Barnes in famiglia era il mio vecchio.» «Che tipo di dottore era?»
«Il dottor Stephen Cawley Barnes era il capo del dipartimento di medicina alla Harvard Medical School. Per questo gli dava fastidio il fatto che lo chiamassi sempre Stevie.» «Come mai tu non hai fatto il medico?» «Mio padre avrebbe voluto che lo facessi, mi aveva pianificato l'intera vita. Mi dette il nome Horatio in onore di un lontano parente dell'epoca coloniale pensando di dare un peso storico alla mia vita. Ma ti pare possibile? E sapessi quanta merda ho dovuto ingoiare per colpa di questo nome affibbiatomi da un padre snob e classista, al liceo me l'hanno storpiato nei modi più turpi. Allora mi sono iscritto a Yale e sono diventato uno strizzacervelli.» «Eri proprio un ribelle, insomma.» «Non avrei potuto non esserlo. Vedo dalla cartella clinica che non hai riposato molto stanotte.» Michelle non si scompose di fronte a questo improvviso cambio di argomento. «Non avevo sonno.» «Avevi degli incubi, si direbbe. Tanto che alla fine hanno dovuto svegliarti.» «Non ricordo.» «Proprio per questo sono qui, per aiutarti a ricordare.» «E perché dovrei ricordarmi un incubo?» «Ho scoperto che riesco a scavare meglio nell'anima di un paziente se c'è in ballo un incubo di quelli terrificanti.» «E se io non volessi saperlo? La mia volontà conta?» «Certo. Vuoi saperlo?» «Direi di no.» «Capisco, e mentalmente ho già sbarrato la casella degli incubi che da questo momento sono quindi off limits nelle nostre sedute. Vedo anche che hai chiesto al dottor Reynolds se sua moglie lo fa scopare abbastanza. Ti spiace dirmi perché gliel'hai chiesto?» «Perché continuava a guardarmi sotto la gonna ogni volta che accavallavo le gambe. Avrai notato che oggi ho messo i pantaloni.» «Oh, povero me. Okay, parliamo dei motivi che ti hanno fatto entrare in quel bar.» «Non ne abbiamo già parlato?» «Fammi il piacere, parliamone ancora. Devo giustificare in qualche modo la mia enorme parcella.» «Ci sono andata a bere qualcosa. Tu che ci entri a fare, in un bar?»
«Sappi che sono stato nominato bevitore dell'anno in undici bar di altrettanti Stati.» «Be', io ci sono andata a bere.» «E poi?» «E poi sono finita in una rissa e quello mi ha rotto il culo. Ti basta?» «C'eri già stata in quel bar?» «No, cerco sempre posti nuovi. Sono quella che chiameresti una temeraria.» «Lo sono anch'io, temerario. Ma come si fa a entrare alle undici e mezzo di sera in un bar nell'area con il più alto tasso di criminalità di tutta Washington? Ti sembra una decisione saggia?» Lei sorrise. «Non si è dimostrata tale, vero?» ammise. «Lo conoscevi quella specie di armadio con cui ti sei picchiata?» «No. E, se devo dirti la verità, non so nemmeno come è cominciata questa faccenda...» «Ecco, gradirei proprio che cominciassi a dirmi la verità, Michelle. E credo che tu sia in grado di farlo.» «Che vuoi dire, esattamente?» «Stando al verbale della polizia, i testimoni sono stati concordi nel dichiarare che ti sei avvicinata al più grosso bastardo presente, gli hai dato un colpetto sulla spalla e poi all'improvviso gli hai tirato un pugno che l'ha fatto piegare in due.» «I testimoni sono notoriamente inaffidabili.» «Sean ha parlato con il tipo che avevi aggredito.» Michelle trasalì visibilmente. «Ah, sì? E perché?» Horatio non fece nemmeno caso alla domanda. «E quello gli ha detto una cosa piuttosto interessante. Vuoi sapere che cosa?» «Visto che muori dalla voglia di dirmelo, spara.» «Gli ha detto che ti sei quasi lasciata ammazzare.» «Allora ricorda male. Io ho fatto una mossa sbagliata e lui l'ha subito sfruttata. Fine della storia.» «Le infermiere dicono che stanotte gridavi nel sonno "Addio, Sean". Te lo ricordi?» Michelle scosse brevemente il capo. «Pensavi forse di sciogliere il rapporto di collaborazione con Sean? In tal caso dovresti dirglielo: oppure vuoi che l'informi io?» «No, io...» cominciò a dire lei. Poi, accortasi evidentemente della trappola, s'interruppe. «Come faccio a sapere che cosa volevo dire, se stavo
dormendo?» «Sono piuttosto bravo nell'analisi dei sogni e posso farlo anche in caso di incubo, per la stessa tariffa. Ma è una promozione che dura solamente per questa settimana, dal momento che il lavoro va così a rilento.» Lei alzò gli occhi al cielo. Horatio andò avanti imperturbabile. «Di Sean ti fidi, vero?» «Come mi fido di tutti gli altri, cioè non molto, di questi tempi.» «Di questi tempi. Quindi per te è cambiato qualcosa, ultimamente?» «Stai a sentire, se ti attacchi a ogni parola che dico non apro più bocca. Capito?» «Come vuoi. Se non sbaglio i tuoi genitori non sanno che ti trovi qui: vuoi che ci mettiamo in contatto con loro?» «No! Voglio dire, tu telefoni ai tuoi se sei candidato alla carica di preside di facoltà o se cambi lavoro, non se ti fai ricoverare in una clinica psichiatrica.» «E perché ti sei fatta ricoverare?» «Perché Sean mi ha detto che dovevo farlo. Per non finire in gattabuia» aggiunse in tono di sfida. «È questo l'unico motivo? Oppure ce n'è un altro?» Michelle si sistemò sulla sedia, sollevando le sue lunghe gambe fino a portare le ginocchia contro il petto. Venti minuti dopo né lei né Horatio avevano rotto il silenzio. Finché lo psicologo non spense il registratore e si alzò. «Tornerò domani, ma nel frattempo puoi trovarmi sul cellulare a qualsiasi ora. Se non dovessi rispondere sei autorizzata a pensare che mi trovo nel mio bar preferito oppure che mi sto occupando di un'altra rissa.» «Temo che questa seduta sia stata piuttosto fallimentare. Mi dispiace» aggiunse lei sarcastica. «Ma immagino che ti paghino ugualmente, vero?» «Puoi scommetterci. E comunque la seduta secondo me è stata utilissima.» Lei sembrò confusa. «Come fai a dirlo?» «Perché te ne sei rimasta seduta a pensare per quale motivo hai voluto trovarti qui. E so che continuerai a pensarci dopo che me ne sarò andato, perché non potrai farne a meno.» Fece per andarsene, poi si fermò. «A proposito, volevo metterti in guardia da qualcosa che sta per succedere.» «Sarebbe?» L'espressione di Michelle era quella di chi non vede l'ora di azzuffarsi con qualcuno. «Stasera per cena c'è bistecca Salisbury, ma tu chiedi invece l'altra op-
zione, il panino con burro di arachidi e marmellata. La bistecca fa schifo, credo non sia nemmeno carne, forse è qualcosa inventato dai russi per far parlare i dissidenti negli anni della Guerra Fredda.» Dopo che Horatio fu uscito lei sedette sul pavimento con la schiena contro la parete. «Perché sono qui!?» gridò, e allungò di scatto la sua potente gamba destra facendo volare la sedia con un calcio. Quando arrivò di corsa un'infermiera, la sedia era tornata al posto suo e Michelle si era alzata. «Mi dicono che la bistecca fa schifo» comunicò solennemente all'infermiera. «Proprio così. Vuole un panino con burro di arachidi e marmellata invece della bistecca?» «No, mi segni per la bistecca. Doppia razione» aggiunse, dirigendosi a passo lento verso la porta. «Vuole proprio punirsi?» le chiese l'infermiera. Ci puoi scommettere il culo, cara mia. 9 Più tardi Michelle si stese sulla brandina della sua stanza, con la mappazza rancida chiamata bistecca Salisbury che le bruciava lo stomaco fin quasi a forarglielo. Dal momento che si trovava in quella clinica di sua volontà godeva di una certa libertà di movimento, e in quel momento stava pensando di andare al cesso ad abbracciare il water. Non a tutti i pazienti veniva concessa quella libertà. C'era un reparto separato dagli altri, con le porte chiuse a chiave e guardie private sempre in servizio, il reparto dei pazienti sottoposti a ricovero coatto e considerati violenti. Michelle aveva sentito a volte il personale chiamare quel reparto "il nido del cuculo". La porta si aprì ed entrò la sua compagna di stanza, Cheryl: i cognomi non si usavano, in quella clinica. Cheryl era sotto peso, aveva circa quarantacinque anni e i suoi riccioli grigi erano come appiccicati al suo viso scavato. Girava sempre con una cannuccia dalla quale non smetteva mai di succhiare aria. Michelle non sapeva bene perché quella donna si trovasse lì, ma tra le cause doveva esserci sicuramente l'anoressia. Cheryl si lasciò cadere sul lettino e prese a succhiare quella maledetta cannuccia. C'è poco da meravigliarsi se continuo ad avere incubi, pensò Michelle. Incubi con grosse bestie che succhiano infilandosi nel mio letto. «Come va, Cheryl?»
Quella smise per un attimo di succhiare, ma riprese subito. Michelle prese a camminare su e giù nella stanza. Avrebbe voluto telefonare a Sean, ma per dirgli che cosa? Mi spiace per quella storia del bar, ora sto bene, vieni a prendermi. Si rivolse disperata a Cheryl. «Quella bistecca era proprio uno schifo, vero? Mi sembra di avere uno pneumatico nello stomaco.» Cheryl si voltò dall'altra parte e si mise a succhiare ancora più forte. Michelle ci rinunciò e si diresse verso la piccola palestra. Per ovvi motivi di sicurezza tutti gli attrezzi erano tenuti sotto chiave quando non venivano usati, ma era rimasto fuori un grosso pallone di gomma e Michelle lo usò per rinforzare gambe e addominali per circa mezz'ora, provando una grande soddisfazione nell'usare nuovamente i muscoli. C'era il resto della notte da far passare, però, e lei non aveva sonno. Tornò verso la sua stanza e in corridoio superò altri due pazienti in tuta verde e pantofole azzurre accompagnati da un'infermiera. In un altro corridoio fu affiancata da un inserviente, un tipo tarchiato. «Ti serve aiuto, Michelle?» Era un tipo muscoloso alto circa un metro e ottanta, sulla cinquantina e destinato a ingrassare, con i capelli biondi tagliati cortissimi e tre catene d'oro visibili sotto la casacca verde con il collo a V. Sulla targhetta si leggeva "Barry". Non le piacque il modo in cui glielo chiese, ma forse perché lei era di malumore. Poi Barry le toccò un gomito e bastò il contatto delle dita sulla pelle per rendere più chiare le sue intenzioni. «Magari vuoi che ti riaccompagni in camera tua?» Lei scostò il braccio. «Questo posto non è poi tanto grande, la strada posso trovarla da sola.» Si allontanò, continuando a sentire lo sguardo di lui bruciarle la schiena. Allora voltò di scatto il capo e lo sorprese che sorrideva. Tornò velocemente in camera, Cheryl continuava a succhiare dalla cannuccia. Si stese sul letto, senza staccare gli occhi dalla porta. Le porte non avevano serrature, per evitare che i pazienti potessero barricarsi nella loro stanza: ma in tal modo poteva entrare chi voleva, compreso Barry. Un'ora dopo vennero spente le luci ma Michelle non riusciva a chiudere gli occhi, come se aspettasse di sentire il furtivo avvicinarsi di qualcuno animato da cattive intenzioni. Poi, verso l'una di notte, si disse: "Ti ha solo toccato un gomito, santo Iddio, e ha fatto un commento allusivo". Le stava venendo anche la paranoia, oltre al resto? No, si disse ancora, non esiste
alcun resto. Alle due fu svegliata da un suono di passi in corridoio. Allora si tirò lentamente a sedere sul letto e controllò quello di Cheryl, ma la ciucciacannucce dormiva profondamente. Allora sollevò le coperte, s'infilò le scarpe da tennis e un attimo dopo era in corridoio. Di notte il personale in servizio era ridotto all'osso e le guardie private avevano da tenere sotto controllo un'area piuttosto estesa, e non troppa voglia di farlo. Seguì lungo un altro corridoio il suono dei passi, poi udì una porta che veniva aperta e richiusa. Allora si avvicinò strisciando lungo la parete, tendendo le orecchie. Si bloccò udendo un altro suono, questo alle sue spalle. Indietreggiò allora di qualche metro e imboccò un terzo corridoio. Un istante dopo vide l'inserviente con le catene d'oro, Barry, svoltare un angolo. L'uomo passò deciso davanti al nascondiglio di Michelle in quel corridoio immerso nella semioscurità. E, appena il pericolo fu passato, lei corse a rifugiarsi nella sua stanza. 10 La mattina seguente Michelle tornò in quella parte dell'edificio e due particolari suscitarono la sua curiosità: una signora elegante e all'apparenza simpatica che usciva dalla propria stanza su una sedia a rotelle spinta da un'infermiera e la farmacia all'estremità del corridoio. Nel pomeriggio ebbe una seduta con Horatio. «Niente incubi la scorsa notte?» le chiese lo psicologo. «No, ho dormito benissimo. Senti, sai per caso se in una stanza al termine del corridoio pazienti, nell'ala est, è ricoverata una donna su una sedia a rotelle?» Horatio sollevò lo sguardo dai suoi appunti. «Sì. Perché?» «Chi è?» «Non è una mia paziente ma, se lo fosse, non potrei dirti nulla di lei. Esiste una norma sulla riservatezza dei pazienti, come sai, e proprio per questo non parlo di te con nessuno.» Poi, a mo' di battuta: «A meno che non mi riempiano di soldi, ovviamente: ho i miei principi etici ma non sono stupido». «Ma con Sean lo fai; parli di me, voglio dire.» «Solo perché hai firmato quella liberatoria.» «Puoi dirmi almeno perché si muove su una sedia a rotelle? Non è una questione di testa, immagino.»
«Potrebbe esserlo, invece; ma, come ti dicevo, non è una mia paziente. Perché lo vuoi sapere?» «Semplice curiosità. Non c'è davvero molto che incuriosisca, qui dentro.» «Ci penso io. E se ora ci dedicassimo a farti ristabilire?» «Okay. Che cosa prevede oggi il menu?» «Niente bistecca Salisbury, ma spaghetti e non è che siano molto migliori. Alla fine della seduta di ieri ti chiedevi perché ti trovi qui: sei arrivata a qualche conclusione?» «No, sono stata occupata.» «Occupata? Veramente? Mi sembrava che mi avessi detto di annoiarti.» «Okay, sono qui perché voglio rimettermi.» «Lo dici tanto per dire o ne sei convinta?» «Non lo so. Quale risposta preferisci?» «Mi stanno bene tutte, Michelle, ma così perdiamo soltanto tempo.» «È questo che dici a Sean, che gli sto facendo perdere tempo e soldi? Lo so che è lui che paga.» «E la cosa per te ha importanza?» «So che sta cercando di aiutarmi, è una brava persona. Solo che...» «Solo che cosa?» «Penso che gli converrebbe spendere il suo tempo e i suoi soldi in qualche altro modo, tutto qui.» «Questo significa che preferiresti ti abbandonasse al tuo destino? Ora mi fai la melodrammatica? Devo aggiungere anche questa alle stronzate di cui devo occuparmi?» Con un sorriso Horatio riuscì ad attenuare la pesantezza di quelle ultime parole. Michelle rimase per un po' a fissare il pavimento. «Credi di conoscerlo bene, Sean?» le chiese a un certo punto Horatio. «Certo, ci siamo trovati insieme in certe circostanze abbastanza pericolose.» «Mi ha detto che gli hai salvato la vita, e più di una volta.» «Lui ha fatto lo stesso con me» si affrettò ad aggiungere. «Se lo conosci così bene capisci anche che non ti abbandonerà al tuo destino.» «In questo momento non sono altro che un peso per lui.» «È quello che ti ha detto?» «No, certo, non lo direbbe mai. Ma io non sono stupida.» «Siete mai stati "intimi", voi due?»
Michelle fu talmente presa alla sprovvista che per la sorpresa quasi spalancò la bocca. «È una domanda standard questa, Michelle. Devo capire i diversi ruoli che rivestono nella tua vita quelli che ti sono vicini. E i ruoli sessuali hanno una profonda influenza, nel bene come nel male.» «Non siamo mai stati intimi, nel senso che intendi tu» disse allora lei, meccanicamente. «Okay. Hai mai desiderato fare sesso con lui?» «Devi proprio chiedermi queste stronzate?» esplose lei. «Posso chiederti praticamente di tutto, sta a te rispondere o meno.» «Non capisco la domanda.» «Non è difficile, ti sembra? Sean King è alto e bello, intelligente e coraggioso, onesto e sincero.» Horatio sorrise. «Se devo dirti la mia opinione, sono qualità a cui dà un'importanza eccessiva; ma quanto vale la mia opinione? Ed è anche un brav'uomo, come dicevi. Tu sei una donna giovane e attraente, avete lavorato gomito a gomito.» «Lavorare con qualcuno non significa che devi andarci a letto.» «D'accordo. Allora, se dicessi che non hai mai avuto delle fantasie su Sean non sbaglierei?» Sorrise. «Devo sbarrare la casella giusta, è una domanda a scelta multipla.» «Oh Dio, mi sento come un testimone sottoposto a controinterrogatorio in tribunale.» «L'autoesame può essere ancora più doloroso dei colpi inferti in tribunale da un abile azzeccagarbugli. Allora, nessuna voglia d'intimità con l'orsacchiotto Sean?» «Segui l'istinto, dottore. È tutto ciò che posso dirti.» «Mi hai detto molto, grazie.» «Ora che abbiamo finito con Sean immagino vorrai sapere se volevo andare a letto con mio padre.» «Parliamone.» «Ma dai, non dicevo sul serio.» «Capisco. Com'è, in ogni caso, il rapporto con tuo padre? Buono?» «Splendido! Era un capo della polizia, poi è andato in pensione. Lui e mamma stanno facendo una seconda luna di miele alle Hawaii, per questo non volevo che venissero a sapere di me. Si sarebbero precipitati subito qui.» Horatio preferì non dirle che il padre l'aveva in parte già saputo da Sean. «Sei stata molto carina. Pensi che si sorprenderebbero se lo venissero a sa-
pere?» «Spero che rimarrebbero sbalorditi!» «Ho saputo che anche i tuoi fratelli fanno i poliziotti. Tu hai mai pensato di guadagnarti la vita in modo diverso?» Michelle si strinse nelle spalle. «Direi proprio di no. Come al solito ho coltivato un sogno impossibile, quello di fare l'atleta di professione. Sogno che naturalmente non si è realizzato.» «Non sminuire le tue doti, sei la prima campionessa olimpica che ho avuto come paziente. Medaglia d'argento di canottaggio, mi ha detto Sean.» «Sì.» Sulla sua bocca si disegnò l'ombra di un sorriso. «È stato bellissimo, l'apice della mia vita, o almeno era ciò che pensavo allora. E forse non sbagliavo» aggiunse quasi sottovoce. «Poi hai fatto per un po' la poliziotta e quindi sei entrata nel Servizio segreto. Ci sei andata per qualche motivo particolare?» «I miei fratelli erano tutti poliziotti, mi è sembrato più ganzo fare la federale.» «Tuo padre era d'accordo?» «Neanche un po', e non gli era andato giù nemmeno il mio arruolamento in polizia.» «Tu come l'avevi preso questo atteggiamento di tuo padre?» «Lo capivo, ero la piccolina di papà come si suol dire e a mamma poi non andava giù che i suoi figli facessero gli sbirri. Ma io l'ho fatto ugualmente, sono un tipo indipendente.» «Ti sbalordirà sapere che questa diagnosi l'avevo già fatta. Devo dedurre quindi che vuoi molto bene ai tuoi genitori.» «Farei qualsiasi cosa per loro.» Questa dichiarazione incuriosì Horatio. «Mi autorizzi a parlare con loro di te?» «Con i miei genitori? No!» «E con uno dei tuoi fratelli?» «Puoi parlare con il maggiore, Bill. È agente della polizia di Stato della Florida.» «Come la signora desidera.» «Desidererei non essere qui» disse Michelle all'improvviso. «Puoi andartene quando vuoi. Questo lo sapevi già, vero?» «Sì, certo.» «Puoi andartene anche adesso, ti alzi e infili la porta se è questo che vuoi. Vattene al diavolo a vivere la tua vita indipendente, nessuno ti ferme-
rà. Quella è la porta.» Seguì un lungo silenzio e alla fine fu lei a romperlo. «Credo che mi fermerò, per il momento.» «Mi sembra una scelta eccellente, Michelle.» La seduta a questo punto si concluse e Michelle seguì Horatio fuori dalla propria stanza. Erano appena usciti quando passò loro davanti Barry, che però non li guardò. «Che cosa sai di quel tipo?» chiese Michelle. «Non molto. Perché?» «Semplice curiosità.» «Ti sembrerà strano ma non ci credo.» «Ora ti metti a dubitare della mia parola, Horatio?» «Pensavo a una frase per così dire più tecnica, come per esempio "Chi dice una bugia non è figlio di Maria".» 11 La penisola di Beale è un cuneo di terra che si protende sul fiume York, nella contea di Gloucester, a metà strada circa tra Clay Bank e Wicomico in quella pittoresca regione della Virginia chiamata Tidewater. Come gran parte della Virginia, i primi insediamenti di Beale risalgono all'epoca coloniale e rivelano i primi splendori di quel nuovo Paese che oltre un secolo dopo sarebbe diventato gli Stati Uniti. Una quindicina di chilometri più a sud, nel 1781, il generale inglese Cornwallis aveva consegnato la sua sciabola, e con quella migliaia di umiliate Giubbe Rosse, alla raccogliticcia Armata Continentale di George Washington. E questa resa aveva in pratica concluso la Guerra d'Indipendenza americana portando sugli scudi quegli yankee che, prima di allora, erano sempre riusciti a perdere ogni battaglia alla quale avevano preso parte. Sulle spianate realizzate all'epoca erano sorte delle piantagioni, alle quali accudivano legioni di schiavi, e ogni piantagione aveva la sua bellissima villa padronale in mattoni e assicelle. Meno di cent'anni dopo, l'isterilirsi del terreno e la Guerra civile avevano posto fine per sempre a quei letargici giorni trascorsi fino ad allora dall'aristocrazia del Sud. Una seconda ondata di prosperità benedisse quella tranquilla regione attraversata dal fiume York con l'arrivo della ricchezza nuova di zecca dell'era industriale, attirata dalle sue acque limpide e pescose, dal clima temperato e dalla cornice pastorale. Il posto era inoltre considerato partico-
larmente indicato per i malati di tubercolosi a causa dell'altitudine, della brezza e di quei pini gialli a foglia lunga che si dicevano ideali per i polmoni tisici. E una volta che un paio di quelle famiglie altolocate cominciarono a piantarvi le loro costose radici, subito ne arrivarono altre. Per questo motivo, negli anni di massimo splendore, sei linee ferroviarie private attraversavano la regione da nord a sud e altre tre da ovest, e tutte facevano capolinea su quella morbida sporgenza di argilla rossa di Virginia con le sue brezze costanti. Ora, a distanza di anni, alcune di quelle imponenti ville erano state trasformate in bed and breakfast o in alberghetti. Ma la maggior parte, come in precedenza quelle delle piantagioni, erano andate in rovina: e in tal modo, se non altro, rappresentavano terreno di scorribande avventurose per i bambini durante le lunghe, umide giornate dell'estate a Tidewater. Sulla sponda di fronte, dalla parte cioè della contea di York, la presenza del governo degli Stati Uniti era particolarmente marcata a Camp Peary, oltre che nel vicino centro di forniture navali e nell'arsenale. Un triumvirato, questo, che occupava il lungofiume da Yorktown fino a Lightfoot, Virginia. Girava voce che quelli di Camp Peary, un centro ultrasegreto di addestramento per gli agenti CIA soprannominato "la Fattoria", disponessero di strumenti tecnologici talmente sofisticati da poter distinguere di notte il colore degli occhi di una persona sulla sponda opposta di quell'ampio fiume. E quelli del posto davano ormai per scontato che chiunque si avvicinasse a meno di sei chilometri venisse tenuto sotto controllo direttamente dallo spazio. Non esisteva alcuna prova di quanto sopra, ovviamente, ma sta di fatto che nessun turista se n'era mai tornato a casa senza ascoltare almeno tre volte questa storia. Beale aveva sopportato gli alti e bassi dell'economia e i capricci dei ricchi, mentre i suoi abitanti moderatamente agiati se la passavano come se la passano più o meno tutti gli americani della loro classe sociale. Fino a quando, abbastanza di recente, nella zona era sorto un nuovo insediamento. Babbage Town. Il piccolo aereo di Sean King atterrò senza scossoni sull'asfalto dell'unica pista e si fermò, mentre le due eliche diminuivano gradualmente la velocità di rotazione. All'aereo si accostò un Hummer color ardesia dal quale scese un nero giovane e allampanato che prese le valigie del passeggero. Poco dopo, seduto accanto al guidatore, Sean ripensò alla sua visita a Michelle prima della partenza per Babbage Town, preceduta da una telefonata a Horatio per essere certo di non commettere errori con l'amica. Lo
psicologo gli aveva a sua volta chiesto di poter entrare nell'appartamento che lui aveva affittato per dare un'occhiata alle cose di Michelle e di guardare l'interno del fuoristrada della ragazza. «Portati guanti e mascherina» l'aveva messo in guardia Sean «e assicurati che la tua antitetanica non sia scaduta.» Quando, poi, si era trovato davanti Michelle nella stanza delle visite, il morale di Sean si era sollevato sensibilmente vedendola così in salute. Lei l'aveva abbracciato e poi era stata ad ascoltarlo, rispondendo immediatamente alle sue domande. «Quanto ti fermerai in questa Babbage Town?» gli chiese poi, appena saputo del nuovo incarico. «Non lo so. Parto con un aereo privato messo a disposizione di Joan.» «Come sta quella troia paranoica e schizofrenica della tua ex amica Joan?» Lui interpretò quelle parole come una conferma della ripresa di Michelle. «Non verrà con me. Il mio contatto in loco sarà un certo Len Rivest, capo della sicurezza a Babbage Town. È un ex agente FBI che conosce Joan e ha raccomandato la sua società.» «Mi hai detto che è stato ucciso un uomo?» «Non ne siamo certi. Si tratta di un certo Monk Turing, che lavorava a Babbage Town.» «Che cos'è esattamente questa Babbage Town?» «Tutto quello che mi hanno detto è che è un pensatoio segreto dove stanno lavorando a un importantissimo progetto.» «Chi è il direttore?» «Dal dossier che mi hanno dato risulta essere un certo Champ Pollion.» «Che strani nomi Monk e Champ.» «Lo so, è strana tutta la faccenda da quel poco che ho letto. Ma se riuscirò a scoprire quello che è successo a quel Monk mi daranno un sacco di soldi.» «Per questo hai potuto permetterti di mandarmi qui? Perché lo so che la mia assicurazione non copre spese del genere.» «Tu pensa solo a guarire, al resto penso io.» «Sto guarendo, mi sento bene.» Abbassò la voce. «E anche qui dentro sta succedendo qualcosa di strano.» «Cioè?» «Certi rumori notturni, gente che se ne va in giro dove non dovrebbe trovarsi.»
Sean respirò a fondo e quando parlò nella sua voce si coglieva un velato rimprovero. «Mi prometti di non immischiarti, qualsiasi cosa sia? Io non sarò qui ad aiutarti se dovesse succedere qualcosa.» «Parli tu, che te ne stai andando a casa del diavolo per indagare su un omicidio senza di me a coprirti le spalle. Dovrei essere io a metterti in guardia.» «Ti prometto di essere prudente.» «Appena uscirò da qui verrò a darti una mano.» «Ho saputo che tu e Horatio siete pappa e ciccia.» «Non lo sopporto, quel figlio di puttana.» «Bene, questo significa che andate davvero d'accordo.» Qualche minuto dopo, quando lui stava per alzarsi e andarsene, Michelle lo afferrò per un braccio. «Se le cose si mettono male chiamami, ti raggiungerò in un lampo.» «Mi guarderò le spalle.» «Non credo che tu possa guardare avanti e indietro contemporaneamente.» Lui le puntò contro il dito. «La cosa più importante è che tu ti ristabilisca. Dopo di che potremo formare nuovamente la squadretta di investigatori della serie "gli opposti si attraggono".» «Non vedo l'ora.» «Anch'io.» Si stava quindi dirigendo verso Babbage Town, sempre più dispiaciuto dell'assenza di Michelle al suo fianco. Ma la sua partner aveva ancora una lunga strada davanti a sé prima di potersi considerare guarita e Sean continuava a preoccuparsi del rischio che non ce la facesse. Mentre costeggiavano il fiume York uno stormo d'uccelli si alzò d'improvviso in volo sparpagliandosi nel cielo e contemporaneamente sei cervi attraversarono di corsa la strada. L'autista si limitò a dare un colpetto di freno e il parafango del vistoso SUV passò a cinque centimetri dall'ultimo dei cervi. Sean immaginò un paio di corna che infrangevano il parabrezza infilzandolo contro il morbido cuoio del sedile dell'Hummer. «Capita spesso, in questa stagione» commentò l'autista in tono annoiato. «Che cosa, morire all'improvviso?» chiese seccato Sean. Guardò poi alla sua destra intravedendo il fiume tra una chiazza e l'altra di terreno disboscato. E al di là del fiume scorse per un attimo la scintillante recinzione a maglia sormontata da filo spinato. «Camp Peary?» chiese, puntando il dito.
«Un posto per barbe finte CIA. Lo chiamano "la Fattoria".» «Avevo dimenticato che si trovava da queste parti.» Se lo ricordava benissimo, invece, ma aveva finto di ignorarlo nella speranza di avere qualche informazione su quel posto. «Quelli che vivono da queste parti non hanno certo problemi a ricordarselo.» «Sta parlando di piccoli animali e bambini che spariscono di notte?» gli chiese Sean sorridendo. «No. Ma può stare certo che dalla Fattoria era stato puntato un missile terra-aria sul culo del suo aereo fino a quando non è atterrato. E se l'aereo fosse entrato nella zona vietata lei sarebbe sceso a una velocità molto maggiore di quanto avrebbe voluto.» «Non ne dubito. Ma immagino che abbiano creato moltissimi posti di lavoro in questa zona.» «Sì, ma si sono anche portati le loro cose.» «Sarebbe a dire?» «I primi a mandare avanti questo posto sono stati quelli della Marina, e quando sono arrivati hanno cacciato via tutti.» «Cacciato via tutti?» Sean sembrava incredulo. «Sì. C'erano due paesi qui, Magruder e Bigler's Mill. I miei nonni vivevano a Magruder e durante la guerra furono evacuati nella contea di James City. Poi, dopo la guerra, la Marina fece armi e bagagli ma tornò qui nei primi anni Cinquanta. E da allora la zona è off limits.» «Interessante.» «I miei nonni non l'hanno trovato proprio interessante. Ma i militari fanno quel cavolo che vogliono.» «Be', dovrebbe consolarla il pensiero che a tenervi inquadrati nei loro binocoli sono ora i vostri vicini della CIA.» Quello ridacchiò e Sean cambiò argomento. «Lo conosceva Monk Turing?» «Sì.» «Che mi sa dire di lui?» «Era come tutti gli altri di Babbage Town: troppo cervello. Non parlavamo esattamente la stessa lingua.» «Lei da quanti anni lavora qui?» «Due.» «E perché tante misure di sicurezza?» «Perché fanno un lavoro importante.»
«Per esempio?» «Lo sta chiedendo alla persona sbagliata; comunque qualcosa che ha a che fare con i numeri e i computer. Se glielo chiede, quelli probabilmente glielo diranno.» Sorrise. «Certo, le daranno una risposta che lei non capirà mai. Ma eccoci arrivati.» L'autista puntò il dito davanti a sé. «Benvenuto a Babbage Town, le auguro una buona permanenza» aggiunse con una specie di ghigno. 12 Mentre Sean conduceva la sua indagine, Michelle ne aveva avviata una del tutto personale. E così, alla mensa, si portò il vassoio al tavolo dove stava pranzando la donna sulla sedia a rotelle. Poi le sedette accanto, aprì la bottiglia dell'acqua e la guardò. «Mi chiamo Michelle.» «Io Sandy. Perché sei ricoverata qui?» «Sembra che abbia manie suicide» fu la sua brusca risposta. La donna si illuminò in viso. «Le ho avute anch'io per anni, ma si superano. Cioè, le supererai anche tu se non riuscirai ad ammazzarti prima.» Michelle scrutò attentamente la donna. Era vicina ai cinquanta, con lunghi capelli biondi ossigenati e curatissimi, begli zigomi, vivaci occhi nocciola e un seno giunonico, trucco e manicure perfetti. Indossava un paio di semplici pantaloni color cachi, scarpe da tennis e golf viola con il collo a V, ma con la disinvoltura della donna abituata ad articoli ben più costosi. La voce era marcatamente profondo Sud. «E tu perché ti trovi qui?» le chiese Michelle. «Depressione, che altro se no? Il mio strizzacervelli dice che siamo tutti depressi ma non ci credo. Se tutti si sentissero come mi sentivo io... be', non ci credo, punto e basta.» «A me sembri a posto.» «Credo che il mio sia un caso di squilibrio chimico, ormai tutti lamentano uno squilibrio chimico. Ma poi, da un momento all'altro, le energie mi abbandonano. Anche tu sembri a posto, non è per caso che ci stai provando con questa storia del disturbo psichico?» «A me risulta che uno ci prova, come dici tu, quando ha subito una lesione fisica.» «Non solo in quei casi. Farsi ricoverare qui dentro aiuta molto se si decide di fare causa a qualcuno per danni emotivi o traumi mentali. Qui hai
un letto, tre pasti abbondanti ogni giorno e tutte le medicine che vuoi; per alcuni è un Nirvana. A quel punto lo strizzacervelli del querelante dichiara che il paziente non è più in grado di avere un orgasmo o che non può uscire di casa senza svenire e, voilà, scatta un bel risarcimento danni.» «Bella truffa, davvero.» «Ciò non significa che non siano tanti ad avere davvero bisogno del ricovero, e io sono una di loro.» Michelle abbassò lo sguardo sulle gambe della donna. «Incidente?» «Mi sono beccata nella spina dorsale una pallottola da 9 millimetri sparata da una Glock» fu la risposta, data con estrema naturalezza. «Paralisi immediata e irreversibile, che in un attimo ha trasformato l'atletica ed estroversa Sandy in una povera handicappata.» «Mio Dio! Com'è successo?» «Mi sono trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.» «Per questo avevi manie suicide? Per essere diventata paralitica?» «Con la paralisi avevo imparato a convivere, ma quell'altra merda era difficile da accettare.» «Quale altra merda?» le chiese Michelle. «Lasciamo perdere. Ti sembra di essere in via di miglioramento?» Michelle si strinse nelle spalle. «È presto per dirlo. Fisicamente mi sento bene.» «Sei giovane e carina e appena le ferite si saranno rimarginate potrai tornare a disporre della tua vita.» «Disporre in che senso?» «Nel senso di trovarti un uomo danaroso e metterti nelle sue mani. Sfrutta la bellezza, tesoro, è per questo che Dio te l'ha data. E ricordati di insistere per la comunione dei beni e con le clausole giuste nel testamento. Non ti mettere in testa la stronzata che i soldi suoi sono suoi.» «Hai l'aria di chi parla per esperienza diretta.» Sandy ebbe un leggero tremito. «Dio, come vorrei che ci lasciassero fumare qui dentro! Loro sostengono che la nicotina provoca dipendenza: ma datemi le mie sigarette e levatevi dai piedi!» «Tu però vuoi stare qui, vero?» «Se è per questo tutti vogliamo stare qui, tesorino.» Sorrise e s'infilò in bocca due asparagi. In quel momento passò Barry, occupato ad assistere un giovane. Michelle lo indicò con un cenno del capo. «Lo conosci quello lì, Barry?» Sandy lo studiò un momento. «Non lo conosco, ma per capire quel libro
basta guardare la copertina.» «Dove abiti?» «Sicuramente non dove abita il mio cuore, dolcezza. Ora devo andare, sento che sta per scoppiarmi un'emicrania e non voglio farmi vedere in questo stato, non voglio che tu cambi il tuo lusinghiero giudizio sulla vecchia Sandy.» Si allontanò in fretta sulla sedia a rotelle e Michelle rimase a guardare il pranzo che la donna aveva lasciato. Poi uscì a sua volta dalla mensa e si fece una passeggiata, passando davanti alla porta della stanza di Sandy. Allora rallentò il passo e sbirciò al di là del rettangolo di plexiglas al centro della porta. Sandy dormiva profondamente. Michelle proseguì fino al termine del corridoio fermandosi davanti alla porta chiusa a chiave della farmacia, e dalla finestrella con le sbarre vide un tipo basso e calvo in camice bianco che stava preparando una ricetta. L'uomo alzò lo sguardo, lei gli sorrise e lui le voltò le spalle e riprese la sua attività. "Okay, te la puoi scordare la cartolina a Natale mio caro" pensò Michelle. Poi udì una voce. «Ancora in giro?» Si voltò di scatto e vide Barry che la fissava. «Che cos'altro c'è da fare, qui, a parte girare un po'?» «Io qualche idea l'avrei. Hai un viso disteso, ti sono rispuntati quegli zigomi assassini.» «Grazie» disse lei brusca. «Oggi a pranzo ti ho visto parlare con Sandy.» «Una signora gradevole.» «Farei attenzione, fossi in te.» «La conosci bene?» «Diciamo che conosco i tipi come lei, e possono essere fonte di guai. Tu non vuoi metterti nei guai, vero?» «Non li cerco mai, i guai» mentì. «Brava. Ascolta, qualsiasi cosa ti possa servire non esitare a chiedermela.» «In che senso qualsiasi cosa?» Lui sembrò al tempo stesso sorpreso e divertito. «Qualsiasi cosa significa qualsiasi cosa.» Si guardò attorno, poi le si avvicinò. «Mi rendo conto che una ragazza bella e vivace come te può sentirsi maledettamente sola qui dentro.»
«Ma mai sola fino a quel punto.» E se ne andò piantandolo in asso. Sandy aveva decisamente visto giusto a proposito della copertina di quel libro. Nel pomeriggio Horatio Barnes la raggiunse in camera sua e le si sedette di fronte. «Niente registratore, oggi?» osservò lei. Lo psicologo si portò l'indice alla tempia. «Oggi ho preso le vitamine e ho tutto qui dentro. A proposito, ho parlato con tuo fratello.» Michelle si sporse in avanti, improvvisamente in ansia. «Quanto gli hai detto?» «Abbastanza da incuriosirlo.» «Gli hai raccontato del bar?» «E perché mai avrei dovuto dirgli che sei entrata in un bar a bere qualcosa e per caso ti sei trovata a picchiarti con l'Incredibile Hulk?» «Smettila di sfottermi. Gliel'hai detto o no?» «A dire il vero mi interessava di più ciò che lui poteva dirmi su di te.» Sfogliò all'indietro le pagine del taccuino. «Ha detto che eri una specie di dinamo, dall'energia illimitata e tanto determinata da far vergognare al paragone i tuoi familiari. Ti ha descritto come un tornado che parla e cammina, e sicuramente lo ha detto con grande affetto.» «Bill è sempre stato esagerato.» «Invece secondo me ti ha descritto con precisione. Ma ha aggiunto qualcosa d'interessante.» «Che cosa?» «Prova a indovinare.» «Allora, chi è adesso che fa i giochetti? Dimmelo!» «Mi ha detto che da bambina eri terribilmente ordinata, tutto doveva essere al suo posto. E per questo ti prendevano in giro. Fino a quando la tua personalità è cambiata all'improvviso.» «Che c'è di strano? Sono cresciuta, ora sono una sciattona.» «Succede, hai ragione. Ma di solito non a sei anni, da un giorno all'altro. Se ti fosse successo da teenager non mi sarei minimamente sorpreso, quando si passano i tredici anni c'è un cromosoma che impazzisce e ti ordina di vivere nella sporcizia fregandotene delle minacce e delle esortazioni dei tuoi genitori. E mi chiedo quindi che cosa possa essere successo a te, visto che la trasformazione in sciattona è avvenuta molto prima che quel cromosoma dia di solito i numeri.» «È successo tanto tempo fa. Chi se ne frega.»
«Ai nostri fini l'intervallo di tempo non ha grande importanza. L'importante è capire che cosa ti è passato per la testa a sei anni.» «Senti un po', non abbiamo mai parlato della mia relazione con un uomo che aveva ucciso un sacco di gente. Io non faccio lo strizzacervelli, ma non credi che questa circostanza potrebbe avere influito sul mio stato attuale?» «Okay, parliamone.» Michelle si sistemò sulla sedia e intrecciò le mani tra le cosce. «Non c'è granché da dire, tutto sommato. Era belloccio e gentile, un artista esperto oltre che un atleta di tutto rispetto. Mi faceva sentire bene con me stessa. Il suo era un matrimonio infelice e lui cercava di farsene una ragione.» Poi aggiunse sarcastica: «Il suo unico aspetto negativo? Una sciocchezza, era un pluriassassino». «E tu non riesci a credere di esserti fatta ingannare con tanta facilità da un uomo del genere?» «Non mi era mai successo.» «Considera, però, che i serial killer sono notoriamente abilissimi nell'ingannare il prossimo. È una parte del loro bagaglio psicologico a farli diventare ciò che sono, consentendogli di approfittare con successo delle loro vittime. Ted Bundy è considerato una specie di caso tipico di questa teoria.» «Tante grazie, questo mi fa sentire molto meglio.» «E per colpa di quest'unico incidente tu butti anni di successo professionale e d'istinto sopraffino? Ti sembra ragionevole?» «Non mi interessa se è ragionevole, è così che mi sento.» «Credi di averlo amato?» Ci pensò su. «Forse, se ne avessi avuto il tempo, avrei potuto amarlo. E ogni volta che ci penso mi viene voglia di tagliarmi le vene. Quel bastardo ha tentato di uccidermi e ci sarebbe anche riuscito, se non fosse stato per Sean.» «Sean il salvatore. Sicuramente gliene sarai stata molto grata.» «Certo.» «Se non ho capito male, mentre tu avevi questa relazione anche lui frequentava una signora.» «È grande, può fare ciò che vuole» rispose Michelle debolmente. «Da quello che mi ha detto, però, anche la sua relazione si è poi rivelata sbagliata.» «Puoi scommetterci.» «Lo consideri intelligente, Sean?»
«Uno degli uomini più intelligenti che abbia mai conosciuto.» «Eppure anche lui si è fatto ingannare.» «Ma aveva immaginato quello che sarebbe successo, io invece vivevo ancora nel Paese delle meraviglie.» «Come ti faceva sentire la storia di Sean con quella donna?» «Te l'ho detto, è grande.» «Non era questa la domanda.» «Mi faceva sentire male, va bene? Soddisfatto adesso?» «Male perché aveva scelto lei e non te?» Lei socchiuse gli occhi. «Non hai molto tatto, vero?» «Diamo per scontato che io non abbia tatto. È così che ti faceva sentire la loro storia?» «Credo di aver pensato che si stava rendendo ridicolo.» «Perché?» «Perché lei era una strega che non vedeva l'ora di piantargli gli artigli nella carne. Ed era anche un'assassina, ma non siamo mai riusciti a dimostrarlo.» «Quindi sospettavi che fosse un'assassina già da quando si vedeva con Sean?» Lei esitò. «No, ma c'era in lei qualcosa che non mi piaceva.» «Quindi il tuo istinto si è dimostrato giusto, sul suo conto.» «Credo. Ma non ci ho mai pensato molto, davvero.» «È per questo che sono qui, per aiutarti a pensare a certe cose. E spesso i pazienti non si accorgono nemmeno di contribuire al processo di guarigione.» «Come?» «Come per esempio quella sera in quel bar. Una parte di te era alla ricerca di qualcuno a cui fare male, qualcuno da uccidere perfino. Ma un'altra parte era alla ricerca di qualcuno in grado di punirti, di ucciderti. Il risultato? Ti sei fatta fare a pezzi ma non sei morta, e credo che non avessi alcuna intenzione di farti ammazzare.» «Come fai a esserne tanto sicuro?» gli chiese in tono canzonatorio. «Perché chi vuole veramente morire usa metodi fondamentalmente sicuri.» E prese a enumerarli sulla punta delle dita. «Una fucilata al capo, l'impiccagione, il gas nel forno o il veleno in gola. Gente così non vuole aiuto, vuole morire e quasi sempre ci riesce. Tu non sei morta perché non era ciò che volevi veramente.» «Diciamo che hai ragione: e allora?»
«Ora voglio parlare di Michelle Maxwell all'età di sei anni.» «Ma vattene al diavolo!» Michelle uscì dalla sua stanza a passo di carica, sbattendosi la porta alle spalle. Horatio riavvitò il cappuccio sulla penna e sorrise soddisfatto. «Finalmente qualche risultato.» 13 Sean decise a occhio che quell'enorme palazzo in pietra e mattoni, con i suoi tre piani puntati contro il cielo coperto, doveva essere lungo almeno una sessantina di metri. Vi si notava la presenza di diversi stili architettonici con almeno otto comignoli, tanti erano quelli che lui riusciva a vedere: c'erano una tipica serra inglese, finestre sormontate da timpani, una veranda in stile toscano, bifore, una torre vagamente orientale e un'ala con una cupola rivestita di rame. Era stato costruito, stando a quanto gli aveva detto Joan, da quell'Isaac Rance Peterman che si era arricchito con la lavorazione della carne e aveva dato a quella residenza il nome di sua figlia, Gwendolyn. Nome che si leggeva ancora sulle colonne ai due lati dell'entrata e che, secondo Sean, era assolutamente inappropriato per quella costruzione che assomigliava a un fortino inespugnabile affetto da una crisi d'identità. L'Hummer superò il cancello, presidiato da una guardia in uniforme, e andò a fermarsi sull'acciottolato del parcheggio, accanto a una lucidissima Mercedes cabriolet nera. Pochi minuti dopo le valigie di Sean erano già nella sua stanza e lui sedeva tutto solo nell'ufficio di Champ Pollion, il direttore di Babbage Town. L'ufficio era disseminato di libri, computer portatili, carte geografiche, gadget elettronici e stampate piene di simboli e formule. E a Sean bastò un'occhiata a queste stampate per rendersi conto di non poter nemmeno sperare di decifrarle. Appesi dietro la porta c'erano una casacca bianca da arti marziali e un paio di pantaloni con attaccata una cintura nera. Un genio dalle mani letali, quindi. Splendido. Un attimo dopo la porta si aprì e fece il suo ingresso Champ Pollion. Era vicino ai quaranta, alto come Sean ma più magro. Aveva i capelli castani pettinati con la riga da un lato e una chiazza grigia sulla sommità. Indossava pantaloni cachi, giacca di tweed con toppe di pelle sui gomiti, una camicia bianca button down, golf con scollo a V e cravatta a farfalla. Per completare questa immagine da studioso anni Quaranta, pensò Sean, manca soltanto che si metta a giocherellare con una pipa.
L'uomo andò a sedersi sulla poltrona dietro la scrivania, poggiò i mocassini numero 45 dalle suole consumate sul ripiano invaso dai libri e dette un'occhiata impaziente all'ospite. «Io sono Champ Pollion. Lei è Sean King.» Sean annuì. «Prende del caffè?» «Grazie.» Champ ordinò il caffè, poi si mise comodo sulla poltrona. «Quindi l'FBI si occupa di questa inchiesta?» gli chiese Sean. Quello annuì. «A nessuno fa piacere trovarsi tra i piedi polizia e FBI.» «E Turing è stato trovato cadavere in una proprietà della CIA?» «Ma che cosa c'era andato a fare, Monk? Quella gente è armata, santo Iddio.» «Anche qui c'è gente armata» gli fece notare Sean. «Non ci sarebbe, se fosse dipeso da me. Ma io mi limito a dirigere Babbage Town e in queste faccende non ho voce in capitolo.» «E perché c'è bisogno di guardie armate, qui?» «Il nostro lavoro ha potenzialmente degli enormi sbocchi commerciali, siamo impegnati in una specie di corsa contro il tempo e c'è al mondo dell'altra gente cui non dispiacerebbe batterci. Da qui le guardie, dappertutto.» Mosse distrattamente una mano. «Dappertutto.» «La CIA è già venuta qui?» «Di solito le spie non si presentano alla porta e dicono "Salve, siamo la CIA, ci dica tutto ciò che sa o la uccideremo".» Champ estrasse dalla tasca della giacca qualcosa che sembrava un tubicino di vetro. «Lei arriva direttamente dal laboratorio, vero?» gli chiese Sean. Champ sembrò sospettoso. «Perché?» «Quell'oggettino che ha in mano. Assomiglia a un contagocce, ma sicuramente avrà un nome tecnico.» «Quest'oggettino, come lo chiama lei, potrebbe rivelarsi la più grande invenzione di tutti i tempi, staccando di gran lunga in classifica il telefono di Bell o la lampadina di Edison.» «E che diavolo è?» gli chiese stupito Sean. «Non è un computer classico, e potrebbe essere il più veloce dell'universo, se riuscissimo a sfruttarne l'enorme potenziale. Quello che ho in mano, ovviamente, non è un esemplare funzionante ma un prototipo concettuale. Torniamo, invece, a ciò che è successo qui. Babbage Town recentemente è stata piuttosto affollata di estranei, tra i quali la polizia locale nella persona di un vecchio barcollante e incapace, con il suo bravo cappellone Stetson,
che si chiama Merkle Hayes e ogni tre parole ci mette un "Buon Dio"; e diversi robusti esponenti del succitato FBI.» Posò il tubicino sulla scrivania e fissò Sean. «Lo sa che cosa penso?» «Che cosa?» «Penso che siamo di fronte a una vera e propria congiura, ma non c'è di mezzo la CIA: sarebbe troppo ovvio, non le sembra? No, secondo me ha a che fare con quel complesso militare-industriale contro il quale il presidente Eisenhower aveva messo in guardia la nazione prima di lasciare la Casa Bianca.» Sean cercò di non lasciar trapelare il suo scetticismo. «E quale sarebbe il collegamento con la scoperta del cadavere di Monk Turing a Camp Peary?» «Accanto a Camp Peary c'è l'arsenale navale e Camp Peary era una volta di proprietà della Marina.» «Il lavoro che fate qui ha applicazioni militari?» «Temo di non poterglielo dire.» «Ma lei non lavora per il governo, vero?» «Secondo lei questo posto ha l'aria di un ufficio governativo?» gli fece notare gelido Pollion. «Forse.» Sean spostò lo sguardo sul completo da arti marziali appeso dietro la porta. «Karate? Kung fu?» «Tae Kwon Do. Mio padre mi ha fatto iscrivere a un corso quando frequentavo il primo anno di liceo.» «Quindi suo padre praticava le arti marziali?» «No, me le ha fatte imparare perché potessi difendermi a scuola. Forse la sorprenderà sapere che ero un mezzo imbranato, signor King. E se c'è una cosa che i teenager odiano, specialmente quelli con un giro collo superiore al loro quoziente d'intelligenza, sono proprio gli imbranati.» Champ guardò l'orologio, poi raccolse alcune carte dalla scrivania. Sean se ne accorse. «Ho bisogno di conoscere i particolari dell'episodio ma, se lei si è stufato di ripeterli, posso farmeli raccontare da Len Rivest.» In quel momento entrò una donna bassa e robusta dai capelli grigi, con un vassoio dal quale tolse tazze, zucchero e cucchiaini che posò sulla scrivania. «Doris, vuol chiedere a Len Rivest di venire da noi?» Quando la donna uscì Sean tornò a fare domande a Champ. «Mentre aspettiamo potrebbe dirmi che cos'è esattamente Babbage Town, senza rivelare ovviamente segreti. L'autista non è stato capace di spiegarmelo.»
Champ non sembrava avere voglia di rispondere. «A grandi linee, Champ, niente di più.» «Ha mai sentito nominare Charles Babbage?» «No.» «Ha dato un contributo decisivo alla nascita del computer moderno. Notevole, se pensiamo che era nato nel 1791. È stato anche l'inventore del tachimetro. Era un amante della statistica e ha ideato una serie di tavole di mortalità che ancora oggi rappresentano uno strumento standard dei gruppi assicurativi. E sappia che ogni volta che spedisce una lettera, il sistema di una tariffa unica per tutto il territorio nazionale è stato ideato da Babbage. Ma secondo me il più incredibile successo di Babbage è stato la decrittazione del cifrario polialfabetico di Vigenère, che per quasi tre secoli aveva resistito a tutti i tentativi degli studiosi.» «Il cifrario polialfabetico di Vigenère?» «Blaise de Vigenère era un diplomatico francese che mise a punto questo cifrario nel XVI secolo e lo chiamò polialfabetico perché sfruttava diversi alfabeti e non uno soltanto. Rimase comunque inutilizzato per quasi due secoli in quanto considerato troppo complesso, e pazienza se era inespugnabile all'analisi di frequenza. Mai sentito parlare di analisi di frequenza?» «Il nome mi sembra familiare» rispose lentamente Sean. «Era il Santo Graal dei primi decifratori, la inventarono gli Arabi nel IX secolo. Fa esattamente quello che dice, nel senso che indica l'analisi della frequenza con la quale certe lettere compaiono in uno scritto. In inglese la lettera più comune è di gran lunga la "e", seguita dalla "t" e dalla "a". È utilissima, o almeno lo era, per decrittare i cifrari. Oggi la decrittazione si basa sulla lunghezza di certe chiavi numeriche segrete e sulla potenza e la velocità dei computer nel fattorizzare queste chiavi. E la parte più romantica legata al linguaggio è stata eliminata. «Mille anni fa il cifrario a sostituzione era considerato inattaccabile. E invece gli Arabi riuscirono a farlo capitolare e per secoli i decrittatori ebbero la meglio sui crittografi. Per questo il cifrario di Vigenère è stato così rivoluzionario, perché la frequenza di analisi si è dimostrata totalmente inefficace.» Sean si dimenò leggermente sulla sedia ascoltando quella lunga lezione di storia. «Mi perdoni, signor King, ma le prometto che arriverò presto al punto.» «No, è molto interessante» lo rassicurò lui, soffocando uno sbadiglio.
«Come le dicevo, l'analisi di frequenza era impotente contro il mostro di Vigenère, così ingegnoso e unico nel suo genere. Eppure il vecchio Charlie Babbage riuscì a piantare un coltello nel suo cuore, che era pur sempre numerico.» «Come?» «Lo attaccò da una direzione assolutamente originale e così facendo aprì la strada a generazioni di decrittatori a venire. Ma non ne ottenne alcun riconoscimento perché non si preoccupò mai di pubblicare le sue ricerche.» «E come divenne nota la scoperta di Babbage?» «Quando nel XX secolo gli studiosi consultarono i suoi appunti, moltissimi anni dopo la sua morte, si accorsero che era stato lui il primo ad arrivarci. E finalmente vengo al punto. Ho deciso di chiamare questo posto Babbage Town in omaggio a un uomo dal grande cervello ma non altrettanto in gamba nel promuovere se stesso. Ma se raggiungeremo i nostri obiettivi stia certo che lo grideremo ai quattro venti.» Champ sorrise. «Dopo, ovviamente, che avremo ottenuto tutti quei brevetti che ci renderanno favolosamente ricchi grazie allo sfruttamento commerciale delle nostre varie invenzioni.» «Quindi una fetta della torta andrà a lei?» «In caso contrario non sarei qui. Comunque, anche se non faremo fortuna, questo è un lavoro stimolante.» «Chi è il proprietario di Babbage Town?» La porta si aprì per fare entrare un uomo basso e dall'ampio torace, sulla cinquantina. Aveva capelli argentei e impomatati e vivaci occhi azzurri. Spostò lo sguardo da Sean a Champ. «Len, questo è Sean King» disse Champ. Ciò detto, Champ prese il suo rivoluzionario tubicino-computer, ancorché non classico e non funzionante, e uscì. Solo in quel momento Sean si rese conto che quell'uomo aveva detto tante cose ma non gli aveva detto niente. 14 Horatio Barnes lasciò la sua Harley davanti alla palazzina vicina a Fairfax Corner, prese di tasca le chiavi dell'appartamento di Sean e Michelle, poi esitò. Avrebbe dovuto ispezionare prima il fuoristrada o l'appartamento? Optò per il Toyota Land Cruiser, parcheggiato vicino all'ingresso del palazzo.
Poi aprì lo sportello di guida e lo spalancò. «Oh merda!» fu la sua prima reazione. Sean non aveva scherzato consigliandogli di farsi l'antitetanica e portarsi una mascherina. Lì dentro c'era tanta di quella roba che non si vedeva più il pavimento. Attrezzi sportivi, barrette energetiche squagliate, bottiglie di Gatorade, immondizia, cibo ammuffito, una scatola di pallottole calibro 12 da fucile, indumenti spiegazzati e un paio di manubri da palestra ricoperti di plastica occupavano l'interno del fuoristrada. Horatio sollevò con qualche fatica uno dei manubri, poi dette un'occhiata a una delle riviste di arti marziali ammonticchiate nella parte posteriore del fuoristrada. «Appunto per lo stimato ma codardo psicologo: mai fare incazzare seriamente la signora se non vuoi che ti prenda a calci in quel tuo culo pelle e ossa di mezz'età.» Rimase per un po' seduto a riflettere nel posto centrale, con il finestrino abbassato. Aveva una paziente dalla personalità di tipo A, più chiusa di un'ostrica, e ora che cosa si trovava davanti? Il caos più completo, il trionfo dei rifiuti e della sporcizia. Salì al secondo piano ed entrò nell'appartamento. Lì dentro si avvertiva subito la presenza ordinatissima di Sean. La stanza di Michelle era immacolata, con le sue cose allineate contro la parete, gli abiti appesi nell'armadio e senza immondizia sul pavimento, ma solo perché lei non ci aveva ancora messo piede. Nella parte alta dell'armadio c'era una cassetta metallica chiusa a chiave nella quale lei teneva probabilmente la pistola. Sul balconcino c'era il piccolo armo di Michelle, tirato a lucido, con accanto i suoi remi in perfetto stato. Horatio rientrò in casa. Sul tavolo accanto al piccolo ingresso c'era un mucchietto di posta che lui passò in rassegna. La maggior parte della corrispondenza era indirizzata a Sean e inoltrata dal vecchio indirizzo. Per il resto si trattava di bollette e di quel materiale pubblicitario che tormenta tutta l'umanità. Ma c'era una lettera che i genitori di Michelle Maxwell le avevano spedito dalle Hawaii. Probabilmente si trattava soltanto di qualche riga per farle sapere quanto si stavano divertendo. Mentre girava per casa a Horatio venne un'idea. Telefonò a Bill Maxwell, in Florida, che rispose al secondo squillo. «È il momento sbagliato?» gli chiese subito. «Se è impegnato in un inseguimento a tutta velocità mi metta pure in attesa, aspetterò che ammanettiate i cattivi oppure di sentire lo schianto dell'incidente.» Bill ridacchiò. «Oggi è il mio giorno di riposo, mi stavo preparando per
andare a pesca. Che si dice? Come sta Mick?» Durante la precedente conversazione con Bill Maxwell, lo psicologo aveva scoperto che i quattro fratelli chiamavano la sorellina Mick. Un vezzeggiativo che lasciava capire quanto le volessero bene. «Sta sempre meglio. Ascolti, i suoi genitori vivono sempre nel Tennessee?» «Certo, in una nuova casa che si sono fatti costruire dopo che papà è andato in pensione, e per la quale ci siamo tassati tutti noi figli. Un capo della polizia guadagna bene, ma con tanti figli di risparmi ne avanzano pochi. È stato il modo che abbiamo scelto per ringraziarlo.» «Veramente un bel gesto, Bill. Quindi si vede spesso con i suoi genitori?» «Quattro o cinque volte l'anno, forse. Io abito quaggiù a Tampa, l'aereo costa, per andare in auto in Tennessee si impiega una vita e poi ho tre bambini.» «I suoi fratelli li vanno a trovare spesso?» «Più di me, probabilmente, anche perché abitano più vicino. Perché me lo chiede?» «Sto cercando di mettere a fuoco certi particolari. E Michelle? Immagino che veda i genitori più spesso considerando che abita in Virginia, praticamente a due passi.» «Non credo. Ogni volta che sono andato a trovare i miei lei non c'era. E nemmeno i miei fratelli, che sento con una certa regolarità, mi hanno mai detto di averla trovata da papà e mamma.» «Forse sono i suoi a farle qualche visita.» «Mick non ha mai avuto una casa con una stanza per gli ospiti. Io ci ho provato un paio di volte, perché i miei bambini la adorano e si vantano di avere una zia campionessa olimpica e che ha fatto parte della scorta del presidente. Ma mi ha sempre mandato strani segnali e quindi ho preferito non portare i bambini.» «Che tipo di strani segnali?» «Era sempre occupatissima, e finché lavorava con il Servizio segreto potevo anche capirlo. Ma quando è passata dallo Stato al privato mi immaginavo che avrebbe avuto più tempo, e invece niente.» «Quando è stata l'ultima volta che ha visto sua sorella?» «Qualche anno fa, e soltanto perché mi trovavo a Washington per un congresso di poliziotti. Cenammo insieme, lei allora era ancora con il Servizio segreto.»
«Ha l'impressione che si sia allontanata dalla famiglia?» «Non l'avevo prima che lei cominciasse a farmi queste domande.» «Mi dispiace se le do l'impressione di ficcanasare, Bill, ma sto facendo tutto il possibile per farla stare meglio.» «Lo so. Mick è sveglia, anche se un po' stramba.» «Proprio stramba, ha ragione. Ho appena dato un'occhiata al suo fuoristrada.» Bill rise. «Ha chiamato quelli della disinfestazione?» «L'ha visto anche lei, quindi.» «Quella volta siamo andati al ristorante con quel fuoristrada. Ho trattenuto il fiato e poi, tornato in albergo, ho fatto due docce.» «Ha mai notato per caso se Michelle si lavava troppo spesso le mani? Oppure se controllava la porta di casa prima di uscire o una sedia prima di sedersi? Niente del genere?» «Disturbi ossessivo-compulsivi, vuol dire? No, che io ricordi.» «Mi ha detto che a sei anni è cambiata radicalmente: ne è sicuro?» «Avevo appena terminato il college e a casa ci stavo poco, ma una volta tornai per un paio di mesi e ricordo che la trovai completamente diversa. A quel tempo vivevamo in una cittadina a un'ora di auto a sud di Nashville.» «Non potrebbe essersi trattato di un semplice cambiamento di personalità legato alla crescita? Succede, sa?» «No, Horatio, è stato qualcosa di diverso. Anche i miei figli sono cambiati, ma non in modo tanto brusco.» «Mi ha detto che da estroversa si era fatta riservata, da socievole a timida, da fiduciosa a sospettosa. Piangeva?» «Soltanto di notte.» «Ed era diventata disordinata e sciattona?» «Ricordo in particolare il pavimento della sua stanza. Prima era pulito come uno specchio, poi da un giorno all'altro si è riempito di cianfrusaglie tanto che non si riusciva nemmeno a vedere il tappeto. All'epoca lo considerai il gesto di una piantagrane indipendente.» «Questa potrebbe essere una spiegazione per certe cose, Bill, ma non per tutto ciò che sto vedendo. E nel mio lavoro se certe cose sono inspiegabili devo scoprirne il motivo perché da qualche parte, anche molto in profondità, una spiegazione c'è.» Horatio fece una pausa. «Ora devo farle un'altra domanda e ringrazio Dio per questi millecinquecento chilometri che ci separano.» «Mick non ha mai subito abusi di tipo sessuale.»
«Vedo che l'ipotesi l'ha presa in considerazione.» «Sono un poliziotto, ho visto bambini vittime di abusi, certe situazioni da incubo. Con Michelle nulla di tutto questo, non ha mai manifestato certi sintomi. Papà poi non ha mai... voglio dire, non era proprio il tipo e comunque con il suo lavoro a casa ci stava ben poco. Guardi, io al mio vecchio voglio bene ma se avessi sospettato soltanto per un attimo che stava succedendo qualcosa del genere non me ne sarei rimasto con le mani in mano. Se sono diventato un poliziotto è perché non sono uno che gira la testa dall'altra parte.» «Non ne dubito, Bill. Ma i suoi genitori che spiegazione hanno dato della metamorfosi di Michelle? Hanno mai pensato di rivolgersi a uno specialista?» «No, che io sappia. E poi, non è che lei avesse in continuazione crisi di nervi oppure facesse a pezzi gli animaletti. Aggiungo che a quei tempi non ci si rivolgeva allo strizzacervelli per la minima sciocchezza e non si dava il Ritalin a un figlio solo perché non riusciva a starsene seduto per dieci minuti di fila. Senza offesa, dottore.» «Conosco tanti psichiatri che potrebbero chiamarsi più esattamente farmacisti. Parla mai di Michelle con i suoi genitori?» «Abbiamo tacitamente deciso di lasciarle seguire la sua strada. Se poi un giorno decidesse di ricongiungersi alla sua famiglia, noi l'aspetteremmo a braccia aperte.» «Non ha parlato loro dell'attuale situazione di sua sorella?» «No. Se Mick non vuole che lo sappiano non vedo perché dovrei dirglielo io. E poi, crede che abbia voglia di fare incazzare una cintura nera, campionessa olimpica e tiratrice scelta, sorella o non sorella che sia?» «Fa paura anche a me. Le viene in mente altro che possa interessarmi?» «Mi restituisca la mia sorellina, Horatio. Lo faccia e avrà a Tampa un amico per la vita.» 15 Len Rivest fece fare a Sean un giro per Babbage Town. Alle spalle del palazzone c'era una serie di edifici di varie dimensioni e Sean notò che accanto a ogni porta d'ingresso c'era una tastiera di sicurezza. Uno dei più grandi di questi edifici occupava una superficie di circa mille metri quadri ed era circondato da una recinzione alta oltre due metri. Accanto si notava qualcosa che assomigliava a un silo da grano.
Sean l'indicò al suo accompagnatore. «Cosa c'è lì dentro?» «Acqua. Ne hanno bisogno per raffreddare certi loro impianti.» «E negli altri edifici?» «Altre cose.» «In quale di essi lavorava Monk Turing? E che tipo di lavoro faceva?» «Preferirei evitare.» «Ascolti, Len. Se non ho capito male ci avete assunto per darvi una mano a capire come è morto Monk Turing. Se non volete che lo scopriamo ditecelo e noi ce ne torneremo a casa senza perdere, e farvi perdere, altro tempo. Già ho sprecato mezz'ora per ascoltare il niente che mi ha raccontato quel Champ e non intendo ripetere l'esperienza con lei.» Rivest s'infilò le mani in tasca. «Mi spiace, Sean. So che ha lavorato con Joan nel Servizio segreto e non mi piace giocare a gatto e topo con un collega federale. Detto tra noi, ho l'impressione che qualcuno in alto ci stia ripensando sull'opportunità di un'inchiesta privata da condurre qui.» «Qualcuno in alto? Chi?» «Se lo sapessi glielo direi.» Sean non credeva alle sue orecchie. «Mi sta dicendo che non sa per chi lavora?» «Se si hanno fondi a sufficienza si possono creare cortine di fumo dietro le quali celarsi. Sulla mia busta paga c'è scritto che lavoro per la Babbage Town. Una volta mi è venuta un po' di curiosità e ho cercato di saperne di più, di tirare fuori qualche nome: mi hanno avvertito che se ci avessi riprovato ci avrei rimesso il culo. Questo lavoro è pagato meglio di tutti quelli che ho fatto finora, io ho due figli al college e non voglio bruciarmelo.» «Come fa allora a sapere che ci stanno ripensando?» «Ogni giorno mi arrivano sul computer delle comunicazioni riservate. Ho spiegato loro che lei era già in volo per venire qui e che bisognava darle almeno un'occasione per ottenere qualche risultato. Perché la situazione potrebbe farsi rischiosa.» «Per la presenza di FBI e CIA?» Rivest s'incupì. «Proprio a Camp Peary doveva succedere, maledizione? Ma se lei riuscirà a risolvere il caso in fretta, dimostrando possibilmente che Babbage Town non c'entra niente, forse i nostri problemi cesseranno.» «E se invece Babbage Town dovesse entrarci?» «In quel caso comincerei probabilmente a cercarmi un altro lavoro.» «Secondo Champ Pollion dietro questa faccenda si celerebbe un complotto organizzato dall'industria bellica.»
Rivest gemette. «La prego, ho abbastanza problemi per potermi trastullare con le teorie del cazzo di quello squilibrato.» «Bene, allora limitiamoci ai fatti. Com'è morto Monk Turing?» «Con un colpo di pistola alla testa. La pistola era accanto al cadavere.» «In quale punto di Camp Peary è stato trovato, esattamente?» «All'estremità orientale del complesso, quella che si affaccia sul fiume York. C'è passato di fronte, venendo qui, e l'ha anche vista se ha gettato lo sguardo al di là del fiume.» «La zona recintata?» «Sì, il cadavere era proprio lì dentro. Per entrare lui ha scavalcato la recinzione, a giudicare dai graffi sul corpo. Sono certo che la zona è pattugliata, ma evidentemente non 24 ore su 24 e sette giorni la settimana. Camp Peary occupa decine di migliaia di metri quadri, molti dei quali non edificati. Nemmeno la CIA ha i soldi per mettere in sicurezza totale ogni metro quadro e Monk è riuscito quindi a entrare.» «Dov'è ora il cadavere?» «Hanno messo in piedi una specie di obitorio a White Feather, un paesino non lontano da qui, e l'autopsia è stata eseguita da un medico legale di Williamsburg. Sulla causa della morte non esiste alcun dubbio, ho visto il cadavere e il referto. Ma, se crede, può andare a dare un'occhiata.» «Turing era sposato?» «Divorziato. Stiamo ancora tentando di rintracciare l'ex moglie.» «Figli?» «Una, Viggie Turing, undici anni.» «Dove si trova, adesso?» «Qui, viveva con il padre a Babbage Town.» Indicò con il capo alcuni cottage. «Gli edifici lungo il perimetro sono quelli del personale, parte del quale abita nel palazzone.» «Viggie è un soprannome o la ragazzina si chiama proprio così?» «Dovrebbe essere un diminutivo di Vigenère, a quanto mi hanno detto.» «Come Blaise de Vigenère?» «Che cosa?» «Niente, lasci stare. Turing aveva nemici, che si sapesse?» «Ne aveva almeno uno del quale non si sapeva, a quanto pare.» «E la teoria del suicidio? Il colpo quasi a bruciapelo, la pistola accanto al cadavere?» «Potrebbe essere» ammise Rivest parlando lentamente. «Ma l'istinto mi dice che non lo è.»
«A volte l'istinto sbaglia.» «Durante i miei venticinque anni all'FBI non si è mai sbagliato. E adesso mi dice che c'è qualcosa che non va, in questa faccenda.» «Credo che dovrò parlare con Viggie.» «Sarà dura tirare fuori qualcosa da quella ragazzina.» «E perché?» «Se non è leggermente autistica poco ci manca. Monk poteva avvicinarla, ma nessun altro.» «Lo sa che suo padre è morto?» «Mettiamola così, nessuno sa come dirglielo. E non sarà una bella scena quando glielo diranno.» «Perché, è una ragazzina violenta?» Rivest scosse il capo. «È silenziosa, timida e suona benissimo il pianoforte.» «Allora qual è il problema?» «Vive in un mondo tutto suo, Sean. Uno le parla normalmente e all'improvviso è come se scomparisse. Non comunica allo stesso livello suo o mio.» «È stata visitata da uno specialista?» «Non lo so.» Sean pensò a Horatio Barnes. «Se ce ne fosse bisogno io conosco la persona adatta. Chi la accudisce, attualmente?» «Alicia Chadwick, tra gli altri.» «E chi è?» «Lavora in uno di questi uffici. Prima ho detto che era Monk l'unico a poter comunicare con Viggie ma, ripensandoci, anche Alicia sembra in grado di farlo, anche se entro certi limiti.» «Chi ha trovato il corpo di Monk?» «Una guardia di pattuglia a Camp Peary.» «Sul posto è stato trovato qualche elemento utile alle indagini?» «No, che io sappia.» «La pistola?» «Era di Turing, aveva il porto d'armi.» «Erano sue le impronte sulla pistola?» «Sembrerebbe di sì.» «Sembrerebbe di sì? Ma insomma, erano le sue o no?» «Sì. E non c'era nulla che lasciasse pensare che l'avessero legato, né le escoriazioni tipiche di chi si difende. Senta, forse a premere il grilletto è
stata una maledetta guardia di Camp Peary.» «Il grilletto della pistola di Turing?» «Sì, era entrato abusivamente. Una guardia gli ha sparato e ora cercano di mettere la cosa a tacere.» Sean scosse il capo. «Se aveva effettivamente sconfinato la guardia avrebbe avuto un buon motivo per ucciderlo, e se ora cercano di insabbiare non faranno altro che allargare la falla. Oltretutto non vedo perché la guardia avrebbe dovuto usare la pistola di Monk per sparargli.» «Vai a sapere con la CIA.» «Il secondo motivo è ancora più convincente. Monk è stato ucciso con un colpo quasi a bruciapelo; se una guardia fosse arrivata così vicino a lui avrebbe potuto arrestarlo senza doverlo uccidere.» «Magari hanno avuto una colluttazione e dall'arma è partito accidentalmente un colpo» ipotizzò Rivest. «Ma mi ha detto che nulla lascia pensare a una colluttazione.» Rivest sospirò. «Vai a sapere qual è la verità.» «Qual è la ricostruzione della CIA?» «Ha scavalcato la recinzione e si è sparato.» «Lei ovviamente non ci crede, Len?» Quello si guardò attorno, a disagio. «Ci sono tanti occhi, da queste parti.» «In che senso?» «Nel senso che in un posto del genere potrebbero esserci delle spie.» «Spie? Che cosa glielo fa pensare?» «Nessuna prova, ancora una volta do retta all'istinto.» «Dalle cose di Turing è uscito fuori nulla d'interessante?» gli chiese Sean. «L'FBI si è portato via tutto, i computer, le carte, il passaporto, eccetera.» «Chi è stato l'ultimo a vedere Monk vivo?» «Potrebbe essere stata proprio la figlia.» «L'FBI non ha personale specializzato per interrogarla?» Rivest sembrò gradire questo cambio di argomento. «Hanno fatto venire una cosiddetta esperta, che però non è riuscita a cavare un ragno dal buco.» Sean ripensò a Horatio Barnes, il suo amico con la Harley-Davidson, e decise che gli avrebbe dato un colpo di telefono quella sera stessa. Ma non era troppo convinto, magari era meglio che lo psicologo pensasse unicamente a far ristabilire Michelle.
«Era stato visto a cena la sera precedente la scoperta del corpo» proseguì Rivest. «Dopo cena era tornato nel suo ufficio per portare avanti un lavoro.» «E questo come fa a saperlo?» «Risulta dal suo computer. L'ha spento alle venti e trenta e su tutto ciò che ha fatto dopo c'è il buio.» «Come è arrivato a Camp Peary? A nuoto? Su una barca? Oppure in auto?» «Non vedo come avrebbe potuto andarci in auto, per arrivare da quella parte di Camp Peary bisogna superare il cancello principale. E non sappiamo se c'è andato a nuoto o meno, la notte è piovuto tanto che i suoi abiti erano zuppi. La traversata a nuoto, poi, sarebbe stata decisamente lunga e faticosa.» «Per esclusione quindi dobbiamo concludere che c'è andato in barca. Ne è stata trovata una nelle vicinanze?» «No.» «Qui tenete qualche imbarcazione?» «Certo, alcune barche a remi e kayak, poi ce n'è una a vela, grossa, e alcuni armi da canottaggio. Dimenticavo, anche due motoscafi di proprietà di Babbage Town.» «Avrebbe avuto solo l'imbarazzo della scelta, quindi. E invece non è risultata mancante nessuna imbarcazione?» «Proprio così. Ma non possiamo escludere che qualcuno l'abbia portato sulla sponda opposta, per poi tornare qui e rimettere la barca dove l'aveva presa.» «Dove vengono tenute?» «In una rimessa, in fondo al fiume.» «Qualcuno ha sentito il rumore di un motoscafo la notte in cui Monk è stato ucciso?» Rivest scosse il capo. «Ma la rimessa è piuttosto lontana e tra qui e là c'è la foresta. È quindi plausibile che nessuno abbia udito nulla, ammesso che sia stato usato un motoscafo.» «Mi sembra che ogni volta andiamo a sbattere contro un muro.» «Le va di bere qualcosa?» gli chiese Rivest. «Pensa che ne abbia bisogno?» «No, sono io ad averne bisogno. Venga, ceniamo insieme, ci facciamo qualche bicchiere e domani le dirò su Babbage Town più di quanto lei vorrà sapere.»
«Mi dica almeno questo: vale la pena uccidere qualcuno qui dentro?» Rivest guardò il palazzone alle spalle di Sean, mentre la luce del giorno si faceva sempre più fioca. «Che diavolo, Sean, vale la pena che le nazioni si dichiarino guerra.» 16 Era l'una di notte quando Michelle udì in corridoio un rumore di passi che si sovrapponeva al leggero russare di Cheryl. Già vestita ma senza scarpe uscì dalla sua stanza e seguì quelli che, ne era sicura, erano i passi di Barry. Ma si arrestò quando i passi si fermarono, e si guardò attorno. Il corridoio era quello sul quale si affacciava la camera di Sandy e lei non aveva creduto a Barry che le diceva di non conoscere quella paziente. La spiegazione era stata troppo goffa. Poi Michelle tese nuovamente le orecchie quando la persona davanti a lei riprese a camminare. E con lo sguardo tentò di perforare la semioscurità del corridoio. Quando udì una porta aprirsi e richiudersi si spinse avanti e sbirciò da dietro l'angolo. Alla fine del corridoio era accesa una luce che però all'improvviso si spense. E lei tornò a nascondersi dietro l'angolo quando un'altra porta fu aperta e richiusa. Dopo cinque minuti di attesa udì lo stesso aprirsi e richiudersi di una porta e il rumore di passi che si avvicinavano. Allora, alla disperata ricerca di un posto dove nascondersi, entrò in una stanza vuota e si accoccolò dietro la porta. Poi, quando lo sconosciuto passò davanti alla porta, si sollevò a guardare dalla finestrella incassata nella parte superiore dell'uscio. Era un uomo, troppo piccolo per essere Barry, ma lei non riuscì a vederlo bene perché portava il cappello e teneva sollevato il bavero della giacca. Quando si fu allontanato dalla sua visuale Michelle uscì dal nascondiglio, indecisa se seguirlo o andare a vedere in quale stanza era entrato. Poi optò per la seconda possibilità e scivolò lungo il corridoio, svoltò l'angolo e proseguì. Alla fine di quel corridoio si trovava il locale della farmacia: era quella la porta che aveva sentito aprirsi e richiudersi? A sinistra c'era la stanza di Sandy e lei andò a sbirciare dalla finestrella, ma Sandy dormiva o fingeva di dormire. Poi, abbassando lo sguardo sul pavimento, Michelle vide qualcosa e si chinò a raccoglierlo. Era un pezzetto di plastica bianca da imballaggio. Se l'infilò in tasca, guardò ancora una volta Sandy che dormiva e tornò in si-
lenzio nella sua stanza. La mattina seguente si alzò di buon'ora e fece il giro dei corridoi, passando davanti alla porta di Sandy nel momento in cui lei usciva sulla sua sedia a rotelle. La disabile, che aveva sul capo un cappellino dei Red Sox, le fece un gran sorriso appena la vide. «Come va il mal di testa?» le chiese Michelle. «Scomparso, grazie; come al solito è stata sufficiente una bella lunga dormita.» «A che ora hai la seduta con lo strizzacervelli, stamattina?» «La prima è alle undici, poi dopo pranzo ce n'è una di gruppo. Poi mi danno delle medicine. Poi viene a trovarmi un assistente sociale. Poi mi danno un'altra manciata di pillole da mandare giù e quindi vado a farmi due chiacchiere con altri sconosciuti. A quel punto sono così intontita che non me ne frega più niente di niente e gli dico tutto quello che vogliono sentirmi dire. Qualcosa del tipo "Mia madre ha smesso di allattarmi quando sono andata al liceo". Loro se la bevono e corrono a scrivere articoli per le riviste mediche mentre io muoio dalle risate.» «Non credo che potrei fare sedute di gruppo.» Sandy fece compiere un giro su se stessa alla sedia a rotelle. «È facile. Devi soltanto alzarti, o nel caso mio rimanere seduta, e dire: "Salve, sono Sandy e non ci sto più con la testa ma voglio reagire, per questo mi trovo qui". Tutti si mettono a battere le mani, ti mandano baci, ti dicono quanto sei coraggiosa. Poi la sera mi prendo un altro sonnifero e dormo di schianto per dieci ore, per poi svegliarmi e ricominciare tutto daccapo.» «La routine la conosci ormai a memoria, mi sembra.» «Mia cara, sono arrivata al punto che so quali domande stanno per farmi prima ancora che me le facciano. È una specie di gatto che gioca col topo, soltanto che quelli non hanno ancora capito che il gatto sono io e il topo sono loro.» «Hai mai cercato di capire le cause della tua depressione?» «No, è troppo complicato. La verità non mi renderà libera ma mi farà venire manie suicide. E quindi, fino a quando non mi faranno uscire da qui, ballerò seguendo la loro musica» e dette una pacca sulle ruote della carrozzella «... in senso figurato, ovviamente. Sandy seguirà la corrente fino a quando continueranno a darle le sue pillole.» «Ti fa molto male, fisicamente?» «Quando ti dicono che sei rimasta paralizzata dalla vita in giù tu pensi "Bella fregatura, ma almeno non sentirò dolore". Sbagliato, cazzo, e con
una bella S maiuscola! Quello che non ti dicono è quanto sia dolorosa la paralisi. La pallottola che mi ha immobilizzato le gambe ce l'ho ancora in corpo, i medici hanno deciso che è troppo vicina alla spina dorsale per estrarla e quindi se ne resta lì, quella figlia di puttana di 9 millimetri. E da un anno all'altro si sposta un po'. Buffo, no? Io non posso muovermi, ma lei sì. Ma non ti ho ancora detto il particolare più divertente: sempre secondo i medici, se la pallottola spostandosi dovesse toccare un certo punto della spina dorsale potrei cadere stecchita oppure perdere la sensibilità in tutto il resto del corpo trasformandomi in una paralitica. Che te ne sembra? Ci sono parole per descrivere un casino del genere?» «Mi dispiace veramente, il mio problema non mi sembra a questo punto così serio.» Sandy fece un gesto come per sbarazzarsi di quell'osservazione che non condivideva. «Andiamo a fare colazione. Le uova fanno schifo, il bacon assomiglia a un pezzo di battistrada di pneumatico e ha un sapore ancora peggiore, ma almeno il caffè è caldo. Andiamo, ti sfido alla corsa.» Partì di scatto e Michelle, sorridendo, le trotterellò dietro, poi afferrò le manopole della carrozzina e la spinse a tutta velocità, con Sandy che urlava ridendo a crepapelle. Dopo colazione Michelle ricevette la visita di Horatio. «Ho parlato di nuovo con tuo fratello Bill.» «Come sta?» «Bene, ma dice che vi vedete molto di rado. E questo vale anche per il resto della famiglia.» «Siamo tutti occupati.» Horatio le dette la lettera della madre. «L'ho presa nell'appartamento che Sean ha affittato per voi due, so che non ci sei ancora stata ma è veramente molto carino. E sono contento di esserci andato prima che tu lo riempissi di cianfrusaglie come hai fatto con il fuoristrada. A proposito di discariche, hai mai pensato di dare una bella pulita al Toyota? Se non altro per allontanare il rischio di una peste bubbonica.» «Ci sarà un po' di disordine dentro il fuoristrada, ma se mi serve qualcosa so benissimo dove trovarla.» «Se è per questo, due ore dopo che ho mangiato qualche piccantissima pietanza messicana so che cosa c'è dentro il mio colon, ma questo non significa che io voglia vederlo. Ti va di leggere la lettera dei tuoi genitori? Potrebbe essere importante.»
«Se lo fosse davvero si sarebbero già messi in contatto con me.» «Perché, vi tenete in contatto?» Michelle incrociò le braccia. «Quella di oggi è la seduta dedicata ai genitori?» Horatio sollevò il taccuino. «C'è scritto qui che devo chiedertelo.» «Ci parlo, con i miei genitori.» «Ma non vai a trovarli quasi mai, anche se non abitano lontano da te.» «Tantissimi figli non vanno a trovare i genitori, ma questo non significa che non li amano.» «È vero. Sei così aggressiva perché sei l'unica figlia femmina con padre e fratelli tutti poliziotti?» «Diciamo che mi sembra una salutare motivazione.» «Okay. Ti fa piacere il fatto di poter avere fisicamente ragione in pratica di tutti gli uomini che ti capitano di fronte?» «Mi fa piacere potermi difendere, è un mondo violento quello in cui viviamo.» «E con il mestiere che fai di violenza ne hai vista fin troppa. Sono gli uomini a compiere la grande maggioranza dei reati, vero?» «Troppi uomini hanno la tendenza a pensare con i muscoli invece che con il cervello.» «Hai ancora voglia di farti del male?» «Non ho mai conosciuto nessuno capace come te di cambiare argomento in maniera così assurda.» «Lo faccio per darti una piccola scossa nel caso tu stessi per addormentarti.» «Cominciamo allora a dire che non ho mai avuto voglia di farmi del male.» «Bene, allora sbarro la casella "Sto mentendo in maniera spudorata" e poi andiamo avanti. Qual è dunque il problema, secondo te? E come pensi che io possa aiutarti?» Michelle distolse nervosa lo sguardo. «Non è una domanda a trabocchetto, Michelle, voglio che tu stia meglio e sento che anche tu lo vuoi. Come fare?» «Stiamo parlando, non è già qualcosa?» «Certo. Ma se andiamo avanti di questo passo quando cominceremo a capire che cos'è che ti tormenta io sarò morto e sepolto e tu non mangerai più con coltello e forchetta ma con la cannuccia. Non esiste alcuna regola che vieti di attaccare il punto di resistenza minore.»
«Non capisco cosa vuoi da me, Horatio» esclamò Michelle. «Onestà, sincerità, un reale desiderio di prendere parte a questo esercizio che noi chiamiamo ricerca nell'anima. Le so le domande da fare, ma queste domande non mi aiuteranno se le risposte non hanno alcun significato.» «Sto tentando di essere onesta con te. Fammi una domanda.» «Vuoi bene ai tuoi fratelli?» «Sì!» «Vuoi bene ai tuoi genitori?» Altro sì, ma il modo in cui lei lo disse fece drizzare le orecchie a Horatio. «Ti va di parlarmi della tua infanzia?» «Tutti uguali, voi strizzacervelli, vero? Tutto va ricondotto a qualche stronzata successa da ragazzini. Ti dico subito che hai imboccato la strada sbagliata.» «Allora indicami quella giusta. Ce l'hai in testa, lo so, ma devi tirarla fuori e avere il coraggio di indicarmela.» Michelle si alzò, tremante di rabbia. «Come ti viene in mente di mettere in discussione il mio coraggio e la mia capacità di indicarti la strada giusta? Nei miei panni tu non avresti resistito più di dieci minuti.» «Non ne dubito. Ma la risposta ai tuoi problemi si trova fra il lobo frontale destro e il sinistro. Una distanza di una decina di centimetri che incredibilmente contiene miliardi di miliardi di frammenti di pensieri e ricordi che costituiscono te, proprio te. Se troviamo tra questi frammenti quello giusto arriveremo al punto in cui non dovrai mai più scatenare una rissa con uno sconosciuto sperando che ti mandi dritto all'obitorio.» «Ti ho detto che non è andata così!» «E io ti dico che sei proprio un pezzo di merda.» Michelle strinse i pugni. «Vuoi che ti faccia a pezzi?!» «Vuoi farmi del male?» Lei continuò a fissarlo con odio. Poi fece ricadere le mani, si voltò e uscì dalla stanza, stavolta però lasciando la porta aperta: un gesto simbolico questo, pensò lui, quanto inconscio. Horatio rimase seduto, con lo sguardo sulla soglia. «Faccio il tifo per te, Michelle» disse sottovoce. «E penso che ci siamo quasi.» 17 Dopo aver cenato nella sala da pranzo della residenza Sean e Rivest si
trasferirono nel cottage di quest'ultimo per bere qualcosa. Qualche bicchiere di vino e tre vodka Martini misero fuori combattimento Rivest, che si addormentò nella poltrona del salotto dopo aver dato appuntamento a Sean per il giorno dopo. E Sean, che si era limitato a sorseggiare un gin tonic, andò a farsi una passeggiata notturna a Babbage Town. Rivest gli aveva dato un badge con la foto che, anche se gli consentiva di accedere da solo unicamente all'edificio principale, se non altro gli evitava di essere fermato e trattenuto dalle pattuglie di sorveglianza. Il bungalow di Rivest si trovava all'estremità occidentale del comprensorio, sullo stesso sentiero ghiaioso sul quale si affacciavano altre tre abitazioni assolutamente identiche. Ma accanto a quello di Rivest c'era un edificio ben più grande e Sean, passandovi davanti, notò un cartello su una delle due porte d'ingresso: CAPANNA 3. Evidentemente l'edificio ospitava due abitazioni uguali. In quel momento dalla porta di sinistra uscirono due guardie in uniforme, armate di pistola Glock e di mitra MP5, e si allontanarono presumibilmente per il loro giro di perlustrazione. Ma a che cosa serviva tutta quella potenza di fuoco? Allora invertì la direzione di marcia, passando alle spalle dell'edificio principale e attraversando un prato con tanto di piscina olimpica, sedie, tavoli, una griglia di acciaio inossidabile per il barbecue e un camino in pietra. Attorno al camino c'era un gruppetto di persone con in mano boccali di birra o bicchieri di vino, che conversavano sottovoce. Un paio di teste si voltarono a guardarlo ma nessuno fece lo sforzo di salutarlo. Allora andò a sedersi accanto a un uomo, tutto solo e intento a scolarsi una birra, e si presentò. L'uomo, un giovane, si guardò nervosamente le scarpe. Conosceva Monk, gli disse, aveva lavorato con lui. «Lei di che si occupa?» gli chiese. «Fisica molecolare, specializzato in...» Il giovane esitò, poi mandò giù una sorsata di birra. «Secondo lei, che cosa è successo a Monk?» «Non lo so ancora. Le ha mai accennato a qualcosa della quale si stava occupando e che avrebbe potuto costargli la vita?» «No, nulla di tutto questo. Lavorava sodo, come tutti noi. Ha una figlia... un po' speciale, diciamo così. Intelligentissima, con i numeri riesce a fare cose che nemmeno io saprei fare. Ma Viggie è una ragazzina strana. Provi a indovinare che cosa colleziona.» «Me lo dica lei.» «Numeri.»
«Numeri? E come si fa una collezione di numeri?» «Si tiene in mente numeri di lunghezza incredibile e continua a pensarne di nuovi. Li cataloga usando lettere. Se le chiede il numero x o il numero zz le darà ogni volta la risposta giusta. L'ho provato, è stupefacente, mai visto nulla del genere.» «Monk le aveva mai parlato di Camp Peary? Le aveva mai manifestato l'intenzione di andarci per qualche motivo?» Quello scosse il capo. «Lei comunque sa dell'esistenza di Camp Peary, vero?» «Difficile non accorgersene.» Alcuni uomini accanto alla piscina stavano indicando nella loro direzione e il giovane si alzò di scatto. «Ora devo andare, mi scusi.» Sean riprese la passeggiata. Lì dentro nessuno era disposto a parlare, ma se Monk Turing si era ucciso doveva avere avuto un motivo. E Sean era certo che scavando a fondo quel motivo sarebbe venuto alla luce. Si fermò nei pressi dell'edificio con accanto la torre-serbatoio. CAPANNA 2 si leggeva su un cartello. Ma quando fece per avvicinarsi alla porta d'ingresso una guardia armata gli andò incontro con un braccio sollevato. Sean gli indicò la targhetta, spiegandogli chi era. Quello guardò prima la targhetta, poi lui. «Ho sentito che stavano per far venire qualcuno.» «Lo conosceva Monk Turing?» «No. Voglio dire, sapevo che faccia aveva ma qui dentro non vedono di buon occhio i rapporti tra noi guardie e i cervelli.» «Ha notato qualche suo comportamento fuori dall'ordinario?» La guardia rise. «Caro amico, per me questi scienziati sono un po' tutti toccati in testa. Essere troppo intelligenti non sempre è un bene, non so se mi spiego.» Sean indicò l'edificio. «Che cosa c'è nella Capanna 2?» «Lei può chiedermelo ma io non glielo dico. Non che ne sappia molto, comunque.» Provò altre due o tre volte a strappargli qualche informazione ma la guardia, molto professionalmente, tenne duro. «Non sa per caso dove abitava qui dentro Monk Turing?» gli chiese alla fine. La guardia gli indicò un sentiero alberato. «La prima a destra, è il secondo bungalow sulla destra.» «La figlia ci abita ancora?» «Sì, insieme a un'assistente sociale e a un mio collega.»
«Un suo collega?» «Il padre è morto e in casi del genere si prendono precauzioni.» «Questo posto mi sembra sorvegliato fin troppo bene.» «Anche Camp Peary, ciò nonostante lì qualcuno è riuscito a uccidere Monk Turing.» «Quindi secondo lei non è stato un suicidio? L'hanno ucciso?» Ora la guardia sembrava meno sicura. «Senta, non sono io il detective.» «Ha parlato con la polizia di qui e con l'FBI?» «Tutti ci abbiamo parlato.» «Hanno qualche teoria?» «Non ne hanno certo parlato con me.» «Mai nessun problema di sicurezza, con Turing? Sconosciuti che indugiavano davanti a casa sua?» La guardia scosse il capo. «Mai niente del genere.» «Turing è stato ucciso con la sua pistola. Lei lo sapeva che era armato?» «Io credevo che solo noi della sorveglianza potessimo essere armati.» Sean riprese la passeggiata e dopo pochi passi vide davanti a se i bungalow. Il primo era buio ma in una finestra del secondo, quello di Monk Turing, brillava una luce. Queste casette erano tutte di mattoni rossi e occupavano una superficie approssimativa di duecentotrenta metri quadri. Belle, indubbiamente. In ognuna il praticello era ben tenuto e i paletti della staccionata verniciati di fresco. I gradini d'ingresso erano abbelliti da vasi di fiori dai colori vivaci. Sembrava di vedere uno di quei quadretti idilliaci che rappresentano la vita quale non è mai stata. Dall'interno della casa giungevano le note di un pianoforte. Sean aprì il cancelletto e si diresse verso la veranda. Sulla veranda vide una panchina con un certo numero di articoli sportivi tra i quali un paio di mazze da golf, un pallone da basket, una palla da baseball e un guantone da prima base. Prese il guantone, odorava di pelle ben conservata: Turing probabilmente si rifugiava nello sport per rilassarsi dopo una giornata di intenso lavoro cerebrale. Sean scrutò al di là della porta a zanzariera, sul divano dormiva una donna rotondetta in vestaglia e pantofole ma della guardia non si vedeva l'ombra. A un'estremità del salotto troneggiava un pianoforte a mezza coda suonato da una ragazzina dai lunghi capelli biondi e dall'incarnato pallido. E all'improvviso la pianista in erba passò, senza sbagliare una nota, da un classico - Sean pensò a Rachmaninov - a un brano di Alicia Keys, che lui riconobbe subito.
Viggie Turing sollevò lo sguardo e lo vide, ma non sembrò sorpresa. Non smise nemmeno di suonare. «Che cosa fa qui?» La voce lo fece trasalire perché non veniva dall'interno della casa ma dalle sue spalle. Si voltò e vide una donna, accanto al suo gomito. Allora le mostrò la targhetta. «Mi chiamo Sean King e mi hanno incaricato di indagare sulla morte di Monk Turing.» «Lo so» fece lei fredda. «Vorrei sapere che cosa ci fa lei davanti a questa casa, a quest'ora.» Era sui trentacinque, alta circa un metro e sessantacinque. I suoi capelli rossi erano corti, con la riga da una parte, e terminavano a metà collo con una specie di virgola. La lampada sopra la porta di casa era accesa e lui notò che la donna aveva la pelle cosparsa di efelidi e gli occhi di un verde opalescente. Indossava jeans, mocassini neri e una camicetta di velluto a coste. Le labbra erano troppo piene per quel viso sottile, le spalle un po' troppo larghe rispetto al resto del fisico, il naso non completamente in armonia con gli occhi, il mento troppo affilato per quelle mascelle quadrate. Ma nonostante questa asimmetria era una delle donne più graziose che Sean avesse mai visto. «Stavo facendo due passi quando ho udito Viggie, immagino sia lei che sta suonando il piano, e mi sono fermato ad ascoltare.» Decise che aveva dato una risposta abbastanza esauriente per fare a sua volta una domanda. «Lei è?» «Alicia Chadwick.» «Viggie è una pianista sorprendente.» Gli occhi verdi opalescenti tornarono su di lui. «È una ragazzina sorprendente sotto molti punti di vista.» Gli posò una mano sulla manica, allontanandolo dalla porta. «Parliamo, ci sono certe cose che deve sapere.» Sean sorrise. «Lei è la prima persona disposta a parlarmi, qui dentro.» «Prima di rallegrarsi ascolti quello che ho da dirle.» 18 Cinque minuti dopo Alicia e Sean salirono i gradini di pietra all'ingresso di una grande casa rivestita di assicelle verdi, con il tetto in cedro e un'ampia veranda. Lei lo fece entrare in un comodo studio pieno di libri, con al centro una scrivania sulla quale troneggiava lo schermo piatto di un computer, e gli fece segno di accomodarsi in una poltrona di pelle consumata
sistemandosi poi su una poltroncina girevole dietro la scrivania. Sean la osservò con interesse sollevare la gamba destra poggiandola sulla scrivania e poi tirare la parte inferiore del pantalone. La striscia di velcro che teneva unite le due parti si aprì a metà coscia e quella inferiore le rimase in mano; in quel momento Sean vide quell'oggetto di metallo lucidissimo con le cinghiette attaccate. La donna sciolse le cinghiette, allentò alcune levette e posò sulla scrivania la protesi completa di mocassino, poi si massaggiò il punto della coscia in cui il metallo toccava la carne. Alicia, terminate queste operazioni, sollevò lo sguardo sull'ospite. «Emily Post, la regina dell'etichetta, e i suoi seguaci condannerebbero sicuramente chiunque ostenti la propria gamba artificiale a un perfetto sconosciuto, ma la cosa mi lascia del tutto indifferente. Immagino che la signora Post non sia mai stata costretta a camminare tutta la giornata con uno di questi affari che, nonostante il progresso tecnologico, fanno ancora un male cane.» «Com'è successo?» le chiese Sean, mentre lei si riempiva un bicchiere d'acqua versandola da una caraffa sulla scrivania e mandava poi giù tre pastiglie di Advil. Poi si pentì della domanda. «Mi spiace, forse preferisce non parlarne.» «Non mi va di perdere tempo e quindi la faccio breve. Io sono una matematica di formazione e linguista per passione. Mio padre lavorava al dipartimento di Stato e da giovane ho viaggiato a lungo in Medio Oriente, cosa che mi permette ora di parlare arabo, farsi e alcuni dialetti che il governo degli Stati Uniti considera utili. Quattro anni fa mi sono offerta al dipartimento di Stato come interprete in Iraq e per due anni è andato tutto bene fino a quando l'Humvee sul quale viaggiavo è saltato in aria su una mina nei pressi di Mossul. Mi sono risvegliata una settimana dopo in Germania, scoprendo che oltre a sette giorni di vita avevo perduto quasi tutta la gamba destra. E m'era andata anche bene, perché all'esplosione era sopravvissuto oltre a me soltanto l'uomo che mi aveva poi portata in salvo. Mi dissero che dell'autista, accanto al quale ero seduta, era rimasto soltanto il torso: la traiettoria delle schegge in un ambiente chiuso non è precisamente una scienza esatta. Il mio Paese, comunque, mi ha pagato per intero le cure e la riabilitazione, regalandomi questo splendido armamentario.» E dette una pacca sulla gamba artificiale. «Mi dispiace.» Sean si era stupito udendo quella donna parlare con tanto distacco del dramma che si era abbattuto su di lei. Alicia si sistemò sulla poltroncina, osservandolo attentamente. «Non ho
ancora capito perché l'abbiano fatta venire qui.» «C'è stata una morte misteriosa e io sono un investigatore.» «Fino a qui ci arrivo. Ma da queste parti hanno tanti di quei poliziotti da far tremare Jack lo Squartatore dentro i suoi stivali zuppi di sangue. Solo che quelli lavorano per il governo e lei invece è un privato.» «Che cosa intende dire?» «Intendo dire che non possono controllarla. O no?» «O no? Non lo so. Mi ha accennato a certe cose che aveva da dirmi.» «Questa è una.» «Dicendo che non mi possono controllare si riferiva ai titolari di Babbage Town? Qui nessuno sembra ansioso di dirmi qualcosa, oppure nessuno sa niente: in un caso o nell'altro mi sembra abbastanza sorprendente.» «Su questo punto temo di non poterla aiutare.» «È stata sentita dall'FBI?» «Sì, da un certo Michael Ventris, un tipo non proprio spiritoso ma efficiente.» «Buono a sapersi. Che cosa ne pensa di Champ Pollion? Provo a indovinare, è stato il primo del suo corso al Massachusetts Institute of Technology.» «No, è stato il secondo ma all'Indian Institute of Technology, che secondo molti è ancora più prestigioso del MIT.» «Mi è anche sembrato molto agitato per ciò che è successo a Monk.» «È uno scienziato, che cosa vuole che ne sappia delle morti violente e delle indagini su un omicidio? Ho visto in Iraq tanto di quel sangue che mi basterebbe per mille anni, ma ciò che è successo a Monk ha sconvolto anche me. In Iraq almeno, al contrario di qui, sapevi chi stava cercando di ucciderti.» «Pensa quindi che Monk sia stato ucciso?» «Non lo so, per questo sono agitata.» «È stato trovato in zona CIA?» «Già. Ma se quelli della CIA avessero avuto a che fare con la sua morte, pensa che avrebbero lasciato il cadavere dove è stato poi trovato? Avrebbero potuto tranquillamente gettarlo nel fiume York.» «Qual è la sua posizione a Babbage Town? Non quella di un'impiegata qualunque, direi.» «Che cosa glielo fa pensare?» «La sua casa è più grande degli altri bungalow.» «Dirigo un dipartimento. Champ abita dall'altra parte della residenza,
accanto alla Capanna 1.» «Che cosa fanno nella Capanna 1?» «È proprio quello il mio dipartimento, mentre Champ è a capo del 2, quello con la torre dell'acqua.» «E lei non vuole dirmi che cosa fa?» Alicia sospirò. «Nulla di particolarmente emozionante. Fattorizziamo numeri, numeri particolarmente grandi, o quanto meno ci proviamo. Abbiamo un compito decisamente difficile, stiamo cercando qualcosa che secondo molti esperti del settore non esiste: una scorciatoia matematica.» Sean sembrò scettico. «Una scorciatoia matematica? E questo giustifica tutte quelle guardie armate e queste ville costose?» «Sì, se trovarla significa fermare un mondo avviato verso la catastrofe. E non siamo soli. IBM, Microsoft, National Security Agency, Stanford University, Oxford e nazioni come Francia, Giappone, Cina, India e Russia sono impegnate in ricerche analoghe. E forse anche alcune organizzazioni criminali, che avrebbero decisamente dei validi motivi.» «Non vorrei diventare un concorrente dell'NSA.» «Forse è proprio questa la vera spiegazione delle guardie armate, per proteggerci da loro.» «Quindi tutta Babbage Town si dedica a queste ricerche?» «No, certo, soltanto io e il mio piccolo dipartimento della Capanna 1. E, se devo essere sincera, mi sento una specie di sorellastra sventurata. Il mio lavoro è chiaramente considerato di riserva, nell'eventualità che quello di Champ Pollion non debba dare risultati. Ma la contropartita potrebbe essere enorme.» «Fermare il mondo avviato verso la catastrofe?» le chiese Sean, ripetendo le sue parole. «Ma che significato ha?» «Certe invenzioni, come la lampadina o gli antibiotici, aiutano l'umanità. Altre, come le armi nucleari, sono potenzialmente in grado di porre fine alla razza umana: ma c'è gente che continua a tirarne fuori di nuove e altra gente che continua a comprarle.» «Mi sento come Alice che passa attraverso lo specchio e scopre il Paese delle meraviglie.» «Non deve capire il nostro mondo, signor King. Deve soltanto scoprire che cosa è successo a Monk Turing.» «Mi chiamo Sean, diamoci del tu. Monk lavorava nel tuo dipartimento?» «No, in quello di Champ, non era un matematico ma un fisico. Però lo conoscevo.»
«Ebbene?» «Ho passato del tempo con lui e con Viggie, ma non potrei dire che lo conoscevo bene. Era un tipo tranquillo, metodico, riservato, non si dilungava mai sulla sua vita privata. Ora fammi la domanda scontata: Monk aveva nemici? Si occupava di qualcosa che avrebbe potuto segnare la sua fine? Roba del genere, insomma.» Sean sorrise. «Visto che le hai fatte tu, queste domande, dammi una risposta.» «Non ne ho, di risposte. Se si drogava, rubava o aveva deviazioni sessuali che lo hanno portato alla morte era riuscito a non farsene accorgere.» «Lo sapevi che è stato ucciso con la sua pistola, sulla quale c'erano le sue impronte digitali?» «È stato un suicidio, quindi?» «Non siamo al corrente ancora di tutti i fatti. Anche se, come hai detto, non lo conoscevi bene, ti è mai sembrato depresso o tendente al suicidio?» «Niente di tutto questo.» «Era un buon padre?» L'espressione di Alicia si ammorbidì. «Un buonissimo padre. Lui e Viggie giocavano per ore con la palla davanti casa, lui aveva addirittura imparato a suonare la chitarra per accompagnarla quando lei suonava il piano.» «Quindi passavi molto tempo con loro?» «Con Viggie, non con Monk. Forse la considero inconsciamente la figlia che non ho mai avuto.» «E a Monk la cosa stava bene?» «Lavorava moltissimo, come me d'altronde. Ma i nostri orari erano diversi e così a volte riuscivo a stare con lei quando il padre non c'era.» «Capisco. E la madre?» Alicia scosse il capo. «Non ho idea, non l'ho mai conosciuta.» A Sean in quel momento venne in mente una domanda che avrebbe dovuto forse fare a Rivest. «Monk aveva fatto qualche viaggio, di recente?» «Non di recente, qui non ti danno molte ferie.» Si fermò a riflettere. «Mi sembra che sia andato all'estero otto o nove mesi fa.» Sean drizzò le orecchie. «Sai dove?» Lei scosse il capo. «No, non me lo disse.» «Come fai allora a sapere che era andato all'estero?» «Ricordo che un giorno aveva detto di dover rinnovare il passaporto. Da quello, dal passaporto, forse potresti scoprire dove era andato.» Ma il passaporto è nelle mani dell'FBI. «Quanto tempo è rimasto via?»
«Due settimane circa.» «E chi è rimasto ad accudire Viggie?» «Io ho dato una mano, comunque Babbage Town ha incaricato alcune persone di stare con lei.» «E lei non era a disagio, circondata da sconosciuti?» «Forse Monk l'aveva preparata; se le aveva detto di stare tranquilla lei stava tranquilla: era fatto così il loro rapporto.» «Hai confidenza con Viggie?» «A volte. Perché?» «Potrei avere bisogno del tuo aiuto quando le parlerò.» «Che cosa vuoi che sappia Viggie? Che aiuto può mai dare alla tua indagine?» «Potrebbe sapere sul padre qualcosa in grado di spiegare quello che è successo.» «Se dovesse parlarti lo farebbe in un linguaggio non facilmente comprensibile.» Sean sorrise. «Ho la fortuna di avere come assistente una linguista di statura mondiale.» «A te non te ne frega niente se Monk Turing è stato ammazzato o se si è ammazzato, vero? Tanto ti pagheranno ugualmente, in un caso o nell'altro» disse lei in tono sprezzante. «Sbagli. Mi sta a cuore che l'assassino venga arrestato.» «Perché?» «Tecnicamente sono un investigatore privato, ma in realtà sono un poliziotto e noi poliziotti ragioniamo così. Per questo facciamo un lavoro che molti non sanno fare. Allora, mi hai detto che avevi alcune cose da farmi sapere ma ne ho sentita soltanto una.» Alicia lo guardò con una strana espressione. «Sono davvero stanca e quindi me ne vado a letto, la strada per uscire te la troverai sicuramente da solo.» Si riattaccò la protesi e cominciò a salire lentamente le scale. Uscendo, Sean fece scattare la serratura della porta di casa; se in giro c'era un assassino meglio non correre rischi. Poi, tornandosene alla sua stanza nella residenza, un pensiero prese a martellargli il cervello: In che casino mi sono infilato? 19 Dopo aver mollato Horatio, Michelle saltò il pranzo e andò a lavorare in
palestra con tale accanimento da ritrovarsi poco dopo sudata da capo a piedi. Si sentiva meglio, decise, le endorfine evidentemente stavano facendo ciò che Horatio Barnes non poteva fare. E cominciava lentamente a convincersi che quanto accaduto in quel bar era stato solo il frutto di una valutazione sbagliata, provocata probabilmente da qualche drink di troppo. Quanto prima sarebbe uscita da quella clinica per tornare da Sean e risolvere con lui i problemi degli altri. E Horatio poteva benissimo sbavare sulle disgrazie di qualcun altro. Tornò nella sua stanza per fare una doccia, poi si pettinò i capelli bagnati, li avvolse in un asciugamano e uscì dal bagno. Quindi, seduta sul letto, prese a passarsi sulle gambe una lozione idratante. Poi si voltò di scatto e fece cadere l'asciugamano sul pavimento. In piedi in un angolo della stanza, dietro una cassettiera, c'era Barry. Aveva fatto un passo avanti per farsi vedere, con un enorme sorriso stampato in faccia. «Ma che diavolo ci fai qui dentro?» gridò lei. «Cheryl non si è presentata alla seduta e mi hanno mandato a prenderla» rispose lui in fretta senza staccare gli occhi dal corpo nudo di Michelle. Lei sfilò un lenzuolo dal letto, ci si avvolse dentro e si alzò. «Non è qui, togliti dai piedi!» «Mi spiace di averti disturbato» fece lui, sempre con il sorriso sulle labbra. «Ti farò rapporto, brutto figlio di puttana.» Michelle era furiosa. «Lo so benissimo che cosa hai in mente.» «Mi è stato detto di venire qui a cercare una paziente e non è colpa mia se tu giri nuda nella tua stanza. Non l'hai letto il regolamento, dove si ricorda che di giorno le stanze sono considerate luoghi pubblici, e quindi il personale può entrare e uscire quando vuole? C'è anche scritto, a questo proposito, che i pazienti in cerca di privacy devono di conseguenza vestirsi e spogliarsi in bagno.» «Hai dedicato un'enorme attenzione a questa parte delle norme interne, mi sembra. Vediamo se indovino perché, signor Pervertito.» Lui indietreggiò verso la porta, sempre con lo sguardo sulle lunghe gambe nude di lei. «Se mi farai rapporto dovrò ben difendermi.» «Con questo che vorresti dire?» «Voglio dire che altre pazienti si sono abbassate a sedurre il personale maschile in cambio di un trattamento di favore, di piccoli piaceri, droga, sigarette, dolci, perfino vibratori. Io so solo che me ne stavo lì dietro quan-
do tu hai cominciato a esibire il tuo corpo nudo. Vuoi un vibratore, tesoro? Sono un dipendente serio e non posso riservarti trattamenti di favore. Mi spiace.» Michelle strinse i pugni, al colmo della rabbia. «Non potevo vederti, brutto bastardo. Ti eri nascosto.» «Lo dici tu che mi ero nascosto, io dico il contrario. Buona giornata.» Le lanciò un'ultima occhiata penetrante, poi girò sui tacchi e uscì. Michelle tremava per l'indignazione. Respirò ripetutamente a fondo per calmarsi, poi prese le sue cose e terminò di vestirsi in bagno. La porta non aveva, per ovvi motivi, la serratura e lei vi si appoggiò con la schiena nel caso quello tornasse con in mente qualcosa di più che una sbirciata al suo culo e alle sue tette. Si sentiva violata e, terminato di vestirsi, era indecisa se denunciare o meno Barry, quando entrò un'altra infermiera. «Devo accompagnarti alla seduta» le disse. «Quale seduta?» «Horatio Barnes te ne ha fissata una di gruppo nel pomeriggio.» «Non me l'aveva detto.» «È scritto sulla tua cartella clinica, io devo assicurarmi che tu ci vada.» Michelle esitò. Maledetto. «In quanti partecipiamo a questa seduta di gruppo?» «Dieci. Sono sicura che ti farà bene, e poi dura solo mezz'ora.» «Bene, togliamoci questo dente.» «Non è questo l'atteggiamento giusto» le fece notare la donna in tono di rimprovero. «In questo momento è l'unico atteggiamento a mia disposizione, cara signora.» La seduta era coordinata da un giovane medico che Michelle non aveva mai visto, per lei l'unica nota positiva era la presenza di Sandy. Andò subito a sederle accanto e in quel momento si aprì la porta ed entrò Barry, che rimase in piedi contro la parete. La pelle le pizzicava al sentirsi addosso gli occhi di lui; quell'imbecille l'aveva appena vista nuda e lei si sentiva morire. Nemmeno Sean l'aveva mai vista completamente nuda. Mentre il dottore distribuiva un po' di materiale informativo, Sandy si voltò verso Michelle e notò la sua espressione sofferente. «Stai bene?» «No, ma te ne parlo dopo. Come funziona questa seduta?» le sussurrò. «Lasciati guidare da me, andrà tutto bene. Questo strizzacervelli non è male, è pieno di buone intenzioni ma non ha la minima idea di come vada
il mondo.» «Che prospettiva stimolante» commentò Michelle. Al termine della seduta spinse la carrozzina dell'amica e passarono davanti a Barry, accanto all'uscita. «Buona giornata, care signore» disse lui, tenendo aperta la porta per farle passare e sorridendo a trentadue denti. «Vai a farti fottere!» ricambiò Michelle, così forte da farsi udire da tutti. Sandy fece una smorfia. «Ti prego, cara, evochi un'immagine sgradevole e io ho appena pranzato.» Barry non sorrideva più. Mentre accompagnava Sandy in camera, Michelle le raccontò l'episodio di Barry. «Mi hanno detto che si mette dietro la porta delle pazienti carine, aspetta di udire lo scroscio della doccia e poi entra a dare una sbirciatina.» Michelle sembrò indignata. «Ma se lo sanno tutti, che cosa aspettano a licenziarlo?» «I pazienti hanno paura di parlare. Cerca di capire, la maggior parte di noi è incasinata, vulnerabile. E quindi non nelle condizioni ideali per difendersi da quello stronzo.» «Mi piacerebbe passare cinque minuti sola con lui; alla fine la sua faccia sarebbe ancora più brutta.» «Mi sembra difficile» replicò Sandy. Entrarono e Michelle notò sul comodino un grosso mazzo di fiori. «Hai un ammiratore segreto?» chiese all'amica. «Ogni donna ne ha uno.» Sandy prese tra le dita un petalo. «A proposito di ammiratori, chi era quell'uomo alto e affascinante con cui parlavi quando sei arrivata?» «Sean King, il mio partner.» «Partner? E ancora niente anello?» «Partner nel senso di socio, abbiamo un'agenzia d'investigazioni.» «Sei un'investigatrice?» «Ho lavorato nel Servizio segreto.» «Non hai l'aria della federale.» «Perché, noi federali dovremmo avere un'aria particolare?» «No, certo. Ma di solito so distinguere i buoni dai cattivi.» «Hai avuto molte esperienze con entrambe le categorie?» «Diciamo che ho avuto molte esperienze, punto e basta.» Le dette una leggera pacca sulla mano. «Dimmi, con questo Sean King non è successo
niente al di là del lavoro?» «Mi sembra di sentire il mio strizzacervelli.» «È bello dentro come è bello fuori?» «Anche meglio.» «E allora, tesoro, posso chiederti perché non vedo un anello al tuo dito?» «Siamo soci in affari.» «Ci sono tanti modi di guadagnarsi da vivere. Ma so per esperienza che per una donna trovare un bell'uomo dal cuore d'oro è facile come uscire da un bar senza che qualcuno le dia una palpata sul culo. Se lo trovi, quindi, accaparratelo prima che lo faccia qualcun'altra.» Michelle pensò a Sean che lavorava con Joan, mentre lei era chiusa là dentro a farsi frugare nell'anima da Horatio "Harley-Davidson" Barnes e a farsi spiare da Barry. «Non è così semplice» disse alla fine. «Proprio quello che le donne continuano a ripetersi, in parte perché per una donna nulla è semplice. È semplice per gli uomini perché, che Dio li protegga quei piccoli bastardi, non riescono a vedere al di là di ciò che riescono a palpare.» «Sean è diverso.» «Come volevasi dimostrare. Lascia perdere le complicazioni e scegli la strada semplice. Un anello al dito, non serve altro.» «Ammesso, ma non concesso, che io sia disposta: e se lui non lo fosse?» Sandy la squadrò attentamente. «In questo caso, francamente, avrebbe bisogno più di te di stare qui dentro. Sarà anche un palmo al di sopra degli altri, questo Sean, ma immagino che qualcosa dietro la cerniera ce l'abbia anche lui.» «Non si può fare affidamento sull'attrazione fisica nel lungo periodo.» «Certo che no! Ma tu attirali con le tue curve, tirateli in casa e sfrutta il tempo fino a quando il fisico non ti aiuterà più.» «Sei mai stata sposata?» «Sì, per dieci minuti.» «Un divorzio rapido, quindi.» «No, mi hanno sparato subito dopo il matrimonio riducendomi così. A quello che è stato per dieci minuti mio marito è andata peggio.» «Mio Dio, è stato ucciso? Durante la cerimonia?» Sandy annuì. «Chi mi ha organizzato il matrimonio è rimasta senza parole. Si era data tanto da fare per i gamberetti e la scultura di ghiaccio, ma nell'emergenza non ha saputo che pesci prendere.» «Com'è successo?»
Sandy si trasferì con una certa destrezza dalla carrozzella al letto. Indossava una maglietta a maniche corte e Michelle notò i rigonfiamenti dei tricipiti e le vene su entrambi i bicipiti. «Ciò che è accaduto risale a molto tempo fa» rispose l'amica sedendosi sul bordo del letto. «L'amore della mia vita è stato mio ufficialmente per dieci minuti ma, credimi, meglio così che passare l'esistenza accanto a un altro. Quindi pensa al tuo signor King, pensaci a lungo e a fondo, e renditi conto che non l'avrai sempre a disposizione. Perché ci sono in giro tante donne che se ne fregano delle cose complicate e si prendono ciò che vogliono, tesoro mio. Si prendono ciò che vogliono.» 20 La prima notte a Babbage Town Sean l'aveva passata fra tentativi di prendere sonno e occhiate dalla finestra all'oscurità che circondava il comprensorio. La sua stanza si trovava al secondo piano dell'edificio principale e la finestra si affacciava sull'area dove abitava Champ Pollion. A una certa distanza si vedeva la Capanna 1 della quale era responsabile Alicia Chadwick, tanto schietta quanto invalida. I fregi ornamentali del palazzo erano di gusto europeo e ogni stanza, non tardò a scoprire, aveva in dotazione un computer con collegamento a Internet ad alta velocità. Verso le due di notte notò del movimento nei pressi della casa di Champ. Pensò che l'uomo che vedeva salire i gradini e poi entrare fosse proprio lo scienziato, ma la luce della luna era debole e lui non poteva esserne certo. Poi udì un rumore che lo colse assolutamente di sorpresa: allora spalancò la finestra e guardò fuori. Era un aereo in fase di atterraggio e non un aereo qualsiasi ma un jet, un grosso jet a giudicare dal rombo dei motori. Allora Sean si sporse dalla finestra ma non vide nulla, nemmeno un balenio di luci contro il cielo scuro. Rimase ad ascoltare e udì i motori ruggire in senso contrario per frenare la corsa del bestione che aveva appena toccato terra. Ma dove era atterrato? A Camp Peary? All'arsenale navale? E perché un grosso jet senza luci era arrivato in piena notte dall'altra parte del fiume? Circa due ore dopo si svegliò di nuovo e si portò una sedia accanto alla finestra. Vide in mezzo al sentiero due guardie che chiacchieravano sorseggiando caffè, e anche da lassù riusciva a sentire il gracidio delle loro radio portatili. Alle cinque rinunciò definitivamente a dormire, si fece una doccia, si ve-
stì, si mise in spalla uno zainetto e scese nell'ampio salone dalla volta a botte, dal quale proveniva profumo di caffè e di uova con il bacon. Fece colazione, si riempì una tazza di caffè e se la portò dietro fino al banco della sicurezza accanto all'ingresso principale della residenza. Lì mostro la sua targhetta a una guardia grande e grossa, che annuì ma non disse una parola mentre faceva passare la targhetta dentro una scanalatura in cima al suo computer. Evidentemente vogliono sapere ogni momento dove si trova qualcuno, pensò. Compreso l'investigatore che hanno assunto. «Ha sentito qualche ora fa l'aereo che atterrava?» chiese al vigilante. Quello non aprì bocca e gli restituì la targhetta, riportando lo sguardo sul monitor. «Anch'io ti voglio bene» borbottò Sean allontanandosi. C'era ancora buio e rimase per un po' a riflettere sul da farsi. Alicia si sbagliava, lui non pensava soltanto ai soldi ma voleva scoprire che cosa era successo a Monk Turing. Ogni bambino dovrebbe sapere che cosa è successo a suo padre o sua madre e ogni assassino dovrebbe ricevere la sua punizione. Dov'era andato Monk, quando aveva lasciato gli Stati Uniti otto o nove mesi prima? Se aveva viaggiato normalmente, su uno dei soliti voli internazionali, la sua destinazione sarebbe dovuta risultare dal passaporto. Ma se avesse usato una falsa identità, o una compagnia non americana? Era forse una spia? Era andato a consegnare i segreti di Babbage Town a un Paese disposto a pagarli a caro prezzo? Si riempì i polmoni di quell'aria fresca, non contaminata dai fumi tossici della Washington Beltway, e rimase qualche istante ad ascoltare il tramestio del boschetto vicino. Scoiattoli e cervi, probabilmente, perché gli esseri umani muovendosi producono rumori diversi. Sean era addestrato a capire che cosa si cela dietro i movimenti di una persona, non era poi così difficile da fare. Molti non riescono a nascondere le loro intenzioni, neanche quando è in ballo la loro vita: altrimenti non sarebbero soltanto quattro i presidenti degli Stati Uniti morti ammazzati. Sean aveva qualche amico nell'FBI, nel reparto specializzato nel recupero degli ostaggi, e si era addestrato a Camp Peary, con le unità paramilitari della CIA: quelle che andavano in giro per il mondo a fare cose delle quali nessuno della CIA, o in ogni caso di un ente governativo, avrebbe mai parlato. E lui non aveva alcuna intenzione di incrociare il suo cammino con il loro. Qualcosa del genere era invece successa a Turing?
Continuò a camminare fino a quando non arrivò a casa di Rivest, ma era ancora presto e Rivest la sera prima aveva alzato il gomito. Decise quindi di lasciarlo dormire, gettò la tazza in un cestino dei rifiuti, superò la palazzina della sicurezza, un edificio basso e piatto che sembrava un garage, e imboccò un viale ghiaioso seguendo i cartelli che indicavano la strada per la rimessa delle barche. Poco dopo la foresta l'inghiottì. Impiegò venti minuti per lasciarsi alle spalle gli alberi e arrivare alla sponda del fiume York e alla rimessa di Babbage Town, vicina a un molo che si protendeva sulle acque calme e profonde di quell'ampio fiume. Era una lunga struttura in legno di cedro dipinta di giallo, con diversi scivoli ognuno dei quali chiuso da una porta tipo box. Tentò di aprire la porta della rimessa, ma era chiusa a chiave. Allora sbirciò da una finestrella e riuscì a intravedere le sagome di diverse imbarcazioni. Poi salì su una piccola darsena galleggiante attraccata alla rimessa e vide un certo numero di kayak sollevati sui sostegni e due canoe assicurate ad altrettanti tacchetti. Uno degli scivoli era aperto e dentro c'era una gru dalla quale pendevano tre moto d'acqua coperte da un telone. Se Monk aveva preso una di quelle per andare a Camp Peary, chi l'aveva riportata poi alla base? I morti non se la cavano bene come marinai. Il sole cominciava a salire, versando chiazze di luce sulla piatta superficie dell'acqua e facendo luccicare il filo spinato sulla sponda opposta. Sean estrasse dallo zainetto un binocolo, poi scese fino alla riva sabbiosa fin quasi a toccare l'acqua e puntò il binocolo sull'altra sponda, ma non vide nulla di particolarmente interessante. In mezzo al fiume galleggiavano abbandonate un paio di nasse per granchi, dalle profondità dello York spuntavano i pali indicatori del livello del fiume, davanti ai suoi occhi volò basso uno snello airone alla ricerca della prima colazione in quell'acqua torbida. Si chiese dove potesse trovarsi una pista di dimensioni sufficienti per l'atterraggio di un grosso jet, poi guardando alla sua sinistra vide al di là della linea degli alberi una radura erbosa. La pista doveva avere inizio subito dopo quella radura. In fondo, alla sua sinistra, alcune gru protendevano verso il cielo i loro lunghi bracci. Doveva trovarsi lì il Cheatham Annex, pensò. La Marina. Prima di arrivare a Babbage Town aveva visto dall'auto un cacciatorpediniere color canna di fucile attraccato al molo davanti all'arsenale navale. La zona pullulava di militari, e questo per qualche motivo non lo tranquillizzò.
Il rametto cadde dall'albero colpendolo sul capo e Sean si gettò a terra, non per l'impatto con il ramo ma per quello, ben più temibile, con qualcos'altro. Doveva essere stato un fucile a lunga gittata, il proiettile aveva spezzato il rametto proprio sopra la sua testa. Si accovacciò nell'erba alta. Ma chi diavolo gli aveva sparato? Dopo un minuto circa si azzardò a dare una sbirciata dall'altra parte del fiume, il colpo doveva essere stato sparato da là. La domanda a quel punto era scontata: chi aveva sparato voleva solo spaventarlo e l'aveva mancato di proposito, o al posto del rametto avrebbe dovuto esserci il suo cervello? La domanda trovò una risposta subito dopo, quando un altro proiettile gli sibilò sopra il capo mancandolo per pochi centimetri. Chi stava sparando voleva ucciderlo. Allora si rotolò sulla sabbia e la terra, cercando di appiattirsi al suolo quanto più possibile. Attese due minuti e, non udendo altri spari, prese a strisciare all'indietro attaccandosi ai ciuffi d'erba, come un serpente che attraversa sinuoso un prato, ma muovendosi all'indietro. Arrivò così all'erba alta e poi al bosco. Una volta al riparo di una robusta quercia, si tirò su e si mise a correre a zigzag tra gli alberi, in direzione di Babbage Town. Raggiunse finalmente il sentiero e puntò subito sul bungalow di Len Rivest. Una volta lì bussò ripetutamente ma nessuno andò ad aprirgli. Allora spinse la porta ed entrò. «Len! Len! Mi hanno appena sparato.» Al piano terra non c'era nessuno. Salì le scale due gradini alla volta, spalancò la prima porta che si trovò davanti e si fermò ansando. Len Rivest giaceva nudo dentro la vasca da bagno dai piedi a zampa di leone e i suoi occhi fissavano, senza vederlo, il soffitto celeste. 21 Horatio Barnes, seduto alla sua scrivania, stava studiando una carta geografica sulla quale era indicato il paesino del Tennessee dove Michelle viveva quando aveva sei anni. Dal fratello di lei, Bill Maxwell, aveva saputo che c'era una notevole differenza di età tra lei e il più giovane dei fratelli. Poteva essere stata concepita per sbaglio, rifletté. E sapeva bene che uno sbaglio del genere può avere conseguenze pesanti su un bambino. Attraverso alcune conoscenze era riuscito a sapere qualcosa del passato
di lei nel Servizio segreto, qualcosa da cui emergevano le caratteristiche che lui conosceva: fissata per il controllo della situazione, inflessibile con i subalterni ma ancora di più con se stessa, incorruttibile, equanime. I tratti distintivi di un buon agente federale, insomma. Grazie a quel lavoro era quasi riuscita a liberarsi delle sue paure, o perlomeno a controllarle; stessa cosa per la sua incapacità di fidarsi del prossimo: ma stranamente i due agenti con i quali lui aveva parlato separatamente avevano fatto la stessa osservazione. Entrambi, cioè, le avrebbero affidato la loro vita ma non erano mai riusciti a scoprire quale enigmatica persona si celasse dietro il giubbotto antiproiettile e la pistola Glock. Aveva già avuto pazienti del genere, Horatio, e aveva cercato di aiutarli tutti; ma nel caso di Michelle sentiva uno stimolo in più per farla guarire. E questo forse perché quella donna aveva rischiato la vita per il suo Paese, oppure perché era la migliore amica di Sean King, un uomo che lui rispettava come pochi altri. O forse perché avvertiva in lei la presenza di una ferita talmente profonda da fargli desiderare di aiutare quella paziente a cancellarla, se avesse potuto. C'era poi un ulteriore motivo, del quale non aveva parlato né con Sean King né con Michelle. Chi tenta di porre fine ai propri giorni, anche se in maniera dilettantesca al primo tentativo, migliora man mano la tecnica fino a che - al quarto, al quinto o al sesto - si ritrova su un tavolo di marmo con il coroner che fruga tra i suoi resti. E Sean non poteva permettere che qualcosa del genere accadesse a Michelle Maxwell. Horatio aveva in programma una settimana di vacanza e nei suoi piani c'erano immersioni subacquee con gli amici in California. E invece comprò on-line un biglietto aereo per Nashville. 22 All'una di notte Michelle udì di nuovo quei passi in corridoio. Allora scese dal letto e scivolò fuori dalla stanza. Era sempre più motivata a scoprire che cosa stesse combinando Barry il guardone. Percorse il corridoio semibuio uniformando i propri passi a quelli leggeri che udiva davanti a lei, poi arrivata alla fine sbirciò dietro l'angolo e vide subito una luce accesa all'altra estremità. Allora si spinse un po' avanti per capire che luce fosse e scoprì che proveniva dalla farmacia. All'interno c'era un uomo, e quando passò davanti alla finestrella al centro della porta lei si accorse che non era Barry, ma lo stesso ometto che aveva già visto lì dentro. Un po' tardi per
preparare ricette, pensò. In quel momento accanto alla porta della farmacia si materializzò un'altra figura, quella di Barry. Che si guardò attorno cautamente e poi entrò, richiudendosi la porta alle spalle. Michelle azzardò qualche passo in avanti per vedere meglio. Poi le venne in mente una cosa: che cosa ci faceva là dentro a quell'ora Barry, che aveva già lavorato nel turno di giorno? Aveva già notato che il personale faceva turni di dodici ore, dalle otto di mattina alle otto di sera. Barry aveva quindi smontato cinque ore prima: era forse impegnato in un personalissimo straordinario? Poi Michelle udì, prima ancora di vederne la fonte, un leggero cigolio di gomma sul linoleum e sulle prime pensò alle scarpe da ginnastica che portavano le infermiere. Ma vide subito dopo spuntare la sedia a rotelle con a bordo Sandy, vestita di tutto punto, che la spingeva energicamente nella sua direzione. Poi Sandy si fermò e si mise a fissare la porta della farmacia. Michelle ritrasse il capo dietro l'angolo quando la donna si voltò di scatto nella sua direzione. Un minuto dopo provò nuovamente a sbirciare, ma Sandy era scomparsa. E cinque minuti dopo Barry uscì dalla farmacia insieme all'altro uomo, che chiuse a chiave la porta. Fortunatamente per Michelle si incamminarono entrambi nell'altra direzione. Quando l'eco dei loro passi svanì lei si avvicinò con cautela alla farmacia. Si era sorpresa notando che entrambi gli uomini se n'erano andati a mani vuote: che cosa c'era in ballo? Poi rivolse la sua attenzione all'altro corridoio, quello sul quale si apriva la stanza di Sandy, e lo risalì a passi lenti e silenziosi, strisciando lungo la parete. La stanza di Sandy, vista dal vetro della porta, era immersa nell'oscurità e sul letto Michelle riuscì a distinguere la sagoma immobile della donna, che stava evidentemente fingendo di dormire. Ma perché era andata a tenere d'occhio la farmacia? Anche lei faceva forse parte del piano di Barry, quale che fosse questo piano? Michelle non voleva crederci ma non poteva nemmeno scartare un'eventualità del genere. Allora tornò nella sua stanza, ma il sonno tardava a venire. Si girò e rigirò nel letto per diverse ore, formulando una serie di teorie - ognuna più improbabile dell'altra - in grado di spiegare ciò che aveva appena visto. Si svegliò di buon'ora e scese a fare colazione, per poi partecipare a un'altra seduta di gruppo che Horatio aveva organizzato proprio per lei, a cui sarebbe seguita una seduta singola. Alla fine, Michelle puntò decisa verso la stanza di Sandy e la trovò. Ma non era sola. «Che cosa è successo?» chiese. La donna si agitava gemendo sul letto,
attorno al quale c'erano un medico, due infermiere e un addetto alla sicurezza. Un'infermiera si girò verso di lei. «Ritorni nella sua stanza, per favore. Subito.» La guardia le si parò di fronte. «Subito» ripeté. Michelle si voltò e uscì, ma non fece molta strada e si fermò. La sua attesa fu premiata pochi minuti dopo, quando il gruppetto uscì dalla stanza di Sandy e le passò davanti. Sandy, che sembrava finalmente dormire, era legata con le cinghie a una barella e aveva l'ago della flebo infilato nel braccio. Gli anni di Servizio segreto fecero istintivamente abbassare lo sguardo di Michelle sulle mani della paziente e ciò che vide la lasciò perplessa, visto che Sandy ci teneva moltissimo all'aspetto esteriore. Allora attese che il gruppetto svoltasse dietro l'angolo del corridoio, poi si precipitò nella stanza di Sandy chiudendosi la porta alle spalle. Si sentiva un po' in colpa, ma soltanto un po', perché stava per approfittare dell'infermità di Sandy per perquisirle la stanza. La perquisizione fu piuttosto breve, la donna si era portata pochissimi effetti personali. E tra questi, notò Michelle stupita, non c'erano fotografie di familiari o amici. Tutto sommato, pensò poi, nemmeno io ne ho portate; ma, a giudicare dal tono di rimpianto con cui Sandy le aveva parlato del marito, lei si sarebbe immaginata di trovare almeno una sua foto. O forse la vedova non voleva ricordare la fine orribile di quel poveretto. Guardandosi attorno le cadde lo sguardo sul mazzo di fiori. Allora esaminò attentamente il tavolino su cui era stato posato, passò il dito sulle particelle di terriccio finite sulla superficie e altre ne vide poi sul pavimento. Era questa la nota stonata delle mani di Sandy, quei granelli di terriccio: quasi che lei... Attraversò di corsa la stanza e andò ad appiattirsi contro la parete accanto alla porta. Fuori c'era qualcuno. La porta si aprì lentamente e lei si spostò per non venire inquadrata nel vetro. Quando la persona entrò e si avvicinò al letto, lei gli scivolò alle spalle e uscì in silenzio, per poi voltarsi rapidamente a guardare. Era Barry. Allora corse lungo il corridoio fermandosi al banco delle infermiere. «Ho visto qualcuno infilarsi in camera di Sandy e non credo che sia permesso, perché lei è malata» disse all'infermiera di turno. Che andò immediatamente a controllare. Michelle corse in camera sua andando quasi a sbattere contro Cheryl, che ne stava uscendo sempre con la sua cannuccia in bocca. Non voleva
rimanere sola, temendo di ricevere una visita di Barry in cerca di rivincita. Né poteva fare affidamento sull'infermiera alla quale aveva fatto quella denuncia, e che anzi poteva avercela con lei per averla fatta precipitare in camera di Sandy trovandoci dentro Barry. Perché, come le aveva ricordato quel bastardo, il personale poteva entrare liberamente nelle stanze delle pazienti. «Ciao, Cheryl, ti va di fare due chiacchiere?» Quella smise per un attimo di ciucciare dalla cannuccia e guardò Michelle come se la stesse vedendo per la prima volta. «Voglio dire, siamo compagne di stanza e non ci conosciamo ancora bene. Mentre mi sembra di ricordare che il manuale dei pazienti ci esorta a interagire, come forma di terapia. Una specie di strip-tease dell'anima tra noi ragazze, sai.» L'invito di Michelle era visibilmente così poco sincero che Cheryl tirò avanti dopo aver dato un'altra bella succhiata rumorosa alla sua cannuccia. Michelle s'infilò nella sua stanza, appoggiandosi con la schiena contro la porta. Passarono venti minuti e Barry non si fece vedere. Lei non temeva fisicamente quell'uomo, era il classico bullo che sarebbe fuggito a gambe levate appena qualcuno gliele avesse date un po' più forte. Ma Barry avrebbe potuto farle del male in un altro modo, accusandola di qualche grave mancanza o infilandole nel letto qualche medicinale rubato. Che cosa sarebbe successo se avessero creduto a lui e non a lei? L'avrebbero tenuta lì dentro contro la sua volontà? Sarebbe andata in prigione? Chinò il mento sul petto mentre un orribile senso di depressione le si abbatteva sulle spalle. Vieni a tirarmi fuori da qui, Sean. Ti prego. Poi, all'improvviso, si rese conto di qualcosa di fin troppo ovvio. Si trovava lì di sua volontà, e quindi come era entrata poteva andarsene a suo piacimento. Anche subito. Si sarebbe sistemata nell'appartamento preso in affitto da Sean, fermandosi un giorno per scaricare la tensione, e poi avrebbe raggiunto l'amico. Lui probabilmente in quel momento aveva bisogno del suo aiuto: a un certo punto di ogni indagine ne aveva sempre bisogno. Uscì di corsa dalla stanza andando quasi a sbattere contro un'infermiera che stava per entrare. Allora fece un passo indietro. «Sì?» «Sandy vuole vederti, Michelle.» «Sta bene?» «È in condizioni stabili. E ha qualcosa da dirti.»
«Che c'è che non va?» «Temo di non poterne parlare.» Certo che non puoi, borbottò seguendo l'infermiera. Poi accelerò il passo. Voleva vedere Sandy, ne aveva proprio una gran voglia. 23 Horatio Barnes al volante della sua auto appena noleggiata uscì dal parcheggio dell'aeroporto di Nashville e un'ora dopo si trovò nel cuore del Tennessee rurale, alla ricerca del paesino dove Michelle Maxwell abitava quando aveva sei anni. Lo trovò dopo una serie di svolte sbagliate e di snervanti ritorni al punto di partenza. Arrivato nel centro di quel paese quasi in abbandono si fermò, andò a chiedere informazioni in un negozio di ferramenta e quindi si rimise al volante puntando in direzione sud-ovest. Sudava copiosamente perché la tariffa pagata all'autonoleggio non sembrava abbastanza per un'auto con l'aria condizionata. La zona dove aveva vissuto Michelle doveva chiaramente aver conosciuto tempi migliori. Le case erano vecchie e cadenti, i praticelli spelacchiati. Seguendo i numeri sulle cassette della posta trovò la casa dei Maxwell, staccata dalla strada e con un giardino abbastanza grande al centro del quale spiccava una quercia moribonda. Da un ramo della quercia pendeva uno pneumatico attaccato a una fune consumata, di lato si vedeva un pick-up Ford degli anni Sessanta che poggiava su quattro blocchi di calcestruzzo. Sean notò poi i monconi slabbrati dei picchetti che un tempo sostenevano la staccionata del giardino. La vernice sulle assicelle che ricoprivano la casa era scrostata e la portazanzariera staccata dai cardini giaceva sui gradini. Non si capiva se quella casa fosse o meno abitata. Sembrava essere stata messa in piedi a puntate e quindi doveva trattarsi di una vecchia fattoria; probabilmente i proprietari a suo tempo l'avevano venduta insieme con la terra a un'immobiliare, e attorno a quella casa colonica era sorto un piccolo quartiere. Sean si chiese come dovesse sentirsi una bambina cresciuta in quella casa con la compagnia dei soli genitori, dopo che gli amati figli maschi diventati uomini se n'erano andati di casa. Ed ebbe nuovamente il sospetto che il concepimento di Michelle fosse stato accidentale. Forse questo aveva condizionato il comportamento dei genitori? Lui sapeva per esperienza che in casi del genere il bambino inatteso poteva essere adorato o ignorato: a te com'è andata, Michelle?
Accostò al margine del vialetto ghiaioso, scese e si guardò attorno, asciugandosi il sudore dal viso con un fazzoletto. In zona, almeno apparentemente, non erano stati istituiti turni di guardia perché nessuno sembrò fare caso a lui. Probabilmente lì dentro non c'era nulla da rubare. Si incamminò allora sul vialetto e una parte di lui si aspettava che da un momento all'altro spuntasse da dietro quella casa fatiscente un vecchio cane con le zanne in vista, pronto a conficcarle in una bella gamba grassoccia. Ma nessuno, animale o essere umano, gli andò incontro per dargli il benvenuto o per attaccarlo. Salì in veranda e sbirciò dal vano della porta abbattuta. Il posto sembrava abbandonato, a meno che chi vi abitava non si stesse ispirando a un nuovo concetto di minimalismo. «Posso aiutarla?» chiese una voce decisa. Si voltò di scatto e vide al termine del vialetto una donna giovane, bassa e paffuta con indosso un prendisole scolorito, che si teneva contro il fianco sinistro un bambino piuttosto in carne. Aveva i capelli scuri e ricci, che l'umidità le aveva attaccato al cranio come uno zucchetto. Le si avvicinò. «È quello che spero. Sto cercando di sapere qualcosa su quelli che una volta abitavano qui.» La donna puntò lo sguardo dietro di lui. «Vuol dire i barboni, i tossici, o le troie?» Sean seguì lo sguardo di lei. «Ah, è a questo che serve ora la casa?» «Prego il Signore che fulmini quei peccatori.» «Immagino che i peccatori non vengano qui in pieno giorno, ma soltanto di notte.» «Non esiste una legge che ci obblighi a rintanarci sotto le coperte quando si fa buio. Quindi vediamo il male, ed è proprio il male.» «Mi dispiace veramente, però non stavo parlando del... sì, del male, ma di una famiglia che abitava qui una trentina di anni fa, i Maxwell.» «Come faccio a saperlo? Noi abitiamo qui da appena cinque anni.» «E non c'è nessuno in grado di darmi qualche informazione?» La donna puntò un dito grassoccio contro la casa. «Per colpa del male, nessuno vuole fermarsi troppo da queste parti.» Il bimbo fece un singhiozzo e dalla bocca gli scese un rivolo di saliva, che lei asciugò con uno straccio tirato fuori di tasca. Horatio le porse un biglietto da visita. «Se le dovesse venire in mente qualcuno in grado di aiutarmi può chiamarmi a questo numero.» La donna studiò il biglietto. «Lei è uno strizzacervelli?» «Qualcosa del genere.»
«Di Wash-ing-ton?» Pronunciò quel nome con un marcato tono di scherno. «Questo è il Tennessee.» «Ho clienti dappertutto.» «Perché cerca notizie su questi Maxwell?» «È una faccenda riservata. Posso dirle comunque che sto cercando di aiutare uno dei miei pazienti.» «Quanto valgono per lei queste notizie?» «Pensavo che non li conoscesse.» «Ma so di qualcuno che potrebbe averli conosciuti. Mia nonna. Ci ha lasciato questa casa quando se n'è andata a stare all'ospizio ma prima ha abitato qui per... vediamo un po', quarant'anni come minimo. Il nonno è sepolto nel giardino dietro casa.» «Carino.» «L'erba cresce benissimo in quel punto, gliel'assicuro.» «Non ne dubito. Mi dica, è lontano da qui l'ospizio dove è ricoverata sua nonna?» «Circa un'ora di macchina. È un ospizio pubblico perché lei non poteva permettersi nulla di più. Per questo ci ha lasciato la casa, per avere diritto all'assistenza, per non far sapere che aveva qualcosa di sua proprietà.» «Vuol dire beni che avrebbe potuto usare per pagarsi l'assistenza?» «Esatto. Il governo cerca di fotterti in tutti i modi e noi dobbiamo combattere per avere ciò che ci spetta. Di questo passo tra pochi anni saranno i messicani a mandare avanti questo maledetto Paese.» Sollevò gli occhi al cielo. «Signore, fammi cadere stecchita prima che ciò avvenga.» «Attenta con queste richieste. Crede che sua nonna sarebbe disposta a parlare con me?» «Forse. Ha i giorni sì e i giorni no. Io cerco ogni tanto di andarla a trovare ma ho il bambino, più altri che vanno a scuola, e la benzina non è precisamente a buon mercato, non trova?» Lo studiò. «Allora, quanto valgono per lei queste informazioni?» gli chiese di nuovo. «Dipende da quello che sua nonna mi dirà.» Horatio rimase a osservarla. «Diciamo che se l'informazione sarà utile darò a sua nonna cento dollari.» «Li darà a mia nonna? Ma mia nonna non sa che farci con i soldi, dovrà darli a me quei cento dollari.» Horatio sorrise. «D'accordo, li darò a lei. Può fare in modo che la incontri?» «Visto come abbiamo raggiunto l'accordo forse è meglio che venga anch'io, non vorrei che lei poi se ne andasse dimenticandosi di pagare.»
«Quando possiamo muoverci?» «Il mio uomo torna a casa alle sei, appena arriva possiamo partire in modo da arrivare là dopo cena. Ai vecchi non piace che qualcuno interrompa la loro pappa.» «Okay. Mi potrebbe dare il nome di sua nonna e quello dell'ospizio?» «Ho la faccia da stupida? Lei mi segua con la sua auto e io la porterò da mia nonna.» «Benissimo. Che cosa intendeva prima per giorni buoni e giorni no?» «Intendevo dire che si sta rincretinendo, ha dentro di sé quel demone.» Queste ultime parole fecero temere a Horatio che quella giovane donna fosse completamente fuori di senno. Poi però capì che cosa aveva voluto dire. «Sta parlando di demenza senile?» «Proprio così. Quindi dovrà tirare i dadi e sperare che esca il numero giusto.» «Capito. Be', grazie per la collaborazione, signorina...» «Linda Sue Buchanan. Gli amici mi chiamano Lindy ma lei non è un mio amico e quindi per il momento rimango Linda Sue.» «E lei può chiamarmi Horatio.» «È proprio uno strano cazzo di nome.» «E io sono proprio uno strano cazzo di tipo. Allora, ci vediamo qui alle sei. A proposito, Linda Sue, quel tesorino che ha in braccio le ha appena vomitato su una scarpa.» La lasciò che imprecava e si strofinava la scarpa sull'erba. 24 Sandy se ne stava seduta sul letto e sembrava stare molto meglio. L'infermiera le lasciò sole e Michelle si avvicinò al letto e prese tra le sue una mano della donna. «Che cosa diavolo ti è successo?» le chiese. Sandy sorrise facendo con l'altra mano un gesto distratto, ma contemporaneamente quella tra le mani di Michelle si irrigidì. «È qualcosa che mi succede di tanto in tanto, tesoro, nulla di cui preoccuparsi comunque. Il mio vecchio fisico malandato arriva allo stremo delle forze e tutto dentro di me sembra esplodere, allora mi danno qualche tranquillante e torno quella di prima.» «Sei sicura di star bene?» «Certo.»
«Pensavo ti fosse venuto un colpo apoplettico o qualcosa del genere.» «Capisci allora perché non riesco a tenermi un lavoro? Pensa che bel pilota d'aereo sarei stata.» Finse di parlare al microfono dell'interfono. «Signore e signori, è il comandante che vi parla. Stiamo per dare inizio alla nostra discesa all'inferno e chi si trova ai comandi dell'aereo, cioè io, sta per trasmettervi tutta la sua agitazione! Stringete le chiappe, quindi, mentre tento di far posare al suolo questa bella creatura metallica.» Fece una debole risatina e lasciò andare la mano di Michelle. «Mi dispiace, Sandy. Mi dispiace veramente.» «È una specie di incerto del mestiere, ormai mi ci sono abituata.» Michelle esitò. «Sono venuta in camera tua dopo che ti avevano portato via ma non so perché l'ho fatto, forse ero come intontita. Poi ho sentito arrivare qualcun altro e mi sono nascosta dietro la porta. Era Barry.» Sentendo quel nome Sandy si tirò a sedere più su. «Ti ha vista?» «No, me la sono svignata subito. Ma ho riferito il fatto alla caposala, e avrei potuto evitarlo. In questo momento sta probabilmente pensando a come vendicarsi.» «Che cosa poteva volere dentro la mia stanza?» «Magari voleva soltanto vedere che cos'era quel trambusto che aveva sentito. Oppure stava cercando qualcosa di valore che non era stato messo in cassaforte.» Sandy sbuffò. «Allora dovrà cercarlo nella mia cassetta di sicurezza in banca, perché è lì che tengo gli oggetti veramente di valore. In un posto del genere non mi porto certo i gioielli, perché sono sicura che al momento di andare via non li troverei più.» «Saggia donna.» Sandy tentò di tirarsi ancora su e Michelle le andò subito in aiuto. Sollevò coperta e lenzuolo scoprendo le gambe dell'amica, poi la prese alla vita e la fece scivolare sul cuscino, coprendole quindi di nuovo le gambe. «Sei forte» osservò Sandy «Anche tu hai una bella muscolatura.» «Dalla vita in su, certo. Ma le gambe sono deboli e magre come spaghetti.» Sospirò. «Avresti dovuto vederle una volta, facevano concorrenza a quelle di Ann Margret.» Michelle sorrise. «Non ne dubito.» Le gambe di Sandy si erano rinsecchite e per questo le aveva sollevato le coperte, per accertare che fosse effettivamente paralitica. L'istinto le diceva che in Sandy c'era qualcosa di stonato.
«Mi dai l'impressione di perdere troppo tempo a pensare» le disse Sandy. «Qui dentro non abbiamo molto altro da fare, non ti sembra?» Un'ora dopo Michelle prese parte a un'altra seduta di gruppo alla quale l'aveva iscritta Horatio Barnes. «Quando torna il signor Harley-Davidson?» chiese a un'infermiera. «Chi?» «Horatio Barnes!» «Non l'ha lasciato detto, ma quando non c'è lo sostituisce un suo collega molto bravo.» «Buon per lui.» Al ritorno dalla seduta, girando l'angolo di un corridoio, Michelle si trovò davanti Barry che veniva dalla direzione opposta. «Allora come sta la tua amichetta, Sandy?» le chiese mentre lei cercava di allontanarsi. Sapeva che non avrebbe dovuto abboccare ma qualcosa dentro di lei le impedì di trattenersi. Allora si voltò. «Sta benissimo. Hai trovato nulla dentro la sua stanza che valesse la pena rubare?» gli domandò allegramente. «Sei stata tu allora a denunciarmi all'infermiera?» «Ti ci è voluto tanto a capirlo? Sei proprio uno sfigato nato.» Lui le fece un sorrisetto beffardo. «Perché non affronti la realtà? Io posso andarmene quando voglio, tu invece sei una svitata bloccata qui dentro.» «Hai proprio ragione, sono una svitata. Una svitata capricciosa che ti può rompere l'osso del collo quando vuole.» Altro sorrisetto. «Stammi a sentire, ragazzina. Sono cresciuto nella zona più brutale di Trenton, e non sai nemmeno che cosa significhi brutale se non... Oh, merda!» Michelle aveva sfondato con un calcio la parete di cartongesso, a un paio di centimetri dalla testa di Barry. Ritirò lentamente la gamba e lo fissò, ancora rannicchiato con le mani a proteggersi il capo. «La prossima volta che proverai a fare lo stronzo con me o con Sandy non lo farò nella parete, il buco.» Si girò per andarsene, poi guardò il foro che aveva aperto con il calcio. «Ti conviene dare una pulita, Barry. Ci sono certe regole d'igiene da rispettare.» «Ti farò rapporto, dirò che mi hai aggredito.» «Fai pure. Io invece farò firmare una dichiarazione da tutte le donne che
hai sbirciato in camera loro; sono sicura che non vedono l'ora di mandarti in carcere.» «E chi vuoi che ci creda?» «Avresti una bella sorpresa, Barry, i numeri di solito significano qualcosa. E poi mi sa che, scavando un po', i tuoi precedenti non risulterebbero poi così immacolati. E puoi stare certo che io so dove guardare, segaiolo di merda.» Barry imprecò, fece dietrofront e si allontanò a passi pesanti. Tornando nella sua stanza Michelle rifletté sul fatto che c'era una cosa sola da fare con Barry. E decise in quel momento di dedicarvisi subito con tutte le proprie energie. Qualcosa, poi, le diceva da dove le sarebbe convenuto incominciare. 25 La polizia locale aveva fatto il suo lavoro, così come l'FBI nella persona dell'arcigno Michael Ventris. Il quale ascoltò senza degnarlo d'uno sguardo Sean che gli spiegava le circostanze in cui aveva trovato il cadavere di Rivest. «Perché era tornato qui?» gli chiese alla fine sempre più scontroso. «Eravamo d'accordo di vederci per parlare del caso. Quando ho bussato non è venuto ad aprirmi e così sono entrato.» Preferì non aggiungere che gli avevano sparato: il suo istinto in quel momento lo consigliava di capire prima bene come stavano le cose. «Mi avevano detto che quelli di qui avevano fatto venire un investigatore privato a ficcanasare. Sarebbe lei, quindi?» L'agente FBI non sembrava minimamente colpito. «Sono io.» «Le do un avvertimento: la prima volta che me la ritrovo tra i piedi sarà anche l'ultima. Capito?» «Capito.» Sean non si azzardò a chiedere perché diavolo l'FBI stesse indagando sulla morte di un privato cittadino: Rivest, a differenza di Monk Turing, non era stato rinvenuto cadavere all'interno di una proprietà federale. Le spoglie di Rivest furono trasferite all'obitorio di fortuna dove giaceva il cadavere di Monk, mentre lo sceriffo del luogo guardava la vasca da bagno vuota scuotendo il capo. Imitato da Sean, in piedi accanto a lui, i cui pensieri però - così credeva -erano alquanto più complessi di quelli che
stavano attraversando la mente dello sceriffo. Rivest era stato ucciso in un arco di tempo compreso tra l'ora in cui Sean l'aveva lasciato, attorno cioè alla mezzanotte, e quella in cui l'aveva trovato cadavere, ossia verso le sei e mezzo del mattino. Alle due di notte, inoltre, a Sean era sembrato di vedere Champ Pollion entrare nel suo bungalow: gli era sembrato, ma non ne aveva la certezza. «Sono lo sceriffo Merkle Hayes» disse quello, interrompendo le meditazioni di Sean. «Lei è Sean King, vero?» aggiunse poi. «Proprio così.» «Ex Servizio segreto?» «Come sopra.» Hayes doveva avere passato da poco i cinquanta e aveva capelli grigi corti, un principio di pancetta, gambe robuste, spalle ampie e ossute e la schiena leggermente curva che riduceva leggermente il suo metro e ottanta di altezza. «Ha una qualche idea di che cosa possa essere successo?» «Ieri ho passato la serata con Len, che forse aveva bevuto qualche bicchiere di troppo. L'ho lasciato a mezzanotte, sdraiato sul divano ciucco perso.» «Di che cosa avevate parlato?» Sean si aspettava quella domanda e anzi non capiva come mai Ventris non gliel'avesse fatta. «Un po' di tutto, della morte di Monk Turing, di Babbage Town.» «Secondo lei era tanto ubriaco da infilarsi nella vasca da bagno al piano di sopra e annegarci?» «Non me la sentirei di affermare con certezza che non lo era.» Hayes rimase in silenzio, annuendo mentre ascoltava quelle ultime parole. «Quando sono tornato qui la porta di casa non era chiusa a chiave» aggiunse Sean. «Ricordo che quando ero uscito avevo fatto scattare la serratura.» «Quindi o l'ha riaperta lui, oppure...» «Esatto.» «Abbiamo cominciato a chiedere in giro ma finora sembra che nessuno abbia visto niente. Naturalmente è l'FBI che ha preso in mano la cosa.» «Che cosa c'entra l'FBI? Rivest non era un dipendente federale, questa non è una proprietà federale e nessuno, mi sembra, ha commesso reati di competenza dell'FBI.» «Perché non andiamo a farci due passi?»
La casa di Rivest era stata isolata con il solito nastro giallo della polizia, ammesso che esista qualcosa tale da giustificare l'aggettivo "solito" a proposito di un possibile omicidio. L'ambulanza con a bordo il cadavere era scomparsa in fondo alla strada. Sean si voltò a guardare la piccola folla che si era raccolta di fronte al cottage e vide Alicia Chadwick e Champ Pollion che parlottavano sottovoce. Quando Alicia cercò di intercettare il suo sguardo, sperando di farlo avvicinare, lui lo distolse immediatamente. Non era ancora pronto per parlare con lei o con Champ. Hayes lo portò alla sua auto con targa civile, entrò e gli fece segno di sedersi accanto a lui. «Quello che sto per proporle potrà sembrarle non molto ortodosso, ma correrò il rischio» disse. «Che ne direbbe se io e lei lavorassimo insieme a questa indagine?» Sean sollevò un sopracciglio. «Insieme? Lei è lo sceriffo della contea, io sono un investigatore privato.» «Non intendevo formalmente. Mi sembra che noi due perseguiamo lo stesso obiettivo, quello di trovare l'assassino di Rivest.» «Non anche quello di Turing?» «Non sarebbe effettivamente la prima volta che un delitto viene fatto sembrare un suicidio.» «Era quello che sembrava pensare anche Rivest.» «Ah, sì? Interessante. E che altro le aveva detto a questo proposito?» «Nient'altro, praticamente. Ma ho avuto la sensazione che avrebbe preferito pensare a un omicidio piuttosto che a un suicidio, capisce che cosa intendo dire? Non che volere qualcosa sia sufficiente a farlo diventare vero.» «Ci sono diversi elementi a sorreggere l'ipotesi del suicidio: la sua pistola, le sue impronte digitali, il fatto che sia andato a Camp Peary di sua volontà.» «Turing, da quanto ho capito, non sembrava avere tendenze suicide.» «Non tutti gli aspiranti suicidi appaiono tali» gli fece notare Hayes. «Ho dato un'occhiata al suo dossier e ho letto qualcosa sui casi di cui si è dovuto occupare a Wrightsburg. Che ne dice, allora? Se devo mettermi contro l'FBI mi serve un po' d'aiuto.» «E se le dessi una risposta dopo averne parlato con i miei capi?» «E se mi dicesse "sì" e basta?» «Facciamo così, allora. Io dovrò occuparmi comunque del caso, anzi dei casi direi. Se scopro qualcosa, o se mi viene in mente qualcosa, le farò un fischio.» Studiò l'espressione di Hayes. «E viceversa, naturalmente.»
Hayes stette un po' a pensarci su, poi allungò la mano. «Affare fatto.» «Può fare qualcosa per me già da adesso.» «Che cosa?» «Portarmi all'obitorio a vedere il cadavere di Monk Turing.» 26 L'obitorio di fortuna era stato allestito in un ufficetto al centro del paese di White Feather, e ne era responsabile un medico legale inviato da Williamsburg che non sembrava affatto felice di trovarsi fuori dal suo ambiente. Il medico estrasse il cadavere di Monk Turing dalla cella frigorifera. Monk da vivo non era stato un bell'uomo e la morte non ne aveva migliorato l'aspetto. Era basso e nerboruto, con un pancione che però non si notava più a causa dell'incisione a Y che gli attraversava il corpo dal collo alla regione pubica. Sean tentò inutilmente di trovare una rassomiglianza con la figlia, che doveva evidentemente aver preso dalla madre. Il medico legale lesse scrupolosamente a Sean i primi dati dell'autopsia. Monk Turing, trentasette anni, altezza 167,5 centimetri, peso 73 chili, eccetera. A causarne la morte era stato chiaramente un colpo di arma da fuoco alla tempia destra. «Monk era destrorso, e questo particolare è compatibile con l'ipotesi del suicidio» osservò Sean. «È un punto a cui non sono ancora arrivato.» Il medico legale sembrava insospettito. «Lei come fa a saperlo?» «La mano destra è leggermente più grande e si vede qualche callo. Inoltre, ho visto a casa sua un guanto da baseball non adatto a un mancino.» Hayes annuì in senso di approvazione mentre il medico tornava ai suoi appunti. Sean riportò lo sguardo sulle mani del defunto. «Di cosa sono le tracce sulle mani?» «Terriccio sul palmo e le dita e poi qualche frammento rossastro» specificò il medico legale. Poi mostrò loro i frammenti con una specie di lente d'ingrandimento di alta tecnologia, per poi riabbassare la mano sulla lastra di marmo. «Sembrano macchie di ruggine» disse Hayes. «Turing potrebbe essersele procurate arrampicandosi sulla recinzione di Camp Peary.» Sean guardò il dottore. «Ha conservato gli indumenti che indossava?» Gli indumenti che poco dopo si misero a esaminare erano un paio di
pantaloni neri di velluto a coste, una camicia di cotone azzurra a righe, giacca a vento scura con cappuccio, maglietta, mutande, calzini e un paio di scarpe infangate. Hayes porse a Sean una borsetta impermeabile. «È stata trovata accanto al cadavere e abbiamo avuto la conferma che apparteneva a lui.» Dentro c'erano una coperta e una torcia elettrica. Sean notò alcuni strappi sulla coperta. «Potrebbe averla usata per scavalcare il filo spinato. Una decisione comunque rischiosa. Trovato sul cadavere qualche graffio che potrebbe essere stato provocato dal filo spinato?» Il medico scosse il capo. «Mi stupisce che non siano stati trovati guanti» aggiunse Hayes. «Per proteggersele dal filo spinato.» «Se li avesse usati non ci sarebbero le sue impronte sulla pistola. Ha sempre di più l'aria di essere un suicidio, caro sceriffo.» Il medico legale sollevò lo sguardo. «Non sono in grado di stabilire se sia stato o meno un suicidio, oltre un certo punto gli esami autoptici non possono spingersi.» «Lei scrive nel suo referto che la ferita risulta quasi a bruciapelo, non a bruciapelo. E non si notano lesioni che la vittima potrebbe essersi provocata per difendersi o lividi o escoriazioni tali da far pensare che sia stata legata. Le sembra plausibile che Turing non abbia tentato di difendersi vedendo avvicinarsi qualcuno con in mano una pistola?» proseguì Sean. «Potrebbe essere stato drogato» ipotizzò lo sceriffo. «Era proprio la domanda che stavo per fare. Che cosa ha stabilito l'esame tossicologico?» «Non me l'hanno ancora fatto avere.» «Quindi non possiamo escludere il suicidio» disse Sean. «Ma, in tal caso, perché sarebbe andato a Camp Peary per uccidersi? Che tipo di rapporti aveva con la CIA? Ci aveva mai lavorato? Aveva fatto domanda per entrarvi ma era stato scartato?» Hayes scosse il capo. «Non l'abbiamo ancora accertato.» Poi tornò a rivolgersi al medico legale. «Ha già stabilito l'ora approssimativa della morte di Rivest?» «Non è rimasto moltissimo in acqua, diciamo tra le cinque e le sei ore. Dentro la bocca ho trovato qualcosa di simile al liquido emorragico da edema, il che starebbe a indicare che è morto per annegamento. La conferma potrò ovviamente averla se troverò acqua nei polmoni.» Hayes guardò l'orologio. «Tra le cinque e le sei ore. Partendo dall'ora
della scoperta del cadavere, se non è rimasto così a lungo in acqua prima di annegare, dovremmo fissare l'ora della morte tra l'una e le due.» «Cioè non molto tempo dopo che me ne sono andato da casa sua» osservò Sean. Cioè più o meno quando mi è sembrato di vedere Champ Pollion andarsene a casa. «Aveva bevuto molto, parecchi cocktail oltre a vino rosso.» Il dottore prese un appunto. «Grazie.» «Potrebbe essere stato tanto ubriaco da svenire e annegare? L'acqua in bocca e nel naso non l'avrebbe svegliato?» chiese Hayes. Il dottore scosse il capo. «Se l'eccesso di alcol gli aveva fatto perdere conoscenza, l'acqua in bocca e nel naso potrebbe non essere stata sufficiente a farlo rinvenire.» «Quando me ne sono andato era mezzo svenuto, e a questo punto mi chiedo che cosa l'ha indotto a farsi un bagno dopo aver ripreso conoscenza.» «Forse si era vomitato addosso e voleva quindi darsi una lavata» ipotizzò il medico legale. «Se uno si vomita addosso non perde tempo a riempire la vasca» gli fece notare Sean «ma s'infila di corsa sotto la doccia.» Appena dette queste parole, però, si bloccò. Lo sceriffo non fece caso alla sua espressione. «Giusta osservazione.» Tornarono all'auto. «Ora dove andiamo?» gli chiese Hayes. Sean non provò nemmeno a nascondere la sua eccitazione. «Vorrei dare un'altra occhiata alla vasca da bagno, mi è tornato in mente qualcosa.» «Che cosa?» «So per certo che Len Rivest è stato assassinato.» 27 Arrivati a casa di Len, Sean precedette lo sceriffo Hayes e si fermò al piano superiore davanti alla soglia del bagno. «La scorsa notte sono venuto qui verso le 11-11.15 perché ne avevo bisogno, è l'unico bagno della casa.» «Bene. E allora?» Lo sceriffo era ansioso di sapere. «I suoi uomini, o quelli dell'FBI, hanno portato via qualcosa da lì dentro?» «No, a parte il cadavere. Perché?» «Dia un'occhiata. Che cosa manca?»
Hayes studiò l'interno del bagnetto. «Mi arrendo. Che cosa manca?» «Non ci sono asciugamani né pezzuole per il viso.» Puntò il dito contro il pavimento. «Non c'è nemmeno il tappetino. Ma tutte queste cose ieri notte, quando sono venuto, c'erano. E non è tutto.» Andò a guardare dietro la cassettiera. «C'era uno sturalavandini con un lungo manico di legno. E adesso non c'è più.» «Quindi, secondo lei...» Sean s'inginocchiò e passò poi la mano lungo le mattonelle e sulla parete sopra la vasca. «Umido, ma non certo gocciolante.» Si rialzò. «Quindi, secondo me, gli asciugamani sono stati usati per asciugare l'acqua schizzata sul pavimento e la parete mentre l'assassino lottava con Rivest.» «E lo sturalavandini?» Sean finse di stringere in mano qualcosa e andò a mettersi accanto alla vasca. «L'assassino non voleva tenere Rivest sott'acqua con le proprie mani, per evitare che la vittima difendendosi portasse via qualche frammento di pelle, ossia di DNA. Puntandogli contro il petto lo sturalavandini è riuscito così a tenerlo giù senza toccarlo con le mani.» «Maledizione!» «Ma in tal modo di acqua ne sarà schizzata fuori moltissima, quindi l'assassino ha dovuto portarsi via asciugamani, tappetino e sturalavandini: perché in caso contrario la polizia avrebbe capito che c'era stata una lotta e non avrebbe più indagato su un annegamento accidentale ma su un omicidio. Rivest sarà venuto su per fare un bagno, e magari era appena entrato nella vasca quando l'assassino l'ha colpito. Forse, se non fosse stato ubriaco sarebbe ancora vivo.» «Quindi, se era molto ubriaco e l'assassino ha usato lo sturalavandini, non possiamo escludere che a ucciderlo sia stata una donna.» Sean gli lanciò un'occhiata penetrante. «Proprio così. Telefoni al medico legale e gli chieda di cercare una piccola impronta circolare sul torace o sullo stomaco di Rivest. Uno sturalavandini potrebbe avere provocato un'abrasione, ancora visibile al microscopio. E gli dica anche di cercare sotto le unghie della vittima schegge di legno, che potrebbero provenire dal manico dello sturalavandini.» Lo sceriffo estrasse di tasca il cellulare e compose il numero del medico legale mentre Sean continuava a rovistare. Al termine della telefonata Hayes sorrise. «Ho lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica. Devo dire che la mia idea di indagare con lei si sta rivelando vincente.»
«Non si ecciti troppo, sceriffo. Fra il sapere che un uomo è stato ucciso e la scoperta del suo assassino c'è la stessa differenza, per citare Mark Twain, che esiste tra una lucciola e un fulmine. Ora dobbiamo passare al setaccio i vicini nella speranza che uno di loro abbia visto qualcuno uscire la scorsa notte dalla casa di Rivest. La vigilanza qui è particolarmente assidua, qualcuno deve avere visto qualcosa. Specialmente se la mia teoria è fondata e l'assassino è uscito con le mani occupate da alcuni asciugamani zuppi e uno sturalavandini.» «Certamente. C'è altro?» Sean esitò, ma alla fine si decise. «Verso le 6.30 di questa mattina, o giù di lì, ero sceso sulla sponda del fiume York per dare un'occhiata alla rimessa delle barche e per avere un'idea della zona. Qualcuno mi ha sparato un paio di colpi con una carabina di precisione. Era quello che stavo andando a dire a Len.» Hayes spalancò la bocca. «Da dove provenivano quei colpi?» «Dall'altra sponda, forse.» «Da Camp Peary?» Sean annuì. «E Monk Turing è stato trovato cadavere in un angolo di Camp Peary» aggiunse lentamente lo sceriffo. Sean capì che cosa passava in quel momento per la testa dell'uomo che aveva di fronte. Se la sentiva uno sceriffo di campagna di immischiarsi in una faccenda nella quale c'era di mezzo la CIA? Ma, se Monk Turing e Len Rivest erano stati uccisi da quelli della sponda di fronte, la domanda da porsi era: perché? Una domanda davvero stimolante. Ma era disposto a rischiare la vita per trovare quella risposta? «Inoltre, anche se non ne sono sicuro, mi sembra di avere visto Champ Pollion fare ritorno al suo cottage verso le due di notte.» «Ma non ne è per niente sicuro, giusto?» «Non tanto da testimoniarlo in tribunale, c'era troppa oscurità. Ma è comunque qualcosa da accertare quando controlleremo gli alibi. Ah, c'è un'altra cosa. Ho saputo che otto o nove mesi fa Monk è andato all'estero, dobbiamo scoprire dove.» «L'FBI ha il suo passaporto e i suoi effetti personali.» «Lei è lo sceriffo, si faccia fare delle copie.» «Pensa che potrebbe essere importante?» «In questo momento tutto è importante.» Sean uscì di casa e fece due passi al sole, chiedendosi se e quando la sua vita si sarebbe avvicinata alla normalità. Poi sentì battersi sulla spalla e si girò.
Alicia Chadwick sembrava particolarmente agitata. «Dobbiamo parlare. Ora!» «E se io non volessi?» «In tal caso mi toglierei la gamba metallica e te la sbatterei in testa fino a ucciderti.» «Non me la sento di farti avere questo peso sulla coscienza. Andiamo.» 28 Barry camminava in corridoio con in mano una scatola di cartone, seguito silenziosamente da Michelle dieci passi più indietro. Pacchi e lettere in partenza venivano lasciati la sera davanti alla porta d'ingresso. Barry la aprì con la chiave e uscì. Michelle accelerò il passo e, raggiunto l'atrio deserto, si nascose dietro una grossa pianta ornamentale. Appena Barry rientrò, lei s'irrigidì. Non aveva una chiave e il tempo a sua disposizione era quindi pochissimo. Allora scattò, con un occhio su Barry e l'altro sulla porta che si stava richiudendo lentamente. E lo fece così silenziosamente che lui, nonostante si trovasse a meno di un metro di distanza, non si accorse di nulla. Quando Barry scomparve dietro l'angolo del corridoio Michelle infilò un piede tra il battente e la porta, per non farla richiudere: poi si tolse la scarpa e la incastrò a mo' di cuneo, quindi si precipitò fuori. Impiegò pochi secondi per trovare accanto alla cassetta della posta la scatola di Barry, in una pila di pacchetti pronti per essere spediti. Allora estrasse di tasca un pezzo di carta e una matita e copiò l'indirizzo del destinatario, quindi guardò il nome del mittente e non si stupì più di tanto nel vedere che non si trattava di Barry. Il mittente era "Lola Martin". Michelle rientrò, richiuse la porta, si infilò di nuovo la scarpa e tornò velocemente nell'ala dell'edificio dove si trovava la sua camera. Quindi distrasse un'infermiera per il tempo necessario a leggere la dislocazione dei pazienti. Lola Martin era comodamente sistemata nel nido del cuculo, i cui residenti psicotici non risultavano spedire di solito molti pacchetti. A quel punto si attaccò a un telefono del centro servizi per i pazienti e chiamò un suo amico che lavorava nella polizia di Fairfax. «Come le hai avute queste informazioni, Maxwell?» gli chiese l'agente dopo avere udito la richiesta. «Io... ehm... sto lavorando sotto copertura.»
Un'ora dopo Michelle entrò nella stanza vuota di Sandy. I fiori erano ancora al loro posto ma il terriccio era stato pulito dal pavimento. Le mani di Sandy dovevano essere quindi pulite e nette come quel pavimento, anche sotto le unghie fresche di manicure. Michelle non aveva mai avuto un problema del genere per il semplice motivo che non si era mai fatta fare la manicure, non poteva permettere che qualcuno lavorasse sul dito che le serviva per premere il grilletto. Cinque minuti dopo la missione poteva considerarsi compiuta e lei tornò nella sua camera. Nel pomeriggio partecipò a una seduta di gruppo e si sentì così contenta dei passi avanti che aveva fatto per incastrare Barry da alzarsi in piedi e parlare di se stessa. «Mi chiamo Michelle e voglio guarire, anzi penso di essere guarita» annunciò sorridendo agli altri pazienti seduti attorno a lei, alcuni dei quali la applaudirono e altri le sussurrarono parole d'incoraggiamento. Altri ancora, pochi, sembravano imbronciati o la guardavano sbalorditi. Michelle realizzò che si considerava guarita unicamente perché, dandosi tanto da fare, non aveva avuto il tempo di pensare ai suoi problemi. Non sembrava cioè afflitta da chissà quale dilemma interiore; lei viveva in pratica per le scariche di adrenalina e non per quelle rivelazioni, spesso terribili, procurate dall'autoanalisi. E, a conferma di questa sua caratteristica, in quel momento riusciva a pensare soltanto a Barry e a Sandy. Dopo di che voleva battersela in tutta fretta da quel posto, prima che qualcuno si accorgesse che anche lei era da internare nel nido del cuculo. 29 Sean era seduto di fronte ad Alicia nel suo ufficio della Capanna 1. Lo aveva portato lì così in fretta che tutto quello che lui era riuscito a vedere era un grande open space pieno di piccole scrivanie, dietro ognuna delle quali sedeva sicuramente un genio. Gli sembrò quasi di sentire l'odore delle loro superiori intelligenze e di udire il ronzio di tutti quei server. Decise di buttarla sullo scherzoso e indicò la gamba destra di Alicia. «Se solo provi a bastonarmi con quell'affare ti stendo.» Lei non sorrise affatto. «Com'è morto Len Rivest? E non dirmi che si è suicidato.» Sean si accorse che la Chadwick aveva gli occhi arrossati. «Non lo so com'è morto.» «Come fai a non saperlo?»
«Solo l'assassino sa con certezza come è morto Len. E siccome quell'assassino non sono io, posso soltanto ipotizzare la causa della morte.» «Ipotizza.» «Non posso farlo, è in corso un'inchiesta.» «Non riesco a credere che uno come te si nasconda dietro una scusa così patetica» esclamò lei. «Una volta facevo il poliziotto e so bene quanto sia facile fottere un'indagine parlandone in giro. La polizia considera quella di Len una morte sospetta.» «Questo potrebbe significare che è stato assassinato o che è morto accidentalmente?» Sean sorrise. «Potrebbe anche essere morto per cause naturali.» «Parlavi di un assassino, un attimo fa.» «Potrei sbagliarmi.» «Tante grazie per l'aiuto.» Sean le si avvicinò con il capo e la sua espressione non era più scherzosa. «Il fatto è che ti ho appena conosciuta e non so chi sei in realtà. Per quanto ne so io potresti anche essere l'assassina.» «Non ho ucciso nessuno.» «Non ho mai conosciuto un assassino che dicesse il contrario, per questo esistono gli avvocati difensori.» «Credi che la morte di Len sia collegata a quella di Monk?» «Forse non mi sono spiegato bene, vuoi che ripeta?» «Ieri sera hanno scoperto il testamento di Monk Turing in casa sua e mi hanno informato che mi ha nominato tutrice della figlia. Intendo assolvere questo compito al meglio delle mie possibilità e se la ragazzina è in pericolo voglio saperlo.» «Monk ti ha nominato tutrice? Non sapevo foste così legati.» «Sapeva che voglio bene a Viggie e che la sua tranquillità è in cima ai miei pensieri.» «Babbage Town non sembra un posto così tranquillo ora che Rivest è stato ammazzato.» Alicia si coprì gli occhi con una mano. «Povero Len!» gemette. «Mio Dio, non riesco a credere che sia morto.» «Vedo che la stai prendendo proprio male, la morte di Len. C'è qualche motivo particolare?» Lei prese un fazzolettino di carta da una scatola sulla scrivania e si soffiò il naso. «Len e io eravamo amici.»
«Amici, buoni amici o qualcosa di più?» «Non sono affari tuoi.» «Potrebbero essere affari della polizia, se avevi una relazione con Len Rivest.» «Okay, uscivamo insieme. E allora?» «Vi vedevate ogni tanto? Oppure spesso? C'era un matrimonio in vista?» «Sei un'odiosa testa di cazzo!» «Sarai anche intelligentissima ma ho l'impressione che tu non abbia capito che con queste domande ti sto preparando a quelle che ti faranno la polizia e l'FBI. Pensi forse che l'agente Ventris ti userà tanti riguardi? Se si somma il cadavere alla relazione sentimentale, il risultato è che tu sei sospettata.» «Non l'ho ucciso, maledizione. Ci tenevo a lui, era un uomo simpatico, bravo, forse avevamo un futuro insieme. E ora?» Distolse il viso mentre le lacrime le rigavano le guance. «Okay, Alicia, okay. Lo so che per te è stato un brutto colpo.» Si interruppe qualche attimo. «Len ti ha mai detto se qualcuno per caso volesse fargli del male? O se era a conoscenza di qualcosa che avrebbe potuto fargli correre dei pericoli? Qualcosa che avesse a che fare con Babbage Town? O con Camp Peary?» Prima di rispondere Alicia respirò più volte a fondo e si asciugò gli occhi con una manica. «Camp Peary? E che c'entra con la morte di Len?» «Tutto può essere, se la morte di Monk Turing è collegata a quella di Len.» «Ma non mi hai appena detto che Monk si è ammazzato?» «Non lo sappiamo ancora. Ora rispondi, ti prego: Len ti ha mai detto nulla del genere?» «Non mi ha mai detto che qualcuno volesse fargli del male.» «D'accordo. E di spie? Ti ha mai accennato all'esistenza di spie qui dentro?» Lei scosse il capo. «No, mai. Perché?» «Pensavo a qualcosa che mi aveva detto. Ti viene in mente qualcos'altro?» «Be', diceva che la gente qui non ha idea dell'operazione in cui si è imbarcata, che ciò a cui lavoriamo avrebbe cambiato il mondo. E non in meglio.» Abbozzò un sorriso. «Diceva che noi pazzoidi non abbiamo la minima idea di come vanno veramente le cose in questo mondo. E forse aveva ragione.»
«A me aveva detto che l'attività di Babbage Town avrebbe potuto scatenare una guerra. Di sicuro non si riferiva a un po' di matematica.» «Ho paura, Sean. Len era un uomo molto abile. E il fatto che qualcuno possa averlo ucciso, in quel modo, in casa sua, con tutta la sorveglianza che c'è in giro...» Fu scossa da un brivido e si lasciò cadere sulla poltrona. Faceva così pena che Len si alzò e le mise un braccio attorno alle spalle per tirarla su. «Stai tranquilla, Alicia.» «Non trattarmi così! Sono terrorizzata per Viggie, potrebbe essere in pericolo anche lei.» «Perché?» «Dimmelo tu, sei tu l'esperto di queste faccende.» «Lo sa Viggie che il padre non tornerà più?» Alicia sembrò a disagio. «Sto cercando di prepararla, ma non è facile.» «Se ti sta tanto a cuore, fossi in te la porterei via da Babbage Town.» «Non posso.» «Ma non dicevi che la sua tranquillità è in cima ai tuoi pensieri?» «Viggie sta bene qui, non posso strappare quella ragazzina dal suo habitat e portarla in un posto dove non è mai stata. Ne rimarrebbe distrutta.» «In effetti non è una grande idea.» «Ho in mente un'altra opzione.» Alicia gli afferrò una mano. «Rimaniamo qui e tu vegli sulla sicurezza di Viggie.» «Ce l'ho già un lavoro.» E mi sa che ne ho appena trovato un altro, si corresse mentalmente. «È una bambina, ha bisogno di aiuto. Te la sentiresti di negare il tuo aiuto a una ragazzina vulnerabile che ha appena perso il padre?» Sean stava per dire qualcosa ma rimase in silenzio. Poi sospirò. «Tutto sommato forse potrei tenerla d'occhio.» Le lacrime ripresero a scendere sulle gote di Alicia. «Grazie.» «Ora che sono la sua guardia del corpo, anche se non ufficialmente, è il caso che conosca la signorina. Non credi?» Alicia si ricompose, alzandosi quindi dalla poltrona. «Ha appena terminato di fare alcuni esercizi di fattorizzazione per me.» «Che cosa?» «Viggie ha l'abilità di elaborare nel suo cervello grandi numeri. Non così grande da rendere obsoleto il mio lavoro, ma nei recessi della sua mente potrebbe nascondersi qualcosa in grado di fornirci la chiave di quella scorciatoia che sto cercando.»
«E la ragazzina vulnerabile fermerà di botto il mondo che conosciamo?» Alicia sorrise. «Be', qualcuno ha detto che i miti erediteranno la terra.» 30 Sean si era immaginato di trovare una Viggie Turing timida e silenziosa. La ragazzina era invece piena di energia e i suoi grandi occhi azzurri sembravano catturare ogni movimento attorno a lei. Indossava una camicetta rosso acceso, pantaloni al polpaccio ed era scalza. Dopo le presentazioni fatte da Alicia prese immediatamente Sean per mano e lo condusse accanto al pianoforte. «Siediti.» Lui le obbedì. «Sai suonare?» gli chiese, guardandolo con un'intensità tale da metterlo a disagio. «Il basso elettrico. Ha solo quattro corde, non è complicato. Indicato cioè per una persona come me che perde ogni giorno milioni di cellule cerebrali.» Lei non prese nemmeno atto di quella battuta, ma si sedette e suonò un brano che Sean non aveva mai udito. «Okay, mi hai sbalordito. Di chi è?» La risposta gliela dette Alicia. «Di una certa "Vigenère Turing". È una composizione originale.» Sean, colpito, guardò la ragazzina. «Piaciuto?» gli chiese lei con la massima semplicità. «Sei una musicista molto dotata.» Viggie sorrise e Sean vide finalmente in lei la ragazzina di undici anni, con l'aria timida e desiderosa di piacere. E questo lo atterrì, perché una così avrebbe potuto fidarsi di persone inaffidabili. Qui ci sono delle spie, aveva detto Rivest. «Viggie, tu per caso...» Lei si rimise a suonare. Poi, alla fine, si alzò, andò a sedersi al tavolo della cucina e si mise a guardare al di là della finestra. E Sean si accorse che i suoi grandi occhi vivaci erano diventati due fessure. Si alzò a sua volta. «Viggie?» Alicia gli fece segno di andarsi a sedere accanto a lei sul divano. «È come se si rifugiasse in un piccolo mondo tutto suo» gli disse sottovoce. «Se aspettiamo la vedremo tornare tra noi.»
«L'ha vista qualche specialista? Prende qualche medicina?» «Non so se sia stata visitata da specialisti, ma medicine non ne prende di sicuro. Comunque, ora che sono stata nominata sua tutrice accerterò anche questo.» «Che cosa sai della mamma di Viggie?» «Monk mi disse che erano divorziati e la bambina era stata assegnata definitivamente a lui.» «È quello che mi aveva detto anche Rivest. Ma se ora dovesse spuntare fuori la madre è molto probabile ottenga l'affidamento da un tribunale, a meno che si trovi in carcere o non sia per altri motivi in grado di accudire la figlia.» «Ma Monk mi ha nominato sua tutrice.» «La sua volontà non conta se esiste l'altro genitore.» «Inutile che mi preoccupi ora, lo farò se e quando si farà viva la madre.» «18.313 e 22.307.» Si voltarono verso Viggie, che li stava fissando. «Sono i fattori primi del numero 408.508.091» spiegò la ragazzina. «Non è vero?» «È giusto» le rispose Alicia. «Moltiplicando 18.313 per 22.307 si ottiene 408.508.091.» Viggie batté le mani ridendo soddisfatta. «Ma quel numero te l'ho dato meno di un'ora fa. Come sei riuscita a trovare i due fattori tanto presto?» «Li ho visti nella mia mente.» Alicia era ansiosa di sapere. «Erano come messi in fila? Hai fatto di nuovo i calcoli a mente?» «No, sono comparsi all'improvviso da soli, non ho dovuto fare calcoli.» «Quanto meno non i calcoli che facciamo noi comuni mortali» commentò Alicia soprappensiero. «Credo che il signor Sean voglia chiederti qualcosa, Viggie.» La bambina lo guardò in attesa della domanda. «Volevo soltanto farti sapere che verrò ancora a trovarti. Ti sta bene?» Viggie guardò Alicia, che annuì. «Sì, perché no? Ma devo parlarne con Monk.» «Chiami tuo padre per nome?» «Anche lui mi chiama per nome. Non è così che si fa?» «Direi di sì. Non conosco tuo padre ma ho l'impressione che debba essere un tipo in gamba.»
«Certo che lo è. Al college suonava in un gruppo rock.» Viggie tornò a guardare dalla finestra e Sean temette che stesse nuovamente per chiudersi in se stessa. Ma così non fu. «Vorrei che tornasse a casa presto, ho tante di quelle cose da dirgli.» «Per esempio?» le chiese lui, ma forse un po' troppo in fretta. Viggie si alzò immediatamente e riprese a suonare il piano, sempre più forte. Appena fece una pausa Sean tornò alla carica. «Quando è stata l'ultima volta che hai visto tuo padre?» Lei tornò a suonare con energia ancora maggiore. «Viggie!» esclamò Sean. Ma Alicia lo prese per un braccio portandolo alla porta di casa mentre la bambina continuava a pestare sui tasti, per poi fuggire via dalla stanza. Pochi secondi dopo udirono sbattere una porta e quasi contemporaneamente entrò la donna che Sean aveva visto addormentata sul divano la notte precedente. «Tornerò tra qualche minuto a dare un'occhiata alla bambina, signora Graham» le disse Alicia. E uscì con Sean. Lui si grattò il capo. «Capisco quali siano i tuoi problemi con Viggie.» «Credo lei intuisca che al padre deve essere successo qualcosa, perché appena qualcuno sfiora l'argomento si chiude a riccio.» Sean si accorse che Viggie li stava seguendo con lo sguardo dalla finestra della sua stanza: e all'improvviso scomparve, come scompaiono a volte i pensieri dalla mente. «Quei numeri che ti ha dato, potrebbe aver usato una calcolatrice?» chiese allora ad Alicia. «Certo, ma avrebbe impiegato un giorno intero. 18.313 è il duemillesimo numero primo e questo significa che lei avrebbe dovuto dividere 408.508.091 per tutti i numeri primi precedenti prima di trovare quello che non lasciava resto, cioè appunto 18.313. A lei invece, come ci ha detto, il numero è semplicemente apparso nella mente.» «Ora dimmi perché è tanto importante.» «Sean...» «Maledizione, Alicia, qui la gente muore. Ho accettato di proteggere Viggie perché hai paura che sia in pericolo, ma a questo punto il minimo che tu possa fare è cominciare a spiegarmi il motivo di questa paura.» «D'accordo. Allora, il mondo si basa su informazioni inviate per via elettronica. La chiave della civiltà consiste nello spostare queste informazioni senza rischi dal punto A al punto B, cioè usare la carta di credito per fare
acquisti, prelevare soldi da un Bancomat, inviare una e-mail, pagare bollette o comprare qualcosa on-line. La crittografia ormai è basata esclusivamente sui numeri e la loro lunghezza, il sistema più inattaccabile si basa sulla crittografia asimmetrica a chiave pubblica: è l'unica a rendere sicure e praticabili le trasmissioni elettroniche dagli enti di governo ai cittadini e alle aziende.» «Mi sembra di averne già sentito parlare, dovrebbe chiamarsi RSA o qualcosa del genere.» «Esattamente. Ora, la chiave pubblica standard è generalmente costituita da un numero enorme, composto da centinaia di cifre; e per tirare fuori i due fattori servirebbe un lavoro di migliaia di anni da parte di cento milioni di computer collegati in parallelo. Comunque, mentre tutti conoscono o quanto meno il tuo computer - il numero della chiave pubblica, l'unico sistema per leggere ciò che viene inviato elettronicamente è quello di sbloccare questa chiave pubblica usando le due chiavi private. Queste due chiavi sono i due fattori primi della chiave pubblica e solamente il software del tuo computer sa che cosa sono. Provo a spiegartelo con un esempio. Mettiamo che la chiave pubblica sia il numero 55 e che i numeri 5 e 11 siano le due chiavi private: se conosci i numeri 5 e 11 potrai leggere i dati che vengono trasmessi.» «Come i due numeri che ti ha dato Viggie?» «Sì. Ora che i computer diventano sempre più potenti e ormai si usa lanciarne centinaia di milioni in massicci assalti in parallelo, gli standard crittografici si fanno sempre più elaborati. Ciò nonostante è sufficiente aggiungere qualche altra cifra alla chiave pubblica e il tempo necessario per violarla schizza a migliaia, se non milioni, di anni.» «Ma la tua ricerca potrebbe rendere tutto questo inutile.» «Gli esperti di crittografia concordano sul fatto che non esiste una scorciatoia alla fattorizzazione dei numeri perché in duemila anni di ricerche nessuno l'ha trovata. Eppure di tanto in tanto Viggie ci riesce: ci riuscirebbe anche con numeri infinitamente più grandi? In tal caso, come dicevo, nessuna trasmissione elettronica sarebbe più sicura e il mondo come noi lo conosciamo sarebbe radicalmente diverso.» «Torneremmo, cioè, alle macchine da scrivere, ai corrieri a cavallo e ai barattoli uniti tra loro con lo spago?» «Il mondo degli affari e il governo chiuderebbero i lavori, il povero cittadino non saprebbe dove sbattere la testa e i generali non potrebbero più comunicare in sicurezza con i loro eserciti. Sono in pochi a sapere che fino
agli anni Settanta, prima che venisse inventata la crittografia a chiave pubblica, le aziende e i governi dovevano spedire continuamente i loro corrieri da una parte all'altra del mondo con nuovi cifrari e nuove password. Nessuno vuole tornare a quei tempi.» «È incredibile come la nostra civiltà si regga in piedi grazie all'incapacità di fattorizzare velocemente numeri particolarmente grandi.» «Abbiamo fatto il letto, ora ci dobbiamo sdraiare sopra.» «Il pubblico ovviamente è all'oscuro di tutto questo, immagino.» «Ne rimarrebbe terrorizzato.» «Quindi, secondo te esiste una scorciatoia?» «È Viggie a farmi pensare che esista. E ciò nonostante, in questo momento la mia preoccupazione non è per i numeri ma per l'incolumità di Viggie. Non posso permettere che le succeda qualcosa.» «Pensi che qualcuno sappia che Viggie è in grado di riportarci ai tempi delle macchine da scrivere?» «Sei stato tu stesso a dirmi che secondo Len qui ci sarebbero delle spie. Il padre di Viggie conosceva questa straordinaria abilità della bambina ed è morto. Non lo so, non lo so proprio...» Ancora una volta Sean le mise una mano sulla spalla per darle coraggio. «Non le succederà nulla, a Babbage Town ci sono la polizia e l'FBI, per non parlare di tutte quelle guardie private.» «Questo valeva prima che Len fosse ucciso» gli fece notare lei. «Ma ora del caso mi occupo io.» «E come pensi di proteggere materialmente Viggie?» «Quante stanze da letto ci sono nel tuo bungalow?» «Quattro. Perché?» «Una per Viggie, una per te, una per me e una di riserva.» «Vorresti venire a stare da me?» «Se rimango nella residenza centrale e dovesse presentarsi un pericolo non farei in tempo ad arrivare.» «Devo avere l'autorizzazione di Champ e poi parlarne con Viggie. Domani smonto dal lavoro verso le 18, vogliamo vederci allora?» «Perché tu e Viggie non vi trasferite nel suo cottage?» «Perché troppe cose le ricorderebbero il padre. Secondo me è preferibile portarla via da lì.» «E come lo spieghi a Viggie?» «Mi inventerò qualcosa.» Alicia si allontanò.
Sean la stava seguendo con lo sguardo quando il suo cellulare prese a ronzare, allora guardò il numero ed emise un profondo sospiro. Era Joan Dillinger. Come avrebbe fatto a giustificare non uno ma ben due nuovi incarichi? C'era solo un modo: non avrebbe risposto a quel maledetto telefono. Si trascinò nella sua stanza, chiedendosi come diavolo aveva fatto a scavare ancor più in profondità quel buco nel quale era finito. 31 Quando, quella sera, Horatio Barnes tornò a casa di Linda Sue Buchanan il suo uomo, Daryl, non sembrava particolarmente entusiasta dell'iniziativa della mogliettina. Questo Daryl era uno grosso e trasandato, con la T-shirt bisunta che sembrava faticare a contenere torace e pancione. Teneva in una delle sue manone il bambino e nell'altra una lattina di birra. «Non lo conosci nemmeno questo bel tipino, Lindy» muggì. «Per quello che ne sai tu potrebbe anche essere un maledetto stupratore sessuale.» «Se ci pensa bene moltissimi stupratori sono stupratori sessuali» gli fece notare Horatio in tono affabile. «Alcuni di loro li ho visti in prigione.» «Che ti dicevo? Questo qui è stato al gabbio» proclamò Daryl. «No, ho lavorato con i detenuti. Ma, a differenza dei miei pazienti, io alla fine me ne potevo tornare a casa.» Linda Sue controllò il contenuto della borsetta e tirò fuori le chiavi. «Andiamo con due auto, Daryl, e io ho con me lo spray accecante e questa.» E mostrò un piccolo revolver. Vedendo Tarma Daryl sembrò sollevato. «Se dovesse provarci sparagli nel culo.» «L'idea è proprio questa» gli confermò tranquilla Linda Sue, infilando il revolver nella borsetta. «State a sentire un minuto, gente» intervenne Horatio. «Qui nessuno spara a nessuno. E poi, ce l'ha il porto d'armi per quella rivoltella?» «Che diavolo, qui siamo in Tennessee, caro amico» sbuffò Daryl. «E non c'è bisogno di nessun porto d'armi nel caro, vecchio Tennessee.» «Forse è il caso di controllare. E io sono venuto quaggiù soltanto per parlare con la nonna di Linda Sue. Le avevo anche detto che se mi avesse dato le indicazioni ci sarei andato da solo all'ospizio.» Daryl si voltò di scatto a guardarla. «Davvero? E tu che ci vai a fare, allora?»
«Per farmi pagare, brutto imbecille.» «Facciamo una cosa» propose Horatio. «Io le do subito i cento dollari e lei si può fare una bella passeggiata in paese con il suo cordiale marito.» Daryl lo guardò con un'espressione confusa sul volto. «Non se ne parla nemmeno. Cento dollari è il minimo; se le informazioni della nonna saranno utili varranno di più. Molto di più, forse.» «Non era così che avevo inteso il nostro accordo.» «Insomma, vuole vederla la nonna o no?» «Cento dollari! Maledizione!» esclamò Daryl, nella cui mente annebbiata quella somma era riuscita finalmente a farsi strada. «Va bene, ha vinto. Andiamo» disse Horatio. «Lo sapevo che l'avrebbe vista a modo mio.» E Linda Sue gli fece un sorrisetto di scherno. Daryl la chiamò dalla veranda. «Ehi, Lindy! Se devi sparargli fallo dopo che ti ha dato quei soldi.» «Be', se mi sparasse potrebbe prendersi tutti i soldi che ho perché non sarei in condizione di fare obiezioni» osservò Horatio con tono di grande disponibilità. «E già, proprio così.» Daryl sembrava eccitato. «Hai sentito che cosa ha detto, baby?» Horatio sollevò una mano per metterli entrambi in guardia. «In tal caso però Linda Sue dovrebbe passare il resto della vita in prigione per omicidio e rapina a mano armata. E anzi, adesso che ci penso, nel caro, vecchio Tennessee per questi reati è prevista in certi casi la pena di morte, una pena che potrebbe colpire anche i complici. Spero che lei si renda conto del suo ruolo.» Daryl lo guardò come imbambolato, la sua mente non riusciva a formulare una qualsiasi obiezione. Horatio si rivolse allora a Linda Sue. «Stia attenta a non spararsi addosso.» «Ho fatto scattare quell'affare della sicura» esclamò lei. «Bella impresa, dal momento che i revolver non hanno la sicura.» «Ah.» «E già, ah.» 32 L'ospizio era a circa un'ora di distanza, e il puzzo di urina e feci colpì
subito come una mazzata Horatio appena entrò nell'edificio. Era già stato in qualcuno di questi posti gestiti dai vari Stati, per visitare malati di depressione: e chi non cadrebbe in depressione se dovesse passare gli "anni azzurri" in una specie di discarica fetida come quella? I vecchi erano allineati contro il muro, come degli scatoloni, con le loro sedie a rotelle e i loro deambulatori. E, mentre Horatio e Linda Sue si dirigevano verso la reception, da un televisore in fondo al corridoio si udivano le risate registrate di un programma popolare. Risate insufficienti però a coprire i lamenti e i gemiti di quella gloriosa generazione, abbandonata in un nauseabondo mausoleo di cemento e di speranze in frantumi. Linda Sue fece strada a passo spedito, ignorando apparentemente la sofferenza umana che la circondava. Due minuti dopo si trovavano nella camera della nonna, una stanzetta di tre metri per tre con un televisore, che però sembrava guasto. La compagna di stanza era fuori e la nonna se ne stava seduta su una sedia, con la sua brava vestaglia a quadri e i piedi rossi e gonfi che sembravano scoppiare dentro le pantofole sbrindellate. I capelli grigi, o quanto meno ciò che ne rimaneva, erano schiacciati sotto una retina. Il viso era floscio e pieno di rughe, i denti giallastri e rovinati. Ma gli occhi erano chiari e fermi e lei li spostò da Linda Sue a Horatio, per riportarli infine sulla nipote. «Un bel po' che non ti vedo, Lindy» le disse, con un morbido accento del Sud. Linda Sue sembrò terribilmente contrariata da questo benvenuto. «Ho avuto da fare, ho dei bambini da tirare su e un uomo da fare felice.» «Di quale uomo parli? Di quello che è appena uscito di prigione o di quello che sta per andarci?» Horatio dovette soffocare una risatina, la nonna non era certo affetta da demenza senile. «Questo tipo qui» e Lindy indicò Horatio «vuole sapere qualcosa su certa gente che viveva dalle parti nostre quando ci abitavi anche tu.» Lo sguardo della nonna compì un mezzo giro fermandosi su Horatio. E i suoi vecchi occhi, notò lui, sembravano incuriositi come se la sua mente fosse pronta ad accettare qualsiasi distrazione da quel posto infame. «Mi chiamo Horatio Barnes» si presentò, e le strinse la mano. «Piacere di conoscerla e grazie per il tempo che mi sta dedicando.» «Hazel Rose. Il tempo qui dentro è la sola cosa che abbiamo a volontà. Che cos'è che vuole sapere, quindi?» Lui le parlò dei Maxwell.
«Certo che me li ricordo, Frank Maxwell faceva la sua figura in uniforme. E quei suoi figlioli, così grossi e belli.» «E la figlia, Michelle. Se la ricorda?» «Sì. Ora perché non mi dice il motivo per cui vuol sapere queste cose?» «Perché probabilmente lo troverebbe noiosissimo.» «Dubito che quanto a noia questo posto possa avere concorrenti, quindi per favore continui e faccia contenta una povera vecchia.» «La famiglia mi ha incaricato di scoprire una certa cosa, che sarebbe successa quando Michelle aveva più o meno sei anni. Parliamo quindi di ventisette o ventotto anni fa.» «Che cosa sarebbe successo?» «Qualcosa tale da modificare la personalità di Michelle.» Intervenne Linda Sue. «Che diavolo, una bambina di sei anni non ce l'ha una personalità.» «Al contrario. La personalità definitiva di un bambino è sostanzialmente definita all'età di sei anni.» Linda Sue sbuffò di nuovo e si mise ad armeggiare con la fibbia della borsetta, Sean tornò a rivolgersi a Hazel. «Aveva notato nulla del genere? Lo so che è passato un mucchio di tempo, ma se riuscisse a ricordare qualcosa mi darebbe un grande aiuto.» La vecchia sembrò pensarci su, mordicchiandosi un labbro. Fu Linda Sue, alla fine, a rompere il silenzio. «Esco a fumare» annunciò, e si alzò agitando un dito contro Horatio. «C'è soltanto un'uscita, in questo posto, che non le passi neanche per la mente di squagliarsela prima di fare quello che sa.» Gratificò la vecchia nonna di quello che secondo lei era un sorriso sincero e uscì. «Quanto le ha promesso di darle?» gli chiese Hazel quando la nipote non fu più a portata d'orecchio. Horatio sorrise, avvicinò una sedia a quella della vecchia e si sedette. «Cento dollari, ma preferirei di gran lunga darli a lei.» Hazel sembrò allontanare l'idea con un gesto della mano. «Non saprei come spenderli qui dentro, non c'è niente che mi faccia venire voglia di comprare. Li dia pure a Lindy, con quegli uomini sfigati che si tira dietro ne avrà bisogno. Quattro bambini da quattro diversi donatori di sperma, scusi il termine, ed è il tipo capace di farne altri quattro prima della menopausa.» Rimase per un po' in silenzio e Horatio decise di levare le tende. «Come sta Michelle?» gli chiese lei all'improvviso. «Non benissimo» le rispose lui onestamente.
«Ho seguito la sua carriera, ho letto di lei sui giornali e non solo.» «Ah sì? Come mai?» «Guardi i risultati che ha raggiunto: medaglia olimpica, agente del Servizio segreto, roba da esserne orgogliosi. L'ho sempre saputo che ce l'avrebbe fatta.» «Che cosa glielo faceva pensare?» «Come ha detto lei, di un bambino si capisce subito come sarà da grande, e lei era cocciuta e determinata. Ricordo che pensando a lei mi veniva in mente una frase: "Non importa se il cane è abbastanza grosso per lottare, l'importante è quanto è grossa la sua voglia di lottare". E Michelle non avrebbe mai accettato che qualcuno o qualcosa le si mettesse di traverso.» «Lei sarebbe stata una brava psicologa.» «Volevo fare il medico, al college ero la terza del mio corso.» «E poi?» «E poi è successo che anche il mio fratello maggiore voleva fare il medico e a quei tempi i ragazzi ottenevano ciò che volevano a scapito delle ragazze. Così sono rimasta in famiglia, mi sono presa cura dei miei genitori malaticci, poi mi sono sposata, ho avuto i bambini, mio marito è morto stecchito il giorno dopo essere andato in pensione. E adesso eccomi qui. Non una gran vita, ma è l'unica che ho.» «Tirare su una famiglia è un lavoro piuttosto importante.» «Non dico che mi penta di qualcosa, ma tutti sogniamo. E qualcuno, come Michelle, ha lottato per realizzare i propri sogni.» «All'epoca notò quindi un cambiamento in lei?» «Sì, ma non potrei giurare che avesse proprio sei anni: ne sono passati troppi, evidentemente. Quello che ricordo è che all'improvviso quella bambina cominciò a evitare il mio sguardo. Eravamo amiche, veniva di tanto in tanto a trovarmi con altre bambine del quartiere per festicciole a base di tè e pasticcini e smise di venire. A volte trasaliva o si metteva a piangere per un nonnulla. Cercai di parlarne con sua madre, ma Sally Maxwell da quell'orecchio non ci sentiva. E poco tempo dopo la famiglia traslocò.» «Ha idea di cosa potrebbe essere successo per cambiarla in questo modo?» «Ci ho pensato su per anni, ma non mi è mai venuto in mente nulla.» «I suoi familiari mi hanno detto tra l'altro che lei era diventata incredibilmente disordinata.» «Non è che mi invitassero spesso a casa loro. Con quel marito quasi
sempre assente e tutto il resto, Sally di tempo ne aveva poco.» «Avrei detto che il lavoro del poliziotto in un paesino del genere avesse orari regolari.» «Michelle è venuta al mondo tardi e Frank voleva fare carriera, andare in una città più grande. Di giorno lavorava e dopo cena frequentava corsi serali in un college della zona, voleva prendere una laurea in Criminologia.» «Un tipo ambizioso, insomma. C'è altro che ricorda?» «Sì, un episodio che mi lasciò molto perplessa. Ma forse non ha niente a che vedere con ciò che lei sta cercando di scoprire.» «Ora come ora accetto tutto.» «Be', i Maxwell avevano davanti la loro casa uno splendido roseto; l'aveva piantato Frank come regalo alla moglie per un anniversario di matrimonio. Un bel pensiero, e poi quel profumo... ricordo che passavo là davanti solo per respirare quell'aroma.» «Non c'è più, mi sembra.» «Proprio così. Una mattina scoprii che qualcuno l'aveva calpestato e fatto a pezzi.» «Ha mai saputo chi era stato?» Lei scosse il capo. «Secondo Frank era stato uno dei giovinastri che aveva messo dentro perché guidava ubriaco, ma io non ne sono tanto sicura. Che ne sanno dei fiori, i ragazzotti? Gli avrebbero tagliato le gomme o preso a sassate le finestre.» «Ricorda quando è successo quest'episodio?» Hazel fissò il soffitto, arricciando nuovamente la bocca. «Una trentina di anni fa, direi.» «O magari ventisette, ventotto anni fa?» «Potrebbe essere, certo.» Horatio rimase per un po' a riflettere, poi si alzò ed estrasse di tasca il portafogli. Ma Hazel sollevò subito una mano. «Li dia a Lindy, se vuole evitare che mia nipote la metta in croce.» Ma lui non stava tirando fuori i cento dollari, bensì un biglietto da visita dietro il quale scrisse qualcosa per poi darlo alla vecchia. «Le ho scritto il nome e il numero di telefono di una donna che può farla trasferire in una struttura di gran lunga migliore di questa. Mi lasci un giorno per mettermi d'accordo con questa donna e poi le telefoni.» «Non ce li ho i soldi per una struttura migliore, come l'ha chiamata lei.» «Non è una questione di soldi, l'importante è conoscere la persona giusta. E poi in questo posto che ho in mente tengono corsi su diverse mate-
rie: anche medicina, se le interessa ancora.» Lei prese il biglietto da visita. «La ringrazio» disse, quasi sottovoce. Sean si accinse a uscire. «Se vede Michelle le porti per favore i saluti di Hazel Rose» lo pregò la vecchia. «E le dica che sono davvero orgogliosa di lei.» «Lo consideri fatto.» E mentre entrava in auto lui cominciò a chiedersi come un roseto devastato fosse riuscito, trent'anni più tardi, a rovinare la vita di Michelle Maxwell. 33 La mattina seguente Michelle lavorò duro in palestra, poi si lamentò con un'infermiera dell'assenza di Horatio Barnes, tornò in camera e strappò la cannuccia dalla bocca di Cheryl dopo sei risucchi terribilmente lunghi. Quando udì un rumore di passi affrettati che si dirigevano in quella direzione afferrò la compagna di stanza, nonostante le sue rumorose proteste, e la sbatté in bagno. «Non uscire se non senti qualcuno crollare al suolo» le gridò in faccia. E così riuscì a far smettere Cheryl di ciucciare. Poi si preparò all'assalto. La porta della stanza fu spalancata con un calcio da Barry, che stringeva in mano un tubo metallico. «Brutta troia!» gridò. «Spacciatore di merda!» le gridò lei di rimando, fingendosi infuriata e sghignazzando. «Fammi indovinare. Hanno beccato il tuo complice e lui ha spifferato il tuo nome.» «Brutta troia!» ruggì di nuovo Barry. Michelle prese a fargli dei gesti invitanti. «Vieni a prendermi, tesoruccio. Lo sai che ne hai una gran voglia. E dopo che mi hai riempito di botte potrai divertirti un po' con me.» Barry scattò con il tubo sollevato, pronto a colpirla. Ma fu scagliato all'indietro altrettanto velocemente appena il piede di lei entrò in contatto con il suo viso. Michelle non attese che si riprendesse. Gli tirò un pugno allo stomaco, poi fece una mezza piroetta e gli assestò un calcio alla mascella, facendolo crollare sul letto di Cheryl. Barry si tirò su, sbalordito dalla forza di quei colpi, e le lanciò contro il tubo, che Michelle però riuscì a evitare di un soffio, scansandosi. Poi sollevò una sedia e le lanciò contro anche quella, ma lei era troppo agile. Allora scavalcò il letto
e le si buttò addosso, ma riuscì a stringere tra le braccia soltanto l'aria, e incassò un terribile calcio ai reni che sembrò fargli passare la voglia di combattere. Cadde in ginocchio mugolando, lei gli fu subito sopra e, già che c'era, gli tirò una gomitata alla nuca così violenta da stenderlo sul pavimento. «Ti sto aspettando, Barry. Se vuoi concludere il nostro match ti conviene sbrigarti, perché i poliziotti potrebbero arrivare da un momento all'altro.» «Troia!» gemette lui debolmente. «L'hai già detto. Non ti viene in mente niente di nuovo?» Lui tentò di rialzarsi e Michelle si preparò a tirargli il pugno del KO, ma in quel momento dalla porta spuntarono due agenti della polizia di Fairfax, con le pistole spianate. Lei indicò Barry: «È lui quello che state cercando. Io sono Michelle Maxwell, quella che ieri ha informato l'investigatore Richards». Uno dei due agenti osservò la stanza devastata. «Sta bene, signora?» «Pezzo d'idiota!» gemette Barry dal pavimento. «Sono io quello che sta male. Ho bisogno di un dottore, quella donna mi ha aggredito.» «Questa è la mia camera e lui è entrato armato di quel tubo di piombo, ci sono sopra le sue impronte. Ha tentato di farmela pagare perché avevo denunciato quel piccolo traffico di droga che mandava avanti con il suo complice, il farmacista. Secondo me stavano manipolando i dati del computer sulle scorte di droghe per non fare risultare il furto e il nostro amico Barry poi le spediva ai suoi pusher, scrivendo come mittente il nome dei pazienti ricoverati nel reparto di massima sicurezza.» Abbassò lo sguardo sull'uomo a terra. «Come vedete, le cose non sono andate poi nella maniera che lui aveva previsto.» Gli agenti sollevarono di peso Barry, incuranti dei suoi lamenti per i terribili danni fisici subiti, lo ammanettarono e uno di loro gli lesse i suoi diritti. «Avremo bisogno della sua testimonianza, signora» disse poi l'altro agente. «Non vedo l'ora di darvela.» Entrambi rinfoderarono le pistole e stavano per uscire quando all'improvviso si bloccarono, vedendo apparire davanti alla soglia Sandy sulla sua sedia a rotelle. Ma a bloccarli non era stata tanto lei quanto la pistola che stringeva in pugno. 34
La mano di un agente corse alla fondina. «Fermo!» gridò Sandy. Strinse la pistola con entrambe le mani. «Fermo!» ripeté. «Non ce l'ho con te, ma con lui.» E con la pistola indicò Barry. Poi spostò lo sguardo sul portantino. «Non mi riconosci, vero? E come potresti riconoscermi? Quel giorno non sei venuto in chiesa a uccidere me, ma uno dei testimoni: però hai sbagliato mira e hai ucciso lo sposo. Mio marito!» Barry cercò di prendere fiato e il sorriso sul volto di Sandy si allargò. «Ah, ora ti torna in mente.» Scosse il capo. «Che schifo di tiratore, eri! Hai ucciso mio marito, mi hai fatto finire su una sedia a rotelle e hai sbagliato bersaglio. I tuoi capibanda devono essersi incazzati da matti con te.» Michelle fece un passo avanti e la pistola venne puntata su di lei. «Non ti mettere a fare l'eroina, Michelle» la diffidò Sandy. «Non voglio farti del male ma è quello che farò, se cercherai d'impedirmi di dare a questo pezzo di merda la lezione che si merita da tanti anni.» «Non ce n'è bisogno, Sandy. Barry è stato arrestato per traffico di droga e se ne resterà al fresco un bel pezzo.» «No, Michelle, ti sbagli.» «Ci sono le prove, non ha scampo.» «Ce l'ha eccome. È nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia e lo copriranno come hanno già fatto in passato.» Michelle si voltò a guardarlo, poi riportò lo sguardo su Sandy. «Sotto protezione?» «Ha denunciato i suoi capi e non ha fatto nemmeno un giorno di prigione per aver ucciso l'uomo che amavo, i federali hanno voltato il capo dall'altra parte perché li aveva aiutati a mandare al fresco una famiglia di mafiosi. E anche stavolta gireranno la testa dall'altra parte, vero Barry? O forse dovrei chiamarti con il tuo vero nome, Anthony Bender?» Lui sorrise. «Non so nemmeno di che cosa stai parlando. E se provi a spararmi finirà male anche per te.» «E credi che me ne importi qualcosa? Mi hai portato via l'unica cosa alla quale tenevo veramente. L'unica!» «Il mio cuore sanguina per te, mia piccola povera paralitica.» «Zitto! Zitto!» gridò Sandy, spostando il dito sul grilletto. I poliziotti non perdevano di vista la pistola, Michelle se ne accorse e disse loro qualcosa sottovoce. Poi andò a mettersi tra Barry e Sandy. «Dammi la pistola, Sandy. Stavolta andrà in carcere, ci penserò io a far-
celo andare.» «Voglio proprio vedere» disse Barry, ridendo. Michelle si voltò di scatto verso di lui. «Zitto, idiota.» Poi tornò a rivolgersi a Sandy. «Andrà in prigione, te lo giuro. Ora dammi quella pistola.» «Togliti di mezzo, Michelle. Ho impiegato anni per trovare questo bastardo e ora devo regolare i conti.» «Ti ha tolto il marito e le gambe, non farti togliere quello che ti resta da vivere.» «Da vivere? E questa la chiami vita?» «Puoi aiutare gli altri, e non è poco.» «Ma non so nemmeno aiutare me stessa, come vuoi che aiuti gli altri?» «Hai aiutato me.» Michelle fece un altro passo in avanti. «Mi hai aiutato» ripeté a bassa voce. «Non sei una criminale, un'assassina, sei una brava persona. Non cambiare per colpa sua.» La pistola sembrò tremare nella mano di Sandy, ma poi tornò ferma come prima e la sua voce si fece più calma. «Mi dispiace, Michelle, hai ragione. Non posso uccidere quel rifiuto umano anche se se lo meriterebbe.» «Brava. Ora dammi la pistola.» «Addio, Michelle.» «Che cosa...» Sandy si portò la pistola alla tempia e premette il grilletto. Il clic sembrò rimbalzare sulle pareti della stanza, Sandy premette ancora ripetutamente il grilletto ma nessun proiettile uscì dalla canna per porre fine alla sua vita. Allora sollevò sbalordita lo sguardo su Michelle, che le si avvicinò togliendole la pistola di mano. «Li avevo tolti io i proiettili.» Sandy la guardò incredula. «Come... come facevi a saperlo?» «L'ho capito dal terriccio sulle dita e sul pavimento. Nessuno di solito si mette a scavare nel cestino dei fiori. Lì dentro doveva quindi esserci qualcosa.» «E allora perché non le ha tolto subito la pistola?» mugugnò uno degli agenti. «Si rende conto che se non ci avesse avvisati avremmo potuto sparare alla signora?» Michelle prese tra le sue una delle mani tremanti di Sandy. «Ho pensato che questo confronto, questo capire che cosa era e che cosa non era in grado di fare, l'avrebbe aiutata a dare un significato alla sua vita.» Michelle sorrise teneramente all'amica. «Questa è a volte la migliore terapia in asso-
luto.» «Sapevi di Barry?» le chiese Sandy. «Non immaginavo certo che era stato lui a uccidere tuo marito, ma da come lo guardavi avevo capito il tuo interesse per quell'uomo. Non conoscevo però la faccenda del programma di protezione.» Intervenne a questo punto Barry. «A proposito, perché non fate una telefonata al mio tutore?» chiese in tono sfrontato. «Si chiama Barry Truman e lavora qui a Washington allo US Marshall Service.» Michelle s'illuminò in volto. «Barry Truman?» «Perché, lo conosci?» le chiese lui quasi distrattamente. «Non potrei non conoscerlo, ho vinto con la figlia una medaglia d'argento alle Olimpiadi. Dopo che gli avrò raccontato questa storia potrai considerarti fortunato se riuscirai prima degli ottant'anni a non vedere più il sole tra le sbarre. Questo deve essere il mio giorno fortunato.» Gli agenti si portarono via Barry, che gridava e scalciava. Avrebbero voluto incriminare anche Sandy, ma fu Michelle alla fine a dissuaderli. «Ma davvero volete riempire tutti quei moduli per una fesseria del genere? E vi rendete conto che qualunque moglie americana vi considererebbe due veri imbecilli?» aggiunse, guardando ostentatamente la fede al dito di uno di loro. «La pistola tutto sommato era scarica» ricordò lui, visibilmente a disagio, al collega. «Ma sì, chi se ne fotte, e poi non abbiamo certo bisogno di una scocciatura del genere. Ma la pistola ce la portiamo via.» Michelle riportò Sandy in camera sua e rimase per un po' a parlare con lei. Poi tornò nella sua stanza e udì immediatamente un lamento. Andò ad aprire la porta del bagno e Cheryl rischiò di cadere al suolo. «Mi dispiace, Cheryl, mi ero dimenticata di te.» La accompagnò a letto che tremava come una foglia e le si sedette accanto. Poi notò sul pavimento la cannuccia, la tirò su e gliela porse: ma, incredibilmente, Cheryl non se l'infilò in bocca. Si aggrappò invece alle spalle della compagna di stanza e Michelle sentì contro la pelle le ossa di quella poveretta. Allora sospirò, poi sorrise e ricambiò l'abbraccio. «Ho saputo che stasera ci sarà una bella seduta di gruppo sui disordini dell'alimentazione. Che ne diresti di andarci insieme? Dopo cena, naturalmente.» «Ma tu non hai un disordine dell'alimentazione» le fece notare Cheryl con voce tremula. «Scherzi, Cheryl? Ho mangiato quella bistecca, ho addirittura fatto il
bis. E mi è piaciuta. Se questo non è un disordine dell'alimentazione.. .» 35 La sera dopo Sean stava preparando la valigia quando udì bussare alla porta. «Avanti.» Champ Pollion fece capolino. «Le ha parlato Alicia?» gli chiese Sean. «Di quella vostra idea? Non mi crea nessun problema se fa l'angelo custode di Viggie, ma cerchi di non farsi ammazzare» aggiunse deciso. «L'autoconservazione è sempre stata in cima alle mie priorità.» Chiuse la valigia e la posò sul pavimento. «Noi due non abbiamo parlato granché di quello che fate qui a Babbage Town.» Champ entrò. «Speravo che fosse Len a darle i particolari.» «Dal momento che lui non può, le dispiacerebbe farmi lei da cicerone? Potremmo fare subito due passi e andarcene alla Capanna 2.» «Quindi sa della Capanna 2?» «E mi incuriosisce moltissimo quel vostro gadget, quello che farà dimenticare al mondo Edison e Bell.» «Be', in effetti ho la fama di uno che ogni tanto ricorre all'iperbole.» «Perché non lascia giudicare a me?» «Guardi, non perché non voglia collaborare, ma...» «E allora collabori.» «Ci sono segreti che vanno mantenuti» disse lui con aria di superiorità. «Allora lasci che le spieghi la situazione, Champ. Punto primo, lavoro su questo caso con lo sceriffo Hayes che potrebbe costringerla a rivelarmi tutto, se mi spinge a farlo. Punto secondo, abbiamo due morti entrambi collegati a Babbage Town e non credo che lei vorrà portare questo numero a tre, specialmente se il terzo cadavere dovesse essere il suo.» «Il mio! Crede che io sia in pericolo?» «So di essere io in pericolo, quindi deve esserlo anche lei. Poco ma sicuro.» «Senta, non possiamo rimandare? Sono occupatissimo.» «La stessa cosa che mi ha detto Len Rivest, e guardi che fine ha fatto.» Champ s'irrigidì, per poi rilassarsi. «Non lo so, è molto imbarazzante.» «So per esperienza che chi non collabora ha sempre qualcosa da nascondere.»
Lui avvampò in viso. «Non ho nulla da nascondere.» «Bene, questo vuol dire che non le dispiacerà spiegarmi dove si trovava tra mezzanotte e le due della notte in cui è stato ucciso Len Rivest.» «L'hanno ucciso a quell'ora?» «Risponda alla mia domanda.» «Non devo rispondere proprio a niente» reagì Champ in tono di sfida. «È vero. Allora telefoni al suo avvocato, si cucia la bocca e lasci che l'FBI scavi nella sua vita a cominciare dagli anni della scuola materna. Tutto si può dire di quelli dell'FBI tranne che non siano meticolosi.» Champ sembrò meditare su queste ultime parole. «Non riuscivo a dormire e così sono sceso in ufficio per controllare i risultati di certe analisi.» «L'ha vista nessuno?» «Certo. C'è sempre qualcuno in servizio, la nostra attività si svolge ventiquattro ore al giorno sette giorni alla settimana.» «Quindi è sempre rimasto lì? Da mezzanotte alle due, voglio dire? E anche dopo? Ci sono testimoni che possano confermarlo?» Forza, Champ, dimmi una bugia. Dai. Sulla fronte di Champ si notavano alcune gocce di sudore. «Sì, per quel che mi ricordo. Non può pretendere che io sia preciso al minuto.» «Io no, ma qualcun altro sì, e stia sicuro che lo farà. Adesso andiamo a dare un'occhiata alla sua capanna.» Lungo la strada gli fece altre domande. «Pulizia e bucato sono affidate a un'impresa o ve ne occupate voi?» «Le donne delle pulizie hanno diversi turni e in ogni turno sono un paio di dozzine a lavorare.» Gli indicò una donna in camice bianco davanti a loro che spingeva sul marciapiedi un carrello pieno di biancheria. «Una parte dei servizi di lavanderia si trova nella Capanna 3, accanto all'Ufficio della sicurezza. Tutto il personale addetto alle pulizie passa attraverso un accurato controllo, indossa l'uniforme e ha un tesserino. È soddisfatto?» «No, non lo sono. Che tipo di detersivo viene usato?» Champ si fermò e lo fissò attentamente. «Mi scusi?» «Scherzavo, Champ. Stavo scherzando.» 36 La Capanna 2 era decisamente più grande di quella di Alicia. Per entrarvi Champ dovette far passare il badge, per poi farsi controllare le impronte digitali da uno strumento applicato alla parete. All'interno della capanna
c'era un'enorme area di lavoro, con una serie di uffici lungo il perimetro della struttura. Alcuni di questi uffici avevano la porta aperta e Sean vide altri dipendenti al lavoro con macchinari avanzatissimi. Su uno striscione appeso a una parete si leggeva P = NP. Sean lo indicò. «Che cosa significa?» Champ esitò. «È una formula che sostiene l'equivalenza di NP, il tempo polinomiale non deterministico, e di P, il tempo polinomiale. Quando sarà dimostrata, questa equazione farà sembrare quella di Einstein, e = mc2, un gioco da ragazzi.» «Come mai?» «I problemi di tipo P sono di semplice soluzione... be', diciamo relativamente semplice. I problemi NP completi, al contrario, sono i più difficili dell'universo.» «Come per esempio la cura del cancro?» «Non esattamente, anche se non conosciamo ancora tutte le possibili applicazioni. A questo scopo, anzi, abbiamo un ufficio incaricato unicamente di stabilire come e perché le proteine appena formate assumano quella particolare conformazione che caratterizza e determina la loro particolare funzione all'interno dell'organismo. Potrebbero assumere migliaia di miliardi di diverse conformazioni, eppure moltissime di loro acquisiscono proprio quella giusta.» Sean si accorse che quell'uomo era molto meno laconico e superficiale quando si toccavano gli argomenti di sua competenza e sfruttò questo vantaggio. «Ma allora, visto che di solito prendono la conformazione giusta, perché è tanto importante capire come facciano?» «Proprio perché non succede sempre, e quando non succede le conseguenze possono rivelarsi catastrofiche. Il morbo di Alzheimer e quello della mucca pazza sono dimostrazioni di come le proteine possano assumere una conformazione sbagliata. Ma è ad altro che mi riferivo. Con la soluzione di quella formula, per esempio, sarà possibile stabilire il miglior modo possibile di costruire un'automobile oppure come gestire l'intero traffico aereo mondiale non in una delle migliori maniere possibili ma nella migliore in assoluto, prendendo in considerazione ogni possibile fattore. Come portare l'energia con la massima efficienza da un punto A a qualsiasi altro punto, oppure come organizzare in maniera ottimale l'itinerario del proverbiale commesso viaggiatore: sembra incredibile, ma questo poveretto con sole quindici città sull'itinerario dovrebbe considerare oltre 650 miliardi di possibilità.
«Lo sapeva lei che nessun software al mondo viene venduto con la garanzia di essere completamente privo di difetti? Se riusciremo a risolvere i problemi di tipo NP sarà possibile fornirla, questa garanzia. Ma si tratterebbe di una scoperta veramente epocale per un altro motivo: riteniamo che, per come è fatto l'universo in cui viviamo, una volta risolto anche un solo problema di tipo NP, automaticamente sono risolti anche tutti gli altri dello stesso tipo. Sarebbe la più grande scoperta della storia dell'umanità, e il premio Nobel rappresenterebbe un misero riconoscimento per il suo autore.» «E come mai allora i computer non ci riescono?» «I computer sono creature deterministiche, mentre invece i problemi di NP, come dice la stessa sigla, sono di tipo non-deterministico. Per risolverli è necessaria quindi una tecnologia non-deterministica.» «È a questo che lavorate, qui dentro?» «Congiuntamente alla ricerca di un sistema per eseguire rapidamente la fattorizzazione di numeri molto grandi.» «Questo concetto me l'ha spiegato Alicia. Sta tentando di scoprire una scorciatoia e quando verrà trovata nulla sarà più sicuro e il mondo che conosciamo si fermerà. Fermare il mondo vale un premio Nobel?» Champ fece spallucce. «È un argomento per i politici, non per noi umili scienziati. E le ricerche di Alicia sono a lungo termine, a dir poco.» Gli indicò il personale al lavoro. «È qui dentro la risposta, e soltanto noi dobbiamo trovarla.» Per un attimo sembrò esitare. «Dia un'occhiata qui» disse poi. E lo portò soddisfatto a un tavolo ovale con il ripiano di vetro. Sotto questo ripiano c'era uno strano macchinario. «Che cos'è?» gli chiese Sean. «Una macchina di Turing» rispose Champ con una nota di venerazione nella voce. «Turing come Monk Turing?» «No, come Alan Turing. Credo però che fossero parenti e questo dimostra quindi una certa tendenza ereditaria. Alan Turing era un autentico genio che salvò milioni di vite durante la Seconda guerra mondiale.» «Era un medico?» «No, un matematico, ma è una definizione riduttiva. Lavorava nel famoso Bletchley Park, appena fuori Londra. Abbiamo chiamato i nostri edifici "capanne" proprio in omaggio ai decrittatori di Bletchley, che avevano dato questo nome ai loro laboratori. Per dirla in parole semplici, Turing è
l'inventore di quella macchina che come una bomba aprì una breccia nel codice Enigma della Germania nazista. Grazie a Turing la guerra in Europa è terminata con almeno due anni di anticipo. Era anche omosessuale ma grazie a Dio il governo all'epoca non se ne accorse, altrimenti l'avrebbero tagliato fuori, quegli idioti, e gli Alleati avrebbero perso la guerra! Ma al termine del conflitto la sua omosessualità fu scoperta, la carriera di Turing fu rovinata e quel poveretto si ammazzò. Tutto quel talento sprecato solo perché gli piacevano i ragazzi invece delle ragazze.» «Come ha detto che si chiama? Macchina di Turing?» «Sì. Turing teorizzò quella che, in mancanza di meglio, possiamo definire una macchina pensante universale. Posso assicurarle che, nonostante appaia semplice, questa macchina, con una sequenza di istruzioni adeguata, può affrontare qualsiasi problema. Tutti i computer di oggi sono basati su questo modello: è una specie di software molto datato. Non è possibile inventare un computer classico migliore o concettualmente più potente di una macchina di Turing, al massimo se ne possono costruire di più veloci.» «Riecco l'aggettivo "classico".» Champ prese dal tavolo un tubo di vetro lungo e sottile. «E questo è l'unico esemplare al mondo di uno strumento potenzialmente più straordinario della macchina di Turing.» «Me l'aveva già mostrato la prima volta che ci siamo visti, ma senza spiegarmi che cos'è.» «Posso farlo, ma lei non capirebbe.» «Avanti, non sono stupido.» Sean cominciava a irritarsi. «Ma che cos'ha capito!» esclamò l'altro. «Non lo capirebbe perché nemmeno io posso dire di averlo capito completamente. La mente umana non è in grado di ragionare a livello subatomico, un fisico che le dicesse di avere le idee chiare sul mondo dei quanti mentirebbe.» «È della fisica quantistica, allora, che stiamo parlando?» «Più precisamente, di particelle subatomiche con una potenza computazionale che supera le possibilità di comprensione della mente umana.» «Non fa una grande impressione» commentò Sean, osservando il tubo di vetro. Champ vi passò sopra un dito. «Nel mondo dei computer si suol dire che le dimensioni contano. Nel Laboratorio Nazionale di Los Alamos esiste un supercomputer chiamato Blue Mountain. Come lei sicuramente saprà, ogni personal computer ha un chip, ossia un microcircuito integrato, che è in pratica il cervello del computer e contiene milioni di deviatori miniaturiz-
zati che cinguettano in una lingua fatta di 1 e di 0. Blue Mountain contiene oltre seimila chip e ha una potenza di tre teraflop/s, il che significa che è in grado di eseguire tremila miliardi di operazioni al secondo. Viene usato per simulare le conseguenze di un'esplosione nucleare, dal momento che gli Stati Uniti per fortuna gli ordigni nucleari non li fanno più esplodere. Comunque, per quanto potente sia il vecchio Blue Mountain, quando hanno tentato di fargli riprodurre un semplice milionesimo di secondo di esplosione nucleare ci ha impiegato quattro mesi.» «Non esattamente una velocità esagerata» commentò Sean. «Ora stanno lavorando a un altro supercomputer che manderà in soffitta Blue Mountain, una macchina da 30 teraflop/s chiamata in codice "Q" che occupa uno spazio di oltre quattromila metri quadri. Potrà eseguire in un minuto più calcoli di quanti potrebbe farne in un miliardo di anni un essere umano armato di calcolatrice, e sono allo studio esemplari ancora più veloci. Eppure tutti questi modelli di computer non superano in efficienza la macchina di Turing: occupano molto più spazio e hanno un costo d'esercizio molto più alto. Di meglio non abbiamo saputo fare.» Sollevò il tubo di vetro. «Fino a ora.» «Mi sta dicendo che quello è un computer?» «Nel suo stato attuale è uno strumento rudimentale in grado di fare qualche calcolo: ma non è questo il punto. Il computer parla in una lingua fatta di 1 e di 0 e con un computer classico si può essere un 1 o uno 0, ma non entrambi. Nel mondo dei quanti questi limiti non sussistono più. Un atomo, in pratica, può essere allo stesso tempo un 1 e uno 0 ed è proprio questa la bellezza del nuovo concetto. Un computer classico si fa strada faticosamente all'interno di un problema, quasi sempre in maniera lineare, finché non arriva alla risposta giusta. Con un computer quantistico ogni atomo cerca la risposta in parallelo. Poniamo, per esempio, che lei voglia trovare la radice quadrata di tutti i numeri da 1 a 100.000: in tal caso si pongono tutti i numeri su una fila di atomi, si stimolano con dell'energia questi atomi e poi si fa cadere questa fila con la massima cautela perché, una volta osservato, l'intero sistema crolla come un castello di carte. E voilà, avrà contemporaneamente tutte le risposte giuste in alcuni millisecondi.» «Non capisco come sia possibile.» Champ si rabbuiò. «Certo che non lo capisce, lei non è mica un genio. Riportiamo allora il discorso a un livello che lei è in grado di comprendere. Un supercomputer come quel mastodontico Q riceve dati in gruppi da sessantaquattro bit, e noi mettiamo in fila sessantaquattro atomi. Ricordi, Q
occupa oltre quattromila metri quadri mentre sessantaquattro atomi sono invece microscopici. Il computer quantistico da sessantaquattro atomi può in teoria eseguire contemporaneamente diciotto quintilioni di calcoli, laddove con Q bisogna "accontentarsi" di trentamila miliardi al secondo.» Sean non credeva alle sue orecchie. «Diciotto quintilioni? Ma esistono i quintilioni?» «Le illustro meglio il contesto. Per eguagliare la potenza di quelle sessantaquattro microscopiche particelle di energia, il supercomputer Q avrebbe bisogno di una superficie grande cinquecento volte quella del Sole per ospitare tutti i chip necessari.» Sorrise malizioso. «Se riuscisse a risolvere il problema del calore, ovviamente. Si potrebbero usare in alternativa molecole, che occupano molto meno spazio. Come dicevo, nel mondo dei computer le dimensioni contano e piccolo invece che grande è di gran lunga preferibile.» «Monk Turing era un esperto in materia?» «Sì, era un fisico di prim'ordine.» «E ciò che sapeva poteva essere venduto?» «Ci potrebbe sicuramente essere qualcuno pronto a pagare per quelle informazioni.» «Nessuno le ha mai accennato alla possibilità della presenza di spie a Babbage Town?» Aveva buttato lì quella domanda quasi distrattamente per osservare la reazione di Champ. «Chi gliel'ha detto?» «Allora lo sapeva?» «No, voglio dire, la possibilità c'è sempre» rispose esitando Champ, che all'improvviso era visibilmente impallidito. «Okay, si calmi e mi dica la verità.» Quello s'inalberò. «La verità è che non posso dire con certezza che ci sono spie o che non ci sono.» «Ma se ci fossero, che cosa potrebbero cercare?» «Dopo anni di dati, di ricerche, di esperimenti e di errori, di passi avanti, di opportunità, stiamo per arrivare alla risposta.» «Una risposta preziosa?» «Enormemente preziosa.» «Al punto di scatenare una guerra?» Champ lo fissò. «Prego Iddio di no, ma...» «Risulta che otto o nove mesi fa Monk Turing è stato all'estero e lei deve
aver dato la sua autorizzazione al viaggio. Sa dov'era andato?» «No. Mi disse che doveva partire per una questione di famiglia. Non penserà che Monk Turing fosse una spia, vero?» Sean non rispose e rimase a seguire con lo sguardo un operaio che usciva dall'edificio. Quando varcò la soglia un piccolo pannello accanto alla porta prese a lampeggiare. Sean, entrando, non ci aveva fatto caso. «Che cos'è?» «Uno scanner, che registra automaticamente chi entra e chi esce.» «È vero, Len mi aveva parlato di questo registro elettronico, con il quale erano riusciti a ricostruire i movimenti di Monk Turing. Questo significa, allora, che possiamo chiedere al computer a che ora lei è entrato la scorsa notte e a che ora è uscito.» Champ stava per rispondergli, quando la porta venne spalancata e fece il suo ingresso lo sceriffo Hayes con alle spalle un uomo della sicurezza dall'aria seccata. «L'ho cercata dappertutto» disse Hayes senza fiato a Sean. «Dobbiamo partecipare a una riunione con Ian Whitfield, subito. Lui veramente ha convocato me, ma io voglio che venga anche lei.» «Chi diavolo è Ian Whitfield?» chiese sorpreso Sean. «Il direttore di Camp Peary. Muoviamoci.» Guardò fisso Sean. «Lei viene, vero?» «Certo.» 37 Dopo il fastidio di una cena anticipata e la seduta di gruppo con Cheryl sui disordini dell'alimentazione, Michelle si congedò definitivamente dalla clinica. Ma prima andò a trovare Sandy. «Ho parlato con il mio amico degli US Marshals» le annunciò. «Mi ha detto che non ne possono più delle stronzate di Barry e che quindi stanno per estrometterlo dal programma di protezione, e proporranno al procuratore di chiedere per lui il massimo della pena.» «Non potrò mai ringraziarti abbastanza, Michelle. Non so che cosa sarebbe successo se quella pistola fosse stata carica.» «È proprio a questo che servono le amiche fuori di testa.» «Ora smettila di preoccuparti per me e vatti a prendere quell'uomo.» «Te l'ho detto, Sandy, siamo solo amici.» «Ma lo vedrai?»
«Certo. Mi manca.» «Allora ti accorgerai se vuoi veramente rimanere per lui soltanto un'amica.» Stava per andarsene quando Sandy le dette un'ultima raccomandazione. «Non dimenticare di invitarmi al matrimonio. E, se fossi in te, investirei qualche dollaro in un metal detector: con il lavoro che fai non puoi mai sapere chi potrebbe presentarsi alle tue nozze.» Terminate le pratiche per la dimissione, Michelle lasciò alla caposala un messaggio per Horatio Barnes. «Dica al signor Harley-Davidson di cancellarmi dalla sua agenda. Sono guarita.» «Mi fa piacere che le nostre terapie abbiano avuto effetto.» «Le vostre terapie non c'entrano niente, a farmi guarire è stato l'essere riuscita a incastrare quel verme di Barry. Molto meglio questa soddisfazione delle vostre pillole della felicità.» E uscì sbattendo la porta. Si riempì i polmoni della fresca aria della sera e si fece portare da un taxi al nuovo appartamento. Entrò con le chiavi che Sean le aveva lasciato e cominciò a mettere in disordine la sua stanza seminando le sue cose dappertutto. E lo stesso fece con parte di quelle di Sean. Lui, fissato per l'ordine com'era, al ritorno le avrebbe sicuramente rimesse a posto, ma almeno sarebbe stato costretto a fare quello sforzo. Quindi corse al suo fuoristrada e se ne andò in giro una mezz'ora, con i finestrini abbassati, un CD degli Aerosmith a tutto volume e la gradevole sensazione di tutte le sue cianfrusaglie sotto i piedi. Ora aveva soltanto bisogno di un po' di riposo, si disse. Le sedute con Barnes erano state veramente pallose, ma era riuscita a sopravvivere anche a quelle: lei non aveva dubbi su chi dei due avesse la volontà più forte. Sgombrò la mente da Horatio Barnes per concentrarsi sull'immediato futuro: raggiungere Sean. Avrebbe potuto telefonargli per annunciargli il proprio arrivo, ma lei faceva molto raramente la scelta giusta. E, pur se non voleva ammetterlo, una piccola parte di lei temeva che Sean le avrebbe detto di non andare. Tornata a casa, le bastò una breve ricerca tra le cose di Sean per trovare ciò che le serviva: una copia della documentazione su Babbage Town, con le indicazioni per arrivarci. Sean aveva detto che avrebbe viaggiato su un piccolo aereo, messo sicuramente a disposizione da quella rompicoglioni di Miss Joan, ma lei preferì andarci in auto. Era a circa quattro ore di macchina, per un normale guidatore: ma, grazie a un segnalatore di radar illegale e al pedale dell'acceleratore a tavoletta, lei contava di impiegarcene
meno di tre. Il fatto, poi, di non lavorare per la società di Joan non la dissuase minimamente; era quell'indagine che contava. E sapeva che, lavorando insieme, lei e Sean erano una coppia inarrestabile. Poco ma sicuro. Era questo ciò che contava: non lei ma loro. Riempì una valigia e si mise in viaggio, fermandosi soltanto per bere un caffè di dimensioni monumentali e divorare tre tavolette energetiche. Aveva l'adrenalina alle stelle. Dio, che bello sentirsi viva! E libera! Dall'aeroporto Horatio andò direttamente alla clinica, dove scoprì che la paziente che più gli stava a cuore aveva tagliato la corda. «Le ha detto dove sarebbe andata?» chiese alla caposala. «No, ma mi ha incaricato di dirle che è guarita.» «Ah sì? Adesso si fa anche le autodiagnosi?» «Non lo so, ma forse è il caso che le dica che cosa ha combinato qui dentro.» E gli riferì la storia di Barry, Sandy, il programma di protezione e l'arresto per droga. «Tutto questo mentre ero via? Che diavolo, non sono poi stato assente tanto tempo.» «Quella signora non si fa crescere l'erba sotto i piedi, e probabilmente nient'altro. Ho sentito che ha pestato Barry ben bene: a me, se devo dirglielo, non era mai piaciuto.» «Che bella cosa il senno di poi» borbottò Horatio allontanandosi. «Buonanotte anche a lei, signor Harley-Davidson» lo salutò seccata la caposala. Horatio fece il punto della situazione. Doveva capire che cosa aveva in mente di fare Michelle e non è che ci volesse molto: avrebbe sicuramente voluto rifare coppia con Sean e magari era già in viaggio per raggiungerlo. Legalmente lui non poteva fare niente per fermarla, ma sapeva per certo che Michelle non era guarita. L'incidente al bar avrebbe potuto avere un bis, manifestandosi sotto una forma diversa e concludendosi forse tragicamente. Stava pensando come fare per mettere in guardia Sean quando il suo cellulare squillò. «Parli del diavolo e spunta la coda, stavo proprio per telefonarti» gli disse Horatio. Sean si fece una risatina. «Potrei commentare con quella battuta sulle grandi menti che pensano allo stesso modo, ma qui sono circondato da autentici cervelloni e quindi me la risparmio. Sto per fare la conoscenza del
capo di Camp Peary, ma prima volevo chiederti qualcosa.» «Camp Peary? Parli della Fattoria della CIA?» «L'unica e sola, certo. Ho bisogno di un favore.» E gli parlò di Viggie. «Lo so che per te è un sacrificio venire qui, occupato come sei con Michelle e con gli altri tuoi pazienti.» «Ti stai sbagliando, purtroppo. La mia paziente preferita risulta assente ingiustificata.» E l'informò del movimentato episodio con Barry e compagnia e dell'addio di Michelle alla clinica. «Maledizione, quella è capace di mettersi nei guai dovunque vada» commentò Sean. Ma nella sua voce si leggeva una vena d'orgoglio per ciò che la sua amica aveva fatto. «E darei per sicuro che stia venendo da te.» «Da me? Le ho accennato qualcosa del caso che sto seguendo, ma non le ho detto dove mi trovavo.» «Hai lasciato in casa del materiale su questo nuovo incarico?» «Sì, maledizione. Ho lasciato lì delle fotocopie perché non ho un ufficio.» «Lodevole istinto organizzativo, ma questo significa che te la vedrai spuntare domani mattina, se non prima.» «A Joan verrà un colpo, quelle due non vanno d'accordo.» «Ma che strano. Vengo giù domani, da quelle parti c'è un posto dove andare a stare?» «Penso di poterti trovare qualcosa a Babbage Town. Allora, che cosa mi consigli di fare quando mi troverò davanti Michelle?» «Comportati normalmente, lei ti sembrerà sicuramente normale.» «Hai fatto qualche progresso con lei?» «Ho fatto un interessante viaggio in Tennessee, sul quale ti riferirò quando ci vedremo. Devo ringraziarti per esserti rivolto a me, il caso Michelle è davvero affascinante. E anche quello della piccola Viggie mi sembra a prima vista interessante.» «Horatio, questo posto è davvero interessante oltre che, ultimamente, un po' più che pericoloso. Quindi, se declini gentilmente l'invito, non me la prendo di certo.» «Faccio finta di non avere udito.» «Michelle sta meglio?» «Dobbiamo aiutarla a ripulirsi l'anima, Sean, in modo da non doverci mai più preoccupare di un'esplosione come quella del bar. E non ho intenzione di mollare fino a quando non ci riusciremo.»
«Sono al tuo fianco, Horatio.» «Bene, perché da ciò che ho visto e capito, un uomo non ce la fa da solo a prendersi cura di lei.» «E lo dici a me?» 38 Mentre attraversavano il campus William and Mary con la sua ordinata distesa di edifici in mattoni, Sean lanciò un'occhiata ad Hayes, che guidava proteso in avanti tenendo il volante così stretto da farsi diventare le nocche colore del guscio d'uovo. «Sceriffo Hayes, se rompe il volante non potremo tornare indietro.» Lo sceriffo arrossì, allentando la presa sul volante. «Mi chiamano tutti Merk, diamoci del tu. Forse non mi sto comportando molto professionalmente, come tutore della legge: vero?» «Sono pochi i poliziotti convocati al cospetto del Lupo Cattivo nel bel mezzo di un'indagine.» «Che cosa pensi che avrà da dirci?» «Probabilmente qualcosa che non ci farà piacere sentire. E ti avverto, non ho alcuna intenzione di collaborare.» «Le mie giornate si fanno sempre più belle!» esclamò Hayes. «Allora, hai parlato con Alicia?» «Non avrei potuto non farlo, dopo che mi hai detto che si vedeva con Rivest.» «Era una storia seria, la loro?» «Secondo lei sì, mi è sembrato di capire.» Parcheggiarono davanti all'indirizzo che era stato comunicato allo sceriffo, una palazzina in mattoni di tre piani che sembrava occupata solo da appartamenti. Nell'atrio trovarono ad aspettarli un uomo in pantaloni cachi e polo e Sean decise che era uno della sicurezza di Ian Whitfield: meno alto di lui e meno muscoloso, ma senza un grammo di grasso e con gli addominali ben visibili sotto la maglietta. L'occhio esperto di Sean lo classificò immediatamente come il tipo capace di ammazzarti in una decina di modi diversi, e senza battere ciglio. Come prima cosa l'uomo mostrò loro un documento d'identità, poi confiscò la pistola dello sceriffo e quindi perquisì Sean. Il tutto senza dire una parola.
Salirono in ascensore al terzo piano e furono fatti sedere su comode poltrone attorno a un tavolo ovale. Mister Addominali si assentò, per tornare poco dopo con un altro signore, anche questo in pantaloni cachi e polo. Era in ottime condizioni fisiche ma, a differenza del primo, vicino alla sessantina e aveva i capelli grigi cortissimi. Zoppicava leggermente, nella sua gamba destra c'era qualcosa che non andava. Bastò una rapidissima occhiata dell'ultimo arrivato a Mister Addominali e nella mano di Whitfield si materializzò una cartellina: perché quello, concluse Sean, era proprio Ian Whitfield. Per qualche minuto nella sala regnò il silenzio, mentre il padrone di casa faceva scorrere metodicamente le pagine del documento. Poi rivolse finalmente la sua attenzione su Sean e lo sceriffo. «Nelle vicinanze della nostra struttura sono stati registrati negli ultimi ventisette mesi quattro suicidi accertati» esordì Whitfield. Sean non immaginava che la riunione si sarebbe aperta in quel modo, ed evidentemente nemmeno Hayes. «Per qualche motivo» proseguì Whitfield «siamo diventati una specie di capro espiatorio per i depressi e gli aspiranti suicidi. Ignoro i motivi di questa preferenza ma potrebbero essere tanti, come la ricerca della notorietà e la volontà di crearci problemi. Non è necessario che vi dica che comincio un po' a stancarmi di questi esibizionisti.» «Non definirei esibizionista qualcuno che muore, le sembra?» chiese Sean, mentre il sangue defluiva dal volto di Hayes. «Le circostanze della morte di Monk Turing non sono state ancora accertate, non sappiamo se si sia trattato di suicidio o di omicidio.» Whitfield tamburellò con le dita sulla cartellina. «Tutto farebbe pensare a un suicidio.» Spostò la sua attenzione su Hayes. «Non sembra anche a lei, sceriffo?» «Penso di sì» balbettò lo sceriffo. «Nulla fa pensare che Monk fosse così depresso da togliersi la vita» fece notare Sean. «Non sono un po' depressi tutti, i geni?» chiese Whitfield. «Come fa a sapere che era un genio?» «Quando qualcuno si sposta dalle mie parti mi piace farne la conoscenza.» «Lei è stato a Babbage Town, vero?» lo incalzò Sean. Whitfield si voltò verso Hayes. «Spero di avere chiarito il concetto, quattro suicidi e adesso cinque. La mia pazienza ha un limite.»
«Un uomo è morto» disse lo sceriffo, che sembrava avere ritrovato il coraggio di fronte al tono paternalistico di quelle parole. «Tutti possono scavalcare una recinzione e farsi saltare le cervella.» «Il fatto che lo dica lei non significa che sia vero» obiettò Sean. Whitfield non distolse gli occhi da Hayes. «Immagino che quest'uomo sia in qualche modo collegato a lei.» Fu Sean a rispondergli. «Mi scusi, il mio nome è Sean King ma purtroppo abbiamo saltato le presentazioni. Collaboro a quest'inchiesta con lo sceriffo Hayes. Ed entrambi immaginiamo che lei sia Ian Whitfield, responsabile del Camp Peary della CIA: in caso contrario stiamo perdendo un mucchio di tempo.» «L'indagine dell'FBI si è conclusa con un verdetto di suicidio» disse Whitfield. «Be', non sarebbe la prima volta che l'FBI chiude un'indagine troppo precipitosamente. A parte questo, dobbiamo considerare anche l'omicidio di Len Rivest, capo della sicurezza a Babbage Town.» «Questo non mi riguarda.» «E invece sì, se la sua morte è in qualche modo collegata a quella di Turing.» «Ne dubito fortemente.» «È proprio per questo che ci siamo noi, sa? Perché la sua opinione non conta molto.» Per tutta risposta Whitfield lanciò un'occhiata verso la porta. Un momento dopo Mister Addominali torceva un braccio di Sean dietro la schiena e lo portava rapidamente all'uscita. Oppure sul tetto. Nell'atrio Mister Addominali restituì ad Hayes la pistola e dette un'altra strizzata al braccio di Sean. «Ma sei matto a parlargli in quel modo?» disse a Sean lo sceriffo mentre si dirigevano all'auto. «È probabile.» «Ammettilo, hai esagerato per farlo andare in bestia. Perché?» «Perché è una testa di cazzo, ecco perché.» «Sui quattro suicidi ha ragione.» «Questo non significa che lo sia anche quello di Monk. Anzi, il precedente dei quattro potrebbe avere fatto venire a chi l'ha ucciso l'idea di far sembrare un suicidio anche la morte di Monk.» «Il ragionamento fila, effettivamente.» «Grazie, cerco di farne almeno uno al giorno.»
«Allora, si torna a Babbage Town?» «Prima voglio controllare una cosa.» Sean si mise al volante e lo sceriffo dovette sedergli accanto. «Non so se il regolamento permette che sia tu a guidare» gli fece notare. «Ormai, arrivati a questo punto...» Ingranò la retromarcia, uscì dal parcheggio e andò a fermarsi non molto lontano dall'ingresso. «Che cosa stiamo facendo?» gli chiese Hayes. «Si chiama sorveglianza e immagino che il concetto non ti sia estraneo.» «Ma chi vorresti sorvegliare, il gran capo di Camp Peary?» «C'è una legge che lo vieta?» «Penso di sì, che diavolo!» Un quarto d'ora dopo un'auto si fermò accanto all'ingresso e ne scese una donna sui trentacinque anni. Era alta, abbronzata, aveva lunghe gambe e un fisico per il quale valeva la pena voltarsi in strada non una ma due volte. Stava avvicinandosi all'ingresso quando proprio in quel momento ne uscirono Whitfield e la sua ombra. Whitfield stette per un po' ad ascoltarla, poi se ne andò zoppicando sempre in compagnia di Mister Addominali ed entrò in una berlina nera, che si allontanò, lasciando la sconosciuta apparentemente sconcertata, a dir poco. «Interessante» commentò Sean. «Deve essere la moglie di Whitfield o la sua amante.» «Oppure la fidanzata.» «No, Whitfield portava la fede all'anulare.» Mentre parlavano la donna risalì in auto e partì; Sean inserì la marcia e la seguì. «Che cosa diavolo stai facendo?» gli chiese lo sceriffo. «La seguo.» «Rischiamo di metterci nei guai, Sean.» «Ci sono già, nei guai.» Hayes si sistemò contro lo schienale del sedile, con un sospiro di rassegnazione, e Sean sorrise. «Sei ancora contento della tua decisione di associarmi all'indagine?» «No!» «Bene, questo significa che cominciamo a essere una coppia affiatata.» E queste parole fecero ricordare a Sean che entro poche ore sarebbe arrivata Michelle. Lui di solito non vedeva l'ora di stare con lei, ma gli tornarono in mente le parole di Horatio. Michelle poteva essere un pericolo per se stessa, non avrebbe dovuto lasciare la clinica, non era guarita. E adesso stava per arrivare lì. Chi era in grado di dire che cosa sarebbe potuto suc-
cedere? 39 Mentre guidava Michelle telefonò a una sua amica, una ex collega del Servizio segreto che aveva aiutato a fare carriera e che da qualche tempo lavorava al National Intelligence Center. E la chiamò a casa, immaginando che il telefono dell'ufficio fosse sotto controllo. Chiacchierarono del più e del meno, poi Michelle entrò in argomento. «Non ti chiedo di rivelarmi qualche segreto, Judy, ma che sai dirmi di Camp Peary?» «È quel campo di addestramento sperimentale gestito dal dipartimento della Difesa?» «Ti prego, Judy. Sto parlando della CIA.» «Certo, certo. Scusami ma mi è uscita automaticamente la definizione ufficiale.» E l'amica le fornì informazioni sulle dimensioni materiali della struttura e le illustrò in sintesi la storia di Camp Peary e la sua missione ufficiale. «La maggior parte dell'addestramento avanzato viene svolto ora al Point, nel North Carolina, ma Camp Peary rimane il principale centro per la formazione del personale della CIA. Al Pentagono hanno in programma di farlo diventare la sede della loro scuola di spionaggio, istituendo in tutto il mondo dei comandi operativi d'intelligence.» «Troppa intelligence a volte fa male» commentò amara Michelle. Judy si mise a ridere. «Ufficialmente non posso pronunciarmi. Attualmente il capo a Camp Peary è un certo Ian Whitfield, un ex militare che faceva parte della Delta Force, mi sembra. Un eroe di guerra del Vietnam, uno con il quale è meglio non fare troppo gli spiritosi. È entrato nell'intelligence negli anni Ottanta e negli ultimi anni ha lavorato in Medio Oriente. Ora che è nuovamente negli USA si dice che voglia riportare Camp Peary a un ruolo di assoluta preminenza.» «E come?» «Perché lo vuoi sapere?» «Ho avuto un incarico da quelle parti, qualcuno è stato trovato morto all'interno della struttura.» «L'ho letto sul giornale. Pensavo fosse stato un suicidio.» «Potrebbe essere. Stavamo parlando di Ian Whitfield.» «Due anni fa tramite il Congresso hanno ricevuto un finanziamento per costruire a Camp Peary un nuovo edificio, un dormitorio a quel che si di-
ce.» «A quel che si dice?» «Senti, io non ti ho detto niente.» «Noi due non abbiamo mai parlato. Ora sputa fuori.» «Negli anni Novanta hanno costruito un dormitorio di 105 stanze che doveva servire per gli allievi di una nuova scuola di addestramento. Ma pare che questi fondi siano serviti per un centro di interrogatori.» «Di interrogatori? E perché tutta questa segretezza?» «Dipende da chi si interroga e...» «... e da come lo si interroga» concluse Michelle al posto suo. «Esattamente.» «Terroristi?» «Lo sai che probabilmente la National Security Agency sta ascoltando la nostra conversazione?» «Facciano pure. Non hanno personale sufficiente per intercettare le conversazioni dei cattivi, pensa se ce l'hanno per le chiacchiere di due come noi. Quindi, portano laggiù persone delle quali nessuno sa nulla e forse le torturano?» «Ufficialmente? No, assolutamente. Ufficiosamente, chi lo sa? Non è che andiamo a raccontare in giro che abbiamo aperto una camera di tortura nuova di zecca a Tidewater, Virginia, a tre ore di distanza dalla capitale del mondo libero. Sono contraria ai maltrattamenti ai prigionieri, ma è la guerra al terrorismo quella che stiamo combattendo e non possiamo combatterla con i vecchi sistemi.» «Come ce li portano i prigionieri a Camp Peary?» «Oltre ai fondi per il "dormitorio" ne hanno stanziati altri per costruire una pista per l'atterraggio e il decollo di grossi jet.» «Jet in grado di effettuare viaggi transcontinentali?» «Esattamente.» Michelle rimase qualche istante in silenzio. «Le unità paramilitari sono sempre di stanza a Camp Peary?» le chiese poi. «Non so dirtelo.» «Dai, Judy!» «Mettiamola così, non andarci a fare un picnic perché potresti non tornare più.» «Ti ringrazio, mi hai dato una grossa mano.» «Se sono sopravvissuta al primo anno nel Servizio segreto lo devo solo a te.»
«Tra noi ragazze dobbiamo aiutarci.» «Lavori a questo caso con Sean King?» «Sì.» «Siete ormai qualcosa di più di una semplice coppia di investigatori?» «Perché me lo chiedi?» «Perché se tu non hai qualche mira su di lui ci provo io. È un tipo da sballo, quello lì.» «Dovresti vederlo quando è ipocondriaco.» «Me lo prendo anche ipocondriaco, credimi.» Michelle chiuse la comunicazione, si pappò una tavoletta energetica e terminò il caffè. Poi controllò l'orologio e il navigatore satellitare. Andava a oltre 140 all'ora e tra poco sarebbe arrivata. Benedetto quel segnalatore di radar della polizia. 40 Hayes e Sean seguirono l'auto della donna fino al parcheggio di un bar molto frequentato, a circa tre isolati di distanza dal campus William and Mary. Lei entrò nel locale e loro due, dopo una rapida consultazione, decisero che Sean sarebbe entrato da solo e Hayes, che era in uniforme, sarebbe rimasto in macchina. Mentre Sean scendeva, lo sceriffo sollevò una mano. «Ascolta, vorrei ti fosse chiaro il mio punto di vista: se quella donna è la moglie di Whitfield, avvicinarsi a meno di tre chilometri di distanza da lei è un grosso errore.» «D'altra parte, se la morte di Monk è collegata a Camp Peary e a Ian Whitfield, potrebbe anche darci qualche dritta. E, in più, potrei magari scoprire chi ha tentato di uccidermi.» All'interno del bar la clientela era rappresentata da un interessante mix di studenti universitari e di gente che invece doveva lavorare per mantenersi. Dietro al bancone all'antica, che sembrava uscito dal set di Cheers, due ragazzi e un adulto preparavano drink alla massima velocità consentita dalle loro mani e dai loro cervelli. L'istruzione superiore è notoriamente causa di notevole sete, pensò Sean. La vide subito, seduta a un tavolo alto accanto ai biliardi. Era già stata servita e stava abilmente respingendo le avance di un ragazzo che, a giudicare dal fisico, poteva essere un attaccante della squadra di football del William and Mary. Sean al posto del ragazzo avrebbe fatto lo stesso. La gonna della donna era corta e le gambe lunghe, i capelli biondi le ricade-
vano sulle spalle e accanto al profondo solco dei seni rivelato dalla scollatura, gli occhi azzurri sembravano ribollire sotto la loro placida superficie. Se lui fosse stato uno studente di quel college avrebbe giocato carte false pur di portarsi a letto una creatura come quella, e con la fama procuratagli da quella conquista avrebbe potuto campare di rendita per tutti e quattro gli anni del corso. Il ragazzo scrisse qualcosa su un tovagliolino di carta, doveva trattarsi del suo numero di telefono o di qualche indecente pratica sessuale alla quale l'invitava, e glielo porse. Lei lesse, scosse il capo e gli fece cenno di andarsene. Sean colse la palla al balzo e andò a sedersi accanto a lei. Forse perché lui aveva evidentemente l'età per bere alcolici senza violare la legge o forse perché aveva dato fondo alle proprie energie per respingere l'assalto dell'atleta, fatto sta che la donna accolse il nuovo venuto con un sorriso incoraggiante. «Non l'ho mai vista in questo locale» gli disse. «Perché è la prima volta che ci vengo.» Sean intercettò lo sguardo di una cameriera. «Che cosa sta bevendo la signora?» La signora sollevò il bicchiere. «Le piace il mojito?» «Da questo momento, sì.» Poi guardò ostentatamente la fede al dito della donna. Lei se ne accorse. «Non credo esista una legge che vieti a una donna sposata di uscire di sera da sola.» «No, decisamente. Mi scusi. Mi chiamo Sean Carter.» «Valerie Messaline.» Se era sposata al vecchio Ian, la signora non aveva preso il cognome del marito. Si diedero la mano, la stretta di lei si rivelò forte e sicura e a lui gliene fece venire in mente una che conosceva bene: quella di Michelle. «Allora, che cosa l'ha portata in questo nostro paesino?» «Il lavoro. Immagino che lei viva da queste parti.» «No, è mio marito che ha un ufficio in zona e stasera pensavo di uscire con lui.» Abbassò gli occhi sul bicchiere. «Ma le cose sono andate diversamente.» Questo spiegava la discussione di poco prima. «Posso chiederle che cosa c'è che non va in suo marito, visto che non si accorge di quanto è fortunato? O è una domanda indiscreta?» Lei rise. «La domanda non è indiscreta ma la mia risposta potrebbe es-
serlo.» Arrivò il mojito di Sean e bevvero entrambi. Lui si guardò intorno, per vedere se qualcuno dimostrava per loro un interesse eccessivo. «Che cosa fai nella vita, Sean?» «Risolvo problemi.» «Bene. Posso ingaggiarti?» disse con tono scherzoso. «Non mi accontento di poco.» «Se avessi pensato il contrario non ti avrei lasciato sedere accanto a me.» «E tu che cosa fai nella vita?» «Non molto, ormai.» «Bambini?» «No, non ne abbiamo.» «Nemmeno io.» Lei gli guardò la mano. «Non sei sposato?» «Divorziato e non ci ho più provato.» «Che cos'hai fatto perché la tua signora decidesse di divorziare?» «Sembra che russi, e forte anche.» «Ma per quello c'è una cura garantita.» «Davvero? Quale?» «Scopare dalla mattina alla sera.» Sean sorrise. «Che faccio, arrossisco subito o aspetto?» «Era solo una battuta e non si riferiva a te personalmente, anche se sei un uomo molto attraente: ma non hai bisogno che te lo dica io, vero?» Il suo tono di voce si era fatto brusco, aggressivo. Aveva smesso di flirtare e ora sicuramente c'era in ballo qualcos'altro. Lui guardò l'orologio, Michelle sarebbe arrivata da un momento all'altro. E Sean non voleva spingersi troppo in là con Valerie, la prima volta. «Scusami se ti sto annoiando» gli disse lei, seccata. «Devo andare a un appuntamento.» «Vacci allora, una volta tanto riuscirò a finire il mio drink in santa pace.» «Ho visto quel ragazzo che ci stava provando con te, Valerie. Io non sono fatto così.» «Le ultime parole famose.» Allora s'infilò una mano in tasca, ne estrasse un pezzo di carta e ci scrisse sopra qualcosa, poi glielo porse. «Ora devo andare, ma ti lascio il mio numero.»
«E chi ti dice che io voglia il tuo numero?» «Per adesso chiamiamolo uno scambio di informazioni tra due nuovi amici.» La guardò speranzoso. «Non devi lasciarmi il tuo se non ti va.» «Bene, perché non credo che mi vada.» Sean terminò il mojito e si alzò. «È stato un piacere conoscerti, Valerie.» Non ebbe risposta e, uscendo, sentì a ogni passo lo sguardo di lei bruciargli la schiena. Tornò in macchina e fece un breve resoconto ad Hayes. «Ma hai proprio voglia di morire!» esclamò lui. «Whitfield sembrava sul punto di ucciderti solo perché gli avevi fatto una domanda su Camp Peary. Te lo immagini come potrebbe reagire se venisse a sapere che stai facendo lo stronzo con sua moglie?» «Ci ho soltanto bevuto una cosa assieme. All'inizio sembrava cordiale, poi deve essere successo qualcosa perché d'improvviso è cambiata. Questo è uno dei motivi che mi hanno fatto battere in ritirata.» «Forse è abituata alla gente che attacca bottone per servirsi di lei e scoprire qualcosa sul marito. Esattamente come hai fatto tu!» Tornarono in silenzio a Babbage Town. «Stanno per arrivare un paio di persone che lavoreranno con me» annunciò allo sceriffo scendendo dall'auto. «Ti andrebbe di estendere loro la proposta che hai fatto a me?» «Di associarci?» Sean annuì. «Non lo so, devo pensarci su. È gente in gamba?» «Come me, se non di più.» «Forse lo farò, dal momento che con molta probabilità riuscirai quanto prima a farti ammazzare da un marito geloso.» Mentre l'auto di Hayes si allontanava Sean vide lampeggiare gli abbaglianti di un veicolo diretto verso di lui, e quando il fuoristrada gli fu vicino fece un profondo respiro. Michelle Maxwell era arrivata. 41 Sean si finse sorpreso nel vedere Michelle, ma non le chiese tante spiegazioni e si diede invece da fare per consentirle di entrare a Babbage Town. Fu necessaria un'animata discussione con gli uomini della sicurezza al cancello e poi una telefonata a Champ Pollion, che arrivò per sistemare la faccenda di persona. E quando il geniale fisico Champ Pollion vide Michelle si trasformò
all'istante in un cucciolo in cerca di attenzione. «Ma certo che può rimanere» la rassicurò, balbettando leggermente e tendendole la mano. «Potremmo forse mettere qualcosa nello stomaco nel ristorante interno mentre parliamo dell'indagine» propose Sean. «Molto bene.» Michelle fissò Champ. «Grazie, signor Pollion.» «Champ, per favore.» «Sono sicura che lei è all'altezza del suo nome.» Si rimise al volante e Sean le sedette accanto, notando l'espressione di desiderio negli occhi di Champ che non si staccavano da Michelle. Puoi scordartela, caro amico. A quell'ora il ristorante interno era quasi vuoto ma anche i cuochi di Babbage Town lavoravano ventiquattr'ore al giorno sette giorni la settimana, e nel giro di un quarto d'ora i due soci ebbero sul tavolo quanto avevano ordinato, compreso il caffè. Sean le riferì tutto quanto era successo dal giorno del suo arrivo, compreso il tentativo di ucciderlo, la sua teoria sulla morte di Rivest e la breve conversazione con Valerie Messaline. A sua volta lei gli raccontò quanto aveva saputo dalla sua amica del National Intelligence Center. «La prima notte che ho passato qui, verso le due, ho udito atterrare un aereo, un grosso aereo. E mi ha stupito non vedere le luci di posizione.» «La mia amica che lavora al NIC mi ha anche detto che Ian Whitfield è uno contro il quale non conviene mettersi.» «Ho già avuto questa impressione, credimi.» «Quindi, lavori in coppia con questo sceriffo Hayes?» Sean mescolò lo zucchero nel caffè. «Mi è sembrato un buon sistema per essere aggiornato sulle indagini.» «E alla piccola, cara Joanie sta bene?» «La piccola, cara Joanie non lo sa perché non mi faccio trovare al telefono e non la richiamo.» «Sapevo di amarti.» «Risparmiati le lodi, a un certo punto dovrò metterla al corrente.» «E questo Hayes? È in gamba?» «È uno fidato, anche se un po' emotivo. Dice che dovrei tenermi alla larga dalla moglie di Whitfield.» «È quello che penso anch'io.» «Se a uccidere Monk è stata gente di Camp Peary, lei potrebbe essere l'unico canale per scoprirlo.»
«Se devo giudicare da come mi hai detto che l'ha trattata escluderei che Whitfield le tenga un rapporto quotidiano.» «Qualcosa potrebbe averla saputa in ogni caso, quella donna non è stupida e in questo momento non stravede per il maritino.» «Okay, diciamo che Whitfield ha fatto uccidere Monk Turing. Per quale motivo?» «Per qualche cosa che Monk aveva visto? Magari per quei voli segreti? Succedono cose strane a Camp Peary, poco ma sicuro. Qualcuno mi ha sparato e quelli della CIA, checché se ne pensi, di solito non si danno tanto da fare per uccidere cittadini americani senza alcun motivo.» «Monk potrebbe avere visto qualcuno che veniva torturato. O ucciso.» «Secondo la loro ricostruzione Monk sarebbe morto subito dopo aver scavalcato la recinzione. E se invece si fosse spinto molto più avanti? Se fosse stato ucciso mentre tentava di uscire da Camp Peary?» «Non mi avevi detto che tutto faceva pensare al suicidio?» «E secondo te la CIA non è capace di far sembrare suicidio un omicidio?» «Ma mi sai dire anzitutto, Sean, che motivo avrebbe avuto Monk per entrare di nascosto?» «Secondo Whitfield l'avrebbe fatto per uccidersi in modo da gettare una cattiva luce sulla CIA oppure, in alternativa, in modo da far risplendere la sua morte sotto i riflettori dei media.» «Tu non ci crederai, voglio sperare.» «No. Ma forse aveva visto qualche volo in atterraggio e, da quel genio curioso che era, aveva voluto andare a vedere che cosa stava succedendo.» «Quel genio non lo immaginava che fare una cosa del genere equivaleva a suicidarsi?» chiese lei scettica. «Allora forse c'era un'altra ragione per scavalcare quella recinzione. Ma potrebbe esserci una spiegazione: Monk spiava Babbage Town e ne vendeva i segreti al migliore offerente. Secondo Rivest c'erano delle spie a Babbage Town, e Turing ha fatto un viaggio all'estero.» «Questo non spiega come mai Turing sia andato a morire a Camp Peary. Forse non era una delle spie di Babbage Town.» «Che cosa vorresti dire?» le chiese Sean incuriosito. «Voglio dire, che cosa fanno di preciso qui a Babbage Town? Giocano con i numeri e i piccoli computer, a quanto dicono?» Abbassò la voce. «Come si fa a escludere che questo posto non sia in realtà una centrale spionistica? Magari si scoprirà che tutto questo incomprensibile gergo
scientifico serviva solo come copertura della loro vera attività: spiare contro questo Paese.» Sean sorrise. «Teoria geniale, lo sapevo che doveva esserci un motivo se mi mancavi.» «Per questo nel nostro caso si parla di partnership.» «Ma che ci avrebbero chiamato a fare, se questo posto è una centrale spionistica?» «È stato Rivest a chiamarci, forse lui non faceva parte di questa centrale. E poi ti ha detto che i nostri committenti sembravano pentiti di averci dato l'incarico.» «Quando troverò il coraggio di parlare a Joan le chiederò un resoconto su questo e altri argomenti. Mi servono in particolare i precedenti, in dettaglio, di Champ, Alicia e Monk Turing.» «Mi parlavi dei computer quantistici, dunque.» «Secondo Len Rivest sono cose per cui vale la pena scatenare una guerra.» «Pensi, quindi, che la morte di Rivest sia collegata a quella di Monk?» «Se non a lui, sicuramente a Babbage Town; e Rivest stava per parlarmi proprio di questo posto. Dopo di che è andato a farsi un bagno e l'hanno ammazzato dentro la vasca.» «Ma per l'FBI rimane un incidente?» «Il loro capo è Ventris e non so che idea si sia fatto. Ma mi ha fatto capire chiaramente che se mi fossi messo di mezzo mi avrebbe schiacciato come un insetto.» «È tardi. Perché non ci trasferiamo nella nostra nuova casa?» Sean prese la valigia e si mossero verso il bungalow, dentro il quale non brillava alcuna luce. «Probabilmente dormono.» Sean aprì la porta con la chiave che gli aveva dato Alicia e fece entrare Michelle, poi accese la luce nell'ingresso. «Io mi sistemo in una delle stanze in cima alle scale, di fronte alla mia ce n'è una vuota. Domani mattina spiegherò tutto ad Alicia.» Poi la studiò, senza darlo a vedere. «Stai bene, allora?» le chiese sottovoce. «Più che bene. Devo ammetterlo, riposo e relax mi hanno aiutato moltissimo.» «E quelle strane cose di cui mi hai parlato appena ricoverata? Che cosa mi sai dire, adesso?» le chiese quasi distrattamente, pur conoscendo in anticipo la risposta.
«Niente di cui valga la pena parlare» mentì lei. «E comunque devo dirti che il tuo amico Horatio mi ha proprio deluso. Mi ha fatto un sacco di domande inutili e offensive e poi è scomparso. Da allora non l'ho più visto, quello stronzetto.» «Ma va', mi sembra strano.» Sean preferì non informarla che lo stronzetto li avrebbe raggiunti entro poche ore. «Ora orientami in direzione del mio letto, sto per crollare.» Un secondo dopo Michelle estraeva la pistola, puntandola verso quei rumori che dall'oscurità sembravano sul punto di assalirli. 42 Sean bloccò il braccio di Michelle. «Viggie? Sei tu, Viggie?» I rumori si fecero più distinti, sembrava che qualcuno stesse piagnucolando. Sean entrò nella stanza accanto e trovò un interruttore della luce. Viggie se ne stava rannicchiata su una poltrona accostata al muro. Era in pigiama e i capelli sciolti sulle spalle la facevano sembrare più grande rispetto a quando aveva le treccine. Aveva gli occhi arrossati per il pianto e l'espressione di chi ha dolori in tutto il corpo. Michelle rinfoderò immediatamente la pistola, poi si chinò accanto alla bambina. «Stai bene, tesoro?» le chiese piano. La dolcezza di quelle parole, o forse l'aria preoccupata di Michelle, indussero Viggie a tenderle una mano. E Michelle la prese subito tra le sue. «È successo qualcosa, Viggie?» le chiese Sean. «Alicia è in casa?» Viggie rimase in silenzio, senza staccare gli occhi da Michelle. «Rimani con lei, vado a cercare Alicia.» Sean salì di corsa le scale mentre Michelle, seduta sul pavimento, carezzava la mano di Viggie. «Va tutto bene, Viggie. Io mi chiamo Michelle, Michelle Maxwell. Sono un'amica di Sean, puoi chiamarmi Michelle oppure Mick, se vuoi.» «Mick» disse subito Viggie, e si asciugò gli occhi con la mano libera. «Ti sta bene se ti chiamo Viggie oppure preferiresti essere chiamata signorina Turing?» Lei scosse il capo. «Viggie» sussurrò. «E Viggie sia. È un nome fico, ho conosciuto tante Michelle ma finora nemmeno una Viggie. Vuol dire che devi essere davvero speciale.» Viggie annuì ma aumentò la stretta sulle dita di Michelle. «Mick» ripeté. «Ora siamo amiche, vero?»
Lei annuì di nuovo, lentamente, scrutando gli occhi di Michelle come in cerca di un'ombra di dubbio o, peggio ancora, di falsità. Sean fece ritorno con Alicia. Michelle, sollevando lo sguardo, notò l'aria addormentata e poi l'arto artificiale che spuntava da sotto i pantaloni del pigiama. Sean fece subito le presentazioni. «Non sapevo che fosse scesa al pianoterra» disse Alicia. Poi rivolse a Sean uno sguardo arrabbiato. «Ti abbiamo aspettato fino a tardi.» «Mi dispiace, Alicia, ma sono stato molto preso da un'altra faccenda.» «Forse allora è il caso che rivediamo il nostro accordo.» «Ci sono io» intervenne Michelle, rialzandosi dal pavimento ma senza staccare la mano da quella di Viggie. «Mi chiamo Michelle Maxwell e sono la socia di Sean. In due affronteremo meglio la situazione.» Alicia guardò a lungo Sean, poi indicò con il capo Michelle. «Vedo che tu e Viggie siete già diventate amiche.» Lei sorrise alla ragazzina. «Credo che io e Viggie diventeremo grandi amiche.» Viggie schizzò in piedi e corse nell'altra stanza, dall'oscurità della quale poco dopo giunsero le note del pianoforte. «Accidenti, suona in maniera sbalorditiva!» disse Michelle a Sean. «È il suo modo di farti capire che le piaci» le spiegò Alicia. «Perché era così agitata?» le chiese Sean. Alicia abbassò la voce. «Ventris, quel maledetto agente FBI, è venuto ieri sera e si è messo subito a parlare della morte di Monk. E Viggie lo ha sentito.» «Che diavolo!» esclamò Sean. «Avresti dovuto vederla qualche ora fa. Era inconsolabile, ho dovuto dirle la verità, non potevo mentirle nelle condizioni in cui era. Poi ho chiamato un medico che le ha prescritto un sedativo. Quando sono andata a letto dormiva, ma poi evidentemente l'effetto delle pillole si è esaurito.» «Che bisogno aveva Ventris di venire qui a parlarti?» «La sua intenzione era quella di interrogare Viggie, ma mi sono impuntata e non gliel'ho permesso. Non credo che abbia parlato per farsi sentire da lei, ma non si è nemmeno fermato per consolarla.» «Che cosa voleva sapere?» chiese Michelle. «Se avevo idea del motivo che aveva spinto Monk Turing ad andare a Camp Peary. E se in precedenza mi aveva mai detto di esserci andato.» Sean e Michelle si scambiarono uno sguardo perplesso. «A quanto mi risulta, per l'FBI ufficialmente si tratta di suicidio» osservò poi lui.
Alicia insistendo pazientemente convinse Viggie a non suonare più il pianoforte, ma la piccola si rifiutò di andare a dormire fino a quando non ce la portò Michelle tenendola per mano. Poi Michelle e Sean augurarono la buonanotte ad Alicia e si sistemarono nelle loro stanze. E Sean andò a sedersi sul letto della socia che stava ancora vuotando la valigia. «Non preoccuparti, non ci impiegherai molto per incasinare questa stanza» commentò lui. «Sei proprio un comico. Che cos'è successo alla gamba di Alicia?» Sean le parlò sia dell'esperienza in Iraq sia dell'attività svolta da Alicia a Babbage Town. «Donna davvero sorprendente» osservò Michelle. «Deve essere stato terribile per Viggie venire a sapere in quel modo della morte del padre.» «Terribile davvero» confermò Sean. Si udì vibrare un cellulare, lui emise un gemito e guardò sul display il numero di chi stava chiamando. Michelle sorrise. «Provo a indovinare: la piccola signorina Joanie? Continuerai a ignorarla?» «No, se non le rispondo nemmeno questa volta è capace di precipitarsi qui a Babbage Town.» «Allora sì che ci sarebbe da ridere.» Michelle infilò la pistola sotto il cuscino. «Forse allora dovresti risponderle, e se calasse quaggiù potrei spararle accidentalmente sostenendo poi che l'avevo scambiata per qualche animale da preda in cerca di carne fresca. Anzi no, non funzionerebbe, perché lei è in effetti un animale da preda e se le sparassi non lo farei di sicuro accidentalmente.» «Non mi stai sicuramente dando una mano. Ho bisogno di ragionare con quella donna.» «E allora accomodati. Ma mentre ci parli voglio sentirti dire a quella strega di sparire una volta per tutte.» Lui si alzò. «Quella strega è la stessa che firma gli assegni per noi, o quanto meno per me. Quindi lascia che gestisca in proprio questa sofferenza nella pace e comodità della mia stanza.» «Vigliacco. Glielo dirai che sono arrivata qui?» «Ti ho appena detto di lasciare che me la sbrighi da solo.» «Ma perché gli uomini cercano sempre il confronto? Le donne non ci stanno tanto a pensare su e puntano dritto alla giugulare.» Quando Sean uscì Michelle scivolò lungo il corridoio e andò ad aprire la porta della stanza di Viggie, che se ne stava seduta a letto nell'oscurità.
«Sono io, Mick» le disse. Si udì la vocina di Viggie. «Ciao, Mick.» «Posso sedermi per un po' accanto a te?» Viggie le tese la mano e lei si sdraiò al buio accanto alla ragazzina spaventata. E quando la mano di Viggie toccò la sua Michelle trasalì, come colpita dai frammenti di un lontano e sgradito ricordo. In questo ricordo un'altra bambina spaventata se ne stava seduta tutta sola nell'oscurità, cercando di dare un significato all'indecifrabile. Ma l'immagine svanì in un lampo lasciandola perplessa, confusa e atterrita come la ragazzina accanto a lei. 43 Joan Dillinger si mise a urlare per due minuti d'orologio, che sembrarono ben più lunghi. Giocò persino la carta del senso di colpa. «Ho rischiato grosso per te, Sean. E mi ricambi così?» «Non ti ho ritelefonato perché non avevo niente da riferirti. Che c'è di tanto strano?» «Te lo dico io che c'è di tanto strano. Il mio capo ha ricevuto una telefonata niente di meno che dal vicedirettore operazioni della CIA, il quale gli ha fatto capire senza mezzi termini che ci conviene fare marcia indietro e ha indicato te come principale responsabile delle smarronate. Il vicedirettore operazioni, Dio santo!» «Ian Whitfield non ha perso tempo. Mi piacerebbe sapere chi gli ha detto che lavoro per la tua agenzia.» «Sono la CIA, Sean, non ci mettono tanto ad avere certe informazioni. La metà di quelli che lavorano con noi a suo tempo hanno lavorato con Langley.» «Non posso impedire alla polizia di continuare a indagare su un delitto, Joan.» «E poi c'è anche questa. Mi stai dicendo che adesso collabori con la polizia?» «In questo modo posso avere accesso a certi posti dove troverei altrimenti le porte sbarrate, il che aumenta le mie possibilità di scoprire la verità. Non è per questo che sono stato ingaggiato?» «Caro Sean, quando sei stato ingaggiato...» «A proposito, chiariamo subito. Chi ha ingaggiato noi?» «Len Rivest.»
«Ma è solo il capo della sicurezza, per farlo deve essere stato autorizzato da qualcuno più in alto.» «Tu non hai pensato di chiederglielo?» «Adesso non ha più importanza se gliel'ho chiesto o no. È morto.» «Che cosa?!» «È morto. Mi sorprende che il vicedirettore operazioni abbia trascurato di riferirti questo piccolo particolare.» «Non posso crederci. Len era una brava persona, ci conoscevamo da tanto.» «Non ne dubito. Ma non me la sento ancora di inserirlo sotto la voce "brava persona".» «Che cosa vorresti dire?» gli chiese lei, seccata. «È stato assassinato, Joan. E so per esperienza che una persona viene ammazzata o perché non piace a qualcuno oppure perché qualcuno non vuole che dica certe cose.» «Credi che Len fosse coinvolto nella morte di Monk Turing?» «Due omicidi così vicini nel tempo di solito sono collegati.» «Non è stato ancora stabilito se Monk è stato o meno assassinato.» «Questo vale in teoria anche per Len, ma io sono certo che l'hanno fatto fuori. A questo proposito ti informo che qualcuno mi ha sparato contro un paio di colpi, e direi che provenivano dai dintorni di Camp Peary.» «Buon Dio, sono successe tutte queste cose e tu non hai telefonato?» «Ho avuto da fare. Torniamo alla domanda che ti avevo fatto: chi ci ha assunto?» «Non lo so.» «Sono stanco, Joan, oltre che incazzato con il mondo intero e quindi non ti mettere a fare questi giochetti. Len Rivest mi ha detto che per ciò che si fa a Babbage Town si potrebbe scatenare una guerra.» «Te l'ha detto lui?» «E tu non lo sapevi?» «No, Sean, te lo giuro. Da quel poco che mi avevano detto su questo caso mi ero convinta che qualche giorno dopo il tuo arrivo lì si sarebbe giunti alla conclusione che Monk Turing si era suicidato all'interno di Camp Peary. È già successo, lo sai.» «Sì, quest'ultimo particolare mi è già stato chiarito da Ian Whitfield. Ma con la morte di Rivest la dinamica è cambiata.» «Se è collegabile a quella di Monk Turing.» «Qualcosa mi dice che lo è.»
«Allora devo mandarti rinforzi.» «Sono già arrivati.» Seguì una lunga pausa. «Mi stai dicendo che lei è lì con te?» sibilò poi Joan. «Chi, Mildred?» «Sto parlando di quella fottuta Michelle Maxwell!» gridò così forte che Sean dovette staccare il cellulare dall'orecchio. «Esatto» rispose lui calmo. «È appena arrivata e ha preso subito servizio.» «Non lavora per questa agenzia.» «Lo so. Le ho subappaltato l'incarico.» «Non hai alcuna autorità per farlo.» «E invece sì, perché non sono un dipendente della tua agenzia ma un collaboratore esterno. E al paragrafo 15 capoverso D del contratto che ho firmato si conviene che ho l'assoluta libertà di avvalermi degli strumenti che ritengo necessari per assolvere l'incarico, fermo restando che le spese relative a questi strumenti sono a mio totale carico.» «Hai addirittura letto il contratto?» «Li leggo sempre i contratti, Joan. E quindi è possibile che la collaborazione tra me e Michelle possa portarci alla soluzione del caso. Sta venendo giù un altro mio amico, uno psicologo di nome Horatio Barnes.» «Perché? Oppure il contratto non prevede che io metta in discussione i tuoi criteri di scelta di questi strumenti?» «Si tratta di una ragazzina, la figlia di Monk Turing» le spiegò calmo Sean. «Ha appena scoperto che il padre è morto ed è diventata isterica. A parte questo, nemmeno in circostanze normali è facile comunicare con lei. E penso che Horatio sia in grado di riuscirci.» Joan sembrò essersi rassegnata. «Credi che la ragazzina possa sapere qualcosa sulla morte del padre?» «In questo momento è una delle poche carte che abbiamo a disposizione.» «Il lavoro che ti è stato assegnato non prevede che tu rischi la vita, Sean.» «Lo terrò a mente.» «Già che siamo in argomento, di' a Mildred che risulterebbe decisamente affascinante se si mangiasse una pallottola di grosso calibro destinata a te.» «Lei sicuramente sa già come tu la pensi su questo argomento.» Sean chiuse il telefono, crollò vestito com'era sul letto e si addormentò.
A quel punto non si preoccupava più della propria incolumità, nella stanza di fronte c'era l'A-Team. E fu forse meglio per lui non vedere quanto confuso e spaventato fosse il suo A-Team, perché in caso contrario non avrebbe dormito così profondamente. 44 Quando la mattina dopo, di buon'ora, Horatio Barnes arrivò a Babbage Town, Champ si dimostrò molto meno disponibile di quanto non lo fosse stato con Michelle. «Non siamo un albergo!» esplose. «Credo che possa aiutare Viggie» gli fece osservare Sean. «E allora lo faccia a distanza, maledizione. Questo è un centro sottoposto a misure di alta sicurezza, vi si fanno ricerche nella massima riservatezza, e io non so nemmeno chi sia quest'uomo.» «Garantisco io. E poi, Michelle l'hai sistemata e non conoscevi nemmeno lei. Qual è la differenza?» «No!» E Champ lo piantò in asso. Horatio fu così relegato in un bed and breakfast di White Feather, un paese poco distante da lì. Michelle per fortuna non si era ancora alzata, così Sean si fece prestare un'auto e seguì Horatio a White Feather, dove lo psicologo si registrò al bed and breakfast. Poi i due amici si sedettero a bere un caffè nella sala da pranzo. «Bella questa zona» osservò Horatio. «Potrei prendere in considerazione l'idea di venire a stare qui, se non fosse per tutta questa gente che ammazzano.» «Raccontami del Tennessee.» Sean, alla fine del racconto, sembrò perplesso. «Che cos'ha a che vedere con i problemi di Michelle un roseto vandalizzato?» «Non so se esista un nesso.» Horatio studiò Sean bevendo il caffè. «Come sta la nostra amica?» «Sembra in gran forma, è ripartita in quarta.» «Potrebbe non durare. Ora parlami di questa Viggie.» Sean gli spiegò i problemi della ragazzina. «Ha l'aria di non essere un lavoro facile» fu il commento di Horatio. «E poi l'amico Champ non mi vuole a Babbage Town.» «Posso portare Viggie da te. Alicia sarà sicuramente d'accordo, quella
ragazzina le sta molto a cuore.» «Bene. L'hai detto a Michelle che stavo per arrivare?» «No, ma lo scoprirà presto; e comunque, quando le spiegherò che sei qui per Viggie, credo che non creerà problemi. Sembra avere legato con lei rapidamente.» «La cosa potrebbe essere significativa, sotto un certo aspetto.» Horatio sembrava pensieroso. «Forse riuscirò a prendere due piccioni con una fava.» Tornato a Babbage Town, Sean trovò Michelle a mensa con Champ Pollion. A un'estremità del lungo tavolo sedeva Viggie, intenta a masticare qualcosa che sembrava un bastoncino di liquirizia umidiccio. Vedendo arrivare Sean, Champ si alzò da tavola. «Spero che lei abbia capito perché il suo amico non può venire a stare qui.» «Quale amico?» chiese subito Michelle. «Horatio Barnes.» La reazione stupita di Michelle sembrò cogliere Champ di sorpresa. «Vogliate scusarmi» balbettò, e si allontanò in fretta. «Che diavolo ci fa Barnes qui?» chiese seccata Michelle appena Champ se ne fu andato. «L'ho fatto venire per Viggie, abbiamo bisogno di qualcuno che riesca a comunicare con lei.» «E per questo hai chiamato proprio quello che mi ha chiuso in clinica e se l'è squagliata? Non riesco a crederci, Sean.» «Non ti ha chiuso in clinica, ci sei andata di tua volontà. E non se l'è squagliata.» «Ma che vai dicendo? Era scomparso.» «Era andato in Tennessee.» I lineamenti di Michelle si indurirono al punto da sembrare congelati. «E perché se ne sarebbe andato in Tennessee?» chiese quasi sottovoce dopo un minuto di silenzio. «Perché, secondo te?» «Non mi va di essere presa in giro, soprattutto da te.» «Okay. È andato in Tennessee per vedere il posto dove vivevi quando avevi sei anni.» «Queste cazzate non me le bevo!» Nessuno dei due si era accorto che i presenti avevano sollevato il capo sentendoli alzare la voce. «Secondo tuo fratello la tua personalità si è modificata di colpo a sei an-
ni.» «Ma ero una bambina!» «Dai, Michelle. Che cosa successe?» «Niente! Tu riesci a ricordare qualcosa di quando avevi sei anni?» All'improvviso Sean si rese conto che stava combinando un casino. Aveva invaso il territorio di Horatio facendo a Michelle delle domande incredibilmente personali in maniera incredibilmente goffa, e per giunta di fronte a estranei. «No, non me lo ricordo» rispose velocemente, e il suo tono contrito sembrò sgonfiare parzialmente la rabbia di lei. Sollevarono entrambi gli occhi e scoprirono che Viggie li stava guardando, con un'espressione carica di incertezza. Michelle andò immediatamente a sederle accanto, mettendole un braccio sulle spalle. «Va tutto bene. È solo un piccolo disaccordo tra me e lui, succede sempre. Non è vero?» chiese a Sean quasi minacciosamente. «Sempre» confermò lui. Poi si alzò e si avvicinò loro. Viggie indossava una salopette di jeans e aveva le solite treccine. Michelle si accorse che le unghie della ragazzina erano completamente mangiucchiate. «Deve andare a scuola» disse Sean. «Hanno una scuola per i figli dei dipendenti, si trova nell'edificio principale.» Poi abbassò la voce. «Ho ottenuto che in classe con lei ci sia uno della vigilanza. Torneremo prima della fine delle lezioni.» «Torneremo da dove?» «Vedrai.» 45 Lasciarono Viggie a scuola e, prima di andarsene, parlarono di lei con la sua insegnante, una donna di mezz'età. «È un caso speciale» spiegò l'insegnante. «Ma quando è in giornata è come tutti gli alunni svegli che ho avuto nella mia carriera.» «Alicia Chadwick sostiene che Viggie è in grado di fattorizzare nella sua mente numeri lunghissimi» disse Sean. «Esattamente. Capisce che cosa vuol dire riuscire a vedere milioni, se non addirittura miliardi, di numeri allineati in mente?» «No, non riesco a immaginarlo e anzi ho problemi perfino a ricordare il mio numero di telefono.» Lasciarono Viggie con l'insegnante e la guardia e in corridoio si imbatte-
rono in Alicia Chadwick. «È al sicuro a scuola» la informò Sean, spiegandole poi di Horatio. «Forse potrà aiutarla.» «A superare la tragedia della morte del padre?» gli chiese lei con un'occhiata gelida. «O per qualcos'altro?» «Ascolta, Alicia, se Viggie sa qualcosa sulla morte di Monk dobbiamo scoprirlo. Prima lo scopriamo e meno importante Viggie diventerà agli occhi di un killer.» «Okay, come vuoi.» Camminando per Babbage Town, Sean ne raccontò a Michelle la storia. «Questo posto è stato messo in piedi da un tipo che aveva fatto fortuna vendendo cibo in scatola, contenente della porcheria che ha probabilmente ucciso un bel po' di consumatori.» «Non ho visto nessun cartello con la scritta "Babbage Town".» «Strano, nemmeno io.» Le spiegò il sistema delle Capanne, facendole poi un resoconto particolareggiato della sua conversazione con Champ e dei computer quantistici. «Joan sta scavando per scoprire chi è il proprietario di questo posto. Puoi dire di lei quello che vuoi, ma in questo è bravissima.» «Quasi tutti gli animali con gli artigli lo sono.» Si fermarono davanti al cottage di Turing, vuoto da quella mattina. «L'agente speciale e incazzoso Michael Ventris, dell'FBI, ha fatto portare via tutto, ma Joan sta cercando di scoprire qual è stata la destinazione di un viaggio fatto da Monk otto o nove mesi fa.» «Secondo Alicia era stato all'estero, mi hai detto.» «Ma non sapeva dove.» Passarono poi al cottage di Len Rivest. «Hai controllato l'alibi di Champ per la notte in cui Rivest è stato ucciso?» gli chiese Michelle. «Dal computer risulta che è entrato alla Capanna 2 alle 23.30, uscendone alle 3. Quindi quello che ho visto io verso le due di notte non era lui.» «E il computer scagionerebbe Champ dalla morte di Rivest, dal momento che sembra avvenuta circa cinque ore prima che tu scoprissi il cadavere.» «Un sospettato va, un altro viene» sospirò Sean. Passarono poi alla rimessa delle barche e Michelle esaminò con occhio esperto le imbarcazioni. «Nulla di eccezionale, sono pochissime quelle da competizione» sentenziò. Poi indicò un Formula Bowrider di otto metri is-
sato sui cavalletti. «Uno dei proprietari di questo posto deve essere di New York.» Sean lesse il nome della barca, Big Apple. «Secondo te quanto ci si impiega per raggiungere a remi l'altra sponda? Quanto ci impiega un comune mortale, voglio dire, non uno come te.» «Non conoscendo la corrente direi almeno tre quarti d'ora o giù di lì. Da terra sembra sempre più vicina, ma quando arranchi con i remi in mezzo al fiume è molto più lontana.» «Tra andata e ritorno parliamo quindi di un paio d'ore, considerando che al ritorno si è più stanchi.» «Esatto.» Si inoltrò con lei tra gli alberi, portandola in un punto dal quale si poteva vedere in lontananza Camp Peary. Michelle estrasse dallo zaino un binocolo e lo mise a fuoco. Il sole brillava sulla recinzione metallica che circondava la tenuta della CIA. «Bel colpo, spararti da laggiù» commentò lei, studiando distanza e traiettoria. «Rallegriamoci che sia stato solo bello e non bellissimo, perché in quel caso ora non sarei qui.» Michelle gli indicò un varco tra gli alberi. «Sarebbe lì dietro la pista per gli aerei?» «Sì.» Guardò poi le grosse gru in fondo al fiume. «La Marina?» Sean annuì. «Dove è stato scoperto il cadavere?» «A quanto mi sembra di avere capito, più o meno laggiù» e puntò il dito verso una macchia d'alberi distante quasi cinquecento metri dalla pista. «Allora, diciamo che Monk ci è andato di sua volontà non per uccidersi ma per vedersi con qualcuno o per fare una ricognizione, e lo hanno fatto fuori.» «Giusto. Solo che, se ci è andato per spiare, quelli della CIA avrebbero avuto tutto il diritto di sparargli. Senza bisogno, voglio dire, di inscenare un suicidio.» «Magari è stato davvero un suicidio, allora» ipotizzò Michelle. «Già, e Rivest? Lui è stato ammazzato fuor di ogni dubbio.» «Allora significa che le due morti non sono collegate tra loro.» Sean non sembrava tanto convinto. «Forse.» Mentre tornavano lui all'improvviso le chiese scusa. «Avrei dovuto av-
vertirti che stava per arrivare Horatio. Mi dispiace, volevo solo rendermi utile.» «Non fa niente.» Ma da come lo disse Sean capì che non se lo sarebbe mai dimenticato. 46 Appena entrato nel fuoristrada di Michelle, Sean abbassò il finestrino e fece un profondo respiro. «Mi ricordo che una volta avevi pulito qui dentro prima che ci salissi, per farmi respirare senza bisogno del respiratore artificiale.» «Questo succedeva tanto tempo fa, quando mi eri simpatico.» Ingranò la marcia. «Da che parte andiamo?» Costeggiarono il fiume e a ogni chilometro, più o meno, passarono davanti a una grossa villa in abbandono o alla residenza di una piantagione nelle stesse condizioni. A rimanere in piedi erano, di solito, i comignoli di mattoni. «Il terzo porcellino aveva visto giusto» commentò Michelle. «La casa se la fece di mattoni e quella rimase in piedi.» Si fermarono davanti a una di queste proprietà, scesero e Sean si incamminò lungo il vialetto invaso dalle erbacce, seguito da Michelle. Sulla colonna sghemba davanti all'ingresso si vedeva una vecchia targa di bronzo con la scritta FARLEYGATE. «A Babbage Town ho letto un libro di storia locale» disse Sean. «Il proprietario di Farleygate era il figlio di un famoso inventore.» «E che cosa è successo?» «Come tanti ricchi che i soldi li ereditano, alla fine se li è mangiati. Hanno subito la stessa sorte altre ville di questa zona, a Brandonfield, a Tuckergate.» «Oppure sono state trasformate in laboratori segreti dove la gente muore.» Un vento gelido soffiava sul prato davanti all'entrata, destinato quanto prima a confondersi con la foresta che lo circondava. «Scommetto che un tempo qui era molto bello» osservò Michelle, mezzo intirizzita, sollevando lo sguardo sull'edificio. A differenza di molte case padronali della zona in stato di abbandono, Farleygate aveva le mura ancora in piedi anche se le massicce doppie porte di legno dell'ingresso erano marcite e poi cadute, quasi tutte le finestre erano in frantumi e il tetto
d'ardesia era pieno di buchi. «Deve essere stato bello, forse, crescere in un posto del genere» aggiunse in tono vagamente malinconico. Sean la guardò sorpreso. «Ma se non hai mai posseduto una casa. Credevo che non ti interessasse il concetto di proprietà.» «Se è per questo non sono mai stata sposata, ma ciò non significa che non possa cercare.» Dall'interno della villa giunsero dei suoni. «Sembrano voci» disse Michelle. Estrasse la pistola ed entrò seguita da Sean, poi tirò fuori dallo zaino una torcia elettrica e fece girare il raggio tutt'attorno. Si trovavano in un lungo corridoio con il pavimento marcio e le pareti a pezzi. L'aria sapeva di muffa e Sean prese a tossire. Si udirono nuovamente quegli strani suoni, simili a veloci sussurri, poi da destra giunse alle loro orecchie un gridolino. Sobbalzarono entrambi e Michelle puntò in quella direzione la pistola e la torcia elettrica. Si trovarono davanti un muro nudo ma si udiva ancora una specie di ronzio. Allora guardò Sean con aria interrogativa. «Un nido di calabroni?» chiese. Lui sembrava incerto, poi mosse due passi verso il muro e vi tamburellò sopra. E i suoni scomparvero come per incanto. Scosse il capo. «Nido di umani.» E con le dita si mise a tastare la superficie del muro fino a quando non trovò ciò che cercava: un anello metallico. Lo tirò verso di sé e quella parte di muro si aprì. Qualcosa lo colpì sulle gambe e qualcos'altro sul torace. Cadde all'indietro, atterrando sul sedere, mentre in fondo al corridoio echeggiava il rumore di piedi lanciati in corsa. Quando si rialzò udì altri suoni: grida e risate. Si voltò a guardare. Le grida venivano da un bambino di otto anni circa, che Michelle teneva stretto per non farlo scappare. Le risate venivano da Michelle ed erano chiaramente indirizzate a Sean. Mentre lui si toglieva la polvere di dosso lei si rivolse in tono fintoburbero al bambino. «Nome, grado e numero di matricola, giovanotto.» Il ragazzino la stava guardando spaventato e Michelle si accorse di avere ancora la pistola in pugno. «Oh, scusami.» La rinfoderò. «Che cosa stavate facendo qui dentro?» «Ci si può fare male in un posto del genere» lo avvertì Sean. «Ci veniamo spesso e non ci facciamo mai male» disse il bambino in tono di sfida. Sean spinse lo sguardo dentro lo spazio dal quale erano usciti i bambini.
«Una stanza segreta. Come l'avete scoperta?» «Ci veniva mio fratello Teddy con la sua banda, quando aveva la mia età, e ora questo posto è mio. Tutte queste vecchie ville hanno stanze segrete.» Sean s'irrigidì e guardò Michelle, poi estrasse di tasca il portafogli e dette al bambino un biglietto da dieci dollari. «Grazie, figliolo.» Il bambino si allontanò di corsa e uscirono anche loro, andando a sedersi su una vecchia panchina di pietra. «Allora, ci mettiamo a cercare una stanza segreta anche a Babbage Town?» chiese Michelle. «Sì.» «Posso chiederti perché?» «Così avremo qualcosa da fare. E se a Babbage Town c'è una spia...» La sua voce si affievolì. «Pensi davvero che una spia si servirebbe di una stanza segreta, dalla quale magari esce furtivamente di notte per i suoi oscuri traffici? Ma piantala di dire cazzate!» «Che cosa sai di Camp Peary, Michelle?» «Non molto, a parte quello che mi hai detto tu.» «Se fai una ricerca on-line non trovi nulla. Appaiono solo alcuni vecchi articoli, sempre gli stessi.» «E la cosa ti sorprende?» «L'uomo che mi è venuto a prendere all'aereo mi ha detto che durante la Seconda guerra mondiale l'area era di proprietà della Marina, che vi addestrava i suoi reparti speciali. I militari se ne andarono per qualche tempo, ma fecero ritorno negli anni Cinquanta e mandarono via tutti.» «Tutti chi?» «C'erano due paesi in quest'area, Magruder e un altro del quale non ricordo il nome. Sembra che le case e tutto il resto siano rimaste in piedi.» «E questo che c'entra con le nostre indagini?» «Niente, sto solo ammazzando mentalmente il tempo in attesa di pensare qualcosa di importante» ammise Sean. «A proposito di cose importanti, Rivest conosceva bene Monk Turing?» «Non molto bene, secondo Rivest. Ma mentre bevevamo insieme mi ha confidato che Turing una volta si aprì e disse qualcosa d'interessante.» «Che cosa?» «Un giorno i due erano andati a pesca sul fiume York. Erano in una barchetta e bevevano birra, lanciando ogni tanto le lenze nella speranza che
abboccasse qualche pesce.» «E poi?» «Pare che a un certo punto Monk abbia guardato in direzione di Camp Peary dicendo qualcosa tipo "È buffo che siano proprio loro i più grandi depositari di segreti del mondo".» «Che cosa c'era di tanto buffo?» gli chiese Michelle. «La stessa domanda che gli fece Rivest. E Monk si sarebbe chiuso come un'ostrica.» «Non vedo come la cosa possa esserci di aiuto.» «Non l'ho conosciuto, Monk Turing, ma non credo che avrebbe fatto un'affermazione del genere senza un preciso motivo. Andiamo.» «Dove?» «Come ti ho detto, su Internet si trovano soltanto pochissimi articoli su Camp Peary.» «E allora?» «Due di questi articoli sono stati scritti da un certo South Freeman, che abita in un paesino non lontano da qui, Arch. È il direttore del giornale locale oltre che lo storico di questa zona. Se qualcuno può darci informazioni su Camp Peary, questo qualcuno secondo me è lui.» Michelle si dette una manata sulla coscia mentre si alzava dalla panchina. «South Freeman? Monk Turing? Champ Pollion? Ma che strani nomi ci sono in questa storia!» 47 Arch era un paese con poche strade, un unico semaforo, qualche negozietto a conduzione familiare, un binario ferroviario in disuso innestato sul corso principale come una vecchia sutura e una palazzina di mattoni a un piano, disperatamente bisognosa di ristrutturazione, che ospitava la "Magruder Gazette". Da una piccola targa arrugginita si apprendeva inoltre che nello stesso edificio aveva sede la Magruder Historical Society. «Se il paese si chiama Arch perché il giornale non si chiama "Arch Gazette"?» chiese Michelle mentre scendevano dal fuoristrada. «Ho una mezza idea, ma la risposta possiamo farcela dare dal vecchio South» le rispose Sean in tono misterioso. Furono accolti da un nero sulla sessantina, alto e allampanato, con un viso cadaverico incorniciato in una barba grigio-bianca, dal centro della quale spuntava una sigaretta appiccicata alle labbra sottili e screpolate.
Strinse loro le mani. «Sono South Freeman. Allora, mi avete detto al telefono che volete conoscere un po' di storia di questa zona? Siete venuti proprio nel posto giusto.» Li fece entrare in una stanzetta adibita a ufficio, con alle pareti scaffali metallici pieni di raccoglitori e un paio di scrivanie disordinate, su una delle quali troneggiava però un computer nuovo di zecca. Sulle pareti si ammirava una serie di fotografie della zona, tra le quali una scattata dal satellite e nella quale Sean riconobbe subito Camp Peary. "Inferno sulla Terra" si leggeva su un cartellino appiccicato sopra la foto. Sean la indicò. «Vedo che lei è un grande ammiratore del principale servizio d'intelligence del suo Paese.» South guardò la foto e fece spallucce. «Il mio Paese si è preso la nostra casa e ci ha cacciato via. Come vuole che la pensi?» «Ma allora fu la Marina, non la CIA» lo corresse Sean. «Marina, Esercito, CIA. Per me rappresentano tutti in blocco l'Impero del Male.» «Ho letto i suoi articoli su Camp Peary.» «Non che ci fosse molta scelta, le pare?» South spense la sigaretta e se ne accese immediatamente un'altra, mentre Michelle con una mano si allontanava il fumo dal viso. «Quindi lei viveva a Magruder?» gli chiese Sean lanciando un'occhiata a Michelle. «L'ho capito dal nome del suo giornale.» «Proprio così. Nel territorio occupato attualmente da Camp Peary c'erano una volta Bigler's Mill e Magruder, e a Magruder sono nato io. E ora fanno parte dell'elenco delle località scomparse dal catasto ufficiale della Virginia.» «Esistono anche statistiche di questo tipo?» Per tutta risposta Freeman gli indicò un elenco attaccato nella bacheca. «Controlli con i suoi occhi. Questo è l'elenco delle contee, le città, i paesi e così via che sono stati incorporati in altri Comuni, che hanno cambiato nome oppure, come nel caso di Magruder, che il maledetto governo si è rubato.» Sean fece scorrere velocemente lo sguardo sull'elenco. «Dai suoi articoli, comunque, mi sembra di aver capito che sono rimaste in piedi le case o addirittura intere zone abitate.» «Questo non glielo posso confermare, ovviamente, quelli come me non godono esattamente di libertà di movimento a Camp Peary. Ma da certe parole che ho sentito da persone che invece ci sono entrate direi proprio di
sì, molti edifici sono ancora in piedi: compreso quello dove sono nato e dove ho vissuto da bambino. Per questo il mio giornale si chiama "Magruder Gazette", è il mio modo di mantenere in vita il mio paese.» «Un po' tutti hanno dovuto fare sacrifici durante la Seconda guerra mondiale» gli fece osservare Sean. «Non ho nulla contro i sacrifici, purché siano equamente divisi.» «Che cosa intende dire?» «Magruder era una comunità di lavoratori afroamericani o, come si diceva a quei tempi, una comunità di colored. Non mi sembra di avere visto la Marina invadere la comunità dei bianchi ricchi e cominciare a buttarli fuori di casa. Sempre la solita, vecchia storia: pigliali pure a calci i poveri neri, tanto a nessuno fregherà qualcosa.» «Capisco il problema, South, davvero. Ma la mia amica e io siamo qui per parlare di Camp Peary e della storia di questa regione.» «È quello che mi ha detto al telefono, senza però spiegarmi il perché.» «Siamo due investigatori privati incaricati dai vertici di Babbage Town di indagare sulla morte di Monk Turing.» «Ah, già, quello che hanno trovato morto a Camp Peary. Ho scritto un articolo su quella storia, ma non l'ho ancora pubblicato e resto in attesa della soluzione.» Li guardò sospettoso. «Lavorate per quelli di Babbage Town, quindi? Che ne direste di uno scambio d'informazioni? Io vi parlo della Fattoria e voi mi spiegate che cosa fanno davvero in quel paese di geni.» «Ho paura che non possiamo, South. Siamo tenuti alla massima riservatezza.» «Forse anche io.» «Stiamo cercando di scoprire la verità sulla morte di Monk Turing» intervenne Michelle. «Che mi dite di quell'altro, quello ammazzato a Babbage Town? Pare che sia morto di un malore nella vasca da bagno: certo, dico io, e allora Lee Harvey Oswald e James Earl Ray hanno fatto tutto da soli. Sentite, una mano lava l'altra e se voi non potete parlare non posso nemmeno io. Quella è la porta, addio.» «Magari, se scoprissimo la verità sulla morte di Monk Turing quelli di Camp Peary non ci farebbero una gran figura» proseguì Michelle. «E potrebbero traslocare.» L'espressione di South cambiò immediatamente, ora sembrava più intrigato che spavaldo. «Crede che sia davvero possibile?»
«Tutto è possibile. Non dimentichiamo che Monk Turing è stato trovato cadavere in casa loro.» «Ma tutti i principali media sostengono la tesi del suicidio, come suicidio sarebbe stato quello degli altri i cui corpi sono stati scoperti nella zona. Sui blog di Internet si grida invece a un complotto delle autorità: chi ha ragione, secondo voi?» «Forse con il suo aiuto potremmo scoprirlo» gli disse Sean. South spense la sigaretta, prese un giornale dalla scrivania e fece finta di leggerlo. «Che cos'è che volete sapere?» «Che cosa ci sa dire di Camp Peary? Mi interessano di più gli avvenimenti recenti.» Quello lo guardò senza abbassare il giornale. «Gli avvenimenti recenti?» «Sì, quelli che arrivano dal cielo.» «Si è accorto, quindi, di quegli atterraggi? Immagino che da Babbage Town si goda di un'ottima visuale. Atterrano subito dopo avere sorvolato il fiume, vero?» «Purtroppo alle due di notte non si ha una buona visuale di niente, specialmente se quegli aerei atterrano con le luci spente.» «Lo so.» «Li ha visti?» gli chiese Michelle. «Che diamine, il maledetto governo non possiede tutti i terreni da queste parti. Seguite il mio consiglio, andate a mangiarvi uno di quegli eccezionali barbecue che fanno da Pierce's, sulla strada che porta proprio al regno delle Barbe Finte. Poi andate a casa di un mio amico sull'altra sponda del fiume, sedetevi sul moletto e aspettate che arrivi uno di quegli aerei carichi di qualcosa che il governo non vuole far vedere né a me né a voi. Credetemi, sapevo che c'era in ballo qualcosa prima ancora della prima Guerra del Golfo, dell'Afghanistan e dell'Iraq, perché su quella maledetta pista c'era più traffico che all'aeroporto O'Hare di Chicago.» Gli brillarono gli occhi. «Una volta la settimana prendo l'auto e vado all'ingresso di Camp Peary, vedo quei tetti metallici verdi sulle casematte del corpo di guardia, vedo quei maledetti cartelli con la scritta PROPRIETÀ GOVERNATIVA, DIVIETO DI ACCESSO e dico "Ehi, pezzi di merda, questa terra è di mia madre, ridatemela". Non lo dico così forte da farmi sentire, naturalmente» aggiunse ridacchiando. «Poi faccio una bella inversione a U in quelle piazzole che hanno aperto per la gente che si è smarrita o per i curiosi. E me ne torno a casa. Serve a farmi sentire meglio.» Rimase per un po' in silenzio. «Quegli aerei arrivano una volta la settima-
na, di sabato, sempre alla stessa ora. E sono grossi. Un mio amico che lavora al controllo del traffico aereo ha qualche conoscenza tra i militari della base di Norfolk e da loro ha saputo che quegli aerei non atterrano da altre parti, ma solo a Camp Peary. Non passano la dogana né i controlli dei militari, niente.» «Ma sono aerei militari?» gli chiese Michelle. «No, secondo il mio amico. Sarebbero registrati come aerei privati.» «Aerei privati di proprietà della CIA?» domandò Sean. «Che diavolo, la CIA ha una sua flotta aerea e non deve dire a nessuno come spende i soldi dei contribuenti.» «Si è mai chiesto che cosa trasportino quegli aerei?» South gli rivolse una profonda occhiata. «Forse un tipo di carico che vive, respira e parla soltanto arabo o farsi.» «Prigionieri stranieri?» «Non ho nessuna simpatia per i terroristi, ma i processi vanno fatti secondo le regole» dichiarò South con voce ferma. «E se la CIA decidesse di rapire e portare qui chi vuole, senza che la magistratura ne sia a conoscenza? Voglio dire, in questo tipo di operazioni il loro blasone non è esattamente immacolato.» Sorrise. «C'è un premio Pulitzer assicurato per il giornalista che rivelerà questa storia.» «Sarebbe proprio un bel colpo per la vecchia "Magruder Gazette"» commentò sarcastica Michelle. «Recentemente hanno allungato la pista in modo che possano atterrare aerei ancora più grandi e hanno ricevuto fondi per la costruzione di un dormitorio» disse Sean. «Che ne pensa?» «Se mi seguite ve lo faccio vedere che cosa penso.» Li precedette in un'altra stanza. Sean si attardò e appena quello uscì scattò con il telefonino alcune foto della mappa satellitare di Camp Peary, poi velocemente si unì a loro. Su un tavolo, al centro della stanza, c'era una carta geografica molto dettagliata. «Questa è la zona di Camp Peary dove una volta sorgevano Bigler's Mill e Magruder.» Indicò alcuni punti sulla carta. «Vedete quante case ci sono? Case solide, belle strade, raggiungibili da ogni punto. E con tutte queste belle case c'è bisogno di costruire un altro dormitorio? Che senso ha?» «Forse le case sono in abbandono o sono state abbattute» osservò Michelle. «Non credo. Come dicevo, conosco gente che ha lavorato lì e se butti giù interi quartieri le macerie dovrai pure scaricarle da qualche parte. Ne
avrei sentito parlare.» Puntò nuovamente il dito sulla carta. «A Camp Peary si trova anche l'unico bene immobile del Registro Storico Nazionale che non sarà mai aperto al pubblico. Si chiama Porto Bello ed era la residenza dell'ultimo governatore inglese della Virginia, John Murray, quarto conte di Dunmore. Nemmeno la CIA può metterci le mani se non vuole finire nei guai.» «Come ha fatto un monumento del genere a finire dentro Camp Peary?» «Quando, durante la Guerra di rivoluzione americana, l'esercito di Washington si fece pericolosamente vicino, Dunmore lasciò la residenza ufficiale di Williamsburg trasferendosi a Porto Bello, che era la sua palazzina di caccia. Poi, una notte, quel vigliaccone si imbarcò su un veliero britannico e fece ritorno in Inghilterra. Una strada di Norfolk porta il suo nome, non certo in suo onore ma perché sembra sia stato quello l'ultimo suolo americano sul quale quella testa di cazzo reale mise piede. Quello che volevo dire, comunque, è questo: che motivo c'è di costruire un nuovo dormitorio con tanti edifici a disposizione?» «Ha qualche contatto da poter attivare, a Camp Peary?» «Se l'avessi l'avrei già attivato. Ogni tanto mi arriva qualche confidenza da quattro soldi ma nessuno mi passerà la lista passeggeri di uno di quegli aerei, se è questo che vuole sapere.» Indicò altri punti sulla carta. «Qui si addestrano in continuazione i loro reparti paramilitari, tipi da far paura, che eseguono sequestri lampo e anche omicidi per conto del governo. Quelli della CIA sanno uccidere meglio di tutti gli altri e durante l'addestramento simulano missioni in tutto il mondo. Hanno perfino degli enormi palloni aerostatici per cambiare le condizioni del tempo, fanno piovere o scatenano il vento, roba del genere. Hanno anche grosse macchine del vento o per aumentare artificialmente la temperatura. O, almeno, è quello che ho sentito dire.» «Per simulare i combattimenti nel deserto, come in Afghanistan» disse Michelle. Passarono qualche altro minuto con South Freeman, poi si congedarono promettendogli che si sarebbero fatti sentire. Lui li assicurò che se avesse saputo qualcosa li avrebbe informati. «Chissà che non riesca a riprendermi la casa dei miei genitori, sarebbe proprio un bel colpo!» Mentre salivano sul fuoristrada di Michelle squillò il cellulare di Sean. Lui rispose, trattenendo poi il fiato. «Merda!» esclamò alla fine, e richiuse il telefono. «È morto qualcun altro?»
«Sì, e due uomini sono ancora più morti di prima.» «Ma che stai dicendo?» «Era lo sceriffo Hayes. L'obitorio è appena saltato in aria.» 48 «Una fuga di gas» disse lo sceriffo Hayes, mentre osservavano ciò che rimaneva dell'obitorio di fortuna. «Sempre la stessa spiegazione» commentò Michelle. «Il medico legale è morto, diceva?» chiese Sean. «Stava lavorando sul cadavere di Rivest, e non è rimasto molto su cui fare un'autopsia.» «E i cadaveri di Rivest e Monk?» «In pratica sono rimaste soltanto ossa e cenere.» «Una fuga di gas capitata proprio a fagiolo, non le sembra?» Si udì tuonare un vocione. «Mi sembrava di averle detto di togliersi dai piedi.» Si voltarono tutti e tre, l'agente speciale Ventris dell'FBI si stava avvicinando a lunghi passi e si fermò a pochi centimetri dal viso di Sean. «Ha problemi d'udito, per caso?» «Lavora con me, agente Ventris» gli ricordò subito lo sceriffo. «Non me ne fotterebbe un accidente anche se lavorasse con il Signore Iddio Onnipotente. Le avevo detto di togliersi dai piedi.» «Sono qui perché chiamato dallo sceriffo Hayes» disse calmo Sean. «Mi spiegherebbe, ora, che giurisdizione ha l'FBI su una morte non collegata a questioni o a soggetti federali?» Ventris sembrava sul punto di tirargli un pugno e Michelle decise d'intervenire. «Guardi, agente Ventris, che anche io e Sean abbiamo lavorato con i federali. Il nostro collegamento più importante era Len Rivest, che adesso è morto. Il cadavere l'ha scoperto Sean ed è quindi logico che ci teniamo a essere informati, ma non abbiamo alcuna intenzione di interferire con un'indagine federale. Stiamo solo cercando la verità, esattamente come lei.» Queste parole sembrarono allentare parzialmente l'irritazione di Ventris. «Forse, Sean» suggerì lo sceriffo «faresti bene a spiegare all'agente Ventris la tua teoria su Rivest.» «Non vorrei dare l'impressione di interferire.»
«Sputi fuori» esclamò impaziente Ventris. E, anche se di malavoglia, Sean sottolineò l'assenza di asciugamani e stuoino, la scomparsa dello sturalavandini e spiegò come secondo lui Rivest poteva essere stato ucciso. «Avevamo chiesto al medico legale di trovare una conferma della mia teoria sul cadavere di Rivest.» Ventris rimase qualche secondo a fissare il selciato. «L'avevo notata l'assenza degli asciugamani e dello stuoino» disse poi. «Ma non sapevo dello sturalavandini.» «Anche lei quindi sospettava che potesse essere stato un omicidio?» gli chiese Michelle. «Sospetto sempre che un morto sia stato ammazzato. Farò venire una squadra per passare al setaccio la casa di Rivest.» «E la morte di Rivest le interessa perché pensa possa essere collegata a quella di Monk Turing, trovato cadavere su un terreno federale» aggiunse Sean. «Quindi sarebbe forse il caso di unire le nostre forze» propose Michelle. «È da escludere. Se avrete qualche notizia da darmi, bene: ma deve rimanere una strada a senso unico. Certe cose le facciamo in un modo particolare, all'FBI.» «Pensavo che uno dei modi di fare certe cose fosse collaborare con la polizia del posto» disse Sean. «Quindi con me» concluse lo sceriffo. «Ma non con loro.» Ventris fissò torvo Michelle e Sean. «Ma l'obiettivo non è quello di mettere le mani sui responsabili?» chiese Michelle. «No, l'obiettivo è che io metta le mani sui responsabili.» «Allora le semplifico le cose» gli disse Sean. «Diciamo che siamo in concorrenza e chi arriva prima si prende il merito di tutto. Ma sappia che le faremo un culo così.» Fece dietrofront e si allontanò. Ventris si rivolse ad Hayes. «Se quel tipo ostacola in qualche modo le mie indagini finirete nei guai tutti e due, sceriffo.» «Io sto solo cercando di fare il mio lavoro.» «No, ho l'impressione che lei stia cercando di fare il mio, di lavoro.» Poi si accorse che Michelle lo stava guardando sorridendo. «Che diavolo ha da guardare, signora?» «Avrebbe dovuto accettare la mia offerta di collaborazione, Ventris. Perché quando risolveremo questo caso lei farà la figura dell'idiota.» E se ne andò anche lei.
«Potrei arrestarla per ciò che mi ha appena detto!» le gridò dietro Ventris. Michelle si voltò. «No che non può, questo Paese si fonda sulla libertà d'espressione. Buona giornata.» Un minuto dopo Hayes raggiunse Sean e Michelle, fermi accanto al fuoristrada. «Splendido, siamo riusciti a fare incazzare sia la CIA che l'FBI. A chi tocca, adesso? Alla DEA?» «Se diamo per scontato che qualcuno abbia fatto saltare in aria l'obitorio, la domanda è: perché?» chiese Michelle. «E la risposta mi sembra ovvia» le fece notare Sean. «Il medico legale avrebbe potuto trovare sui cadaveri qualcosa in grado di metterci sulla strada giusta.» «Sulla salma di Monk aveva già lavorato» gli ricordò lo sceriffo. «Quindi non era dei resti di Monk che si preoccupavano.» «Eh già. Quindi, ora che il cadavere di Rivest è carbonizzato, non possiamo sapere se la mia teoria è o meno fondata.» «Sappiamo per caso se il medico legale aveva già cominciato l'autopsia di Rivest?» chiese Michelle. «Anche se l'avesse cominciata non ha avuto il tempo di farcelo sapere» osservò Hayes. «Gli avevo chiesto di informarmi appena avesse scoperto qualcosa, ma non l'ho più sentito.» Sean sembrava fiducioso. «Possiamo seguire una traccia della quale Ventris è all'oscuro.» Michelle lo guardò. «Sarebbe?» «Valerie Messaline.» «Temevo proprio che avresti detto qualcosa del genere» gemette lo sceriffo. 49 Horatio Barnes strinse la mano a Viggie sotto lo sguardo nervoso di Alicia Chadwick. La scena si svolgeva nel salottino del bed and breakfast dove lo psicologo si era sistemato. Prima che Horatio potesse iniziare a parlare, Viggie saltò in piedi, andò a sedersi al pianoforte verticale in un angolo della stanza e attaccò a suonare. Horatio le si sedette accanto sulla panchetta. «Ti dispiace se ti accompagno?» le chiese.
La bambina scosse il capo senza interrompersi e lui, dopo aver seguito per qualche secondo il ritmo, cominciò a sua volta a suonare. Dopo cinque minuti Viggie d'improvviso si fermò. «Ho finito.» E tornò a sedersi in poltrona, mentre Horatio le si sedeva di fronte, studiandola attentamente. «Sei un'eccellente pianista» le disse. «E ho saputo che sei un genio anche in matematica.» «I numeri sono divertenti. Mi piacciono perché se aggiungi gli stessi numeri hai sempre le stesse risposte. Poche cose funzionano così.» «Intendi dire che la vita è troppo imprevedibile? Mi trovi d'accordo. I numeri, quindi, ti danno sicurezza?» Viggie annuì distratta e si guardò attorno. E lui continuò a studiarla, nel suo mestiere gli indizi manifestati dal corpo erano importanti quanto la comunicazione verbale. Poi le fece qualche domanda esplorativa sulla sua vita a Babbage Town. L'intenzione era quella di affrontare con la massima cautela l'argomento Monk Turing, ma le prime parole di Viggie fecero naufragare questa strategia. «Monk è morto, lo sapevi?» E, senza attendere la risposta, proseguì. «Era mio padre.» «L'ho saputo e mi dispiace moltissimo. Sono sicuro che gli volevi tanto bene.» Viggie annuì vagamente, poi da una fruttiera sul tavolo accanto a lei prese una mela e cominciò a mangiarla. «Che mi dici di tua madre?» Viggie smise di masticare. «Non ce l'ho una madre.» «Ce l'abbiamo tutti una madre. Intendi dire che è morta?» «Intendo dire che non ce l'ho una madre, se ce l'avessi Monk me l'avrebbe detto.» Horatio lanciò uno sguardo ad Alicia, che sembrava soffrire ascoltando quella conversazione e scosse il capo impotente. «Quindi non ricordi niente di lei?» «Di chi?» «Di tua madre.» «Ma allora non mi stai a sentire: non ce l'ho una madre.» «Okay. Dimmi, che cosa ti piaceva fare con papà? Anche lui era bravo con i numeri, vero? Giocavate insieme con i numeri, forse?» La ragazzina inghiottì un pezzetto di mela e annuì. «Sempre, diceva che ero più brava di lui. E conosceva la fisica quantistica. Tu la conosci?» «Il mio quoziente d'intelligenza non mi permette di addentrarmi in quel
campo.» «Io la capivo. Capisco un sacco di cose che la gente non crede che io capisca.» Stavolta Alicia rispose alla sua occhiata con uno sguardo d'incoraggiamento. «La gente, quindi, non crede che tu capisca certe cose?» «Sono una ragazzina. Una ragazzina. Una ragazzina. Una ragazzina» ripeté come una cantilena. «O, almeno, è quello che pensano.» «Scommetto che Monk invece la pensava diversamente, vero?» «Monk mi trattava in maniera speciale.» «Come?» «Aveva fiducia in me.» «Mi colpisce il fatto che un adulto abbia fiducia in qualcuno della tua età. Scommetto che questo ti ha fatto un gran piacere.» Lei fece spallucce senza confermare o negare. «Ti ricordi l'ultima volta che hai visto Monk?» Altra alzata di spalle. «Sono sicuro che non avresti alcun problema a ricordartelo, con una testa come la tua.» «A me, più di tutto il resto, piace ricordare numeri. I numeri non cambiano mai, uno sarà sempre uno e dieci sarà sempre dieci.» «Ma i numeri cambiano, no? Se li moltiplichi tra di loro, per esempio. O se aggiungi, sottrai, dividi. E dieci può essere dieci o diecimila, come uno può essere uno o cento. Giusto?» Allora Viggie si concentrò interamente su di lui. «Giusto» rispose automaticamente. «Oppure sbagliato?» «È sbagliato. Sbagliato, sbagliato, sbagliato.» E addentò di nuovo la mela. Proprio un piccolo uccellino. «Ti piacciono gli indovinelli con i numeri? Ne ricordo uno che avevo imparato al college, ti va di sentirlo? È piuttosto difficile.» Viggie posò la mela. «Per me non lo sarà, caro signore» rispose entusiasta. «Allora, supponiamo che io sia nonno e che mio nipote abbia un numero di giorni uguale a quello delle settimane di mio figlio, e un numero di mesi uguale a quello dei miei anni. In tre facciamo centoquarant'anni: io quanti ne ho?» Horatio guardò Alicia, che aveva estratto dalla borsetta un pezzo di carta e stava tentando di risolvere il problema. Poi riportò lo sguardo su Viggie.
«Vuoi carta e matita?» «Per farne che?» «Per risolvere questo problema.» «L'ho già risolto. Hai ottantaquattro anni, ma non li dimostri.» Un minuto dopo Alicia terminò i suoi calcoli e mostrò il foglio con una serie di numeri, l'ultimo dei quali era 84. Sorrise a Horatio e scosse il capo con aria stanca. «È chiaro che appartiene a un'altra categoria.» Lo psicologo riportò la sua attenzione su Viggie, che se ne stava seduta in attesa. «Hai visto nella tua mente tutti i numeri?» le chiese. E lei fece con il capo segno di sì, poi riprese a sbocconcellare la mela. Allora Horatio le disse due grossi numeri chiedendole di dargli il loro prodotto, cosa che la piccola fece in pochi secondi. E con altrettanta rapidità risolse poi una divisione, seguita da una radice quadrata: il tutto con un'espressione vicina alla noia, mentre Horatio prendeva appunti. «Ho un altro problema a cui pensare» le disse a quel punto. Viggie si raddrizzò sulla poltrona, anche se sembrava ancora annoiata. Altro che uccellino, tu sei un cane addestratissimo. Vero, Viggie? «Immagina di avere un amico carissimo, con il quale fai tutto. Immagina ora che questo amico se ne vada e che non lo rivedrai mai più. Come ti sentiresti?» Viggie batté un paio di volte le palpebre, poi continuò a batterle con tale foga che il viso le si contrasse in una smorfia. E a Horatio sembrò di vedere un computer dal circuito surriscaldato. «Come ti sentiresti, Viggie?» le chiese di nuovo. «Ma non ci sono numeri in questo problema» osservò lei, disorientata. «Lo so, ma non tutte le domande hanno a che fare con i numeri. Ti sentiresti felice, triste, ambivalente?» «Che cosa significa ambivalente?» «Che non ti importa niente.» «Sì» fu la sua risposta automatica. «Oppure triste?» «Triste, sarei triste.» «Ma non felice?» La ragazzina si rivolse con lo sguardo ad Alicia. «Non ci sono numeri in questo problema.» «Lo so, Viggie. Fai come meglio puoi.» Lei riprese a mangiare la mela.
Horatio buttò giù qualche altro appunto. «Hai mai pensato all'ultima volta che hai visto tuo padre?» «Perché non sarei felice?» chiese lei all'improvviso. «Non saresti felice perché il tuo amico se n'è andato. Con gli amici si fanno cose divertenti e quindi se il tuo migliore amico se n'è andato tu queste cose divertenti non potrai più farle» le spiegò Horatio. «E sono sicuro che con tuo padre facevi cose divertenti, prima che se ne andasse. Sei triste perché tuo padre se n'è andato, vero? Non fai più cose divertenti con lui.» «Monk se n'è andato.» «Proprio così. L'ultima volta che l'hai visto avete fatto cose divertenti?» «Sì, tante.» «Che cosa?» «Non posso dirtelo.» «Ah, è un segreto quindi; i segreti sono divertenti. Avevate tanti segreti, tu e Monk?» Viggie abbassò la voce e gli si fece vicina. «Tutto era segreto.» «E tu non puoi dirli a nessuno, giusto?» «Giusto.» «Ma potresti, se lo volessi.» «Esatto, se lo volessi.» «E lo vuoi? Scommetto di sì.» Sollecitata in quel modo sembrò mostrare per la prima volta una certa esitazione. «Dovrei dirlo in un modo segreto.» «Usando un codice, vuoi dire? Ho paura di non saperci fare, con i codici.» «A Monk i codici piacevano, in particolare i codici segreti. Mi disse che "facevano sangue".» Horatio lanciò uno sguardo interrogativo ad Alicia, che sembrava confusa quanto lui. «Facevano sangue, Viggie?» insistette. «Come sarebbe a dire?» La piccola sorrise. «Come sarebbe a dire?» «È quello che ti sto chiedendo. Che cosa intendeva Monk dicendo che i codici facevano sangue?» «È proprio quello che diceva, i codici facevano sangue. Codici e sangue, questo diceva.» «Monk "aveva sangue" l'ultima volta che vi siete visti?» «Sì» rispose lei tutta felice. «Quindi ti ha raccontato un segreto?» Viggie fece energicamente segno
di sì con la testa. «Puoi dirci di che cosa si trattava?» Il sorriso scomparve e lei scosse lentamente il capo. «Perché no? Era forse un supersegreto?» Alicia intervenne con particolare dolcezza. «Se sai qualcosa è molto importante che tu ce la dica, Viggie.» «Credo che lui non mi piaccia» disse la ragazzina, indicando Horatio. «Adesso devo andare.» Si alzò e uscì. Alicia sembrava trattenere il fiato. «Te l'avevo detto che era un osso duro. Hai scoperto qualcosa di utile?» «Ne so più di quanto ne sapessi un'ora fa, ed è già qualcosa.» «La prossima volta che vi vedrete lei potrebbe sembrarti completamente diversa.» Poi Alicia si portò via Viggie e Horatio telefonò a Sean, raccontandogli il contenuto di quella seduta. «Viggie è autistica, quindi?» gli chiese Sean. «Autismo è un termine molto vago, ma ciò nonostante non credo che lei lo sia.» «E allora?» «Credo che in certe circostanze lei sia tanto più intelligente di noi da non poter stabilire un contatto. Per altre invece direi che non è molto intelligente o, se vogliamo, matura. Potrebbe trattarsi di un problema di percezione, della nostra percezione. Ci aspettiamo, voglio dire, che le sue capacità emotive siano all'altezza di quelle intellettive, ma lei è ancora una ragazzina. E mi provoca certe strane sensazioni quando si parla del padre.» «Per esempio?» «Sembra che Monk la trattasse da adulta, a volte almeno. Altre volte invece la trattava come... diciamo un meccanismo.» «Un meccanismo?» «Lo so che quanto dico non ha molto senso. Vorrei sapere qualcosa di più su sua madre, sembra che Viggie creda di non averne nemmeno avuta una.» «E tutto questo dove ci porta?» «Non molto lontano, temo.» «I nostri risultati almeno concordano, nel senso che equivalgono a zero.» «E adesso che cosa facciamo?» «Come nel baseball, colpirò la palla e vedrò di conquistare una base.» 50
La donna non gli aveva lasciato il numero di telefono e vane erano state le sue ricerche sull'elenco e su Internet. Sean decise allora di tornare proprio quella sera a Williamsburg e allo stesso bar dove l'aveva vista la sera prima. Michelle avrebbe voluto accodarsi ma lui bocciò subito la proposta. «Non credo che la tua presenza farebbe a Valerie lo stesso piacere che farebbe a me» le spiegò, mentre si trovavano nella stanza che Alicia gli aveva messo a disposizione nel suo cottage. «Rifletti, Sean. Ian Whitfield non è il tipo da permettere che la moglie si metta a flirtare alle sue spalle, e non è escluso che la faccia seguire ventiquattr'ore su ventiquattro.» «In questo caso mi hanno già visto con lei. E se mi ci vedessero una seconda volta potrebbero innervosirsi e commettere un errore forse determinante.» «Mi sembra una scommessa piuttosto azzardata, non trovi?» «Non è che abbiamo una gran scelta. I corpi sono carbonizzati, Ventris fa ostruzionismo, a Babbage Town nessuno sa un accidente e l'unica persona che potrebbe aiutarci, cioè Viggie, parla una lingua che nessuno di noi riesce a capire.» «Ma Horatio non doveva vederla?» «L'ha vista.» E le riferì per sommi capi ciò che aveva saputo da Horatio circa la seduta con Viggie. «Sembrerebbe, quindi, che Monk abbia detto alla figlia qualcosa. Ma in codice.» «Se dobbiamo credere a ciò che dice. Codice e sangue. Che cosa dovrebbe significare?» «Non ne ho idea» ammise Michelle. «In questa indagine ci sono alcuni indizi, ma tendono a sparire senza che altri li sostituiscano.» «A proposito, hai saputo niente dal pit bull con la gonna?» Sean estrasse di tasca un foglio di carta. «Monk era andato in Inghilterra e Joan è riuscita a ricostruire l'itinerario. È stato in diversi posti come Londra, Cambridge, Manchester e una cittadina del Cheshire chiamata Wilmslow. Più un quinto posto che dà un senso ai quattro precedenti.» «E sarebbe?» «Bletchley Park, il paese dove il suo parente Alan Turing lavorò durante la Seconda guerra mondiale salvando il mondo, se dobbiamo credere a Champ Pollion.»
«E il collegamento con le altre città?» «Sono quelle nelle quali è vissuto Alan Turing, a parte i tre anni a Princeton. È nato a Paddington, cioè in pratica a Londra, è andato al college a Cambridge, ha conseguito il Ph.D. a Princeton negli Stati Uniti, quindi ha fatto ritorno a Cambridge, da lì si è trasferito a Bletchley Park e dopo la fine della guerra si è spostato a Manchester. E infine, nel 1954, si è tolto la vita a Wilmslow, contea del Cheshire.» «E così era un suo parente, e Monk ha deciso di farsi una passeggiata sullo stesso itinerario» commentò Michelle. «Oppure potrebbe esserci dell'altro.» «Non è da escludere.» «Allora, che cosa vuoi che faccia mentre tu ti trastulli con una donna sposata?» «Stasera dovrai occuparti di Viggie, ma prima Horatio vuole parlarti. Se riesci a introdurti nell'edificio principale, sarebbe splendido se potessi metterti a cercare una stanza segreta anche lì.» «E se non volessi parlare con Horatio?» «Non ti costringo a farlo, ma lui vuole sinceramente aiutarti.» «Aiutarmi parlando a mia insaputa con i miei familiari, vuoi dire? Ficcanasando nel mio passato?» «Questo è il suo indirizzo.» «Tu nel frattempo che cosa farai?» «Mi preparo all'appuntamento.» Lei gli lanciò un'occhiataccia. «Certe volte mi fai veramente incazzare.» «Davvero? E come ci si sente da incazzati?» 51 Michelle passò un'ora a ispezionare il piano terra dell'edificio nella maniera più metodica, e al tempo stesso meno invadente, possibile. Si aggirò nella sala del biliardo, nell'ampia biblioteca, nella sala da fumo, in quella delle armi, dove antichi fucili e carabine erano conservati sotto chiave dentro armadi con le ante a sbarre, in un salottino e in una sala dei trofei con le immancabili teste di animali alle pareti. Ma di una stanza che non avrebbe dovuto esserci, cioè una stanza segreta, non vide alcuna traccia. Alla fine, stanca di quella boiserie scura e tarlata, di quei folti tappeti persiani sotto i piedi, di quel sentore ammuffito di un altro secolo ancora aggrappato alle prime propaggini del XXI secolo e stanca soprattutto di quel girare a vuoto
senza alcun risultato, uscì e si mise a valutare le possibili opzioni. Era ancora troppo presto per andare a prendere Viggie, ma fu necessaria una mezz'ora di decisioni e ripensamenti prima che finalmente si mettesse al volante del suo fuoristrada e andasse da Horatio. «Lo sto facendo soltanto per Sean» mise subito in chiaro, mentre si accomodavano nella stessa stanza dove Horatio aveva parlato con Viggie. «Io sono contento che tu sia venuta, qualsiasi sia stata la tua motivazione. Alla clinica psichiatrica hai lasciato un ricordo incancellabile, posso assicurartelo, dopo che hai fatto arrestare un criminale e salvato letteralmente la vita di quella donna. Questo ti avrà fatto sentire bene.» «Sì, e mi sono sentita bene fino a quando Sean mi ha detto che volevi parlarmi.» «Sto solo cercando di fare come posso il mio lavoro.» «Senti, stiamo ai fatti. Io ho partecipato alle mie brave sedute, ho fatto i miei bravi esercizi, ho risposto alle tue domande offensive, ho svuotato l'anima, ho catturato un trafficante di droga e, come hai detto, ho salvato la vita a una donna. A questo punto credo si possa concludere che sono guarita ed è quindi inutile continuare a far spendere soldi a Sean. Okay? Adesso torno a fare il mio lavoro e sarebbe il caso che tu tornassi a fare il tuo, anche se non mi è ancora ben chiaro che lavoro sia.» Si alzò. La voce di lui, simile a un latrato, la spaventò. «Non sei guarita e nemmeno quasi guarita. Sei completamente e totalmente suonata, cara la mia signora. La spirale continua a scendere e verrà un giorno in cui, facendo il tuo cosiddetto lavoro, combinerai un casino e ti farai uccidere, mandando magari all'altro mondo anche Sean. Se questa prospettiva ti sta bene vai pure, sali su quel cassonetto dei rifiuti che ti piace tanto guidare e cavalca al tramonto verso il tuo inferno. Ma non pensare nemmeno lontanamente di essere guarita, è la stronzata più grossa che io abbia mai sentito. Quelli che vogliono guarire si danno da fare, non mentono a se stessi e al mondo intero. Non se ne stanno seduti ad affondare sempre di più nella loro patetica esistenza, rifiutandosi di ammettere che qualcosa non va. Servono le palle, non le cazzate. E io delle tue cazzate sono proprio stufo.» Michelle sentì montarsi dentro una rabbia furiosa e accecante e strinse i pugni, pronta a colpire. Lui proseguì con la massima calma. «Lo vedi adesso quanta rabbia ti si è accumulata dentro? Lo vedi con quale velocità monta, Mick? E questo solo per qualche parola che ho detto. Parole vere, tra l'altro, ma pur sempre solo parole. Si chiama perdere il controllo di se stessi. Vuoi uccidermi, vero?
Lo so che vuoi uccidermi, te lo leggo in ogni molecola. Così come volevi uccidere quel povero sciamannato al bar. Con la differenza che al bar hai dovuto sbronzarti per accumulare tanta rabbia da aggredire un altro essere umano, mentre stavolta sei assolutamente sobria e la rabbia si sta impossessando di te facendoti venire voglia di spaccarmi il cranio. Era questo che intendevo parlando della spirale che continua a scendere. E adesso che succederà? A fare esplodere la rabbia sarà lo sguardo di uno sconosciuto che incroci in strada? O che ti urta involontariamente in metropolitana? O forse sarà semplicemente la puzza di qualcuno? Il problema è quello della rabbia che accumuli, Michelle: e devi farci i conti da subito.» «E se non volessi?» chiese lei con voce cupa. «Perdi, e a vincere sono i demoni. A te la scelta.» Lentamente, quasi impercettibilmente, Michelle tornò a sedersi mentre Horatio non le staccava gli occhi di dosso. Lei tenne il suo sguardo fisso sul pavimento, e un muscolo prese a vibrarle sul collo. Quando parlò le tremava la voce. «Non so che cosa tu voglia da me.» «Potrei darti una risposta superficiale come, per esempio, "la verità", ma non è così che funziona la mente. Voglio parlare, Michelle, tutto qui. Voglio farti alcune domande, ascoltare le tue risposte, ma soprattutto voglio parlare con te. Di te. Tutto qui. Pensi di farcela?» Passò un minuto prima che lei, stringendo spasmodicamente le dita attorno ai braccioli della sedia, ritrovasse la voce. «Okay.» Ed era una voce talmente fievole che Horatio la udì a malapena. «Sono stato nella casa dove abitavi quando avevi sei anni, Sean te l'ha già detto.» «Sì.» «Ho conosciuto una certa Hazel Rose, te la ricordi?» Michelle fece segno di sì con il capo. «Lei si ricorda di te, eccome. Mi ha chiesto di dirti che è molto orgogliosa di te.» Attese qualche istante, ma Michelle non ebbe alcuna reazione a quelle parole. «Hazel mi ha detto che andavi da lei con altre bambine del quartiere per prendere il tè e giocare alle signore. Te lo ricordi?» «No.» Horatio continuò a studiarla con la massima attenzione. Era una cosa che non si impara sui manuali, lui in pratica si limitava a leggere il linguaggio del corpo sperando di interpretare bene certi segnali. «Hazel mi ha parlato di quello splendido roseto che avevi.» A queste parole tutto il corpo di Michelle sembrò allentarsi, come se
qualcuno le avesse staccato la spina, e lo psicologo temette sulle prime che stesse per svenire. Ma poi lei si riprese e si raddrizzò sulla poltroncina. «L'aveva piantato mio padre, quel roseto» disse parlando quasi come un automa. «Certo, era un regalo di compleanno. Ma qualcuno l'ha devastato.» «Erano stati dei ragazzetti, forse per fare un dispetto a papà.» «Questa è una delle ipotesi.» Lei si irrigidì nuovamente, ma non lo guardò. «Quella volta Hazel notò in te un cambiamento. Ricordi il motivo?» «Avevo sei anni, come faccio a saperlo?» «Ma il roseto te lo sei ricordata, come ti sei ricordata che l'aveva piantato tuo padre e che era stato devastato.» Lei sbottò. «Forse a sei anni ho assassinato brutalmente qualcuno e ora sto rimuovendo il ricordo. È sufficiente, questa spiegazione, per soddisfare la tua curiosità?» «Torniamo già alle battute? Speravo che saresti riuscita a farne a meno per almeno dieci minuti, grazie a quel mio bel discorso accomodante. Non è che lo usi spesso, sai?» Ora era lei a guardarlo, con un'espressione curiosa, avida. «E perché l'hai usato con me?» «Perché mi stai scivolando via, Michelle. E non voglio che tu arrivi al punto di non ritorno.» «Ma sono qui, maledizione, Horatio. Lavoro, penso, aiuto Sean e una ragazzina che in questo momento ha bisogno di qualcuno. Quanto posso essere cattiva, dimmelo: quanto?» «È una domanda alla quale solo tu puoi rispondere.» Per un momento ebbe l'impressione che gli occhi di lei si inumidissero, ma tornarono invece subito duri e asciutti. «Lo so che stai cercando di aiutarmi, so che è quello che sta facendo anche Sean. Ho dei problemi, so anche questo, e sto cercando di venirne a capo, di rimanere attiva.» «Tutto bello, tutto giusto. Ma cercando di rimanere attiva non li affronti i problemi, Michelle. Li ignori.» Nella voce di lei si leggeva adesso un tono di sfida. «Hai detto che sono cambiata a sei anni? Non mi sembra di essere cambiata in peggio. Hai mai vinto una medaglia olimpica? Sei mai stato un poliziotto? Hai mai protetto la persona del presidente? Io sì. Hai mai salvato la vita a qualcuno? Io sì, e più di una volta.» «Non sto dicendo che la tua vita non sia stata esemplare, anzi hai rag-
giunto risultati straordinari. È del futuro, però, che sto parlando, del tuo comportamento autodistruttivo. Quello che sto cercando di farti capire è che a un certo punto dovrai pagare il conto.» Lei si alzò. «Mi stai dicendo che tutto ciò che ho fatto in vita mia è collegato a qualcosa che potrebbe essermi successa da ragazzina? È questo che stai cercando di dirmi?» Le ultime parole le urlò. «No, non l'ho detto io. L'hai detto tu.» Come aveva già fatto Viggie, Michelle scomparve in un attimo. Horatio udì il rumore del fuoristrada che veniva messo in moto e partiva a razzo, facendo schizzare via la ghiaia del vialetto. Allora si massaggiò una tempia, uscì, salì sulla sua Harley e la seguì. Questa volta non l'avrebbe lasciata andare via, la signora. 52 «Credo che come minimo dovrei coprirti le spalle, Sean» disse lo sceriffo Hayes, al volante della sua auto personale in direzione di Williamsburg. «Sarebbe inutile, Whitfield conosce la tua faccia.» «Allora uno dei miei uomini. Whitfield non è il tipo che abbozza se fai lo stronzo con sua moglie.» «Ma non sembra nemmeno preoccuparsi granché se la moglie frequenta i bar e si fa rimorchiare. La signora non mi ha dato l'impressione di trovarsi per la prima volta in quel locale.» «Ma lui sa anche chi sei tu e se ti vede girare attorno alla moglie può pensare che stai cercando di strapparle qualche informazione su Camp Peary.» «Non sa però che io so che è sua moglie. Se dovesse farci una sorpresa, o farcela fare da uno dei suoi gorilla, io cadrò dalle nuvole e batterò in ritirata.» «E credi davvero che uno come Whitfield se la berrebbe?» «Probabilmente no, ma se ti viene in mente un'idea migliore sono pronto a farla mia. E poi non so nemmeno se quella stasera verrà, il mio potrebbe rivelarsi un tentativo a vuoto.» «Anche se la Messaline sapesse qualcosa, poi, perché dovrebbe venirla a dire proprio a te?» «Non sono precisamente un pivello quando si tratta di tirare fuori qualche informazione.» «Ma non m'avevi detto che l'altra volta si era cucita la bocca?»
«Era la prima volta che mi vedeva.» «Quindi, credi davvero che Whitfield c'entri qualcosa nella morte di Monk e in quella di Len?» «Monk è morto all'interno di una proprietà della CIA e Whitfield si è affrettato a sollevarci dalle indagini, chiamando in causa perfino il vicedirettore operazioni. Da quella stessa proprietà qualcuno mi ha sparato contro, per non parlare degli aerei che atterrano di notte a fari spenti.» «Aerei?» «Passano sopra Babbage Town e sono grossi jet in grado di volare da un continente all'altro. Nessuno sa chi ci sia su quegli aerei. E il Congresso ha approvato un finanziamento segreto per la costruzione di un cosiddetto nuovo dormitorio per gli agenti dei corsi di addestramento, anche se lì dentro gli alloggi non mancano certo.» «Perché "cosiddetto"?» «Un edificio può servire a tanti scopi, tra i quali quello di avere speciali stanze destinate agli interrogatori. O alle torture.» Hayes rischiò di finire fuori strada. «Ma sei fuori di testa? La tortura è assolutamente vietata in questa nazione.» «Monk potrebbe avere visto prigionieri, dei quali si ignora l'esistenza, sottoposti a scariche elettriche. Quale motivo migliore di questo per farlo fuori?» «Non riesco a crederci. E Len Rivest, allora?» «Potrebbe averlo saputo da Monk, oppure aver visto di persona o sospettato. Whitfield ne viene a conoscenza, e ti saluto Len.» «Ma perché, se avesse scoperto qualcosa, non è andato alla polizia? Era un ex agente dell'FBI, sant'Iddio!» «Forse non voleva mettersi contro la CIA e Ian Whitfield, forse qualcuno ai piani alti sa quello che succede a Camp Peary. O forse ne ha parlato a qualcuno, ma era la persona sbagliata.» «Adesso ti metti a pensare a un grosso complotto?» «Perché no? Non sarebbe la prima volta. Se la posta è molto alta i complotti tendono a espandersi proprio per adeguarvisi. Tra parentesi, poi, a Washington in questi casi non si parla di complotto ma di politica.» Hayes sembrava nervoso. «Una faccenda del genere è troppo grossa per uno come me, Sean, non mi vergogno ad ammetterlo. Sono un semplice poliziotto di paese che andrà in pensione tra qualche anno.» «Se vuoi, Merk, puoi anche farmi scendere e tornare indietro, chiudiamo la nostra collaborazione e amici come prima. Ma io indietro non ci torno.»
Lo sceriffo rimase un po' a rifletterci. «Che diavolo» disse poi «se devo proprio pestare una merda tanto vale che sia grossa. Ma rimango dell'idea che stasera dovresti farti seguire da qualcuno.» Se Sean o lo sceriffo Hayes si fossero voltati a guardare avrebbero scoperto che qualcuno li stava già seguendo. 53 Horatio fermò la moto accanto al fuoristrada di Michelle, parcheggiato sotto gli alberi vicino al fiume. Lei non era a bordo e Horatio seguì a piedi una pista di terra battuta che scendeva fino alla sponda. E la trovò là, seduta su un albero caduto che sporgeva in parte sull'acqua. Lo psicologo allora andò a sua volta a sedersi dall'altra parte dell'albero, quella ancora radicata nel terreno, ma lei sembrò non essersi nemmeno accorta del suo arrivo. «Bella serata» le disse, lanciando un sasso nelle acque dello York che scorrevano veloci in direzione della Chesapeake Bay. Sulla loro superficie galleggiavano ancora i detriti di un precedente temporale. Michelle rimase in silenzio qualche minuto, fissando l'acqua con tale intensità da fargli temere che stesse per lanciarsi da un momento all'altro nel fiume. Poi le sue prime parole attirarono decisamente l'attenzione di Horatio. «Una volta l'ho ripulito il fuoristrada. L'ho fatto per Sean.» «Perché?» «Perché mi piaceva e stava attraversando un brutto periodo.» «È stata dura ripulirlo?» «Molto più del previsto, ogni cosa lì dentro sembrava pesare una tonnellata. Ma è soltanto una macchina, no?» Si girò, mettendoglisi di fronte. «È soltanto una macchina» ripeté. «La macchina, la stanza da letto, la vita che fai. Immagino quanto sia stata dura.» «Ma non ce l'ho fatta a tenerlo pulito, anche se ci ho provato. Be', non è che ci abbia proprio provato: non ce l'ho fatta, punto. Mi è bastato un giorno per incasinarlo di nuovo.» «Sean dice che il tuo canotto da competizione è immacolato, che ci si potrebbe mangiare sopra.» Sorrise. «Lo immagino. Anche lui, comunque, ha le sue fisime. Voglio dire, hai mai visto nessuno così ordinato e pulito? Dai!» Spezzò un rametto dal tronco e lo lanciò in acqua. «Non so perché sono
cambiata, Horatio. Non lo so davvero» disse poi, seguendo con lo sguardo il ramoscello. «Se devo dirti la verità non ricordo nemmeno di essere cambiata ma, visto che sono in tanti a sostenerlo, sarà sicuramente andata così.» «È un'ammissione importante, questa, un positivo passo avanti, Michelle. Ma quando ho parlato del roseto hai reagito in un certo modo. Perché?» Ancora una volta, sentendo quella parola, fremette visibilmente. Passò qualche altro minuto di silenzio, durante i quali Michelle tenne lo sguardo sull'albero su cui sedeva e Horatio continuò a fissarla senza aprire bocca, nel timore di compromettere il primo vero progresso da quando la conosceva. E la sua pazienza fu più che ricompensata. «Si può avere paura di qualcosa e non sapere nemmeno di cosa si tratta?» gli chiese. «Sì, può essere inastato nella mente tanto in profondità da farti provare soltanto la paura senza che tu possa realizzare l'origine di quella paura. Il meccanismo protettivo del cervello fa regredire nell'inconscio certi avvenimenti passati con i quali il soggetto non è in grado di fare i conti. Li blocchiamo e basta.» «Come se niente fosse?» «Come se niente fosse, ma è come scoprire acqua in cantina e cercare di toglierla tamponando qui e là con uno straccio. A un certo punto il danno si fa talmente serio da minacciare la stabilità delle fondamenta, e questo succede quando l'acqua comincia a infiltrarsi in posti imprevedibili: posti che non riesci nemmeno a vedere, fino a quando il danno non è ormai stato fatto.» «Io sarei quindi una casa marcia?» «E io sono il miglior riparatore di case che tu possa mai trovare.» «Ma come puoi mai aiutarmi, se non ricordo nemmeno perché sono tanto spaventata?» «Esiste un metodo infallibile: l'ipnosi.» Michelle scosse il capo. «Non credo in una stronzata del genere, nessuno può ipnotizzarmi.» «Di solito gli scettici come te sono i più facili da ipnotizzare.» «Però bisogna volere essere ipnotizzati, vero?» «Di solito aiuta, certo. Ma tu vuoi stare meglio, no?» «Se non volessi non me ne starei qui a parlare con te di queste cose, delle quali non ho mai parlato con nessuno. Mai!» «Lo considero un complimento. Allora, vuoi che ti ipnotizzi?»
«Non mi piace perdere il controllo di me stessa, Horatio. E se poi ti dicessi qualcosa che non sono in grado di gestire? Se fosse qualcosa di brutto?» «Per questo ho seguito tanti corsi e ho tanti diplomi attaccati alla parete. Il professionista sono io, lasciami fare il mio lavoro. Non ti chiedo altro.» «Chiedi molto. Forse troppo.» «Ti va almeno di pensarci su?» Lei si alzò, camminò agilmente a ritroso sul tronco e saltò in terra accanto a lui. «Ci penserò su» disse poi, passandogli davanti. Horatio la guardò irritato. «Dove stai andando, ora.» «Devo occuparmi di Viggie.» 54 Fu fortunato, Sean, perché Valerie sedeva allo stesso tavolino della sera prima. E, come la sera prima, stava facendo battere in ritirata un altro specialista del rimorchio. Stavolta, però, lei vestiva in maniera meno provocante, in pantaloni e golf di cachemire. I capelli li aveva raccolti in una lunga treccia e il rossetto era di una tonalità delicata. Quando vide Sean puntare sul suo tavolo voltò immediatamente lo sguardo dall'altra parte, e continuò a tenercelo anche quando lui le si sedette di fronte. «Vedo che vai sempre forte, qui» le disse lui. «E io vedo che non riesci ad afferrare bene il concetto di benservito.» «Stasera è un nuovo azzardo.» «Non dal mio punto di vista.» «Ti va di mangiare qualcosa?» «Devo chiamare il buttafuori per liberarmi di te?» «Non lo so. Mentre ci penso, decidi dove ti andrebbe di andare a cena.» Lei quasi sorrise e lui fu lesto ad approfittarne. «È solo una piccola crepa nella tua corazza, lo so, ma mi accontento.» «E che cosa ti fa pensare che vorrei cenare con te?» «Bene, adesso che ho tutta la tua attenzione te lo dico.» Fece una breve pausa. «Voglio qualcuno con cui parlare, a viaggiare tutti soli si invecchia velocemente. Non cerco altro che una bella conversazione con una bottiglia di buon vino. Possiamo dividere il conto, nessuno deve favori all'altro.»
«Quindi, dai per scontato che la mia conversazione sia interessante e che mi piaccia il vino.» «La conversazione la do per scontata, certo, perché da quando ti ho visto il mio radar per l'individuazione delle persone sceme e superficiali non ha emesso nemmeno un bip. Per quello che riguarda il vino ho un certo spirito di adattamento, ma venendo qui ho notato in fondo alla strada un ristorante con un Cabernet che non vedo l'ora di provare.» «Ti intendi di vini?» «Una volta ne facevo collezione.» «Una volta?» «Sì, prima che qualcuno mi facesse saltare in aria casa e cantina.» Sean si alzò. «Vogliamo andare?» Poco dopo, mentre sedevano a un tavolo d'angolo del ristorante, accanto alla vetrina, e gustavano il Cabernet in questione, Sean guardò ancora una volta la vera di Valerie. E lo fece con tale insistenza che lei non poté non accorgersene. «Ti stai chiedendo perché sono a cena con te pur essendo una donna sposata?» «Stavo pensando che se fossi tuo marito non ti farei frequentare i bar da sola.» «So pensare a me stessa.» «Mi preoccuperei, sempre se fossi tuo marito, di una tua eventuale passioncella per uno di quei signori.» «E credi che mi sia venuta una passioncella per te?» «Penso che ti stai chiedendo se sono proprio sincero o se invece sono un altro mascalzone che sta per provarci.» «Tu come ti consideri?» «Be', se fossi un mascalzone ti direi che sono piuttosto sincero.» «E allora, dove eravamo rimasti?» «A te che devi prendere una decisione sulla base di ciò che hai osservato.» «Di che cosa vogliamo parlare, in modo che possa mettermi a osservare?» «Le storie personali sono un classico, in questi casi. Comincio io. Come ti dicevo sono divorziato e non ho figli. Ero, e sono, uno che risolve problemi, per la precisione un avvocato. Ma non volermene. Sono venuto da queste parti per conto di un cliente invischiato in una brutta causa. E tu?» «Sposata e mai mamma, come ti avevo detto. Ero una donna in carriera,
ora me ne sto a casa e a volte esco. Tutto qui.» «E lasci fuori tuo marito? Voglio dire, che cosa non ha afferrato di te, la bellezza o l'intelligenza?» Valerie sollevò un dito per metterlo in guardia. «Stai per passare il limite.» «Scusami, faccio rispettosamente marcia indietro. Che cosa fai per divertirti un po'?» «Non faccio niente per divertirmi un po', credo di avere avuto la mia parte di divertimento. E poi, ormai...» «Dai, non avrai mica un piede nella fossa.» «No?» «Hai qualche grave malattia?» «Non nel senso che pensi tu, no.» Sean si mise comodo e fece girare il vino nel bicchiere. «Direi che ti poni ai piani alti della classifica delle donne più interessanti che ho conosciuto, direi tra le prime tre. Per darti un'idea aggiungo che la mia ex moglie non è mai entrata nel gruppo delle prime dieci.» «Il che mi fa pensare che nel settore valutazione del prossimo sei piuttosto scarso.» «Ne ho avute anche di migliori.» «Mio marito sarebbe tra i primi cinque posti della classifica di chiunque. È un tipo molto interessante: o, quanto meno, fa un lavoro molto interessante.» «Cioè?» Lei scosse il capo. «Il nemico ti ascolta, come si suol dire.» Sean si finse confuso. «Il nemico? È un militare, quindi? Ho sentito che da queste parti c'è una grossa presenza di militari.» «No, ma lavora per il governo. È stato militare, comunque: in Vietnam.» «Vietnam? Ma tu non sei così vecchia.» «È lui che si è sposato tardi. E non saprei dirti perché si è risolto a quel passo, dopo avere vissuto da solo così a lungo.» «E allora? FBI, forse? Ho degli amici, ex militari, che sono entrati nell'FBI.» «Mai sentito parlare di Camp Peary?» Scosse lentamente il capo. «Ma il nome mi dice qualcosa. Non è un campo estivo per ragazzini?» Valerie sorrise. «Potremmo anche considerarlo così, ma quei ragazzini sono grossi e i loro giocattoli sono in proporzione.»
«Ma di che stai parlando?» «Camp Peary è un centro di addestramento di un'agenzia la cui sigla comincia con la "c" e finisce con la "a". Ti fa venire in mente qualcosa?» «La CIA! Tuo marito lavora per la CIA!» le sussurrò furiosamente. Lei lo guardò insospettita. «Sei sicuro di non aver mai sentito parlare di Camp Peary?» «Io sono dell'Ohio, questo posto sarà anche famoso qui ma la notizia della sua fama non è ancora arrivata a Dayton. Mi spiace.» «Mio marito dirige Camp Peary e, ripeto, non è un segreto di Stato.» Sean sembrò sbalordito. «Vorrei farti una semplice domanda, Valerie.» «Provo a indovinare: perché un uomo così lascia che la moglie giri da sola per i bar e vada a cena con uomini sconosciuti?» Lui annuì. «A semplice domanda, semplice risposta. Non gli importa ciò che faccio, a volte non so perché mi abbia sposato. E invece lo so, mi ha sposato perché agli occhi di chi mi vede per la prima volta sono uno schianto. Ma con Ian questo effetto si è esaurito presto.» «Ma allora, visto che Ian ha la sua vita e tu hai la tua, perché non divorziare?» «Perché i divorzi di solito sono una brutta esperienza e sottraggono troppe energie. Tu hai divorziato: non è forse così?» «È proprio così. Immagino che tuo marito sia occupatissimo, con la guerra al terrorismo e annessi e connessi.» «O forse sono io che non lo interesso abbastanza.» Sean si finse pensieroso. «Con me e mia moglie era stato amore a prima vista. Poi lei è cambiata, io sono cambiato, chi diavolo lo sa: e a lei, comunque, gli avvocati non andavano molto a genio. Forse il nostro matrimonio era segnato fin dall'inizio.» «Probabilmente è quello che è successo anche a me.» «Come vi siete conosciuti, tu e Ian?» «Io lavoravo per una ditta appaltatrice della CIA nel senso che mi occupo, anzi mi occupavo, di bioterrorismo molto prima che se ne parlasse tanto come adesso. Ci siamo conosciuti durante un congresso, in Australia, ovviamente prima che lo mandassero a dirigere Camp Peary. Io c'ero stata prima di conoscere Ian, ma fu un'esperienza stressante al punto che me ne andai. Lui invece in quel mondo ci sta come il sorcio nel cacio. È questa la differenza tra noi, e con il tempo si è fatta piuttosto grossa.» «Aspetta, ecco perché il nome l'avevo già sentito. Non hanno trovato un cadavere, di recente, a Camp Peary?»
Valerie fece lentamente segno di sì con il capo. «Sembra che la vittima abbia scavalcato la recinzione e poi si sia sparata.» «E perché avrebbe fatto una cosa del genere?» «Ognuno ha i suoi problemi.» «Hai l'aria di chi parla per esperienza personale.» «Tutti parliamo per esperienza personale, Sean.» Dopo cena fecero una passeggiata. «È stata una serata bellissima, Valerie. Grazie.» «È stata una serata deprimente, soprattutto per colpa mia.» Sean non trovò nulla da replicare e rimase in silenzio per qualche minuto. «Rimarrò in città una settimana circa» disse poi. «Vogliamo cenare di nuovo insieme?» «Non mi sembra una bella idea.» «Mi daresti, almeno, il tuo numero di telefono?» «Perché?» «Che pericolo c'è, se ci facciamo una chiacchierata?» «Il pericolo c'è dappertutto.» Ma, ciò nonostante, infilò una mano nella borsetta, ne estrasse una penna e un pezzo di carta sul quale scrisse un numero, poi glielo diede. «Puoi lasciare un messaggio a questo numero. Se non ti richiamerò, be', mi spiace. Grazie per avermi risparmiato un'altra serata in quel bar. Addio.» Gli toccò un braccio, poi si allontanò lasciando Sean molto turbato. Valerie Messaline era probabilmente quella che sembrava, una donna sola che si teneva a galla in attesa che succedesse qualcosa. L'unica strada praticabile per entrare a Camp Peary era stata appena sbarrata. A chi si sarebbe potuto rivolgere, ora? La risposta si palesò quasi con la stessa velocità della domanda. Il problema era a quel punto il seguente: avrebbe avuto il coraggio o, più esattamente, il livello di follia necessario per metterla in atto? 55 Michelle decise di combinare l'impegno con Viggie con una audace mossa tattica. Il tramonto era ancora lontano e quindi, approfittando della luce del giorno, portò la bambina alla rimessa delle barche dopo avere chiesto l'autorizzazione ad Alicia. Una volta lì, visto che come nuotatrice Viggie non era un granché, le fece indossare un giubbetto salvagente. Quindi misero in acqua un kayak e Viggie andò davanti con una pagaia,
mentre alle sue spalle Michelle teneva l'imbarcazione in rotta e spiegava alla ragazzina come si fa a vogare. Viggie imparava in fretta e i suoi colpi di pagaia si fecero subito decisi ed efficaci. La ragazzina, stabilì Michelle, era sicuramente più forte di quanto sembrava. «È divertente!» esclamò, mentre il vento le scompigliava i capelli. «A me piace da matti.» Michelle con un paio di colpi di pagaia rimise in rotta il kayak. Se nella vita hai pagaiato per migliaia di chilometri i muscoli si muovono in automatico. Seguendo il suo piano, Michelle raggiunse in breve quel tratto del fiume York che scorreva di fronte a Camp Peary. Smise di pagaiare e disse a Viggie di fare lo stesso, poi mentre si facevano trascinare dalla corrente lanciò una rapida occhiata alle installazioni ultrasegrete della CIA. La recinzione metallica brillava sotto i raggi del sole e non si vedeva una sentinella, anche se il sesto senso diceva a Michelle che in quel preciso momento qualcuno stava seguendo le loro mosse. «Quello è Camp Peary» disse all'improvviso Viggie. «È lì che è morto Monk.» «Conosci Camp Peary?» Viggie annuì. «Monk te ne aveva mai parlato?» Altro cenno di sì con il capo. «Che cosa ti aveva detto?» «Delle robe.» «Codici e sangue?» Viggie si voltò a guardarla. «Hai parlato con quel tizio?» «Horatio Barnes, sì. È un amico.» E dovette mordersi il labbro dopo aver detto quelle parole. «Non mi piace.» «A molti dà un'impressione sbagliata. Allora dicevamo, codici e sangue? Sembra davvero interessante.» Trovarsi dentro un kayak in mezzo al fiume aveva di buono che Viggie non poteva alzarsi e andarsene, e anche per questo Michelle aveva scelto quella soluzione. «A Monk piacevano i codici, me ne ha insegnato qualcuno. Era imparentato con uno scienziato famoso.» «E anche tu allora sei una sua parente?» Viggie annuì con un'espressione orgogliosa. «Alan Turing era omosessuale e alla gente a quei tempi gli omosessuali non piacevano: così ha mangiato una mela avvelenata ed è morto.» Questo cambio di argomento lasciò Michelle senza parole. Monk la trat-
tava davvero da adulta. «È una cosa molto triste» disse alla fine. «Spero di non dover mai mangiare una mela avvelenata, se qualcuno si arrabbierà con me.» «Sono sicura che non dovrai mai farlo, Viggie» la rassicurò Michelle. «Togliersi la vita non è mai la risposta giusta.» E, dicendo queste parole, provò un acuto senso di colpa. «È come la regina crudele di Biancaneve. Si è trasformata in una strega, è salita su una vecchia barca e si è fatta trasportare dalla corrente fin davanti a una casetta nel bosco, dove ha convinto Biancaneve a mangiare una mela avvelenata. Lei non è morta ma si è addormentata e per svegliarla c'è stato bisogno che un principe la baciasse. Che schifo!» «Non è da persone intelligenti fare affidamento su un principe per migliorare la propria esistenza, giusto?» «Giusto. Ma questo significa anche che chi ha la mela è piuttosto potente.» Michelle decise di cambiare argomento. «Hai mai sentito parlare di una stanza segreta nell'edificio principale, Viggie?» La ragazzina si voltò. «Una stanza segreta?» «Sì. Siamo entrati in un'altra vecchia casa, da queste parti, e abbiamo trovato alcuni bambini che giocavano dentro una stanza segreta. Uno di loro ci ha detto che molte vecchie ville della zona hanno queste stanze segrete.» «A Babbage Town non ne ho mai sentito parlare.» «Okay.» Michelle fece passare qualche istante. «A proposito di roba segreta, mi puoi insegnare qualche linguaggio cifrato?» «Ce ne sono di diversi tipi. Anche tu puoi crearne uno.» «E tu e Monk ne creavate?» «Oh, sì. Tante volte.» «Immagino che non volesse fare sapere i suoi segreti a certa gente. Ricordi per caso a chi non voleva farli sapere?» «A nessuno voleva farli sapere.» E Viggie le fece un sorrisetto furbo. «Te compresa.» Michelle si rese conto in quel momento che Viggie aveva perfettamente capito le sue intenzioni e si stava divertendo alle sue spalle. Decise allora di adottare una tattica più diretta, anche se comportava qualche rischio: ma non aveva una gran scelta, in quel momento. «Viggie, stiamo cercando di scoprire chi ti ha portato via Monk, lo capisci? È solo per questo che siamo venuti qui.»
La ragazzina udendo quelle parole incurvò le spalle e Michelle, non sapendo come interpretare quella reazione, tirò dritta senza fermarsi. «Se aveva paura di qualcuno o nascondeva i suoi segreti a qualcuno, ci sarebbe molto utile scoprire chi era questo qualcuno. Noi vogliamo soltanto dare il nostro aiuto.» «Quelli che dicono di volere aiutare hanno sempre altri motivi.» «Non noi, Viggie. Credimi.» Lei si girò a guardarla. «Ti pagano per aiutare?» Michelle, anche se presa in contropiede da quella domanda, capì che mentire alla ragazzina sarebbe stato un errore. «Aiutare gli altri è il mio lavoro, è così che mi guadagno da vivere.» «Quindi ti pagano, per questo passi il tuo tempo con me. Altrimenti non ti faresti nemmeno vedere, scommetto, e te la faresti con i tuoi veri amici.» «Non ho molti veri amici, Viggie. Direi anzi che, a parte Sean, non ne ho nessuno.» «Scommetto che non è vero.» «Che cosa ti fa pensare che tutti, a parte te, abbiano un sacco di amici? A Babbage Town, alla scuola, ci sono altri bambini.» «Ma non piaccio a nessuno di loro, dicono che sono strana.» «Ognuno è strano, a modo suo. Se salissi una volta sul mio fuoristrada capiresti che cosa intendo dire, è una specie di discarica piena di tante cose inutili delle quali non riesco a sbarazzarmi, per quanti sforzi faccia.» Viggie la fissò. «È per questo allora che hanno fatto venire il signor Barnes, perché sono strana.» Michelle inghiottì a vuoto. «Il signor Barnes sta anche aiutando me a superare certi problemi che avevo... dai tempi in cui ero una bambina.» «Ah sì?» Michelle annuì. «Me lo giuri? Non te lo stai inventando?» «Te lo giuro. Poveretto, mi faceva domande cercando di farmi stare meglio e io invece mi alzavo e me ne andavo lasciandolo lì.» Viggie abbassò la voce. «L'ho fatto anche io. Tu perché te ne sei andata?» Lei esitò, non perché non sapesse che cosa rispondere ma perché non aveva il coraggio di dirlo. «Perché ero spaventata.» «Spaventata da che cosa?» Viggie la guardò quasi senza fiato. «Spaventata dall'idea che lui stesse avvicinandosi troppo alla verità. Temevo di non farcela.» Viggie riprese la pagaia. «Anche io» disse con un filo di voce. «Non ricordo proprio che cosa mi era successo da bambina e per questo
lui vuole ipnotizzarmi. Per aiutarmi a ricordare.» «Tu ti farai ipnotizzare?» «Non lo so. Tu che faresti?» «Vuoi la mia opinione?» «Certo, tu sei molto intelligente. Allora, accetto o no? Voglio dire, probabilmente potrei ugualmente andare avanti senza mai sapere di che cosa si trattava. A volte la verità non è poi così importante.» «Credo che dovresti lasciare che ti ipnotizzi.» Viggie sembrava decisa. «Davvero? Perché?» «Sempre meglio saperlo, no?» Michelle le rispose dopo qualche esitazione. «Hai ragione, meglio saperlo.» «Possiamo tornarcene, ora?» La ragazzina infilò in acqua la pagaia. «Certo. Spero che ti sia divertita.» Viggie fece segno di sì con il capo ma rimase in silenzio. Mentre invertivano la direzione del kayak un uomo spuntò zoppicando dal bosco di Camp Peary. Poi Ian Whitfield abbassò il binocolo, senza staccare lo sguardo dalla piccola imbarcazione con a bordo quelle due persone, era stato uno dei suoi a segnalargli la loro presenza. Staccò dalla cintura un cellulare, compose un numero e disse qualcosa con un'espressione particolarmente cupa. Pochi minuti dopo fu raggiunto dal suo aiutante, Mister Addominali. «Ex Servizio segreto? Sia lei che King?» gli chiese Whitfield. «Esattamente. Si chiama Michelle Maxwell, quelli di Babbage Town l'hanno fatta venire per indagare sulle morti di Turing e Rivest.» «Nel kayak c'era la figlia di Turing.» «Che cosa vuole che faccia, signore?» Whitfield non rispose a quella domanda e rimase a guardare il fiume attraverso la recinzione metallica. Alla fine si rivolse a Mister Addominali. «Questo a volte è un lavoro maledettamente ingrato, figliolo.» Quindi fece dietrofront e si inoltrò zoppicando nel bosco. Michelle e Viggie riportarono il kayak, le pagaie e i giubbotti nella rimessa delle barche e tornarono a piedi a Babbage Town. Lungo la strada Viggie prese la mano di Michelle e gliela strinse. «Spero che il signor Barnes possa aiutarti a ricordare quella roba» le disse. «Grazie, Viggie. Mi fa piacere che tu mi stia aiutando a decidere.» Una volta al cottage la ragazzina corse subito al pianoforte e si mise a
suonare; poi, terminato il pezzo, sollevò lo sguardo su Michelle. «Mi piaci, Michelle.» «Anche tu mi piaci, Viggie.» La piccola allora saltò giù dallo sgabello e salì di corsa le scale. Arrivata al pianerottolo si voltò. «Codici e sangue» gridò, poi corse nella sua stanza lasciando Michelle decisamente sbalordita. 56 Dopo la cena con Valerie, Sean noleggiò un'auto a Williamsburg e tornò a Babbage Town. Superato il ponte sul fiume York stava attraversando Gloucester Point quando l'auto che lo aveva seguito tutta la sera lo affiancò, mandandolo quasi fuori strada e costringendolo a fermarsi. Poi, prima che potesse fare qualcosa, si trovò un uomo accanto al finestrino. «Scendi» gridò, sventolandogli sotto il naso un tesserino. Mike Ventris, agente speciale FBI, non stava esattamente sprizzando simpatia da tutti i pori. «Posso sapere per quale motivo?» gli chiese educatamente Sean. «Chiudi il becco ed entra nella mia auto! Subito!» Sean entrò con lui nell'auto con i contrassegni federali, sedendosi accanto a Ventris che si era sistemato al posto di guida. Quando gli sportelli furono rumorosamente richiusi, l'agente si voltò infuriato verso di lui. «Che cosa credi di fare, pezzo d'idiota?» «Io veramente me ne stavo tornando a Babbage Town» gli rispose calmissimo Sean «quando mi hai quasi buttato fuori strada. Hai bisogno di un corso supplementare di scuola guida all'FBI oppure lo fai perché ti diverti?» «Dacci un taglio a queste stronzate da furbastro. Come prima cosa sei andato da Ian Whitfield.» «Veramente è stato lui a convocare me e lo sceriffo Hayes.» «Dopodiché hai dato appuntamento a sua moglie in un bar.» «No, ci siamo incontrati per caso.» «E hai appena cenato con lei.» «Non è un reato, che io sappia.» «Che tipo di rapporto hai esattamente con Valerie Messaline?» «Abbiamo scoperto una passione in comune per il mojito.» Ventris gli puntò un dito contro il torace. «Continua così e ti ritrovi con il culo in cella.»
«Con quale accusa, prego?» «Posso metterti al fresco per quarantott'ore senza farti domande e trovare nel frattempo un convincente capo d'accusa.» «Sono qui per lavoro, come te; sto cercando di scoprire chi ha ucciso Monk Turing e Len Rivest. Ricordi quella piccola gara di cui ti ho parlato?» «E io ti avevo detto di toglierti dai piedi.» «Non sapevo che i tuoi piedi si chiamassero Valerie Messaline.» «Lei non ha niente a che fare con questa storia, e nemmeno Ian Whitfield, che deve occuparsi di faccende più importanti di un investigatore privato stronzo che ficca il naso dove non dovrebbe.» Sean lo guardò incredulo. «Da quando l'FBI è il cagnolino della CIA?» «Tornatene a casa, lo dico per il tuo bene. Ci sono in ballo faccende ben più serie di un paio di omicidi.» «Ti spiacerebbe spiegarti?» «Scendi dalla mia auto. E se dovessimo rivederci non ti divertirai, credimi.» Sean scese, poi bussò al finestrino del guidatore. «A proposito, ci sono novità sulla "fuga di gas" all'obitorio?» Ventris partì a razzo, passando quasi sul piede di Sean con una ruota. E Sean, nonostante l'atteggiamento spavaldo tenuto con l'agente speciale FBI, non sorrideva quando si rimise al volante. Più si inoltrava in quell'indagine e meno ci capiva. Tornando verso Babbage Town sapeva comunque quale sarebbe stata la sua prossima mossa. «Non starai parlando seriamente» disse Horatio. Lui, Sean e Michelle si trovavano accanto al fuoristrada di quest'ultima e alla Harley-Davidson dello psicologo, parcheggiati su una strada in terra battuta a circa un chilometro e mezzo da Babbage Town. «Monk Turing ha scavalcato la recinzione di Camp Peary, e guarda quello che gli è successo» proseguì Horatio. «Credimi, non ho nessuna voglia di scavalcare quella recinzione ma le alternative cominciano a scarseggiare» gli obiettò Sean tranquillo. Michelle si appoggiò al fuoristrada e studiò per qualche istante il socio. «Quando pensi che dovremo attivarci?» Horatio la guardò sbalordito. «Hai in mente di andare con questo svitato?» Sean la guardò. «Vado da solo.»
«Non se ne parla nemmeno. Se ci vai tu ci vado anche io.» «Se ci prendono siamo nella merda. Ma sul serio, fino al collo e oltre.» «Non sei mai noioso, te lo devo concedere.» «Scusate un po' voi due, ma lo sentite quello che state dicendo?» intervenne Horatio. «C'è in ballo la CIA, santo Iddio. Potreste finire sulla sedia elettrica per alto tradimento.» Sean rispose all'ultima domanda di Michelle. «Andremo sabato, se prima non ci sarà qualche sorpresa nelle indagini.» «Cioè quando dovrebbe atterrare il prossimo aereo?» «Sì. Non so se hai notato sulla cartina nell'ufficio di South Freeman, ma...» «Certo, la pista è dall'altra parte rispetto al filare di alberi dove hanno scoperto il corpo di Monk. Quindi andiamo a vedere da vicino quell'aereo?» «Sarà quanto meno interessante scoprire chi o che cosa trasporta.» «Mi stai facendo venire una bella strizza, Sean» gli disse Horatio. «Sai bene che non posso permettervi di fare una pazzia del genere.» «Se non vuoi che scavalchiamo quella recinzione dicci tu come arrivare alla verità. A te sta a cuore la verità, no? Hai lavorato con Michelle e con Viggie proprio per questo, per scoprirla.» «È diverso.» «Per me non lo è affatto. Tre uomini sono stati uccisi e l'istinto mi dice che all'origine e al centro di tutto c'è Camp Peary, senza dimenticare che proprio da Camp Peary qualcuno mi ha sparato contro. Non posso fare come se niente fosse.» «Allora rivolgiti alle autorità.» «Allo sceriffo Hayes verrebbe un infarto se sapesse quello che abbiamo in mente, Ventris invece mi sparerebbe dicendo poi che il colpo gli è partito accidentalmente. Ho raccontato ad Hayes la mia cena con Valerie e il successivo incontro con Ventris ma non una parola di più, a te sto spiegando il mio piano perché di te mi fido. E non farei mai nulla per fotterti.» «Ma di che stai parlando?» gli chiese Horatio, nervoso. «Se la polizia ci becca, cercherà di metter dentro anche tutti quelli che hanno l'aria di essere coinvolti in questa faccenda. Cioè te. Hai la possibilità di tornartene a casa, subito: io e Michelle giureremo che non sapevi assolutamente niente.» «Devo ammettere che molti criminali con i quali ho lavorato non si sono dimostrati altrettanto carini con me.»
«E se risolviamo questo caso e ce ne torniamo a casa, potrai riprendere a vedere Michelle. Se lei lo vorrà, ovviamente» si affrettò ad aggiungere. Michelle rimase in silenzio. «E se invece decidessi di rimanere?» gli chiese Horatio. «Non c'è problema, se non ci beccano. In caso contrario, i poliziotti si metterebbero ad annusare alla ricerca di complici. E non posso assicurarti che non ti prenderanno di mira.» «Se vi beccheranno posso dare una mano per dimostrare la vostra incapacità d'intendere e di volere.» Sean sorrise. «È bello avere tante scelte.» «Ma tu rischi la vita, Sean.» «E allora? Da quando ho raggiunto la maggiore età ho passato quasi tutta la vita a rischiarla.» «Dopo un po' diventa quasi istintivo, vero?» gli chiese Michelle. Horatio li vide scambiarsi uno sguardo d'intesa tipico di due persone che mettono in gioco la vita con una certa regolarità. «Viggie sa qualcosa. Codici e sangue, se riusciremo a scoprire che cosa significa potremmo fare qualche passo avanti senza che voi due andiate a scavalcare quella maledetta recinzione.» «Un bravo investigatore segue diverse piste sapendo che molte di loro non daranno risultati, è un semplice calcolo delle probabilità. Ma in questo momento a me sta a cuore quella proprietà dall'altra parte del fiume.» «Nel frattempo, io potrei lavorarmi Champ» propose Michelle. «E io posso parlare anche con Alicia.» «Che tempo è previsto sabato sera?» chiese Michelle. «Freddo, con cielo coperto.» «Abbiamo tempo per prepararci, comunque. Ci serviranno certe cose.» «Le ho già chieste.» «Joan non ha fatto obiezioni, quindi?» «Non mi sono rivolto a lei perché non mi fido di lei, in questa circostanza.» «Non voglio sentire altro» disse Horatio, fingendo di coprirsi le orecchie. «Mi avete già fatto diventare una specie di complice.» «Non preoccuparti, ti ho già detto che se ci prenderanno non ti tireremo in mezzo.» Sorrise. «A meno di non scoprire che ci conviene darti in pasto agli sbirri.» «Non capisco che cosa ho mai fatto per meritarmi amici come te.» Sean tornò serio. «Ascolta, Horatio, dobbiamo darci da fare con Viggie.
Hai ragione, quella storia dei codici e del sangue deve avere un preciso significato.» «Posso organizzare un'altra seduta con la ragazzina.» Intervenne Michelle. «Sono diventata sua amica, lasciate che ci provi io.» Horatio la guardò. «Ti ha detto che le piaci?» «Sì. E ha detto anche che non le piaci tu.» «Prendo atto della soddisfazione che hai provato nel comunicarmi questo sentimento di Viggie» osservò impassibile lo psicologo. «Un'altra cosa che mi lascia perplesso» proseguì Sean «è che, se ho ragione e Rivest è stato ucciso, nessuno è stato visto uscire dal suo cottage, che però si trova in una posizione centrale. Qualcuno avrebbe dovuto vedere qualcosa.» «Sei sicuro che il tuo amico sceriffo stia facendo le domande giuste alla gente giusta?» «Finora l'ho dato per scontato, ma forse non avrei dovuto. Forse, voglio dire, dovremmo metterci noi a fare qualche domanda in giro.» «Allora, io che cosa faccio mentre voi due vi preparate a farvi massacrare?» «Questo significa che...?» «Significa che non me ne vado di qui, certo, e forse sono matto come voi. L'aspetto positivo della faccenda è che, se ci beccheranno tutti e tre, avrò un sacco di tempo a disposizione per prestare i miei servizi professionali dentro quella gabbia di matti. Allora, datemi qualcosa da fare prima che ritrovi la lucidità, salti in sella alla mia Harley e metta la maggiore distanza possibile tra me e voi due psicopatici.» «Puoi andare ad Arch, Virginia, a parlare con un certo South Freeman che dirige il giornale locale ed è un esperto di storia del posto. Digli che ti mandiamo noi e impara da lui tutto ciò che puoi su quella zona.» La riunione si sciolse e Horatio si avvicinò a Michelle. «Hai pensato, poi, a quell'idea dell'ipnosi?» le sussurrò. «Facciamo così, se ne usciamo vivi mi lascio ipnotizzare.» «Il solo fatto che ci stiate pensando seriamente significa che siete entrambi da ricovero in manicomio. Lo sai questo, vero?» «Augurami buona fortuna, Horatio.» «Buona fortuna» borbottò controvoglia, mentre lei richiudeva lo sportello del fuoristrada.
57 La mattina seguente, di buon'ora, Michelle andò a fare una passeggiata con Viggie e la portò in riva al fiume. Una volta arrivate, sedettero sul moiette della rimessa con i piedi immersi nell'acqua. Michelle provò diverse volte a indirizzare la conversazione sull'argomento codici e sangue, ma la ragazzina riuscì ogni volta a sviare abilmente le domande. «Possiamo uscire di nuovo con il kayak?» chiese a Michelle a un certo punto. «Certo. Ti va di andare subito?» «No, chiedevo solo.» Puntò il dito contro la sponda opposta. «Non mi piace quel posto.» «Camp Peary? Come mai? Forse per quello che è successo a Monk?» «Non solo per quello» rispose lei quasi distrattamente. «E allora perché?» «Monk se ne andava spesso» rispose lei cambiando argomento. «Mi ha lasciata sola a lungo.» «Quando? Vuoi dire, quando è andato all'estero?» Viggie annuì e lei si chiese come avesse potuto non pensarci prima a farle quella domanda. «Lo sai perché era andato all'estero? Perché ha visitato certi Paesi?» «Quando è tornato ha parlato a lungo di Alan Turing. Non era la prima volta che andava in quel Paese e Alan Turing gli piaceva un sacco, anche se era morto.» «Quando ci è andato per la prima volta?» «Prima che venissimo a stare qui, quando abitavamo da un'altra parte.» «Dov'è che abitavate?» «A New York, ma non mi piaceva. Abitavamo in un palazzo dove erano tutti vecchi, non me ne piaceva nessuno perché avevano uno strano odore. Nessuno a parte uno, un vecchio, lui mi piaceva e piaceva anche a Monk, parlavano molto. Ma quello parlava in modo strano, era difficile capirlo.» «Ricordi di che cosa parlavano?» Michelle non credeva che la cosa avesse particolare importanza, ma voleva tenere impegnata Viggie. «No, parlavano di storie vecchie, di tanto tempo fa.» «Capisco.» «Quando parlavano io mi mettevo a pestare i tasti del pianoforte.» «Ma non hai detto che quel vecchio ti piaceva?» «Certo che mi piaceva, ma parlavano di roba vecchia ed era difficile ca-
pire quello che diceva.» «È proprio questo che piace a volte alle persone anziane, parlare del loro passato. Ed evidentemente Monk trovava quella conversazione interessante.» «Il vecchio sapeva un sacco di cose su matematica e scienza. Mostrò a Monk delle vecchie mappe e un giorno lo vidi che scriveva tutte quelle lettere su un pezzo di carta, per poi chiedere a mio padre se riusciva a capirle.» «Una specie di codice?» «Credo.» «Lettere, dicevi. Ma Monk non si occupava solo di numeri?» «Lui diceva che la storia è piena di numeri, numeri importanti. Alan Turing tanto tempo fa usò i numeri per aiutare a finire una grande guerra, Monk me ne parlava. Ma usavano anche le lettere dell'alfabeto.» «Di questo parlavano allora lui e quel vecchio? Di Alan Turing e di quello che fece durante la Seconda guerra mondiale?» «A volte.» Michelle, impaziente di natura, faceva fatica a non mettersi a gridare "Dacci un taglio a queste stronzate e dimmi la verità, piccola furfante!". Ma si trattenne. «Di che cosa parlavano, di solito?» le chiese calma. Viggie si alzò. «Facciamo una corsa e vediamo chi arriva prima a casa.» Scattò, ma a Michelle bastarono cinque passi per raggiungerla: poi però si lasciò staccare, come se fosse stanca. «Facciamo così, Viggie» le disse allora, fingendo di essere rimasta senza fiato. «Se arrivo a casa prima io dovrai dirmi tutto sui codici e il sangue. Se invece vinci tu ti prometto di non farti più domande su queste cose. D'accordo?» «D'accordo.» E Viggie ingranò una marcia superiore e corse verso il cottage di Alicia, lasciandosi Michelle alle spalle. Uscita dall'ultima curva vide in lontananza il cottage, allora strillò di gioia e aumentò la velocità. Ma a tre metri dalla scalinata non riuscì a credere ai propri occhi quando vide Michelle, rimasta indietro di proposito, sfrecciarle accanto, salire le scale e sedersi sull'ultimo gradino. Viggie si fermò, guardandola sbalordita. «Mi hai imbrogliato.» «E come avrei fatto a imbrogliarti? Tu hai corso, io ho corso. Io ho vinto. E ora paga.» «Mi piaci, Michelle.» «Okay, Viggie.» Michelle sembrava un po' diffidente. «Allora, il nostro
accordo?» Viggie la superò di corsa ed entrò in casa. Michelle la seguì, ma quando la raggiunse la ragazzina si era già seduta al piano e aveva attaccato a suonare quasi freneticamente, picchiando sui tasti con la punta delle dita. Il tempo era così veloce che Michelle non riusciva nemmeno a stare dietro alla musica. «Viggie, ti prego, smettila. Basta! VIGGIE!» Lei smise, saltò giù dallo sgabello e salì di corsa le scale. Poi si fermò, si voltò verso Michelle e gridò: «Codici e sangue!», quindi riprese a salire. Un attimo dopo si udì sbattere la porta della sua stanza. Passarono alcuni secondi e Alicia Chadwick, ancora mezzo svestita, si precipitò giù dalle scale. «Mio Dio, ma che sta succedendo?» Michelle si tolse le mani dalle orecchie. «E chi lo sa... Ha cominciato a fare la matta mentre suonava il piano.» «Non lo fa, di solito, a meno che qualcuno o qualcosa non la indispettiscano» disse Alicia in tono d'accusa. «Stavolta invece ha fatto tutto da sola.» Michelle dette un colpetto sulla spalla ad Alicia. «Ti ripasso la palla, ho bisogno di una pausa.» Andò a passo veloce alla porta e se la sbatté dietro le spalle. Poco dopo riferì a Sean che per il momento Viggie andava considerata un vicolo cieco. «E questo rende ancora più necessario che noi entriamo a Camp Peary» commentò lui. «Domani arriverà il materiale che ho ordinato.» «Bene. Ci vediamo più tardi.» «Dove stai andando?» «Su Viggie ho messo una pietra sopra e quindi voglio vedere se mi andrà meglio con Champ. Ma prima devo andare a mettermi addosso qualcosa di adatto, tu capisci vero?» «Cara Michelle, il tuo impegno nella scoperta della verità mi colpisce veramente.» «Rimarrai ancora più colpito quando ti caccerò un piede in bocca.» «Mentre tu seduci il cervello migliore che ci sia al mondo, io passo al setaccio Babbage Town, magari qualcuno ha visto qualcosa dalle parti di Len Rivest la notte in cui è stato ucciso. E poi mi metto a cercare quella stanza segreta.» «Ti ho detto che ci ho già provato io.» «Quattro occhi vedono meglio di due.»
Due ore dopo, al termine delle sue ricerche a Babbage Town, Sean non trovò nessuno che avesse notato qualcosa di sospetto o qualcuno che in quel momento non si sarebbe dovuto trovare dalle parti di casa Rivest. Sempre più perplesso, andò a mangiare un boccone nella sala mensa dell'edificio principale. Vide Viggie che mangiava con altri bambini e Alicia seduta tutta sola all'altra estremità della sala mentre i camerieri si davano da fare per servire tutti quei geni affamati. Andò a sedersi al tavolo di Alicia e ordinò da mangiare. «Hai fattorizzato qualche numero interessante, ultimamente?» le chiese poi. «Mi fa piacere vedere che ti diverti con poco. Dov'è la tua fedele spalla, che stamattina ha messo in crisi Viggie? Non era esattamente questo che avevo in mente quando vi ho ingaggiato.» Lui le si fece vicino. «Vedi, Alicia, il fatto è che non ci hai ingaggiato. Noi lavoriamo per un'agenzia incaricata dai proprietari di Babbage Town, chiunque diavolo siano, di scoprire chi ha ucciso Monk Turing.» «Compito, questo, in cui finora hai fallito miseramente.» «Chi uccide qualcuno di solito fa di tutto per non farsi scoprire.» «Molto rassicurante.» «Mi sembra di aver capito che la seduta di Horatio con Viggie è andata bene.» «Sì, se per andare bene si intende Viggie che a metà seduta si alza e se ne va.» «Che cosa sai di codici e sangue? È quello che aveva detto Viggie, no?» Alicia toccò nervosamente la sua tazza di tè. «Non l'avevo mai sentita usare quelle parole, e il modo in cui le ha dette mi ha spaventato davvero.» «Non hai idea di che cosa avesse voluto dire?» «No, e l'ho detto anche a Barnes.» «Andiamo, Alicia. Tu hai una mente analitica: usala.» Lei trasse un profondo sospiro. «Ce ne sono tanti, di codici. Monk ha forse insegnato a Viggie come crearne uno? Forse. Comunicavano tra loro mediante un codice? Forse. Come si fa a decifrare un codice se non si sa nemmeno che codice sia? Trovami un campione di codice e forse potrò aiutarti.» «E il termine "sangue"?» «Monk è morto in una maniera abbastanza sanguinosa.» «Giusto, ma ritengo che non fosse ancora morto quando ne ha parlato con la figlia.» «Viggie è una ragazzina particolarmente instabile ed emotiva, portata a
rapidi cambiamenti di umore e all'esagerazione. E non credo sia saggio da parte tua, se vuoi risolvere questo caso, puntare su qualcosa che lei ha detto.» «Se ti viene in mente qualcos'altro sono qui ad ascoltarti.» «Ho anche il mio lavoro da fare, non so se te lo ricordi.» «Lo sa Champ chi possiede Babbage Town?» «Lo ignoro. Posso dirti soltanto che una volta al mese si assenta per qualche giorno, forse proprio per vedersi con i proprietari.» «Interessante. E si allontana in auto o in aereo?» «Pilota il suo aereo personale.» «Davvero? E dove lo tiene questo aereo?» «In un terminal privato a meno di dieci chilometri da qui. Io ho volato con lui, una volta.» «Niente male potersi permettere un aereo.» «Non so se sia proprio suo.» Sean rimase in silenzio. Poi, al passaggio di una cameriera in uniforme con un vassoio pieno di pietanze, d'improvviso capì: fino a quel momento aveva fatto la domanda sbagliata, maledizione. Allora si alzò e si precipitò fuori, seguito dallo sguardo di Alicia. 58 Per l'occasione Michelle scelse un paio di jeans neri aderenti, sandali aperti sul davanti e una comoda camicetta bianca con i primi due bottoni aperti. Non aveva una minigonna e di tacchi alti nemmeno a parlarne. Trovò nel suo ufficio Champ, che cadde quasi dalla poltroncina quando se la vide entrare senza alcun preavviso. Poi, su richiesta di lei, le fece fare un giro all'interno della Capanna 2 e Michelle fece commenti positivi sull'"importante" lavoro di lui. Mentre Champ le stava mostrando il modellino della macchina di Turing, lei si sporse per vedere meglio e gli mise una mano sulla schiena, apparentemente per mantenere l'equilibrio. E le sembrò di sentire l'elettricità che stava in quel momento attraversando quel poveretto. Rifletté allora mestamente sull'incredibile banalità, oltre che stupidità, degli uomini. Anche dei geni. Pranzarono in una saletta privata, all'interno della residenza, che sembrava riservata per il capo di Babbage Town. «Un gran bel lavoro, quello che fate qui dentro» commentò Michelle. «Lei come è finito a dirigere Babbage Town?»
«Dubito che lo troverebbe interessante» le rispose lui, fissandola. «Se non m'interessasse non glielo avrei chiesto.» «In questo campo ho svolto, prima a Stanford e successivamente al MIT, un lavoro per così dire pionieristico, che mi ha fruttato un certo numero di brevetti. La mia tesi di dottorato sulla meccanica quantistica, poi, è stata considerata particolarmente innovativa. Per questo, credo, mi è stata affidata la direzione di Babbage Town.» «Sean mi ha detto che il nome dei proprietari di qui è coperto dal segreto più assoluto.» «Più che assoluto. Loro lo pagano molto bene, questo riserbo.» «La generosità è un ottimo sistema per assicurarsi la fedeltà di qualcuno.» «Sono stati più che generosi, mi hanno perfino dato un aereo privato.» «Davvero? Io non so pilotare ma di aerei ne ho presi tanti. Mi piace da matti, volare.» «Potrei portarla a fare un giro, uno di questi giorni. Dall'alto c'è una splendida vista.» «Certo che mi piacerebbe. Purché si stia attenti a non invadere lo spazio aereo di Camp Peary, immagino.» «Non si preoccupi, i relativi parametri sono programmati nel computer di bordo.» Fece una pausa. «Ho l'impressione che lei mi stia mostrando un'enorme attenzione.» «Lei è una persona interessante.» «Oltre che un potenziale indiziato.» «Mi sembra di avere capito che ha un alibi per l'ora in cui è morto Len Rivest.» «Sì, stavo lavorando.» «Come sta andando il vostro lavoro?» «Con un po' di fortuna all'inizio del prossimo anno dovremmo poter contare su un prototipo rudimentale.» «E allora il mondo come lo conosciamo finirà, come mi sembra che qualcuno abbia detto a Sean.» «Non direi. No, quel computer sarà in grado di fare solamente dei calcoli di base. Dovranno passare diversi anni prima di riuscire a stupire veramente il mondo intero.» «Lunga, come attesa.» «Nel mondo della fisica viene invece considerata breve.» Vuotò il bicchiere di vino. «Allora, come vanno le cose con Viggie?»
«È una brava ragazzina, mi piace e mi fa tenerezza. Non è una situazione piacevole, la sua.» «Monk non era un tipo facile da interpretare. Era estremamente riservato, sembrava un gentiluomo inglese.» «A proposito di inglesi, ho sentito dire che di recente era stato in Inghilterra.» «È vero, mi disse che doveva partire per questioni di famiglia.» «Al ritorno le raccontò qualcosa? Voglio dire, su altri Paesi che potrebbe aver visitato?» «No, ma immagino che dal passaporto non le dovrebbe essere difficile risalire ai Paesi dove è stato.» Champ fece schioccare le dita. «Aspetti un attimo, come ho fatto a non ricordarmelo prima? Mi portò un regalo, e fu una mossa intelligente perché la sua partenza in quel momento non era stata molto gradita.» «Un regalo? Da dove, dall'Inghilterra?» «No, un boccale da birra comprato in Germania.» «In Germania? Ne è sicuro?» «Ce l'ho a casa mia, se le interessa vederlo.» Il cottage di Champ non era disordinato come il suo ufficio, ma non era nemmeno all'altezza degli standard di Sean BCing in materia di ordine. E lei si scoprì a dare allo scienziato un sacco di punti per quella confusione. La fece entrare in uno studio dalle pareti interamente occupate da libri, e da una mensola prese un grosso boccale azzurro dalle elaborate decorazioni e glielo porse. «Eccolo qui. Piuttosto bello, anche se la birra non mi fa impazzire.» Michelle esaminò il boccale da vicino. Aveva un coperchio di peltro incernierato e sulla superficie erano state dipinte in rilievo vedute delle principali città tedesche. Lo capovolse e guardò il fondo. «Qui non c'è scritto da dove viene, ma soltanto che è made in Germany.» «Potrebbe quindi provenire da qualsiasi città.» «Posso tenermelo per un po'?» «Ma certo, se questo può farla avvicinare alla verità. Vorrei proprio poterla aiutare.» «C'è qualcosa che può fare, effettivamente.» Lui la guardò, speranzoso. «Può autorizzare Horatio Barnes a risiedere temporaneamente a Babbage Town.» Champ sembrò preso alla sprovvista e lei ne approfittò immediatamente. «Soltanto una stanza e il vitto, per me avrebbe una grande importanza.»
«Be', non mi sembra ci siano particolari controindicazioni» disse lui lentamente. «Grazie davvero, Champ. A proposito, ho visto attaccato alla sua porta una tenuta da arti marziali. Quale pratica?» «Il Tae Kwon Do, sono cintura nera. E lei?» «Non è il mio genere di cose» mentì. Uscirono al sole. «Se il tempo si mantiene potrei passarla a prendere dopodomani mattina alle nove» le disse Champ. Poi si sistemò gli occhiali sul naso. «Uhm... E al ritorno potremmo fermarci in un bel ristorantino che conosco, ha un menu di tutto rispetto.» Michelle guardò quell'uomo alto e dinoccolato. Non gli sarebbe sicuramente mancata la forza per uccidere Rivest, che era per giunta ubriaco, tenendolo fermo sott'acqua con uno sturalavandini fino a farlo affogare. Sean, però, le aveva detto che Champ aveva un alibi per l'ora del delitto. Ma ce l'aveva davvero? 59 «Lei sembra essere l'esperto locale su Camp Peary» disse Horatio, seduto di fronte a Freeman nell'ufficio del giornalista. «Sì, ma di questi tempi nessuno ha voglia di ascoltare» confermò amaramente Freeman. «E che la CIA faccia pure quel cavolo che vuole, io tengo la testa abbassata prima che qualcuno me la faccia saltare a colpi di pistola.» «Be', moltissimi americani cercano la sicurezza a qualsiasi costo.» «Ah sì? Guardi, preferisco non seguirla su questa logica: le conclusioni non sarebbero piacevoli.» Horatio passò velocemente in rassegna ciò che aveva saputo da Sean dopo che lo stesso e Michelle erano stati a trovare Freeman. «Il mio amico si chiede ora se per caso lei non ricorda qualche altra storia su Camp Peary, qualcosa che sia magari a conoscenza di pochi.» «Quel tipo si sta interessando della morte di Monk Turing, giusto?» Horatio annuì. «Be', interessa anche a me. Se qualcosa che saprete da me vi aiuterà a risolvere il caso voglio l'esclusiva. L'esclusiva nel senso letterale della parola, capito? Il mio foglio deve tornare sul mercato come Dio comanda, poco ma sicuro.» «Non so se posso impegnarmi a nome di Sean.» Freeman s'inalberò immediatamente. «Allora può anche togliersi dai
piedi, non faccio favori in cambio di niente: è contro tutti i miei principi.» Horatio esitò un istante, ma uno solo. «Okay, allora la decisione la prendo io. Se risolviamo il caso grazie a qualcosa che abbiamo saputo da lei, la notizia l'avrà lei per primo. Posso metterglielo per iscritto, se vuole.» «Con quelle volpi di avvocati che ci sono in circolazione ciò che è scritto vale come il due a briscola.» South tese la mano a Horatio. «Mi piace guardare un uomo negli occhi e stringergli la mano. Se poi mi fottete, vengo a prendervi a calci in culo e ve la faccio pagare.» «Quante belle parole sa dire lei.» «Allora, che cos'è che vi interessa veramente?» «Perché non procediamo in ordine cronologico? Qualcosa sulla CIA e Camp Peary la so, ma prima com'era qui la situazione? Mi sembra di avere capito che la Marina vi addestrava i suoi reparti d'elite per la Seconda guerra mondiale, ma che altro succedeva?» «Un sacco di cose succedevano. Come ho detto ai suoi amici nella zona c'erano due paesi, Magruder e Bigler's Mill. Indovini da chi prese il suo nome Magruder? Da un generale dei Confederati, era una tendenza diffusa all'epoca.» Sbuffò. «I miei genitori, ovviamente, avevano altro in mente quando mi chiamarono South.» «South Freeman. Bella idea.» «Bigler's Mill nacque dove prima sorgeva un ospedale della Guerra civile. Il terreno era quindi bell'e pronto quando la Marina venne a bussare alla porta.» «Chissà perché i militari scelsero proprio questa zona.» «Oltre al fatto, vuol dire, che era abitata da gente di colore e quindi senza alcuna voce in capitolo? Allora, diciamo che la terra qui costava quattro soldi ed era vicina all'acqua, non dimentichiamo che stiamo parlando della Marina. La compagnia ferroviaria C&O, poi, posò un binario di raccordo fino a Williamsburg e costruì la stazione di Magruder.» «A che serviva quella tratta ferroviaria? A portare in zona armi e rifornimenti?» «Certo. Pochi si rendono conto che a quei tempi moltissimi reparti si spostavano da una parte all'altra degli Stati Uniti in treno. Ma c'era anche un'altra ragione per quella particolare tratta.» «Cioè?» «Quando il posto era in mano alla Marina fu costruito anche un carcere militare.» «Per rinchiudervi i soldati americani responsabili di qualche reato?»
«No, per rinchiudervi i prigionieri di guerra tedeschi.» «Tedeschi?» «Sì, marinai nella stragrande maggioranza. Si trattava di equipaggi di sommergibili e navi affondati al largo della East Coast e, naturalmente, quel pazzo di Hitler pensava che fossero morti. Questo spiega l'assoluta segretezza, il nostro governo non voleva si sapesse che quei tedeschi erano prigionieri qui.» «Perché? Che cosa c'era di tanto importante?» South gli puntò contro un dito, sorridendo. «Questa è la domanda da un milione di dollari, non le pare?» «Lei ovviamente ci ha ragionato su. Che idea si è fatto?» «Quella più scontata. Se fossimo riusciti a far parlare quei prigionieri e a farci rivelare qualche segreto, oppure se qualcuno di loro fosse stato in possesso della chiave per decifrare il codice Enigma, quello usato dalla Marina tedesca, Hitler e i suoi avrebbero fatto di tutto per ucciderli. E non è un mistero che all'epoca da noi abbondavano spie e assassini tedeschi. Sull'Atlantico il vento cambiò, per così dire, dopo che quei prigionieri di guerra furono portati a Camp Peary e scommetterei quindi che i nostri riuscirono a farli parlare del codice Enigma.» «Che ne fu di quei prigionieri dopo la fine della guerra?» «Immagino che alcuni di loro abbiano fatto ritorno in Germania; che senso avrebbe avuto tenerceli a guerra finita? Ma non credo che siano tornati tutti a casa, dove avrebbero trovato soltanto macerie e caos e dove, tra l'altro, tutti li davano per morti. Penso quindi che alcuni di loro siano rimasti in America.» South proseguì nel suo racconto mentre Horatio assorbiva le sue rivelazioni. La guerra terminò, la Marina tolse le tende e l'area fu trasformata in un'oasi di silvicoltura e riserva di caccia. Ma la Marina fece ritorno nel 1951 e isolò la zona, che da allora rimase chiusa al pubblico. «La CIA subentrò ai marinai nel giugno 1961, anche se Camp Peary rimaneva ufficialmente una base militare. Una strana coincidenza di date, a pensarci bene.» Horatio drizzò le antenne. Sean gli aveva parlato di quel giorno in cui lui e Len Rivest erano andati a pesca sul fiume York e, passando davanti a Camp Peary, aveva saputo da Rivest che Monk Turing aveva parlato di "stranezze". «In che senso, strana?» «Perché due mesi prima del giugno 1961 c'era stata la débâcle cubana
della CIA alla Baia dei Porci. La Marina annunciò ufficialmente che stava per mettere in piedi una nuova struttura che avrebbe sostituito la "Base Seamaster" e nella quale poi trasferirono parte di un loro centro di addestramento, in particolare il settore relativo alle demolizioni e all'armamento non convenzionale. Ma erano tutte stronzate, sono certo che nel giugno 1961 Camp Peary diventò la principale scuola di spionaggio della CIA. Il fiasco della Baia dei Porci li aveva messi in un grande imbarazzo, e non senza motivo, e quindi secondo me avevano bisogno di un posto dove insegnare al loro personale a fare la spia come Dio comanda. Subito dopo la Baia dei Porci, certo. Ma non è questa l'unica coincidenza strana.» «Che altro?» «Gliel'ho detto, mi pare, che al paese fu dato il nome di un generale dei Confederati. Bene, durante la guerra il generale "Prince John" Magruder fu uno dei più abili specialisti nell'arte dell'inganno. E ora il paese che porta il suo nome è abitato da gente che si guadagna da vivere mentendo.» «Capisco, è curioso effettivamente.» Ma Horatio non capiva affatto quale nesso vi fosse con quello che Monk aveva detto quel giorno a Rivest. «C'è dell'altro?» South Freeman si guardò intorno, anche se erano soli. «Avevo cominciato a raccontarlo ai suoi amici, ma cambiai idea. E invece è giusto che lo sappiano. C'è una parte di Camp Peary dove si svolge un'attività della quale nessuno ignora la natura, forse perfino alcuni di quelli che ci lavorano.» «E lei come fa a saperlo?» «Quella gente deve mangiare e farsi fare le pulizie di casa, no? Be', io conosco un sacco di cuochi e di personale delle pulizie. E, vecchia storia, la pelle di molti di loro ha lo stesso colore della mia. Che strano, vero?» «Okay, vada avanti» l'incoraggiò Horatio. «Allora, a Camp Peary c'è un settore nero ma stavolta non parlo di gente che mi assomiglia. Nero perché è là che si svolge la diplomazia segreta americana.» «Diplomazia segreta?» «Sì, non è una novità. Leader di altri Paesi, agenti, ribelli, dittatori, perfino terroristi, che in un certo periodo si schierano apparentemente dalla nostra parte, vengono trasportati a Camp Peary con aerei come quello che lei ha visto atterrare alle due di notte. Non devono passare dogana o altro, nessuno sa che sono arrivati e gli incontri non si sono ufficialmente mai svolti. Prima della nostra invasione dell'Iraq un certo numero di capi curdi furono portati alla Fattoria per studiare insieme a noi un sistema per rove-
sciare il vecchio Saddam dall'interno.» «E lei, South, sa tutte queste cose?» Horatio era decisamente colpito. Freeman sembrò essersi offeso. «Senta un po', io faccio il giornalista, non se lo dimentichi.» Horatio, visibilmente turbato, cambiò posizione sulla sedia. Freeman sorrise. «Roba da far paura.» «Roba da far paura» confermò Horatio. 60 «Non ho ancora avuto il tempo di cercare quella stanza segreta» disse Sean a Michelle. «Vogliamo riprovare insieme?» Pochi minuti dopo, nell'attesa che la sala centrale si svuotasse, cominciarono un giro delle varie stanze. Ne avevano controllate una decina circa e avevano appena terminato con la biblioteca, quando udirono una voce che li fece trasalire. «Questo non è il modo giusto.» A parlare alle loro spalle era stata Viggie, che se ne stava appollaiata su un divano appoggiato a una parte della sala centrale e li stava fissando con uno sguardo di superiorità. «Tu non dovresti essere a scuola?» le chiese Michelle. «Sono malata.» «Non sembri malata.» «Ho già fatto tutto quello che dovevo fare, compresi i compiti. E vi ho visti ficcanasare.» «Non stiamo ficcanasando» protestò Sean. «Sì, state cercando la stanza segreta, quella di cui mi avete già chiesto. Ma lo state facendo nella maniera sbagliata.» «E tu, invece, come faresti?» le chiese brusco Sean. Per tutta risposta Viggie mostrò loro diversi fogli coperti di numeri ed equazioni. «Ho già fatto i calcoli. Dopo le vostre domande ho passato diverso tempo a misurare ogni superficie esterna e interna del palazzo, raffrontandola con la reale configurazione fisica.» Sean era sbalordito. «Hai fatto una cosa del genere? Ma se hai soltanto undici anni.» Viggie ignorò quell'osservazione. «E ho fatto una scoperta interessante.» «Cioè?» le chiese Michelle. «Avanza una superficie quadrata di quasi due metri di lato.» E mostrò loro i suoi calcoli, troppo complicati perché Sean e Michelle potessero
controllarli. «Bene, signorina Einstein: dove si trova questa superficie?» «Terzo piano, corridoio ovest, accanto all'ultima stanza da letto sulla destra.» Sean ci pensò su. «Cioè accanto alla stanza dove dormivo io.» Viggie si portò le mani sui fianchi e gli lanciò un'occhiata severa. «E allora forse te ne saresti dovuto accorgere, signor Einstein.» Sean cominciò a salire le scale, subito seguito da Michelle e Viggie. Un minuto dopo tutti e tre fissavano una parete del terzo piano. «Tenete gli occhi aperti» disse Sean, indicando il corridoio. Poi cominciò a tastare il muro, alla ricerca di una fessura nel legno o un chiavistello nascosto come quello dell'altra casa. Dieci minuti dopo, però, si arrese. «Non riesco a trovare niente, vuoi provare tu?» chiese a Michelle. Passarono altri dieci minuti. «Niente» confermò lei. «Sei sicura che il posto sia proprio questo, Viggie?» le chiese Sean. «Sicurissima.» «Allora delle due l'una: o si tratta semplicemente di uno spazio inutilizzato e non esiste nessuna stanza segreta, oppure c'è un altro sistema per entrare.» Intervenne Michelle. «Hai detto che qui siamo accanto alla tua vecchia stanza: perché non tentiamo da lì dentro?» «Giusto!» Le fece entrare in camera e cominciò a tamburellare sulla parete. «Sembra vuota» disse. Poi tastò inutilmente il muro alla ricerca di un qualche tipo di leva, ma anche stavolta non trovò nulla. Allora si trasferirono nella stanza dall'altra parte della parete vuota, ma trovarono la porta sbarrata. «E ora che cosa facciamo?» chiese Michelle. «Non possiamo certo aprire un foro nella parete sperando che nessuno se ne accorga. E poi, anche se ci fosse una stanza segreta, potrebbe essere vuota come quell'altra che abbiamo scoperto.» «Ne abbiamo già parlato. Se Rivest aveva ragione e qui dentro ci sono spie, potrebbero servirsi di quella stanza per qualche motivo.» «Spie?» esclamò Viggie. «Questo tienilo per te.» «E che cosa farebbero le spie dentro quella stanza?» gli chiese Michelle. «Se lo sapessi non mi darei tanto da fare per trovarla.» «In ogni caso sembra proprio che non ci riusciamo, almeno per il momento.» Michelle si rivolse a Viggie. «Grazie per il tuo aiuto, io e Sean da
soli non ci saremmo mai arrivati.» La ragazzina le rivolse un sorriso radioso. 61 Dopo aver ringraziato e salutato Freeman, Horatio tornò al bed and breakfast e da lì controllò i messaggi arrivati sulla segreteria telefonica del suo studio. Ce n'erano diversi, uno dei quali particolarmente interessante. Chiamò subito quel numero. «Pronto?» «La signora Rose? Hazel Rose?» «Attenda, è nel letto accanto.» Horatio udì il rumore del ricevitore che passava di mano, poi gli giunse una voce profonda con marcato accento del Sud. «Pronto? Chi parla?» «Sono Horatio Barnes, signora Rose. Ho ricevuto il suo messaggio.» «Ah, è lei, signor Barnes? Volevo ringraziarla, mi stanno trasferendo in quell'altra struttura di cui mi aveva parlato. Non riesco ancora a crederci, c'è una biblioteca piena di libri e non delle solite riviste.» L'entusiasmo di Horatio svanì, la Rose purtroppo non lo aveva cercato perché si era ricordata qualcosa dell'infanzia di Michelle. «Bene, mi fa piacere averla potuta aiutare e sono sicuro che si troverà molto meglio. Grazie per la telefonata.» «Calma, non è solo per questo che l'avevo chiamata.» Lui drizzò immediatamente le orecchie. «Ah, no?» «Ho ricordato qualcos'altro. Non so se le potrà servire ma mi sembra comunque il caso di parlargliene.» «Adesso come adesso prendo tutto quello che capita, signora Rose.» La voce della vecchia si trasformò in un sussurro, probabilmente per non farsi sentire dalla vicina di letto. «Ricorderà che le dissi di Frank Maxwell che aveva frequentato un corso serale per laurearsi e poter lavorare nella polizia di una città più grande.» «Sì che me lo ricordo. Michelle si sarà sicuramente sentita sola, dopo che i fratelli se n'erano andati di casa lei la sera non aveva nemmeno la compagnia del padre.» «Secondo me Michelle non era l'unica, in quella casa, a sentirsi sola.» «Che cosa intende dire?» «Noi non ci siamo parlati, mi raccomando.»
«Glielo giuro. Mi dica, allora.» Hazel fece un profondo sospiro. «Più o meno nell'epoca di cui stiamo parlando avevo notato un'auto che almeno una volta la settimana era parcheggiata non lontano da casa Maxwell.» «Un'auto?» «All'inizio non ci feci molto caso, e la mattina quando mio marito usciva per andare al lavoro non c'era mai. Lo so perché mi alzavo a preparargli la colazione.» «Scoprì di chi fosse?» «No, ma una volta vidi quell'auto da un'altra parte. Davanti a un negozio Dairy Queen.» «Vide chi c'era al volante?» «Sì. Un tipo belloccio, in uniforme.» «Che tipo di uniforme?» «Esercito.» «C'era una base militare in zona?» «No, ma in città esisteva un centro di arruolamento.» «Dove, secondo lei, quel militare avrebbe potuto lavorare.» «Forse. Ma non ci ho più pensato, non erano fatti miei.» «Perché pensò che quell'auto fosse collegabile a casa Maxwell?» «All'epoca in quel punto della strada la mia e quella dei Maxwell erano le uniche due case. Le poche altre erano abitate da donne i cui mariti di notte se ne stavano a casa.» «Frank Maxwell invece no?» «Esattamente. E quando invece dormiva a casa, dell'auto non c'era traccia.» «Ne è certa?» «Assolutamente.» «E a lei è venuto in mente soltanto adesso?» le chiese, scettico. «Mi era venuto in mente quando lei venne a trovarmi, ma pensai che non fosse il caso di rimestare nel fango. A che pro?» «E che cosa le ha fatto poi cambiare idea?» «Più ci pensavo e più mi convincevo che la verità, qualunque essa sia, avrebbe aiutato Michelle. Era solo una bambina e non è colpa sua tutto ciò che allora le è successo.» «Che cosa è successo secondo lei, signora Rose?» «Questo non glielo dico, signor Barnes. Adesso tocca a lei, spero di averla aiutata. Ha portato i miei saluti a Michelle?»
«Sì, si ricorda benissimo di lei.» La voce di Hazel Rose s'incrinò leggermente. «Auguro ogni bene a quella ragazza.» Horatio la ringraziò, riattaccò e sprofondò nella poltrona. Quanto aveva appena udito dava un nuovo impulso a tutto ciò che a lui non piaceva affatto. 62 Poche ore dopo Horatio, saputo da Michelle dell'autorizzazione di Champ, si trasferì a Babbage Town in una stanza vuota dell'edificio principale. «Mi sorprende» le disse. «Anche i geni a volte cambiano idea.» «No, mi sorprende che tu gliel'abbia chiesto.» «E chi te lo dice che gliel'ho chiesto io?» «Lo strizzacervelli sono io o no? Lo so e basta.» Sistematosi nella nuova stanza, chiamò Sean e gli riferì quanto aveva saputo da South su Camp Peary e i prigionieri tedeschi che vi erano detenuti. Oltre alla conversazione telefonica con Hazel Rose. Sean rifletté a lungo su quest'ultima parte. «Tu che ne pensi?» «Che ne penso? Penso che la madre di Michelle aveva una storia con questo militare.» «Questo l'avevo capito anche io. Voglio dire, la faccenda può avere contribuito al cambiamento di personalità di Michelle?» «Non lo so con certezza» ammise Horatio. «Hazel ti ha detto quando quel militare ha smesso di farsi vedere sotto casa Maxwell?» «No, non gliel'ho chiesto.» I due amici si guardarono. «Pensi che Michelle abbia visto qualcosa, vero?» gli chiese Sean. L'altro annuì lentamente. «Che cosa?» «È soltanto un'ipotesi, ma... insomma, qualcosa di brutto. Tipo, la madre a letto con il militare. Ma ciò che penso davvero è ancora peggio. Il fratello Bill l'ha escluso, ma io comincio a credere che Michelle possa essere stata vittima delle attenzioni di quel tipo.» Sean sembrò scettico. «E sua madre l'avrebbe permesso? Ma andiamo!» «Non sarebbe una novità, credimi. Forse sua mamma non ne sapeva niente o non voleva saperlo, fin tanto che il militare continuava ad andare a
trovarla.» «E che conseguenze potrebbe avere avuto su una bambina di sei anni?» «Vedere la madre a letto con un uomo? A quell'età potrebbe avere realizzato soltanto che con mammina c'era un estraneo, e poi magari la mamma era riuscita velocemente a darle una spiegazione. Ma gli abusi sessuali? Potrebbero avere avuto un effetto devastante, specie se la madre era consenziente.» «Non posso crederci, Horatio. Michelle è a modo suo una donna di successo: lo sarebbe mai potuta diventare con quell'enorme peso addosso?» «A volte un passato di abusi sessuali rende la persona che li ha subiti terribilmente ambiziosa e determinata. Ma, se si gratta la patina del successo, si scorge un'immagine molto più cupa, quella di un netto squilibrio esistenziale. E a un certo punto questo squilibrio può fare precipitare irreparabilmente la situazione.» «Sembra proprio quello che sta succedendo a Michelle» osservò Sean. «Lo so.» Sean spostò lo sguardo fuori dalla finestra. «E se Michelle avesse visto la madre con uno sconosciuto, o se avesse subito la violenza di questo sconosciuto, e l'avesse poi raccontato a suo padre?» Horatio emise un lungo sospiro. «Allora è una faccenda seria. Hazel mi ha detto che il militare era scomparso da un giorno all'altro: e se fosse scomparso nel senso di morto?» «Aspetta un momento. Un militare! Il tipo con il quale si è picchiata al bar era vestito come un militare, quando l'ho visto io.» «Tutto comincia a quadrare, allora» disse lentamente Horatio. «In che senso?» «Ho parlato con gente che ha lavorato con lei, con amici, con atleti. E alcuni mi hanno parlato delle risse in cui si era cacciata.» «Lasciami indovinare: erano tutti militari?» «A quanto ho potuto verificare, sì.» «Horatio, dobbiamo scoprire se è successo qualcosa a quel militare notato da Hazel Rose.» «Non mi sembra una buona idea.» «Da quando in qua la verità non è una buona idea?» «Questa non è una delle tue indagini, Sean, qui stiamo parlando della testa di una persona. E a volte la verità può fare più male che bene.» «Continuo a pensare che dobbiamo almeno sapere come sono andate le cose, in modo che tu possa decidere le prossime mosse con Michelle. Mi
ha detto che vorresti ipnotizzarla, certe domande fatte durante l'ipnosi potrebbero farti fare scoperte sgradevoli. Meglio conoscere ciò che è accaduto prima di ipnotizzarla.» «Hai ragione. Ma come faccio a scoprire che fine ha fatto quel militare?» «Scommetto che South Freeman conosce qualcuno che conosce qualcuno in Tennessee e che potrebbe aiutarci.» «Gli darò un colpo di telefono.» Udirono bussare alla porta; era Michelle, che notò immediatamente le loro espressioni. «Avete l'aria di chi al tempo stesso sta organizzando un funerale e si sta preparando ad andare in guerra» disse. Sean si affrettò a risponderle. «Horatio mi stava aggiornando sulla sua conversazione con South Freeman. Sembra che quei voli segreti potrebbero avere avuto a bordo gente che ufficialmente non c'era mai salita. E a Camp Peary esiste una zona nera per la diplomazia segreta.» «Nera oltre che probabilmente fatale per Monk Turing, se è stato testimone di qualcosa» osservò Michelle. «E non è tutto» proseguì Sean. «Prima che nascesse Camp Peary la Marina aveva rinchiuso lì un certo numero di prigionieri di guerra tedeschi.» «Prigionieri di guerra tedeschi? Lo sapete che Champ mi ha fatto vedere un boccale di birra tedesco che gli ha portato Monk?» Sean si raddrizzò sulla sedia. «Monk Turing era stato in Germania?» «Non ne sono sicura al cento per cento, quel boccale Monk lo portò al ritorno da un viaggio all'estero compiuto mentre lavorava qui. Parlando con lo sceriffo Hayes posso cercare di scoprire se Monk andò effettivamente in Germania, magari è riuscito a convincere Ventris a mostrargli il passaporto di Turing.» Sean sembrava pensieroso. «Prigionieri tedeschi a Camp Peary e Monk che se ne va in Germania.» «Che altro ti ha detto Champ?» le chiese Horatio. Lei glielo riferì. «Quel tipo si è chiaramente preso una sbandata per me come uno studentello» concluse. «Buttalo fuori strada se dovesse provarci» le intimò Sean, meritandosi uno sguardo carico di interesse da parte di Horatio. «Potrebbe non essere così facile, è cintura nera di Tae Kwon Do.» «Lo so, e ha un aereo che pilota personalmente. Me l'ha detto Alicia.» «Non è proprio suo, ma di Babbage Town. Dopodomani mi porterà a fa-
re un volo.» «Non mi sorride molto l'idea di te sola con lui a cinquemila metri di quota.» «Non m'interessa entrare a far parte del Mile High Club, quello di chi "l'ha fatto" in aereo, se è a questo che stai pensando.» «Mi preoccupa lo stesso, anche se so che ha un alibi per l'ora in cui è morto Len Rivest.» «Non è detto.» «Come sarebbe a dire? Ho controllato le registrazioni del computer» disse Sean. «È rimasto nella Capanna 2 fino alle tre del mattino.» «Champ gode probabilmente di certi privilegi nella gestione del sistema di sicurezza e, a parte questo, è un cervellone. Ti sembra che uno come lui abbia qualche difficoltà a manipolare dati su un computer?» Sean sembrò in imbarazzo. «Non ci avevo pensato.» «Hai parlato con qualcuno che era presente alla Capanna 2, quella notte, qualcuno in grado di confermare la registrazione del computer?» gli chiese Michelle. «No, ma è un errore a cui rimedio subito. Bell'intuizione, Michelle.» «A volte capita anche a me.» «Comunque non mi piace che tu salga in aereo con quel Champ.» «Lo so, ma devi fartene una ragione.» «E ho scoperto qualcos'altro. Ricordi che ho chiesto in giro se qualcuno aveva notato qualcosa di insolito la notte in cui Rivest è stato ucciso?» «E nessuno aveva notato niente.» «Ci ho riprovato, ma stavolta facendo una domanda leggermente diversa. Ho chiesto se avessero visto qualcuno vicino al cottage di Rivest, magari qualcuno che non avrebbe dovuto esserci.» «Non ti seguo» gli disse Horatio. «Vuol dire altri scienziati, guardie eccetera» spiegò Michelle. «E personale delle pulizie» aggiunse Sean. «Una delle guardie ha visto qualcuno che indossava l'uniforme degli addetti alle pulizie, verso l'una di notte, che spingeva un carrello della lavanderia in direzione della Capanna 3.» Lo guardarono entrambi. «Capite? Che cosa c'è di meglio di un carrello della lavanderia per portare via asciugamani zuppi, stuoini da bagno e uno sturalavandini?» Fu Michelle la prima a rispondere. «Non c'è nulla di meglio. Anche tu hai avuto una bella intuizione.» «Quindi sarebbe stato un addetto alle pulizie a uccidere Len Rivest?»
chiese lentamente Horatio. «No, è più probabile che sia stato qualcuno con l'uniforme degli addetti alle pulizie. Ho controllato in lavanderia, nessuno quella notte portò asciugamani zuppi, stuoini da bagno o sturalavandini.» «In tal caso Rivest è stato ucciso da una donna» osservò Horatio. «Voglio dire, sarebbe stato molto più facile per una donna vestirsi da donna, non vi sembra?» Sean scosse il capo. «Non ho detto che era una donna. Al contrario, la guardia con cui ho parlato mi ha detto di avere visto un uomo. Dal supervisore della lavanderia ho saputo che da loro uomini e donne numericamente si equivalgono: ma una donna può infilarsi un paio di pantaloni e spacciarsi per uomo.» «Quindi dobbiamo accertare chi era in servizio quella notte» disse Michelle. «Sì e no. Ci faremo ovviamente consegnare un elenco e controlleremo nome per nome, ma comincio a pensare che potrebbe essersi trattato di un estraneo camuffato da addetto alle pulizie. Se giri in uniforme e hai sul petto un badge che sembra autentico, a chi verrebbe in mente di fermarti e farti domande?» «Ma potrebbe essere stato qualcuno che lavora a Babbage Town e si è vestito da addetto alle pulizie» fece presente Michelle. «La cosa sarebbe ancor più preoccupante.» Sean si voltò per andarsene. «Dove vai?» gli chiese Michelle. «A scoprire se il nostro genio locale, Champ Pollion, quella notte si trovava effettivamente nella Capanna 2, oppure se ne andava in giro spingendo un carrello della lavanderia dopo avere annegato Len Rivest.» 63 Sean non riuscì a trovare anima viva che avesse visto Champ alla Capanna 2 prima delle tre della notte in cui Rivest era stato ucciso. E, di conseguenza, Champ tornò a far parte dell'elenco dei sospetti. Stava facendo ritorno al cottage di Alicia quando gli arrivò una telefonata di Joan. «Abbiamo ricevuto una comunicazione ufficiale dai proprietari di Babbage Town» esordì. «Chi sono questi proprietari?» chiese subito lui.
«Non lo so.» «E chi ti dice, allora, che sia autentica?» «Perché contiene certe password ed è arrivato tramite un canale sicuro stabilito in precedenza. Sono loro, tranquillo. E, dal giorno in cui Rivest è stato ucciso, stanno riconsiderando l'opportunità della nostra presenza in loco. Ora, se tu dimostrassi di avere fatto qualche progresso...» «È proprio per questo che mi sto facendo un mazzo così, Joan. E non puoi immaginare quante porte ci stanno sbattendo in faccia. Oltretutto non sappiamo nemmeno chi è il nostro cliente.» «Che cosa hai scoperto?» Dopo una breve esitazione Sean la informò della faccenda dei prigionieri di guerra tedeschi. «Credi davvero che questa storia possa essere collegata alla morte di Monk Turing?» «Non è da escludere. Sarebbe un bel passo avanti se tu riuscissi a procurarti un elenco dei prigionieri presenti a Camp Peary durante la guerra e a scoprire che fine hanno fatto. Pensi di poter ricostruire il suo viaggio in Germania, come hai fatto con quello in Inghilterra? Io qui posso provare a dare un'occhiata al suo passaporto, se riuscirò a strapparlo dalle grinfie dell'FBI.» «Vedrò ciò che posso fare. Hai idea di dove possa essere stato, in Germania?» «No.» «Ho visto che hai chiesto soldi per comprare un po' di materiale.» «Esatto.» «Ma hai dimenticato di specificare di che tipo di materiale si tratti.» «Nulla fuori dall'ordinario, posso assicurartelo.» «Quindi non hai alcun problema a dirmi di che si tratta.» «Senti, Joan, se non autorizzi la spesa dimmelo e chiudiamola lì. Ho strappato un ottimo prezzo, e parte del materiale è noleggiato.» «Non ne faccio una questione di prezzo.» «E allora?» «E allora mi dà fastidio essere tenuta all'oscuro.» «Quando avrò qualcosa da riferire sarai informata.» «Come sta la tua socia con i disturbi mentali?» Lui s'irrigidì. «Che diavolo intendi dire?» La risposta di Joan fu particolarmente criptica. «Ho le mie fonti.» «Sta bene.»
«Non ne dubito. Ma, se posso darti un consiglio, in una situazione di crisi come questa eviterei di farmi coprire le spalle da una persona psicologicamente fragile.» «Ho le spalle robuste.» «Le conosco bene, come conosco altre parti del tuo corpo. Seriamente, Sean, l'amicizia è una bella cosa ma la sopravvivenza viene prima. Tre persone sono già state uccise e non voglio che tu sia la quarta.» Chiuse la telefonata e Sean, vergognandosene, cominciò improvvisamente ad avere qualche dubbio su Michelle. E se avesse ceduto mentre si trovavano in zona CIA? Se avesse fatto qualcosa di fatale per entrambi? 64 Nel pomeriggio Michelle cercò Viggie ma inutilmente, nessuno sapeva che fine avesse fatto. Alicia era al lavoro e la guardia assegnata alla protezione della ragazzina l'aveva persa di vista. Poi le tornò in mente qualcosa che aveva detto Viggie e si mise a correre verso il fiume. Cinque minuti dopo arrivò alla rimessa e si accorse subito che mancava uno dei kayak. Stava per scatenarsi un temporale, il vento era sempre più impetuoso e la corrente del fiume aumentava d'intensità. Le giunse alle orecchie un lontano rombo di tuono e sentì all'improvviso nelle narici l'odore della pioggia imminente. Poi udì qualcosa che la terrorizzò. «Aiuto! Aiuto!» Allora staccò dai sostegni accanto alla rimessa un kayak a due posti, vi lanciò dentro una pagaia e un rotolo di corda e corse alla fine della banchina. Pochi istanti dopo pagaiava facendosi faticosamente strada fra le acque coronate di schiuma. «Aiuto!» Vide in lontananza una macchia rossastra e avvicinandosi scoprì che il kayak di Viggie si era capovolto. La ragazzina ci si era aggrappata, ma la corrente minacciava di portarsela via. Michelle raddoppiò gli sforzi e il suo kayak volò sull'acqua, non remava con tanta energia da mesi e mesi e quel ritmo era eccessivo anche per una come lei. Ma trovò nuove energie quando un fulmine si abbatté sull'altra sponda con una forza tale da far tremare il terreno, seguito da un tuono secco e assordante. Le grida di Viggie si erano frattanto fatte ancora più disperate. Michelle tenne lo sguardo fisso sulla ragazzina e lasciò tutto il resto ai muscoli di
braccia, schiena e gambe. Dopo cinque minuti di altri terribili scoppi di tuono e di impressionanti lampi riuscì finalmente ad accostarsi a Viggie e a porgerle l'estremità di una pagaia, mentre un violento scroscio di pioggia si abbatteva sulla zona pungendo faccia e braccia. Viggie non provò nemmeno ad afferrare la pagaia ma rimase attaccata come una ventosa alla fiancata del suo kayak rovesciato. Michelle le parlò con la massima calma consentita dalle circostanze. «Sono qui, Viggie, va tutto bene. Mi capisci?» La piccola scosse il capo. «Affogherò» disse, con la sua vocina tremula. «Non ho il giubbetto salvagente.» «Non affogherai, afferra la pagaia con la mano libera.» «Non ce la faccio.» «Sì che ce la fai, Viggie.» Un fulmine cadde così vicino che Michelle sentì sollevarsi i peli sulla nuca. «Afferra quella pagaia, Viggie! Subito!» La ragazzina non si mosse ma fu la corrente a sbloccare la situazione, strappandole il kayak dalla mano e allontanandolo. Lei urlò e cominciò a inabissarsi. Michelle allora si legò alla caviglia un capo della fune che aveva lanciato nel suo kayak e assicurò l'altro capo all'anello di traino. «Aiuto!» gridò Viggie, dibattendosi freneticamente. Michelle si tuffò e scomparve sott'acqua, un'acqua così torbida da costringerla a cercare Viggie con le mani più che con gli occhi. Finalmente la trovò e la riportò in superficie tenendola per i capelli. Lei urlava, scalciava e tossiva sputando acqua sporca. Michelle si guardò poi intorno, il kayak distante ormai una ventina di metri si spostava velocemente e la fune assicurata alla sua caviglia si era ormai quasi tesa. Rivoltò Viggie perché galleggiasse sulla schiena, poi le passò un braccio attorno al petto e le parlò più calma che poté. «Ti tengo, tesoro. Va tutto bene, ti porto al kayak e ce ne torniamo a casa. Okay? Devi solo rilassarti, perché se fai resistenza mi rendi le cose più difficili. Rilassati, ti tengo io.» La ragazzina si accorse che non stava affondando e non si mosse. Michelle sapeva benissimo che non erano ancora fuori pericolo, perché il kayak si stava spostando velocemente tirandosi dietro loro due. A quel punto doveva decidere se tagliare la fune e nuotare fino a riva tenendosi aggrappata Viggie, oppure cercare di tirare la fune avvicinando il kayak e
tentare di salirci insieme alla ragazzina. Erano entrambe soluzioni rischiose, e nel frattempo il temporale stava ulteriormente peggiorando. Michelle era una nuotatrice resistentissima, ma cominciava già a sentire i primi segni di stanchezza e la sponda era ancora distante. Avrebbe potuto nuotare nella direzione della corrente, ma a un certo punto sarebbe stata obbligata a tagliarla per avvicinarsi alla riva e non sapeva se avrebbe avuto ancora la forza necessaria. Non voleva arrivare al punto di dover scegliere tra sé e Viggie: nel momento in cui si era lanciata in acqua aveva deciso che dovevano salvarsi entrambe o morire insieme. La fune legata alla sua gamba era talmente tesa da impedirle di stringere Viggie con la forza necessaria. Allora prese a scalciare e finalmente la fune si staccò dalla caviglia e il kayak si allontanò. A quel punto si guardò alle spalle, doveva arrivare al più presto a riva. Strinse Viggie con un braccio, dette vigorosi colpi con le gambe e adoperò l'altro braccio per opporsi alla corrente, ma senza alcun risultato. Non ce la faceva a tagliare la corrente mentre teneva Viggie. Il temporale era arrivato proprio sopra di loro e lei udiva soltanto lo scoppio dei tuoni, il turbinio del vento e il gemito degli alberi squassati dalla tempesta. E Viggie, avvertendo forse il panico che si insinuava nelle braccia e nelle gambe di Michelle, prese a contorcersi. Udì il rombo del motore soltanto quando fu accanto a loro. Due robuste mani afferrarono Viggie e la tirarono su ripetendo poi l'operazione con Michelle. La donna si sistemò su una panchetta stringendosi tra le braccia Viggie che piagnucolava e quando alzò lo sguardo vide Champ Pollion al timone dell'imbarcazione, con la prua rivolta verso il molo di Babbage Town. Assicuratasi che Viggie stesse bene, Michelle si alzò e gli andò vicino. «Grazie, ce la siamo davvero vista brutta.» «Ero andato a fare due passi e ho visto prima il kayak rovesciarsi e poi lei che si precipitava a salvare la bambina. Sono corso subito al motoscafo e il resto lo ha visto con i suoi occhi.» Accostò senza difficoltà il motoscafo alla banchina, poi aiutò Michelle e Viggie a scendere. La ragazzina era a quel punto una specie di peso morto. «Sicura che stia bene?» chiese Champ preoccupato a Michelle. «Sì, è solo spaventata.» «La capisco, poverina.» Michelle prese Viggie dolcemente per le spalle e con lei s'incamminò sul sentiero che portava a Babbage Town. Champ Pollion le scortò fino al cot-
tage di Alicia. «Se lei pilota l'aereo come il motoscafo, il nostro volo di domani sarà decisamente piacevole» gli disse Michelle. «Senta, le dispiace se rimandiamo di un giorno? È successo un imprevisto.» «Certo, Champ. Quando vuole.» Lui sorrise timido, poi borbottò qualcosa di incomprensibile e si allontanò velocemente. «Mi hai salvato la vita, Mick» le disse Viggie, dopo che entrambe si erano messe addosso qualcosa di asciutto. «Gran parte del merito va al signor Pollion.» Poi le parlò in tono più severo. «Mi dici che cosa ci facevi tutta sola in mezzo al fiume?» Viggie prese a studiarsi le mani, chinando il capo, simile a un fiore gonfio di pioggia. «Io... be', volevo starmene un po' per conto mio...» «Ci sono tanti modi di starsene da soli, senza però mettersi in pericolo.» «Grazie per avermi salvato la vita.» «Sono contenta di essere arrivata in tempo.» Viggie si alzò, andò al pianoforte e si mise a suonare ma dolcemente, non freneticamente come l'ultima volta. Le note erano lente, quasi dolorose. Suonando sollevò lo sguardo su Michelle, con un'espressione indecifrabile. «Grazie, Viggie, bello questo pezzo che hai suonato» le disse Michelle quando ebbe terminato. «Che cos'era?» Viggie non le rispose ma si alzò e salì le scale. Pochi secondi dopo si udì il rumore della porta della sua stanza che veniva chiusa. Un gommone di sei metri, un mezzo delle truppe d'assalto anfibie, navigava sul fiume York; ai comandi c'era Ian Whitfield, che sembrava non accorgersi nemmeno della tempesta che si era scatenata. Sul fondo del gommone era adagiato il kayak di Michelle, che aveva ancora la fune fissata all'anello di poppa. Whitfield spostò all'indietro la leva dell'acceleratore e l'imbarcazione si lanciò in direzione della sponda di Babbage Town. Una volta lì, il direttore di Camp Peary ormeggiò il gommone, scese e sistemò il kayak sul pontone galleggiante, poi con una leggera smorfia salì nuovamente sul gommone. Indossava una cerata gialla e pantaloncini cachi. Aveva gambe muscolose e abbronzatissime, quella destra percorsa da numerose cicatrici. Abbassò la leva del gas e il gommone fece una specie di balzo in avanti,
con la prua sollevata di 45 gradi. Un minuto dopo l'imbarcazione e il direttore di Camp Peary erano solo una macchia lontana sull'acqua, mentre il temporale continuava a schiaffeggiare il fiume e i boschi. 65 La mattina dopo il tempo era migliorato e Sean e Michelle si videro al solito posto isolato, a un chilometro e mezzo circa da Babbage Town. Il giorno prima Michelle gli aveva raccontato la brutta avventura sul fiume e lui l'aveva informata dell'assenza di un alibi per Champ. Quella mattina avevano in animo di passare attentamente in rassegna la situazione lontano da occhi indiscreti. «Dimmelo ancora, che ci faceva Viggie tutta sola su un kayak in mezzo al fiume?» le chiese Sean. «Mi ha detto in pratica che voleva restarsene un po' da sola.» «O forse voleva dare un'occhiata da vicino a Camp Peary.» «Perché?» «Non lo so.» «Tu hai scoperto qualcosa?» Sean annuì. «Ho parlato con Hayes, che aveva dato un'occhiata al passaporto di Monk. E dal passaporto risulta che è stato effettivamente in Germania.» «Sappiamo dove?» «È entrato nel Paese a Francoforte, Hayes non mi ha potuto dire altro. Allora ho chiamato Joan e lei mi ha assicurato che cercherà di saperne di più.» Srotolò un foglio di carta e lo allargò sul cofano del fuoristrada. «Ho fatto una foto di quella mappa di Camp Peary visto dal satellite che Freeman tiene in ufficio e l'ho fatta ingrandire.» Le indicò alcuni punti. «Ho sentito fare cifre diverse ma credo che questo posto abbia una superficie di circa 40 chilometri quadrati, sulla maggior parte dei quali non è stato costruito. Come già sappiamo, la pista per gli aerei è abbastanza vicina al punto in cui è stato trovato il corpo di Monk. Leggermente più a sud c'è quella che sembra una serie di depositi per il combustibile e ancora più giù c'è una rimessa delle barche.» Passò con la punta del dito a un altro settore senza nome. «Questo sembra uno dei quartieri citati da Freeman, qui c'è Bigler's Mill, là c'è Porto Bello, con alle spalle Queen's Lake, e là c'è Magruder. Il complesso principale è delimitato a ovest dalla Interstatale 64 e a sud dalla strada panoramica. Qui
invece c'è il centro di forniture navali di Cheatham Annex» e puntò il dito sulla carta. «A sud dell'autostrada c'è un immissario del fiume York che si spinge dentro il perimetro di Camp Peary» disse Michelle. «Possiamo star certi che è ben sorvegliato, perlomeno da terra. E, per quanto ne so, potrebbero anche averlo minato.» «Non ci resta quindi che scavalcare la recinzione. È arrivata l'attrezzatura che avevi ordinato?» «Sì, tutta.» D'improvviso si appoggiò al fuoristrada. «Non voglio scavalcare quella recinzione, Michelle, sarebbe da folli. Anche se non ci ammazzano non ho intenzione di passare in cella il resto dei miei giorni, e non ti permetterò di fare quella pazzia.» «Ma se tu vai non posso certo lasciarti andare solo.» «Forse, se Joan scoprirà dove è stato Monk durante il viaggio in Germania, potremmo risparmiarci la scalata della recinzione.» «Forse quello che scoprirà Joan non ci sarà di alcun aiuto.» «E Viggie? Codici e sangue?» Michelle scosse il capo. «Niente di nuovo. Quando siamo tornati dall'avventura sul fiume era comprensibilmente mogia e si è messa a suonare il piano in maniera insolita, cioè con molta misura. Di solito mi dice "Mi piaci, Michelle" per poi mettersi a suonare come una Erinni, gridare "Codici e sangue" e infine correre nella sua stanza. Stavolta, invece, niente di tutto questo. Mi ha ringraziato per averle salvato la vita, poi si è messa a suonare tranquilla e beata come se volesse ringraziarmi di nuovo con la musica. È stato davvero commovente e...» La sua voce si affievolì mentre fissava Sean. «Stai pensando quello che penso io?» gli chiese sussurrando. «Sì, e penso anche a quanto sono idiota a non essermene accorto prima.» Saltarono entrambi a bordo del fuoristrada. Sean guardò l'orologio. «Non avevi da fare un volo con Champ?» «Rimandato a domani.» «Bene, allora forse cambierai prima idea. Chiama Horatio e digli che ci vedremo al cottage di Alicia.» «Perché?» «Perché lui sa suonare il pianoforte, ecco perché.» 66
«Dopo quello che è successo sul fiume hanno preferito non farla andare a scuola oggi» disse Michelle a Horatio e Sean, sul sentiero che portava al cottage di Alicia. «Ma credo che suonerà soltanto per me.» «Horatio ha portato il registratore» le spiegò Sean. «Ascolteremo quello che suonerà senza farci vedere.» «E poi?» «E poi se c'è di mezzo un codice possiamo farci dare una mano a decifrarlo. Conosco almeno un genio che bazzica da queste parti.» Horatio poggiò il piccolo registratore a comando vocale accanto al pianoforte, nascosto dietro una pila di libri, poi lui e Sean uscirono sulla veranda senza farsi sentire. Da lì, grazie alla finestra aperta, avrebbero potuto ascoltare la musica. Michelle salì al piano superiore e chiese a Viggie di suonarle di nuovo quel brano. La ragazzina l'accontentò e poi tornò su, Michelle prese il registratore e raggiunse in veranda Sean e Horatio. «Ho chiamato Alicia al lavoro, sarà qui fra poco» disse Sean. «Nel frattempo, Horatio, saresti in grado di scrivere le note di quello che ha suonato Viggie riascoltando la musica al registratore?» «Non dovrebbe esserci problema.» «Aspetta un attimo, non hai riconosciuto la canzone, vero? Perché in tal caso potremmo cercare in casa lo spartito, dovrebbe averlo da qualche parte.» «Mi spiace, quella roba che ha suonato è un po' troppo smielata per i miei gusti. Io sono più per il rock classico.» Quando Alicia arrivò Horatio aveva già trascritto tutte le note e Sean gliele mostrò. «Pensi, quindi, che possa contenere un codice?» gli chiese. «Proprio così.» «Ma le note musicali non offrono grandi possibilità.» Horatio annuì. «Do, re, mi, fa, sol, la, si. Naturalmente si possono sfruttare anche i bemolle e i diesis, eccetera.» «Hai materiale sufficiente sul quale lavorare, Alicia?» le chiese ansioso Sean. «Non lo so finché non comincio. Sapete darmi un'idea di ciò che stiamo cercando?» Sean guardò Michelle ma rimase in silenzio. Alicia se ne accorse. «Sentite, se non vi fidate di me abbastanza da dirmi
quello che cercate, andate a chiedere aiuto da qualche altra parte.» «Okay, okay.» Sean trasse un profondo respiro. «Gli elementi principali sono Camp Peary, prigionieri di guerra tedeschi e voli segreti.» Alicia sbarrò gli occhi. «Mettiamo subito le cose in chiaro, io sono una linguista e una matematica, ma di crittoanalisi non so niente.» «Alcuni tra i migliori decrittatori erano linguisti e matematici» le fece notare lui. «Sarebbe bello poter lavorare su un contesto più ampio. Monk Turing era un uomo intelligente e dubito quindi che questo codice possa essere semplice.» «Turing! Codici e sangue!» gridò quasi Sean. «Di questo deve trattarsi.» «Cioè, di che cosa?» gli chiese Michelle stupita. «Monk Turing era imparentato con Alan Turing: una parentela di sangue. Di recente era stato in Inghilterra, percorrendo un itinerario che toccava le città in cui era vissuto Alan Turing. Il quale era riuscito praticamente da solo a violare il codice Enigma dei tedeschi. Non può non esserci un nesso.» Alicia sfogliò qualche pagina. «Ho dei libri su Alan Turing e le sue opere che potrebbero esserci di aiuto. Quando avete bisogno di sapere qualcosa?» «Prima possibile.» 67 Michelle, che non riusciva a resistere al richiamo dell'acqua, decise di farsi un giro in kayak. La aiutava a riflettere e, a parte questo, voleva dare un'altra occhiata a Camp Peary dal fiume. Se a un certo momento fossero stati costretti a entrarci di nascosto, un'altra ricognizione dall'esterno non avrebbe guastato. Ma quando arrivò alla rimessa trovò il suo kayak sul molo. Come c'è arrivato qui? si chiese. Dopo mezz'ora in acqua aveva osservato Camp Peary da diverse angolazioni. La recinzione metallica non sarebbe stato un ostacolo serio, ma poi? Per la prima volta si scoprì a pensare a ciò che sarebbe successo a lei e a Sean se li avessero sorpresi. E poi, che cosa si immaginavano di trovare girando per centinaia di ettari di terreno boscoso? Valeva la pena rischiare la vita? Sean non sembrava più tanto convinto, ma se invece avesse deciso di andarci ugualmente? Lei lo avrebbe seguito o invece, secondo la logica, gli
avrebbe detto "no, grazie"? E se lui ci fosse andato da solo lasciandoci la pelle, la presenza di lei avrebbe potuto fare la differenza? Il rimorso l'avrebbe perseguitata tutta la vita? Queste considerazioni furono interrotte dalla sirena di un'imbarcazione poco distante. Lei si voltò di scatto e vide un gommone avvicinarsi lentamente. Al timone c'era Ian Whitfield, indossava pantaloni mimetici, una Tshirt bianca che metteva in risalto il suo torace scolpito e un cappellino degli Yankees. La sua espressione era amichevole. Accostò abilmente il gommone al kayak e poi mise in folle, mentre lei premeva l'estremità della pagaia contro la parte interna della murata dell'altra imbarcazione per tenere ferma la sua. «Ian Whitfield» annunciò lui, sollevando una mano in segno di saluto. Michelle cercò di nascondere la sorpresa. «Oggi qui si sta molto meglio di ieri» osservò allegro Whitfield. «È uscito nonostante il temporale?» «Sì, e ho trovato il suo kayak trascinato dalla corrente più a valle. È successo qualcosa?» «Una mia amica è finita in acqua, ma siamo riusciti a tirarla fuori.» «Meglio così, la corrente dello York a volte è traditrice, signorina...» «Michelle Maxwell, ma può chiamarmi Michelle.» Lanciò un'occhiata sulla riva opposta. «Allora, come vanno le cose dall'altra parte dello York?» «Non mi sembra di averle detto da quale parte vivo.» «Sono cose che si sentono in giro, e io sono abituata a sentire più degli altri. Ho lavorato nel Servizio segreto ma sono sicura che questo lei lo sapeva già.» Lui continuò a scrutare il fiume. «Il mio sogno era quello di giocare da interbase con gli Yankees, ma il talento non si è dimostrato all'altezza del sogno. E mettermi al servizio del Paese non è stata una cattiva seconda scelta.» Michelle fu presa un po' alla sprovvista da quell'implicita ammissione della sua attività da parte di Whitfield. «Volare sull'Air Force One e proteggere il presidente è stato uno dei più grandi onori della mia vita.» Fece una breve pausa. «Ho conosciuto dei tipi della Delta Force che erano stati in Vietnam.» Lui le lanciò un'occhiata penetrante. «Come dicevo, ascolto più degli altri.» «Questo succedeva tanto tempo fa.» «Ma non si dimentica mai.»
«Io non l'ho dimenticato, ma alcuni invece sì.» Indicò Babbage Town. «Come vanno le cose nella sua sponda?» «Lentamente.» «Mi chiedo spesso perché abbiano deciso di piantare le tende proprio lì.» «Di fronte a voi, vuol dire?» «Lei è qui con un socio, vero?» le chiese, ignorando la sua domanda. «Sì.» «La morte di Monk Turing è stata un triste episodio, ma non mi sembra ci siano gli estremi per indagare su un omicidio.» «Lei ha detto al mio socio che si è trattato di suicidio.» «No, gli ho detto che a Camp Peary o nei dintorni c'erano stati altri quattro suicidi, aggiungendo che l'FBI aveva concluso che Turing si era tolto la vita.» «Non credo che ne siano ancora tanto convinti. E poi c'è Len Rivest.» «Ho letto sul giornale locale che aveva bevuto molto e l'hanno trovato affogato nella sua vasca da bagno. Non mi sembra un quadro tanto sinistro.» «Due morti così vicine nel tempo?» «La gente muore di continuo e nelle circostanze più diverse, Michelle.» "Non ha l'aria di uno che parla tanto per dire" pensò lei. «Sembra quasi un avvertimento» gli disse. «Non posso certo influire sulla sua interpretazione delle mie parole.» Whitfield agitò una mano in direzione della sponda opposta. «Da quella parte c'è una notevole presenza di elementi federali, ivi compresa la Marina. Gente che lavora per il suo Paese, che svolge attività pericolose, che rischia la vita. Questo dovrebbe capirlo, anche lei ha rischiato la vita per il suo Paese.» «Lo capisco. Ma non capisco a che cosa miri questa conversazione.» «Si ricordi sempre che questa parte dello York può essere particolarmente pericolosa. Non perda di vista questo concetto, qualunque cosa faccia. E adesso le auguro una buona giornata.» Michelle ritirò la sua pagaia dal gommone mentre Whitfield ingranava la retromarcia, virava e si allontanava lentamente. Lei manovrò il kayak in modo da continuare a vederlo mentre lui si dirigeva verso l'imbarcadero di Camp Peary, senza mai voltarsi indietro. Quando il gommone scomparve dietro un'ansa Michelle virò a sua volta e si mise a pagaiare lentamente. Ian Whitfield le aveva dato molto su cui pensare. E un buon motivo per avere paura.
68 Mentre prendevano il caffè nella sala da pranzo dell'edificio principale, Michelle riferì a Sean la sua conversazione con Ian Whitfield. «Non mi sembra il tipo che fa minacce a vuoto.» «Mentre mi parlava sentivo una specie di formicolio sulla pelle.» «E questo mi fa ulteriormente passare la voglia di scavalcare quella recinzione.» «Allora dobbiamo studiare qualche nuova strategia» disse lei. «Anche se non me ne viene in mente nessuna.» «Passiamo un momento in rassegna ciò che sappiamo. Monk è andato in Germania ed è morto a Camp Peary. Durante la guerra a Camp Peary venivano custoditi prigionieri tedeschi. Len Rivest voleva parlarmi di Babbage Town e ora è morto. Pensava che qui ci fossero spie. Alicia Chadwick aveva una storia con Rivest ed è la tutrice di Viggie. Champ non ha un alibi per l'ora della morte di Len ma non ci sono indizi di una sua eventuale responsabilità. Ian Whitfield ha diffidato prima me e poi te, e da sua moglie c'è ben poco da tirare fuori. L'obitorio è stato fatto saltare in aria: per cancellare le prove dell'assassinio di Rivest?» «Aspetta un momento. A farti pensare che Rivest è stato assassinato è l'assenza di asciugamani, stuoini e dello sturalavandini, no?» «Proprio così. Avevo pregato Hayes di chiedere al medico legale se avesse riscontrato sul cadavere di Rivest tracce della pressione dello sturalavandini.» «E allora?» «Il medico legale è morto prima di poterci dare una risposta.» «Ma se l'obitorio è stato fatto saltare in aria perché tu sentivi puzza di omicidio, come facevano a sapere dei tuoi sospetti quelli che l'hanno fatto saltare in aria?» «Hayes potrebbe inavvertitamente averne accennato a qualcuno.» «Inavvertitamente o deliberatamente?» gli chiese Michelle. «E perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?» «Sto solo facendo l'avvocato del diavolo. Che cosa sai davvero di lui?» «Che è lo sceriffo di questa contea.» «Ma non sappiamo a chi ha giurato fedeltà.» «Cominci a farmi la paranoica, adesso?» «Direi che, tra Babbage Town e Camp Peary dall'altra parte del fiume,
se non sei paranoico sei almeno incasinato.» «Quello che dobbiamo fare è continuare a scrostare la superficie. Vedere se Alicia scopre qualcosa, esaminare lo scenario tedesco: non vedo alternativa, per il momento.» «E magari alla fine scopriremo che l'unica strada praticabile è scavalcare la recinzione» disse lei. Michelle uscì e Sean estrasse subito di tasca un foglietto, componendo poi un numero di telefono. «Valerie, sono Sean Carter. Possiamo vederci?» Mentre faceva ritorno al cottage Michelle vide qualcosa che la costrinse immediatamente a scattare di corsa. «Ma che diavolo stai facendo?» gridò. Viggie si fermò a guardarla e il sorriso le si gelò in volto mentre lasciava cadere a terra il sacco dell'immondizia che stringeva in una mano. Michelle guardò dentro il suo fuoristrada e si accorse che era pulitissimo e in ordine. «Come hai osato mettere le mani tra le mie cose?» le gridò allora. «È la mia macchina, chi ti ha autorizzato a entrarci e toccare le mie cose? Chi?» Viggie fece un passo indietro. «Io... be', mi avevi detto che per quanti sforzi facessi non riuscivi a tenerlo pulito. E ho pensato che ti avrebbe fatto felice.» Michelle afferrò il sacco e cominciò a scagliarne il contenuto dentro il fuoristrada. «Questa non è spazzatura!» gridò. «Non ti avvicinare alla mia macchina!» Viggie tornò di corsa a casa, singhiozzando, ma Michelle sembrò non accorgersene. Era troppo occupata a tirare fuori il contenuto del sacco e a scagliarlo sul pavimento del fuoristrada. «Ti prendo in un brutto momento?» Si voltò di scatto trovandosi davanti Horatio, e dentro di sé gemette. «È stato soltanto un malinteso» si affrettò a rispondere. «Il tuo comportamento invece mi sembra fin troppo trasparente.» «Levati dai piedi!» «Allora, vogliamo lasciare Viggie che piange e si dispera tutta sola?» Michelle guardò in direzione della casa, dalla quale giungeva il pianto di Viggie. Allora si lasciò crollare contro la fiancata del fuoristrada e la scarpa da tennis e la buccia di banana che aveva in mano caddero al suolo, mentre una lacrima le scorreva sulla guancia. Poi si sedette sul predellino e
si mise a fissare l'erba. «Mi spiace» disse a bassa voce. «Ma si era messa a frugare tra le mie cose, e non ne aveva alcun diritto.» Horatio le si avvicinò. «Be', in un certo senso hai perfettamente ragione, non bisogna frugare tra le cose altrui. Ma secondo me Viggie voleva soltanto aiutarti, o quanto meno pensava di aiutarti. Questo lo capisci, vero?» Michelle annuì chinando di scatto il capo. «Hai pensato a quella mia proposta d'ipnosi?» «Te l'ho detto, se torniamo vivi...» La interruppe. «Bene, però cerchiamo di dare un taglio a questa commedia, perché non so se ti resta tanto tempo.» Lei risollevò lentamente il capo. «Con questo che cosa vorresti dire?» «Esattamente quello che ho detto.» Michelle si alzò e lanciò il sacco dentro il fuoristrada. «E a che servirebbe l'ipnosi? Tanto ormai sono evidentemente partita del tutto.» 69 Stavano passeggiando sulla spiaggia. Valerie teneva in mano i sandali e Sean le camminava accanto a capo chino con aria colpevole, mentre i mocassini gli si riempivano di sabbia. Le aveva telefonato sia perché non era riuscito a trovare uno strumento alternativo d'indagine sia per ciò che il marito aveva detto a Michelle. Ma lei l'aveva assalito appena era sceso dall'auto: sapeva tutto di Sean Carter, anche che il suo vero nome era Sean King. «Immagino che tu abbia parlato con tuo marito» le disse subito. «Oh, certo. Se c'è una cosa nella quale il vecchio Ian è bravissimo è scoprire certe faccende sul conto di certa gente. Tu sei un ex agente del Servizio segreto e sei venuto qui per indagare su quegli omicidi a Babbage Town. Non riesco a credere di essere caduta nella tua trappola, non ci riesco proprio.» «Le cose non stanno precisamente così, Valerie.» Lei si voltò di scatto. «Vuoi forse negare di avermi usata per estorcermi informazioni su mio marito? Vuoi negare di avermi seguita dentro quel bar dopo che Ian ti aveva detto di toglierti dai piedi?» «Non lo nego, ma...» «Non ci sono "ma".» «Sì, cercavo informazioni ma stavo facendo soltanto il mio lavoro.»
«Quello che hai fatto è imperdonabile.» «Mi spiace se ti ho offeso, Valerie. Ma quando si cerca di scoprire come qualcuno è stato ammazzato... Se avessi avuto un altro modo di trovare quelle informazioni...» Lei lo guardò, con le braccia sul petto e i sandali nella sabbia dove li aveva lasciati cadere. Il vento dell'oceano le faceva sventolare contro le gambe i pantaloni bianchi. Poi, lentamente, l'ira scomparve dal suo viso. «Probabilmente non mi aspettavo che succedesse a me, non credevo di poter essere ingannata. Non dopo Ian, in ogni caso.» «Che cosa vuoi dire?» «Pensavo che mi avesse sposato perché mi amava, ma evidentemente mi sbagliavo.» «E perché allora ti ha sposato?» «Chi diavolo lo sa? Poi sei arrivato tu e per la prima volta ho pensato a come sarebbe stata la mia vita con un altro uomo. Proprio con te! Figlio di puttana!» Sean la guardò a disagio. «Valerie, posso soltanto dirti che per me è stato molto difficile mantenere una distanza professionale.» «Mantenere una distanza professionale? Ora sì che mi sento amata.» Le lacrime cominciarono a scivolarle sulle guance e lei se le asciugò con un gesto di rabbia. «Mi dispiace, Valerie. Veramente.» «Le tue bugie riservale per qualcun'altra, io non ne ho bisogno.» Si fermò, raccolse a terra una conchiglia e la lanciò rabbiosamente contro un'onda. Poi si girò di scatto e lo afferrò per il bavero della giacca. «E vuoi sapere il bello?» Dall'espressione di Sean si capiva che non aveva nessuna voglia di saperlo, il bello. «Dimmelo, me lo merito» le rispose invece. «Forse non te lo meriti.» «Se potessi tornare indietro lo farei, Valerie, ma non posso. Quindi dimmelo.» Il suo sguardo si staccò finalmente da lui, ma solo per un attimo. «Non so dirti quanta voglia ho di venire a letto con te. Sì, nonostante questa merda, dopo tutto quello che hai fatto, dopo che mi hai usato, che mi hai tradito. Sono o non sono una sfigata? Dimmelo tu! Perché ho voglia di scoparti fino a farti impazzire. Questo che cosa ti dice di me, Sean?» Si mise a singhiozzare. Lui fece per abbracciarla ma Valerie lo respinse, allora la prese nuovamente tra le braccia e questa volta lei non lo scacciò.
Rimasero qualche minuto abbracciati, dondolandosi sulla sabbia. Poi Valerie si staccò, estrasse di tasca un fazzolettino di carta e si asciugò le lacrime. «Senti, non potremmo andarcene da qualche parte... dove ci sia un po' più di privacy... voglio dire.» Respirò a fondo. «Dovrei odiarti ma non ce la faccio. Quella prima sera al bar, dopo che ti ho fatto battere in ritirata, me ne sono tornata a casa sentendomi l'idiota più grande al mondo perché mi ero accorta di provare qualcosa per te.» Abbassò la voce. «Qualcosa che non avevo mai provato negli anni del mio matrimonio. Allora, possiamo andarcene da qualche parte?» «Certo, Valerie.» Le prese una mano. «Ma non possiamo spingerci più oltre. E, anche se può sembrare folle, so che anche tu non vuoi spingerti oltre un certo limite.» «Perché?» «Perché secondo me sei ancora innamorata di tuo marito.» Si udì una voce. «Davvero splendido. Davvero speciale.» Si voltarono entrambi a guardare l'uomo che si dirigeva verso di loro. «Oh, mio Dio!» bisbigliò Valerie. Ian Whitfield avanzava zoppicando sulla sabbia. Sean andò a mettersi davanti a Valerie. «Le cose non stanno come sembra, Whitfield.» Quello gli si fermò di fronte. «Spero che tu non voglia davvero ricorrere a questo cliché, perché queste bugie del cazzo potrebbero farmi arrabbiare più di quanto non lo sia già. E non è facile, credimi.» «No, Ian» esclamò Valerie, sconvolta. Lui non la guardò nemmeno. «Hai bevuto con mia moglie, poi hai cenato con lei e adesso passeggiate sulla spiaggia mano nella mano. Hai manie suicide o sei soltanto stupido?» «Ma, se sapevi già tutto, come mai adesso me ne sto qui? Perché non mi hai fatto portare via dai tuoi gorilla dopo quel mojito al bar?» Sean fece un passo indietro, preparandosi all'assalto di Whitfield. «Non sono un boss mafioso, King. Non faccio eliminare la gente. Sono solo un servitore dello Stato che lavora per il popolo americano.» «Bene, signor servitore dello Stato, lascia che ti dia un consiglio: lavora meno e passa più tempo con tua moglie. Il popolo americano capirà.» Whitfield lanciò un'occhiata a Valerie, che indietreggiò. «Così sei diventato un consulente matrimoniale, adesso? Pensavo fossi soltanto un investigatore privato incompetente.» «Cerco di fare il mio lavoro.»
«Sedurre mia moglie fa parte del tuo lavoro?» «Non ho sedotto tua moglie, e lei secondo me continua a respingermi perché ti ama. Perché ti ami, però, non lo so. Quindi, invece di fare il duro con me, potresti portarla in un posticino tranquillo e farci una bella chiacchierata. Pensaci, omaccione.» Whitfield fece un passo indietro e Sean guardò Valerie. «Vuoi che rimanga?» Lei scosse il capo. «No» rispose, ma limitandosi a muovere le labbra. Sean riportò lo sguardo su Whitfield. «Non rovinare tutto.» E si allontanò, lasciando marito e moglie che si guardavano sferzati dal vento di mare. 70 Michelle se ne stava seduta davanti al cottage di Alicia, sui gradini della veranda. Horatio se n'era andato e dall'interno della casa giungevano ancora i singhiozzi di Viggie. Poi si alzò, entrò e per un minuto strimpellò al pianoforte un motivetto senza titolo finché i singhiozzi cessarono. Allora respirò a fondo e si mosse. Non si preoccupò di bussare alla porta di Viggie ed entrò direttamente. La ragazzina era sdraiata bocconi sul letto, si copriva il capo con un cuscino e tremava ancora per il dispiacere. Michelle le sollevò dolcemente il cuscino dal capo e si rese conto che la sua amichetta stava recitando numeri, lunghi numeri. Ha perduto il padre e io l'ho trattata come una pezza da piedi, pensò Michelle. Non mi sono mai sforzata di capire quanto stia soffrendo. Sedette sul letto e allungò una mano sulla schiena di Viggie, che s'irrigidì immediatamente. «Mi dispiace terribilmente, Viggie, non avevo alcun diritto di fare ciò che ho fatto. Spero che tu possa perdonarmi. Io da un po' di tempo... insomma, non sto molto bene, ho dei problemi, ne abbiamo già parlato. Certi giorni, be', sono migliori degli altri e oggi è stato probabilmente uno di quelli brutti, ma non avrei dovuto prendermela con te. Lo so che cercavi soltanto di aiutarmi.» Mentre parlava, Michelle stava fissando la parete e non si era accorta che Viggie si era messa supina e la stava guardando. Quando se ne rese conto, la prese tra le braccia, singhiozzando quasi quanto la bambina aveva singhiozzato fino a quel momento. E toccò dunque a Viggie consolarla.
«Va tutto bene, Mick. Anch'io ho le giornate storte... a volte impazzisco, non riesco a capire niente e la cosa mi manda in bestia.» Michelle pianse ancora di più e Viggie la strinse ancora più forte. «Va tutto bene, non ce l'ho con te, tu mi piaci molto. Sei la mia amica.» Michelle ricambiò l'abbraccio della ragazzina fin quasi a soffocarla. «E tu sei la mia amica, Viggie» le sussurrò tra un singhiozzo e l'altro. «Per te farei qualsiasi cosa ma non ti farò mai del male. Te lo prometto, te lo prometto.» Tornato a casa Sean trovò seduta in soggiorno Michelle, rossa in viso. «Stai bene?» le chiese subito. «C'è qualcosa che non va con Viggie?» «No, sta bene. E sto bene anch'io.» Non sembrava molto convinto. «Ne sei sicura?» Lei annuì lentamente, quasi che parlare richiedesse un'energia che in quel momento non aveva. Andò a sederle accanto. «Io invece non sto bene.» E le riferì l'episodio della spiaggia. «Dio mio, Sean, avrebbe potuto ucciderti.» «Può ancora farlo.» «E noi che facciamo?» «Ce ne andiamo a dormire. Qualcosa mi dice che domani sarà una giornata movimentata e una buona dormita farà quindi bene a entrambi.» Nessuno dei due, purtroppo, avrebbe dormito molto quella notte. Michelle, che aveva il sonno leggero, infilò silenziosamente la mano sotto il cuscino e afferrò la pistola mentre la porta della sua stanza veniva aperta lentamente. Allora socchiuse gli occhi e vide Viggie, che indossava una T-shirt lunga fin oltre le ginocchia e aveva in mano qualcosa. La bambina rimase un istante in piedi accanto al letto, poi poggiò delicatamente sulla coperta ciò che aveva in mano. Pochi secondi dopo Michelle udì richiudersi la porta della sua stanza e, quindi, quella della stanza di Viggie. Si mise immediatamente a sedere sul letto e accese la luce del comodino. Viggie le aveva lasciato una grossa busta, che conteneva una lettera chiusa in una busta più piccola e una fotografia. Era talmente eccitata che uscì in corridoio così com'era, cioè in slip e una corta canottiera. Bussò piano alla porta di Sean, ma non ebbe risposta. Ci riprovò, un po' più forte, e accostò le labbra alla porta. «Sean? Sean?»
Udì finalmente un brontolio e quindi lo scricchiolio di un materasso. Una luce venne accesa, poi un rumore di passi e la porta si aprì. Sean aveva gli occhi gonfi di sonno e indossava un pigiama a strisce. «Che c'è?» le chiese. Le labbra di lei si incresparono in un sorriso. «Dormi con il pigiama?» gli chiese, osservandolo. «Davvero?» Lui rimase un attimo in silenzio, mentre con lo sguardo metteva a fuoco quel corpo seminudo. «E tu non ti metti addosso quasi niente quando vai a letto? Davvero?» Sorpresa, Michelle abbassò gli occhi sul suo corpo e immediatamente si portò una mano sul petto e l'altra, quella che stringeva la busta, su una parte ancor più privata. Fu Sean stavolta a sorridere. «No davvero, Mick, se lo fai per me non ce n'è bisogno. Se mi svegliano bruscamente da un sonno profondo faccio fatica a concentrarmi su cose come le tette e...» Abbassò lo sguardo sulla busta. «Be', hai capito.» Lei non aprì bocca e rimase davanti alla porta, visibilmente imbarazzata. «Allora, volevi qualcosa oltre che prenderti gioco del mio abbigliamento notturno?» Michelle entrò passandogli davanti, andò a sedersi sul letto e gli fece segno di sedersi accanto a lei. «Sbrigati, ho qualcosa da farti vedere.» «Lo vedo!» «Non fare lo scemo, non sono arrapata. Sto parlando di qualcosa di importante.» Con un sospiro lui le crollò accanto. «Che cos'è?» Michelle gli raccontò la visita di Viggie e gli mostrò la lettera e la foto. La stanchezza scomparve immediatamente dal viso di Sean, mentre esaminava lettera e fotografia. «Viggie dove le ha prese?» «Devono essere state del padre, non ti sembra?» «E Viggie le ha affidate a te; prima la musica e poi questo. Perché?» «Perché le piaccio. Le ho salvato la vita e si fida di me.» Sean le lanciò una curiosa occhiata. «Credo che tu abbia fatto centro, Michelle. Si fida di te.» Infilò nuovamente la lettera e la foto nella busta. «Devi andare a parlarle, subito. Questa lettera cita qualcos'altro, un'altra notizia che dobbiamo capire bene e approfondire. C'è dell'altro che deve ancora dirti.» «Ci proverò.»
Michelle tornò in camera sua, si infilò una vestaglia e andò in quella di Viggie. Dieci minuti dopo, visibilmente delusa, bussava di nuovo alla porta di Sean. «Non solo non vuole dirmi altro ma non ammette nemmeno di avermi lasciato in camera quella roba.» Passarono un'ora a cercare di dare un senso alla lettera e alla foto. «Non che mi dispiaccia avere una donna quasi nuda sul letto» disse alla fine Sean «ma devi vestirti.» «Che cosa?» Michelle era stupita. «Tu hai svegliato me e ora andiamo a svegliare Horatio. Mi serve la sua opinione su una certa cosa.» Mentre lei si alzava per tornare in camera sua, Sean guardò nuovamente la busta. Forse era quella finalmente la chiave che cercavano, lo sperò disperatamente perché stavano rimanendo a corto di alternative. E non voleva essere costretto a scavalcare quella recinzione. 71 Il sole cominciava a spuntare quando Sean e Michelle andarono da Horatio. Si fecero identificare dall'arcigna guardia alla porta della residenza e poi salirono in camera sua. Horatio, che era stato chiamato poco prima al telefono da Sean, aprì immediatamente la porta. Era già vestito, anche se non si era preoccupato di annodare nel codino i capelli sollevati e arricciati, simili a un'onda che sta per andarsi a infrangere sulla riva. Stava per dire qualcosa ma Sean lo bloccò. «Non qui, andiamo a farci un giro.» Venti minuti dopo se ne stavano accanto al fuoristrada di Michelle, parcheggiato sotto gli alberi vicino alla sponda dello York. E Horatio, sotto lo sguardo di Sean e Michelle, si mise a studiare la lettera e la fotografia mentre il sole brillava sulla superficie del fiume. «Okay, il mittente indicato sulla busta scrive da Wiesbaden, in Germania. E la lettera è scritta per fortuna in inglese, anche se la grafia è quella di una persona molto anziana e non di madrelingua inglese. Ed è indirizzata a Monk Turing da un certo...» Horatio socchiuse le palpebre, aggiustandosi sul naso gli occhiali. «Henry Fox» lo aiutò Michelle. «Questo Fox» intervenne Sean «in pratica ringrazia Monk per averlo aiutato a tornare in Germania.»
Horatio sollevò lo sguardo in cima alla lettera. «La data è di quasi un anno fa, prima cioè che Monk partisse per l'Inghilterra e la Germania.» «O quanto meno che partisse per l'ultima volta per l'Inghilterra e la Germania» puntualizzò Sean. «Ora leggi le ultime due righe.» Horatio lesse a voce alta. «"Come d'accordo, adesso che mi hai aiutato ricambierò il favore. Ho quello che sai, ed è a tua disposizione quando verrai a trovarmi."» Sollevò lo sguardo. «Fox, quindi, aveva qualcosa da dare a Monk Turing in segno di ringraziamento per essere stato aiutato a tornare in Germania.» «Così sembra» disse Michelle. «E Monk è andato in Germania a prendersela. Già che c'era ha fatto un salto in Inghilterra per ricostruire le tappe della biografia di Alan Turing.» «Che cosa ha preso da Fox?» «Ancora non lo sappiamo» ammise Michelle. «Monk quindi aveva aiutato Fox a tornare in patria. Ma Henry Fox non mi sembra un nome tedesco.» «Ho una teoria ma sono in attesa di una conferma» annunciò Sean in tono misterioso. E sollevò la foto, sulla quale si vedevano tre persone sedute sui gradini di una scalinata davanti a un grosso edificio. Uno dei tre era Monk Turing, accanto a lui sedeva Viggie molto più piccola. La terza persona era un ometto avanti negli anni dalla barba bianca e dagli occhi azzurri e scaltri. In basso si leggeva una data. «È stata scattata più di tre anni fa» disse Michelle. «Viggie mi ha detto che lei e il padre abitavano a quell'epoca in un appartamento di New York, e non avevano amici a parte un vecchio che parlava sempre a suo padre di cose del passato. E ha aggiunto che questo vecchio aveva un modo buffo di parlare.» «Probabilmente parlava con accento tedesco» ipotizzò Sean. «Quindi il vecchio nella foto potrebbe essere Henry Fox.» «Giusto, e questo spiegherebbe tante cose senza però dirci cos'è che Fox dette a Monk.» «Viggie mi ha raccontato che questo vecchio a volte scriveva una serie di lettere su un foglio di carta e poi sfidava Monk a decifrarle, immagino» aggiunse Michelle. Intervenne Horatio. «Aspettate un attimo. Secondo South Freeman i militari avevano posto il segreto sulla presenza di quei prigionieri tedeschi perché alcuni di loro avrebbero potuto essere a conoscenza del codice Enigma. Dopo la chiacchierata con South ho consultato qualche testo di sto-
ria. Ciascuna delle forze armate tedesche aveva una diversa variante del codice Enigma, e quello della Marina era considerato il più inaccessibile. I nostri amici inglesi di Bletchley Park, compreso Alan Turing, non riuscivano nemmeno a intaccarlo e nel frattempo i tedeschi con i loro U-boat stavano facendo una carneficina degli Alleati nella Battaglia dell'Atlantico. Poi, un giorno, gli Alleati riuscirono a entrare in possesso di alcuni codici della Marina tedesca: questo fu sufficiente perché gli studiosi di Bletchley Park facessero il miracolo, capovolgendo le sorti della guerra.» «Tutto questo che aiuto ci dà?» chiese Michelle. «South mi ha detto anche che le sorti della guerra nell'Atlantico si volsero in favore degli Alleati dopo che quei prigionieri di guerra tedeschi erano stati internati a Camp Peary. Erano gli equipaggi di navi e sottomarini affondati, e questo significa che i prigionieri di Camp Peary avrebbero potuto avere i cifrari del codice Enigma della Marina tedesca e altro materiale d'intelligence, requisito e sfruttato dagli Alleati.» «Quindi pensi che Henry Fox possa essere stato uno di quei prigionieri di guerra?» gli chiese lentamente Michelle. «Ha l'età giusta, parla presumibilmente con accento tedesco, scrive codici su pezzi di carta e racconta della guerra. Sì, credo ci siano molte probabilità in questo senso.» «Per questo ho voluto parlarti» gli disse Sean. «Dobbiamo scoprire che cos'è che Fox ha dato a Monk Turing, dopo averglielo annunciato in questa lettera.» Horatio sembrava perplesso. «Lo chiedi a me? Come faccio a sapere che cosa gli ha dato Fox?» «Viggie ha lasciato lettera e foto sul letto di Michelle che dormiva. Credo che l'abbia fatto perché si fida di lei.» «Okay, ma io che c'entro?» «È possibile che Turing abbia lasciato questo materiale alla figlia, raccomandandole di darlo soltanto a qualcuno di cui si fidasse ciecamente?» Horatio annuì. «È più che plausibile. Viggie è molto intelligente ma ha la propensione a farsi manipolare, a volte è capace di darti qualsiasi risposta tu le metta in testa. Me ne sono accorto quando le ho parlato.» «Ma, dopo avere ricevuto questo materiale, Michelle è andata a parlarci e lei si è chiusa a riccio. Si è perfino rifiutata di ammettere di averle portato quella busta. Come te lo spieghi?» Horatio rimase per un po' in silenzio, poi parlò molto lentamente. «Anche se può sembrarvi assurdo, credo che Monk Turing non si sia limitato a
manipolare la figlia ma l'abbia addirittura programmata.» «Programmata?» esclamò Michelle. «Lo sospettavo già e quello che ora mi dite mi fa pensare di esserci andato vicino. Credo, cioè, che quel padre così brillante abbia dato alla figlia così brillante, ma anche un po' ingenua, certe informazioni, addestrandola a riferirle a terze persone soltanto in presenza di determinate circostanze. Viggie ha suonato quella canzone a Michelle perché Michelle era stata carina con lei e la ragazzina ha capito che poteva fidarsi. Poi Michelle ha rischiato la vita per salvarla e la fiducia di Viggie è ulteriormente aumentata al punto da indurla a fornirle altre informazioni.» Horatio guardò Michelle. «È curioso, però, che ti abbia dato quel materiale dopo la faccenda del fuoristrada rimesso in ordine.» «Fuoristrada rimesso in ordine? Di che stai parlando?» gli chiese Sean. «L'abbiamo rimesso in ordine io e Viggie» si affrettò a rispondere Michelle, evitando lo sguardo indagatore di Sean. «Comunque, non credo di doverle salvare un'altra volta la vita, o quanto meno spero di non trovarmi nella necessità di farlo. Che cosa devo fare, quindi, per convincerla a consegnarmi dell'altro materiale?» «È una risposta che non so darti.» Sean ci pensò su. «Siamo quindi a un punto morto, a meno che Joan non scopra qualcosa o che Alicia non riesca a decifrare quella musica.» S'infilò in tasca lettera e fotografia, si stiracchiò e sbadigliò. «Visto che ci siamo svegliati di buon'ora potremmo andarcene a fare colazione.» Michelle guardò l'ora. «Va bene, ma sbrighiamoci. Alle nove viene a prendermi Champ per farmi fare quel giro in aereo.» «Ci vai lo stesso?» le chiese brusco Sean. «Sì, ci vado lo stesso.» «Ma non ha un alibi per l'ora in cui Len Rivest è stato ucciso.» «Escluderei che riusciremo a ottenere informazioni utili da persone innocenti. È molto più logico, quindi, darsi da fare con quelle che crediamo possano essere colpevoli.» «L'istinto mi dice che conviene lasciarlo stare, quel Champ.» «Ah sì? Be', il cervello mi dice che non possiamo permetterci di lasciarlo stare.» Horatio si voltò verso Sean. «A te la replica, a meno che non voglia dare ragione alla signora.» «Ma chiudi il becco» esclamò lui, salendo in macchina. Horatio si rivolse allora a Michelle. «Sant'Iddio, si può essere più ovvi di
così?» «Più ovvi?» chiese lei perplessa. Horatio alzò gli occhi al cielo, sospirò e salì a bordo. 72 Nella tarda mattinata Horatio telefonò a South Freeman, per due motivi. Anzitutto, per vedere se quello avesse un elenco dei prigionieri tedeschi internati a Camp Peary durante la Seconda guerra mondiale. Freeman scoppiò a ridere. «Ma certo che ce l'ho, è proprio qui sulla scrivania. Il Pentagono non voleva darmelo e così me ne sono andato alla CIA e le barbe finte me ne hanno stampato una bella copia, chiedendomi poi se mi interessasse mettere le mani su qualche altra cagata segreta.» «Devo evidentemente considerare questa risposta un "no"» commentò Horatio. E allora gli chiese se conoscesse qualcuno nel Tennessee, più precisamente nella zona dove era cresciuta Michelle, che possedesse un giornale locale. E stavolta lo psicologo centrò il bersaglio. «Sì, conosco un certo Toby Rucker, manda avanti un piccolo settimanale in un paesino a un'ora di auto a sud di Nashville.» E, quando udì il nome del paesino, Horatio cadde quasi dalla sedia: perché era lo stesso dove era vissuta Michelle. «Perché lo vuole sapere?» «Devo fare qualche domanda sul conto di qualcuno del posto, che è scomparso una trentina di anni fa.» «Be', Toby abita lì da oltre quarant'anni e quindi dovrebbe saperle dire qualcosa, se quella faccenda a suo tempo finì sui giornali.» Freeman gli dette il numero. «Lo chiamo subito per avvisarlo che gli telefonerà.» «La ringrazio, South. Davvero.» «Fa bene. E non dimentichi il nostro accordo: l'esclusiva, o la strangolo!» «Certo.» Horatio riattaccò, lasciò passare venti minuti e chiamò quel numero. Toby Rucker rispose al secondo squillo. Certo, aveva appena parlato con South Freeman, era a sua disposizione. Horatio gli spiegò che cosa voleva sapere e quello gli assicurò che si sarebbe informato. Terminata quella conversazione, Horatio udì uno strano rumore proveniente dall'alto. Allora sporse il capo dalla finestra della sua stanza e vide che si trattava di un elicottero in volo sopra Babbage Town. E mentre l'eli-
cottero si allontanava lui pensò a Michelle che in quel momento si trovava a qualche migliaio di metri di quota in compagnia di qualcuno del quale evidentemente Sean King non si fidava. Al punto da chiedergli un favore che Horatio aveva subito promesso di fargli. «Torna tutta intera, Michelle» mormorò. «Abbiamo ancora tanto di cui parlare.» Il decollo era andato liscio come l'olio. Il Cessna Grand Caravan era molto spazioso oltre che lussuoso e poteva ospitare quattordici persone, compresi il pilota e il suo secondo. E a parte questo, le assicurò Champ, era equipaggiato con gli strumenti di comunicazione e di navigazione più avanzati. «Porta molta gente a fare questi voli?» gli chiese lei. «Preferisco il volo in solitario. Perché mi piace riflettere, quassù» si affrettò ad aggiungere. Michelle si voltò a guardare i sedili. «Sembra sprecato, allora, tutto questo spazio.» «Chissà, se le cose si mettessero davvero bene potrei comprarmi un jet tutto mio.» «Lei non mi sembra il tipo che adora i beni materiali.» «Non lo sono, infatti; se mi sono dedicato alla scienza è perché mi piace venire a capo delle cose. Ma ora si stanno complicando» e non mi riferisco a quelle della scienza.» E rimase in silenzio. «Via, Champ, mi racconti.» Lui guardò dal finestrino. «I computer quantistici hanno un potenziale enorme, nel bene e nel male.» «Quello che ha inventato la bomba atomica avrà sicuramente avuto le stesse preoccupazioni.» Champ ebbe un fremito. «Possiamo cambiare argomento, per favore?» «D'accordo. Mi faccia vedere quello che sa fare questo piccolo, vecchio aereo.» Lui fece compiere al Cessna, con una certa facilità, una ripida cabrata. Poi eseguì alcune picchiate controllate, attraversò compatti banchi di nubi e azzardò perfino una giravolta. Michelle non fece una piega, nel suo lavoro si era trovata a bordo di qualunque mezzo con le ali e nelle peggiori condizioni immaginabili. Champ indicò un punto in basso. «Quello è il tristemente famoso Camp Peary, se ci avviciniamo ancora rischiamo di essere abbattuti.»
«Possiamo almeno volare un po' più basso?» Lui scese a seicento metri e prese a girare attorno al perimetro mentre Michelle cercava di prendere mentalmente nota di tutti i particolari. «Non possiamo avvicinarci, quindi?» «Dipende dalla sua disponibilità a correre rischi.» «È scarsa. Anche la sua, immagino.» «È strano, ma da quando la conosco sono più propenso ai rischi.» Spostò la cloche a sinistra, ridusse la velocità e l'aereo seguì una linea retta percorrendo in pratica il tracciato del fiume York. «Più di così non possiamo proprio avvicinarci, se non vogliamo trovarci un missile nel sedere» le disse Champ. Michelle intravide la banchina dalla quale presumibilmente Ian Whitfield saliva sul suo gommone e, subito dopo, quelli che sembravano i depositi di carburante che Sean le aveva indicato sulla mappa satellitare: dall'alto somigliavano a una serie di scatoloni di cemento allineati. A nord si notava l'immissario dello York che sembrava tagliare a metà Camp Peary e, ancora più a nord, l'enorme pista di decollo e atterraggio. Poi fece scorrere lo sguardo sui vecchi agglomerati descritti da South Freeman, su una vecchia casa di mattoni, su un laghetto. E, a sud di Camp Peary, le apparvero il Centro di Rifornimento Navale e l'Arsenale. «I federali l'hanno isolata bene questa zona» commentò. «Proprio così.» Virò sulla destra, sorvolò lo York tenendosi a seicento metri di quota e superò una delle campagne più pittoresche che Michelle avesse mai visto. «È bella» osservò lei. «Davvero bella.» Champ la fissò, poi distolse rapidamente lo sguardo. «Dai, Champ, è la ragazza che arrossisce in questi casi.» Lui guardò fuori dal finestrino. «Una volta ho portato in aereo Monk.» «Davvero? Voleva vedere qualcosa in particolare?» «No, ma mi chiese di volare basso sul fiume.» In modo da fare una ricognizione di questi posti, come la sto facendo io, pensò Michelle. «Ehm... vuole prendere i comandi?» Lei afferrò la cloche e la spostò lentamente, prima a sinistra e poi a destra. «Possiamo salire un po'?» «Può arrivare a duemilacinquecento metri, ma lo faccia gradualmente.» Il muso dell'aereo si sollevò, riabbassandosi quando fu raggiunta la quota di duemilacinquecento metri.
«E se provassi una picchiata controllata? Come quella che ha fatto lei?» Champ la guardò leggermente nervoso. «Come? Ah, certo.» Lei spinse la cloche avanti e il muso dell'aereo si abbassò, poi si inclinò ulteriormente. Michelle vide la terra venire loro incontro a velocità folle, ma tenne la cloche in avanti. E all'improvviso la sua mente venne attraversata dai flash degli incubi che la tormentavano da quasi trent'anni. Una bambina impietrita, ma quale bambina? Lei? Nemmeno con gli occhi della mente riusciva a esserne certa, eppure il terrore che provava in quel momento era reale. Stavano scendendo quasi a perpendicolo e ciò nonostante Michelle sembrava non accorgersi dell'ago dell'altimetro in caduta verticale e non udire la sirena d'allarme che si era messa a ululare nell'abitacolo. Né vide Champ che tentava freneticamente di tirare indietro la cloche davanti a lui, gridandole di lasciargli i comandi prima che si schiantassero al suolo. Non riusciva a togliere le sue mani dalla cloche, quasi che fosse attraversata da una forte corrente elettrica. «Addio, Sean» udì se stessa dire per la seconda volta. Finché la nebbia della sua mente fu perforata da un grido. «Lasci!» Lei si voltò e vide Champ che, cereo in volto, tentava con tutte le sue forze di tirare indietro la cloche, di sottrarli a quella spirale di morte. Allora tolse di scatto le mani dal volantino e Champ riuscì a raddrizzare l'aereo e a farlo atterrare anche se a balzelloni, con il carrello che toccò due volte la pista prima di posarsi definitivamente. Il Cessna rullò fino a fermarsi e per qualche minuto ciascuno di loro udì soltanto il respiro affannoso dell'altro. Poi Champ la guardò. «Sta bene?» Michelle sentì l'acido che le risaliva dall'esofago. «Per una che è quasi riuscita ad ammazzarci tutti e due sto bene, sì.» «So di altri che sono rimasti bloccati ai comandi. Mi spiace, non avrei dovuto lasciarle la cloche.» «Non ha fatto nulla di male, Champ. Mi dispiace, mi dispiace veramente.» Si stavano dirigendo a piedi verso la Mercedes di Champ quando furono affiancati da una motocicletta, la Harley di Horatio Barnes. Ma non era Horatio il motociclista. «Bella giornata per volare, vero?» chiese Sean King, togliendosi il casco. «Che ci fai qui?» gli chiese Michelle. Luì le lanciò un altro casco. «Andiamo.» «Grazie per la lezione di volo, Champ. Ma in questo momento non me la
sento di mangiare, scusi.» E si mise a cavalcioni della moto alle spalle di Sean. Uscirono dal terminal dei voli privati e, un paio di minuti dopo, lei chiese a Sean di fermarsi. «Qualcosa non va?» «Fermati e basta.» Lui accostò e si fermò e immediatamente Michelle corse a vomitare dietro una macchia di alberi. Tornò un minuto dopo pallida come un cadavere, si pulì la bocca e riprese posto lentamente. «Cielo burrascoso, oggi?» le chiese Sean. «No, tutta colpa di un errore umano» rispose lei lentamente. «Allora, che ci fai sulla preziosa Harley di Horatio?» «Mi sono fatto una passeggiata.» «E, guarda la coincidenza, sei arrivato alla pista proprio mentre noi atterravamo.» Lui si voltò, inviperito. «E quello lo chiami un atterraggio? Stavate venendo giù a palla, credevo che il motore vi avesse piantato. Ho rischiato l'osso del collo per arrivare in tempo, anche se ero sicuro che avrei dovuto raschiarti via dalla pista! Ma che diavolo è successo, lassù?» «Qualche problema al motore, ha risolto tutto Champ.» Mentirgli la faceva sentire male, ma si sarebbe sentita ancora peggio se gli avesse detto la verità. E, comunque, qual era la verità? Che lei si era all'improvviso bloccata e stava per uccidere se stessa e una persona innocente? «Non avevi parlato di errore umano?» «Lasciamo stare. Ogni atterraggio che ci lascia vivi è un grande atterraggio.» «Scusa se mi sono preoccupato.» «Quindi, te ne sei andato in moto per la campagna con il naso in su, guardandoci volare?» «Te l'avevo detto che non volevo tu salissi in aereo con quel tipo.» «Credi che non sappia cavarmela da sola?» «Senti, risparmiami queste stronzate. Stavo solo...» Lei gli dette un pugno sul casco. «Sean?» «Che c'è?» «Grazie.» «Prego.» Michelle circondò con le braccia il socio, dal quale non si sarebbe voluta staccare per nessun motivo. Non era mai stata tanto terrorizzata in vita sua
e stavolta a terrorizzarla non era stato un nemico esterno. Ma se stessa. 73 Sean si fermò davanti all'entrata del bed and breakfast dove si era stabilito in un primo tempo Horatio. «Joan mi deve mandare del materiale via fax» le spiegò. Ritirati i documenti si trasferirono in un ristorante poco distante. Lo stomaco di Michelle nel frattempo si era calmato e lei poté associarsi all'ordinazione di panini e caffè: poi gli raccontò di Monk che aveva chiesto a Champ di portarlo a fare un volo. Mentre mangiavano esaminarono le pagine del fax di Joan. «Monk è stato a Wiesbaden» le disse a un certo punto Sean. «Come hanno fatto a scoprirlo così in fretta?» «L'agenzia di Joan è affiliata con una di Francoforte, e i tedeschi sono riusciti a ricostruire gli spostamenti di Monk grazie alle ricevute della carta di credito. Con la quale, tra l'altro, aveva comprato quel boccale da birra regalato poi a Champ.» Guardò altri fogli. «Questo è l'elenco che le avevo chiesto, quello dei prigionieri tedeschi internati a Camp Peary durante la Seconda guerra mondiale.» «E come ha fatto a procurarselo tanto velocemente?» «Uno dei megadirigenti della sua società è un ex contrammiraglio che a suo tempo è stato anche direttore della NSA, e ha potuto saltare tutte le lungaggini burocratiche. Questo elenco, tra l'altro, non è più segretato e probabilmente stava raccogliendo polvere in qualche ufficio del Pentagono.» Esaminarono l'elenco. Accanto a ogni nome era segnata la data della cattura, il grado e che fine avesse fatto successivamente il prigioniero. «La maggior parte di loro, come vedi, è stata rimessa in libertà dopo la fine della guerra oppure è morta durante la prigionia» le disse Sean. «Ma non vedo nessun Henry Fox in questo elenco.» «Aspetta un momento, guarda qui.» Michelle gli indicò una casella vuota. «Qui non si dice che fine abbia fatto questo pri-gioniero.» Sfogliò le pagine. «Ed è l'unico.» Sean lesse il nome. «Heinrich Fuchs.» «Heinrich Fuchs» ripeté Michelle lentamente. «In inglese sarebbe Henry Fox.» Sean la fissò. «Probabilmente hai ragione, e per un semplice motivo.»
«Cioè?» «Perché sono pronto a scommettere tutto ciò che ho, per quanto poco possa essere, che Heinrich Fuchs era un marconista della Marina tedesca ed è stato l'unico a evadere dalla prigione militare che è poi diventata Camp Peary della CIA. Ecco perché è rimasta in bianco la casella sul dopo-prigionia, la nostra Marina non poteva ammettere che un prigioniero fosse evaso.» Michelle trattenne il fiato. «È scappato e ha cambiato il none in Henry Fox?» «E si è trasferito a New York, si è rifatto una vita, è invecchiato e si è trovato ad abitare nello stesso palazzo di Monk e Viggie Turing.» Si alzò di scatto. «Andiamo, dobbiamo vedere Viggie.» «Perché?» «Se, come sostiene Horatio, la ragazzina è stata programmata, il nome Heinrich Fuchs potrebbe essere la chiave che le serve per dirci qualcosa di più. O magari per dirci tutto.» Arrivati a Babbage Town si precipitarono all'aula di Viggie. Che pero non c'era. «Ha detto che aveva la febbre» spiegò loro l'insegnante. «Gliel'ha detto personalmente?» le chiese Sean. «No, ha mandato un biglietto. L'ho trovato sulla scrivania stamattina, quando sono arrivata.» Pochi minuti dopo Sean e Michelle salivano di corsa i gradini del cottage di Alicia ed entravano in casa. «Viggie! Viggie!» la chiamò Michelle. Salì la scala interna e spalancò la porta della stanza di Viggie, che però era vuota. Allora tornò giù e con Sean cercò la bambina per tutto il cottage. «Nessuna traccia» disse lui, in preda al panico. «Dove diavolo è finita la guardia che doveva proteggerla?» chiese Michelle. In quel momento la porta del cottage venne aperta da fuori ed entrò Alicia, che aveva in mano un fascio di carte e sembrava stanchissima. Li guardò, sorpresa di vederli lì, poi parlò in tono di rimprovero. «Statemi a sentire, voi due. Ho sottoposto quelle maledette note musicali al vaglio del programma più potente dei nostri computer, ho ipotizzato ogni possibile configurazione, ottenendo risultati incomprensibili. Quindi, delle due l'una: o il codice supera le nostre possibilità di decifrazione oppure non è un codice, ed è quest'ultima la conclusione alla quale sto velocemente arrivando.
Ho scoperto comunque il nome della canzone, si tratta di Shenandoah, un motivo dell'Ottocento: e ha un testo, delle parole, non molte e non particolarmente belle ma le ha. Allora ho avuto una geniale intuizione, ho pensato cioè che il codice che cercavo sfruttasse proprio quelle parole. Le ho elaborate in ogni combinazione possibile e provate un po' a indovinare: ho fatto un altro buco nell'acqua.» Quelli rimasero a guardarla in silenzio, e questo silenzio la insospettì. «Che cosa c'è?» «Dov'è Viggie?» le chiese, calma, Michelle. Alicia guardò l'ora. «A scuola, dalle otto di stamattina.» «E invece non c'è, Alicia» l'informò Sean. «L'insegnante stamattina si è trovata sulla scrivania un biglietto nel quale le comunicavano che la ragazzina aveva la febbre.» Lei lanciò loro uno sguardo indagatore. «Sono stata in piedi tutta la notte a cercare di venire a capo di questa immondizia, toccava a voi badarle.» «Stamattina stava bene» le spiegò Michelle. «È venuta in camera mia poco prima dell'alba, poi se n'è tornata nella sua stanza.» «E poi?» Sean e Michelle si guardarono. Rispose lui, chiaramente a disagio. «Poi siamo usciti per seguire certe piste.» «Lasciandola sola! Avete lasciato sola Viggie? Un'altra volta!» «Pensavamo che tu fossi in casa» le spiegò Michelle. Alicia fece volare in aria le sue carte. «Pensavate che fossi in casa? E come facevo a essere in casa con questo casino che mi avevate lasciato da decifrare?» Respirò affannosamente. «L'uomo di scorta avrebbe dovuto accompagnarla a scuola, era uno nuovo che avevano mandato su mia richiesta dopo che quello scemo del precedente l'aveva lasciata andar via da sola rischiando di farla annegare.» Sean la guardò incuriosito. «A chi l'avevi chiesta la nuova scorta?» «A Champ.» Intervenne Michelle. «Champ è venuto a prendermi stamattina alle nove per portarmi a volare.» «Ma di che stai parlando? A volare?» «Calmati, Alicia» le raccomandò Sean. «Viggie potrebbe essersene andata da sola.» «E guarda che cosa le è successo l'ultima volta che l'ha fatto!» «Ha ragione, Sean. Vado a cercarla al fiume.» «E io mi faccio dare una squadra dalla Sicurezza e comincio a cercarla
via terra.» Uscirono, lasciando Alicia a guardare sconsolata le sue carte sparse sul pavimento. 74 Viggie non era sul fiume, non mancava nessuna imbarcazione. E una ricerca a Babbage Town non aveva dato frutti. Il biglietto fatto avere all'insegnante era stato scritto al computer ma nessuno aveva visto chi l'aveva portato. L'uomo della sicurezza assegnato alla scorta della ragazzina disse che quella mattina si era presentato al cottage qualche minuto prima delle otto e aveva trovato sulla porta un biglietto, con il quale lo si informava che Viggie aveva la febbre e non sarebbe andata a scuola: e quindi se n'era andato. Mostrò il biglietto in questione, anche quello era stato scritto al computer. Impossibile risalire all'autore. «Quindi potrebbe averlo scritto chiunque» disse Sean. Si trovava a Babbage Town con Michelle e Horatio, che si era appena unito alle ricerche di Viggie. Avevano perlustrato la zona con lo sceriffo Hayes e una squadra di volontari, ma alla fine non si era riusciti a scoprire nessun indizio su che cosa fosse successo alla bambina. Accanto a loro si fermò una berlina nera. «Oh merda!» esclamò Sean. «Non lui, non ora.» Dall'auto scese l'agente speciale Ventris. «Ho saputo che vi siete persi la bambina. Di nuovo!» «Che cosa vuole, Ventris?» gli chiese Sean. «Voglio che ve ne andiate da qui, la vostra presenza si è rivelata controproducente.» «E lei cos'ha prodotto, esattamente? A parte la confusione?» Michelle gli poggiò una mano sulla spalla. «Stai calmo, è un agente federale» biascicò. Ventris la udì ugualmente. «Dia retta alla sua amica. Se la bambina è stata rapita la ritroveremo, è una specialità dell'FBI.» «La ritroverete viva o morta?» gli chiese acido Sean. Ventris rientrò nella berlina e si allontanò, seguito dallo sguardo ostile di Sean. «Figlio di puttana!» gli gridò dietro. Intervenne Horatio. «Okay, credo che dovremmo tutti riprendere fiato e darci una bella calmata.»
«Non voglio riprendere fiato e calmarmi, voglio prendere a calci in culo l'agente speciale Ventris dei miei coglioni.» «Fai pure, sfogare pensieri violenti può avere un effetto positivo» disse Horatio, che sembrava però a disagio. Voltarono il capo tutti e tre sentendo il rumore di una serie di pullman che si fermarono al cancello e poi furono fatti entrare. Sean e Michelle corsero dall'uomo della sicurezza di guardia al cancello. «Che succede?» «Stiamo evacuando Babbage Town, almeno per il momento.» «Perché?» gli chiese Michelle. «Due morti misteriose e adesso una ragazzina scomparsa, quelli che lavorano qui e i loro familiari sono spaventati. Saranno trasferiti a Williamsburg fino a quando le cose non si sistemeranno.» «E chi ha dato l'ordine?» domandò Sean. «L'ho dato io.» Champ Pollion si stava dirigendo verso di loro. «Ho sbagliato, forse?» «Noi possiamo fermarci?» gli chiese Sean. «No. Se a qualcuno succede qualcosa non voglio prendermene la responsabilità.» E si voltò per andarsene. «Dove sta andando?» volle sapere Michelle. «Lascio anch'io Babbage Town. Nemmeno la scoperta dei computer quantistici vale la mia vita.» 75 Due ore più tardi Babbage Town era vuota, fatta eccezione per alcune guardie. Michelle e Sean avevano continuato a cercare la bambina scomparsa, mentre Horatio era andato in camera a fare il bagaglio. Anche loro due, tornati al cottage, stavano facendo le valigie quando Sean ricevette una telefonata da Hayes. «È come se quella bambina fosse scomparsa dalla faccia della terra» fu il banale commento dello sceriffo, il quale aggiunse però qualcosa che rischiò di far cadere il telefono dalle mani di Sean. «È intervenuta anche la CIA, ma senza alcun risultato.» «La CIA?» «Sì, Ian Whitfield mi ha detto di avere saputo della scomparsa di Viggie e ha mandato alcuni dei suoi. Che però non hanno trovato nulla.» «Accidenti, e chi l'immaginava che quelli della CIA avessero un cuore
d'oro?» Sean chiuse la conversazione e poi, disgustato, lanciò il cellulare sul letto e passò nella stanza di Michelle per riferirle quello che aveva appena saputo dallo sceriffo. «Dobbiamo passare a prendere Horatio e toglierci dai piedi» gli ricordò lei. Per tutta risposta Sean si mosse nell'altra direzione. «Dove stai andando?» «Al molo, a riflettere. Vieni, passeremo a prendere Horatio più tardi.» Attraversarono la foresta, raggiunsero la rimessa delle barche e si sedettero sull'imbarcadero. «Ma dove può essere finita Viggie?» si chiese Michelle avvilita. «Dove?» Sean stava scrutando la sponda opposta. «Credo che si trovi lì» le rispose, indicandole Camp Peary. «Credo sia finita nello stesso posto in cui il padre è stato ammazzato.» «Quindi l'aiuto offerto da Whitfield era soltanto una messa in scena?» Lui annuì. «Allora pensi che sia morta?» «Non è una bella faccenda.» «Ma perché, Sean? Perché Viggie?» «Perché il padre le ha confidato certe cose, Michelle. Lei ha detto certe cose a noi, qualcuno l'ha saputo e adesso questo qualcuno non vuole che lei ci dica qualche altra cosa.» «Ma come hanno fatto a saperlo?» «Sembra che tra Babbage Town e Camp Peary nessun segreto sia destinato a rimanere tale.» Anche lei guardò al di là delle calme acque, calme per il momento quanto meno. «Lo so che stiamo parlando della CIA, Sean. Lo so. Ma ammazzare una bambina...?» «Stai scherzando, voglio sperare. In nome della sicurezza nazionale quelli ammazzerebbero anche la loro nonna.» «Che cosa potrebbe avere trovato Monk Turing da scatenargli contro la CIA? E da rendere poi necessario il rapimento di Viggie?» «Non sono evidentemente abbastanza intelligente da capirlo in base a quel poco che so, ma di una cosa sono certo. Monk è stato assassinato e la stessa fine ha fatto Len Rivest. Non conosco ancora il movente, a ucciderli potrebbero essere state persone e organizzazioni diverse, e per motivi diversi; che sono stati uccisi, però, è poco ma sicuro. E Monk Turing conosceva un vecchio che con molta probabilità era stato prigioniero a Camp Peary e gli aveva raccontato qualcosa su quel posto. Qualcosa che ha in-
dotto Monk ad andarci. E a morirci.» «Quindi Henry Fox riuscì a fuggire da Camp Peary mentre Monk invece non ce l'ha fatta. Assurdo, vero?» «Sembra anche a me» disse Sean, demoralizzato. «E adesso Viggie.» Michelle ingoiò un singhiozzo e lui le passò un braccio sulle spalle. «Mi dispiace, Michelle. Stavolta ho proprio incasinato tutto.» «Siamo stati tutti e due a lasciarla sola, Sean. Tutti e due.» Lui sembrava pensieroso. «Stamattina siamo usciti dal cottage verso le sei ed era ancora quasi completamente buio, mentre Alicia stava lavorando a quel codice nella Capanna 1. Quindi, dopo la nostra uscita, chiunque avrebbe potuto entrare e portarsi via Viggie: e con un motoscafo veloce si arriva a Camp Peary nel giro di qualche minuto.» Mentre parlava le lacrime scendevano sulle guance di Michelle. Sean le porse un fazzoletto e lei si asciugò gli occhi. «E adesso?» gli chiese. «Adesso vado a scavalcare quella recinzione.» Lei gli si staccò di dosso. «Che cosa?» «È l'unico modo, Michelle. Ho combinato un guaio e Viggie è rimasta senza protezione, quindi non posso starmene seduto a non fare niente. Devo tentare di salvarla.» «Okay, quando vuoi che ci muoviamo?» «Tu non vieni.» «E allora non ci vai nemmeno tu.» «Michelle, non posso permettertelo. Potrei sbagliarmi su tutta la linea e non ti lascerò buttare via la tua vita.» «Ma quale vita, Sean? Certi giorni non so nemmeno chi sono e in questo momento l'unica vita a cui tengo è quella di Viggie Turing. Quindi, se scavalcherai quella maledetta recinzione la scavalcherò anch'io.» La fissò, in parte inorgoglito da quel suo rifiuto di abbandonarlo e in parte spaventato al ricordo degli ammonimenti di Joan e Horatio. «Il volo della CIA atterrerà domani sera, Sean» continuò lei. «Pensi che potrebbero caricarci sopra Viggie e farla sparire? In questo caso forse la terranno viva fino a domani sera.» Non le rispose e tenne lo sguardo sul fiume. Voleva davvero sfidare gente del calibro di Ian Whitfield? Voleva davvero regolare i conti con quel tipo? La risposta era "no". E, naturalmente, "sì". Un'idea interruppe all'improvviso i suoi pensieri. «Vieni!» disse a Mi-
chelle. 76 Toby Rucker richiamò Horatio mentre lo psicologo stava preparando il bagaglio. «Missione compiuta» gli disse. «Più o meno nel periodo che mi ha indicato un'auto abbandonata è stata trovata nelle Smoky Mountains, a circa un'ora da qui. All'epoca ero un cronista free lance e adesso, dopo essermi andato a riguardare in archivio la notizia, mi ricordo abbastanza bene.» «A chi era intestata quell'auto?» «A un sergente dell'Esercito, William Joyner, che era in forza al locale Centro di arruolamento prima che lo chiudessero. Stiamo parlando della fine degli anni Settanta.» «E che fine fece questo sergente?» «Non lo sa nessuno, trovarono l'auto ma non lui. Le indagini furono condotte dalla polizia del posto, in collaborazione con l'Esercito, ma non dettero alcun risultato.» «Joyner era sposato?» «No. Aveva circa trent'anni ed era entrato nell'Esercito a diciotto. Lo mandarono a combattere in Vietnam, poi lui decise di rimanere nell'Esercito ed era tornato negli Stati Uniti da circa sei anni quando scomparve.» «Storie sentimentali? Una ragazza?» gli chiese Horatio con una certa esitazione. «Nei ritagli d'archivio non se ne parla. Perché, a lei risulta qualcosa?» «No» rispose subito. «Posso chiederle perché le interessano queste notizie? South non mi ha detto niente.» «Diciamo che sono un curiosone. Le indagini, quindi, finirono a suo tempo in un vicolo cieco?» «Succede spesso quando non si trova il cadavere, ammesso che ci fosse un cadavere. Perché, a quanto ne sappiamo, quel Joyner potrebbe essersi stancato dell'Esercito e aver deciso di sparire dopo aver trovato un'occupazione più soddisfacente. Succede.» Horatio lo ringraziò e riagganciò. Questo William Joyner, quindi, avrebbe avuto una storia con la moglie di Frank Maxwell e poi sarebbe scomparso. Il suo corpo, se il sergente fosse effettivamente stato ucciso, non era stato mai ritrovato. Che cosa aveva visto Michelle, tanti anni prima? Cosa
l'aveva ridotta in quello stato? Horatio capì che avrebbe dovuto cercare una risposta solamente dentro Michelle: perché sapeva che, pur se la mente razionale di lei aveva tanti anni fa sepolto quel ricordo, il subconscio non avrebbe mai dimenticato. Sean e Michelle presero alcuni attrezzi dal box nascondendoli dentro un borsone, poi andarono alla residenza e spiegarono alla guardia che si recavano da Horatio. «Lasciamo Babbage Town, come ci ha detto di fare Champ.» La guardia li lasciò entrare e loro corsero all'ultimo piano e raggiunsero la stanza in fondo al corridoio, quella occupata da Sean nei primi giorni. Una volta dentro si misero a osservare la parete dietro la quale, secondo i calcoli di Viggie, si sarebbe dovuta trovare la stanza segreta. Ammesso che ci fosse. «Deve esserci un passaggio da qualche parte, ma non abbiamo il tempo di cercarlo» disse Sean. Attaccarono entrambi metodicamente il muro con i loro attrezzi aprendovi un largo foro, e Sean illuminò l'interno con una torcia elettrica. «Maledizione!» «Che cosa c'è?» «Vedrai. Svelta!» Attaccarono ancora il muro con rinnovata energia, poi passarono attraverso l'apertura e si trovarono di fronte a una parete piena di strumenti elettronici. Sulla parete di fronte si vedeva qualcosa di simile a una porta. Sean la indicò a Michelle. «È la porta di accesso dalla stanza accanto, quella chiusa a chiave.» Su un'altra parete c'era una schiera di monitor che mostravano l'interno di tutte le Capanne. «Quella è la 1» indicò Sean. Michelle puntò il dito contro un altro monitor. «E quella è la Capanna di Champ, la 2.» Sulla quarta parete, infine, c'erano numerosi schermi di computer pieni di numeri in movimento. «Stanno registrando di nascosto i dati dei computer nella Capanna di Champ» esclamò Sean. «Len Rivest aveva ragione, quindi. C'è una spia a Babbage Town, una spia elettronica.» Michelle sollevò lo sguardo su una lucina rossa che lampeggiava su uno strumento. «Merda, temo di avere capito di che si tratta» gridò poi.
Uscirono velocemente passando dal foro e corsero verso le scale. «E Horatio?» chiese lei. Sean si bloccò, fece dietrofront e poi si mise a correre lungo un altro corridoio, andando a bussare alla porta di Horatio. E, quando quello aprì, l'afferrò e lo spinse fuori. «Perché corriamo?» gli chiese ansante lo psicologo. «Per evitare la morte» gli rispose Michelle. Bastarono queste parole perché Horatio si esibisse in un'invidiabile dimostrazione delle sue doti di scattista. «Come usciamo da qui? L'ingresso principale è sorvegliato» disse Michelle. «In barca» le rispose Sean. «Venite!» Corsero in direzione della rimessa, dopo avere visto di sfuggita un paio di volte alcuni uomini della sicurezza, nessuno dei quali sembrava però essere stato informato della loro visita alla centrale elettronica segreta. «Ma siamo sicuri che quell'allarme silenzioso funzionasse davvero?» chiese Michelle. «Non credi dovremmo avvertire lo sceriffo Hayes?» suggerì Horatio. Sean non ne aveva alcuna intenzione. «In questo momento non mi fido di nessuno.» Arrivati alla rimessa, Sean forzò il lucchetto del capannone, prese le chiavi del motoscafo e lo calò in acqua. Poco dopo navigavano sul fiume York, a velocità ridotta e a luci spente. «Tenete gli occhi aperti» ordinò Sean. Michelle sembrava perplessa. Lui, seduto ai comandi, se ne accorse. «Che cosa c'è?» «Perché mai Viggie è scesa alla rimessa a prendersi un kayak per poi mettersi a pagaiare in mezzo al fiume?» «Mi hai detto che non te l'ha spiegato, il perché.» «Una volta avevamo preso un kayak e alla fine lei mi disse che non si era mai divertita tanto. Poi avevamo scommesso su chi sarebbe arrivata prima a casa; se avessi vinto io lei avrebbe dovuto parlarmi di codici e sangue. Arrivai prima io, Viggie si seccò un po' e poi corse al piano a suonare come una pazza.» «E allora?» «E allora perché poi è tornata al fiume?» «Può essere leggermente pericoloso, Michelle, tentare di immaginare che cosa Viggie stava pensando» l'avvertì Horatio.
«Perché ho l'impressione che stesse cercando di dirmi qualcosa? Perché penso che stesse tentando di portarmi con lei al molo?» Michelle spinse lo sguardo al di là del fiume, su Camp Peary. «E c'è un altro strano episodio. Viggie all'improvviso mi ha raccontato questa storia.» «Quale storia?» «Mi disse che sapeva che Alan Turing si era ucciso mangiando una mela avvelenata, che le faceva venire in mente la favola di Biancaneve. Ricordate? La regina malvagia si trasforma in una strega, discende il fiume su una barca e convince a mangiare una mela avvelenata Biancaneve, che rischia di morire. Come Viggie ha rischiato di morire sul fiume. Lei aggiunse qualcosa tipo "chi ha la mela è decisamente potente". Perché mi ha detto una frase del genere?» «Non lo so, ma tutto questo come ci aiuta?» le chiese Sean. «Oh mio Dio! La barca? La mela?» esclamò all'improvviso Michelle. Corse accanto al motoscafo e lesse il nome scritto a poppa. The Big Apple, la Grande Mela. «Cioè New York» osservò Sean. «No, cioè la mela di Biancaneve. Forza, dobbiamo buttare all'aria questo motoscafo.» «Perché?» le chiese Horatio. «Aiutatemi, vi prego!» Un'ora dopo tutti e tre fissavano il ripostiglio di poppa. Il foglio arrotolato era stato nascosto proprio lì, dietro alcuni rotoli di carta igienica. «Quel giorno deve essere venuta qui proprio per nascondere questo documento. Pensava probabilmente di darmi un altro indizio o forse di portarmi addirittura il documento come aveva fatto con gli altri, se avessi detto quelle parole magiche. Solo che non ha avuto la possibilità di farlo.» «E il fatto che sentisse il bisogno di trovare un nascondiglio ci fa pensare che era spaventata» aggiunse Horatio. «Gli eventi le stanno dando ragione» osservò Michelle amaramente. Sean sollevò il documento. «È vecchio, risale alla Seconda guerra mondiale. Probabilmente Henry Fox, alias Heinrich Fuchs, lo diede a Monk Turing quando fece quel viaggio in Germania.» «È una piantina» disse Horatio, studiandolo. «Una piantina di Camp Peary o come diavolo si chiamava quando era gestito dalla Marina. Riconosco la topografia, è la stessa della mappa sul muro dell'ufficio di South Freeman» aggiunse Michelle. Sean indicò una linea che partiva dalla sponda del fiume e terminava al
centro della tenuta. «Solo che qui manca l'immissario, deve essere sbagliata.» «Non è sbagliata se la linea non indica un corso d'acqua» gli fece notare Michelle. «Una strada, quindi.» Lei girò il documento. Sul retro spiccavano le iniziali H.F. «Heinrich Fuchs» disse Horatio. «Qui sotto c'è scritto qualcosa, ma è in tedesco.» «Guardate qui» indicò Sean, puntando il dito su un'altra scritta, più recente e chiaramente opera di un'altra mano. «È in inglese e forse l'ha scritta Monk Turing» osservò Michelle. «Guardate, ci sono i quattro punti cardinali, le indicazioni, tutto.» «Già, ma che cosa indica?» Michelle girò nuovamente la piantina. «Indica questa linea, che altro se no? Aspettate un momento: se la tua ipotesi è giusta, Heinrich Fuchs fuggì da Camp Peary, vero?» «Vero.» «E come ci riuscì?» «Non lo so, ma immagino che come prima cosa sia dovuto arrivare al fiume. Se avesse seguito un sentiero o attraversato i campi i cani avrebbero fiutato le sue tracce, l'acqua sarebbe stata quindi la via più sicura. Ma come arrivarci? Anche allora, sicuramente, ci saranno state moltissime guardie.» «Sicuramente, ma solo in superficie» disse lei. «In superficie?» «Quella linea potrebbe rappresentare una galleria nel cuore di Camp Peary. O, nel caso di Heinrich Fuchs, una galleria dal cuore di Camp Peary alla libertà. Un tunnel sotterraneo è da sempre il sistema migliore per evadere.» «Ma perché Monk Turing si sarebbe preso la briga di farsi dare una piantina del tunnel sotto Camp Peary? Alla fine si è fatto ammazzare.» «Non l'hanno ucciso dentro il tunnel, ma devono averlo catturato dopo che ne era uscito. E magari non sapevano nemmeno dell'esistenza della galleria.» «Questo non spiega perché si sia dovuto andare a cacciare lì dentro.» Intervenne Horatio. «Forse Fuchs gli aveva rivelato che c'era qualcosa a Camp Peary Qualcosa di prezioso, non so...» «Mi sembra tutto una follia, ma la scoperta di questa piantina ci fornisce
uno strumento importantissimo. Ci spiega cioè come fare per entrare a Camp Peary.» «Pensi davvero che Viggie sia lì?» «Anche se non ci fosse potremmo trovare qualcosa d'importante, da usare come merce di scambio per farci consegnare Viggie.» «E se mi fossi sbagliata e quelli sapessero dell'esistenza del tunnel?» Sean arrotolò la piantina, guardando serio gli altri due. «In tal caso ho paura che siamo morti.» 77 Decisero di scendere il fiume in barca per andare a prendere le attrezzature ordinate da Sean in vista dell'attacco a Camp Peary, e Sean fece poi fare loro una deviazione per andare a trovare South Freeman. Ma Arch, Virginia, era all'interno e quindi dovettero attraccare la barca a un vecchio imbarcadero e camminare per quasi un chilometro. Con il cellulare di Michelle preannunciarono il loro arrivo e, nonostante l'ora tarda, trovarono South alla scrivania che faceva volare le mani sulla tastiera del computer, fumando come al solito. «Ragazzina scompare da Babbage Town, non si parla d'altro. Roba seria, e oltretutto la piccola è la figlia di Monk Turing. Ci faccio un'edizione straordinaria. Vi prego, fatemi felice e ditemi che questa storia ha a che fare con le barbe finte dall'altra parte del fiume.» «Ha a che fare con una ragazzina che potrebbe essere morta» gli rispose Michelle risentita. «Ma voi giornalisti non vi fermate mai a riflettere?» Lui smise di scrivere, fece girare la poltroncina sulla quale sedeva e la fissò torvo. «Sentite, non ho niente contro quella bambina e prego Dio che la trovino sana e salva e arrestino chi l'ha portata via. Ma una notizia è una notizia.» Michelle distolse disgustata lo sguardo. «Ascolta, South. Hai mai sentito parlare di qualcosa di prezioso che potrebbe trovarsi a Camp Peary?» gli chiese Sean. «Parlo dell'epoca in cui lì dentro c'era la Marina, degli anni della Seconda guerra mondiale.» «Di prezioso? No, che io ricordi. A parte le vecchie case e le strutture della CIA, lì dentro ci sono soltanto alberi e qualche laghetto. Perché?» Sean sembrò deluso. «Speravo mi dicessi che c'è un tesoro sepolto, tipo quelli dei galeoni affondati.» Freeman sorrise. «Esiste, in effetti, una leggenda di questo tipo. Ma è solo una stronzata, credetemi.»
«Parlacene lo stesso, South» lo pregò Horatio. «E perché? Se si trova a Camp Peary, non vi ci potrete nemmeno avvicinare.» «Tu raccontacelo lo stesso» gli disse Sean. Freeman si sistemò sulla poltroncina e cominciò a raccontare la storia. «È una storia, vi avverto, che ci riporta ai tempi del colonialismo.» «Vuoi venire al sodo, per favore?» esclamò Michelle, impaziente. Lui si raddrizzò di scatto. «Stammi a sentire, cara signora, guarda che non sono tenuto a dirti un accidente di niente!» Sean sollevò una mano per riportare la pace. «Racconta pure con calma, South.» Gli si sedette di fronte e lanciò un'occhiataccia a Michelle, che andò di controvoglia ad appoggiarsi alla scrivania fissando gelida il giornalista. Freeman sembrò rabbonito. «Ricordate che vi ho parlato di quel Lord Dunmore?» «Sì, l'ultimo governatore della Virginia mandato da Sua Maestà britannica.» «Allora, secondo la leggenda gli inglesi spedirono tonnellate d'oro per finanziare la guerra, cioè per pagare le spie e i mercenari tedeschi che combattevano con loro e per accattivarsi la simpatia della popolazione. L'idea era anche quella di mettere gli indiani contro gli americani, in modo che questi ultimi se la vedessero con i pellerossa oltre che con le Giubbe Rosse. Molti non se ne rendono conto, ma all'epoca erano in tanti a non sapere da che parte schierarsi. Volevano cercare di capire chi avrebbe vinto l'ultima battaglia campale, quale esercito si sarebbero trovati in casa. E l'oro di Dunmore avrebbe potuto quindi provocare danni seri.» «Ma Dunmore era a Williamsburg» gli fece notare Sean. «I coloniali lo sloggiarono da lì e lui dovette andarsi a rifugiare in tutta fretta nella sua riserva di caccia di Porto Bello, la stessa che è segnata sul Registro storico nazionale. E che si trova proprio al centro di Camp Peary.» Si alzò per indicare un punto sulla piantina. «Più o meno qui.» E si rimise seduto. Sean prese a camminare su e giù. «Che fine potrebbe aver fatto quell'oro, se era effettivamente arrivato a Porto Bello?» «E chi lo sa? Comunque, lì l'oro non c'è mai arrivato per il semplice motivo che non è mai esistito.» «Ne sei sicuro?» gli chiese Sean dall'altra estremità della stanza. «Siamo realisti, per favore. Se quel tesoro fosse stato a Camp Peary
qualcuno l'avrebbe sicuramente trovato e ne avrebbe parlato in giro. Una cosa del genere non puoi tenertela per te.» «E se nessuno l'avesse ancora trovato?» «Dubito che Dunmore fosse così sveglio da riuscire a nascondere tanto bene una montagna d'oro.» «Camp Peary ha una superficie di centinaia di ettari» gli ricordò Michelle. «Ci sono probabilmente delle zone che ancora oggi né la Marina né la CIA hanno mai esplorato.» Freeman sembrava decisamente dubbioso su questo punto. «Be', anche se il tesoro esistesse veramente ormai nessuno potrebbe metterci le mani sopra. Quindi, se non lo troveranno le barbe finte non sarà mai trovato. Giusto?» Guardò Sean, che stava fissando qualcosa sulla parete. «Dico bene?» ripeté alzando la voce. Sean non riusciva a staccare lo sguardo da un foglietto affisso al muro. Michelle sembrò preoccupata. «Che cosa c'è, Sean?» Lui si voltò di scatto. «Ascolta, South. Quell'elenco di località della Virginia che non esistono più, quello che ci hai fatto vedere l'altra volta, è preciso? Ne sei sicuro?» Freeman si alzò e gli andò vicino. «Certo che ne sono sicuro, quell'elenco viene direttamente da Richmond, cioè dalla capitale della Virginia. È un documento ufficiale.» «Ci sono, maledizione!» esclamò Sean. «Ci sei?» gridò quasi Horatio. Per tutta risposta Sean puntò il dito su un nome dell'elenco. «In Virginia esisteva una contea che si chiamava Dunmore.» «Esatto» confermò South allegro. «Ma dopo aver cacciato quella canaglia decisero di ribattezzarla, e da allora si chiama contea di Shenandoah. Un posto molto bello.» Sean si precipitò fuori e gli altri lo seguirono subito. La chiave non erano le note musicali di quel motivo né le parole. Era il nome: Shenandoah. Freeman corse alla porta. «E che cos'ha mai di tanto importante la contea di Shenandoah?» Tacque, per rimettersi subito a gridare. «Non dimenticate il nostro patto, voglio un maledetto premio Pulitzer! Mi avete sentito bene?» 78 La notte seguente il motoscafo scivolava sul fiume a una velocità infe-
riore ai cinque nodi, appena sufficiente per riuscire a governarlo. Le luci di posizione erano accese e una figura solitaria si trovava al timone. Horatio Barnes si tirò su la zip della giacca a vento, per proteggersi dal vento gelido che annunciava l'approssimarsi di un fronte di bassa pressione. Un'ondina, mossa da una leggera brezza, fece ondeggiare il motoscafo. Horatio era un esperto della navigazione nella Chesapeake Bay e il fiume York, anche di notte, non poteva certo preoccuparlo. Sorseggiando il caffè dal bicchierone di polistirolo pensò che il suo incarico, quello ai comandi della loro imbarcazione sulle placide acque del fiume, era il più agevole. Ma sicuramente in quel momento lui e la barca erano seguiti da occhi umani ed elettronici. Quelle erano, però, acque di tutti e la CIA non aveva alcuna autorità per bloccarla, se non si fosse avvicinata troppo alla riva opposta. Poi gli tornò in mente un piccolo particolare: qualcuno aveva sparato a Sean mentre si trovava su un terreno aperto a tutti. Allora si chinò immediatamente, rannicchiandosi: non c'era alcun motivo di offrire a quei bastardi un bersaglio grosso. Considerò poi il futuro di due persone che da qualche tempo gli stavano particolarmente a cuore. «Auguri» disse loro, parlando al vento gelido che gli tagliava la faccia. Poi alzò gli occhi al cielo. «Ti prego, Dio, se dovessero arrestarci fa' che ci chiudano in un carcere di minima sicurezza.» Sulla sponda di fronte a Camp Peary, Sean e Michelle avevano indossato le mute subacquee e stavano controllando il loro equipaggiamento. Sean respirò a fondo. «Niente errori, Michelle, mi raccomando. Una mossa sbagliata e siamo morti.» Lei non gli rispose. Allora le lanciò un'occhiata. «Sei pronta?» Da sempre, ogni volta che lui le rivolgeva questa domanda, Michelle rispondeva di sì, ma quella volta esitò. Erano terribili quelle immagini che d'improvviso le sfilavano nella mente e tutte indicavano una possibile catastrofe, lei che si bloccava in un momento cruciale oppure che non riusciva a sottrarsi a un impulso suicida e si toglieva la vita. Ma ancora più terrificante era immaginare Sean cadavere in conseguenza di qualcosa che lei aveva o non aveva fatto. «Michelle?» Le toccò un braccio e lei trasalì. «Ehi, stai bene?» Non riuscì a guardarlo in viso e prese a tremare. «Che cosa c'è, Michelle?» «Sean, io... io non ce la faccio.» Lui aumentò la stretta sul suo braccio.
«Mi dispiace, tanto, ma non posso venire con te. Lo so, penserai che sono la persona più vigliacca del mondo. Ma non è questo, non è...» Non riuscì a concludere ciò che voleva dire. «Ora basta» le disse, deciso. «Basta. Sei la persona più coraggiosa che conosca. Ed è colpa mia, perché non avrei dovuto coinvolgerti in questa storia. È colpa mia!» Michelle lo afferrò per le spalle. «Non puoi andarci, Sean, non puoi andarci da solo. Quelli... quelli ti uccideranno.» Sean si accoccolò sui talloni e prese ad armeggiare con la maschera, senza avere il coraggio di guardare la sua partner. «Devo andare, Michelle. Per tanti motivi.» «Ma è troppo pericoloso.» «Tutto ciò per cui vale la pena morire è pericoloso.» Spinse lo sguardo sulla riva opposta. «Laggiù sta succedendo qualcosa di brutto, devo scoprire di che si tratta. E devo fermarlo.» «Ti prego, Sean.» Se lo strinse al petto. Lui si sciolse dolcemente dall'abbraccio, si calò la maschera sul viso e preparò l'attrezzatura. «Se per domani mattina non sarò tornato cerca Hayes e raccontagli quello che è successo. Andrà tutto bene, Michelle. Ci vediamo tra poco.» Scivolò in acqua e scomparve. Michelle si sedette sulla riva di argilla rossa e rimase a guardare i cerchi nell'acqua fino a quando la superficie non tornò uniforme. Non si era mai sentita tanto sola e non si era mai vergognata tanto. Si stese lentamente sulla terra umida, guardò il cielo coperto e sentì le lacrime scivolarle sul viso. E tra quelle nuvole vide cose terrificanti accadute tanti anni prima, cose che assunsero le forme di creature emerse da quegli incubi che la tormentavano da anni e che lei non aveva mai compreso o sperato di poter spiegare. Sotto quelle forme incerte vide una bambina terrorizzata allungare la mano in cerca di un aiuto che nessuno le dava. Aveva vissuto un'esistenza solitaria anche, e soprattutto, perché non era riuscita a fidarsi di nessuno, non completamente almeno. E invece una persona ce l'aveva fatta a guadagnarsi il suo rispetto e la sua totale fiducia, a emergere su tutte le altre. Un uomo che le aveva dimostrato che non l'avrebbe mai abbandonata, che per aiutarla aveva letteralmente sacrificato tutto ciò che aveva. E lei aveva lasciato che quell'uomo si calasse nelle acque del fiume York, da solo. Che affrontasse una missione suicida, da solo. Non poteva permetterlo, alla faccia di tutto ciò che in quel momento le
passava per la testa. Sean non avrebbe combattuto senza di lei e se era la disfatta quella che si profilava all'orizzonte sarebbe stata la disfatta per entrambi. Le immagini sparirono all'improvviso e le nuvole tornarono al loro innocuo colore bianco-grigiastro. Michelle prese l'attrezzatura da sub e si calò in acqua. 79 Sean procedeva agevolmente a un metro di profondità con l'aiuto di un piccolo propulsore e di vigorosi colpi di pinne. All'ossigeno provvedeva una bomboletta assicurata alla parte inferiore del viso. Fissata a una caviglia aveva una borsa impermeabile. Quel suo assalto a Camp Peary era nato da un misto di spontaneismo e di improvvisazione, c'erano milioni di possibilità che si concludesse male e ben poche che tutto andasse invece per il verso giusto. La scoperta del titolo di quella canzone, Shenandoah, gli aveva fatto capire di essere sulla strada giusta. La contea di Shenandoah era una volta la contea di Dunmore. Un indizio vago, certo, ma che puntava in un'unica direzione: Porto Bello, l'ex casino di caccia di Dunmore proprio al centro di Camp Peary. Ecco dove quasi sicuramente era andato Monk Turing e, se lui voleva scoprire il motivo, doveva seguirne le orme sul sentiero che l'aveva portato alla morte. Riemerse a poca distanza dal punto in cui Monk Turing era stato trovato cadavere, nella speranza che l'attenzione di quelli della sicurezza fosse in quel momento concentrata sui movimenti del motoscafo con a bordo Horatio. E in parte Sean contava, ma fino a un certo punto, sulla guardia abbassata del dispositivo di sicurezza: nessuno, cioè, sarebbe stato secondo loro tanto stupido da forzare il blocco pochi giorni dopo che Monk Turing era stato ucciso. Di accendere una torcia elettrica non se ne parlava nemmeno. Estrasse dalla borsa un paio di occhiali per la visione notturna, se li mise e accese l'interruttore. Tutto attorno a lui assunse un'amorfa tonalità verdastra, ma almeno riusciva a vedere pur nella più completa assenza di una luce naturale. Nascose il propulsore sotto un cespuglio e avanzò scivolando sullo stomaco: la recinzione, il punto di non ritorno, ce l'aveva ora davanti. Allora estrasse dalla borsa un apparecchietto che aveva una sola e unica funzione,
quella di registrare la presenza di energia sotto qualsiasi forma. Lo puntò in direzione della recinzione e attese che si accendesse una spia verde. Questa si accese subito: la recinzione non era elettrificata né conteneva sensori. Sean sapeva che la lunghezza del perimetro di Camp Peary era tale da indurre la CIA a non sprecare tempo, oltre che i soldi dei contribuenti, per installare un elaborato impianto di sicurezza. Erano più che sufficienti le difese interne, tecnologicamente all'avanguardia e quindi letali, che coprivano ogni metro quadrato delle strutture e delle aree destinate all'addestramento. Per questo lui faceva adesso affidamento su Heinrich Fuchs, apparentemente l'unico che fosse riuscito a evadere da una prigione militare federale di provata sicurezza. Ma allora gli sembrava un po' ridicolo affidare la propria libertà, e con molta probabilità la propria vita, a qualcosa avvenuto oltre sessant'anni prima. E all'improvviso, mentre sdraiato sull'argilla rossa della sponda dello York si preparava a violare una delle strutture più sorvegliate degli Stati Uniti, si sentì assalire da una terribile ondata di panico. In quel momento avrebbe voluto solo fare dietrofront, scivolare di nuovo in quelle acque così invitanti e tornarsene a casa. Ma non riusciva a muoversi, era come paralizzato. E quando si sentì toccare su una spalla stava per mettersi a gridare, ma quasi contemporaneamente udì sussurrare all'orecchio una rassicurante voce familiare. «Va tutto bene, Sean. Insieme possiamo farcela.» Voltandosi la vide inginocchiata con il viso sul suo e con un'espressione che gli comunicò tutto ciò che aveva bisogno di sapere. Le strinse un braccio e chinò ripetutamente il capo. Era stato proprio un idiota a pensare anche solo per un attimo che lei non fosse all'altezza: lo era eccome, all'altezza, anche più di lui. Scomparse paura e paralisi respirò a fondo e prese ad avanzare, seguito da Michelle, fino a raggiungere la recinzione. Allora, mentre lei teneva d'occhio la zona, tagliò una piccola sezione e passarono entrambi dall'altra parte con il loro equipaggiamento. Poi Sean rimise a posto la parte tagliata e s'inoltrarono nella foresta. Un minuto dopo s'inginocchiarono e Sean tirò fuori il documento che Heinrich Fuchs aveva dato a Monk Turing, documento sul quale lui e Michelle avevano effettuato dei calcoli e preso qualche appunto. Ma per leggere quella piantina dovevano correre il rischio di accendere una luce. Fuchs non aveva lasciato segnali sugli alberi o una X sul terreno per in-
dicare l'imboccatura della galleria e, anche se lo avesse fatto, dopo oltre mezzo secolo se ne sarebbero perse le tracce. E loro oltretutto non ne avevano bisogno, grazie a Monk Turing che aveva segnato sul documento tutte le indicazioni necessarie, compresi i punti di riferimento e le coordinate della bussola e che, tramite la figlia, aveva comunicato loro un importante indizio per mettere a fuoco l'obiettivo da raggiungere. Sapeva anche, Sean, che Monk Turing non aveva certo sfidato la morte solo per ripercorrere l'itinerario di fuga di un prigioniero di guerra tedesco. Doveva avere avuto un'altra motivazione, ben più valida. Seguendo le sue indicazioni si mossero in direzione nordovest, fermandosi in una piccola radura circondata da betulle. Erano arrivati. Sean cominciò a contare i passi ma Michelle lo fermò. «Quanto era alto, Turing?» gli chiese. «Un metro e settantatré.» «Tu sei più alto di diciotto centimetri» bisbigliò. «Lasciali fare a me i passi.» E così fece, accorciando leggermente la loro lunghezza rispetto al suo modo abituale di camminare. Monk Turing doveva avere avuto una mentalità particolarmente meticolosa, pensò lui: e, quando Michelle terminò di camminare attorno agli alberi e di superare cespugli e altra vegetazione, capì che avevano trovato quello che cercavano. Erano in una parte della foresta che non conosceva la mano dell'uomo da decenni, se non da secoli: ma solo apparentemente, capì Sean, sapendo ciò che sapeva. Si inginocchiò e toccò la lettera, tracciata servendosi di una liana strappata da un albero e "scritta" sul terreno. Non era una X, quella lettera, ma una V. Come Viggie. Monk l'aveva scritto sul documento. Sean e Michelle presero a scavare con le mani il terreno apparentemente vergine, fin quando le loro dita non incontrarono il bordo di una malandata tavola e la sollevarono. Sotto si apriva l'entrata del tunnel, un quadrato di un metro e venti di lato. Si calarono nell'apertura facendo un salto di un metro circa, poi Michelle si issò sulle spalle di Sean per riabbassare il coperchio della botola. Così facendo vide un tratto di fune arrotolato attorno alla trave di sostegno della copertura. «Deve essere stato Monk a mettercela, quella fune, prima di calarsi nel tunnel» disse, indicandola a Sean. «Per servirsene al momento di risalire, l'apertura da qui è troppo alta.» «Anch'io ho portato una fune, quando sarà ora di uscire ti solleverò e potrai legarla lì. Mi ci attaccherò poi per issarmi e uscire.»
Dopo avere calato il coperchio decisero di accendere una luce. A mano a mano che avanzavano il tunnel si faceva più basso, costringendo le persone alte a procedere chinate. Le pareti erano di argilla rossa solida, asciutta e compatta. Ogni mezzo metro o poco più si vedevano travi di contenimento, ormai marce, innestate nel soffitto o nelle pareti. «Difficile che questo tunnel superi l'ispezione dell'Ente per la sicurezza delle miniere» osservò Michelle, piuttosto in ansia. «Credi che Fuchs l'abbia scavato tutto da solo? Mi sembra un lavoro troppo impegnativo per un unico uomo.» «Probabilmente l'hanno aiutato altri prigionieri, ma lui poi è stato l'unico a servirsene.» «Come mai?» «Secondo me gli altri erano stati rimessi in libertà dopo la fine della guerra, più o meno all'epoca in cui il tunnel è stato completato. Ma Fuchs no.» «Perché no?» «Anch'io, come Horatio, ho consultato qualche testo di storia. Se Heinrich Fuchs era il marconista della sua unità doveva avere una certa familiarità con il codice Enigma, e a quei tempi gli Alleati non rimettevano in libertà i prigionieri che usavano questo codice ma se li tenevano, sia per carpire loro qualche segreto sia per impedire loro di fare ritorno in Germania.» «Ma la Germania era stata sconfitta.» «Rimanevano ancora sparse per il mondo sacche di nazisti irriducibili e di ufficiali di stato maggiore. E l'ultima cosa che gli Alleati potevano permettersi era quella di restituire loro gli operatori che conoscevano il cifrario ed erano quindi in grado di aiutarli a mettere in piedi un'altra rete di comunicazione.» «Il che dimostra quanto sia utile nella vita di ogni giorno un'infarinatura di storia.» «È quello che ho sempre pensato. Forza, muoviamoci.» 80 Il Boeing 767 aveva i motori potenziati e altre modifiche indispensabili per le lunghe trasvolate oceaniche. L'enorme jet si inclinò in una virata a sinistra ed entrò nello spazio aereo degli Stati Uniti sorvolando Norfolk, in Virginia, e proseguendo la sua discesa verso la destinazione finale. Il 767
non faceva parte della flotta di una compagnia aerea nazionale o estera, non era di proprietà di un'azienda o di un privato, non aveva ai comandi personale delle Forze armate americane. Di solito un aereo che non appartenesse a una di queste tre categorie, entrando nello spazio aereo americano e sorvolando una delle più importanti strutture militari degli Stati Uniti, avrebbe provocato l'immediato decollo dei caccia di base a Norfolk e sarebbe stato oggetto di uno sgradevole intercettamento in volo. E invece nessuna sirena cominciò a ululare e nessun pilota della Marina corse ai comandi del suo caccia, perché quel Boeing 767 era autorizzato dai più alti comandi militari a volare su qualsiasi parte degli Stati Uniti. Come avveniva ogni sabato a quell'ora da almeno due anni, l'aereo proseguì l'avvicinamento. Mezz'ora dopo i piloti avrebbero fatto scendere il carrello in vista della discesa finale su una pista interamente pagata dai contribuenti americani: una lunga striscia di cemento sulla quale in pratica nessun cittadino degli Stati Uniti era autorizzato a mettere piede. Sean e Michelle raggiunsero la fine del tunnel e tesero le orecchie per cogliere eventuali rumori provenienti dall'altra parte del muro che stavano guardando in quel momento, a non più di quindici centimetri sopra le loro teste. Erano appena passati sotto alcune delle più elaborate strutture di sicurezza che l'America fosse in grado di offrire. Se invece che sottoterra si fossero trovati sopra, una pattuglia li avrebbe già uccisi o catturati. Poggiarono le mani contro il soffitto esercitando una pressione continua, pronti a fuggire al primo rumore. Poi, rassicurati, spostarono di lato il soffitto e si inerpicarono in una stanza che illuminarono con le loro torce elettriche. Le pareti erano di mattoni e l'aria umida e fetida. «Mi sembra di avere fatto un viaggio a ritroso nel tempo» sussurrò Michelle, posando lo sguardo sui vecchi mattoni, sulle travi marce e sul pavimento ricoperto in parte di terriccio. «Benvenuta a Porto Bello» le disse Sean. «Probabilmente era qui dentro che la Marina teneva Fuchs e gli altri prigionieri di guerra.» I tedeschi erano riusciti a scavare una galleria proprio sotto il naso della Marina. In un angolo alcuni mattoni si erano staccati dal muro portante e giacevano ammucchiati sul pavimento. Michelle li guardò. «Non è molto rassicurante quella pila di mattoni, questo posto potrebbe crollarci sulla testa da un momento all'altro.» Sean ne sollevò uno da terra. «Il muro è rimasto in piedi oltre due secoli, può resistere un'altra ora.»
Poi puntò sul pavimento il raggio della torcia, il terriccio era stato calpestato di recente. «Deve essere stato Monk Turing, o almeno lo spero.» «Dov'è l'oro?» gli chiese Michelle. «Non ci siamo ancora messi a cercarlo.» «A me, più che un tesoro, interessa trovare Viggie.» Sean guardò l'ora. «Dobbiamo sbrigarci, fra poco l'aereo atterrerà.» Passata in rassegna la cantina salirono al piano superiore e lo trovarono assolutamente vuoto, non c'era nemmeno l'ombra di un mobile. Ciò nonostante, qua e là, si notava un tocco di sbiadita eleganza nelle parti in legno come, per esempio, la cornice del camino, la mensola intagliata e lo stemma della Corona britannica incassato nella parete sopra la porta. Anche se i secoli avevano attenuato l'impatto di quell'ambiente si guardavano attorno con una certa soggezione, camminando sulle assi di quel pavimento che era già lì quando Washington, Jefferson e Adams combattevano per l'indipendenza americana. Quel posto abbandonato chiaramente non veniva usato dalla CIA. E il perché lo capirono quando fecero correre lo sguardo oltre una delle finestre con i vetri a piombo scheggiati. Non c'era granché, là: l'unica cosa presente nelle vicinanze era un fiumiciattolo. Sean lo indicò con un dito. «L'immissario dello York» disse. Heinrich Fuchs e gli altri prigionieri avevano evidentemente seguito l'andamento del corso d'acqua per scavare il tunnel, immaginando giustamente che li avrebbe portati fino allo York e alla libertà. E questo immissario aveva un'importanza cruciale anche per Sean e Michelle, perché scorreva accanto alla fine della pista. Perquisirono la casa per essere sicuri che Viggie non fosse lì, poi uscirono e si diressero verso l'acqua. Michelle si voltò a guardare quella cupa villa al centro di una radura e i due enormi alberi di fronte al portone. Il tetto era piatto e la parte superiore della casa, con una serie di finestre a punta, era coperta da assicelle. Un unico comignolo si alzava verso il cielo non lontano dal centro della costruzione, e la casa era interamente di mattoni fatta eccezione per una piccola veranda in legno che sporgeva con un'angolazione precaria. «Questo posto l'ho visto dall'alto quando ho fatto il giro in aereo con Champ.» «Sono sicuro che Monk ha voluto farsi portare su da Champ per vedere se Porto Bello era occupata e dare un'occhiata nei dintorni.» Un minuto dopo si calarono nelle acque dell'immissario in direzione est,
percorrendo a ritroso la strada che avevano seguito sottoterra. Fino a quel momento non si era vista traccia di esseri umani ma sia Sean sia Michelle sapevano che la situazione poteva cambiare da un momento all'altro. E che il primo essere umano che avrebbero incontrato sarebbe stato molto probabilmente armato e smanioso di ucciderli. 81 L'aereo, a luci spente, scavalcò di slancio il filare d'alberi alle estreme propaggini di Babbage Town, superò il fiume York, la recinzione e baciò la superficie rinforzata della pista lunga oltre tre chilometri. Si fermò ben prima della fine, grazie agli invertitori di potenza e ai freni sul carrello. I piloti lo portarono poi a fine pista, facendolo ruotare di 180 gradi. Ad attenderlo c'erano già un pullman, un Hummer e un camion. Quando i motori furono spenti dall'interno venne aperto il portellone di poppa e contro l'apertura fu poggiata una scala semovente, dalla quale cominciarono a scendere alcune persone. Fu aperto anche il portellone di carico in coda e il camion salì a bordo a marcia indietro. Sean e Michelle strisciarono fino alla recinzione della pista e, grazie ai visori notturni, riuscirono a seguire le varie attività. Sean le registrò grazie a una speciale videocamera in grado di effettuare riprese nitidissime nonostante l'assenza di luce. Michelle trasalì quando dalla scaletta scese il primo di una decina di uomini, tutti in giacca e cravatta e con la caratteristica kefiyyah sul capo. Poi gli indicò la coda dell'aereo e lui inquadrò nel mirino della videocamera il camion che riemergeva dalle viscere dell'aereo e scendeva la rampa. Insieme ai bagagli erano state caricate alcune balle di plastica nera. Lui guardò allarmato Michelle. «Merda, è quello che penso?» sussurrò. In quel momento al piccolo pullman si affiancò una Range Rover, dalla quale scese una persona. E Sean si sentì gelare appena la riconobbe. Valerie Messaline, che indossava per l'occasione un tailleur-pantalone beige, si avvicinò al gruppo degli arabi e si mise a parlare con loro. Sean notò che aveva attorno al collo un nastrino dal quale pendeva una targhetta bianca della Sicurezza. Era un'agente della CIA, quindi, oltre che una bravissima attrice: era riuscita a fargli credere ogni parola della sua triste storia. Michelle si accorse del suo stupore. «Valerie?» gli chiese sottovoce.
Lui annuì senza aprire bocca. Valerie continuò a parlare con uno degli arabi per alcuni minuti, mentre gli altri furono fatti salire sul pullman con i loro bagagli. E ogni tanto lei e il suo interlocutore lanciavano un'occhiata al materiale che veniva scaricato dalla coda del jet. A un certo punto Valerie si avvicinò a una delle balle, la toccò e rise per qualcosa che l'arabo aveva detto. Un minuto dopo salirono entrambi sulla Range Rover e seguirono il pullman che usciva dal recinto del terminal, diretto probabilmente verso le palazzine che avevano visto sulla piantina satellitare. Terminate le operazioni di scarico, montarono tutti, tranne due, sull'Hummer e si allontanarono. I due rimasti salirono a bordo del camion che però, a differenza dell'Hummer che stava facendo la stessa strada del pullman con gli arabi, prese la direzione opposta e puntò verso il cancello della recinzione. Era il cancello dietro il quale si erano nascosti Sean e Michelle. «Indietro» le ordinò Sean. Indietreggiarono entrambi, appiattendosi al suolo. Il camion si fermò al cancello e uno dei due a bordo scese e lo aprì; poi seguì a piedi il mezzo pesante e, una volta dall'altra parte, richiuse il cancello. Michelle si tolse lo zaino dalla schiena. «Torna a Babbage Town» disse a Sean. «Trova Merkle Hayes e mostragli il filmato. Poi aspetta mie notizie.» Lui la fissò. «Tue notizie? Ma dove stai andando?» «Quel video non è sufficiente. Dobbiamo scoprire che cosa è stato scaricato dall'aereo.» E, prima che Sean potesse dire qualcosa o allungare un braccio per fermarla, scattò verso il camion e vi si tuffò sotto aggrappandosi al telaio. Sean non poté muoversi tanto era sbalordito. Non riusciva quasi a credere a ciò che aveva visto. Mentre la sua partner scompariva nella notte sotto la pancia di un camion lui se ne rimase lì, al centro della più segreta delle strutture CIA, chiedendosi seriamente se stesse per venirgli un infarto. Ma alla fine riuscì a trovare, non sapeva nemmeno lui dove, un briciolo di lucidità. Infilò lo zaino di Michelle dentro il suo e prese a strisciare sulla pancia in direzione dell'antico Porto Bello. La distanza, via fiume, non superava i cinquecento metri: ma a lui sembrarono cinquecento chilometri.
Non era l'unico, Sean, a chiedersi per quale motivo Michelle avesse agito d'impulso infilandosi sotto il camion. Lei stessa ogni tanto ci ripensava e più di una volta fu sul punto di lasciarsi cadere al suolo, a osservare il camion che si allontanava dopo esserle passato sopra per poi tornare di corsa da Sean. Ma qualcosa la fece rimanere al suo posto. Le arrivavano dei rumori diversi dal fracasso del camion. Dovevano essere giunti nelle vicinanze del cancello di Camp Peary, pensò, mentre il camion rallentava per poi fermarsi. Fu presa dal panico al pensiero che il camion fosse perquisito prima di uscire da Camp Peary, ma poi capì che nessuno lo degnava nemmeno di uno sguardo. E i rumori che aveva sentito erano i cigolii del cancello automatico. Il camion si rimise in movimento e uscì da Camp Peary. Svoltarono in una strada e il camion acquistò velocità. Michelle aveva gambe e braccia indolenzite, ma non aveva scelta e rimase aggrappata al telaio. Lasciarsi cadere, a quella velocità, avrebbe significato come minimo una frattura del cranio. Un minuto dopo vide le ruote di altre auto che li superavano. Il camion, dopo un certo numero di chilometri, lasciò la strada che stava percorrendo e si inoltrò su un vialetto ghiaioso. La ghiaia si trasformò poi in asfalto e cinque minuti dopo il mezzo si fermò, gli sportelli si aprirono e lei vide due paia di gambe scendere dalla cabina di guida e allontanarsi. Quando non udì più il rumore dei passi Michelle si lasciò cadere silenziosamente al suolo e rotolò su se stessa nella direzione opposta a quella che avevano preso i due uomini. Si guardò attorno. Quel posto le sembrava per qualche motivo familiare, nonostante fosse buio pesto e lei riuscisse a vedere solo immagini indistinte. Poi li udì avvicinarsi e, sfruttando la copertura che le dava il camion, corse a nascondersi dietro una palazzina che aveva appena notato. Girato l'angolo si fermò e azzardò un'occhiata. E, mentre faceva capolino da lì, il cuore le salì in gola. Perché in quel momento Michelle aveva capito esattamente dove si trovava. 82 Sean riuscì a tornare a Porto Bello senza che nessuno lo vedesse. Salì silenziosamente la scalinata d'ingresso ma non ebbe il tempo di reagire quando uno dei gradini gli si spezzò sotto i piedi. Allora cadde, qualcosa di
aguzzo gli colpì una gamba e lui non riuscì a trattenere un urlo di dolore. S'immobilizzò mentre il suo urlo sembrava salire al cielo per poi ricadere come un acquazzone estivo. Era una sirena quella che stava udendo? E quello era il suono di passi che si avvicinavano di corsa? Gli era giunto da qualche parte il secco latrato di un cane che aveva fiutato le sue tracce? No, erano tutti prodotti del suo terrore. Riuscì a districarsi dai rottami del portico, maledicendo in cuor suo il governatore per avere scelto l'inaffidabile legno invece dei robusti mattoni. Poi abbassò una mano e toccò il sangue che usciva da un profondo squarcio sulla caviglia. Entrò zoppicando nella villa e scese subito in cantina, ma inciampò su alcuni detriti e andò a sbattere contro la parete facendo saltare dal muro un mattone traballante. Si mise imprecando in ginocchio con le mani piene di graffi e poi si trovò con gli occhi all'altezza dell'apertura rettangolare lasciata nel muro di fondazione dal mattone caduto. Allora la illuminò con la torcia elettrica e qualcosa attirò la sua attenzione. Il muro di fondazione era piuttosto spesso, vide, e al di là c'era qualcosa... «Maledizione!» Afferrò un pezzo di legno e l'infilò nell'apertura, facendo leva fin quando la calcina non cedette. Poi allungò un braccio e disincastrò l'oggetto, graffiandosi le mani a furia di raschiare. Era una moneta d'oro massiccio. Continuò a scavare e stavolta tirò fuori una pietra piccola e dura, dalla quale tolse la polvere puntandole poi sopra il raggio della torcia. La pietra si rivelò essere uno smeraldo luccicante. Scavando ancora vide qualcosa che assomigliava a un lingotto di oro massiccio e poi altre monete. Era il tesoro di Lord Dunmore e non c'erano soltanto monete d'oro. Lui l'aveva trovato e, a giudicare da certi particolari, prima di lui l'aveva trovato Monk Turing. Ecco a che cosa si riferiva Heinrich Fuchs quando aveva detto a Monk Turing che avrebbe ricambiato l'aiuto da lui ricevuto per tornare in Germania. E Sean capì che il valore di quell'oro e di quei gioielli era superiore a quanto aveva immaginato. South Freeman si era sbagliato, Dunmore era stato tanto furbo da tener nascosto quel tesoro per tutti quegli anni utilizzando un finto muro portante. Fin quando un prigioniero di guerra tedesco dotato di un notevole spirito d'iniziativa, che aveva deciso di scavare come una talpa per raggiungere la libertà, non era riuscito a scoprirlo. Poi, guardandosi le mani, poté risolvere un altro mistero, che aveva anche questo a che fare con Monk Turing. Ma un altro rumore gli bloccò in
volto il sorriso trionfante. Un rumore di passi che correvano verso la villa. E stavolta erano veri, non il frutto della sua immaginazione. Afferro un paio di mattoni e li incastrò nella piccola breccia per nascondere il tesoro, poi s'infilò nella borsa la moneta d'oro e lo smeraldo e corse al punto del pavimento sotto il quale aveva inizio il tunnel. Ammucchiò dei mattoni sopra il coperchio di legno della botola, lo sollevò quel tanto da potersi infilare, poi allungò un braccio e si richiuse il coperchio sopra il capo. E si mise a correre, insensibile al dolore dello squarcio sulla caviglia. Arrivato all'altra estremità del tunnel capì subito di essere irrimediabilmente fottuto. La botola era a circa un metro di altezza e, anche se fosse riuscito a saltare vincendo il dolore alla gamba, non c'era nulla a cui aggrapparsi. Michelle aveva dovuto salirgli sulle spalle per rimettere al suo posto il coperchio della botola e, secondo il loro piano, avrebbe dovuto sistemarsi di nuovo sulle sue spalle per poi fissare a una sporgenza il capo di una fune. E con quella fune lui si sarebbe issato fino all'apertura. Però... un momento. Se, come lui pensava, Heinrich Fuchs era fuggito da solo, come aveva fatto a uscire da lì? Cadde in ginocchio accanto a una delle travi crollate in quegli anni, riuscì a spostarla e si mise a grattare freneticamente il terreno fin quando non apparve una rudimentale scala. Doveva essere rimasta al suo posto da quando Heinrich Fuchs era fuggito tanti anni prima, fino a quando una trave di sostegno cadendo l'aveva sepolta nel terriccio. Sollevò la scala e la sistemò contro l'apertura del tunnel. Come Turing, Fuchs era stato un uomo particolarmente meticoloso e la scala si puntellò perfettamente contro una sporgenza di legno sotto il coperchio della botola. Sean si mise la borsa a tracolla, afferrò la scala e salì più velocemente che poté, poi spostò il coperchio e uscì all'aperto portandosela dietro. Ma si fermò, al pensiero che la scala sarebbe potuta servire a Michelle per uscire a sua volta dal tunnel se non ce l'avesse fatta ad allontanarsi da Camp Peary sotto il camion. Considerazioni, queste, che furono interrotte da alcuni rumori provenienti dal tunnel, rumori di passi affrettati. C'era qualcun altro lì sotto e Michelle quindi avrebbe dovuto trovarsi un'altra via di fuga. Lanciò la scala tra gli alberi, rimise al suo posto il coperchio della botola e prese a contare i passi che lo separavano dalla radura mentre cominciava a cadere una leggera pioggia. Ora gli giungevano da tutte le direzioni rumori poco rassicuranti, mentre i riflettori squarciavano il cielo come un
coltello che taglia una gola. Merda! Cadde al suolo e si mise a frugare ansiosamente dentro la borsa. Pochi secondi dopo l'uomo gli inciampò quasi addosso. Sean vide il fucile mitragliatore MP-5, il viso coperto dal nerofumo, gli occhi che cominciavano a spostarsi nella sua direzione. Allora sparò e quello s'irrigidì, crollando poi al suolo. Sean rimise nella borsa la pistola stordente, tolse all'uomo il cinturone al quale erano attaccati un manganello, una pistola, un paio di manette e due bombe a mano che gli sarebbero tornate particolarmente utili. Infilò tutto nella sua borsa, lasciando fuori una bomba a mano, e si acquattò tra gli alberi. Per andarsi a riprendere l'attrezzatura avrebbe dovuto procedere verso destra, ma purtroppo era proprio da lì che giungevano i rumori che udiva in quel momento. Tolse la sicura alla bomba a mano e la lanciò a sinistra con tutte le sue forze, coprendosi poi le orecchie con le mani. Cinque secondi dopo l'esplosione squarciò il silenzio della notte e tutto Camp Peary prese vita. Sean udì urla e rumore di passi affrettati, ma rimase lì in attesa. Dieci secondi, venti secondi, un minuto. Allora si alzò di scatto e si mise a correre. Due minuti dopo, superata la recinzione, aveva già ritrovato i due propulsori subacquei. Lasciò sul posto quello di Michelle, nel caso lei fosse riuscita ad arrivare fin là. Udì provenire da sud il ruggito di un motore marino e non si fermò a vedere di che cosa si trattasse, ma s'infilò tra le labbra il boccaglio dell'ossigeno e si tuffò in acqua. Scese a una profondità sufficiente a evitare l'elica della barca, attivò il propulsore e attraversò in linea retta lo York, riemergendo sulla riva opposta circa duecento metri a sud della rimessa. Era stato massacrante, quel viaggio di ritorno, ma lui non aveva il tempo per riposarsi. Si inoltrò nel bosco, recuperò una borsa che avevano lasciato in un certo punto, si tolse la muta e indossò i suoi indumenti. Poi infilò la maggior parte delle sue cose nella borsa e la nascose sotto un cespuglio. La sua videocamera aveva un sistema di copiatura e Sean in pochi istanti copiò su un'altra base il materiale girato vicino al terminal di Camp Peary, per poi correre a Babbage Town attraversando il bosco. Doveva assolutamente, ma non sapeva come, trovare Michelle prima che fosse troppo tardi. 83
Il carico del camion veniva trasferito in quel momento sul piccolo aereo, all'interno del quale era stato ricavato spazio a sufficienza togliendo i sedili. Champ Pollion salì a bordo e preparò il Cessna per il decollo, certo di non avere difficoltà a rispettare il programma nonostante pioggia e vento fossero aumentati d'intensità. Gli uomini terminarono di caricare l'aereo lasciando però sul camion, fuori dalla visuale di Champ, alcune balle. Poi il camion si allontanò, scomparendo nell'oscurità. Champ eseguì le procedure che precedono il decollo, poi face scattare un interruttore e l'elica prese vita con un ruggito. Si era appena sistemato la cuffia radio sulle orecchie quando lo sportello si spalancò e spuntò la testa di Michelle. «Salve, Champ. Me lo dai un passaggio?» Lui la fissò per qualche secondo, senza riuscire a capacitarsi. Poi la sua mano corse alla fondina appesa al cinturone, ma il pugno di Michelle fu più veloce e lo colpì al naso, che iniziò a sanguinare. Champ si piegò sul sedile del secondo pilota e poi rotolò fuori dallo sportello, cadendo al suolo. Michelle si lanciò fuori a sua volta, gli fu addosso e quando lui tentò di sollevarsi gli sferrò un terribile calcio al capo che lo ributtò giù. Quello però allungò una gamba e le fece lo sgambetto mandandola a sbattere contro l'aereo, che vibrava come se volesse avere ragione del freno e librarsi in volo. Sfruttando il momento favorevole lui riuscì a estrarre la pistola, ma Michelle gliela fece volare di mano con un calcio ben assestato. Un secondo dopo Champ le tirò un pugno al fianco, facendola urlare di dolore, e un piede seguì subito il pugno. Michelle cadde e capì, mentre si rialzava, di avere di fronte un osso duro. I due si affrontarono, sullo sfondo dell'aereo che continuava a ronzare con il motore acceso. «Che diavolo ci fai qui?» urlò Champ. «Sto per arrestarti, posso farlo anche da semplice cittadina» le urlò lei di rimando, mentre cercava con lo sguardo un punto dal quale penetrare la sua guardia. «Non hai nemmeno idea di ciò che stai facendo.» «Che cosa sto facendo io? E tu? Da quando in qua uno stimato fisico si trasforma in un corriere della droga per conto della CIA? Perché è questo che contengono le balle, vero? Droga?» «Michelle, tu non ti rendi conto di quello che c'è in gioco qui.» «Spiegamelo, allora.»
«Non posso, e non voglio farti del male.» «Farmi del male? E che mi dici di Monk Turing? E di Len Rivest?» «Sto solo cercando di fare il mio lavoro, devi credermi.» «Mi spiace, Champ, ma ho appena esaurito le scorte di fiducia.» Mentre parlava gli si avvicinò lentamente, poi all'improvviso la sua gamba destra scattò colpendolo al capo e facendolo volare indietro. Ma, prima che potesse assestargli un altro calcio, lui le piantò un piede sulla spalla mettendola a sedere. Michelle schizzò subito in piedi e riuscì a evitare un altro pugno chinandosi, per poi tirargliene uno ai reni, ma lui riuscì incredibilmente a rimanere in piedi e a indietreggiare, ansante ma con le difese ancora intatte. «Ci sai fare» gridò lei, per sovrastare il rombo del motore. «Forse non quanto te» ammise Champ. Poi si guardò alle spalle. «Devi andartene da qui, Michelle.» «Così tu puoi decollare con la droga?» «Non sto facendo nulla di criminale, devi credermi.» «Ti ho appena detto che ho esaurito la fiducia.» Fece un salto e lo colpì con un calcio al petto, lui cadde atterrando purtroppo accanto alla sua pistola. L'afferrò, prese la mira e... Michelle saltò nella cabina di pilotaggio e sbatté lo sportello mentre il primo proiettile di Champ mandava a pezzi un finestrino. Mosse freneticamente i comandi, cercando di ripetere i movimenti fatti da Pollion prima del decollo. L'aveva osservato attentamente e questa attenzione fu ricompensata. Tolse il freno a pedale, spinse avanti la cloche e il Cessna scattò. Un'altra pallottola colpì la cabina di pilotaggio e questa volta Michelle non riuscì a evitarla. Emise un gemito mentre il proiettile caldo le mordeva un braccio disegnandovi una scia di sangue, per poi uscire dal finestrino opposto. Ma tenne la cloche premuta e il Cessna acquistò velocità, sfrecciando sull'asfalto in direzione della pista. Champ gli corse dietro agitando la pistola, poi esplose un altro colpo contro la coda dell'aereo ma lo mancò. «Ferma! Non sai quello che stai facendo, fermati!» le gridò. Michelle non aveva alcuna intenzione di fare alzare il Cessna dal suolo. Mantenne quindi quella velocità e tenne il piede destro premuto sul pedale facendo compiere al piccolo aereo un angolo di 180 gradi. Champ si bloccò vedendo l'aereo puntare dritto su di lui, sollevò la pistola ma invece di sparare si voltò mettendosi a correre, e Michelle dovette ridurre la velocità per evitare di investirlo. Quando l'aereo gli fu vicino Champ si gettò di lato, rotolò su un argine e finì la sua corsa contro una fila di bidoni di benzi-
na. Michelle tolse completamente potenza, frenò e si mise a correre per raggiungerlo prima che potesse rialzarsi. Una volta sull'argine si tuffò piombandogli addosso e con il gomito lo colpì alla nuca. Champ grugnì di dolore, poi gli si chiusero gli occhi e il corpo sembrò afflosciarsi. «Adesso non mi morire tra le braccia, Champ» disse lei, su tutte le furie. Poi lo girò e gli sentì il polso. «La prigione ti sta aspettando, stupido di un genio.» Il respiro era regolare e il polso affrettato, si sarebbe sicuramente svegliato quanto prima con un mostruoso mal di testa e un insopprimibile desiderio di telefonare al suo avvocato. Michelle si guardò attorno, vide dei cavi appesi alla parete di un capanno e se ne servì per legarlo. Poi frugò nelle sue tasche, trovò il cellulare e le chiavi dell'auto e tornò di corsa all'aereo, spalancò lo sportello e salì. Quindi spense il motore, infilò la punta di una chiave nella balla più vicina e poi se la portò sotto il naso. Eroina, ne era quasi certa. Ne infilò un mucchietto dentro una bustina trovata in un cassettino dell'aereo e stava per scendere quando udì un rumore provenire da dietro le balle. Subito dopo vide uno dei pacchi muoversi leggermente. Allora si mise a spostare le balle e notò, contro il cono di coda, qualcosa avvolta in una coperta. Qualcosa che si contorceva. Michelle tirò un'estremità della coperta, che finalmente cadde. Dentro c'era Viggie, legata e imbavagliata. Si affrettò a liberarla e insieme si allontanarono di corsa dall'aereo. «Mick...» cominciò a dire la bambina. «Me lo dirai dopo. Adesso zitta e corri.» Arrivarono alla Mercedes di Champ e vi salirono. Michelle telefonò a casa di Merkle Hayes, lo svegliò e gli fece una veloce sintesi degli ultimi avvenimenti. «Si precipiti a Babbage Town con tutti gli uomini che riesce a trovare» gli urlò al telefono. «Oh, merda!» fu tutto ciò che lo sceriffo riuscì a dire. Poi la Mercedes partì a razzo e Michelle, guardata a occhi sbarrati da Viggie che cercava di tenersi attaccata a tutto ciò che poteva, lasciò un bel po' di pneumatici sull'asfalto del piccolo parcheggio, per poi svoltare a sinistra e immettersi sulla superstrada, lasciandosi alle spalle un genio svenuto e pronto a vedersi affibbiata una pesante condanna e un Cessna pieno di eroina gentilmente messa a disposizione dalla CIA. Sul rettilineo superò i centosessanta e tenne il piede a tavoletta.
84 Sean se ne stava acquattato dietro una bassa siepe e quello che vide gli fece perdere le ultime speranze. Alcuni uomini con i giubbotti antiproiettile e armati di mitra MP-5, dei federali provenienti dall'altra sponda del fiume, stavano parlando con due delle guardie rimaste a Babbage Town. Il gruppetto si allargò, puntando in direzione di Sean che si tuffò immediatamente nel bosco, nella speranza di spingersi fino all'estrema destra degli inseguitori. Qualche minuto dopo si trovò in una radura alle spalle del cottage di Rivest, dall'altro lato della strada si vedeva la parte posteriore della Capanna 3. Strisciò dietro gli alberi, chinato, e mentre avanzava sentiva qualche grido e lo scalpiccio di passi affrettati. Con un sasso forzò la porta della lavanderia e scivolò dentro. Mentre si guardava intorno sentì un odore pungente di detersivo e candeggina. Non gli ci volle molto per trovare ciò che cercava. Afferrò gli indumenti e uscì nuovamente. Sollevando lo sguardo vide la sua destinazione, il cottage di Alicia Chadwick. Dentro era buio. Senza essere visto raggiunse la porta sul retro e girò la maniglia. La porta non era chiusa a chiave. Entrò senza far rumore e si fermò ad ascoltare. Nessun rumore. Poi si abbassò di colpo vedendo alcune ombre che correvano lungo la strada. Salì al piano di sopra ed entrò nella sua stanza. Voleva riprendersi il cellulare che stupidamente aveva lasciato lì quando erano scappati da Babbage Town, ma si rese immediatamente conto che la camera era stata perquisita e si erano portati via tutto. Allora andò alla porta della stanza di Alicia, la aprì e vi scivolò dentro nella speranza di mettere le mani su un cellulare. Il colpo lo prese su una spalla. «Vattene via da me! Vattene!» gridò una voce. Le afferrò una mano prima che potesse colpirlo di nuovo. «Sono io, Alicia. Sean.» Se ne stava nascosta dietro la porta e non aveva trovato arma migliore che la protesi. «Sean!» esclamò sbalordita. La strinse a sé, aiutandola a tenersi in equilibrio sulla gamba. «Che cosa fai qui? Credevo che fossi andata via.» «Anch'io credevo che tu fossi andato via. Sono tornata nel caso fosse spuntata Viggie. Poi ho udito qualcuno che si muoveva furtivamente dentro casa.»
«Dobbiamo andarcene da qui, Alicia.» «Perché? Che cosa è successo?» «Non ho il tempo di spiegartelo, ma c'è in ballo la CIA e probabilmente anche trafficanti di droga e qualche omicidio. Qui è pieno di barbe finte, ma ho un piano.» Lei si agganciò in fretta la gamba artificiale. «Dov'è Michelle?» gli chiese. «È quello che vorrei sapere. Ha seguito il carico di droga e... Spero che stia bene. Hai un cellulare? Devo chiamare la polizia.» «L'ho lasciato in macchina.» «C'è un telefono fisso in casa?» «No, soltanto il cellulare.» «Maledizione!» Si guardò attorno. «Allora, faremo così. Tu adesso vai a prendere la tua auto, immagino sia posteggiata qui davanti.» «Sì.» Sean tirò fuori l'uniforme della sicurezza che aveva preso nella lavanderia e l'indossò velocemente. Alicia vide lo squarcio sulla sua gamba. «Oh Dio, Sean, sei ferito!» «Non è niente, starò molto peggio se non ce ne andiamo da qui. Se qualcuno ti ferma di' che sei spaventata e te ne stai andando. Io ti verrò dietro senza farmi vedere.» «Non puoi fingere di scortarmi, visto che indossi quell'uniforme?» «Alle guardie basterà darmi un'occhiata in viso per riconoscermi, ma da lontano loro e la CIA vedranno soltanto un'uniforme. Ci incontreremo davanti all'auto e andremo insieme alla polizia.» Alicia sembrava in preda al panico. «E se non mi lasciassero andare, Sean? Potrebbero sospettare che so qualcosa.» «Tu mostrati spaventata.» Lei riuscì a fare un sorrisetto. «Non mi sarà difficile, sono terrorizzata.» Il viso le si riempì di lacrime. «Credi che siano stati questi uomini a portare via Viggie?» «Sì, sono loro» le rispose dopo una breve esitazione. Poi si mise a cercare con lo sguardo e le dette un fermacarte che aveva visto sul comodino. «Non è granché come arma, ma per il momento non riesco a trovare di meglio.» Da fuori giunsero altri rumori. «Ascolta, Alicia, prendi la strada principale, supera la Capanna 3 e la piscina e fermati nel cortile davanti all'entrata principale.» La prese per le spalle. «Puoi farcela, dai!»
Lei finalmente annuì, respirò a fondo per calmarsi e lo seguì al piano inferiore. Un minuto dopo tutto stava andando per il verso giusto. Incrociarono due guardie, che però non li fermarono. Ma la situazione precipitò quando lei, giunta all'altezza della piscina, si vide correre incontro una squadra di uomini in nero. Quello che sembrava il capo sollevò una mano per fermarla. «Merda!» biascicò Sean dal suo nascondiglio, e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a tirarsi fuori dai pasticci. Poi ricordò, infilò una mano nella borsa ed estrasse la bomba a mano che aveva preso alla guardia di Camp Peary, tolse la sicura e la lanciò al di là della recinzione della Capanna 3. La bomba colpì il silo metallico e ricadde al suolo. Sean frattanto si era già messo a correre, arrampicandosi poi su un albero. Cinque secondi dopo l'esplosione aprì una falla alla base del silo e tonnellate d'acqua si riversarono fuori, disperdendosi in tutte le direzioni come un fiume che invade gli argini. Sean udì delle grida e vide Alicia e gli uomini in nero travolti e buttati gambe all'aria da quella poderosa ondata. Alicia venne trascinata via e andò a sbattere contro alcune sdraio all'altra estremità della piscina, mentre i tre armati persero i sensi dopo aver sbattuto la testa contro il camino di pietra. Appena il silo si fu svuotato Sean avanzò nell'acqua alta fino alle ginocchia, che però si stava già abbassando, e si avvicinò ad Alicia. «Scusami per questo tsunami, ma non mi è venuto in mente nient'altro» le gridò. E in quel momento capì che qualcosa non andava. Alicia stringeva le mani sulla protesi e si contorceva per il dolore. Lui le si inginocchiò accanto. «Che cosa c'è, Alicia?» La donna emise un gemito. «Quando l'acqua mi ha investito ho sentito qualcosa di metallico che mi s'infilava nella coscia. Non riesco a camminare.» «Oh, maledizione!» Sean esaminò la gamba e subito dopo, senza capire che cosa stava succedendo, finì nell'acqua della piscina e pensò che gli avessero spaccato il cranio. Raggiunse il fondo del lato basso e si dette una spinta per tornare in superficie. Ma, appena riemerso, qualcosa gli venne stretto attorno al collo. Lui istintivamente tentò di infilare le dita per liberarsi, ma era così stretto che non ci fu nulla da fare. Allora si voltò. Alicia teneva i due capi di una garrotta e lo stava strangolando. Non riusciva più a respirare e gli sembrava che gli occhi stessero per schizzargli dalle orbite. Tentò di scrollarsi di dosso Alicia, che però gli a-
veva passato attorno alla vita la gamba buona e tirava con tutte le sue forze il filo che gli serrava la gola. In preda al panico si mise a sferrare pugni dietro di sé, alla cieca, senza riuscire a colpirla. Allora le assestò un pugno sulla gamba ma lei usò la protesi per tirargli un calcio alle reni che gli tolse il fiato. Sean inciampò finendo nuovamente in acqua e portandosela dietro, ma Alicia a differenza di lui poté respirare a fondo. Il cervello stava per scoppiargli e quella maledetta corda lo stringeva sempre più. Doveva assolutamente respirare. Si sentì venire meno, il corpo lo stava abbandonando. Aiutami, Michelle. Aiutami, sto morendo. Ma Michelle non c'era. Poi, miracolosamente, la pressione attorno al collo scomparve insieme con il peso di Alicia. Un secondo dopo schizzò fuori dalla piscina, respirando affannosamente e vomitando in acqua. «Andiamo!» Il suo cervello in fiamme non riuscì quasi a capire quella parola. Sì, era proprio Michelle, era arrivata in tempo per salvarlo. Era salvo. Salvo! «Subito!» La mano lo sollevò quasi di peso. La mano era quella di Ian Whitfield, che lo stava fissando. Alicia giaceva priva di sensi sul bordo della piscina. «Dobbiamo tagliare la corda» disse in fretta il capo di Camp Peary, tirando su Sean. «E lei che diavolo ci fa qui?» riuscì a dire lui, sputando acqua e massaggiandosi il collo dolorante. «Non c'è tempo per le chiacchiere, muoviamoci e basta. Questo posto è pieno di gente.» «È pieno della tua gente, brutto figlio di puttana.» «E invece no, questi fanno parte di due squadre paramilitari che non dipendono da me. Forza, muoviti!» Whitfield corse zoppicando verso il varco che separava la Capanna 3 dal box. Sean esitò un attimo e abbassò lo sguardo su Alicia, che aveva accanto il fermacarte con il quale l'aveva colpito. Aveva tentato di ucciderlo. Ma perché? Poi dalle spalle gli giunsero delle grida e allora si mise a correre e raggiunse Whitfield, che se ne stava acquattato accanto a un albero. «Mi vuoi dire che cosa sta succedendo?» gli chiese con voce stanca e roca. «Non adesso.» Whitfield estrasse dalla cintura una pistola e la dette a Sean, tenendo per sé un MP-5 che aveva evidentemente nascosto in precedenza dietro un cespuglio. «Se devi usarla spara alla testa, il giubbotto an-
tiproiettile è in grado di fermare i colpi di qualsiasi pistola.» «Dove stiamo cercando di andare?» «Ho attraccato una barca circa duecento metri a sud della banchina.» «Ma il fiume non è pattugliato?» «Sì, ma ti stenderai sul fondo della barca e ti coprirò con un telone impermeabile. Quando mi vedranno, ci lasceranno passare.» «Andiamo, allora.» Whitfield sollevò una mano. «Non subito. Ho visto che hanno diviso in zone l'area delle ricerche e appena una di queste zone sarà stata passata al setaccio ci entreremo noi e ci faremo strada fino al fiume.» «Dov'è Michelle?» «Non ne ho idea.» «Si era infilata sotto il camion prima che uscisse da Camp Peary.» Whitfield sembrò per un attimo sbalordito, poi assunse un'espressione cupa. «Merda!» «Era eroina quella arrivata con l'aereo? E quegli arabi? Chi erano?» Whitfield sollevò minaccioso il fucile mitragliatore. «Sfammi a sentire, King, non devo né a te né a nessun altro alcuna spiegazione. Sono qui solo per salvarti il collo e magari per rimediare a qualche errore. Non farmi pentire della mia decisione.» 85 Michelle abbandonò la Mercedes all'imbocco della strada principale per Babbage Town e con Viggie attraversò il bosco puntando verso il fiume. Poco prima la bambina le aveva spiegato che qualcuno era entrato di notte in camera sua e le aveva premuto qualcosa contro il viso: si era addormentata all'istante, svegliandosi poi legata e imbavagliata dentro l'aereo di Champ Pollion. Prima di tuffarsi nel bosco ebbero entrambe il tempo di vedere un corteo di suv neri che correvano verso Babbage Town, con in testa quello di Merkle Hayes. La cavalleria, se non altro, si era attivata. Arrivate al fiume si tennero lontano dalla sponda, perché sulle acque dello York c'era sufficiente attività da far capire a Michelle che doveva essere successo qualcosa. Riuscirono finalmente a entrare a Babbage Town. Michelle sollevò gli occhi al cielo al passaggio di un aereo, poi riportò la sua attenzione sui nemici da affrontare sul terreno. Aveva cercato di telefonare a Sean, ma
poi si era ricordata che lui aveva lasciato il cellulare a Babbage Town. Allora le venne in mente di chiamare Horatio, che rispose al primo squillo. Gli raccontò in breve ciò che era successo, aggiungendo che Viggie era con lei. Lui si limitò a farle una sola domanda. «Dove posso venire a prendervi?» Si dettero appuntamento sul fiume e qualche minuto dopo lo psicologo arrivò ai comandi del motoscafo Formula Bowrider. «L'avevo attraccato in una rada non lontano da qui, sperando che qualcuno mi chiamasse» le spiegò. «Dov'è Sean?» «Non lo s...» Si era voltata a guardare in direzione del bosco. «Sean!» Fu percorsa da un'ondata di sollievo nel vedere Sean King che usciva dalla macchia d'alberi, ma un istante dopo il sollievo si trasformò in terrore quando accanto a Sean si materializzò Ian Whitfield con un fucile mitragliatore. Lei gli puntò immediatamente la pistola alla testa. «Lascialo andare!» «È tutto a posto, Michelle» le gridò Sean. «Ci sta aiutando.» «Stronzate.» «Mi ha salvato la vita.» «Mi dicono che te la cavi bene con le armi, Maxwell.» Whitfield fece qualche passo e le lanciò l'MP-5. «Spero che sia davvero così.» Lei afferrò al volo il fucile, sempre tenendo la pistola puntata sul capo di Camp Peary, ma il suo sguardo non era più sospettoso. «Che cosa sta succedendo?» «Babbage Town brulica di gente armata fino ai denti e Alicia ha tentato di uccidermi.» «Ho chiamato gli agenti, adesso sono a Babbage Town» l'informò lei. Sean guardò alle spalle di Michelle. «Viggie!» La ragazzina gli fece un timido gesto di saluto. Whitfield guardò Horatio e poi il motoscafo. «E questo chi è?» «Un nostro amico» gli rispose Sean, e poi fece per salire sul Formula Bowrider. «No!» lo bloccò Whitfield. «Quello non va bene. Seguitemi.» S'incamminarono lungo la riva, imbarcandosi poi sul gommone legato a un palo che spuntava dall'acqua. Quindi Whitfield li fece stendere sul fondo, coprendoli con un telone. Sean si affacciò da sotto il telone e gli mostrò la pistola. «Sia chiaro, se provi a fare qualche scherzo ti becchi una pallottola in testa.»
Si scatenò subito un violento temporale e il fiume prese a ingrossarsi e ad agitarsi mentre dai nuvoloni scuri si rovesciava un diluvio. Michelle uscì da sotto il telone per il tempo necessario a prendere un giubbetto salvagente e farlo indossare a Viggie. Avevano fatto poca strada quando furono avvicinati da un'altra imbarcazione. Da sotto il telone, Sean udì Whitfield biascicare un'imprecazione e non gli sembrò un fatto incoraggiante. Strinse la mano attorno al calcio della pistola. L'altra barca era molto più grande e aveva a bordo dieci uomini armati più un'undicesima persona. Sean trasalì nell'udirne la voce. «Dove sei stato, Ian?» chiese Valerie Messaline. «A Babbage Town, sembra che qualcuno abbia chiamato la polizia.» «E chi potrebbe essere stato, secondo te?» «Secondo me, gli stessi che sono entrati a Camp Peary. Ma ormai non ha importanza, i buoi sono usciti dalla stalla. Devi sganciarti, subito.» «Non credo proprio. Perché non prendi a bordo qualcuno dei miei uomini e scendi lungo il fiume con loro? Quelli che hanno chiamato la polizia potrebbero avere preso quella direzione.» «No, credo invece che tu e questi uomini dovreste raggiungere subito Babbage Town, i nostri hanno bisogno di tutti i rinforzi possibili. Io torno a Camp Peary per cercare di limitare i danni.» Mentre lui parlava Valerie stava osservando il gommone e quando risollevò lo sguardo le apparve in viso un sorriso trionfante. «Il tuo gommone pesca un po' troppo per avere a bordo soltanto una persona, Ian.» Whitfield dette gas e speronò il fianco dell'altra imbarcazione: per l'urto due uomini caddero in acqua e Valerie finì gambe all'aria. Poi Whitfield eseguì una veloce marcia indietro, facendo sollevare la poppa del gommone con le eliche per metà fuori dall'acqua, e subito dopo innestò nuovamente la marcia avanti e dette tutto gas. Gli uomini di Valerie aprirono il fuoco e i proiettili sferzarono l'acqua e aprirono buchi nello scafo del gommone. «Un po' d'aiuto non mi dispiacerebbe» gridò Whitfield. Sean e Michelle si scrollarono il telone di dosso mettendosi poi in ginocchio, mentre Horatio rimaneva schiacciato sul fondo circondando con le braccia Viggie per proteggerla. Quindi aprirono il fuoco contro la grossa barca che li inseguiva e Michelle colpì la prua con alcuni colpi dell'MP-5. «Risparmiate le munizioni» gridò ancora Whitfield. «Ho solo due cari-
catori di riserva per l'MP-5 e uno per ciascuna pistola.» E lanciò a Michelle un altro caricatore per il fucile mitragliatore. Correvano a oltre cento all'ora, con il gommone che beccheggiava con salti da far vomitare anche l'anima mentre il vento si faceva più intenso. Le onde avevano ormai raggiunto un metro di altezza. Sean prese la mira con calma ed esplose quattro colpi, ma da quella distanza e sparando praticamente da una specie di pedana elastica la pistola non era molto efficace. «Posso fare una domanda stupida?» chiese a Whitfield. «Puoi.» «Mi sai spiegare perché la tua mogliettina sta cercando di ammazzarci tutti?» Whitfield affrontò un'ondata particolarmente impegnativa. «Non è mia moglie, è il mio capo» abbaiò. Sean spalancò la bocca. «Il tuo capo! Ma di che stai parlando? Pensavo che fossi tu il capo di Camp Peary.» «Puoi pensare quello che vuoi.» «E voi fate traffico di droga?» Whitfield rimase in silenzio. «E quegli arabi sull'aereo?» Whitfield scosse il capo. «Non sono affari tuoi.» «È stata Alicia a uccidere Len Rivest?» Silenzio. «Ma insomma, quella donna mi avrebbe ucciso se non fossi intervenuto tu!» esclamò Sean. «E questo è l'unico motivo che mi impedisce di metterti le manette.» «E Champ? Lavora per la CIA?» chiese Michelle. «Sentite, limitiamoci a rimanere vivi per i prossimi dieci minuti.» Michelle si voltò a guardare. «Stanno guadagnando terreno!» «I loro motori sono due volte più potenti dei miei. Ora reggetevi forte.» «Perché, secondo te finora che cos...?» Sean non poté terminare la domanda perché Whitfield era riuscito chissà come a eseguire una virata a novanta gradi senza decelerare. E sarebbe finito in acqua se Michelle non l'avesse afferrato mentre le scivolava davanti, stringendo al tempo stesso le gambe a forbice attorno a Viggie nel caso Horatio non ce l'avesse fatta a tenerla. «Mick!» urlò la bambina. «Ti tengo, Viggie, non aver paura.»
Whitfield aumentò la velocità e il gommone si lanciò verso la sponda opposta, puntando verso l'immissario che entrava a Camp Peary. Passarono come un fulmine davanti a una serie di indicatori luminosi galleggianti, posti a circa cinquecento metri dalla riva per segnalare l'estremo pericolo che correva chi avesse superato quel limite: e Sean aveva tutti i motivi di credere alla serietà di quell'avvertimento. Quindi sfilarono davanti a due barche poste all'imbocco dell'immissario. Gli equipaggi puntarono immediatamente le armi, tra le quali un lanciarazzi, ma quando riconobbero Whitfield le riabbassarono disorientati. E lui ebbe la faccia tosta di salutarli. Il gommone prese a zigzagare come per evitare invisibili ostacoli presenti nell'acqua, mentre Whitfield teneva lo sguardo fisso su un piccolo schermo illuminato al centro del quadro comandi. «Continuano ad avvicinarsi» gridò Michelle. Poi impallidì. «Stanno per lanciarci un razzo.» L'uomo a prua della barca inseguitrice li stava effettivamente inquadrando nel mirino del suo lanciagranate. Viggie urlò di terrore. «Horatio, tienila stretta!» Whitfield fissò un punto nell'acqua come se stesse cercando di prendere il ritmo di qualcosa. E questo qualcosa era un'onda. «Tenetevi più forte che potete!» ruggì. Sean e Michelle si aggrapparono a tutto ciò che trovarono. E si aggrapparono l'uno all'altra. 86 Il gommone colpì l'onda, s'impennò e decollò letteralmente, con le due eliche che rombavano nel vuoto. Poi ricadde sulla superficie dell'immissario. «Attenti!» gridò nell'altra barca Valerie Messaline, che aveva evidentemente capito lo scopo della mossa di Whitfield. Michelle si voltò appena in tempo per vederla tuffarsi dalla barca insieme ad alcuni dei suoi. Il pilota tentò di evitare il punto all'altezza del quale il gommone si era impennato, ma era ormai troppo tardi. La barca urtò la mina ed esplose. Whitfield virò immediatamente e uscì a tutta velocità dall'immissario, superando Messaline e compagni che tentavano disperatamente di togliersi di dosso i giubbotti antiproiettile prima di esserne trascinati sul fondo.
«Ma come hai fatto?» gli chiese Sean sbalordito. Quello batté l'indice sullo schermo. «È facile, se hai la mappa delle mine. Ieri ne avevo fatta spostare una, cerco sempre di essere preparato a ogni eventualità.» Il gommone si immise nuovamente rombando nelle acque dello York, ma nessuno vide il missile lanciato contro di loro da una delle imbarcazioni di pattuglia. Il missile li mancò di poco, non più di una decina di metri. Whitfield riuscì a malapena a mantenere il controllo del gommone, che rischiò di capovolgersi per lo spostamento d'aria. La pioggia cadeva adesso di traverso e li schiaffeggiava in viso. Michelle si guardò intorno. «Viggie! Horatio!» Erano stati sbalzati fuori dal gommone. Viggie galleggiava grazie al giubbetto salvagente, una cinquantina di metri più indietro, mentre alla sua sinistra Horatio sputava acqua e stava per affondare. Michelle, senza un attimo di esitazione, afferrò una ciambella di salvataggio e si tuffò cominciando a nuotare in direzione di Horatio, mentre alle sue spalle Sean si tuffava dall'altra parte del gommone per andare a prendere Viggie. Raggiunse lo psicologo e gli mise in mano il salvagente. «Va tutto bene, Horatio, non farti prendere dal panico. Ce la fai a tornare al gommone mentre vado a riprendere Viggie?» Lui annuì e Michelle si diresse verso la bambina, ma arrivata vicino al punto in cui l'aveva vista galleggiare poco prima si sentì gelare il sangue nelle vene. Stavano issando Viggie su una delle barche di Camp Peary, mentre dalla stessa barca due uomini puntavano le loro armi su Sean, che cercava ancora disperatamente di raggiungere la ragazzina. «No!» gridò allora, ma non aveva nulla per fermarli. Un istante dopo udì un rombo alle sue spalle e voltandosi di scatto vide il gommone di Whitfield arrivare a tutta velocità. Horatio era già a bordo; Whitfield era evidentemente tornato indietro a riprenderlo e, mentre si avvicinava, passò il timone allo psicologo. Poi si chinò, fece passare una gamba attraverso una specie di cappio elastico la cui estremità era assicurata a un anello a prua e allungò una mano. Michelle riconobbe immediatamente la manovra, la stessa alla quale aveva partecipato durante un addestramento con l'FBI quando lavorava al Servizio segreto. Così, quando il gommone le sfrecciò accanto, tirò un braccio fuori dall'acqua e afferrò la mano tesa di Whitfield, che subito usò l'altra per stringerle in una presa d'acciaio il braccio teso. La forza di Whitfield e la velocità del gommone la tirarono fuori dall'acqua, mandandola a ruzzolare dentro l'imbarcazione.
Lei non perse tempo a ringraziarlo ma si tirò su, afferrò una pistola e la puntò contro l'altra barca. Per non rischiare di colpire Viggie non fece fuoco direttamente sugli armati ma esplose cinque colpi sopra le loro teste, costringendoli in tal modo a porsi al riparo e consentendo a Sean di disimpegnarsi. «Avvicinati e lo tiriamo su» gridò a Horatio. «Non credo di potercela fare.» Allora scivolò fino al timone, che Horatio le lasciò subito, mentre Whitfield era pronto a ripetere la manovra di prima con Sean. E quando il gommone gli passò accanto Sean fu issato a bordo allo stesso modo. «Dai tutto gas» gridò Whitfield. «E Viggie?» «Dai gas o moriremo tutti!» Michelle spinse avanti la manetta e il gommone scattò con una potenza tale che Horatio e Sean per poco non caddero in acqua. «Metteremo in piedi un esercito, poi riattraverseremo questo cazzo di fiume e libereremo Viggie» urlò lei per superare il frastuono del temporale. Arrivati alla sponda opposta corsero immediatamente all'entrata di Babbage Town e lungo la strada Sean si fermò a riprendere la borsa che aveva nascosto dietro un cespuglio. Michelle guidò il gruppetto, in fila indiana, verso i suv parcheggiati accanto all'entrata e, appena arrivati, lei e gli altri furono circondati dagli agenti. Si fece avanti Merkle Hayes, che però non indossava l'uniforme ma una giacca a vento blu con la scritta DEA sulla schiena. Accanto a lui si materializzò l'agente speciale Ventris. Sean guardò lo sceriffo. «DEA? Che cosa c'entra l'antidroga?» «È una lunga storia.» «Avete fatto una retata?» chiese Michelle. «Di chi? Qui non c'è nessuno, a parte qualche guardia» le rispose stizzito Ventris. «Prima era pieno di gente della CIA con i giubbotti antiproiettile» gli spiegò Sean. «Be', se ne saranno andati.» Michelle sembrava non credere alle sue orecchie. «Abbiamo appena avuto una specie di battaglia sul fiume, ci hanno lanciato contro un razzo. Mi state dicendo che non avete sentito niente?» «Nel momento in cui siamo arrivati si è messa a suonare una sirena e ce
l'abbiamo fatta a neutralizzarla» disse Hayes. «Tra quella e il temporale non siamo riusciti a sentire niente.» «Ma almeno avete trovato sulla pista l'aereo pieno di droga?» chiese ancora Michelle. Hayes scosse il capo. «Quando i miei sono arrivati sul posto non c'era traccia né dell'aereo né di Champ Pollion.» «Un momento... Di che droga parlate?» intervenne Ventris. Per tutta risposta, Michelle si infilò una mano in tasca e ne estrasse la bustina di plastica. «Di questa, ce n'era almeno una tonnellata sull'aereo di Champ. È eroina.» Hayes prese la bustina e vi guardò dentro. «Da dove viene?» Sean gli indicò l'altra sponda. «Da lì, da Camp Peary.» In quel momento il cielo fu attraversato da una specie di palla di fuoco, che proveniva chiaramente dall'altra parte dello York. E tutti sollevarono lo sguardo. «Che diavolo è?» gridò Ventris. «Merda!» esclamò Michelle. «Secondo me è l'aereo che ho udito prima, scommetto che è quello di Champ Pollion. Deve essere riuscito a liberarsi e ha portato l'aereo con la droga a Camp Peary, e lì l'hanno fatto esplodere per eliminare le prove.» «Insomma, state dicendo che quella droga veniva davvero da Camp Peary?» chiese Hayes, guardando nervoso Ventris. «Spiegaglielo tu, Whitfield» disse Sean. Ma Whitfield non c'era. «Dove diavolo è andato?» chiese ancora Sean. «Secondo me, quando siamo usciti dal bosco non ci ha seguito» disse Michelle. «Ian Whitfield era con noi, mi ha salvato la vita.» «È vero» confermò Michelle. E Horatio annuì. «Dovete crederci, maledizione» disse Sean. «È quello che vorremmo.» Ma Hayes non sembrava convinto. «Un momento!» Sean estrasse dal suo zaino la videocamera. «Guardate qui.» E gli fece vedere il filmato, indicando l'aereo, gli arabi, Valerie Messaline e le balle che venivano scaricate. «Queste immagini sono di Camp Peary» disse Ventris. «Come le avete avute?» Sean sembrò a disagio. «Qualche attenuante forse ce la concederanno.» Michelle gli passò davanti e andò a piazzarsi di fronte a Ventris.
«Stammi a sentire. Hanno rapito Viggie Turing, l'hanno caricata su una delle loro barche e forse in questo momento stanno tornando a Camp Peary.» «L'avete visto con i vostri occhi?» le chiese subito Hayes. «Sì!» gridò lei. Poi afferrò Ventris per il bavero della giacca. «Rapita, capisci. Ricordi la specialità dell'FBI? Muoviamoci.» «Ma per l'amor di Dio, non possiamo fare irruzione a Camp Peary» obiettò Hayes. «Ci serve almeno un mandato.» «E allora fattene rilasciare uno, maledizione. Sei tu lo sceriffo, Hayes!» Lui emise un sospiro. «No, non sono uno sceriffo, lavoro alla DEA. Da due anni abbiamo in corso un'operazione congiunta con Ventris e l'FBI. Mi hanno infiltrato qui come sceriffo.» «Perché proprio qui?» gli chiese Michelle. «Perché sulla East Coast si stavano riversando fiumi di droga, e a un certo punto abbiamo concentrato le ricerche in quest'area» spiegò Ventris. «Pensavamo che la fonte di approvvigionamento fosse Babbage Town ma non avevamo idea di che sistema usassero, credevamo che la droga arrivasse via fiume.» «Ma non lo sapevate che Champ aveva un aereo?» gli fece notare Sean. «Certo che lo sapevamo, ma sapevamo anche che il Cessna non aveva l'autonomia necessaria per portarla dall'estero. E volevamo a tutti i costi scoprire la fonte» gli rispose Hayes. «E non abbiamo mai sospettato dei voli della CIA, in fin dei conti è un ente governativo» aggiunse Ventris, visibilmente nervoso. Michelle strappò il video dalle mani di Sean e lo mise in quelle di Ventris. «Eccola, la tua maledetta prova. Ora piantala di fare il difficile tirando fuori tutte 'ste cazzate, chiedi un mandato e attraversa quel fiume con un battaglione di agenti prima che a Viggie succeda qualcosa. Perché, se le faranno qualcosa mentre tu te ne stai qui a grattarti, giuro su Dio che ti darò la caccia anche in capo al mondo e ti ammazzerò a calci.» «Andiamo» disse Ventris, senza un attimo di esitazione. «Mike, è della CIA che stiamo parlando» osservò Hayes. «Dobbiamo provare ugualmente.» 87 Ci volle del tempo per farsi rilasciare un mandato e il giudice che trovarono non sembrava tanto entusiasta all'idea di autorizzare la perquisizione
di Camp Peary. Ma alla fine il video e le testimonianze di Sean, Michelle e Horatio riuscirono a vincere la sua resistenza. Il sole stava per sorgere quando il corteo di suv neri si fermò davanti all'entrata del complesso CIA e Ventris e Hayes si presentarono al corpo di guardia insieme con Sean, Michelle e un paio di dozzine di agenti federali. Due agenti della DEA stavano frattanto scortando Horatio Barnes, su richiesta di Sean, nel Nord Virginia perché si curasse la schiena affaticata, i polmoni malconci e il sistema nervoso a pezzi. Prima di salutarlo Sean gli aveva consegnato la copia del video con l'aereo, gli arabi e la droga di Camp Peary, raccomandandogli di farne altre copie e di metterne ciascuna in una cassetta di sicurezza diversa. Quando tre uomini del corpo di guardia si avvicinarono, Ventris sollevò il mandato di perquisizione e il suo tesserino. «Vi conviene far venire qui uno dei vostri superiori, signori miei» disse Hayes, esibendo il distintivo. Uno dei tre gli rispose in tono asettico e professionale. «Veramente, signore, qui ci sono i suoi, di superiori.» Dalla guardiola uscirono altri due uomini, uno in giacca e cravatta e l'altro in pantaloni cachi e giacca a vento della DEA. E Sean si sentì quasi mancare vedendo Hayes e Ventris irrigidirsi. «Mi dia quel mandato, agente Ventris» disse l'uomo in giacca e cravatta. «Ma io, signore...» «Subito!» Ventris glielo consegnò. L'uomo lo guardo e poi lo strappò. Quello con la giacca a vento della DEA si rivolse ad Hayes. «Ora lei mi dia quel video.» «E lei come fa a sapere del video?» gli chiese Hayes. «Me l'ha detto il giudice al quale lo ha mostrato per farsi rilasciare il mandato. Adesso me lo dia.» Hayes lo tirò fuori di tasca e lo dette al suo capo, che lo mise a sua volta in mano a una delle guardie di Camp Peary. «Adesso fate risalire in macchina i vostri uomini e toglietevi dai piedi.» Hayes fece per protestare ma quello lo bloccò. «In questa storia ci sono in ballo interessi nazionali, Hayes. Non dico che mi piaccia, ma è così. Se ne vada!» Il capo di Ventris si rivolse al suo subordinato. «Anche lei.» I due obbedirono. Sean e Michelle stavano per seguirli, ma furono bloccati dagli uomini della sicurezza.
«Voi due siete in stato di fermo» disse uno di loro. «Che cosa?!» esclamò Sean. Ventris e Hayes stavano per intervenire, ma si misero subito di mezzo i loro superiori. «Salite sui vostri maledetti suv e toglietevi di mezzo. Noi qui non abbiamo alcuna giurisdizione» disse loro il capo di Ventris. «Ma avevamo un mandato...» «Vuole finire in carcere per resistenza, Mike?» Poi guardò torvo Sean e Michelle. «Oppure per avere protetto, aiutato e favorito due criminali? Ora salga in macchina e faccia conto di avere avuto un incubo. È un ordine.» Ventris e Hayes guardarono impotenti Sean e Michelle. «Andate, ragazzi, la risolviamo noi questa faccenda» li rassicurò Sean. Ma non sembrava molto convinto, anche perché non lo era. Mentre il corteo delle auto si allontanava Sean e Michelle si voltarono udendo un rumore di passi. Valerie Messaline indossava un'uniforme da lavoro beige e dal collo le pendeva un cordoncino con il tesserino della CIA. «Benvenuti a Camp Peary» li salutò. «Mi sembra di capire che non vedevate l'ora di farci una visita.» 88 La cella era un quadrato di cemento di un metro e ottanta di lato, fredda e priva di finestre. Sean era stato spogliato nudo e costretto a rimanere in un angolo sull'attenti. Dopo sei ore, esausto, si accoccolò: la porta della cella si riaprì subito e quattro mani lo tirarono nuovamente su. Un'ora dopo aveva perso la sensibilità alle gambe e tornò ad accoccolarsi e ancora una volta lo tirarono su. La scena si ripeté diverse volte. Dopo ventidue ore gli permisero di gettarsi sulla scomodissima brandina, ma un minuto dopo un getto di acqua gelida lo colpì al viso. Poi fu costretto a sedere sul bordo di uno sgabello metallico fissato al pavimento, e bastava si muovesse di un millimetro perché la porta si riaprisse e lo rimettessero nella posizione giusta. Un'ora dopo lo costrinsero ad appoggiarsi con il sedere così vicino al bordo dello sgabello che quasi non riusciva a sostenersi. Trenta minuti dopo lo fecero spostare ancora più sul bordo e, ogni volta che si muoveva, parte della pelle del sedere rimaneva appiccicata a quel freddo sedile. Dopo cinque ore aveva i crampi, dopo dieci ore vomitò tutto quello che aveva nello stomaco. Dopo sedici ore gli fu concesso di crollare sul letto, coperto del suo vomito. Gli venne data una tazza d'acqua, ma niente cibo.
Ogni volta che stava per addormentarsi la porta veniva spalancata e cominciavano a dargli colpetti sui fianchi con dei bastoni, ordinandogli di rimanere sveglio. E ogni volta che si riaddormentava la scena si ripeteva. La tortura andò avanti per due giorni, finché cadde sul pavimento in preda alle convulsioni. Dopo tre giorni di questo trattamento Sean trovò ancora la forza di mettersi a urlare. «Sono un cittadino degli Stati Uniti, maledizione, non potete farmi questo. Non potete!» Schizzò in piedi e si lanciò contro la porta, ma mani robuste lo respinsero e cadde sul pavimento, sbucciandosi mani e ginocchia. «Non potete farmi questo» ripeté. Tentò di alzarsi, di reagire, ma era troppo debole. «Non avete alcun diritto di farmi questo.» «Sì che ce l'abbiamo» disse una voce femminile. Lui alzò gli occhi e si trovò davanti Valerie Messaline. «Ti sei introdotto abusivamente in una struttura dell'intelligence americana. Hai rubato certe cose.» «Sei pazza.» «Hai tradito il tuo Paese. Abbiamo le prove che sei venuto qui con la scusa di indagare su un omicidio, ma con il vero obiettivo di spiare la CIA.» «È una stronzata e lo sai. Voglio un avvocato, subito!» Lei non fece una piega. «Le nostre indagini ci hanno permesso di accertare che tu e Michelle avete materialmente collaborato con nemici degli Stati Uniti in un'operazione di spionaggio ai danni della CIA. Non avete quindi diritto all'assistenza legale o all'Habeas Corpus fino a quando non decideremo di accusarvi ufficialmente dei vostri reati e di portarvi in giudizio.» «Non puoi tenermi qui soltanto perché è così che ti va, cazzo!» esplose Sean. «La legge ci concede una certa discrezionalità.» «Che cosa vuoi da me?» gridò. «Sapere quello che hai visto e sentito, anche quello che stai immaginando. Ma ne riparleremo quando ti sarai un po' ammorbidito. Ci hai dato filo da torcere, sul fiume: ora tocca a noi ricambiare.» Si voltò e fece per andarsene. «Hai ucciso Monk Turing. E Len Rivest. Hai anche fatto saltare in aria l'obitorio? Tutto con la scusa di servire il tuo cazzo di Paese? Lo sai quante leggi hai violato?»
«Monk Turing aveva fatto quello che hai fatto tu, è entrato qui senza averne diritto. Per questo gli abbiamo sparato, avevamo la facoltà di farlo.» «Se fosse andata così non avreste spacciato la sua morte per suicidio, uno dei tanti suicidi avvenuti nella zona. Monk aveva visto quelle persone scendere dall'aereo, vero? Aveva visto la droga, e quindi doveva morire. Ma non sapevate che era già stato qui e aveva scritto in codice un resoconto. Sono sicuro che Alicia, nonostante ci abbia detto il contrario, è riuscita a violare quel codice. E Viggie quindi scompare. Mi sbaglio? Dai, Val, dimmelo!» «Non sei nella condizione di fare domande.» Nonostante la sua debolezza Sean cominciava a scaldarsi. «Per non parlare, poi, di Rivest. Prima che fosse ucciso aveva cominciato a raccontarmi certe cose, forse aveva scoperto che la CIA stava spiando Babbage Town. Deve essersi confidato con Alicia, che fingeva di provare qualcosa per lui. Ma non sapeva che Alicia lavorava con voi e, bum, Rivest muore. Dopo di che hai fatto saltare in aria l'obitorio per cancellare prove compromettenti. Come sto andando, Val? Ho fatto gol?» «Puoi fare tutte le ipotesi che vuoi.» «FBI e DEA sanno che ci tenete qui, non la passerete liscia.» Valerie lo guardò con aria di sufficienza. «Non capisci proprio come funziona questa faccenda, vero? Cosa vuoi che siano due morti rispetto a due milioni di vite da salvare? Ma fammi il piacere, stiamo parlando di due morti! Tu sei soltanto un invisibile puntino sul culo della Storia. Nessuno si ricorderà di te.» Poi si rivolse alla guardia. «Colpisci duro.» E si richiuse la porta alle spalle. 89 Due giorni dopo Sean King riusciva a malapena a ricordare il suo nome. «Basta, per favore» continuava a chiedere. «Basta, vi prego.» Ma non l'ascoltarono. Lo trasportarono in un'altra stanza e lo infilarono in una lunga scatola simile a una bara, legandolo così stretto da non potersi quasi muovere con dei cavi collegati al torace e a un braccio. Il coperchio con cui chiusero la bara era ad appena cinque centimetri dal suo viso. La sensazione di claustrofobia era insopportabile. Lui non poteva vedere i tubi collegati alla bara, all'interno della quale la temperatura venne abbassata a intervalli regolari portandolo al limite dell'ipotermia. Poi dovette lottare per riuscire a re-
spirare, mentre il livello di ossigeno veniva abbassato: solo quando stava per svenire pomparono un po' d'aria in quella specie di sarcofago. Questa tortura andò avanti per dieci ore, durante le quali Sean s'indebolì sempre più: finché per sua fortuna svenne. Quando si risvegliò scoprì di avere visite. «Salve, Sean» lo salutò Alicia. «Sei venuta a goderti lo spettacolo?» le chiese lui con voce fioca. «No, non mi fa certo piacere vederti qui.» «Davvero? Mi è abbastanza difficile crederci.» Si tirò su a sedere, appoggiando la schiena alla parete. «Traffico di droga, omicidio, sequestro di persona, tortura. Ho dimenticato qualcosa?» «Non capisco che cosa vuoi dire» commentò lei calma. «Voglio dire che tu e Valerie siete due trafficanti di droga.» «Io non la metterei in questi termini.» «E allora ammazzare Monk Turing e Len Rivest come lo definiresti?» «A Monk hanno sparato perché si era introdotto abusivamente a Camp Peary.» «Ma Len l'hai ucciso tu, vero? E io che pensavo avessi un debole per lui.» «Abbiamo tutti un lavoro da portare a termine.» «Ammetti di averlo ucciso, quindi?» «È in corso una guerra e abbiamo tutti un lavoro da portare a termine» ripeté più lentamente. «E mi hai quasi ammazzato!» «Sapevamo che eri tu l'intruso che cercavamo, che avevi visto certe cose. Tu e Michelle, proprio come Monk Turing. Per questo adesso ti trovi qui.» «Quindi ci torturate, scoprite che cosa sappiamo... e poi? Ci lasciate andare?» «Non dipende da me.» «Certo, lasci decidere qualcun altro. Allora, come moriremo? Per un'esplosione di gas? Suicidio? Io morirò dentro la vasca da bagno? A proposito, per uccidere Len hai usato lo sturalavandini o la tua gamba artificiale?» «Io mi limito a eseguire gli ordini.» «Gli ordini di Valerie? Ti basta un suo ordine per uccidere qualcuno? L'ordine dato da una psicopatica? E che mi dici del medico dell'obitorio? Che cosa aveva fatto di così grave da dover saltare in aria?» «Esistono i danni collaterali, è triste ma è così. Non mi piace, ma non
posso farci niente.» «Certo che puoi, basta smettere.» «Non so in che tipo di mondo tu voglia vivere, ma evidentemente non è lo stesso che ho in mente io.» «E questo tuo mondo prevede l'eliminazione di Viggie?» Alicia abbassò subito lo sguardo. «A Viggie non succederà niente.» «E invece sì, Alicia» ruggì lui. «Anche Viggie diventerà un danno collaterale, forse lo è già. Lo sai come lo so io.» Lei si voltò per uscire. «Sei venuta a trovarmi prima che cali la mannaia? È così? A vedere una delle tante vittime andarsene all'altro mondo? Sono sicuro che Len ha apprezzato il gesto. Lo sapeva che eri tu? Magari pensava che eri andata da lui per scopartelo, per divertirvi un po' nella vasca da bagno.» «Zitto!» «No, non sto zitto. Mi sentirai, cara signora.» Alicia si allontanò in fretta, inseguita dalle sue grida indignate. «Sarai tu a premere il grilletto contro Viggie? Lo farai, vero?» Si mise a correre, ma le grida di Sean erano altrettanto veloci. Scivolò sul pavimento sdrucciolevole e cadendo la protesi le aprì un taglio nell'altra gamba. Allora, accasciata al suolo, prese a singhiozzare mentre le grida di Sean si ripercuotevano sulle pareti di quel cupo corridoio. «Mi dispiace tanto, Viggie. Mi dispiace tanto.» 90 Sean fu costretto per altri tre giorni a stare sull'attenti o accoccolato. Non gli davano da mangiare, ma solo una tazza d'acqua al giorno, quel che bastava per tenerlo in vita. Lo infilarono altre tre volte nella bara. Ogni volta che tentava di appisolarsi veniva colpito o inondato da un getto d'acqua. Nella sua cella veniva trasmessa senza preavviso musica assordante, che continuava a suonare per ore. La cella era stata elettrificata, e così prendeva la scossa ogni qual volta toccava il letto o la parete o certi punti del pavimento, tanto che si andò a rannicchiare in un angolo con la paura di muoversi. Aveva lo stomaco vuoto, la pelle escoriata e il morale a pezzi. Tornato in cella dopo l'ennesimo viaggio dentro la bara dormì un paio d'ore, poi al risveglio si guardò attorno. Non sapeva da quanto tempo si trovasse lì, se giorni o settimane o anni, sul cervello gli era come calata una saracinesca. E quando la porta della cella fu riaperta cominciò a sin-
ghiozzare, terrorizzato al pensiero di ciò che avrebbero potuto fargli. «Ciao, Sean. Te la senti ora di fare il bravo ragazzo?» gli chiese Valerie. Non riuscì nemmeno a sollevare il capo. «La tua amica è più coriacea, non siamo mai riusciti a farla piangere.» Allora alzò gli occhi. «Dov'è Michelle.» «Non sono affari tuoi, caro il mio ometto.» Gli bastò guardare i lineamenti arroganti di Valerie Messaline, il suo sbrigativo modo di fare, perché in lui alla paura si sostituisse la rabbia. Premette una mano contro la parete per non perdere l'equilibrio e poi, prima che qualcuno potesse intervenire, scattò e le fu addosso con le mani strette attorno alla gola. Voleva ucciderla, spremere ogni molecola di arroganza e di superiorità da quell'essere brutto e sporco. Le guardie lo strapparono via, mandandolo a sbattere contro un angolo. Quando lui si mise a sedere e sollevò lo sguardo, Valerle se ne stava poggiata alla parete di fronte, tentando di riguadagnare la sua compostezza, ma nei suoi occhi si leggeva la paura. E in quel momento quel piccolo trionfo gli bastò. Si alzò con le gambe che gli tremavano, sorreggendosi con una mano al muro. «Brutti quei segni che ti ho lasciati sul collo, Val» disse. «Forse dovresti passare un po' di tempo dentro la bara, dicono che la privazione dell'ossigeno faccia scomparire i lividi da strangolamento: se non soffochi prima, naturalmente.» «Ti è sembrato brutto il trattamento che hai ricevuto finora, vero?» sibilò lei. «Be', ancora non hai visto niente.» «Dov'è Michelle?» «Te l'ho detto, pensa per te.» «Michelle è la mia socia ed è mia amica, ma forse questi concetti ti sono estranei.» Guardò uno degli agenti, un giovanotto dai corti capelli biondi e dal fisico muscoloso. «Augurati di non far mai incazzare la qui presente signora, figliolo. Perché potrebbe decidere di etichettarti come spia, torturarti fino a romperti il culo e tu non potrai farci un accidente di niente.» L'agente rimase in silenzio ma lanciò una rapida occhiata in tralice al suo capo e Sean notò nei suoi occhi una briciola di dubbio. Allora riportò la sua attenzione su Valerie. «Dov'è Michelle?» urlò, scoprendo di avere ancora tanta aria nei polmoni. «Vedo che abbiamo ancora da lavorare su di te.» «Ho degli amici nella CIA ed escludo che Langley ti abbia autorizzato a fare ciò che stai facendo. Marcirai in prigione.»
Lei lo guardò freddissima. «Sto facendo il mio lavoro. Sei stato tu a tentare di mettere in ginocchio questo Paese, sei tu il nemico, sei tu l'intruso. Sei una spia, sei un traditore.» «E tu sei un pezzo di merda.» «Abbiamo anche le prove della tua partecipazione a un traffico internazionale di droga.» «Carina, questa, detta da te.» «Quando avremo finito di lavorarti ci dirai tutto ciò che vogliamo sapere.» «Puoi torturarmi fino a farti dire ciò che voi, ma questo non cambierà la verità.» Valerie si voltò verso una guardia. «Passate al livello successivo di trattamento. E dateci dentro, mi raccomando.» Ma prima che la guardia potesse muoversi la porta della cella si aprì e fece il suo ingresso un tipo in giacca e cravatta, seguito da due uomini armati. «Tu che ci fai qui?» esclamò Valerie. «Mi manda Ian Whitfield con alcune istruzioni per te» le rispose l'uomo in giacca e cravatta. «Istruzioni per me? Ian Whitfield non ha alcuna autorità su di me.» «Lui forse no, ma questa persona sì.» E le porse un foglio. Mentre Valerie ne leggeva il contenuto Sean, che la stava osservando attentamente, si rese immediatamente conto di ciò che era successo. Quella donna era diventata il capro espiatorio in una classica lotta di potere nella capitale, lotta riconoscibilissima da chiunque lavori in politica a Washington e invece totalmente estranea per la popolazione normale. Valerie piegò il foglio in due e se l'infilò in tasca. Una delle guardie fece un passo avanti, fece voltare Valerie e l'ammanettò. E lei, mentre la portavano via, guardò Sean. Le loro posizioni si erano completamente invertite e lui non voleva farsi scappare quell'occasione. «Ti conviene trovarti un cazzo di bravo avvocato, cara signora» le disse con voce stanca ma chiara. «Ne avrai un gran bisogno.» 91 Il giorno dopo Sean e Michelle furono trasferiti, a bordo di due aerei diversi, in una clinica dove sembrava fossero gli unici pazienti. Non avevano idea di dove si trovassero e nessuno rispose alle loro domande, ma ricevet-
tero cure di prim'ordine. Dopo diversi giorni di flebo e lunghe e ininterrotte dormite, e al termine di due settimane di alimentazione solida e di un po' di esercizio fisico, erano entrambi tornati a una quasi completa normalità. I medici li avevano tenuti separati, evitando di dare a ciascuno informazioni sull'altro. Finché Sean non ce la fece più e brandì una sedia, minacciando un'infermiera e un inserviente di spaccargliela addosso se non l'avessero portato da Michelle. «Subito!» aggiunse. Quando entrò nella sua stanza lei era seduta accanto alla finestra e fissava il cielo di un grigio deprimente. Sembrò avvertire la sua presenza perché si voltò di scatto, gridò «Sean!» e gli corse incontro. Rimasero per un po' abbracciati e tremanti in mezzo alla stanza. «Non... Non mi hanno detto niente di te» cominciò lei, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Io non sapevo neanche se eri ancora viva» balbettò Sean. «Ma ora è tutto finito, Michelle, siamo salvi. E hanno arrestato Valerie.» «Ti hanno infilato nella bara?» «Sì, diverse volte. Mi hanno detto che non hai pianto mai.» «Ho pianto, Sean, credimi. Sapessi quanto ho pianto.» Guardò fuori dalla finestra. C'era un'aiuola sotto la sua finestra, con i fiori già appassiti che chinavano i loro steli. «Quanto!» «Mi dispiace, Michelle.» «E perché? Tu hai avuto il mio stesso trattamento.» «Ma l'idea di scavalcare quella recinzione l'ho avuta io.» «Sono abbastanza cresciuta, Sean. Avrei potuto farti andare da solo.» «Lo so perché non mi hai mandato solo. Lo so.» E se ne rimasero seduti accanto alla finestra a guardare i fiori morti. Quando si furono entrambi sufficientemente ripresi vennero trasferiti a bordo di un jet privato in un'altra località. All'atterraggio li attendeva un'auto dai vetri oscurati che terminò la sua corsa in un garage sotterraneo, da dove salirono con un ascensore sicuro in un enorme ufficio che conteneva solo tre sedie. Davanti alla porta si misero di guardia due muscolosi giovanotti con la pistola sotto la giacca mentre loro si sedevano davanti a un signore piccolo, magro e impeccabilmente vestito, con folti capelli bianchi e occhiali dalla sottile montatura metallica. L'uomo congiunse la punta delle dita e li guardò amichevolmente. «Voglio anzitutto trasmettervi le scuse ufficiali del vostro governo per ciò che è accaduto.»
Sean gli parlò molto meno amichevolmente. «Strano, mi era sembrato che a tentare di ucciderci fosse stato proprio il nostro governo.» «Il governo può essere a volte un tantino difficile da gestire, signor King, e può succedere di tanto in tanto che alcune sue componenti superino i limiti posti dalle autorità» replicò lo sconosciuto. «Il che non conferisce una connotazione negativa alle altre componenti. E lei comunque si era introdotto abusivamente in una struttura della CIA.» Sean non si trovava nello stato d'animo più conciliante. «Lo dimostri!» Prima che quello potesse aprire bocca intervenne Michelle. «Si rende conto di quello che stava succedendo? E ha il coraggio di criticarci per ciò che abbiamo fatto?» «Il mio compito non è quello di criticare qualcuno, signora Maxwell. Ma di procedere da questo punto in maniera vantaggiosa per tutti noi.» «E come pensa di fare?» gli chiese Sean. «Il nostro governo, e sottolineo nostro, ci ha torturato fin quasi a ucciderci. Questo stesso governo ha rapito una ragazzina che si chiama Viggie Turing. Questo stesso governo ha ucciso delle persone. Come pensa di muoversi in maniera vantaggiosa per tutti noi?» «Glielo spiego subito. Abbiamo preso visione del filmato all'origine del mandato di perquisizione di Camp Peary. Come lei sa, contiene le riprese di certe attività... diciamo... compromettenti. I nostri tecnici hanno accertato che quel video è stato copiato.» «E lei vorrebbe mettere le mani su quel video, nel quale si vede il nostro governo mentre viola un centinaio di leggi diverse.» «Non il nostro governo, signor King» esclamò quello. «A volte, come dicevo, certe persone travalicano i limiti della loro autorità.» «Nel nostro caso non hanno travalicato questi limiti, ma se li sono messi sotto i piedi.» Sean studiò lo sconosciuto. «È per questo, quindi, che per convincerci hanno mandato uno come lei, uno tanto garbato, uno con i capelli bianchi e gli occhialini, un personaggio da Guerra fredda uscito da un romanzo di John le Carré.» «Mi fa piacere che lei abbia afferrato la situazione, e quindi la nostra necessità di acquisire tutte le copie di quel video, signor King.» «Non ne dubito, ma sono un avvocato e quindi ho bisogno di vedere una contropartita. E la avverto che, se davvero volete concludere l'affare, questa contropartita è meglio che sia almeno dieci volte superiore a quella che lei ha in mente in questo momento.» «Ho l'autorizzazione per fare certe concessioni...»
«Si fottano, le sue concessioni. Ecco le nostre condizioni. Come prima cosa, vogliamo indietro Viggie sana e salva, e se adesso mi dice che non è possibile sappia che il video se ne andrà dritto dritto da un mio amico giornalista che non vede l'ora di vincere il premio Pulitzer. In secondo luogo, Valerie Messaline o come diavolo si chiama veramente dovrà avere tutto quello che si merita, e non mi riferisco a una promozione. Terzo, identico trattamento dovrà essere riservato a miss gambalesta Alicia Chadwick. E quelle merdate che fanno a Camp Peary dovranno cessare, ma sul serio: niente più droga, niente più torture. E si consideri fortunato.» L'uomo valutò quelle condizioni. «Alle due donne abbiamo già provveduto, su questo ha la mia parola.» «Non me ne faccio un cazzo della sua parola. Voglio delle prove serie.» «D'accordo.» «E Viggie?» chiese Michelle tutto d'un fiato. «Sta bene?» Quello annuì. «Per ciò che riguarda Camp Peary, signor King, alcune di quelle attività cesseranno e altre sono già state cancellate. Ma non posso impegnarmi per tutte. Posso comunque assicurarle che le attività in questione sono assolutamente essenziali per garantire la sicurezza di questo Paese.» «È proprio quello che dite ogni volta che volete fare strame dei diritti di qualcuno, o no?» «Mi spiega come fa il traffico di droga a essere essenziale per garantire la sicurezza di questo Paese?» gli chiese Michelle. «Non la vendiamo, la distruggiamo» rispose impaziente lo sconosciuto. «Certo, e io quando fumavo non aspiravo» abbaiò Sean. «Tre persone sono state uccise. Assassinate» gli ricordò Michelle. «Un fatto particolarmente sgradevole. Ma che cos'è il sacrificio di tre persone se serve a salvare la vita di altre migliaia, o addirittura milioni?» «Niente, certo. A meno che a essere sacrificata non sia una persona che ci sta a cuore» sottolineò Sean. «E comunque non posso assicurarvi che tutte le attività delle quali siete stati testimoni a Camp Peary cesseranno.» «E allora ho paura che ci sia un problema. E se per caso lei avesse in mente di eliminare i due problemi che in questo momento le siedono davanti, sappia che di quel video ho fatto cinque copie nascondendole poi in altrettanti posti sicuri. E, se io e Michelle non moriremo novantenni nel nostro letto, una di queste copie sarà spedita al succitato amico in cerca di Pulitzer in modo che possa pubblicare per primo tutta la faccenda. Le altre
copie finiranno poi al "New York Times", al "Washington Post" e al "Times" di Londra.» «Tre più uno fa quattro. E la quinta copia?» «Quella la manderemo al presidente e sono sicuro che saprà apprezzarla.» «Come ha sottolineato lei stesso, siamo quindi in presenza di un'impasse.» Sean si alzò e prese a camminare su e giù. «I bravi avvocati hanno sempre pronta una soluzione di compromesso, quella che vado ora a sottoporre alla sua attenzione. A Camp Peary c'è un tesoro nascosto.» «Come dice, scusi?» chiese quello, sbalordito. «Zitto e stia a sentire. Questo tesoro è nascosto dietro un muro portante di Porto Bello, l'ex casino di caccia di Lord Dunmore. Si tratta di oro, argento, pietre preziose, vale sicuramente diversi milioni.» «Mio Dio!» «Ha capito bene. E, prima che il simbolo del dollaro le si fissi in permanenza nella retina, quel tesoro dovrà essere prelevato e venduto al prezzo più alto possibile. Il governo può comprarselo se vuole, a me non interessa. Ma il ricavato della vendita andrà diviso in tre quote uguali.» L'uomo tirò fuori carta e penna. «D'accordo. Immagino che due di queste quote siano destinate a voi due.» «No!» esclamò Sean. «Una andrà a Viggie Turing; non la compenserà della perdita del padre ma sarà già qualcosa. La seconda va ai due figli di Len Rivest, servirà per i loro studi universitari. La terza, infine, dovrà essere versata alla famiglia del medico legale saltato in aria insieme con l'obitorio. È tutto chiaro?» Quello terminò di scrivere. «Tutto chiaro.» «Bene. E non cerchi di fottermi perché controllerò l'ammontare delle somme che queste persone riceveranno. Somme esentasse, sia chiaro, anche se dovesse essere necessario un decreto del Congresso.» «Non dovrebbe essere un problema.» «Non ne dubitavo.» «E vogliamo vedere Viggie per essere certi che stia bene» aggiunse Michelle. «Si può fare.» «Lo faccia, e non prima o poi. Prima.» «Ci dia una settimana e tutto sarà sistemato.» «Mi raccomando.»
«E voi non aprirete bocca su ciò che sapete?» «Chiaro, non ho nessuna voglia di finire in prigione.» «E poi, chi ci crederebbe?» gli chiese Michelle. «Dopo di che avremo quelle copie?» «Dopo di che avrete quelle copie.» «Possiamo fidarci di voi?» «Esattamente quanto noi possiamo fidarci di voi.» 92 Una settimana dopo Sean e Michelle andarono a trovare Joan Dillinger nel suo ufficio, alla presenza di un uomo che non disse né come si chiamava né per chi lavorava. Quest'uomo si limitò a dichiarare che la proprietà di Babbage Town li ringraziava per il lavoro svolto e poi consegnò loro un assegno. E Sean vide subito che la somma avrebbe risolto i loro problemi economici nell'immediato futuro oltre che finanziare una bella vacanza. «Spero che siate riusciti a trovare qualcuno con cui sostituire Champ e Alicia» gli disse. «Deve essere stata dura perdere due elementi come loro.» «Sì, abbiamo già provveduto. E grazie alle vostre ricerche non saremo più esposti a occhi elettronici.» Mentre quello si congedava Sean non riuscì a trattenere una frecciata. «Perché dedicare tanto tempo e tanti soldi a qualcosa in grado di cambiare così radicalmente il mondo?» gli chiese. L'uomo gli lanciò un'occhiata interrogativa. «Chi vi ha detto che è questo che fanno a Babbage Town?» «Un paio di autentici geni.» Quello sollevò un sopracciglio. «Diciamo allora che la faccenda è un tantino più complicata, anche se ciò che lei ha detto è certamente possibile.» «E lei sarebbe disposto a giocare d'azzardo se la posta in ballo è rappresentata dal mondo intero?» esclamò. «Se non lo facciamo noi lo farà qualcun altro. Arrivederci e grazie ancora.» E uscì. «Non ne posso più dei geni» borbottò cupa Michelle. Joan sorrise. «Bel lavoro, Sean.» Poi guardò Michelle. «Bel lavoro anche il suo, Maxwell. Mi sembra di aver capito che senza di lei Sean non ce l'avrebbe fatta.» Non sapeva, e non avrebbe mai saputo, del calvario a cui li aveva sotto-
posti Valerie Messaline e dell'accordo da loro raggiunto con il governo. Le due donne si strinsero controvoglia la mano. Tornarono a casa e stavano per scendere dall'auto nel parcheggio sotterraneo quando si fermò davanti a loro una limousine e da un finestrino si sporse Ian Whitfield. «Entrate.» Entrarono e si sedettero di fronte a lui. «Mi dispiace di averci impiegato tanto a liberarvi» disse. «Come hai fatto a metterlo in quel posto alla strega malvagia?» gli chiese Sean. Fu Michelle, sorprendentemente, a rispondergli. «Hai scoperto, immagino, che Valerie si teneva per sé una fetta della droga per rivendersela. È così che l'hai incastrata, vero?» «Come hai fatto a capirlo, Maxwell?» «Quando all'aeroporto ho visto caricare le balle di droga sull'aereo di Champ mi sono accorta che alcune erano rimaste sul camion. Rappresentavano la parte di Valerie. Il vecchio arnese mandato dal governo sostiene che la CIA la distrugge la droga, ma Hayes e Ventris ci avevano detto che tutta quella zona era letteralmente invasa dall'eroina.» «Nemmeno Valerie era abbastanza ammanigliata da farla franca» commentò seccamente Whitfield. Sean fece schioccare le dita. «Ecco, batteva quel bar e fingeva di farsi rimorchiare, in effetti da lì dirigeva le spedizioni della droga.» Whitfield annuì. «Sono riuscito a convincere uno dei suoi a passare dalla nostra parte e, grazie a quello che ho saputo da lui, ho potuto bloccare i suoi traffici, inchiodarla e liberarvi.» «Ma perché correre il rischio di far portar fuori la droga da Champ? Perché non è stata distrutta a Camp Peary?» chiese Michelle. «Perché lì non abbiamo un impianto adeguato. E poi, quando hai preso Champ sul fatto, non abbiamo avuto il tempo di fare altro.» «Che mi sai dire della vecchia Valerie e della sua complice con tendenze omicide?» gli chiese Sean. Per tutta risposta Whitfield sollevò una copia del "Washington Post" nella quale, a pagina 6, si leggeva una breve notizia sulla dolorosa scomparsa di due funzionarle del dipartimento di Stato vittime di un incidente stradale alle porte di Pechino. La notizia era accompagnata dalle foto sgranate delle due donne. Sean guardò Michelle e riportò poi lo sguardo su Whitfield. «Che diavo-
lo, non è che le volessi proprio morte ammazzate.» «E che cosa pensavi sarebbe successo loro? Che le avremmo portate davanti a una corte perché rivelassero quello che sapevano? O perché si dilungassero sui programmi ultrasegreti ai quali lavoravano?» Guardò la foto di Alicia. «Ero con lei in Iraq quando il nostro Humvee saltò su una mina, fui io a tirarla fuori dai rottami, è in quell'occasione che mi sono fottuto la gamba. Era una brava agente, Alicia. Ma a un certo punto qualcosa in lei ha preso ad andare storto.» «Che mi dici del tesoro?» chiese sempre Sean. Whitfield tirò fuori alcuni documenti e glieli porse. «Come da tua richiesta, il ricavato della vendita è stato diviso in tre parti, uguali ed esentasse. Un bel gesto, lasciamelo dire: ben pochi sarebbero stati tanto magnanimi.» «E Viggie?» chiese Michelle. «È proprio da lei che stiamo andando. Sta benissimo, se si è salvata è perché per sua fortuna Valerie era troppo occupata con voi due e ha dovuto quindi rimandare la parte del piano che riguardava la bambina.» A quel punto Sean gli fece una domanda che gli stava particolarmente a cuore. «Spiegami una cosa, Ian. Tu ti sei schierato dalla nostra parte e quindi contro la tua organizzazione: come mai non sei morto o in prigione?» Whitfield s'incupì. «Io ero il responsabile tecnico di Camp Peary, ma a mandare avanti la baracca era Valerie. Aveva fatto un ottimo lavoro e la sua ascesa ai vertici era stata incredibilmente rapida. Io non sapevo quale sarebbe stato il nostro rapporto gerarchico quando mi è stato assegnato l'incarico, ma poi ho dovuto accettare come stavano le cose se non volevo compromettere la mia carriera. «Non ho tardato però ad accorgermi di aver commesso un errore, nel momento in cui lei prese ad agire con una certa disinvoltura, diciamo così. Fece passare dalla sua parte molte delle squadre paramilitari di base a Camp Peary e a me non rimase che attendere l'occasione propizia, anche se temevo che questa occasione non si sarebbe mai presentata.» Guardò Sean. «So che Valerie ha fatto di tutto per portarti a letto.» «Non ho dovuto faticare molto per resisterle» fu la sua risposta quasi sincera. «Meglio così, non ne saresti uscito vivo. Per questo mi sono presentato all'improvviso sulla spiaggia, sapevo che voleva accertare quanto tu avessi scoperto e quindi la seguii e feci la scena del marito cornuto. Lei se l'è pre-
sa con me perché in quel modo hai potuto andartene.» Sean sembrava sbalordito. «Devo dirti nuovamente grazie per avermi salvato la vita.» «Il mio compito è quello di proteggere i cittadini americani, anche dalla mia stessa organizzazione.» «Mi meraviglia che Valerie non ci abbia fatti uccidere subito, me e Michelle.» «Secondo me, voleva vendicarsi perché avevate mandato a monte i suoi piani. E inoltre voleva capire quanto avevate scoperto.» «Allora, chi ha ucciso Len Rivest?» «Posso soltanto dirti che l'interesse di Alicia per Rivest non era di natura romantica.» «E non era una coincidenza la presenza a Babbage Town sua e di Champ?» «Champ e Alicia erano stati assunti dalla CIA tanto tempo fa e assegnati a Babbage Town non appena è diventato operativo. Tra l'altro erano davvero degli scienziati in gamba.» «E si trovavano a Babbage Town per mettere le mani su ogni tipo possibile di tecnologia relativa ai computer quantistici?» gli chiese Michelle. «Diciamo che erano osservatori interessati. Ma la loro effettiva attività a Babbage Town era cercare una contromisura ai computer quantistici.» «Una contromisura?» «Viene dato per scontato che un giorno il computer quantistico verrà messo in commercio. I proprietari di Babbage Town, quindi, stavano tentando di realizzarne uno in modo da potergli trovare un'adeguata contromisura.» «Sarebbero stati loro, vuoi dire, a subire danni dai computer quantistici?» gli chiese Sean. «Insieme con le banche e le multinazionali?» aggiunse Michelle. «Quelli che i soldi li hanno davvero?» Whitfield annuì. «Dovevano sfruttare la teoria quantistica. Se il pubblico avesse scoperto ciò che poteva succedere alle banche sarebbe dilagato il panico. Ma la CIA non poteva tollerare che certe cose le passassero sotto il naso, non poteva rimanere inerte. Con questo non voglio dire che fossimo interessati a una contromisura: siamo pur sempre spie.» «Sono davvero arrivati a un passo dal bloccare il progresso?» Quello si strinse nelle spalle. «Se fossi in te tornerei a usare i contanti e userei per la corrispondenza carta e penna.»
«È solo un caso se Babbage Town si trova proprio di fronte a Camp Peary?» «La CIA ne possiede il terreno attraverso una società fantasma, lo acquistò proprio perché si trova di fronte a Camp Peary. Così Champ convinse i proprietari di Babbage Town ad affittarlo.» «E Champ, con il suo aereo, poteva portare fuori la droga per conto vostro.» «Vorrei mettere subito in chiaro che Champ è un bravo agente e ha fatto ciò che gli era stato ordinato di fare. Tutto qui, non lavorava con Valerie o con Alicia.» Whitfield fissò Michelle. «Mi ha chiesto di dirti che gli dispiace tanto che le cose abbiano preso quella piega.» «Gli dispiace tanto! Mi ha sparato a un braccio, quel brutto bastardo!» «Se avesse voluto ucciderti saresti morta.» «Viggie era nel suo aereo: l'avrebbe uccisa?» «No, volevamo portarla via da Valerie. Tu ti sei messa di mezzo.» «Ah!» Michelle sembrò imbarazzata. «Champ mi ha anche incaricato di dirti che hai tanti motivi per vivere, e di non avvicinarti mai più ai comandi di un aereo. Non so bene che cosa volesse dire.» Michelle si guardò le mani. «Champ quindi sta bene?» «Sì, ed è stato trasferito. Come me.» «Perché avevano preso Viggie?» chiese ancora Michelle. «C'era un codice anche nelle note della canzone che Alicia era riuscita a violare con i computer di Babbage Town» le rispose Whitfield. «Era derivato dal codice Enigma della Seconda guerra mondiale.» «Lo sapevo!» esclamò Sean. «Ha sfruttato l'indicazione che le avevo dato sul codice Enigma per violarlo, e poi ci ha mentito. E anche Viggie era a suo modo un codice di tipo speciale, un codice che vive e respira.» «Ma la chiave principale era proprio il titolo della canzone, Shenandoah» aggiunse Michelle. «Esatto» confermò Sean. «Qual era il messaggio contenuto nella canzone?» chiese lei. «Descriveva certe cose che Monk Turing aveva visto a Camp Peary, e tanto è bastato perché Valerie ordinasse ad Alicia di prendere Viggie.» «È stata lei a rapirla?» esclamò Michelle. «So che probabilmente non avrà una gran rilevanza, dopo tutto quello che ha fatto, ma è stata Alicia ad aiutare me e Champ a far salire Viggie su quell'aereo. Doveva volere molto bene alla bambina, perché così facendo
ha rischiato grosso.» «E invece una sua importanza quel gesto ce l'ha» disse Sean. «Ma come fai, Ian, a continuare a lavorare per gente che fa traffico di droga?» esclamò Michelle. «Per fare l'oppio sono necessari i semi di papavero e per fare l'eroina è necessario l'oppio. Attualmente in Afghanistan l'economia si regge esclusivamente sulla coltivazione del papavero. Se non la compriamo noi la comprano i terroristi, usando poi gli enormi profitti del traffico di eroina per attaccarci. A volte il male minore è l'unica scelta a disposizione.» «Per me rimane una scelta sbagliata, e ciò che ha fatto Valerie è decisamente criminale» insistette Michelle. «Valerie era una canaglia, punto e basta. Anche se può sembrarvi folle, credo che dopo avervi fatto torturare vi avrebbe ucciso, e magari pensava anche di farla franca. La CIA che aveva in mente lei non è la mia e mai lo sarà, finché avrò voce in capitolo.» «Devi dirci una cosa, Ian. Come ha fatto Monk Turing a guadare il fiume?» gli chiese Sean. Lui esitò. «Tutto sommato avete il diritto di saperlo: ha usato un propulsore subacqueo, l'abbiamo trovato.» Sean guardò Michelle. «No... Veramente?» Whitfield l'interruppe. «Ne abbiamo trovati due, per la precisione. Uno, in particolare, la notte in cui è scoppiato quel casino.» Guardò prima uno e poi l'altra. «Voi ne sapete niente?» Sean sorrise. «Le grandi menti ragionano in sintonia.» La limousine rallentò e si fermò. «Ci siamo» disse Whitfield. «Prendetevela comoda, io vi aspetto qui.» 93 Quando la donna aprì la porta Michelle si accorse che Viggie aveva effettivamente preso dalla madre. «Vi stava aspettando» disse la donna, facendoli entrare. «Lei è la madre di Viggie?» le chiese Michelle. «No, sono sua zia. La mia povera sorella è morta anni fa, ma tutti dicevano che ci assomigliavamo moltissimo.» Li fece accomodare in soggiorno. Viggie, appena vide Michelle, si mise a suonare il pianoforte e Michelle andò a sederle vicino e l'abbracciò. La zia si chiamava Helen. «Non sapevo nemmeno che abitassero in Vir-
ginia e tanto meno sapevo che a Monk era successo qualcosa. Poi, un bel giorno, mi sono trovata davanti Viggie e per poco non sono svenuta» disse loro. «La piccola era stata quindi affidata al padre?» Helen abbassò la voce per non farsi sentire dalla nipote. «Mia sorella ha avuto una vita molto travagliata, droga, disturbi mentali... Temiamo che abbia addirittura maltrattato Viggie. Monk riuscì finalmente a portarsela via, ma forse io mi sarei dovuta dare un po' più da fare: e comunque sto per recuperare il tempo perduto. La adotterò.» «Splendido, Helen.» Anche Michelle tenne la voce bassa. «È una ragazzina speciale, molto speciale.» «So che ha bisogno di assistenza psicologica, e all'inizio ero un po' preoccupata perché pare che questo tipo di assistenza sia molto costoso. Ma recentemente mi sembra di avere capito che Monk fosse molto ricco, e Viggie quindi non avrà problemi da questo punto di vista.» «Se ha bisogno di un bravo psicologo ho la persona adatta, e tra l'altro l'ha già conosciuta.» La bambina si tirò Michelle accanto alla finestra e le mostrò un laghetto. «Possiamo andare di nuovo in barca?» «Credi di farcela? Ricordati com'è andata l'ultima volta.» «Me lo ricordo, ma quella volta ero da sola. Se vado con te non mi succederà niente, vero?» «Vero.» Sean e Michelle si congedarono. «È stato veramente generoso da parte tua dare via quel tesoro, considerando che eri stato tu a trovarlo» gli disse lei mentre tornavano alla limousine. «È stato Heinrich Fuchs a mettermi sulla buona strada. E comunque trovare quel tesoro mi ha chiarito un dubbio che mi tormentava.» «Quale?» «Ricordi quelle macchie rosse che Monk aveva sulle mani?» «Sì, se le era macchiate di ruggine arrampicandosi sulla recinzione.» «No, la recinzione era nuovissima, non arrugginita quindi; l'ho notato quando ne ho tranciato una parte per entrare. Quelle macchie Monk se le era fatte raschiando con le mani sui mattoni alla ricerca del tesoro, proprio come poi ho fatto io.» Scosse il capo. «Mi sono sbagliato su codici e sangue, quelle due parole non avevano niente a che vedere con Alan Turing e la consanguineità con Monk ma andavano interpretate letteralmente. Le mani di Monk sembravano insanguinate a causa di quelle macchie.»
«Secondo te quante volte Monk Turing si era introdotto a Camp Peary?» «Sicuramente una volta di troppo, e deve avere di certo visto ciò che abbiamo poi visto anche noi. Lui però non ce l'ha fatta a tornare alla base. E il suo lasciare un messaggio in codice dentro quelle note musicali spiegando ciò che aveva visto mi fa pensare che fosse entrato a Camp Peary solo alla ricerca del tesoro, trasformandosi poi involontariamente in testimone oculare di quelle attività.» «Ma come pensava di portare fuori il tesoro? L'oro non è facile da trasportare.» «Forse Monk considerava trovare il tesoro una specie di sfida con se stesso. Ma non dimentichiamo che era un genio, forse pensava di tenersi soltanto i gioielli, che sono relativamente più facili da prelevare.» «E quando Monk disse a Len Rivest che era paradossale...» «Certo» l'interruppe. «Era paradossale che l'organizzazione più specializzata al mondo nel ramo segreti non si fosse nemmeno accorta di avere sotto il naso un tesoro segreto.» Arrivarono alla limousine. «Dobbiamo perfezionare quell'accordo» disse loro Whitfield. «Stai parlando delle copie del video?» gli chiese Sean. «Sì.» Sean dette di volta in volta all'autista le indicazioni per andare a prelevare le copie del video nascoste da Horatio, e alla fine le consegnò a Whitfield. Che le guardò e poi gliene restituì una. «Quelli se ne aspettano cinque, Ian. Se gliene dai soltanto quattro potrebbe capitarti un incidente stradale in Cina, per non parlare di quello che potrebbe capitare a noi.» «Mi farò una quinta copia. Io non vi ho detto niente, ma ricordatevi che quando si ha a che fare con la CIA conviene sempre tenersi un asso nella manica. Farò loro presente che non abbiamo modo di accertare se tu avevi fatto fare altre copie, e questo dovrebbe garantirvi l'incolumità.» Arrivati davanti a casa si salutarono. «Ascolta, Ian, so che probabilmente questa è l'ultima volta che ci vediamo: ma se un giorno avessi bisogno di aiuto ricordati che in Virginia hai due amici» gli disse Sean. Whitfield strinse loro le mani. «Se c'è una cosa che ho imparato in questo lavoro è che trovare veri amici è terribilmente difficile.» 94
Era una gelida giornata di novembre. Michelle sedeva accanto a Sean, che guidava diretto allo studio di Horatio. «Non mi va di farlo, Sean. Non voglio, davvero» gli disse. «Senti, sei tornata viva da Camp Peary e ti conosco abbastanza per sapere che quando accetti le condizioni di un patto le rispetti.» «Grazie tante per l'aiuto.» Horatio li aspettava e Sean fece per andarsene, ma lei gli afferrò una mano. «Rimani con me, ti prego.» Lui guardò Horatio. «Non è una buona idea» disse lo psicologo. «Ma io voglio che rimanga.» «Fidati di me, Michelle. Sean non può restare qui.» Non ci volle molto per far cadere Michelle in stato d'ipnosi. Durante i primi minuti Horatio la riportò all'età di sei anni e in quelli successivi ricostruì quella notte in Tennessee nella quale la sua vita era cambiata per sempre. Michelle teneva gli occhi aperti, anche se la parte conscia della sua mente era assente. Horatio la seguì con un enorme interesse professionale, oltre che con crescente sofferenza mentre lei riviveva l'accaduto. A volte si esprimeva come una bambina e altre con il linguaggio e le argomentazioni di una persona adulta il cui inconscio si era come avvinghiato a quella notte e tentava disperatamente di razionalizzarla. Era la notte in cui era arrivato quell'uomo in uniforme, che lei non aveva mai visto prima forse perché ogni volta dormiva. Ma quella notte la mamma era molto nervosa e si era tenuta accanto Michelle. La mamma aveva detto a quell'uomo che non voleva più vederlo, che doveva andarsene, lui aveva creduto dapprima che stesse scherzando ma quando era stato chiaro che lei non scherzava si era arrabbiato e aveva cominciato a spogliarsi. Poi, quando aveva tentato di afferrare la mamma, lei aveva detto a Michelle di scappare. L'uomo aveva cominciato a togliere i vestiti di dosso alla mamma che cercava di fermarlo, ma lui era troppo forte. E la stava costringendo a sdraiarsi sul pavimento. Michelle aveva impiegato pochi secondi per afferrarla. Altre volte in precedenza aveva preso in mano la pistola del padre, sempre quand'era scarica ovviamente. Aveva tirato fuori la pistola dalla fondina che il soldato aveva lasciato cadere sul divano con il resto dell'uniforme, gliel'aveva puntata alla schiena e aveva premuto il grilletto, una sola volta. Sulla schiena dell'uomo, proprio al centro, era apparsa una macchia rossa e lui era morto in silenzio, crollando sulla madre di Michelle. E la donna era
svenuta per lo shock. «L'ho ucciso, ho ucciso un uomo.» Le lacrime scivolarono sul viso di Michelle mentre raccontava quell'episodio, rimasto fino a quel momento sepolto nella sua mente. Era ancora lì, immobile con la pistola in mano, quando la porta si era aperta ed era entrato il padre. Lei non sapeva come mai fosse rientrato così presto. Il padre aveva visto quello che era successo, le aveva tolto la pistola e aveva quindi sollevato il morto dal corpo della madre, tentando poi inutilmente di farla rinvenire. Allora l'aveva messa a letto, al piano di sopra, poi era tornato, aveva preso Michelle per la mano e le aveva sussurrato dolcemente qualcosa. «Mi prese la mano» ricordò lei con una vocina da bambina. «Mi disse che doveva andare via per un po', ma che sarebbe tornato. Io cominciai a urlargli di non lasciarmi e gli afferrai una gamba per non farlo andare via e allora lui mi disse che mi avrebbe portato con sé, che ci saremmo fatti un giro. Mi fece sedere in macchina al posto del passeggero, poi tornò in casa, si caricò sulle spalle quell'uomo e lo depose sul pavimento dell'auto fra i sedili.» «Perché non nel portabagagli?» le chiese Horatio. «Perché era pieno di cianfrusaglie» rispose lei immediatamente. «Quindi, papà mise quell'uomo dietro di me e vidi la sua faccia. Aveva gli occhi aperti ma era morto, lo sapevo che era morto perché gli avevo sparato. Lo so quello che succede quando ti sparano, muori, muori sempre.» «E allora che cosa fece tuo padre?» le chiese Horatio tranquillamente. «Mise dei giornali sopra quell'uomo. E anche una giacca, alcune scatole, tutto quello che riuscì a trovare. Ma vedevo ancora quegli occhi che mi fissavano, mi misi a piangere e lo dissi a papà. Papà, vedo ancora gli occhi di quell'uomo, mi sta guardando. Fa' che non mi guardi più.» «Che cosa fece allora tuo padre?» «Mise dell'altra roba addosso a quell'uomo, finché non riuscii più a vederlo. I suoi occhi non mi fissavano più.» «Allora tuo padre si è messo al volante e siete partiti? Dove siete andati?» «Sulle montagne. Ha fermato l'auto e si è allontanato per un po', promettendomi però che sarebbe tornato. E infatti è tornato.» «Senza quell'uomo?» Michelle trattenne il fiato, poi prese a singhiozzare. «Si portò via quell'uomo, ma io non riuscivo ad abbassare gli occhi sul pavimento
dell'auto perché temevo fosse ancora lì, a fissarmi.» E si piegò in due, in preda all'angoscia. «Riposati un po', Michelle. Va tutto bene, nulla di tutto questo può farti del male. Quell'uomo non tornerà, non lo vedrai mai più.» Lei si raddrizzò e i singhiozzi cessarono. «Te la senti di andare avanti?» Lei annuì. «Allora tornammo a casa, papà mi riportò dalla mamma.» «Era sveglia quando siete arrivati?» «Sì, piangeva. Lei e papà rimasero un po' a parlare e papà si arrabbiò come non si era mai arrabbiato. Credevano che non li sentissi e invece li sentii. Poi papà venne a parlarmi, mi disse che lui e la mamma mi volevano tanto bene e che tutto ciò che era successo era solo un brutto sogno. Un incubo, disse. Mi chiese di dimenticarmi tutto e di non parlarne con nessuno.» Riprese a piangere. «E non ne ho parlato con nessuno. Te l'assicuro, papà, non ne ho parlato con nessuno. Te lo giuro.» Si mise a singhiozzare disperatamente. «L'ho ucciso. Ho ucciso quell'uomo.» «Riposati ancora un po', Michelle» le disse subito Horatio, e lei si sistemò contro lo schienale della poltrona con il viso inondato di lacrime. Horatio aveva capito che a distruggere Michelle era stato il tenersi tutto dentro, una specie di ferita mai medicata, che si era infettata e avrebbe potuto ucciderla. Per tutto quel tempo si era tenuta dentro il ricordo dell'adulterio della madre e quello del padre che nascondeva le tracce di un omicidio. Ma tutto ciò, e Horatio lo sapeva, scompariva quasi di fronte al senso di colpa che Michelle doveva provare per avere ucciso un altro essere umano. Ricordò qualcosa che lei si era lasciata sfuggire di bocca a Babbage Town: forse, aveva detto Michelle, tutto nasce dal fatto che a sei anni ho brutalmente ucciso qualcuno. In quel momento lui l'aveva scambiata per una battuta di cattivo gusto, mentre invece era stato il subconscio di lei a parlargli. Ma lui non l'aveva afferrato. Lo psicologo fece passare qualche altro secondo. «Bene, Michelle» disse poi. «Ora vorresti parlarmi di quel roseto?» «È stato papà una notte a distruggerlo, l'ho visto dalla finestra.» Horatio ricordò che quel roseto era stato piantato dal padre come regalo alla madre per un anniversario di nozze. Marito e moglie avevano evidentemente superato quell'incubo seppellendolo, ma sicuramente una famiglia aveva continuato per trent'anni a chiedersi che fine avesse fatto un loro congiunto. E per tutti quegli anni le sue ossa avevano riposato da qualche
parte sui monti del Tennessee. I Maxwell un giorno avrebbero dovuto fare i conti con quel delitto, nelle tortuose anse delle loro menti se non davanti a una corte di giustizia. Horatio riportò la sua attenzione su Michelle. «Riposati, ora. Riposati.» Uscì e andò a parlare con Sean, senza dirgli però nemmeno una parola di ciò che Michelle gli aveva rivelato. «E non posso dirlo nemmeno a lei» aggiunse. «Le ha fatto bene, la seduta d'ipnosi?» «Rivelando ciò che si era tenuta dentro, potrebbe aver alleggerito la pressione sulla parte conscia della sua mente, e io posso studiare un programma terapeutico su misura per lei. Con un'altra seduta di ipnosi potrei seminare qualche suggestione nel suo subconscio, e fare in modo che i suoi problemi si risolvano una volta per tutte.» «Perché non farlo subito?» «Perché la terapia potrebbe sovraccaricare pericolosamente il subconscio.» «Io che cosa posso fare?» «Potresti dimostrarti più comprensivo ogni volta che lei ti lancia una delle sue battute pungenti. Sarebbe già un buon inizio.» Tornò nel suo studio e fece uscire lentamente Michelle dalla trance. «Allora, che cosa ho detto?» gli chiese lei ansiosa. «Credo che oggi abbiamo fatto un bel passo avanti, sai?» «Non hai intenzione di dirmelo, vero, brutto stronzetto?» «Riecco finalmente la Michelle che amo e che temo.» «Allora, me lo vuoi dire o no?» chiese Michelle a Sean dopo essersi congedati da Horatio. «Non posso perché lui non l'ha detto nemmeno a me.» «Ma dai, vuoi davvero che ti creda?» «È la verità.» «Non puoi dirmi niente?» «Sì, posso dirti che non prenderò mai più in giro il tuo disordine.» «Tutto qui? E io ho fatto una specie di strip-tease dell'anima solo per questo?» «Non posso fare di meglio.» «Non riesco a crederci.» Lui le mise un braccio attorno alle spalle. «D'accordo, c'è qualcos'altro che posso dirti. Ma prima devo darti una cosa.» Si infilò una mano in tasca
e ne estrasse lo smeraldo che si era portato via da casa Dunmore. L'aveva fatto montare su una collana per regalarglielo, e lei, nel vederlo, spalancò gli occhi. «Be', non mi sembrava giusto che a te non rimanesse proprio nulla di quel tesoro» aggiunse goffamente. E la aiutò a mettersi la collana. «È bello, Sean. Ma che cosa volevi dirmi?» «Be', in realtà volevo farti una richiesta» rispose lui, visibilmente nervoso. «Quale?» Michelle non gli staccava gli occhi di dosso. Lui le prese una mano. «Non lasciarmi più, Michelle.» NOTA DELL'AUTORE ATTENZIONE: NON LEGGERE LE PAGINE SEGUENTI PRIMA DI AVER LETTO IL ROMANZO. Cari lettori, Babbage Town è un parto della fantasia, parzialmente ispirato a quel Bletchley Park, fuori Londra, dove durante la Seconda guerra mondiale gli Alleati riuscirono a violare i cifrari militari tedeschi. Ho alterato alcuni particolari geografici e altri elementi del posto in cui ho situato Babbage Town, ne ho creati ex novo, mi sono completamente inventato il passato di quella zona della Virginia, con tanto di residenze abbandonate e, più in generale, mi sono scatenato, letterariamente parlando. Ma ai lettori che conoscono la storia della Virginia non sfuggirà in questo romanzo l'influenza di alcune "autentiche" e importanti tenute Tidewater che si affacciano sul fiume James (che ho ribattezzato York) come Westover, Carter's Grove e Shirley Plantation. Per fortuna nessuna di queste tre tenute è andata in rovina. Ciò detto, "confezionare" e distorcere fatti fa parte degli strumenti del mestiere di un romanziere, quindi vi prego di evitare di scrivermi per sottolineare errori o imprecisioni storiche. Infatti non soltanto sono consapevole di questo, ma ne ho anche una certa soddisfazione. Il materiale sui computer quantistici è autentico, o quanto meno lo è nella misura in cui un profano come il sottoscritto riesce ad afferrare questi sconcertanti concetti e a trasmetterli al lettore in una forma narrativa non soporifera. Esistono realmente università, società e nazioni impegnate in
una gara per arrivare prime, e se qualcuno vincerà il mondo cambierà per sempre. Fino a che punto cambierà, e se in meglio o in peggio, dipenderà, secondo me, da chi vince. Per riuscire a scrivere di fisica quantistica mi è stato di grande aiuto il libro A Shortcut Through Time (Una scorciatoia nel tempo) di George Johnson. Avendo toccato in queste pagine il tema dei cifrari segreti e dei criptoanalisti, non è stata casuale la scelta dei nomi di alcuni personaggi. Ecco l'elenco. 1. Champ Pollion deriva da Jean-François Champollion, un brillante linguista francese che diede un contributo decisivo alla decifrazione dei cartigli di Tolomeo e Cleopatra. Grazie a lui gli studiosi sono stati in grado di leggere la storia dei faraoni vergata dai loro scribi. 2. Michael Ventris fu colui che scoprì che le tavolette nel cosiddetto Lineare B portate alla luce nell'isola di Creta erano scritte in greco. 3. Il cognome di Alicia Chadwick è lo stesso di quel John Chadwick che, grazie alla profonda conoscenza del greco antico, riuscì insieme a Ventris a decifrare le tavolette scritte in Lineare B. Per una curiosa coincidenza le loro scoperte vennero rese pubbliche più o meno in contemporanea con la prima conquista dell'Everest, e per questo furono definite "l'Everest dell'archeologia greca". 4. Ian Whitfield si chiama come Whitfield Diffie, l'inventore di un rivoluzionario codice che usava una chiave asimmetrica invece di una simmetrica. E simmetrica significa semplicemente che il sistema per decifrare o rendere indecifrabile un messaggio in codice è lo stesso. 5. Il nome di Merkle Hayes è ispirato a Ralph Merkle, che lavorò con Diffie e con un professore di Stanford, Martin Hellman. Furono loro a proporre una rivoluzionaria soluzione concettuale al problema della crittografia pubblica e a risolvere finalmente quello della distribuzione delle chiavi. 6. Il cognome di Len Rivest è lo stesso di Ron Rivest, che insieme con Adi Shamir e Leonard Adleman creò l'RSA, il sistema di crittografia a chiave pubblica asimmetrica oggi più diffuso al mondo. 7. Il cognome di Monk Turing è quello - ovviamente - di Alan Turing, la cui storia si può leggere in questo libro. Charles Babbage e Blaise de Vigenère sono personaggi realmente esistiti, e nel libro si parla anche delle loro scoperte. L'ispirazione per il cognome di Valerie Messaline non mi è venuta dal mondo della crittografia, ma gli studiosi di storia possono ugualmente afferrarne il significato. Piccolo particolare: a differenza dell'RSA, che ha
una sua brillante asimmetria, il nome e il personaggio di Valerie sono gradevolmente simmetrici. Comunque, come si suol dire, che importanza ha un nome? Be', in questo libro ne ha tantissima! La storia di Camp Peary tracciata nel romanzo è frutto delle ricerche che ho condotto, ed è anche piuttosto accurata. Ma la descrizione di ciò che avviene a Camp Peary è unicamente frutto della mia immaginazione, né avrebbe potuto essere altrimenti, dal momento che è improbabile che vi sia ammesso un romanziere a caccia di ispirazione. A questo proposito prego tutti coloro che lavorano a Camp Peary e leggeranno questo romanzo di tenere sempre presente che ciò che avviene lì dentro è completamente inventato: né i personaggi, né i dialoghi, né alcun altro particolare rispecchiano in qualche modo voi o il lavoro che fate per il vostro Paese. Un agente deviato è e rimane un agente deviato. Vale comunque la pena farsi un viaggetto a Camp Peary, che alcuni abitanti della zona chiamano "il posto segreto". Ma scordatevi di visitarlo: la CIA non ne ammetterà nemmeno l'esistenza. L'idea di scrivere questo romanzo mi è venuta, almeno in parte, dopo aver letto del cifrario Beale. Si tratta, per usare un ossimoro, di un celebre segreto che riguarda un codice incredibilmente complicato (tre pagine fitte di numeri) e un tesoro di decine di milioni di dollari che, stando a quanto si racconta, sarebbe stato nascosto dal signor Thomas Jefferson Beale agli inizi dell'Ottocento. Una delle tre pagine è stata decifrata molto tempo fa, o almeno così si dice, da un amico di un amico del signor Beale. E la decifrazione ha usato come chiave la Dichiarazione d'Indipendenza, le cui lettere corrispondono ai numeri del cifrario. Per fare un esempio, il terzo numero del cifrario è 24, quindi bisogna guardare la ventiquattresima parola della Dichiarazione, che è another. Va presa quindi l'iniziale di questa parola, la lettera a, che sostituirà il numero 24 nel testo cifrato. Nella pagina decifrata si legge della relativa vicinanza del tesoro, che si troverebbe nella contea di Bedford in Virginia, e della sua natura (oro, argento e alcuni gioielli). Esso sarebbe contenuto dentro pentole di ferro sepolte all'interno di caverne dalle pareti di pietra. In base alle attuali valutazioni dei metalli preziosi, il tesoro ammonterebbe a ben oltre venti milioni di dollari, mentre i gioielli hanno un valore addirittura inestimabile. Secondo il messaggio cifrato valevano infatti tredicimila dollari nel 1821, e
quindi si può immaginare oggi. Facile, direte voi. Con una pagina già decifrata e due da decifrare avrei potuto dare l'anticipo per l'acquisto di un jet privato. E invece qui casca l'asino. Perché sembra che tutti coloro che si sono fatti un nome nel campo della decrittazione abbiano tentato di decifrare le altre due pagine, servendosi di tecnologia d'avanguardia e di supercomputer. E sempre invano. Secondo una stima abbastanza ragionevole, il dieci per cento dei migliori decrittatori del mondo ha provato a violare il cifrario Beale, senza mai riuscirci. La difficoltà è data dal fatto che, essendo il testo cifrato collegato a un documento come la Dichiarazione d'Indipendenza, bisognerebbe individuare quale documento o quali documenti sono stati usati per cifrare le altre due pagine. E anche nel 1820 le possibilità erano numerosissime: le più scontate, come quella della Costituzione degli Stati Uniti o la Magna Charta, sono state già vagliate. In ogni caso, più di un sito internet sostiene di aver decifrato il codice Beale, allegando come prova le foto della caverna che conterrebbe il tesoro. Caverna che i titolari del sito avrebbero trovato, a loro dire, vuota. Mmmh... Può essere, come può non essere. Il cifrario Beale ha acquisito un suo status mitico, al punto che un sito internet ha addirittura messo in vendita un software sofisticato in grado di decifrare il testo e portare al nascondiglio segreto. Viene naturale chiedersi perché i titolari di questo sito, invece di mettere in vendita il software, non l'abbiano sfruttato per impossessarsi loro stessi del tesoro. Forse hanno venduto tante copie di questo software da accontentarsi del ricavato. Esiste perfino un'Associazione del cifrario e del tesoro Beale, fondata negli anni Sessanta per accrescere e stimolare l'interesse che circonda questo mistero: come se ce ne fosse bisogno. Sembra che non esista agricoltore o proprietario terriero della contea di Bedford che non abbia trovato nel suo terreno i segni degli scavi di questi smaniosi cacciatori. Di seguito ho riprodotto a vostro uso e consumo le tre pagine del cifrario e la trascrizione di quella decifrata. La prima sfilza di numeri dovrebbe essere quella dove si rivela l'esatta collocazione del tesoro, nella terza c'è l'elenco di quanti sono legittimati a entrarne in possesso: ma immagino che chi sta dando la caccia a questo tesoro non perderà tempo a leggere quest'ultima pagina. Per maggiori informazioni sul misterioso signor Beale, oltre che sul come e perché fece ciò che si dice abbia fatto, vi invito a leggere The Beale
Treasure: New History of a Mystery di Peter Viemeister, o a consultare la relativa voce sull'enciclopedia on-line Wikipedia. Un altro volume che gli aspiranti decrittatori non dovrebbero perdersi è The Code Book di Simon Singh, pubblicato in Italia con il titolo Codici e segreti. Ma il codice Beale è soltanto una solenne presa in giro, come molti ritengono? Potrebbe darsi, certo, ma in tal caso qualcuno deve essersi dato parecchio da fare per tenerla in piedi. Per vostra informazione, ho tentato alcune volte di violare il codice, ma non posso dirmi certamente un esperto. E, se è autentico, per violarlo ci vorrà un decrittatore più ferrato del vostro umile romanziere. E ora permettetemi un consiglio a quelli fra voi che vorrebbero arricchirsi da un giorno all'altro: non trascurate la vostra normale attività lavorativa mentre cercate il tesoro, perché le probabilità di violare il cifrario Beale e mettere le mani sul malloppo, ammesso che esista, sono di gran lunga inferiori a quelle di vincere il primo premio alla Lotteria di Capodanno. Altro consiglio: non vi mettete a scavare senza il permesso del proprietario del terreno perché potreste farvi sparare o denunciare. E nessuna delle due ipotesi è particolarmente allettante. A coloro che, nonostante il numero incredibilmente esiguo di probabilità, vogliono lo stesso misurarsi contro quello che è forse il più intricato puzzle che esista al mondo, dico una sola cosa: in bocca al lupo! Spero che vi abbia fatto piacere il ritorno sulle scene, in questo romanzo, di Sean King e Michelle Maxwell. Abbiate cura di voi e continuate a leggermi. Cordialmente, David Baldacci IL CIFRARIO BEALE Pagina 1 - Nascondiglio del tesoro 71, 194, 38, 1701, 89, 76, 11, 83, 1629, 48, 94, 63, 132, 16, 111, 95, 84, 341, 975, 14, 40, 64, 27, 81, 139, 213, 63, 90, 1120, 8, 15, 3, 126, 2018, 40, 74, 758, 485, 604, 230, 436, 664, 582, 150, 251, 284, 308, 231, 124, 211, 486, 225, 401, 370, 11, 101, 305, 139, 189, 17, 33, 88, 208, 193, 145, 1, 94, 73, 416, 918, 263, 28, 500, 538, 356, 117, 136, 219, 27, 176, 130, 10, 460, 25, 485, 18, 436, 65, 84, 200, 283, 118, 320, 138, 36, 416, 280, 15, 71, 224, 961, 44, 16, 401, 39, 88, 61, 304, 12, 21, 24, 283, 134, 92, 63, 246, 486, 682, 7, 219, 184, 360, 780, 18, 64, 463, 474, 131, 160, 79, 73,
440, 95, 18, 64, 581, 34, 69, 128, 367, 460, 17, 81, 12, 103, 820, 62, 116, 97, 103, 862, 70, 60, 1317, 471, 540, 208, 121, 890, 346, 36, 150, 59, 568, 614, 13, 120, 63, 219, 812, 2160, 1780, 99, 35, 18, 21, 136, 872, 15, 28, 170, 88, 4, 30, 44, 112, 18, 147, 436, 195, 320, 37, 122, 113, 6, 140, 8, 120, 305, 42, 58, 461, 44, 106, 301, 13, 408, 680, 93, 86, 116, 530, 82, 568, 9, 102, 38, 416, 89, 71, 216, 728, 965, 818, 2, 38, 121, 195, 14, 326, 148, 234, 18, 55, 131, 234, 361, 824, 5, 81, 623, 48, 961, 19, 26, 33, 10, 1101, 365, 92, 88, 181, 275, 346, 201, 206, 86, 36, 219, 324, 829, 840, 64, 326, 19, 48, 122, 85, 216, 284, 919, 861, 326, 985, 233, 64, 68, 232, 431, 960, 50, 29, 81, 216, 321, 603, 14, 612, 81, 360, 36, 51, 62, 194, 78, 60, 200, 314, 676, 112, 4, 28, 18, 61, 136, 247, 819, 921, 1060, 464, 895, 10, 6, 66, 119, 38, 41, 49, 602, 423, 962, 302, 294, 875, 78, 14, 23, 111, 109, 62, 31, 501, 823, 216, 280, 34, 24, 150, 1000, 162, 286, 19, 21, 17, 340, 19, 242, 31, 86, 234, 140, 607, 115, 33, 191, 67, 104, 86, 52, 88, 16, 80, 121, 67, 95, 122, 216, 548, 96, 11, 201, 77, 364, 218, 65, 667, 890, 236, 154, 211, 10, 98, 34, 119, 56, 216, 119, 71, 218, 1164, 1496, 1817, 51, 39, 210, 36, 3, 19, 540, 232, 22, 141, 617, 84, 290, 80, 46, 207, 411, 150, 29, 38, 46, 172, 85, 194, 39, 261, 543, 897, 624, 18, 212, 416, 127, 931, 19, 4, 63, 96, 12, 101, 418, 16, 140, 230, 460, 538, 19, 27, 88, 612, 1431, 90, 716, 275, 74, 83, 11, 426, 89, 72, 84, 1300, 1706, 814, 221, 132, 40, 102, 34, 868, 975, 1101, 84, 16, 79, 23, 16, 81, 122, 324, 403, 912, 227, 936, 447, 55, 86, 34, 43, 212, 107, 96, 314, 264, 1065, 323, 428, 601, 203, 124, 95, 216, 814, 2906, 654, 820, 2, 301, 112, 176, 213, 71, 87, 96, 202, 35, 10, 2, 41, 17, 84, 221, 736, 820, 214, 11, 60, 760 Pagina 3 - Nomi e indirizzi dei colleghi di Beale, dei suoi parenti eccetera 317, 8, 92, 73, 112, 89, 67, 318, 28, 96, 107, 41, 631, 78, 146, 397, 118, 98, 114, 246, 348, 116, 74, 88, 12, 65, 32, 14, 81, 19, 76, 121, 216, 85, 33, 66, 15, 108, 68, 77, 43, 24, 122, 96, 117, 36, 211, 301, 15, 44, 11, 46, 89, 18, 136, 68, 317, 28, 90, 82, 304, 71, 43, 221, 198, 176, 310, 319, 81, 99, 264, 380, 56, 37, 319, 2, 44, 53, 28, 44, 75, 98, 102, 37, 85, 107, 117, 64, 88, 136, 48, 154, 99, 175, 89, 315, 326, 78, 96, 214, 218, 311, 43, 89, 51, 90, 75, 128, 96, 33, 28, 103, 84, 65, 26, 41, 246, 84, 270, 98, 116, 32, 59, 74, 66, 69, 240, 15, 8, 121, 20, 77, 89, 31, 11, 106, 81, 191, 224, 328, 18, 75, 52, 82, 117, 201, 39, 23, 217, 27, 21, 84, 35, 54, 109, 128, 49, 77, 88, 1, 81, 217, 64, 55, 83, 116, 251, 269, 311, 96, 54, 32, 120, 18, 132, 102,
219, 211, 84, 150, 219, 275, 312, 64, 10, 106, 87, 75, 47, 21, 29, 37, 81, 44, 18, 126, 115, 132, 160, 181, 203, 76, 81, 299, 314, 337, 351, 96, 11, 28, 97, 318, 238, 106, 24, 93, 3, 19, 17, 26, 60, 73, 88, 14, 126, 138, 234, 286, 297, 321, 365, 264, 19, 22, 84, 56, 107, 98, 123, 111, 214, 136, 7, 33, 45, 40, 13, 28, 46, 42, 107, 196, 227, 344, 198, 203, 247, 116, 19, 8, 212, 230, 31, 6, 328, 65, 48, 52, 59, 41, 122, 33, 117, 11, 18, 25, 71, 36, 45, 83, 76, 89, 92, 31, 65, 70, 83, 96, 27, 33, 44, 50, 61, 24, 112, 136, 149, 176, 180, 194, 143, 171, 205, 296, 87, 12, 44, 51, 89, 98, 34, 41, 208, 173, 66, 9, 35, 16, 95, 8, 113, 175, 90, 56, 203, 19, 177, 183, 206, 157, 200, 218, 260, 291, 305, 618, 951, 320, 18, 124, 78, 65, 19, 32, 124, 48, 53, 57, 84, 96, 207, 244, 66, 82, 119, 71, 11, 86, 77, 213, 54, 82, 316, 245, 303, 86, 97, 106, 212, 18, 37, 15, 81, 89, 16, 7, 81, 39, 96, 14, 43, 216, 118, 29, 55, 109, 136, 172, 213, 64, 8, 227, 304, 611, 221, 364, 819, 375, 128, 296, 1, 18, 53, 76, 10, 15, 23, 19, 71, 84, 120, 134, 66, 73, 89, 96, 230, 48, 77, 26, 101, 127, 936, 218, 439, 178, 171, 61, 226, 313, 215, 102, 18, 167, 262, 114, 218, 66, 59, 48, 27, 19, 13, 82, 48, 162, 119, 34, 127, 139, 34, 128, 129, 74, 63, 120, 11, 54, 61, 73, 92, 180, 66, 75, 101, 124, 265, 89, 96, 126, 274, 896, 917, 434, 461, 235, 890, 312, 413, 328, 381, 96, 105, 217, 66, 118, 22, 77, 64, 42, 12, 7, 55, 24, 83, 67, 97, 109, 121, 135, 181, 203, 219, 228, 256, 21, 34, 77, 319, 374, 382, 675, 684, 717, 864, 203, 4, 18, 92, 16, 63, 82, 22, 46, 55, 69, 74, 112, 134, 186, 175, 119, 213, 416, 312, 343, 264, 119, 186, 218, 343, 417, 845, 951, 124, 209, 49, 617, 856, 924, 936, 72, 19, 28, 11, 35, 42, 40, 66, 85, 94, 112, 65, 82, 115, 119, 236, 244, 186, 172, 112, 85, 6, 56, 38, 44, 85, 72, 32, 47, 73, 96, 124, 217, 314, 319, 221, 644, 817, 821, 934, 922, 416, 975, 10, 22, 18, 46, 137, 181, 101, 39, 86, 103, 116, 138, 164, 212, 218, 296, 815, 380, 412, 460, 495, 675, 820, 952 Pagina 2 - Composizione del tesoro 115, 73, 24, 807, 37, 52, 49, 17, 31, 62, 647, 22, 7, 15, 140, 47, 27, 107, 79, 84, 56, 239, 10, 26, 811, 5, 196, 308, 85, 52, 160, 136, 59, 211, 36, 9, 46, 316, 554, 122, 106, 95, 53, 58, 2, 42, 7, 35, 122, 53, 31, 82, 77, 250, 196, 56, 96, 118, 71, 140, 287, 28, 353, 37, 1005, 65, 147, 807, 24, 3, 8, 12, 47, 43, 59, 807, 45, 316, 101, 41, 78, 154, 1005, 122, 138, 191, 16, 77, 49, 102, 57, 72, 34, 73, 85, 35, 371, 59, 196, 81, 92, 191, 106, 273, 60, 394, 620, 270, 220, 106, 388, 287, 63, 3, 6, 191, 122, 43, 234, 400, 106, 290, 314, 47, 48, 81, 96, 26, 115, 92, 158, 191, 110, 77, 85, 197, 46, 10,
113, 140, 353, 48, 120, 106, 2, 607, 61, 420, 811, 29, 125, 14, 20, 37, 105, 28, 248, 16, 159, 7, 35, 19, 301, 125, 110, 486, 287, 98, 117, 511, 62, 51, 220, 37, 113, 140, 807, 138, 540, 8, 44, 287, 388, 117, 18, 79, 344, 34, 20, 59, 511, 548, 107, 603, 220, 7, 66, 154, 41, 20, 50, 6, 575, 122, 154, 248, 110, 61, 52, 33, 30, 5, 38, 8, 14, 84, 57, 540, 217, 115, 71, 29, 84, 63, 43, 131, 29, 138, 47, 73, 239, 540, 52, 53, 79, 118, 51, 44, 63, 196, 12, 239, 112, 3, 49, 79, 353, 105, 56, 371, 557, 211, 515, 125, 360, 133, 143, 101, 15, 284, 540, 252, 14, 205, 140, 344, 26, 811, 138, 115, 48, 73, 34, 205, 316, 607, 63, 220, 7, 52, 150, 44, 52, 16, 40, 37, 158, 807, 37, 121, 12, 95, 10, 15, 35, 12, 131, 62, 115, 102, 807, 49, 53, 135, 138, 30, 31, 62, 67, 41, 85, 63, 10, 106, 807, 138, 8, 113, 20, 32, 33, 37, 353, 287, 140, 47, 85, 50, 37, 49, 47, 64, 6, 7, 71, 33, 4, 43, 4, 63, 1, 27, 600, 208, 230, 15, 191, 246 85, 94, 511, 2, 270, 20, 39, 7, 33, 44, 22, 40, 7, 10, 3, 811, 106, 44, 486, 230, 353, 211, 200, 31, 10, 38, 140, 297, 61, 603, 320, 302, 666, 287, 2, 44, 33, 32, 511, 548, 10, 6, 250, 557, 246, 53, 37, 52, 83, 47, 320, 38, 33, 807, 7, 44, 30, 31, 250, 10, 15, 35, 106, 160, 113, 31, 102, 406, 230, 540, 320, 29, 66, 33, 101, 807, 138, 301, 316, 353, 320, 220, 37, 52, 28, 540, 320, 33, 8, 48, 107, 50, 811, 7, 2, 113, 73, 16, 125, 11, 110, 67, 102, 807, 33, 59, 81, 158, 38, 43, 581, 138, 19, 85, 400, 38, 43, 77, 14, 27, 8, 47, 138, 63, 140, 44, 35, 22, 177, 106, 250, 314, 217, 2, 10, 7, 1005, 4, 20, 25, 44, 48, 7, 26, 46, 110, 230, 807, 191, 34, 112, 147, 44, 110, 121, 125, 96, 41, 51, 50, 140, 56, 47, 152, 540, 63, 807, 28, 42, 250, 138, 582, 98, 643, 32, 107, 140, 112, 26, 85, 138, 540, 53, 20, 125, 371, 38, 36, 10, 52, 118, 136, 102, 420, 150, 112, 71, 14, 20, 7, 24, 18, 12, 807, 37, 67, 110, 62, 33, 21, 95, 220, 511, 102, 811, 30, 83, 84, 305, 620, 15, 2, 108, 220, 106, 353, 105, 106, 60, 275, 72, 8, 50, 205, 185, 112, 125, 540, 65, 106, 807, 188, 96, 110, 16, 73, 33, 807, 150, 409, 400, 50, 154, 285, 96, 106, 316, 270, 205, 101, 811, 400, 8, 44, 37, 52, 40, 241, 34, 205, 38, 16, 46, 47, 85, 24, 44, 15, 64, 73, 138, 807, 85, 78, 110, 33, 420, 505, 53, 37, 38, 22, 31, 10, 110, 106, 101, 140, 15, 38, 3, 5, 44, 7, 98, 287, 135, 150, 96, 33, 84, 125, 807, 191, 96, 511, 118, 440, 370, 643, 466, 106, 41, 107, 603, 220, 275, 30, 150, 105, 49, 53, 287, 250, 208, 134, 7, 53, 12, 47, 85, 63, 138, 110, 21, 112, 140, 485, 486, 505, 14, 73, 84, 575, 1005, 150, 200, 16, 42, 5, 4, 25, 42, 8, 16, 811, 125, 160, 32, 205, 603, 807, 81, 96, 405, 41, 600, 136, 14, 20, 28, 26, 353, 302, 246, 8, 131, 160, 140, 84, 440, 42, 16, 811, 40, 67, 101, 102, 194, 138, 205, 51, 63, 241, 540, 122, 8, 10, 63, 140, 47, 48, 140, 288
Quello che segue è il testo di pagina 2, una volta decifrato: I have deposited in the county of Bedford, about four miles from Buford's, in an excavation or vault, six feet below the surface of the ground, the following articles, belonging jointly to the parties whose names are given in number "3," herewith: The first deposit consisted of one thousand and fourteen pounds of gold, and three thousand eight hundred and twelve pounds of Silver, deposited November, 1819. The second was made December, 1821, and consisted of nineteen hundred and seven pounds of gold, and twelve hundred and eighty-eight pounds of silver; also jewels, obtained in St. Louis in exchange for Silver to save transportation, and valued at US$13,000. The above is securely packed in iron pots, with iron covers. The vault is roughly lined with stone, and the vessels rest on solid stone, and are covered with others. Paper number "1" describes the exact locality of the vault, so that no difficulty will be had in finding it.* È possibile decifrare la pagina 2 servendosi di una copia qualsiasi della Dichiarazione d'Indipendenza, anche se in certi casi è necessario elaborare un po' il testo che se ne ricava. * In uno scavo o sotterraneo a una profondità di un metro e ottanta, nel territorio della contea di Bedford a sei chilometri circa da quella di Buford, ho depositato i seguenti beni che vanno considerati di proprietà congiunta delle persone i cui nomi compaiono nella pagina 3 di questo documento. Il primo deposito è rappresentato da 1014 libbre d'oro e 3812 libbre d'argento, ed è stato effettuato nel novembre 1819. Il secondo risale al dicembre 1821 ed è costituito da 1907 libbre d'oro e 1288 libbre d'argento. Oltre a ciò, il deposito consiste in gioielli, negoziati a St. Louis in cambio di argento per agevolare il trasporto, del valore complessivo di 13.000 dollari statunitensi. Il tutto è contenuto in alcune pentole di ferro dal coperchio anch'esso di ferro; le pareti dello scavo sono ricoperte di pietra. I recipienti poggiano su pietra e sono nascosti da altri recipienti. Nella pagina 1 viene descritta l'esatta posizione dello scavo, che in tal modo non dovrebbe essere difficile da localizzare.
RINGRAZIAMENTI A Michelle, abbiamo fatto 13! Quanto ci siamo divertiti, finora. A Frances Jalet-Miller, per l'ennesimo superbo editing. È stato bello tornare a fare squadra con te. Ad Aaron Priest, Lucy Childs, Lisa Vance Erbach e Nicole Kenealy, per tutto ciò che ogni giorno fate per me. E ad Abner Stein, che lavora splendidamente per me dall'altra parte dell'Atlantico. A David Young, Jamie Raab, Emi Battaglia e Jennifer Romanello della Hachette Book Group USA, per il vostro sostegno e la vostra amicizia. A David North, Maria Rejt e Katie James, per i suggerimenti e il sostegno che mi date dall'Europa. A Patty e Tom Maciag, per essere due amici così splendidi. A Karen Spiegel e Lucy Stille, grazie alle quali Hollywood è tornata a vivacizzarsi. A Spencer, per la consulenza musicale che mi ha fornito per questo romanzo. E a Collin, che mi dimostra ogni giorno e con ogni mezzo l'efficacia del dialogo "a ripetizione". Ad Alli e Anshu Guleria, David e Catherine Broome e Bob e Marilyn Schule, per la loro costante presenza. Uno speciale ringraziamento lo devo ad Alli per il materiale indiano e a Bob per i suoi meditati commenti durante la revisione. A Neal Schiff, che mi ha aiutato ad arrivare dove avevo bisogno di arrivare. A Deborah e Lynette, i due veri capi dell'Enterprise. FINE