Ф Е Д Е РАЛ Ь Н О Е АГ Е Н Т С Т В О П О О БРАЗО В АН И Ю В О РО Н Е Ж С КИ Й Г О С У Д АРС Т В Е Н Н Ы Й У Н И В Е РС И...
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Ф Е Д Е РАЛ Ь Н О Е АГ Е Н Т С Т В О П О О БРАЗО В АН И Ю В О РО Н Е Ж С КИ Й Г О С У Д АРС Т В Е Н Н Ы Й У Н И В Е РС И Т Е Т
Storia dell’ Italia
У ЧЕ БН О Е П О С О БИ Е по спец и альности 031201(022600) –Т еори я и методи капреподавани я и ностранных яз ыкови культу р
В О РО Н Е Ж 2006
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У тверж дено нау ч но-методи ч ески м советом ф акультета В Г У 14.02.2006 г., протокол № 2
романо-германского
П обегайло И .В Storia dell'Italia: У ч еб.пособи е по и стори и И .В .П обегайло. – В оронеж , 2006. – 16 с.
И тали и
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П особи еподготовлено накаф едрероманской ф и лологи и ф акультетаРГ Ф . Рекоменду ется для самостоятельной работы сту дентов 3-го курса дневного отделени я, и з у ч аю щ и х и стори ю И тали и в рамках ди сц и пли ны Г С Э .Р.01 « И стори я и культу растран и з у ч аемых яз ыков»
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Tema N 1. Prime civiltà italiche Una popolazione preistorica che ha lasciato interessanti vestigia di sé incise sulle rocce è quella dei Camuni. Arrivati in Val Camonica circa 7-8 mila anni fa, seguendo gli spostamenti degli animali che cacciavano, vi si stabilirono passando attraverso varie fasi di uno sviluppo sociale, dal neolitico al culto del sole, alle cerimonie funebri, all’ attività agricola e commerciale, alla guerra, che dev’ essere stato senz’ ombra di dubbio notevole. I numerosissimi segni grafici lasciati sulle rocce, distinti in pittogrammi (solo figurativi) e psicogrammi (con significato ideologico), sono considerati dagli esperti un documento storico. Più avanti di qualche millennio si sviluppò nel futuro territorio di Sarzana e delle Lunigiana una civiltà basata su stele stilizzate che si richiamavano al culto della terra, mentre contemporaneamente nelle Alpi Marittime venivano effettuate dai pastori liguri, nel corso di un lungo periodo, migliaia d’ incisioni sulle rocce del monte Bego, ritenuto probabilmente sacro. Alcune comunità s’ insediarono durante il neolitico inferiore (circa 4500 a.C.) nella zona di Piadena (Cremona), dove sono stati rinvenuti pozzi e pozzetti. Altre radici umane millenarie, quelle ad esempio della Valle d’ Aosta, possono essere individuate nei monumenti megalitici di Saint-Martin-de Corlé ans. Nel Salento, invece, le pitture parietali nelle Grotte di Porto Badisco dimostrano la presenza di genti avviate ormai sulla strada di un’ evidente, anche se primitiva emancipazione. La Sardegna aveva una composizione particolare, nella quale si fondevano elementi orientali ed iberici che l’ aspra orografia dell’ isola difese a lungo da influenze esterne. La prima civiltà sarda fiorì all’ epoca dell’ espansione micenea, testimoniata anche dalle figurazioni della grotta di Romito in Calabria. In terra abruzzese, invece, precisamente in un’ area tra Ripoli, Tortoreto e la Valle della Vibrata, si sviluppò una civiltà con ramificazioni nelle regioni laziale e campana e perfino in parte dell’ attuale Lombardia. Caratteristica principale la struttura delle capanne, affossate nel terreno per circa un terzo della loro altezza e provviste talvolta di più piani. Gli utensili di uso quotidiano e per la caccia avevano forma e struttura più evolute del paleolitico: lance e frecce di selce ben fatte, falcette e zappe di pietra, roncole e martelli di corno e d’ osso. Quei progenitori credevano di rendere omaggio alla salma, sistemandola nella fossa in posizione tale da dare l’ illusione che il defunto dormisse, con le sue armi e gli ornamenti che aveva avuto e amato in vita. Intorno al II millennio a.C., nelle terre terramare, dette anche Terre Marne (grasse), sorte in alcune zone argillose dell’ Emilia per esigenze ambientali in seguito alla penetrazione di gente micenea, si svilupparono elementi di una civiltà lacustre e dei villaggi di capanne padani con influenze balcaniche. La cultura terramaricola penetrò in profondità nella Penisola. Oggetti di origine transadriatica, certamente importati, sono stati trovati a sud, nella valle del Tevere, nella grotta di Frasassi (Ancona), allo scoglio del Tonno (Taranto), dove esisteva un abitato che, pur non essendo una terramare vera e propria, aveva caratteristiche comuni con i centri emiliani.
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Verso l’ anno 1000 a.C. fece la sua apparizione un’ altra civiltà basata soprattutto sulla pratica dell’ incinerazione. Si manifestò in un primo tempo nella zona di Villanova, nei pressi di Bologna, per questo venne poi definita “villanoviana”, estendendosi in seguito in Toscana, nell’ Umbria e nel Lazio. Nelle necropoli villanoviane sono stati rinvenuti rasoi di bronzo a forma di mezzaluna, spille a testa vitrea, fibule, oggetti di avorio incisi, asce, spade con l’ elsa lavorata, vasi di metallo laminato ed altri oggetti. Tema N 2. Il mistero di un popolo §1.Le presunte origini degli Etruschi Le opinioni degli storici sulla provenienza del popolo etrusco e sul loro insediamento nelle regioni centro-settentrionali della Penisola italica sono quanto mai contrastanti, anche se sappiamo che scrittori antichi quali Erodoto, Tito Livio, Strabone, Plinio furono d’ accordo sulla provenienza degli Etruschi dalla Lidia. E’l’ opinione più diffusa, che si scontra con quella inerente all’ aotoctonia che farebbe discendere gli Etruschi dai Reti. A favore dell’ origine autoctona del popolo etrusco starebbe la formazione dello stesso, la sua evoluzione sociale le cui tracce si sono trovate soltanto nella Penisola e non altrove ad anche il tipo di scrittura che avrebbe elementi similari ai caratteri preindo-europei italici. Si usa il termine scrittura e non lingua perché nessuno è riuscito a decifrare quell’ idioma, nessuno é stato finora capace di dire estattamente come gli Etruschi pronunciavano le parole giunte fino a noi, muta testimonianza di quel popolo. Le singole iscrizioni etrusche sono in massima parte di carattere funerario, quindi molto ripetitive, prive di variazioni lessicali. Per questo aiutano poco a comprendere la richezza di quell’ antico linguaggio. Sembra, infatti, che a tutt’ oggi si conosca esattamente il significato di appena 31 parole, quali “AIS” (Dio), “CLAN” (figlio), “ATI” (madre), “NACNA” (nonna), “SE” (figlia), “RIL” (anno), “USIL” (sole), ecc. La tesi dell’ autoctonia è pero criticata da molti storici ed archeologi. Recentemente Piero Bernardini ha avanzato un’ ipotesi ardita, sostenendo che la lingua etrusca è una derivazione del sanscrito e che quindi gli Etruschi sarebbero originari dell’ India. Si tratta naturalmente di una tesi tutta da verificare, anche se sostenuta da plausibili argomentazioni. L’ etrusco “ZEUS TINA”o “TINIA” (Giove) è molto simile, infatti, al sanscrito “DINA”(giorno). Ma è solo un esempio banale. Qualunque sia, ad ogni modo, la soluzione del problema intorrno al quale sono sorte non poche dispute, appare certo che i Raseni chiamati Tirreni dai Greci e Tuschi od Etruschi dai Romani, apparvero stanziati nella regione fra l’ Arno, il Tevere e il mare verso l’ YIII sec. a.C., quando si ebbero le prime manifestazioni della loro attiva presenza. §2.Organizzazione socio-politica L’ ordinamento politico degli Etruschi non ci è molto noto, perché non hanno lasciato tracce durevoli in merito, anche per l’ azione di assorbimento svolta più tardi dalla Roma repubblicana che ebbe puntigliosa cura di far sparire per quanto possibile ogni segno esteriore della civiltà etrusca, meno le necropoli, forse per superstizione.
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Essi avevano comunque un sistema politico modellato su quello greco. Costituivano una Federazione di città indipendenti, di città-Stato sottoposte ciascuna ad un sovrano o magistrato chiamato Lucumone, con poteri assoluti. Le città più importanti, fondate in massima parte lontano dalla costa dove imperversava la malaria per via delle numerose paludi, furono Volterrae (Volterra), Pupluna (Populonia), Vulci, Cere (Cervèteri), Vetulonia, Aretium (Arezzo), Cortona, Rusellae, Volsinii (Bolsena), Perusia, Clusium (Chiusi), Faesulae (Fiesole), Corneto (Tarquinia), Veio, i cui delegati si riunivano una volta l’ anno in un tempio nei pressi del lago di Bolsena, detto Fanum Voltumnae, per assistere a cerimonie religiose e rinnovare il patto federativo dei popoli della Tuscia o, in greco, della Tirsènia. Quella Costituzione fu una delle cause, se non l’ unica, che impedì alla nazione etrusca di assumere la struttura di Stato unitario, indebolendone la forza d’ urto e impedendole di conquistare tutta la Penisola. Il regime politico fu monarchico. I re estruschi ebbero funzioni di ministri della giustizia, comandanti dell’ esercito e sommi sacerdoti, dunque un potere assoluto come i futuri leggendari re di Roma che presero da essi molti attributi, tramandati poi agli altri magistrati e ai generali vittoriosi: lo scettro, la corona d’ oro, la toga palmata, la sella curulis, il medaglione d’ oro (aurea bulla). Anche i famosi fasci, portati dai littori, avevano origine etrusca. La struttura sociale di quei piccoli Stati oligarchici ci è invece piuttosto familiare. Nelle singole città ricchezze e poteri erano accentrati nelle mani di un limitato numero di potenti gentes. Gli schiavi costituivano consistenti gruppi discendendo in massima parte dalle antiche popolazioni umbre, asservite o prigioniere di guerra: schiavi agricoli o domestici, addetti ai compiti più vari: cuochi, danzatori, suonatori di flauto e di cetra. Gli Etruschi più ricchi amavano possedere schiavi abili e belli. Notevole era l’ influena della donna etrusca nella vita familiare e sociale. La donna etrusca condusse una vita più libera di quella delle donne greche e romane, le quali vivevano nella penombra della casa, si occupavano delle faccende domestiche, badavano all’ educazione dei figli e filavano la lana. Quella etrusca, invece, partecipava ai pranzi e ai banchetti, danzava, era presente alla feste, ai giuochi di società e si occupava perfino degli affari. Insomma, un’ antesignana del moderno femminismo. §3. Vita economica Agricoltura e commercio furono senza dubbio attività primarie insieme alla navigazione, nella quale gli Etruschi furono maestri. Così, girando il mondo mediterraneo, videro e assimilarono molte cose, altre le appresero dagli stranieri che visitavano le loro città, prevalentemente cosmopolite. L’ agricoltura fu abbastanza sviluppata. Quando gli Etruschi, nel YI sec. a.C. si affacciarono alle valli di là dall’ Appennino, vi trovarono una popolazione estroversa e gioviale, capace di lavorare ottimamente la terra e trattare a modo gli animali, ricavandone prodotti abbondanti che valorizzavano con sapienti manipolazioni. La produzione agricola era favorita dalle profonde conoscenze tecniche degli Etruschi che furono i maestri incontestati dei Romani nell’ arte della divisione della terra e
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nell’ irrigazione, mediante la quale, integrata da canali di scarico, trasformarono zone acquitrinose in fertili campagne. Anche nel Veneto gli Etruschi hanno lasciato evidenti segni della loro montante presenza fino al Garda e all’ Adige (coltivazione alta della vite congiunta all’ olmo, all’ acero e al pioppo). Notevole era la qualità e l’ abbondanza dei cereali etruschi. La coltura del lino costituiva la fortuna di Tarquinia, grande produttrice di vele. Dal porto di Cere, sorta nell’ YIII sec. a.C., salpavano contunuamente le navi anforarie, con le stive piene di vasi vinati fittili per il trasporto del vino etrusco che rappresentava una voce importante nella bilancia commerciale. L’ Etruria era ricca di metalli, di pietre e marmi. Peperino, travertino, granito, marmo bianco ed alabastro erano le qualità più note e ricercate anche fuori della regione e contribuirono a trasformare, qualche secolo dopo, la Roma di tufo nella Roma di marmo imperiale. Le vaste foreste fornivano legname da costruzione e da carpenteria navale. La scoperta del ferro e l’ intenso sfruttamento delle miniere dell’ Ilva (Elba) li fece ricchi. La Federazione divenne grande potenza, la prima vera potenza italica in grado di far affluire nelle sue “lucumonìe” oro, argento, avorio, di allestire flotta militare e mercantile degna di rispetto con la quale riuscì a fronteggiare dapprima i Cartaginesi poi i Greci colonizzatori. Tema N 3. Roma e l’Impero §1. Le radici della civiltà romana La Roma dei re, che sorse con i primi villaggi sui colli e si rafforzò all’ ombra delle città etrusche, non ebbe indubbiamente vita facile nel primo periodo della sua storia. La popolazione, formata soprattutto dagli sbandati della zona, poi da pastori e rozzi contadini, era molto inferiore a quella dei potenti vicini che avevano portato in Italia la cultura e il gusto ellenici insieme all’ abilità fenicia nel commercio. Le origini della città si perdono così nella notte dei tempi e nelle nebbie della leggenda. E’certo, però , che l’ unica denominazione etnica nella quale si possono ravvisare le radici della civiltà romana è quella dei Ramni, tribù di boscaioli di stanza sulle colline del Tevere, insieme ai Tiziensi e ai Luceri. Dalla fusione de queste tribù sarebbe derivata la popolazione romana. I Ramnesi, chiamati anche Ramni, d’ indubbia origine latina, come del resto i Luceri, probabilmente di Alba Longa, dovevano essere di una spanna più su delle tribù vicine se riuscirono ad imporsi, come sembra, determinando la nazionalità del comune che lentamente andò formandosi con l’ inclusione della stirpe dei Tiziensi, di origine sabina. Roma non fu fondata, dunque, in un giorno né in un anno. Mentre tra il principio dell’ YIII sec. (799 a.C.) e la fine del YII (600 a.C.) si sviluppava nell”Italia centroorientale, verso il Po e l’ Adriatico, la civiltà etrusca proiettata nell’ oltretomba, forse libertina, anche se profondamente religiosa, ma molto progredita, e nel meridione ed in Sicilia fioriva la civiltà ellenica, le popolazioni delle zone centrali più interne, Umbri, Osci, Sabelli, Sanniti, Latini, conducevano un’ esistenza errabonda, rozza se non addirittura di un selvatichezza primitiva.
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Come avvenne allora che Roma riuscisse a diventare quello che poi è stata malgrado l’ infelice posizione in cui sorse, poco salubre, nient’ affatto fertile e per giunta in una zona nella quale il Tevere straripava sovente formando paludi micidiali per la malaria? Fra la più attendibili interpretazioni di questo fenomeno c’ è quella che sostiene la necessità per i Latini di stabilire misure difensive lungo il fiume contro eventuali intrusioni delle popolazioni vicine. Sulle colline, prima sul Palatino poi sull’ Esquilino si stabilirono colonie di pastori. In seguito, altri villaggi sorsero sui colli vicini intorno alla vecchia collina di Germale sul Palatino. Pian piano quei villaggi di pastori si sarebbero trasformati in punti fortificati collegati tra loro da sentieri aperti nei boschi. Con il passare degli anni, quel gruppo di villaggi, diventato un agglomerato più compatto di case, di strade, di botteghe artigiane diventato insomma urbs, grossa borgata, si sarebbe tramutato nel più importante polo commerciale del Lazio, frequentato dagli Etruschi, dai Campani, dai Sabini, perfino dai Greci e dai Fenici le cui navi cominciarono ad attraccare alle coste latine. Sull’ origine del nome di “Roma” esistono diversità di opinioni. Ad ogni modo, sia che Roma derivi il nome dai Ramni oppure da Rumna (poppa di nave), come appare nell’ antico stemma della città, o dalla radice reu uguale e scorrere, da Rumon o da Stroma che significavano città fluviale, sono palesi i motivi ai quale si può far risalire la sua genesi, chiaramente collegati alla presenza del Tevere, di questo modesto fiume destinato a diventare la vena aorta di Roma e la culla di uno dei più grandi imperi mai esistiti. §2.Struttura socio-economica della Roma monarchica Si è potuto accertare che le basi della società romana di quei tempi remoti erano la familia, intesa come organismo sociale permeato da vincoli di parentela e servitù, la gens, associazione di famiglie tenuta unita da legami di religione e di sangue e che a capo di ogni famiglia c’ era il pater, il patriarca. Un concetto, questo, immutato nei secoli, cementato dal rapporto con gli dei, che legava tutti i membri della famiglia romana. Si è potuto identificare nel rex eletto nell’ ambito delle gentes quale seconda colonna portante delle arcaiche strutture sociali romane, colui che avrebbe dovuto guidare il popolo alla guerra, qualora necessario. Il vocabolo deriva infatti da regere = condurre, dirigere. I Patres gli conferivano l’ auctoritas da esse detenuta nella rispettiva famiglia, che rimase sempre il perno della Roma monarchica e reppublicana, al disopra dei mutevoli sentimenti individuali. Quei Patres non erano altro che senatori di età superiore a 45 anni chiamati in quel modo. La famiglia romana era dunque, più che realtà, un’ ideologia sentita dal patriarca come parte di se stesso oltre che come gruppo di persone unite da vincoli di sangue, da affetti, interessi, vita comune e nel contempo rifugio e garanzia d’ impegno civile, perché in una società arcaica ed austera come quella latino-sabina, nella quale i diritti di ogni individuo derivavano dalla sua appartenenza ad un gruppo o ceppo familiare, lo straniero, il nuovo arrivato si trovava a vivere ai margini di quella società ancora embrionale, imponente a reclamare giustizia e rispetto. Doveva perciò assicurarsi un protettore fra coloro che erano partecipi dei sacra, cittadini di pieno diritto. La cattiva pianta del clientelismo affonda le radici
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nell’ humus di quell’ epoca. Il cliente (da cluens – ubbidiente) veniva inserito nella sacralità della famiglia, prendeva parte ai riti officiati dal pater familias, ne diveniva interprete e protetto. Era il primo passo per ottenere la cittadinanza romana. In compenso, tutti i suoi beni passavano in proprietà del patrono, perché la donna non aveva autorità. Una volta inserito in una faliglia, il cliente non poteva più staccarsene. Gesta e azioni del suo clan si riflettevano su di lui e lo marchiavano a vita, nel bene e nel male. Oltre all’ importanza fondamentale della famiglia, la tradizione accentra nell’ agricoltura la principale fonte di sostentamento del romano delle origini. L’ agricoltura, limitata nei primi tempi alla coltivazione di cereali di second’ ordine come il farro, la spelta e l’ orzo, fu rafforzata in seguito con la coltura del frumento, di ortaggi e alberi da frutta, soprattutto il fico. La vite e l’ olivo furono introdotti in un secondo tempo. L’ aratro è stato uno degli strumenti che hanno reso possibile lo sviluppo delle varie civiltà. I contadini romani lo perfezionarono nel corso dei secoli. Però c’ era un problema serio: acqua. Ce n’ era poca nell’ agro romano o troppa, tanto da creare stagni e paludi malsane. Fu, perciò , un lavoro improbo quello di adattarla alle esigenze di un’ agricoltura che, nei primi secoli, fu essenzialmente a carattere familiare, perché anche il patrizio di quei tempi lavorava egli stesso la terra. L’ attività commerciale della Roma primitiva fu di conseguenza molto modesta. Non avendo prodotti da esportare, a parte il sale, che dette il nome alla strada lungo la quale veniva trasportato, via Salaria, i Romani erano costretti ad acquistare rame ed altre mercanzie dagli Etruschi, pagandole in natura con bestiame e prodotti agricoli. Rispetto all’ Etruria, il Lazio si presentava essenzialmente come una regione agricola. Anche l’ attività artigianale fu assai limitata, introdotta probabilmente a Roma da abili artefici etruschi. Quella situazione di dipendenza durò a lungo e s’ interuppe con la fine del periodo monarchico. Cacciato da Roma Tarquinio il Superbo, s’ ebbe il passaggio dal predominio etrusco ad un nuovo sistema politico, alla Repubblica, cioè all’ influenza sabina, che affidò la suprema autorità dello Stato a due magistrati chiamati prima pretori poi consoli, sostituiti infine dai dittatori.
Tema N 4. La società e l'economia italiane nell'alto medioevo §1. Agonia dell'Impero romano e trionfo del Cristianesimo La caduta dell’ Impero romano, lenta ma inappelabile condanna risale al III secolo, quando gli imperatori divennero strumenti nelle mani delle legioni. Gli imperatori, dopo Marco Aurelio, avevano preso abitudine di soggiornare sempre più raramente a Roma spostando la capitale a Treviri, a Mediolanum, Sirmio, Nicomedia come fece appunto Diocleziano con quest'ultima e Costantino con Bisanzio, definitivamente. Le spiegazioni possono essere diverse: la presenza del paganesimo nell'Urbe, duro a morire, che forse infastidì l'imperatore fattosi cristiano, la necessità per questi di essere più vicino ai confini orientali per controllare i barbari delle steppe asiatiche che si agitavano, il fatto che Roma non era più l'epicentro di tutte le vie, inclusa la sua troppo dipendenza dalla libertà dei mari per gli approvvigionamenti. I ricchi continiavano ad abitare in ville sontuose, ossequiati dai
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clienti e serviti da stuoli di schiavi, completamente assorbiti dai loro passatempi favoriti: banchetti e corse, mentre la plebe oziosa e pigra faceva da corollario, paga di trascorrere le giornate nelle taverne, al Circo Massimo o giocando ai dadi e di riemprire lo stomaco. Nessuna preoccupazione per l'andamento dell'economia e dei mercati alimentari. Erano affari di Stato. Insomma, i Romani del Y secolo vivevano alla giornata, ciascuno secondo le proprie possibilità. Bisogna anche ricordare aggrovigliate e drammatiche sequenze che hanno fatto da sfondo sovracarico di massacri, di saccheggi, di devastazioni, la lunga agonia dell'Impero Romano, la divisione di questo quando finì la sua unità. Nel 410 i Visigoti di Alarico (re dei Visigoti) investirono la città, la invasero, la misero a ferro e fuoco, mentre l'imperatore Flavio Onorio (figlio secondogenito di Teodosio) se ne stava imbelle, indifferente, a Ravenna. Tre giorni durò il sacco di Roma, il primo di tanti altri, ma furono sufficienti per far capire a tutti, specialmente ai Romani, che l'Urbe non era più la signora del mondo né il fulcro del paganesimo, ormai agonizzante. Sorta in difesa dei miseri e degli oppressi, la nuova fede cristiana, non più nazionale, ma ecumenica, spirituale, stava ridestando le coscienze intorpidite e scuotendo Roma dai suoi errori. La società cristiana si era gradualmente fatta largo, si era imposta dopo aver corroso le basi di quella antica, spegnendo il patriotismo per accendere focolai di più alta partecipazione del cittadino in difesa d'ideali più giusti e umani, eliminando ambizioni di onori e gloria terrena, insigni virtù dell'eta pagana. Mentre da ogni parte dell'impero irrompevano coloro che lo avrebbero fatto a pezzi, la Chiesa, non più nascente ma ormai viva e vitale, cercava di far trionfare la Croce sulle rovine dell'idolatria, anche se Roma era ancora contaminata dal fumo dei sacrifici impuri. Il Cristianesimo aveva messo profonde radici in molte regioni dell'Impero, sostituendosi al paganesimo morente con una propria organizazzione, con una gerarcchia, con dogmi e riti che si richiamavano all'ultima Cena. Il trionfo sul politeismo greco-romano, con l'editto di Teodosio che, nel 380, decretava il Cristianesimo unica religione di Stato. § 2. Le ondate longobarde Fra le prime invasioni barbariche era quella longobarda. Un forte gruppo di longobardi, probabilmente di razza germanicha, attraversò le Alpi Giulie ed era sceso in Italia senza incontrare eccessiva resistenza, guidato da re Alboino. Essi esercitarono per circa due secoli un'enorme influenza nella vita sociale ed economica italiana, segnando la fine di quasi tutte le antiche istituzioni romane che Bisanzio aveva tentato di ripristinare ed imponendo, con la forza più che con le leggi, molte costumanze germaniche. Trovarono certamente un limite al loro insediamento nell'incompiuta occupazione della Penisola, ma l'unità statale-territoriale della stessa fu infranta per la prima volta dai tempi della Repubblica romana. Dopo il Friuli, si impossessarono di quasi tutte le città del Veneto e della regione che poi da loro prese il nome, la Lombardia, assediarono Pavia che resistette tre anni, cedendo per fame e divenendo il centro vitale della loro dominazione, invasero parte dell'Emilia, lasciando le terre ad oriente del Panaro ai bizantini, e tutta la Toscana, si
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spinsero poi verso sud, formando i ducati di Spoleto e Benevento. La resistenza delle truppe bizantine fu quasi nulla. 76 anni dopo l'invasione, un periodo durante il quale i Longobardi erano praticamente vissuti senza leggi. Un periodo veramente buio per la Penisola, la cui unità territoriale, divisa tra Longobardia e Romània, non si ricostituì più fino alla metà del Ottocento. Fu grande fortuna che in quei tempi fosse eletto Pontefice Gregorio I detto poi Magno (590-604), il quale espletò un'opera energica ed incessante in difesa dei valori morali del Cristianesimo in mezzo alle violenze dei Longobardi, alla pigrizia degli ecclesiastici, al terrore e alla disperazione delle masse popolane. Quali erano le condizioni di vita degli Italiani sotto il regno longobardo? All'inizio i Romani vennero veramente trattati da vinti. Subirono saccheggi e massacri, deportazioni, poi furono ridotti alla condizione di tributari per molti anni. I Romani non poterono godere di una completa libertà di movimento, di commercio, giuridica, ma dovettero subire passivamente il peso della conquista totale, la conquista di due-trecentomila barbari. La civiltà longobarda è scomparsa alla stregua dell'etrusca. Di quella civiltà ci sono rimaste alcune centinaia di parole che si usano tutt'oggi: faida, bara (significava lettiga), scuri (della finestra), barella, berlina; fèdera ecc. § 3. La dicotomia romano-bizantina Situata a cavallo dell'Europa e dell'Asia in una posizione strategicamente forte, dominando l'ingresso del Mar Nero con la porta spalancata verso il Mediterraneo, Bisanzio aveva ricevuto da madre Natura tutte le caratteristiche per diventare un grande e ben protetto centro commerciale. Dopo il 395, durante l'imbarbarimento dell'Europa, Bisanzio fu l'unica roccaforte dell'Impero che resistette alle ondate distruttrici, divenendo il solo rifugio della cultura e delle società antiche che avevano primeggiato nel mondo. Il commercio bizantino si articolava in tre direzioni: verso oriente, occidente e verso i Paesi nordici. In Italia il demanio bizantino era formato nel YI secolo dall'Esarcato (Emilia, compresa Ravenna sede dell'Esarca), Venezia, l'Istria, la Pentapoli (marittima: Pesaro, Rimini, Fano, Senigallia, Ancona; annonaria: Urbino, Jesi, Fossombrone, Gubbio, Cagli), il ducato romano (Tuscia e Campania fino a Terracina, unite alla Pentapoli da alcune fortezze: quelle di Perugia, Amelia e Otricoli), il ducato di Napoli, diviso in tre parti: Gaeta, Napoli con il territorio da Cuma ad Amalfi e un tratto a sud del Sele, con Pesto ed Agropoli, la Terra d'Otranto (Lecce, Otranto e Gallipoli), la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Nell'ambito di questi domini, Parma fu eletta nel 553 sede del tesoro dell'erario bizantino in Italia e da quel momento fu chiamata Crisòpoli, città dell'oro. Questa capillare divisione politica della Penisola a pelle di leopardo tra domini longobardi, ecclesiastici e greci non poteva non condurre al formarsi in questi ultimi di autonomie locali date le difficoltà di costanti rapporti con Bisanzio. Non che l'Italia bizantina fosse abbandonata a se stessa, ma certamente venne consigliata se non addirittura costretta ad arrangiarsi da sola per mantenere quell'indipendenza cui ormai si era abituata dopo la lunga e cruenta guerra gotica.
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La Sicilia, infatti, era governata da un nobile indipendente dall'Esarca ravennate. Roma, Napoli, Benevento, Gaeta, Amalfi, Bari dipendevano da duchi e altre città minori da tribuni militari. Il Mediterraneo, cacciati i più terribili e temibili avversari di Bisanzio quali furono i Vandali, si era trasformato in un enorme lago greco, portando benefici influssi commerciali, culturali e artistici in molte regioni italiane. Ottima la lavorazione delle stoffe ricamate, degli intarsi in avorio, osso e legno, dei filati, dell'incisione dei metalli, del mosaico. Luminosi esempi dell'arte musiva bizantina quelli di S.Vitale, di S.Apollinare in Classe, del Battistero degli Ariani, a Ravenna. La vita socile ed economica dell'Italia bizantina fu alquanto diversa, sotto molti aspetti, da quella dell'Italia longobarda. C'era anche il contrasto spirituale tra oriente ed occidente che consisteva nel fatto che, pur agendo le due religioni nell'ambito del Cristianesimo, quella orientale attribuiva grande valore alla Conoscenza intesa come ispirazione, spiritualità, mentre l'altra si richiamava all'interpretazione della S.Scrittura, cioè alla Parola Rivelata. Le relazioni tra il Papato e l'Impero bizantino erano state buone o cattive, a a seconda che il Pontefice si fosse dimostrato più o meno malleabile alle esortazioni dell'autorità imperiale che si credeva pervasa di afflato divino, in contrasto quindi con le funzioni non solo di vescovo di Roma e di metropolità d'Italia, ma di capo della cristianità che il Papa tendeva a riunire nella sua persona. Il precario equilibrio sul quale poggiavano le relazioni tra il Tevere e il Bosforo sarebbe crollato nel momento stesso in cui da una parte e dall'altra si fossero trovate di fronte due forti personalità (come avvenne quando l'imperatore Leone III l'Isaurico, dopo aver liberato Costantinopoli dall'aasedio degli arabi guidati da Moslama, salì sul trono e trovò sul quello papale Gregorio II, uomo severo e volitivo). Cominciava in tal modo quella lotta tra il Papato e l'Impero, tra lo spirito e la materia. Tema N 5. La rivincita italiana § 1. La società comunale L'economia signorile, tipica del più retrivo periodo feudale non riuscì a scardinare completamente in Italia il meccanismo sociale della vita cittadina. Città di antica formazione e città più recenti continuarono a respirare approfittando del vitale fermento delle energie elementari che il feudalesimo aveva lasciato libere di agire nel suo ambito, di quei ceti inferiori che in pochi decenni riuscirono ad insinuarsi come terza forza nel tessuto sociale costituito dagli aristicratici terrieri e dal clero, in altri termini della nuova borghesia mercantile. Per questo le città nelle quali quella forza si era sviluppata dopo un'incubazione di secoli cominciarono a dar segni della loro presenza dapprima come nuclei commerciali, poi come entità politiche. La storia della civiltà comunale è la storia di questa evoluzione cittadina, favorita dalle Crociate. Ci fu un risveglio urbano, ma esso rimase purtroppo al di fuori del concetto di nazione ancorato all’ antica concezione della Città-Stato. Con il termine nazionale, abbiamo voluto dire che il significato di quel ridestarsi alle attività cittadine di schietto retaggio romano non andò perduto, giacché si verifico un’ unione intima,
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quasi familiare delle maggiori città, in quanto si riconobbero di una stessa stirpe, facendo appello alla comune base romano-italica, a un sentimento profondo di parentela e di analogie origini che permise il sorgere a sua volta del grandioso Rinascimento italiano. I comuni italiani si presentarono con le loro iniziative mercantili in netto anticipo rispetto al loro tempo, guidati da concezioni moderne. Firenze, con il modello di una potente repubblica corporativa onusta di attività economiche e finanziarie, Venezia con l’ insegnamento alle grandi Compagnie armatoriali di tutto il mondo, Genova con le sue geniali individualità. Il sorgere del Comune vero e proprio avvenne quando le associazioni e le organizazzioni private si trasformarono in enti pubblici in concorrenza con le autorità feudali alle quali riuscirono nel tempo a sostituirsi. Organi fondamentali del Comune furono l'assemblea dei cittadini, con potere legislativo, ed il complesso dei Consoli, ossia dei magistrati cui era affidato il potere esecutivo, giudiziario ed amministrativo. Organi della vita economica le associazioni di lavoro o compagnie d'arti, cui si aggiunsero quelle d'armi per il mantenimento dell'ordine pubblico e per la difesa del Comune nonché le consorterie o associazioni di famiglie nobili. Fra le due grandi potenze di quei secoli, l'Impero romano-germanico e la Santa Sede, si incuneò così un'altra potenza originata dalla rivoluzione municipale. Ma i Comuni non reclamarono l'indipendenza assoluta. Continuarono a riconoscere sotto la denominazione del dominium la sovranità dell'Imperatore, pretendendo però di ottenere a dosi crescenti la proprietas, la pienezza dei diritti civili e politici: giustizia, finanze, moneta, milizie, diritto di pace e di guerra, elezione dei magistrati. In altre parole, il movimento, sorto nel clima feudale, non ripudiò quella mentalità, si limitò a spostarla dai feudatari, privi ormai di risorse finanziarie, ai valvassori e ai nuovi ricchi, all'alta borghesia che generò una nobiltà meno campagnola e più aperta alla iniziative individuali. La metamorfosi comunale attecchì soprattutto nelle grandi città italiane del nord. Popolate e orgogliose, formarono il più possente complesso di città-Stato della cristianità. Unico punto debole: le loro rivalità, costanti e feroci, l'odio che le metteva continuamente di fronte e che ispirava purtroppo la loro politica. Non c'era esempio di due comuni vicini che avessero rapporti amichevoli. Milano, la città più ricca e rispettata, aveva per rivali Como, Pavia, Lodi, Novara, Cremona, per alleate città situate nei pressi di queste: Brescia, Piacenza, Tortona. Lotte continue ebbero luogo fra Padova, Mantova, Vicenza, Verona, città cosiddette della regione dell’ Adige, fra Firenze, Lucca, Siena, Pistoia mentre le Repubbliche marinare avevavno spostato sui mari la loro rivalità mercantili. Quanto a Roma, era nel contempo spettatrice e attrice di drammi che si svolgevano nella sua cerchia e racchiudevano ambizioni molto più grandi. § 2.Periodo aureo delle città marittime. Lotte per il predominio commerciale Durante l’ alto Medioevo si erano costituiti in alcuni punti delle coste italiane, grazie all’ inefficienza dell’ amministrazione bizantina, pochi ma intraprendenti ducati che avevano fondato la loro evoluzione esclusivamente sul commercio, di terra e di
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mare. Quelli furono Genova, Venezia, Pisa e Amalfi, le grandi potenze marittime di quei secoli, alle quali bisogna accoppiare, anche se provviste di caratteristiche diverse, Firenze e Milano, di grande importanza sotto il profilo economico. Amalfi fu la prima di allacciare relazioni commerciali intense con le popolazioni calabre, siciliane e del vicino oriente, diffondendo l’ uso del primo codice mercantile passato alla Storia con il nome di Tavole amalfitane che rimase in vigore nel Mediterraneo fino al sec. XYII e smerciando nell’ Italia meridionale grosse quantità di spezie orientali, manufatti serici e metallici di Bisanzio. Nella seconda metà del 900 la flotta di Amalfi era la più potente del Tirreno e faceva concorrenza a quella veneziana. Al culmine della sua potenza, la flotta amalfitana faceva continuamente la spola con i porti di Tripoli di Siria, l’ antica Tarabulus, di Berito (Beirut, che i Romani avevano chiamato Julia Augusta Felix), e di Alessandria, trasportando merci e pellegrini, diffondendo l’ uso della sua moneta, il tarì, e mantenendo rapporti amichevoli con il mondo musulmano. Le Repubbliche marinare, alle quali va riconosciuto il merito grandissimo di aver ridato lustro e potenza alla penisola italiana dopo lo scollamento dell’ Impero romano, anche se purtroppo non si riconoscevano sotto quella denominazione etnica comune, non avrebbero potuto sottrarsi a quel destino. Strinsero perciò fra loro alleanze alterne e si combattero ferocemente in una tragica altalena di sconfitte e vittorie che polarizzarono su di esse l’ attenzione del mondo civile di allora. Amalfi fu la prima vittima. Pisa la seconda. Sorta sulla riva destra dell’ Arno, alla confluenza del Serchio, già fiorente porto all’ epoca dei Romani, quando Genova era ancora un piccolo villaggio di pescatori, la città di Pisa si presentava nell’ XI secolo abbastanza sviluppata, con una popolazione di circa 12.000 abitanti, al centro di un contado retto da un visconte ereditario delegato dei marchesi di Toscana, residenti a Lucca, loro capitale. L’ ascesa della potenza marittima di Pisa fu conseguenza della sua posizione geografica. Un retroterra limitato, anche per l’ ostilità di Lucca, grande produttrice di panni, che non vedeva di buon occhio l’ espansione della città cugina, l’ obbligò a concentrare sul mare tutte le energie, partendo dall’ ansa di Porto Pisano, a circa 10 km. dal Tirreno. La prosperità della città marinara toscana nel primo trentennio del XII secolo si manifestò soprattutto nel gran numero delle sue colonie oltremare e nella continuità dei rapporti mediante i quali Pisa si teneva collegata alle diverse regioni del bacino mediterraneo. Il commercio pisano agiva soprattutto nel settore dell’ importazione dei prodotti del medio ed estremo Oriente nonché dell’ Africa settentrionale a compensazione o meno con prodotti europei come legname, metalli, pellami, dei quali molti territori soggetti agli Arabi denunciavano grande carenza. Liberatasi della dura concorrenza amalfitana dopo aver semidistrutto la città nel 1135, Pisa si trovò a condurre da sola la lotta contro Genova che presentava ben altre difficoltà e insidie. I contrasti e gli scontri durarono a lungo fino a sfociare nella famosa battaglia della Meloria, combattuta il 6 agosto del 1284 per il predominio della Corsica, ma anche della navigazione nel Tirreno. La sconfitta fu durissima per la città toscana e praticamnete mise fine alla sua potenza marinara.
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Piccolo villaggio all’ epoca dell’ Impero romano, situato in un importante crocevia dell’ Aurelia con la via Postumia, Genova divenne capoluogo di contea. La sua vita interna fu sempre agitata forse a causa dell’ infelice posizione geografica della città abbastanza simile a quella di Amalfi. La popolazione più povera, la maggioranza dunque, doveva vivere compressa in uno spazio ristretto, con il mare di fronte e un retroterra alla spalle chiuse da montagne spoglie. Quell’ esistenza priva di sfogo, condizionata da una base territoriale limitata creò un clima favorevole ad uno sviluppo sociale tranquillo e sereno. Così i Genovesi si videro proiettati verso il mare e cominciarono a costruirsi una flotta poderosa. Alleatasi con Pisa nella lotta per liberare il Mediterraneo occidentale dai Saraceni, occupò la Sardegna e fece alcune spedizioni in Palestina prima delle Crociate. Il movimento commerciale genovese raggiunse la massima espressione nel XIII secolo, soprattutto dopo lo schianto della potenza pisana. In quel periodo fortunato la classe dei mercanti divenne il fulcro della vita cittadina, affiancata da quella dei notai, figure di primo piano dell’ attività economica. Lo sforzo finanziario della Repubblica ligure fu rivolto essenzialmente all’ incremento della sua potenza marittima, militare e mercantile, perché la limitata estensione del suo territorio, unita alle difficoltà delle comunicazioni terrestri, non incoraggiava certamente investimenti nel settore agricolo o industriale, a parte i famosi cantieri navali. Con il passare degli anni, avendo lo Stato genovese continue necessità di mezzi di pagamento, fu costretto a cedere al Banco (Casa od Ufficio di S.Giorgio) città. Isole, colonie levantine, per cui alla fine del XY secolo questi si trovò a possedere tutte le gabelle e i possedimento coloniali dell Repubblica ligure. Poi, le continue discordie interne alimentate da alcune famiglie aristocratiche schierate su fronti opposti, i Fieschi e i Grimaldi da una parte, i Doria e gli Spinola dall’ altra, la necessità per il popolo di avere una propria organizazzione da contraporre al potere dei Capitani nobili la minaccia di Carlo I d’ Angiò sventata da un’ accorta politica che tuttavia impegnò a fondo diplomazia e flotta genovesi, la lotta contro Pisa e la sua eliminazione come concorrente navale e coomerciale, infine i frequenti conflitti armati con Venezia, culminati nelle battaglia di Chioggia, non potevano evitare la conclusione che poi si ebbe nel XIY secolo, cioè il trionfo della potenza veneziana e la decadenza di Genova come Repubblica indipendente, gloriosa e superba. Mentre Genova e Pisa si rafforzavano nel versante tirrenico, un’ altra Repubblica faceva altrettanto sull’ Adriatico. Venezia è stata senza dubbio la più importante città marinara non soltanto sotto il profilo politico per la sua originale forma di governo oligarchica e parlamentare, o militare, per le numerose e vaste conquiste territoriali, o scientifico, considernado le esplorazioni che molti veneziani fecero nell’ oriente asiatico, ma soprattutto mercantile per via di quell’ impero coloniale che seppe assicurarsi a degli intensi traffici commerciali che riuscì as espandere e mantenere in tutti il Mediterraneo, poi dall’ India alla Persia, dal Mar Nero ai Mari del Nord. La città di Venezia si formò sulle isole della laguna alluvionale: Caorle, Cittanova, Torcello, Murano, Rivo Alto detto poi Rialto e tante altre in seguito alla fuga delle popolazioni delle zone rivierasche per sottrarsi all furia delle orde barbare assalitrici: visigoti, unni, ostrogoti, longobardi. Tribuni, poi molti di loro dux (“doge”
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in dialetto) con poteri sovrani, posero le basi del patriziato della futura Repubblica di S.Marco la cui indipendenza durerà ben 13 secoli. I Dogi appartenevano in massima parte alla classe di grandi proprietari fondiari che in un passato più o meno remoto avevano posseduto e possedevano tuttora un’ isola o una frangia di terraferma. Altri al ceto mercantile. Caratteristica della politica interna veneziana fu l’ assenza di vasti moti popolari, a differenza di quanto accadeva a Genova e a Pisa. Nessuna tensione sociale, nessun ulteriore tentativo dei ceti inferiori di accedere al potere. Verso la metà del YIII secolo che Venezia, dipendente come ducato dall’ Esarca di Ravenna, si sganciò di fatto se non di diritto dal dominio bizantino. I veneziani ne approfittarono e cominciarono ad occupare oltremare le terre che formeranno il nucleo del loro futuro impero levantino, cioè l’ Istria e la Dalmazia, cercando anche di mantenere costanti rapporti commerciali sulla Penisola con Longobardi e Franchi. Al pari delle altre Repubbliche marinare, Venezia stabilì in medio Oriente empori di notevole importanza. Il prestigio acquisito dai Veneziani in Europa era così notevole che i vari sovrani non esitavano ad avere rapporti finanziari con essi. Negli ultimi decenni del XIII secolo le direttrici del commercio veneziano in Europa presero a distendersi a ad assumere più ampio respiro. Fino a quei tempi i mercanti veneti, sfruttando la buona posizione della loro città allo sbocco delle vie fluviali della pianura padana, andavano in barca a Verona poi, attraverso il Trento e il Tirolo, arrivavano ad Innsbruck in Austria, raggiungevano il Dannubio, mentre Genova dirottava i suoi traffici verso Milano e la Svizzera fin nelle zone renane. Venezia divenne l’ epicentro di un mondo commerciale. La caratteristica principale che la distingueva da Genova era l’ individualità. Nella città ligure si parlava delle figure di grandi mercanti, a Venezia delle grandi famiglie di mercanti, di armatori, di navigatori. A Genova nelle vita economica predominava l’ iniziativa privata e personale, a Venezia quella dello Stato che controllava tutta l’ organizazzione generale del commercio interno ed esterno. Л и терату ра 1. Ferranti М . Storia socio-economica dell'Italia pre-industriale / Mаrcello Ferranti. – Roma: Bonacci editore, 1987. –645 p. 2. Ugo G. Piccola storia d’ Italia / Gianluigi Ugo. – Perugia: Guerra Edizioni, 2002. – 134 p.
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