JOE R. LANSDALE TRAMONTO E POLVERE (Sunset And Sawdust, 2004) Per Kasey Nel Texas orientale, mito, balle e leggenda sono...
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JOE R. LANSDALE TRAMONTO E POLVERE (Sunset And Sawdust, 2004) Per Kasey Nel Texas orientale, mito, balle e leggenda sono la stessa cosa. H. COLLINS, texano di lunga data. 1. Il pomeriggio che piovvero rane, pesci grossi e pesci piccoli, Sunset scoprì che non ci voleva nulla a buscarne tante come Jack Tre Dita. Ma a differenza di Jack, che la sua ripassata l'aveva presa in pieno sole, a lei era capitato in casa propria, nella coda di un ciclone, con le finestre che minacciavano di scoppiare e su un pavimento di legno freddo come il marmo. Se ne stava sulla schiena, con la sola parte superiore del vestito. Quella inferiore era volata via quando Pete, mentre la menava ben bene, le era montato sopra, e l'abito, ormai logoro come la politica, si era lacerato lasciandola coperta solamente dalla vita alle spalle. Le era passato per la mente che di vestiti, adesso, gliene restavano due, e vedere questo andarsene in malora un po' le dispiaceva: era sì stinto, ma aveva un disegno a fiori che non era poi tanto male, e dei colori che si amalgamavano bene con le macchie. Un pensiero fuggente, comunque. A impegnarle il cervello era soprattutto il modo di riuscire a farlo smettere. Cercava di tenerlo lontano con le mani, ma lui gliele respingeva, ed erano proprio le sue stesse braccia e mani, sbattendole sul volto, a fare all'incirca lo stesso danno dei cazzotti del marito. La inchiodò a terra, le allargò le gambe e prese a strapparle quel poco che le era rimasto addosso. Dopo averle fatto saltare anche la parte superiore del vestito, le abbrancò un lato del reggiseno, denudandola. — To', ecco la tetta, — disse. Ormai farfugliava, e il fiato sembrava grondargli alcol. Poi le afferrò le mutande, e le strappò pure quelle. Infine si slacciò il cinturone con la pistola e lo gettò lì accanto. Mentre armeggiava attorno alla patta dei calzoni, con l'obiettivo di far entrare il mulo nella stalla, Sunset allungò una mano e riuscì a sfilare la .38 dalla fondina. Lui nemmeno se ne
accorse. Lei gliela puntò alla tempia e gli fece saltare le cervella. Il rumore dello sparo fu pari a Gabriele che la faceva volare dritta in cielo, ma in cielo c'era finito Pete. Perlomeno si era messo in viaggio. In seguito, Sunset amò pensare che gli fosse toccato un bel posticino all'inferno, proprio accanto al forno. Ma in quel momento il botto la fece strillare. Una sola volta, un grido secco e acuto come se la pallottola se la fosse beccata lei, o come quando nasci e ti rifilano subito una pacca sul culo. Pete si afflosciò, non solo con l'attrezzo che aveva progettato di usare, ma tutto quanto. Non disse una parola. Né Ahi, né Cazzo, né Non ci posso credere. Espressioni che di solito usava a volontà, quando veniva colto di sorpresa o messo con le spalle al muro. Si limitò a buttar giù il piombo rovente, mollare una scoreggia che non aveva nulla da invidiare allo sparo, tirare le cuoia e uscire di scena in groppa al nero cavallo della Morte. E poiché non pareva abbastanza averci rimesso il vestito, la biancheria intima e la dignità, in quell'istante le finestre sul lato est della casa iniziarono a scuotersi come le catene di Marley, per poi esplodere. La porta si frantumò come non fosse mai stata altro che un insieme di pezzi di legno poggiati uno accanto all'altro, e il vento fece volar via il tetto. Sunset giaceva sulla schiena, i brandelli del vestito quasi legati al corpo, le vecchie scarpe piatte ai piedi, un pezzo di vetro di una finestra conficcato nella spalla, Pete che la schiacciava a terra da autentico peso morto. Aveva ancora la pistola in mano. Il foro d'entrata era piccolo, e nell'uscire non aveva fatto la voragine che ci si sarebbe attesi. Doveva essere proprio tosto, quel proiettile, che gli era rimbalzato nel cranio e l'aveva ridotto in pappa. Dalla ferita e dal naso di Pete usciva del sangue, che le sgocciolava addosso. Si tolse di lì sotto e lo guardò. Nessun dubbio. Non ne avrebbe cavato le gambe, lui. — Bella sorpresa, eh? — disse Sunset. Rimase a fissare Pete per un po', poi attaccò a urlare come un'invasata. Ma neanche a trovarsi nella stanza accanto nessuno avrebbe sentito niente. L'urlo era forte, ma la tempesta ancora più forte. La casa prese a tremare, scricchiolare, stridere, sibilare. E tutto quanto, esclusi il pavimento, due orrori di sedie, un fornello da cucina, Sunset e il cadavere, tutto quanto finì risucchiato e scaraventato in tromba giù per le campagne.
Sunset continuò a strillare, schiacciata contro il pavimento, mentre l'uragano si scatenava furioso. Non appena la tempesta si fu placata, il cielo tornò azzurro e il sole si riaffacciò ad attizzare la calura. Pareva non fosse successo nulla, né pioggia né vento. Sunset si tirò su, spossata e sanguinante. I brandelli del vestito le caddero a terra. Si tolse dalla spalla il pezzo di vetro, che venne fuori senza difficoltà e senza troppi danni. Nuda com'era, soltanto con le scarpe e la pistola, si allontanò dal poco che restava della sua casa caracollando giù per il viottolo motoso, tra rane e pesci d'ogni dimensione che le sciaguattavano tra i piedi. Si sentiva come Caino quando aveva fatto secco Abele. Vide la macchina di Pete, ormai un rottame capovolto, piegata a metà tra due grosse querce, simile a un bastone di liquirizia gommosa. Nei paraggi c'era anche lo schedario di legno del marito, spalancato e con i fascicoli sparsi per ogni dove. Il destino volle che Sunset si imbattesse in una delle tende di casa, ricavata da un sacco di farina e tinta di azzurro. Era andata a finire sul ramo di un alberello malconcio, da cui pendeva come un tovagliolo sul braccio di un cameriere. Sunset se la avvolse attorno alle parti basse, si sciolse i lunghi capelli rossi così da coprirsi il seno e riprese il cammino ciabattando nel fango. Si chinò per staccarsi dalla scarpa una rana spiaccicata, e nel rialzarsi scorse Uncle Riley, il nero che arrotava i coltelli, giungere dalla direzione opposta a bordo di un carretto trainato da due muli. Tommy, il figlio di Uncle Riley, gli camminava a fianco: infilzava con un bastone appuntito i persici portati fin lì dall'uragano e li gettava nel cassone del carro. Quando la vide, Uncle Riley tirò le redini. — Per la miseria, —disse. — Non è che la sto guardando, eh, signora bianca. Davvero. E neanche Tommy la guarda, eh. Non abbiamo visto nulla. Ma Tommy aveva visto, eccome. Il seno di Sunset spuntava tra i capelli rossi, e Tommy seni non ne aveva mai visti prima, neri o bianchi che fossero, se non quelli di sua madre quando lo allattava, ma ormai ne era passato di tempo. A Sunset non importava niente di chi vedeva cosa. Perdeva sangue dal naso e dalla bocca e aveva gli occhi gonfi e mezzi chiusi. Si sentiva come le avessero dato fuoco, per poi spegnere le fiamme con un rastrello da giardino.
— Uncle Riley, — disse, — sono io, Sunset. Mi hanno preso a botte. — Oddio, figliola, certo che lo vedo. Adesso vengo a darle una mano. Basta che non si mette a sparare, capito? Sunset barcollò e cadde su un ginocchio, tentò di rialzarsi senza esito. Uncle Riley era alto un metro e novanta, aveva quarantaquattro anni, pesava centodieci chili e aveva una testa liscia come una palla da biliardo che nascondeva sotto un cappello floscio. Saltò giù dal carretto, si tolse la camicia da lavoro e andò a metterla sulle spalle di Sunset, sempre tenendo il capo girato dall'altra parte. Sunset lasciò cadere il pezzo di tenda e si chiuse la camicia, abbottonandola con la mano libera, senza riuscire a tirarsi su, mezza inginocchiata com'era. Uncle Riley la prese tra le braccia e la sollevò neanche fosse una bambina. Lei restò aggrappata alla pistola, che ormai considerava un'estensione della mano. Uncle Riley la portò fino al carretto e la sistemò sul sedile, poi si arrampicò al suo fianco. — Proprio non la sto toccando più, Miss Sunset. — È tutto a posto, Uncle Riley. È stato un vero gentiluomo. Tommy, che era rimasto accanto al carretto con un pesce infilzato sul bastone, non era ancora riuscito a chiudere la bocca. — Salta su, — gli disse Uncle Riley. Tommy salì sul retro del carretto, tra i pesci che avevano fin lì raccolto e che occupavano l'intero cassone. In certi punti arrivavano alla caviglia. Quella pioggia di pesci Uncle Riley l'aveva vista come una manna dal cielo. Pesci da mangiare, da mettere sotto sale e affumicare a futuro consumo. Non avevano disdegnato neanche qualche rana, perché alla madre di Tommy, che faceva la levatrice, le zampe di ranocchia piacevano. Tommy si chiedeva se il pesce sarebbe durato, perché stava facendo di nuovo caldo ed erano costretti a scarrozzare questa bianca tettona e tutta sbatacchiata. Cosa ne avrebbero fatto di lei, in nome di Dio? Quei capelli così rossi e lunghi e selvaggi, pensò Tommy, sembrano un'ondata di fuoco. Sorrise dentro di sé. Dio santo, aveva visto piovere pesci dal cielo e aveva guardato le tette di una donna bianca. Che giornata. Davvero speciale. — Miss Sunset, se la porto in giro così, finiranno per farmi secco, — disse Uncle Riley. — Non se io rimango qui con lei, no. Sunset udì la sua bocca dire la cosa giusta, ma tutto quanto le pareva un sogno. Si grattò dietro l'orecchio con la canna della .38.
— Missy, non mi crederanno mai. E non crederanno neppure a lei. — A me sì. — Mio cugino Jim, lui aveva soltanto visto una donna bianca nel giardino di casa, una donna chinata a prendere dalla cesta i panni da stendere. Non c'era proprio nulla da vedere, perché era completamente vestita e lui passava per la strada, ma un bianco si è accorto che la guardava, la voce ha cominciato a girare e quelli del Klan l'hanno portato via, Jim, e l'hanno castrato e gli hanno versato l'acqua ragia sulle ferite. — Andrà tutto bene. — E che dirà suo marito, il signor Pete? — Non dirà un bel niente, Uncle Riley. Gli ho fatto saltare le cervella. — Oh, mio Dio. — Mi porti da mia suocera. — Sicura che vuole andare da sua suocera? — chiese Uncle Riley. — Mia figlia è da lei. Non saprei dove altro andare. — Non credo che Miss Marilyn la prenderà tanto bene questa faccenda che lei ha sparato a suo figlio. — Ci penserò al momento giusto. Oddio, cosa penserà Karen, invece? — Certo che lei a suo padre gli voleva bene davvero. — Non c'è dubbio. — Finiranno per castrarci tutti e due, a me e al mio ragazzo. — Non lo faranno. Ci penserò io. Per l'amor del cielo, Uncle Riley, la conosco da sempre. Sua moglie mi ha aiutato a partorire. — I bianchi queste cose le scordano subito, quando gli fa comodo. E con la Depressione, la gente è ancora più malvagia. La tempesta era scoppiata con tale velocità, con tale furia che tutto quel sole e quel caldo adesso sembravano impossibili, e il pesce nel cassone aveva già cominciato a puzzare. I finimenti dei muli crocchiavano, e dagli stomaci delle bestie, pieni di fieno e avena, giungevano strani gorgoglii e strombazzamenti. Di quando in quando i muli alzavano la coda e sparavano un peto o qualcosa di peggio, muovevano la testa di scatto e addentavano un po' di fogliame. Ce n'era in abbondanza, peraltro, perché la pista era stretta e quasi sopraffatta dai rami degli alberi, che sui muli avevano un effetto tentatore. Il carretto, cigolando, avanzò nel fango del viottolo, mentre dalla terra già tornata secca si levavano sottili fili di fumo, con un odore come di terracotta che cuoce in una fornace. Il sole picchiava, e tormentava le ferite e i lividi di Sunset.
— Sto per svenire, — disse lei. — Non è il momento, Miss Sunset. Già è abbastanza brutto che lei se ne stia nuda a cassetta accanto a un negro, e non c'è proprio bisogno che mi metta la testa sulla spalla. Sunset abbassò il capo, e la sensazione passò. Quando tornò a tirarsi su e prese a tergersi la fronte col dorso della mano, si rese conto di impugnare ancora la pistola. — Forse dovrei lasciarla a lei, questa. — Nossignora. Non è proprio il caso di lasciarla a me. Tempo cinque minuti e finisce che l'ho ammazzato io, il signor Pete. — Posso spiegare ogni cosa. — I bianchi lo trovano morto, poi vedono me. Un negro va sempre bene. Vedono la pistola del signor Pete sul mio carretto, e lui che era un uomo di legge e tutto quanto, e ci appendono a me e a quel ragazzo più alla svelta di un fulmine. — Va bene, — disse Sunset. — Vi ringrazio davvero tanto, lei e Tommy. Sul serio. — Poi, la pistola le può servire appena dirà a Miss Marilyn cos'ha combinato. E mica le serve per lei, le può giovare per suo marito, il signor Jones. — Quando lo dirò a mia figlia, potrei aver voglia di usarla su me stessa. — Non parli così, adesso. — Non riesco a credere di averlo fatto. — Se l'ha ridotta in quel modo, Miss Sunset, se l'è proprio meritato. Io non voglio avere niente a che fare con uno che picchia una donna. Ha fatto quel che doveva fare. — Avrei potuto sparargli a una gamba o a un piede. — Ha fatto quel che doveva fare —. Uncle Riley la guardò in faccia. — Accidenti, Miss Sunset, non vedevo una ripassata così brutta dalla volta che il signor Pete ha menato Jack Tre Dita. Se lo ricorda? — Come no... — Ragazzi, l'ha menato neanche avesse rubato qualcosa. — Difatti. La ganza di mio marito. — Forse era meglio se non la tiravo fuori, questa storia. — È stato lui a insegnarmi a sparare, Uncle Riley. A sparare con la pistola, la doppietta e il fucile. Ha continuato a insegnarmi fino a che gli è venuto in mente che forse stavo diventando troppo brava. Dopo sposati, non voleva che lo facessi più... Non posso credere di avergli sparato. L'a-
vessi ferito e basta, lui si prendeva quel che voleva e la cosa finiva lì. Non sarebbe stata la prima volta. Karen avrebbe ancora un padre. Comunque, lui poteva averlo lo stesso quel che voleva, senza tutte queste storie. Glielo avrei dato tranquillamente. Gli bastava solo essere un po' gentile. Ma a lui piaceva rustica, questa cosa, anche se non ce n'era bisogno. Con le sue ganze il gentile lo faceva, quello sì, ma con me alzava le mani. — Non mi stia a raccontare queste cose, ragazza. Non le voglio sentire. — Già era stronzo di suo, ma quando beveva diventava peggio di un serpente mocassino. — Certo che sono rossi, i suoi capelli, — disse Tommy. — Accidenti, figliolo, — disse Uncle Riley. — Miss Sunset non ha certo bisogno di sentire i tuoi discorsi sui capelli, in questo momento. Torna là dietro e vedi di selezionare quel pesce. — Ma se è tutto uguale. — Tu selezionalo lo stesso, ragazzo. — Tutto a posto, Uncle Riley. Sì, Tommy, sono rossi. Mia mamma diceva che erano rossi come il tramonto, ed è così che mi chiama la gente: Sunset, «Tramonto». — Allora non è quello il suo nome? — chiese Tommy. — Adesso sì. Nella Bibbia hanno scritto Carne Lynn Beck. Ma mi chiamavano Sunset. Da sposata sono diventata Jones. Sunset scoppiò in lacrime. — Torna là dietro e mettiti seduto, — disse Uncle Riley a Tommy. — Io non ho fatto niente, — disse Tommy. — Ragazzo, non vorrai una bella ripassata anche tu... Torna là dietro. Tommy ubbidì e si sedette in mezzo al pesce: era ancora fradicio, gli si appiccicava ai pantaloni e la cosa non gli andava neanche un po', ma sedette lo stesso. Sapeva di aver tirato troppo la corda, e alla prossima suo padre avrebbe fermato il carretto e gli avrebbe lustrato il fondo dei calzoni; oppure, ancora peggio, lui stesso avrebbe dovuto spezzare in due la sferza per farsele dare di santa ragione. Durante il tragitto il giorno andò a spegnersi e il bosco si fece sempre più rado, mentre si levava lo stridore della segheria, il rumore di uomini e muli in movimento, di buoi che trascinavano alberi, il frastuono sferragliante dei camion di legname. — Se ci vedono assieme, brutta storia, — disse Uncle Riley. — Andrà tutto bene, — disse Sunset. — Tommy, scendi dal carro e buttati tra gli alberi. Torno a prenderti più
tardi. Tommy fece un balzo e si addentrò nel bosco. — Non voglio che le succeda nulla, — disse Sunset. — Se se la prendono con lei, dovranno impiccarci entrambi. Ho ancora cinque colpi, qua dentro. — Finire impiccato assieme a lei non mi fa sentire meglio, Miss Sunset. La morte è morte. — Va bene. Mi faccia scendere. Il resto me lo farò a piedi. Uncle Riley scosse il capo. — Sembrerà ancora peggio, se qualcuno la vede saltare giù dal carretto. Potrebbero beccarmi prima ancora che lei riesca a dire come stanno le cose. Poi, si regge a malapena in piedi. Sunset alzò la testa: la tempesta aveva fatto volar via le cime dei pini sui due lati della strada, con una certa precisione. Era come se il Grande Falciatore degli Alberi si fosse messo a decapitarli. Nell'entrare nel campo dei boscaioli, Sunset scorse uomini sudati al lavoro e muli schizzati di fango che cercavano di scuotersi via i finimenti, trascinando i tronchi alla segheria. E lunghi carri che uscivano dal fitto del bosco, carichi di tronchi e tirati da file di enormi buoi arrancanti. Nel capannone, la grande sega circolare tranciava stridente gli alberi, e la pialla levigava fischiando le assi. L'aria era piena dell'odore dolciastro di resina dei pini del Texas orientale, appena tagliati. Da un lungo piano inclinato che univa tra loro i capannoni della segheria, giungevano sbuffi di polvere di legno che andavano a posarsi su una montagna di segatura ormai annerita dal tempo e dalle intemperie. Intorno, rami spezzati e alberi contorti dall'uragano. Un carro era stato capovolto, e gli uomini erano impegnati a rimetterlo in piedi. Accanto giaceva il cadavere di un bue, mezzo coperto da una catasta di tronchi. — Chissà se il tornado li ha fatti smettere di lavorare, — disse Sunset. — Forse, ma non per molto, — disse Uncle Riley. — Non qui, a Camp Rupture. Qualcuno finirà per sventrare e scuoiare quel bue, laggiù, e mangiarselo al calar delle tenebre. Lo stesso farebbero con un essere umano, ci restasse secco. — Questo è Camp Rapture, Uncle Riley, non Rupture. — Basta lavorarci un po' per cambiare idea. E io ci ho lavorato abbastanza per non volerci avere più a che fare. Ho un cinto erniario, qui, a provarlo. — Davvero vorrei avergli sparato a una gamba, a Pete. — Adesso che ci ho pensato su un po' meglio, — disse Uncle Riley, —
comincio a essere d'accordo con lei, Miss Sunset. 2. L'arrivo di Sunset e Uncle Riley fu notato da parecchi operai che li scrutarono ben bene, rendendosi conto che la ragazza indossava soltanto una camicia. Gli uomini cessarono di lavorare e scesero la collina in direzione del carretto, come mosche attirate dalla melassa. — Cosa stai facendo con quella donna bianca così malridotta? — disse uno di loro a Uncle Riley. — La sto solo aiutando, — rispose lui. — Ecco, — disse poi, rivolto a Sunset, — o mi impiccano o mi fanno a fettine. — Mi porti da mia suocera. Uncle Riley guardò gli uomini che seguivano il carretto. — Oh, cielo, — disse. — Hanno l'aria incazzata. Solo un negro morto può fargliela passare. — Ho ancora la pistola. Forse posso beccarne cinque. — Sono più di cinque. Certe case avevano una veranda chiusa da cortine, in cui erano stati piazzati dei letti per approfittare del fresco della notte. Le cortine erano lì per ingannare le zanzare. Le case erano dipinte di color verde industriale, montate su blocchi di cemento o pali di sostegno e circondate da una rete metallica, al cui interno - così come attorno al pavimento sopraelevato circolavano polli e oche. Le finestre erano in gran parte annerite dalla fuliggine prodotta dal generatore elettrico della segheria, e i cortili privi d'erba erano cosparsi di segatura. La casa della suocera di Sunset era la più elegante. Aveva il tetto di legno e la corrente elettrica, ed era stata pitturata di fresco. Era montata su pali di legno trattato e intorno a essa non scorrazzava il pollame, rinchiuso invece in un grande recinto sul retro con tanto di pollaio, mangiatoie e un grosso abbeveratoio la cui acqua veniva cambiata ogni giorno. Di fianco al pollaio, un'area recintata e una stalla con un maiale e dei porcellini. Le finestre della casa erano state pulite da poco e il cortile liberato dalla segatura: i solchi nel terriccio sembravano lasciati da una gallina gigante a caccia di vermi. La veranda era di ampie dimensioni, chiusa non da cortine ma da finestre vere e proprie, che si potevano aprire. Sunset scorgeva i grossi vasi di terracotta in cui la suocera teneva le piante che tanto amava.
Nel cortile c'era un camioncino nero dalle gomme incrostate di fango e il cassone di legno ben stagionato. Le fiancate erano malconce, e l'intero veicolo era ricoperto da un velo di polvere di legno. Su una delle fiancate qualcuno aveva scritto, con un dito, SPORCO COME IL PECCATO. Nell'avvicinarsi alla casa, Uncle Riley girò il carretto così da ritrovarsi tra l'edificio stesso e la pompa dell'acqua. Si accostò al davanti della veranda, cui si accedeva da una serie di ampi gradini. Tirò il freno per bloccare le ruote e allentò le redini. — Mi dia una mano a scendere, Uncle Riley, — disse Sunset. — Altrimenti finirò per terra a faccia in giù, e mi si vedrà quel che ho qua sotto. — Oh, Miss Sunset, non potrebbe aspettare uno di quei bianchi? — Va bene. Attorno al carretto si stava radunando un gran numero di uomini, sia neri sia bianchi. Sunset li conosceva quasi tutti, ma con il volto tumefatto che si ritrovava non era sicura che loro, invece, avrebbero riconosciuto lei. Poi le tornarono in mente i suoi capelli. Nessuno, da quelle parti, li aveva uguali. Non certo così lunghi e folti e infuocati. E, a differenza di pressoché tutte le altre donne, Sunset li portava sciolti. — Che diavolo succede, qui? — disse uno degli uomini. Era il suocero di Sunset: alto e grosso, somigliava moltissimo al figlio Pete, ma con meno capelli e più pancia. La sua camicia kaki era gonfia e fradicia sotto le ascelle, e il sudore gli inzuppava il colletto e lo sparato. Gettò all'indietro il cappello macchiato e disse: — Porca miseria, Sunset, sei tu? — Sono io, signor Jones. — Che diavolo t'è successo? E cosa stai facendo con questo negro in canottiera? È stato lui? È la pistola di Pete, quella? Tra la folla, i neri iniziarono a battere in ritirata, con cautela e con ben sperimentati metodi per passare inosservati. Questione di attimi, ed erano già riusciti a portarsi in fondo allo sciame di gente, mani in tasca, sguardo prudente, pronti al sissignore o alla fuga. — Sotto la camicia non ho nulla, e non mi reggo in piedi. Quindi mi dia una mano, per favore, ma stia attento. Jones la aiutò a scendere. — Uncle Riley mi ha trovato dopo l'uragano e mi ha soccorso, — disse Sunset. — Ero rimasta senza vestiti, e lui mi ha dato la sua camicia. — Be', di questo ti ringrazio, Uncle Riley, — disse Jones. — Non c'è di che, signor Jones. Ero lì a raccogliere pesci, ed ecco che la
vedo arrivare. Ho abbassato gli occhi e le ho dato la mia camicia. — È proprio così che è andata, — disse Sunset, e si appoggiò al carretto. — Non riesco a tenermi in piedi. Aiutatemi a salire in veranda. Due uomini si precipitarono a darle una mano. A Sunset parve che la sorreggessero con fin troppo entusiasmo. Sentiva i loro occhi indugiare sul davanti della camicia male abbottonata, e capì che le stavano sbirciando il seno. Troppo stanca per darsene pensiero. A parte quelle occhiate, era da quando portava i calzoncini corti da bambinetta che la gente non le vedeva le lentiggini sulle gambe con tanta facilità. La aiutarono a salire in veranda, e Sunset si tirò giù le falde della camicia, per non dare troppo spettacolo. Jones le andò dietro, e lui stesso non si negò una buona occhiata. — Com'è che sei conciata così? È stato l'uragano? — Più o meno —. Sunset si voltò e chiamò Uncle Riley. — È stato un vero gentiluomo, Uncle Riley. Molte grazie. — Non c'è di che, Miss Sunset. — Le farò riavere la camicia, più avanti. Adesso, come vede, bisogna che me la tenga. — Sissignora. Nessun problema. La tenga quanto vuole. Io è meglio che mi dia una mossa, altrimenti questo pesce sarà da buttare. Riley mollò il freno e schioccò la lingua per incitare i muli. La folla si aprì. — Ci puoi scommettere che il negro una guardatina se l'è fatta eccome, — disse uno degli astanti, Don Walker, all'uomo che gli stava accanto. — Mi spiace solo che non ero io, — disse l'altro, Bill Martin. — Anche con quella faccia così conciata, io me la farei senza problemi. — La miseria, Bill, tu ti faresti anche una buca in terra. — Cazzo, mi chiaverei un'anatra, se si mettesse a culo per aria. — Non avrebbe nemmeno bisogno di farti l'occhiolino. In casa dei Jones, Sunset si sedette accanto alla radio e si mise a guardare le ombre che fuggivano giù per la collina ricoprendo la casa come petrolio. — Gli ho sparato, — disse Sunset. Alzò l'arma. — Con questa. La sua. Mi ha scaraventato in terra e preso a botte. Ha cercato di violentarmi. L'aveva già fatto altre volte. Non ne potevo più. Non appena si rese conto che Sunset diceva sul serio, la signora Jones una bella donna, alta, con una montagna di capelli neri striati di grigio,
come una moffetta - si lasciò scappare un lamento così penetrante e tormentoso che la ragazza se lo sentì tutto nelle ossa. Sunset piegò il piede con tale forza da farsi saltare via la scarpa. — Gli hai sparato? — disse il signor Jones. — Hai sparato a mio figlio? — Dritto in testa. — Mio Dio, — disse lui. — Non avevo scelta. Mi stava violentando. — Un uomo non può violentare sua moglie, — disse lui. — A me sembrava proprio quello, — disse Sunset. Jones tirò indietro la mano, e nello stesso tempo Sunset alzò la pistola. — Non intendo farmi picchiare mai più da un uomo. E dico sul serio. — Tu hai perso la testa, ecco cosa, — disse Jones. — Tu e quel negro. Avete perso la testa. — Uncle Riley non c'entra nulla, con questa faccenda. E se avessimo perso la testa, saremmo forse venuti fin qui? Non sapevo dove altro andare. Sono venuta per Karen. — Ma perché l'hai fatto? — disse Jones. — Pete è tornato a casa ubriaco. Di sicuro una delle sue amichette di Holiday, magari quella zoccola di Jimmie Jo French, non gli ha voluto dare quel che voleva. Così Pete ha deciso che doveva averlo da me. Pure se ero la seconda, o forse la terza scelta. E lo voleva anche con le maniere forti. Ha cominciato a menarmi, mi ha strappato il vestito, poi è arrivato l'uragano e ha fatto volar via la casa, come fosse di carta di giornale. Sono riuscita ad acchiappare la pistola e gli ho sparato. Poi me ne sono andata senza vestiti addosso. Solo queste scarpe, e un pezzo di tenda che ho trovato per strada. Uncle Riley mi ha dato la sua camicia. La signora Jones aveva cominciato a strillare e correre per la casa come una gallina inseguita da una volpe. Si trovò di fronte a un muro, vi batté i palmi delle mani, si voltò, corse dalla parte opposta, ripeté l'operazione. — Non volevo ucciderlo. Ma pensavo che potesse uccidermi lui. — Tu sei mia nuora. Cosa ti abbiamo fatto di male? — disse il signor Jones. — È quel che ha fatto a me vostro figlio, — disse Sunset. Ricordo ancora le volte che mi toccavi il culo, pensò, quando non guardava nessuno. — Lui era la legge, qui, — disse Jones. — Non lo sarà più, — disse Sunset. — Non sarà più nulla. Jones prese una sedia e vi si lasciò cadere, simile a un enorme sacco di patate. Ciondolava da entrambe le parti, incapace di rimanere fermo.
La signora Jones, nel frattempo, si era gettata in terra, strappandosi i capelli. — Pete, Pete, Pete, — disse, come ad aspettarsi una risposta. — Ti prenda un colpo, Sunset, — disse lui. — Un uomo ha le sue esigenze. — Dov'è Karen? — chiese Sunset. La signora Jones attaccò a ululare. Il marito restò seduto. Nessuno rispose. Sunset si alzò, si rimise la scarpa, tornò a sedersi. — Sei proprio sicura che è morto? — disse il signor Jones dopo un po'. — È morto, altro che. — Potrebbe essere ancora vivo. — No, se qualcuno non l'ha resuscitato. La signora Jones cacciò un altro urlo, che fece tremare i vetri della finestra. Aveva cominciato a rotolarsi sul pavimento. — Dov'è? — chiese il signor Jones. — In quel che è rimasto di casa nostra, a pantaloni calati e culo per aria. Jones restò ancora seduto, cercando di buttar giù il groppo che aveva in gola. Quando vi riuscì, parlò di nuovo. — Mi toccherà andarlo a prendere. Dovrai pagarla, signora mia. Esiste la legge, e te la farà pagare. — Era lui, la legge, — disse Sunset, — e me l'ha fatta già pagare ogni giorno, e non avevo fatto proprio niente. Jones si alzò e imboccò la porta. Sunset rimase sulla sedia, pistola in grembo. Guardò la signora Jones, che era sul pavimento e respirava affannosamente. Con lentezza, la donna si tirò su facendo leva su un piede. Poi si avvicinò a Sunset, consapevole di quel che stava per succedere ma, a differenza di come aveva fatto col signor Jones, non si mosse. Si rendeva conto che qualcosa avrebbe dovuto subire per ciò che aveva combinato, e se proprio doveva andare così preferiva che arrivasse da sua suocera, Marilyn Jones. L'aveva sempre trattata bene, sua suocera. Da lei, una sberla poteva anche accettarla. Ma una soltanto. La signora Jones schiaffeggiò Sunset con tutte le sue forze, con tale violenza da farla volare in terra, rovesciando la sedia. Forse avrei dovuto scansare anche questa, pensò Sunset. Lo schiaffo l'aveva presa dove anche Pete l'aveva colpita, e bruciava come il fuoco. — Hai ammazzato il mio ragazzo, — disse Marilyn. — Non l'ho certo fatto apposta, — disse Sunset, e scoppiò a piangere. Lentamente, si sollevò dal pavimento e raddrizzò la sedia, si abbassò la
camicia il più possibile e sedette di nuovo. Aveva ancora in mano la pistola, cui si aggrappava come un naufrago a un pezzo di legno. Marilyn si alzò in piedi e la guardò dall'alto in basso, a capelli adesso sciolti. Tirò la mano all'indietro come a voler colpire Sunset. — No, — disse lei. Marilyn iniziò a distendersi in volto. Scrutò Sunset a lungo, poi allargò le braccia. — Vieni qui, cara, — disse. — Che hai detto? — fece Sunset. — Vieni qui. Anche Sunset scrutò sua suocera. Poi si mise in piedi, cauta. — Va tutto bene, — disse Marilyn. — Non sono più incazzata come prima. — Già la metà di prima sarebbe troppo. — Va tutto bene, — ripeté Marilyn, e fece un passo verso Sunset. Le due donne si abbracciarono. Sunset continuò a impugnare la pistola, tanto per stare tranquilla. Sperava di non dover sparare a tutta quella cazzo di famiglia. E magari anche ai polli. — Ho perso un figlio, — disse Marilyn. — Non ho alcuna intenzione di perdere anche una figlia. — Non volevo di farlo. — Lo so. — No. No che non lo sai, — disse Sunset. — Ci resteresti male a scoprire quante ne so, ragazzina. 3. Il ciclone che aveva spazzato via la casa di Sunset era passato tra gli alberi, portandosi dietro tetto e masserizie; poi si era spostato a est, e al calar della sera era ancora lì che ci dava dentro, gettando per ogni dove pesci, rane e cianfrusaglie varie. Aveva anche scagliato un vitello contro una casa, uccidendolo. Il treno diretto a ovest, verso Tyler, beccò la coda della tempesta, e il vento lo sommerse di pesci, scuotendo i carri merci e facendoli tremare come un bambino aggressivo col suo trenino giocattolo. Per un istante, parve che il treno dovesse schizzare via dai binari, ma quegli scrolloni furono la parte peggiore. La locomotiva continuò a sbuffare, proprio come la tempesta, che finì per esaurirsi dalle parti del confine con la Louisiana trasformandosi, come ultimo gesto, in una brezza fresca e
umida che dette sollievo a un gruppo di accaldati pescatori notturni sulle sponde del Sabine River. Hillbilly era seduto in uno dei carri merci, munito di chitarra e sacca, e teneva d'occhio i due tipi che gli stavano di fronte, accovacciati. Erano saltati su a Tyler, quando il treno aveva rallentato; e adesso che rombava sordo per le campagne, a tempesta ormai finita, si erano messi a sbirciare il loro compagno di viaggio. All'inizio avevano fatto finta di ignorarlo, ma lui li aveva colti a guardarlo di soppiatto. Non gli erano piaciuti, fin dal primo istante. Quando erano saliti, Hillbilly li aveva salutati, ma loro non si erano degnati di rispondere, né per ricambiare il saluto né per mandarlo a fare in culo. Poi avevano preso a calci un paio di pesci persici; si erano scrollati la pioggia di dosso alla maniera dei cani e si erano accovacciati sul pavimento come una coppia di doccioni, di fronte alla porta scorrevole, aperta, senza mai aprire bocca ma lanciando occhiate furtive. Anche se Hillbilly dimostrava meno dei suoi trent'anni, li aveva vissuti per intero. Aveva girato un bel po', ne aveva viste di tutti i colori. Aveva suonato la chitarra e cantato in ogni bettola tra il Texas orientale, l'Oklahoma e la Louisiana. Era saltato su ogni treno possibile e immaginabile, aveva diviso il cibo con altri vagabondi e partecipato a incontri di lotta e pugilato alle fiere di contea, dove la sua allampanata magrezza e il suo bell'aspetto gli erano serviti a ingannare parecchi marcantoni locali che l'avevano scambiato per un avversario da poco. Hillbilly sapeva, per esperienza, che quei tipi lo stavano osservando con un po' troppa attenzione. Come cani affamati che puntano una braciola di maiale. Uno era basso e robusto, con un cappello di lana. Il secondo era più alto e snello, a capo scoperto, con una barbaccia ispida. — Ce li avete, cartina e tabacco? — chiese Hillbilly, anche se in realtà non fumava. Ma certe volte a rompere il ghiaccio si scansavano i guai. E per rompere il ghiaccio una sigaretta poteva essere utile. Il tipo col cappello scosse il capo. — Tu sei parecchio giovane, vero? — Mica tanto, — disse Hillbilly. — Sembri giovane. — E da mangiare, ce ne avete? — chiese Hillbilly. — Solo quei pesci laggiù, davanti alla porta, — disse il tipo barbuto. — Se li vuoi, prendili pure. — Non credo, — disse Hillbilly. — Avevate mai visto una cosa del genere? Una pioggia di pesci? Io ne avevo soltanto letto. È stato quel ciclone.
Ha risucchiato via un intero laghetto, non so dove, e ha lanciato i pesci tutt'attorno. A quei due, del ciclone o dei pesci non importava un bel niente. Il barbuto sorrise. Hillbilly aveva visto alligatori sfoggiare sorrisi più amichevoli. — È da tanto che sei in giro? — disse il barbuto. — Un po'. — Ci si sente soli, no? — disse quello col cappello. — Non mi sento tanto solo, io, invece. — Noi sì, — disse il barbuto. — Soltanto lui e io, assieme. Ci si sente soli in tutti i modi. Un uomo non deve stare da solo. Non c'è motivo. — Io non mi sento solo, — ripeté Hillbilly. — Possiamo fartelo capire noi, che sei sempre stato solo e neanche lo sapevi, — disse quello col cappello. — Sto bene. Davvero. Il tipo col cappello rise. — Non sei tu che ti devi preoccupare. Siamo noi a essere soli. — Ma se siete in due, — disse Hillbilly. — A stare tutto il tempo in due è sempre la stessa storia, —disse il barbuto. — Vogliamo qualcun altro per non essere soli. — A Dio non piacciono questi discorsi. Avete mai sentito parlare di Sodoma e Gomorra? Il barbuto ululò. — Ma chi cazzo se ne frega delle storielle della Bibbia? Se ti mettiamo a buco ritto, vedrai poi come ti piace. — Ragazzi, lasciatemi stare. Fu qui che il tipo col cappello gli balzò addosso. Hillbilly ruotò la chitarra con violenza, fracassandola sulla testa dell'uomo e respingendolo. Poi fu il barbuto a tentare l'assalto. Hillbilly lo tenne a distanza col palmo della mano, s'infilò l'altra mano in tasca, tirò fuori un coltello a serramanico e lo fece scattare. Il tipo col cappello fece di nuovo per aggredirlo, e Hillbilly lo colpì sotto le costole. Il coltello penetrò con facilità. Fu come aprire un buco in un foglio di carta bagnata. L'uomo cadde all'istante. Finì in ginocchio, rotolò su un fianco. — Porca puttana, — disse il barbuto, cogliendo Hillbilly dritto in un occhio. — Hai preso Winston. Poi lo afferrò con una stretta da orso, inchiodandogli le braccia ai fianchi. Hillbilly gli mollò una testata sul naso tanto da fargli lasciare la presa, poi gli affibbiò una coltellata all'inguine. La lama balenò una seconda vol-
ta, in un ampio arco. L'uomo si portò le mani alla gola e tentò di dire qualcosa, senza esito. Si abbassò, come gli avessero tolto una sedia da sotto. Rimase per un attimo a schiena eretta, poi finì lentamente sulla schiena cercando di bloccare il mento sul torace, nel vano tentativo di chiudere la ferita. Hillbilly gli schiacciò il volto con lo scarpone e premette con tutte le sue forze, così che la ferita continuasse a sprizzare sangue. L'uomo prese a dimenarsi a mo' di serpente, ma non per molto. — Ve l'avevo detto di lasciarmi stare, — disse Hillbilly. Ripulì la lama sul giubbotto del cadavere, ripose il coltello e andò a dare un'occhiata al tizio col cappello, che gli era saltato via finendo sul pavimento del vagone. Hillbilly lo raccolse e se lo calcò in testa, poi si chinò sull'uomo. Era ancora vivo, ma alla debole luce della luna i suoi occhi somigliavano a ciottoli sotto il pelo di una furiosa corrente. — Mi hai accoltellato, — disse l'uomo, con una voce che sembrava giungere da un organetto a mantice. — Non volevate certo offrirmi la colazione, — rispose Hillbilly. — È mio, il cappello. — Non più. — Volevamo solo un po' d'affetto. Non c'è niente di male. — Metti che io non ne avessi voglia. — Non credo di farcela, — disse l'uomo. — Ti ho preso sotto le costole. Mi pare che la lama sia arrivata al polmone. Hai ragione. Non ce la farai. — Figlio di puttana, — disse quello, col sangue che gli sgorgava dalla bocca. — Hai perfettamente ragione, — disse Hillbilly. — Solo una stupida testa di cazzo... — Hai ragione anche stavolta. E mi sa che ti restano soltanto pochi secondi per abituarti all'idea. L'uomo sussultò, si lamentò e andò a raggiungere il suo compare nella lunga discesa verso l'ignoto. Hillbilly si alzò e dette un'occhiata alla chitarra. Era da buttare. Adesso sarebbe stato difficile sbarcare il lunario. Gettò dal vagone lo strumento distrutto, si accovacciò e si mise a pensare. Poteva far rotolare fuori anche quei due vagabondi e saltar giù alla prima città. Oppure era meglio scendere quando il treno rallentava a Lindale, nei
pressi della fabbrica di conserve. Era pur sempre un bel salto, non che il treno rallentasse poi tanto, ma l'aveva già fatto altre volte. Bastava rannicchiarsi come una palla e cercare di saltare nel punto con l'erba più alta. Insomma, si poteva fare senza rompersi l'osso del collo. Al ritrovamento dei due cadaveri, lui sarebbe già sparito da un pezzo. Hillbilly lanciò un'occhiata all'esterno. In lontananza era buio per via del bosco, ma la luna illuminava a giorno il ghiaino lungo i binari rendendolo simile a diamanti. Si mise a frugare tra la roba dei due vagabondi e trovò una patata, oltre a due piccoli contenitori con sale e pepe. Infilò il tutto nella sacca, legandosela poi alla cintura. Rimase per un pezzo sul vano della porta scorrevole, sorreggendosi alla parete del carro merci con una mano tremante, in attesa di scorgere le luci di Lindale. Laggiù c'era Tin Can Alley. Ci aveva lavorato, nel reparto piselli in scatola; lui raccoglieva i piselli, e gli altri, poi, li inscatolavano. Non aveva fatto che sgobbare lungo la linea ferroviaria, a raccogliere frutta, cotone, pomodori, impegnato in lavori d'ogni tipo, e l'unico che gli fosse mai piaciuto era cantare e suonare la chitarra. Adesso la chitarra non ce l'aveva più, spaccata in testa a un farabutto in cerca d'affetto. Tornò a guardare i cadaveri. Quello con la gola tagliata aveva la testa in una pozza di sangue scuro, simile nell'oscurità a un cuscino nero e piatto. L'altro giaceva su un fianco con le mani premute sulla ferita e gli occhi spalancati, come immersi in chissà che pensiero importante. In bocca, Hillbilly sentiva sapore di bile. Sputò fuori del vagone, e quando il treno rallentò per entrare nello scalo merci di Lindale, tirò un profondo respiro e saltò giù. Aggirandosi nell'oscurità, Hillbilly raggiunse un boschetto in cui scorreva un ruscello. Gli parve di vedere un balenio di luce tra gli alberi. C'era odore di fumo, e profumo di cibo sul fuoco. Si chinò a raccogliere un po' d'acqua nel cavo della mano. Rimase in quella posizione per qualche tempo, in ascolto. Dal punto illuminato giungevano delle voci, e decise di andare a vedere. — Ehi, hobos! — gridò nell'avvicinarsi. Silenzio. Poi: — Vieni pure. Hai qualcosa da mangiare? Hillbilly entrò nel cerchio di luce. Tre hobos sedevano attorno a un fuoco, sul quale pendeva una latta metallica in cui cuoceva una minestra. — Ho una patata, — disse Hillbilly, rimpiangendo di non essersi portato
dietro uno di quei pesci nel vagone. Raggiunse il bivacco e tirò fuori la patata dalla sacca. Gli uomini si alzarono in piedi, casomai il nuovo venuto non fosse quel che sembrava. — Ci ho messo un po' di fagioli in scatola che mi ha dato una donna, — disse uno degli hobos. Era un ometto con un vecchio feltro nero, e vestiti a tal punto rattoppati da aver fatto scomparire la trama originale. Una giacca nera, arrotolata, gli faceva da sedile. — Io, l'unica cosa che avevo da aggiungere erano i miei auguri, — disse un ciccione di colore che indossava una tuta da lavoro. Era accosciato accanto al fuoco. — E la latta era mia, — disse l'altro. Sembrava davvero ben vestito, per un vagabondo. — L'ho lavata nel ruscello, laggiù. È una latta recente, che ancora non ha messo su ruggine. Hillbilly consegnò la patata all'uomo col vestito rattoppato, che trasse di tasca un coltello a serramanico, la pelò, la tagliò e la fece cadere nella latta di acqua bollente e fagioli. — Avessimo qualche cipolla selvatica, cambierebbe tutto il sapore, — disse il nero. — Ma non credo che ne possiamo trovare, qui al buio. — Ho anche un po' di sale e pepe, — disse Hillbilly, e tornò ad aprire la sacca che si era legato alla cintura. — Metti un pizzico di questi. Quando la minestra fu pronta, Hillbilly prese la sua tazza dalla sacca, e l'uomo dal vestito rattoppato gliela riempì. Il nero aveva una scatoletta vuota, mentre il terzo uomo un piatto metallico. Anch'essi furono riempiti. L'uomo con le toppe bevve direttamente dalla latta che era stata sul fuoco. Si sedettero, e nel consumare il loro pasto si misero a parlare dapprima del più e del meno, poi di questioni importanti. Ovvero, dove si poteva recuperare gratis qualche genere di conforto, e chi poteva essere un buon obiettivo lungo la strada. — C'è questa donna, dalle parti di Tyler, — disse Toppe. — Ti offre la cena se vai in casa e le fai un servizietto. Però non credo che si scoperebbe un negro, Johnny Ray. Johnny Ray scosse il capo. — Non mi immischio in queste cose. Non sono in cerca di guai. Nossignore. — Che aspetto ha? — disse il tipo ben vestito. — A guardarla in faccia, si rischia di diventare di pietra, —disse Toppe. — E i peli della passera li ha tutti grigi. Non è così male, sai, quando è un pezzo che non vedi niente. Poi si mangia, laggiù. Basta non baciarla, perché la sua bocca ha il sapore del peccato.
— Con un aspetto simile, non ci penso nemmeno a baciarla, — disse il tipo ben vestito. — Almeno, non credo che lo farei. Però non so proprio cosa sarei capace di fare, di questi tempi. — A me serve un lavoro, — disse Hillbilly. — E una chitarra. La mia si è spaccata. — Suoni la chitarra? — gli chiese Toppe. — È per questo che mi serve, — disse Hillbilly. — E canto. Senza chitarra, mi sento un uomo a metà. E la metà che è rimasta non mi sembra la migliore. — Cazzo, io suono i cucchiai, — disse Toppe. — Io ho uno scacciapensieri e un'armonica, — disse il nero. — Suono anche quelli, se non c'è altro, — disse Hillbilly. — Però sono un tipo da chitarra. — Io non so suonare niente, — disse Ben Vestito. — Un tempo facevo il maestro di scuola. Lo credereste? Adesso non so più la minima cosa utile. Maledetta Depressione. Maledetto Hoover. — Puoi sempre ascoltare, — disse Toppe. — Johnny Ray e io suoniamo bene assieme. Io gli dò il ritmo coi cucchiai e lui entra con lo scacciapensieri o con l'armonica, e vengono fuori delle belle canzoncine. Se tu cantassi sarebbe una vera meraviglia. Johnny Ray e io sembriamo due vecchie ranocchie. — Posso cantare io, — disse Hillbilly. — Red River Valley la conosci? — disse Toppe. — Tu comincia, che ti vengo dietro. Toppe tirò fuori i cucchiai e attaccò a battere il tempo. Johnny Ray partì con l'armonica e quasi subito Hillbilly entrò con il canto. Era bravo davvero, e il bosco si riempì della sua voce. Continuarono a cantare e a suonare fino a notte fonda. 4. Furono il signor Jones e un uomo di colore che si chiamava Zack Washington ad andare a prendere Pete. Si recarono a casa di Pete (o quel che ne era rimasto) e lo trovarono proprio come aveva descritto Sunset. All'inizio, alla prima luce della luna, Zack si era convinto che anche il tipo sul pavimento fosse di colore, ma, via via che si avvicinavano, lo sciame nero appollaiato sul volto di Pete prese il volo con un furioso ronzio. Pete aveva i calzoni abbassati e la testa sul pavimento, oltre che il culo
all'aria. Tra le natiche c'era ancora una strisciata di merda che era schizzata fuori quando Sunset gli aveva sparato. Il sangue gli era colato giù per il viso, nella bocca e sul pavimento, per poi seccarsi. Zack avvicinò la lanterna al volto di Pete, e pensò che avesse un'espressione di lieve sorpresa, come avesse appena trovato uno scarafaggio nei cereali della colazione. Un occhio sembrava più sorpreso dell'altro. Lo sollevò, e il sangue seccato sul volto di Pete e sul pavimento fece un suono simile a quando si strappa in due un pezzo di carta vetrata. Gli tirarono su i calzoni e montarono sul camioncino col cadavere seduto in mezzo: il signor Jones lo teneva fermo, Zack guidava cercando di concentrarsi sulla strada senza lasciarsi sopraffare dall'odore di feci e di carne in putrefazione. Per via del caldo, anche solo nel breve tragitto fino a Camp Rapture e benché l'aria si fosse ormai rinfrescata, il tanfo mandato da Pete era di quelli da tapparsi il naso. Bastarono pochi minuti a far uscire allo scoperto le formiche che si erano radunate tra i vestiti del morto e che andarono subito ad azzannare polsi, mani e caviglie di Zack. Non era stato Zack a offrirsi volontario per recuperare il corpo di Pete, ma l'aveva costretto Jones, che gli operai di colore chiamavano Capitano perché era uno dei pezzi grossi della segheria. Si fosse rifiutato, sapeva che avrebbe perso il lavoro per ridursi poi a raccogliere cotone per molto meno di un tozzo di pane, oppure a zappare nei campi se non a trascinare balle di chissà cosa. Quindi, non è che ci fossero molte cose da dire. Tra sé, Zack era lieto che Pete fosse morto. Una volta, Pete gli aveva sbattuto la pistola in testa perché non era stato chiamato «signore». Zack l'aveva chiamato semplicemente Pete, come facevano tutti i bianchi di sua conoscenza. «Certo che hai proprio dimenticato di stare al tuo posto, negro», aveva detto Pete, tirando fuori la pistola. Gli aveva dato una veloce ripassata, giusto qualche bottarella, e Zack era contento che non fosse stata come quella che si era beccato Jack Tre Dita. Altrimenti, a quest'ora sarebbe già stato concime per i campi e cibo per i vermi. Così Zack aveva apprezzato l'ironia della cosa, nel trovare il signor Pete in quelle condizioni, a calzoni calati e con uno sguardo scemo in viso, il culo sudicio e una pallottola in testa, uscita addirittura dalla sua stessa arma e sparata da una donnetta dai capelli rossi. Jones e Zack portarono Pete in casa e arrangiarono una sorta di camera ardente staccando un'anta dell'armadio e poggiandola alle estremità di due sedie. Zack disse qualche parola gentile e tagliò la corda, senza che il si-
gnor Jones si degnasse di dirgli né grazie né vaffanculo. Come se la situazione non fosse già abbastanza di merda, la figlia di Pete, Karen, rientrò da una giornata di pesca con gli amici. Il signor Jones era appena tornato col cadavere. Karen aprì la porta col sorriso in volto e una bugia pronta sulle labbra. A quattordici anni, non era certo la prima bugia della sua vita. Aveva raccolto alcuni pesci per strada, dopo la tempesta, per fingere di averli pescati proprio lei. Invece di andare a pesca con gli amici, Karen era stata con un ragazzo. Jerry Flynn. Erano rimasti giù al ruscello a pomiciare, poi si era scatenata la tempesta. Il tempo che avevano progettato di passare a baciarsi l'avevano trascorso con la faccia nella terra e il ciclone ululante attorno. Al termine del tornado, si erano immediatamente diretti verso casa: Karen a quella dei Jones, perché era in visita dai nonni. Le bastò aprire la porta per scordarsi ogni bugia. Vide suo padre disteso sull'anta dell'armadio, i capelli sul viso e la lingua ciondoloni. Aveva ancora i vestiti fradici, e l'occhio sinistro gli pendeva dall'orbita come se qualcuno, dall'interno del cranio, lo stesse spingendo fuori con un dito. Karen lasciò cadere il pesce e si mise a urlare. — Papà, papà, papà! Sunset, che aveva recuperato un po' d'energia e si era fatta prestare dalla suocera un vestito di qualche taglia più grande, alle urla di Karen giunse di corsa dalla stanza sul retro. Aveva ancora la pistola in mano. Prese Karen e la trascinò via da lì. Marilyn si chiedeva dove fossero finite Sunset e Karen, ma era troppo debole e depressa per cercare di scoprirlo. Sperava che stessero bene, là fuori al buio. Sapeva solo che suo marito era felice che Sunset se ne fosse andata. Il signor Jones aveva minacciato di prendere la doppietta e di farle saltare quelle lunghe gambe, la prossima volta che l'avesse rivista. E Marilyn era certa che l'avrebbe fatto, e che l'avrebbe pure passata liscia. Fu allora, tra un pensiero e l'altro, che Marilyn si rese conto di quanto si fosse preoccupata, durante la tempesta, per la sorte della nipote. Una preoccupazione che però era svanita all'arrivo di Sunset, in camicia e con una pistola, pronta a raccontare d'aver ucciso Pete. Adesso era di nuovo in pensiero per Karen, e anche per Sunset. Si era messa a letto, ma non riusciva a dormire. La mente le turbinava, facendole scorrere davanti un'infinita serie di immagini, e la più frequente
era quella del figlio con un buco in testa. Quando l'avevano steso su quell'asse di fortuna, nel salottino, la testa di Pete era caduta da una parte, e dalla bocca era rotolato sul pavimento un pezzo di piombo ormai schiacciato e coperto di sangue. Ancora lo vedeva, con gli occhi della mente, lo udiva cadere al suolo. E si rese conto di un altro fatto: un pensiero doloroso, certo, ma sapeva che era la verità, una verità che avrebbe dovuto ammettere da tempo. Pete se l'era cercata. Era proprio come suo padre. Erano anni che il signor Jones - ovvero colui che Marilyn chiamava suo marito - riteneva che la sua parola fosse oro, anche se certe volte non era che stagno. E con Pete era lo stesso. Jones più di una volta le aveva fatto un occhio nero; anzi, l'aveva riempita di botte, per dirla tutta. Presa a calci. A schiaffi. E pure violentata. Fino a quel momento, Marilyn non l'aveva mai considerata violenza carnale, ma solo il modo di fare di suo marito, di ogni marito. Adesso la memoria le andò a quel che aveva detto (e fatto) Sunset, e capì che non era il modo di fare di un marito. Soltanto un pessimo modo di agire. Si concentrò sul sudore che le incollava le reni alle lenzuola, pensò a quanto meglio si dormiva in veranda, e si chiese perché non fosse andata lì. Si tirò a sedere sul letto e guardò Jones. Quella sera non si era nemmeno degnato di prenderla, di certo per via di Pete. Non aveva il colpo in canna, al momento. Ma l'indomani l'avrebbe picchiata, Marilyn ne era sicura. Per far ricadere su di lei quel che era successo a Pete. E una maniera per scaricarle addosso la colpa l'avrebbe trovata. Glielo diceva sempre, Jones: «Vedi cosa mi hai fatto fare?» Marilyn si alzò senza far rumore, si accostò scalza al cassettone, ne trasse un grosso ago che usava per la macchina da cucire Singer, sgusciò in silenzio nel salottino e si mise a guardare il suo ragazzo. L'aveva ripulito e rivestito con qualche indumento del marito, riuscendo anche a rimettergli a posto l'occhio e a chiudergli le palpebre, oltre a coprire con la cera di una candela il foro d'entrata della pallottola. Lo guardò ancora per un istante. Poi allungò una mano e gli schiacciò i capelli per farli sembrare pettinati. Infine uscì dalla stanza e andò a dare un'occhiata sotto la veranda. Trovò quel che cercava. La cassetta da pesca di suo marito. Ne tolse un robusto pezzo di lenza e rientrò in casa. Nell'o-
scurità, al tatto, infilò la gugliata di filo da pesca nell'ago della macchina Singer, tornò in camera, sollevò la coperta dal letto con estrema cautela e si mise a cucire il lenzuolo al materasso, col marito ancora addormentato. Portò a termine l'operazione in silenzio, con pazienza e determinazione. Alla fine, aveva strettamente cucito Jones tra lenzuolo e materasso, con la sola testa a spuntare all'esterno. Marilyn ripose l'ago, uscì di casa e prese il rastrello da giardino. Il rastrello non era mai stato usato, se non per pareggiare il terreno, e adesso che Marilyn se ne rendeva conto, la cosa le pareva stupida. Certe volte si metteva a sarchiare il giardino per evitare di impazzire dal rumore, tra il ronzio della sega, il vocio degli operai e il frastuono dei macchinari, il tutto mentre aspettava che il marito la menasse. Di ritorno in camera da letto contemplò Jones per qualche tempo, poi sollevò il rastrello e glielo sbatté con violenza sul capo, cercando di figurarsi nel bel mezzo di un campo di cocomeri a spaccarne appunto uno. Alla prima legnata Jones si destò con un urlo. Marilyn lo colpì di nuovo. Lui voltò la testa verso la donna, e si beccò una terza randellata, affibbiata con tutte le forze. Jones tentò di alzarsi, ma il lenzuolo cucito al materasso lo bloccava. — È l'ultima volta che me le hai date, — disse lei. — Tu sei pazza, donna. — Lo sono stata, fino a oggi. E attaccò a pestarlo da capo a piedi, finché non fu troppo stanca per continuare. Non appena prese fiato, il marito cominciò a imprecare. Lei si rimise all'opera. Fosse stata più forte avrebbe finito per ucciderlo, ma non lo era poi molto, e non volle infierire sulla testa. Preferì concentrarsi su quel corpo massiccio, ogni colpo un grugnito, ogni botta che riecheggiava per tutta la casa, simile al tonfo di un tappeto battuto. Quando non ne poté davvero più, Marilyn uscì dalla stanza, per farvi ritorno con la doppietta di Jones. Il volto dell'uomo era una maschera di sangue, che gli usciva dagli orecchi e dal naso e aveva inzuppato il lenzuolo. — Tu hai perso la testa, donna, — le disse. — Hai perso la testa per via di Pete. Lei gli puntò addosso la doppietta. — Dovrei premere il grilletto e farti secco. C'era qualcosa, nel vederlo in fondo alle canne del fucile, così come il forte odore del petrolio e del metallo, che le faceva venir voglia di sparare
sul serio. — Ma che ti è preso? — Ti ho preso dentro di me, ed è venuto fuori Pete. E ti ho lasciato fare, quando gli hai insegnato a trattare le donne proprio come trattavi me. Sunset l'ha ammazzato perché non aveva altra scelta. — Non dirai sul serio. — L'ha ammazzato per lo stesso motivo che dovrei avere io per ucciderti. Non avrei dovuto permetterti di trattarmi in quel modo. Pete sarebbe stato diverso, se tu non mi avessi sempre picchiato. Marilyn armò i cani della doppietta. — Adesso non fare cose di cui potresti pentirti, Marilyn. — Ho già abbastanza di cui pentirmi. La donna uscì. Quando tornò, in una mano reggeva un coltello. L'altra impugnava la doppietta. — Vacci piano, tesoro, — disse Jones. — Non chiamarmi tesoro. Non azzardarti a chiamarmi così. Con un veloce movimento della lama Marilyn tagliò il lenzuolo, fece un passo indietro, gettò il coltello sul pavimento e puntò la doppietta contro il marito. — Alzati. Vestiti, raccogli scarpe e calzini. E non tornare più, se non a prendere il resto dei vestiti. Ma non certo stanotte. Jones si mise seduto sull'orlo del letto. Il suo corpo era tutto una striscia rossa, col sangue che gli sgorgava da numerose ferite. Sull'occhio destro aveva un livido che sembrava una macchia di grasso. — Non puoi buttarmi fuori di casa mia. — Posso prenderti a fucilate. Come no. Qui e altrove. Lo sai che sono capace di sparare. — Non lo faresti mai, tes... — Non ti azzardare a dirlo. Mettiti i pantaloni. Vederti nudo mi fa venire il voltastomaco. Jones respirò a fondo. Raccolse i pantaloni, se li infilò. Poi toccò alla camicia. Fece per infilarsi anche i calzini. — Fa' come ti ho detto. Scarpe e calze, portale con te. Nient'altro, e non fermarti, altrimenti sarà l'ultima volta. — E Pete? — Lui non va più da nessuna parte. — Il funerale... — Te lo farò sapere. Vieni, se ti va. Ma togliti dalla testa il solo pensiero
di tornare qua dentro. — È casa mia. — È mia quanto tua. Me la sono guadagnata a forza di sopportarti. Poi, la segheria era di mio padre, e adesso è di mia proprietà, non certo tua. Sono io quella coi soldi. — Sei solo sconvolta. — Certo che sono sconvolta. Ma non solo sconvolta. Sono parecchio sconvolta. — Passerà. — Non credo, signor Jones. Non mi ero resa conto di come andassero le cose. Fino a che Sunset non ha fatto fuori Pete. Anch'io avrei voluto ucciderla subito, ma adesso è te che voglio ammazzare. Lui la guardò nella speranza che si trattasse di un'altra persona, ma dovette riconoscere che era proprio sua moglie. Raccolse scarpe e calzini. — Ti avverto, finirai per pentirti di tutto questo. — Non intendo mai più buscarne da te. — Una moglie deve sottostare al marito. — Io non sono più tua moglie. — Agli occhi di Dio lo sei ancora. — Allora sarà meglio che Dio guardi altrove —. Marilyn imbracciò la doppietta e prese la mira. — Sta' attenta. Quei grilletti scattano con un nonnulla. Jones si alzò e uscì dalla stanza. Lei gli andò dietro. — Guai a te se ti fermi, — gli disse. — Voglio guardare Pete. Sparami, se vuoi. Ma io vado a guardare mio figlio. — Allora guardalo. Jones tirò la cordicella della lampada appesa al soffitto, si fermò accanto all'asse di fortuna, allungò una mano e toccò il volto di Pete. Prima di uscire, si voltò. — Tu e quella ragazzina la pagherete cara. James Wilson Jones non dimentica. — Allora levati di qui finché ti rimane ancora la testa per ricordare. — Farò portare del ghiaccio. È troppo caldo, per Pete. Farò portare del ghiaccio. — Va bene. Adesso fuori. E non portarlo tu. Manda uno degli uomini. Jones le lanciò uno sguardo che lei già conosceva benissimo. Quello che le rifilava ogni volta, prima di prenderla a botte. Ma non sarebbe andata
così. Marilyn si sentiva strana. Si sentiva bene. Si sentiva forte. Una sensazione che non provava più dai tempi dell'adolescenza. — Togliti dalla testa di tornare qui, — disse. — Starò con le orecchie all'erta. E la prossima volta farò pochi discorsi. Sparerò, e basta. E sappi che ti odio. Ti odio in tutto e per tutto, e non certo da oggi. Ma oggi ti odio più che mai. Jones uscì di casa sbattendo la porta. Marilyn lo seguì e gli urlò dietro, mentre lui scendeva i gradini illuminati dalla luna. — E lascia stare il camioncino. Quello serve a me. Lui non si girò, ma continuò a camminare. Marilyn andò a togliere le chiavi del camioncino dal quadro e le portò dentro. Di rado, da quelle parti, si serravano le porte; ma questa volta Marilyn prese la chiave di casa, appesa a un chiodo accanto all'uscio, la infilò nella toppa e dette le mandate. Non appena ebbe chiuso, si ricordò che suo marito aveva una seconda chiave, e finì per incastrare una sedia sotto la maniglia. L'indomani avrebbe dovuto cercare il fabbro del paese e fargli cambiare la serratura. Chiuse tutte le imposte, sbarrò la porta posteriore e mise una sedia anche sotto quella maniglia. Tirò la cordicella della lampada del salottino per spegnere la luce, e sedette nell'oscurità accanto al corpo di Pete, con la doppietta in grembo. Sentiva i coleotteri sbattere contro le imposte della finestra più vicina. Li sentiva pure a finestra chiusa. Si chiese se, a luce spenta, l'avrebbero piantata alla svelta. Ormai, visto quant'era che abitava nel Texas orientale, erano cose che avrebbe dovuto sapere, ma non le sembrava di ricordarsi niente di specifico sul comportamento dei coleotteri. Infine la piantarono. A finestre sbarrate, la casa si faceva sempre più calda. Il sudore prese a colare giù per il viso di Marilyn e dentro la camicia da notte. Si sentiva le ascelle appiccicose. La casa era immersa nel silenzio. Dalla stanza sul retro giungeva il ticchettio della pendola. Marilyn si chiese dove fossero finite Sunset e Karen. Sperava che stessero bene. Poi realizzò. Sperava che la donna che le aveva ucciso il figlio stesse bene. 5. Al levare del sole, che colorava il bosco di rosa come una vescica che
gronda sangue, Sunset si accorse che un po' di quel sangue era il suo. E non solo per le ferite che le aveva inflitto Pete, ma anche per i graffi e i morsi che si era beccata da sua figlia, oltre a un certo qual contributo offerto da formiche e zanzare. Ferite che si erano riempite di terra, in quella notte passata nel bosco, e che adesso le prudevano. Pure il fianco e lo stomaco le facevano male, punti in cui non si ricordava di essere stata colpita. Forse sì o forse no, oppure poteva - dormendo - essere rotolata su qualcosa, una radice o una pietra. Era seduta sulla sponda del Sawmill Creek, dove aveva passato la notte assieme a Karen, sotto un grosso olmo. Si stava godendo il sole del mattino e guardava sua figlia, sdraiata nello stesso punto in cui aveva pianto fino allo sfinimento, irata e confusa, le mani serrate e il volto aggricciato come un pugno, le guance e la tuta ricoperte di foglie bagnate. Sunset voltò le spalle a Karen e si mise a fissare il torrente, i grossi insetti neri che volavano a pelo dell'acqua e qualche ragno dalle zampe lunghe che vi correva sopra, a mo' di frettoloso Gesù Cristo. La tempesta aveva tinto l'acqua di rosso, un'argilla simile a sangue, e la corrente viaggiava spedita e rombante lungo nuove direttrici. Il tornado aveva scaraventato in acqua masserizie d'ogni genere, divelto alberi, sbarrato e modificato il vecchio corso del torrente. Ogni volta che si levavano folate di vento caldo, portavano con sé zaffate di pesce marcio. Sunset tentò di concentrarsi sulla corrente e di non pensare a Pete, ma era un'impresa impossibile. Rimuginava sull'accaduto nel tentativo di capire dove avrebbe potuto comportarsi in altro modo. Continuava a pensare che si sarebbe risvegliata da un brutto sogno. Niente da fare. Era sveglia, altro che, e seduta sulla sponda del Sawmill Creek, in un bagno di sudore. Alzò la mano per tergersi il viso e scoprì che stava ancora impugnando la pistola. Non l'aveva mai mollata, neanche quando aveva raccontato a sua figlia l'accaduto, neanche quando la ragazza, in un momento di confusione selvaggia, l'aveva colpita con i pugni, graffiata con le unghie, presa a morsi. Karen, sfinita, era caduta a terra in lacrime, e Sunset aveva cercato di consolarla, tentato di spiegarle, ma la ragazza si era messa le mani sulle orecchie e, allo stesso tempo, aveva attaccato a mugolare, così da non sentire le parole della madre. Poi si era addormentata, come a volersi nascondere da Sunset e dal mondo intero, e anche Sunset aveva provato a sdraiarsi e a dormire per un po', il dito lontano dal grilletto ma la pistola stretta in mano, l'odore di cor-
dite ancora nel naso, il boato dello sparo sempre nella mente. Ripose l'arma nella tasca dell'ampio vestito da casa di sua suocera, e il non averla più tra le mani, pure se vicina, la rese nervosa. D'un tratto fu contenta di non averla avuta con sé, la volta che se l'era date con la ganza di Pete, Jimmie Jo French. Aveva scoperto che Pete le correva dietro, e aveva dato la colpa a Jimmie Jo. L'aveva affrontata fuori dell'emporio di Camp Rapture, le era saltata addosso come una tigre. Avesse avuto la pistola, allora, il culo che il becchino avrebbe dovuto pulire sarebbe stato quello di Jimmie Jo; ma non credeva che sarebbe stata capace di vivere col rimorso di avere ucciso la rivale in un attacco di gelosia. Adesso capiva che le colpe di Jimmie Jo non erano maggiori di quelle di Pete. Ciò che all'epoca l'aveva fatta incazzare sul serio era la voce, che girava da qualche tempo, che a Jimmie Jo Pete comprasse un sacco di cose carine. Bei vestiti, addirittura gioielli. A lei, Pete non comprava mai nulla. Per un po' aveva pure pensato di non essere un granché a letto e si era messa d'impegno a risolvere il problema, così che magari lui non avrebbe più sentito il bisogno di spassarsela con Jimmie Jo, visto che aveva di meglio in casa, ma non era cambiato nulla. Pete era rimasto la solita bestia: la prendeva a schiaffi e a botte, le allargava le gambe e la infilzava con violenza, come cercasse di aprire un varco in un muro di cemento, e Sunset non capiva neanche se ci provasse gusto o no. Per lui era una cosa come un'altra, e quando arrivava in fondo si staccava dalla moglie come schifato. E con Jimmie Jo non aveva smesso. Certe volte rientrava a casa ancora col suo profumo addosso, senza neanche preoccuparsi di toglierselo, perché non gliene fregava niente che Sunset lo venisse a sapere. Anzi, magari gli faceva piacere. Sunset non era mai riuscita a capire perché dovesse meritarsi una punizione del genere. Chissà dov'era, adesso, Jimmie Jo. Chissà se aveva saputo della morte di Pete e come si sentiva. — Salve. Sunset sollevò lo sguardo e vide un uomo. Si alzò, e le parve che i suoi organi vitali fossero manovrati da fili con dei ganci all'estremità. L'uomo che si trovava di fronte non sembrava pericoloso. Lo scrutò bene. Ma non lo sembrano mai, pensò. Anche Pete non sembrava pericoloso, quando aveva iniziato a farle la corte. All'epoca, Sunset aveva sedici anni. Pete le aveva fatto una buona impressione, e nelle prime due settimane di matrimonio si era convinta di aver fatto la scelta giusta. Fino alla notte in cui si era rifiutata di andarci a letto perché si sentiva poco bene, e lui l'ave-
va costretta con la forza; la prima di molte altre situazioni analoghe. Si infilò la mano in tasca. Era lieta di avere la pistola. — Hobos, voi due? — chiese l'uomo. — Non è che se ne vedono molte, di donne, sulla strada. — Non siamo sulla strada, — rispose Sunset. — Meglio così. Siete parecchio lontane dalla ferrovia. — Anche lei, — disse Sunset. — Credo di sì. L'uomo indossava un cappello di lana sgualcito, troppo grande per lui. Se lo tolse e sorrise. Sunset vide che era di bell'aspetto, e forse non così giovane come le era parso. Aveva una sacca legata alla cintura, e un piccolo livido nerastro sopra un occhio. — Sono in cerca di lavoro. Degli hobos mi hanno detto che c'è una segheria che assume. — Non so se assume, — disse Sunset, — ma la troverà se segue il torrente verso est. Fu lì lì per dirgli che avrebbe dovuto rivolgersi a suo suocero, il signor Jones detto anche il Capitano, ma non riuscì a proferire parola. Non era più suo suocero. Sunset aveva soltanto Karen, adesso, che già la odiava. Be', forse aveva anche Marilyn. La faccenda di Marilyn che prima la prendeva a schiaffi poi l'abbracciava, non l'aveva ancora capita bene. — Quella ragazza, — disse lui, — non è che è morta, eh? Non è che le ha sparato? L'ho vista, sa, quando si è messa la pistola in tasca. Non vorrà per caso sparare anche a me? — Quella è mia figlia. Sta dormendo. Siamo finite dentro una tempesta. Ci è volata via la casa. — Devo averne beccato la coda. Quando è scoppiata ero su un carro merci. Mi sono quasi preso paura. Sembrava che andasse tutto a gambe all'aria. È qui a caccia? Una pistola non è il massimo, per gli scoiattoli. — No, non sono venuta a caccia. — Be', lieto d'averla incontrata. Se sua figlia fosse sveglia lo direi anche a lei. È la tempesta che l'ha conciata così? — La tempesta, come no. — Io mi chiamo Hillbilly. — E io Sunset. Mia figlia è Karen. — Certo che ha dei bei capelli. Pure sua figlia, ma non come i suoi. I suoi sono di fuoco, quelli di sua figlia un'ala di corvo. — Ha i capelli di suo padre, — disse Sunset.
— Sarà meglio che vada a procurarmi quel lavoro. — Non ha l'aria di un operaio di segheria. — Infatti. Ma ho bisogno di lavorare. Sono un musicista. Suono la chitarra e canto. — E la chitarra dov'è? — Si è rotta. Sto cercando di mettere assieme qualche soldo per comprarne una nuova. — Buona fortuna. — Grazie. Ci rivedremo, se sta da queste parti. Sunset ci pensò su un attimo. Non era più sicura di niente, ma rispose lo stesso. — Già. Da queste parti, sì. Se ci rivediamo, spero di avere un aspetto migliore. Di solito non sono così malridotta. — E io di solito non sono così sporco. Malridotto sì. Falsa modestia, pensò lei. Lo sa, di essere carino. Hillbilly si toccò il cappello. — Be', mi stia bene. E se ne andò. Il sole si allargò sempre più, giallo come il tuorlo di un uovo fresco, e riscaldò l'aria al pari di benzina in fiamme. Il calore scendeva sul bosco come colla, si trasformò in gomma, impregnò di sé tutta l'opera di Dio. Alle dieci di mattina gli operai del campo erano già esausti, il sudore grondava loro dalle ascelle e gli bruciava l'inguine. I barili dell'acqua venivano prosciugati uno dopo l'altro, e i muli avevano voglia di fare festa. Anche i buoi, di solito pazienti come Giobbe, avevano iniziato a barcollare e sbavare. Quella stessa mattina Jones aveva fatto portare tinozze di ghiaccio a casa sua, oltre a una bara provvisoria in vimini che si era fatto prestare dal padrone dell'emporio del paese. Toccò a Zack e a un altro nero di nome Hently il compito di sistemare la bara in vimini sul pavimento e versarvi dentro il ghiaccio contenuto nelle tinozze. I due passarono poi a togliere i vestiti a Pete, e l'odore del cadavere invase la stanza. Sistemarono il morto sopra il letto di ghiaccio nella bara, e lo ricoprirono col ghiaccio restante fino a placare il tanfo e nascondere del tutto il corpo alla vista, fatta eccezione per un dito indice che spuntava tra i pezzi di ghiaccio, dritto in su come a voler fornire un qualche suggerimento. Nei vari reparti della segheria, a differenza del solito, nessuno parlava del caldo. — Secondo me a una donna non dovrebbe essere permesso di sparare al
marito, se le gira, — disse Bill Martin. — Si comincia così, poi va a finire che al mondo non c'è più una cosa che funziona come deve. Cazzo, t'immagini? Dico a mia moglie di prepararmi la colazione, e lei mi spara. — A lavorare assieme a te, — disse Don Walker, — sai quante volte m'è venuta voglia di spararti? — Tu sei un rompicoglioni patentato. Solo che non sei neanche simpatico. Bill e Don legarono i muli a una slitta piena di tronchi. Don incitò gli animali, Hank e Wank, che iniziarono a trainare la slitta. I due uomini si avviarono a fianco dei muli, le lunghe redini in mano. — Forza, brutti figli di puttana, — disse Don ai muli, che girarono a sinistra. — Non dovresti parlar loro in quel modo. — Se li lasci fare, se ne approfittano come pochi. Incrociarono Hillbilly, che arrivava dalla parte opposta, sorridendo e con la mano levata a mo' di saluto. Don tirò le redini per fermare gli animali. — Scusate, — disse Hillbilly, — ma sto cercando lavoro. — Non siamo noi quelli giusti, — disse Bill. — Sapete con chi devo parlare? — Col Capitano, — rispose Don. — Ma non è il momento opportuno. — E quando sarà? — Non è sicuro. Suo figlio Pete è stato ucciso proprio ieri. — Incidente? — No, a meno che beccarsi una pallottola in testa si possa chiamare incidente, — disse Bill. — L'ha fatto secco sua moglie. Pete era la legge, qui. — E perché l'ha fatto? — Dicono perché lui la menava. — Allora non posso darle torto, — disse Hillbilly. — Anch'io non sopporto che mi si mettano le mani addosso. — Ma lei era sua moglie, — disse Bill. — Questo non gli dava alcun diritto, a quel tale, — disse Hillbilly. — È quel che penso io, — fece Bill. — Glielo stavo proprio dicendo, a Don. — Questa donna che gli ha sparato, — disse Hillbilly, — non sarà rossa di capelli, per caso? — Capelli più rossi dei suoi non esistono, — disse Bill. — Come fai a saperlo?
— Così, per dire, — fece Hillbilly. — Le rosse sono famose per sparare ai mariti. — Io sapevo che le rosse erano famose per altre faccende, —disse Bill. — Roba esplosiva, di sicuro. — Ma se tutte le tue capre sono nere o bianche o grigie, — disse Don. — Di rosse non ne hai mai vista una, e quindi di queste cose non sai un bel nulla. — Te l'ho già detto, — fece Bill. — Dovresti lavorare alla radio, da quanto sei spiritoso —. Bill tornò a rivolgersi a Hillbilly. — Buona fortuna, giovanotto. Magari il Capitano avrà voglia di parlare con te. La scorsa settimana abbiamo giusto perso un uomo. — Gli è caduto un albero addosso, — disse Don. — Bill e io avevamo scommesso su quanto ci sarebbe voluto prima che quell'ignorante figlio di puttana se ne tirasse uno in testa. Aveva il vizio di tagliarli, gli alberi, poi andar via pian piano quando venivano giù. L'ultima volta è andato via un po' troppo piano, e l'albero gli è rimbalzato sul cranio. Lo fanno, a volte. Rimbalzare, intendo. L'ha piantato dritto nel terreno. Dice che è scoppiato, quel tizio, come un tacchino ripieno. — Bisogna essere svelti, per lavorare da queste parti, — disse Bill. — Non restare coi piedi impigliati in tralci o rami. Secondo me quel tipo è rimasto con la caviglia incastrata in qualche rampicante. Se ti fai assumere qui e non stai attento nel tuo lavoro, fai la sua stessa fine. — Grazie del consiglio, signori, — disse Hillbilly. — Se volessi parlare con quel Capitano, dove potrei trovarlo? — A casa sua non ci sta più, adesso, — rispose Bill. — Sua moglie l'ha cacciato e ha preso le parti della nuora. Stamattina era in segheria, con gli stessi vestiti fetenti che aveva ieri. Non ho idea se sta davvero lavorando. Quando sei uno dei pezzi grossi, riesci comunque a svicolare, figlio morto o no. Forse ti toccherà parlare con qualcun altro, per quel lavoro. C'è altra gente in grado di assumere. Comunque è davvero uno schifo. Il Capitano col figlio morto, e sua moglie che lo butta fuori di casa. È anche una brava persona. Mi ha prestato un bel po' di soldi che non gli ho ancora restituito... — E non hai intenzione di farlo, — disse Don. — Come fai a saperlo? — disse Bill. — Ancora non mi hai restituito il dollaro che devi a me. — Lo farò. Però, sappi una cosa: se avessi dovuto renderli alla sua vecchia, non so mica come sarebbe andata. Lei non voleva che il marito me li
prestasse. Diceva che ero un tipo a rischio. — Difatti è vero, — disse Don. — Rivoglio il mio dollaro. Lo so bene. — L'ha detto in mia presenza. Un tipo a rischio. Sai, con questa Sunset che ammazza il marito, il rappresentante della legge per di più, se non ci mettiamo un freno subito, ogni donna del campo e dei dintorni penserà di avere il diritto di rimbeccare il suo uomo per qualunque cosa le passa per la testa, che siano quattrini in prestito o spassarsela con qualche passera. — Sunset, — disse Hillbilly. — È così che la chiamano? — Per via dei lunghi capelli rossi, — disse Don. — Prima che Pete la riempisse di botte, era davvero un bello spettacolo. Adesso sembra Jack Tre Dita. — Chi? — Uno che è stato randellato da Pete, — disse Bill, — e ci è rimasto secco. Lo chiamavano così perché aveva tre sole dita. E chi se ne frega, pensò Hillbilly. — In questo caso è Pete che ci è rimasto secco, — disse Don. — Non che mi dispiaccia per lui, beninteso. Picchiare una donna non è cosa buona. A meno che non sia una puttana, naturalmente. Una volta, una di quelle mi ha fregato un paio di dollari, e quando le ho messo le mani addosso ha avuto il fatto suo, ecco. Alla fine aveva una faccia che sembrava quella di un cucciolo pezzato. — E un posto per vivere, c'è? — chiese Hillbilly. Si era guardato attorno. Tutte le case del campo sembravano occupate, e così attaccate tra loro che se qualcuno voleva scoparsi la moglie del vicino non aveva altro da fare che mettere l'uccello fuori della finestra, e lei il culo. — Posti qui in zona non ce ne sono. Puoi prendere a noleggio una tenda all'emporio e trovarti una sistemazione lungo la strada, in qualche spiazzo tra i pini. Quegli alberi non li taglieranno ancora per qualche tempo. Troppo piccoli. — Grazie di nuovo, — disse Hillbilly, e si avviò nella vaga direzione della segheria. Prima di giungere a destinazione, gli venne in mente che malgrado la sua curiosità si era scordato di chiedere perché mai quel Pete avesse riempito di botte Jack Tre Dita. E pensò anche alla rossa che aveva incontrato giù al torrente, e capì che era quella che aveva sparato a quel Pete. Strano dover ammettere che entrambi, lui e la rossa, erano degli assassini.
Allontanatosi Hillbilly, Sunset si sdraiò per terra. Voleva riposare un istante, ma con sua grande sorpresa finì per addormentarsi. Si risvegliò che una mano le accarezzava la guancia. Per un attimo pensò che fosse Pete, in uno dei suoi rari momenti di tenerezza, ma si rese subito conto che non poteva essere lui. Era Karen. — Tutte le cose che ho detto, non dicevo sul serio, mamma. Sunset riuscì a mettersi seduta. Aveva la mano nella tasca del vestito, ferma sulla pistola. Non le fu facile aprirla e mollare la presa. Si era addormentata con l'arma stretta in pugno, ma non col dito sul grilletto. La reggeva come fosse un bastone, e l'aveva fatto con tale forza e così a lungo che la mano era stata colta dai crampi. A tendere le dita, ci mise un pezzo. — Non ero più disposta a buscarle, — disse Sunset. — E non era la prima volta che me le dava, Karen. Tu non ne hai mai saputo niente, perché mi picchiava in modo tale che non si vedessero i lividi. Ma non questa volta. Con te si è sempre comportato bene, ma con me non è stato un buon marito. — Perché lo faceva, mamma? Cosa gli avevi fatto, tu, per meritarti questo? — Cosa gli avevo fatto? Se gli avessi fatto qualcosa, mi fossi incazzata come una bestia e l'avessi preso a botte, allora si sarebbe incazzato anche lui. In questo caso l'avrei perdonato. Magari l'avrei capito se gli fosse successo qualcosa di negativo per colpa mia, o se fosse stato male, poco lucido. Niente di tutto ciò. Era solo che aveva voglia di darmele. E me le ha date di santa ragione. Solo perché gli piaceva. Karen chinò il capo. — A me, non mi ha mai picchiata. Sei tu l'unica ad avermi dato qualche sberla. — Lui ti voleva bene. Ti adorava. Sunset passò il braccio attorno alle spalle di sua figlia. Karen lo lasciò stare. — Mi dava sempre la buonanotte, — disse la ragazza. — Non lo farà più. Non andremo più a pescare. E cantavamo sempre assieme. Diceva che ero brava come Sara Carter. — Più brava. — Avresti potuto fargli qualcos'altro. Non dovevi certo ammazzarlo. Potevi mollarlo. — L'idea era quella, ma non sapevo come dirtelo. Magari te l'avessi det-
to. Sempre meglio che doverti dire quel che mi è toccato dirti ieri sera. E non potevo certo prendere e andarmene, bambina mia. Non mi avrebbe lasciato farlo. Il mio timore era che non sarei mai più andata da nessuna parte. Guardami in faccia, bambina. Karen si voltò a guardarla. Sunset notò, con dolore, che somigliava a suo padre. — Ho il naso rotto e le labbra spaccate. Per fortuna mi sono rimasti tutti i denti. Dall'occhio sinistro non ci vedo quasi più. Pensi davvero che tuo padre mi volesse bene, Karen? Karen attaccò a piangere e appoggiò la testa addosso a sua madre. — Non è sempre stato così, — disse Sunset, quando Karen ebbe smesso di piangere. — Abbiamo anche avuto dei bei momenti. Un tempo io lo amavo. E so che anche lui mi amava. Ci siamo conosciuti che io avevo sedici anni e lui diciannove. Troppo giovani. Ma ci volevamo, lui e io, e pensavamo che il nostro fosse amore. In un certo senso, lo era. Volevamo soltanto giocare agli sposini, Karen. Pensavamo che andare a letto assieme tutte le sere fosse amore. Capisci? Ricordatelo, quando ti troverai nei casini con qualche ragazzo e penserai di non poter vivere senza averlo sempre attorno e sempre dentro. — Mamma, non parlare così. — È la verità, e adesso devo proprio parlare così. Non abbiamo tempo per le manfrine, solo per la verità. Cerca di risparmiarti un matrimonio finché non sarai abbastanza grande per capire chi sei e cosa vuoi. Quel Jerry Flynn che stai vedendo. È un bravo ragazzo. Ma tu sei troppo giovane per pensare al matrimonio, e anche lui. — Non ho mai parlato di matrimonio. — No. Ma potresti pensarci. Io alla tua età ci pensavo. Mi sono sposata, e tuo padre non ha mai spesso di andare con altre donne. Non avrebbe smesso mai. Non so che dire. Non saprei cosa dire neanche se fosse morto in un altro modo. Ma così... Proprio non ci sono parole. Mi odi? Karen scosse il capo. — Non so come mi sento... E adesso che facciamo? — Tu puoi andare da tua nonna. Puoi restare da lei fin quando non avrò escogitato qualcosa. — Non voglio andare laggiù da sola. — Ci sei già stata un sacco di volte. — Lo so. Ma adesso c'è papà. Non possiamo tornare a casa nostra? — Casa nostra non c'è più, Karen. È volata via.
— E non possiamo andarci lo stesso? — Non so se sono in grado di fare tutta questa strada a piedi. Riesco appena a muovermi, da quanto sono intirizzita. L'unica cosa che possiamo trovare, laggiù, è soltanto il pavimento. — Io ci voglio andare lo stesso. Raggiunsero la strada maestra e si fecero dare un passaggio da un tale alla guida di uno scassato camioncino pieno di pollame starnazzante. L'uomo, che in bocca aveva quattro denti quattro, dette una bella occhiata a Sunset che salì per prima e si mise in mezzo, mentre Karen sedeva dal lato del passeggero. — Ha avuto un incidente? — Può dirlo forte, — rispose Sunset. L'uomo le accompagnò per gran parte del tragitto e le lasciò a poca distanza dalla loro destinazione. Sunset non poteva chiedere di meglio. Arrivarono che era mezzogiorno. Avevano fame, ma niente da mangiare. Come aveva detto Sunset, era rimasto solo il pavimento, oltre a qualche carabattola qua e là. Il pollaio sul retro era sparito, a parte due pali che reggevano un pezzo di rete metallica con incastrate delle piume e qualche pezzo di gallina, scaraventata là sopra dalla tempesta. Anche la baracca del cesso era svanita, lasciando solamente la fossa stracolma di liquami fetenti. Il cortile non era più invaso dai pesci. Ne erano rimasti alcuni, che si erano comunque seccati al sole e puzzavano in maniera inaudita. Quel che era successo al resto dei pesci era fin troppo chiaro. Il terriccio recava tracce dei procioni accorsi a sfamarsi. Sembrava che ogni procione del Texas orientale fosse venuto fin laggiù a far baldoria, ballare e zompare al chiaro di luna. Tra gli alberi, non troppo lontani, si scorgevano abiti e cianfrusaglie e rami avviluppati. C'era uno spazio aperto, là dove il tornado aveva spazzato via alcune piante, e la macchina capovolta e incastrata tra due querce malconce. La camminata aveva finito per avere un effetto positivo su Sunset, che riusciva a muoversi con più disinvoltura e sentiva le giunture meglio funzionanti, ma la stanchezza era sempre presente e la spingeva al riposo. Assieme a Karen si sedette sul pavimento della casa e si guardò attorno. — Non sapevo cosa aspettarmi, — disse Karen. — Me l'avevi detto, che era sparito tutto. — Proprio così, tesoro. Tutto quanto. — Ho una gran fame.
— Possiamo raccogliere qualche mora. Scesero al torrente, dove i rovi crescevano fitti, e raccolsero un po' di more che mangiarono strada facendo. Erano dolci e tiepide, e i rovi si allungavano quasi rasoterra, obbligando madre e figlia a prestare molta attenzione ai serpenti. Tornarono verso casa, a sedersi sull'orlo del pavimento, e guardarono il sole passare dalla parte opposta del cielo per iniziare la sua discesa, come una palla che rotola giù a valle. Quando Sunset ebbe ripreso le forze, decisero di dare un'occhiata alla macchina. Nessun dubbio, era andata per sempre. E i fascicoli di Pete erano sparpagliati attorno. Sunset iniziò a raccoglierli. — Potrebbero tornare utili a chi verrà a prendere il posto di Pete, — disse. Karen le dette una mano. Cercarono di infilare i fascicoli dentro lo schedario di legno, che però era troppo danneggiato. Allora li raccolsero tutti, anche quelli rimasti dentro il mobiletto, e li sistemarono nella macchina. Verso le due del pomeriggio tornarono a sedersi sul pavimento della casa. Karen si mise a cantare, con scarso entusiasmo, ma nel registro acuto la sua voce era davvero limpida. È proprio brava come Sara Carter, pensò Sunset, e ha un timbro molto meno nasale. Dopo un po' un camioncino risalì sferragliante la stradina di fronte. Sunset alzò gli occhi e vide che c'era sua suocera, al volante. Karen scattò come un fulmine verso il camioncino, gridando: — Nonna! Il camioncino rallentò, per poi fermarsi. Karen aprì con forza la portiera, afferrò sua nonna e le saltò al collo. — Come sapevi che eravamo qui? — chiese Sunset, avvicinandosi a sua volta. — E dove altro pensavate d'andare? Non credi che sia il momento di tornare a casa? — Non credo che al signor Jones farebbe piacere. — Tesoro, per quel che mi riguarda, del signor Jones non c'è più nemmeno l'ombra. 6. Quando giunsero a casa di Marilyn, il cadavere era dentro la bara in vimini, coperta da una trapunta. — Voglio vederlo, —disse Karen. — Avevo capito di no, — fece Sunset. — Ne sei proprio sicura? — chiese Marilyn.
— No. Ma voglio vederlo. — Va bene, tesoro, — disse Marilyn. — L'ho sistemato alla bell'e meglio. Adesso non è più vestito. Ma è immerso nel ghiaccio. Ti farò vedere il viso. Marilyn alzò la trapunta e tutte insieme sollevarono il coperchio della bara. Marilyn tolse il ghiaccio incollato al volto di Pete. Sunset si mise a fissare il foro del proiettile, che era stato richiuso con un po' di cera. Quando ancora non era stato portato il ghiaccio, Marilyn aveva dato un po' di rosso alle guance del morto, un tocco di rossetto alle labbra e cipria sul resto del viso. Ma il ghiaccio aveva pasticciato tutto quanto. Il risultato, pensò Sunset, era la faccia di uno che cerca di farsi assumere al circo. — Forse ho esagerato, — disse Marilyn. — Ma era così pallido, così bluastro attorno alle labbra. Il ghiaccio ha sciupato ogni cosa. Non lo sapevo, che avrebbero usato il ghiaccio. Gli darò una sistemata prima del funerale. — Ricoprilo, — disse Karen, barcollando verso la veranda, dove scoppiò subito in lacrime. Sunset fece per raggiungerla, ma Marilyn la prese per un braccio. — Meglio che rimanga da sola. Sunset annuì. Marilyn ricoprì il volto di Pete con il ghiaccio e rimise al suo posto il coperchio della bara, con l'aiuto di Sunset. Infine vi drappeggiò la trapunta. Sunset deglutì. — Come fai ad avermi attorno? Sapendo che sono stata io? — Forza, ragazza mia. Andiamo a sederci sotto il portico. Si piazzarono sugli scalini battuti dal sole, da dove potevano vedere uomini e animali che lavoravano alla segheria e udire il sibilo delle seghe elettriche, in particolare di quella più grande, soprannominata Big Saw e ospitata in un capannone apposito. L'aria era satura dell'odore appiccicoso della segatura fresca, nonché di fumo: quello nero che proveniva dalla centrale elettrica e quello grigiastro degli essiccatoi. I raggi di sole che filtravano tra fumo e segatura davano una colorazione verdastra all'aria che incombeva sulla segheria e sul campo; là dove il fumo si diradava, invece, le coperture in lamiera dei tetti facevano rimbalzare il sole verso il cielo, con un effetto argenteo che Sunset non riusciva a guardare a occhi aperti. Non era poi molto lontano, il signor Jones, pensò Sunset; bastava andare nel capannone principale per essere quasi sicuri di trovarlo, immerso nelle sue scartoffie al cigolio implacabile della Big Saw. Negli ultimi tempi si dedicava molto più al lavoro d'ufficio che a quello manuale, sempre più ad
assumere e licenziare operai e a curare la distribuzione del legname. Doveva ormai esserselo guadagnato, il diritto. Si chiese — domanda oziosa — se il tipo che aveva incontrato giù al torrente era davvero andato a cercare un lavoro. Poteva anche essere un hobo, ma non ne aveva l'aria. I suoi vestiti non erano certo impeccabili, ma Sunset aveva capito subito che al suo aspetto ci teneva, con risultati non proprio malvagi. E aveva pure capito che i lavori di fatica, per lui, non erano che l'ultima spiaggia. Non era il genere di persona capace di passare la vita dietro un aratro, coi piedi nella merda di mulo, oppure a fare l'operaio in una segheria. E c'era qualcosa, in questo modo di fare, che la attirava. Ma se sono così brava a giudicare il carattere degli altri, pensò subito dopo, perché ho finito per sposare Pete? — Ero ancora una ragazzina, — disse Marilyn, — quando il mio bisnonno si convinse che il futuro era nel legname. Lui era nato al Nord, ma si era trasferito nel Texas orientale per dedicarsi al lavoro dei campi. Dopo qualche tempo, si era reso conto che questa terra poteva ospitare un gran numero di case, tutte da costruire, e gli era parsa una buona mossa mettere in piedi una segheria. Era circa il 1910. Era arrivato da queste parti e aveva acquistato il terreno da alcuni boscaioli che tagliavano gli alberi e trasportavano il legname fino a Nacogdoches. Li aveva convinti a lavorare per lui, ad abbandonare l'attività in proprio. Insomma, mise su una segheria, che ebbe un gran successo. Diventò ricco. Una buona parte della segheria è di mia proprietà, e il resto è di Jones e Henry Shelby. Questo già lo sai. — Infatti. Quel che non sapevo è che anche tu ne possiedi una fetta. Forse avrei dovuto capirlo, immagino, ma non ci ho mai pensato. Che le donne possiedano qualcosa mi è sempre suonato un po' strano. Mi ero convinta che Jones, quando ti ha sposato, fosse diventato padrone anche della tua quota. — Vuoi saperne ancora? Ecco qua. All'inizio mio padre apprezzava molto Jones, ma questa stima non è durata molto. Così decise di stipulare un contratto che dice che io posso impedire a Jones, per qualunque motivo, di possedere una parte della segheria. Henry, invece, che ha sposato la sorella di mio padre, avrà sempre la sua quota. — Stai dicendo che intendi buttare fuori Jones? — chiese Sunset. — No, anzi. Intendo lasciargli una bella fetta dell'azienda. Meno di prima, ma sempre una bella fetta. Se l'è guadagnata. Sunset annuì, anche se non aveva capito tanto bene dove Marilyn inten-
desse andare a parare, e perché le stava raccontando cose che già sapeva, per non parlare di quelle che aveva finora ignorato. Non riusciva quasi a guardarla, sua suocera, senza farsi prendere da una crisi di pianto. — Jones l'ho incontrato appena siamo arrivati qui dall'Arkansas. Io ero una ragazzina e lui voleva sposarsi, ma solo per entrare in una famiglia coi soldi. La mia, i soldi già li aveva per via della segheria. Credo di averlo capito subito che l'obiettivo di Jones non ero tanto io quanto i miei soldi, ma non mi interessava. Lì per lì, mi era parso un brav'uomo. Non lo era. Mi picchiava. Lo sai come vanno queste cose, no? Volevo che il matrimonio funzionasse. Mi avevano sempre detto che è compito della donna, questo. Che non contano niente le puttane che frequenta tuo marito, non importa se ti riempie di botte o di insulti; tocca a te farlo funzionare, il matrimonio, farlo funzionare per i tuoi figli. Pete, lui è venuto su con la voce di suo padre nelle orecchie, che mi trattava come non si farebbe neanche con un cane, e l'ha sempre visto «correggermi», per usare il termine che a Jones piaceva tanto. — Anche Pete lo definiva così, — disse Sunset. — E io accettavo tutto, pur di mandare avanti il matrimonio. In realtà stavo autorizzando mio figlio a comportarsi come suo padre. Ora, suo padre qualche lato positivo ce l'ha. È un gran lavoratore, e non si è mai permesso di godersi i miei soldi solo perché io ero io. Gli piaceva essersi procurato una posizione di prestigio nell'azienda. Per lui, la posizione era tutto. E tutto doveva essere importante: il suo ruolo, la sua casa, il suo lavoro. Una moglie che sa stare al suo posto e un figlio ben piantato che non se le fa cantare da nessuno. E c'erano altri punti a suo favore. L'ha sempre trattato bene, Pete. Quando si arrabbiava, non se la prendeva con lui, ma con me. Era anche un bel pezzo d'uomo, e da giovane questa cosa mi piaceva. Un vero marcantonio. Dopo, invece, quando mi saltava sopra per trattarmi come una pezza da piedi, la sua forza non mi è piaciuta più. Ma un tempo lo amavo. — Un tempo anch'io amavo Pete. — Lo so. L'ho vista, quella luce nei tuoi occhi. — A volte sapeva essere buono. E anche spiritoso, quando non era incazzato. E aveva una bella voce. Con Karen si è sempre comportato bene, e pure lei ha una bella voce. Le ha insegnato lui a cantare. Ma Pete aveva dei problemi. E non pochi. Marilyn annuì. — Pensavo che non sarebbe diventato come suo padre, ma mi sbagliavo. Un'altra caratteristica di Jones è che ce l'ha grosso come
un cavallo. Ma non sono mai riuscita ad apprezzare la cosa, perché lui mi saltava addosso e zac! Già fatto. Un battito di ciglia, rischiavi di non accorgertene. Sunset diventò rossa. Non aveva mai sentito una donna parlare di queste cose, e soprattutto non se lo aspettava da sua suocera. Be', pensò poi. Siamo in ballo, quindi balliamo. — Anche Pete era fatto così. La storia del cavallo, voglio dire. E il saltarti addosso. Solo una volta ha fatto l'amore con me come si deve. E credo che sia quella da cui è nata Karen. Avrebbe voluto altri figli, ma io da quell'orecchio non ci ho mai sentito. Mi sembrava di essere una bestia da montare. — Se non sei più rimasta incinta significa che Dio tiene d'occhio la brava gente. Mi avesse davvero tenuto d'occhio, pensò Sunset, non me l'avrebbe lasciato sposare, quel figlio di puttana di Pete Jones. E magari avrei potuto spassarmela un po' di più, quando mi montava. Le tornò in mente il verso che faceva Pete ogni volta che veniva, un rumore come quello di un topo col mal di gola che cerca di schiarirsi la voce. E solo quando veniva. Non faceva più forza coi fianchi, ma si trasformava in un topolino malconcio. Una sorta di colpo di tosse, seguito da un lieve rumore strozzato, neanche avesse delle ragnatele in gola. Poi silenzio, e un filo di bava che gli scendeva dalla bocca e le colava sulla spalla. Sunset non aveva mai capito il senso di quel verso da topo, ma succedeva ogni volta. Chissà se faceva altrettanto con le sue puttane e le sue amanti. Montarle, schizzarle appena, poi via con quel rumore da ratto malaticcio. — Ti stai chiedendo dove voglio arrivare, vero? — disse Marilyn. — So che il signor Jones se n'è andato, — disse Sunset. — Questo lo so. — Ieri sera ne ho avuto abbastanza. Quel ragazzo là dentro oggi non sarebbe morto se io non fossi rimasta a prendere tutte quelle botte da Jones senza mai reagire. Se avessi rivendicato i miei diritti o me ne fossi andata portandomi via Pete, niente sarebbe mai successo. Non volevo certo un figlio morto, Sunset, ma credo che la colpa sia tanto mia quanto di Jones. So che tu hai fatto quel che dovevi. Ieri sera, c'è mancato poco che non facessi altrettanto con Jones. Saresti morta, se non ti fossi comportata in quel modo, e prima o poi anche Jones avrebbe finito per uccidermi. Certi giorni, farmi del male lo faceva stare meglio. Diceva che me la spassavo con altri, anche se non poteva essere vero, e lui lo sapeva benissimo, perché non mi ero mossa da qui. Ma non era più questione di buon senso. Quando ho vi-
sto Pete là dentro, tutto è salito in superficie, e ho capito di averne abbastanza. Non mi importava più di mandare avanti il matrimonio. Ho cucito Jones al letto, mentre dormiva, e l'ho randellato ben bene con un rastrello. — Un rastrello? — Proprio così. Poi ho preso la sua doppietta e l'ho mandato a spasso. — E adesso cosa intendi fare? — Cosa intendiamo fare, noi due? Immagino che resteremo assieme, in questa casa. Io i soldi li ho, cara. E ho anche raggiunto una decisione. Si dice così, o sbaglio? — Che ne so... — Sì. Ecco, ho raggiunto una decisione. Erano anni che non mi sentivo così bene. — Non posso vivere alle tue spalle, Marilyn, e non intendo farlo. — Abbassa la cresta. Che altro potresti fare? — Qualcosa troverò. — È meglio per Karen, se anche tu vivi qui. Alla lunga, troverai un altro marito. Oppure no, se sei fortunata. — Mica tutti gli uomini saranno così. — La mia esperienza è limitata, e non certo buona. — Io voglio lavorare, Marilyn. Voglio guadagnare dei soldi, per me e Karen, e non voglio dipendere da un uomo. Ho già vissuto questa situazione, e non mi è piaciuta per niente. — Non è così facile, cara mia. A meno che tu non sia disposta a farti mantenere da me fin quando non sarai in grado di fare da sola. — Non so se Karen potrà mai perdonarmi, — disse Sunset. — Dovrebbe farlo. Io l'ho fatto. Non mi piace l'idea che mio figlio sia chiuso in quella bara, ma non voglio certo perdere anche mia nuora e mia nipote. Ce la caveremo, Sunset. Te lo prometto. Sai una cosa? — Cosa? — Andiamo in casa, e lasciati dare una sistematina a quella faccia. Ho giusto qualcosa per ridurre i lividi e il gonfiore. E ho anche dei vestiti che ti staranno certo meglio di quelli che ti ho dato ieri. Non sono sempre stata così larga di fianchi. Forza, tesoro. Marilyn si alzò, le sorrise e le porse la mano. Sunset esitò un attimo, e la prese. Il funerale ebbe luogo su una collinetta, sotto una grande quercia vicino alla quale fu sepolto Pete, accanto alla tomba dei genitori di Jones. Poco
distante c'era la tomba senza nome di un vecchio cane, un segugio che i Jones si erano portati dietro dal Nord, dapprima a Nacogdoches poi a Camp Rapture, e che alla bella età di quindici anni era morto soffocato da un osso di pollo durante una riunione di famiglia. C'era una gran folla. Tanti erano lì perché avevano conosciuto Pete, e tanti per semplice buona educazione, e anche perché non c'era molto altro da fare. Sapevano che in seguito, a casa di Marilyn, ci sarebbe stato cibo in abbondanza, portato dalle donne del campo. Sunset non si fece vedere. Karen andò al funerale in compagnia della nonna. Venne anche il signor Jones, e restò dall'altra parte della tomba. Fece un sorriso incoraggiante alla nipote, e lei glielo restituì. Poi guardò sua moglie, e il sorriso scomparve. Il celebrante illustrò i meriti di Pete e gli augurò il paradiso, poi la folla si disperse e due uomini di colore, assunti per l'occasione, iniziarono a gettare terriccio sulla bara. Si ritrovarono tutti a casa Jones, per rifocillarsi e parlare di Pete. Di quanto era in gamba. Delle volte che aveva fatto questo o quello. E della storia di Jack Tre Dita. Infine la conversazione scivolò sul raccolto e sugli animali, sul tornado e sulla segheria. Un po' alla volta, anche questi argomenti svanirono, e ognuno porse le condoglianze alla famiglia, per poi andarsene. Restarono solo Marilyn, Karen e Jones. — Non c'è proprio verso di risolvere questa situazione? — chiese l'uomo. — Karen, — disse Marilyn, — esci, per favore, che dobbiamo parlare. Karen abbracciò suo nonno e, controvoglia, lasciò la stanza. — Non ci posso credere, che ti comporti in questo modo, —disse Jones, — e dopo tutti gli anni passati insieme. Col nostro ragazzo morto, addirittura. — Avrei dovuto farlo anni fa. — Dovrei prenderti a schiaffi, donna. — Vuoi che tua nipote sappia come mi tratti? Lei ancora non lo sa. Le ho soltanto detto che non volevo più averti tra i piedi. Non le ho certo raccontato la verità. Provati solo a toccarmi e mi sentiranno urlare per tutto il campo. Fino a oggi mi sono trattenuta, ma ora basta. Vuoi che succeda il giorno del funerale di nostro figlio? — Picchiarti non ha mai significato nulla, per me. — Per me ha sempre voluto dire, eccome. — Permetti a quell'assassina di restare qui?
— Ha fatto quel che doveva fare. — Come puoi dire una cosa simile? — Vattene, Jones. Jones prese il cappello dalla seggiola accanto alla porta, dove l'aveva sempre lasciato, se lo calcò in testa e uscì di casa. Poi rientrò. — Non finisce qui, sai. Non certo tra me e Sunset, e neanche tra noi due. E se ne andò. Marilyn udì il suo passo pesante sul portico e sui gradini. Dalla soglia, rimase a osservare la sua partenza. Fu sorpresa di provare un certo dolore, nel vederlo così piccolo e triste, i piedi a sollevare nuvole di polvere. 7. Un venerdì pomeriggio, sul tardi, Henry Shelby e gli anziani del campo andarono a parlare con Jones. A due settimane dal funerale di Pete, ritenevano che fosse giunto il momento di scegliere un nuovo tutore dell'ordine per Camp Rapture. I loro precedenti incontri si erano sempre tenuti a casa di Jones, la più grande dell'intera comunità fatta eccezione per quella di Henry Shelby. Ma la moglie di Henry non voleva gente in casa perché era una che alzava il gomito. Non le dava fastidio che la vedessero sbronza. Le seccava essere interrotta nelle sue bevute, o magari doversi mettere dei vestiti addosso, perché era sua abitudine bere nuda, anche se di tanto in tanto le scappava di infilarsi una scarpa. Una volta aveva confessato a Henry che in questo modo si sentiva più vicina alla natura. Come se alla nascita si saltasse fuori nudi come vermi (ma con una scarpa) e con mezzo litro di whisky in mano. A Henry non piaceva vederla nuda. Da giovane non era stata poi male: esile, sì, ma con una vera pesca tra le gambe. Adesso, quando si metteva a sedere, sembrava una catasta di non so cosa, e la pesca tra le gambe si era trasformata in un cachi andato a male. Eppure, la preferiva sbronza. Almeno era fuori gioco. Quando ancora era in sé, dava sempre l'impressione di essere sull'orlo di un attacco isterico, di una crisi di nervi. E gli stava continuamente addosso, o perché lo accusava di fare gli occhi dolci a qualcuna, o per come si vestiva, o per i capelli che gli stavano diventando grigi (come fosse colpa sua). E doveva per forza togliersi i calli dai piedi con il coltello a serramanico? L'alcol le aveva tolto tutte queste mattane. Aveva smesso di lamentarsi.
Non aveva aperto bocca neanche quando aveva saputo che Jones, il loro vicino di casa, era stato fatto secco dalla moglie. Era fulminata a tal punto che si era limitata a chiedere: — Chi? — E al funerale non si era neppure fatta vedere. Era rimasta a casa, nuda e ubriaca, sempre con quell'unica scarpa al piede, a grattarsi la schiena e altre parti innominabili con una gruccia da abiti raddrizzata. Henry si augurava che le restasse poco tempo da vivere, e che quel poco lo passasse sbronza. Chissà come si era ridotta il fegato, a bere dalla mattina alla sera, e un fegato a pezzi non dà scampo. Ci contava, Henry. Di recente si era accorto che la moglie aveva assunto un certo colorito giallastro, che poteva dipendere da una forma di itterizia causata dall'alcol. Oppure, chissà, era solo perché non si lavava molto. Quei rotoli di lardo di sicuro non favorivano il buon odore, e alcune volte, quando si muoveva, era come veder scrollare un enorme tappeto fradicio e pieno di muffa. Ma all'ordine del giorno, adesso, c'era l'incontro con Jones. Non una faccenda piacevole, per Henry, eppure sempre più gradevole che pensare a sua moglie. Non aveva spinto più di tanto, in quelle due settimane, per vedere Jones, proprio per non dare l'impressione di voler rimpiazzare Pete troppo in fretta, come non fosse successo niente. D'altra parte, Jones aveva un ruolo di prestigio all'interno del campo e nella segheria, e la signora Jones era proprietaria di larga parte dell'azienda. Non sarebbe stata una mossa astuta. Tuttavia, il momento era arrivato, e Henry aveva deciso, insieme ai membri anziani della comunità, di affrontare la faccenda. Trovarono Jones alla scrivania, nel capannone principale, a non molta distanza dalla sega. Era una posizione che lo obbligava a infilarsi del cotone nell'orecchio sinistro, quello più vicino ai macchinari. Alla fine della giornata, quando la sega veniva spenta, gli ci voleva un'ora per togliersi quel rombo dal cervello. All'arrivo degli anziani, Jones porse loro l'orecchio destro e ascoltò ciò che avevano da dire; poi annuì e tornò ai suoi incartamenti. Gli anziani, venuti appunto a esporgli la necessità di un nuovo tutore dell'ordine e di mettersi d'accordo su un candidato da votare, rimasero per un po' in attesa della sua risposta, finché non si resero conto che Jones aveva smesso di prestar loro attenzione e si era scordato della loro esistenza. In silenzio, Henry e gli altri tagliarono la corda, scuotendo il capo. — È andato, — commentò Henry quando furono certi di non essere sen-
titi. Neanche un quarto d'ora dopo la loro visita, Jones terminò di lavorare alle sue scartoffie - ordinazioni di legname per una città dell'Oklahoma - e si alzò per dirigersi verso la grossa sega circolare, che in quel momento stava tagliando del legno di pino, tra un forte ronzio e una pioggia di schegge e segatura. Jones rimase a guardarla per un pezzo. Osservò gli uomini che caricavano i tronchi sul nastro trasportatore, destinati a essere tagliati in due dalla sega e, successivamente, condotti alla levigatura e alle fasi finali della lavorazione. Pensò a Sunset, pensò a Marilyn e Karen, ma soprattutto pensò a Pete. Era in giornate come questa, calde e pigre, in cui il sangue scorreva lento, che amava portare suo figlio a pesca. Avrebbe voluto che fosse ancora vivo, proprio per andare a pesca. Avrebbe rinunciato a tutto, pur di andare per un'ultima volta a pesca con suo figlio. Adesso gli faceva piacere che Sunset non avesse mai mostrato interesse nei suoi confronti. Si era trastullato con la speranza di potersi infilare nelle mutande della ragazza. Era convinto che suo figlio avesse commesso uno sbaglio a sposarla - una donna con quel vissuto - anche se poteva capirne benissimo i motivi: un paio di belle gambe, una gran massa di capelli rossi, due tette così sode. E credeva che Sunset avrebbe ceduto, prima o poi, come aveva fatto con Pete. Ma così non era stato. E si era pure sorpreso nel vederla tener fede ai suoi voti matrimoniali con tanta serietà. Tutto sommato, si riteneva contento di essere stato rifiutato. Non gli piaceva l'idea di essersela fatta, casomai, con la donna che aveva ucciso suo figlio. Nell'ultimo paio di giorni era passato da una situazione di dolore acuto a una di scarso interesse. Si sentiva come preso in trappola dentro una bottiglia tappata, una falena che sbatteva contro il vetro mentre l'aria veniva risucchiata via. Appena un nuovo tronco di pino rotolò sul nastro trasportatore, Jones si tolse il cotone dall'orecchio sinistro e vi saltò sopra, sdraiandosi supino sul pezzo di legno come a volersi fare una dormita, il capo rivolto verso la lama. La corteccia che sentiva attraverso la camicia era dura, e la sega gli ronzava nelle orecchie. Si accorse di premere con forza la testa sul tronco, nell'inutile tentativo di vedere la lama a occhi capovolti. Finì quindi per chiuderli. Il rumore della sega crebbe sempre più, fino a dargli l'impressione che gli stessero scoppiando i timpani. Udì qualcuno gridare, gente cor-
rere verso di lui, e sentì che il tronco su cui giaceva iniziava a spaccarsi al contatto con la sega e avvertì la segatura sul viso e capì di aver vinto e che i grossi denti della lama gli avrebbero offerto l'eterno riposo prima che qualcuno potesse raggiungerlo. Quando tutti compresero quel che stava succedendo, Jones era già dentro la morsa della sega, che affondò nel capo e nella carne con un miagolio ben diverso da quando penetrava in un tronco. E il taglio, stavolta, non fu così netto come con il legno. La lama arpionò il cranio di Jones e lo sbatté a destra e a sinistra, spezzandogli l'osso del collo. Poi toccò alla parte inferiore del corpo finire sotto i denti della sega, che gli strappò di dosso la tuta da lavoro e la stantuffò ben bene, per poi incepparsi e spruzzare Jones per tutto il capannone. La sega attaccò a stridere e sobbalzare, quasi uscendo dalle guide, e soltanto allora a qualcuno che era riuscito a mantenere la lucidità venne in mente di balzare sull'interruttore. La sega si spense, l'aria era a tal punto immobile da ferire le orecchie degli astanti con la stessa violenza del sibilo della lama. Zack, che spingeva i tronchi sul nastro trasportatore con un grosso uncino attaccato a una lunga pertica, vide ogni cosa dall'inizio alla fine. Per molti anni continuò a sostenere che a segare in due un uomo si faceva molto più casino che a tagliare un tronco d'albero. Fu lui a togliere dalla sega quel che restava di Jones, a mani nude e aiutandosi con l'uncino. Più tardi, gli toccò anche ripulire e lubrificare la sega. Impigliata in uno dei denti, trovò la fede di Jones, come se il morto l'avesse lasciata lì mentre si lavava le mani o si puliva il culo. Zack si chiese se farla avere alla signora Jones, o se fosse meglio andare in città e cercare di venderla. Ma se qualcuno l'avesse scoperto mentre vendeva l'anello, avrebbe potuto passare dei guai; quindi lo infilò in uno degli scarponi di Jones, dopo aver tolto quel che restava della caviglia e del piede. Curioso come entrambi gli scarponi fossero intatti. Nessun taglio, nessuno squarcio. Solo del sangue all'interno. La sera, a casa, Zack si ricordò della volta che era stato randellato da Pete, e di quando era stato costretto dal signor Jones a riportare indietro il cadavere del figlio. Poi gli tornò in mente la fede, e si pentì di non averla tenuta. Una settimana dopo, Zack trovò un frammento di Jones - forse un testicolo - in segheria, sotto un pezzo di legno, e si dilettò a prenderlo a calci per qualche tempo, prima di lanciarlo con un bastone al gatto randagio or-
bo che si aggirava per il capannone. Il gatto lo prese in bocca e fuggì nel bosco. Marilyn fu informata dell'accaduto. Le furono riportati gli scarponi di Jones, ma non i vestiti, troppo malridotti. Trovò la fede in fondo a uno degli scarponi insanguinati, ve la rimise, uscì di casa e andò a seppellire il tutto nei pressi del pollaio, piangendo. Sunset e Karen, in piedi tra le piante che Marilyn teneva nella veranda coperta, la videro buttarsi in ginocchio. Le piante avevano l'aria sfinita e un certo qual colore marroncino, per la mancanza d'acqua. Sunset si ripromise di annaffiarle e di ripulire un anello di terriccio che si era ritrovata vicino ai piedi, formato dai residui di un vaso e di una pianta ormai scomparsi, forse gettati via. — Non ci posso credere, — disse Karen. — Prima papà, e adesso il nonno. Non poteva vivere senza di lei. Marilyn non avrebbe dovuto buttarlo fuori. — Forse non poteva vivere con se stesso, — disse Sunset. — Secondo me l'amava. Secondo me nonna gli mancava. — Secondo me gli mancava qualcuno da menare. Un paio di giorni dopo il funerale ci fu un'assemblea al campo. Com'era da aspettarsi, si tenne a casa dei Jones, anche se per un breve momento si era pensato di farla in chiesa. — Là dentro fa caldo, — aveva fatto notare Preacher Willie Fixx, il pastore, nonché veterinario e medico part-time. Era stato Henry Shelby a convocarla. Al termine di una giornata corta alla segheria, verso le sei del pomeriggio, si riunirono quindi dai Jones. Gli uomini vennero direttamente dal lavoro: puzzavano come cani che si erano rotolati nella merda. Sunset e Karen fecero il giro della casa ad aprire le finestre, ma servì a poco. L'aria esterna era pesante e fradicia d'umidità, e sembrava trattenere il puzzo nella stanza come se questo pesasse così tanto da bloccare le finestre. Tutti gli uomini erano bianchi. Quelli di colore non erano ammessi alle assemblee, e non avevano voce in capitolo. A molti dei presenti mancava un dito o due, in certi casi persino un pollice. Le seghe sapevano apprezzare i piccoli sacrifici. Sunset rimase in piedi in fondo alla stanza assieme a Karen, a tenere
d'occhio la seduta. Si era messa uno dei prendisole della suocera e un cinturone nero attorno alla vita, nel quale spiccava il revolver. Sapeva che era una sciocchezza, ma ormai non si teneva troppo lontana dalla pistola. Voltò la testa all'ingresso di Hillbilly. Qualcuno aveva finito per assumerlo, forse suo suocero, oppure Henry. Quel tipo fece un'entrata regale. Quasi da aspettarsi che gli srotolassero un tappeto rosso davanti. Pure lui si piazzò in fondo alla stanza, tra Sunset e Karen, appoggiato a una parete che macchiò subito di sudore. Ma anche sporco e sudato, coi capelli pieni di segatura e il berretto in mano, a Sunset faceva un bell'effetto, tanto che cercò di decidere se avesse venticinque anni oppure trentacinque, ma portati benone. Sunset guardò gli uomini cincischiare per un po', stringersi la mano, assicurarsi di porgere le condoglianze a Marilyn per la triste sorte del signor Jones. Henry Shelby andò a presiedere l'assemblea. Il suo incedere ricordava quello di uno che con il culo tiene bloccato qualcosa di fondamentale. Indossava un vestito nero che puzzava di nafta, come tutti i suoi abiti. Sotto la luce della lampada al soffitto, la sua camicia bianca sembrava gialla. La cravatta nera era a tal punto moscia da ricadergli sul petto come la lingua di un morto per strangolamento. — L'ordine del giorno, — disse. Gli uomini si sedettero. Henry si guardò attorno, scrutando gli anziani del campo. — Bando alle ciance, — disse, — veniamo subito al sodo. Sappiamo tutti perché siamo qui. Con la scomparsa di Pete, è giunto il momento di eleggere un nuovo tutore dell'ordine. Negli ultimi tempi le cose ci stanno un po' sfuggendo di mano, nella nostra comunità. Per dirne una, c'è stata un'ondata di furti di polli. I miei polli. Esigo che l'autore di questi furti sia arrestato. Si tratta di un cane. Qualcuno scoppiò a ridere. Anche Henry sorrise, compiaciuto della sua battuta. — La nostra comunità, — disse, — sta crescendo. Credo che in un anno, diciamo, o forse meno, finiremo per unirci con Holiday e formare una vera città. Holiday vuole espandersi, visto che dalle sue parti è saltato fuori il petrolio. E il petrolio significa soldi, proprio come la segheria. E porta con sé feccia di ogni tipo, dai giocatori d'azzardo alle puttane... Si levò qualche ululato di gioia.
— Davvero buffo, — disse Henry, rendendosi conto che un paio degli astanti erano perfettamente a conoscenza della sua familiarità con le puttane. — E a ruota arrivano truffatori, farabutti, chiamateli come vi pare. Le cose, quindi, sono destinate a sfuggirci ancor più di mano, e invece di un semplice tutore dell'ordine alla lunga avremo bisogno di uno sceriffo vero e proprio, tanto che se Rapture e Holiday finiranno per fondersi ci sarà un solo corpo di polizia. Con un capo, magari, e qualche vice. Altrimenti, ci servirà comunque un rappresentante della legge. Secondo me il candidato ideale dovrebbe essere giovane sì, ma non troppo, e credo che... — Henry, — disse Marilyn, — forse qualcun altro ha delle idee in proposito. Henry si voltò e vide Marilyn accomodata su una sedia accanto al muro. — Scusami, Marilyn. Hai in mente qualcuno? — Già. — Forza, allora. Di chi si tratta? — Sunset. Nella stanza cadde il silenzio. — Che vuoi dire con Sunset? — chiese Henry. — Voglio dire Sunset come rappresentante della legge. — Cosa? — disse Sunset. — Proprio così, — disse Marilyn. — Tu, cara. — Io? — disse Sunset. Per un istante, le parve di essere sul punto di pisciarsi addosso. — Sunset aiutava Pete ad archiviare i fascicoli. Sapeva tutto di tutti. Non è vero, Sunset? — Be', sì... Alcuni li ho compilati io. Alcuni. — Vedi? — disse Marilyn. Henry non vedeva proprio niente. La folla mormorava. — Sappiamo che sei sconvolta per quel che è successo, — disse Henry, — ma... — Dovrebbe sostituire lei Pete almeno fino alla scadenza del mandato, — disse Marilyn. — Non ti sarai scordato che gli mancava ancora un anno? — Ma... ma è morto, — disse Henry. Marilyn si fece rossa in viso. — Lo so benissimo. Henry. Benissimo. Ma gli mancava ancora un anno. Significa che chiunque venga scelto prenderà il suo posto per i prossimi dodici mesi. È così che sono sempre andate le cose a Camp Rapture. Sunset, qui, può sostituirlo allo stipendio già fissato dalla comunità, e se al termine dei dodici mesi vorrà concorrere per la ca-
rica, sarà libera di farlo. — Ma è una donna, — disse Henry. — Non c'è dubbio, — rispose Marilyn. — Non certo un cagnolino. Non dovete metterla a pancia all'aria per scoprire cos'ha tra le gambe. Risate, tra la folla. — Secondo te, Pete era un duro? — chiese Marilyn. — Sicuro, — disse Henry. — E voialtri, che ne pensate? — Be', a Jack Tre Dita le ha suonate di santa ragione, — disse Bill, seduto in prima fila accanto a Don. — Le ha suonate a un sacco di gente, — fece un altro. — Era duro come un pezzo di ferro, — disse Henry. — Lo sappiamo tutti. — Duro, — disse Marilyn. — Eppure Sunset l'ha fatto secco. — Be, insomma, — disse Henry. — Ancora non è stato deciso niente, ma eravamo convinti che con l'elezione di un nuovo rappresentante della legge forse Sunset sarebbe stata messa sotto accusa. Henry guardò la folla e fissò negli occhi qualche anziano, in cerca di sostegno. Si udirono mormoni di assenso. — Sunset sarà pure mia parente acquisita, — disse Henry, — ma tra di noi c'è chi pensa che questa faccenda non vada tanto bene, che una donna uccida suo marito perché si comporta come tale. Poi, guardatela. Se ne va in giro con una cazzo di pistola nella cintura. — Quindi tu sai già tutta la storia? — disse Marilyn. — Io no. Ma la legge dovrebbe accertarla. — La legge era mio figlio. E mio figlio adesso è morto. — Allora dovrebbe toccare a qualche altro uomo di legge. Non si può affidare la legge a un assassino. — Legittima difesa, — disse Marilyn. — Marilyn, — disse Henry. — Secondo me dovresti lasciare queste cose in mano alla legge. Non capisco il tuo modo di pensare. Pete e tuo marito sono morti, e Sunset vive in casa tua. E neanche sappiamo se ce l'ha raccontata giusta. — Certo non si è ridotta da sola in quelle condizioni. — Potrebbe essere stata la tempesta. — Non fino a quel punto. — Un uomo dovrebbe poter picchiare sua moglie, se lei se lo merita, — disse un anziano.
— Il prossimo che mi mette le mani addosso, da ora in avanti, — disse Marilyn, — è un uomo morto. — Concordo in pieno, — disse Sunset. Il che suscitò un lungo istante di silenzio. Una falena rimasta intrappolata in casa prese a sbattere sul soffitto, alla ricerca di un punto in penombra. Un'ottima scusa, per molti, per alzare gli occhi al cielo. — Io dico che dobbiamo dare il posto a Sunset, — fece una voce dal fondo della stanza. La gente si voltò per vedere chi aveva parlato. Era Clyde Fox. Si era tolto il berretto di stoffa e i capelli neri gli avevano quasi coperto un occhio. Era grande e grosso quanto bastava per affrontare un alligatore a male parole. Henry intuì che la situazione gli stava sfuggendo di mano. Era arrivato sicuro di stringere in una morsa le palle di tutti, ma adesso avvertiva una certa stretta attorno alle sue. — Non è stata la tempesta a conciare così l'occhio e la bocca a Sunset, — disse Clyde. — Secondo me è andata proprio come ha detto lei. — Esatto, — disse Marilyn. — E anche se mi fa molto male dirlo, chi di spada ferisce di spada perisce. Pure se è mio figlio. Poi c'è anche questo, da dire. Sunset ha bisogno di quel lavoro. Ha Karen da mantenere. Le sarebbe utile per rimettersi in piedi. Siamo o non siamo una comunità, in primo luogo? — È un compito da uomini, — disse Henry. — Non serve certo a rimettere in piedi chicchessia. Ci vuole un uomo, per questo lavoro. — Le cose cambiano, — disse Marilyn. — No davvero, — disse Henry. — Non mandiamo avanti un ente benefico, qui. Siamo una comunità nata attorno a una segheria. Marilyn annuì come se Henry avesse detto una cosa su cui trovarsi d'accordo. — Secondo me, tu stai pensando che se Holiday e Camp Rapture si uniscono potresti puntare, che so, alla poltrona di sindaco, visto che quello di Holiday è decaduto. Dico bene? — Be'... ammetto di averci pensato, — disse Henry. — Credo di averne i requisiti. È stato tuo padre a offrirmi l'incarico che ricopro alla segheria proprio in base ai miei requisiti. — E perché avevi sposato sua sorella, — disse Bill. Dal pubblico si levò una risata. — Pensa un po' a questo, — disse Marilyn. — Sei convinto che faresti una brutta figura se fosse una donna a rappresentare la legge nel tuo cam-
po, nel caso tu volessi correre a sindaco. Tanto per cominciare, non sei il padrone di questo posto. Mettiamo le cose in chiaro. L'azienda è in gran parte mia. Henry ingoiò amaro. — Sissignora... ma... — Ma cosa? — disse Marilyn. — Suggerisco con una certa insistenza che Sunset sia nominata rappresentante della legge. Pete aveva un paio di uomini che di tanto in tanto gli davano una mano. Uno era Clyde. Può dare una mano anche a Sunset. L'altro tipo, non mi ricordo come si chiama, ha tagliato la corda. Ma possiamo trovarne un altro. Sunset può terminare il mandato di Pete, dopo di che potrete eleggere chi accidenti vi pare. — Ma è una donna... — A me una donna va benissimo, — disse Hillbilly, scostandosi dal muro. — Io sono nuovo, qui, e non mi conoscete, ma perché no? Se non sa fare il suo lavoro, la togliete di mezzo. Mi sembra corretto, non vi pare? Datele un mese di tempo per prendere in mano la situazione, e datele anche una mano. Se fallisce, fuori dai piedi. Cazzo, la pistola ce l'ha già. — Mi sembra giusto, — disse Clyde. — È un lavoraccio, — disse Henry. — Potrebbe finire male. Avrà a che fare con farabutti e negri, e chissà cos'altro. — A questo serve l'aiuto, — disse Clyde. — Pagatemi, e l'aiuterò io. Non ci vado tanto pazzo, per la segheria. Dita e braccia, ce l'ho ancora tutte, e vorrei continuare così. Era un mestiere, quello che cercavo, e ho detto più in cinque minuti di quanto non dico in una settimana. — Prendilo tu, quel posto, — gli disse Henry. Clyde scosse il capo. — No. Meglio lavorare per la legge che essere la legge in persona —. Poi lanciò un'occhiata a Sunset. Lei gli sorrise, e lui si sedette. — Mi ci metto anch'io, — disse Hillbilly. — Neanche ti conosciamo, — disse Henry. — Nemmeno io conosco lei. E neppure questa comunità. Ma sono disposto a imparare. Può darsi che non rimanga qui a lungo, ma di sicuro quanto basta per dare una mano alla signora. — Ci toccherà pagarti, — disse Henry. — Esatto, — disse Hillbilly. — E voglio quel posto perché le cose stanno come ha detto il nostro amico. Dita e braccia, ce l'ho ancora tutte, e vorrei continuare così. — Non li abbiamo, tutti questi soldi, — disse Henry. — In cassa non c'è abbastanza, per cose del genere. Faresti molto di più alla segheria.
— Accetterò di meno proprio per non stare alla segheria, —disse Hillbilly. — Non riusciamo a pagarti neanche la metà di quanto faresti alla segheria. — Contribuirò io a pagare il primo mese a tutti quanti, — disse Marilyn. — Di tasca mia. Dopo di che, sarà la comunità a farsene carico. Se Sunset non funziona, la solleviamo dal compito. Datele un mese di tempo assieme a Clyde e a... Com'è che ti chiami, figliolo? — Hillbilly. Almeno, è così che mi chiamano. — Va bene, Hillbilly. Se le cose funzionano, Sunset finisce il mandato di Pete. Ti va bene in questo modo, Henry? Un mese di prova. Henry guardò Marilyn e provò acidità di stomaco. Capiva che a lei non fregava un beato cazzo che gli andasse bene o no. Jones aveva sempre fatto da cuscinetto, tra lui e Marilyn. Henry sapeva di non esserle mai piaciuto. Marilyn era convinta che avesse intascato un bel po' di soldi del padre truccando i libri contabili. E aveva ragione. Ma non c'erano prove, e Jones non le aveva creduto. Adesso, però, con Jones defunto, Henry sapeva di avere l'uccello in una morsa. E sapeva che, pronta a stringere la morsa, c'era la mano di Marilyn. — Neanche sappiamo se lo vuole, il lavoro, — disse Henry. Marilyn rivolse la sua attenzione a Sunset. — Allora, cara? Sunset tacque per un lungo istante. — Mi piacerebbe provare, — disse poi. La folla mormorò. — Dovremmo metterlo ai voti, — disse Henry. — Qui a Camp Rapture le cose seguono un metodo democratico. Marilyn sorrise a Henry. — Il tuo modello di democrazia è Gengis Khan. Risate in sala. — Mettiamola così, — disse Marilyn. — Chi è contrario alla nomina di Sunset? Prima, però, vorrei fare un piccolo annuncio. Depressione o no, intendo proporre un aumento di paga di cinque centesimi l'ora. A tutti quanti, escluso Henry. Lui già guadagna fin troppo. E sorrise a Henry. Henry tentò di ricambiare il sorriso, ma l'interno della bocca gli si era attaccato ai denti, e sentiva di aver perso il controllo delle labbra. L'unica cosa che riusciva a pensare era che mai una sola volta prima d'ora Marilyn aveva messo becco nelle faccende aziendali. Mai si era degnata di dire alcunché. Era come se la morte di Jones le fosse servita da ricostituente. Una
cosa che Henry non sopportava erano le donne che cercavano di farsi crescere le palle. Si era pentito di non aver convocato l'incontro in chiesa. Magari laggiù Marilyn non ci sarebbe venuta. No, questa cosa l'aveva studiata a tavolino, pensò poi. Vuole che Sunset prenda il posto di Pete. La gente si scompiscerà dalle risate, perché non sono stato capace di tenere sotto controllo questa donna e la sua nuora assassina. Se Holiday e Camp Rapture si fondono, nessuno vorrà mai eleggermi alla benché minima carica, neanche a fare lo spazzino, perché queste donne mi sono scappate di mano. — Marilyn, — disse infine, — non è una buona idea. Vediamo di fare sul serio. — Oh, ma io sono seria, — disse Marilyn. — Alzi la mano chi non vuole Sunset come rappresentante della legge né l'aumento di cinque centesimi l'ora. Forza, in alto le mani. — E quando scatterebbe l'aumento? — chiese Bill Martin. — Dal prossimo giorno di lavoro, — rispose Marilyn. — La ragazza ha il mio voto, — disse Bill. Si udì un fruscio di piedi. Alcuni tra gli astanti guardarono altrove, come se in un angolo della stanza, o dalle parti del soffitto, stesse succedendo qualcosa di entusiasmante. Qualche mano si levò, ma si ritrasse alla svelta, come a voler schiacciare un fastidioso insetto. Mentre a Henry parve proprio di averlo ingoiato, quell'insetto. — Ottimo, — disse Marilyn. — Pochissimi voti contrari, il che vuol dire che i restanti sono a favore di Sunset. Quindi, Sunset, sei tu il nuovo rappresentante della legge. 8. Clyde la ribattezzò Capo Sunset, un nome che le rimase attaccato. Dalle parti di Camp Rapture quasi tutti gli uomini presero a chiamarla così, per scherzo, a volte anche per farsi sentire da lei. — Ah, ecco il vecchio Capo Sunset. Fa' tanto di pestarle un piede, che ti spedisce difilato a mangiare la polvere. — Oppure ti spara. Basta che tu sia distratto e a brache calate. Le donne non furono certo più garbate. — È una che viene dal nulla, e ha anche ammazzato suo marito. Eppure, guardatela un po'. Si è illusa di essere una sorta di poliziotto. Non è un te-
soro? — Almeno potrebbe tirarsi su i capelli. Sembra una zoccola, con tutta quella chioma rossa sugli occhi. Io me li tingerei di un colore più naturale, fossi in lei. Dopo qualche giorno di questo andazzo Sunset decise di tornarsene a casa sua, rudere per rudere, e portarsi giustappunto il lavoro a domicilio. Certo, adesso le toccava avere a che fare con questa gente, ma non era obbligata ad abitarci accanto. Sua suocera le fece un paio di gonne in tela kaki e le rimise a modello qualche camicia da uomo. Sunset aveva recuperato la stella di latta di Pete e se l'era appuntata alla camicia, e un paio di scarponi da boscaiolo. E anche la vecchia fondina del marito, in cui teneva la .38 usata per fargli saltare le cervella. Si avviò verso casa a bordo dello sgangherato e ansimante camioncino di Clyde, assieme a Hillbilly. Il veicolo aveva un foro sul pavimento, da cui si vedeva scorrere la strada. Clyde sedeva a un lato di Sunset, Hillbilly dall'altro. Karen si era piazzata sul retro, in mezzo alle scorte. Cibo. Cianfrusaglie varie. Un po' di legname, parecchie tele cerate, una tenda. Tutta roba pagata da Marilyn, e il cui prezzo Sunset aveva doverosamente annotato con l'obiettivo di restituire i soldi alla suocera appena possibile. Durante il sobbalzante tragitto sullo sterrato, Sunset si accorse che i vestiti di Clyde sapevano di segheria. Puliti, ma con un lieve odore di segatura e resina. La tesa del suo grosso e nero copricapo da cow-boy era ben piegata, ma il cappello stesso era coperto da un velo di polvere e la piuma nella banda era assai malconcia, simile a una lisca di pesce ripulita dai gatti. Hillbilly non aveva un granello di polvere addosso, e il cappello sulle ventitré. Niente piuma. A differenza di quello di Clyde, il colletto della sua camicia era in ordine, e i bottoni c'erano tutti. Aveva un profumo dolciastro, quasi commestibile. Clyde e Hillbilly aiutarono Sunset a togliere lo schedario di Pete dalla macchina semidistrutta e a piazzarlo su quello che un tempo era stato il pavimento di casa. Sunset recuperò i fascicoli sciolti e li mise sopra lo schedario danneggiato, decisa quanto prima a riparare il mobile e riorganizzare l'archivio. — Quel rottame di macchina è arrivato alla fine della corsa, — disse Hillbilly a lavoro concluso.
— Clyde? — chiese Sunset. — Possiamo usare il tuo camioncino per il nostro lavoro? — Finché mi pagate il carburante e fin quando non cade a pezzi. Il motore sta su con il filo di ferro, e vorrei evitare di prendere troppe buche. — Dobbiamo fare con quel che c'è, — disse Sunset. Col legname e la tela misero in piedi una grande tenda, montata sul pavimento. Gli ci volle quasi l'intera giornata. All'interno, suddivisero lo spazio con una serie di coperte e trapunte agganciate a una corda tesa per la lunghezza totale della tenda e annodata ai pali di sostegno. Una parte dell'ambiente ricavato era destinata ad abitazione per Sunset e Karen, l'altra a ufficio. Nella metà di Sunset sistemarono un materasso per lei e Karen, un lavabo, un paio di sedie, un tavolo, quattro lampade a cherosene, provviste e scorte varie, e un libro sul lavoro di polizia che era appartenuto a Pete. Sunset l'aveva trovato in fondo allo schedario, e aveva l'aria intonsa. La zona ufficio era composta dallo schedario, quattro sedie e un lungo tavolo di legno, gentile omaggio della segheria. Il piano del tavolo era come butterato da anni e anni di maltrattamenti, e il bordo recava una scritta: HANNAH JENKINS È UNA TROIA E NEANCHE TANTO BRAVA. Il primo giorno, Sunset fece sparire la scritta con la carta vetrata e ripitturò il tavolo di verde scuro. Era lo stesso verde usato per quasi ognuna delle case del campo, così come per i capannoni della segheria, e conferiva a tutto una certa aria militare. Clyde e Hillbilly ripararono lo schedario e costruirono un gabinetto di fortuna, con qualche asse e il pezzo restante di tela cerata. — Direi che non c'è rischio di far vedere il culo a nessuno, là, — fece Clyde, — a meno che non arrivi un uragano. In questo caso, tutto è possibile. Magari domani riesco a mettere in piedi un cacatoio vero e proprio, e ci metto dentro un bel po' di cataloghi. — Ne ha a quintali, — disse Hillbilly. — Tra carta e cataloghi, ne ha più di quanto è consentito dalla legge. Casa sua sembra che sia stata portata via da quel famoso tornado e riportata indietro a cazzo di cane da una mezza alluvione. — È tutta roba mia, — disse Clyde. A sera, dopo che Clyde e Hillbilly se ne furono andati, Sunset e Karen si misero sedute sul materasso, nella zona notte della tenda. A Karen non era ancora tornata la voglia di parlare. Sunset sentiva la mancanza dei chiacchiericci della figlia, che invece si addormentò quasi subito. Sunset attaccò
a leggere il libro sul lavoro di polizia. Quel che c'era scritto non aveva la minima attinenza con ciò che faceva Pete, eccetto il distintivo alla camicia - lo stesso che era passato a lei - e la pistola. E neanche c'era un capitolo su come prendere a botte la gente o come farla franca con la propria moglie. Dopo circa un quarto del libro si era già annoiata. Andò a prendere uno specchio. Il volto era meno tumefatto, ma aveva ancora gli occhi pesti, e l'angolo sinistro del labbro inferiore pareva un copertone gonfiato dal calore. Sunset spense la lampada e tentò di dormire, ma riuscì soltanto a sonnecchiare, tra un sogno e l'altro. Pensò a sua madre, che era stata messa incinta dal buon reverendo Beck, quello che aveva ispirato il nome del campo, Camp Rapture. «E già», diceva la madre di Sunset, «altro che lo spirito di Gesù Cristo mi ha ficcato dentro, il reverendo Beck». «Figliola», continuava, «gli uomini ci mettono un istante a raccontarti balle, pur di ottenere ciò che vogliono. Anche gli uomini di Dio. Specialmente loro. Ricordatelo, cara. Gambe strette fino a trent'anni, se ci riesci. Tanto non ce la farai, ma almeno provaci. Ci vuole ben altro che una botta e via per far felice una donna, ricorda anche questo. Laggiù c'è quel bottoncino, vedi? Chiunque ti ritrovi tra le mani, digli di farci un po' d'attenzione. Lo so, adesso non ci capisci un accidente, ma ti garantisco che tempo qualche anno capirai eccome». Difatti Sunset non ci aveva capito nulla, lì per lì, a parte la faccenda del bottoncino, che aveva già scoperto da sola. Quando le fu chiaro pure il significato del resto, era già troppo innamorata di Pete per darci peso. Se non altro lui l'aveva sposata, dopo averla messa incinta. Mica male. Le era andata sempre meglio che a sua madre, che non solo era stata messa incinta dal famoso reverendo Beck (poi scappato a gambe levate), ma era andata a imbrancarsi con un commesso viaggiatore che si occupava di scarpe e suonava il banjo. Tant'è che anche lei un giorno aveva tagliato la corda per filarsela col rappresentante e il suo campionario di scarpe, di sicuro al ritmo del banjo, e meno male che almeno le aveva lasciato un biglietto. «Mi spiace, Sunset, ma devo andare. Mamma ti vuole tanto bene. Ti ho lasciato un paio di scarpe nuove sul tavolo di cucina. Sono facili da lustrare». Sunset era rimasta per un paio d'anni con una coppia di agricoltori il cui unico interesse, però, era farla lavorare nei campi. Nemmeno una talpa aveva più terriccio addosso di quanto se n'era infilato lei sotto le unghie, a
forza di raccogliere patate. E il proprietario della fattoria aveva sviluppato anche un certo interesse nei suoi confronti. Non l'aveva mai toccata, ma da come la guardava Sunset intuiva che ben presto sarebbero arrivati i guai. Ogni volta che si chinava a tirar fuori una patata, le sembrava di avere una freccia piantata dritta nel culo. Le bastava girarsi, però, per capire che erano gli occhi del contadino. Se ne andò. Filò via, per la precisione. Si alzò a notte fonda, gettò ogni suo avere in una sacca di tela e si mise le gambe in spalla proprio come sua madre, ma senza banjo e senza commesso viaggiatore. Trovò lavoro a sgranare cotone, dalle parti di Holiday. Per un mese abitò nel retrobottega di un negozio d'abbigliamento, dormendo su un pagliericcio accanto a una vedova e i suoi tre figli. Poi si mise con Pete, che era alto e snello e i muscoli gli guizzavano sotto la pelle olivastra e aveva i capelli scuri e un sorriso che la faceva struggere neanche fosse una candela. Un giorno le riempì il ventre con Karen. Si sposarono subito. Lui aveva vent'anni, e come lei sgranava il cotone. Prima di cominciare a randellarla, peraltro, aspettò che fossero sposati. Doveva essere una tradizione della famiglia Jones. Prima sposala, poi menala. A forza di ripensare a queste cose Sunset finì per sentirsi sola come il primo pelo pubico di un'adolescente. Sospirò, si alzò dal letto, uscì di casa scalza e in camicia da notte, allacciandosi la fondina. La luna non era ancora piena, ma faceva già parecchia luce, e l'aria era limpida e anche un po' fresca. Lucciole in quantità. Sembrava che tutte le stelle fossero cadute sulla Terra, rimbalzando per ogni dove. Mentre era lì a guardare le lucciole girarle attorno alla testa, udì un ringhio. Afferrò la pistola e aguzzò la vista, fin quando non scorse un cane bianco e nero, di grossa taglia, con un orecchio su e uno giù, impegnato a defecare proprio in mezzo alla strada. — Buono, amico, — disse. — Non ho intenzione di spararti. Ma il cane ringhiò di nuovo e scappò via, lasciando un lieve odore di merda fresca. — Si è già sparsa la voce, — disse Sunset. Decise allora che una delle prime cose che le servivano era una scatola di munizioni. Con la pistola si sentiva più sicura che senza. E voleva tante pallottole da far secco il mondo intero. Rimase per un po' all'aperto, ma ben presto iniziarono a sciamare le zan-
zare. Ne schiacciò qualcuna, tornò in casa, abbassò la falda della tenda, si rimise a letto. Non riusciva a dormire. Pensava che lei e Karen erano a pochi centimetri di distanza da dove aveva fatto saltare le cervella a Pete. Ragazzi, se c'era rimasto male. Quel figlio di troia. Forse non era una grande idea, tenere Karen proprio dove era morto suo padre. Una buona madre non fa così. Magari un altro posto era meglio. Ma dove? Non poteva certo tornare da sua suocera. Perdonata o no, non era il caso. Si sedette sull'orlo del materasso, poi se ne andò nella zona ufficio, si accomodò al tavolo, si gingillò con carta e matita. Si stufò presto. Accese una lampada e si diresse allo schedario. Sistemò due sedie: una per sé e una per la lampada. Sopra lo schedario c'era una pila di fascicoli sciolti. Prese il primo classificatore, con l'intenzione di metterlo al suo posto. OMICIDI, recava scritto in copertina. Sunset rialzò lo stoppino e aprì il fascicolo. Conteneva un elenco di omicidi avvenuti durante il mandato di Pete. Le parve una buona idea prendere dimestichezza con gli avvenimenti del passato. Se proprio doveva rappresentare la legge, tanto valeva conoscere le regole del gioco. OMICIDI DI NEGRI, diceva un altro fascicolo. Lo aprì e si mise a leggere. Tizio ha sparato a Caio, diceva per lo più, e allora? Non che ne venisse fuori una grande attenzione nei confronti della comunità di colore. Non certo una intensa attività investigativa per capire chi aveva fatto cosa a chi. Però c'era una situazione interessante, riportata da Pete. Un uomo di colore, di nome Zendo, durante l'aratura aveva trovato sepolto nel suo campo un grosso vaso di terracotta con un neonato dentro. Temendo di essere accusato della sua morte, aveva portato vaso e neonato nel bosco e li aveva lasciati lì. Quello di Zendo era il terreno più fertile della zona, a forza di concime organico e di foglie, tanto che era diventato nero come un corvo in una carbonaia. E il suo terriccio si era incollato al vaso, sia all'esterno che all'interno, oltre che sul neonato. Pete era risalito a Zendo per via del terriccio. Aveva capito la provenien-
za del vaso, che non era certo il luogo in cui era stato trovato. E queste erano state le sue conclusioni: Parlato del bambino morto con Zendo. Lo conosco da un pezzo. Non è un cattivo negro. Non ha ammazzato nessuno, secondo me. Forse qualche negretta ha avuto un figlio che non doveva avere, ed è morto, o lo ha ammazzato lei, poi lo ha sepolto nel campo di Zendo perché è un terreno facile da scavare. Va' a sapere se il neonato era bianco o nero, perché le formiche lo avevano mangiato ben bene. Per me Zendo l'ha solo trovato, e lui non c'entra nulla. È un bravo negro, e a quanto ne so io non ha mai rubato niente o fatto qualcosa di male. Lavora pure sodo. Secondo me l'ha nascosto per non mettersi nei guai. L'ho fatto seppellire nel cimitero dei negri, il neonato, perché ho il sospetto che sia di colore. Non c'era scritto altro. Fine del caso. La data era di due settimane prima. Non si faceva menzione di chi avesse trovato il vaso nel bosco, il che faceva capire l'approssimazione dell'indagine. Per Sunset un'informazione del genere poteva risultare ben più che importante. Si chiese anche come avesse fatto, Pete, a non dirle assolutamente nulla di una simile vicenda. Era pure vero che non le diceva mai niente di niente, se non di preparargli da mangiare o di togliersi i vestiti. Il resto del tempo lo passava a fare l'uomo di legge oppure a scoparsi qualche altra donna, soprattutto Jimmie Jo French, quella puttanella da quattro soldi. Sunset passò in rassegna qualche altro caso d'omicidio fin quando non si sentì prendere dalla stanchezza, poi ripose i fascicoli, spense la lampada e andò a letto. Il mattino dopo, seduta al tavolo con Clyde e Hillbilly, Sunset dette il via alla loro prima riunione. Clyde aveva ospitato Hillbilly a casa sua, e gli aveva pure dato un passaggio. Hillbilly era rasato di fresco e bello pulito, notò Sunset, oltre che ben pettinato e imbrillantinato pur dopo essersi tolto il cappello. Clyde, invece, sembrava appena caduto dal letto e zompato dritto nei calzoni. La camicia pareva quella di qualcun altro: di una taglia più piccola e sbottonata in fondo. I pantaloni erano del genere acqua in casa, e finivano cinque centimetri più su delle scarpe. Aveva ancora il cappello in testa, da cui schizzavano ciocche di capelli come aculei di porcospino. Ah, anche
la barba lunga. — Hai per caso visto un cane bianco e nero, da queste parti? — disse. — Ieri notte, sì, — rispose Sunset. — Era dei Burton. Ma il vecchio Burton se n'è andato in cerca di qualche altro lavoro. Ormai era troppo vecchio per la segheria. Un suo parente, su in Oklahoma, gli ha detto che da quelle parti si trovava ancora qualcosa. Così se n'è andato e ha lasciato qui il cane. Mi sembra che lo chiamavano Ben. Chi se ne frega, eh? Levi le tende e ti lasci dietro il cane. Neanche ci pensi, a come ci resta male lui. — È un cane, — disse Hillbilly. — Sì, ma anche i cani hanno un'anima. Per un pezzo, Clyde e Hillbilly dibatterono la faccenda. — Sapete, — disse infine Sunset, — questo lavoro non è così entusiasmante come pensavo. — Apposta lo volevo, — disse Hillbilly. — Mi pagano per starmene seduto qui, ma anche se non c'ero faceva lo stesso. È un bene che non succeda un bel niente. — Non mi lamento, — disse Sunset. — Sono solo sorpresa. Pete era sempre in giro a fare chissà cosa. O a farsi qualcuna. A pensarci bene, più la seconda della prima. — Jimmie Jo French, — disse Clyde, per poi diventare tutto rosso. — Cazzo, ma sarò scemo... — Nessun problema, — disse Sunset. — D'altra parte, è così che stavano le cose, no? Lo so io e lo sanno tutti. — Un tempo non avevo la lingua lunga, — disse Clyde. — Eri famoso proprio per questo, — disse Sunset. — A casa sua avrà detto a malapena due parole, — disse Hillbilly. — Ti ho detto dov'era il sapone e quella roba lì, — fece Clyde. — Va bene. Quattro parole. Mi sono dovuto lavare alla pompa dell'acqua, mentre con un piede prendevo a calci un branco di galline incazzate. — È che non ti conoscono, — disse Clyde. — Se finiamo per parlare di toilette e di galline, — disse Sunset, — questo lavoro è ancora più micidiale del previsto. — Ci vuole un po' di tempo prima di mettere in moto la faccenda, — disse Clyde. — Non hai idea di quante ne capitano a Camp Rapture e dintorni. E se lo sceriffo Knowles ha bisogno, ti toccherà andare fino a Holiday a dargli una mano. Il sabato sera le cose laggiù sono sempre bollenti, tra bettole e bordelli eccetera.
— Ah, dovrei dare una mano allo sceriffo Knowles? — fece Sunset. — Pensavo che più di arrestare i ladri di polli e dire agli ubriachi di chiudere il becco non dovessimo fare. — Knowles se la cava benissimo da solo, in genere, — disse Clyde. — Li conosce già tutti, quelli che portano guai. Non che gli tocchino chissà che grosse indagini. È che certe volte ha più lavoro di quanto riesce a sbrigare, con tutta la gente che sta arrivando per via del petrolio. Lo sapete che adesso hanno anche un cinema, da quelle parti? — Sul serio? — fece Hillbilly. — Sul serio, sì, — rispose Clyde. — E certe sere, le chiamano bank nights, chi compra il biglietto può vincere anche dei quattrini. In contanti. Oppure, invece dei soldi, si vincono dei piatti. — E li puoi rivendere, i piattì? — Che ne so. Penso di sì. — Non so che farmene, dei piatti. — Prima li devi vincere. — Sapete, — disse Sunset, nell'ascoltare questo scambio di battute, — di cinema o di lotterie o di piatti io non so un bel niente. Pensavo di dover rappresentare la legge a Camp Rapture, non a Holiday. — Difatti è così, — disse Clyde. — Ma Knowles dà una mano qui, e viceversa. È così che funziona. — Però io non conto un bel niente, laggiù. — Neanche Knowles qui, — disse Clyde. — Appunto, — fece Sunset. — Ma chi vuoi che se ne freghi? Quasi nessuno sa un accidente di come funziona la giurisdizione sul territorio, — disse Clyde. — Cazzo, neanche sanno come si scrive. Proprio come me. Metà dei negri qua attorno nemmeno l'hanno mai sentita pronunciare, questa parola. Il distintivo, tu ce l'hai. Lo sceriffo Knowles pure. Questo è il succo della faccenda. La legge sei tu, Sunset. — Che sollievo, — disse lei. — Però, supponiamo che lui mi chiede una mano, e io mi ritrovo a dover arrestare qualcuno che, mettiamola così, non è molto ben disposto. Che si fa? — In questo caso si fa appello al suo lato umano, — disse Clyde, e trasse uno sfollagente da sotto la camicia per picchiarlo con violenza sul tavolo, con un botto simile a uno sparo. Sunset e Hillbilly saltarono sulla sedia. — Per la miseria, Clyde, — disse Hillbilly. — Me la sono quasi fatta addosso.
— Questo oggettino, — disse Clyde, agitando lo sfollagente, — ha grandi doti di persuasione. Fa diventare un agnellino anche il più assatanato rompicoglioni, ecco cosa. Convince un orso a portarti dei fiori. Sunset guardò lo sfollagente. Era lungo una trentina di centimetri e fatto di una spessa striscia di cuoio piegata in due. Era flessibile, certo, ma indurito dal tempo e dall'uso. — E se neanche questo funziona, è il momento di passare alle maniere forti. — Ovvero? — chiese Sunset. — Ovvero tiri fuori la pistola e gliela fai salire per tutto il corpo dal basso verso l'alto, senza fargliela vedere, poi gli dài una botta tirando la mano verso di te, così che la canna lo prende dritto tra la mascella e l'orecchio. Con un servizietto del genere, quando si risveglia trova sua moglie sposata con un altro e i figli già grandi. — Metti che mi vede, — disse Sunset. — Allora gli devi dire: «Guarda laggiù, cazzo, c'è una donna tutta nuda». Così lui si gira e tu gli sbatti la pistola sulla zucca con tutti i cinquanta chili che ti trovi addosso. Come se piantassi un chiodo nel muro. A lui, bene non gli farà, ma a te sì, eccome. Se poi siamo più di uno, e sarà meglio che sia così, visto che facciamo lavoro di polizia, lo randelliamo tutti quanti da tre posizioni diverse. — E se ancora non funziona? — Allora gli spariamo. Se è possibile, alla gamba. Altrimenti, un posto vale l'altro. Cazzo, la legge sei tu. — I metodi d'arresto li abbiamo trattati a fondo, mi sembra, — disse Sunset. — Alcuni, — rispose Clyde. — Hillbilly, — chiese Sunset. — Qualche commento? — Direi di no. Be', sì, devo aver pestato una merda. Bisogna che vada fuori a ripulirmi le scarpe. Il pavimento lo pulisco più tardi. Hillbilly alzò il piede e guardò la suola dello scarpone. — Di cane, mi sa. — Ah, allora lo fai tu il cacciatore di piste, — disse Clyde. — Visto come sai riconoscere il tipo di merda che hai pestato. Hillbilly si sfilò lo scarpone e si alzò in piedi. — Prima che tu esca a pulirti, — gli disse Sunset, — e credimi, non vedo l'ora che lo faccia, vorrei ringraziarti. Anche Clyde, beninteso. Di queste cose so davvero poco, anzi, non so un accidente, se non quello che ogni
tanto ho sentito dire da Pete, però ho tutta l'intenzione di fare sul serio e di impegnarmi al massimo. — Se non lo pensavo, col piffero che ero qui, — disse Clyde. — Perché avete voluto questo lavoro? — chiese Sunset. — Ho bisogno di comprarmi una chitarra, — disse Hillbilly. — È la sola sacrosanta verità. Inoltre mi faceva schifo lavorare in quella cazzo di segheria. — Io invece mi sono detto: «E che cazzo, diamole una possibilità, a quella tipa», — fece Clyde. — Poi, neanch'io ne potevo più della segheria. Clyde, coadiuvato dal suo arsenale di attrezzi e dalla riluttante collaborazione di Hillbilly, passò la mattinata a costruire un gabinetto con il legname che avevano recuperato dai resti della casa. Furono addirittura costretti a salire su un paio di alberi per tirare giù qualche pezzo di legno. L'abilità artigianale di Clyde era degna di nota, e a tener ferme le assi Hillbilly non se la cavava male. Aveva tentato, su richiesta di Clyde, di ribattere un chiodo o due, ma era riuscito soltanto a infilarli storti, oltre che a tirarsi una martellata su un pollice. Di conseguenza era stato degradato a reggere le assi. Sunset tirava su l'acqua con la pompa e osservava le operazioni. Hillbilly le sembrava irresistibile, come un bambino piccolo. Era sudato fradicio, tra l'altro, ma riusciva lo stesso a sembrare fresco come una rosa. Invece Clyde aveva l'aria di chi è rimasto impigliato nella staffa di un mulo imbizzarrito, per essere trascinato dentro una macchia di rovi. Negli attimi di tregua tra una martellata e l'altra, oltre a prendere le misure delle assi per poi segarle, si gettava all'indietro la chioma nera e fradicia e si grattava parti del corpo più idonee a essere consultate in privato e in stanze buie. Karen restò a letto fin verso mezzogiorno. Si alzò lamentandosi del fracasso, di tutte quelle martellate. — È quasi l'uria, — disse Sunset. — In condizioni normali, dovresti già essere a pulire casa. — In condizioni normali avrei ancora un padre, — fece lei. Sunset non seppe cosa rispondere, e Karen mise il broncio. Alle due del pomeriggio il gabinetto fu ultimato. Clyde e Hillbilly andarono a sedersi sotto un albero, a godersi un po' d'ombra. Sunset portò loro dei sandwich, si sedette accanto a Hillbilly e tutti quanti attaccarono a mangiare. Karen rimase nella tenda.
— Ho l'impressione che toccherà al mio, di culo, inaugurare quel posto, — disse Clyde al termine del panino. — Già me la sento arrivare. — Ne farei anche a meno, di questi discorsi, — disse Hillbilly. — È una cosa perfettamente naturale, — fece Clyde. — Ragazzi, — intervenne Sunset. — Le abitudini intestinali di Clyde saranno anche interessanti, non dico di no, ma è arrivato il momento di cominciare a guadagnarci lo stipendio. 9. Clyde conosceva Zendo e sapeva anche dove abitava. A differenza di molti neri, Zendo era proprietario delle sue terre. Per anni aveva lavorato alla segheria e risparmiato fino all'ultimo dollaro. Poi, da mezzadro, si era messo a coltivare per proprio conto, riuscendo così a sfamarsi e a vendere il sovrappiù. Quando fu in grado di acquistare la terra, gli toccò pagarla un prezzo gonfiato, perché era nero e non poteva certo stare lì a discutere; era comunque un bel pezzo di terra, che scendeva fino al torrente e che Zendo ripulì ben bene con un'ascia, un mulo e un gran lavoro di schiena. Poi iniziò a seminare ortaggi, sistemò il campo a terrazze e portò l'acqua dal torrente, piantò dei paletti di sostegno per i pomodori, cercò di combattere i parassiti. Quindici anni dopo, con grande sgomento degli agricoltori bianchi, la sua fattoria era la più produttiva dell'intera contea. La gente andava fin laggiù solo per darle un'occhiata, circondata com'era da una terra resa nera come il carbone da un bel po' d'olio di gomito. Ai quattro angoli della fattoria si ergevano enormi pile di concime, stipate in depositi fatti di tronchi. Sunset e i suoi aiutanti, accompagnati da Karen, saltarono sullo scassato camioncino di Clyde e si avviarono verso la fattoria. Giunti a destinazione, puntarono dritti sulla casa di Zendo, che era in condizioni migliori rispetto a quasi tutte le abitazioni della zona. Il tetto incatramato era ben saldo, e alle finestre c'erano vetri, non cartone. Trovarono la moglie di Zendo in cortile. Era un donnone color caffè, infagottato in un abito a sacco, molto colorato e con un bambino piccolo attaccato alla gamba. Con una mano reggeva una pentola piena di granturco da sgusciare, e con l'altra lo gettava ai polli che le si radunavano attorno come questuanti di fronte alla regina. Sunset scese dal camioncino e s'incamminò verso la donna, passando
davanti a un maialino che, intento a rotolarsi in una buca melmosa, grugniva e guardava in giro quasi nella speranza di ricevere un cenno d'approvazione. C'era pure un cane, sdraiato nel bel mezzo di un letto di fiori ormai defunto. Anche il cane sembrava andato, ma al passaggio di Sunset batté alcune volte la coda. Poi tornò immobile. — Non è un cane da guardia, — disse Sunset alla moglie di Zendo. — Certo che no, — rispose la signora. — Avevo un maiale che ti prendeva a morsi, invece, ma ce lo stiamo mangiando giusto adesso. Posso esserle utile? — Sissignora. — Com'è che ha quel distintivo addosso? È un ispettore agricolo, cose così? — Sono la legge. — Ma no. — E invece sì. — Davvero? È lei che rappresenta la legge? Come mai? Sbaglio o era il signor Pete? — Non più. Gli ho sparato. — Ma che buffa cosa, — disse la donna. — Lei gli ha sparato e gli ha portato via il distintivo. Mi sembra un tipo simpatico, signora. — Insomma, sì, sono io che rappresento la legge. E gli ho sparato sul serio, a Pete. E lui è proprio morto. E glielo dico ancora una volta, la legge sono io. — Oh, — disse lei. — Be', senza offesa. — Vorrei parlare con suo marito. Sa dirmi dove lo posso trovare? — Non si sarà cacciato in qualche guaio, eh? — Niente del genere. Allora la moglie di Zendo rivelò a Sunset, un po' controvoglia, che il marito era ancora nei campi. Tornando al camioncino Sunset passò di nuovo davanti al maiale e al cane, ma senza essere minimamente considerata. Raggiunsero il luogo indicato dalla donna, scesero dal camioncino e si avviarono verso l'albero all'ombra del quale Zendo stava consumando il suo pranzo. Nei pressi c'erano due muli, lustri di sudore e con la bardatura dell'aratro addosso. Zendo aveva staccato l'aratro per appoggiarlo contro l'albero. I muli erano impastoiati, e sgranocchiavano granturco da due recipienti piat-
ti. Il campo - che Zendo aveva arato, rivoltando le zolle e tagliando le erbacce - era nero come il peccato, e i filari dritti neanche fossero stati tracciati con un righello. A contrasto col nero della terra, gli ortaggi esplodevano in una tempesta di colori. Granturco, alto e verde. Piante di pomodoro, intrecciate su paletti di legno, coi frutti in bilico e infuocati come il sole del tardo pomeriggio. Zendo stava addentando una focaccina, quando vide una donna rossa di capelli, una ragazzina e due uomini venire dalla sua parte. La donna sembrava un bel po' sbatacchiata. Il suo primo impulso fu di darsela a gambe, casomai volessero darne la colpa a lui. Poi si accorse del distintivo appuntato alla camicia. Valutò la cosa, ma non riuscì ad arrivare a una conclusione. Nel mentre, il gruppetto si era ormai portato sotto la quercia, e lo guardava dall'alto in basso. Zendo ripose la focaccina nella gamella del pranzo e si alzò in piedi. Non ci mise poi molto. Aveva un gran capoccione e spalle larghe, ma era di bassa statura. Per toccare terra con i piedi, se avesse voluto montare su un pony, gli ci sarebbe voluto un cavallino senza zampe. — Salve. Caldo, eh? — disse a testa bassa. — Come va? Gran bella giornata che ci ha mandato nostro Signore, anche se il sole picchia, no? — Guarda che sono io, — disse Clyde. — Smettila di fare il finto tonto. — Ah, è lei, signor Clyde? Non la vedo tanto bene, se mi passa il doppio senso. Dovremmo andare un po' più spesso a pesca, noi due. — Sono d'accordo, — disse Clyde, e gli tese la mano. Zendo la strinse. Hillbilly, seppure esitante, fece altrettanto. Ma alle donne il nero la mano non la porse. — Un raccolto fantastico, Zendo, — disse Clyde. — Terre basse, qui, — rispose lui. — E io le tratto bene. Certe volte ci porto l'acqua dal torrente, poi è tutta questione di concime. — Una meraviglia, — disse Clyde. — Zendo, questa è Sunset Jones. È la nuova rappresentante della legge, da queste parti. — No che non è vero, — fece Zendo. — E invece sì. — Come non detto. Davvero? È proprio così, signora? — Esatto. — Mi state giocando qualche tiro. — Le assicuro di no, — disse Sunset.
— Pensavo che era il signor Pete, a fare la legge. — È morto, — disse Sunset. — Oh, be', mi dispiace proprio, — disse Zendo. — Era mio marito. — Be', sì, certo che mi dispiace. E come è morto, se non sono indiscreto? — Gli ho sparato io. — Cosa dice? — Quel che ho appena detto. — Morto. — Già. Karen si avviò verso il camioncino. — Arriviamo subito, — le disse Sunset. Karen non rispose e continuò a camminare. — La morte di suo padre è ancora un tasto dolente, per lei. — Vedo, — disse Zendo. — Sì, signora, capisco. Il signor Pete era un brav'uomo. — No davvero, — disse Sunset. — Era un figlio di puttana, e sono lieta di averlo fatto secco. — Un figlio di puttana? — Gliel'ho appena detto. Scommetto che è d'accordo con me. — Be', signora, — fece Zendo. — Non ho certo intenzione di mettermi a discutere con lei. — Siamo venuti per un certo affaruccio che aveva fatto con Pete. — Mai fatto affari, con il signor Pete. — Un cadavere in un vaso, — disse Sunset. — Ah, quello. Mi aveva detto che non avrei avuto problemi. — L'ho letto nei suoi fascicoli. Mi racconti ogni cosa. Mi dica dov'è finito quel bambino, oppure se ha la minima idea di chi sia la madre. Più o meno, Zendo riferì loro quel che già era scritto nel fascicolo. Aveva trovato il corpo mentre arava, sepolto all'interno di un grosso vaso di terracotta. La sepoltura era recente, forse della stessa notte. Avevano scavato una buca profonda, certo, ma lui stava arando a fondo, e la lama centrale dell'aratro aveva rotto il bordo del vaso. — Lì per lì l'ho preso per un vaso indiano. Ne ho già disseppelliti tanti. Ma questo non lo era. Ho guardato all'interno e ho visto un sacco di iuta. Senza tirarlo fuori, l'ho aperto, e c'ho trovato un bambino, grosso quanto
un gatto appena nato. — Bianco o nero? — Va' a saperlo. Era pieno di terra, lì dentro, e c'era anche dell'altra roba. — Roba? — Qualcosa di appiccicoso, sul bordo del vaso, e la terra gli si era attaccata sopra. Anche il bambino l'aveva addosso, come se qualcuno ce l'avesse tuffato. A me sembrava melassa. — Era proprio melassa? — chiese Sunset. — L'impressione era quella, però mandava un certo odore, tipo petrolio mischiato alla terra. — Carburante da macchina? — Forse. Non sapevo cosa fare. Avevo paura che fosse un bambino bianco e che la gente mi accusasse di averlo ucciso io perché era nei miei campi, così sono andato a nasconderlo nel bosco. — L'ha sepolto? — chiese Sunset. Zendo scosse il capo. — Non è una bella cosa da dire, ma non l'ho fatto. Quando il signor Pete ha trovato il vaso, ha capito subito che il terriccio era il mio. Nessun altro ha una terra così buona, da queste parti. Nessuno come me. Prima ho pensato che mi avrebbe dato la colpa, ma non è andata così. Anzi. Neanche mi ha chiesto se ne sapevo niente. Se l'è portato via ed è andato a seppellirlo nel cimitero dei neri. Almeno, così mi ha detto. — Sa se è stato proprio Pete a ritrovarlo? — chiese Sunset. — Be', è venuto lui da me. Immagino di sì. Può anche essere che è stato qualcun altro, che poi l'ha detto a lui, e lui ha capito subito che veniva dalle mie terre. — Dov'è il cimitero? — chiese ancora Sunset. — Clyde lo sa, — disse Zendo. Clyde scosse il capo. — Non più. Un tempo sì. Ma sono anni che non vado in quella parte del bosco. Dall'ultima volta che siamo andati a caccia assieme, tu e io, ed era... Dio santo, eravamo dei ragazzini... — Roba da non credere, — disse Zendo. — Eravamo alti uguale, allora. Adesso lei è come un albero, io come un ceppo. Zendo prese un pezzo di legno e tracciò una mappa nella terra, segnando con una X il punto del cimitero. — Proprio qui, — disse. — C'è un po' da camminare. Impossibile arrivarci con la macchina. — Grazie, — disse Sunset. — Finisca pure il suo pranzo. — Il signor Pete ha beccato la persona sbagliata, eh? — disse Zendo.
— Quel giorno, di sicuro, — rispose Sunset. Per raggiungere il cimitero furono costretti a lasciare il camioncino sul margine di una strada sterrata, sotto un eucalipto, e incamminarsi tra gli alberi. Là sotto l'aria era pesante, e anche se l'ombra teneva lontani i feroci raggi del sole, nella forte umidità c'erano più zanzare che chiodi in una baracca di carta catramata. — Che razza di sistema, nascondere un cimitero in mezzo al bosco, — disse Karen. — Non sono lungo la strada, di solito? — Certi bianchi pensano che è un vero spasso andare a spaccare tutto, nei cimiteri della gente di colore, — disse Clyde. — Invece così non vale più la pena. — Deve essere una bella fatica, portare i cadaveri fin laggiù, eh? — disse Hillbilly. — Credo di sì, — disse Clyde, schiacciando una zanzara. — Queste bestiacce mi mangiano viva, — disse Karen. — Puoi tornare ad aspettarci in macchina, — disse Sunset. Ma Karen non lo fece. Alla fine il bosco si diradò, per lasciare spazio a una pista. — Non aveva detto di girare a sinistra, Zendo? — chiese Sunset. — Sì, mi pare di sì, — disse Hillbilly. — Già, — disse Clyde. — È questa la strada. Adesso me la ricordo. Camminarono ancora un po', e ben presto si ritrovarono in un'ampia radura che sembrava disboscata a colpi di machete. Poco oltre si apriva uno spiazzo pieno di pietre tombali. C'erano delle querce, nel cimitero, ricoperte di muschio e rampicanti, oltre a un sanguinello e del caprifoglio dal forte profumo. Le api impazzivano attorno ai suoi fiori. Certe tombe erano proprio sotto gli alberi, e in alcuni casi le radici avevano sollevato e fatto cedere le lastre di pietra. Ma nel complesso era un luogo ben tenuto; fiori freschi quasi ovunque, e su alcune tombe erano posate collanine voodoo e pezzi di vetro colorato. C'erano anche vasetti di vetro pieni di qualche liquido. — Che c'è là dentro? — chiese Hillbilly. — A volte, liquore fatto in casa, — disse Clyde. — Lo portano ai morti. — Che stupidaggine, — disse Hillbilly. — E che spreco di liquore. Karen scoppiò a ridere alla battuta. Hillbilly le sorrise. — Potremmo bercelo Karen e io, invece di lasciarlo andare a male. Che ne dici, figliola?
Karen rise di nuovo. — Karen non beve, — disse Sunset. — Certo che no, — disse Hillbilly. — Scherzavo e basta. Finalmente Sunset trovò una tomba sormontata da una croce di legno scadente, tenuta assieme da due chiodi. Al suo fianco, qualche pezzo di terracotta. BAMBINO, c'era scritto sulla croce. — È opera di Pete, questa, — disse Sunset. — Riconosco la B. È simile alla sua calligrafia. Deve aver spaccato il vaso, per tirare fuori il bambino, oppure è stato qualcun altro a romperlo, in seguito. — Papà non era così cattivo, — disse Karen. — Guarda come si è comportato con il bambino e tutto il resto. Hillbilly schiacciò una zanzara. — Tanta strada per nulla, se volete sapere come la penso. — Potremmo dargli un nome, al bambino, — disse Clyde. — Scriverlo sulla croce. Chiamarlo, che so, Snooks. — Invece no, — disse Sunset. — Poi, neanche sappiamo se era maschio o femmina. — Snooks mi piace lo stesso, — disse Clyde. — Va bene in entrambi i casi. Maschio o femmina. Ti piace Snooks, Hillbilly? — No, — rispose lui. — Cazzo, proprio tu che ti chiami Hillbilly, — disse Clyde. — Che ha di sbagliato, Snooks? — Hillbilly è un soprannome. E non chiedermi il mio vero nome, perché non te lo dirò mai. Che abbiamo scoperto qui, Sunset? A che ci è servito questo viaggetto? — Non lo so bene, — rispose Sunset. — Torniamo pure indietro. 10. Sunset e Karen non si erano ancora messe a letto, che venne giù una pioggia non molto dissimile da quella che aveva fatto il bagno all'arca di Noè, anche se non durò a lungo. Fu tanto per dare una risciacquatina alla zona, far ribollire e salire un po' i torrenti. La tenda era stata piazzata sopra il tavolato della vecchia casa, quindi le ragazze non si bagnarono; ma sentivano l'umidità filtrare dalle assi del pavimento, nel tentativo di espandersi. La pioggia rinfrescò comunque l'aria, e quando finalmente Sunset e Karen se ne andarono a dormire, le zanzare erano sparite e si stava davvero
bene. A letto, Sunset si mise ad ascoltare la pioggia che si spostava con rabbia verso sud, a pensare al neonato nel vaso, immerso nel petrolio, a Pete che si era preso la briga di andare a seppellirlo fin laggiù e incidere BAMBINO sulla croce. Un gesto sensibile. E non certo da lui. Specialmente se il bambino era nero. Un lato di Pete che aveva sempre ignorato, ma che le sarebbe piaciuto conoscere, a suo tempo. Un aspetto che la sconcertava, e che un po' la insospettiva. Più tardi udì sollevare il lembo della tenda. Si tirò a sedere sul letto e vide la sagoma di un uomo, in piedi, che alzava ancor più la tenda, investita in pieno dalla luna. Era Pete, ricoperto di terra - quella del cimitero - e incazzato come se pisciasse aceto. Pete puntò un dito contro Sunset e aprì la bocca per parlare. Ne uscì terriccio. Infine urlò. Sunset si tirò a sedere sul letto. Guardò il lembo della tenda. Era chiuso e legato. All'esterno si udivano ranocchi e grilli. La pioggia era cessata. Sunset si era addormentata credendo di essere ancora sveglia. Di colpo, ancora una volta, un urlo. Non era Pete. Era un puma, che si aggirava per le terre basse. Bestie capaci di urlare come una donna. Era stato quel grido a svegliarla, non certo il cadavere di Pete. Guardò Karen. Dormiva ancora. Le aggiustò le coperte, fino al collo, con dolcezza. — Ti voglio bene, — le disse piano. Di nuovo sdraiata, sonnecchiò inquieta e riprese a sognare. Ma questa volta lo sapeva che era un sogno, e neanche tanto brutto. Sognò che puntava la pistola alla testa di Pete e premeva il grilletto, e il colpo faceva un rumore secco e gradevole e le tranciava i pensieri come un fascio di luce, e la luce si apriva un varco nel profondo dei bui recessi della sua mente, e da quel varco uscivano tutte le risposte a domande di chissà quanto tempo prima, e in quell'istante, quello splendido e meraviglioso istante, Sunset seppe. E si svegliò. — Cazzo, — disse. Per un pelo, pensò. Ce l'avevo quasi fatta a sapere le risposte. Me li stavano per rivelare, tutti i maledetti misteri dell'universo, e
proprio ora mi dovevo svegliare. Il lembo della tenda si mosse. Sunset allungò una mano ad afferrare la pistola dalla fondina, sul pavimento, e la puntò dritta sull'apertura. Era il cane bianco e nero. Aveva infilato la testa nella tenda. Era bagnato fradicio. — Buono, amico, — disse lei, ma il cane schizzò via al solo udire la sua voce. Sunset ripose la pistola e restò in attesa del ritorno del cane. Ma non tornò. La mattina dopo, prima dell'alba, Karen e Sunset furono svegliate dal canto degli uccelli sugli alberi e dallo strepitare di uno scoiattolo in preda all'agitazione. Karen accese il fuoco nella stufa e preparò la colazione sul fornello: uova e pane tostato per entrambe. Sunset la osservò con aria sospettosa. Era la prima volta, da giorni, che Karen mostrava il minimo interesse nel fare alcunché. E non solo la colazione: andò anche a prendere l'acqua alla pompa, un secchio per volta, che poi versò in un recipiente ancor più grande posto sulla stufa. Dopo di che, rovesciò l'acqua calda in una tinozza gigante. Nel tempo che Karen impiegò a riempirla, l'acqua aveva ormai iniziato a raffreddarsi, ma la ragazza riuscì lo stesso a farsi un bagno con del sapone alla menta e lavarsi con cura i capelli. Al termine del bagno di Karen, Sunset fece lo stesso. Anche lei si lavò i capelli, per poi asciugarli e pettinarli. Nell'indossare gonna e camicia, si accorse che Karen si era già vestita e si era acconciata i capelli in una sorta di chignon. Era uno dei suoi pochi abiti buoni, che le aveva regalato la nonna prima che si trasferissero nella tenda. Si era anche messa l'unico paio di scarpe decenti che aveva. Sunset vide che la figlia si era addirittura passata un po' di rossetto sulle labbra, cosa che non le capitava spesso. E aveva perfino avuto la mano pesante col profumo. Sunset si infilò gli scarponi e cominciò ad allacciarli. — Non sono tanto femminili, quelli, — disse Karen. — Sembra più roba da segheria, o per andare a spalare merda di cavallo. — Guarda che adesso devo far rispettare la legge, non andare a New York a fare una sfilata di moda. — Dovresti tirarti su i capelli, — disse Karen.
— Tu l'hai fatto, vedo. Com'è che ti sei messa tutta in tiro? — Così. Mi andava. Sunset si diresse al tavolino da toletta che avevano sistemato nella zona notte e prese uno specchio. Forse potrei davvero tirarmi su i capelli, pensò. Il volto non era più gonfio, e i lividi avevano iniziato a sbiadire. Stava riprendendo il suo vero aspetto, ma ancora aveva qualcosa del procione. Verso le nove giunse il camioncino di Clyde. Karen lo udì arrivare, si lisciò il vestito e sollevò il lembo della tenda. Dall'apertura, Sunset vide Clyde scendere dal veicolo, così come Hillbilly dalla parte opposta. Si alzò, si allacciò la fondina - pistola compresa - e andò a dare un'occhiata. Alle spalle del camioncino di Clyde sopraggiunse un'auto di colore nero, con le portiere bianche e uno stemma della polizia, nero e oro. Ne scese un uomo dal grosso cappello bianco, vestito di tela kaki, con tanto di pistola e distintivo, che si avviò verso Clyde e gli strinse la mano. Fece altrettanto con Hillbilly. Sembrava agitato. Poi si rivolse a Clyde. Clyde disse qualcosa, e indicò la tenda. L'uomo col distintivo reagì a scoppio ritardato. Clyde disse qualcos'altro. L'uomo si tolse il cappello e, scortato da Clyde e Hillbilly, si diresse verso la tenda proprio mentre ne usciva Sunset, seguita da Karen. — Signorina, — disse il tizio. — Sono il vicesceriffo di Holiday. Mi chiamo Morgan. Sono stato mandato qui a prelevare il vostro rappresentante della legge, perché abbiamo bisogno d'aiuto. Abbiamo saputo che Pete è stato ucciso da sua moglie, ma non sapevamo che il suo posto l'avesse preso una donna. Posso portare con me questi uomini... — Rappresento io la legge. E sono... anzi ero, la moglie di Pete. Il vice sollevò le sopracciglia. — Mi prendesse un colpo. — Perché avete bisogno di noi? — Un negro ha dato di matto. Ha ammazzato lo sceriffo. — Oh, — disse Sunset. — Sapendo questa cosa, — disse Morgan, — forse è meglio se rimane qui. — Com'è la situazione? — chiese Sunset. Aveva già sentito Pete usare queste parole. — Be', sono venuto qui perché Rooster e io siamo gli unici vice, e questo negro, insomma, ha fatto saltare le cervella allo sceriffo e si è rintanato nel cinema. Non vuole più uscire.
— Il cinema, — disse Clyde. — Non lo starà mettendo a ferro e fuoco, eh? — Credo che abbia spaccato un po' di quei piatti che davano in regalo, — disse Morgan. — Certa gente, giù in paese, voleva farlo a fettine, e il droghiere ha tirato fuori una pistola e ha cercato di entrare, ma il negro gli ha piantato una palla nel ginocchio. Vedrai che lo stanno portando via in barella, adesso, quel droghiere. Il fatto è che il colpevole è un negro, e la folla vuole linciarlo. Lo sceriffo non era molto propenso a questo genere di cose, anche se per me un linciaggio ci sta pure bene, quando è meritato. Vogliono assaltare il cinema, acchiappare il negro e impiccarlo, poi dargli pure fuoco, oppure bruciare l'edificio con lui all'interno. A dir la verità, è Rooster a essere contrario. Ormai il negro è inchiodato là dentro, e Rooster ha la gente del paese addosso, che vuole che si tolga dalle palle. È proprio tra l'incudine e il martello. Non sapevo che altro fare, così sono venuto qui a chiedere aiuto. Ma non credevo certo che ci fosse una donna, e mi sto quasi convincendo che forse faremmo meglio a lasciarglielo prendere, quel negro. — La seguiamo col camioncino, — disse Sunset. — Karen, tu resta qui. Clyde, Hillbilly. Siete armati? — Non adesso, — rispose Clyde. — Dovremmo passare da casa mia. — È il caso di tornare a Holiday, — disse Morgan. — Non sarei neanche venuto, se non fosse stato così vicino, con lei che rappresenta la legge. Vabbe', mi ci ha mandato Rooster, ed è lui il capo dei vice. Insomma, sapevo che Pete era morto, ma non sapevo che lei era una donna. — Arriviamo, — disse Sunset. — Lei torni a dare una mano a Rooster. — Sicuro, — rispose Morgan. — Ma se la situazione ci scappa di mano, meglio che le penne ce le lasci il negro piuttosto che il sottoscritto. Se si arriva a questo punto, vado io a reggergli la corda. — Lei ha giurato fedeltà alla legge, — disse Sunset, — e ha degli obblighi da rispettare. — Ma chi si crede d'essere, per parlarmi in quel modo? — disse Morgan. — È un semplice cittadino nominato tutore dell'ordine. Cazzo, è solo una donna. E quella sottana è fatta con dei calzoni da uomo. — Vediamo se almeno questa la capisci, Morgan, — disse Clyde. — Se apri un'altra volta quella bocca, ti rifilo un tale cazzotto che ti faccio saltare i parafanghi alla macchina. Intesi? I muscoli del volto di Morgan si contrassero. — Non puoi parlarmi così. Tu e io abbiamo già lavorato assieme, altre volte. Non c'è bisogno che usi
questo linguaggio. Non sapevo che era una donna, e basta. — Ci vediamo a Holiday, — disse Sunset. La casa di Clyde era sul tragitto, appena fuori della strada principale, in fondo a uno sgangherato viottolo fiancheggiato da un fitto bosco, e con buche così profonde da farvi sparire un carro da mangime. Si fermarono a prendere una doppietta per Hillbilly e una pistola per Clyde. Lì per lì, a Sunset parve che la baracca di Clyde fosse stata colpita dal tornado, ma a forza di guardarla si rese conto che era il suo stato normale. La copertura del tetto, a ciottoli, era stata sbatacchiata qua e là, e finita in gran parte nel cortile. Metà di quei ciottoli erano semisepolti nel terriccio, e avevano tutta l'aria di essere lì da un bel pezzo. Il camino era tenuto in piedi da un'asse, e tra il camino stesso e la casa c'era un varco sufficiente per guardare all'interno. Quel che si vedeva era sporco, unto e impilato. Quasi tutte le finestre avevano cartone al posto dei vetri. Il cortile era sommerso da pezzi di legno e parti di automobile, oltre che da polli ormai passati al nemico. Un galletto li caricò con aria molto ufficiale, sbattendo le ali e affibbiando qualche beccata allo scarpone di Sunset, poi batté in ritirata, a missione conclusa. — Se quel gallo era mio, — disse Sunset, — stasera c'era pollo arrosto per cena. — Quello è George, — disse Clyde. — È convinto di proteggere le galline. Scavalcando cianfrusaglie varie, scansando polli, muovendosi con passo felpato su un vialetto pieno di ortaggi mangiati dagli insetti, raggiunsero il portico scricchiolante evitando con cautela i punti in cui il legno si era spaccato. All'interno c'erano cataste di riviste e di giornali, altre parti di automobile, piatti rotti, scatole di cartone e cassette di mele piene di chissà cosa. Il pavimento era costellato di secchi, e altri ancora erano posti sopra le scatole e le cassette, pronti a raccogliere l'acqua che gocciolava dal tetto. Clyde sparì a caccia delle armi, facendosi largo tra il ciarpame. Hillbìlly guardò Sunset. — Casa, dolce casa, — disse. — Di dolce, non saprei proprio che c'è. — Dev'essergli caduto dello sciroppo, laggiù sui fornelli, forse, boh, chissà, diciamo una decina d'anni fa, così a occhio. Ma è ancora dolce. Lo so, perché le mosche ci vanno sopra e ci restano appiccicate. Vuoi vedere?
— No, grazie. Clyde tornò con una doppietta e un revolver. Sembravano molto più puliti del resto della casa. — Esiste qualcosa che non metti da parte? — disse Sunset. — Soldi, — rispose Clyde. — Ho fame. Se avessi tempo mi farei un panino da portarmi dietro. — Be', tempo non ne hai, — rispose Sunset. — Però, magari quello per un bel falò in cortile lo troviamo, prima di andarcene, e sta' sicuro che quando torni ritrovi tutto bello pulito. — Almeno so dove stanno le cose, — disse Clyde. — Non è vero, — disse Hillbilly. — Dov'erano le armi, lo sapevo, — disse Clyde, e porse la doppietta a Hillbilly, insieme a una manciata di proiettili. — Dov'è che dormi? — chiese Sunset a Hillbilly. — Non ne sono sicuro. Questo posto non è mai lo stesso. — Non hai chiesto dove dormo io, — disse Clyde. — È casa tua. Immagino che un posto tu ce l'abbia. Mi domandavo la sorte dell'ospite. Mentre salivano sul camioncino, Sunset disse: — D'ora in avanti, voi ragazzi dovrete essere sempre armati. Non possiamo fermarci ogni volta a casa di Clyde. — È che il più delle volte non è necessario, — disse Clyde, cambiando marcia. — Questo qui, — disse, battendosi la camicia che nascondeva lo sfollagente, — di solito basta e avanza. — Be', adesso lavorate a tempo pieno, non a tempo perso, — disse Sunset. — Siamo dei professionisti, e dobbiamo sembrarlo e comportarci come tali. — Ah, è questo che siamo? — chiese Clyde. — Professionisti? Hillbilly dette un colpetto alla gamba di Sunset, appena sotto la fondina. — Tu sei armata, vedo. Sunset sapeva che il colpetto e la battuta di Hillbilly erano soltanto una scusa per toccarle la coscia. Però non riuscì a dire nulla in proposito. Quel che avrebbe voluto dire, invece, era: «Metti la mano qua, la bocca qui, torcimi una gamba dietro la testa finché non strillo "Mi arrendo"». Invece, disse soltanto: — La pistola ce l'ho, ma pallottole ne ho poche. Solo quelle che ci sono dentro. — Se le cose vanno bene, — disse Clyde, — magari ti basteranno per sparare a tutti quelli che se lo meritano. Certi agenti di polizia, perfino nel-
le grandi città, capita che passino anche una giornata intera senza sparare a nessuno, cani idrofobi compresi. Cazzo, Pete ha sparato a una sola persona, e ho l'impressione che è pure stato un incidente. Certo, un bel po' li ha riempiti di botte, come Jack Tre Dita, che ci è rimasto secco. Forse questo rimette i conti in pari. 11. La strada era un pantano, l'andatura bassa. I solchi in cui finivano le ruote li facevano sobbalzare violentemente, e Sunset ebbe l'impressione che le budella le saltassero fuori della bocca. — Spero che il fil di ferro attorno al motore non ceda proprio adesso, — disse Clyde. — Ehi, vedete laggiù, alla fine di quella stradina, c'è uno spuntone di roccia. Non è molto alto, ma sta proprio sopra una parte di Holiday. Una volta una ragazza si è buttata di sotto per uccidersi, ma si è schiantata nel punto in cui la roccia si allarga rotolando dritta fino in fondo. È finita contro il retro dell'emporio. Prima di saltare, si era spogliata tutta. Un tipo che conosco era sul retro del negozio a farsi una pisciata e l'ha vista ruzzolare giù per la collina. Dice che era la prima volta dopo dieci anni che metteva piede in chiesa, e quello gli era parso un dono di Dio. Mica vero. La ragazza era incazzata come una biscia e imprecava contro tutti, lui compreso. Gli urlava che quello che gli pendeva tra le gambe non bastava neanche per fare due gocce d'acqua, figuriamoci per altri scopi. Se l'è cavata con qualche macchia d'erba e qualche rovo nel culo. Il mio amico Lonnie in chiesa non c'è tornato più. Ma si sta bene, lassù, la notte. È bello, con tutte le luci che ti brillano addosso. Nell'approssimarsi a Holiday, videro lungo la strada una serie di pozzi di petrolio, e altri ancora seminascosti dal bosco. Più si avvicinavano al paese più incontravano pozzi, alcuni addirittura nell'area urbana, perfino nel centro città. Così tanti da formare una sorta di foresta di metallo. — Fino a poco tempo fa qui era tutta campagna, adesso ci saranno almeno diecimila persone, — disse Clyde. — Gente che sonda il terreno, buzzurri e campagnoli, giocatori d'azzardo, delinquenti e puttane. Il petrolio dà alla testa, proprio come l'oro. Cazzo. Queste buche ormai arrivano agli assali. Non è una strada, questa, è una buca di fango. — Se vedi un cappello in terra, — disse Hillbilly, — ci sta che sotto ci sia un uomo. Magari a cavallo. Le strade motose erano percorse a fatica da qualche mulo e poche auto-
mobili, ma in gran parte il traffico si era fermato, e una folla - bianchi e neri - si era radunata nei pressi del nuovo cinema. I bianchi in testa, i neri se ne stavano defilati, per evitare di essere considerati una parte del problema. C'era chi si nascondeva dietro le macchine o faceva capolino dagli angoli delle case. Parecchi erano armati. — Non credo che dovresti arrivare fin laggiù, — disse Sunset. — Più che altro, non so se posso, — rispose Clyde. — Ad andare ancora avanti, non è detto che poi ce la si faccia a uscire dal fango. A malapena si riesce a fare inversione. Clyde condusse il camioncino su un tratto di terreno stabile, ai margini della strada, e parcheggiò a considerevole distanza. I tre scesero e s'incamminarono sul marciapiede di legno dalla parte opposta al cinema. Hillbilly reggeva la doppietta e Clyde aveva la pistola in mano, che gli dondolava su un fianco. La folla si voltò a guardarli. — Stanno cercando di capire cos'è quel distintivo che hai sulla camicia, — disse Hillbilly. — Oppure, nel caso degli uomini, quello che c'è sotto. — Cammina e basta, — disse Sunset. Scorsero Morgan e il suo collega, dietro un camioncino fermo. C'era un mulo morto, tra il marciapiede e il fango della strada. Aveva la testa spappolata e lo sfintere gli aveva ceduto, mollando una pila di merda ancora fumante. — Gli ha fatto saltar via ogni cosa, — disse Clyde. La porta d'ingresso del cinema era semiaperta, bloccata dalla gamba di un uomo. Attorno c'era del sangue, e un cappello bianco, rovesciato, giaceva sul marciapiede. Doveva trattarsi del cadavere dello sceriffo, concluse Sunset. Quando giunsero all'altezza del cinema capirono di non avere altra scelta se non guadare la strada fangosa. — Posso prenderti in collo, se vuoi, — disse Clyde. Sunset ci pensò su, ma concluse che farsi prendere in collo come un bambino, per non sporcarsi di fango, non era l'effetto che voleva ottenere. — Io sono la legge, e devo comportarmi con dignità. — In questa città non sei nulla, — disse Hillbilly. — Mi hanno cercato loro, quindi devo reggere la parte. — Chi l'ha detto che il fango è compreso nel lavoro? — disse Clyde. Sunset si tirò il vestito sulle cosce. Hillbilly sorrise. — Cazzo, — disse. — Hai ragione. Va' pure per conto tuo.
Nell'attraversare, Sunset guardò più volte in direzione del cinema, ma nessuno uscì fuori per spararle. THE STRAND, recitava l'insegna, e sulla tettoia c'era scritto: «ANIMAL CRACKERS, con i Fratelli Marx». Quando raggiunsero la parte opposta, il fango si era già incollato ai polpacci di Sunset. Non le andava di far finire la gonna in quella poltiglia, ma si rese conto che non poteva andarsene in giro reggendosi il vestito. Non era molto pratica, la cosa. Si accorse che gli uomini che fino a quel momento avevano prestato attenzione al tipo dentro il cinema si erano messi a fissare lei. Lo stesso valeva per certe donne, che dai lati la osservavano con aria di disapprovazione. Almeno, pensò, non staranno a guardarmi tanto in faccia. Sul marciapiede c'era una delle due auto della polizia di cui disponeva la città. L'altra, quella di Morgan, l'avevano incontrata arrivando, parcheggiata dietro un furgoncino. Vicino alla macchina c'era Morgan, in compagnia di un uomo col distintivo che Sunset immaginò fosse Rooster. Rooster era lungo e dinoccolato e in testa aveva un cappello alto e marrone, a tesa larga. I vestiti gli pendevano addosso come a un manico di scopa, e si era infilato i calzoni negli stivali, sulle cui punte erano intarsiate grosse aquile rosse. Con le orecchie che si ritrovava, c'era il rischio che da un momento all'altro decollasse. Era rosso in viso, come ustionato. — Morgan mi ha detto che lei era una donna, — disse Rooster. — Ero una donna quando mi ha visto, e lo sono ancora, — rispose Sunset. — Niente da ridire. Mi serve tutto l'aiuto possibile. — Che è successo? — chiese Hillbilly. — Non lo so tanto bene, — disse Rooster. — Secondo quanto dice Lillian, quella che stacca i biglietti, questo tipo di colore, che qui chiamano tutti Smoky, è venuto allo sportello e voleva comprare un biglietto. Lei, naturalmente, non glielo ha venduto. — Fate anche proiezioni di pomeriggio? — chiese Clyde. — Ogni tanto, — disse Rooster. — Con tutti gli scansafatiche che ronzano qua attorno, il pomeriggio c'è una buona clientela. — Accidenti, — disse Clyde. — Andare al cinema di pomeriggio. Non è fantastico? — Lasciamo stare, — disse Sunset. — Vada avanti. Rooster annuì. — Lillian gli ha detto che questo non è un cinema per gente di colore. Lui le ha chiesto se c'era un settore per neri, e lei gli ha ri-
sposto di no. Allora lui è tornato a casa a prendere il fucile. Lillian lo ha visto arrivare e si è gettata sul pavimento della biglietteria. Lui è entrato nel cinema, Lillian se l'è data a gambe ed è venuta a cercarci. Smoky ha fatto uscire tutti dalla sala, e quando siamo arrivati noi con lo sceriffo, lo sceriffo ha cercato di parlargli, ma non è riuscito neanche a passare la porta che Smoky l'ha fatto secco. — Lo sceriffo lo conosceva, Smoky, — disse Morgan. — Per lui era un tipo a posto. Io gli dicevo che coi negri non si può mai sapere. Ti rigirano come serpenti. Ne conoscevo uno che si è incazzato con la moglie e si è tagliato la gola con il coltello del burro. Ci ha messo cinque minuti a segarsi ogni cosa, prima di tirare le cuoia. Ma c'è riuscito. — Eppure, — disse Rooster, — non ho mai sentito nessuno che abbia fatto un tale casino per andare al cinema. E voi? — Direi di no, — rispose Sunset. — Ma immagino che di solito i cinema abbiano un settore per gente di colore. — Credo di sì. — Forse moriva dalla voglia di vincere quei famosi piatti, —disse Clyde. — E come se Smoky non fosse già un grosso problema, — disse Rooster, — la folla ha cominciato a minacciare di mettere il palazzo a ferro e fuoco. Io ancora non ci sono stato, e neanche un sacco di altra gente qui in città, e saperlo bruciato ci darebbe fastidio. Poi c'è il nostro amico di colore. Non vedono l'ora di linciarlo. Direi che se l'è proprio cercata, ma io sono la legge, ed è la legge che dovrebbe fare queste cose, arrestare la gente, intendo, non un branco di farabutti, e tocca a un giudice e a una giuria condannarlo a morte, se è il caso. E stavolta mi sembra proprio il caso. — E il droghiere, che fine ha fatto? — chiese Sunset. — Ha provato a entrare come un vero duro, e ci ha rimesso una gamba. Ha fatto meno strada dello sceriffo. Non era neanche a due metri dalla macchina, qui, che Smoky ha tirato fuori il fucile e l'ha beccato. Io gliel'avevo detto di lasciar perdere, ma credete che mi è stato a sentire? No. Nessuno mi ascolta. L'hanno portato dal segaossa a Tyler. Quello che abbiamo qua è buono soltanto per i raffreddori, ed è bene evitare le sparatorie, con lui. Razza di stupido coglione, entrare là dentro in quel modo. D'ora in avanti, al lavoro ci andrà saltando su una gamba sola. — Che è successo al mulo? — chiese Hillbilly. — Smoky ha tirato un secondo colpo al droghiere, che stava strisciando dietro la macchina, laggiù; il mulo si è spaventato, è sfuggito al suo padro-
ne ed è corso fin qui. Così Smoky l'ha stecchito. — Perché? — E che ne so. — Che razza di fucile avrà mai? — chiese Clyde. — A pompa? — Esatto, — disse Rooster. — Cazzo, — disse Clyde. — È ancora dietro la porta, questo Smoky? — Non lo so, e non voglio saperlo. Oh, per la miseria. Ecco Phillip Macavee. Sunset si voltò. Un tipo di bassa statura, con un cappello alto e nero e una pancia cui avrebbe fatto comodo una carriola, stava attraversando la strada, muovendosi nel fango quasi a tempo di marcia. Anche la folla si stava ringalluzzendo. La gente usciva da dietro le macchine e si metteva in posizione, come ad attendere soltanto l'ordine di Macavee. — Chi sarebbe questo Macavee? — chiese Sunset. — È il proprietario di un pozzo. Uno che pensa che avere dei soldi non gli faccia puzzare l'uccello... Oh, mi scusi, signorina. — Nessun problema. — Un tempo raccoglieva la spazzatura con un camioncino. Ma ha fatto fortuna col petrolio. È un tipo che riscalda gli animi. Il primo a dire che dovremmo dare fuoco al palazzo. È lui che ha incitato il droghiere. Il pensiero di un negro impiccato e mandato arrosto è proprio quel che ci vuole per conciliargli il sonno. — Se proprio quel negro deve sparare a qualcuno, — disse Rooster un attimo prima che Macavee li raggiungesse, — spero che lo faccia adesso e becchi proprio lui. Macavee non si fermò fin quando non fu di fronte a Sunset. La scrutò per un istante. — Mi ascolti, signorina, — disse. — Dovrebbe togliersi il distintivo. Dovrebbe essere a casa a badare ai bambini, o alle bambole. Non stiamo giocando, qui. Io e certi ragazzi pensiamo che sia il caso di arrivare con una macchina davanti alla porta sparando all'impazzata, mentre qualcun altro cerca di entrare dal retro. Se non riusciamo ad avvicinarci abbastanza per sparargli, al negro, possiamo sempre dar fuoco a un bel po' di benzina e bruciare ogni cosa. Cinema, sala attrazioni e quella testa di cazzo. Sunset sfilò la pistola dalla fondina, e con un movimento ben più veloce di quanto lei stessa potesse immaginare, fece correre la canna lungo il corpo di Macavee, passandogliela sopra la spalla fino a raggiungere la ma-
scella. Fu un bel colpo. Si udì un tonfo sonoro: la testa di Macavee schizzò in alto e il cappello volò via. L'uomo parve concentrarsi su Sunset per un solo istante, poi cadde dritto verso di lei. Sunset si spostò appena in tempo per farlo finire con la faccia nel fango. La fronte dell'uomo andò a sbattere sul bordo del marciapiede di legno. Vi fu un attimo di silenzio. Sunset guardò la folla. Un sacco di gente aveva la bocca aperta. — Se qualcuno fa tanto di venirmi a prendere, — disse lei, — il primo colpo glielo sparate sopra la testa. Il secondo, per fargli male. — Fargli saltar via una gamba come lo consideri? — chiese Clyde. — Mi prenda un accidente, — disse Rooster guardando Macavee. — Magari ci avessi pensato io. Gli ho soltanto detto di chiudere il becco. Morgan fece rotolare Macavee sulla schiena. Sulla fronte l'uomo aveva una striscia di sangue, là dove aveva colpito il marciapiede, e il volto era tutto una crosta di fango. — Non l'avrà fatto secco, eh? — chiese Sunset. — Naa, — disse Clyde. — Ma quando si risveglia, puoi raccontargli che sta facendo la cameriera su un casinò galleggiante, e vedrai come abbocca. — Ho seguito il tuo consiglio. — Non c'è dubbio. Proprio come faceva Pete. La folla, che fino ad allora aveva seguito Macavee, decise di arretrare di un passo. — Forza, gente, — disse Sunset. — A Smoky basterebbe puntare e fare fuoco, per ridurre in briciole una buona metà di tutti quanti voi. La folla borbottò e continuò a retrocedere, sistemandosi dietro le macchine o in altri luoghi che sembravano sufficientemente al riparo. Sunset rinfoderò la pistola e si rivolse a Rooster. — Be', credo che Smoky debba essere arrestato. — C'eravamo arrivati anche noi, — disse Morgan. — E pure lo sceriffo. Ma non ha funzionato. — Dovrò andare dentro a prenderlo. — Ci sta prendendo in giro, non è vero? — chiese Morgan. — Non credo proprio. — Guarda che sei qui per dare una mano, — disse Clyde. — Non per eseguire un arresto. Sunset gli sorrise e passò davanti alla macchina per montare sul marciapiede.
— Signorina, — disse Rooster, — non è il caso. — Ci va dentro lei, a prenderlo? — gli chiese Sunset. — No, io no, — rispose lui. — Morgan? — Non è questo il mio piano. Sunset guardò Clyde. — Allora abbiamo terminato le forze a disposizione. Resto soltanto io. — E io, — disse Clyde. — Toccherà unirmi alla brigata, — disse Hillbilly. — Ma voglio che qualcuno sappia che per quanto mi riguarda si tratta di una pessima idea. — Obiezione accolta, — disse Sunset. — E che questo qualcuno magari non venga ammazzato, così potrà raccontare a tutti che io l'avevo detto. — Ti copro io, — disse Rooster. — Sia per raccontarlo ai posteri, sia con la pistola. Ma davanti a quella macchina non ci vado, e le consiglio di tornare qua, signorina. — Vado io, — disse Clyde. — No, tu no, — disse Sunset. — Sono ancora il capo. Dammi lo sfollagente. Sunset si aprì i primi due bottoni della camicetta, prese lo sfollagente che le porgeva Clyde e se lo infilò tra il reggiseno e il braccio sinistro. Poi iniziò ad avanzare in direzione del cinema. — È venuto il momento di dirle che non ho una gran mira, — disse Rooster. Sunset si fermò. — Almeno voi due, riuscite a beccare qualcosa? — Non saprei colpire il culo di un elefante con un'asse, neanche a stargli dietro, — disse Hillbilly. — Io sì, — disse Clyde. — Allora buttati sul cofano e tieni sotto tiro la porta. Clyde si sporse sul cofano e puntò la pistola. — Non passarmi davanti, — disse. — Se quello fa tanto di mettere fuori la testa, gliela faccio saltar via senza neppure dirgli ciao. E sta' attenta, che finisci dritta nella merda di mulo. A pistola spianata, Sunset raggiunse la porta semiaperta. Smoky non era là. Scavalcò il cadavere dello sceriffo. Il sangue sul pavimento era quasi rappreso, e le si attaccava alle suole come gomma. Nei paraggi c'era una scatola di piatti regalo, rovesciati e rotti.
Sunset lasciò impronte di sangue fino all'androne buio, da cui arrivavano le voci del film. Infilò la testa all'interno. Le ci volle qualche attimo per abituarsi, ma riuscì subito a scorgere la testa di Smoky. Era seduto in una poltroncina laterale, il fucile appoggiato alla spalla come una sentinella. Sunset ignorava le sua capacità di tiratrice. Poteva beccarlo da dove si trovava, ma se l'avesse mancato, be', sarebbe scoppiata una sparatoria in piena regola. E sospettava, in questo caso, di non avere grandi possibilità di successo. Smoky ne aveva già fatto secco uno, azzoppato un altro, stecchito un mulo. Una donna dai capelli rossi con un distintivo da poliziotto non era poi un bersaglio così difficile. Mise via l'arma. — Smoky, — disse. Lui si girò lentamente, come non avesse sentito. Sunset non lo vedeva in volto: era solo un nero immerso nell'ombra e nei bagliori dello schermo. — Mi chiamo Sunset. Rappresento la legge a Camp Rapture. — Dove c'è la segheria? — disse Smoky. — Già. — Ma sei una donna. — Lo notano tutti. — Sicura che sei lo sceriffo? — Rappresentante della legge. Quasi lo stesso. Sono qui per portarti fuori e farti arrestare. Questo è il mio compito. — Mi impiccheranno. Prima però mi tagliano le palle, per farmi soffrire di più. L'ho già visto fare una volta. Gli hanno anche dato fuoco, a quello, poi l'hanno appeso alla corda. — Non succederà, parola mia. — Lo dici tu. — Ho della gente, là fuori, che farà in modo che non succeda. — Allora finirò sulla sedia elettrica. — Avrai un giusto processo. — Alla gente di colore non toccano processi giusti. — Hai ucciso un uomo, Smoky. — Non avevo niente, contro lo sceriffo. Era un brav'uomo. Volevo soltanto guardarmi un film. Non ne avevo mai visto uno, prima. Uno dovrebbe poterselo vedere, un film. E ci dovrebbe essere un settore per i neri. Potrebbero mettere una tenda, tra noi e loro, o roba del genere, così non gli toccherebbe vedere le nostre facce. — Se non vieni via con me, Smoky, finirai per essere linciato. — Tanto mi ammazzeranno lo stesso. In maniera pulita e legale.
— Ma non certo a brache calate, torturato e fatto a fettine. E tutti che godono alla tua umiliazione. Preferisci così? Smoky tornò a guardare il film. — Di quel droghiere, non me ne fregava niente. E i muli non mi piacciono. Sunset si fece avanti e scivolò nel posto dietro Smoky. — Mi lasci finire di guardare il film? — le chiese lui. — Si può fare. — Fino ad allora, il fucile resta a me. — Lo dirò a quelli fuori, — disse Sunset. — Quei baffi mica sono veri, no? — Come? — Non i tuoi. Quel tipo del film, mica i suoi baffi sono veri, eh? Sunset guardò lo schermo. — Secondo me sono disegnati. — Pensavo anch'io. Dovrebbe far ridere, questa cosa, no? — Adesso vado fuori a dirglielo. — Mi è toccato far partire quest'affare, com'è che si chiama? Macchina da presa? — Proiettore, credo. — Altrimenti come facevo a vederlo dall'inizio? Ho cercato di capire come funzionava. Sono sempre stato bravo, in queste cose. Avrei potuto lavorarci, qui. — Adesso vado, Smoky. — Ce l'ho proprio sfregato ben bene su questa sedia, il mio culo nero, ecco. Non dire niente a nessuno. Così qualcuno verrà a sedersi proprio qua. — Resterà tra noi due. Sunset si alzò lentamente e uscì dalla sala. — Davvero pensa che glielo lasceranno portare fuori alla fine del film? — disse Rooster a Sunset. — Non so cos'ha bevuto lui, ma deve avergliene offerto un po'. — Perché non gli porta un bel cestino da picnic, quando rientra? — disse Morgan. — Un po' di pollo, magari, e del pane bianco. E una fetta di torta. — Non è una cattiva idea, — disse Sunset. — Hillbilly, va' alla tavola calda e senti se hanno qualcosa di pronto. Di' loro che è tutto a carico della polizia. Fatti firmare una ricevuta. Hillbilly si avviò ciabattando nel fango.
— A chi toccherà pagare? — chiese Rooster. — La città è vostra, e così anche il conto, — disse Sunset. — Non posso credere che lei voglia rientrare là dentro, — disse Morgan. — E con un cazzo di cestino da picnic. — Sempre meglio di una sparatoria, — disse Sunset. — Vengo anch'io, — disse Clyde. — Non voglio spaventarlo, o fargli pensare che mi sto rimangiando la parola. — Perché non gli facciamo vedere un altro film, magari dei cartoni animati? — disse Morgan. — Cazzo, donna, perché non gli offre un po' di passera? Prima che Sunset potesse rispondere, Clyde sferrò un cazzotto alla mascella di Morgan. L'uomo fece una sorta di balletto, girò su se stesso e cadde a faccia in avanti nella pila di sterco di mulo, proprio accanto al culo dell'animale. — Ci teneva tanto, ad arrivare fin lì, — disse Clyde, — e finalmente ce l'ha fatta. — Quella gente ti ha visto, — disse Rooster. — Ti ha visto colpire un funzionario di polizia, Clyde. — Già, — rispose lui. — Ma visto che anch'io sono una sorta di poliziotto, forse riusciamo a pareggiare il conto. Hillbilly arrivò quasi di corsa in mezzo al fango con un piatto coperto da un tovagliolo a scacchi bianchi e rossi. — Mi è toccato portarlo via a un tizio. Non era affatto contento. Da bere, non ho trovato nulla. È solo pollo e focaccine. — Da' qua, — disse Sunset, e si avviò verso il cinema. — Che è successo a Morgan? — chiese Hillbilly. — Svenuto, — rispose Clyde. — Morgan è da un paio di minuti con la faccia nella merda, — disse Rooster appena Sunset fu scomparsa all'interno del cinema. — Hai ragione, — disse Clyde. — Dovremmo girarlo, — disse Rooster. — Ci sto pensando su. Sunset porse a Smoky il pollo e le focaccine. L'uomo prese il cibo e si mise a mangiare, continuando a guardare il film. Anche Sunset guardò lo schermo, ma non riusciva a distinguere le parole. Le sue orecchie si rifiutavano di ascoltare. Non faceva che pensare a Smoky e al suo fucile. E-
strasse la pistola, senza fare rumore, e se la mise in grembo, coprendola con la mano. Al termine del film Smoky posò il piatto in terra, nel corridoio, si alzò e consegnò il fucile a Sunset. — Tanto è scarico. Altrimenti mi sarei già sparato. Avevo solo le cartucce che ho usato. Non avrei dovuto colpire lo sceriffo. — Usciamo, Smoky. — Sono riuscito a vedere un film. — Davvero, — disse Sunset. — Forse dovrei spegnere il proiettore. — Va bene così. Ci penserà qualcun altro. Risalirono il corridoio e, giunto alla porta, Smoky si fermò davanti al cadavere dello sceriffo. — È successo così in fretta, — disse. — Ho alzato il fucile e gli ho sparato. Senza nemmeno pensarci. — Clyde! Hillbilly! — disse Sunset. — Datemi una mano. Con Smoky tra Clyde e Hillbilly, il gruppetto raggiunse la macchina della polizia, dove li aspettava Rooster, a pistola spianata. Morgan si era tirato su, e adesso sedeva sul marciapiede. Aveva la faccia piena di merda di mulo. Macavee era sul sedile posteriore dell'auto, il volto incrostato di fango. — Sembrano usciti da un minstrel show, — disse Smoky, — con la faccia così annerita. — Lo portiamo via noi, Smoky, — disse Sunset. — Per me va bene, — disse Rooster. Sunset infilò una mano all'interno della camicetta, prese lo sfollagente e lo porse a Clyde. — Forza, Smoky, datti una mossa, — disse. Tornarono a guadare il fango, passando davanti alla folla di bianchi borbottanti e ai negri che osservavano in silenzio. — Quei bianchi con le pezze al culo finiranno per dare l'assalto alla prigione e farmi secco, — disse Smoky. — Non ti portiamo in questa prigione, — disse Sunset. Lo condussero al camioncino e lo sistemarono nel cassone, in compagnia di Clyde e della sua doppietta. Hillbilly riuscì a partire senza grattare le marce più di tanto. — Hai avuto un gran coraggio, — disse poi. — Forse sì. — Dove lo portiamo? — Tyler.
Hillbilly allungò una mano a toccare quella di Sunset. — Sei proprio una donna coraggiosa, — disse. C'era un bel po' di strada, per arrivare a Tyler, e quando finalmente assicurarono Smoky alla prigione locale si era già fatto buio. Al ritorno fu Clyde a mettersi al volante, non apprezzando lo stile di guida di Hillbilly. Si infilarono nel cortile, e i fari del camioncino andarono a colpire il cagnone bianco e nero piazzato vicino alla pompa dell'acqua, facendolo schizzare subito nel bosco. — Poveraccio, — disse Sunset. — Gli lascio qualcosa da mangiare. — Così ti ritroverai pure un cane, — disse Clyde. — Mica male, — rispose lei. Hillbilly scese dal camioncino, prese Sunset per mano e l'aiutò a scendere a sua volta. — Ci vediamo domani, — disse. — Buonanotte, Sunset, — disse Clyde. — Certo che come rappresentante della legge non posso dipendere da un camioncino preso in prestito, — disse lei. — Metti che succeda qualcosa di notte. — Speriamo di no, — rispose Clyde. — Forza, Hillbilly, rimoviamoci. Ho bisogno di dormire. Se le tieni ancora un po' quella mano, finirai per staccargliela. — A domani, — disse Hillbilly. Clyde ripartì. Sunset vide che il cane si era accucciato sotto una grossa quercia, la testa sulle zampe, e la guardava. — Forza, amico, — gli disse. — Vieni. Ma il cane non si mosse. Allora provò ad avvicinarsi con cautela. Lui restò immobile, ma quando Sunset fu a tre metri di distanza fece un balzo e, ringhiando, si gettò di nuovo nel bosco. Sunset sospirò, si fermò a contemplare le stelle che riusciva a scorgere tra le alte cime degli alberi. Adesso che la pioggia era passata, il cielo era sgombro e le stelle splendevano ben visibili, fulgide come gli occhi di un neonato. Cercò di individuare il Gran carro, ma c'erano troppi alberi a ostacolarle la visuale. Niente di ciò che riusciva a distinguere le sembrava avere una qualche somiglianza con il Gran carro, e neanche con il Piccolo. Sotto la tenda, Karen dormiva, con un respiro sonoro e regolare. Il vesti-
to che si era messa quella mattina pendeva dalla spalliera di una sedia. Era sdraiata sul materasso con le coperte tirate fin sulla testa. La lampada sul pavimento bruciava gli ultimi residui di cherosene. Sprecare il cherosene era una cosa che mandava in bestia Sunset. Costava troppo. Ma questa volta si impose di non dire niente, di aspettare la prossima volta. Si tolse camicetta e gonna e le gettò sulla sedia, assieme ai vestiti di Karen. Aveva smesso di indossare sottoveste e busto, un vero scandalo da quelle parti. Per il lavoro che doveva fare, adesso, poteva capitarle di doversi muovere in fretta, e troppa biancheria intima la impacciava. Era una bella sensazione, sedersi in terra sull'orlo del materasso, in reggiseno e mutandine. A ripensare alla giornata appena trascorsa le venne la tremarella. Buon Dio, pensò, da quanto ti sei fatta così audace? Metti che Smoky avesse un'ultima cartuccia, in quel fucile, e non la volesse usare su se stesso. E allora? Spense la lampada, s'infilò sotto le coperte e cercò di dormire, senza esito. Restò sdraiata per qualche tempo, udì muoversi qualcosa all'esterno. Sospettò che fosse il cane. Si rimise gonna e camicetta, prese la pistola e si avvicinò con cautela all'apertura della tenda, slegandone la falda. Respirò più volte, a fondo, poi lasciò andare la falda e uscì a piedi nudi nella notte. Del cane non c'era traccia, ma scorse comunque una sagoma che sgusciava in fretta nel bosco. Un uomo. Grande e grosso. — Chi va là? — gridò, ma non vi fu risposta, solo il ronzio di una zanzara nell'orecchio. Abbassò lo sguardo e vide una bottiglia di latte, vuota, proprio accanto all'ingresso della tenda. All'interno recava un foglio di carta arrotolato. Per un po' Sunset rimase a scrutare il bosco, infine si decise a raccogliere la bottiglia, tornare dentro, richiudere la tenda. Andò nella zona ufficio, dietro il divisorio di coperte e trapunte, mise la pistola sul tavolo, accese la lampada ed estrasse il foglio di carta dalla bottiglia. Poi lo spiegò sul piano del tavolo. Smokey mio cuggino - m'hano deto coss'ahi fatto - hai fatto bene sei stata giusta con lui - ora lui si becca quel che si merita ma tuti sei comportata bene con lui e io ti ho no io ti volgio aiutare ogni volta che ti serve chiama pure per ogni cosa che vuoi - io ce ne sono di tutti i ti-
pi di cose che so. Bull Bull. Aveva sentito parlare di Bull. Ammesso che fosse la stessa persona, ma su questo non c'era dubbio. Quanti Bull ci potevano essere? Si chiamava Bull Thomas, ed era un omaccione di colore che viveva nel fitto del bosco. Si diceva che fosse alto quasi due metri e largo uno, e a giudicare dalle sue impronte nel bosco, di scarpa doveva portare almeno il sessanta. Per questo motivo, aveva la fama di esserseli fabbricati da solo, gli scarponi. Pareva che avesse usato la pelle del culo di un bianco. Un tizio che si aggirava nel suo territorio, al quale Bull aveva sparato poi, appunto, portato via la pelle del culo. Il pensiero la fece sorridere. Ma chi era stato a mettere in giro questa storiella? Lo stesso bianco, che ne aveva cavato le gambe giusto per parlarne? Ferito, senza più culo, che strisciava fuori del bosco solo per raccontare la sua avventura? La verità era che il regno di Bull era cosparso di trappole, così come la sua casa. Le aveva installate qualche anno prima, quando i membri del Klan avevano deciso che aveva alzato troppo la testa. Si erano infilati nel bosco, a cavallo, per andare a dargli una bella lezione. Uno dei cavalli era finito in una trappola da orsi, ed erano stati costretti a sopprimerlo sul posto. Uno dei cavalieri del Garofano bianco era caduto in una fossa e si era spezzato una gamba, mentre a un altro Bull aveva piazzato una pallottola in un braccio. Il Klan aveva quindi deciso che Bull non era più un suo obiettivo; scordiamoci il passato, aveva fatto sapere in giro, perché a sua volta Bull aveva fatto circolare la voce che la prossima volta avrebbe sparato per uccidere, che quei lenzuoli bianchi non gli facevano il benché minimo effetto (anzi, ce li aveva anche lui, in casa, ma era così astuto da usarli per il letto, non per metterseli in testa). Per quanto ne sapeva Sunset, Bull era l'unico nero che potesse parlare in quel modo a dei bianchi senza subirne le conseguenze. In parte perché semisepolto nei più oscuri meandri del bosco, circondato dalle sue trappole, in parte perché non era il tipo da lasciarsi spaventare da chicchessia né da porgere l'altra guancia, e in parte perché la sua fama di miglior distillatore di whisky della zona era tale che un sacco di bianchi preferivano lasciarlo tranquillo. Sunset arrotolò il foglio e lo rimise nella bottiglia. Scovò una torcia,
spense la lampada, passò nell'altro settore della tenda e si mise a frugare tra le provviste. Trovò delle focacce di farina di granturco che aveva preparato a suo tempo, ormai dure come pietre, le portò fuori e si diresse alla quercia sotto cui aveva visto il cane. Sistemò le focacce sul terreno e chiamò l'animale, che non si fece né vedere né sentire. Sunset raccolse le focacce, tornò indietro, si svestì ancora una volta e si infilò a letto, la pistola al fianco. Ce ne volle, ma alla fine riuscì ad addormentarsi, e sognò il cadavere del neonato, sognò Pete e perché mai si fosse preso la briga di andare a seppellire quel povero bambino. Poi sognò il film dei fratelli Marx, Smoky e il suo fucile, quell'altro povero cristo dello sceriffo che ci aveva lasciato le penne al pari del mulo. Continuò a rivedersi, in sogno, tirare fuori la pistola, come un lampo, e piantarla tra l'orecchio e la mascella di Macavee, e lui che finiva a faccia in giù nel fango; poi toccò a Morgan preso a cazzotti da Clyde, e finito anche lui a faccia in giù dentro il gentile omaggio del mulo. In sogno, le venne da rabbrividire. Poi da ridacchiare. All'alba Sunset si rigirò nel letto e vide la testa del cane appena dentro la tenda. L'animale aveva le zampe sotto il mento e la osservava. Sunset si alzò con calma. Il cane sollevò la testa. — Buono, amico, — disse lei. Gli si avvicinò un centimetro alla volta, la mano tesa. A un certo punto il cane indietreggiò e uscì dalla tenda. Sunset riprese le focacce di granturco, slegò il lembo della tenda e uscì. Il cane si era di nuovo accucciato, le zampe sotto il mento. Sunset gli porse una focaccia, con la mano destra. Le altre le reggeva con la sinistra. — Va tutto bene, — disse. — Lo so cosa vuol dire, perdere una famiglia. Io li ho fatti scappare via tutti. Immagino che tu, alla tua, non abbia certo sparato, no? Il cane la guardò, girò la testa da una parte all'altra, si mosse in avanti con cautela, arraffò la focaccia, arretrò e la ingollò in un colpo solo. Sunset gliene porse una seconda. Il cane si mosse poco alla volta, ma prese anche quella. Questa volta senza arretrare. Sunset gliene dette un'altra. E un'altra ancora. Quando gliele ebbe date tutte, riuscì finalmente ad allungare la mano e accarezzargli la testa. — Vuoi diventare il mio cane? Io non ti abbandonerò mai. Promesso.
Lui le leccò la mano. Al risveglio di Karen, Sunset si era già vestita e stava preparando la colazione. Pancake. Aveva anche versato un po' di sciroppo di melassa in una padella e lo stava riscaldando sul fornello. Il cane era sdraiato sul pavimento, ai piedi di Sunset. Sunset si voltò, vide Karen che si stava alzando. — Fa' attenzione, — disse. — È ancora un po' su di giri. — Morde? — Tutti i cani mordono, prima o poi. — E pensi che mi morderà? — No, se ti comporti bene. Non spaventarlo. — Non mi sembra spaventato. Sunset sorrise. — Non avevo burro. Ma lo sciroppo è già caldo. Tra un minuto sarà pronto. — E lo teniamo con noi? — Sì. Gliel'ho promesso. Deve averne già sentite a sufficienza, di promesse fasulle. — Come si chiama? — Ben, mi sembra. Almeno, Clyde ha detto così, e io intendo chiamarlo Ben. Tuo padre non mi ha mai lasciato tenere un cane. — Anch'io ne ho sempre desiderato uno. — È proprio un vecchio bestione, no? Karen annuì, si tirò su lentamente e scese dal letto. — Allunga la mano, — le disse Sunset. — Con calma, e avvicinati piano piano. Karen ubbidì. Il cane si alzò in piedi e le leccò la mano. — Gli piaccio, — disse la ragazza. — Come dargli torto. Karen si chinò ad abbracciarlo. Il cane le leccò l'orecchio. — Ciao, Ben, — disse Karen. — Lavati le mani, prima di mangiare, — disse Sunset. 12. Dopo circa una settimana di lavoro - vale a dire starsene seduti per la maggior parte del tempo attorno alla tenda di Sunset, consegnare un atto
ipotecario e cacciare da Camp Rapture un ubriaco al termine di una rissa -, una mattina Clyde finì per svegliarsi col pensiero di Sunset in testa. L'aveva sognata, e in sogno se l'era pure fatta, ma la verità era che mai e poi mai sarebbe riuscito ad averla. Non con Hillbilly tra i piedi. Aveva anche sognato di ammazzare Hillbilly picchiandolo a morte con un pollo, per poi seppellirlo in cortile insieme al pennuto. Un sogno che gli era piaciuto quasi come quello in cui si portava a letto Sunset. Clyde sedette sul bordo del letto e si guardò attorno. Giornali, cianfrusaglie d'ogni tipo. Restava libero solo un passaggio tra il letto e la porta. E il resto della casa, nelle stesse condizioni. Anzi, peggio. Come poteva pensare di risultare attraente per una donna, con una casa ridotta a un cumulo di merda? Cazzo, pure lui era un cumulo di merda. Potevi piazzarla a tuo piacimento, la merda, sistemarla come ti pareva, ma alla resa dei conti sempre merda era. E le cose gli erano sempre andate così. Poi, quando Sunset aveva fatto secco il marito, aveva colto una sorta di venticello, simile a quello che viene da una porta socchiusa: una porta che lui aveva tutte le intenzioni di varcare. Che si apriva su una stanza al cui interno c'erano soltanto lui e Sunset. Una possibilità che fino a quel momento non si era mai manifestata, ma che adesso... La voleva. E voleva essere ricambiato. E, per la prima volta da chissà quanti anni, si stava preoccupando dell'aspetto della sua casa, oltre che del suo. Ed era preoccupato a morte dalla presenza di Hillbilly. Quel figlio di puttana poteva rotolarsi nel fango e uscirne un fiorellino. Sembrava creato apposta per le ragazze. Slanciato e di bell'aspetto, capelli folti e poco naso, poche orecchie o peli sulla schiena. Cazzo, di sicuro aveva lisce anche le palle. Clyde si infilò i calzoni e percorse il sentiero di giornali fino alla stanza in cui dormiva Hillbilly. Era grande, come stanza, ma sembrava piccola per la gran quantità di masserizie che vi erano accatastate, delle quali Clyde non conosceva più l'origine o il motivo della presenza. Hillbilly dormiva su un materasso sul pavimento. Accanto a lui, un pentolone pieno d'acqua piovana, venuta giù dal soffitto, e di insetti annegati. Faceva veramente schifo. Clyde non ci aveva mai fatto caso prima d'ora, ma faceva veramente schifo. — È ora di alzarsi, — disse. Hillbilly si girò lentamente e sbatté gli occhi. — È già l'ora? — Oggi vai tu. Di' a Sunset che mi serve un po' di tempo libero, ma che
tornerò subito. Non lascio il lavoro. E se proprio ha bisogno di me, vieni tu a prendermi. C'è il camioncino, là fuori. Quando Hillbilly fu partito, Clyde uscì a esaminare quella casa vecchia e sgangherata. Poi rientrò, per trascinare all'esterno una tela cerata che aveva messo da parte. Era rotta in alcuni punti, ma in linea di massima ancora intera; la legò tra gli alberi, portando fuori qualche altro oggetto di cui riteneva di aver bisogno: armi, munizioni, pentolame vario, lampade eccetera. Ficcò tutto sotto la cerata. Passò una buona mezza giornata impegnato nel trasbordo, e ben presto si rese conto che stava semplicemente spostando fuori quel che era dentro, senza mutare di una sola virgola il nocciolo della questione. Ci pensò su, riportò in casa qualche oggetto, uscì di nuovo e si ficcò un dito in bocca per inumidirlo, poi lo levò in aria. Non c'era un alito di vento. Andò a prendere dei fiammiferi e ne accese uno su una catasta di giornali, così umidi e incollati l'un l'altro che la fiammella si spense subito. Si procurò del cherosene e lo sparse per tutta la casa. Uscendo, ci gettò sopra un fiammifero. Poi, all'esterno, rimase in osservazione, nella speranza che il vento non cambiasse portando il fuoco verso il bosco. Restò stupito della velocità con cui la casa si incendiava. Ben presto le fiamme sbucarono dalla porta aperta e dalle finestre rotte. In casa già crepitavano, le sentiva benissimo. I giornali di dieci anni prima, con le loro ultime notizie, salivano dritti al cielo su un pennacchio di fumo. Il fuoco saltò fuori anche dai buchi nel tetto, che le fiamme avevano ricoperto quasi all'istante come una sorta di copricapo, e pure dal camino proruppe un fumo nerastro. I vetri delle finestre andarono in mille pezzi. Tempo un'ora, e della casa non era rimasto più niente eccetto il camino, privo ormai di sostegno, che rovinò ugualmente al suolo con un rombo di tuono, lanciando mattoni per ogni dove. Da quando Clyde aveva appiccato il fuoco al momento in cui le fiamme avevano avuto ragione del legno annerito, dei vetri rotti e dei mattoni sparpagliati, non erano passate neanche due ore. Dopo un po', Clyde prese la vanga che aveva messo sotto la cerata e cercò di spegnere i focolai d'incendio spargendo cenere qua e là. Cominciò a tirare su acqua dal pozzo, per gettarla sui punti che riteneva più pericolosi e, se lasciati fare, in grado di riprendere vigore. Le sedie le aveva risparmiate, portando anch'esse sotto la cerata. Ne pre-
se una, vi si sistemò e si attaccò a un'altra delle sue ancore di salvataggio: una bottiglia di whisky. Era roba da poco e si sentiva, tutta alcol e niente gusto. Verso la fine del pomeriggio decise che non era poi tanto male e se la scolò tutta, per poi addormentarsi sulla sedia. Una serie di piani gli brulicava in testa. Avrebbe messo su una nuova casa, senza giornali né carabattole, muffa o umido, senza tetti bucati né tanfo di sterco di gallina. Una casa nuova di zecca, dipinta di bianco e col tetto in buone condizioni, con un camino altrettanto nuovo, fatto di malta e mattoni rossi. Nel sonno, decise che gli sarebbe piaciuto bruciarsi da capo a piedi, proprio come la casa, per potersi ricostruire e magari prendere l'aspetto di Hillbilly. Chissà se esisteva un progetto già pronto, per un affare simile. Da nero il fumo si era fatto bianco, e aveva preso a sbuffare per poi estinguersi del tutto. Era quasi buio - e Clyde ancora se la dormiva della grossa - quando iniziò a cadere una pioggerella che finì per smuovere la cenere e far sorgere altro fumo. Poi fu la volta dei tuoni e dei fulmini, ma Clyde neanche se ne accorse. Più o meno mentre Clyde sonnecchiava sotto la cerata e la pioggia cadeva sui resti della casa fumante, Zendo fermò il camioncino davanti alla tenda di Sunset. Ne scese e si avvicinò con cautela. Non cercò di sollevare il lembo della tenda, ma rimase a una distanza di rispetto e chiamò Sunset. — Signor Capo. Signora Jones. Sunset, Hillbilly e Karen erano seduti a giocare a carte nella zona ufficio. Si alzarono e uscirono. Piovigginava. Zendo se n'era tornato sul camioncino, e reggeva tra le mani il cappello come fosse un volante. La pioggia gli grondava giù per il volto e gli infradiciava ancor più i vestiti. — Zendo, — disse Sunset, — sembri uno che ha visto un fantasma. — No, signora. Nessun fantasma. Ho visto di peggio. Karen, con suo sommo dispiacere, fu lasciata alla tenda. Sunset e Hillbilly seguirono Zendo sul camioncino di Clyde. Guidava Hillbilly. Raggiunsero l'albero sotto il quale si erano incontrati per la prima volta, si fermarono e scesero dal camioncino. Zendo aveva tolto i finimenti ai muli e legato le bestie a due diversi al-
beri, per evitare che si incrociassero. L'aratro era rovesciato su un fianco, con la lama centrale ancora attaccata. — Vi faccio vedere, — disse il nero. S'incamminò. Sunset e Hillbilly gli andarono dietro. — Avevo deciso di rivoltare le zolle di un altro po' di terra. Aggiungere qualche filare dalle parti del bosco, là dove ho trovato il vaso col bambino. Be', insomma, l'aratro l'ha beccato. Fece segno col dito. Tutti abbassarono lo sguardo. Dal terreno spuntava un oggetto scuro e sferico, la cui sommità era ricoperta da materia unta e filamentosa. La lama dell'aratro l'aveva spaccato, e al suo interno, là dove era stato rotto, dava l'impressione di contenere del sughero vecchio e marcio. — Qualche ortaggio? — disse Hillbilly. — Nossignore, no, — disse Zendo. — Venite da questa parte —. Lo seguirono. — Guardate qui. Sunset si accucciò e voltò il capo. Quella rapa gigante aveva una cavità oculare. Piena di terriccio scuro. Sotto gli occhi c'era un lembo di naso, e sotto il naso un labbro ormai mezzo scomparso, mentre il pezzo superstite sembrava essersi prosciugato come un verme su una piastra rovente. Il labbro era a tal punto arricciato da far scorgere a Sunset una fila di denti macchiati di tabacco. — Mio Dio, — disse la donna. — È per caso un cocomero? — chiese Hillbilly. — No, — fece Sunset. — Naa, nessun cocomero, — disse Zendo. Hillbilly si chinò a guardare. — No. Non è un cocomero. Fu un lavoro lungo, lento e faticoso, perché dal corpo continuavano a staccarsi pezzi. Quando riuscirono a estrarlo, si accorsero che era stato piantato dritto in terra, come un palo. Il cadavere era ricoperto di una sostanza scura e appiccicosa. — Proprio come il bambino nel vaso, — disse Zendo. — Tutto unto. — Questo petrolio c'è anche nella tua terra? — chiese Hillbilly. — In questa terra non c'è nessun petrolio, — disse Zendo. — Niente vermi, — disse Sunset. — Quindi non può essere qui da molto. — Sarà per via di quella roba unta. Ha impedito al corpo di marcire, tutto o in parte. I vermi mangiano quel che devono mangiare. Il resto, lo la-
sciano lì. — Va' a pensare che un verme ha pure dei gusti particolari, — disse Hillbilly. — Per come fa caldo, — disse Sunset, — sono stupita che non ne siano rimaste solo le ossa. — Il tempo, non c'è verso di prevedere cosa ti combina, —disse Zendo. — Non è vestito, — disse Hillbilly, ma non riesco lo stesso a capire se è uomo o donna. — È una donna, — disse Zendo. — Come fai a saperlo? — La larghezza delle anche, — disse Zendo. — Ci sta che avesse già avuto un figlio. — Chissà se era bianca o nera, — disse Sunset. — Bianca, — fece Zendo. — Quella roba che ha sulla testa non è tintura. Sunset afferrò una ciocca di capelli e se la fece scorrere tra pollice e indice. Era ricoperta di petrolio, ma liscia e sottile. — Forse hai ragione, — disse poi. — Hai un lenzuolo o una vecchia coperta, Zendo? Qualcosa per portare via il corpo. — Posso andare a vedere a casa. — Dici davvero? — Lui è proprio sicuro che sia bianca, — disse Hillbilly non appena Zendo se ne fu andato. — Io non riesco a guardare quel pezzo di carne guasta e capirci qualcosa. Ma lui lo sa, che è una donna, ed è pure certo che sia bianca. — Pensi che sarebbe venuto a chiamarci, se fosse stato lui? — chiese Sunset. — Sarebbe un bel modo per mandarci fuori strada. — No, — disse Sunset. — È sconvolto proprio come noi. — Un assassino può anche avere dei rimorsi per quel che ha appena fatto... Cosa ne pensate, della faccenda del petrolio? Sunset scosse il capo. — Non lo so. È strana. Anche il bambino era immerso nel petrolio. Non capisco. E perché diavolo questa gente finisce sepolta nelle terre di Zendo? — Tu sei troppo candida, Sunset. — Non lo sono più tanto, — rispose lei. — Occhio a Zendo. Non mi fido. — Secondo me è un tipo a posto, — disse Sunset. — Ora portiamo via il
corpo, ma tu non fare parola di Zendo né di dove l'abbiamo trovato. Di' solo che le indagini sono in corso. Ok? — Va bene. Riuscirono ad adagiare il cadavere nella coperta e a caricarlo nel cassone del camioncino di Clyde, per tornare poi a Camp Rapture. Trovarono Preacher Willie Fixx che pranzava a casa propria. — Be', insomma, — disse Willie aprendo la porta, a bocca ancora unta. Scrutò Sunset da capo a piedi e ritorno. — A cosa devo il piacere, Miss Jones? Viene a farsi battezzare? Secondo me non è stata battezzata, da piccola. Ho una veste che può indossare alla bisogna, e possiamo scendere al torrente, là dove è più profondo. — Sono qui per lavoro, — disse Sunset. — Questo è il mio vice, Hillbilly. — Hillbilly, — disse Willie. — Sto cercando di ricordare come l'avevo sentita chiamare. Mi sembrava «Bum». — Vagabondo, dice? — rispose Hillbilly. — No, quella è solo la mia attività principale. — Per lavoro, eh? — fece Willie. — Esatto, — disse Sunset. — Lei è l'unico, tra quelli che conosco, che può essermi utile, visto che ricompone i cadaveri per la sepoltura. Ma forse era meglio se andavo dal medico. — È un cadavere, quello nel camioncino? Sunset annuì. — Di chi si tratta? — Lo ignoro, — disse Sunset. — Pensavo che potesse dirmelo lei. Scoprire com'è morto, qual è il suo nome. — Dove l'ha trovato? — Non posso ancora dirglielo, — rispose Sunset. — Segreto istruttorio. — Sto finendo di mangiare. — Possiamo aspettare, — disse Sunset. — Portatelo sul retro. Capito dove? — Credo di sì, — disse Sunset. Mentre Willie finiva di mangiare, Sunset e Hillbilly spostarono il camioncino sul retro, dove c'erano un basso portico e un grosso albero di pecan che faceva un sacco d'ombra. Scesero, fermandosi tra il veicolo e l'albero, e Sunset si appoggiò al tronco. Hillbilly le si accostò per poi avvici-
nare piano il volto al suo. Infine si baciarono. — Ne avevo una gran voglia, — disse lui. — E io non vedevo l'ora, — rispose Sunset. — Ma non è questo il luogo, né il momento. Comunque gli restituì il bacio. — Dovrà bastarci per qualche tempo, — disse. — Immagino, — disse Hillbilly. — Stai tremando. — Vorrei vedere. Cinque minuti più tardi Willie spuntò dalla porta posteriore tergendosi la bocca con la manica. Lanciò un'occhiata nel cassone del camioncino, al cadavere sotto la coperta. — Ormai è andato, — disse, sollevandola. — Eh, sì. Proprio morto. Sapete se è un bianco o un negro? — No, — rispose Hillbilly. — Il corpo è stato messo nel petrolio, che gli ha dato un colore scuro. Oltre a questo, be', è davvero andato a male. — Vediamo un po', — disse Willie. — È una donna. Si capisce dall'ampiezza del bacino. Sunset guardò Hillbilly. Lui fece spallucce. — Vediamo, — ripeté Willie arrampicandosi sul cassone. — Di occhi, neanche a parlarne, ma sembra che ci sia ancora qualche capello. Willie prese una ciocca tra pollice e indice. — Troppo sottili per una negra. Direi che si tratta di una donna bianca. Forse dovrei pregare per lei, visto che è una bianca. — E se poi fosse nera? — chiese Sunset. — Non le farebbe certo male. Cazzo, anche pregare per un cane non è poi questo gran danno. Solo che quelli, quando muoiono, non hanno un posto dove andare. Portatela dentro. Hillbilly e Sunset afferrarono i capi opposti della coperta e tirarono il cadavere giù dal camioncino. Poi seguirono Willie all'interno. La stanza era piccola e contro la parete c'erano tre bare in legno, oltre a un tavolo e al necessario per imbalsamare. — C'è modo di risalire alla sua identità? — Non c'è verso. Bisogna scoprire se qualche donna è scomparsa e corrisponde alla descrizione generale. Cercherò di misurarne l'altezza, e roba del genere. Ma è necessario che venga seppellita alla svelta. Già ce l'avete ritrovata, sottoterra, no? C'è del terriccio mischiato al petrolio, su tutto il corpo. — Già, — disse Sunset. — Era sottoterra.
— Mi potrebbe riuscire più facile capire di chi si tratta, se sapessi dove l'avete trovata, — disse Willie. — Magari è una che conosco. — In campagna, — rispose Sunset. — A ovest di qui, nei pressi del bosco. — Il terriccio, è anche il petrolio a farlo sembrare così scuro, ma è già parecchio scuro di suo. Non tutto, solo in parte. A sinistra è più scuro, a destra più chiaro. E c'è una sola persona che ha un terriccio del genere, da queste parti. Quel negro, Zendo. Immagino che l'abbiate trovata sul limitare dei suoi campi, che sono arati. Questo spiegherebbe il terriccio più scuro sul lato sinistro del corpo, mentre quello più chiaro sta a significare terra non arata. Cazzo, scommetto che l'ha trovata lui arando. Pensate che sia stato Zendo? — Io non ho detto nulla, — fece Sunset. — Tanto meno che Zendo c'entrasse in qualche modo. — Un terriccio del genere è come una firma. Lo sanno tutti che se quel negro ci butta un uovo, nei suoi campi, gli spunta una foresta di polli. È stata trovata nelle sue terre, senza dubbio. — Ok, — disse Sunset. — Il corpo è stato trovato nelle terre di Zendo, ma lui non c'entra niente. Parola mia. — Ne è assolutamente certa? — disse Willie. — Direi di sì. E vorrei che nessuno dicesse una parola sul luogo del ritrovamento. Altrimenti capirò subito chi è stato. Willie sorrise. — Non mi starà minacciando, eh, signora? — Io sì, — disse Hillbilly. Willie scrutò Hillbilly per un pezzo. — Non ho detto che avrei sparso la voce. Siete entrambi scortesi. — Io sono solo un po' sbattuta, — disse Sunset. — È stato un pessimo mese. — Lo immagino, — disse Willie, e porse la mano a Hillbilly. — Nessun rancore. Hillbilly gliela strinse. — Nessun rancore. Ma tenga comunque il becco chiuso. — Non ti sembra di avere esagerato? — disse Sunset. Erano di nuovo sul camioncino, diretti alla tenda di Sunset. — Forse sì, — disse Hillbilly. — Ma non mi piaceva il suo tono. — Guarda che so cavarmela da sola. Se cominci a sostituirti a me senza necessità, la gente penserà che non sono in grado di fare il mio lavoro.
— Quel tipo non mi piace. — È un sentimento reciproco. Credo di non piacergli nemmeno io. — Ti sbagli. Gli piaci eccome. Basta vedere come ti guardava, specialmente quando eri distratta. — È per questo che ti sei scaldato così tanto? — Sarò onesto fino in fondo, Sunset. Non sono un tipo geloso. — Oh, — disse lei. Arrivarono alla tenda di Sunset, e trovarono Ben che dormiva sotto un albero, sdraiato sulla schiena e con le zampe per aria. Il cane girò il capo per guardarli ma, a differenza delle altra volte, non si mostrò spaventato né fece per scappare. — L'hai già viziato, — disse Hillbilly. — Mi auguro proprio di sì. La sua dose di vitaccia l'ha già avuta. Pure io, se è per questo. Entrarono e furono accolti da Karen, profumata e fresca di bagno, ben vestita e ben curata. — Ehilà, — disse Hillbilly. — Guarda che splendore. Così era, in effetti. Karen dimostrava più dei suoi anni. Si era sciolta i capelli neri, proprio come faceva la madre, e gli occhi scuri sembravano più lustri del solito. — Solo due straccetti, in realtà. Hillbilly sorrise. — Credo che butterò giù qualche appunto, — disse Sunset. — È così che faceva Pete, e mi sembra una buona idea. — Cos'avete visto? — chiese Karen. — Un cadavere, — disse Sunset. — E non sappiamo altro. — Pensavo di fare una passeggiata, — disse Karen. — Tu ne hai voglia, Hillbilly? — Vengo anch'io, sì, — rispose Hillbilly. — Non mi metto certo a prendere appunti. — Occhio ai serpenti, — disse Sunset. Nella zona ufficio, Sunset cercò gli appunti di Pete sul bambino trovato da Zendo. Ripensò al cadavere che aveva appena visto. Le sembrava ovvio che ci fosse un legame. Ma che genere di legame? Chi era la donna che avevano dissotterrato poco prima?
E Zendo ne sapeva più di quanto aveva detto? No. Non le tornava. Zendo sembrava sinceramente sconvolto. Certo, poteva pur sempre fingere, ma non le pareva realistico. Trovare un cadavere e andare a denunciare la scoperta, così come aveva fatto lui, poteva essere un buon sistema per togliersi i sospetti di dosso, a patto di essere bianco; ma per un nero... non aveva senso, visto che la gente di colore era già colpevole in potenza. No, no. Zendo stava davvero cercando di fare la cosa giusta. Altra domanda: il bambino era figlio della donna? In tal caso, perché i cadaveri erano stati ritrovati a distanza di tempo? E com'era la storia del petrolio? E perché nel campo di Zendo? E perché era stato necessario seppellire un cadavere in verticale, dritto come un palo? Sunset picchiettò con la matita sul tavolo, poi afferrò qualche foglio di carta e scrisse gli avvenimenti della giornata. Cercò di ricordarsi tutto quel che era stato detto e fatto. Al termine, si rese conto con sconforto di non avere la minima idea di come procedere con le indagini. Cazzo, pensò, conduco delle indagini. Come un detective. Che diavolo, io sono la legge. Io. Sunset Jones. La legge. Il Capo Sunset, potete scommetterci il culo. Ma non aveva la minima idea di cosa fare. 13. Quando la sbronza cominciò ad attenuarsi, Clyde si risvegliò col mal di testa e con il fetido odore del fumo nel naso. Nel guardare le rovine di casa sua, non si sentì così felice del suo gesto come in precedenza; ma, d'altra parte, nemmeno depresso. Non certo più di prima. Gli bastava pensare a Sunset per rendersi conto che le sue possibilità di stare con lei erano pari a quelle di un cacciatore di sparare a un'anatra e vedersela arrivare in terra già cotta e pronta per essere mangiata. Rimase per qualche tempo a considerare le rovine fumanti, poi si alzò. Fu come se un proiettile gli percorresse il corpo per schizzargli via dalla sommità del cranio. Whisky.
Pessima idea, pensò. Pessima idea. Tornò a sedersi, e via via che l'aria si faceva più fresca si sentì riempire dall'inquietudine, da un ritrovato vigore e dalla voglia di alzarsi. Si accostò al pozzo, tirò su un secchio d'acqua e se lo versò sul capo. Due volte. Ne tirò su ancora, per bere, e si rovesciò addosso quella rimanente. Trasse di tasca un pettine e si sistemò i capelli, sperando di non sembrare troppo ridicolo. Imboccò il viottolo che portava alla strada principale. D'un tratto si ritrovò a camminare di buon passo. Sentiva la testa ondeggiare, come stesse per svitarsi dal collo. E gli pareva che all'interno del cranio avessero appena disputato un rodeo. Faceva così caldo che gli bastò arrivare alla strada per ritrovarsi i capelli già asciutti, e prima ancora di raggiungere la sua destinazione era evaporata anche l'acqua che gli bagnava la camicia e i pantaloni. Gli ci vollero due ore per giungere in prossimità della tenda di Sunset, e stava già per voltare l'angolo che dava sull'ultimo tratto di strada quando vide Hillbilly uscire dal bosco con Ka—ren al fianco. Hillbilly sorrideva, Karen rideva. Hillbilly si fermò nei pressi della strada e tolse dal vestito di Karen qualche ramoscello e un po' d'erba. Al termine Karen si sporse in avanti e lo baciò sulla guancia. Lui la prese per mano e dopo un po' lei iniziò ad allontanarsi, sempre tenendogli la mano, fin quando dovette per forza lasciarla andare. Karen si voltò e si avviò in direzione della tenda. Hillbilly rimase a guardarla. Quando la ragazza fu scomparsa dietro la curva, si girò per sbottonarsi i calzoni e mettersi a pisciare. Clyde, fermo sul bordo della strada e in parte nascosto dai cespugli, non era stato visto da nessuno dei due. Attese un attimo, poi, quando Hillbilly si fu riabbottonato i calzoni, si mosse verso di luì. — Che cazzo ci fai qui? — chiese Hillbilly. — Cammino. — Lo vedo. Perché? — Ho bruciato la casa. — Cosa? — Ho bruciato la casa. — E come è successo? — Le ho dato fuoco. — Tu le hai dato fuoco? — Esatto. Adesso non hai più un posto dove andare, Hillbilly. Ti toccherà trovarti un'altra sistemazione. Io sono rimasto con soltanto una cerata e
un po' delle mie cose. — Perché diamine hai dovuto dar fuoco alla casa? — Mi ero stufato. Ho visto Karen che ti baciava. — Cosa? — Mi hai sentito. — Era solo un bacio innocente sulla guancia. — Sembrava più un ringraziamento, se capisci quel che intendo, — Cazzo, sarà grande abbastanza per prendere le sue decisioni. — Con un furbacchione come te, è abbastanza giovane per illudersi di prendere decisioni che invece stai prendendo tu. — Ho detto che è grande abbastanza e può fare quel che le pare, non certo che è successo qualcosa. Stai saltando alle conclusioni. Cazzo, amico, tu hai bevuto. Puzzi come il pavimento di un bar. — Le piaci, a Sunset. — Lo so. — E quella è sua figlia. — So anche questo. — Non sei facile da capire, eh, Hillbilly. — Non ho idea di cosa parli. — Hai dei sentimenti? — Eccome. — E riguardano solo te. — È così con tutti, Clyde. Un sacco di gente pensa di essere generosa, di mettere gli altri davanti a sé, ma non è così. Non proprio. Io bado solo a me stesso. Se quella ragazzina vuol darmi un bacetto sulla guancia o qualcos'altro, sono fatti suoi. E se glielo voglio permettere, sono fatti miei. — Tu pensi di essere un tipo speciale, eh, Hillbilly? — Penso che devo fare quel che devo fare, ecco tutto. — Non tornare a casa mia, stasera. — Non ce n'è motivo, visto che l'hai bruciata. Vado a farmi due passi. Di' a Sunset che torno subito. E già che ci sei, chiedile del cadavere che abbiamo trovato oggi. — Cadavere? Hillbilly raggiunse la strada e si avviò nella direzione opposta a quella della tenda di Sunset. Si fermò e si voltò. — Voglio sperare che tu non l'abbia bruciata solo per liberarti di me. Bastava dirlo. Poi, anche se cominci da capo, e mi sembra di aver capito che è ciò che intendi fare, non riesco a vedere la differenza. Sunset continuerà a non essere interessata,
amico mio. Sarai sempre lo stesso. — Tu non ne sai proprio un bel niente, — disse Clyde. — Cazzo, fin qui ci arrivo. Quando Clyde arrivò alla tenda di Sunset, Ben andò subito ad annusarlo. Clyde lo accarezzò ed entrò nella tenda. Karen era seduta con un libro in grembo, e guardava nel nulla con aria sognante. Non si accorse della presenza di Clyde fin quando lui non le rivolse la parola. — Oh, ciao, Clyde. Mamma è dall'altra parte. Clyde girò attorno al divisorio e trovò Sunset al tavolo, che scriveva furiosamente su un blocco di carta gialla. Lei lo vide entrare, alzò un dito come a dirgli di aspettare un attimo e riprese a scrivere. Clyde prese una sedia e la guardò. Gli piaceva guardarla, quasi sempre. Aveva dei capelli così lunghi e lisci e rossi, come il fuoco, ma di un colore molto più gentile di quello che aveva raso al suolo casa sua. Anche il viso di Sunset era liscio, col più bel naso e la più bella bocca che avesse mai visto. Davvero, come gli piaceva quella bocca. La scorsa notte, in sogno, aveva avuto un ruolo importante. Gli piacevano anche i piedi di Sunset, in quegli scarponi da lavoro; c'era un non so che di veramente carino, in quei piedini chiusi negli scarponi. E quel cinturone. Be', forse non era proprio carino, il cinturone, ma a lui faceva quell'effetto. Se si fosse chinata in avanti a modulare Old Man River col culo, accompagnandosi col battere dei piedi, Clyde avrebbe trovato carino pure quello. Carino. Quando mai gli era passata per la testa una parola del genere, prima? — Hai dato fuoco a qualcosa? Cespuglì? — gli chiese Sunset. — Più o meno. Dice Hillbilly che torna subito. Clyde ripensò a quanto aveva appena visto e si rese conto di non aver visto proprio un bel niente. Pensò che forse era il caso di dire lo stesso qualcosa, ma non gli venne in mente nulla. Aveva visto soltanto un bacio su una guancia. — È tornata Karen? — chiese Sunset. — Sì, sta leggendo un libro, dall'altra parte. Mi ha detto Hillbilly di chiederti del cadavere che avete trovato. — Ne stavo giusto scrivendo. L'ha trovato Zendo. — Un altro? — Non era un bambino, stavolta —. Gli raccontò tutto nei dettagli. — Hillbilly pensa che Zendo potrebbe essere coinvolto, — gli disse alla fine.
— Non lo è. — È quel che penso pure io. — Conosco Zendo da una vita e Hillbilly da poche settimane, e Hillbilly non è il furbacchione che pensa di essere. Volessi sapere qualcosa, lo chiederei a Zendo prima che a Hillbilly. A meno che l'argomento non sia poltrire sotto un albero. — Hillbilly sembra abbastanza sveglio. Clyde fece un rumore di gola simile a uno che scopre che gli hanno dato da mangiare stronzi di cavallo, ma decise di piantarla lì, con la storia di Hillbilly. Forse stava facendo di un granello di sabbia una montagna. Sull'argomento Hillbilly non era richiesta la sua opinione. — Omicidio? — disse poi. — Credo di sì. Preacher Willie sta dando un'occhiata al corpo. Certo è che non si è seppellito da solo, in quel campo, ma non saprei proprio dire le cause della morte. È troppo malconcio. Metti che sia morta da poco e che qualcuno abbia deciso di piantarla nel terreno come una patata. Però mi sembra strano. — Qualche idea sul colpevole? — chiese Clyde. — Neanche una. Credevo che a scrivere quel che so mi sarei schiarita le idee, e che passare in rassegna i fascicoli di Pete mi sarebbe stato d'aiuto. — Per vedere se saltava fuori una storia simile? — È quello che ho pensato, Clyde. Forse è già successo qualcosa del genere, in precedenza. Be', certo che è successo. — Il bambino. — Esatto. Ma anche qualcos'altro. Forse Pete sapeva chi era stato, o aveva qualche idea. — Non ne avresti già sentito parlare? — Pete non mi diceva niente. Ho guardato per vedere se era già capitata una vicenda simile, e non ho trovato nulla. Una cosa però la devo dire. Pete ci metteva molta cura nello scrivere quel che aveva a che fare col suo lavoro. C'è un'annotazione su tutto, o quasi tutto. Brevi note, per lo più, per sapere sempre di cosa stava parlando, così da poter fare delle verifiche, ricordarsi ogni particolare. Su certe questioni, non riesco proprio a capire i riferimenti. — Pensi che si possa ricominciare da capo, Sunset? — Fare cosa? — Insomma, cambiare la propria vita. Magari procurarsi qualcosa di meglio.
— Be', questo lavoro finché dura ce l'hai. Sempre meglio della segheria, non ti sembra? — Cambiare davvero, dico. Cambiare se stessi. — Mi auguro di sì. Sì, direi di sì. La miseria, Clyde, ma che razza di fuoco era quello? Mi lacrimano gli occhi. — Come? — Ho detto che puzzi come un fuoco da campo. — Per forza. Ho incendiato casa mia. Sunset rimase a bocca aperta. — Mio Dio, — disse quando riuscì a richiuderla. — Com'è andata? — Ho usato un fiammifero. — Sei stato tu? Di proposito? — Già. — E Hillbilly, dove andrà a stare? Quella domanda gli si piantò nel cuore come una freccia. — Non lo so. Non certo da me. Maledizione, non me ne frega un cazzo di dove andrà. Sul volto di Sunset apparve una leggera asprezza. — Hai qualche problema con Hillbilly? — Robetta. Ben abbaiò, e Hillbilly comparve da dietro una coperta sospesa a mezz'aria. Clyde vide il volto di Sunset illuminarsi come una lampada a cherosene in una casa buia e senza finestre. — Clyde ha bruciato casa sua, — disse Sunset. — E di proposito. — Già, — disse Hillbilly. — Così si dice in giro. Karen apparve subito dietro Hillbilly. — Cos'ha fatto, Clyde? — disse. Sunset ripeté quel che aveva detto prima. — Clyde, — disse Karen, — come ti è venuto in mente? Perché? — Per ricominciare da capo, tesoro, — disse lui, — e mandare arrosto tutte le pantegane. — Davvero uno spasso, — disse Karen con un gran sorriso. — Hai bruciato la casa per liberarti dei ratti. Clyde guardò Sunset che fissava il sorriso di Karen. Già, pensava, proprio buffa questa storia dei topi, no? E quel sorriso gigante è il primo che Karen ha fatto dopo la morte del padre. Lo so io, tesoro, e lo sai tu. E io penso di sapere perché, e anche se è una bella cosa la sua felicità (e vedo che tu vuoi essere felice per lei), se ho ragione io è sbagliato il motivo della sua felicità, perché lei è solo una ragazzina, e Hillbilly è un bugiardo di
tre cotte. Tu, splendida rossa, hai qualche sospetto? Hai qualche idea? Certo che no. Per quanto riguarda quel figlio di troia, Sunset, tu sei ormai accecata proprio come Karen. La miseria, il calore che emanate tu e lei, la passione che tu hai per quel tipo. Sei tutta calda e bagnata e ben disposta, ed eccomi qui, che ti amo e che ti voglio, e tu che nemmeno ti accorgi di me. E magari sono io, a essere pieno fino al collo. Magari lui e Karen non stanno combinando niente, se non che lui forse a Karen sta facendo un po' da padre, e stavano solo camminando nel punto più buio di quel maledetto bosco, e questo è quanto, e forse io sono geloso di te e Hillbilly, di quel che provi per lui. Già, le cose potrebbero essere così. Anche solo in parte. Cazzo. Ma certo che è così. 14. Il grosso camion avanzava con fracasso, sputando di quando in quando nuvole di fumo nero. Il cofano tremava, tenuto bloccato com'era da qualche giro di corda, e la carrozzeria sbandava sul lato in cui gli ammortizzatori erano più scarichi. Aveva alte fiancate, e all'interno del cassone c'erano cinque uomini e tre donne, oltre a un ragazzino sui tredici anni. Alla guida c'era un tipo dal volto congestionato, con un sigaro stretto fra i denti. Il sedile del passeggero era vuoto, perché il conducente non permetteva a nessuno di viaggiare in cabina accanto a lui, neanche alle donne ormai sfinite. Li aveva raccattati tutti la mattina presto, a Holiday. Gente che sgranava il cotone, come tanta che si radunava da quelle parti in cerca di lavoro, di solito senza trovarlo. Lui sapeva che per trovare dei braccianti gli bastava farsi vedere in giro e promettere un dollaro per ogni giorno di lavoro nei suoi campi, che erano parecchio fuori città, nelle terre basse e umide circondate dagli alberi. Ora che la sua ciurma aveva finito la giornata, sfinita dal caldo e dalla fatica e fradicia di sudore, la stava portando a Camp Rapture nel caso ci fosse un po' di lavoro anche da quelle parti. Era pure giunto il momento della paga. Lasciò la frizione e inserì una marcia bassa, per affrontare una salita, senza però premere l'acceleratore. Il camion dette qualche scossone e si spense. L'uomo tirò il freno a mano, scese, si diresse sul retro del veicolo. — Ci sono dei problemi, — disse. La gente sul camion iniziò a lagnarsi, e un tizio con addosso una giacca
così vecchia e lisa da lasciar vedere le righe verdi della camicia sottostante si tirò su, si aggrappò alle sbarre della fiancata e vi guardò attraverso. Era grande e grosso, l'aria robusta, tendente appena alla pinguedine. Aveva i capelli di un bizzarro colore, un rosso che aveva già preso a farsi grigio. — Ha soltanto mollato troppo presto la frizione, — disse. — Sì, è vero, ma perché c'era qualcosa di strano. Mi è già successo prima. Se scendete e date una spinta, magari riusciamo a ripartire. — Provi ad accenderlo di nuovo. Può darsi che parta. — Naa, non c'è verso. Non va più bene. Scendete e spingete. — Quand'è che ci paga? — Quando arriviamo a Camp Rapture. — E perché non ora? Non capisco perché dobbiamo arrivare fin là per essere pagati. Laggiù ci vogliamo andare per cercare lavoro, non per farci pagare da lei. Può benissimo pagarci adesso. — Mi sembra una buona idea, — disse un altro. — Ho capito, — disse il conducente, — ma prima voglio rimettere in moto il camion. Non mi pare una grande richiesta. Devo arrivare fin laggiù per prendere i soldi. — E perché? — disse il tipo in giacca. — Altrimenti non vi posso pagare, è lì che tengo il danaro. — C'è una banca, in un posto come quello? — No. Ma l'emporio tiene qualche soldo per la clientela. Non è come una banca. È meglio. In cambio, bisogna comprare qualcosa, ma non ti costa come una banca, anche se non ti offre interessi. Solo qualcosa che sei obbligato a comprare di tanto in tanto. Che so, della farina. — Quando arriveremo, saranno già chiusi. — Non credo. In caso contrario, conosco il padrone. Non c'è problema. Lentamente, tutti scesero. Il tipo congestionato spostò il sigaro sull'altro lato della bocca, a colpi di lingua. — Adesso, spingete quando lo dico io. Tenetevi un po' sui lati, così non rischiate di finire investiti se dovesse andare indietro. — Lasci provare me, — disse l'uomo in giacca. — Il mio camion lo guido soltanto io. — Forse non è cosa, — disse il ragazzo, — visto come guida. Aveva un'aria esuberante, il ragazzino, con una gran massa di capelli biondi che gli schizzavano da sotto il cappello di tweed. — Non dovresti rivolgerti così agli adulti. Alla prossima, ti mollo un
manrovescio. — Non si azzardi, — disse il tipo in giacca. — Insomma, — disse l'uomo congestionato. — Volete darmi una mano o no? Così arriviamo a Camp Rapture e sarete pagati. — Diamoci una mossa, — fece una delle donne. Era spossata, oltre che incinta, e aveva passato tutto il giorno nei campi. Aveva i capelli pieni di polvere, e diversi denti mancanti. Sembrava sul punto di disseccarsi per consunzione, lasciando solo il ventre rigonfio e il figlio che portava in grembo. — Va bene, — disse l'uomo in giacca. Si spostarono sul retro del camion, e il tipo congestionato si piazzò al volante. Mise il capo fuori del finestrino. — Pronti? —disse. Si erano formati due gruppetti: quattro da una parte, cinque dall'altra, pronti a spingere. — Pronti? — ripeté il conducente. — Pronti, — disse uno degli uomini. — Via, — disse il conducente. Accese il motore, lavorò di frizione e dette gas, acquistando velocità. — Ehi! Ehì! — gridò il ragazzo, correndogli dietro. — Torni qui. Dal finestrino spuntò un braccio a mo' di saluto. — Mi prenda un colpo, — disse il tipo in giacca. — Avrei dovuto capirlo. — Già, come no, — disse un altro. L'uomo in giacca guardò il suo interlocutore: magro, stanco e con la stessa aria sfinita della donna incinta, che era sua moglie. — Porca puttana, abbiamo lavorato un giorno intero per nulla, — disse il ragazzo. — Eh, sì, — disse l'uomo in giacca, e si incamminarono. — Magari lo ritroviamo a Camp Rapture, — disse la donna incinta. — Allora sì che ci dovrà pagare. — Fate tanto che lo becco, — disse il tipo magro, — e ci rimetterà altro che i quattrini. Pure qualche dente, e magari qualche altro pezzo. — Dubito che stia andando a Camp Rapture, — disse uno. — Era una cazzata. — Potremmo tornare nei suoi campi e aspettarlo lì, — disse un altro ancora. — C'è meno strada per Camp Rapture che per tornare fin laggiù, — disse l'uomo in giacca. — Per ora diciamo che ce li rimetto, quei soldi, ma spero di ritrovarlo, prima o poi.
— Mi sto quasi abituando, al lato più merdoso della vita, —disse il tipo magro. — E quasi ci provo gusto, a pensare che è così che deve essere. — Dacci un taglio, — disse sua moglie. — Non mi sembra proprio cosa. Era una notte nuvolosa e buia come l'interno delle budella, quando una macchina si fermò davanti alla tenda. Hillbilly se n'era andato per conto proprio, e Clyde era tornato a quel che restava di casa sua. Sunset udì la macchina, e per qualche ragione considerò quel rumore un presagio. Ben attaccò a ringhiare come un pazzo. Sunset, mai troppo lontana dalla pistola, anche se non più in maniera paranoica, aggiustò la fondina sull'anca, si alzò e uscì dalla tenda giusto in tempo per vedere i fari della macchina che si spegnevano. Ben si precipitò sotto la portiera del guidatore, abbaiando. Sul sedile del passeggero c'era un uomo, ma troppo in ombra per capire di chi si trattasse. Sunset chiamò il cane un paio di volte, e Ben ubbidì lasciandola di stucco. Tornò da lei e si mise seduto al suo fianco, senza più abbaiare. Le tornò in mente che una volta Pete aveva detto che il cane più pericoloso è quello che smette di abbaiare e si limita a guardarti. Allungò una mano ad accarezzare la testa di Ben. Un uomo scese dalla macchina e si infilò il cappello. Fece il giro dell'auto, dalla parte anteriore, quasi di soppiatto. Sembrava capace, da un momento all'altro, di zompare sul cofano. — Non è che morde, quello? Era Preacher Willie. — A me, no. — Preferisco parlare da qui. — Si accomodi. Fu allora che Karen uscì dalla tenda. Sapeva ancora di buono, e i suoi abiti scuri e i lunghi capelli neri che le pendevano sulle spalle si mischiavano a tal punto con la notte che il suo volto dava l'impressione di galleggiare a mezz'aria. — È per via di quel cadavere, — disse Preacher Willie. L'uomo sul sedile del passeggero mise il braccio fuori del finestrino, seguito dalla testa. Sunset non riusciva ancora a vederlo bene. — Sono Henry, Sunset, — disse lui. Sunset sentì un tuffo al cuore. Non conosceva bene Henry, ma quel giorno all'assemblea aveva capito benissimo come la pensava, lui. Sapeva pure che a Camp Rapture era un uomo potente. La sua presenza stava a si-
gnificare che Willie non era rimasto zitto. Della qual cosa Sunset non si sorprese. La sfuriata di Hillbilly doveva averlo ferito nell'orgoglio. E anche lei stessa, a chiedergli di tacere in base all'autorità che adesso rivestiva, non aveva certo contribuito. Per dirla tutta, poi, Willie era una testa di cazzo e non avrebbe tenuto lo stesso il becco chiuso. — Salve, Henry, — disse Sunset. — Willie, vedo che ha fatto proprio quel che le avevo chiesto di non fare. — Credo di aver capito perché non voleva spargere la notizia, — disse Willie. — Ah, sì? — So di chi si tratta. — Allora me lo dica. — Aveva una collana. Non la potevate vedere perché le era caduta all'interno, là dove il corpo si era già disfatto. Era andata a finire proprio dentro il collo, nel punto più marcio. Una collana col suo nome sopra. — Quindi? — Jimmie Jo French. — Mio Dio. La conoscevo. — Vorrei ben vedere. L'aveva presa a pugni. — Ero incazzata per la faccenda di lei e Pete. — Se fosse morta avrebbe fatto una bella differenza tra te e Pete, no? — disse Henry. — Anche Pete è morto, quindi che differenza vuoi che faccia? — All'epoca, invece, avrebbe potuto sembrarti una bella differenza, — disse Henry. — E allora? — È morta da un pezzo. Probabilmente l'hanno lasciata immersa nel petrolio, poi sepolta. Sei stata tu a seppellirla in quel campo, Sunset? — Io ero incazzata. Non impazzita. — Si fa solo per dire, Sunset. — Lo vedo. — Mamma, — disse Karen, — ma cosa stanno dicendo? — Ti spiegherò più tardi, tesoro, — disse Sunset, toccandole il braccio. — Jimmie Jo era incinta, — disse Willie. — Il bambino le è stato portato via. E non è stato un medico. Qualcuno l'ha sventrata e gliel'ha tolto da dentro. Si capisce dal tipo di taglio. — Cristo, — disse Sunset. — Non nominare il nome di Dio invano.
— Ho detto «Cristo», Willie. Non «Accidenti a Cristo». — Questo è troppo. — Continui a parlare, Willie. È venuto lei da me, quindi continui a parlare. Sputate il rospo, lei e Henry. Willie respirò a fondo. — L'ha uccisa una pallottola calibro trentotto alla nuca. L'ho tirata fuori io. — La pistola che hai lì, — disse Henry, — è una trentotto, non è vero? — Stai dicendo che l'ho uccisa io? — Sto dicendo che potrebbe anche darsi. — A volerlo dire a tutti i costi, Henry. Perché mai l'avrei immersa nel petrolio? — Per conservarla? — E per quale ragione? — Magari per nascondere il cadavere e liberartene in seguito. — Ridicolo. Uno se ne libera una volta per poi doversene liberare una seconda. E ci sono un sacco di trentotto. Io, questa, l'ho avuta solo dopo la morte di Pete. — Lo dici tu, — fece Henry. — E non sto insinuando che non sia vero, ma solo dicendo che suona male, Sunset. Non è detto che possiamo provarlo, ma sono convinto che riusciremo a mettere su un bel caso. Quindi, a meno che tu non voglia ficcarti in una vicenda interminabile e magari finire dritta in prigione, dovresti rassegnare le dimissioni e far subentrare un uomo. — Qualcuno scelto da te? — Qualcuno scelto dall'assemblea. — Cazzo, — disse Sunset. — Ma se sei tu, l'assemblea. — Mamma non farebbe mai una cosa del genere, — disse Karen. — Hai pensato che ha già sparato a tuo padre? — disse Willie. — Ci hai mai pensato? Karen tacque. — Ora basta, Wìllie, — disse Sunset. — Anche se non l'hai ammazzata tu, quella donna, — disse Henry, — il nocciolo della questione è se è proprio vero che la storia di Pete è andata come sostieni tu. La legge non ha nemmeno esaminato la faccenda. Tu l'hai fatto secco e hai preso il suo posto. E pure se non hai ammazzato la ragazza di Pete, certo la cosa non fa un bell'effetto. E cos'è successo al bambino? Una donna in cerca di vendetta potrebbe persino spingersi al
punto di sventrare la madre, per portaglielo via. — E adesso se la sta spassando con Hillbilly, — disse Willie. — Neanche questo suona tanto bene. E l'ho vista io, baciarlo, dalla finestra. L'ho vista io. — Mamma? — disse Karen. — Non era nulla, — disse Sunset. — A me sembrava tutto il contrario, — disse Willie. — Basta così. Ha sconvolto mia figlia e sta dando fastidio a me, con un mucchio di chiacchiere. Solo discorsi a vanvera. Karen rientrò nella tenda in lacrime. — Contento? — chiese Sunset. — No, — rispose Willie. — Ho solo detto che non suona tanto bene, ecco tutto. — Voi due avete detto ben altro. E per quanto riguarda Hillbilly, lui lavora per me. — Ci scommetto, che lavora, altro che, — disse Willie. — Sicuro di essere un uomo di chiesa? — fece Sunset. — Lo sai benissimo. — Ce la fanno a correre, gli uomini di chiesa, con un cane alle calcagna? Sono veloci abbastanza? — Cosa? — Ben! Addosso! Ben abbaio e balzò in avanti. Willie si lasciò scappare uno strillo, si voltò e girò come un fulmine attorno alla macchina. Riuscì a saltare dentro appena un istante prima di essere raggiunto dal cane, ma nella fretta perse il cappello. Ben vi salì sopra, lo tenne fermo con una zampa e lo lacerò coi denti. Il cappello si strappò come un giornale bagnato. — Non è divertente, Sunset. — Per me sì. — Quel cappello era buono. — Era, — disse Sunset. — Posso anche darglielo indietro, se proprio lo vuole. Ben si fiondò sul lato del passeggero e attaccò a saltare sulle zampe posteriori, su e giù, schioccando le mascelle contro la finestra aperta e schiumando rabbia. Henry tirò su il finestrino. Ben rimbalzò più volte contro il vetro, mulinando i denti, ringhiando, mordendo l'aria. Il vetro fu inondato di bava. Willie accese il motore, sferzò la notte con i fari, si allontanò a tutta ma-
netta. — Ci vediamo, — disse Sunset. Ben rincorse la macchina per un pezzo prima di voltarsi e tornare indietro, e Sunset lo portò dentro la tenda e gli dette acqua e cibo, e lo accarezzò e lo baciò su quella vecchia testac—cia dura. Alla fine lo lasciò uscire, e rivolse la sua attenzione a Karen. — Tutto bene? — le chiese. Karen era seduta sul materasso, in terra, e si reggeva le ginocchia con le braccia. Anche alla luce della lampada, Sunset le vedeva le mani farsi sempre più bianche, da quanto stringeva. — L'hai uccisa tu, mamma? — Che razza di domanda è questa? — L'hai uccisa tu per via di papà? E hai ucciso papà per via di lei? — No di certo. E non avevo intenzione di uccidere tuo padre. Ma lui mi stava facendo male. Male sul serio. E io gli ho preso la pistola. — Poi però ti sei rimessa. E adesso stai bene. Ti saresti rimessa anche a non ucciderlo. — Se non mi uccideva prima lui. — Il bambino. Quello nel cimitero dei neri. È per caso mio fratello, o mia sorella? — Tesoro, neanche sappiamo se il bambino e quella donna sono collegati, e comunque non è certo detto che fosse figlio di tuo padre. — Quelli dicevano che lei era la ragazza di papà, oppure ho capito male? E che tu l'avresti uccisa per questo motivo. Lo era davvero, la ragazza di papà? — Sì, l'hanno detto. Sì, era la ragazza di papà. Una delle tante, tesoro. — Pensavo che papà ti volesse bene. — Anch'io. Un tempo. — E ti piace, Hillbilly? — Mi piace. Sì. — Sai cosa intendo. — Non lo so, bambina mia. Ora come ora non so proprio niente. — L'hai baciato? — Sì. Karen tacque a lungo. — Perché sono stati così malvagi, quei due? — disse infine. — Henry vuole che lasci questo lavoro, per poterci mettere chi vuole lui. Non so perché l'abbia presa così di punta, oltre al fatto che sono una donna
e a lui l'idea non va giù. Peraltro, non gli piace neppure tua nonna. Lei è più potente di lui, giù alla segheria. Potrebbe anche buttarlo fuori, se volesse, e non è da escludere, ora che tuo padre non c'è piú; Secondo me Henry vuole farsi eleggere a non so che carica. E convinto che Holiday e Camp Rapture finiranno per diventare una sola città. — Ed è vero? — Che ne so. Forse sì. Non capisco perché ce l'abbia tanto con me. Karen si rotolò sul materasso fino a sdraiarsi, senza mollare la presa sulle ginocchia. Poi si mise a piangere con tanta veemenza che Sunset la pensò sul punto di perdere il senno. Sunset si sedette sul materasso, allungò lentamente una mano e le toccò i capelli, per poi iniziare ad accarezzarglieli. Karen non oppose resistenza. Dopo un po', con un lungo lamento, Karen si voltò verso Sunset e le saltò in grembo come un bambino, attaccandosi al collo della madre. Sunset la tenne stretta e la baciò. Mezz'ora dopo, Karen le si addormentò tra le braccia. Sunset sistemò sul materasso la figlia addormentata, la coprì e ritornò nel lato ufficio della tenda per riporre quel che stava scrivendo. La tristezza le piombò addosso come un elefante sfinito. Seduta al tavolo, si prese la testa tra le mani e pensò a quel che le avevano detto Henry e Preacher Willie. Forse era davvero il caso di restituire il distintivo. Questo avrebbe reso le cose più facili. Non aveva ucciso lei Jimmie Jo, ma di sicuro era l'obiettivo di Henry e Willie, che oltre alla madre volevano far credere che lei avesse ucciso anche il bambino, strappato dal ventre materno per pura malvagità. Che faccenda ridicola. Possono anche riprenderselo, quel maledetto distintivo, pensò. E pure quel cazzo di lavoro. E io... Io cosa? Resterei senza un dollaro. E la gente si convincerebbe davvero che sono stata io. E anche se Henry e Willie non dicessero nulla, cosa molto improbabile, l'avrebbero comunque vinta. No, io non cedo. Non cedo, e voglio trovare chi ha ucciso quella donna e il bambino, che
deve essere lo stesso del cimitero dei neri. Questa cosa, a Willie, non l'aveva detta. La sapevano, oltre a lei, solo Karen, Hillbilly e Clyde. Ammesso che non l'avessero riferito a qualcuno. Se vogliono questo lavoro, dovranno venirselo a prendere, e io non lo mollerò tanto facilmente. 15. Dopo essere stati abbandonati dal loro boss, i cinque uomini, le tre donne e il ragazzino arrancarono fin quando il sole non si ritirò in una sottile linea rossa che appena s'intravedeva tra gli alberi. Poi scese la notte, intrecciando il chiaro di luna tra i rami come un tessuto finissimo, per farsi completamente scura, senza più una sola ombra. Nel cielo nero la luna splendeva di un bianco abbagliante, assieme ai puntini luminosi delle stelle. Infine fu la volta di un ammasso di nuvolaglia, anch'essa scura, che arrivò inaspettato ma andò a piazzarsi a grande altezza. Per un certo periodo l'oscurità fu quasi assoluta, se non nei pochi momenti in cui la luna riusciva a filtrare tra le nuvole. Quasi tutto il gruppetto decise di accamparsi su un lato della strada, mentre il tipo in giacca e il ragazzino continuarono la marcia verso Camp Rapture. Gli alberi mantenevano il calore come un'ascella dentro un vestito di tela indiana. Con la poca luna rimasta si vedeva a poca distanza. Si tenevano lontani dagli alberi, e questo servì a mantenerli sulla strada. Erano circondati dal canto dei grilli, e dal ruscello che tagliava tra gli alberi giungeva il verso di una rana toro, un verso che faceva loro drizzare i capelli in testa. — Chissà che le è preso, — disse il ragazzo. — Quelle grosse fanno sempre un verso simile, — disse l'uomo. — Dopo un gracidio del genere, te l'aspetteresti alta tre metri. Come ti chiami? — Mi chiamano tutti Goose, ma non è il mio vero nome. — Ti secca se ti chiamo Goose, allora? — Sempre meglio del mio vero nome, e di quello che hanno dato a mio fratello. — Sarebbe a dire? — Dump. — Dump? E perché? — Non lo so. Be', forse perché si sporcava sempre i calzoni. L'ha fatto fino a undici anni. Era di un anno più grande di me.
— Era? — Ha beccato non so cosa ed è morto. Polio, credo. I miei hanno avuto nove figli, e io ho deciso che potevo cavarmela da solo. Così, per dare agli altri, alle mie sorelle, più possibilità. — Alcune di quelle sorelle dovevano essere più grandi di te. — Già. Ma non hanno l'avventura dentro, come me. — Non mi hai ancora detto perché ti chiamano Goose. — Perché corro come un'oca. — E il tuo vero nome sarebbe? — Draighton. — Non è poi così tremendo. — Goose mi piace di più. — Vada per Goose. — E il suo nome qual è? — Lee. — Non ha caldo, con quella giacca? — Eh, sì. La tengo per avere già qualcosa addosso, all'arrivo dell'inverno. Posso sempre togliermela quando lavoro, e rimettermela la sera. Per camminare non dà fastidio, basta farci l'abitudine. — Io non ho altro che questi vestiti e questo berretto. Le scarpe hanno la suola bucata. Ho dovuto metterci del cartone dentro. — Anche le mie le ho sistemate in quel modo, figliolo. — Ho un bastoncino di menta che ho fregato in un negozio. Si è un po' rotto perché l'ho tenuto nella tasca davanti, ma se vuole possiamo fare a mezzo. — Va bene. Il ragazzo ripescò la menta, che era ridotta in mille pezzi, e riuscì comunque a dividerla in parti uguali che mise poi in mano all'uomo. L'uomo si infilò tutto quanto in bocca. I frammenti di menta erano pieni di sporcizia e lanugine, ma la fame era tale che si costrinse a considerarli speziati. Non mangiava da due giorni, e anche allora si era trattato di una scarpa bollita che lui e qualche altro hobo si erano cucinati lungo i binari. Ci avevano messo anche una patata, nella pentola, ma a lui non ne era toccata; e la scarpa, pur se tagliata a pezzetti e bollita ben bene, sapeva ancora di pelle conciata, tanto che in seguito aveva vomitato ogni cosa. Era così affamato che gli sembrava di avere la gola tagliata. — Che pensi di fare, a Camp Rapture? — chiese al ragazzo. — Cercarmi un lavoro, proprio come lei.
— Alla tua età non si dovrebbe lavorare. Lavoretti semplici, magari, ma non certo cose da uomini. — E quel che dico anch'io, ma la faccenda non si smuove di una virgola. Ormai ne ho già fatte di tutti i colori, escluso guadagnare un po' di soldi. So arare i campi, fare il facchino, l'imbianchino, raccogliere frutta e ortaggi. Ho anche lavorato in un luna-park, fin quando il boss non mi ha messo a pecorina sulla ruota di un carro e me l'ha ficcato su per il culo. — Mi spiace. — Ho sentito male, certo, ma almeno lui si è riempito l'uccello di merda. Dopo di che, ho dato fuoco al carrozzone dove dormiva lui, si è bruciato ben bene ma la gente del luna-park è riuscita a salvarlo. Io ho tagliato la corda, prima che a quello gli venisse in mente che ero stato io. C'era una tipa che lavorava lì con lui, una vera testa di cazzo, un pezzo di merda che pendeva dalle sue labbra. Ti saltava addosso e ti riempiva di cazzotti veloce come un fulmine, e neanche facevi in tempo a vederli arrivare. Metta che me la scatenava contro. L'aveva già fatto con altri. — Certo che ne hai viste, di cose. — Ne dica una a caso, tanto la so fare. Basta che ci si spezzi la schiena. — Aspetta di arrivare alla mia età. — Quanti anni ha? — Diciamo sulla cinquantina, senza approfondire. Ah, il cielo si apre. Sta uscendo la luna. Proseguirono per un po', poi Lee allungò una mano a fermare il ragazzo. — Guarda là. Un grosso serpente nero stava attraversando la strada muovendosi come una frusta, il capo eretto. — Porca puttana, — disse il ragazzo. — È più lungo dell'uccello di Satana. — Non dovresti usare questo linguaggio. — E lei non è mio padre, anche se mi sta simpatico. — Giusto. — Cos'è, un mocassino d'acqua? — No, parrebbe un vecchio cervone. Non è pericoloso per l'uomo, solo per i polli e per i topi. Mangia anche uova. Di sicuro, ritrovarti uno di quelli nel pollaio di casa ti rompe i coglioni, soprattutto se eri andato a prenderti le uova per colazione. Quando furono certi che il serpente si era addentrato nel bosco, ripresero il cammino.
— Sono velenosì? — chiese il ragazzo. — Naa. Però mi fanno paura lo stesso. Certo, sono creature di Dio proprio come noi, ma se me ne capita uno a tiro e per caso ho una zappa tra le mani, gli faccio saltar via la testa, velenoso o no. — Gli è andata bene, a quello, che stasera non c'era una zappa sottomano. — Già. Una volta da bambino un coachwhip mi ha rincorso in giardino non so più quante volte, e quando sono riuscito a entrare in casa lui si è tirato su per guardarmi dalla finestra. — Non ci credo. — Invece sì. Non era una finestra molto alta, è vero, ma me la sono fatta addosso. Mamma ha preso la zappa e gli ha tagliato la testa. Poi ho saputo che i coachwhips ti rincorrono, certo, ma se ti fermi si fermano anche loro, e allora puoi rincorrerli tu. Se ti fermi ancora, si girano e ricominciano a venirti dietro. Più o meno per giocare, insomma. Secondo me lui mi guardava dalla finestra per vedere se uscivo di casa per giocare ancora. Magari voleva essere rincorso un po' lui. E mia madre gli ha fatto saltar via la testa. Mi sono sempre sentito in colpa, per questo. — Certo che lei ha un che dell'uomo di chiesa. — Ti sbagli. Anche se la parte del prete qualche volta l'ho fatta. — Così, tanto per fare soldi coi bifolchi? Quella roba di miracoli e guarigioni? — No, figliolo. Io facevo sul serio, non mi mettevo a guarire la gente. Questa è una cosa che spetta solo a nostro Signore. — E perché ha smesso? — Diciamo che mi sono stufato. Sentivo ancora la vocazione, ma non capivo più tanto bene cosa mi chiamava a fare, nostro Signore. Mi sembrava d'essere diventato un po' sordo. Udivo la sua voce, ma non riuscivo a distinguere le parole. — Per via di cosa, s'è stufato? Whisky? Carte? Passera? — Lo so che non sono tuo padre, ma sei davvero troppo giovane per usare simili termini. — Mi so esprimere solo così. Tra whisky, carte e passera, ho già avuto la mia razione di tutt'e tre, e quindi parlo con una certa esperienza. Quanto basta per dire che è la topa quella che mi piace di più. E a lei? — Tutt'e tre. Oltre a qualche altra cosuccia che non hai citato. La verità è che io non sono qui soltanto per cercare lavoro. Sono venuto a sistemare un po' di conti che ho lasciato in sospeso. Devo porgere le mie scuse a una
signora, ammesso che lei sia ancora da queste parti e disposta ad accettarle. — E se non fosse così? — Non potrei certo fargliene una colpa. — E se non è più a Camp Rapture? — Non voglio nemmeno pensarci. Mi sento male solo all'idea. In tal caso affronterò la situazione a tempo debito, con tutta un'altra vagonata di problemi. — Risale a molto tempo fa? — Sì. — Allora lasci perdere. Mio padre me lo diceva sempre, che quando una cosa l'hai già fatta è inutile starci a perdere del tempo sopra. Non è che ti cambia in meglio. — Forse aveva ragione. Ma io non lo faccio per lei. Lo faccio per me. — Cazzo, io non mi sento in colpa per nessuna delle cose che ho fatto. — Magari perché di cose davvero sbagliate non ne hai ancora fatte. — Ho rubato quel bastoncino di menta. Anche altra roba, se è per questo. — Poteva andarti peggio. — Niente le ha impedito di mangiarselo, però. — Avevo fame. — Perciò l'ho rubato. Anzi, ne ho rubati altri quattro. Questo era l'ultimo. Ha una sigaretta, Lee? — No. Non fumo. E tu sei troppo piccolo per fumare. — Ancora con questa storia, — disse Goose. — Una cicca, allora, o una presa di tabacco? — Stessa risposta, — disse Lee. Dopo un'oretta, Lee e Goose si accorsero di essere ben più lontani da Camp Rapture di quanto avessero pensato, e che si presentava assai improbabile arrivarci prima del mattino. Era soltanto un'ipotesi, non avevano la minima idea delle distanze. Lee c'era già stato in precedenza, da quelle parti, ma ne era passato di tempo, e le cose erano molto cambiate da allora. — Ragazzi, se sono stanco, — disse Goose. — Non so quanto reggerò ancora. — Pure io, — disse Lee. — Lo capisco da come stanno in cielo le stelle. Guardale un po', lì tra gli alberì...
— Le vedo. — Da come sono messe capisco che si è fatto parecchio tardi, e io mi sento a pezzi come una zecca in un secchio di catrame. — Io anche. Ma se ce la fa lei, posso continuare ancora per un po'. Tirarono dritto, ma alla fine si accorsero che non ce la facevano più. — Che poi, non è che quando arriviamo a Camp Rapture saranno lì ad aspettarci a braccia aperte e con un pasto caldo, — disse Goose. — Ho l'impressione che la terra che abbiamo sotto i piedi sia uguale a quella di tanti altri posti. E non è la prima volta che ci ho dormito sopra. — Hai ragione, — disse Lee. — Facciamo festa. Lasciarono la strada per entrare nel bosco, in cerca di un posto per sdraiarsi. Dopo qualche metro trovarono un bel po' di foglie ammassate sotto un albero. Lì per lì, sembrava un letto di piume. Poi Lee vide che l'albero, una gigantesca quercia, aveva un ramo assai basso che era stato spaccato in due, forse da un fulmine. Era abbastanza largo per una persona, e la fenditura profonda a sufficienza per fungere da amaca. — Eccoti pronto un letto, Goose, — disse Lee sistemando le foglie nella fenditura. — So badare a me stesso. Non mi serve l'aiuto di nessuno, per trovare un letto. Poi, non ci salgo sugli alberi se proprio non devo. Non monto su nulla. — Non è neanche a un metro e mezzo di altezza, — disse Lee. — Non fa per me. — Che ragazzo sei, che non vuoi salire sugli alberi? — Non è salire che mi preoccupa. È cadere di sotto. Fu Lee a sdraiarsi sul ramo, e Goose a prendersi il mucchio di foglie. — Cataste di foglie del genere, mio padre mi diceva sempre che erano gli uomini—scimmia a farle la notte. Accumularle, voglio dire. — E tu ci credi? — Che ne so. Forse no. Ma era una bella storia. — Che tipi erano i tuoi, Goose? — Come tutti gli altri. Poveri. Ma poveri già prima della Depressione. Mia madre era mezza cherokee, e mio padre mezzo choctaw. Io me ne sono andato via all'epoca delle tempeste di polvere, per lasciargli una bocca in meno da sfamare, con tutti quei bambini. Me ne sono venuto fin qui, nel Texas orientale, e loro hanno tirato dritto verso la California. — Perché non sei andato con loro? — Non volevo finire in un posto dove c'è sempre lo stesso clima. Non lo
sopporto, quando è sempre estate. Mi piace quando non si sa se piove o tira vento, se è sereno o bollente. Certo, mi piaceva di più prima, che avevo un tetto sulla testa e qualcosa da mettere sotto i denti. Magari avrei fatto meglio ad andare anch'io in California, ora che ci rimugino su. — Io ci sono stato. Niente di speciale. La stessa zuppa, solo con un clima che è sempre quello, e arance da tutte le parti. Anche a me non piace lo stesso clima tutto l'anno. Un clima che cambia insegna pure a noi a saper cambiare, a muoversi a seconda di quel che succede. Non ci si forgia il carattere, se va sempre tutto liscio. — Forse non è proprio un carattere, a servirmi. Magari è meglio tre pasti al giorno e un letto, e un tetto sulla testa per non prendermi la pioggia. — Può essere, Goose. Ben presto Lee udì il russare di Goose, e si sorprese di non riuscire, lui, a prendere sonno. Aveva il cervello in fiamme, e il rumore del ragazzo non lo aiutava di certo. Sdraiato, si mosse a guardare tra i rami dell'albero. All'inizio non c'era altro che buio, lassù, ma un po' alla volta gli occhi si abituarono e Lee iniziò a distinguere le sagome dei rami, fin quando non riuscì a scorgere anche qualche stella. Sentì un vecchio bisogno. Quello che gli veniva ogni volta che pregava. Il bisogno di tendere i suoi pensieri a Dio, Dio che di sicuro era dietro quel velo di notte e stelle, e che forse non era così terribile come i suoi comportamenti sembravano suggerire. Certe volte Lee pensava che Dio ce l'avesse proprio con lui. E forse se lo meritava pure. È che non sapeva cosa si meritasse, e ormai non aveva più importanza. Il meritarsele o no, le cose, non c'entrava un bel niente. C'era stato un tempo in cui si era sentito vicino a Dìo, e si era ritenuto Suo umile servo. Ma questo accadeva molti peccati prima. Continuò a guardare e a pensare, e finalmente il cielo si rischiarò, e Lee chiuse gli occhi. 16. Il mattino seguente Marilyn si recò in macchina alla tenda di Sunset. Vi trovò anche Clyde, là fuori, a bere il caffè su una sedia pieghevole. Sunset dava da mangiare a Ben: pane inzuppato nello strutto e avanzi del sugo del
giorno prima, il tutto in una grossa padella di metallo. Un'altra e più grande padella era piena d'acqua. Marilyn fermò il camioncino proprio accanto alla tenda. Il cane si voltò a guardarla. — Morde? — chiese la donna dal finestrino aperto. — Come cane da guardia è parecchio in gamba, — disse Sunset. — Vengo a prenderti io. — Lascia stare. Salta su, che andiamo a farci un giro, — disse Marilyn. — Così parliamo. Salve, Clyde. Clyde sollevò la tazza. — Non mi sembra che ti stai ammazzando di fatica, — disse Marilyn. — Non saprei dire. Mi devo essere fatto male al gomito, qualche istante fa, quando ho alzato la tazza. Sunset dette una pacca a Ben e salì sul camioncino accanto a Marilyn, che mise in moto e partì. — Dov'è quell'altro? — chiese a Sunset. — Hillbilly? E che ne so. Doveva farsi vivo, oggi, ma finora nessuna traccia. Abbiamo degli orari molto elastici. Non che ci siano chissà quanti crimini da risolvere, però sarebbe dovuto venire lo stesso. Clyde si è portato via il camioncino, la scorsa notte, e a Hillbilly è toccato andare a piedi, anche se non so dove. Non sta più da Clyde, sembra che non vadano d'accordo. Tra l'altro la casa di Clyde non esiste più. Le ha dato fuoco. — Come? — L'ha bruciata. Per darle una bella ripulita, come ha detto lui. Questo caso, almeno, l'abbiamo risolto. Chi è stato a dar fuoco alla casa di Clyde, intendo. Lui stesso. Adesso gli tocca dormire sotto una cerata. — Lo sai perché non vanno d'accordo, non è vero? — No. — Per colpa tua. Io non ne so niente, ma posso dirti il perché. Piaci a entrambi. — Può essere. — Stai facendo strage di cuori, e neanche te ne accorgi, Sunset. A quanto so, comunque, ti è capitato qualche bel caso scottante. — Vedo che Willie è venuto anche da te, — disse Sunset. — Henry. — Non riesco a capire chi dei due è la testa del serpente e chi il culo, — disse Sunset, — ma sempre un unico serpente sono. — Mi hanno detto quel che pensano.
— Possono pensare ogni cosa. — Credo che proveranno a toglierti di mezzo, alla prossima assemblea. Potrebbero anche metterti sotto accusa, per aver ucciso Pete e Jimmie Jo e aver sepolto quel bambino nel cimitero dei neri. — Perché cazzo mi sarei trasformata in un maniaco omicida? Tutto d'un tratto prendo e ammazzo Jimmie Jo e suo figlio, poi sparo a Pete. Dammi una ragione. — Gelosia. È la risposta a un sacco di domande. — Non ero poi così gelosa, e neanche incazzata più di tanto. Non rinuncerò all'incarico. Non l'ho uccisa io, quella donna, e ho intenzione di scoprire chi è stato. Ci vuole solo un po' di tempo. Cazzo, non sono un detective, io, rappresento solo la legge, e sto giusto imparando il mestiere. Anche Pete ha dovuto imparare. — Ho saputo di come te la sei cavata a Holiday. Pare che ne sei uscita benone. — Credo anch'io. — Quel tipo l'hanno linciato lo stesso. — Cosa? — La folla ha dato l'assalto alla prigione, poi gli ha tagliato le palle e gli ha dato fuoco. Ci sono anche delle fotografie. Le vendevano all'emporio, come cartoline. — È orribile. Quel che ho fatto non è servito a niente. — Hai consegnato un assassino alla giustizia. — No, l'ho mandato a farsi linciare, come stavano cercando di fare a Holiday. Hanno mantenuto la promessa. Il mio intervento è servito solo a rimandare l'azione. — Tanto l'avrebbero ammazzato lo stesso. Era questione di tempo. — Forse sì. Ma non bruciato vivo, con tanto di cartoline. Gesù Cristo. Anche la legge avrebbe fatto alla svelta, e in più senza cartoline da vendere. Cazzo. — Si dice che è stata proprio la legge a consegnarlo alla folla. — Mi auguro che non sia vero. — Mi spiace, Sunset. — Pure a me. Ma è più che dispiacere. Cazzo, forse hanno ragione loro. Non sono un granché, come poliziotto. Mi sono capitati tra le mani un bambino morto e una donna altrettanto morta, e non ho ancora la minima idea del come o del perché, e l'unica cosa che mi sembrava di aver fatto abbastanza bene è andata a puttane. Tanto valeva che restassi a casa. E a-
desso saltano fuori quei due a dire che sono stata io, a commettere i delitti che dovrei risolvere, e quando Henry e Willie avranno finito il loro giro, lo saprà anche il gatto. Viaggiarono per un po' in silenzio. Poi Marilyn decise di romperlo. — Farò quel che posso perché tu rimanga al tuo posto. Ma non posso prometterti niente. Un conto è aver ucciso qualcuno che ti stava picchiando, poi c'è stata la faccenda dell'aumento di paga da parte mia; un conto è se Henry comincia a ricamarci sopra e convince la gente che avresti potuto ammazzare Jimmie Jo e un bambino, o quantomeno gli mette in testa il tarlo che tu non stia facendo abbastanza per risolvere il caso. — Quand'è l'assemblea? — Tra un paio di settimane. Giovedì, verso mezzogiorno. E ci saranno solo i pezzi grossi, non l'intero campo. — Ci sarò anch'io. — Sarebbe meglio di no, — disse Marilyn. — Potrebbe rivelarsi una mattinata più schifosa del culo di un bulldog. — Lo so. — Hai idea di chi sia stato, o del perché? Sunset scosse il capo. — No. Ma c'è un pensiero che mi ronza nella testa, e oggi intendo rifletterci su bene, poi agirò. — Tesoro, sarebbe meglio che tu inventassi qualcosa prima dell'assemblea. — Con tutta onestà, lo credo poco probabile. Ma ci lavorerò su. Ah, Marilyn... — Dimmi, cara. — Grazie per come ti comporti con me. Mi dispiace davvero per Pete. — Non voglio raccontarti balle, Sunset. Certe mattine mi alzo dal letto e vorrei ammazzarti. So che non è giusto, ma vorrei ammazzarti, e non mi spiego perché Pete non c'è più o perché tu l'abbia ucciso. Poi all'improvviso capisco. Ma ancora non riesco a mandarla giù. Mi manca anche Jones. Non l'avrei mai ripreso in casa, però certe volte mi manca lo stesso. — Sono stata molto male, per questa cosa, — disse Sunset. — Non ne vado orgogliosa, ma pensavo che Pete mi avrebbe fatto fuori. Non permetterò che niente del genere accada di nuovo. — Dobbiamo sostenerci l'una con l'altra. Dobbiamo essere sicure che tutto vada bene, per Karen. Dov'è, a proposito? — Dorme. — Così tardi?
— Già. Ha cominciato a mettersi tutta in tiro. Sta diventando una donna. — Per via del ragazzotto che frequentava? — Quello l'ha quasi dimenticato. Adesso mi sa che ha preso una cotta per Hillbilly. — Meglio starci attenti. — Lui lo sa che è una ragazzina. È lei che cammina con la testa tra le nuvole. — Non lo conosci abbastanza, quel tale, per sapere che non ne approfitterà. — Penso di sì. — Ma ci starai attenta? — Sicuro. — Un'altra cosa. Jimmie Jo è stata uccisa con una trentotto. — Così dicono. Cazzo, e tu come fai a saperlo? — Le voci girano, tesoro. Potrebbe essere la pistola di Pete, e potrebbe anche essere stato lui. Non mi piace dire queste cose, ma già ti picchiava, e quindi a spararle non ci metteva niente una volta scoperto che aspettava un figlio da lui. Un figlio che Pete certo non voleva. Magari è andata così, e se non riesci a scoprire chi è stato, immagina il caso che potrebbe saltarne fuori. Cazzo, Jones aveva una trentotto proprio nel cassetto del cruscotto che hai di fronte. Sai quanta gente possiede una trentotto? — Mi sorprende che proprio tu finisca per suggerire la colpevolezza di Pete. — Non perché l'idea mi piace, o perché ne sono certa. Però potrebbe farti guadagnare del tempo, questa cosa, fino a quando non scopri il vero colpevole. Potrebbe essere la risposta giusta, il giorno dell'assemblea. — E se non scopro chi è stato? Se non è stato Pete? — Ormai può prendersi tranquillamente la colpa. Sunset vide Marilyn sbattere le ciglia. Una lacrima le sfuggì dall'occhio. La donna aveva un bel volto, ma il sole che le colpiva le rughe gliele metteva ancora più in evidenza, come piccoli solchi arati, e i capelli le si erano un po' sciolti, in certi punti, per ciondolarle sulle guance e sulla fronte. A Sunset ricordava una di quelle statue greche che aveva visto sui libri, la faceva pensare a Elena di Troia, anche se Marilyn aveva l'aria di un'Elena ormai sessantenne. Ancora bella, certo. Il tipo di faccia che uno scultore avrebbe affidato al granito. Marilyn si asciugò la lacrima con il dorso della mano. — Non parliamone più, — disse Sunset.
La suocera annuì. — Facciamoci un giretto. Voglio farti vedere una cosa. Passarono da una serie di stradine sterrate, sollevando un gran polverone, e arrivarono a una casetta con una grande veranda e una sedia a dondolo su cui stava Bill Martin. Al suo fianco, un paio di stampelle. Accanto alla casa c'era un vecchio camioncino azzurro mezzo arrugginito, e una Ford nera che invece non era tanto vecchia e sembrava in discrete condizioni. — Che gli è successo? — chiese Sunset mentre s'infilavano nel cortile. — Gli è caduto addosso un albero. Ce l'aveva quasi fatta, a scansarlo, ma l'ha colpito lo stesso. Una distorsione, pare. Me l'ha detto Don Walker. Non si muove foglia, in segheria, che Walker e Martin non ne sappiano qualcosa. Conoscono tutti e sanno tutto di tutti. Marilyn spense il motore. — Forse Bill la sta facendo un po' lunga per restare a casa qualche giorno. Gli piacciono i soldi, certo, ma lavorare non tanto. — Perché siamo venuti qui? — Si era fatto prestare dei soldi da Jones. Ora che Jones è morto, pensa che magari io non ne sappia niente. Almeno, così credo. Ho saputo di quest'altra macchina che si è comprato, e mi è venuta un'idea. Scesero dal camioncino e si avviarono verso la veranda. Appena si mossero, un cane che vi dormiva sotto, imbarazzato dall'essere stato colto di sorpresa, si svegliò di soprassalto e vi batté la testa contro, cominciando subito ad abbaiare. — Chiudi il becco! — fece Bill. Il cane, per far vedere chi era a comandare, abbaiò un altro paio di volte poi tacque, per tornare a sdraiarsi sulla sabbia sotto i gradini. Sunset ne vide gli occhietti lucenti sorvegliare le loro mosse, mentre imboccavano i gradini per poi fermarsi. Il cane era un grosso segugio bianco e nero dalle orecchie flosce e mozze, ricordo di chissà quante cacce al procione. — Buona giornata, signora Jones. Salve, Capo Sunset, — disse Bill. A Sunset parve che quando Bill la chiamava con quel nome avesse l'aria di prenderla un po' per il culo, ma decise di lasciar correre, visto che ancora era troppo presto per tirargli una revolverata, e sparare a un uomo con le stampelle non avrebbe fatto una buona impressione. — Buona giornata, Bill, — rispose Marilyn. Si aprì la porta e apparvero tre teste. Bambini. Dai nove ai dodici anni,
pensò Sunset. Per come mettevano fuori il capo sembrava fossero ammassati l'uno sopra l'altro: due femmine in alto, e il maschio - il più piccolo in basso, con il musetto da topo e gli occhi come more di rovo. A Sunset venne in mente che nessuno dei tre doveva aver mai visto l'interno di una scuola. A Camp Rapture le classi arrivavano fino alla nona. Chi voleva continuare doveva recarsi a Holiday, dove si raggiungeva l'undicesima. Quasi tutti lasciavano perdere dopo aver imparato a leggere, scrivere e far di conto. Non restava che il lavoro nei campi o in qualche negozio; per i più fortunati, l'istituto professionale per barbieri, a Tyler. Sunset non era certa di cosa avrebbe fatto Karen, in autunno, con la scuola. Per continuare, sarebbe dovuta andare a Holiday, e chissà come l'avrebbe presa. — Tornate dentro, voi, — disse Bill. — È roba da adulti, qua fuori. Forza. Le teste scomparvero, come si fosse aperta una voragine e i tre vi fossero piombati dentro. La porta sbatté. — Accidenti ai ragazzi, — disse Bill. — Non c'è verso di stare un po' tranquilli, qui. Proprio tre ne ha voluti fare, mia moglie. Poi è morta. — Davvero un'ingrata, — disse Sunset. Bill le lanciò un'occhiata, che a Sunset parve indicare confusione. Stava cercando di decidere se Sunset lo stesse sbeffeggiando o commiserando. — Vengo subito al sodo, — disse Marilyn. — Ti sei fatto prestare dei soldi da mio marito. È l'ora di restituirli. A Bill cadde quasi la pelle dalle ossa. — Non l'ho scordato, signora Jones. Certo che no. Appena ritorno a lavorare, faccio in modo di renderglieli. — Come ti sei procurato quella macchina? — disse Marilyn. — Un baratto. Con una vecchia macchina da sciroppi e relative pentole. Quando l'ho avuta era guasta, l'ho riparata io. — E adesso funziona? — Certo. — Bene. Avevo sentito dire di un camioncino e di una macchina, difatti, e credo che possiamo metterci d'accordo. Quel che dovevi a Jones in cambio della macchina. Ti resta pur sempre il camioncino per andartene in giro e al lavoro. — È una buona macchina, quella, — disse Bill. — Se faceva schifo non la volevo, — rispose Marilyn. — Ma mi serve.
— Hai il camioncino. — Mi piace quella. — Mi devi dei soldi. — Sissignora. È vero —. Bill valutò la situazione. — Potrei darle il camioncino e restituirle poi la differenza. — È un pezzo che mi devi quei soldi, Bill. Quando ne avevi bisogno, ti abbiamo aiutato. Ti è servito, o sbaglio? — Certo che sì. Avevo bisogno d'aiuto, quando è morta mia moglie. — Quindi? — Be'... ne avevo bisogno. — E te l'abbiamo dato. — Me l'ha dato Jones. Non certo lei, che non avrebbe voluto. — Chiamami scema. Ancora glieli devi rendere, i soldi. Ma il tuo debito adesso è passato a me. — Le cose non mi vanno tanto bene. — Capisco la tua situazione, ma hai un debito da saldare, e Jones e io abbiamo lasciato passare fin troppo tempo. Questa macchina fa proprio al caso. Chiudiamo qui la faccenda, anche perché se io non la volessi chiudere, la macchina non basterebbe certo. Ce ne vorrebbero ancora, di soldi. Sunset capì che rimetterci la macchina faceva soffrire Bill più del piede malandato. — Ho votato per fare eleggere Sunset, quando me l'ha chiesto. — Tu hai votato per un aumento di paga, — disse Marilyn. — Non c'è qualche altro modo? — chiese lui. — Puoi rendermi i soldi che mi devi, invece della macchina. — Cazzo, — disse Bill. — Credevi che me ne dimenticassi, di questa faccenda del prestito? Bill sorrise. — Diciamo che speravo di sì. Marilyn scosse il capo. — No di certo. — Potrei ancora darle i soldi, in effetti. — Troppo tardi. O me ne restituisci la metà subito, oppure mi dài la macchina. Prendere o lasciare. — Non ne ho nemmeno un quarto. Sono tempi duri. Questa è una rapina bella e buona. — No. È solo l'opportunità di saldare il tuo debito e uscirne pulito. — Altrimenti? — Per questo ho portato la legge, con me. In macchina ho i documenti del prestito, firmati di tuo pugno.
— È sicura che non ho già restituito qualcosa, a Jones? — Ho letto in quei documenti che per ogni pagamento ci sarebbe stata una ricevuta. Non ne ho vista neanche una. Perché non mi fai vedere le tue? — Mi farebbe arrestare? — Sì. — Oh, Cristo, — disse Bill con fare magnanimo. — Si prenda quella cazzo di macchina. Quando Bill, zoppicando sulle grucce, ritornò con le chiavi e il certificato di proprietà firmato, Marilyn porse il tutto a Sunset. — Ecco, — disse. — Non mi aveva detto che le macchina era per lei. — Non ne vedevo la necessità, — disse Marilyn. — Sei sicura, Marilyn? — fece Sunset. — Insomma, è una bella macchina. — Non c'è dubbio, — disse Bill. — Per questo voglio che tu la prenda, — disse Marilyn. — Ti serve. Non puoi continuare a dipendere dagli altri. Metti che Clyde molli il lavoro. — Non so che dire. — Di' grazie. — Grazie, Marilyn. — Non voglio darla a lei, — disse Bill. — E come mai? — chiese Marilyn. — Be', lei rappresenta la legge, certo, ma non sul serio. — Altro che, — disse Sunset. — E se tu non avessi pagato il tuo debito nei confronti della signora Jones, ti avrei arrestato. Bill sembrava masticare vetro. — Ti secca che sia una donna a fare questo lavoro, eh? — disse Sunset. Sulle stampelle, Bill tornò alla sedia a dondolo, in veranda. Si sedette e attaccò a dondolare con furia, come a volersi lanciare via dalla sedia e dall'intero Texas orientale, un posto in cui le donne potevano diventare la legge e fregargli la macchina per un debito non pagato. — Bene così, — disse Marilyn. — Va' pure a casa, Sunset. Di' a Karen che verrò a prenderla presto, per portarla al cinema a Holiday. — Sunset c'è già stata, — disse Bill dalla veranda. — È laggiù che ha salvato quel negro. — Sarai felice di sapere che l'hanno linciato, — disse Sunset.
— L'avevo sentito. E avresti risparmiato a tutti un sacco di fastidi, se gliel'avessi lasciato in mano a Holiday. A Tyler si sarà anche riempito lo stomaco. Non se lo meritava, pure se gli avessero dato soltanto pane e acqua. — Fossi in te, chiuderei il becco, — disse Sunset. — Non ti scordare che stai parlando con la legge. — Non sto ragionando di questioni di legge. Faccio solo per chiacchierare. Andate, andate pure. L'avete ottenuto, quel che volevate. Bill si alzò, si puntellò sulle stampelle ed entrò in casa, sbattendo la porta. Sunset aveva imparato a guidare da ragazzina, quando lavorava alla fattoria, prima di capire cos'aveva in mente per lei il padre adottivo. Poi era scappata, e non aveva più guidato molto. Ogni tanto le era capitato, con Pete, ma solo se lui aveva bisogno di qualcosa. A Pete non piacevano le donne al volante, in particolare la sua, e l'idea che lei sapesse guidare e potesse quindi tagliare la corda, non lo tranquillizzava. Gli piaceva averla a portata di mano, come amava dire, ovvero sotto il suo tetto e sotto il suo tallone, in trappola come un topo dentro una scatola di cartone senza fori per l'aria. Nel guidare a finestrino abbassato, col vento che le scompigliava i capelli rossi come soffiasse sul fuoco, Sunset avvertì una sensazione magnifica. Il collo e le guance le brillavano come se un mantice le infondesse un calore da tempo scomparso. La pelle sembrava voler lambire l'aria, un'aria che aveva un dolce sapore, e Sunset si sentiva piena di vigore, le ossa come di ferro, e continuò a guidare, in un nugolo di polvere che entrava dal finestrino, la faceva tossire e le aderiva al volto sudato. Ma non ci faceva caso. Non ci faceva caso perché in lei c'era un bel fuoco, adesso, a darle una piacevole sensazione di calore anche in un clima così sgradevole come quello del Texas orientale. Dal finestrino iniziò a vedere il mondo non più ammantato dalla polvere bianca e grigia della strada, ma che si rivelava nel verde smeraldo dei pini e dei cedri del bosco e nell'azzurro del cielo e nel profumo della castilleja e del bluebonnet e del ranuncolo e del girasole e di tutti i fiori selvatici che uscivano dal bosco per fermarsi sull'orlo della strada uno dietro l'altro, come in una parata, mentre il rombo della macchina spaventava torme di uccelli ogni volta che imboccava una curva a manetta. Si sentì la regina di tutto ciò che i suoi occhi riuscivano a vedere. Sunset arrestò la Ford davanti alla tenda, e quando Clyde, ancora seduto
là fuori, la vide arrivare, si alzò in piedi e si accostò alla macchina per salutarla. — Rubata? — disse lui dal finestrino aperto. — No. Ho fatto a cambio con un ubriaco. Mi sono lasciata toccare le tette. Clyde la guardò scandalizzato, e lei scoppiò a ridere, raccontandogli come ne fosse entrata in possesso, e mentre glielo raccontava teneva ancora le mani sul volante, la testa contro il sedile, appena di sbieco, così da poter parlare a Clyde e allo stesso tempo godersi la sensazione della sua auto nuova. — Cazzo, adesso che hai una macchina tua non ti servo più. Sunset scese dall'auto e chiuse la portiera. — Non dire scemenze, Clyde. Come farei senza di te? Sei il mio braccio destro. A proposito, dov'è finito il mio braccio sinistro? Karen uscì dalla tenda. Si era pettinata, ed era fin troppo in ordine per essersi appena alzata. — Di chi è quella macchina? — Nostra. Omaggio di tua nonna. — Davvero? — Proprio così. — Oddio, — fece Karen. — Una macchina tutta nostra. Karen si avvicinò all'auto per guardarla meglio, e Sunset andò alla pompa dell'acqua per togliersi la polvere dal volto sudato. Si tirò i capelli all'indietro, e quando girò la testa per farsi scorrere l'acqua sul viso si accorse che Clyde la guardava, con un'aria così tenera che le venne da pensare: Oh, cazzo, Clyde, non prenderti una cotta per me, perché io proprio non posso. Poi girò ancora la testa per lavarsi l'altro lato del viso, e fu allora che vide Hillbilly in fondo alla strada, col suo tipico passo disinvolto e padrone di sé, e le parve strano che non fosse neanche un po' sudato e impolverato. Il sole che gli batteva sul berretto gli faceva una sorta di aureola scura attorno alla testa. Fu presa da un calore simile al precedente, quando guidava, forse anche più intenso, e questa volta non le prendeva solo il viso, ma si allargava al resto del corpo. — Ciao, Hillbilly, — disse Karen. — Ciao, tesoro. 17.
Lee stava sognando di essere Tarzan addormentato su un albero con Jane tra le braccia. Fu svegliato da un lamento. Nel rendersi conto che lui Tarzan proprio non era, rimase confuso, senza capire dove fosse. Alzò lo sguardo al cielo, vide i rami dell'albero, e decise che magari Tarzan lo era davvero, e che il lamento l'aveva mandato Jane. Ma visto che di Jane non c'era traccia e che lui era vestito da capo a piedi, si convinse che non si trattava di un lamento estatico o di un semplice mal di schiena, ma che forse qualcuno era caduto dall'albero, perché gli alberi romantici quanto volete - non sono certo il posto ideale per dormire, se non si è una scimmia. Poi si svegliò del tutto. Era su un albero, ma non in Africa, e sotto di lui c'era Goose. Girò su se stesso e guardò in basso. Goose era seduto con la schiena contro il tronco. — Maledetta la miseria, — diceva. — Mi ha morso un serpente. — Cosa? — Un serpente. Un testa di rame. — Sicuro? — Certo che sono sicuro. Mi sono svegliato, quando mi ha morso. Non era un cervone, no. Quegli stronzi di testa di rame sono puro veleno. Lo so anch'io. L'ho visto strisciare tra le foglie, lì. Mi ha beccato sulla mano. Era piccolo. Non mi fa tanto male. — E dov'è andato, di preciso? — Be', non mi ha detto dove intendeva andare a concludere il lavoro, — disse Goose. — Ma si è infrattato tra quelle foglie, laggiù. Goose le indicò. Lee scese dal ramo e si guardò attorno. Trovò un grosso bastone. — Guarda che mi ha già morso, — disse Goose. — Non è che starò meglio, se lo prendi a randellate. Lee gettò il bastone. — Giusto. Dobbiamo procurarci un medico. Ce la fai a camminare? — Mi ha morso sulla mano, non sulla gamba. — Bisogna camminare piano, con cautela. Il veleno è pericoloso perché entra in circolo. — Pensi che mi passerà? — Sicuro. Ma dobbiamo trovare un medico. Tornarono sulla strada e si misero in marcia. Ormai era mattina, e cominciava a far caldo. Lee sperava che Camp Rapture non fosse lontano, e
che ci fosse un medico, e che non fosse troppo tardi. Si sforzò di identificare la zona, di capire dove si trovassero, ma avrebbero potuto essere in Romania. — Mi brucia come il fuoco, la mano, adesso, — disse Goose. — Me la sento pesante. Lee osservò la mano del ragazzo. Era bella gonfia, e si stava facendo nera. — Infilala nella camicia. Apri un paio di bottoni. Mettila dentro, alla maniera di Napoleone, così non ti ciondola al fianco. — Oddio. Fa male. — Lo so, figliolo. Muoviamoci. Proseguirono per un po', ma Goose cadde in ginocchio. — Mi gira la testa, e mi brucia peggio di un cane arrabbiato. — Andrà tutto bene. Goose cadde a faccia in terra. Lee cercò di prenderlo in braccio. Era una faticaccia, e dopo pochi metri fu costretto a metterlo giù. Lo prese di nuovo, ma questa volta se lo caricò sulla spalla. Sempre una gran fatica era, ma meglio che portarlo in braccio. Riuscì a compiere una distanza doppia, si fermò, e con grande difficoltà si passò il ragazzo sull'altra spalla. Goose aveva smesso di parlare. Neanche si lamentava più. Scottava. Lee continuò a parlargli. — Ce la faremo, figliolo. Non può essere così lontano. Ci sono già stato un sacco di tempo fa, e non mi sembra che sia così lontano. Continuarono a camminare, e la strada ad allungarsi. Lee avrebbe voluto fermarsi, sdraiarsi un po'. Era esausto, per il caldo e per il peso del ragazzo, ma proseguì barcollando. Meno male che Goose non è un grassone, pensò, altrimenti finirei a gambe all'aria senza più rialzarmi. D'altra parte, fosse stato grasso, non avrebbe certo corso come un'oca e non gli avrebbero dato quel soprannome. L'avrebbero chiamato Pig, o roba del genere. Si sentiva le gambe pesanti e le braccia sfinite, ma tentò di concentrarsi sulla strada, convinto che dietro ogni nuova curva ci fosse Camp Rapture. Si chiese come fosse diventato, quel posto. Quando se n'era andato da lì, era appena diventato un campo e non c'era poi chissà cosa da vedere. Cazzo. Quanti anni erano passati? Trenta? Trentatre? Non se lo ricordava più. All'epoca, aveva poco più di vent'anni. Adesso, poco più di cinquanta. No. Ma cosa stava pensando? Aveva perso la cognizione del tempo. Cinquantaquattro, erano. Poco più di cinquanta, o quasi cinquantacinque? Cristo, se
pesa, questo ragazzo. E fa caldo, che cazzo di caldo, e anche Goose è caldo, brucia come un fuoco. Lee inciampò e cadde in terra. Il ragazzo gli scivolò dalla schiena e finì in mezzo alla strada. — Dio santo, figliolo, mi dispiace, — disse Lee. Ma il ragazzo non si era reso conto della caduta, né che Lee gli parlasse. Con uno sforzo degno di Atlante, Lee riuscì a tirar su per l'ennesima volta Goose, tenendo bloccati una gamba e un braccio e passandoselo sulla schiena. Per un po' le cose andarono meglio, ma ben presto gamba e braccio iniziarono a fargli male. Devo sdraiarmi un istante, pensò. No. Non posso. Ogni secondo è importante. Guardò la mano del ragazzo, che gli pendeva su un fianco. Nera e gonfia, a una mano non assomigliava neanche più. Sembrava una creatura mostruosa. — Ce la faremo, Goose, — disse, e si chiese se ce l'avrebbero fatta, e se il ragazzo fosse ancora vivo. Arrancando, riuscì a rilassarsi, ad avvertire il fiato del ragazzo. Lee sentiva i leggeri e tesi movimenti del corpo di Goose, ogni volta che respirava. — Per l'amor di Dio, Gesù, — disse Lee. — Lo so, che mi sono comportato male. Ma non rifartela su di lui. Aiutami ad aiutarlo. Ma Gesù non si fece vivo. Dio non gli fornì un calesse, né un medico. Lo Spirito santo non lo rincuorò. Lee tirò dritto, inciampò, cadde su un ginocchio, si rialzò, riprese la marcia. — Figli di puttana, — disse al Padre al Figlio e allo Spirito santo. — Tutti e tre. Poi udì il rumore. Si voltò, quasi cadendo. Quello che veniva giù era un camioncino. Lee si piazzò al centro della strada. Il camioncino sbandò sulla sinistra, e nel fermarsi fece traballare qualcosa dentro il cassone. C'era una donna, al volante. In apparenza, della sua età. Di bell'aspetto, con una ciocca grigia tra i capelli. Occhi azzurri, fiammeggianti. La donna abbassò il finestrino. — Cosa c'è che non va? — Il ragazzo. L'ha morso un serpente. — Velenoso? — Ha una mano grossa quanto il mio cranio. Dice che era un testa di rame. — Saltate su.
Lee montò sul camioncino, col ragazzo di traverso sulle ginocchia. Sfilò a Goose il berretto aderente e gli tolse i capelli dagli occhi, usando il berretto per tergergli il sudore dal volto. Posò la mano offesa sul petto del ragazzo, nera ed enorme. Sembrava che bastasse sfiorarla, per farla esplodere. Lee gli arrotolò la manica. Il braccio era costellato di linee rosse e blu. — Guardi com'è conciato, — disse. Marilyn sbirciò il braccio del giovane e riprese la marcia. — Pensavo di portarlo a Camp Rapture, da un medico. Forse può ancora farcela, — disse Lee. — Se andiamo da Aunt Cary, ha più possibilità. È una levatrice, ma di morsi di serpenti ne sa parecchio, così come di tante altre cose che i medici ignorano. È una specie di medico anche lei. — Spero che abbia ragione. — Poi è più vicina. — Camp Rapture è più lontano di quanto mi ricordavo. — A quando risalgono i suoi ricordi? Lui glielo disse. — C'era una strada più diretta, un tempo, ma il torrente non faceva altro che spazzarla via, così l'hanno ricostruita. Questa qua fa qualche giro di più, ma non rischia le inondazioni. — Sicura di questa Aunt Cary? — Ha salvato un sacco di gente, — disse Marilyn. — L'ho vista fare ogni genere di cose. A Camp Rapture, una volta, ha fatto nascere un bambino con una sorta di taglio cesareo. Il bambino ce l'ha fatta, e anche la madre. Aunt Cary l'ha ricucita con del filo da pesca. Com'è, come non è, mi fido più di lei che di un medico vero. Poi, ripeto, è più vicina, e questo ragazzo ha bisogno di cure urgenti. Lasciarono la strada maestra per imboccare uno stretto viottolo. Il camioncino avanzava a balzi, e il contenuto del cassone traballava con fragore. Lee si guardò alle spalle, dal lunotto posteriore. Vide una serie di attrezzi per scavare buche, più una pala e un'ascia. Non gli sarebbe parso vero, che quella roba zompasse giù dal camioncino. Il rumore gli faceva venire il mal di testa. Marilyn aveva imboccato il viottolo a tutta birra, ma la strada era troppo malmessa per consentirle una simile velocità, e fu quindi costretta a rallentare. — Respira strano, — disse Lee. — I morsi di serpente attaccano i polmoni, — rispose Marilyn. — Oltre
al resto, ma soprattutto i polmoni. Non potendo respirare, finisce che spedisci il veleno dritto al cuore. Il bosco si fece più fitto. Lunghe linee di rampicanti pendevano da alberi scuri e contorti, pieni di rovi. Il viottolo divenne ancora più stretto, per poi terminare in uno spiazzo su cui sorgeva una vecchia casa, di piccole dimensioni e dal portico avvallato. Il cortile era zeppo di pezzi di ricambio per carri e di lame d'aratro; c'era anche un tronco con un'ascia infilata dentro, e una certa varietà di penne di gallina. Marìlyn fermò il camioncino accanto al portico e scese. — Aunt Cary! Ci sei? Sono Marilyn Jones. Abbiamo un'emergenza, — gridò. La porta si aprì e ne uscì Uncle Riley, seguito dal figlio Tommy. — Questo è il marito, Uncle Riley, — disse Marilyn. — E il figlio, Tommy. Lee vide che Uncle Riley dimostrava assai meno dei suoi anni. Difficile chiamarlo Zio. Era un gran pezzo d'uomo, con la testa rasata. Indossava dei calzoni fin troppo corti e una T-shirt aderente e macchiata. Il ragazzo era scalzo, ficcato dentro una tuta da lavoro. Aveva i capelli lunghi e ricci, che gli schizzavano in aria come molle. — Come va, Miss Marilyn? — disse Uncle Riley. — Posso esserle utile? — Abbiamo un ragazzo morso da un serpente, Uncle Riley. Un testa di rame. È già tutto gonfio. Ci serve Aunt Cary. — È andata a raccogliere radici. Tommy, va' a cercarla, e dille di tornare subito. Tommy si fiondò in casa e uscì dal retro. La porta posteriore sbatté come un colpo di fucile. — Portiamolo dentro, — disse Uncle Riley. Lee e Uncle Riley trasportarono Goose nella stanza da letto. Uncle Riley mise un cuscino sotto la testa del ragazzo e gli esaminò la mano. Lee si guardò attorno. La stanza era piena di scaffali colmi di sacchetti e vasi di vetro. I vasi contenevano radici e terriccio, a prima vista, e delle polverine colorate, ma in uno di essi galleggiavano parecchie teste di mocassino d'acqua, in un liquido che aveva tutta l'aria di essere urina. Poi ne vide diversi altri, di vasi con teste di serpente, in cui si muovevano sottili linee rosse simili a rivoli di sangue. Uncle Riley si chinò sulla mano di Goose. — Un bel morso, non c'è che dire, — fece. — Ha detto che era piccolo, il serpente.
— Quelli piccoli sono i peggiori. Sono pieni di veleno. La porta sul retro sbatté di nuovo, e dopo un istante entrò una donna di bell'aspetto, un po' sovrappeso, dalla pelle rossastra e lentigginosa. Attorno alla testa aveva annodato un fazzoletto a quadri rossi e neri. La donna non prestò la minima attenzione a Lee e Marilyn, ma andò dritta dal ragazzo, gli osservò la mano, la tastò con un dito. — Tommy, — disse, — va' a prendermi il coltello. Quello piccolo e affilato che uso per le pere. Porta anche un bicchiere e un po' della mia medicina. Tommy uscì e tornò subito dopo con un coltellino a serramanico, un bicchiere e un recipiente col tappo di sughero. Aunt Cary posò coltello e bicchiere sul bordo del letto e tolse il sughero dal recipiente con i denti bianchissimi e in ottime condizioni. Versò un po' di liquido nel bicchiere. — Questo è il meglio che sa fare Mister Bull, — disse. Dall'odore, Lee capì che si trattava di white lightning, whisky clandestino. Aunt Cary ne ingollò una sorsata, versò altro whisky nel bicchiere, lo mise sul pavimento e vi si inginocchiò sopra. Aprì il coltello e lo immerse nel whisky, per poi bere il contenuto del bicchiere. Si sedette sull'orlo del letto e prese la mano del ragazzo, punzecchiando la ferita con il coltello e senza praticare tagli o incisioni, ma immergendo la punta della lama dritta nei segni dei morsi, da cui iniziò a uscire del pus molto scuro. La donna prese il recipiente e versò un po' di whisky sopra i morsi. — Portami la pietra, — disse. Tommy scattò via e tornò con una pietra bianca e bitorzoluta, grande quanto il suo pugno. Aunt Cary la prese e la adagiò con forza sulla ferita. Lee vide che la pietra diventava scura. — Sta succhiando via il veleno? — chiese. — Già. — Che pietra è? — Io la chiamo pietra di latte. Tommy, tira su la brocca del latte dal pozzo. Tommy filò via. In sua assenza, la pietra divenne ancora più scura. — Non lo so se è davvero una pietra, — disse la donna, — ma guardate come succhia via il veleno. Tommy fu di ritorno con la brocca, ancora umida perché tenuta nel pozzo con una corda. Anche il latte al suo interno era fresco. Aunt Cary ne versò mezzo bicchiere e lo posò sul pavimento. — Guardi qui, — disse.
Mise la pietra nel latte, che divenne scuro come una nuvola di temporale. — Ho provato anche con l'acqua, ma non va altrettanto bene. Sembra che il latte la prosciughi completamente. Quando il bicchiere fu diventato nero di veleno e pus, e la pietra non più visibile, Aunt Cary lo porse a Tommy. — Butta via questa roba, e sta' attento a non versartela sulle mani. Poi riportami il bicchiere. Non la gettare nell'orto, capito? — Sissignora. Tommy sparì per l'ennesima volta, tornando con la pietra nel bicchiere vuoto. La pietra sembrava adesso più grande, come una spugna rigonfia, ma era tornata bianca come all'inizio. Aunt Cary versò altro whisky nel bicchiere, lo agitò appena, estrasse la pietra e la premette di nuovo sulla ferita. La pietra tornò a riempirsi di veleno. Aunt Cary prese una Bibbia dallo scaffale, la aprì e trovò quasi subito la pagina che voleva. Recitò un paio di versetti ad alta voce. — Questi guariscono, — disse poi. — Li ho riconosciuti, — disse Lee. Allungò la mano a toccare la fronte del ragazzo. Era calda e sudata, ma non più come prima. — Adesso vado a preparargli qualcosa che gli farà calare la febbre, — disse Aunt Cary. — Guarirà? — chiese Marilyn. — Questo spetta al Signore, — disse Aunt Cary. — Ma credo di sì. Sissignora. Credo di sì. Lee si accorse di un'altra cosa sorprendente. La mano di Goose si era sgonfiata e non era più nera. Aveva preso un colorito azzurrino, e le linee che prima gli correvano su per il braccio erano quasi scomparse. Dai segni dei morsi, adesso, usciva sangue, non più veleno. — Riley, — disse Aunt Cary al marito, — guarda se peschi qualche ragnatela dietro il fornello. Uncle Riley andò a frugare dietro il fornello e raccolse un certo numero di ragnatele, neanche fossero fili di un tessuto. Le portò alla moglie, che ne fece una sorta di tampone e le applicò sui morsi, che si raggrumarono all'istante di sangue rosso scuro. — Fermano il sangue, — disse Aunt Cary. — Non pulisco mai, là dietro. Va' a sapere quando ti possono servire, le ragnatele. Lee toccò la mano di Goose, con cautela.
— Mi prenda un accidente, — disse. — La febbre è quasi scomparsa. — Perché non ha più veleno, in corpo, — disse Aunt Cary. — E ci prenderà a tutti quanti, un accidente, se non cambiamo modo di fare. 18. Più tardi, lo stesso giorno, Henry venne a sapere un altro fatterello che gli parve di gran lunga meglio della classica ciliegina sulla torta. Già era al settimo cielo per aver scovato una cosa in grado di accusare Sunset d'omicidio, benché gli fosse toccato forzare un po' la mano. Era andato al lavoro, ma non ne poteva più di starsene seduto in ufficio a far niente, e aveva deciso di uscire di lì e filarsela a Holiday, da una signorina che conosceva bene e che ne faceva di tutti i colori per cinque dollari e un quarto. Era un prezzo strambo, certo, ma così aveva stabilito lei, e lo valeva eccome. Bionda e formosa, un culo che bastava per due, ma bella compatta e ben piazzata, anche se spesso vittima di irritazioni cutanee all'interno delle cosce. Nel passare in macchina davanti all'emporio, dette un'occhiata, come faceva sempre, all'appartamento sovrastante. Un posto singolare. Dipinto di rosso vivo, con solo due piccole finestre sulla strada simili a occhietti quadrati in un volto bruciato dal sole. Sul retro, invece, di finestre ce n'erano a iosa, e si affacciavano su una muraglia di terra ed erba, parte di una grossa collinetta boscosa che torreggiava sopra l'emporio e l'appartamento. Lassù abitava John McBride. Con McBride, Henry aveva un rapporto d'affari, ma cercava di non pensarci troppo nei momenti in cui non aveva a che fare con lui. Non era il tipo su cui avere pensieri, se proprio non si doveva. Era arrivato da Houston passando per Chicago, su richiesta di Henry, che certe volte si chiedeva se non avrebbe fatto meglio a non prendere questa decisione: McBride era di quelli che all'inizio sembra che lavorino per te, poi ci vuole poco a far sembrare che sia tu a lavorare per loro, senza che ci sia più verso di levarteli dai piedi. All'improvviso te lo ritrovavi dentro fino al collo nelle tue faccende. Uno come McBride ti sarebbe piaciuto non averlo mai conosciuto, anche se certe volte ti tornava utile: pareva arrivare da posti ben più a sud di Houston (o del Messico, a dirla tutta). Ben più a sud. E con lui era arrivato l'altro. Il nero. Parlava poco, e quel poco con l'aria di rivolgersi a un essere invisibile che ti stava alle spalle, alla tua sinistra. Già. Il nero. Un vero e proprio scarafaggio gigante, con tanto di cappello e soprabito Prince Albert. Il malvagio alter ego di McBride.
Di pensare al nero Henry non aveva la benché minima voglia. E neanche di pensare al suo nome, per paura di evocarne la presenza. Se McBride veniva davvero dal Sud, l'altro chissà da quali profondità dell'inferno era spuntato. Henry andò con la mente alla puttana per cui era venuto a Holiday, ma quando raggiunse Dodge Street rimase deluso nello scoprire che la sua amichetta aveva un appuntamento chissà dove. La giornata cominciava male. Henry non aveva voglia di tornarsene alla segheria, tanto meno a casa per trovarci la moglie sbronza, ma si ricordò che proprio a casa, nascosto dietro un piccolo divisorio nel cassetto della scrivania, teneva un libricino dalla copertina nera sul quale erano riportati gli indirizzi e i pochi numeri delle puttane munite di telefono, o i numeri di quelli che prendevano le chiamate per le puttane senza telefono. Donne di cui non si era mai servito, ma che comunque conosceva per via di informazioni passate da terzi. In realtà non aveva mai pensato di usarle, visto che c'era sempre la bionda che a lui piaceva tanto, però quel giorno gli era andata buca, e aveva la necessità di dare una bella ripulita agli scarichi. C'era rimasto male, e adesso era disposto a fare un tentativo con qualcun'altra. Così si diresse verso casa, a caccia del libricino nero. Nell'entrare, non chiamò la moglie. Non era mai una buona idea, chiamarla: poteva comparirti davanti da un momento all'altro, un enorme ammasso di carne simile a una montagna di purè di patate dotata di vita propria e sormontata da una chioma unta e bisunta peggio di un filtro dell'olio sfondato. Nell'entrare, vide un piede bianco e grassoccio spuntare da sopra il divano. Si accostò e chiamò la moglie per nome, senza ricevere risposta. Sbirciò da dietro lo schienale. Era nuda, come al solito. L'altra gamba giaceva sul divano in una strana posizione. Per un breve istante Henry mise a fuoco la piccola differenza che correva tra sua moglie e una montagna di purè di patate, e la sola vista di quella sorta di ferita pelosa lo fece sobbalzare. Poi si accorse che neanche il resto aveva un bell'aspetto. Il seno, grasso e flaccido, era ricaduto all'indietro a coprirle la faccia - grazie a Dio, pensò Henry - e la trippa circostante era sparsa in abbondanza tra divano e pavimento. La chiamò un paio di volte. Nessuna risposta. Fece il giro del divano, a dare un'occhiata. C'era ben poco da vedere. Fece per allungare una mano e spostare una tetta, così da
guardarla in volto, ma il pensiero gli provocò un brivido. Erano anni che non toccava uno di quegli ordigni, e non aveva certo voglia di ricominciare in quel momento. Prese un attizzatoio dal caminetto e se ne servì per sollevare la tetta gigante, tenendola sospesa a mezz'aria come una sorta di laido animale cui aveva appena sparato ma che temeva potesse essere ancora in vita. Sotto la tetta c'era un braccio, piegato a coprire il viso; nel pugno c'era un bicchiere, e la bocca del bicchiere era premuta contro il viso medesimo. Allora capì. Doveva essersi messa a bere in piedi, le spalle rivolte al divano. Ubriaca fradicia, come d'uso, aveva di sicuro gettato indietro la testa per scolare il bicchiere fino all'ultima goccia, e il movimento l'aveva mandata a gambe all'aria. Era caduta sul divano, e l'impeto le aveva fatto volare le tette sulla faccia come sacchi di farina. Il resto del corpo le era andato dietro, tanto da farle dare una bella capocciata sul pavimento. O magari le era preso un infarto. Che importanza aveva? Tanto era morta. Oppure no? Lo aveva fregato già, in passato. Al punto da spingerlo a valutare la possibilità di fare un bel discorsetto a McBride. Ma non gli era parso il caso di sfidare così tanto la buona sorte, visto che McBride - su suo incarico - aveva messo fuori combattimento il sindaco una volta per tutte. Henry esaminò con attenzione la moglie. Tracce di vomito attorno alla bocca e sul pavimento. Bocca spalancata, col bicchiere mezzo dentro. Con l'attizzatoio, Henry abbassò la tetta, poi glielo piantò nel fianco. Un paio di belle botte, che però non ottennero esito alcuno. Gli venne da ridere. Ne fu sorpreso lui per primo. Una risata dritta dal nulla, come un temporale estivo. Attaccò a ridere, senza riuscire a smettere. Si lanciò in un piccolo balletto. Negli ultimi tempi aveva cominciato a dubitare dell'esistenza di Dio, ma adesso si rendeva conto d'aver sbagliato. Non solo Dio c'era, ma quel figlio di puttana stava anche dalla sua parte. Ripose l'attizzatoio, scovò un bicchiere e prese la bottiglia della moglie dalla mensola del caminetto, si versò una robusta dose di whisky, la ingollò d'un fiato, ne bevve una seconda. Non gli fecero il minimo effetto. Era più sballato di quanto mai potesse ridurlo il whisky. Non sarebbe stato più contento neanche se la regina delle fate gli avesse garantito di allungargli l'uccello di quindici centimetri.
Andò a prendere una trapunta in camera da letto e tornò a coprire sua moglie. Lei si lamentò. Niente di che, ma pur sempre un lamento. Henry si fermò ad ascoltare, gli occhi sbarrati. Sperava di aver udito il gorgoglio del proprio stomaco, il transito di gas intestinali. No. Un altro lamento. Sollevò la trapunta. Gli occhi della donna sfarfallarono deboli e si richiusero. La mano che ancora reggeva il bicchiere si staccò dalla bocca e piombò pesante sul pavimento. Si era sbagliato, su Dio. Si chinò a coprirle di nuovo il volto con la trapunta, poi attaccò a premere schiacciandogliela con forza sul naso; infine le gravò sopra con tutto il suo peso. Debole com'era, la donna non oppose molta resistenza. Il piede appoggiato al divano si agitò un poco, in segno di resa, per poi restare immobile. Henry continuò a premere. Con la mano libera si tolse l'orologio di tasca e lo aprì. Fissò con attenzione le lancette, mantenendo la pressione con l'altra mano e bloccando la testa della moglie con il ginocchio. I rotoli di grasso iniziarono a tremolare, ma la donna non tentò di alzarsi né di muovere un dito. Dopo un po', anche il grasso smise di agitarsi. Henry consultò l'orologio e vide che le aveva tenuto la trapunta sul naso per circa quattro minuti. Spossato, mollò la presa e si tirò su. Si chinò a sollevare la trapunta. La donna sembrava morta. Henry afferrò l'attizzatoio e glielo conficcò nel fianco, con più energia di prima ma con la trapunta di mezzo, così da non lasciare segni. Stavolta Dio era stato con lui, anche se gli era toccato sbrigarsela da solo. Si versò un altro drink e lo sorseggiò pian piano, poi andò a ripescare Willie. Poteva chiamarlo, certo, entrambi avevano il telefono, ma un messaggio del genere preferiva recapitarlo di persona. Non provava una simile vertigine da quando, dodicenne, aveva ricevuto una calibro 22 come regalo di compleanno e l'aveva usata subito per sparare al gatto dei vicini, che se ne stava su un albero. Durante il tragitto, si chiese se Willie avesse una cassa grande a sufficienza per quella vecchia troia. Era grossa come un orso del cazzo. Ci sarebbe voluta una squadra di uomini per tirarla su. Magari anche un bue, e
nemmeno tanto piccolo. Va bene. Non un bue. Ma gli balenava davanti agli occhi l'immagine di un bue, un bue con tanto di catene legate da un lato alla cavezza e dall'altro ai piedi della cicciona, un bue fatto partire a sacrosante frustate, un bue che trainava quel vecchio e defunto culone giù dal divano e fuori della porta. Magari dovrei rivestirla, pensò. No. Troppa fatica. Con quali abiti l'avrebbe sepolta? Poteva sempre aprire un foro nella trapunta e fargliela passare dalla testa. Era una possibilità. Non doveva però mostrarsi troppo allegro. Rischiava di mandare tutto all'aria. Potevano pensare che non fosse una vera botta di culo, ma che l'avesse fatta fuori lui. Il che, peraltro, era vero. Continuò a guidare, e si convinse che tutto andava per il meglio. Prima la cosuccia su Sunset, adesso sua moglie, morta per mano dell'alcol e della forza di gravità, oltre che per il suo decisivo intervento. Benedetta la fermentazione. Benedetto Isaac Newton. Benedetti i muscoli della mano. Senza neanche accorgersene, si mise a cantare. 19. Il bosco ribolliva dal caldo e pullulava di zanzare. I rami degli alberi spezzavano i raggi del sole. La luce colpiva la croce sulla tomba e ne proiettava l'ombra, per andarsi poi a frantumare sulla montagnola di terra coperta dalle foglie. Clyde e Hillbilly si appoggiarono alle pale e guardarono Sunset, in attesa di istruzioni. I due non si parlavano più dello stretto necessario. Hillbilly non era certo ubriaco, aveva notato Sunset, ma si comportava come tale, e la cosa la faceva incazzare. Lui aveva un lavoro da compiere, e lei era il suo capo. Forse doveva parlargliene, pensò, ma decise di lasciar perdere. Non ne era sicura, ma un'idea se l'era fatta. E non le piaceva neanche un po'. Non era questo il modo di agire. Fosse stato Clyde, glielo avrebbe già fatto notare. Ma non poteva essere Clyde, che si presentava sempre in orario e pronto a cominciare. Era il suo modo di fare.
Quella mattina Sunset aveva giustappunto deciso di passare alle vie di fatto. Ci aveva pensato poco dopo essere tornata a casa con la macchina nuova. — Le pale vi servono solo per starci appoggiatì? — disse. — Tu non ce l'hai, una pala, — rispose Hillbilly. — Io sono il capo, quindi ammazzo le zanzare. — Non ci arrivo, — fece Clyde. — Cos'è che stiamo combinando? Non ho intenzione di ritrovarmi sotto gli occhi una sfilza di bambini morti. Poi, ormai, non ci sarà rimasto altro che qualche osso, a voler esagerare. Che razza di prove sono mai, queste? Sunset schiacciò una zanzara, che le si allargò in una piccola chiazza scura sulla guancia. — Devo sapere se c'è un bambino, qua sotto. — Zendo l'ha visto, — disse Clyde. — Lo so, — rispose Sunset. — E io gli credo. Ma voglio scoprire se il bambino è andato a finire qui. — E perché non dovrebbe? — disse Hillbilly. — Non lo so, — fece Sunset. — Dovrebbe, in effetti. Ma mi chiedo perché siano stati uccisi, lui e Jimmie Jo. — Può essere stato Pete, — disse Clyde. — Si è incazzato con quella donna, tra una cosa e l'altra, e l'ha fatta fuori, proprio come avrebbe fatto con te se tu non l'avessi ammazzato prima. — È una possibilità che ho preso in considerazione, — disse Sunset. — Pete era d'animo cattivo e capacissimo di uccidere chicchessia, ma non credo che avrebbe messo su tutta questa messinscena. L'avrebbe semplicemente violentata per poi piazzarle una palla in fronte, e festa finita. — Qualcuno le ha davvero sparato in testa, — disse Clyde. — E con lo stesso calibro dell'arma di Pete. Che, guarda caso, adesso hai tu. Per come la vedo io, hai appena spiegato chi ha ucciso chi, e questa cosa dovresti dirla pari pari all'assemblea. Pete si è incazzato con la sua ganza, ha ammazzato lei e il suo bambino, e se era sbronzo quanto basta per violentare e uccidere quella donna come stava per fare con te, era anche sbronzo quanto basta per strapparle via il bambino dal grembo. Poi si è sbronzato ancora di più, ci ha rimuginato sopra e se l'è presa con te, e quasi ti ha ammazzato. Fine della storia. Torniamocene a casa. Fa troppo caldo per scavare buche. — Un sacco di gente possiede una trentotto, — disse Sunset. — Vero, quando ci siamo sposati non pensavo certo che Pete mi avrebbe menato. Né che fosse capace di ridurre qualcuno nelle condizioni di Jack Tre Dita. — Com'è andata la faccenda, una buona volta? — chiese Hillbilly. —
Deve essere stata una cosa sensazionale. Non fanno altro che parlarne, tutti quanti. — Pete aveva litigato con lui per via di Jimmie Jo, — disse Sunset, — e l'ha fatto in mia presenza. Ha visto Jack e gli ha detto di lasciare in pace Jimmie Jo, e io ero proprio lì, badate bene. Poi ha cominciato a dargli addosso. A Pete non importava un accidente che io sapessi che se la stava scopando. L'unica cosa che gli interessava era menare Jack perché ci stava provando pure lui. Immagino che a Pete l'avesse detto Jimmie Jo, di Jack, tanto per gettare benzina sul fuoco. Era fatta così. È probabile, poi, che Jack non c'entrasse un bel niente, e che Jimmie Jo si fosse incazzata perché lui non ci voleva neanche provare. — Comincio a pensare che mi sarebbe piaciuto esserci, — disse Hillbilly. — E ci sta anche che Pete sapesse già che lei era incinta, — continuò Sunset, — e che per questo ce l'avesse così tanto con Jack. — Stai dicendo che era davvero innamorato di lei? — disse Clyde. — Non era soltanto una storiaccia come tante? — Penso che abbia deciso di riempirmi di botte dopo aver saputo che Jimmie Jo era morta. Era lei che voleva, e non poteva più averla, quindi se l'è rifatta con me. Era lei che amava, non certo me. — Be', di gusto ne aveva davvero poco, — disse Clyde. — E io sono ancora convinto che l'abbia uccisa lui. Può averlo fatto perché il bambino non era suo. Ci hai pensato? Forse l'amore non c'entra. Può aver ammazzato di botte Jack per pura e semplice gelosia, non perché era pazzo d'amore. Semplicemente, non voleva che qualcun altro mettesse le zampe su una cosa sua. È un aspetto da considerare, non credì? — Vero, — rispose Sunset. — Ecco come può essere andata, — disse Clyde. — Pete si è a tal punto incazzato da sventrare Jimmie Jo, strapparle il bambino e nasconderne i corpi nel campo di Zendo. Poi Zendo ha trovato il bambino, e Pete è andato a vedere senza però cercare di dare la colpa a Zendo. Non per bontà d'animo, ma perché forse si sentiva un po' in colpa, e non voleva mettere nei guai un innocente. Quindi ha preso il bambino e lo ha sepolto, sperando che la donna non venisse mai trovata. — Ecco un'altra cosa che non capisco, — disse Sunset. — Visto che l'ha uccisa, perché ha seppellito qui il bambino e ha lasciato lei nel campo? — Magari voleva che venisse trovata, chissà per quale motivo, — disse Clyde. — Che la trovassero, non gliene fregava niente, ma forse non vole-
va che si sapesse che le aveva strappato il bambino dal grembo. — Willie ci ha messo un istante a scoprirlo, — disse Sunset. — Forse Pete non pensava che sarebbe stato così semplice, —disse Clyde. — A questo ancora non ho pensato bene. Può aver messo in piedi l'intera faccenda, poi c'è rimasto secco pure lui, e adesso tutte le sue malefatte stanno saltando fuori. Cazzo, non suona per niente male. — Può essere, — disse Sunset. — Ma qualcosa dentro di me si rifiuta di credere alla colpevolezza di Pete. È pur sempre il padre di Karen. E ciò dimostra che la mia capacità di giudicare gli uomini è ancora più scarsa di quanto già sapevo. Clyde guardò Hillbilly. — Una donna può benissimo sbagliare, a giudicare gli uomini, — disse. — Riprendiamo a scavare, — disse Sunset. — Ancora non riesco ad arrivare al punto, — disse Hillbilly. — Anche se c'è un bambino, che importa? Non ne saprei certo più di te, bambino o no. — Fammi contenta, — disse Sunset. Fu necessario andare in profondità, prima di trovare una piccola cassa di legno. — Dobbiamo aprirla, — disse Sunset. — Non mi suona tanto bene, questa cosa, Sunset, — disse Clyde. — Disturbare il sonno eterno di un morto, e per di più un bambino. — Proprio perché è eterno, — disse Hillbilly, — non stai disturbando proprio un bel niente. Sunset prese la vanga di Clyde, ne inserì la punta tra il coperchio e la cassa, e fece leva. All'interno c'era un qualcosa avvolto in una minuscola coperta ormai umida e nera, e che aveva già iniziato a marcire. Sunset allungò una mano e ne mise alla luce il contenuto. Apparve un cranio piccolo e scuro, che sembrava fatto di cuoio. — Un bambino, altro che, — disse Hillbilly. — Povero piccolo Snooks, — disse Clyde. Sunset toccò il cranio. — È il petrolio che l'ha conservato, —disse. — L'ha reso scuro e simile al cuoio. — È di colore? — chiese Hillbilly. — Non lo so, — rispose Sunset, — e non credo che sia più possibile saperlo. Poi finì di svolgere la coperta. Il resto del corpo era piccolo e sottile, in gran parte ormai putrefatto. — Il petrolio gli era stato messo più che altro
sulla testa, — disse Clyde. — Già, — fece Sunset. — Cos'è quella? — disse Hillbilly. Sunset avvolse di nuovo il bambino e guardò nel punto indicato da Hillbilly. Era una scatola metallica, che riempiva quasi per intero la cassa ed era coperta da una sorta di panno, a sua volta imputridito fino a prendere l'aspetto di una vecchia ragnatela. Sunset posò il bambino delicatamente sul terreno, poi tolse dalla cassa la lunga scatola rettangolare. — C'è un lucchetto, —disse. — Spostati, — disse Hillbilly, e non appena Sunset si fu tirata indietro colpì il lucchetto con la punta della vanga, facendolo saltar via tra le scintille. Sunset aprì la scatola. Vi trovò un fagotto di tela cerata, legato con uno spago ormai marcito. Strappò lo spago ed estrasse il contenuto del fagotto. Un registro. Sunset lo aprì. Vi erano disegnate delle mappe, oltre a una serie di operazioni contabili sui margini, e c'erano anche un paio di pagine staccate e ripiegate all'interno del registro. Ne aprì una per darle un'occhiata. Recava la descrizione di un'area terriera. L'altra era più o meno dello stesso tenore. — Sembra la mappa di un topografo, o di un geometra, — disse Hillbilly. — Guardate il timbro. Protocollata a Holiday. Secondo me è roba che proviene da quel tribunale. — Di sicuro Pete aveva i suoi buoni motivi per metterlo qui, questo registro, — disse Clyde. — Eppure, è una cosa davvero tremenda, nasconderlo così assieme al povero Snooks, al di là di ogni ragione. — Perché non andiamo a esaminare la situazione in un posto senza zanzare? — disse Hillbilly. — Affare fatto, — disse Sunset. Piegò le carte e le infilò nel registro, che poggiò al suolo. Poi rimise il bambino nella cassa, che fu nuovamente sotterrata. — Clyde, — disse Sunset, — visto che sei un tipo religioso, recita qualche preghiera. Io non saprei che accidenti dire a Dio, semmai ce n'è uno. Clyde la scrutò per un istante e disse qualche parola. Sunset ripose il registro nella scatola metallica, che affidò a Hillbilly per farla portare al camioncino. Sunset si sedette tra Clyde e Hillbilly. Clyde prese il volante, Hillbilly, invece, tirò fuori un'armonica a bocca. Era bravo, eccome. — Avevo capito che eri un tipo da chitarra, — disse Sunset.
Hillbilly smise di suonare. — Difatti. Ma adesso ho solo quest'armonica. Ho anche uno scacciapensieri, ma non me la cavo tanto bene. — Sono d'accordo, — disse Clyde. — L'ho sentito suonare. — Clyde, — fece Hillbilly, — non riconosceresti la buona musica neanche se ti ficcasse un dito nel culo. — Forse non è buona come la suoni tu. — Ragazzi... — disse Sunset. — Perché non ti procuri una chitarra, Hillbilly? — Mi servono un po' di quattrini, prima. Pensavo che ci pagassero, per questo lavoro. — A fine mese, mi sa. — Ho fatto un sacco di lavori, sulla strada, che non mi hanno mai pagato, — disse Hillbilly. — Tanta gente ha la capacità di svanire, appena c'è da mettere la mano in tasca. — Qui non si svanisce facilmente, — disse Sunset. — Ci pensa Marilyn. — Devo comprare un po' di legname e cominciare a tirar su una casa, — disse Clyde. — Quando viene l'inverno mi si congelerà il culetto, se non ho un tetto e quattro muri... Sunset, che ne pensi di questa faccenda del bambino e del registro? — Devo rifletterci su, — disse lei. 20. Lee e Marilyn, sudati fradici, sedevano sul bordo della veranda di Uncle Riley. Dondolavano i piedi e sorseggiavano la limonata che Aunt Cary aveva appena preparato, prima di tornarsene nel bosco a raccogliere radici. Uncle Riley, invece, si era messo a spennare un pollo in cortile, mentre Tommy scalava un albero. — Be', tutto è bene quel che finisce bene, — disse Marilyn. — Penso di sì. Meno male che sei passata di lì. — Non c'è dubbio. Sei in cerca di lavoro? — Già. — La segheria è al completo, e a Camp Rapture c'è poco altro. Potresti provare a Holiday. Laggiù prendono un sacco di gente, per via del boom del petrolio. — L'ho sentito dire. Ma prima ho da fare delle cose a Camp Rapture. — È un segreto? — Direi di no, anche se non è una cosa da gridare ai quattro venti. L'u-
nica persona con cui ne ho parlato è nostro Signore, ma non mi è parso molto interessato. A te interessa? — Mi sembra di averlo domandato io... — Va bene. Parecchio tempo fa, quando ero ancora giovane, più o meno sulla ventina, sono stato chiamato. Dio mi ha fatto visita, un giorno, e ho capito che dovevo diffondere la sua parola. — Me lo sono sempre chiesto. Come fa, Dio, a manifestarsi ai suoi prescelti? Tu l'hai visto? — No. E non è neanche questione di cespugli in fiamme. La mia famiglia aveva tentato di colonizzare un pezzo di terra, in Oklahoma, ma la cosa non ha funzionato. Certi indiani pensavano che fosse casa loro, e avevano ragione. Il governo l'aveva fatta a pezzetti, quella terra, e distribuita ai bianchi che volevano stabilirsi laggiù, ma alcuni indiani, saranno stati quattro o cinque, pensavano che fosse di loro proprietà. — Vuoi dire che erano scesi sul sentiero di guerra? — No, non come nei film di cow-boy. Erano indiani civilizzati. Gente che girava in giacca, cappello e calibro quarantacinque. Ma per ammazzare mia madre e mio padre la civiltà l'hanno messa da parte. Li hanno assassinati dentro casa, lasciandomi assieme ai cadaveri. Non lo so perché mi hanno risparmiato, ma è andata così. Uno di loro mi ha puntato la pistola alla fronte e ha armato il cane, però non ha sparato. Mi ha solo guardato fisso per un minuto, poi se la sono squagliata. Per qualche giorno ho continuato a pensare che sarebbe stato meglio che avessero ucciso anche me, ma dopo un po' mi sono rallegrato di essere ancora in vita, perché avevo deciso di dar loro la caccia. — E quanti anni avevi, all'epoca? — Quattordici. Era il Novantaquattro, all'incirca. — E com'è andata, la tua caccia? — La legge ne ha beccato uno, e l'ha impiccato. Due, li ho rincorsi io, e mi hanno fatto arrivare in Kansas. Laggiù si sono separati, e quello che ho scelto di seguire sono riuscito a pedinarlo fino a un bordello di Leavenworth. L'ho aspettato fuori. Quando è uscito, gli sono saltato alle spalle e gli ho tagliato la gola. — Cristo... — Eh, sì. Un vero orrore. Ma allora non m'importava. Poi mi sono messo a cercare l'altro, l'ho trovato e gli ho sparato alla schiena. Mi ero nascosto dietro un albero, lungo una strada che gli sapevo abituale, e appena è passato di lì l'ho colpito con un fucile che avevo rubato. Più tardi, intendo
qualche anno dopo, ho saputo che per il furto del fucile avevano impiccato un uomo di colore. Il fucile non era mai stato ritrovato, ma il semplice sospetto del furto era stato sufficiente a mandarlo alla forca. Era passato su quella strada poco dopo che io avevo ucciso l'indiano. Pensa un po', impiccare un uomo per un fucile. Tanto più che non era stato lui, a rubarlo. Mi ero quasi ripromesso, all'epoca, di rivelare ogni cosa, ma non ho mai parlato: temevo di finire impiccato pure io, e la verità non avrebbe certo fatto resuscitare quel pover'uomo. Insomma, ammazzato anche il secondo, mi ero messo a riflettere su come acciuffare gli altri. Una notte, mentre cercavo di dormire all'aperto in un campo (ero ancora nel Kansas) e intanto guardavo le stelle, i miei sentimenti di vendetta sono svaniti nel nulla. Come se il Signore avesse allungato la mano ad afferrarmi il cuore, togliermi dall'animo le tenebre e riempirmi di luce. È stato allora che ho deciso di diffondere la Sua parola. Verso il 1900 sono capitato a Camp Rapture. — Mio Dio. Sei tu il Reverendo. — Non più. Mi chiamo Lee Beck. Però, certo, allora ero il Reverendo. E sono arrivato a quello che adesso chiamate Camp Rapture, e vi ho fatto del bene. Ho battezzato, ho civilizzato. Poi, come Davide, ho perso la strada. Ho approfittato di una giovane donna. Una certa Bunny Ann. — La conoscevo. — Davvero? — Sì. Non bene. Ma la conoscevo. — Me la sono spassata, con lei, poi sono scappato. Ignoro se adesso sia sposata o viva ancora da queste parti, e non voglio portare scompiglio nella sua vita. Ho solo desiderio di porgerle le mie scuse. Di sistemare la faccenda. — E tua figlia? — Cosa? — Non sai che era rimasta incinta e che ha avuto una figlia? A Lee crollarono le spalle. — Una figlia? Ha avuto una figlia? — Ed era tua, se Bunny l'ha contata giusta. Le ha dato il tuo cognome. E vuoi saperne un'altra? — Non ne sono sicuro. — È mia nuora. — Mio Dio... — La faccenda è un po' più complicata.
— Prima di raccontarmi il resto, dimmi se Bunny Ann è ancora qui. — No. È scappata con un rappresentante di scarpe. — Un rappresentante di scarpe? — Già. — Avrei dovuto portarla con me. O magari non dovevo scappare. Solo che non ero ancora pronto a mettere radici, e visto che me l'ero spupazzata, Bunny Ann, ed ero pure un uomo di chiesa, mi era parso meglio darmela a gambe, come fosse davvero possibile nascondersi da nostro Signore. — Ti dirò che nella mia speciale classifica un rappresentante di scarpe sta un po' più in basso di un uomo di chiesa. — Grazie di questa piccola consolazione. Dimmi anche il resto, forza. — C'entra mio figlio, in qualche modo, e quel che gli è capitato. Il marito di tua figlia. Lei si chiama Sunset, a proposito, anche se sua madre l'aveva chiamata Carrie Lynn. — Che è successo? Marilyn glielo disse. Gli raccontò di Pete e di cosa aveva fatto Sunset, gli disse di Jones e di come si era gettato sotto la sega a cavallo di un tronco, e così via. — Ho innescato una reazione a catena, — disse Lee al termine del racconto. — Ne ho fatte succedere di tutti i colori. Da giovani non ci passa neanche per la testa che una nostra azione possa causare avvenimenti d'ogni genere. E Carrie Lynn, Sunset, come sta? — Bene, direi. — Dopo quel che è successo? E tu? Come l'hai presa? — Ha dovuto farlo. — Ci credo. Ma Pete era tuo figlio. Di sicuro... — L'ho detto anche a Sunset, ci sono dei momenti in cui la odio. Ma sono momenti. Ah, un'altra cosa. Hai anche una nipotina. — Gesù. — Karen. È lei, com'è ovvio, a soffrire di più in questo momento. Fossi in te, smetterei di rincorrere Bunny Ann, che ha fatto la sua scelta di vita ed è passata ad altro, magari raccattando qualche scarpa nuova. Anche lei ha fatto la sua parte, nei confronti di Sunset, proprio come te. Tu hai piantato Bunny Ann, lei ha piantato Sunset, e adesso ti ritrovi una figlia e una nipote. Può essere un segno del destino, che tu dovessi riallacciare i rapporti con loro. — Mi sembra d'aver preso una randellata in testa. — Ci credo. Quando hai lasciato la Chiesa, dove sei andato a finire?
— Ho svolto ogni genere di lavoro, dappertutto. Poi ho sentito il bisogno di tornare a vedere Bunny Ann. Adesso, però, non credo di volerla più rintracciare. È come dici tu. Ho trovato un modo migliore per impiegare il mio tempo. Se mi vorranno. Tu che pensì? — Non è una risposta che posso darti io, Lee. Rimasero in silenzio a bere limonata, e così avrebbero continuato a fare se Goose non avesse fatto sentire la sua voce dall'interno. — Devo andare a vedere, — disse Lee. Trovò il ragazzo, in camera da letto, che cercava di mettersi seduto. — Aspetta, ti aiuto io. Lee piegò in due un cuscino e glielo mise sotto la testa. — Non mi sento tanto bene. — Saresti stato ben peggio, non avessimo trovato aiuto. — Dove siamo? Lee gli disse di Marilyn, di Aunt Cary, Uncle Riley e Tommy. — Questo è il loro letto, — concluse. — Gente di colore? — Non avrai intenzione di fare storie, eh? — Non ho niente contro la gente di colore. Non ho niente contro nessuno. Fatto salvo quel serpente, magari. Lee? — Che c'è? — Pensi che guarirò? — Parrebbe di sì. Il ragazzo si guardò la mano fasciata. — Perché se no bisogna che ti dica una cosa, visto che sei un reverendo. — Non lo sono più. Ho lavorato anche alla Pinkerton, e in un sacco di altri posti, ma nessuno mi chiama più in quel modo. Reverendo. E non lo sono più. Dio mi ha abbandonato un sacco di tempo fa. E tu guarirai. Non hai certo bisogno di confessarmi niente. — Mai vista la passera, in vita mia, Lee. Era una balla. Volevo solo fare il grande. — Nessun problema. — La vorrei, certo, ma non l'ho mai avuta. — Ti capiterà, prima o poi. Faremmo meglio a parlare d'altro, e se fossi in te aspetterei di aver compiuto sedici anni, prima di usare di nuovo quel linguaggio e quel modo di pensare, e aspetterei anche di essermi sposato. — E tu l'hai fatto?
— No. — Dura, aspettare, eh? E finisce che lo fai con una ragazzaccia che non sposerai mai. — Non credere che sia così. Le donne non sono cattive. Sei tu a farle diventare tali. Io non sono certo tuo padre né un prete, ma te lo voglio dire lo stesso: cerca di rimanere sulla retta via. Le tue azioni possono provocare una serie di fatti positivi o negativi. Lo stavo giusto dicendo a Marilyn. — Quella che ci ha raccattato? — Sì. — Carina? — Ha la mia età. Sì, diciamo che è carina. — Non te la sarai fatta mentre dormivo... Lee gli dette un leggero scapaccione. — Basta con questo linguaggio. Sdraiati e chiudi il becco. Vedremo poi il da farsi. — Non è che mi pianti in asso e te ne vai, eh? — No, non ti pianto in asso. — L'hai detto tu, che non siamo parenti. Non mi devi nulla. Non sei obbligato a restare. — Al momento non ho di meglio da fare. E ho l'impressione che dovrò starmene con te per qualche tempo. Cerca di riposare, adesso. Aunt Cary e Uncle Riley stanno preparando il pollo fritto. Te la senti di mangiare? — Ho una fame da lupi. 21. La libertà che le dava la macchina nuova era inebriante, e per questo motivo - oltre alla sensatezza del proposito - Sunset decise che la mattina seguente si sarebbe recata a Holiday a dare un'occhiata in tribunale, nella speranza di scoprire qualcosa di più sulle mappe trovate nella tomba. Aveva esaminato il registro, giungendo alla conclusione che non c'era alcun legame. Al suo interno erano trascritte solo annotazioni su alcuni casi, e neanche tanti, visto che era pressoché nuovo. Probabilmente Pete lo aveva usato per tenerci dentro le mappe, finendo per sotterrarlo convinto di conservarle meglio. Sì, doveva essere questa la spiegazione. Ne era quasi persuasa. La mossa giusta era andare in tribunale a Holiday, e vedere cosa saltava fuori. Era intenzionata a farsi accompagnare da Hillbilly; allo stesso tempo, voleva mandare Clyde a controllare le terre confinanti con quelle di
Zendo, poi a fare due chiacchiere con lo stesso Zendo, casomai il nero ne conoscesse i proprietari. Sunset sapeva benissimo che a spingerla verso questa decisione era la possibilità di restare sola con Hillbilly, e la cosa la infastidiva. Era opinione comune che gli uomini pensassero sempre con una testa più piccola di quella che avevano sulle spalle e che era collocata in un altro posto, ma Sunset era una donna, e questo discorso non era di certo applicabile su di lei. A ogni modo, era parecchio irritata dall'intera faccenda, ma non poteva farci niente. Anzi, il solo pensiero le dava un senso di vertigine. Avrebbe invece accompagnato Karen a Camp Rapture la mattina presto, a passare la giornata da Marilyn. Sua suocera avrebbe gradito, e probabilmente pure Karen: magari potevano andare a Holiday a vedersi un film. Cazzo. Anche lei poteva andare al cinema. O all'Oil Festival, che era stato appena inaugurato per celebrare i benefici che il boom del petrolio aveva arrecato a Holiday. Vale a dire l'aver trasformato un tranquillo paesotto in una rumorosa fogna brulicante di farabutti e trivelle petrolifere, e di fin troppa gente che tentava di entrare in stretto contatto, in senso buono e in senso cattivo. L'idea di possedere una macchina faceva a Sunset lo stesso effetto della pistola di Pete, anzi, meglio. Potere. Libertà. Era questo che gli uomini cercavano? Quasi tutti, almeno? E lei aveva due uomini che la desideravano. Clyde. Del quale non voleva sapere. E Hillbilly. Che invece voleva, cazzo, altroché se lo voleva. Ma sapersi desiderata era una sensazione favolosa, dopo aver passato gran parte dell'esistenza chiusa in casa; e quando era Pete a desiderarla, era per farle fare da punching bag. E via con i cazzotti. Via con l'uccello. Amore, neanche a parlarne, e nessuna esigenza autentica, di quelle che interessavano a lei. Non che la vita le andasse a pieni giri, adesso, ma pur sempre meglio di quando Pete era vivo. Non fosse stato per Karen e i suoi problemi, a Sunset non sarebbe dispiaciuto far secco un marito al giorno, vista la gran quantità di porte che le si erano aperte. Tutti pensieri che le frullavano in testa mentre dava da mangiare a Ben, accanto alla grossa quercia sul lato della strada, nell'oscurità quasi assoluta. C'era ancora un po' di luce, ma se ne stava andando alla svelta, renden-
do il pulviscolo sospeso nell'atmosfera simile a tante trecce bionde appese tra gli alberi. Sunset respirò a fondo, assaporando la fragranza dell'aria. Karen era dentro la tenda a leggere un libro. Clyde si era calmato e aveva dato un passaggio a Hillbilly, per poi andarsene a dormire sotto la cerata, tra le macerie di casa sua. Sunset si gustava quei momenti solitari, in compagnia del cane. Anche il pensiero di un Hillbilly assente le sembrava più piacevole di un Hillbilly presente. Poteva dare libero sfogo all'immaginazione. — Salve, — disse una voce. Sunset si girò, lasciò cadere la scodella davanti a Ben e fece per estrarre la pistola dalla fondina. Ma non le bastò il tempo. Una mano si posò sulla sua, una mano più grande delle sue messe assieme e moltiplicata per due, e con quello stesso movimento, più veloce della luce, la pistola le sfuggì per finire nel palmo di un uomo di colore con una chioma gigantesca e una barba assai folta, un uomo largo quanto un carro legname e alto come un pino, un uomo che le si era piazzato davanti agli occhi. Anche Ben si girò, ringhiando. — Buono, amico, — disse l'omone. Ben smise di ringhiare, mugolò e andò a strusciarsi contro la gamba dell'uomo, come un gatto. — Non c'è motivo di preoccuparsi, — disse il nero. — Non sono qui per farle del male. Vengo per parlare. — Bull? — Esatto. Le restituì l'arma. Lei guardò Ben. — Che razza di cane da guardia. — Io gli piaccio, ai cani, — disse Bull. — Specialmente da quando ho cominciato a venire qui la notte, e abbiamo fatto amicizia. Lui è un cane fedele, basta che non gli dài da mangiare le budella del coniglio. Allora è fedele solo fino a quando gliele dài tutte le sere. — Ecco come mai non aveva più fame. — Io e lui siamo amici, adesso, — disse Bull, chinandosi ad accarezzare Ben sulla testa. — Ma è una brava bestia. E un buon cane da guardia. Lo capisce subito, se uno ha cattive intenzioni, e non ci sono budella di coniglio che tengano. Non tutti i cani sono così. Ad alcuni le budella piacciono lo stesso, non importa chi gliele dà, ma lui è diverso. — Come fa a saperlo?
— Il mio animo è come il suo: buono e onesto. — Mio Dio. Non ho mai visto nessuno così grande e grosso. — Pensi che da bambino mio fratello era più grosso di me. Chissà come sarebbe diventato, se non fosse annegato nel Sabine. Io sono alto due metri e dieci, tanto per dire. Quanto peso, non lo so, ma se non le cado addosso è meglio. — Perché ha voluto fare amicizia col mio cane? — L'ho fatto entrare nel bosco un po' alla volta. Non volevo arrivare qui e farmi aggredire, e magari spaventarla. — Troppo tardi. Mi ha spaventato, eccome. — Si è comportata bene, con Smoky. — Ho letto il suo biglietto. — Parlo meglio di come scrivo. A scrivere non ho mai imparato bene, solo a pezzi e bocconi, quindi tiro a indovinare. Non sono neanche sicuro di averle detto ciò che volevo. Smoky e io siamo stati come fratelli. Poi lui ha perso la testa. Non tanto, eh, ma un poco l'ha persa. Quel che ha fatto lei non è comune tra i bianchi, ma l'ha fatto comunque, e io l'ho apprezzato. Per questo sono venuto a dirle una cosa. — Va bene. — E le ho portato un po' di shine. È dietro l'albero. Mi ero messo laggiù, ad aspettare. Le va? — Mai bevuto, in vita mia. — Può farle male, a non starci attenta. Ma a starci attenta, non succede niente. — Vado a prendere due bicchieri. Quando Sunset rientrò nella tenda, Karen si fece avanti. — Chi è quello, mamma? — Un amico. — Un amico di colore? — È di colore, e ha l'aria amichevole. — Sicura che sia tutto a posto? Sembra un gigante. — Lo è. — Potrebbe essere pericoloso. — Mi ha tolto la pistola di mano, poi però me l'ha resa, quindi non penso che abbia intenzioni bellicose. Porta fuori un paio di sedie, così ci mettiamo comodi, poi torna dentro. — Mi spaventa, quel tipo. — C'è un fucile qui, omaggio di Clyde. Tienitelo accanto, se credi.
Sunset prese i bicchieri e Karen portò fuori due sedie. Bull era appoggiato alla quercia, con un piccolo recipiente in mano. — Come va? — disse a Karen. — Bene, — rispose lei, e rientrò in fretta sotto la tenda. — Cos'è, pensa che il negrone voglia violentarvi e massacrarvi, dare fuoco alla tenda e mangiarsi il cane? — Più o meno. Sunset e Bull si sedettero, e il nero versò due piccole dosi di veleno. Il cane si era piazzato proprio nel mezzo. Sunset bevve un sorso. — Oddio, — disse, — mi sembra di buttar giù del cherosene bollente. — Ma con un retrogusto dolce e piacevole, — disse lui. Sunset scoppiò a ridere, e si limitò a tenere il bicchiere in mano, senza più bere. Bull, invece, non si risparmiò. — Girano discorsi d'ogni tipo, — disse, posando il bicchiere, — da quando ha dato una mano a Smoky, e li fanno solo i bianchi. — Sono discorsi e basta. — Certi sono roba da Klan. — Li conosco quasi tutti, quelli del Klan. — Parlano di darle una lezione. — Come fa a saperlo? — La gente di colore riesce a rendersi invisibile. Operai, cameriere, lavandaie. Quando sente qualcosa, viene a riferirlo a Bull. — E perché proprio a lei? — Che ne so. Forse perché io non ho paura dei bianchi. Be', a dirla tutta, soltanto se non sono in troppi, ma certo non sarò io ad andarglielo a dire. Bull sorrise. A Sunset ricordò un orso che scopriva i denti. — Le dirò la verità, Missy, non ho molto tempo da perdere con i bianchi. Loro mi odiano, quindi li odio anch'io, e credevo che non ce ne fosse neanche uno, da salvare. — E io, posso considerarmi da salvare? Bull sorrise ancora. — Direi di sì. E magari ce ne sono anche due, chi lo sa. Forse pure tre. Fino a quattro, non mi spingo. — Ce ne sono un sacco, davvero. — Non sono venuto fin qui a leccare il culo dei bianchi, e tanto meno a lei, è solo che mi sento in debito per quel che ha fatto per Smoky. Sarà anche stato il suo lavoro, certo, ma l'ha fatto comunque. È già qualcosa. Forza, ne beva un altro goccio. Le toglierà qualche pensiero. Sunset bevve. Fu come se della naftalina rovente le scendesse in gola.
— Wow, — disse. — Vengono a raccontarmi di tutto, — disse Bull. — Fornisco da bere alla gente di colore. A loro piace bere e chiacchierare, e l'alcol gli scioglie la lingua... A parte il perché e il percome, è un dato di fatto. Quindi, stia attenta. Ad alcuni lei non piace proprio perché è donna, così come io non piaccio perché sono nero. È una cosa senza capo né coda. Noi due non vogliamo stare al nostro posto, e a molti questo non piace, perché è una situazione che non possono tenere sotto controllo. Negro, fa' questo, donna, fa' quest'altro. Noi non lo facciamo, quindi gli va di traverso. Prima o poi verranno a cercarla, e secondo me sarà tramite il Klan. Non è detto, certo, ma può capitare. Se vede qualcuno con un lenzuolo sulla testa, gliela faccia saltar via a fucilate. Quei lenzuoli sono un ottimo bersaglio, se lo lasci dire. — È vero che lei sono già venuti a cercarla? — Vero. — E com'è andata? — A loro, non tanto bene. Come ho detto, quei lenzuoli sono un ottimo bersaglio. Basta non tirare troppo alto e non credere che quel cappello a punta abbia la testa dentro. A meno di non avere una mira bassa. Sunset dovette pensarci per un istante, poi ci arrivò. — Lei è un tipo svelto, Bull. — In tanti sensi. Comunque, se muoio e vengo ritrovato, sono sicuro che nessun nero si darà da fare per me. Il che può anche andarmi bene, ma il mio timore è di finire in mano a quei bianchi con le pezze al culo. Quel tipo a Sasul, per esempio. L'hanno impiccato e tagliato a fettine, poi ne hanno venduto le ossa come souvenir. Ecco a voi le ossa del negro, due centesimi l'una. Quando muoio, voglio essere bruciato e basta, che restino solo le ceneri. — La faccenda di Smoky, — disse Sunset. — Quella per cui si sente in debito con me. Non è finita tanto bene. Lo sapeva? Bull annuì. — Non è colpa sua, sa. Lei ha fatto il possibile. Ha più cervello di suo marito, e sono lieto che l'abbia ammazzato. — Ha importunato anche lei, Pete? — Una sola volta. — Immagino che nemmeno a lui sia andata tanto bene. — No, in effetti. Gli ho tolto la pistola, la stessa che ha ora lei, poi gli ho tirato due sberle e l'ho rispedito a casa. Pensavo che non l'avrebbe raccon-
tato in giro, che un negro gli aveva sfilato la pistola, l'aveva preso a schiaffi, aveva levato le pallottole dall'arma e gliel'aveva resa. — Perché era venuto a cercarla? — Il motivo lo sta bevendo proprio adesso. — Per la miseria. Sto violando la legge, a bere del whisky illegale. Bull sorrise. Aveva una chiostra di denti bianchi e regolari. — L'ho incastrata... — disse. — Suo marito voleva che gli dessi dei soldi per poter continuare la mia attività. Una piccola fetta della torta. Ma io non sono tanto propenso ai soci in affari. Specialmente gli sbirri bianchi. — Come me. — Esatto. Un'altra cosa. Ho sempre pensato che le donne bianche fossero orribili, col culo piccolo che si ritrovano, e non solo quello, la faccia minuta, il naso inconsistente e i capelli puzzolenti. Invece lei non è affatto brutta, per una bianca. — Non capisco se è un complimento. — Dovrà farselo bastare. — Ha fame? Stavo per preparare la cena. — Non vorrà mostrarsi in intimità con un negro, eh? C'è già abbastanza gente incazzata con lei. Ha ucciso Pete. Poi ha preso il suo posto. Infine ha aiutato Smoky. Ma stia tranquilla, la terrò d'occhio io. Tanto a casa non ho niente da fare. Non è che passo il tempo alle riunioni della parrocchia. — E le piacerebbe? — Non tanto. Ho i giorni contati, ragazza mia. Comincio a soffrire di reumatismi. A far sempre più fatica. Prima o poi i bianchi, quelli che mi odiano, finiranno per acchiapparmi. Ma lo so, quindi non ho paura. Be', un po' sì. Andrà come deve andare... Magari capiterò a farle una visitina. Verrà il momento che potrò ripagarla per Smoky, stia certa. — Quel che ho fatto è stato portarlo a Tyler a farlo linciare. — Almeno ci ha provato. Mi stia a sentire. Se ha bisogno di me, appenda uno straccio bianco dall'altra parte della quercia. Così lo vedrò. Forse non subito, ma lo vedrò. E mi farò vivo. Sa, ogni tanto non è male uscire dal fitto del bosco. A forza di guardarlo soltanto da dietro gli alberi, finisce che mi scordo il colore del cielo. Certe volte penso che sia verde, per via del sole che batte sulle foglie. Un po' mi sono stufato di stare rintanato a fingere di essere un orso selvatico. — Be', l'ho avuta anch'io questa sensazione, Bull. Lui sorrise, tappò il recipiente e allungò la mano per accarezzare il cane. — Devo andare.
Si diresse dietro la quercia, e sparì. Sunset si mise in piedi per salutarlo, ma non c'era già più. Si era come fuso tra alberi e cespugli. Per un istante le parve di sentirlo muoversi nel sottobosco, ma quando puntò lo sguardo in quella direzione non riuscì a vedere niente. Poi anche le ultime trecce di luce scomparvero, e l'oscurità divenne assoluta, calando come un sipario. Si alzò invece il vento, portando con sé l'odore di terra umida del torrente; si levò il richiamo di un uccello notturno e i grilli si destarono come fosse appena suonata la sveglia. Pochi attimi, e fu il turno delle lucciole. Sunset bevve un altro sorso di whisky e fu colta da un leggero tremito. Rovesciò il resto sul terreno. Ben arrivò subito ad annusare la zona, ma sollevò la testa di scatto e filò via. — Bravo, bravo, — disse Sunset. — Dammi retta, non è cosa. Forse va bene per la salamoia, ma berla, quella roba, direi proprio di no. 22. Il mattino seguente, Sunset accompagnò una scontenta Karen da Marilyn. Rigida e a braccia conserte, sul sedile del passeggero, la ragazza aveva l'aria di aver inghiottito puntine da disegno. — Pensavo ti facesse piacere, vedere la nonna, — disse Sunset. Karen si spostò sul sedile, senza sciogliere le braccìa. — Volevo andare all'Oil Festival. — Vacci lo stesso. Dillo a Marilyn. Ti ci porterà lei. — Me l'ha detto Hillbilly, — fece Karen. — L'ha detto anche a me. Per questo lo so, — rispose Sunset. — E mi ha detto che mi ci avrebbe portato lui. Sunset attese un attimo. — Non voleva darti un appuntamento, tesoro. Solo dirti che potevi venire con noi. — Be', non mi sembra proprio che vengo con voi. O sbaglio? — Tua nonna vuole vederti. Puoi andarci con lei. Poi, ti stai facendo un'idea sbagliata su Hillbilly. Gli piaci, certo. Ma non nella maniera che intendi tu. — Come fai a saperlo? — Lo so. — Perché è a te che piace. Perché l'hai baciato. — Va bene. Mi hai beccato. Mi piace. — Be', piace di più a me. Sunset decise di non infilarsi in una discussione del genere. — È troppo
vecchio per te, tesoro, e questo è quanto. — Tu sei solo gelosa. — Io non sono gelosa. — Pensi che non gli piaccio perché sono troppo giovane. — Certo che gli piaci, ma non in quel modo. E qui finisce la storia, Karen. Adesso te ne vai da tua nonna, e al festival puoi farti accompagnare da lei. Altrimenti te ne resti a casa sua. Decidi tu. — Ti piace più di papà? — Mi piace, e basta. — Non mi hai risposto. — Io ho davvero amato tuo padre, e ci sono ancora delle cose che amo di Pete, certi ricordi. Ma è stato lui, a farmi dimenticare i bei momenti. La violenza ti fa sentire meno disposto nei confronti di alcune persone, tesoro. Karen si fece scappare una sorta di grugnito. — Ti ha fatto piacere, ammazzarlo. — No di certo. — Non sei molto convincente. — Te l'ho già spiegato. E ti ho anche spiegato come stanno le cose tra te e Hillbilly. — Tu credi di sapere tutto. — Non è vero. So benissimo di non sapere tutto. Anzi, se c'è una cosa che so, è proprio di non sapere tutto. A essere sincera, non è che so un granché. — Difatti. Tu non sai proprio nulla. Non sai proprio un bel nulla. — Basta così, signorina. — Se no, cosa mi fai? Mi prendi a botte, come papà avrebbe fatto con te? — No. Anche se ne avrei voglia, puoi starne sicura. E non me lo sono inventato, che tuo padre mi picchiava. Mi picchiava, eccome. Cosa credi, che mi sia conciata da sola in quel modo? Lo sai benissimo, che mi picchiava. E lo sapevi pure prima che lo ammazzassi, non è così? — No. — E invece sì. Karen si lasciò andare contro lo schienale e guardò furibonda dal finestrino. Il resto del tragitto fino a Camp Rapture lo fecero in silenzio, e quando Sunset si fermò nel cortile di Marilyn, Karen scese dalla macchina sbattendo la portiera, corse in veranda e filò in casa.
Sunset rimase seduta per qualche istante, valutando se fosse il caso di parlare di nuovo con sua figlia, ma decise per il no. Non si finisce mai, a cercare di spiegare l'inspiegabile. Fece inversione di marcia. Stava per ripartire, quando vide Marilyn nello specchietto. Aprì la portiera, e la suocera si sporse all'interno. — Karen sembra di cattivo umore, — disse. — Paturnie da ragazzine, — rispose Sunset. — Be', le passerà. Vado a prepararle una bella colazione e a sentire se ha voglia di venire con me a Holiday, a un cinema o roba del genere. — C'è un qualcosa che chiamano Oil Festival, laggiù. Con tanto di musica, credo. Più tardi ci farò un salto pure io. Per lavoro. Marilyn sorrise. — Ecco un piccolo aiuto per il vostro lavoro, — disse, porgendole tre buste. — Giorno di paga, per te e i tuoi ragazzi. — Non è presto? — Sicuro. Ma senza quattrini non si va tanto lontano. — Grazie. — Non c'è di che. Lavora, certo, ma cerca anche di pensare un po' a te stessa. Te lo meriti. Quando Sunset tornò alla tenda, vi trovò Hillbilly e Clyde. Hillbilly si era accampato nei pressi del torrente, tre chilometri più giù; ma la sera prima Sunset aveva convinto Clyde a passarlo a prendere, visto che era sulla strada. A Clyde l'idea non era andata poi tanto a genio, ma a Sunset era bastato guardarlo dritto negli occhi, fargli un bel sorriso e qualche moina. Alla fine si era sentita peggio di una pulce nana, ma visti i risultati, era una carta che poteva giocarsi ancora. — Salve, ragazzi, — disse scendendo dalla macchina. I due la salutarono, e Ben venne a farsi accarezzare. Sunset alzò lo sguardo e vide che Clyde aveva una massa di capelli che gli sfuggivano dal copricapo, le maniche per metà arrotolate, i calzoni cadenti e una barba così mal rasata da somigliare a una patina di sporco. Hillbilly, benché adesso abitasse accanto al fiume, sembrava uscito da una stireria. Era pettinato e ben rasato, l'aria vispa e sveglia. Niente alcol, quella mattina. Clyde, invece, pareva reduce da una sbronza, anche se Sunset era sicura che così non fosse. Era solo una sua condizione naturale. Forse aveva capi-
to di aver fatto una sciocchezza, a dar fuoco alla casa. Sunset fece per raccontar loro di Bull, poi decise di no. Non ne sapeva con esattezza il motivo. Vedere Bull era stato un po' come quella volta in cui, a undici anni, se n'era andata nel bosco a raccogliere bacche e si era trovata davanti a un piccolo orso che razzolava contro un noce americano. Sentita la sua presenza, l'orso aveva smesso di razzolare e si era voltato a guardarla, sollevandosi sulle zampe posteriori. Si fissarono per un minuto buono, poi l'animale si era messo a quattro zampe e si era incamminato verso di lei. Sunset si era bloccata. L'orso le era arrivato a pochi centimetri di distanza, aveva allungato il naso e l'aveva fiutata, e lei aveva potuto sentire il suo odore, un misto di terra, sterco e urina. Forse l'odore di Sunset, per lui, era altrettanto tremendo. Dopo averla annusata a sufficienza, l'orso le era passato davanti per scomparire nel bosco. Era stata un'esperienza stupefacente, che non aveva mai raccontato a nessuno. Non che avesse molta scelta, peraltro. Sua madre era ancora in zona, all'epoca, ma passava gran parte del tempo sbronza e a spupazzarsi questo o quello; dirlo a lei, quindi, era da scartare, non avrebbe capito. Hai visto un orso? Embe'? In verità non l'avrebbe detto proprìo a nessuno, neanche a poter scegliere. Era stato il suo momento magico, e intendeva tenerlo per sé. Incontrare Bull era stato uguale. Almeno per adesso. E intendeva non farlo sapere in giro. Era apparso e scomparso con più abilità di qualsivoglia orso. E in fondo alla gola Sunset sentiva ancora quel tremendo whisky, un puro veleno dal sapore di vetri rotti e laidi peccati. — Quel che faremo oggi è separarci, — disse. — Hillbilly, tu vieni con me. Clyde, tu devi andare da Zendo a cercare di sapere qualcosa sulle terre confinanti con la sua, là dove è saltato fuori il cadavere. — E perché? — chiese Clyde. — Magari scopriamo qualche aggancio. Hillbilly e io andiamo in tribunale, a vedere se quei documenti hanno qualche significato. A capire perché non sono più in tribunale e se invece dovrebbero esserci. — Per mezzogiorno avrò fatto, — disse Clyde. — Anche prima. Perché non andiamo tutti assieme da Zendo, poi a Holiday?
— Perché in questo modo possiamo risparmiare tempo e strada, — disse Sunset. — Oh, il tempo c'è chi lo risparmia senz'altro, — disse Clyde. — Dacci un taglio, Clyde, — disse Sunset. — Tu lavori per me, e qui c'è da rimboccarsi le maniche. Se non ne hai voglia, basta che me lo dici. Ti sto chiedendo di fare una cosa che ritengo necessaria. — Non è tutto qui, ciò che mi chiedi. — È lei il capo, — disse Hillbilly. — Me l'hai detto proprio tu. — Basta con le sciocchezze, — disse Sunset. — Tutti e due. E statemi a sentire, che ho buone notizie. Ci hanno già pagato. Distribuì le buste. Hillbilly sbirciò nella sua. — Be', sempre quattrini sono. — Nessuno ti aveva promesso la ricchezza, — disse Sunset. Clyde prese la busta, la piegò e se la infilò nella tasca dei calzoni; poi, senza una parola, saltò sul camioncino e filò via. — Credi che farà quel che gli hai chiesto? — fece Hillbilly. — Credo di sì. Vado a prendere le mappe, poi partiamo anche noi. — Già che ci siamo, potremmo anche spassarcela un po', andare al cinema, magari fare un salto all'Oil Festival. — Stiamo lavorando, Hillbilly. — Lo so. Ma potremmo farlo lo stesso, non trovi? — Penso di sì. Le sorrise. — Non è che ti sei scordata il nostro bacio? — Come potrei? — Dov'è Karen? — Da sua nonna. — Pensavo che sarebbe venuta con noi. Le avevo detto del Festival. — Avevi già intenzione di andare, allora, — disse Sunset. — Perché, tu no? Sunset si augurò di non avere il rossore facile. — Adesso capisco perché non è qui, — disse lui. — Certo che non ti manca la stima in te stesso, eh? — So cosa voglio, nella peggiore delle ipotesi. — Karen si è presa una cottarella per te. Vuol sembrare più grande di quel che è. — Ah, davvero? — Proprio così. Per questo adesso non è qui. — È l'unico motivo?
— Vado a prendere le mappe. La città era piena di addobbi d'ogni colore che pendevano dalle trivelle e dai tetti, mentre un gigantesco striscione bianco appeso sui due lati di Main Street recitava a grosse lettere azzurre: OIL FESTIVAL, HOLIDAY, TEXAS. Le strade traboccavano di gente, automobili, carri, muli e cavalli. Come il brulichio di formiche su una carcassa, pensò Sunset. Al termine dell'ondata di pioggia, Main Street si era asciugata, ma il piano stradale ne recava ancora i segni, spaccato com'era da profondi solchi. Su un lato della via, l'acqua aveva riempito i marciapiedi in legno di una gran quantità di terra, che si era poi trasformata in fango e indurita. Alcune delle buche più profonde erano state riempite di ghiaia, che si era però già abbassata di livello, rendendo inutile la riparazione. Tra un sobbalzo e l'altro, la macchina di Sunset passò davanti al cinema. Alla biglietteria c'era una fila che girava attorno all'angolo dell'edificio e terminava nella strada laterale. Sunset allungò la testa per vedere cosa davano, e vide che si trattava ancora del film dei fratelli Marx. Le tornò subito alla mente quella volta con Smoky, nella poltroncina dietro la sua, mentre aspettava la fine del film per uscire assieme a lui dal cinema e portarlo a Tyler. E tutto questo solo per farlo linciare. Forse non era il caso di andare al cinema proprio quel giorno. Raggiunse l'ufficio dello sceriffo e parcheggiò davanti a un cartello con su scritto DIVIETO DI SOSTA. Accanto all'ufficio c'era una grossa quercia, e dieci uomini di colore erano seduti per terra, la schiena appoggiata all'albero. Sunset scorse attorno al tronco una grossa catena, alla quale quegli uomini erano legati. Un tizio alto e col cappello, da cui spuntavano ciocche nere, camminava avanti e indietro con fare nervoso, fucile in mano e distintivo al petto. Entrarono. Fu Hillbilly a portare la scatola metallica con le mappe e i documenti. Rooster era seduto alla scrivania, le mani sulla tesa del cappello appoggiato sul piano del tavolo, davanti a sé, quasi a volergli impedire di scappare. Rosa di carnagione e segaligno di corporatura, tutto angoli, aveva un ciuffo di capellì rossi quasi come quelli di Sunset che gli stavano ritti sul cocuzzolo, a mo' di cresta di gallo. Ecco il perché di quel soprannome, pensò Sunset. Rooster li guardò entrare. — Hanno perso la testa, qui in città, — disse. — Non c'è più verso di fare qualcosa, o di impedire che lo facciano. È un
vero casino. — Girano un bel po' di soldi, immagino, — disse Hillbilly. — Penso anch'io. Per questo si sono inventati l'Oil Festival. Quattrini. Già c'erano abbastanza problemi con tutta la gente che cercava di entrare al cinema, ci mancavano soltanto gli spettacoli musicali e pirotecnici. — Com'è la storia di quei tipi incatenati all'albero? — chiese Hillbilly. — Non c'è posto, in prigione. Piena di ubriachi, per lo più. E i bianchi non vogliono stare nella stessa cella dei neri. — I farabutti schizzinosi fanno sempre una certa impressione, — disse Sunset. — Dov'è il suo capo? — Ha mollato il lavoro per via delle botte di Clyde. Adesso sono io lo sceriffo. Sapete, gli è saltato un dente, con quel cazzotto. Uno di quelli dietro. — Tanto non gli serve, — disse Hillbilly. — Bello, quel distintivo, — fece Sunset. — Come ci si sente, da sceriffo? — Non lo so, se mi piace. Non è detto che ci rimanga. Preferivo prima, quando facevo il vice e c'era qualcuno che mi diceva cosa fare. Non è che siete qui per lavoro, eh? — Può darsi, — rispose Sunset. — Sarebbe? Hillbilly poggiò la scatola sulla scrivania dello sceriffo e la aprì, estraendone mappe e documenti. Rooster guardò il tutto. — Ha l'aria di roba che dovrebbe stare in tribunale, — disse. — Stessa cosa che pensavamo noi, — disse Sunset. — Sono mappe catastali, — disse Rooster. — Come ve le siete procurate? — Trovate. — Trovate? Sunset annuì. — Le fanno venire in mente qualcosa? — disse. Lo sceriffo esaminò le carte e scosse il capo. — Quel che vi ho appena detto. Dovreste recarvi in tribunale, per saperne di più. — È lì che stavamo andando, — disse Sunset. — Ma ci è parso giusto venire da lei, prima. Dopo di che, pensavamo di dare un'occhiata all'Oil Festival. — Per lavoro? — Senza distintivo, — disse Sunset.
— Oh. Bene. Ok. Io me ne resto qui, invece, ad aspettare che mi vengano a chiamare perché qualcuno ci è rimasto secco. Non ci penso nemmeno, a mettere il naso fuori. Troppo casino. Dal retro fece il suo ingresso un nanerottolo con uno Stetson bianco in testa. Aveva un distintivo appuntato alla camicia. — Questo è Plug, il mio vice, — disse Rooster. — Appena assunto. — Salve, Plug, — disse Sunset. — La miseria, che bella donna, — disse Plug. — Grazie, — rispose Sunset. — Ho anche un altro vice, Tootie. Adesso però non c'è. — Abbiamo parcheggiato la macchina in divieto di sosta, là fuori, — disse Sunset. — Nessun problema, — rispose Rooster. — Serve al carico e scarico. — È una Ford nera, — disse Sunset. — Ce n'è un sacco, — rispose Rooster. — È meglio se metto un biglietto sul parabrezza? — Naa. Ci pensiamo noi. Sunset e Hillbilly lasciarono l'ufficio, lui con la scatola sottobraccio. Senza spostare la macchina, si incamminarono in direzione del tribunale facendosi largo tra la gente, che in gran parte fissava il distintivo e la pistola di Sunset come facessero parte di una mascherata messa su per il Festival. — E da cosa sarebbe vestita? — le chiese un tale, abbrancandole una spalla. — Da sceriffo, — rispose lei. — Be', le sta proprio bene. Non è che lavora a Dodge Street, per caso? — No. — Ah, mi scusi, allora, — disse l'uomo, e filò via. — Dodge Street? — fece Sunset. — È la strada dei bordelli, — disse Hillbilly. Sunset indicò col capo il tizio in ritirata. — Che figlio di puttana. Hillbilly scoppiò a ridere. — Com'è che sai queste cose, tu? — gli chiese. — Le voci girano, — rispose lui. Il tribunale era nel bel mezzo di Main Street. La strada si biforcava per passargli attorno, e tornava a riunirsi dalla parte opposta. Era un edificio in pietra levigata e di colore rosa, e alle sue ampie entrate si accedeva tramite
una lunga scalinata altrettanto ampia. Era l'unica costruzione di una certa imponenza, nonché di un minimo di buon gusto, e l'unico stabile in pietra. Le finestre sul fronte stradale erano schizzate di fango ormai secco. All'interno, malgrado l'alta temperatura esterna, faceva fresco, e quando Sunset toccò lo stipite della porta, anch'esso in pietra, lo trovò gelido quasi come un cadavere. Accompagnati dal solo rumore dei loro passi, raggiunsero un enorme tavolo, ovviamente in pietra, che girava intorno a una bella donna con un cappellino nero fermato da uno spillone. La donna alzò gli occhi e vide Sunset, ma spostò subito lo sguardo su Hillbilly. Lui le sorrise, e Sunset la vide deglutire, consapevole delle farfalle che, in quel momento, le si dovevano agitare nello stomaco. La stessa sensazione che aveva provato lei, la prima volta che aveva visto Hillbilly. Sunset spiegò chi erano e cos'erano venuti a fare, senza scendere troppo nei dettagli. Il distintivo e il bell'aspetto di Hillbilly sortirono l'effetto. La donna li accompagnò in un lungo corridoio, fiancheggiato su entrambi i lati da file di contenitori chiusi da uno spago. Sotto il vestito nero, le sue natiche ondeggiavano in maniera tale che Sunset si aspettava di vederle schizzar via come proiettili. Hillbilly sembrava apprezzare lo spettacolo, notò Sunset, che decise di affibbiargli una gomitata. Lui le rispose con un sorrisetto. — Tutto ciò che vi serve sta qua, e sul retro ci sono tavoli e sedie. Guardate quel che volete, ma senza portar via nulla. Non è che intendete metterci qualcosa, in quella scatola, eh? — Qui dentro abbiamo dei documenti ufficiali, — disse Sunset. — Non ci serve certo per portare via niente. — Bene. La legge siete voi. Ma dovevo chiederlo. È il mio lavoro. La donna ridiscese il corridoio, e Hillbilly la guardò andarsene, così come Sunset. Fu un'uscita di scena di un certo effetto. Ci sarebbe voluto l'accompagnamento di una banda musicale, possibilmente con qualche bel colpo di grancassa. Sul tavolo del retro, Sunset aprì la scatola metallica ed estrasse le due mappe. Entrambe erano contrassegnate, in alto, da una lettera e da un numero. L-1999, recitava la prima, e L-2000 la seconda. Sunset trascrisse le cifre sul blocco che aveva trovato sul tavolo e ripose le mappe nella scatola. Tornarono nel corridoio e si misero a scrutare tra i contenitori, fin quando non trovarono una fila, in basso, che recava gli stessi numeri. Presero un contenitore a testa e lo portarono sul tavolo del
retro. Fecero scattare il fermaglio che assicurava lo spago attorno a uno dei contenitori, lo aprirono e rovesciarono sul tavolo tutto ciò che ci stava dentro. Ne uscì una serie di mappe simili a quelle in loro possesso. Più o meno. Recavano, difatti, un diverso contrassegno. — Non ci capisco un accidente, — disse Hillbilly. — Sono le stesse mappe. — Questo lo so. E allora? — Qualcosa dovrà pur significare, altrimenti perché Pete si sarebbe preso la briga di metterle nella tomba? Aspetta un attimo. Le stesse mappe, ma con diversi contrassegni. Guarda qui. Non sono proprio identiche. I confini dei terreni, qui, sono tracciati in maniera diversa. Vedi questa linea rossa? — Forse la ragione dell'esistenza di due mappe è che qualcuno ha comprato un pezzo di terra ed è stato necessario suddividerla di nuovo. — Può essere. Sunset aprì l'altra scatola e ne esaminò il contenuto, che anche in quel caso era contrassegnato da lettere e cifre. C'era pure altra roba, documenti dall'aspetto simile. — Mi sta venendo il mal di testa, — disse Hillbilly. — Guarda qui. Gli stessi numeri delle mappe. Su quelle del tribunale la terra è delimitata in maniera diversa, ma i nomi dei proprietari sono gli stessi. — Dov'è che lo vedì? Sunset mostrò a Hillbilly i documenti che aveva estratto dal classificatore di cartone. — Zendo Williams, per un lotto, e una serie di nomi per l'altro lotto: Jim Montgomery, ovvero il sindaco di Holiday, fin quando non è sparito dalla circolazione, e... Oh, cazzo. Henry Shelby. — Quello della segheria? — Lui in persona. Poi John McBride. Mai sentito. — Che significa? — E che ne so. — Il sindaco è sparito, hai detto. Per andare dove? — Nessuno lo sa. C'è chi pensa che sia scappato con una donna. Va' a saperlo —. Sunset aggrottò la fronte. — Adesso ho mal di testa pure io. Continuò a studiare le mappe, a esaminare le date dei certificati di proprietà.
— Hanno fatto pagare a Zendo una cifra ben superiore a quella pagata per la terra adiacente alla sua. — Quindi? — Ha pagato di più solo perché è nero. — Succede, — disse Hillbilly. — E non dovrebbe. — Il mondo è pieno di non dovrebbe, tesoro. Il più delle volte le cose accadono solo perché la gente riesce a farla franca. È una piccola statistica che mi sono fatto io. — E c'è dell'altro. La proprietà di Zendo è centododici ettari. Così, almeno, riporta la mappa che era nella tomba. Ma quest'altra mappa mostra che un pezzo della proprietà di Zendo è finito nel terreno di Henry, del sindaco e di questo McBride. — Magari gliel'ha venduto proprio Zendo. — Può darsi. Ma le date sono le stesse su tutti i documenti. La mia idea è che Pete aveva messo gli originali nella tomba, e che queste mappe sono un duplicato fatto per sostituirle, con i confini modificati. — Come ha fatto a non accorgersene, lui? — Zendo, dici? A comprare un pezzo di terra così grande, finisce sempre che c'è qualcun altro che lo vuole. E se sono dei bianchi, poi, possono far fare i rilievi a loro uso e consumo. Così Zendo non si sarebbe mai accorto che gli avevano fregato di nascosto una decina di ettari. Il confine è tutto alberi, più o meno, e a infinocchiare Zendo non ci voleva nulla. Tanto, lui la loro parola la prende per oro colato lo stesso. Per truffarlo, è bastata qualche bandierina rossa e un cippo su un foglio di carta, e magari neanche se n'è accorto. — Quindi la faccenda delle mappe serve solo a fregare la terra a un negro. — Sembrerebbe di sì. Però, evita di chiamare Zendo in quel modo. «Nero» è molto più gentile. — Come vuoi. Ma ancora non capisco perché tuo marito è andato a nasconderle nella tomba di un neonato. — A chi lo dici. Sunset piegò le mappe del classificatore e le mise nella scatola metallica. — Hai mentito, prima, — disse Hillbilly. — Faccende di polizia. Non ho voglia di perdere tempo a spiegarlo a quella sculettatrice. Nessuno deve saperne più del necessario. Comunque sia.
— Certo che sei un tipo losco. — E pure una bella donna. L'ha detto Plug. — Ha detto bene. Sunset legò lo spago dei contenitori e andò a rimetterli al loro posto. Poi se ne andò, con Hillbilly che trasportava la scatola metallica, quella trovata nella tomba. 23. Quando Clyde arrivò da Zendo, la rabbia gli era quasi sbollita. Poteva capire perché Sunset gli preferisse Hillbilly, sotto l'aspetto fisico, ma gli pareva che trascurasse la sua abilità sul lavoro. Certo, aveva una casa ridotta in cenere, un camioncino che era un vecchio catorcio, e per di più viveva sotto una cerata, ma come essere umano se la giocava con tutti. Anzi, era meglio di tanti. Ne aveva, lui, di qualità. E che cazzo. Ne era sicuro. Be', quasi sicuro. Abbastanza sicuro. Guidava a finestrino abbassato, così che il vento gli toglies—se un po' di cattivo odore di dosso. La notte prima l'aveva passata sotto la cerata, in terra su un pagliericcio, e durante il sonno ne era rotolato via, sporcandosi. Al mattino non se l'era sentita di lavarsi con l'acqua fredda del pozzo, e non aveva avuto il tempo di riscaldarla; d'altra parte, anche se l'avesse avuto, la tinozza era troppo piccola per farci un bagno. A volte sì, riusciva a infilarvisi, ma venirne fuori era sempre un gran casino, grosso com'era. Sembrava che gli restasse appiccicata al culo. La tinozza più grande, quella lunga che teneva in veranda, sul retro, si era scordato di metterla in salvo durante l'incendio, e il calore l'aveva squagliata. Quando arrivò da Zendo, dicevamo, lo trovò nei campi ad arare. Era impegnato su un filare molto stretto, schiacciato da spighe di granturco alte come un elefante e verdi come erba appena spuntata. Stava usando un solo mulo e si muoveva nella direzione opposta alla sua, quindi Clyde si appoggiò all'albero sotto il quale Zendo usava consumare il pranzo e attese che l'uomo raggiungesse il termine del filare per invertire la marcia e iniziarne uno nuovo. Clyde vide che Zendo alzava la mano in segno di saluto, continuando il lavoro. Attese che fosse giunto al termine del filare, e quando Zendo fece uscire il mulo dal campo legando poi le redini all'aratro, gli andò incontro a stringergli la mano. — Come va, Clyde?
— Ho visto giorni migliori. — Almeno può ancora vederli. Provi un po' ad arare qui, e vedrà come la riduce quest'aggeggio. — Arare non fa per me, — disse Clyde. — Una volta ho provato, e i muli se la sono data a gambe. Lavoravo per il vecchio Fitzsimmons, e ti puoi immaginare come gli fece girare le palle, questa cosa. Ho passato la giornata a rincorrerli, quei muli, e non ho arato un bel niente. Così lui mi ha cacciato. Zendo fece una risatina chioccia. — Be', è venuto fin quaggiù a parlarmi di muli da rincorrere? — Naa. — L'avevo immaginato. — Sono qui per lavoro. Chi è il proprietario delle terre confinanti, Zendo? — Non lo so. Non ci ho mai visto nessuno, ma ogni tanto si sentono passare dei camion, sulla strada. Be', un paio di volte c'è passato anche il signor Pete. — Come hai fatto a vederlo? — Non mi sputtani in giro, Clyde, ma laggiù c'è un laghetto, e avevo sempre pensato di andarci a pescare, prima o poi. Siccome è formato da un torrente, ero quasi sicuro che fosse pieno di pesci. Sbagliavo. Ma la volta che ero lì a pescare ho sentito una macchina e ho visto che era il signor Pete. — Perché, c'è una strada? — Lo sto giusto dicendo. — È lì che hai portato il corpo del bambino? — Mi vergogno a dirlo, ma è così. — Ehi, al tuo posto avrei fatto lo stesso. Lo sai come sono i bianchi. — Anche lei è bianco. — In parte. E in parte indiano. E ho pure un caratteraccio. Riesci a farmi vedere dove hai messo il bambino? Potrebbe essere importante. Non so perché, ma potrebbe esserlo davvero, e Sunset... la legge, insomma, vuole che io dia un'occhiata. Zendo portò Clyde nel bosco. Fu una lunga camminata, con un caldo tale da togliere il fiato. Sembrava di respirare cotone. Ci misero un pezzo, prima di arrivare al laghetto di cui parlava Zendo. Non era molto grande, e si vedeva il torrente che si allargava a formarlo. L'acqua era scura e schiumosa, e il fondo privo di vegetazione. Anche le rive erano abbastanza brul-
le. — Come hai fatto a pensare che qua dentro ci fosse qualcosa? Un serpente, forse. — Era un pio desiderio. Fecero il giro del laghetto, passando tra i cespugli, e si infilarono in un varco in mezzo agli alberi. Tra i pini si snodava un viottolo che finiva poi per scomparire alla vista. — L'ho messo lì, l'orcio col bambino, — disse Zendo. — Credevo che magari il signor Pete l'avrebbe visto. O qualcun altro. Non pensavo certo che potessero risalire a me. Clyde, possiamo tornare indietro? Non mi sono mai spinto così lontano, e non mi sembra il caso. Magari siamo sulle terre di un bianco. — Sei con me. — È vero, ma lei è diverso. Basta che mi veda qualche altro bianco, e pensa subito che sto alzando troppo la testa. Poi ho un sacco di terra da arare, e quel vecchio mulo non ha un briciolo di pazienza. Dopo un po' che è legato, cerca sempre di liberarsi. — Capisco. Io rimango a dare un'ultima occhiata. Zendo filò via, e Clyde imboccò il viottolo. Non dovette fare molta strada prima di giungere a uno spiazzo privo d'alberi, in cui crescevano patetiche gramigne giallastre e un po' di malconcio falasco. Si accorse che il sole si rifletteva sul terreno, più avanti. Andò a vedere, e scoprì che il falasco sotto i suoi piedi era umidiccio. Dapprima pensò si trattasse di acqua, ma era troppo scura, anche ammesso che fosse stagnante. Si chinò a saggiarla con le dita, che sfregò poi tra loro. Se le portò al naso, e capì. Avanzò ancora un poco, e si trovò su un terreno ancora più molle da cui l'erba era scomparsa. Da esso filtrava una sostanza scura e dall'aspetto untuoso, che colpita dai raggi del sole prendeva una colorazione bluastra. Una poltiglia che ricopriva i cadaveri di libellule e rane, e persino di un uccello. Petrolio. In quell'istante Clyde capì perché il laghetto alle sue spalle aveva un'aria così sporca e funerea. Le sue acque erano miste a petrolio. — Cazzo, — disse. Girò attorno a quel pantano, cercando di non affondare, ed esaminò da diversi punti di vista le infiltrazioni. Si trattava di un'area abbastanza am-
pia, e se il petrolio riusciva a raggiungere la superficie con tanta facilità era segno evidente di come si spingesse a profondità consistenti. Una volta, a Holiday, aveva visto scoppiare un pozzo di petrolio, ed era stato un vero spettacolo. La terra si era messa a tremare come volesse spaccarsi in due. La gente si era tappata le orecchie con le mani, o addirittura col fango. Il petrolio era esploso dalle viscere della terra, sgorgando bollente dalla trivella e raggiungendo, in una sola ondata, enormi altezze e distanze. C'era voluto un bel po' a bloccarne il flusso, e quel pozzo era ancora attivo. Poteva succedere la stessa cosa anche lì. Doveva esserci tanto di quel petrolio, là sotto, da rendere ricco chicchessia con una sola gittata. Clyde pensò al bambino, a come era stato annerito dal petrolio, e pensò anche a quel che aveva detto Sunset a proposito del cadavere di Jimmie Jo, anch'esso conservato nel petrolio. Si tolse il cappello e lo usò per tergersi il volto. Stava per andarsene, quando scorse un bagliore tra i rami. Sembrava una luce fissa, e pensò di andare a vedere. Ben presto si ritrovò tra gli alberi, in mezzo ai quali si apriva, a poca distanza, una radura che ospitava una casa. Non una grande casa, ma neanche una baracca. Costruita con semplicità, aveva il tetto di lamiera, sotto cui sporgeva ancora - riusciva a vederlo anche da lì - un pezzo di carta catramata. L'edificio era privo di veranda e la porta quasi a livello del terreno, ma l'intero perimetro era circondato da uno zoccolo in pietra. Non si trattava di una zona rocciosa, di conseguenza le pietre dovevano essere state trasportate da fuori. Un lavoro lungo e noioso, che dimostrava la cura impiegata nella costruzione. — Ehi, di casa, — gridò Clyde. Nessuno rispose, né si mosse nulla. Clyde toccò la porta, che si spalancò da sola. Dette un'occhiata alla serratura, per scoprire che non era rotta, ma soltanto aperta. Dentro faceva caldo e l'aria sapeva di stantio, ma l'insieme era grazioso nella sua semplicità. Era un ampio locale dotato di fornello, letto, tavolo, qualche sedia e una cassapanca in legno di cedro. Tende alle finestre, di un certo gusto, e sul tavolo una bella lampada a cherosene con un grosso piattello di ottone per diffondere meglio la luce. Scaffali con pile di piatti e una bottiglia di chissà quale distillato, mezza piena. Sul tavolo, accanto alla lampada, c'erano dei fiammiferi. Clyde li usò per accenderla, e la stanza si riempì di luce. Non che ci fosse niente di speciale
da vedere. Aprì la cassapanca. Era piena di abiti da donna, alcuni un po' troppo sgargianti. Riconobbe uno di quei vestiti. L'aveva visto addosso a Jimmie Jo. Clyde richiuse la cassapanca, spense la lampada e riprese la strada che portava da Zendo. Al suo arrivo, il nero gli offrì dell'acqua da un barile di legno. Clyde prese il mestolo e bevve. Non raccontò le sue scoperte. Era incerto sul da farsi, e gli sembrava giusto parlarne a Sunset prima che a chiunque. Tornò a Camp Rapture e andò all'emporio a comprarsi una bibita gassata. Risalì sul camioncino e si avviò. A un certo punto scorse un funerale, in cima alla collina. Con l'aiuto di muli, corde, carrucole e treppiedi, una gigantesca cassa di legno stava scendendo dentro una buca sufficiente a dar sepoltura a un piccolo ippopotamo. Tra i presenti Clyde riconobbe Henry, proprio accanto alla fossa, assieme a Preacher Willie Fixx. Un uomo di colore badava ai muli, mentre altri due neri, ai lati della buca, sorvegliavano la procedura. Clyde riconobbe l'addetto ai muli. Era Zack Washington. Gli altri due non li conosceva. Non c'era più nessuno. Non avrebbe capito che si trattava di un funerale, non fosse stato per il pick-up di Willie Fixx dalle fiancate ricoperte di nero. Chissà di chi era quel funerale, pensò. Di certo di qualcuno che aveva a che fare con Henry. Considerando che quella che stavano calando nella buca era una cassa e non una bara, ne dedusse che si trattava della moglie di Henry. Girava voce che fosse diventata strana e molto grassa, un vero mostro sempre ubriaco. Probabilmente aveva tirato le cuoia. Goose era in veranda, su una sedia a dondolo. In grembo teneva in equilibrio un piatto di pollo fritto, e ne stava mangiando un pezzo con unta e bisunta avidità. Un gatto giallo, seduto in cortile appena fuori della veranda, osservava l'operazione con l'aria di chi è sottoposto a una tortura indicibile. In cortile, Lee sistemava i tronchi sotto la scure di Uncle Riley, sudato fradicio malgrado fosse in canottiera. Ogni volta che l'uomo calava la lama, con forza, si lasciava scappare un grugnito. Il tronco si spaccava in due, e c'era un gran viavai di cavallette, che sembravano infestare la zona. — Mai viste così tante di quelle bestie, — disse Uncle Riley. — Io sì, — fece Lee. — Anzi, molte di più. Migliaia e migliaia di più. Arrivate dal nulla, a oscurare il cielo come una nuvola, a mangiare qualun-
que cosa di colore verde nel raggio di qualche chilometro, camicie comprese. — Sul serio? — Bastava che fosse verde, e gli saltavano addosso. Era l'epoca delle tempeste di polvere, e le cavallette avevano fame proprio come tutti. — Che razza di storia. — È vera. — Non credevo fossero capaci di distinguere i colori. — Sto solo dicendo quel che ho visto io. — Va bene così, — disse infine Uncle Riley, dopo aver fatto saltar via qualche altro pezzo di legno. — Ne abbiamo a sufficienza per la cena di stasera e per la colazione e il pranzo di domani. Poi, mi fa male la schiena. — Posso tagliarne un po' io, — si offrì Lee. — Naa. Basta e avanza. Uncle Riley conficcò la scure nel blocco di legno, estrasse un fazzolettone dalla tasca dei calzoni e si terse il volto e la nuca. Poi guardò in direzione di Goose. — Il ragazzo sembra guarire bene. — Davvero. Grazie a lei e a sua moglie. — Lei sa quel che fa. — Mai visto niente del genere. E credo che Goose non mangiasse da almeno una settimana. Ve ne sono grato. — Era pelle e ossa. È suo figlio? Lee scosse il capo. — Mi ha raccontato di aver lasciato la famiglia perché i suoi non ce la facevano a mantenere tutti, ma secondo me è stato abbandonato da qualche parte. Non credo che sarebbe in grado di tornare a casa sua, anche volendo. Abbiamo lavorato assieme in una fattoria, ci hanno fregato la paga e siamo finiti sulla strada. Poi lui si è beccato quel morso, e meno male che è arrivata Marilyn e ci ha portato da voi. Grazie a Dio. — Meglio che rimanga qui qualche altro giorno. — Se può restare ancora un po' sono contento, ne ha bisogno. Io, invece, non voglio dar fastidio. — Nessun fastidio. Era un pezzo che non giocavo a dama con qualcuno. — Le sto simpatico solo perché mi batte sempre. — È già qualcosa. — Comunque no, grazie. Bisogna proprio che vada. Devo vedere qualcuno e sistemare una serie di cose. Non che vada molto lontano, eh, stia sicuro che tornerò. Nel frattempo, faccia sloggiare Goose dalla vostra came-
ra e lo mandi a dormire su un pagliericcio. Cedergli il letto è stato proprio un gesto di grande carità cristiana. — E quando guarisce, che ne facciamo? — chiese Uncle Riley. Lee guardò Goose, che divorava l'ultimo pezzo di pollo. — Non lo so, — disse. Aveva detto al ragazzo che non sarebbe scappato, invece era proprio quello che stava per fare. Ogni volta che partiva con l'idea di fermarsi, finiva sempre per scappare. Forse doveva portarsi dietro anche il ragazzo. Forse era così che doveva andare, da adesso in poi. Senza più lasciare i propri cari. Udirono arrivare il camioncino di Marilyn. Gli oggetti nel cassone sferragliavano ancora. La donna scese dal veicolo, e Lee notò il suo bell'aspetto. Indossava un abito verde chiaro con i bordi bianchi. La salutarono. — Sono venuta a vedere come sta Goose, — disse lei, — ma vedo che se la cava bene. Dalla veranda, Goose alzò una mano in segno di saluto. — Davvero gentile, da parte tua, — disse Lee. — C'è un secondo motivo. Volevo darti un passaggio. Avevo capito che intendevi vedere Sunset. — Be', grazie anche di questo. Mi farebbe piacere. Ma a dir la verità pensavo di partire domani. Vorrei stare un altro giorno assieme a Goose. Poi devo vincere almeno una partita a dama con Uncle Riley. — Non ne ha vinta nemmeno una, finora, — disse il nero. —Perché non resta a cena con noi, Marilyn? Neanche Goose è riuscito a finirlo tutto, il pollo fritto. Marilyn sorrise. — Buona idea. 24. Sunset e Hillbilly misero la scatola con le mappe nel baule della macchina assieme alla fondina e alla pistola, e quando richiusero il cofano si accorsero che alla schiera di gente di colore incatenata alla quercia erano stati aggiunti altri uomini e persino una donna. C'era Plug adesso, sotto l'albero, intento a distribuire ai prigionieri, con un lungo mestolo metallico, sorsate d'acqua da un secchio di legno. L'altro nuovo vice, quello col fucile in mano, era ancora lì, e scrutava la strada rimirando le donne di passaggio. Sunset e Hillbilly fecero il giro della città, gettandosi tra la folla e riu-
scendo a raggiungere la banca per incassare gli assegni che Marilyn aveva loro consegnato. Si infilarono in una tavola calda a farsi due bistecche e qualche caffè, poi tornarono sui loro passi. Dietro il tribunale si svolgeva una sorta di sagra, e la strada era chiusa da cavalletti azzurri e gialli. C'era anche un'orchestrina: violino, banjo e voci femminili. Hillbilly li persuase a lasciarlo cantare, si fece prestare una chitarra abbandonata su una sedia e si gettò nella mischia. E, agli orecchi di un'incredula Sunset, si rivelò bravo come lui stesso era convinto d'essere, la voce calda e profonda, in certi momenti, come un vecchio forno in muratura, e in altri pungente come il tocco di uno spillo, fusa alla perfezione con le dolci tonalità delle donne. Cantava di amore trovato e di amore perduto, di sole calante e di luna nascente. Sunset si sentì penetrare da quella voce, che le rimbalzava poi in corpo, a stento trattenuta dalla pelle. Hillbilly eseguì tre brani per poi rendere la chitarra all'orchestrina, salutato da applausi e acclamazioni, e con quella che a lei parve una certa riluttanza. Infine scese dal palco con un sorriso. Sunset si tolse il distintivo e lo ripose nel taschino della camicia. — Sei bravo, — disse. — Lo so, — rispose lui. Trovarono un posto in cui si tiravano palline da baseball contro le bottiglie. Sunset ne colpì una, Hillbilly quattro. Sunset vinse un tiro gratis che finì per sbagliare, Hillbilly un orsacchiotto marrone con due bottoni rossi per occhi, che dette a lei. Tentarono di indovinare il peso di un ciccione, che salì sulla bilancia per dimostrare che avevano entrambi sbagliato. Mangiarono zucchero filato, bevvero root beer da bicchieri di carta, infilzarono su uno stecchino dei salsicciotti bisunti e sgusciarono noccioline tostate. Lanciarono anelli su bastoncini piantati nel terreno, e questa volta Sunset si dimostrò più brava di Hillbilly: ne infilò quattro e vinse un altro orsacchiotto, grosso e azzurro, dal ventre bianco. Si aggirarono qua e là con i loro premi, lo stomaco gorgogliante per via del pranzo, dello zucchero filato, della birra e dell'afa. Sunset rideva e si faceva gioco dell'orsacchiotto di Hillbilly, che secondo lei era troppo piccolo per essere tale, e lui le disse che il suo, invece, l'avrebbe mandata in rovina per quanto mangiava. In breve finirono per ridere a crepapelle e tirarsi gomitate e camminare appiccicati. Le loro dita si trovarono, intrecciandosi. Scese la sera, e si fece più fresco. Tornarono alla macchina tenendosi per mano. — Ci perdiamo i fuochi d'artificio, — disse lui. — Credo di sì, — rispose lei, e si diressero
nel posto che gli aveva detto Clyde. Sunset non disse una parola, si limitò a uscire dalla strada principale e incunearsi nello stretto viottolo indicato da Clyde, a bassa velocità da quanto era dissestato, e nemmeno Hillbilly aprì bocca, e la strada continuò a insinuarsi tra gli alberi per poi allargarsi e sfociare in un belvedere. Sunset fermò la macchina quasi sul bordo dello spuntone di roccia, e spense motore e fari. Come aveva detto Clyde, da lì si vedeva ogni cosa, anche se non fino in fondo, e soprattutto si vedeva l'intera Holiday illuminata come a Natale, per via del Festival. Le luci erano così invitanti da far venire voglia di saltare giù e andarle a prendere. Pure le trivelle erano state illuminate a giorno, e a quell'altezza le loro luci sembravano galleggiare sopra le altre come gigantesche lucciole. A finestrini abbassati, l'aria era fresca e piacevole, e dal paese saliva ancora la musica: un'eco di Take a Whiff on Me, o almeno questa era l'impressione di Sunset, che comunque non riusciva a sentire bene. Hillbilly le scivolò accanto, senza dire una parola. Lei girò il viso a guardarlo, e quando le loro labbra si toccarono il fresco le parve meno intenso; ma era un calore inebriante, che le saliva da dentro e si spargeva per tutto il corpo come una soffice coperta in una buia mattina d'autunno, e non ci volle molto perché le loro mani si mettessero in azione e il panorama non contasse più niente. Sul sedile anteriore, a gambe spalancate, lei lo accolse dentro di sé e lui si dette da fare. Era una sensazione mai provata prima, e quando finì fu solo per ricominciare da capo, a posizioni invertite, e si mossero in tutti i modi possibili e immaginabili, e questa volta, quando fu sul punto di venire, Sunset si sentì invadere da tutte le attese del mondo, poi le parve che la testa le scoppiasse mentre giù in paese i fuochi d'artificio attaccavano a esplodere e salivano alti in cielo e riempivano di luce il parabrezza, e lei rise e non riusciva a smettere di ridere, e Hillbilly si lasciò scappare un rumore che a lei piaceva e le uscì da dentro e Sunset sentì uno schizzo caldo e umido, e lui le crollò addosso, greve e caldo e morbido al tocco, il respiro affannoso così come il suo, il petto ansimante così come il suo, un affanno che poco a poco si attenuava per poi placarsi e per un bel pezzo nessuno dei due aprì bocca, ma è anche vero che nessuno dei due ne aveva la benché minima intenzione. 25.
Il mattino dopo il termine dell'Oil Festival, quando Rooster fermò la macchina davanti all'ufficio, Main Street era una gigantesca voragine di fango, battuta dal sole ma piena di immondizia e cataste di sterco (umano e animale), e anche di tre ubriachi privi di sensi, uno dei quali era una pallida cicciona senza mutande e con la gonna tirata sopra la testa. Rooster si incamminò lungo la strada e si fermò il tempo sufficiente a tirare giù la gonna a quella tipa, senza peraltro guardarla in faccia. I neri che erano stati arrestati per ubriachezza molesta erano ancora incatenati attorno alla quercia, e dormivano tutti. Anche Plug si era addormentato durante la guardia, il fucile in grembo. Il suo aiutante, Tootie, dotato della metà del cervello di Plug e già imbarazzato da quella stessa metà, se la ronfava lì vicino, sull'erba. Doveva essere sbronzo come quelli ammanettati all'albero, pensò Rooster, che decise di non svegliarli. Tanto non andavano da nessuna parte, e non voleva correre il rischio di stuzzicare Plug o Tootie, specialmente quella testa di cazzo di quest'ultimo. Non intendeva averli tra i piedi, visto quel che aveva da fare e la persona che doveva andare a trovare, proprio sopra l'emporio. Verso mezzogiorno avrebbe comunque mandato tutti a casa. Sbirciò la strada che doveva imboccare, e pensò che lo sceriffo Knowles non gli avrebbe mai permesso di invischiarsi in una faccenda del genere. «Rooster, tu sei un brav'uomo», gli diceva Knowles. «È solo che ti serve sempre qualcuno che ti dice cosa fare». Ma lo sceriffo Knowles adesso non c'era più, e l'unica cosa che Rooster doveva fare era andare a trovare chi sapeva lui, anche se non ne aveva certo voglia. Avrebbe dovuto arrestarlo, ma non ne aveva il coraggio. Ormai c'era dentro fino al collo. L'intero primo piano sopra l'emporio era occupato da un appartamento. Rooster detestava dover andare fin lassù, per quelle scale traballanti. All'interno, durante il giorno, le tende restavano aperte, a scoprire le numerose e alte finestre sul retro; ma la luce non era mai sufficiente. Il problema era l'imponente collina che si levava proprio dietro l'edificio e che, costellata com'era di pini e querce, bloccava in gran parte i raggi del sole. Nell'ingresso non c'era luce elettrica, soltanto un paio di lampade che venivano accese di rado, e di conseguenza le ombre la facevano da padrone. La vasta stanza principale era divisa circa a metà, e in maniera incongrua, da un pannello di legno che non raggiungeva il soffitto, ma si fermava all'altezza degli occhi. Rooster non si era mai avventurato sulla parte destra del pannello, in prossimità delle finestre e delle lampade, ma
solo sulla sinistra, giù per un corridoio buio il cui pavimento in legno sfrigolava come una lastra di ghiaccio sul punto di rompersi, e che dava su una serie di stanze in penombra. Era lì che McBride preferiva stare. Poi, dopo quelle stanze, ce n'erano altre in cui Rooster non aveva mai messo piede, anche se ne aveva visto uscire lo Scarrafone. Lo chiamava così, quel tipo, primo perché non gli piaceva, e secondo perché con quel lungo soprabito e quella bombetta nera gli faceva venire in mente, giustappunto, un enorme scarafaggio. Rooster imboccò le scale, si aggiustò la fondina, gonfiò le spalle e bussò alla porta. Vi fu una lunga pausa, poi la porta fu aperta da una donna in calze di seta nera e una sola giarrettiera rossa in cima a una gamba. Per il resto, era nuda. Si teneva una mano sull'inguine, come bastasse a nascondere chissà cosa. Il seno le piombava giù libero, e ciocche di capelli biondi - tenuti alti sulla testa e fermati all'indietro - le ricadevano sul viso, tanto da dare l'impressione che il sole le battesse dritto sul capo. Una piccola cicatrice biancastra le solcava, nel senso della lunghezza, tutto un lato del naso. Rooster si tolse il cappello e lo tenne tra le mani, quasi a voler rendere omaggio a ciò che si era trovato davanti. Sempre meglio di quando era lo Scarrafone ad aprigli. — Entra, tesoro, — disse la donna, scoprendo l'inguine con l'aria di chi aveva ormai la coscienza a posto. Rooster l'aveva già vista in precedenza, anche se la parte di lei che stava ammirando adesso gli era del tutto sconosciuta, ma ne ignorava il nome. Quando la bionda si voltò per fargli strada, il suo culo nudo ondeggiò da parte a parte come una coppia di bambini che se la spassano contenti. Giunti al divisorio, girarono a sinistra, passando sotto una fila di piatti ornamentali, d'argento. Rooster alzò lo sguardo e si vide riflesso in uno di essi, ma la sua immagine era deformata dal metallo e dalla luce. Superarono un lucido mobile bar per entrare in una stanza piena di divani, che aveva anche un letto e, proprio nel centro, un tavolo con tanto di tovaglia bianca, su cui faceva bella mostra un servizio da caffè in argento: caffettiera, tazze e piattini. Una lampadina elettrica con cordicella pendeva sopra il tavolo, polverosa e fioca. Al soffitto era appeso anche un ventilatore, che muoveva un'aria satura di aglio e tabacco, oltre che delle zaffate sulfuree delle capocchie dei fiammiferi. McBride era sdraiato sul divano all'estremità opposta della stanza, in bocca un sigaro il cui fumo gli incombeva sopra come una nuvola bluastra.
Indossava una veste da camera in seta, color grigio cenere, semiaperta. Grigia era pure la peluria che gli copriva il torace e gli avambracci, mentre i baffi erano fin troppo neri. Rooster gli dava una sessantina d'anni, anche se ne dimostrava una cinquantina ben portati. In testa aveva quello stupido parrucchino che teneva solo in casa. Un aggeggio nero e folto che non si intonava affatto con la sua pelle rossa da irlandese. Quando usciva, McBride si toglieva il parrucchino e si piantava in capo una bombetta nera, calcata così a fondo da resistere al vento e nascondergli il cranio, che Rooster sospettava essere quasi calvo. — Rooster, — disse McBride, e si alzò. La vestaglia si aprì, e a Rooster fu offerta una panoramica indesiderata. McBride si diresse al tavolo e si piazzò su una sedia. Il parrucchino traballò, e Rooster cercò di guardare altrove, anche se era dura decidere dove piantare gli occhi. In alto c'erano i capelli, in basso c'era... be', c'era tutto il resto. — Siediti, Rooster. Vuoi del caffè? — Penso di sì, — rispose lui. — Bene, — disse McBride. — Ehi, troia, portaci del caffè. — Non sono la cameriera, io, — fece la bionda. — Che sia fresco. E non farmelo dire un'altra volta. La bionda filò via. McBride sorrise sotto i baffi. — Certe volte bisogna trattarle male, poi fanno sempre come vuoi tu. Che te ne pare di quel culo? Rooster si sentì avvampare. — Carino, — fu quel che riuscì a dire. McBride rise. — Carino? Coi cazzi e i controcazzi, altro che. Insomma, che vuoi? È presto, per me, e ho da fare. Non sarai venuto a prenderti un caffè... — Nossignore. — È filato via liscio, l'Oil Festival? — Immagino di sì. — Bene. E cosa sei venuto a fare? — La donna che rappresenta la legge a Camp Rapture... — Cosa c'entro io con questa... ah, sì. La moglie di Pete, quella zoccola. Già. Ho sentito qualcosa. Ha tirato il negro fuori del cinema, quando quel vecchio coglione dello sceriffo si è fatto ammazzare e voi ve ne stavate con le dita su per il culo. Ha pure randellato Macavee con la pistola, no? — Sissignore. — E lui come sta?
— Ha lasciato la città. — Niente male, la ragazza, — disse McBride ridacchiando. — E pare che sia anche un bel pezzo di figliola. Vero? — Penso di sì. — Pensi di sì. È vero o non è vero? È meglio o peggio di quella che hai visto prima? — Di sicuro è più vestita. McBride sghignazzò. — Non c'è dubbio. — L'altro giorno è venuta nel mio ufficio con uno dei suoi aiutanti, — disse Rooster. — Uno che si fa chiamare Hillbilly. Mi ha fatto vedere una serie di cose. Mappe catastali. Della proprietà di un tipo di colore, un certo Zendo. Solo che erano le mappe di prima della nuova suddivisione. Sa cosa intendo. McBride si sporse in avanti e piantò i gomiti sul tavolo, flettendo i robusti e pelosi avambracci. — E come ha fatto ad averle? — Devono essere quelle che erano rimaste in mano a Pete e a quella puttana di Jimmie Jo. Non lo so come ha fatto a trovarle. — Quelle che ha rubato Pete? Quelle di cui mi avevi parlato? Rooster annuì. — E a Henry, l'hai fatto sapere? — Eravamo rimasti d'accordo che in casi simili sarei dovuto venire prima da leì. — Hai fatto bene, sceriffo. Lo dirò io, a Henry. Tu hai l'aria nervosa, Rooster, e a me non piace la gente nervosa. Mi dà l'impressione che stia cercando di cacciarmelo nel culo. — Mi spiace, signor McBride, — disse Rooster, e alzò lo sguardo proprio mentre la bionda rientrava nella stanza. Si era sciolta i capelli e rivestita, e recava una caffettiera fumante e una tazza in ceramica. Versò il caffè nella tazza d'argento di McBride, mise la tazza in ceramica davanti a Rooster e ne versò anche a luì. — Se vuoi favorire, accomodati, — disse McBride. — Offre la ditta. Vero, tesoro? — Sto bene così, — rispose Rooster. McBride scoppiò a ridere. — Sì, come no. Fuori dai piedi, ragazzina, che me lo stai facendo sudare come una fontana, il mio Rooster. Rooster cercò di non guardarla uscire. — Mica ti farebbe schifo, un oggettino del genere, a casa, eh? — Roo-
ster non rispose. — E le hai prese tu, quelle mappe? — chiese allora McBride. — Neanche ci hanno pensato, a darle a me. McBride cambiò posizione, tirò giù le gambe, mise entrambi i piedi sotto il tavolo. — Non gliele hai chieste? — Non sapevo come comportarmi. — Solo perché erano in mano a una bella donna? O sbaglio? Rooster bevve un sorso di caffè, rischiando di rovesciare ogni cosa. — Più o meno, — disse. — Allora, che hanno fatto? — Gli ho detto di andare in tribunale. — Gli hai detto di andare in tribunale? Che razza di fesseria, Rooster. Così gli hai dato la possibilità di fare due più due. — Sissignore. — Quelle mappe non vogliono dire niente se non si mettono una accanto all'altra. Una mossa infelice, Rooster. Vanno in tribunale, consultano l'archivio, finisce che capiscono subito cos'è stato cambiato. Questo era il gioco di Pete e della sua troia: usare l'archivio come arma, minacciare di spifferare tutto a qualche pezzo grosso se non venivano tirati dentro anche loro, e in maniera bella grossa, non certo piccola come la tua. Grossa come la mia. O come quella di Henry. Naa. Niente da fare. Perciò sono stato chiamato io a sistemare la faccenda. E l'ho fatto. L'unica cosa che dovevi dire era: «Queste mappe sono di proprietà della pubblica amministrazione. Non so come abbiate fatto a procurarvele, ma sono obbligato a rimetterle al loro posto, e comunque vi ringrazio per avermele riconsegnate». Non era molto più semplice, Rooster? — Senza dubbio. L'ho capito appena se ne sono andati. — E ormai era troppo tardi, no, Rooster? — Sissignore. — Le cose, da queste parti, non stanno andando male. Ho guadagnato i miei soldi, ma non è che ho dovuto fare poi molto. C'è chi lavora per me, e a me va benissimo. Ho fatto carriera, diciamo così. Io sono la mente, poi c'è il braccio. Non mi va di fare cose che non devo fare, perdere tempo con faccende che non mi competono. E tu mi fai perdere tempo. La donna... com'è che si chiama? — Sunset. — Che razza di nome. Un soprannome, forse?
— Ha i capelli rossi. Come si chiama veramente, lo ignoro. — C'è poco di meglio che denudarne una e vedere il pelo rosso che ha tra le gambe. Quando dimena i fianchi, è come uno straccio rosso sotto il naso di un toro. Ma non è questo il nostro problema, o sbaglio? Adesso ci hai fatto finire su una cunetta nel bel mezzo della strada. Lo sai cosa succede, in un caso del genere, Rooster? Rooster scosse il capo. — Una cunetta è capace di farti saltare mezza macchina, di farti volare via tutto quel cazzo che c'è dentro. Capisci, adesso? Rooster annuì. McBride s'infilò una mano sotto quell'orrido parrucchino per grattarsi la testa. — Finisce tutto a gambe all'aria, poi tocca a me sistemare le cose, sgobbando molto più del lecito. Bada bene, non che mi spaventi il lavoro, ma non mi va di dover disfare cose che non ne hanno alcun bisogno, o sistemarne altre ancora intere. Mi segui fin qui, Rooster? — Sissignore. McBride tirò una feroce boccata dal sigaro e soffiò il fumo dal naso. — Non è che possiamo dare dei soldi a quella troia in cambio delle mappe? Pensi che le possa interessare? — Non credo. Mi sembra molto compresa nella parte, come volesse davvero rendersi utile. — Rendersi utile. Questi portano solo guai. Come i cristiani o gli astemi. Gente che si attacca a qualcosa, peggio di un cazzo di bulldog, e non molla la presa neanche se ci rimette le penne. Non li sopporto, tipi del genere. Preferisco i politicanti o gli sbirri. Con questi, ci posso lavorare. Anche un uomo di chiesa può essere maneggiato ben bene, ma i veri cristiani e i veri benefattori, vattelappesca. — Forse Hillbilly può darci una mano, — disse Rooster. — Era un vice, ma si è dimesso. Ora è qui in città. Lui la conosce, e ne sa quanto lei, quindi può sapere dov'è la mappa. — Di questo Hillbilly non so niente. Tu stai cercando di rifilare il tuo lavoro a qualcun altro, Rooster. Questa cosa non mi piace. — Nossignore. — Se si sparge la voce, Henry e io rischiamo di rimetterci un sacco di soldi in petrolio. Oppure di finire in galera, cosa che non ho intenzione di fare. Non ci sono mai stato, ma ne ho combinate di tutti i colori, e non mi va di pagare adesso anche per gli arretrati. Sai cosa devi fare, Rooster?
Andare da quella donna. Dirle che ti sei incuriosito, che hai dato un'occhiata in archivio, che le mappe non coincidono, che c'è qualcuno che vuole incastrare quel negro... Com'è che si chiama? — Zendo. — Zorro senza terra. — Zendo. — Rifilale questo bel discorsetto. Cerca di far appello alla sua natura di benefattrice. Vedrai che cambierà idea e ti darà le mappe, pensando che te ne occuperai tu. Se invece le mappe non te le dà, significa che abbiamo un problema. Con un sacco di altra gente puoi avere dei problemi, Rooster, e puoi anche risolverli. Ma non è il caso di avere problemi con me. Comprende? — Sissignore. — Non mi secca dover ungere un po' le ruote, qua e là, ma preferisco le persone che sanno stare al loro posto. Non certo come Pete, che ci voleva mettere nel mezzo, a me e a Henry. Questo non mi piace. Stai pensando anche tu a qualcosa del genere, Rooster? — Nossignore. — Bene. Abbiamo finito, allora. Ah, un'ultima cosetta. McBride si alzò, la vestaglia aperta e svolazzante. Rooster guardò la sua tazza di caffè, sul tavolo. McBride passò nella stanza accanto e tornò subito. In mano teneva un mucchietto di banconote. Si piazzò accanto a Rooster, così vicino da toccargli quasi il gomito con l'uccello. — Allunga la mano, Rooster, — disse. Rooster si girò sulla sedia e allungò la mano. McBride vi calò un centone. Poi un secondo. E un terzo. Piegò gli altri quattro e li mise nella tasca della vestaglia. — Ti sto pagando perché sei venuto subito da me, come concordato. Ma non intendo darti tutto, perché hai scazzato pesante, Rooster. Procurati le mappe, amigo. McBride richiuse la mano di Rooster sulle banconote, e strinse così forte che l'uomo capitombolò giù dalla sedia, per mettersi poi in ginocchio. L'uccello di McBride gli ciondolava davanti al viso. — Bacialo, Rooster. — No. — Sicuro. Bacialo. McBride strinse più forte. Nella mano di Rooster si ruppe qualcosa. Rooster si piegò in avanti e baciò la punta dell'uccello di McBride. McBride mollò la presa e fece un passo indietro. Rooster, rosso come un
fuoco, si alzò in piedi. — Non c'era motivo per una cosa del genere, — disse. — Non me lo doveva fare. — Cazzo, Rooster, baciarmi l'uccello ti ha appena illuminato la giornata. Quando Rooster fu uscito, McBride chiamò la bionda. Al suo arrivo, la trascinò sul divano. — Mi chiedo perché debba fare tutta questa fatica per vestirmi, — disse lei a cose fatte. — Non te l'ho chiesto io di vestirti, — disse lui. — Forza, adesso. Vattene a casa. — Guarda che non volevo farti incazzare. E solo che Two mi rende nervosa. — Si è alzato? — Già. Non volevo stare là dietro con lui. E non volevo farti incazzare. — Non è che mi hai fatto incazzare, è solo che mi hai rotto i coglioni. Fila via, finché sono di buonumore. La ragazza passò nell'altra stanza a rivestirsi. Quando tornò, McBride era sdraiato sul divano. Lei lo guardò senza aprire bocca, e se ne andò. McBride si alzò, chiuse la porta a chiave, bevve del caffè, si allacciò la vestaglia ed entrò in cucina. Aveva appena mangiato, ma gli andava di cucinare, e sapeva che a far le cose per bene gli ci sarebbe voluto un po'. S'infilò il grembiule. Era enorme, con maniche corte e increspate e orli di pizzo in fondo e sui lati. Tirò giù pentole e padelle, accese il fornello e mise a bollire l'acqua per gli spaghetti. Prese una testa d'aglio, la sbucciò con le mani, mise gli spicchi su un tagliere e li schiacciò con un mazzuolo. Era così abile che non gli scappò neanche un pezzetto, ma gli vennero lo stesso le lacrime agli occhi. Udì un rumore e si voltò. Sulla soglia, in penombra, c'era Two, con addosso il lungo soprabito Prince Albert. Con le falde separate, lo faceva davvero sembrare uno scarafaggio gigante, nero e massiccio e silenzioso com'era, oltre agli occhi verdi. Un negro con gli occhi verdi e un soprabito Prince Albert. Non sembrava molto logico, ma eccolo lì. — Preparo qualcosa da mangiare, — disse McBride. — Ci vorrà un po', ma posso farlo anche per te. Ne vuoì? — Non abbiamo fame, — disse Two, e uscì. 26.
La sera prima dell'incontro tra Rooster e McBride, Sunset se n'era tornata a casa ancora su di giri per via di Hillbilly. L'aveva lasciato nel luogo dove lui era andato ad accamparsi, a circa tre chilometri dalla sua tenda. Un posticino tranquillo che Hillbilly aveva costruito con un po' di legname assortito, e su cui aveva gettato qualche vecchia camicia a mo' di tetto. Sunset gli aveva chiesto dove avesse preso le camicie, e lui le aveva risposto che era stato Clyde a dargliele. E quando lei volle sapere se avessero ricomposto le loro divergenze, Hillbilly aveva cambiato argomento. Si erano separati, infine, con quello che a Sunset era parso il bacio più dolce, più soffice della sua vita. Se lo sarebbe anche portato a casa, Hillbilly, ma temeva per l'indomani mattina l'arrivo di Marilyn e Karen, e la cosa non avrebbe certo fatto una buona impressione, specialmente con Karen che si struggeva per il ragazzo come una cagna in calore. Eppure, pensava che Hillbilly potesse anche trovarsi un posto migliore, per vivere. Non sarebbe stato male, così lei avrebbe potuto andare a trovarlo. Giunta a casa, Ben uscì a farle le feste. Sunset vide il camioncino di Clyde fermo accanto alla grossa quercia. Sul cruscotto c'era uno scarpone. Aprì il baule della macchina, prese la scatola metallica che conteneva le mappe e si diresse verso il camioncino. I finestrini erano abbassati, così ficcò la testa nell'abitacolo, dal lato del passeggero, per scoprire Clyde spaparanzato sui sedili, un piede sul cruscotto. La luna era sufficiente per vederlo in faccia, e con i capelli sugli occhi chiusi, oltre a russare appena, le fece venire in mente un ragazzone troppo cresciuto. Aveva un'aria tenera, proprio carina, soltanto un po' arruffata e scorbutica. Sunset entrò nella tenda, seguita passo passo da Ben, e mise la scatola sul tavolo del lato ufficio, cercando di riflettere sull'accaduto. Ma l'unica cosa che aveva in testa era Hillbilly e quel che avevano combinato là sullo spuntone di roccia, oltre al dolce bacio della buonanotte. Ma sarò stupida, le venne poi in mente, a sognare a occhi aperti come una ragazzina quando già mi sospettano d'omicidio, e non solo quello di Jimmie Jo e del suo povero bambino, ma anche quello di Pete. Era convinta che Henry stesse giocando le sue carte su questa mano, vale a dire convincere tutti che era stata lei ad assassinare Jimmie Jo per gelosia e che per lo stesso motivo aveva poi ammazzato pure Pete, spacciandola per legittima difesa. Peggio ancora, sua figlia si era presa una sbandata per l'uomo che lei si
era appena scopata sul sedile anteriore della macchina. Clyde si era piazzato lì davanti, sul furgoncino, come un teen—ager piantato in asso e in attesa del ritorno della sua bella, e la ciliegina sulla torta era stata la scoperta di una sorta di complotto per fregare la terra a Zendo. Insomma, non sapeva cosa fare. E c'era dell'altro. Qualcosa che continuava a trapanarle la mente, in silenzio. Qualcosa che riusciva a captare ma non sapeva identificare. Decise di farsi un caffè, ma non le parve una buona idea. Non a quell'ora tarda, poi non aveva neanche voglia di prepararlo. Pensò allora a un sorso di whisky, magari l'acqua di fuoco di Bull, ma non ne aveva sottomano, e forse era meglio così, perché se ne sarebbe pentita subito. Alla fine andò alla pompa dell'acqua a riempirsi un bicchiere. Ben la seguì, e Sunset riempì d'acqua anche la scodella del cane. Era fredda e dolciastra, e mentre beveva Sunset si mise ad accarezzare la testa di Ben, intento pure lui a dissetarsi. Udì aprirsi la portiera del camioncino. Ne scese Clyde, un po' barcollante. — Salve. — Salve. — Ti stavo aspettando. — Lo vedo. — Hai fatto tardi. — Come fai a saperlo? Dormivi come un sasso. — Sono andato a dormire che era già tardi. Mi ha svegliato la pompa dell'acqua. — Mi spiace. — Nessun problema. — Hai scoperto qualcosa, da Zendo? Clyde andò a prendere le due sedie che stavano fuori della tenda e le portò vicino alla pompa. Si sedettero. — Ho scoperto che nelle terre accanto a quella di Zendo c'è il petrolio. — Allora le cose cominciano a combaciare, — disse Sunset. — Forse tu sai qualche particolare che io non so. L'unica cosa a combaciarmi sono le natiche, dalla sudata che ho fatto oggi. — Niente mi fa impazzire più del tuo culo appiccicoso, — disse Sunset, — ma forse dovresti dirmi cos'hai scoperto. — Su quelle terre c'è una casetta. Disabitata, al momento, ma sono entrato e ho trovato un vestito che avevo visto addosso a Jimmie Jo. Uno di quei vestiti che li vedi una volta e non te li scordi più.
— Non me lo far tornare in mente. — Non lontano dalla casa c'è un grosso affioramento di petrolio, e l'erba attorno è tutta morta. È finito anche in un laghetto nelle vicinanze. Secondo me quel posto vale una fortuna. — Possiamo supporre che si tratti del petrolio in cui era immerso il cadavere di Jimmie Jo? — disse Sunset. — Tornerebbe. Qualcuno le ha sparato poi l'ha infilata nel petrolio a mo' di messaggio. Lei e il bambino. — Credo che Pete e Jimmie Jo avessero scoperto la faccenda del petrolio e stessero cercando di fare un colpo gobbo. — Cosa te lo fa pensare? — Le mappe. Hillbilly e io abbiamo scoperto qualche altra cosetta, in tribunale. Vieni dentro. Sotto la tenda, al tavolo e alla luce della lampada, Clyde osservò il contenuto della scatola: le mappe originali e quelle che aveva rubato Sunset. — Quindi ci sono dei bianchi che stanno cercando di portar via la terra a Zendo perché contiene petrolio. — Già. E visto che lui è di colore, è un gioco da ragazzi. — Forse è stato proprio Zendo, a vendergli la terra. — Non credo. Ma certo non andrò io a chiederglielo. Per il momento, meno ne sa e meglio è. — Perché non hanno ancora iniziato a trivellare? — Solo questione di tempo, credo. Un po' ci vuole, per organizzare tutto quanto. Forse stanno cercando capitali. Clyde ci pensò su. — Forse. Io li conosco, i nomi su quei documenti, escluso McBride. Tu sai chi è? Sunset scosse il capo. Clyde scivolò sulla sedia. — Una serata tutta lavoro, questa, Sunset? — No. Clyde annuì. — Sei andata al Festival? — Già. — Con Hillbilly? — Già. — Ti piace? — Già. — C'è stato altro, a parte il Festival? — Non sono fatti tuoi. Dovresti vergognarti, a chiedere queste cose a una signora.
— Karen è da Marilyn, o sbaglio? — Già. — Non te lo sei portato a casa, quindi vuol dire che non è andata tanto bene. — È andata come doveva andare, — disse Sunset. — E comunque non sono affari che ti riguardano. — Sembri a un palmo da terra. — Non credo proprio. — È un modo di dire. Come essere su una nuvola, sai? — Non allargarti troppo, Clyde. Adesso io me ne vado a letto, e tu vattene pure all'inferno. — Ti va bene se evito l'inferno e dormo sul camioncino? A casa mia, non è che la situazione sia il massimo. Una cerata e un mucchio di zanzare. — Anche qui ci sono le zanzare. — Non mi hanno mai morso, stasera. — Accomodati pure, Clyde. — Buonanotte, Sunset. — Buonanotte, Clyde. E te lo ripeto ancora una volta, non sono fatti tuoi. Quando Karen si svegliò, l'indomani mattina, per un istante non si rese conto di dove si trovasse. Poi si rammentò di essere a letto, nella camera degli ospiti di sua nonna. Nell'attimo del risveglio, le tornò alla mente il film che aveva visto il giorno prima a Holiday, assieme a Marìlyn: un ricordo piacevole, perché si era divertita (era il suo primo film), ma che non poté assaporare a lungo. Si mise seduta quasi di scatto, gettò le gambe di lato e, con le sole mutandine addosso, attraversò di corsa la casa, scendendo i gradini appena in tempo per vomitare sul terreno. I conati sembravano non finire mai, tanto che a un certo punto Karen si chiese se le sarebbe uscito anche lo stomaco, dalla bocca. Finalmente, il vomito cessò. Si sedette sui gradini della veranda, sfinita. In bocca le sembrava di avere dei calzini ammuffiti e fradici di piscio, tenuti fermi da un bastone pieno di merda. Il tremendo tanfo della segheria non migliorava certo le cose, e il colore del cielo, un po' giallo e un po' verde, era identico a quello del suo vomito fumante che penetrava nel terreno. Pensò di essersi beccata un raffreddore, o un'influenza, ma non si trattava di un malessere continuo. Soltanto la mattina. Nauseabondo. Come le
bollissero le viscere nella cucina dell'inferno. Poi finiva sempre per esplodere, per liberarsi. Di solito, dopo essersi sdraiata per cinque o dieci minuti, si sentiva come nuova. Andava avanti da parecchi giorni. Dapprima Karen aveva perso l'appetito, per poi divenire vorace come un luccio. Si era ritrovata a sognare cotenne di maiale fritte e speziate, un piatto che non mangiava da quando era bambina. Senape compresa. Di cotenne non ne aveva trovate, ma la sera prima si era giusto sparata un sandwich, due belle fette di pane spalmate di senape, e quando l'aveva finito se n'era preparato un altro, e anche adesso, dopo aver vomitato e con l'odore di mostarda che saliva dal suo stesso vomito, ne avrebbe mangiato un terzo. Si tenne la testa tra le mani fin quando non le ebbe smesso di girare, e stava per tirarsi su e rientrare in casa quando Marilyn uscì in veranda e si sedette al suo fianco. — Stai bene? — Sì. — Che c'è che non va? — Ho vomitato. — L'ho sentito. — Non volevo svegliarti. — Ragazza mia, sono in piedi da ore. Me ne stavo in cucina. Forse dovresti prendere un ricostituente. — Adesso va meglio. — Ti ha fatto male qualcosa? — Può essere... non lo so... Nonna... si può restare incinta... anche la prima volta? Pensavo che la prima volta non si poteva. — Dio santo. Non avrai... Karen si voltò a guardare Marilyn. Sembrava che l'avessero prosciugata con una cannuccia. — Sì. — Hillbilly? Karen annuì. — Come fai a saperlo? — L'immacolata concezione mi pareva fuori gioco. Quante altre mattine sei stata poco bene, oltre a questa? — Due, tre con oggi. Mamma neanche se n'è accorta. — Ha altro per la testa, in questi giorni. E tu non le hai detto niente? Karen scosse il capo. — Sono una poco di buono. — No, sei solo una ragazzina. È lui che è un adulto. Sapeva come fare, con te. Certuni non hanno altro interesse che il loro esclusivo piacere.
— È piaciuto anche a me. — Be', almeno hai avuto questa fortuna. Non è sempre così. — Lo amo così tanto. — Tu ami l'idea dell'amore, bambina, non lui. Quello crede di essere un play-boy. L'ho capito subito, appena l'ho visto. Meno male, perché io non sono così brava a scegliere gli uomini, e anche se Pete era mio figlio e tuo padre, non mi sembra che anche Sunset sia così abile. Né prima, né adesso. — Cosa faccio ora? Non posso dirlo a mamma. — Dovrai dirglielo per forza. — Poi? — Avere ìl bambino, o chiedere a Aunt Cary di pensarci lei. — Pensarci lei? — Liberartene prima della nascita. — Non posso fare una cosa simile. — Allora dovrai tenerlo. E crescerlo. — Niente sarà mai più lo stesso. — No. Ma sono cambiamenti cui si sopravvive. Ce l'abbiamo fatta tua madre e io, a uscire dai casini, figurati se non puoi farcela tu. E possiamo sempre darti una mano. — Ho fatto una brutta cosa. — Anch'io ne ho fatte un paio, ai miei tempi, tesoro. Di certe cose non voglio neanche parlare. Capita che ti prende come una febbre, succedono e basta. Di tutti i tipi, beninteso, poi ti tocca vivere col rimpianto. Con alcune, poi, è più facile vivere. — Quel che posso dire a te non posso dirlo a mamma. — A questo servono le nonne, bambina mia. Che diamine, non te la sei cavata male. Hai solo seguito la strada che tutti noi animali vogliamo seguire. Alla tua età le ragazze vanno in calore, non ci vuole tanto a convincerle. Non siamo come i cani, noi in calore ci restiamo per sempre, e da giovani è ancora peggio. Se ti capita un tipo carino come Hillbilly che sa dirti le parole giuste, la frittata è fatta. Amare non è sbagliato, ragazza, ma quel che conta è la persona che ami e cosa vuole da te. — Mi ha detto che ero carina. — Non mentiva. Hai i colori di tuo padre e la struttura di tua madre. E ti ha detto che ti avrebbe sposato? — No. Ci ho pensato e ripensato, ma non mi ha fatto alcuna promessa. Mi ha solo detto un sacco di belle cose, e mi ha toccato, e quando l'ha fatto ho capito che dovevo averlo.
— Come se tu avessi il bisogno di farti bruciare da lui. — Proprio così. E tu come lo sai? Marilyn rise. — Sono stata giovane anch'io. Queste vampate non mi prendono più da un pezzo, ma so cosa si prova. Sono sensazioni che non si dimenticano. — Nonna, mi sembra che mi abbiano sbattuta in un sacco e gettata via. Marilyn prese Karen tra le braccia e la strinse. — Calmati, adesso. Tutto si sistemerà. — Lo dirai a mamma? A lei piace Hillbilly, sai. Ho sentito Willie dire che l'aveva baciato. — Lo so che le piace. E non piace a me, questa cosa. Sei tu che devi dirlo, a tua madre. — Non so come fare. — Ti aiuterò io. La stessa mattina Sunset prese la macchina e andò a cercare Hillbilly, ma la capanna di rami, foglie e vecchie camicie che si era costruito era sparita, e così lui. Sembrava che l'avesse portato via il vento. Sunset scese dall'auto e scoprì il punto in cui Hillbilly aveva trascinato il suo riparo, per distruggerlo e gettare i resti nel bosco. Il tutto aveva un carattere furibondo e definitivo. Sunset si diresse verso casa. Trovò Clyde e Ben davanti alla tenda. Clyde aveva preparato il caffè e lo beveva seduto accanto alla pompa dell'acqua. Ben gli stava accanto, col braccio dell'uomo a cingergli il collo. Alla vista di Sunset, Clyde entrò nella tenda e tornò con una tazza anche per lei. Sedettero entrambi, e Sunset sorseggiò il caffè. — Sai se Hillbilly viene al lavoro, oggi? — le chiese Clyde dopo un po'. — Non ne ho idea. — Non c'era più, vero? — No. — Forse è andato in cerca di un posto migliore. — Non lo pensi davvero. — No. — Speri che se ne sia andato, no? — Sì. E no. — Che vuoi dire? — Spero che se ne sia andato, sì. Ma non voglio che ti racconti balle e ti
renda triste. Senza guardarlo, Sunset gli posò la mano sul braccio. Clyde deglutì. Riuscì a mantenersi calmo, così da avvertire il calore e il peso della mano attraverso la manica della camicia. Respirò a fondo. Sunset aveva addosso qualche goccia di profumo, quanto bastava per rendere dolce l'aria circostante. Non era poi molto, quella mano sul suo braccio, ma era pur sempre qualcosa, un primo assaggio. Si sentiva come un maiale cieco che trova una ghianda: certo non sufficiente a saziarlo, ma buona a stuzzicargli l'appetito. 27. Dopo l'incontro con McBride, Rooster tornò nel suo ufficio, in preda al tremito e con la mano dolorante. Non era rotta, ma gli doleva. La stretta di McBride gli aveva solo spostato qualche osso, che ora stava tornando al suo posto. Rooster ripensò a quel che gli era toccato fare a McBride, e ne provò disgusto. Si sentiva un verme. McBride non aveva certo bisogno di umiliarlo. Era soltanto una maniera per dimostrargli quanto potere avesse su di lui, quel lurido di figlio di troia col parrucchino. Prese una bacinella e la riempì d'acqua, poi si lavò le labbra con un grosso pezzo di sapone, sfregandosele fino a farsi male, con la schiuma che gli entrava in bocca e quasi lo soffocava. Meglio il sapone, comunque, che l'uccello di McBride. Poi si tolse il cappello e ficcò il viso nell'acqua, tenendolo immerso fin quando non gli mancò il respiro. Riemerse con un grugnito e afferrò un asciugamano, ma non si sentiva più pulito. Uscì dall'ufficio e si piazzò sui gradini. Guardò su per la strada, si mise a fissare l'appartamento dipinto di rosso sopra l'emporio. Avrebbe dovuto prendere la doppietta e tornare da McBride. Cacciargli la canna in bocca, ecco cosa, e fargliela succhiare. Avrebbe dovuto staccarglielo a morsi, l'uccello, a quel figlio di puttana, strapparglielo alla radice. Che razza di codardo era stato, a comportarsi in quel modo. Avrebbe dovuto farsi rompere la mano, prima di baciargli l'uccello. Si cullò ancora con l'idea della doppietta, ma sapeva che non ne avrebbe fatto niente. Il rischio era di vedersela infilare nel culo, con McBride che manovrava la pompa e premeva il grilletto fino a restare senza cartucce.
Era facile fare il duro là fuori al sole, sui gradini dell'ufficio, ma lassù, in quella stanza soffocante e semioscura, piena di ombre, e con McBride con tanto di orrido parrucchino, be', era un'altra faccenda. Poi c'era anche lo Scarrafone. Forse era il caso di prendere uno dei sigari dello sceriffo Knowles dal cassetto della scrivania e farsi una fumatina, così, quasi a purificarsi, a ripulirsi la bocca col tabacco. Ma più pensava agli enormi zampironi che lo sceriffo Knowles amava mettersi tra le labbra, meno gli piaceva l'idea. Fece il giro dell'edificio e andò a dare un'occhiata agli uomini di colore, ancora in catene, che se la dormivano della grossa, così come Plug e Tootie. L'umidità della notte aveva coperto tutti: il cappello di Plug era fradicio, e anche i suoi calzoni, in particolare alle ginocchia. Rooster era talmente incazzato che ebbe l'istinto di sbatterli dentro, quei due, per essersi addormentati in servizio, poi cambiò idea. Non li voleva tra i piedi. Per placare la rabbia, schiacciò un paio di cavallette sul muro col palmo della mano e si ripulì sul bordo dei mattoni. Tornò sul davanti e si piazzò di nuovo sui gradini. Si stava tergendo la bocca col dorso dell'altra mano, quando dal fondo della strada vide arrivare una macchina azzurra che girò attorno alla cicciona priva di sensi e si fermò senza spegnere il motore. La portiera del passeggero si aprì e ne scese Hillbilly. Portava sulla spalla una coperta annodata ai quattro capi, a mo' di sacco. Rooster allungò il collo per scorgere il conducente. Qualcuno che aveva già visto in città, ma non ne conosceva il nome. La macchina riprese la sua corsa in direzione del tribunale. Hillbilly restò per un minuto a scrutare la cicciona che giaceva in mezzo alla strada, meticoloso come un biologo marino mentre esamina una balena arenata su una spiaggia, poi si avviò verso Rooster, che lo salutò con un cenno del capo. — Sbaglio, o faceva il vice? — A volte, — rispose Hillbilly. — Oggi non ne avevo voglia. E non so se mi tornerà. Faccio il cantante e il chitarrista, in realtà. La scorsa notte mi è capitato di cantare di nuovo, e mi sono reso conto che è quella la mia strada. Ho riscosso qualche soldo, e sono venuto a comprare una chitarra. Sa di qualcuno che ne vende? Rooster scosse il capo. — Ha la bocca tutta rossa. Problemi di orticaria? — No. Però so una cosa. Quella tipa, Sunset, quella che secondo me le piace... Le piace, sì o no?
— Senza dubbio, e in modi ben precisi, — rispose Hillbilly. — È in un mucchio di guai, amico. Forse lei potrebbe darle una mano. Lo stesso Rooster fu sorpreso di quanto aveva appena detto. Le parole gli erano saltate fuori come ranocchie. — Io cerco di farmi i fatti miei, — disse Hillbilly. Rooster lo guardò stranito. — Ma se lavora per la legge... — Non sono sicuro di volerci lavorare più. Non mi sono mai sentito a mio agio. È lei lo sceriffo qui, o sbaglio? Se questa è una faccenda che riguarda la legge, la legge è proprio lei. Io mi sono dimesso. — Mi piace, quella rossa, — disse Rooster. — E che cazzo, piace a tutti, — disse Hillbilly. — Non intendevo questo. È un tipo coraggioso. Molto più di me. E ne avrà bisogno, di coraggio. — Vale a dire? — McBride. — John McBride? — Lo conosce? — Ho letto il suo nome su un documento in tribunale. Rooster annuì. La cicciona si mosse e fece per alzarsi. Riuscì a rotolare su se stessa e a far leva su un ginocchio. — Secondo me lei è uno che sa studiare le sue mosse, — disse Rooster. — Sunset, invece, non mi pare il tipo. — Che significa, che so studiare le mie mosse? Dove vuole arrivare, Rooster? — A dirle come potrebbe aiutare Sunset e allo stesso tempo mettersi in tasca qualche soldo facile. — E questi soldi facili, da dove vengono? — Da me. — Sa che c'è, amico? Ho di meglio da fare, che giocare agli indovinelli. — Henry Shelby, quello della segheria di Camp Rapture... — So chi è. — ...ha avuto un'idea. Era andato a caccia sulle terre di proprietà di un certo Zendo, uno di colore, e ha trovato il petrolio. Zendo neanche lo sa, che quelle terre sono sue. E pure se lo sapeva, Shelby ha sistemato ogni cosa. Il giorno dopo, infatti, Shelby è andato da Zendo a chiedergli se era disposto a vendergli quelle terre per la segheria, e Zendo gli ha risposto di no, che non le vendeva. Shelby gli ha chiesto quanto fosse grande la sua proprietà, ma Zendo lo ignorava, aveva comprato soltanto una serie di lot-
ti. La gente di colore non fa troppe domande, da queste parti, pure se li fanno pagare il doppio. Uno come Zendo, poi, è contento di ciò che ha, e magari finisce che nelle sue terre c'è nascosto un tesoro e lui non ne sa niente. Del petrolio, ovvio, lui era all'oscuro, anche perché una cosa del genere poteva fargli cambiare idea. Il Catasto non si era neppure degnato di fare i rilievi, sulle terre che Zendo aveva comprato. Erano soltanto state segnate sulle mappe, e per capirci qualcosa bisogna studiarle con attenzione, quelle mappe. In più, Zendo è come tanta gente di colore di qui, non sa leggere. Così Henry Shelby gli dice che pagherà lui per i rilievi catastali e fargli capire con esattezza cosa è suo e cosa no. Visto che Zendo la terra non gliela vende, Shelby gli dice che comprerà i terreni adiacenti. Per Zendo un rilievo catastale gratis non è un problema, poi così può sapere esattamente qual è la sua proprietà. — E i terreni sono stati suddivisi in tutt'altra maniera rispetto a prima, — disse Hillbilly. — Fin qui c'eravamo arrivati anche noi. Guardarono la cicciona arrivare barcollando. A Rooster pareva una delle donne di Dodge Street. Tanto più che puntava proprio in quella direzione. Quando fu passata loro davanti e fu a distanza di sicurezza, Rooster riprese. — Hanno assegnato a Zendo una parte ben più vasta di quella che credeva lui, per dargli un contentino. Ma si sono tenuti la zona col petrolio, che è bella estesa. Perché la cosa funzionasse, Shelby ha dovuto tirare dentro il sindaco. Lo conosceva bene, sa? — Ho sentito dire che è sparito, o roba simile, — disse Hillbilly. — Roba simile, appunto. Il sindaco e Henry erano compagni di poker e di puttane. Così Shelby gli racconta l'intera storia: ha bisogno che il sindaco esegua qualche giochetto di prestigio con gli incartamenti in tribunale, li faccia diventare ufficiali. Quindi lo tira dentro, come le ho detto. Poi salta fuori questo McBride, e il sindaco sparisce da un giorno all'altro. Henry non doveva poi essere questo grande amicone del sindaco, a ben guardare. — Non è rischioso, per lei, sapere tutte queste cose? — Avevano bisogno di me, perciò mi hanno coinvolto. Non è che lo dividano con me, il petrolio, mi pagano e basta. McBride, per lo più, ma so che i soldi vengono da Henry. Ormai ci sono dentro fino al collo. E ho paura. Non voglio combinare malefatte, mentre mi sto convincendo che invece è proprio la loro intenzione. Qualcosa di veramente tosto. E che accadrà presto. — Se sta cercando di tenere segrete le mappe, farebbe meglio a metterle
sotto sorveglianza, in tribunale, — disse Hillbilly. — Per fare il ladro, o dare una mano ai ladri, bisogna essere più svegli. — Non pensavano certo che qualcuno andasse a metterci il naso, con Pete morto eccetera. E se anche qualcuno dava un'occhiata alle mappe, cosa cambiava? Gli originali erano spariti. Invece li trova Sunset. Avrei dovuto chiederle di darmeli, e sono certo che l'avrebbe fatto, senza problema. — E perché non gliel'ha chiesto? Rooster scosse il capo. — Faccio sempre scelte balorde. E adesso mi tocca recuperare le mappe. Per il bene di Sunset. E mio. Pensavo che forse lei sarebbe disposto a darmi una mano. Le toccherebbero un centinaio di dollarì. — Un sacco di soldi. Rooster annuì. — Lei non mi ha ancora detto tutto, Rooster, — disse Hillbilly. — L'unica cosa che deve sapere è questa: recuperi le mappe e a Sunset non succederà niente. C'è qualcuno che non ci metterebbe neanche cinque minuti a fare del male alla sua amichetta, per quelle mappe. — McBride? — Già. E nemmeno in prima persona. C'è chi le sbriga per lui, simili faccende. — Fate rifare le mappe. — Se poi quelle vecchie saltano fuori, è un bel casino. — Sa che le dico? — fece Hillbilly. — Un centone non suona male, ma la storia di lei che ha paura e del sindaco che sparisce, non mi fa un bell'effetto. La cosa migliore è scordarci questa conversazione. Io me ne starò alla larga da Sunset. E stato bello, finché è durato, ma adesso basta. Passo ad altro. — È molto più sveglio di quanto pensavo. — Sono molto sveglio, se si tratta di pararmi il culo. — E Sunset? — Non ho niente contro di lei. Può far felice un uomo, ma io non sono uno che si accontenta di avere sempre la stessa donna attorno. Non è così che sono fatto. Ci vuol altro che un centone, per farmi felice. Le mie leggi sono assai particolari, e dicono che non bisogna mai lasciare la strada nuova per la vecchia. Ci vediamo, Rooster. Hillbilly si avviò. Rooster rimase a fissarlo finché un'ombra non arrivò a sorvolare Main Street. Rooster alzò lo sguardo.
Dapprima gli parve uno stormo di uccelli. Ma volavano troppo basso, e udiva il ronzio delle ali. Insetti. Uno sciame enorme. Virò di colpo per fiondarsi verso la sommità dello spuntone di roccia dietro l'appartamento rosso, e scomparire poi all'interno del bosco. Era il giorno dell'assemblea cittadina. Sunset non pensò ad altro per l'intera mattinata. Anche a Hillbilly, per la verità. Aveva mandato Clyde a cercarlo. Non lo faceva impazzire di gioia, ma Sunset non dubitava che le avrebbe obbedito. Sapeva di avere un certo potere su di lui, e non ne andava orgogliosa. Ma non era sufficiente a farle cambiare idea. Nel dirigersi alla macchina, Sunset si accorse che tra gli alberi filtrava molta più luce che in precedenza. Per un istante ne restò sorpresa, poi capì che il caldo degli ultimi giorni stava prosciugando quelle povere piante. I rami già ciondolavano, le foglie avvizzivano, cambiavano colore e cadevano a terra. Le sentiva sbriciolarsi sotto i piedi, come gallette. Pensava ancora all'assemblea quando il camioncino di Marilyn si fermò rombante in cortile. All'interno non c'erano solo Marilyn e Karen, ma una terza persona dal lato del passeggero: un tipo di una certa età e di bell'aspetto. Nel cassone stava un ragazzo. L'uomo scese, ma si tenne nei pressi del camioncino. Indossava una giacca molto lisa. Il ragazzo rimase nel cassone. Karen andò dritta da sua madre e allungò una mano ad accarezzare Ben, seduto al fianco di Sunset come a proteggerla. — Hillbilly è qui? — chiese Karen, la voce rotta. — No, — rispose Sunset. — E dov'è? — Non ho idea. Chi sono quelli? — Non lo so. Siamo passati a prenderli a casa di Uncle Riley. Ho sentito dire che il ragazzo è stato morso da un serpente. Quel tipo continua a fissarmi, mamma. Mi rende nervosa. — Perché se ne stanno in disparte? — Hanno paura di Ben. — Portalo dentro con te. — Devo dirti una cosa, dopo. Posso? — Ma certo. Occupati di Ben. — Andiamo, Ben. Karen e il cane scomparvero sotto la tenda. Marilyn si fermò alla pompa
dell'acqua e ne tirò su una bacinella per sciacquarsi la faccia. Poi guardò Sunset, con l'acqua che le grondava giù dal viso. — Quello è Lee. Il ragazzo si chiama Goose. — Chi sono? — L'uomo è una persona che dovresti conoscere. — Ah, sì? — Lee, — disse Marilyn, — vieni qui. Lee raggiunse le due donne e salutò con un cenno del capo. — Salve, Sunset, — disse. — Ci conosciamo? — disse lei. — No. Ma mi piacerebbe. Sunset cercò con lo sguardo l'aiuto di Marilyn, che invece andò verso la grossa quercia sul margine della strada. Goose raggiunse la baracca che serviva da cesso e scivolò all'interno. — Quindi non ci conosciamo, — disse Sunset. Lee scosse il capo. — No. Ma c'è qualcosa che ci unisce. Sono tuo padre. Sunset e Lee rimasero in silenzio per un pezzo. Infine Sunset, con estrema rapidità, tirò uno schiaffo all'uomo, con tale violenza da farlo cadere su un ginocchio. Lee si alzò lentamente, una mano sul viso arrossato. — Razza di figlio di puttana, — disse Sunset. — Certo che meni, per essere così piccola. — Figlio di puttana. — Senza alcun dubbio, — disse lui. — A mia discolpa, neanche sapevo della tua esistenza. Le teste di Karen e Ben spuntarono dalla tenda. Goose uscì dal cesso appena in tempo per vedere Lee rialzarsi. — Tutto bene? — chiese all'uomo. — Tutto bene, — rispose lui. — Sta' indietro. — Torna dentro, — disse Sunset a Karen. — Ma... — Per una volta, cazzo, per una sola volta, fa' quel che ti dico. Karen scomparve di nuovo, seguita da Ben. — Te la sei spassata con mia madre poi hai tagliato la corda, — disse Sunset. — È andata così, eh? — Sì, — annuì lui. — Sì, è andata proprio così. Ma non sapevo di te, fin quando non me l'ha detto Marilyn. Sunset lanciò un'occhiata alla suocera.
Marilyn, dalla quercia, fece spallucce. — Ti rifai vivo dopo tutti questi anni, e vorresti che me ne importasse qualcosa? — disse Sunset. — No. Capisco benissimo che non te ne importi niente. Ma di te non sapevo nulla, Sunset. Ero giovane. Tua madre era giovane. Abbiamo fatto uno sbaglio. Io l'ho sedotta, e all'epoca ero un uomo di chiesa... all'epoca. Adesso non più. — Cosa vuoi da me? — Qualche minuto. — Non gli devi proprio niente, — disse Marilyn, a distanza di sicurezza, — ma faresti meglio a starlo a sentire. — Tu sei scappato, — disse Sunset, — e mia madre ha fatto altrettanto. Almeno, però, lei mi ha accudito per un po', e mi ha lasciato un bel paio di scarpe. Le ho consumate da un pezzo, devo dire. E adesso spunti tu. Sono stata picchiata e violentata, ho sparato a mio marito, ho trovato la sua amichetta morta e ho tirato fuori un neonato da una tomba. Ci mancavi solo tu. Che cazzo hai combinato, vecchio, hai sparso una maledizione su tutta la famiglia? — In un certo senso, sì. Per questo sono tornato. Era mia nipote, quella? — Ti riferisci alla ragazza dai capelli neri, immagino, e non al cane. Lee sospirò. — Quando ci vuole, ci vuole. Ma ascolta almeno questo, e soltanto questo. Voglio conoscerti. Neanche ti conosco, e già ti voglio bene. — Stronzate. — Lo so che sembrano tali. — Cazzo vuoi sapere... — E invece sì. Sei carne della mia carne, sangue del mio sangue. Non mi resta altro: tu e Karen, non certo il cane. E ti voglio bene perché sono certo che Dio mi ha fatto tornare qui per riparare alle mie colpe, per rimettere le cose a posto. Per volerti bene senza condizioni. — Gentile da parte tua. E se Dio è così furbo, perché ti ha fatto scappare, la prima volta? Rispondi. — Sono scappato da solo, non è stato nostro Signore. — Be', sappi che non mi state simpatici nessuno dei due. — Sunset, — disse Marilyn. — Da giovani, siamo stupidi. Dovremmo saperne qualcosa, tu e io. Noi siamo state stupide a scegliere certi uomini. E anche in altri campi. — Già mi è bastato un uomo, a fregarmi, e non voglio farmi fregare da
un altro. Anche se è mio padre. — A farsi fregare, non ci vuole nulla, — disse Marilyn. — Chiunque può fregare qualcun altro, e per qualunque motivo. Sunset scrutò Marilyn, e Marilyn filò via. Sunset tornò a rivolgersi a Lee. — Cazzo, abbiamo gli stessi occhi, — disse. — Già, — fece lui. — E gli stessi capelli. Ma tu somigli a tua madre. — Non sono una sbevazzona come lei. — Non lo era, quando l'ho conosciuta. Era giovane, come me, candida e piena di speranze. Forse sono stato io a gettare acqua sul fuoco. — I ragazzi si facevano beffe dei miei capelli, da giovane. Meglio morti che rossi, roba simile. E non sono andata neanche più di tanto, a scuola. In pochi mi hanno veramente dato una mano. — Il risultato mi sembra ottimo, però. Sei la legge, qui. Hai pure una pistola. — Non mi hanno eletto. Non proprio. — Quante altre donne conosci, che fanno quel che fai tu? — Nessuna, direi. Come hai detto che ti chiamì? — Lee. Di cognome Beck, proprio come te. Ma vorrei che tu mi chiamassi papà. Lee e Sunset andarono a fare un giro in macchina. Fu lui a suggerire la strada, mentre Sunset si era messa al volante, cercando di decidere il suo stato d'animo attuale e prossimo. Fermò la macchina dove le aveva indicato Lee, nei pressi del torrente, dietro la segheria di Camp Rapture. Scesero e si incamminarono senza una meta precisa, prima da una parte poi dall'altra, per poi raggiungere un punto sulla riva del fiume. — Non era così secco, un tempo. C'era una sorta di isoletta, lì nel mezzo, con qualche alberello. Era molto intimo, là sotto, circondato com'era da cespugli ed erba alta. Però era anche pieno di cimici rosse, a migliaia. — È stato l'uragano, pochi giorni fa, a portare via tutto. Me la ricordo bene, quella tempesta, per la miseria. E allora che ho sparato a mio marito. E il posto di cui parli lo conoscevo benissimo. Ci venivo a giocare. Lui le sorrise. — Davvero? — Già. — Sei stata concepita qui, Sunset. Be', quasi. Su quel pezzetto di terra che è stato spazzato via. — Tu e mamma... qui?
Lee annuì. — Potrà sembrarti poco romantico, ma per noi lo era. Ci venivamo spesso, e una volta abbiamo fatto ben di più che tenerci per mano. Solo quella volta. Non ho mai saputo cos'era successo dopo. Venivamo a sdraiarci qui, con l'acqua che scorreva sotto di noi, a farci delle belle dormite in pieno giorno, e sapevamo che non ci avrebbe cercato nessuno. Sai, tua madre era proprio come te, non aveva una famiglia. — Si vede che a quei tempi se la passava bene. È dopo, che ha cominciato a bere. — Facciamo due passi. Sunset e Lee s'incamminarono lungo il torrente. — È troppo tardi per cercarla, — disse lui. — Lo so. Ma ho trovato una figlia, e potrebbe bastare. Una figlia e una nipote. Che possa bastare, dipende solo da te. — E quel ragazzo? È figlio tuo? — No. L'ho incontrato per la strada. È stato morso da un serpente e tua suocera ci ha portato a casa di Uncle Riley. È stata sua moglie a salvarlo. Si è rimesso abbastanza bene. — Dice Karen che non fa altro che fissarla. — Karen è carina. E Goose, be', Goose è un po' troppo avanti per la sua età. O almeno gli piacerebbe. Comunque non è un grosso problema. Si erano seduti sulla riva del torrente, i piedi penzoloni. Lee si lasciò andare all'indietro, guardò il cielo, poi gli alberi, come volesse assorbire ogni cosa attraverso la pelle. — E Marilyn? Le piaci? — chiese Sunset. — Non nel senso che credi tu. Magari potrebbe anche funzionare, a volerlo entrambi. Non saprei. Sembra una brava donna. Ma in quel sorriso c'è un fantasma. — Che vuol dire? — Che anche lei ha le sue pene. — Immagino di sì, — disse Sunset. — Io credo in Dio, — disse Lee, con un sorriso sul volto. — Ma non nel Dio di cui parlavi tu prima, quello di cui non ti puoi fidare. E non so se è di genere maschile. Non so se è qualcosa di preciso. Non lo so più. Non credo che Dio abbia a che fare con la fiducia, o con la mancanza di fiducia. Non c'entrano le nostre preghiere o i desideri. Dio esiste e basta. L'ho capito in questo istante, seduto qui sulla riva a guardare la natura, il cielo così azzurro e gli alberi così verdi. — A me sembrano marroni. — Giusto. Hai ragione. Sono secchi. Ma hai capito il punto?
— No. — Il modo in cui mi hanno sempre insegnato a credere era allo stesso tempo troppo semplice e troppo complicato. Adesso lo so. Ho avuto come un lampo di luce, una sorta di illuminazione. Sotto le nostre fasulle costruzioni mentali c'è un senso. Un collegamento. Le cose più disparate finiscono per tornare assieme come le tessere di un puzzle. Noi ora ce ne stiamo qui, seduti al sole lungo il torrente, con gli insetti che ronzano, l'acqua che ci scorre sotto i piedi, il cielo azzurro e gli alberi... marroni, sì, e se restiamo immobili possiamo sentire la Terra girare. La Terra e noi, e tutti gli altri esseri viventi su questa grossa palla che ruota e che ci tiene uniti, cose diverse e pensieri diversi e scopi diversi, tutti a girare e girare sempre più, e siamo una cosa sola. — Già, — disse Sunset. — Io, la Terra e gli altri. Eccetto le teste di cazzo che non mi possono vedere e vorrebbero che marcissi in galera per aver ucciso Pete, lui che stava davvero cercando di ammazzarmi. Le teste di cazzo che dicono che prima ho ucciso una puttana di nome Jimmie Jo, poi il figlio che aveva in grembo. Certo che siamo una cosa sola, loro e io, su questa grossa palla che gira. Una cosa sola con tutti, eccetto le teste di cazzo che odiano la gente di colore e la linciano, anche quando le è stato assicurato un giusto processo. Una cosa sola con tutti, eccetto mia figlia, che non so mai come prendere. Eccetto quest'uomo che credevo di amare, e che se la deve essere data a gambe proprio come tu hai fatto con mia madre. Sì, è così, la Terra, l'universo e io siamo una cosa sola. — Ok. Allora escludiamo tutta questa gente da ciò che mi è stato appena rivelato. — Sembri convinto, di quel che dici. — Lo sono. — Non è che stai provando a fregarmi? — disse Sunset. — Già l'hai fatto con mamma. Vuoi farlo anche con me? — Sono finiti, quei tempi. — Proprio come direbbe un vero imbroglione. — Giusto. — Sono già stata fregata da un uomo, forse perfino da due, e non voglio farmi fregare pure da mio padre. Mi basterebbe una sola preoccupazione in più e un amico in meno, e potrei offrirmi per la parte di Giobbe. — Puoi contare su di me. Te lo prometto. Non andrò più via. Resterò qui, ho deciso. Devo conoscerti meglio, e anche Karen. Se me lo permetterai. Forse non dovrei essere io a rivelartelo, Sunset, e non dovrei averlo sa-
puto prima di te, ma è stata Marilyn a dirmelo. Non so perché, ma così è stato. — Dirti cosa? — Che Karen è incinta. — Oddio. E quando è successo? — C'è di peggio. — Come fa a esserci di peggio? — Dice Marilyn che il padre è qualcuno che conosci bene. Non un ragazzo della zona, ma un adulto. Lo stesso che può averti fregato, forse, e dev'essere andata proprio così. — Hillbilly? — Lui. Sunset fissò Lee per vedere se mentisse. Lui le sorrise. Un leggero sorriso, un sorriso che diceva «Sono tuo amico, non prendermi a schiaffi». — Va bene, — disse Sunset. — Il peggio è passato. — Ce la farai. — Non ne sono sicura. — Pare tragica, la faccenda, ma te la caverai. E non darti pensiero per questo Hillbilly. Non ne vale la pena. Ci occuperemo benissimo di Karen e del bambino. Vedrai. Sunset scosse il capo. — Ti stai facendo carico di un sacco di problemi. Mi conosci neanche da un'ora. — Ogni minuto che passa sembra esserci un problema in più. — Verità sacrosanta. — Sono in debito con te per tutte le ore che non ti ho dedicato, Sunset. E che non lo sapevo. Adesso lo so. Mi lascerai rimediare? Fare il padre? — È troppo presto per un abbraccio? — Forse. Ma possiamo provare. Si abbracciarono. Sunset pensò che sarebbe stato un semplice gesto di cortesia, un poco più che sfiorarsi. Ma gli si ritrovò stretta al collo, poi scoppiò in lacrime, e lui le batté sulla schiena dicendo: — Tranquilla, bambina mia, va tutto bene. C'è qui tuo padre. Sunset si lasciò scappare un solo lamento, come quello di un coyote ferito, forte a sufficienza da spaventare gli uccelli e farli levare in volo. 28. Clyde batté le strade di Holiday fin quando non vide Hillbilly dietro la
vetrata della tavola calda. Parcheggiò ed entrò nel locale. Hillbilly sedeva da solo a un tavolo e beveva caffè. Accanto al gomito aveva un piattino con una forchetta e briciole di torta. Clyde gli si parò davanti. Hillbilly alzò lo sguardo. — Clyde, — disse. — Figlio di puttana. — E che cazzo, amico. Siamo in un locale pubblico. — Allora andiamo fuori, usignolo, così sistemiamo la faccenda. — Anche la strada è un luogo pubblico, deficiente. — Vero. Be', almeno non facciamo fuori la mobilia. Hillbilly sospirò. — Che ti prende? Clyde si guardò attorno. Gli altri avventori avevano già cominciato a fissarli. Si sedette al tavolo e vi piantò i gomiti, sporgendosi in avanti. — Sunset non mi ha detto niente, mi ha soltanto mandato a cercarti, ma io lo so cos'è successo. — Vale a dire? — L'hai presa in giro, l'hai riempita di stronz... — Non è il mio modo di fare. — Non con la bocca, certo, ma con gli occhi, con tutto il resto. Sei riuscito a prenderla perché lei si è illusa di essere innamorata di te, e probabilmente hai fatto la stessa cosa con sua figlia. E adesso sei sparito. Che ci fai qui in città, Hillbilly? — Ho lasciato il lavoro. — Perché hai avuto quel che volevi. — Lo stipendio, Clyde. Ho riscosso lo stipendio. Adesso posso comprarmi una chitarra. — E hai avuto anche loro. Tutte e due, Sunset e Karen. — Non te l'ha detta lei, questa cosa, ci scommetto. Allora come la sai? — Lo capisco da come si comporta. — Tu sei solo geloso. — Hai ragione. Neanche le hai detto che te ne andavi. Come maì? — Avevo intenzione di mandarle due righe. Forse pure di passare di persona. Guarda, adesso ho un posto dove stare —. Hillbilly gli recitò l'indirizzo. — Vieni a trovarmi, quando ti sei calmato. — Schifosa testa di cazzo. A venderti al prezzo che pensi di valere tu, si diventerebbe ricchi. — Io non ho raccontato balle a nessuno. Ho avuto quel che volevo, ma lo stesso vale per loro.
— Sunset pensava che tu valessi molto più delle apparenze. Karen è soltanto una ragazzina. — Lo sai come si dice, Clyde, no? Basta che respirino. — Vieni fuori. Forza. Vieni fuori. — Sei grosso il doppio di me. — Difatti ho intenzione di darti una doppia razione di botte. Hillbilly sospirò. Finì di bere il caffè, si alzò, si tolse qualche spicciolo di tasca e lo gettò sul tavolo. Uscirono. — Non voglio fare una piazzata, — disse Hillbilly. — Andiamo sul retro. — Non vuoi farti vedere, capisco. Ti piace di più raccontare balle e fare le tue porcherie di nascosto. Andarono sul retro del locale. — Preferisci buscarne un po' per volta, o tutte assieme? — Fai tu. Per me è lo stesso. Clyde gli saltò addosso, con una sorta di ruggito. Si sentiva un'autentica belva, un leone rabbioso, ma Hillbilly era sparito all'improvviso, come se il terreno si fosse aperto in due e avesse inghiottito quel figlio di puttana. D'un tratto, Clyde si ritrovò a mulinare cazzotti al vento, e fu come se una gigantesca mazza piombasse giù dal cielo per colpirlo alle costole. Quando si accorse che Hillbilly si era soltanto scansato per rifilargli un gancio sinistro era ormai troppo tardi, perché al cazzotto aveva già fatto seguito un calcio nelle palle. Fu costretto a piegarsi in due, e Hillbilly saltò a mezz'aria piantandogli una gomitata sulla nuca, sufficiente a fargli vedere le stelle. Si ritrovò a faccia in terra, con Hillbilly che lo prendeva a calci, nell'occhio, nelle costole, nel braccio, poi quel piccolo figlio di troia lo afferrò per i capelli e gli tirò il capo all'indietro, e Clyde sentì una lama gelida sulla gola. — Scegli. O ti taglio la gola prima ancora che tu riesca ad aprire bocca, oppure la bocca la apri davvero e la metti su quella pietra là davanti. Scegli. — Razza di... Hillbilly affondò la lama. Non molto, ma un po'. Dapprima Clyde sentì una leggera pressione, poi una puntura e una sostanza bagnata che gli colava sul torace e dentro la camicia. — La prossima volta vado fino in fondo. Pochi discorsi. Basta. Scegli. O la gola o quel sasso. Allora? Rispondi. — Sasso.
— Apri la bocca e mettila là sopra. Clyde obbedì. Sapeva di terra, e aveva anche una sorta di retrogusto come di rame. Il coltello scomparve, e con tutta la forza che aveva in corpo Hillbilly calò il piede sulla nuca di Clyde, i cui denti andarono a conficcarsi nella pietra. Poi un altro calcio, su un lato della testa, e un altro ancora. Calò il sipario. Quando Clyde riprese i sensi, Hillbilly era sparito, così come gli mancava il frammento di un incisivo. Si rialzò per verificare il danno, imprecando. Non si rendeva ancora conto di come avesse fatto a rimediare una simile batosta. Si era illuso di essere un cavaliere in sella al suo destriero, ed ecco che un drago in miniatura gli aveva fatto il culo come niente fosse. Era tutto un livido. Perdeva sangue dalla ferita al collo, oltre che dalla bocca. Raggiunse zoppicando il camioncino e si avviò per tornare da Sunset. Riusciva a malapena a premere la frizione da quanto era indolenzito, e aveva difficoltà a vedere con chiarezza, per via degli occhi annebbiati dalle lacrime. Si sentiva l'idiota più idiota dell'intero universo. Rooster era uscito da Holiday più o meno contemporaneamente all'arrivo di Clyde, con l'intenzione di andare a fare quattro chiacchiere con Sunset e raccontarle un paio di balle, nella speranza di mettere le mani sulle mappe. Ma poco prima di arrivare all'accampamento di Sunset, senza ben sapere cosa stesse facendo, sterzò a sinistra su un vecchio sentiero di caccia. Sobbalzando tra una buca e l'altra fece volar via un piccolo stormo di quaglie, e continuò a guidare fin quando non fu più possibile proseguire. Si ritrovò di fronte a un rado filare di alberi assetati, piazzati su una lunga collina argillosa. Fermò la macchina e guardò nello specchietto. Quella che vide sotto il cappello era una faccia smunta su cui svettava un lungo naso. Un volto da fantasma. Un volto che non gli piaceva neanche un po', primo perché era brutto, e secondo perché gli ricordava una rana. Lanciò un'occhata alla collina e agli alberi. Più che una collina vera e propria, gli sembrava uno di quei monticelli funerari messi su dagli indiani. L'aria era quella. A casa sua, a Mineola, gliene erano capitati diversi, sotto la lama dell'aratro, pieni di vasi e punte di freccia e ossa. Scese dall'auto e vi si appoggiò contro. Rifletteva, ascoltava. In lonta-
nanza udì il fischio solitario di un treno, e si rese conto che quel filare di alberi costeggiava una linea ferroviaria. Si tolse il cinturone e, dal finestrino aperto, lo posò sul sedile. Poi si tolse il distintivo e mise sul sedile anche quello. Iniziò quindi la risalita, raggiunse il filare di alberi, si trovò con i piedi nella ghiaia e vide infine i binari, che mandavano riflessi metallici al sole cocente. Udiva il rombo del treno, ancora distante ma in arrivo. Allungò un piede e lo piazzò sui binari. Sentì le vibrazioni del treno fin dentro la scarpa. Nell'imboccare la curva, avrebbe rallentato. Questo Rooster lo sapeva, perché nei pressi c'era un rifornimento d'acqua, una fermata di servizio. Era lì che gli hobos saltavano a bordo. Si guardò attorno in cerca di qualche vagabondo già appostato, ma non vide nessuno. Rooster strizzò gli occhi fissando in fondo ai binari. Vide il treno arrivare sbuffando, sempre più grande. Si nascose tra gli alberi, e quando il treno iniziò ad affrontare la curva, rallentando fin quasi a passo d'uomo, cominciò a correre. Una coppia di colombe si levò in volo dai cespugli, spaventata dal rumore, e schizzò veloce verso il cielo, spaventando a sua volta Rooster, che continuò la sua corsa e riuscì a saltare sul treno con un solo balzo, muovendosi piano tra i vagoni merci e tenendosi in equilibrio precario sul gancio di collegamento. La sua idea era di scivolare giù alla fermata di servizio, quella per il rifornimento d'acqua, trovare una carrozza aperta o forzarne una, così da poter viaggiare al coperto, mettersi comodo e togliersi una volta per tutte da quella vita. Continuare a scappare, insomma, fin quando non avesse deciso di fermarsi. Senza una meta precisa. Sempre avanti, fino allo sfinimento. Pensò a Sunset, che non aveva la minima idea di cosa le stesse per capitare tra capo e collo, e a Plug e Tootie, che non avrebbero avuto nessun problema ad adeguarsi alle richieste di McBride, proprio come lui. Per un attimo fu quasi tentato di saltar giù per andare a mettere in guardia la ragazza. No, decise poi, non aveva abbastanza coraggio. Aveva l'impressione che McBride sapesse benissimo che sarebbe scappato, era certo che sarebbe venuto a cercarlo, o più probabilmente avrebbe mandato Two. Quindi non voleva proprio trovarsi dalle parti di Holiday o di Camp Rapture, e neppure nel Texas orientale, quando McBride si fosse accorto della sua fuga. Anche la Louisiana poteva rivelarsi troppo vicina. Un tipo del genere era capace di legarsela al dito per chissà quanto. Rooster guardò gli alberi passargli davanti, vide alzarsi il terreno su entrambi i lati, proiettandogli addosso, per un breve momento, una serie di
ombre; poi le colline scomparvero di nuovo e apparvero una chiazza di pini e un gruppetto di case sparse. Inspirò a fondo. — Buona fortuna, testarossa, — disse poi, soffiando aria dalla bocca. Il treno fischiò, uscì dalla curva con un rombo stridente e sparì alla vista, portando Rooster con sé. Quando Clyde entrò nel cortile, rimase per un pezzo dietro il volante. Non se la sentiva di scendere. Notò l'assenza della macchina di Sunset, e ne fu contento. Marilyn e un tipo tarchiato erano seduti davanti alla tenda e sgusciavano piselli. Sul cofano del camioncino di Marilyn sedeva un ragazzo con gli occhi fissi su Karen, quasi nascosta dietro la quercia e intenta a sua volta a sgusciare piselli in una scodella. Clyde cercò di immaginarsi l'identità dei due, ma gli sembrava gente a posto, e decise di non informarsi. Fosse dipeso da lui, non sarebbe sceso mai più. Il tipo tarchiato lo vide, si alzò e lo raggiunse. — Lee Beck, — disse, infilando una mano nel finestrino aperto. — E lei è Clyde, mi ha detto Marilyn. Clyde gli strinse appena la mano. — O quel che ne resta, —disse. — Che le è successo? — Le ho buscate. — Lo vedo. Arrivarono anche gli altri: Marilyn, Karen e il ragazzo. — Stai bene, Clyde? — disse Karen. — È il mio orgoglio, che se la passa male, — rispose lui. — Be', tutto sommato, il mio orgoglio e io le abbiamo prese in eguale maniera. Mi si è persino rotto un dente. — Chi è stato? — chiese Karen. — È questa la cosa peggiore, — disse Clyde, aprendo la portiera per scendere. Si sentiva intontito. — Quel maledetto figurino di Hillbilly. Karen scoppiò in lacrime e corse nella tenda. — Non credevo si preoccupasse tanto per me, — disse Clyde. — È di Hillbilly, che si preoccupa, — disse Marilyn. — Be', non ce n'è bisogno. Quello è peggio del gallo del pollaio. Chissà, magari si è sbucciato una nocca. Cazzo, e io che pensavo di essere un vero figlio di puttana. Che storia. Spero solo che Karen non mi accusi di avegli fatto male. — Karen ha appena scoperto che Hillbilly è uno stronzo, —disse Ma-
rilyn. — L'ha messa incinta. — Cazzo, — fece Clyde. — Grazie, nonna, — disse Karen da dentro la tenda. — Grazie tante. — Tanto lo sapranno tutti in men che non si dica. E siamo tra amici e gente di famiglia. — Temevo una cosa del genere, — disse Clyde. — L'avevo pensato, ma non ho detto niente perché non volevo tirare a indovinare. Ma avrei dovuto. — Guarda che stai parlando di me, — disse Karen. — Sono qui anch'io, eh. — Se vuoi partecipare alla discussione, — disse Marilyn, — esci da quella tenda. — Non darti tanto pensiero, piccola, — disse Goose. — A te, ci penso io. — Ma se neanche mi conosci, — disse Karen, e questa volta mise fuori la testa. — E io nemmeno so come ti chiami. — Goose, — rispose il ragazzo. — E di te so quel che mi serve. Mai vista una tipa più carina. Karen mollò un versaccio sgarbato e tornò a ficcare la testa dentro. — Goose, — disse Lee, — guarda che stai parlando a mia nipote. — E le parlavo col massimo rispetto, — fece il ragazzo. — Dov'è Sunset? — chiese Clyde. — È andata all'assemblea, — disse Marilyn. — Hanno intenzione di sollevarla dall'incarico. — Proprio una magnifica giornata, — disse Clyde. 29. Questa volta Marilyn non aveva messo a disposizione la sua casa, quindi l'assemblea si teneva in chiesa. La stessa Marilyn, comunque, si era offerta di accompagnare Sunset, anche per far pesare un po' il suo potere, ma Sunset le aveva chiesto di lasciar perdere. Voleva andarci da sola, perché aveva tutta una serie di cose da dire. Sunset scese dalla macchina, sistemandosi la fondina, e rimase per qualche tempo all'ombra proiettata dalla croce della chiesa, inclinata su un lato. Guardò un corvo, appollaiato sulla croce, che si liberava gli intestini sul tetto dell'edificio. Tirò un gran respiro, anche se l'aria era ammorbata dal tanfo della segheria, ed entrò in chiesa.
Pure all'interno l'aria era pesante. Henry Shelby e gli anziani del villaggio erano seduti in prima fila. Un tipo corpulento con una bombetta in testa e un abito grigio di buon taglio era appoggiato al pulpito con espressione annoiata. Sunset non l'aveva mai visto prima. Era forse sulla sessantina, quasi di bell'aspetto, ancora ben piazzato. Aveva un bel paio di baffoni, la carnagione rossastra e una corporatura massiccia. Le mani, che afferravano la parte superiore del pulpito, sembravano due grossi ragni in ozio. L'uomo alzò la testa per puntarle gli occhi addosso, e a Sunset parve di sentirsi infilzare il cranio da due lame che le uscivano dalla nuca. Poi quegli occhi si spostarono verso il basso, e Sunset avvertì due fitte al basso ventre. Quando entrò, gli uomini sulle panche si voltarono a guardarla con estrema attenzione, mentre percorreva il corridoio. — Non pensavamo che saresti venuta, — disse Henry. — Eravamo sicuri che avresti mandato tua suocera a prendere le tue difese. — Henry, — disse Sunset quando ebbe raggiunto la prima fila, — dobbiamo parlare. Tu e io. Da soli. — Non c'è niente da dire, Sunset, — fece Henry. — Questa è una semplice formalità. Ti stiamo sollevando dall'incarico. — Dobbiamo parlare, da soli. — Lo dici tu. — Voglio parlarti di un pezzo di terra in cui c'è il petrolio. Una grossa quantità di petrolio. Henry si limitò a guardarla. — Su questa terra c'è una casa, e il petrolio di questa terra è lo stesso che era sul cadavere di Jimmie Jo. L'omaccione dietro il pulpito scoppiò a ridere. Gli anziani fissarono Henry, il cui volto aveva perso ogni colore. — Va bene, — disse Henry. — Forse lei e io dobbiamo parlare a quattr'occhi. Se si rivela una cosa importante, ve lo faccio sapere. Gli anziani si guardarono in faccia. — Henry, — disse uno di loro, — non è questa la prassi. — Oggi sì. Aspettate fuori, per cortesia. Andate all'emporio, bevetevi qualcosa —. Si frugò nel portafogli e dette qualche banconota a uno degli uomini. — Offro io. — E lui? — disse Sunset indicando col capo il tipo appoggiato al pulpito. — Lui non la vuole, una Coca. Lui non se ne va. — Henry, — disse un anziano. — Sei proprio sicuro?
— Sicuro. Ci misero un pezzo, ma alla fine gli anziani si alzarono per andarsene. McBride uscì da dietro il podio e sedette nella stessa panca di Henry, a gambe incrociate, appoggiandosi allo schienale come in attesa del cameriere che gli servisse il pranzo. Henry scrutò Sunset. — Sarà meglio che sia buona, questa storia. — Lo sai già, che è buona. Ma non per te. — Mi suona come una sorta di ricatto, questa faccenda. — Può darsi. — Non ha funzionato per Pete e Jimmie Jo, non funzionerà per te. Sunset cercò di capire a cosa si riferisse Henry, e le parve di esserci arrivata. Pete e Jimmie Jo avevano tentato di prendere in contropiede Henry e quel tipo, ma gli era andata buca. E un'altra cosa intuì. Come stavano fregando la terra a Zendo, così stavano probabilmente facendo con altri. Ce n'erano a bizzeffe, di neri analfabeti, o che non si sarebbero azzardati a sollevare la minima obiezione per paura di finire nel catrame e nelle piume, ciondolare all'estremità di una corda, fare la torcia umana per il sollazzo di quei tipi dal lenzuolo bianco. — Pete e io siamo diversi, — disse Sunset. — Lo vedo bene, — disse Henry. — Basta essere un uomo, per capirlo. — Senti, senti, — commentò McBride. — Certo che sei diversa, tu, — proseguì Henry. — Sei diversa da tutte le altre donne. Sei una bella figliola, Sunset. E sei anche una poco di buono. Per questo Pete ti aveva sposato. Poi se n'è trovata una ancora peggio di te. — Tu, di me, non sai un accidente, — disse Sunset. — Una poco di buono la so riconoscere, quando la vedo. — E io so riconoscere un ladro, quando me lo trovo davanti. — Sei una donnaccia che fa finta di essere un uomo, e se ne va a giro con una pistola sul fianco. Cos'è, quella pistola ti illude di avere qualcosa che non hai? Che so, qualcosa in mezzo alle gambe? — Henry, la mia idea è che pure senza avere qualcosa in mezzo alle gambe, ce l'ho comunque più grosso del tuo. McBride rise di nuovo. Henry lo fissò, poi mosse lo sguardo su Sunset. — Forza, va' avanti. — Sicuro che vuoi far sapere tutto a questo tipo qui? Non che me ne freghi niente. Tanto, prima o poi, la verità salterà fuori lo stesso. — Ne sa già abbastanza. Di' quel che hai da dire, signora mia. E dico «signora» tanto per fare.
— C'è molto poco da dire. Stai fregando la terra a Zendo. Tu e il sindaco eravate in combutta, prima che lui andasse via... Be', non è proprio andato via, o sbaglio? — Non è più qui, — disse Henry. Sunset guardò McBride. — Per questo hai fatto venire questo tipo, eh? Per liberarti del sindaco. — Io non l'ho detto. — Il sindaco è finito di sicuro in qualche fossa, chissà dove, come Jimmie Jo e il suo bambino. — Non metto la gente nelle fosse, — disse McBride. — Scavare, non mi piace. E neanche fare del male ai bambini. — Chi sarebbe questo tipo, comunque? — chiese Sunset a Henry. — McBride, — rispose McBride. — Uno dei miei soci, — disse Henry. — Viene da Chicago. Me l'ha presentato un amico. — Non ce n'erano già abbastanza, di farabutti, da queste parti? — Stammi a sentire, Sunset, — disse Henry. — Tu non mi piaci. Ma ti dirò una cosa: posso darti la parte che sarebbe spettata a Pete, se tu non gli avessi sparato. — E la parte di Jimmie Jo, qual era? Un bagno nel petrolio e una trentotto nella nuca? — Una trentotto? — fece McBride. Sunset riuscì a sfoderare uno sguardo di fuoco. — Il bambino le è stato strappato dal grembo. Una cosa infame. Opera sua, McBride? — Neanche sapevo che stesse per scodellarne uno, — disse McBride. — Brutta storia, per quel bambino. Non ne sapevo un bel niente. Sunset pensò che McBride, a sorpresa, le suonava sincero. — Non scoprirti così tanto, — disse Henry a McBride. — Non è stato detto niente di rilevante, — rispose lui. Henry guardò Sunset. — A chi vuoi che freghi della terra di un negro, Sunset? A nessuno. Possiamo darti una fetta della torta. Cazzo, ti piacciono così tanto, i negri, che puoi regalare tu, a Zendo, una parte di quel che avrai. Un negro non è capace di gestire un terreno petrolifero, e non merita quel danaro. — E tu sì, invece? — Non c'è dubbio. — E lui, quanto prende? — Io sono un socio alla pari, — disse McBride.
— Ed è così che ha cominciato? Era un socio alla pari fin dall'inizio? Scommetto di no. Scommetto che si è beccato la quota del sindaco. Dov'è il sindaco, McBride? McBride le sorrise. — So solo che si è dimesso, poi è sparito. Penso che il nostro Henry abbia intenzione di concorrere per la sua carica. — Esatto, — disse Henry. — Il consiglio comunale continuerà a fare le veci del sindaco fino alle elezioni anticipate del mese prossimo. In quell'occasione mi candiderò. So di avere buone possibilità. — Non credo, se il consiglio viene a sapere questa faccenda. — In tutta sincerità, Sunset, sei meno di una mosca che mi si è posata sull'uccello. Un terzo del consiglio fa parte del Klan, e dubito che gli altri si struggano d'amore per i negri. — Ognuno vorrà la sua piccola fetta di torta, o no? Vedrai come si restringeranno, alla fine, le porzioni. Sunset stava sparando alla cieca, ma dall'espressione sul volto di Henry capì di averci azzeccato, e che al signor Shelby l'idea non andava tanto a genio. Quella di McBride non era mutata di una virgola. Occhi verdi, fare contento. Un uomo abituato a far girare gli eventi a proprio vantaggio. — C'era dentro anche Rooster? — chiese Sunset. — Già, — disse McBride. — Ma ha lasciato la città giusto oggi. — Come il sindaco? — Sembra che Rooster abbia preso il treno, — disse McBride. — La macchina dello sceriffo è stata ritrovata nei pressi dei binari, poco fa. — Ascolta un po', ragazzina, — disse Henry. — Sarò ancora più chiaro. Non ti farò sollevare dall'incarico. Vuoi continuare a giocare allo sceriffo? Fa' pure. Gingillati con la pistola e col distintivo fino al termine del mandato, poi levati dai piedi. Ti darò una fetta dei proventi del petrolio. Una bella fetta. Su quella terra c'è una casa che Pete aveva costruito per la sua troia. Pensa un po'. Le aveva costruito una casa e intendeva farla diventare ricca coi soldi del petrolio, mentre a te non doveva toccare neanche un centesimo. Era una parte del suo piccolo ricatto. Una casa, un pezzo di terra, una fetta dei proventi del petrolio. Voleva toglierti di mezzo, tesoro, e tenersi la sua troia. L'affare adesso lo propongo a te, pure se a Pete e a Jimmie Jo non avrei dato neppure un dollaro. Che ne dici? Sempre meglio che vivere sotto una tenda, no? — Non mi fiderei di te nemmeno fossi l'ultimo uomo sulla Terra, — disse Sunset. — E ti è venuto in mente, peraltro, che se raccontassi a Marilyn queste cose, tempo cinque minuti e saresti fuori della segheria?
Henry serrò le labbra, scosse il capo e sorrise. — Be', Marilyn è in cerca di una scusa, adesso che è riuscita a far suicidare il suo vecchio e a impadronirsi dei cordoni della borsa. La conosco da un pezzo. Era Jones a tenerla in riga. Anche lei è una che ama tramare. Di' pure a quella vecchia troia di andare in malora. Io, per me, ho del danaro da parte, e sto per farne dell'altro, oltre a ricevere una piccola eredità da mia moglie, visto che pure lei possedeva una parte della segheria eccetera. Sei tu che devi preoccuparti di non farti incastrare, invece di cercare di incastrare me. — Vuoi forse mandarmi i tuoi scimmioni col lenzuolo? Non mi fanno paura, sai? Se uno solo di quelli mette piede sulle mie terre o si avvicina a me e alla mia famiglia, lo sbatto dentro. E se non riesco a sbatterlo dentro, gli faccio saltare le cervella. McBride mollò un sogghigno che fece stringere il culo a Sunset, oltre che farle accapponare la pelle. — Quando c'è qualcosa da sistemare, mi fa piacere che gli interessati sappiano come, — disse l'uomo. — O farlo di persona, se proprio devo. Non certo un branco di poveri cristi che giocano al ballo in maschera, con tutte quelle insegne e quei simboli. Tu non mi conosci, tesoro. Ma ti dico una cosa, e chiamo a testimone la Bibbia. La donna ha un solo scopo. Molto importante. È così che gli uomini sono felici e contenti, che i bambini vengono al mondo e i casini si risolvono. Ma una zoccola con tanto di distintivo, che si rivolge agli uomini come e peggio di un uomo, non segue certo lo scopo. Io sono un socio in affari del signor Shelby, qui. E avrò la mia parte. Non me ne frega un assoluto cazzo di consigli comunali e sindaci e mappe e chi cazzo sa cosa. Capito? Cerca di non farmi arrabbiare. Anzi, cerca di non irritarmi neanche un po'. Forse è il caso che mi fai passare le mattane, non so se mi spiego, darti una calmata non ti farebbe che bene. Posso aiutarti, sai? Quel che ti sta salvando le chiappe, adesso, è che sei carina. È la cosa che ti fa uscire viva da quest'assemblea, oggi. Ma la prossima volta non sarà così. Capito? — Crede di spaventarmi? — disse Sunset, che era spaventata sul serio e aveva posato la mano sul calcio della pistola, dal momento che McBride si era spostato sulla panca e la giacca gli era andata indietro, tanto da lasciar scorgere un grosso revolver in una fondina sotto l'ascella. Sunset sapeva che lui sapeva che lei l'aveva visto, il revolver. L'aveva fatto apposta. McBride si spostò di nuovo, lasciò che la giacca tornasse a posto. Sunset, invece, non tolse la mano dalla pistola, noncurante ma sul chi vive, decisa
a non mostrare la sua paura, con un tranquillo sorriso stampato in volto e a gambe rigide per non farsi piegare le ginocchia. Poi scorse qualcosa dietro le tende chiuse, sul retro, là dove si riuniva il coro e le tende venivano aperte durante l'esecuzione. Dei piedi che spuntavano da sotto la tenda. — Chi c'è, là dietro? — disse. — Meglio che tu non lo sappia, dammi retta, — disse McBride. — Ditegli di venire fuori. McBride sorrise. — Va bene. Two! Two uscì allo scoperto. Era parzialmente in penombra, ma dalla porta filtrava luce sufficiente a distinguerlo. Lì per lì sembrava di bassa statura, ma ben presto Sunset capì che era alto più di un metro e ottanta, e massiccio come una quercia. Era nero come un pezzo di liquirizia, e il bianco dei suoi occhi molto bianco. L'uomo sorrise. Aveva gengive scure. Gengive azzurre, così chiamavano la gente di colore. Portava una bombetta proprio come McBride, calcata più in basso. Era vestito normalmente, ma la sua giacca era nera e dall'aspetto come di seta, e dalle falde lunghe. Aveva un qualcosa che a Sunset faceva accapponare la pelle. — Che sarebbe, quello? — disse Sunset. — Un negro grande e grosso, — disse McBride. — Perché è qui? — Te l'ho detto, — fece McBride. — Meglio non saperlo. Sunset scrutò McBride. — Quel cazzo di cappello, ce l'hai piantato troppo stretto, sul cranio. Non sai che lo si toglie, in chiesa? Oppure ti si stacca la testa, se cerchi di levartelo? La faccia di McBride si sgonfiò come una vela priva di vento, e Sunset capì di aver centrato il bersaglio. Il cappello? No. La testa? Ecco cosa. Quel figlio di puttana era calvo. E ne soffriva. Gli rifilò un lento sorriso, ma l'espressione di McBride rimase la stessa. La vela non aveva ancora ripreso vento. — Sei nella mia giurisdizione, Henry, — disse Sunset. — Tu e il tuo scagnozzo e il vicescagnozzo, o quel che è. Tutti quanti. — Ma non rappresenti tu la legge a Holiday, — disse Henry. — La mappa non è affar tuo, e visto che la legge da quelle parti è all'incirca sotto la mia giurisdizione, be', immagino che la legge sono io. — Le terre di Zendo sono sotto la mia giurisdizione, — disse Sunset. — Dite le vostre preghiere, ragazzi, e levatevi dai piedi. Tempo un'ora, e non voglio trovarvi più qui. Altrimenti, vi sbatto dentro. — Per cosa?
— Per esservi comportati male in chiesa. Era il momento di andarsene, pensò Sunset, ora che si trovava in vantaggio. Imboccò il corridoio, verso la porta spalancata. — Allora siamo d'accordo, tu e io? — le gridò Henry alle spalle. Lei continuò a camminare. Una volta fuori, tese le mani e le guardò. Tremavano. — Pensi che ci starà? — disse Henry. — Che accetterà la proposta? — Non certo quella. Spero di no, anzi. Dobbiamo entrare in intimità, e ho bisogno di un motivo per incazzarmi. — Io credo che ci starà, invece. Adesso fa la dura, ma ci rifletterà su. Accetterà. — Non ne farà niente, invece. Henry alzò gli occhi a guardare Two. — Dovevi proprio portartelo dietro, il negro? Proprio qui? — Lui fa quel che gli pare. — Non capisco. Ho assunto te, ma ti sei portato dietro questo tizio. — Ti è costato solo il biglietto del treno. Ha dovuto viaggiare assieme ai negri. Non è stato facile, per lui. — Ma se è un negro. — Two non la pensa certo come i negri di queste parti. — Che vorrebbe dire? — Che non è un negro come gli altri. — E perché se ne sta sempre in quel modo? In penombra. Mi fa venire i brividi. McBride sorrise. — Gli piace stare al buio. È convinto di essere lui stesso una sorta di ombra. Vieni qui, Two. Two andò a mettersi di fronte alla panca, le mani penzolanti ai lati del corpo. A distanza così ravvicinata, Henry non poté fare a meno di notare gli occhi fiammeggianti dell'uomo. — Two, — disse McBride, — fagli vedere la testa, a Henry. Digli un po' cos'è successo. Two si tolse la bombetta. Alla sommità della fronte, i capelli - già corti sull'intero cranio - erano scomparsi, e al loro posto c'era una cicatrice a forma di ferro di cavallo. Profonda, color porpora e seghettata. — Cristo, — disse Henry. — Ti ha preso a calci un mulo? — È stato Dio, — disse Two, e la sua voce parve quasi ribollire, come
una vanga che si ficca nel fango ancora fresco. — Sono stato colpito da un fulmine mandato da Dio, ed è lui che mi ha fatto diventare Two. Mi ha fatto venire fame. — Ha preso un calcio in testa, eh? — chiese Henry a McBride. — Te l'ha appena detto lui, quel che è successo. — Dio ha un mulo? — È un bel personaggio, non trovi? — Come l'hai trovato? — È una storia lunga. — E come mai parla al plurale? — Per questo lo chiamano Two. Prima era Cecil, ma non conta più. Adesso è Two. C'è lui. Poi c'è quell'altro, ma gli stanno entrambi dentro. È così speciale, lui, che ce ne devono essere due. Dico bene, Two? — Questa storia mi mette i brividi, McBride. Dobbiamo proprio avercelo tra i piedi? — È utile nei momenti difficili. Mi sono ritrovato in certi posti dove era necessario cavarcela a tutti i costi, lui e io, e così è andata. — Fa quel che dici tu? — Solo se gli va. E il più delle volte gli va. Abbiamo un certo legame. — È pericoloso? — Certo che lo è. Henry scrutò Two, in piedi e immobile come un pezzo di legno, gli occhi verdi abbassati come lo sguardo di chissà quale animale feroce. Gli stessi occhi di McBride, solo più intensi. — Gli venisse voglia, ti strapperebbe la faccia a morsi, Henry. Per poi mangiarsela. I negri hanno questo tratto cannibale, sai com'è. Henry lanciò un'occhiata a McBride, che scoppiò a ridere. — Non preoccuparti. Non ti mangerà. Non ancora. Che ne dici, Two? — Penso di no, — disse Two. — Non parla come un negro. — Two è una persona istruita. Non è vero, Two? Two annuì. — Ha imparato cose che certi bianchi non impareranno mai. Lui sì, invece. Matematica superiore, Henry. Può leggere qualunque cazzo di libro senza nemmeno muovere le labbra, e sapessi quanti ne ha letti. Dico bene, Two? Fa una vita davvero speciale. Mezzo bianco e mezzo nero, ma nero come quel cazzo di asso di picche, e suo padre e sua madre (lei era negra) hanno avuto molta cura di lui, l'hanno trattato al meglio. E suo padre, un
bianco, ha tagliato la corda e ha lasciato l'altro figlio, bianco, alla madre, e la madre a sua volta l'ha lasciato alle monache. Ma il ragazzo non c'è rimasto. Era un tipo tosto. Si è fatto strada. Ma non ha un briciolo d'istruzione. Tutto quel che ha ottenuto, ha dovuto frugare nel fango per averlo. Mentre Cecil, qui, ovvero Two, ha preso quel che gli era stato concesso, come se la sua pelle nera fosse bianca come neve. Dio l'ha punito perché era un negro presuntuoso. Non è vero, Two? È questo il vero motivo della tua punizione. — Mi ha dato dei poteri. — Vedi, Two ha un'altra visione delle cose. Crede che Dio l'abbia benedetto. Non accetta l'idea di essere stato preso a calci da un cavallo che gli ha sbatacchiato il cervello qua e là. Non è così che è andata, vero, Two? — Dio mi ha colpito con un fulmine, mi ha dato dei poteri. — E tu cosa devi fare in cambio, Two? — disse McBride. — Cosa devi fare, per far tornare il sorriso sul volto di Dio? — Succhiare le anime. — Succhiare le anime? — fece Henry. — Già. Gli piace mettere la bocca sul volto di un uomo o una donna in punto di morte, e aspirare. Lo fa anche se sono morti da poco. Non devono essere necessariamente con un piede nella fossa, vanno benissimo anche già andati, già in viaggio per l'inferno, e il vecchio Two continua ad aspirare. — Mi stai prendendo per il culo? — No. Lui succhia anime. Almeno, è questo che pensa. — Proprio così, — disse Two. — L'hai visto in azione? — Come no. Mi ha aiutato con quella tipa, le ha succhiato via la faccia. Prima mi ha dato una mano a tenerla dentro il petrolio, poi le ha succhiato la faccia. Si è riempito di petrolio. Sono stronzate, comunque, Two, o sbaglio? Non è che aspiri le anime. Aspiri e basta, no? — Già lo sai come stanno le cose, fratello, — disse Two. — Sai che dico la verità e che sono qui per darti sostegno, così che le mie necessità di anime, le necessità di Dio, a dirla tutta, possano essere soddisfatte. — Aspetta un po', — disse Henry. Stava iniziando a capire. — Non è che... non è che è il tuo fratellastro? Un negro? — Stai cercando di dirmi qualcosa, Henry? — No... no. Ho visto qualche negretta che avrei potuto... Le possibilità c'erano. Poteva capitare. Può capitare a tutti, di trastullarsi con una negra.
È pieno di bambini mezzi bianchi, nel Texas orientale. E non significa proprio un bel nulla, se non avere inzuppato il biscotto. — Mio padre viveva con la madre di Two. E ne andava orgoglioso. Deve aver passato le pene dell'inferno, ma l'ha fatto lo stesso. Mi sa che è quel che chiamano amore, sia quel che sia. Quando quella negra è morta, la madre di Two intendo, è stato allora che mio padre ha cominciato a bere. Amava quella negra come mai ha amato la mia, di madre, che pure era bianca. Two fece un rumore di gola, come assaporasse qualcosa di buono e di dolce. McBride alzò lo sguardo su di lui. — Torna pure al tuo posto, — gli disse. Two gli sorrise e sedette sulla panca, acccanto a McBride. — Vedi, — disse McBride. — Non sempre fa quel che gli dico. 30. In macchina, Sunset continuava a pensare a McBride, a quegli occhi, ai suoi movimenti, come se da un momento all'altro potesse trasformarsi in qualcosa di liquido, una sorta di metallo fuso in grado di colarle sulla testa e bruciarla a morte. E l'altro, quel Two. Cristo. Quel Two la faceva saltare dalla paura. Pensava anche a Hillbilly, a ciò che aveva fatto a Karen. Cazzo, pure a ciò che aveva fatto a lei. Figlio di puttana dalla lingua d'argento. Gli aveva offerto tutto, l'aveva portato ovunque, e lui l'aveva ricambiata trattandola come un pesce all'amo: tirata fuori dall'acqua, buttata a terra, sventrata, divorata. Poi se n'era andato per la sua strada, pronto a gettare di nuovo la sua esca. Maledetto. Era colpa sua, che aveva voluto aver a che fare con un tipo del genere, che si era fidata di lui. E adesso aveva perfino un padre. Dopo tanti anni. Un padre, che forse ma con moltissimi forse - era pure un tipo a posto. In ogni caso, si disse, devo stare in guardia. Con la fortuna che mi ritrovo, non ci mette niente a saltare in macchina una mattina e filare via con tutta la sua roba, e magari anche con il cane. Imboccò la scorciatoia che portava alla sua tenda e proseguì verso Holiday. Raggiunse il luogo in cui Hillbilly si era approfittato di lei, fermò la macchina e si mise a guardare il panorama della città. Passò lo sguardo
sull'appartamento sopra l'emporio, quello dipinto di rosso, sul tribunale, l'ufficio dello sceriffo, le zone commerciali, la Main Street affollata di gente e automobili, bestie e carri, i pozzi di petrolio che spuntavano qua e là. Alla luce del giorno non era poi questa gran vista. Una volta aveva sentito un tale dire che di notte, con l'ìlluminazione giusta, anche la peggiore puttana può sembrare quasi carina, ma che di giorno una puttana resta tale, e si vede benissimo. Be', Holiday era una puttana. Estrasse la pistola dalla fondina e la controllò. Cinque proiettili. Ne infilò un sesto. Sei, adesso. Fece ruotare il tamburo. Restò seduta per qualche tempo. Fece inversione e si diresse in città. Percorse le strade a bassa velocità, nella speranza di incontrarlo, ma senza esito. Si fermò, entrò nella tavola calda. Niente Hillbilly. Provò in diversi altri luoghi, senza trovarlo. La gente la guardava in faccia e si faceva da parte. Girò dappertutto, ma non riuscì a scovarlo. Alla fine, si sentì spossata, quasi come convalescente da una qualche malattia. Ecco cos'era, Hillbilly. Una malattia. La febbre le stava calando. Solo allora si rese conto che non l'avrebbe trovato. Che non doveva trovarlo. Non doveva succedere. Non adesso. Non nella sua situazione. Non con sei colpi in canna. Altrimenti sarebbe finita male, e non poteva permetterselo. Lei era la legge. Aveva Karen cui badare. Quel vecchio cane abbandonato, Ben, al quale aveva promesso di non lasciarlo mai. Doveva badare anche a lui. E adesso c'erano suo padre e quello sciocco ragazzino, quello che chiamavano Goose. Doveva essere compreso nel prezzo. Forse pure lui aveva un cane del cazzo, da qualche parte, magari con tre o quattro cuccioli, e una sorella con un gatto. No. Non poteva seguire l'istinto. Doveva fare qualcosa, certo, ma sparare un colpo in testa a Hillbilly non era la soluzione giusta, anche se su due piedi sembrava la migliore. L'avrebbero messa in croce. Non solo perché sarebbe stata colpevole al di là di ogni dubbio, ma perché aveva detto bene Henry: un sacco di gente la odiava. Una donna che non sapeva stare al suo posto. Tremendo. Quasi peggio di un negro arrogante, altezzoso. No, peggio ancora. Non era solo arrogante e altezzosa, era una che se la faceva coi negri. Una donna con pistola e distintivo, che aveva persino ammazzato il marito. Avrebbe dovuto stare in cucina, quello era il suo posto, il vestito tirato sulla testa mentre il marito la prendeva da dietro, un piede a girare la zangola del burro, l'altro a dondolare una culla. Tornò alla macchina come a voler schiacciare formiche a ogni passo, e
filò via. La mattinata stava ormai sfumando nel pomeriggio. L'orizzonte sembrava tranciato con un rasoio. Quando arrivò a casa, trovò Marilyn intenta a scavare una buca nel terreno. Il camioncino di Clyde era sparito. Nessun altro in vista. Si diresse verso la suocera. — Dove sono finiti, tuttì? — Ehi, mi hai messo paura. Me la sono quasi fatta addosso. — Scusa. — Karen è dentro. Goose si è fatto prestare un fucile ed è andato a caccia di scoiattoli. Lee e Clyde sono andati a Holiday, dicono per affari. — Che razza di affari? — Affari e basta, a sentir loro. — Forse qualche birra. — Può essere, — disse Marilyn. — Hillbilly ha ridotto Clyde peggio di uno straccio. — Hillbilly? — L'ha riempito di botte come un sacco di patate. — Non ci posso credere. — Credici. Ancora un po' e ti toccava seppellirlo. Penso che Lee sia andato con lui per tirarlo un po' su. Sunset annuì. — Cosa stai facendo? — disse. — Scavo una buca, — disse Marilyn con un sorriso. — Per cosa? — Per mettere della corda da bucato. Mi dice Karen che li stendete sui cespugli, i panni. — Proprio così. — Con due pali e un po' di corda è un'altra cosa. — Era un lavoro che mi ero ripromessa di fare. Solo che non ne ho avuto il tempo. Poi non sopporto scavare. E neanche tagliare la legna. A pensarci bene, il lavoro fisico mi fa schifo. — Questi attrezzi sono perfetti, per una buca del genere. Meglio di una semplice vanga. Potrei scavare tutto il giorno. Vengono fuori delle buche dritte e profonde, che poi si allargano con facilità. Anche una donna ce la fa senza problemi. È quasi un piacere, fare un po' di attività fisica all'aria fresca. A giudicare dalla tua faccia, in effetti, sarebbe quasi il caso che te li prestassi, i miei attrezzi. — Non credo che Henry rimarrà a lungo alla segheria.
— Come sarebbe? Sunset le raccontò ogni cosa, un po' alla volta, quasi come un foro in una diga, che si allarga sempre più, finché la diga non crolla e le acque traboccano. — Non ho intenzione di strapparmi i capelli, — disse Sunset alla fine della storia. — Negli ultimi tempi pare che non stia facendo altro. Io sono la legge. Non posso perdere tempo a frignare. — Chi lo dice? — Io, lo dico. Solo che invece ho voglia di piangere. Marilyn conficcò gli attrezzi nel terreno, così da farli restare in piedi, e abbracciò Sunset, che scoppiò in lacrime. Il cielo da grigio si era fatto nero, le stelle saltavano fuori come strizzate via da un sacco, e Sunset piangeva. — Cazzo, — disse. — Non devo piangere. Io sono la legge. Ho appena pianto sulla spalla di mio padre, e a malapena lo conosco. Non faccio altro che piangere. — Spero che non sia perché Henry sta per andarsene. — No, — sghignazzò Sunset. — Me lo sarei tolto dai piedi comunque, appena avessi trovato il tempo di controllare i libri contabili. Chissà quanti anni sono che ruba, quello. Jones non mi ha mai voluto credere, ed è per questo che Henry mi ha sempre odiato. Lui lo sa che io so. E sa anche, nel profondo, che sono un tipo vendicativo. Posso resistere a lungo, proprio come Jones, ma quando scoppio è la fine. Jones l'ha scoperto a sue spese. Sunset si asciugò le lacrime con un braccio. — Certe volte anche Pete veniva a piangere da me, — disse Marilyn. — Davvero? E per cosa? — Non lo so. Veniva a trovarmi, io gli preparavo da mangiare, poi lui scoppiava in lacrime. — Ogni volta? — Ogni tanto. Piangeva sulla mia spalla come quando era bambino. Era una bella cosa. Allora mi sembrava davvero il mio ragazzo, non certo l'uomo che era diventato, tale e quale a suo padre. — Chissà se stava piangendo per me. Che non ero come mi avrebbe voluto. — Non ne ho idea. — Avrebbe anche potuto piangere per me. Solo una volta. Mi avrebbe fatto piacere, proprio come a te.
Sunset respirò a fondo e si fece forza, pensando a quel che doveva dire. — Sei stata tu a raccontare a mio padre che Karen era incinta. — Certo, avrei dovuto parlarne prima con te. Ma quando ho scoperto che Lee era tuo padre ho pensato che forse era la persona giusta. Ti secca? — No. — Forza, cara. Andiamo a vedere cosa c'è per cena. Finirò un'altra volta, qua fuori. E magari cerca di parlare con Karen. Ha bisogno d'aiuto, adesso, proprio come è successo a te quando eri prossima al parto. — Non le manca così poco. Potrebbe abortire, se solo volesse. — Non penso siano queste le sue intenzioni. — Va bene, — disse Sunset. — È lei che deve scegliere, e qualunque sarà la sua scelta, mi troverà d'accordo. — Allora siamo in due. 31. Hillbilly era sdraiato con la schiena contro la testata del letto, e fumava una sigaretta che si era appena rollato. Aveva una mano sul culo della puttana addormentata, e stava valutando se svegliarla di nuovo. In teoria, avrebbe dovuto pagarla, ma fino a quel momento aveva offerto la ditta. Lui le aveva fatto un gran servizietto di lingua, non solo in senso pratico (nel culo) ma anche figurato (nell'orecchio), sussurrandole come si meritasse una vita migliore di quella, e quanto fosse carina. Lo era, in effetti, a parte una cicatrice sul naso, là dove qualcuno le aveva piantato un coltello e l'aveva tagliata. E comunque, tutto sommato, la cicatrice era quasi invisibile. Le bastava spogliarsi, per farla passare in secondo piano. Hillbilly aveva acceso la lampada sul tavolino accanto alla finestra. La luce era bassa, ma adeguata. Non gli piaceva il sesso al buio, non solo perché voleva vedere la donna, ma perché voleva che la donna vedesse lui. Sapeva che alle donne piaceva guardarlo, per il suo bell'aspetto. Dette un'occhiata attorno, e vide la chitarra che aveva appena comprato. Era in piedi, in un angolo. Sempre meglio dell'armonica, o dello scacciapensieri. Anche con quelli si poteva suonare una canzone, ma non fare certo della vera musica. La chitarra era lo strumento giusto. Hillbilly provò una fitta di rimorso al ricordo del vecchio proprietario dell'armonica e dello scacciapensieri, il nero che era in compagnia degli altri hobos. Non era orgoglioso del suo gesto, aver tagliato loro la gola mentre dormivano, ma gli serviva della roba. L'armonica e lo scacciapensieri, i
pochi dollari che avevano in tasca, un po' di carabattole assortite. Dal suo punto di vista, aveva agito come doveva. E farli fuori da addormentati era molto più semplice. Avesse provato a derubarne uno, avrebbe fatto un tale casino che gli sarebbe toccato di sicuro farci a botte. Se la sarebbe cavata, ma un conto era fare a botte con uno solo, un conto doversi battere con tre. Ormai aveva imparato che la maniera migliore è la più semplice. Gli hobos l'avevano trattato bene, avevano diviso con lui il cibo e la musica, ma lui aveva fatto quel che aveva fatto perché era così che andava il mondo. Anche Sunset si era comportata bene, con lui. E quella sera, sullo spuntone di roccia, si era comportata più che bene. Hillbilly aveva sperato di tirarla per le lunghe, di sfruttare la situazione il più possibile, ma non era riuscito a resistere alla figlia. Benché sapesse che questo gli si sarebbe ritorto contro, prima o poi. E magari era già il momento di tagliare la corda, di scordarsi Holiday. Via, verso la prossima città, a suonare e cantare in qualche honky-tonk. Con un po' di soldi in tasca, avrebbe potuto permettersi una vita migliore. Non solo pane e companatico, ma un'esistenza migliore in tutti i sensi. Meno balle e meno inganni, e meno omicidi. Poteva farcela. Per un breve periodo, era stato quasi sicuro di potercela fare con Sunset. Poi si era messa di mezzo la figlia, un dolce frutto maturo, pronto per essere colto. Ogni volta che gli sembrava di aver raggiunto il massimo, si metteva sempre di mezzo qualcosa di meglio, dall'altra parte della staccionata. Una staccionata che lui finiva sempre per scavalcare. Appoggiò la sigaretta sul piattino accanto al letto e accarezzò il culo della puttana. Lei si svegliò, voltandosi. Gli sorrise, alla luce della lampada. — Certo che ci sai fare, eh, Hillbilly. — Lieto che l'hai capito. — Sbaglio, o non hai intenzione di pagarmi? — Non ho un centesimo. Ho speso tutto per affittare questa stanza. Un'intera settimana. Non ti è bastata quella canzone, come ricompensa? Cazzo, Jimmie Rodgers non avrebbe saputo far di meglio. La puttana scoppiò a ridere. — Con una canzone i miei debiti non li pago. Però è stato bello. E chi mi dice che Jimmie Rodgers avrebbe fatto di meglio? Non ci sono mai andata a letto con lui. — Posso cantartene un'altra, in cambio di un secondo giro. — Tesoro, non ce n'è bisogno. Vieni qui.
— Ecco il posto, — disse Clyde, puntando la torcia sul numero tracciato in cima alle scale. — È l'indirizzo che mi ha dato lui. Lee annuì. Non era un piano alto. Una semplice rampa di scale all'esterno dell'edificio, ed erano arrivati. Dalla finestra filtrava una luce, in basso c'era un vicolo con qualche bidone dell'immondizia. — Occhio. È uno tosto, — disse Clyde. — Mi ha conciato per le feste, nemmeno fossi stato un ritardato mentale. Tanto valeva che gli saltassi addosso a occhi bendati, magari con l'uccello legato a un'incudine. — Resta dove sei, — disse Lee. — Vado su io. — Ho uno sfollagente, se ti può servire. — No, tienilo tu. — Allora prendi la torcia. È pesante. — No, tieni anche quella. Ci vedo benissimo. — È perché è pesante, non perché è buio. Stavo parlando di spaccargli la testa, con quella. — Avevo capito. Tienila tu lo stesso. — Dovremmo andare assieme, lassù. In due, possiamo farcela. Non capisci? Il tipo sa battersi. Ha tutta una serie di mosse. — Anch'io ne ho un paio buone. — Lui deve averne tre o quattro. Forse anche cinque. Lee sorrise. — Starò in guardia. Rimani qui, mi raccomando, pronto con lo sfollagente. Vedi quella finestra? Piazzati là sotto. Ma non proprio sotto, eh. In un modo o nell'altro, ti farò un segnale. Quando vedi il segnale, dacci dentro, sul cranio di Hillbilly. — Con me qua sotto e lui lassù? Meglio che salga anch'io. — No. Resta qui. — Occhio ai denti. Lee imboccò le scale. Erano di legno solido, con pochi scricchiolii. Arrivato in cima, si piazzò sul pianerottolo a distanza adeguata, respirò a fondo e mollò una pedata alla porta con tutta la forza che aveva in corpo. La serratura saltò, la porta si spalancò e andò a sbattere contro il muro. Sul letto cadeva, di sbieco, la luce di una lampada. Lee entrò nella stanza e vide Hillbilly - o quello che sperava fosse Hillbilly - appoggiato alla testata, col lenzuolo che lo copriva solo in parte. Si era appena sciolto dall'abbraccio di un paio di gambe femminili, con la virilità bella dritta come un palo da tenda.
— Sei tu Hillbilly? — Embe'? E tu chi cazzo sei? Che cazzo credi di fare? — Ma come! Sono l'angelo del Signore. — Tu sei fuori di testa, altro che. — Ho una figlia di nome Sunset. Una nipote di nome Karen. E credo che tu le conosca. Hillbilly tacque per un istante. — Già. Le conosco, e molto bene, — disse infine. — Pensavo anch'io. Be', sono venuto a riempirti di botte. — Ci hanno provato in tanti, — disse Hillbilly saltando giù dal letto, il palo da tenda già trasformato in un piccolo tubo di gomma. — Secondo me ti dai un po' troppe arie, figliolo. Adesso te ne levo un po' io. — Vecchio, non dire poi che non ti avevo avvertito. Non sai in che pasticci ti stai cacciando. Hai già fatto il tuo tempo, se non te ne sei accorto. Lee gli saltò addosso. La puttana si mise a strillare. Hillbilly si mosse. Si mosse sul serio. Era così veloce, in effetti, che non sembrava neanche muoversi. Un attimo era di fronte a Lee, l'attimo dopo era sparito. Hillbilly sapeva di essere veloce, molto veloce, e sapeva anche di averlo in pugno, quel vecchio, e quando scivolò di lato, girando su se stesso per colpire l'uomo alla nuca, stava già sorridendo. Ma il vecchio non era più lì. Si era chinato, e il pugno di Hillbilly aveva mancato il bersaglio. Allora Lee aveva piazzato un destro, prendendo Hillbilly in pieno e togliendogli dalle labbra quel sorrisetto. Un bel colpo. Davvero un bel colpo. Era un pezzo che Hillbilly non ne beccava uno simile. Ma aveva incassato. Incassato bene. Era ancora in piedi. Si abbassò nel tentativo di abbrancare le ginocchia del vecchio, che però fece una sorta di balzo all'indietro. Hillbilly mancò la presa e, senza neanche capire come, si ritrovò il braccio del vecchio a serrargli la gola e l'uomo che gli si era saldato addosso come una zecca all'orecchio di un cane. Adesso il vecchio si stava gettando all'indietro, portando la gamba verso l'alto, giusto in mezzo alle gambe nude di Hillbilly, sferrandogli una pedata alle palle e facendolo volare in aria. Hillbilly batté con la schiena sul pavimento, con tale violenza da far saltare la lampada sul tavolo. Rotolò su se stesso e si tirò su, nel tentativo di lanciarsi ancora una volta sul vecchio, ma anche lui si era rimesso in piedi
e lo fronteggiava di nuovo. Poi il dolore della pedata alle palle raggiunse il cervello di Hillbilly, con un certo ritardo, e fu come se gliele avessero messe in una morsa e girato la manovella. Il vecchio si fece avanti. Veloce, molto veloce. Veloce come credeva di esserlo Hillbilly. Anzi, ancora più veloce. E aveva con sé qualche amico, dritto dall'inferno. Un sinistro e un destro. Seguiti da un gancio sinistro che gli sbullonò quasi l'interno della bocca, allentandogli di sicuro qualcosa, là dentro. Infine il vecchio lo prese per la vita, lo sollevò di peso e lo trascinò alla finestra, buttandolo di sotto. La puttana non aveva smesso di berciare un solo istante, ma quando Hillbilly volò giù le sue urla si fecero ancora più forti, tra i vetri rotti e gli schizzi di sangue. — L'hai ammazzato, — disse la bionda. — L'idea era proprio quella, — disse Lee. Clyde aveva udito quel casino e deciso di andare a vedere. Stava per imboccare le scale, quando Hillbilly piombò dalla finestra in uno svolazzare di capelli, uccello e palle. Un bel volo, senza dubbio, e una botta non da poco. Eppure, quel figlio di puttana ancora tentava di rialzarsi. Dev'essere questo il segnale, pensò Clyde. Si mosse verso Hillbilly, che si era già messo a quattro zampe e lo guardava, tutto tagliuzzato e col sangue che gli colava dalla bocca. — Tu, — disse infine. — Salve, — disse Clyde, e lo randellò con lo sfollagente. Il primo colpo, dato con la massima violenza, lo beccò su un lato del viso. Hillbilly andò giù, ma tentò per l'ennesima volta di rialzarsi. Il secondo lo prese in piena nuca, accompagnato da una sonora risata di Clyde. Fu la volta buona. Hillbilly non si mosse più. Clyde si voltò e vide Lee scendere le scale. Sembrava in ottime condizioni, solo un po' spettinato e con la giacca arruffata. In mano reggeva una chitarra. In cima alle scale c'era una donna avvolta in un lenzuolo, che strillava come un'aquila. Nell'appartamento sottostante si accesero le luci. Lee si avvicinò a Hillbilly, che giaceva a faccia in giù, e lo fissò per un istante, poi si appoggiò al manico della chitarra come fosse una stampella, la base della cassa sul terreno. Con l'altra mano si slacciò i calzoni, tirò fuori l'uccello e pisciò in abbondanza sul viso di Hillbilly. — Questo è un messaggio del capo, — disse. Hillbilly sollevò appena la testa.
— Figlio di puttana, — fece. — E questa è la canzoncina della buonanotte, — disse Lee, afferrando la chitarra per il manico e facendola ruotare con gesto atletico. Fu come un fischio nella notte, e beccò Hillbilly col rumore di una fucilata. Poi si udì un colpo secco, metallico, e un triste fremito di corde. Hillbilly andò giù ancora una volta. Senza perdere i sensi, ma solo privo di forze, con la chitarra ridotta a brandelli sparsi tutt'attorno e le corde che oscillavano come antenne d'insetto. Poi si mise in ginocchio, alzò il culo a mezz'aria come pronto a prenderlo da dietro, si bloccò, non più in grado di muoversi, e svenne sul serio. Lee gli mise un piede sopra, e lo fece rotolare su un fianco. Non si muoveva più. Il vecchio si abbottonò i calzoni e prese Clyde per un gomito. — Ho bisogno di bere qualcosa, — disse. —Niente alcol, non ne bevo, ma un bel bicchierone di latte freddo andrà benissimo. Goose e Karen erano dietro la quercia, seduti in terra con una bacinella d'acqua e qualche coltello, oltre a una lampada a cherosene. Goose stava spellando e sventrando i quattro scoiattoli che aveva beccato. Poi Karen li immerse nella bacinella e con le mani finì di togliere ogni residuo di pelo. — Quattro scoiattoli, quattro colpi, — disse Goose. — Era una doppietta, quella che usavi. — Non li avevo seduti davanti alla canna. — Sai che sono parenti dei topi? — disse Karen. — No che non è vero. — Altro che. Proprio della stessa famiglia, o roba simile. — Non assomigliano ai topi. Oddio, forse un po' sì. Diciamo che hanno qualcosa in comune. Ma anch'io ho dei parenti che somigliano a dei topi, quindi chiunque può avere dei topi in famiglia. — Forse non dovremmo starci tanto a pensare. — Ben detto. Non mi va tanto l'idea di mangiare il cugino di un topo. — Sono belli grassi, tutti e quattro, — disse Karen. — Mi piace un sacco, lo scoiattolo. Non ne mangio da anni. — Be', visto che li hai presi tu, ti spetta il boccone migliore. — Com'è che ti piacciono? — Fritti. Scoiattolo e dumplings. Ma va bene in tutti i modi. — Anche a me... certo che sei carina. Karen gli sorrise. — E tu non perdi tempo. — Bisogna dirle, queste cose, a una ragazza.
— Sei parecchio giovane, Goose, o sbaglio? — Anche tu lo sei. — Non certo quanto te. — Be', non così giovane da non riconoscere una ragazza carina, quando me la trovo davanti. Di una come te, fosse la mia ragazza, saprei averne cura. Ti basterebbe chiedere, o anche solo esprimere un desiderio, che poi ci penserei io. — Anche un milione di dollari? — Per quello ci vorrebbe forse un po' di tempo, ma ce la farei. Sarei anche disposto a rapinare qualcuno, se proprio dovessi. — Non sono cose che una ragazza sente volentieri. Quanto meno, non è quel che voglio sentire io. — E che vorresti sentire? Io te lo dirò. — Non è così che si fa, Goose. Non ha alcun senso. — Non ne dico una giusta, eh? — In effetti. — Però sono ancora convinto che sei carina. — Grazie. — Fosse mio, il figlio che porti, non sarei certo scappato. Sarei rimasto per dargli una casa. Karen scoppiò in lacrime. — Non volevo dire una cosa simile. Non volevo farti piangere. — Ma è così che è andata, o no? Mi sono fatta sbattere, o no? Ho dato retta a Hillbilly. Mi ha detto che ero carina, proprio come fai tu. Mi ha detto un sacco di cose. Avrei dovuto capirlo, che erano solo chiacchiere. Voleva solo entrarmi sotto il vestito. Sono soltanto una poco di buono. — No che non lo sei. Ti ha fregato, ecco tutto. Può capitare a chiunque. Arrivò Ben, che si mise seduto e tentò di fare il cane educato. Goose gli dette le interiora degli scoiattoli. — Hai finito, Goose? — Finito. — Perché non ce li portiamo alla tenda e li friggiamo? Puoi darmi una mano, se vuoi. — Sono qui per questo. Quando Lee e Clyde tornarono al campo e scesero dal camioncino, Sunset uscì dalla tenda pulendosi il volto con un tovagliolo, nel tentativo di togliere le tracce di unto lasciate dallo scoiattolo fritto. Guardò i due uomini
dirigersi verso la tenda. Sembravano soddisfatti. — Cos'è, voi due, avete appena mangiato il canarino? — disse. — Naa, — rispose Clyde, — ma gli abbiamo spaccato il culo. Ha cercato di volar via proprio come un canarino, ma si è messo di mezzo un vicolo. — Già, — disse Lee. — E gli è andata bene, essere finito per terra in quel modo. Altrimenti era ancora lì che volava. Clyde si lasciò scappare un ululato. Sunset li scrutò per un pezzo. Forse, dopotutto, erano veramente sbronzi. — Non so come la prenderai, Sunset, — disse Lee. — Probabilmente non era la cosa giusta da fare. Infantile, magari. Ma siamo andati a saldare i conti con Hillbilly. — Abbiamo avuto un piccolo incontro di preghiera con lui, — disse Clyde. — Be', a dirla tutta, è stato Clyde a celebrare la funzione. Io ero solo nel coro dei fedeli. — Gli siete saltati addosso in due? — Non proprio, — disse Clyde. — Non me ne sarebbe fregato più di tanto, bada. Non avrei disprezzato nemmeno l'aiuto dell'esecito. — Raccontate. — Siamo andati all'indirizzo che mi aveva dato lui, — disse Clyde, — e l'abbiamo trovato in compagnia di una puttana. Tuo padre è salito fin lassù e l'ha riempito di botte, poi l'ha fatto volare dalla finestra. Quando è arrivato giù, l'ho randellato io con lo sfollagente. Due volte. Sunset si portò la mano alla bocca. — Si... si è fatto male? — Cazzo, altro che, — disse Clyde. — Se meni un tipo con lo sfollagente, fa male eccome. Ma è stato niente rispetto a quel che si è beccato in casa sua, quando è volato fuori della finestra a culo nudo. — È... morto? — Naa, — disse Clyde. — Non era poi chissà che volo. Ma non è più carino come prima. Non so se resterà sempre così, ma adesso sembra passato in una grattugia e rimesso insieme da un ubriaco. — Mi spiace, Sunset, — disse Lee. — Lo so che provavi qualcosa, per lui. — Avresti dovuto esserci, quando Lee gli ha fracassato la chitarra nuova sul groppone, a quel figlio di puttana, — disse Clyde. — Un momento fantastico, dammi retta. Pian piano, Sunset riuscì a sorridere. — Mi sarebbe piaciuto esserci. — Specialmente quando è volato nudo dalla finestra, — disse Clyde. —
E sbatteva pure le braccia. Gli bastava un metro e mezzo in più che avrebbero dovuto tirarglielo fuori dal terreno, quel culo, con una ruspa. Sunset scoppiò a ridere, si mise tra i due uomini e passò loro le braccia sulle spalle. — Dovrei arrestarvi, ragazzi. Però, cazzo, quella non è la mia giurisdizione, no? — No di certo, — disse Clyde. — Appunto, — disse Sunset. — Mi toccherà lasciar perdere. Forza, venite dentro. C'è scoiattolo fritto, per cena. 32. Hillbilly era tornato a letto, al piano di sopra, ma non sopportava le amorevoli cure della puttana, perché l'aveva visto rimediare tutte quelle botte senza reagire più di tanto. E per mano di un vecchio, poi. Adesso non aveva certo un bell'aspetto. Quando si era guardato nello specchio vi aveva visto riflesso uno sconosciuto. Un tale pieno di tagli e segni, neanche avesse il vaiolo, naso rotto e labbra gonfie, così come gonfi erano l'occhio destro e una guancia diventata da criceto, di quelle che si riempiono di nocciole. Invece era soltanto il gonfiore causato da un molare saltato via. Anche le palle non erano certo rose e fiori, bensì un gigantesco livido, nere come susine andate a male e sul punto di venir giù dall'albero. La caduta dalla finestra, poi, l'aveva distrutto. Ginocchia contuse, gomiti altrettanto. Non capiva come avesse fatto a non rompersi niente. Si sentiva sbatacchiato da capo a piedi, come gli fosse passato sopra qualcosa di grosso e molto veloce. Con le unghie, la bionda gli tolse una scheggia di vetro dall'uccello e la mise su un fazzoletto sul tavolino ai piedi del letto. — Va' pure, — le disse Hillbilly, mentre lei gli piazzava un panno umido sui gioielli di famiglia, facendolo trasalire. — Ne sei proprio sicuro, tesoro? — Già. Voglio che te ne vai. — È stata una brutta caduta. Potresti avere qualche lesione interna. Magari non dovresti restare da solo. — Va' via. — Tornerai a trovarmi? — Come no. — Non ti costerà un centesimo. Non avevi finito, sai. — Lo so. Vattene, adesso.
Lei si alzò e si rivestì. — Mi spiace per la chitarra, — disse quando fu alla porta. — Va bene. — Hai ancora l'armonica. Hillbilly si tolse il panno umido dall'inguine e glielo tirò contro. — Ho detto vattene. Il panno la colpì alla spalla. Lei inforcò la porta e filò via in fretta. Hillbilly rimase a pensare alle sue prossime mosse. Molto lente, per cause di forza maggiore. Gli venne in mente l'appartamento rosso sopra l'emporio, dove abitava McBride. Era con lui che doveva andare a parlare, vedere se per caso potesse in qualche modo entrare nell'operazione che quel tizio e Henry avevano messo in piedi. Una cosa di cui si vantava era la sua capacità di trovare la strada più semplice in ogni situazione, a meno che non si trattasse di saldare i conti con qualcuno. In questo caso, farla sbrigativa non era certo necessario. Anzi, sarebbe salito in cima a una montagna, avrebbe baciato il culo sudicio di un mulo pur di vendicarsi di chi gli aveva pestato i piedi, specialmente di quel vecchio che l'aveva fatto passare per stupido davanti a una maledetta puttana. Decise di andarci subito, da McBride, alzarsi, vestirsi e darsi una mossa, ma il suo corpo la pensava diversamente. Sta' giù, amico, diceva. Non te la passi tanto bene. Hillbilly ascoltò il consiglio. Che fosse il suo corpo, a decidere. Ma il cervello lavorava a pieno ritmo e sfornava idee a getto continuo, ed erano tutte malvage. Al termine del pasto, dopo che la storia di Lee e Hillbilly finì di essere narrata per l'ennesima volta e tutti se ne stavano seduti sotto la tenda a bere caffè, Sunset scivolò fuori con una striscia di panno bianco che aveva strappato da un vecchio asciugamano, e la legò a un ramo sul retro della vecchia quercia. Ben arrivò al piccolo trotto e la guardò legare il panno. Al termine, Sunset si chinò ad accarezzarlo. Non le restava che aspettare che Bull si facesse vivo. Sperava di sì. Aveva bisogno di lui. Ed era sicura che pure per Zendo sarebbe stato così, anche se lui, al
momento, non ne sapeva nulla. 33. Trascorsero un paio di giorni, ma il panno bianco continuò a pendere dal ramo, il caldo si fece assassino e gli alberi iniziarono a piegarsi come se il cielo li schiacciasse. Cavallette dappertutto, che divoravano anche la più piccola foglia in circolazione. Muoversi era peggio che avanzare in un mare invisibile di pasta di pane; respirare, come avere foglie secche nel naso. La sera Sunset andava a sedersi sotto la quercia. Clyde aveva preso a dormire nel camioncino in cortile, Lee occupava la zona ufficio della tenda con Goose, Sunset e Karen la zona notte. Ma quando tutti si erano addormentati, Sunset usciva, cercava Ben, portava una sedia sotto la quercia e aspettava l'arrivo di Bull. Nell'attesa, coccolava il cane finché lui non si stufava di quelle attenzioni e si sdraiava ai suoi piedi. Dopo un paio di notti, iniziò a sospettare che Bull non si sarebbe mai più fatto vivo. Non le doveva niente, beninteso, e il sentimento di riconoscenza che provava nei suoi confronti poteva già essere svanito. Poteva anche darsi che da quelle parti non passasse mai più, senza quindi vedere il panno appeso al ramo. Pensava a Hillbilly, ricordava di come l'avesse toccata, le avesse mormorato parole dolci, fatto provare l'estasi. Pensava a Karen, a cosa poteva averle detto, Hillbilly, per incantarla. Forse le stesse parole che aveva detto a lei. A ben riflettere, non si ricordava una sola promessa, da parte di Hillbilly. Non a parole, per lo meno, ma le sue mani e le sue labbra e i suoi occhi erano stati fin troppo espliciti, e si erano rivelate tutte balle. Era lieta che suo padre l'avesse preso a calci in culo. E tuttavia sperava che non si fosse fatto troppo male. Sperava che il suo aspetto non si fosse rovinato. Lo detestava, certo, ma le dispiaceva pensarlo un rottame. Era, la sua, una bellezza che non doveva essere sciupata. Anzi, a dirla tutta, neanche doveva invecchiare, o mutare di un nonnulla. Che fare, poi, con Henry e McBride e quello che chiamavano Two? Come comportarsi? Mentre era immersa in queste riflessioni, sopraggiunse Lee, una tazza di caffè per mano. Lo guardò avvicinarsi. — Credevo dormissi.
— Lo credi ogni sera, quando vieni qui. Poi, Goose russa —. Le porse una tazza. — Ti va un po' di caffè? Lei gli sorrise. — Sicuro. Lee le dette entrambe le tazze, trascinò fin laggiù l'altra sedia, si mise comodo, prese la sua tazza e iniziò a bere. — Papà, sono nei guai. Non so bene che fare. — Vuoi raccontarmi qualcosa? — Sì. Gli disse tutto, di Zendo e delle sue terre, di Henry Shelby e McBride e Two, della conversazione in chiesa. E per la prima volta parlò a qualcuno di Bull e dello straccio appeso alla quercia. — Secondo me, adesso se la prenderanno con Zendo, — concluse. — Ho deciso di mandare Clyde a sorvegliare, casomai intendessero agire. Di farlo restare là, con un fucile. Poi c'è Bull, che mi ha detto che mi avrebbe aiutato. — La gente dice un sacco di cose. — Lo so. — Ne ho dette tante anch'io, ma adesso tutto quel che dico è vero. Puoi credercì? — Ci provo. Voglio crederci. Ma è la storia della mia vita. Ho sempre creduto alla gente sbagliata. — Va bene. Ascolta, puoi vederla in due modi. Non è un problema tuo, non l'hai certo ingannato tu, Zendo. E non è colpa tua, se qualcuno può volerlo morto. Ti basterebbe avvertirlo, per avere la coscienza a posto. D'altra parte, se riescono a toglierlo di mezzo, anche solo con un tratto di penna, quella terra potrebbe finire nelle loro mani. Con lui tra i piedi magari lo farebbero lo stesso, ma Zendo potrebbe rivelarsi un osso duro e provare di essere il proprietario. Mettila come vuoi, ma stai pur sempre giocando con la sua vita. — Voglio delle risposte, non dei giochetti. — Avrei potuto dartele qualche anno fa, quando ero uomo di chiesa, perché all'epoca ero convinto di sapere tutto. Ma quel che so è che è necessario avere una sorta di baricentro, Sunset. Mi segui? Ed è da questo baricentro che bisogna operare, evitando di farlo spostare. Lo puoi abbandonare, certo, ma devi impedire che si sposti. — Sì, va bene, sono bei discorsi, ma intanto io che faccio? Avevo pensato di dirlo a Zendo, però un po' mi spaventa. Metti che il rimedio si riveli peggiore del male. Zendo potrebbe dire o fare qualcosa di sbagliato.
Lee bevve lentamente il suo caffè. — In altre parole, non lo stai trattando come un essere umano, ma come uno schiavo da addestrare, e il suo padrone sei tu. — Non ho detto questo. — Ma è l'impressione che mi fai. — Qua, un sacco di gente la vede così. Ovvero, che un uomo di colore non deve prendersi la briga di decidere. Io cerco di trattare Zendo come non fosse nero. E se per questa ragione lui pensasse di poter prendere decisioni come chiunque altro, rischierei di farlo ammazzare. — Potresti trattarlo come un essere umano. Andare da lui e dirgli la verità. Che so: Ehi, Zendo, dubito di poterti aiutare. Siamo soltanto io, Clyde e il mio vecchio, che è già malconcio di suo, mentre quelli sono dei professionisti, gente che di mestiere imbroglia e uccide. Quindi, ti devi arrangiare. Così, l'avresti messo in guardia. — Senza spostare il mio baricentro? — Devi deciderlo tu, non posso certo dirtelo io. Devi sentirla come la cosa giusta. — Oppure? — Porti avanti il lavoro che ti sei impegnata a svolgere. Il più delle volte non è granché, ma altre capita il contrario. In tal caso, che fai? Decidi di lasciar perdere perché è troppo duro? Può essere pure che non ne sei all'altezza, e quindi non è colpa di nessuno, c'è poco da vergognarsi. Ma se invece sei all'altezza e non ne hai voglia, be', è un'altra faccenda. — Come faccio a sapere se sono all'altezza? — Non puoi saperlo. Ma devi volerlo, invece. — E se decido di volerlo? — Allora inizia a pianificare. E considerami arruolato. — Salve. Sunset e Lee fecero un salto sulla sedia. Anche Ben si tirò su, con aria imbarazzata, come a dire: cazzo, amici, sono io il cane, e neanche l'ho sentito, questo, neanche l'ho visto. In piedi alle loro spalle, una mano sullo schienale della sedia di Sunset, c'era Bull. L'aria sembrava carica di elettricità, e piena di un odore terragno che colpiva le narici. — Mai una volta che arrivi come tutti, — disse Sunset. — Non sono certo come tutti, io, — rispose Bull. — Papà, lui è Bull. — Salve, Bull, — disse Lee.— Me la sono quasi fatta addosso.
Bull sogghignò e indicò il panno bianco che pendeva dal ramo. — Vedo che ha messo fuori lo straccio. Ha bisogno di me? — Sì, — disse Sunset. — Che è successo? — Zendo, un tipo di colore. Ha bisogno di qualcuno che lo protegga. — Vuol dire quello della fattoria? — chiese Bull. — Lo conosce? — So chi è. Lo sanno tutti, chi è, per via del suo modo di coltivare la terra. Pensano ci sia dietro qualche magia o roba del genere. Riesce a far venire fuori dei pomodori giganti con un caldo asfissiante, del granturco alto due volte me. È il più bravo. Ha una buona reputazione. — Esatto, — disse Sunset. — Purtroppo, mentre parliamo, gli potrebbe già essere capitato qualcosa, magari qualcuno è andato a fargli del male, a lui e alla sua famiglia. — E perché mai? — chiese Bull. Sunset si lanciò nelle spiegazioni. Al termine, Bull si sedette con la schiena appoggiata al tronco della quercia, rimuginando. — E ha aspettato me? Non ci sono bianchi a sufficienza, in giro? Suo padre sembra pronto, eccome. Non più un ragazzino, come me, ma sono i tipi più pericolosi. Non è vero, paparino? — Proprio così, — disse Lee. — Ha aspettato un po' a decidere se magari Zendo aveva bisogno d'aiuto, no? — disse Bull. — Ancora stasera non avevo la minima idea di cosa volessi fare, — rispose Sunset. — E secondo me Zendo non era veramente in pericolo fino a poco fa, vale a dire fino a quando ho parlato con Henry e McBride. Ma anche allora, non avevo le idee chiare. Poi ho raccontato tutto a mio padre, e i nodi hanno cominciato a venire al pettine. E, francamente, sono convinta che a tenere d'occhio Zendo sia più bravo lei che non Clyde, mio padre o la sottoscritta. — Lo pensa davvero? — chiese Bull. — E lei no? — rispose Sunset. — Può essere. Va bene, accetto. Zendo ha bisogno del mio aiuto, ma lei deve fare qualcos'altro. Deve fermare quei tipi che vogliono la sua terra. Non è forse suo compito, come rappresentante della legge? — Esatto. — Sarei molto contento se una persona di colore diventasse ricca. Quei soldi cadrebbero proprio a fagiolo.
— Ma potrebbero anche renderlo un bersaglio, — disse Lee. — E se sei nella tomba, i soldi non ti servono più. — Be', è vero, — disse Bull. — I bianchi non lo sopportano proprio, un negro con i soldi, specialmente se ne ha più di loro. — È un problema che affronteremo a tempo debito, — disse Sunset. — Signora, — disse Bull. — Può star sicura che farò ciò che mi chiede, ma lei deve stare addosso a quella gente e metterla con le spalle al muro. Li arresti, faccia come le pare, ma faccia qualcosa. — Va bene, — disse Sunset. — Ha un'arma, Bull? — disse Lee. — Potrebbe averne bisogno. Bull si tirò su la camicia. Infilata nella cintura c'era una piccola pistola. — È solo per le distanze brevi. Ho lasciato un fucile a pompa nel bosco, un calibro dieci, appoggiato a un albero della gomma. Non mi sembrava il caso di arrivare con quello in mano. — Un calibro dieci andrà benissimo, — disse Lee. — Grazie della conferma. — Sunset, c'è qualcun altro che può darti una mano? — disse Lee. — Più siamo e meglio è eccetera. — E che non so chi sta dalla parte di Henry e chi no, — disse Sunset. — Ignoro chi appartenga al Klan. Potrei tirare a indovinare, ma sono convinta che più persone sanno di questa faccenda, più grosso rischia di diventare il problema. Potrei radunare un mucchio di gente credendola dalla mia parte, e invece potrebbe stare da quella di Henry. Lee annuì. — Sembra ragionevole. — E per quanto riguarda lei, ragazza mia? — disse Bull. — La sua famiglia? — È il mio chiodo fisso. Pensavo di mandare Karen da sua nonna, ma rischierei di coinvolgere anche Marilyn. Non sarebbe certo più al sicuro. Goose non ne sa niente, è chiaro. Forse dovrebbe, invece, così che possa decidere se andarsene o restare. Per quanto riguarda Clyde, lui sa tutto, escluso ciò che la riguarda. — È quello laggiù, col piede sul cruscotto? — chiese Bill, indicando lo scassato camioncino di Clyde nel vialetto. — Già, — disse Sunset. — Allora va bene, — disse Bull. — Ho capito. Andrò a fare quattro chiacchiere con Zendo. — Quando? — chiese Sunset. — Visto che non sono uno che dorme molto, ci andrò subito e resterò in
zona fino al mattino. Poi, quando Zendo esce per andare al lavoro, gli parlerò. — Sono vicine, le terre di Zendo? — domandò Lee. — No, — rispose Bull. — Ma posso tagliare per il bosco e risparmiare un po' di strada. — Potrei accompagnarla io in macchina e lasciarla da quelle parti, — disse Lee. — Ma solo se Sunset mi presta l'auto e lei mi indica la strada. Dopo che Bull ebbe recuperato il suo calibro dieci e se ne fu andato assieme a Lee, Sunset si avvicinò al camioncino in cui riposava Clyde e sbirciò all'interno. La luce di una torcia le si piantò in viso, costringendola a tirarsi indietro e a coprirsi gli occhi con una mano. — Scusa, — disse Clyde, mettendosi a sedere e spegnendo la torcia. — Pensavo dormissi, — fece Sunset. — No. Ero sdraiato e basta. Ascoltavo i vostri discorsi. — Questo si chiama origliare. — Non l'ho fatto apposta. Ero venuto qui a dormire. Sunset aprì la portiera e s'infilò accanto a Clyde, che si era spostato dietro il volante. — Un posticino tutto tuo, — disse. — Più o meno. Se conti anche il legno bruciato. — L'hai visto, Bull? — Mi sono tirato su per dare una sbirciatina. Che bestione. — Davvero. — Pensi di poterti fidare? — È stato Bull a venirmi a cercare. Mi ha detto di legare uno straccio al ramo di quell'albero, casomai avessi avuto bisogno di lui, e difatti è arrivato. Quindi, sì, mi fido. Clyde? — Che c'è? — Sono stata proprio stupida... Con Hillbilly, intendo. — Sono d'accordo. — Certe volte, be'... certe volte capita di avere qualcosa di bello proprio davanti agli occhi e non vederlo perché ci stai guardando attorno, alla ricerca di qualcos'altro. — Non starai parlando di me, eh? — Sì. — Ascolta, Sunset... se pensassi che tu intendessi... insomma, lo so che non intendi... in quel modo. Ma se davvero tu dicessi sul serio, sarei molto
felice. Però non voglio compassione. — Non farmi incazzare, Clyde, altrimenti prendo il tuo sfollagente e te lo sbatto sulla testa. Sono un'idiota. Altro non dico. Non sto facendo dichiarazioni o roba del genere. Non dico che mi sono innamorata. Dico solo che sono stata un'idiota e che tu hai cercato di avvisarmi. Sei un buon amico. — Ancora una volta sono d'accordo con te. — Ti secca se ti dò un bacio? — Da buoni amici, vuoi dire? — Sicuro. Sunset si sporse a baciare Clyde sulla guancia. — Non era un bacio di compassione, eh? — le chiese lui. — Non fare lo scemo, Clyde. Non c'è motivo di avere compassione. — Non è che dici tanto per dire? — No di certo. Era quel che era. — A ogni modo, è stata una bella cosa. Buonanotte, — disse Clyde. 34. Il mattino dopo, Zendo fece uscire i muli dalla stalla sul retro della casa, dette loro da mangiare, li bardò e li condusse al campo. Sotto la quercia presso la quale ogni giorno consumava il pranzo, lo stava aspettando Bull. Zendo l'aveva visto qualche volta, in precedenza; ma adesso, a distanza ravvicinata, gli fece un bello spavento. Era grande e grosso, con una gran massa di capelli incolti, e negli occhi aveva uno sguardo spento, come di un pesce rimasto fuor d'acqua troppo a lungo. Zendo conduceva i muli per le redini, pronto a legarle all'aratro che aveva lasciato nel campo, ma nel vedere Bull si fermò e, con un grido, arrestò anche le bestie. — Sei tu Zendo? — chiese Bull. Zendo annuì. — Come sta, signor Bull? — disse, girando attorno ai muli e mettendosi al fianco di uno dei due, le lunghe redini in mano. — Tiro avanti, grazie. Non c'è ragione di lamentarsi, tanto non è che le cose cambino. — Be', lo stesso vale per me. — No, — disse Bull. — Tu non te la passi troppo bene. A Zendo parve che qualcuno gli infilasse un bastone in culo. Se c'era una cosa che proprio non gli andava, era avere il leggendario Bull Stacker-
lee alle calcagna. La grossa sorpresa era che Bull conoscesse addirittura il suo nome. — Come sarebbe, signor Bull? — disse Zendo, stupito del tono stridulo della sua voce. — Be', cercherò di spiegartelo, — disse Bull, alzandosi. — Da un lato, te la passi così bene da far cantare un coro di angeli, e dall'altro il tuo uccello è in una morsa e un bianco ha la mano sulla manovella. — C'è una bella differenza, tra le due cose, — disse Zendo. — Difatti, — disse Bull. — Vuoi prima le notizie buone o quelle cattive? Zendo non ci stava capendo niente, gli pareva d'essersi svegliato in un'altra città, completamente nudo. — Be', signor Bull, — disse. — Leviamoci il pensiero. Prima le cattive, poi lo zuccherino. Hillbilly riempì d'acqua una tazza, la piazzò sotto le palle e, a forza di allargare le gambe e piegare le ginocchia, riuscì a farcele entrare. Il dolore parve attenuarsi, anche se di poco. Rimase in quella posizione, come su un cavallo invisibile, la mano sinistra a reggere la tazza e le palle, mentre la destra gli serviva per portarsi alla bocca una bottiglia di whisky. La notte precedente si era ubriacato, per risvegliarsi di merda, e gli era toccato combattere la sbronza con un altro po' d'alcol, ma adesso non era più sbronzo, né per quel giorno lo sarebbe più stato. Aveva in mente di vestirsi e andare a trovare McBride. Gli ci volle un pezzo per riprendersi, ma finalmente riuscì a mettersi qualcosa addosso e uscire di casa. Era una giornata calda, il cielo era azzurro ma con un'aria greve, come fosse sul punto di cadergli sulla testa. C'era qualche nuvola sfilacciata, simile a strisce di cotone strappate da un materasso azzurro, che si allungava nel cielo. La strada era piena di polvere e di cavallette. Hillbilly non ne aveva mai viste così tante, prima d'ora. Non certo in una strada. In un campo sì, forse, ma non nel bel mezzo di una città. Camminando a gambe larghe, con le cavallette che gli zompavano attorno, caracollò fino a Main Street, verso l'appartamento rosso sopra l'emporio. Gli ci volle un po' per raggiungerlo, e quando imboccò le scale era in preda a un dolore lancinante. Non c'era un punto che non gli facesse male, ma le reni (su cui era caduto) e le palle (prese a calci) erano i peggiori. A ogni passo, gli sembrava che qualcuno lo colpisse, là, con una sbarra di ferro.
Arrivò in cima alle scale e bussò alla porta. Dopo un po' gli aprì la stessa puttana bionda che era in casa sua la volta che aveva fatto irruzione il vecchio di Sunset. — Be', — le disse, — non sei certo una che sta ferma. Lei lo guardò a lungo. — Sai com'è, — disse, — faccio la puttana. — Certo che lo so, — rispose lui. — Come staì? — Mai stato meglio. — Cercavi me? — Non avrei saputo dove cercarti. No, non volevo te. — Perché sei qui? — Almeno questa è una domanda che io non ho bisogno di farti, non credi? — Già, — fece lei. — Mi sa che hai ragione. Sono ancora in debito con te. — Certo, — disse lui. — McBride c'è? Lei annuì. — Va' pure. Gli dirò che sei un commesso viaggiatore. — E perché mai? — Ho qualche sospetto su quel che vuoi fare, — disse lei. — Non so bene com'è andata, ma ho sentito abbastanza in giro per capire cosa ti è successo, così ho fatto due più due. Magari vorresti vendicarti di quella donna sceriffo o di suo padre chiedendo aiuto a questa gente. Ma è gente davvero malvagia, Hillbilly. — Certo che ne sai, di cose. — Non sto mai ferma. — Ci scommetto, — disse lui. — Ma so essere malvagio anch'io, tesoro. — Non proprio. — Oh, sì, — disse lui. — Eccome. Lei tirò un profondo respiro. — Oltre a dar via il culo, ti tocca anche aprire la porta? — chiese lui. — Faccio quel che mi dicono di fare. — Chiamami quel tale, ho detto. — Guarda che non mi stai pagando. Io lo faccio per soldi, Hillbilly, e tu non mi hai mai dato un centesimo. — Ma te la sei spassata, con me. — Con te e con tutti gli altri. Pensavo che noi due... Hillbilly sorrise. — Non conosco donna che non l'abbia pensato. Il volto della bionda si fece duro. — Aspetta qui, — disse.
Era un'ampia striscia di terra, un tempo piena di alberi, che erano stati poi tagliati e avviati alla segheria, fatta eccezione per tre. Due querce e un albero della gomma. Le querce erano sul davanti della casa, l'albero della gomma su un lato. La casa era su due livelli, ed era circondata, su entrambi i piani, da una veranda che le correva attorno. L'avevano dipinta di bianco, e l'erba piantata di fresco era stata tagliata da una tribù di negri armati di falciatrici da giardino. Pur con un tempo così secco, era ben annaffiata e di un bel colore verde. Sunset notò che l'aspetto generale era migliore di quello della casa di Marilyn, malgrado quest'ultima fosse proprietaria di una quota consistente della segheria. Ma l'abitazione di Henry si levava sfacciata come una zecca sul culo di un nobile, senza pensare che un tale sfoggio faceva sorgere dubbi sulla provenienza del danaro del suo proprietario. Sunset, in compagnia di Clyde, parcheggiò la macchina davanti alla casa e rimase seduta a guardare. — Solo nella veranda al pianterreno, — disse Clyde, — ci si potrebbe vivere belli larghi. Sunset scese e attraversò il prato, mentre Clyde si affrettava a starle dietro. Raggiunta la porta, bussò, e le fu aperto da una donna di colore grande e grossa, una cicciona con un fazzoletto annodato sul capo e un vestito lungo fino ai piedi, decorato a disegni così vivaci da far girare la testa. Dall'interno veniva un rumore, una sorta di colpo secco, a intervalli quasi regolari. — Sì, signora, cosa vuole? — disse la donna. — Henry, — rispose Sunset. — Voglio vedere Henry. — Vado a chiederglielo. — No, — proseguì Sunset. — Bene così. Entriamo e basta. — Devo chiedere il permesso, — disse la donna. — Mi hanno appena assunto. — Potrebbe non durare a lungo, — disse Sunset. — Mi spiace. — Lei è la legge, — spiegò Clyde. La domestica esaminò il distintivo sulla camicia di Sunset. — Non c'è dubbio. E io non la fermo di certo, la legge. La donna si fece da parte e i due entrarono. — Dov'è? — chiese Sunset. La domestica fece cenno col dito, ma Sunset aveva già visto. Henry era davanti a un enorme caminetto, con un divano alle spalle, dalla cui menso-
la toglieva una serie di ninnoli in ceramica, gettandoli per terra con inaudita violenza. All'ingresso di Sunset e Clyde aveva appena afferrato un gatto rosa. Lo scagliò in terra, e i frammenti andarono a mischiarsi con gli altri già sparsi sul pavimento. Alzò lo sguardo e vide i due visitatori. — Non la sopporto, questa roba, — disse. — Mia moglie aveva riempito la casa. — Un bel modo di mantenerne viva la memoria, — disse Clyde. Henry fece una smorfia. — Che vuoi, ragazza? Hai già pensato a quel che ti ho detto l'altro giorno? — Già. — E immagino, vista la sua presenza, che tu non abbia ritenuto opportuno seguire il mio consiglio. Sunset annuì. — Libera di scegliere, ragazza. Grazie per essermelo venuto a dire. Adesso, fuori. — Ce ne andiamo, certo, — disse Sunset. — Ma tu vieni con noi. La bocca di Henry si aprì appena. — Non avrai intenzione di arrestarmi? — Proprio così. — E per quale motivo? — Le cose che mi hai detto l'altro giorno. — Io non ti ho detto proprio nulla. Erano solo discorsi. È la mia parola contro la tua. — Io sono la legge. Non avresti dovuto dirmi niente. L'espressione di Henry sembrava quella di uno che ha appena inghiottito una manciata di allume. — Credevo di poter parlare, con te, — disse. — Di indurti alla ragione. Alcune delle cose che ho detto erano crude, ma pensavo che mi saresti stata a sentire. Ti facevo più furba. — Ti sbagliavi, — disse Sunset. — Clyde, portalo via. Se oppone resistenza, prendilo a cazzotti. — Resisti, Henry, — disse Clyde, facendosi sotto. — Fammi felice. Uscirono, con Clyde che teneva Henry per un braccio. — Vuole che pulisca io tutto il casino che ha fatto laggiù? — disse la domestica a Henry. Lui non rispose. — E la mia paga? Ancora nessuna risposta. — Allora se lo pulirà da solo, ecco cosa. Io non avevo nulla contro quei
soprammobili. — ...e posso esservi d'aiuto, — concluse la sua concione Hillbilly, cercando di mantenere la voce ferma e sperando di non sudare troppo. Era caldo, in quell'appartamento, ma sudava più lui che l'uomo che gli stava davanti, McBride, sprofondato su una sedia che aveva trascinato proprio di fronte a Hillbilly, al quale aveva detto di accomodarsi su un divano basso addossato alla parete. E Hillbilly vi si era seduto con le mani in grembo, per una volta senza badare a quanto fosse indolenzito, perché questo McBride e i suoi occhi lo mettevano a disagio. Per non parlare dell'assurdo parrucchino e di quel cazzo di grembiule che aveva addosso. Un aggeggio bordato di gale, che gli andava dal petto alle ginocchia, pieno di chiazze rosse. Ma non gli conferiva l'aria da finocchio, e non lo faceva apparire ridicolo. Non un tipo del genere. Forse si stava ammosciando, pensò, per essersi fatto menare da un vecchio, e la cosa gli aveva tolto un bel po' della sua sicumera. Non prendeva una batosta simile da quando era piccolo: suo padre gliele aveva date con una coramella da rasoio, facendogli perdere i sensi almeno un paio di volte. Ma da allora non aveva più perso uno scontro, finché non le aveva prese da un vecchio, e ora si trovava davanti a un altro vecchio che gli metteva paura. Più lui che il padre di Sunset. A questo mancava qualcosa che invece avrebbe dovuto esserci, non c'era dubbio. Glielo leggeva negli occhi. Per di più c'era anche il negrone, Two, un tipo che continuava a parlare da solo, a fare domande come ci fosse qualcun altro con lui; non domande rivolte a Hillbilly o a McBride, ma gettate così, in aria, e cui dava risposta lui stesso. E adesso, maledizione, il negrone era venuto a sederglisi accanto sul divano e gli aveva messo una mano sul ginocchio, e Hillbilly non riusciva a capirla, questa cosa, non ne capiva il senso, ma la mano se ne stava lì simile a un granchio gigante, nero, pesante, caldo e immobile come una piccola ancora. La bionda era stata fatta uscire dalla stanza, mentre Hillbilly avrebbe voluto che rimanesse e rimpiangeva di non essere stato più carino con lei. Aveva bisogno di un volto amico. Quei due, era difficile incantarli. Il più delle volte, con gli uomini andava così: capivano che tipo era, forse non fino in fondo, ma abbastanza per dargli fastidio. Con le donne, era un'altra faccenda. Gli piaceva, parlare alle donne. Gli piaceva muoversi in mezzo a
loro, e a loro piaceva vederlo muoversi. Ma questi due, o forse tre, non li aveva certo impressionati. — E così vorresti pareggiare i conti col tizio che ti ha menato? — disse McBride accendendosi un sigaro. Era seduto davanti a lui, con il grembiule a trine e il parrucchino nero come il carbone, mentre il negrone portava una giacca che uno si aspetterebbe di vedere addosso a quei tipi che agitano una bacchetta di fronte a una banda o a un'orchestra. Aveva anche una bombetta. — È uno dei motivi, certo, — disse Hillbilly. — Un altro è che magari potrei farmi qualche soldo. — Sai già tutto sulla faccenda del petrolio, a sentirti parlare, — disse McBride. Hillbilly annuì. — Sai un sacco di cose che potrebbero metterti nei guai fino al collo. Sbaglio, Two? — Potrebbero, — disse Two. E aggiunse, con un'altra voce: — E un dato di fatto, amico mio. — Fagli vedere di che razza di guai si parla, Two, — disse McBride. Two strinse la rotula di Hillbilly con tale violenza da farla quasi saltar via. Hillbilly allungò le mani e afferrò il polso del nero. — Molla, — disse Two. E l'altra sua voce: — Sì, molla. Hillbilly abbandonò la presa, ma Two continuò a stringere. Senza nemmeno accorgersene, Hillbilly si mise la mano in bocca di taglio e la serrò tra i denti per evitare di urlare. Proprio quando stava per portarsi via con un morso un pezzo di mano e la sua rotula era ormai sul punto di staccarsi, Two allentò la stretta e batté un colpetto sulla coscia di Hillbilly. — È solo un piccolo esempio, — disse McBride. — Detesto la gente che conosce i fatti miei, e io certo non li vado a raccontare in giro. Non mi piace che li hai saputi da Rooster, in primo luogo perché non mi piace nemmeno Rooster. Ha tagliato la corda, sai com'è. Più sveglio di quel che sembrava. Non mi serviva più, in realtà, e sono convinto che se ne fosse accorto. Di te, forse, saprei cosa farmene. La faccia che ti ritrovi, quando guarisce, scommetto che è proprio carina. Dico bene? — Sì, — disse Hillbilly. — Dice bene. Ma il mio naso non tornerà a posto mai più. McBride scoppiò a ridere, e Two si lasciò scappare un enorme sorriso che gli scoprì i denti bianchi. — Ho combattuto con Jack Johnson, una volta, prima che diventasse
famoso, — disse McBride. — Mi ha rotto il naso. Me ne sono accorto soltanto dopo. Non fosse stato per un uragano che ha mandato a gambe all'aria l'incontro, penso che avrei vinto io. Ma non ho avuto modo di saperlo. Ci toccò darci un taglio prima che scoppiasse il casino. Il naso è una cosa buffa. Si rompe facilmente. Ti faccio vedere. McBride si sporse sulla sedia con gran rapidità e colpì Hillbilly sul naso con un secco destro. Il sangue schizzò dappertutto. Hillbilly si prese la testa tra le mani, lamentandosi. — Credevi che fosse rotto, — disse McBride. — Prima non lo era. Adesso sì. Te ne vieni fin qui, a dirmi cose che non dovresti sapere, così io penso che dovrei darti in mano a Two, che ti faccia il suo lavoretto da negri. Sai che lui può torcerti il collo come a una gallina, staccarti la testa e ficcarti il suo uccello in gola mentre muori dissanguato? Potrei farlo anch'io, ma non mi va di sporcarmi l'uccello di sangue. Capito, bel ragazzo di una volta? — Sì, — disse Hillbilly. — Capito. — D'accordo, allora. Ti lascio vivere, ma prendila come una specie di lezione, di messaggio. Hai fatto il voltagabbana con quella ragazza e sei venuto qui. Nessun problema, ma fa' lo stesso con me e ti sistemo. Capito? — Sì. Messaggio ricevuto. Forte e chiaro. — Bene. Molto bene. Adesso ti dico cosa devi fare, e sappi che in questa fase del nostro rapporto tu non hai facoltà di parola. Capito? — Sì. Two scivolò sul divano e mise un braccio attorno alle spalle di Hillbilly, che girò la testa verso di lui e se lo trovò vicinissimo, i denti bianchi aperti in un sorriso, gli occhi verdi luminosi come smeraldi. Hillbilly tornò a voltarsi verso McBride, e McBride cominciò a parlare. Lee, Goose e Karen, dopo la partenza di Clyde e Sunset, avevano trasferito la tenda e tutte le masserizie sul terreno di Clyde, usando il suo camioncino per quattro o cinque viaggi. Quando Sunset e Clyde, insieme a Henry, li raggiunsero, trovarono la tenda già montata. Su un fianco c'era la cerata messa in piedi da Clyde, e sull'altro le rovine della casa bruciata. Sul davanti della tenda era stato piantato un grosso palo, con una massiccia catena infilata in un foro al centro del palo stesso. Era parecchio lunga, e alla sua estremità era stato legato Ben, che adesso indossava un collare ricavato da una vecchia cintura. Lee, Goose e Karen uscirono dalla tenda. Lee aveva con sé una sedia.
— Che cazzo stai facendo? — disse Henry. — Galera, — rispose Sunset. — Ti sbatto in galera. — Che galera? Sunset ingranò la marcia e tirò il freno a mano, voltandosi per guardare Henry, seduto dietro assieme a Clyde, che gli aveva legato le mani con un pezzo di corda. Henry era incazzato peggio di un calabrone in un barattolo di frutta. — Proprio quel che ho pensato io, — disse Sunset. — Che galera? Mi serve una cella per Henry, ma non ce l'ho. Poi mi è venuto in mente che tu, Henry, hai degli amici, e se ti porto a casa mia e ti lascio lì quelli potrebbero trovarti. Così ci siamo trasferiti. La gente lo sa, dove abito, le voci girano, ma dove abita Clyde potrebbe non ricordarlo nessuno, e se pure se lo ricordano, be', in fin dei conti Clyde vive quaggiù da solo da anni. Non è così, Clyde? — Ma certo. E gente in visita non ne è mai venuta, fatto salvo Hillbilly. Quindi, se qualcuno tiene a te, potrebbe avere qualche problema a sapere dove sei finito. È chiaro, possono sempre scovarti, ma è a questo che servono le doppiette, a tenere alla larga i curiosi figli di puttana. — Te ne pentirai, ragazzina, — disse Henry. — Sono già pentita, — disse Sunset. — Rimpiango di aver accettato questo lavoro e aver scoperto tante porcherie sul tuo conto. Henry pareva sorpreso. — Allora lasciami andare. Molla tutto. Vattene. Cazzo, l'offerta dei quattrini è ancora valida. Possiamo farci entrare pure Clyde. — Sono pentita di aver accettato, certo, — disse Sunset. — Ma c'è la faccenda del baricentro. Cazzo, ho scoperto di averne uno, e non voglio affatto spostarlo. — Eh? — disse Henry. — Non capiresti, — disse Sunset. Fecero scendere Henry dalla macchina. Raggiunsero il palo di fronte alla tenda, e Sunset si rivolse a Lee: — Be', papà, com'è quel palo? Solido? — Secondo Ben, sì. Ha tirato per un po' e alla fine si è sdraiato. — Tutto a posto, allora. Clyde entrò nella tenda e ne uscì con un paio di manette e un lucchetto. Con un coltello tagliò la corda che teneva legato Henry, poi lo ammanettò. — Ma che cazzo state facendo? — disse Henry. — Ti sbattiamo in galera, — disse Sunset. Fece passare la catena nelle manette e infilò il lucchetto tra due maglie.
Lee sistemò la sedia contro il palo. — Questa è la tua cella, — disse Sunset. — Qua fuorì? — fece Henry. — C'è anche l'ombra, — disse Sunset. — Non puoi farmi questo. — Certo che posso. Spero soltanto di non perdere le chiavi della catena, o del lucchetto. Siediti da solo, oppure ti faccio mettere seduto da Clyde. Karen, va' a prendere un po' d'acqua per Henry, ti spiace? — Stai peggiorando la situazione, — disse Henry. — Siediti, Henry. — Quanto avete intenzione di tenermi quaggiù? — E che ne so. Devo ancora decidere cosa farne, di te, trovare uno sbirro che non ti lasci andare, capire chi è col Klan o magari ha qualche legame, scovare gente che non cambi idea al solo sventolare di una banconota. — La vedo difficile, — disse Henry. — Non tutti sono corrotti, — disse Sunset. — Io credo di sì, — disse Henry. — Quando si viene al sodo, tutti sono corrotti, o quanto meno disposti a qualche compromesso. Così va il mondo, ragazzina. — Signore, — disse Lee. — Se si azzarda ancora a chiamare mia figlia «ragazzina», vediamo subito quante volte posso rincorrerla attorno a quel palo, prima che finisca la catena. Henry si sedette in silenzio. Karen arrivò con una tazza d'acqua. Henry la prese e la versò in terra. — Peccato, Henry, perché non ne avrai altra fino a sera, — disse Clyde. — Posso aizzarglielo contro, Ben? — domandò Goose. — Non ancora, tesoro, — disse Sunset. 35. La Plymouth scura ronzava nell'oscurità come un'ape e, anche se faceva caldo, i finestrini erano quasi tutti alzati per via delle cavallette. Quelle bestie erano dovunque. Pure allora, a notte alta, saltavano e facevano una serie di giravolte alla luce dei fari. Plug fermò la macchina sul ciglio della strada e prese la bottiglia dal sedile, svitò il tappo e bevve un sorso. L'odore di whisky riempì l'aria. — Non devi bere così tanto, — disse Hillbilly, seduto accanto al conducente. — Ho già bevuto un sacco.
— È quel che ti sto dicendo. Basta così. — Non capisco perché sei tu lo sceriffo. Non ti ho mai sentito nominare, e adesso che Rooster se n'è andato prendi il suo posto. Ti ho visto una volta sola, con quella rossa, ed eccoti sceriffo. — Per prima cosa, — disse Hillbilly, — io non sono stupido. — Sta' attento, — disse Plug. — Meglio non avermi addosso. Hillbilly rise. Sul sedile posteriore, Tootie spostò la doppietta che teneva in grembo. — Dovremmo bere tutti un goccio, — disse. — Ne avremo bisogno. Potrei scendere adesso e mettermi a camminare, ma se devo rimanere ho bisogno di un goccio. — Nessuno si muove di qui, — disse Two, seduto al suo fianco, anche lui con una doppietta sulle ginocchia. — Esatto, — rispose l'altra personalità di Two. — Ce ne restiamo tutti qui. Vedi di muoverti, con questa macchina. — Voglio bere, — disse Tootie. — Un negro col cervello in pappa che parla da solo non può venirmi a dire che non posso farmi una bevuta. Un negro non dovrebbe dire proprio un bel niente, a un bianco. Two sollevò noncurante la doppietta e la accostò all'orecchio destro di Tootie, per poi premere il grilletto. Il colpo fece saltar via la sommità del cranio di Tootie e il vetro del finestrino, e riempì di pallini l'interno della macchina. Il sangue finì copioso sulla nuca di Hillbilly, sul sedile posteriore, su Two e il suo soprabito nero e la sua bombetta nera, e nell'abitacolo si sparse un forte odore di zolfo. Plug aprì la portiera e saltò fuori. Correndo, fece il giro della macchina e piazzò le mani sul cofano. — Porca miseria, — disse. — Porca miseria. Hillbilly non si era mosso. Sentiva il sangue di Tootie colargli giù per la nuca. — Non mi piace la gente che non vuol finire le cose avviate, — disse Two. — Neanche a me, — disse l'Altro Two. — E neanche a me, — disse Hillbilly, le mani che tremavano sulla sua doppietta. — Apri la portiera posteriore, — disse Two. — Tiralo via. Hillbilly sistemò la doppietta sul sedile, con lentezza e cautela. Non avrebbe saputo far di meglio con un uovo già incrinato. Cercò di non incrociare lo sguardo di Two. Scese e aprì la portiera posteriore. — Sta' indietro, — disse quindi Two, che si appoggiò con la schiena alla portiera dalla
sua parte, piazzò i piedi sul cadavere di Tootie e lo spinse all'esterno. Tootie cadde sul ciglio della strada, ancora in posizione seduta. Ben presto fu ricoperto dalle cavallette. Two scese, girò intorno alla macchina e posò la doppietta a terra. Sollevò la testa di Tootie, scacciò le cavallette con la mano e si chinò fin quasi a toccare la bocca del morto con la sua. Poi gli frugò dietro la testa con le lunghe dita, pollice e indice, fino a bloccarsi sui cardini della mascella. Two premette, e la bocca del morto, già aperta, si aprì ancora di più. Il nero si abbassò e applicò la sua bocca a quella di Tootie. — Dio santo, — disse Hillbilly, — ma che stai facendo, in nome di Dio? Two continuò a succhiare ancora per un momento dalla bocca di Tootie. Poi lo lasciò cadere nella polvere. — Quel che Dio vuole, — disse Two. — Ho mangiato la sua anima, — disse l'Altro Two. — L'ho mangiata, ed era dolce. — Dio santo, — disse Plug davanti al cofano. Two recuperò la doppietta e si rialzò. — Portalo via, — disse a Hillbilly. — Portalo nel bosco, qui, — disse l'Altro Two. Hillbilly fece come gli era stato ordinato, e alla svelta. Mentre trascinava il cadavere, le cavallette saltavano per ogni dove. Giunto sul limitare del bosco, vide che il fogliame era già stato divorato da quelle bestie, e che la macchia era ormai ridotta a rami secchi. Hillbilly spinse Tootie tra i cespugli nudi fino a raggiungere un punto con qualche grosso albero, e lo lasciò su un letto di pochi aghi di pino. Two si accostò a Plug. — Tu hai qualche problema, nel fare ciò che devi? — Non c'era bisogno di ucciderlo, — rispose Plug. — Stava solo parlando. Tutti possiamo cambiare idea. Ma lui non voleva certo dire niente. Non siamo come te, anzi, come voi. Non abbiamo mai fatto una cosa del genere. Il negrone rimase in silenzio, la doppietta tra le braccia. Piegò la testa da una parte. — Io ci sono, — disse Plug. — Non ho cambiato idea. Hillbilly tagliò via un pezzo della camicia di Tootie e lo usò per tergersi il sangue dalla nuca. Poi lo gettò in terra, tornò alla macchina e salì a bordo. Il fragore del colpo gli ronzava ancora nell'orecchio, anche se era stato sparato nella direzione opposta. Capiva tutto quel che veniva detto, ma era come se le parole venissero pronunciate in una caverna.
Plug accese il motore. — Sto solo dicendo, Two, che non ce n'era bisogno, — disse. — Non voleva dire niente, con quei discorsi. Era solo nervoso. Aveva una moglie e un figlio. — Cosa credi, che gli altri non li hanno? — disse Two. — Credi che lui fosse meglio di loro? Non c'è bisogno di tirar fuori il buono e il cattivo, le mogli e i figli. Che c'entra? Non fa parte del disegno di Dio. I bambini muoiono spesso, così come i vecchi. La morte non è affare di Dio. A lui interessano le anime. — E credi che a me importi? — disse l'Altro Two. — Credi che mi importi di qualcosa? Mogli e bambini muoiono come chiunque altro. Siamo noi a prenderci tutte le anime possibili, e quando Dio ci chiama, le consegniamo a lui. La nostra morte varrà molto più di quella della moltitudine, perché siamo noi la moltitudine. — Lo vedo, — disse Hillbilly, e strizzò l'occhio a Plug. — Quando avremo finito, — disse Two, — questa macchina avrà bisogno di una bella pulita. — E dovremo ordinare un vetro nuovo, — disse l'Altro Two. — E un po' di vernice. Il fratello McBride ci tiene, a questa macchina, e la vuole a posto. Quando giunsero nel luogo in cui abitava Sunset trovarono soltanto il vecchio pavimento della casa, oltre alla baracca usata come cesso e al lungo palo piantato da Marilyn per assicurarvi la corda da bucato. — Sono scappati, — disse Plug. — Non dobbiamo uccidere nessuno. — Secondo me non sono scappati, — disse Hillbilly. — E invece sì, — ribatté Plug. — Altrimenti dove sono? — Non sanno che ci sono io, con voi, — disse Hillbilly. — Non sanno che io qualche idea su dove sono finiti ce l'ho. Si sono nascosti, certo, ma non come credi tu. — Parla, — disse Two. — Secondo me dovremmo provare da Clyde, — disse Hillbilly. — Fossi in loro, è laggiù che andrei, mi porterei dietro la tenda, rimonterei tutto là. — Clyde? — chiese Two. — Il vice, — disse Hillbilly. — E Henry? — fece Two. — Dice il fratello McBride che Henry è stato arrestato oggi. Che una cameriera l'ha detto a qualcuno e questo qualcuno l'ha detto a qualcun altro, poi la voce è arrivata al fratello McBride. — È qui il nocciolo della questione, — disse l'Altro Two. — Henry. E la
donna. — E gli altri? — fece Plug. — Non c'entrano? — Certo, — disse Two. — Loro e questo Zendo. — Ma Zendo non ne sa niente, — disse Plug. — Può darsi che adesso qualcosa sappia, invece, — disse l'Altro Two. — Che ne è stato di Henry? — È con loro, — disse Hillbilly. — E nessuno da queste parti vorrà aiutarli. Sono stati costretti a portarselo dietro. Se sono andati da Clyde, ci sarà anche Henry. O da Clyde o da Marilyn, la suocera di Sunset, ma questa ipotesi mi sembra meno probabile. Troppo ovvia, troppo banale. Da Clyde, è il posto giusto. — Va bene, — disse Two. — E la suocera? — Non so se può essere un problema, — disse Hillbilly. — Ci penseremo, — disse l'Altro Two. — Lo dirò al fratello McBride, e sarà lui a prendere una decisione. Hillbilly, guidaci tu. Plug, per cortesia, mettiti al volante. — Vorrei fare qualcosa, — disse Goose. — Per ricambiare le vostre attenzioni, signora. La sua e quella di Lee. — Quel che devi fare, — disse Sunset, — è dare una mano a Clyde. Mio padre e io ce ne andiamo da Zendo a vedere che succede con Bull. Mi è venuta un'idea che potrebbe funzionare. — Voglio solo darvi una mano, — disse Goose. — Lo so, e grazie del pensiero. Resta con Clyde, Karen e Ben. Tieni d'occhio il vecchio Henry, qui, e la tenda. È il tuo compito, ed è importante. Erano fuori della tenda, vicino al palo cui Henry era incatenato, seduto al chiaro di luna. Sul terreno c'era il piatto in cui gli era stato dato da mangiare, e Ben ne leccava gli avanzi. — Non potete togliermi dai piedi questo cane? — disse Henry. — Poco fa ha pisciato sul palo. Non lo voglio qua attorno. Continua ad annusarmi. — Avessi voluto fare qualcosa, l'avrei già fatto, — disse Sunset. Lee uscì dalla tenda, e assieme a Sunset salì in macchina. — Sicura che facciamo bene a lasciarli qui? — disse. — Nessuno sa dell'esistenza di questo posto, neanche quelli che conoscono Clyde. Nessuno viene mai a trovarlo. Essere venuti qui è stata una buona idea. — Vive sotto una cerata, chi vuoi che venga a trovarlo? — disse Lee.
— E pensa, — disse Sunset, — che è meglio della casa che ha bruciato. Adesso c'è la tenda. — Quella tenda sta diventando un po' troppo affollata, — disse Lee. — Quando tutto sarà finito e torneremo sulle tue terre, dovremo costruire una casa e aiutare Clyde a tirarne su una, qui. — Vedremo, — rispose Sunset. Sulla strada principale furono investiti da un nugolo di cavallette. Una Plymouth scura arrivava dalla parte opposta. — Rallenta, — disse Hillbilly. — Non è facile da trovare, al buio, questo posto. Ecco. Gira qui. La strada finisce proprio a casa sua. — Quanto manca? — chiese Two. — Non molto, — rispose Hillbilly. — Va' ancora un po' avanti, poi fermati, — disse Two. — Proseguiamo a piedì. — E ci prendiamo quel che serve a Dio, — fece l'Altro Two. Plug svoltò in una strada sterrata che sollevò una nuvola di polvere al loro passaggio, come una fitta nebbia, e dalla polvere saltarono fuori altre cavallette per andare a spiaccicarsi contro il parabrezza, che era già abbondantemente macchiato. Plug avanzò ancora un poco, accostò in una piccola radura, spense i fari, poi il motore. Hillbilly e Two avevano dei fucili a pompa calibro dodici. Plug una calibro 45. — Vi diremo cosa e quando e come, — disse l'Altro Two. — Già, — fece Hillbilly. — Siete voi i capi. — Quando dici noi, significa tu, o sbaglio? — chiese Plug. — Significa tutti e due, — disse Two. Plug annuì. — Ok, ho capito. Almeno credo. Scesero dalla macchina e proseguirono a piedi per un tratto. A un certo punto Two fermò la comitiva. — Andiamo avanti noi, — disse. — Voi veniteci dietro. Quando sentite sparare, ci raggiungete. — Perché non li prendiamo di sorpresa e basta? — chiese Plug. Two si voltò lentamente. Si tolse la bombetta e scrollò via il sudore. La cicatrice a ferro di cavallo, al chiaro di luna, sembrava una ferita ancora aperta. — Lo faremo noi, — disse. — Noi significa... voi due? — chiese Plug. — Esatto, — rispose Two. — Capito? — Sicuro, — fece Plug.
Two annuì e si avviò di corsa lungo la strada, poi s'infilò nel bosco e sparì. — Dammi retta, — disse Plug. — Torniamo alla macchina, saltiamo su e filiamocela. — C'è un sacco di quattrini, in ballo, — disse Hillbilly. — Non ne faccio una questione di soldi. Dico solo che non me ne frega più un cazzo. Anche a Tootie doveva toccare, il danaro, no? Adesso non lo avrà di certo. E allora, che importanza hanno i quattrini? — Per Tootie, nessuna, — disse Hillbilly, — ma forse ce ne saranno di più per noi. Possiamo chiedere a McBride di darci la parte di Tootie. Magari possiamo dividercela. Plug guardò la strada sterrata. — Che ne so. Non voglio ammazzare una donna. Non voglio ammazzare nessuno. Mi è bastato vedere Tootie morire in quel modo. Una volta ho sparato a un daino e sono stato male. — Non sono esseri umani, quelli. Devi considerarli bersagli. È così che si fa, Plug. — Tu eri suo amico, — disse Plug. — Quello che provo per lei non è certo cambiato. È di suo padre che non me ne frega niente, né di Clyde, visto come mi hanno ridotto, ma nei suoi confronti non è cambiato proprio nulla. Questa storia non ha a che fare con i sentimenti. — Sì, col cazzo. — Vieni o no? Si udì uno sparo. — Questo è Two, — disse Hillbilly. — Tocca a noi. Hillbilly attaccò a trotterellare, e Plug, dopo un attimo di esitazione, lo seguì. Era andata che Two aveva raggiunto le terre di Clyde dal lato sinistro, uscendo dal bosco con la doppietta spianata, silenzioso come un topo morto nel cotone, a passi felpati, e quando aveva visto Henry incatenato al palo aveva ripensato a quello che gli aveva detto McBride. «Fratello, Henry non ci serve più. Ha la lingua troppo lunga, e non butterà mai giù che a un negro tocchi una parte del bottino. A Henry non serve, tutto quel danaro. A noi sì. Ha già giocato le sue carte, e adesso non è che una nuova anima che puoi raccogliere». Two uscì dal bosco e si avviò verso Henry, che alzò il capo e sorrise. — Che piacere vederti, Two, — disse. — Piacere mio, — rispose Two, alzando il fucile e premendo il grilletto.
Henry volò via dalla sedia per schiantarsi contro il palo. Two azionò la pompa del fucile proprio mentre Ben si precipitava ringhiando. Sparò anche al cane. Ben perse il sostegno delle zampe, scivolò sul terreno e cadde con un guaito, col fianco che gli andava su e giù con forza. Il primo sparo spinse Clyde a mettere la testa fuori della tenda, ma il secondo, quello che aveva colpito Ben, gliela fece ritrarre velocemente. Cercò la sua doppietta e l'afferrò al volo. Quando tornò a guardare fuori, il nero era molto più vicino di prima e stava ultimando il suo lavoretto su Henry, sparandogli ancora una volta, chinandosi su di lui e accostando il viso al suo. Anche Clyde stava per sparare, ma nell'alzare lo sguardo vide Hillbilly e Plug arrivare di corsa dalla stradina, Plug a pistola spianata, Hillbilly armato di doppietta, e capì subito come erano stati scoperti. — Uscite da dietro, — disse Clyde, e spinse Goose, che avanzava con una delle pistole di Clyde in pugno, verso Karen, la quale invece si era già spostata sul retro della tenda. Clyde tirò fuori il coltello a serramanico e lo fece scattare. Un istante prima che Two sollevasse il lembo della tenda, ne squarciò la parte posteriore, e tutti e tre si ritrovarono all'esterno, pronti a schizzare verso il bosco, con le cavallette che esplodevano attorno in un battito d'ali. Qualcuno li inseguiva, Clyde si guardò alle spalle e vide il negrone in bombetta che stava guadagnando terreno, con una velocità sorprendente per un uomo della sua stazza e un movimento così fluido da farlo sembrare un tutt'uno con la notte. — A sinistra, — disse Clyde, che sapeva dell'approssimarsi di un sentiero. — Andate a sinistra. Karen ubbidì. Era poco più di una pista che correva tra gli alberi e che la luna non riusciva quasi a rischiarare. Il vestito di Karen finì ben presto preda dei rovi. Clyde lo udì strapparsi, così come udì i lamenti della ragazza al sentirsi graffiare dalle spine. Goose correva alle spalle di Clyde, ma a un certo punto cadde. Clyde si voltò per cercarlo. Era sparito. Sunset mi ha detto di badare a questo e quello, pensò Goose, e io non l'ho fatto. Sono scappato di corsa. Come gli altri. Con la grossa pistola di Clyde in mano, Goose si mise a correre in dire-
zione di Two. Lo prendo di sorpresa, pensava. Gli faccio saltare via il culo prima ancora che se ne renda conto. E proprio mentre Goose, invertita la rotta, stava per cogliere Two di sorpresa, pistola in pugno, fu il negrone a sorprendere lui, comparendogli davanti come sbucato fuori dal nulla, come una cavalletta gigante. E Goose si fermò e puntò la pistola a due mani e premette il grilletto. Non posso sbagliare, pensava. Impossibile, a questa distanza. Ma sbagliò. Two invece no. Il colpo prese in pieno Goose e lo fece volare in terra. Goose tentò di alzare la pistola, ma scoprì di non averla più tra le mani. Anzi, non aveva più niente, tra le mani. La scarica gli aveva portato via il pollice destro e qualche altro dito, per andare a conficcarsi nello stomaco. Nessun dolore. Solo un gran caldo. Era stordito, senza più fiato. Adesso l'omaccione in bombetta gli stava sopra. Era caduto in ginocchio al suo fianco. Si era tolto la bombetta e l'aveva appoggiata in terra. — Proprio un bel bocconcino, — disse. — Un vero bocconcino. — È così che ci piacciono, — aggiunse l'Altro Two. Goose cercò di capire: due voci e una persona sola. Fu inutile. Riusciva a capire solo la sua idiozia, la stupidità della sua corsa all'indietro, e adesso stava per morire e lo sapeva, e mai una volta che gli fosse toccata un po' di passera oppure qualcosa che non fosse un lavoro faticoso. Era finita. L'uomo aveva messo la bocca sulla sua e stava aspirando, Goose cercò di reagire ma le sue mani non vollero alzarsi, cercò di mordere ma non riusciva neanche a stringere i denti, debole com'era, e la sensazione di calore era svanita. Ora provava freddo e provava dolore, ma fu questione di poco, perché un istante dopo non provò più niente. Clyde voleva tornare indietro, ma doveva proteggere Karen. Forse Goose aveva imboccato un'altra pista, anche se a Clyde non ne veniva in mente nessuna, in quel bosco che conosceva come le sue tasche. Continuò quindi a correre con Karen. La pista terminava sulla riva del torrente, che in quel punto era parecchio alta, piena di alberi dalle radici scoperte. Clyde afferrò Karen per un braccio. — Devo calarti giù. Lei gli prese la mano, lui la sollevò come fosse una bambola e la calò dabbasso. — Aggrappati a quel ramo, — disse, — e cerca di dondolarti fino allo spiazzo. Era una sorta di dilavamento, una rientranza che si apriva sotto le radici. Impossibile notarlo dalla riva. Era enorme, e mentre Clyde la calava giù,
Karen si aggrappò a una delle radici, poi mollò la mano di Clyde e saltò nello slargo, ormai invisibile dall'alto. Spero non ci siano serpenti, pensò lui. Quando Karen fu scomparsa alla vista, Clyde si chinò sulla riva il più possibile. — Mi sentì? — disse sottovoce. — Sì, — rispose lei. — Adesso ti passo il fucile. Sta' attenta. Allunga una mano e prendilo. Lo lego alla cintura dei pantaloni. — Ok. Clyde si sfilò la cintura e l'assicurò al calcio del fucile, poi si chinò di nuovo e fece dondolare l'arma fino a infilarla nella buca. Karen la prese, e lui lasciò andare la cintura. Poi afferrò una radice, si lasciò penzolare nel vuoto, ne afferrò una seconda e si portò in basso finché non riuscì a calarsi nello slargo assieme a Karen. Per accedere dovette chinare la testa. Era proprio come se lo ricordava. L'aveva scoperto una volta che era andato a pesca ed era dovuto entrare nel torrente per disincagliare la lenza. Era alto quasi un metro e molto largo, oltre che profondo. L'unica differenza rispetto a prima era che nel frattempo il torrente era andato in piena diverse volte, e quindi lo slargo si era ampliato. Quando sentì che Karen gli era vicina, accucciata, e gli si stringeva contro, si frugò in tasca, prese una scatola di fiammiferi, ne tirò fuori uno e lo accese. Nella parte opposta della rientranza c'era un castoro, che si era già messo a soffiargli contro, a denti scoperti. Alla tremula luce del fiammifero sembrava un topo gigante e peloso. Karen gli si fece ancora più vicino. — Reggi un po' questo, — le disse, e le porse il fiammifero. Poi prese il fucile e iniziò a punzecchiare il castoro con la canna, fin quando l'animale non li scavalcò con un balzo facendo strillare Karen, si gettò in acqua e filò via. Il fiammifero si spense. — Sta' tranquilla, adesso, — disse Clyde. — Appoggiati alla parete, là in fondo, e sta' tranquilla. — Ho paura, — disse lei. — Allora siamo in due. — E Goose? — Non è il momento di pensare a lui. Tranquilla, ho detto.
Arretrarono fin quando fu possibile, infine si misero seduti, in attesa, in ascolto. In cima alla pista che avevano imboccato Karen e Clyde, Two riusciva a vedere che c'erano dei rovi divelti e spostati, non più fitti come in precedenza. Mentre osservava la scena, sopraggiunsero Hillbilly e Plug, che stava infilando il revolver nella fondina. — Siete lenti, — disse Two. — Hai già ammazzato tutti? — disse Plug. — Il ragazzo, l'abbiamo visto. Era poco più di un bambino. — Silenzio, — disse l'Altro Two. — Sono andati di qua. — Sunset? — chiese Hillbilly. — Un uomo adulto e una ragazzina, — disse Two. — Clyde e Karen, probabilmente, — disse Hillbilly. — Hai sparato anche a Henry, — disse Plug. — Avevo capito che eravamo venuti a portarlo via. — E l'abbiamo portato via, eccome, — disse l'Altro Two. — Lui e Tootie, come no. Perché non ammazzi pure me e Hillbilly? — fece Plug. — Così puoi succhiarti anche noi. E al cane, l'hai già fatto? — Il cane non ha l'anima, — disse Two. — Dio non ha dato anima, alle bestie. — E tu? — chiese Plug. — Tu ce l'hai, invece? Two afferrò Plug per la camicia e lo spintonò. Plug mise la mano sul calcio della pistola, senza però estrarre l'arma. — Va bene. Va bene, — disse. — Basta così, — disse Two. — Neanche una parola. Plug annuì. Two imboccò di corsa la pista. Hillbilly e Plug gli andarono dietro. Clyde e Karen, dalla rientranza in cui erano seduti, udivano il verso di una civetta e le acque del torrente. Videro un procione guadare il fiume alla luce della luna, schizzando acqua a destra e sinistra, per poi arrampicarsi con fatica sull'altra sponda e svanire tra alberi e cespugli. Gli stessi cespugli in cui le cavallette la stavano facendo da padrone, così come in acqua se ne vedevano a centinaia, morte e trasportate dalla corrente. Dopo qualche tempo ci fu un calpestio di foglie e il rumore di passi in corsa, sempre più vicini. Karen si irrigidì e si aggrappò a Clyde, che sede-
va a gambe incrociate, la doppietta su una coscia, l'orecchio teso. Faceva caldo, là dentro, e il sudore gli colava sul volto per infilarsi sotto la camicia, e anche Karen era tutta sudata. Ma non era solo sudore. Fiutava pure qualcosa. Era l'odore della paura. I passi si fermarono sopra di loro. Udirono un respiro pesante. Plug, s'immaginò Clyde. Perché si sono fermati proprio qui?, pensò. C'è una ragione? Hanno visto qualcosa? No, nessuna traccia. Non è gente in grado di seguire tracce, questa. Oppure sì? Avevano forse capito da quale punto i due fuggitivi erano usciti dalla pista e si erano calati dalla riva del torrente? E in questo caso, avrebbero scoperto la rientranza? Forse si sarebbero calati anche loro. Da quella posizione, Clyde poteva pure pensare di sparare. Ma erano in tre. E lui aveva la ragazza. Magari si erano fermati perché era lì che finiva la pista e si poteva riprendere fiato. — È tempo perso, — si udì la voce di Hillbilly. — Clyde conosce questo bosco come un cazzo di scoiattolo. Poi Clyde udì una seconda voce, che doveva appartenere al negrone, anche se sembrava ben impostata, assai fluente, quella di un nero yankee. — Il fratello McBride non sarà affatto contento. — Forse è il caso di tornare indietro e aspettarli laggiù, — disse un'altra voce, che Clyde non riuscì a identificare. Non sembrava l'accento di un nero, né del Sud. Forse era l'altro bianco, anche se l'aveva visto in giro e sapeva che era della zona, e quella non era la voce di uno del posto. C'era una quarta persona? Qualcuno che non aveva ancora visto? — No, — disse la prima voce, quella che gli era parsa ben impostata. — Non torneranno indietro. Neanche per sogno. Poi ci fu del movimento, seguito da qualche attimo di silenzio, e i due fuggitivi rimasero per un pezzo ad ascoltare il nulla. Infine, un'esplosione. Così forte che Karen si lasciò scappare un lievissimo strillo. La ragazza si portò la mano alla bocca e si piegò in due. Clyde le batté con dolcezza sulle spalle. Clyde si accorse di respirare con affanno. Inspirò a fondo e soffiò via l'aria dal naso, lentamente. Calma, adesso, si disse. Calma. Non pareva così vicina. Era soltanto forte. Poteva essere un'ar-
ma, certo, ma non lo sembrava. No. Non era un'arma. Più ci pensava, più si convinceva che non era un'arma. E allora cos'era? Attesero altri cinque minuti, o almeno quelli che a Clyde parvero cinque, secondo un suo calcolo mentale. Non è il momento di uscire, si disse. Potrebbe essere un tranello. Potrebbero essere là fuori. Forse si sono nascosti e ci stanno aspettando. E l'esplosione? Cos'era stato? Clyde si mise la doppietta sulle ginocchia e si asciugò i palmi umidicci sulla camicia. Con la mano, poi, si terse il sudore dagli occhi, e dovette asciugarsela ancora una volta. Restarono in attesa. Venti minuti, più o meno, secondo un nuovo calcolo mentale. Venti minuti potevano bastare. Clyde si sporse e coprì la bocca di Karen con la mano. — Tu prendi la doppietta. Io mi infilo nel torrente e lo risalgo un po'. — No, — disse Karen. — Cerco di risalirlo e vedere se c'è qualcuno, più dietro. Se non c'è nessuno, ti chiamo. Se non mi senti, o se qualcuno mette la testa oltre la riva e cerca di calarsi qua dentro, spara. Spara per uccidere. — Clyde... — Fa' piano, — disse lui. — Aspetta. Sono spaventata a morte. Aspetta. — Aspettiamo un altro po', allora, ma non più di tanto, — disse lui. Fu una lunga attesa. Finalmente Clyde scivolò fuori della rientranza, si aggrappò alle radici e si lasciò cadere in acqua, cercando di non far rumore. Ma l'acqua schizzò ugualmente, al suo ingresso, e le cavallette morte continuarono a fluttuare nella corrente. Risalì sulla stessa sponda della rientranza, si arrampicò fino in cima e fece scattare il coltello. Si era allontanato dalla riva, e riusciva già a vedere un tratto di pista illuminato dalla luna, oltre al luogo preciso in cui si erano fermati i loro inseguitori. Ma non c'era più nessuno. Si inoltrò in quella direzione, e da un'apertura tra gli alberi scorse un punto quasi illuminato a giorno, come se il sole fosse sorto in anticipo. Era un incendio. Tornò alla riva e si chinò su un ginocchio. — Sono io, Karen. Passami il fucile, se ce la fai. La mano di Karen spuntò dalla buca per afferrare una radice. La ragazza si dondolò con la schiena rivolta verso l'acqua, reggendosi con una mano,
poi gli allungò il fucile con l'altra. Clyde lo prese, e Karen, sempre aggrappata alla radice, riuscì a piantare i piedi sulle altre radici e a iniziare la risalita. Clyde le abbrancò il polso e la aiutò a tornare in superficie. — Se ne sono andati? — disse lei. — Da qui, sì. Sono tornati verso la tenda. Le fece notare la luce che splendeva tra gli alberi. — Dio santo. E Goose? Clyde scosse il capo. — Non lo so. Tornarono da dove erano venuti, e trovarono Goose sulla pista, la mano maciullata accanto al petto, mentre il revolver con cui aveva tentato di sparare a Two giaceva, ormai inservibile, al suo fianco. Karen si gettò in ginocchio e gli sfiorò la testa, e pianse in silenzio. — Non dovevano farlo. Non dovevano far niente di tutto questo. Perché? — Soldi, tesoro, — le disse Clyde. — Penserò io a lui, più tardi. Lascialo. Karen si chinò a baciare la fronte gelida del ragazzo. Rimasero in attesa per qualche tempo, fino a quando Clyde non si decise ad avventurarsi da solo. Vide un gigantesco incendio, e solo allora capì la causa dell'esplosione. Avevano dato fuoco al suo camioncino, forse infilando uno straccio nel serbatoio, e quello era saltato in aria. Avevano dato fuoco anche alla tenda e alla cerata. Una cosa era certa: non era gente che faceva le cose a metà. Avanzò ancora un poco, a fucile spianato, ma non c'era niente cui sparare. Il cadavere di Henry era ancora accanto al palo, così come quello di Ben. Clyde tornò a prendere Karen, e quando furono di nuovo all'accampamento tirarono il secchio su dal pozzo e qualche bacinella da sotto la cerata, nel tentativo di bagnare il terreno attorno all'incendio e impedirgli di allargarsi agli sterpi secchi del sottobosco. 36. La casa nel bosco, quella di Pete e Jimmie Jo, era piccola, ma molto più carina di quella di Zendo e della sua famiglia. — Sta cercando di dirmi che questa è la nostra casa? — disse Zendo a Sunset. — Sto solo dicendo che lo sarà, se tutto andrà bene, — disse lei. — È disabitata da tempo, e nessuno si aspetta di trovarvi qui, quindi è molto più
sicura di casa vostra. E me ne starei lontano dai campi per un paio di giorni. Può permetterselo, immagino. — Credo di sì. — Soltanto un paio di giorni, — disse Lee. — E ci sarà Bull con voi, — disse Sunset. — Giusto, Bull? — Giusto, — fece Bull, che trovò una sedia e si mise comodo, il calibro dieci in grembo. — È che mi fa uno strano effetto, stare in casa d'altri, — disse Zendo. — Il suo cane si è già messo in veranda, tutto contento, — disse Lee. — Ha già capito che è casa sua. E il maiale è addirittura entrato con lei. Il maiale si era piazzato sul pavimento, a zampe all'aria, entusiasta di un futuro che gli si prospettava molto più incerto dell'inevitabile trasformazione in pancetta. — Guardi qui, — disse Sunset. — Questo posto l'hanno costruito sulle sue terre. Il petrolio qua sotto è suo, Zendo. Lei è ricco. — Mi faranno la pelle, ecco cosa, — disse lui. — Cosa me ne faccio dei soldi, da morto? — È quello che stiamo cercando di impedire, — disse Sunset. — Che le facciano la pelle e le portino via la terra. Abbiamo già arrestato Henry, e quando capirò bene il da farsi, passeremo all'azione. Nel frattempo, lei è più al sicuro qui. Questa casa si trova sulla sua terra, quindi, per quanto mi riguarda, è sua. — E lei rappresenta la legge, — disse Bull. — Non avessimo saputo nulla, della faccenda, — disse la moglie di Zendo, con un bambino piccolo attaccato alla gamba, — non ci dovremmo nascondere. Non avremmo il petrolio, certo, ma non ci dovremmo nascondere. — Prima o poi verrebbero comunque a cercarvi, — disse Sunset, — a saperla o no. — Non mi piace affatto, questa storia, — disse Zendo. — Mi addolora che sia andata così, — disse Sunset. — Ma ormai c'è poco da dire. Mio padre e io dobbiamo andarcene, adesso. Devo capire cosa fare di Henry, a chi rivolgermi per ricevere un po' di sostegno. Bull, le serve niente? — A parte vent'anni di meno, — rispose lui, — direi proprio di no. La prima cosa che Sunset vide da dietro il parabrezza pieno di insetti spiaccicati fu un furibondo incendio che sembrava arrivare in cielo, oltre
alle sagome di migliaia di cavallette in volo. Poi fu la volta del camioncino di Clyde, o meglio del suo scheletro in fiamme; finestrini sfondati, portiere fatte saltare dall'esplosione, cassone spazzato via per essere scaraventato a poca distanza, con la parte posteriore dritta verso l'alto. — Gesù, — disse Sunset. — Karen. Accelerò, e si sarebbe gettata tra le fiamme, se Lee non le avesse urlato di fermarsi. Pestò sul freno, saltò fuori della macchina e si mise a correre, gridando il nome della figlia. Lee scivolò sul sedile, mise la marcia in folle, tirò il freno a mano e balzò giù. Poi iniziò a chiamare Karen e Clyde. Vide Sunset chinarsi su qualcosa che giaceva sul terreno. Nell'avvicinarsi, si accorse che si trattava di Ben. Sunset aveva toccato il cane con le mani, e le aveva ritratte sporche di sangue. Trovarono anche Henry. L'incendio l'aveva raggiunto e gli aveva bruciato una gamba, salendo poi verso il tronco. Lee lo calpestò fino a spegnere le fiamme. Fecero il giro di quella che era stata la tenda, avvolta anch'essa dalle fiamme. Sunset, vedendo che non era rimasto altro che il fuoco, si sentì mancare. Si afflosciò, e Lee fu lesto a riprenderla. — Non significa che sia là dentro, — disse Lee. Qualcosa si mosse, delle sagome tra le fiamme. Poi le sagome girarono attorno al fuoco, una con un secchio da melassa, l'altra con una grossa bacinella. Karen e Clyde. — È stato Hillbilly, — disse Clyde. Salirono tutti sulla macchina di Sunset, che si allontanò dalla zona dell'incendio, imboccò la via principale e si fermò su una strada stretta usata per il trasporto del legname. — L'avevo capito che era un pezzo di merda, — disse lei. — Ma questa... Cristo. Tutta colpa mia. È tutta colpa mia. — È colpa di quel figlio di puttana, — disse Clyde. — Li ha portati lui, qui, Plug e quel negro gigantesco. Grosso come Bull. Quello che mi avevi descritto tu. — Si chiama Two, — disse Sunset. — Povero Goose, — disse Karen. — Oh, mamma, riesco a malapena a respirare. — Devo tornare a seppellirlo, — disse Lee. — Meglio farlo subito. Devo vederlo.
— No, — disse Sunset. — Che significa no? — chiese Lee. — Ho cercato di fare le cose con calma, — disse Sunset, fissando il fuoco. — Di fare un passo dopo l'altro. Arrestare Henry, per esempio. Ma loro l'hanno ucciso. Poi hanno ucciso Goose e Ben, e hanno cercato di ammazzare Clyde. Colpa mia. Mi sono illusa che fossimo al sicuro. È ora di darci un taglio. È ora che li arrestiamo tutti. Tu li hai visti, Clyde, e non sei solo un testimone, ma anche un vicesceriffo. E pure tu li hai visti, Karen. Sappiamo chi sono e cos'hanno fatto. Devo arrestarli. Ne ho il diritto. Si trovavano nella mia giurisdizione. — Questo tizio di colore, — disse Clyde, — non sembra certo facile da acchiappare. E anche Hillbilly. L'ho scoperto a mie spese. — Papà l'ha menato ben bene, — disse Sunset. — Non c'è dubbio, — disse Clyde. — Andiamo a prendere Bull, lo portiamo con noi in città e cerchiamo di sbatterli in galera tutti quanti. — E Goose? — disse Lee. — Capirà il nostro ritardo, — disse Sunset. — Anche lui vorrebbe che li arrestassimo. E McBride e il suo branco non si aspettano certo di vederci così presto. Prendiamo Bull, facciamo aprire l'emporio, ci procuriamo armi e munizioni e becchiamo McBride, Two e Plug, e specialmente Hillbilly. — Con così tante armi, — disse Clyde, — non sembra certo un arresto. — Per i tipi che sono, ci potrebbe volere una piccola opera di convincimento, — disse Sunset. — Ma se possiamo, li arrestiamo. Non siamo certo come loro. Intanto, cerchiamo di circoscrivere l'incendio. Il fuoco finì per spegnersi da solo, ma inumidirono comunque il terreno a forza di bacinelle d'acqua del pozzo. Poi si diressero a Camp Rapture, all'emporio della segheria. Sunset non perse tempo a cercare il responsabile del negozio per farsi aprire. Prese dal baule un ferro da pneumatici e forzò la porta posteriore. Entrarono e, alla luce di una torcia, presero ciò di cui avevano bisogno: munizioni, armi e, in particolare, fucili. Tirarono giù dal letto Marilyn e si stivarono tutti in macchina. Infine si misero in marcia per andare da Bull e dalla famiglia di Zendo. — Ma ci aveva detto che Bull sarebbe rimasto con noi, — protestò Zendo. — Me lo ricordo, cosa avevo detto, — fece Sunset. — Ma le cose sono cambiate —. Raccontò loro l'accaduto. — Adesso non staranno certo pen-
sando a voi. E se ci pensano, non sapranno che siete qui. Se volete, potete nascondervi nel bosco. Ma Bull deve venire con me. Se per qualche motivo non avrete nostre notizie, diciamo entro stanotte, dovrete andarvene. — E dove? — chiese la moglie di Zendo. — Non lo so, — disse Sunset. Bull si alzò in piedi. — Tieni tu il fucile, Zendo. Ti farà compagnia. Credo che la legge, qui, abbia ragione. È il momento di dargli addosso. Fosse dipeso da me, l'avrei fatto fin dal primo istante. D'altra parte, la legge non sono certo io. — Saranno molto occupati, — disse Lee, — non avranno tempo di pensare a voi, Zendo. — Non fossi convinta che siete al sicuro, non vi chiederei certo di tenere Karen, — disse Sunset. — Comunque, se non siamo di ritorno entro stanotte, andate via e portate Karen con voi. — Oh, mamma, — disse la ragazza. — Ma torneremo, — disse Sunset. — Si fa tanto per dire. — Goose, invece, non tornerà più, — disse Karen. — Devi essere forte, — disse Sunset. — Ho paura, — fece Zendo. — E non ve lo nascondo di sicuro. — Ne abbiamo tutti, — disse Sunset. — E io sono stanca di essere spaventata e confusa, accusata di cose che non ho fatto. Stanca di pezzi grossi e scagnozzi assortiti che truffano, rubano e ammazzano, stanca di non aver capito che uno dei miei uomini era un bugiardo e un farabutto. Hanno ucciso un ragazzo, Goose. Un bravo ragazzo. Hanno ucciso anche uno dei loro, gli hanno sparato mentre era incatenato a un palo. E mi hanno ammazzato il cane. Si misero in cerchio e distribuirono le armi. Presero tutti un fucile a pompa calibro dodici e una scatola di cartucce. Caricarono quindi le armi e si infilarono in tasca le cartucce avanzate. Sunset si accertò che la sua .38 avesse tutti e sei i colpi. Lei e Bull erano gli unici ad avere una pistola. Sunset porse la sua a Karen. — Cerca di non spararti, — le disse. Poi si rivolse a Bull e Lee. — Bull, papà, in base all'autorità che mi è stata conferita, vi nomino miei vice. — Cazzo, questo vale anche per uno di colore? — chiese Bull. — Oggi sì, — disse Sunset. Il maiale grugnì. — È un tipo sveglio, — disse Clyde a Zendo. — Fossi in voi, non lo mangerei.
Uscirono dalla casetta per infilarsi in macchina, e nell'aria si levò una sorta di gigantesco sospiro. Alzarono gli occhi e videro che la luna era oscurata da uno sciame di cavallette, e il suono si faceva più intenso, passando da un sospiro a un ronzio che ricordava la grande sega in cima alla collina di Camp Rapture. Ancora non potevano saperlo, ma le cavallette erano già planate sulla fattoria di Zendo, che per quell'estate non avrebbe più avuto bisogno di lavorare; in pochi minuti, difatti, la scura ondata di insetti era scesa in picchiata al chiarore lunare e aveva devastato l'intero campo, lasciando solo terra e radici. Poi se n'era andata, riempiendo il cielo che sovrastava Sunset e la sua squadra. Sunset guidava, con Clyde al fianco; sul sedile posteriore c'erano Bull e Lee. Era quasi giorno, cominciava a rischiarare, e nel corso del tragitto il parabrezza si riempì di moscerini al punto da costringerli a fermarsi e cercare di grattarli via con un bastone. Dal cassettino del cruscotto, Sunset prese uno straccio per pulire il vetro, ma non fece che peggiorare la situazione. E mentre lavorava di straccio, altri insetti si lanciavano a pungerla. Il parabrezza sporco li obbligò a fermarsi tre volte, e dopo Sunset furono Clyde e Lee a tentare di tenerlo pulito. Quando il cielo divenne più chiaro, si trovarono davanti a uno spettacolo stupefacente. L'intero paesaggio era mutato. Non c'era più una foglia. Gli alberi erano come scheletri di giganti caduti dal cielo, le cui ossa schizzavano per ogni dove. In basso, era lo stesso. Il verde si era trasformato in marrone e grigio, e il ronzio si alzava e si abbassava come una marea, via via che le cavallette si facevano largo a forza di mandibole nella secca mattina d'estate. Gli insetti colpivano la macchina con tale violenza che a Sunset sembrava di sentire la vernice staccarsi. Fu una dura e lenta battaglia, tra le cattive condizioni della strada e l'assalto dei moscerini, ma alla fine riuscirono ad arrivare a Holiday, dove la prima, forte luce del mattino già faceva vedere vie e palazzi avvolti da ondate di insetti; e sulla collina, sullo spuntone di roccia che sovrastava l'emporio, la vegetazione scompariva a vista d'occhio, simile al trucco di un prestigiatore. Passarono davanti all'appartamento e raggiunsero l'ufficio dello sceriffo. Scesero dalla macchina. Si trovarono in mezzo a un'ondata oceanica di insetti, che gettò Sunset a terra e fece barcollare gli altri, fatta eccezione per Bull. Varcarono la porta principale dell'ufficio, uno alla volta, le armi in
pugno. Plug sedeva dietro la scrivania, come li stesse aspettando. Aveva le mani in bella vista, appoggiate sul piano del tavolo. Sunset gli berciò qualcosa e gli ficcò la canna del fucile sotto il mento. — Forza, spara, — disse l'uomo. — Non ho fatto del male a nessuno, ma spara lo stesso. — Ti ho visto io, — disse Clyde. — Ma non volevo entrarci. Quando siamo tornati in città ho salutato la compagnia, però non avevo altro posto dove andare se non questo. E non ho sparato a nessuno. Proprio a nessuno. — Sei in arresto, — disse Sunset. — Sono io la legge, adesso. E c'è proprio da esserne contenti, cazzo. Plug si alzò, come tirato su dalla canna del fucile puntata alla gola. Sunset lo spinse all'indietro, verso le celle. — Dove sono le chiavì? — gli chiese. — Nel cassetto, — rispose lui. Lee le prese. Sbatterono Plug al fresco e serrarono la porta. — Voglio solo farti la pelle, — disse Sunset. — Voglio ammazzarti, Plug. Goose non era che un ragazzino. — Io non ho ucciso nessuno, e neanche volevo farlo, — disse lui, lasciandosi cadere su un lettuccio. — Pensavo che ne sarei stato capace, ma non è andata così. È stato il negro. Anche quell'Hillbilly l'avrebbe fatto, certo, ma non ne ha avuto il modo. Quel negro è pazzo. Gli ha fatto saltar via la testa, a Tootie. E per un pelo non ce l'ho rimessa pure io. Non ci sono soldi che tengano. Ma non potevo neanche scappare. Ero costretto a restare assieme a loro. Hanno minacciato di ammazzarmi. — Proprio come me, — disse Sunset. — Accomodati. Non me ne frega un accidente. Mi basta solo che quel negro non venga a succhiarmi. Prima ti spara, poi si mette a succhiarti, è convinto di poterti tirare via l'anima dalla bocca, — disse Plug. — Un cavallo l'ha preso a calci in testa. Ha ancora le cicatrici. Ed è diventato pazzo. Pensa di essere due persone diverse. E forse è davvero così. Cristo, che razza di pazzo, quel negro. — Dov'è Hillbilly? — chiese Sunset. — Dev'essere in quel posto tutto rosso, — disse Plug, — col negro e con McBride. C'è anche una puttana, lassù. Stavo per tagliare la corda, poi sono arrivati gli insetti. Mi ero ripromesso di scappare appena fossero passati. Ma non so cosa avrei fatto, dove sarei andato.
— Non vai da nessuna parte, Plug, — disse Sunset. — Cos'è questo posto tutto rosso? — L'appartamento sopra l'emporio. Dall'altra parte della strada. — Va bene, — disse Sunset. — Andiamo a prenderli. La puttana, cerchiamo di non farle del male. Non c'entra, in questa storia. — C'è un ingresso principale e una piccola scala sul retro, — disse Plug. — Ricordate che ho cercato di aiutarvi. Ricordatevelo. Dovettero combattere con gli insetti, per rientrare in macchina. Dal lato opposto si vedeva l'appartamento. Vicino quanto bastava per raggiungerlo a piedi, ma l'invasione di quelle bestie non la faceva sembrare una buona idea. — Mi avvicinerò il più possibile con la macchina, — disse Sunset. — Tu e Bull, papà, entrate dal davanti. Clyde e io passeremo dal retro. Se li cogliamo di sorpresa, magari non hanno le armi a portata di mano e possiamo avere qualche buona possibilità. Sparate solo se non potete farne a meno, anche se so che vi piacerebbe. Cerchiamo di arrestarli. Se tentano di reagire, sparate per uccidere. — Come facciamo? — chiese Clyde. — Bussiamo alla porta? — Questo è un modo, — disse Sunset, e avviò la macchina. Ondate di insetti si alzavano e abbassavano. Le cavallette erano in ranghi così serrati da sembrare un gigantesco nastro maculato di verde, marrone, grigio e nero. Serpeggiavano per l'intera città, tra i palazzi, le macchine, le trivelle che spuntavano per ogni dove. Per strada non c'era nessuno, se non loro quattro e gli insetti. Sunset portò la macchina fin sotto le scale d'ingresso, poi estrasse un nastro dal taschino della camicia e si legò i capelli. — Non so che dirvi, — fece. — Voi sul davanti, noi dal retro. — Altro non mi serve, — disse Bull. — Per quanto mi riguarda, — disse Lee, — gradirei qualcosa di più specifico. — Scusa, papà. Non sono il generale Lee che studia i piani di battaglia. — Ce lo faremo bastare, allora. — Cercate di tornare, — disse Sunset, poi uscì dalla macchina assieme a Clyde e corse sul lato dell'emporio. Da quella parte c'erano meno insetti. Proseguirono fino a raggiungere il retro del negozio e la piccola rampa di scale. Gli insetti erano molto più fitti, adesso. Si abbassarono e andarono avanti. Sunset dovette coprirsi il più possibile il volto con il calcio del fuci-
le, ma sentiva ugualmente le minuscole zampe di quegli animali tra i capelli e nella lunga coda che le cadeva sulla schiena. In breve arrivarono alle scale. Salirono, con Clyde che sgomitava per precederla e Sunset che si faceva strada senza lasciarlo passare. Finalmente giunsero alla porta posteriore. Bull e Lee passarono dall'entrata principale, veloci e senza alcun problema, i fucili con il colpo in canna, pronti ad aprire il fuoco se necessario o, più semplicemente, a bussare alla porta e arrestare chi si fosse consegnato spontaneamente. Gli insetti erano una muraglia tale da render loro difficile la salita. Proprio mentre stavano per arrivare in cima, la scarpa di Lee scivolò su una chiazza di cavallette spiaccicate sull'ultimo gradino. Lee andò a finire con una gamba nella ringhiera, e fu come se la terra gli si fosse aperta sotto i piedi, e il rumore fu quello del fuoco che spezza un ramo secco, e Lee rimase seduto con una gamba ancora sana incastrata nella ringhiera, e l'altra piegata sotto di lui come priva di ossa. Lanciò un urlo così forte che quasi eliminò la piaga delle locuste. — La mia gamba. Cazzo, cazzo! È andata, Bull. È andata. Bull si inginocchiò. — Sunset sta per entrare dalla porta sul retro. Le servirà aiuto. Dovrai aspettare. — Oddio, se fa male. Forza, Bull. Fa' quel che devi. Non appena Bull se ne fu andato, Lee si sfilò la cintura e se la ficcò in bocca, mordendola nel tentativo di non urlare di nuovo. Bull salì fino in cima, ma non bussò. Non gli sembrava il caso. Alzò la gamba e affibbiò una violenta pedata alla porta, che volò all'índietro come la lingua di un ronzino. Entrò. Era buio - la porta si stava richiudendo - e non si vedeva un bel nulla, ma all'improvviso sentì qualcosa, qualcosa di caldo alla base della spina dorsale, e gli ci volle un millesimo di secondo per capire che si trattava di un coltello che gli penetrava nella schiena. Clyde dette una spallata alla porta, ma era una porta ben solida, che respinse il suo assalto e lo fece quasi volare giù per le scale. — Cazzo, — disse Clyde, e tornò alla carica. Questa volta la cornice cedette, ma non del tutto. Clyde tentò di nuovo, Sunset assieme a lui, e la porta saltò via in un mare di schegge. Entrarono, cercando di richiuderla per tenere lontano lo sciame di cavallette.
Bull roteò all'indietro il calcio del fucile e colpì qualcosa. La pressione sul coltello scomparve. Ma la lama gli rimase conficcata nella schiena. Cazzo, preso alle spalle, pensò, non è giusto, non può toccare a me, io sto sempre sul chi vive, però lo sento, cazzo, un coltello nella schiena, ben piantato, come l'uccello di un toro nel culo di una gallina. Si girò verso il suo aggressore e si sentì abbrancare le gambe, rendendosi conto, nel buio totale, di averlo colpito con il calcio del fucile, mandandolo a terra. Ma quello, prendendolo per le gambe, stava per farlo precipitare sul suo coltello. Nel cadere, Bull riuscì a girarsi, tentando di finire su un fianco. Ce la fece quasi. Sentì entrare la lama nella carne. Fu come se tutto il fuoco del mondo gli bruciasse dentro. Poi qualcuno... o qualcosa... iniziò a strisciargli addosso come uno scarafaggio. Gli occhi di Bull iniziarono ad abituarsi all'oscurità, con la luce esterna che entrava dalle fessure della porta non completamente chiusa, la luce del mattino filtrata dai corpi di milioni di locuste, e solo allora riuscì a distinguere un volto nero sormontato da una bombetta. Due mani poderose gli serrarono la gola. Bull cercò di girare il fucile, ma lo scarafaggio glielo fece saltar via di mano con forza, poi gli si gettò addosso con tutto il suo peso (era uno scarafaggio gigante), tanto da farlo cadere sul coltello fino al manico. Bull gridò, vide sfilare una serie di puntini neri e la luce del corridoio iniziò a svanire, poi riuscì a riprendersi, ma non del tutto, era come se davanti agli occhi gli fosse calato un velo. Tentò di afferrare lo scarafaggio alla gola, ma poté solo fargli volare la bombetta dal capo. Allora gli artigliò la testa, per spingerlo via. Avvertì qualcosa, sotto il pollice. Una cicatrice. Ma era sempre più debole, sotto di sé scorreva qualcosa di caldo, era sangue, il suo, che allagava il pavimento, e gli pareva di cadere in questo grande lago. Spostò il pollice e beccò lo scarafaggio dritto nell'occhio, e quello si tirò indietro dimenandosi, ma non fu abbastanza. Lo scarafaggio gigante, grosso quanto lui, tornò alla carica e prese a lavorare di coltello. Lo sentì avvicinare il viso al suo e ne vide i denti, perché aveva aperto la bocca e la stava applicando sulla sua, aveva già iniziato a succhiare, e Bull pensò: d'ora in poi sarà meglio che mi faccia gli affari miei. A questo pensiero gli scappò da ridere, ma non riuscì a farlo. D'ora in poi. Già. Mi farò gli affari miei. Ma non potrò farmeli più, gli affari miei, e neanche quelli degli altri. Con un ultimo, definitivo sforzo, Bull piantò gli incisivi nel labbro inferiore di Two, e strinse con tale violenza che sentì spezzarsi i molari. Two fece un salto all'indietro, Bull riuscì a sfilarsi la pistola dalla cintura
e a fare fuoco. Il rinculo gliela fece volar via di mano, ma il colpo beccò Two allo stomaco. E Two non cadde. Cazzo, pensò Bull, e io che credevo di essere un duro. Aveva sollevato un po' la testa, ma la lasciò ricadere e chiuse gli occhi. Non me ne frega più un cazzo di niente, pensò, tanto sono spacciato. Two si premette una mano sullo stomaco, scavalcò Bull, si diresse alla porta e la spalancò. Nella stanza fecero irruzione insetti ronzanti. Two uscì sul pianerottolo e si chiuse la porta alle spalle, piano, come se nulla fosse. Vide Lee sul primo gradino, la gamba contorta sotto di sé, come di gomma, una cintura tra i denti. — Ci hanno sparato, — disse Two. Lee alzò il fucile e lasciò partire un colpo che scaraventò il negrone all'indietro, mandandolo a schiantarsi contro la ringhiera che si ruppe e volò via, e anche Two volò giù e giù e giù fino a cadere in strada. Con una mano, Lee inserì un'altra cartuccia nel fucile e strisciò a guardare dove fosse finito quello, la cintura ancora tra i denti come un serpente nella bocca di un falco. Two era sparito. Lee scivolò via più in fretta possibile. Il dolore gli annebbiava la vista, e dal suo nuovo punto d'osservazione vide che Two si era rialzato e stava raggiungendo barcollante la macchina di Sunset, con la bombetta in mano. Aprì la portiera, si calcò il cappello in testa, s'infilò al volante. Lee cercò di sistemarsi meglio, per sparare un altro colpo. Sentiva l'osso della gamba tentare di sfondargli la pelle. Udì la macchina partire. Riuscì a voltarsi, ma il dolore fu così intenso da fargli sputare la cintura, strappargli un grido, tramortirlo per un istante. Quando rientrò in sé, scoprì che il fucile gli era caduto al piano inferiore, e che la macchina se la stava filando con Two al volante. Reclinò il capo e svenne. Oltrepassata la porta sul retro, Sunset e Clyde udirono lo sparo della pistola di Bull, poi quello del fucile. Sunset fu colta da un tremito. — Va' a sinistra, — disse. — Io vado a destra. — Io seguo gli spari, — disse Clyde. — Sono io che comando. Fa' come ti dico. Clyde annuì e si diresse a sinistra. Passando davanti alle finestre del lun-
go corridoio, le vide oscurarsi quasi di colpo, ostruite dalle oscillanti ondate di cavallette che bloccavano la luce del sole. In fondo al corridoio c'era una porta. La varcò. Gli sembrava di avere un asciugamano ghiacciato sulla nuca. Sunset andò a destra, e al termine della corta parete scoprì che la luce, pur ridotta, le consentiva di vedere Bull. Giaceva a terra, inerte, e alla sua sinistra si scorgeva uno scaffale stracolmo di oggetti, tra i quali un piatto d'argento accanto a una lampada a cherosene; e in quel piatto, leggermente inclinato, si rifletteva una sagoma che aveva appena imboccato il corridoio, dall'altra parte del muro. Anche a distanza e con pochissima luce, riuscì a capire che si trattava di McBride. Indossava quello che su due piedi le parve un vestito da donna, ma che poi riconobbe essere un grembiule. Clyde attraversò la sala da pranzo, con tanto di candelabro e tavola apparecchiata, oltre che ben illuminata; ma con una luce strana, era come ritrovarsi dentro un tuorlo d'uovo. Clyde scivolò da una parte, si mise in ascolto. Udì cigolare il pavimento. Rimase immobile. La bionda, la puttana, gli si parò davanti, entrando da una porta sul retro. Era mezza nuda. — Non sparate, — disse. — Lui è dietro la parete. E non vuole una sparatoria. — Chi? — Hillbilly. — Hai mandato avanti una donna, Hillbilly? — Non hai alcun motivo per spararle, — disse Hillbilly da dietro il muro. — Sono io, quello che vuoi. — Di me, non gliene frega un bel niente, — disse la puttana. — Sta solo cercando di guadagnare tempo... È uno di quelli che ti hanno riempito di botte, Hillbilly. Clyde le fece cenno di venire avanti. — Mettiti dietro di me, — disse, poi si rivolse a Hillbilly. — Butta la pistola. — Non ce l'ho. La bionda scosse il capo. Clyde annuì. — Non voglio che sia lei a rimetterci le penne, — disse Hillbilly. — Esci dal retro, — disse Clyde alla puttana. — C'è appena passato McBride, da quella porta che dà nel corridoio, —
disse lei. — Esci dal retro, — le ripeté Clyde, — e tante grazie. La donna filò via. — Lo so che sei armato, Hillbilly. Getta la pistola. — Già. Così poi mi spari. — Se non la getti, ti sparo di sicuro. — Ci devo pensare. Clyde sgusciò in avanti e si piazzò accanto alla parete, Hillbilly dall'altra parte. — Ultima chance, — disse. — Altrimenti? — fece Hillbilly. — Guarda che me la so cavare. Vieni a prendermi. Clyde alzò la doppietta e la puntò contro il muro, là dove gli sembrava giungere la voce di Hillbilly. Sparò, spedì un altro colpo in canna, si accucciò, attese. — Cazzo, — disse Hillbilly. Clyde varcò la porta spalancata, tenendosi basso, e sporse il capo e il fucile dall'altra parte del muro. Hillbilly giaceva sulla schiena, con una pistola accanto. Non era ferito in maniera grave, ma lo sparo l'aveva colto di sorpresa, riempiendolo di pallini. Nella spalla gli si era conficcato un frammento di parete. — Non sei conciato tanto male, — disse Clyde, raccogliendo la pistola di Hillbilly e infilandosela nella cintura. Hillbilly afferrò il frammento di parete e lo estrasse dalla spalla. Respirò a fondo, girò la testa verso Clyde. — Adesso puoi pareggiare i conti. Sunset udì il colpo di fucile venire da sinistra, dalle stanze in fondo. La bionda entrò da una porta, di buon passo, la vide e le fece cenno con la mano, passò dalla malconcia porta posteriore per infilarsi tra le cavallette e la richiuse. Sunset si voltò e tornò a guardare la parete dal lato di McBride. Lo vedeva venire avanti, riflesso nel piatto. Arretrò piano fino a ritrovarsi tra le due finestre, la schiena contro il muro, poi si lasciò andare sul pavimento, seduta, tirò su le ginocchia e vi appoggiò il fucile, ne sistemò il calcio contro la spalla. La testa di McBride apparve dietro l'angolo, con tale rapidità che lo stupido parrucchino che la sormontava cambiò posizione in maniera netta. Sunset sparò per uccidere. Il colpo finì in gran parte contro il muro, ma alcuni pallini vaganti bec-
carono McBride dritto in faccia. L'uomo cacciò un grido e si mise al riparo. Sunset caricò un altro colpo in canna e puntò di nuovo il fucile. Non ha capito che riesco a vederlo riflesso nel piatto, pensò. Era appoggiato al muro e cercava di togliersi i pallini dal viso. — Maledetta troia, — disse. — Mi hai preso. — Volevo fare di peggio, — rispose lei. — Arrenditi, e la finiamo qui. — Ah! — Giri sempre col grembiulino? — Mi hai guastato la colazione, troia. Ti riempirò di piombo finché non ti riconoscerà più nessuno. Sunset cercava di decidere il da farsi. Darsela a gambe, per esempio: in quella situazione, seduta com'era, non aveva la minima possibilità di cavarsela se non essere più veloce di McBride. E ci stava ancora pensando, quando McBride si staccò d'improvviso dalla parete, afferrò la lampada e indietreggiò. Sunset sparò. Troppo tardi. Il colpo finì sulla parete opposta, facendo saltar via il piatto d'argento, che batté di taglio sul pavimento e iniziò a ruzzolare verso di lei, per poi ruotare su se stesso e cadere immobile. Cazzo, pensò Sunset. Meno male che lo vedevo, là dentro. Mi ha fregato comunque. Da dietro la parete apparve il braccio di McBride, che le scagliò addosso la lampada accesa. Sunset balzò via. La lampada colpì un punto alle sue spalle, e le fiamme attaccarono subito il muro, divorando la carta da parati come zucchero filato. Sunset avvertì la vampata, sentì arricciarsi i capelli. Rotolò via giusto in tempo. McBride stava uscendo dal suo riparo. Aveva una doppietta, e fece subito fuoco. Sunset rotolava ancora, e si appiattì sul pavimento. I colpi le passarono sopra, sfiorandole i talloni e frantumando il vetro della finestra alle sue spalle. Poi si udì un rumore, un ringhio che sembrava provenire da una tomba. Sunset alzò la testa, nel tentativo di mirare contro McBride, ma ne vide il volto stupefatto. L'uomo aveva aperto il fucile per ricaricarlo, ma la sua espressione costrinse Sunset a girare la testa per guardarsi alle spalle. Il fuoco aveva già devastato la parete e si stava estendendo all'esterno, avvolgendo le cavallette che a loro volta tentavano di entrare. Un'ondata di insetti in fiamme si abbatté sul viso di McBride. L'uomo mollò la doppietta e si coprì la faccia con le mani. Anche il par-
rucchino aveva preso fuoco. McBride tentò di gettarsi sul pavimento, ma le cavallette gli erano ormai addosso e non avevano intenzione di abbandonare la presa. Si rialzò urlando, mulinando le braccia, col grembiule che bruciava. Stupida testa di cazzo, pensò Sunset, perché non ti rotoli in terra? Non sei tu ad andare a fuoco, è quel grembiule, quel parrucchino da deficiente. Ma McBride non seguì il suo tacito consiglio. Il parrucchino era ormai diventato una sorta di berretto in fiamme. Lo fece schizzare via, mettendo a nudo la lucida pelata, lo gettò da una parte e attaccò a correre in direzione di Sunset, che ne fu a tal punto sorpresa da non riuscire nemmeno a sparare. McBride continuò la sua corsa, le passò davanti e si lanciò da quel che restava della finestra, con le lingue di fuoco che gli svolazzavano attorno come un mantello e gli insetti - anch'essi in fiamme - che gli ronzavano sulla testa a mo' di aureola. Poi quel mantello avvampato piombò giù dalla finestra e scomparve, e l'aria si riempì dello scoppiettio dell'incendio e delle cavallette esplosive. Da sinistra, apparve Clyde. C'era anche Hillbilly, le mani legate dietro la schiena con una federa attorcigliata, pieno di sangue e piegato in due, ma non se la passava poi tanto male. — Tutto bene? — le gridò Clyde. — Quasi, — rispose lei. — È grave? — Qualche pezzo di legno, per lo più schegge del muro. Sopravvivrà. La parete alle spalle di Sunset era completamente avvolta dalle fiamme, e il fuoco si stava espandendo. — Andiamo sul davanti, — disse lei. — Li abbiamo beccati tutti? — chiese Clyde. — Cristo, spero di sì. Sunset si alzò e spense i piccoli focolai che le avevano già attaccato la gonna. Clyde rifilò a Hillbilly un calcio in culo. — Muoviti, usignolo. Sunset raggiunse il vano della porta, si fermò e si chinò su Bull. — Bull? — disse. — E andato? — sospirò lui. — Chi? — Quel negrone con la bombetta. — Non lo vedo più in giro. — Bene. — Mi spiace, Bull. — Non datelo a quei bianchi con le pezze al culo, il mio cadavere.
— Ti rimetterai. — Ho un coltello nella schiena. Dalle gambe in giù non sento più niente, uccello compreso. Andiamo a fuoco? C'è odore di fumo. Clyde e Hillbilly li avevano raggiunti. — Sì, — disse Clyde. —È il fuoco, Bull. — Lasciatemi bruciare, — disse Bull. — No di certo, — fece Sunset. — Clyde, porta Hillbilly in macchina e legalo, gambe e braccia, tutte assieme. La corda è nel baule. Buttalo sul sedile posteriore, anzi nel baule. Poi torna su a darmi una mano. Dobbiamo sistemare Bull. Cristo, dov'è mio padre? Bull. Mi senti? Dov'è mio padre? Bull non rispose. Poco dopo, Clyde riapparve con Hillbilly. — La macchina non c'è più, e tuo padre è ferito. — Ferito? — Già. Una gamba rotta —. Clyde abbassò gli occhi su Bull. Era immobile, gli occhi chiusi. — Bull? — È andato, — disse Sunset, tossendo per il fumo. — Proprio come questo posto, — disse Hillbilly. La parete più lontana era in fiamme, e il fuoco, alimentato dal cherosene sul pavimento, si stava dirigendo verso di loro. — Lasciamolo qui, — disse Clyde. Sunset ci pensò su, pensò a come Bull aveva vissuto e a quel che le aveva detto prima di morire. — Va bene, — disse. Sunset portò Hillbilly dabbasso, piantandogli il fucile nella schiena, e Clyde si caricò Lee sulle spalle. — Non volevo che andasse a finire così, Sunset, — disse Hillbilly quando furono in fondo alle scale. — Tu non vuoi mai che succeda niente, e invece ne capitano di tutti i colori. — Sono un po' sfigato. — Cazzo, sei una sfiga ambulante, altro che. Le fiamme stavano divorando l'appartamento. Il fumo si riversava dalla porta aperta, e l'emporio al piano inferiore aveva già preso fuoco. La potenza dell'incendio era tale che anche le cavallette avevano iniziato ad arretrare. Sunset alzò gli occhi e le vide muoversi rapidamente verso sud, come un arcobaleno nero che copriva il sole.
— Tieni d'occhio questo pezzo di merda, — disse Sunset quando vide arrivare Clyde, che portava Lee in braccio come un bambino. Lo lasciò con Hillbilly e fece il giro dell'edificio in cerca di McBride, ancora all'erta, il fucile in pugno. Lo trovò addossato alla collina sul retro. Il terreno, là dove McBride si era trascinato, recava tracce di bruciato. L'uomo era ormai una sagoma nerastra, le mani ridotte ad artigli e affondate nell'argilla, come avesse tentato di risalire l'altura per arrivare chissà dove, o magari scavarsi una tana. Attraversarono la strada, diretti alla prigione, Sunset che pungolava Hillbilly con la canna del fucile e Clyde che portava Lee. Rinchiusero Hillbilly assieme a Plug, e Clyde fece sdraiare Lee sul lettuccio dell'altra cella per poi andare a chiamare il medico condotto, che venne, visitò Lee e disse che non era una bella situazione. — Ha bisogno di un ospedale, — disse il medico. — La gamba è a rischio d'amputazione, e non è una cosa che io sono in grado di fare. — Mi serve, la gamba, — disse Lee, il volto madido di sudore. Il medico era un tipo basso e grassoccio in camicia a quadri e calzoni che invocavano il sapone. — È possibile che non le serva più, invece, — disse. — Farò del mio meglio per sistemargliela, ma dobbiamo assolutamente portarla a Tyler. Laggiù c'è gente molto più esperta di me, nel settore. Non si tratta di una semplice frattura. Questa è esposta, e in maniera molto grave. — Ti porteremo da uno specialista, papà, — disse Sunset. — Poi non è detto che vada a finire per forza male. — Se me ne occupo io, — fece il medico, — può starne certa. — E può trasportarlo a Tyler? — disse Sunset. — Certo, — rispose lui, — ma costerà. — È un vicesceriffo. — È suo padre. — Ed è pure un vicesceriffo. Cerchi di farlo arrivare laggiù, e mandi il conto a Camp Rapture. Anzi, lo mandi a Holiday. E gli dia qualcosa per il dolore. — Cristo santo, sì, — disse Lee. — Mi stordisca. Mi dia qualche droga. — Papà, — disse Sunset, e il suono di quella parola le piaceva sempre più, — sei ancora convinto di quel che dicevi, sull'unione di tutte le cose dell'universo, sul fare tutti parte di una sola grande cosa? — Mica tanto, — rispose Lee.
— E questi due? — fece Clyde, indicando col capo Hillbilly e Plug. — A disposizione della legge, — rispose Sunset. — Non c'è la legge, qui, — disse Clyde. — Oggi c'è. Sei tu, la legge, fin quando non c'inventiamo qualcosa. Vado a recuperare Karen. — Poi? — Ci penseremo al momento opportuno. Con Lee in viaggio verso Tyler a bordo dell'automobile del medico, Sunset prese le chiavi della macchina dello sceriffo e andò a ripulire il parabrezza dagli insetti. Si sedette al volante rimuginando che lei e Clyde non si erano fatti neanche un graffio, laddove suo padre era conciato per le feste e non aveva nemmeno messo un piede nell'appartamento. E Bull. Povero Bull, che ci aveva lasciato le penne mentre lei aveva soltanto alcune ciocche bruciate, pochi graffi e qualche pallino nei talloni, che poteva sempre togliersi da sola con un paio di pinzette. Poi guardò quel che restava dell'incendio, dall'altra parte della strada. I pompieri - un eufemismo - stavano cercando di domare definitivamente le fiamme, ma per lo più si limitavano a correre attorno all'autopompa bestemmiando. Erano riusciti a inondare l'edificio con una gran quantità d'acqua, e l'appartamento e l'emporio non erano ormai altro che un ammasso di legname arso che si poteva buttar giù con un soffio. Pensò a Bull, rimasto a bruciare là dentro, e le venne in mente una storia che aveva sentito raccontare, sugli eroi della Grecia messi sopra cataste di legno e fatti ardere, così che la loro anima ascendesse alla gloria tra il fumo e le fiamme. Sulla strada di casa, vide che il cielo si era schiarito ed era completamente sgombro. C'era solo un corvo. Alberi, prati e vegetazione erano stati spazzati via. Era come se il colore verde non fosse mai esistito. Adesso che la tempesta di ali e zampe era cessata, era rimasta soltanto desolazione. Anche i tronchi avevano perso la corteccia. Intorno giacevano cavallette morte, vittime di scontri all'ultimo sangue con le loro compagne affamate. Continuò a guidare finché non trovò la sua macchina, su un lato della strada, la portiera spalancata. Sunset si fermò nei pressi, prese il fucile che le stava accanto e scese. Ormai era mattino pieno e faceva caldo, ma nell'accostarsi alla sua auto provò una sensazione di gelo. Sbirciò all'interno. Niente. Solo sangue rappreso, sul sedile anteriore. Risalì la strada, lentamente, calpestando cadaveri di cavallette, scrutando
a destra e a sinistra. Poi lo vide. Era seduto con la schiena contro un grosso pino ridotto a uno scheletro. Aveva le mani sulle cosce e la stava guardando. La sua bombetta era per terra, capovolta. Sul davanti della camicia le mosche erano così fitte da rassomigliare a un panciotto. La giacca era tirata all'indietro, a scoprire le spalle, nel tentativo di trovare un po' di refrigerio. La cicatrice sulla testa spiccava come una ferita aperta, come se un vero ferro di cavallo cercasse di uscire allo scoperto, aprendosi la via dall'interno del cranio. Sunset avanzò adagio verso di lui, a fucile spianato. Quando gli fu sopra, il panciotto di mosche volò via terrorizzato. Sunset vide che l'uomo era privo di parte del labbro inferiore. Bel lavoro, Bull, disse tra sé. Sopra gli occhi verdi, immobili e coperti da un velo, indugiava una mosca. — Mi sa che avete tirato le cuoia, tu e lei, — disse Sunset. 37. Goose fu sepolto nello stesso cimitero di Pete, Jones e la moglie di Henry. Non ne conoscevano il cognome e, visto che il suo vero nome a Goose non era mai piaciuto, sulla croce di legno scrissero GOOSE. UN BRAVO RAGAZZO. Lee non poté prendere parte al funerale, ma scrisse poche righe dal suo letto d'ospedale e le fece leggere a Sunset. Erano parole semplici, garbate, con qualche citazione dalla Bibbia. Ben, invece, fu seppellito nelle terre di Sunset, accanto alla grossa quercia che tanto amava. Su quella tomba fu Sunset a recitare l'orazione funebre. — Questa è casa tua, amico. Due settimane più tardi, a bordo della sua macchina martoriata dagli insetti, Sunset si recò da Marilyn. Passò davanti a Bill e a Don coi loro muli, ad altri uomini che conducevano buoi e camioncini, a gente impegnata in attività varie. C'era un enorme numero di alberi di cui occuparsi. Il breve regno delle cavallette ne aveva fatti morire in gran quantità, e venivano tagliati in fretta e furia, trasportati alla segheria, piazzati sotto la sega. All'arrivo di Sunset, Bill sollevò gli occhi dal suo lavoro. — Non l'ha trattata per niente bene, la macchina. Guarda come l'ha ridotta. Don annuì. — Però lei ha davvero un bell'aspetto, non trovì? — Devo ammetterlo, — disse Bill. — Non mi piace proprio, quella donna, ma questa storia non l'ha certo imbruttita. E ha dimostrato di avere
un bel fegato, lei e anche Clyde. L'avevo capito subito, che Hillbilly non valeva un beato cazzo. Mi è bastato vederlo una volta. — Non sapevi un accidente, tu, — disse Don. — Come no. Solo che non l'avevo detto. — Occhio ai muli, — disse Don. Sunset oltrepassò la segheria ed entrò nel cortile di Marilyn. Salì in veranda e bussò alla porta. Nell'attesa si mise a guardare la segatura che indugiava come foschia sui capannoni, ad ascoltare il ronzio della sega gigante. Marilyn le aprì con un sorriso. Aveva un'aria magnifica, giovanile, in un vestito bianco da casa a disegni azzurri. — Che bello averti qui, Sunset. È un pezzo che non ci vediamo. E come sei elegante. Bel vestito. — L'ho comprato a Holiday. Volevo qualcosa di verde, adesso che non ne è rimasto più tanto. — Mai vista una cosa del genere. Non da queste parti, almeno. In altre zone del Texas sì, a nord e a sud, e forse anche in Oklahoma, ma di cavallette qua attorno non c'era mai stata traccia. — Si erano già mangiate tutto, là, quindi sono venute anche da noi. — Forza, — disse Marilyn, aprendo la zanzariera. — Non stare lì in veranda, tesoro. Vieni dentro. In casa, Sunset prese una sedia. La stessa da cui Marilyn l'aveva fatta volare via a schiaffi, qualche settimana addietro. Udiva il ticchettio della grossa pendola. — Dov'è Karen? — chiese Marilyn. — Da Uncle Riley. Marilyn ci pensò su. — Per via del bambino? — Le ha dato una mano Aunt Cary. — Se... se ne è è liberata? — Non lo voleva più. Non con tutto quel che è successo. Marilyn annuì e rimase in silenzio per un po'. — Credo che sia giusto. Non penso che Dio vorrà giudicarla per questo. — No, — disse Sunset. — Lo credo anch'io. — E Clyde? — disse Marilyn, nel tentativo di cambiare discorso. — A Holiday. È ancora sceriffo, laggiù. Finirà che lo assumono davvero. — E tuo padre?
— È ancora in ospedale. La gamba gliel'hanno salvata, ma non la potrà più usare. Appena ho finito qui vado a Tyler a trovarlo. — Mi spiace, per la sua gamba. Però poteva andargli peggio. — Ah, certo. Magari Bull non sarà tanto d'accordo. — Neppure sapevo che esistesse veramente. — Altro che. — C'era di mezzo anche un vice... — Plug. Subirà un processo. Ha cercato di aiutarmi, e potrebbe avere delle attenuanti. Però non me ne frega niente, alla fine. — Ho sentito che anche Zendo se n'è andato, — disse Marilyn. — Con tutto quel petrolio, poi. Una fortuna del genere, e lui se ne va. — Si è trasferito al Nord, e il petrolio è ancora suo. È Clyde a gestire ogni cosa per suo conto. La gente non si azzarda a dir niente, a Clyde, ma che sia un nero il proprietario di tutto quel petrolio non lo butta giù tanto bene. Al Nord Zendo ha meno problemi, a essere ricco, e Clyde riceve una bella sommetta per il disturbo. Le case, quella di Zendo e quella del petrolio, le ha avute entrambe Clyde. In una ci abita, l'altra l'affitta. E a Zendo va bene così. — Certo che Clyde ci tiene proprio, a te. E sarebbe un bel partito. Specialmente ora. — Immagino di sì. Stavo quasi per convincermi, poi, dopo i casini che abbiamo passato, non me la sono più sentita. C'è un qualcosa che mi manca, nei suoi confronti. Dopo tanti morti, e dopo aver rischiato di rimetterci la pelle pure io, non mi va di cadere in un altro sbaglio, uno sbaglio che potrebbe ferirci entrambi. Marilyn sorrise. Anche lei aveva preso una sedia. — Lo so. Quel qualcosa è necessario. È quello che mi faceva provare Jones, da giovane, o magari Pete a te, all'inizio della vostra storia. — Hillbilly me l'aveva fatto provare. Ma sono convinta che non sia sufficiente. A Clyde non è piaciuto sentirselo dire, ma alla fine deve aver capito. In fondo lui è più il tipo dello scapolo. — C'è della gente, in galera, cui Hillbilly piacerà parecchio, — disse Marìlyn. — Uno così carino... non so se mi spiego. — Non è ancora arrivato, quel momento, — disse Sunset. — E non so se guarirà tanto presto. Papà l'ha ridotto molto male. Poi ha pure tagliato la corda. A Tyler, dove era in attesa di processo. Il carceriere aveva una figlia. — Mi prenda un colpo.
— La figlia l'hanno riacchiappata. Lui no. L'aveva lasciata in una stanza d'albergo a Texarkana, senza pagare il conto. Sospettano che sia finito in Arkansas. — Che tipo, — disse Marilyn. Sunset annuì. — Sembra che ti rode qualcosa, — disse Marilyn. — Non ero certa di volerla tirare fuori, questa faccenda. E non sono venuta qui sicura di parlarne. Non proprio. Poi ho deciso di sì. Mi sono svegliata ieri mattina con un pensiero che mi frullava in testa. Me lo porto dietro da un po', e non riesco a liberarmene. Sepolto in un angolino, chissà da quanto. Ma ieri è rispuntato fuori, e l'ho lasciato fare. Oggi sono di nuovo piena di dubbi. — Che diamine stai dicendo? — Come facevi a sapere che Jimmie Jo era incinta? — Cosa? — Me l'hai detto tu, che era incinta. — Erano voci che giravano. Preacher Willie. — E che era stata uccisa con una trentotto. — Sempre voci. Dove vuoi arrivare, Sunset? Sono sicura che lo sapevano tutti. — Lo pensavo anch'io, sempre e solo voci. Ma c'è dell'altro. Mi hai fatto vedere tu come si fa a scavare una buca, mi hai detto che con i tuoi attrezzi si scava meglio che con una vanga, perfino buche lunghe e dritte. È così che è stata sepolta Jimmie Jo. In verticale. E il bambino. Dov'è la fioriera che tenevi in veranda, Marilyn? — Si è rotta. — Lo so. Ne ho visto alcuni pezzi nella tomba del bambino. — Stai sbagliando, Sunset. — Vorrei, ma non credo. McBride sapeva del petrolio su Jimmie Jo, ma non sapeva niente di una trentotto. Me l'avrebbe detto, altrimenti. Cosa vuoi che gliene fregasse? Non aveva idea di cosa gli parlassi io. Quando Pete è venuto da te in lacrime, non è che te l'ha detto lui, di Jimmie Jo? — Non l'ha uccisa Pete, se è questo che vuoi dire. — No. Mi hai portato tu a pensarlo, che poteva essere stato lui, ma non è andata così. — Non aveva importanza. Non allora. Jimmie Jo era morta, e pure Pete. — Dimmi la verità, Marilyn. Perché? Marilyn tacque a lungo. La pendola batté mezzogiorno. — Non ho fatto
quel che pensi tu, — disse. — E cosa hai fatto? — Pete ce l'aveva con te, piangeva per causa tua. Non ti riteneva la moglie che avresti potuto essere, poi aveva conosciuto quella donna, quella puttana, Jimmie Jo. Io vi stavo proteggendo entrambi, lui e te. Ma non ho fatto... Non è andata come sembra. — E com'è andata? — La pianta nella fioriera sul retro è appassita. Lo sanno tutti che la terra di Zendo è la migliore della zona. L'idea era prendere la strada secondaria, quella che passa sui terreni col petrolio e che pensavo fossero di qualcun altro. Terra dimenticata, insomma. Volevo andare fin lì a procurarmi un po' del terriccio di Zendo. Avevo intenzione di chiederlo a lui, ma non era detto che lo trovassi. Sono arrivata laggiù e ho visto la casa, quella che Pete aveva costruito per la sua puttana. Certo, me l'aveva già detto lui, ma quando l'ho vista mi sono sentita morire. Era più bella della vostra, Sunset. Mi sono incazzata e sono andata da Jimmie Jo, ma lei non c'era. E quando sono risalita in macchina mi ero già scordata del terriccio di Zendo. È stato allora che l'ho vista, Jimmie Jo. C'era una grande pozza di petrolio e lei stava lì accanto, stesa in terra. Aveva un vestito verde e arancione. Proprio un vestito da troia. Lo vedevo bene, c'erano dei punti non coperti dal petrolio. Impossibile non accorgersene. Sono corsa a dare un'occhiata. Era lì, come morta. Come annegata. Il cervello non le funzionava più, ma il resto si muoveva ancora. Avevano voluto affogarla, ma non erano stati bravi. L'avevano lasciata convinti che fosse ormai un cadavere, ma non lo era. E stava per partorire, Sunset. Anche se ormai era clinicamente morta, il suo corpo stava partorendo un bambino. Avevo già visto Aunt Cary far nascere dei figli. E sapevo chi era, quello. Mio nipote. E l'ho fatto nascere io, gliel'ho tirato fuori in quel modo perché lei non era più in grado di partorire nella maniera giusta. Ho agito come già avevo visto fare da Aunt Cary, ma il bimbo è nato morto, Sunset. Morto, da una madre morta. Poi le ho sparato, è stato un atto di misericordia. Almeno, che morisse del tutto. Non ha sofferto più di quanto le fosse già toccato. Dopo ho preso il bambino e l'ho messo nel vaso. Mi ero portata gli attrezzi per scavare una buca, li avevo con me per prendere un po' di terriccio, e ho sepolto vaso e bambino nella terra di Zendo. — Perché, Marìlyn? — Il piccolo era morto. Impossibile riportarlo in vita. Poi tu non dovevi saperne niente. Stavo cercando di proteggerti, Sunset. Davvero. Volevo so-
lo togliermeli dai piedi. Lì per lì, ho pensato che l'assassino fosse Pete. Adesso so che invece è stato quel McBride, come l'hai chiamato tu. Ma allora ero sicura che a uccidere Jimmie Jo fosse stato mio figlio, e che il bambino fosse morto di conseguenza, e che se si fosse saputo in giro sarebbe stata la fine. E anche tu e Karen avreste sofferto. Però ho commesso uno sbaglio. Ho lasciato lì i miei attrezzi. Li avevo riportati al camioncino, li avevo appoggiati al cassone, poi me ne scono scordata. Sono andata via senza caricarli, e quelli sono caduti in terra. Quando li ha trovati Pete, ha capito subito di chi fossero. È venuto a chiedermene conto, se li è portati dietro. Poi mi ha chiesto di Jimmie Jo. Pensava che l'avessi uccisa io. — Ed è proprio così. Le hai sparato, l'hai uccisa. Per questo Pete ha scritto il suo rapporto in quel modo, e ha sepolto il bambino come fosse di colore. Per proteggere te. — Jimmie Jo era già morta. È stato McBride ad annegarla, o uno di quelli che lavoravano per lui. — McBride non era così bravo ad ammazzare la gente. Alla lunga, non è riuscito neppure a far secche le cavallette. Fosse stato bravo, non avresti dovuto finire tu il suo lavoro. — E perché avrei ucciso il bambino? — Forse non l'hai fatto, no. O forse sì, perché non volevi che Pete avesse un figlio da una puttana che non era sua moglie. Non lo so. — Era andato tutto alla perfezione, Sunset. Jimmie Jo fuori della tua vita, della vita di Pete, e anche della mia. Il bambino, alla fine è stato meglio, magari pure per quello di Karen. È così che doveva andare. Secondo la volontà di Dio. Pete, a lui l'ho detto io dov'erano sepolti. Zendo è stato il primo a trovarlo, il bambino, l'ha portato via, poi l'ha trovato Pete e l'ha messo nel cimitero dei neri. Forse voleva aspettare di poterlo seppellire in un cimitero di bianchi. Non so. Non abbiamo avuto il tempo di parlarne. L'hai ammazzato prima. — Guarda che con il bambino aveva seppellito anche i documenti del Catasto, — disse Sunset. — Marilyn, a te non importava che fossi accusata io dell'omicidio di Jimmie Jo e di suo figlio. — Mi importava eccome. Solo che non potevo dire niente. — Sai cosa penso? — disse Sunset alzandosi. — Che ti sarebbe andata benissimo, se la colpa l'avessi presa io. Sapevi che nessuno avrebbe accusato Pete, a differenza di me. Così mi avresti avuto in pugno per aver ucciso tuo figlio. E potevi restare in buoni rapporti con Karen. — Ti ho fatto un sacco di bene, Sunset. Ti ho procurato la macchina. Ti
ho dato una mano. — Forse sì. O forse l'hai fatto solo per Karen. E per te stessa. La verità è che starti vicino mi rende nervosa, Marilyn. Chissà cosa ti passa per la testa. Rischierei di svegliarmi una notte, col lenzuolo cucito al materasso, e tu che mi stai sopra con un rastrello. O un fucile. O quella trentotto. — Non mi sembra che tu sia stata da meno. — La mia era legittima difesa. Da tuo figlio. Io sono andata ad arrestare gente che aveva infranto la legge e che voleva uccidere mia figlia e il mio vice, e che aveva già ammazzato un ragazzo cui volevo bene. Un cane che amavo. E avrebbe ucciso anche me, e mio padre. Ho la coscienza a posto, Marilyn. E la tua, com'è? Sunset si avviò alla porta. — Vuoi arrestarmi? — Non ho il distintivo. Né la pistola. E non voglio più averli. Non mi servono più. Sunset spinse la porta a zanzariera e la lasciò andare. Marilyn le corse dietro e si fermò sui gradini, mentre lei raggiungeva la macchina. — Lasci il tuo posto? — Già. — Quindi non mi arresti. Sunset scosse il capo. — E adesso che farai? — disse Marilyn, ma le toccò allungare il collo per udire le parole di Sunset, coperte dal ronzio della sega che aveva appena ripreso a funzionare. — Recupero Karen, dico addio a Clyde, vado a prendere papà, poi... poi chissà. Forse gireremo senza meta. — Ma tu mi credi, Sunset? — Non lo so. E non mi sembra più così importante. O non abbastanza. Ma qualche dubbio ce l'ho, e questo mi basta. La cosa davvero fondamentale è che ho riacquistato il mio baricentro. — Il tuo cosa? — Addio, Marilyn. Sunset si mise al volante e ripartì. Marilyn restò sulla veranda a guardarla andare via, fin quando non ci fu altro da vedere se non la strada vuota e la polvere sollevata dalla macchina. FINE