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JONATHAN STAGGE TRE CERCHI ROSSI (Light From A Lantern, 1943) 1 Quella sera mia figlia ed io rincasammo all'ora in cui i pescatori di Capo Talisman cominciano a sbadigliare pensando al loro letto. Avevamo fatto tardi per colpa d'uno di quei pesci fenomenali che sono argomento d'innumerevoli storie di pesca e che io non vedrò probabilmente mai da vicino. In quel caso si trattava d'un bestione che, dopo aver sottoposto i miei muscoli a uno sforzo inusitato, era riuscito a dileguarsi, tirandosi dietro circa quaranta metri della mia lenza migliore. Il taciturno padrone della barca si era lasciato vincere da una specie di silenzioso entusiasmo per quella lotta col pesce recalcitrante, e così ci eravamo accorti che annottava solo quando una fitta oscurità aveva avvolto il mare e la terra. Senza esserci trovati in vere e proprie difficoltà, avevamo perduto altro tempo alla ricerca dell'imboccatura dello stretto canale che conduce al porto di Capo Talisman. Eravamo potuti sbarcare solo a notte fonda, stanchi e un tantino delusi. Il padrone uscì a stento dal suo mutismo per brontolare: «Buona notte, dottore. Buona notte, signorina.» Rispondemmo in modo altrettanto sbrigativo. Dawn appese a un pezzo di lenza il piccolo sgombro che aveva pescato con le sue mani, e ci avviammo, sulla sabbia umida, verso l'albergo, lasciando alle nostre spalle le luci del villaggio. Mentre camminavamo di buon passo, Dawn andava prospettandomi, con l'entusiasmo della sua giovane età, le delizie di una buona cena calda. Come padre avrei dovuto rimproverarla per quei pensieri da ghiottona, ma ero affamato anch'io e le sue parole mi sembravano ambrosia. Questi sono gli effetti di un giorno di pesca. Settembre è un mese selvaggio e pieno d'imprevisti, in quella costa della Nuova Inghilterra anch'essa tanto selvaggia. Sembra che gli elementi siano perpetuamente in corruccio. Le onde invadono e corrodono la spiaggia a palmo a palmo, e la parte vecchia della cittadina è quasi disabitata e sarà un giorno sommersa. Perfino a sud, dove si stende un solido baluardo di rocce, non c'è difesa sufficiente contro gli elementi. L'albergo Talisman, che sembrava così riparato e sicuro nei primi anni che vi soggiornavo, si
trovava ormai a contatto col mare. Non era lontano il giorno in cui si sarebbe dovuto abbandonarlo, come due anni prima era stata abbandonata la chiesa vecchia, dopo che un fortunale l'aveva gravemente danneggiata e che l'oceano aveva invaso perfino il cimitero minacciando di sconvolgere l'ultima dimora dei vigorosi pescatori di un tempo che fu. A chi aveva visto la località nel periodo del suo massimo splendore, Capo Talisman doveva sembrare malinconico e inospitale. La folla di allegri bagnanti che una volta gremiva la spiaggia privata dell'albergo si era ormai ridotta a un gruppo di tipi piuttosto originali. Mitchell, l'albergatore, coi suoi inappuntabili vestiti e le sue impeccabili maniere newyorkesi, andava prendendo di anno in anno un'aria più stravagante nel suo locale ormai decadente. Quel particolare inizio di settembre si era portato via la maggior parte dei clienti all'infuori d'un gruppetto di otto persone. E quegli otto, salvo forse Dawn e me, erano inguaribili difensori di cause perse e di luoghi di sfacelo. Nessuno di loro apparteneva a quella categoria di clienti che Mitchell avrebbe immaginato nei suoi rispettabili sogni di albergatore. Ma per me quell'angolo di mondo aveva un'incredibile magia. Le dune grigie, le rocce battute dai flutti, l'albergo in rovina e la chiesa abbandonata apparivano ai miei occhi com'erano quindici anni prima, quando ero stato là in viaggio di nozze con Paul. Negli anni successivi, Paul ed io eravamo tornati a Capo Talisman per le vacanze, risparmiando con gran fatica i denari necessari sul già magro bilancio di un giovane medico. In seguito, quando Paul morì e Dawn ed io restammo soli, Capo Talisman divenne il simbolo degli anni più felici. Non mi si accusi di sentimenti morbosi; non credo che ci sia nulla di morboso in un uomo di quarant'anni o quasi che impiega una piccola parte dell'annata a rivivere i suoi perduti vent'anni. La nebbia che stagnava sulle dune sembrò più fitta quando doppiammo il muro di cinta dell'antico cimitero. La marea era bassa e il rumore delle onde rotto di quando in quando dall'urlo di una sirena, che veniva dal mare. Dawn trotterellava al mio fianco; doveva essere un poco impaurita per l'oscurità, per la nebbia e per quell'atmosfera tragica, poiché fischiettava per farsi coraggio. Il pesciolino dondolava debolmente, appeso alla lenza. Improvvisamente Dawn smise di fischiettare. «Guarda, papà» esclamò, indicando le dune «guarda quella luce rosa!» «Che c'è?» chiesi distratto. «Non vedi? Sembra una lanterna cinese, di quelle che si adoperano per i picnic. Di', papà, credi che facciano un picnic nel cimitero?»
«Non credo che sia il posto più adatto» risposi, guardando istintivamente nella direzione indicata dalla bambina. Mia figlia è dotata di un'immaginazione fervida, ma ha anche un'ottima vista. Attraverso la nebbia fitta, riuscii a distinguere una vaga luce rosata che non doveva essere molto lontana da noi. Confusamente, molto confusamente, dietro la luce, riuscii a distinguere il contorno della vecchia chiesa. Quando fummo più vicini, dovetti riconoscere che Dawn aveva ragione. La luce proveniva da una di quelle lanterne di carta grossolanamente dipinte che si possono comperare, con la candela e tutto, per pochi centesimi, e che vengono usate per feste o picnic notturni. Quei colori crudi che splendevano allegramente nel vecchio cimitero mi misero addosso una specie di malessere. «Fa venire in mente certe storie di fantasmi, no?» sentii la manina di Dawn che s'insinuava nella mia. «Papà, non credi che voglia dire qualcosa di brutto?» «Macché! Qualche ragazzo l'avrà lasciata accesa lì» risposi. «Aspettami, vado a vedere.» Le diedi da tenere la canna da pesca e mi allontanai sulla sabbia delle dune, sprofondando, scivolando e aggrappandomi a cespugli pieni di spine per non perdere l'equilibrio. Davanti a me, la lanterna continuava ad ammiccare. Ero quasi alla mèta e distinguevo già la decorazione dipinta sulla carta rosa, quando la lanterna si mosse; e, mentre la fissavo allibito, cominciò a scivolar via rapida lasciando dietro di sé una lieve opalescenza rosata. «C'è qualcuno?» gridai. L'eco mi rimandò la mia voce come un rimbombo, ma nessuno rispose. Seguii quel lieve chiarore superando la cresta della duna e destreggiandomi fra le tombe dell'antico cimitero. A un certo momento cominciai a distinguere meglio la lanterna che ora non si muoveva più e che mi sembrò appoggiata ai piedi di un abete striminzito, a pochi metri dalla linea della spiaggia; ora vedevo distintamente anche le tombe, molte delle quali non avevano più la lapide, portata via dal mare e sgretolata dal tempo. Poi, mentre aguzzavo la vista, scorsi qualcos'altro; una strana forma umana che sembrava confondersi con la nebbia circostante. Era accosciata, immobile accanto alla lanterna. Poi, all'improvviso, sembrò svanire dietro l'abete. La lanterna continuava a diffondere intorno la sua luce rosata.
Chiamai ancora, parecchie volte, ma non ebbi risposta. Mi avvicinai all'albero. La lanterna illuminava l'erba ispida. Scorsi una pesante pala abbandonata sul terreno. Chiamai ancora una volta, ma soltanto il suono lontano della sirena per la nebbia mi rispose. Presi in mano la lanterna ed esaminai la pala; era impastata di fango fresco. Allora, guardandomi intorno, mi accorsi che il terreno, che avrebbe dovuto essere sabbioso e asciutto, sembrava intriso d'acqua. Feci un passo e inciampai in un mucchio di fango. Alzai la lanterna e vidi a un passo da me una tomba scavata di fresco. Al primo momento pensai che fosse stata scavata per qualcuno del villaggio, morto in quei giorni, ma scacciai subito quell'idea. Chi mai avrebbe pensato a seppellire un morto in un tratto di terra che le maree settembrine avrebbero spazzato, giorno per giorno, fino a che l'oceano non si fosse preso la bara? E chi mai avrebbe fatto quel lavoro così furtivamente, nella notte? Per un attimo stetti lì fermo, riflettendo. Alzai ancor di più la lanterna per esplorare la fossa aperta e vidi quello che mi aspettavo di vedere: la superficie di una vecchia, vecchissima cassa da morto, che era stata sottoterra per anni e anni. Dalla parte della testa, il fango era stato grattato via, come se qualcuno avesse cercato di mettere allo scoperto, per decifrarla, la targhetta col nome del morto. Una zolla si mosse sotto i miei piedi e cadde sul fondo con un tonfo sordo. Sussultai e la lanterna mi sfuggì di mano cadendo sulla cassa. Per una frazione di secondo la luce rosa illuminò il fondo della fossa, poi si spense. La mia professione di medico non mi rende incline alla superstizione né a terrori per cose immaginarie, ma in quel momento, mentre me ne stavo lì immobile, la mia mente fu invasa da strane immagini; spettri, vampiri, spiriti maligni, predatori di cadaveri. Poi il buon senso riprese il sopravvento, ed io trovai una spiegazione più sensata. Gli abitanti di Capo Talisman erano poveri e, certo, non potevano permettersi il lusso di far riesumare e riseppellire i loro morti. Non era da escludere che uno di loro avesse tentato di ricuperare la salma d'un parente per metterla al sicuro dall'avvicinarsi delle maree invernali. Ma che cosa significava la lanterna? E perché l'uomo se l'era svignata quando aveva sentito la mia voce? E perché era solo, senza qualcuno che l'aiutasse? No, la strana figura appena intravista aveva qualcosa di furtivo, qualcosa che destava in me l'impressione che il suo lavoro nel cimitero avesse i caratteri d'un sacrilegio piuttosto che quelli di un'opera di pietà.
In conclusione, Dawn aveva visto giusto, e c'era nella faccenda qualcosa che non andava. «Papà!» La voce di mia figlia risuonò spaventata, sulle dune, alle mie spalle. Per un momento rimasi fermo, esitante nel buio, poi gridai a mia volta per rassicurare Dawn e tornai indietro più in fretta che potei. La figuretta, solida e reale dentro l'impermeabile troppo largo, era uno spettacolo riconfortante. Ed era piacevole risentire la manina calda nella mia ed aver coscienza del fatto che, nella nebbia che saliva dal mare e nella notte gelida e sinistra, io avevo lasciato la morte alle mie spalle e stavo tornando nel mondo dei vivi. «Sei stato via molto tempo, papà» osservò Dawn. «Io ho ancora più fame di prima... e dov'è la lanterna?» «Si è spenta» risposi. «L'ho lasciata dov'era.» «Per che cosa serviva?» domandò ancora mentre andavamo di passo lesto verso l'albergo. «Per un picnic?» «Sì, Dawn» risposi con prudenza. «Per una specie di picnic.» Mia figlia è furba quanto curiosa. Non mi aspettavo che si accontentasse di quella spiegazione. Ma non avevo fatto i conti col suo stomaco. La parola picnic era bastata per suscitare in lei meravigliose fantasie gastronomiche, tali da escludere ogni altro pensiero. «E magari focaccia calda con sciroppo d'acero» enumerò «e gelato e torta e ...» 2 Poco dopo, attraverso la nebbia, ci apparvero le luci dell'albergo. Dawn cacciò un urlo di gioia e prese la rincorsa. «Vado a ordinare la cena, papà, e intanto domando se per domattina a colazione ci cuociono il pesce che abbiamo pescato...» La voce si perse in distanza e la figuretta di mia figlia scomparve nell'oscurità caliginosa. Dal canto mio proseguii il cammino col passo dignitoso che si addice alla mia età, rimuginando sulla faccenda della lanterna rosa e delle altre cose che non sarebbero dovute accadere e tuttavia erano accadute nell'antico cimitero. Fra l'albergo e l'oceano era stata a suo tempo eretta una palizzata che avrebbe dovuto proteggere il giardino dall'invadenza della sabbia. Ma la sabbia aveva sommerso la palizzata, e ora la spiaggia lambiva la veranda
antistante l'edificio. Percorsi faticosamente l'ultimo tratto sabbioso e arrivai alla porta vetrata. Il settembre era fresco, e di sera faceva quasi freddo, ma la veranda restava il luogo di ritrovo preferito dei villeggianti. Quella sera, quando entrai, tre persone sedevano in silenzio, a rispettosa distanza l'una dall'altra, nelle poltrone di vimini verniciate di verde, ignorandosi reciprocamente. Accanto alla porta sedeva Buck Valentine, il maestro di nuoto; indossava una camiciola bianca sopra un paio di calzoncini corti anch'essi bianchi, e stava guardando, con aria annoiata, le immagini di alcune donnine poco vestite su un numero arretrato di Esquire. Alzò gli occhi a guardarmi e mi dedicò un sorriso che sembrava una smorfia. «Ci si diverte un mondo, qui, dottor Westlake» dichiarò. «Quando uno ha finito di far la calzetta, può cominciare un bel solitario con le carte.» Non potei fare a meno di compiangere il giovanotto. Era visibilmente un galletto esuberante, col sangue che galoppava furioso nelle vene, e begli occhi ardenti. Ma in quel luogo desolato quegli occhi non trovavano nulla su cui soffermarsi, all'infuori delle due cameriere dell'albergo, dotate di un'avvenenza discutibile, o di Nellie Wood, la statuaria governante del bambino dei Fanshawe. Ma Nellie Wood era una selvaggina troppo pregiate per un semplice maestro di nuoto; e gli occhi di Nellie, se non mi sbaglio, erano fissi a loro volta su Virgil Fanshawe. Buck Valentine non era tipo da gustare il fascino decadente di Capo Talisman. E oltre a tutto non aveva quasi niente da fare. Già da molti anni la clientela dell'albergo non era così numerosa da giustificare la presenza di un maestro di nuoto; ma il signor Mitchell, deciso a mantenere le apparenze di un'inesistente prosperità, pagava volentieri lo stipendio di Buck in vista del tocco di eleganza che la presenza del giovanotto portava nell'albergo. E, a quanto sembrava, quello stipendio era abbastanza alto da compensare Buck dell'assenza di bellezze appetitose e accessibili. Mentre passavo, il giovanotto lasciò cadere mollemente la rivista e gettò un'occhiata di sghembo alla donna che sedeva a una certa distanza da lui, su una dura sedia di vimini. Era un'occhiata a vuoto; non c'era da farsi illusioni riguardo a Marion Fanshawe, dal punto di vista di Buck. Lui lo sapeva e lo sapevamo tutti. E tuttavia era una gran bella donnina, sottile e delicata, con una figuretta incantevole, un viso di fiore sotto la nuvola di capelli biondo cenere, e grandi occhi grigi e assorti. Marion Fanshawe rappresentava un mistero. Non parlava quasi mai con
nessuno, e perfino col marito, un pittore molto noto, e col figlio di cinque anni, scambiava poche parole. Sembrava vivere in un suo mondo silenzioso e remoto, paga di sferruzzare con dita instancabili eterni lavori di lana. Io andavo domandandomi se amava suo marito, se sospettava che ci fosse qualcosa fra lui e la governante del bambino, e se, qualora l'avesse sospettato, se la sarebbe presa. Fino a quel momento non ero riuscito a capirci niente. Dovevo passare davanti a lei per andare nella sala da pranzo, dove Dawn e la cena mi attendevano. Sorrisi, perché era impossibile non sorridere a Marion Fanshawe, impossibile anche per un uomo che non avesse alcuna intenzione di tentare goffi approcci. «Vostro marito non c'è?» domandai. Alzò bruscamente gli occhi a guardarmi, senza smettere il moto agile delle dita. I gravi occhi grigi mi fissarono senza alcuna ombra di sorriso. «Virgil sta ancora lavorando» disse. «Dipinge nel suo studio.» Sapevo che Virgil usava come modella la statuaria Nellie Wood, e pensai che a quell'ora i due dovevano aver smesso da un pezzo il "lavoro" nel vero senso della parola. «E Bobby?» domandai imbarazzato, tanto per cambiare discorso. «È a letto?» «Sì, è a letto.» «Fra poco mando a letto anche Dawn» dichiarai. «È già tardi, per lei.» Lasciai Marion Fanshawe, e proseguii con la speranza di passare inosservato sotto gli occhi della terza persona che c'era nella veranda, il signor Usher. Ma, come al solito, non ci riuscii. Non saprei dire in verità perché il signor Usher mi fosse così profondamente odioso. Non sapevo assolutamente niente di lui, e nulla perciò mi risultava a suo sfavore. Credo che fosse colpa del suo aspetto fisico. Era un uomo di età incerta, alto, magro, di pelo rosso, con rossi polsi pelosi che sporgevano dalle maniche della immancabile giacca nera. Attaccate a quei polsi c'erano le mani meno attraenti che io avessi mai visto in vita mia: larghe, bianche e mollicce, con le giunture cosparse di porri. Anche la faccia era bianca, anzi di un inumano color cereo, che il sole e il vento marino lasciavano inalterato. Su quella faccia di cera spiccavano gli occhietti di un castano incerto, orlati di rade ciglia rossicce. «Salve, dottor Westlake!» disse il signor Usher con la sua voce untuosa. «Siete tornato tardi dalla pesca, oggi. C'è un gran nebbione. Poteva capitarvi di non trovare il porto. Ringraziamo il cielo che siete qui sano e sal-
vo.» Il signor Usher era fatto così. Sembrava sempre insinuare che il più leggero incidente avrebbe potuto rappresentare una catastrofe, senza l'intervento della misericordia divina. Dal canto mio ero convinto che, se le sorti umane fossero state affidate a lui invece che a Dio, le catastrofi si sarebbero susseguite ininterrottamente. Avevo appena lasciato il signor Usher alla sua Bibbia ed ero quasi alla porta della sala da pranzo, quando ad un tratto l'atmosfera tranquilla e quasi torpida della veranda sembrò caricarsi di elettricità. Nellie Wood era entrata nella veranda. La governante dei Fanshawe era alta e, per così dire, costruita senza economia come le modelle che piacciono ai pittori e come le ballerine che gli spettatori del varietà prediligono. I capelli biondi le scendevano fin sulle spalle in artistiche onde che nemmeno il vento di mare riusciva a scomporre. I suoi lineamenti erano perfetti, ma gli occhi avevano una particolare durezza. Sulla guancia sinistra c'era un grosso neo; avrebbe potuto essere una particolarità attraente, ma non lo era. Dava anzi un che di grossolano a quel viso innegabilmente bello. Mentre attraversava la veranda accompagnata dal ticchettio dei suoi altissimi tacchi, osservai che indossava un giacchettino rosso e che sui capelli d'oro aveva annodata una sciarpa bianca. Non era facile stabilire a chi fosse dovuto il senso di estrema tensione che si era improvvisamente stabilito nella veranda. Ma la prima a parlare, con mia gran meraviglia, fu Marion Fanshawe. Depose i ferri sulle ginocchia e fissò la governante. Senza distogliere per un attimo dalla ragazza i suoi grigi occhi penetranti, domandò con voce tranquilla: «Allora, mio marito ha finito di lavorare?» Le parole erano abbastanza innocenti e il tono della voce anche. Tuttavia la frase ebbe un leggero suono tagliente. Nellie Wood rispose con indifferenza: «Con me ha finito, per questa sera, ma credo che continui a lavorare da solo.» Anche la risposta era perfettamente normale, ma, non so per quale motivo, mi fece l'effetto di una stoccata. «Andate a prendere una boccata d'aria, signorina Wood?» La domanda sgocciolò sciropposa dalle pallide labbra del signor Usher. «Come? Ah, sì, signor Usher, vado a prendere una boccata d'aria.»
Aveva esitato una frazione di secondo prima di rispondere, e mi sembrò che in quella pausa i suoi occhi freddi si fossero impercettibilmente soffermati sulla faccia di Buck Valentine con un'espressione carica di sottintesi. Senza dir altro, Nellie aprì la porta della veranda e scomparve nel buio. Non mi ero sbagliato riguardo a quell'occhiata, poiché mentre aprivo la porta della sala da pranzo, ebbi tempo di vedere che il maestro di nuoto si alzava e usciva a sua volta dalla veranda, scomparendo nel buio. 3 La sala da pranzo sfolgorava di luci. La figuretta di mia figlia, seduta a tavola sola soletta, sembrava ancor più piccola in tutto quel fulgore. E, ahimè, si vedevano benissimo i capelli arruffati e la grossa macchia di origine oscura che decorava la punta del naso. «Ciao, paparino!» Gli occhi di Dawn splendevano di angelica luce. «Ho ordinato uova al lardo e prosciutto, e tante altre cose buone. E il cuoco ha promesso di cuocere per domattina a colazione il pesce che abbiamo pescato.» Batté in segno d'invito la mano sulla sedia accanto a sé, ed io sedetti. Mi guardò con occhi ammaliatori: «Paparino, devo proprio offrire a Bobby un po' del mio pesce? Non posso alzarmi prima e mangiarmi il pesce prima che Bobby venga giù?» Dawn dimostrava al piccolo Bobby un appassionato amore quasi materno, ma in lei ogni sentimento scompariva di fronte all'appetito. «Se Bobby desidera un po' di pesce, tu glielo devi dare» cominciai in tono severo, ma interruppi il discorso perché la meno avvenente delle due cameriere dell'albergo era entrata e si dirigeva verso di noi con un piatto fumante in mano. Per qualche minuto, mia figlia ed io non parlammo. Stavamo ancora rimpinzandoci voracemente, quando Mitchell, il proprietario dell'albergo, entrò in sala da pranzo. Era una sua abitudine, quella di entrare in sala da pranzo ogni volta che un cliente stava mangiando. L'albergo non aveva mai potuto permettersi il lusso di tenere un maitre d'hotel, ma lui riteneva che fosse indispensabile averne uno e si sforzava d'impersonarlo. «Spero che tutto sia andato bene, dottor Westlake.» Repressi il desiderio di rispondergli: "Tutto è ben lungi dall'andar bene. Qua dentro si sta accumulando una
tensione capace di far saltare in aria baracca e burattini. E c'è qualcuno che va strisciando nel vecchio cimitero e dissotterra casse da morto. Che ne dite?" Dissi invece: «Tutto benissimo, signor Mitchell.» «Il pesce che ho preso io è più grosso di tutti quelli che ha preso il mio papà» cinguettò Dawn che aveva placato la fame quel tanto che bastava per trovare il tempo di vantarsi delle sue prodezze. «Ho dovuto lottare moltissimo per prenderlo. È per quello che abbiamo fatto tardi e abbiamo visto il picnic nel cimitero.» Il signor Mitchell aggrottò le sopracciglia. «Il picnic nel cimitero, signorina Dawn?» «Sì.» Dawn non si curò del mio silenzio ammonitore. «C'era della gente che faceva un picnic nel cimitero. Non è così, paparino?» Mi accorsi che l'apparente impassibilità di Mitchell celava un forte turbamento. La curiosità mi spinse a dire: «La bambina vuol dire che abbiamo visto una lanterna cinese nel cimitero. Quando sono andato a vedere, qualcuno ha preso la lanterna e l'ha portata più lontano.» Non volevo parlare, di fronte a Dawn, del feretro dissepolto. «Nel cimitero?» Mitchell parlava a fatica. Le dita, correttamente appoggiate alla costura dei pantaloni, tremavano visibilmente. Il volto aveva preso una tinta limone. «Nel cimitero vecchio?» «Sì. Avete idea di chi poteva essere?» Ma la domanda cadde nel vuoto. Improvvisamente dimentico delle sue funzioni di supervisore dei nostri pasti, Mitchell era uscito quasi di corsa dalla sala da pranzo. Non l'avevo mai visto perdere così il controllo. La mia curiosità andava crescendo a dismisura. Non fu difficile mettere a letto Dawn. Bevve il terzo bicchiere di latte pisolandoci sopra. Rimasi per un po' accanto al letto, osservando la sua faccetta abbronzata sul cuscino, finché il chiacchiericcio a proposito del pesce e di Bobby Fanshawe non cessò e lei cadde nel profondo sonno dell'infanzia. Liberato dalla responsabilità paterna, scesi lemme lemme lo scalone coperto da una sbiadita passatoia. Volevo tornare nella veranda per non perdere troppe battute del piccolo dramma che vi si stava svolgendo. Ero in fondo alle scale, quando udii un fruscio, e una figura femminile apparve sulla soglia della piccola sala di scrittura. Era un'altra delle villeggianti superstiti, la signorina Heywood.
La signorina Heywood era l'unica cliente dell'albergo che usasse la piccola e soffocante sala di scrittura, e apparteneva al tipo di donna che fa largo uso della sala di scrittura nei piccoli alberghi. Alta, snella e di età incerta, non mancava di avvenenza, ma era il tipo di avvenenza andato di moda nei primi tempi del cinema muto e in seguito miseramente tramontato. I suoi capelli neri, cui nessun parrucchiere aveva messo mano con forbici sacrileghe, erano annodati artisticamente sulla nuca alla greca. Anche i suoi indumenti erano "artistici" e avevano una vaporosità che faceva pensare a salotti romantici e a romantiche tazze di tè. Era arrivata pochi giorni prima e faceva, a quanto pareva, la pittrice. Aveva una parola gentile per ognuno, ma in compenso se ne stava per conto suo. E anche lei aveva qualcosa di misterioso. Nei suoi occhi balenava talvolta uno sguardo che smentiva la sua apparenza di zitella-profumata-allalavanda. E la faccia aveva qualcosa d'immobile che faceva pensare a una maschera. Quando sorrideva, come in quel momento, il sorriso si limitava alla bocca e non incideva una ruga nella pelle del viso, né si rifletteva negli occhi. «Buona sera, dottore. La compagnia si è sciolta presto stasera.» «Già» dissi. Molto presto. La signorina Heywood mi frusciò accanto in una nuvola di mussola, e svanì su per le scale. Mi domandai con curiosità che cosa stesse accadendo in quel momento fra Nellie Wood e il maestro di nuoto e se poi, in fin dei conti, l'uscita quasi simultanea di quei due non fosse stata casuale. Scrutai, attraverso la porta vetrata della veranda, la nera notte caliginosa. Si vedeva soltanto il vapore fluttuante che saliva dal mare e non si udiva che il frangersi monotono delle onde. Ancora una volta mi balenò alla memoria la luce rosata della lanterna nel vecchio cimitero, accanto alla tomba aperta di fresco. Mi domandai se non fosse mio dovere riferire a qualcuno quello che avevo visto, a qualcuno investito di un'autorità, ma a chi? Ero troppo stanco per continuare a pensarci su. Lasciai la veranda deserta, salii in camera mia e me ne andai a letto. Dormivo da poco tempo, quando fui svegliato da un rumore ritmico e continuo. Mi scossi dalla profonda sonnolenza che ancora mi teneva e scoprii che il rumore, al primo momento privo di significato, era un tamburellar di nocche sulla porta della mia camera. Subito dopo, udii la voce del signor Mitchell che sussurrava con un certo affanno:
«Dottore, dottore! Siete sveglio?» Risposi con un brontolio e accesi la luce accanto al letto. La porta si aprì e Mitchell, completamente vestito, si precipitò dentro. «Dottore, mi dispiace disturbarvi, ma siete chiamato al telefono.» «Al telefono!» esclamai stupefatto. Non avevo amici da quelle parti. Mi colse il timore che si trattasse di una telefonata da casa, che mi avvertisse di qualche guaio accaduto in mia assenza. «È il dottore Gilchrist. Dice che è per una cosa della massima urgenza. Altrimenti, non vi avrei disturbato.» «Gilchrist? Cosa diavolo vuole?» Il dottor Harold Gilchrist era il medico condotto del luogo e divideva la sua attività fra la piccola popolazione del villaggio e quella del grande Penitenziario femminile di Haling, distante qualche miglio, sulla costa, del quale era consulente medico. L'avevo conosciuto occasionalmente durante una partita di pesca, e i nostri rapporti erano molto superficiali. Non mi sarei mai aspettato che si facesse venire l'idea di tirarmi fuori dal letto a quell'ora. Di malumore, mi alzai e infilai un accappatoio di spugna, mentre Mitchell si aggirava nervosamente per la stanza. Il telefono era al pianterreno, in una cabina a sinistra del vestibolo. Entrai nella cabina e mi chiusi la porta alle spalle per togliere a Mitchell ogni velleità di ascoltare. Il ricevitore dondolava leggermente appeso al filo. L'afferrai e dissi: «Pronto!» «Siete voi, Westlake?» La voce di Gilchrist, abitualmente energica, era rauca e ansiosa. «Sì, sono io. Come mai...?» «Westlake, dovete venire qui subito. È successo una cosa orribile. Ho bisogno di un collega, dell'opinione di un collega.» «State a sentire» cominciai. «Sono in vacanza. Non intendo che mi si svegli a metà della notte per andar a vedere i pazienti di un altro medico, o...» «Non si tratta di un paziente, Westlake. Si tratta... è roba da matti... si tratta di un assassinio.» «Assassinio?» Ripetei la parola come un pappagallo senza afferrarne il senso. «Assassinio. E il più fantastico e orribile che si possa immaginare. Vi prego, venite subito. Vi sto chiamando dall'ufficio del guardacoste. Il ca-
davere è qui a pochi passi sotto lo scoglio che chiamano Monk's Head. Sapete dov'è?» «Certo.» Era un enorme scoglio che si erigeva a circa un mezzo miglio dall'albergo, splendido e solitario come l'opera paurosa di uno scultore diabolico. «Il sergente Barnes è rimasto là... È stato lui che mi ha chiamato. Ci torno anch'io intanto che voi venite. Fate presto, Westlake.» «Ma...» «E non dite niente agli ospiti dell'albergo, per ora» m'interruppe di nuovo la voce agitata di Gilchrist. «Chissà che putiferio quando tutti sapranno. Non voglio che venga un mucchio di gente a cancellare le tracce.» «Va bene» dissi. «Vengo immediatamente. Ma ditemi subito chi è stato ucciso.» Non ebbi risposta. Udii solo il lontano "clic" del ricevitore che veniva riappeso. Completamente sveglio, ora, uscii dalla cabina. Mitchell mi stava aspettando ansioso. «Dottore, spero che non sia accaduto nulla di...» «Gilchrist vuol vedermi...» risposi in tono vago. «Ha bisogno di me.» Passai davanti all'albergatore e corsi in camera mia. Infilai in fretta un paio di pantaloni e un vecchio giubbetto di lana, e indossai sul tutto l'impermeabile ancora bagnato dalla spedizione del pomeriggio. Per fortuna, possedevo una lampadina tascabile. L'afferrai al volo e mi precipitai giù per le scale, passando come un ciclone davanti al solitario signor Mitchell che si trovava ancora nell'atrio. La nebbia era più fitta che mai, e rendeva quasi nulla la visibilità. Anche la lampadina serviva a ben poco. Dovetti procedere quasi a tentoni, guidato dal fragore delle onde che si frangevano contro la riva. L'idea del delitto, in quella notte di tregenda, non mi sembrava più così assurda come mi era sembrata nell'atmosfera noiosa e rispettabile dell'albergo. E forse quello che avevo visto nell'antico cimitero, all'inizio della serata, mi aveva, in certo modo, preparato a tutto. Una domanda mi martellava insistente nel cervello: "Chi è stato ucciso?". Davanti ai miei occhi sfilavano, come pallidi fantasmi, le facce che avevo scrutato quella sera nella veranda, quelle facce che nascondevano chissà quali segreti. Buck Valentine... Marion Fanshawe... il signor Usher... Nellie Wood... Un'ondata violenta mi si rovesciò addosso buttandomi quasi a terra.
Quando mi fui rimesso in equilibrio, piegai a sinistra per allontanarmi un po' dalla riva. Mi bruciavano gli occhi e, lì per lì, non osservai alcun mutamento nell'atmosfera nebbiosa che mi circondava. La sensazione che ci fosse qualcosa di nuovo si fece strada in me con la terribile lentezza che hanno i sogni spaventosi. E, a un tratto, vidi di che si trattava e mi sentii raggelare. Non era possibile, doveva essere uno scherzo della memoria, un'allucinazione dovuta alla scena che si era svolta nel cimitero, e che mi aveva impressionato. Sbattei gli occhi due o tre volte, ma la luce non se n'andò, e io dovetti convincermi della realtà; a una certa distanza, rompendo la nebbia plumbea, una luce brillava, una luce rosata nell'oscurità circostante. Era una luce che conoscevo fin troppo bene, diffusa da un'ingenua lanterna cinese da pochi soldi. Provai una specie di prurito alla nuca e sentii che i capelli mi si rizzavano letteralmente sulla testa. Poi, attraverso il fragore dei marosi, mi giunse improvviso un suono di voci maschili. Chiamai a gran voce Gilchrist e mi misi a correre sulla sabbia, in direzione della luce. Qualcuno gridò: «Westlake!» Subito dopo udii un rumore di passi e andai quasi a sbattere contro un uomo che indossava un impermeabile bagnato quasi come il mio. La voce di Gilchrist disse: «Westlake! Finalmente! Abbiamo telefonato ad Haling per chiamare l'ispettore Sweeney, ma non è ancora qui. Venite, presto! Non abbiamo toccato il corpo e fate in tempo a vedere tutto com'era. Fra poco il mare arriverà fin qui e saremo costretti a portarla via.» Portarla! Gilchrist mi afferrò per un braccio e mi trascinò verso la luce. «Chi è?» urlai cercando di superare il ruggito del mare. «Chi è la vittima?» Gilchrist non ebbe l'aria di avermi udito, si limitò ad affrettare il passo. Un'altra voce maschile gridò qualcosa nel buio, e Gilchrist rispose urlando a sua volta: «È il dottor Westlake, Barnes, il dottore che abita all'albergo Talisman; l'ho chiamato io per avere l'opinione di un collega.»
Barnes era il sergente di polizia del paese. L'avevo visto in giro e mi ricordavo di lui se pure in modo vago. Era un uomo ancor giovane, dai capelli scuri e dai malinconici occhi neri; si dava, a quanto mi era sembrato, un po' d'importanza. L'alta figura di Barnes si profilò a ombra cinese davanti a noi, stagliandosi nella luce della lanterna che gli stava alle spalle e impedendoci la vista della cosa che giaceva a terra nell'alone di luce. Gilchrist ci presentò e Barnes brontolò: «Buona sera, dottor Westlake. Brutta faccenda! Non ricordo che da queste parti sia mai capitato nulla di simile.» Io ero ancora all'oscuro di tutto e cominciavo a non poterne più. Sembrava che quei due si fossero messi d'accordo per tenermi in sospeso. Passai risolutamente davanti all'agente di polizia proiettando il fascio di luce della mia lampadina sul terreno circostante. Nell'aria nera, l'ombra enorme del Monk's Head era più profondamente nera, l'osservai macchinalmente perché faceva da sfondo alla viva luce rosa della lanterna. La decorazione dipinta su quest'ultima mi parve identica a quella della lanterna che avevo visto nel vecchio cimitero. E il colore di gelato alla fragola era identico. Quella lanterna così sinistramente simile all'altra mi sprofondò in un'atmosfera d'incubo. E, in certo qual modo, la cosa che giaceva a terra, immersa nella luce rosa, orrida e stravagante com'era, non mi sembrò fuori posto. La ragazza giaceva sulla sabbia, come immersa in un sonno tranquillo. La luce che pioveva su di lei dalla lanterna sembrava provenire da una vetrata di chiesa. E anche la posa era grottescamente pia: le mani congiunte sul petto in atto di preghiera, gli occhi chiusi. La gonna era abbassata e copriva le gambe al massimo possibile. La ragazza indossava un giacchettino rosso sopra il vestito e aveva una sciarpa bianca sui capelli di un biondo dorato. Ed era morta. «Nellie Wood!» esclamai. «La governante dei Fanshawe!» «La guancia!» La voce forte di Gilchrist mi rintronò nell'orecchio. «Guardate la guancia!» Avevo già visto, naturalmente, ed era proprio quella guancia a conferire a tutta la scena il suo carattere pazzesco. Il neo, che, in vita, aveva alterato le perfette fattezze di Nellie Wood, ri-
saltava violentemente, perché, tutt'intorno ad esso, in crudele risalto col pallore della pelle, era stato tracciato un grosso cerchio scarlatto. 4 Mi chinai a esaminare più da vicino il marchio misterioso. La pelle della guancia non era intaccata in nessun modo. Il cerchio era stato tracciato con un rossetto per le labbra o con vernice rossa. «Ora capirete perché vi ho chiamato qui» disse Gilchrist. «Mi occorre il parere, non tanto del medico quanto dello psichiatra. L'assassino ha tracciato quel cerchio con mano fermissima. Questa è psicopatia pura. E anche la lanterna è psicopatia pura, e così la posizione del corpo. Evidentemente l'assassino desiderava che qualcuno arrivasse qui prima dell'alta marea. E naturalmente ha scelto questo punto della costa perché le rocce lo riparano dal vento che avrebbe potuto spegnere la lanterna. Westlake, qui non si tratta di un delitto comune. A Capo Talisman c'è un pazzo omicida, e questo significa che non ci sarà soltanto una vittima, ma ce ne sarà una serie, se non ci sbrighiamo ad acchiapparlo.» La pensavo così anch'io; tutti gli indizi tendevano a dargli ragione. «Come è stata uccisa?» domandai. Barnes aveva acceso a sua volta la lampadina e ne proiettava il raggio sulla morta. A prima vista, il volto di Nellie Wood mi era sembrato sereno e inalterato come quello di un fanciullo dormente. Ma dovetti rendermi conto che quell'impressione era dovuta alla luce rosata della lanterna. In realtà il viso era bluastro. Sollevai leggermente con un dito le palpebre e mi accorsi che gli occhi erano sbarrati e sporgenti dall'orbita. Spinsi indietro il colletto del giacchettino rosso. Intorno al collo della ragazza scorsi una funicella sottilissima che lo stringeva fortemente. «Strangolata!» esclamai. Sollevai la testa bionda. La corda era annodata sulla nuca con un nodo saldissimo. «Strangolata» assentì Gilchrist. «Il pazzo, arrivatole alle spalle, nel buio, le ha lanciato la cordicella al disopra della testa e l'ha strangolata prima che lei si rendesse conto del pericolo e potesse fare il minimo movimento per difendersi.» «Aveva con sé il portamonete» disse la voce rude del sergente Barnes. «Ci sono dentro due dollari e porta al dito un anello di valore. Non si tratta certamente di rapina.»
«E non si tratta neanche di un'altra specie di violenza» disse nel buio la voce di Gilchrist. «Credete a me, Westlake, questo è peggio del solito delitto compiuta da un degenerato. C'è qualcosa di più complesso, di più pericoloso.» Solo allora, passata la prima impressione, cominciai a mettere a fuoco la tragedia nel quadro di tensione estrema e di mistero che era andato delineandosi durante la serata. Gilchrist, dal suo punto di vista, aveva ragione. Non viveva nell'albergo e non sapeva nulla di Nellie Wood. Ma io sapevo o sospettavo quel tanto che bastava per mettere in moto le mie facoltà deduttrici. Pensavo alla taciturna e misteriosa Marion Fanshawe: "Mio marito ha terminato per oggi". Pensavo a Virgil Fanshawe, marito quasi certamente infedele, e, pensavo soprattutto a Nellie Wood, la governante, dura e ambiziosa. Quello era l'elemento triangolo. Ma pensavo anche al bel maestro di nuoto, così nostalgico di compagnie femminili, e al sinistro signor Usher e ai suoi occhi ambigui che fissavano subdolamente le procaci forme della governante. Non era da escludersi che il "pazzo omicida" di cui parlava il mio collega fosse qualcuno che io conoscevo e che viveva sotto il mio stesso tetto, pagando come me al signor Mitchell un conto settimanale. «Secondo voi, da quanto tempo è morta?» domandai. «È quasi impossibile precisarlo, data l'umidità dell'atmosfera. Direi da non più di due ore, altrimenti la candela della lanterna si sarebbe consumata del tutto. Ma non c'è alcuna sicurezza. Potrebbe essere stata uccisa parecchio tempo prima che la lanterna le venisse posta accanto.» «Che ore sono?» «Quasi l'una» disse il sergente. «Allora il delitto risale a poco più di due ore. La ragazza è uscita dall'albergo intorno alle dieci e mezzo.» «L'avete vista voi?» domandò Gilchrist. «Sì. Ha detto che usciva a prendere una boccata d'aria prima di andare a letto.» Mi rivolsi al sergente. «Avrei un paio di cosette da dirvi, sergente, ma l'ispettore sarà qui fra poco e forse è meglio aspettare che arrivi.» «Credo anch'io, dottore.» Il tono della risposta mi sembrò un po' perplesso. «Non ho molta pratica di questo genere di cose. Non sono venuto su alla scuola dei grandi investigatori, io.»
Dopo di che nessuno di noi parlò più, e il silenzio fu rotto soltanto dal frangersi delle onde e dal risucchio della sabbia. Ma, a un tratto, mi parve, attraverso quei rumori, di udire un pianto sottile. «Sono matto io o c'è una donna che piange qui vicino?» domandai. «Non ve l'avevamo detto che c'è qui una ragazza? È Maggie Hillmann, una delle cameriere dell'albergo. È stata lei che ha trovato il cadavere. È venuta a chiamarmi e adesso ha paura ad andare a casa da sola; si è messa a sedere su un monticello di sabbia e non vuol più muoversi. Del resto è meglio che stia qui finché non viene l'ispettore Sweeney.» Nell'emozione del momento non avevo pensato a domandare chi avesse scoperto il cadavere. Naturalmente conoscevo Maggie; era la più attraente delle due cameriere dell'albergo, una cosettina da nulla, con chiari capelli arruffati e un nasetto a patatina che diventava rosso nei momenti difficili. «Posso parlare con lei, Barnes?» «Fate pure, dottore. Forse potrete cavarne qualcosa. Di me ha paura perché sono della polizia, credo; però anche il dottor Gilchrist, che l'ha curata quest'estate quando si è ferita a una gamba, non è riuscito a farla parlare.» Maggie Hillmann aveva l'aria di un tipetto nervoso. La chiamai per nome e, uscendo dal cerchio di luce, mi avviai nella direzione da cui proveniva il pianto. La ragazza era a pochissima distanza, il terrore del cadavere era probabilmente sopraffatto dal terrore della solitudine. La luce della lampadina cadde diritto sulla sua faccetta pallida e spaurita; il naso era rosso come non lo avevo mai visto. «Non abbiate paura, Maggie» dissi in tono rassicurante. «Sono il dottor Westlake.» Fece un eroico sforzo per riprendersi, come se avesse presente l'ossessione del signor Mitchell secondo il quale il cliente deve essere trattato con estrema cortesia in qualunque circostanza. «Oh, dottore! L'ho vista! Ero sola. Ho visto bene la luce. Mi sono avvicinata e l'ho vista... Ho visto la faccia bianca e quel cerchio rosso!...» Le sedetti accanto e le presi la mano per confortarla. Ero curioso di sapere cosa mai fosse venuta a fare sulla spiaggia così tardi, in una notte umida e tempestosa come quella. «Sentite Maggie» dissi in tono tranquillo. «L'ispettore di polizia sarà qui da un minuto all'altro e vorrà sapere tutto. Se raccontate a me quel che è successo, può darsi che vi risparmiate l'interrogatorio. Non preferite così?» «L'ispettore!» esclamò lei con sgomento. «Oh, dottor Westlake, non
posso parlare con la polizia, fino...» «Fino?...» Mi guardò come se l'avessi colta in fallo. «Fino a domani» disse poi con voce incerta. «Finché non mi sarò rimessa dallo spavento.» Scoppiò di nuovo in singhiozzi. «Oh, dottore! Quella povera signorina Wood! Si dava sempre delle arie, con noialtre, come se lei fosse chissà cosa, ma adesso... adesso è morta, poverina! E quel cerchio che le hanno fatto!... Dottore è stato un pazzo a ucciderla e a metterla lì come... come un morto in chiesa!... C'è un pazzo in libertà. E ci ammazzerà tutte. Vedrete! Ci ammazzerà tutte.» Cercai di calmarla, ma era fuori di sé. Ci volle un altro energico monito riguardo all'imminente arrivo dell'ispettore per strapparle il racconto di quello che era successo. Fu un racconto molto vago che, a dispetto dello stato di nervosismo acuto, mi parve volutamente reticente. Era uscita per fare una passeggiatina dopo aver aiutato a preparare i tavoli per la prima colazione dell'indomani. Mentre camminava, aveva visto la lanterna accesa e si era incuriosita. «Ho pensato che qualcuno avesse fatto un picnic sulla spiaggia e avesse dimenticato la lanterna.» Quelle parole mi ricordarono, con una specie di sinistra risonanza, quello che Dawn aveva detto vedendo la lanterna nel cimitero. «Mi sono avvicinata, dottor Westlake. E ho trovato quella... quella cosa orribile! Volevo tornare all'albergo, ma poi ho visto la luce nell'ufficio del guardacoste e son corsa là perché era vicino. Non c'è altro! non so proprio altro! Non ho fatto niente di male. Ditelo all'ispettore, per piacere! Ditegli che mi lasci stare... almeno per questa sera!...» Le dissi che avrei tentato. Ma quel terrore di essere interrogata mi sembrò sospetto. Proveniva da qualcosa di più grave del timore che la polizia ispira di solito alla gente comune. Mi domandavo che cosa significasse quella passeggiata notturna di Maggie. La ragazza non mi sembrava il tipo da prodezze sportive. Per il momento non credetti opportuno farle altre domande; le battei leggermente la mano sulla spalla a guisa di consolazione e, mentre lei si rimetteva a piangere, andai a unirmi agli altri due. 5
La fiamma della candela nella lanterna vacillò e poi si spense. Aspettammo, immersi nell'oscurità, per dieci minuti che ci parvero ore. Poi udimmo un suono di voci maschili e vedemmo le mobili luci delle lampadine che si avvicinavano. Subito dopo, l'ispettore Sweeney ci piombò addosso insieme con un nugolo di agenti. La sua dinamica presenza mutò immediatamente l'atmosfera, benché, in quella luce, lui si manifestasse soltanto come un'ombra munita di una voce energica e autorevole. Mentre i suoi uomini si dedicavano con precisione militare ai loro rispettivi compiti, l'ispettore ebbe da Barnes un nudo resoconto dei fatti e, insieme col medico della polizia, fece una serie di domande secche a Gilchrist, col quale mi sembrò in rapporti d'amicizia. Proiettò la luce della lampadina sul corpo steso a terra ed emise un brontolio. «Credo che abbiate ragione, Gilchrist. Questa è l'opera di un pazzo.» All'improvviso diresse la luce della lampadina sulla mia faccia. «E questo chi è?» Gilchrist mi presentò e spiegò perché mi avesse chiamato. «Westlake» borbottò l'ispettore. «Westlake... non siete quel dottor Westlake che fu di grande aiuto nella soluzione di certi casi a Grovestown?» «Non so se io sia stato di grande aiuto» dissi. «Comunque sono proprio quello che dite voi.» «È una fortuna, per noi. Sono a corto di uomini e Barnes non ha molta esperienza in questo genere di cose, vero, Barnes?» «Proprio così, ispettore.» «Allora siamo d'accordo, dottor Westlake. Voi ci aiuterete. Se volete essere investito di un'autorità qualunque posso nominarvi vicesceriffo o qualcosa del genere. Ma chi bada a queste cose? Ho bisogno di voi e basta!» «Un momento» protestai. «Io sono qui per riposarmi. E ho con me una bambina. Non credo di...» «Sciocchezze. Conosco voialtri dilettanti. Andate pazzi per queste cose. Conto su di voi, dottore.» Non aveva torto. Le indagini poliziesche hanno il potere di elettrizzarmi. Forse è il senso primitivo della caccia che si fa strada in me. «Va bene» brontolai. «Farò del mio meglio.» L'ispettore fece un brontolio di approvazione, poi domandò: «Chi ha scoperto il cadavere?» Glielo dissi e, fedele alla promessa, insinuai che, finché Maggie era così
fuor di sé dallo spavento, era inutile interrogarla. Sweeney non mosse obiezioni e mostrò scarso interesse per la ragazza. Mi domandò invece a bruciapelo: «Conoscevate questa Nellie Wood?» «La conoscevo» risposi. «C'era qualcuno che avesse interesse a sopprimerla?» Elusi la domanda diretta. Dissi quello che sapevo della governante attraverso le mie osservazioni personali, e riferii anche i pettegolezzi del luogo riguardo a presunti rapporti con Virgil Fanshawe. Sweeney emise un sibilo. «Direi che non fosse il tipo della governante ideale. Fra l'altro, avete visto l'anello che ha al dito? La pietra deve valere un bel po' di quattrini. È uno zaffiro. Magari gliel'ha regalato Fanshawe. Se è stato lui, vuol dire che era innamorato. E voi mi dite che c'era di mezzo anche il giovanotto, Buck Valentine... È una storia interessante, Westlake. Ho idea che abbiamo in mano qualcosa di meglio di un pazzo, come possibile assassino.» Allora raccontai la faccenda della lanterna cinese nel cimitero. «Un'altra lanterna nel cimitero!» esclamò Gilchrist. «E qualcuno che dissotterrava una bara!... La faccenda diventa sempre più stravagante.» «Non so se la lanterna fosse un'altra» osservai. «Poteva essere la stessa.» «Due lanterne mi sembrano troppe» dichiarò Sweeney. «Avete detto che c'era una bara dissotterrata? A che scopo?» «Non ne ho la minima idea. Al momento, ho pensato che qualcuno volesse mettere altrove la bara prima che l'oceano se la portasse via.» «Potrebbe anche darsi» disse poco convinto l'ispettore «però è strano che lo facesse di nascosto. Chiunque lo voglia, può far traslare i resti dei suoi defunti dall'antico cimitero al nuovo. Non esiste persona del villaggio che non lo sappia. C'è un'ordinanza in proposito da quando, un anno fa circa, la chiesa e il cimitero vecchio hanno dovuto essere abbandonati. Non è vero, Gilchrist?» «È vero» disse il medico. Sweeney soggiunse: «Sentite, Westlake, è probabile che questa sera voi abbiate visto l'assassino.» «Ed è probabile che lui non intendesse affatto dissotterrare un morto, ma stesse preparando la tomba per Nellie Wood. Non esiste posto migliore di un cimitero per nascondere un cadavere.» «La vostra ipotesi mi sembra ragionevole» ammise Sweeney. «Ma come
spiegate la faccenda del cerchio rosso?» «Il cerchio rosso serve ad attirare l'attenzione sul neo. L'assassino, nella sua mente malata, deve esserselo proposto.» Barnes, che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, intervenne: «Credo che non sia la prima volta che succedono cose strane nel vecchio cimitero.» «Ne sapete qualcosa, voi?» domandò pronto Sweeney. «Be', al momento non ho dato importanza alla cosa, ma ora... Questa mattina una donna del paese mi ha fermato per la strada. Era tutta eccitata e stravolta. Sembra che ieri sera, attraversando il cimitero vecchio, abbia visto un'ombra grigia che gironzolava intorno. Naturalmente lei dice che era un fantasma. Al momento, ho pensato che fossero tutte fantasie di donna paurosa, ma adesso, con quello che il dottor Westlake ha visto questa sera...» S'interruppe e nessuno di noi parlò. Non c'era molto da dire, c'erano invece parecchie cose su cui meditare. Sweeney rimase a lungo in silenzio, rimuginando chissà quali pensieri, poi disse: «Be', dottore, ci avete dato, se non altro, una base su cui lavorare. I Fanshawe non sanno ancora nulla, spero.» «No, signore» rispose Barnes. «Abbiamo preferito che la cosa restasse segreta fino al vostro arrivo.» «Avete agito con giudizio, Barnes. Ma ora dovete andare a dar loro la notizia. Il dottor Gilchrist ed io abbiamo un monte di cose da fare. Westlake verrà con voi. Lui conosce quella gente e saprà come prenderla.» Si rivolse a me: «Cercate di far parlare i due Fanshawe, Westlake. E fate in modo di sapere se c'è qualcosa di vero in quella faccenda di un'ipotetica relazione amorosa fra il pittore e la governante del bambino. E cosa stavano facendo, tutti quanti, all'ora in cui presumibilmente è stato commesso il delitto. Non fate capire che abbiamo dei sospetti su di loro. Interrogate anche il maestro di nuoto.» «Va bene» dissi. Il sonno mi era passato totalmente, mi sentivo fresco e ben disposto. «Forse è meglio mandare qualcuno al vecchio cimitero» suggerii. «Sarebbe interessante sapere se la lanterna c'è ancora.» «Giusto» approvò Sweeney. «Questo è un altro lavoro per voi, Barnes. Potete andarci dopo aver interrogato la gente dell'albergo. Non c'è fretta, comunque. Se c'è un rapporto fra quel che voi avete visto nel cimitero e il
delitto, potete star certo che non troverete più niente.» Ci voltò le spalle e si disinteressò di noi. Barnes ed io ci avviammo portando con noi Maggie Hillmann, che era rimasta per tutto quel tempo ad aspettarci, piccola ombra spaventata, al margine della zona luminosa creata dalla lampadina. Nella veranda dell'albergo, le luci erano ancora accese. Sospettai che il signor Mitchell fosse rimasto alzato ad aspettare il mio ritorno nella speranza di soddisfare la propria curiosità. Alla luce improvvisa, potei vedere finalmente Maggie che indossava un soprabito blu sotto il quale intravidi un elegante vestitino dello stesso colore che non le avevo mai visto quand'era in servizio. Mi parve alquanto strano che si fosse messa tutta in ghingheri per una solitaria passeggiata notturna. Osservai pure che era truccata e che i colori si erano mischiati grottescamente per effetto delle lacrime e degli spruzzi d'acqua di mare. Anche questo era strano; il signor Mitchell era puritano all'estremo, nei riguardi delle cameriere dell'albergo. Osteggiava risolutamente i loro amoretti e proibiva nel modo più assoluto l'uso di cosmetici e profumi. Proprio una settimana prima, una cameriera era stata licenziata a causa di una gonna che lasciava vedere quel tanto di gambe che poteva accendere l'infiammabile sangue dei clienti dell'albergo. Non avrei mai potuto immaginare che la docile e timida Maggie avesse il coraggio di disobbedire agli ordini del principale. Il sergente Barnes mi parve ancor più alto e magro di quanto non mi fosse sembrato incontrandolo per le strade del villaggio. Osservai con simpatia la sua faccia abbronzata dall'espressione un po' malinconica. Anche gli occhi erano dolci e un po' malinconici quando si voltò a guardare Maggie. «Adesso andatevene a letto, Maggie» disse in tono persuasivo. «E cercate di fare una buona dormita. Siete tutta inzuppata, fra l'altro. Asciugatevi bene, altrimenti vi prenderete un malanno.» «Sto benissimo» affermò Maggie. «Ho avuto solo paura, tanta paura.» In quel momento il signor Mitchell entrò nella veranda. Era visibilmente nervoso, ma inappuntabile come sempre. I suoi occhi passarono da Barnes a me con crescente sorpresa, poi si soffermarono su Maggie, assumendo un'espressione velenosa. «Benone Maggie! Siete stata voi a far succedere tutto questo trambusto, a costringere il dottor Westlake ad alzarsi dal letto in piena notte e a farmi star su fino a quest'ora! Cos'ha fatto, questa ragazza, Barnes? Sarà stata in giro con qualche ubriaco, immagino, tutte uguali! Ho ragione di non fi-
darmene!» Maggie si portò immediatamente una mano alla guancia, come se solo in quel momento si fosse ricordata che aveva la faccia dipinta. «Non ho fatto niente di male, signor Mitchell. Giuro che non ho fatto niente...» «Andate subito in camera vostra e levatevi quella roba schifosa dalla faccia» abbaiò Mitchell. «Domani faremo i conti!» Poi si volse a Barnes e domandò con voce querula: «Cos'ha fatto? Ricordatevi che se si è cacciata in un guaio e occorre una cauzione, io non tiro fuori un soldo. Portatevela via!» Ero fuori di me dalla rabbia. Ho sempre odiato gli uomini che si sentono grandi e importanti solamente quando possono schiacciare una creatura debole e indifesa. «Vi sbagliate di grosso, Mitchell» dissi. «Abbiamo accompagnato Maggie Hillmann a casa perché ha subito un colpo terribile. Fareste bene a mandarla subito a letto.» «Un colpo? Che colpo?» «Ha trovato il cadavere.» Gli diedi la notizia come se gli avessi assestato una bastonata in testa. Speravo che gli facesse molto effetto. «Nellie Wood è stata strangolata, e Maggie ha scoperto il cadavere.» «Strangolata!» Mitchell mi fissò con gli occhi fuori dalla testa. «La signorina Wood! Uccisa! Dio mio! Ma queste cose succedono nei libri, non nella vita reale! Una cliente del mio albergo uccisa!» «Già. Meno male che la stagione è finita, no, Mitchell?» Avevo messo nel tono il maggior sarcasmo possibile, ma l'uomo non ci badò. «Eh, sì, grazie a Dio! Ma è una disgrazia lo stesso. Adesso i Fanshawe se ne andranno e la signorina Heywood anche. Dono sicuro che non vorranno rimanere un giorno di più in un luogo dove è stato commesso un delitto. E anche il signor Usher se ne andrà. Che cosa terribile!» Passò qualche secondo prima che la curiosità prendesse il sopravvento sul disappunto professionale. Finalmente l'albergatore domandò: «Chi è stato? Chi credete che sia stato? Una così bella ragazza! E sempre così elegante!» «Non abbiamo idea di chi sia stato, signor Mitchell» rispose Barnes. «Il dottor Gilchrist dice che deve trattarsi di un pazzo.» Mitchell aprì la bocca per commentare la notizia, ma io gli tagliai la parola.
«Immagino che i Fanshawe siano nel loro appartamento. Dobbiamo dar loro la notizia.» «Come? Ah, sì, sì. La signora Fanshawe è andata a letto molto presto, e suo marito è rientrato pochi minuti fa.» «Rientrato?» domandai bruscamente. «Rientrato da dove?» «Non lo so.» L'albergatore stava riprendendo la sua calma abituale. «Non domando mai ai clienti dove sono stati. Ha lavorato fino a tardi, e probabilmente sentiva il bisogno di una boccata d'aria...» Barnes ed io ci avviammo su per le scale. Maggie Hillmann, mogia mogia, saliva dietro di me. A metà scala mi fermai e mi voltai per domandare a Mitchell: «A proposito, dov'è la camera di Buck?» Maggie barcollò. «La camera di Buck?» mi fece eco Mitchell. «È la prima camera di fronte alle scale, al terzo piano. Perché? Cosa volete sapere da Buck?» Aveva un'aria un po' troppo ansiosa. «Dobbiamo parlargli» dissi in tono indifferente. «A proposito, da dove viene? Come avete fatto ad assumerlo al vostro servizio?» Mitchell arrossì visibilmente. «Oh!... Nel solito modo. Attraverso un'agenzia.» «Che agenzia?» Mitchell guardò sconcertato Barnes, il quale pronto disse: «Il dottor Westlake è ufficialmente autorizzato a svolgere indagini. Ha avuto l'incarico dall'ispettore Sweeney.» Mitchell borbottò in tono seccato: «Un'agenzia di Haling. Non ne ricordo il nome.» «Voi non sapete di dove Buck provenga?» «Come?... Ah, sì. Da New York, mi pare. O da Boston, forse. È venuto qui con ottime referenze, proprio ottime.» «Benissimo» dissi. «Spero che sarà in grado di mostrarle anche a me, le sue referenze.» Chissà perché, quella frase parve mettere al colmo il disagio di Mitchell, che non trovò parole per rispondermi. Mi voltai a guardarlo mentre salivo le scale, e vidi che era ancora là fermo a guardarci salire e si mangiava le unghie con grande agitazione. Era veramente una cosa incredibile che l'immacolato proprietario dell'albergo Talisman facesse una cosa inelegante come quella. 6
L'appartamento dei Fanshawe era composto di tre stanze. Barnes aveva già allungato la mano per bussare alla porta che dava nel corridoio, quando gliela fermai. «Aspettate» dissi in fretta. «Non sentite niente?» Rimanemmo fermi ad ascoltare. Mi sembrava di aver udito una specie di gemito che proveniva dall'appartamento. E, nel silenzio, il suono si udì più distinto. Qualcuno piangeva forte, come se gli si spezzasse il cuore. «È una donna» disse Barnes. «E deve essere disperata.» Una donna... Marion Fanshawe, senza dubbio. Barnes bussò pian pianino all'uscio. Quasi subito ci venne aperto da Virgil Fanshawe. Il pittore era vestito, con una camicia bianca e un paio di pantaloni di tela blu copiosamente cosparsi di macchie di colore. Sembrava giovanissimo, con quegli occhi azzurri infantili e intelligenti e quella bocca pronta al sorriso: non si sarebbe certo detto che si avvicinasse alla quarantina. Quella sera, però, aveva l'aria stanca e un velo di tristezza nello sguardo. Tuttavia ci accolse con un sorriso cordiale e non ebbe l'aria di meravigliarsi per l'ora tarda di quella visita. «Salute, dottore. Ciao, Joe. Siete venuti a farmi una visitina? Stavo giusto per bere un goccetto. Entrate e bevete con me.» «Grazie, Virgil.» Barnes sorrise affettuosamente al pittore e gli batté una mano sulla spalla. Evidentemente erano amici, e questo mi meravigliò un po'. Fanshawe ci condusse nella stanza più grande dell'appartamento, quella che aveva adattato a studio. «Mettetevi a sedere comodi, mentre io preparo le bibite» disse. Barnes ed io rimanemmo fermi, un po' a disagio, nel centro dello studio. Non c'era traccia di Marion. Per uno strano fenomeno acustico, i singhiozzi che risuonavano distintamente nel corridoio non si sentivano dallo studio. Benché stessi con l'orecchio teso, udivo con fatica un suono sommesso che proveniva dalla camera da letto. Virgil Fanshawe ci aveva aperto immediatamente, e questo escludeva che si trovasse nella camera quando avevamo bussato. E tuttavia mi sembrava strano che fosse rimasto tranquillo nello studio mentre sua moglie, di là, singhiozzava da spaccarsi il cuore. Non era facile entrare nell'argomento del delitto. E lo era ancor meno trattandosi di Fanshawe, che, con tutta probabilità aveva avuto con la vit-
tima una relazione extra coniugale. Mi guardai intorno per prendere tempo. Non ero mai stato in quello studio né avevo visto in precedenza opere di Fanshawe. Di lui sapevo soltanto che aveva avuto molto successo a New York come illustratore di libri e di riviste. Mi avvicinai a un cavalletto su cui era un dipinto visibilmente incompiuto. La tela rappresentava gli spiriti dei dannati che soffrivano ogni sorta di tormenti in uno stravagante e tenebroso inferno. Le figure erano trattate con potenza e minuziosità non indegne di un antico maestro. In un angolo il colore era ancora bagnato; evidentemente, Fanshawe aveva finito poco tempo prima di lavorare intorno a una figura femminile dipinta con grande verismo. Era una ragazza bionda incatenata al tridente del diavolo. Guardai più da vicino. Il viso della ragazza mi era familiare, da quella sera. Virgil Fanshawe mi si avvicinò per darmi il bicchiere. «Pensate che io sia un sadico?» domandò con una luce di malizia nello sguardo. «È un'illustrazione per la Divina Commedia che un editore di New York pubblicherà tra poco. Quello è l'inferno. Vi piace?» Mi porse il bicchiere che io presi un po' goffamente. Il pittore sembrava aspettare il mio giudizio sulla sua opera. Mormorai: «È molto convincente.» «Davvero?» Fanshawe batté la mano sul braccio di Barnes. «Che effetto fa a uno delle nostre parti?» Tornò a rivolgersi a me: «Joe ed io siamo stati compagni di scuola» spiegò. «Io sono nato qui, sapete? Devo finire questo lavoro al più presto» soggiunse. «Nellie dovrà posare ancora per un paio di figure.» Quello mi sembrò il momento giusto. «Ho paura che dovrete trovarvi un'altra modella, signor Fanshawe» dichiarai un po' bruscamente. «Un'altra modella? E perché mai?» «Non vi meraviglia che Nellie non sia ancora tornata a casa?» «Non è tornata a casa?... Io credevo che fosse in camera. Dorme con Bobby, e...» Gli occhi del pittore balenarono di una strana luce. «Cosa c'è, Westlake? Cosa succede?» Guardò fisso Barnes. «È successo qualcosa, Joe?» «Qualcosa di brutto, Virgil.» Barnes non distoglieva l'occhio dal fondo del suo bicchiere. «Nellie è morta. È stata strangolata.» Fanshawe lo fissò, immobile.
«Non è vero» disse. «Mi state prendendo in giro.» Il suo sbalordimento sembrava assolutamente sincero. Se fingeva, era un simulatore perfetto. Gli feci un'esatta descrizione delle condizioni in cui avevano trovato il cadavere della ragazza. Quando ebbi finito, Fanshawe mormorò: «Povera Nellie! Che orribile morte!» Si passò un dito sulle sopracciglia. «E che cosa grottesca! Non può essere stato che un pazzo, non vi sembra?» «È quello che abbiamo pensato anche noi» dissi guardingo. «Ma dobbiamo vagliare tutte le ipotesi. Voi potete aiutarci. Non vi risulta che qualcuno avesse motivo di desiderarne la morte? Sapete qualcosa del suo passato?» «Assolutamente nulla. Avevamo bisogno che qualcuno si prendesse cura di Bobby durante il nostro soggiorno qui, e mi sono rivolto a un'ottima agenzia di New York. Lei si è presentata e io l'ho assunta. Vi confesserò che, appena l'ho vista ho pensato di usarla anche come modella.» «E così siete stato voi ad assumerla» osservai. «Non vostra moglie.» Fanshawe assentì. «Marion non stava bene, in questi ultimi tempi» spiegò. «Ho cercato di evitarle qualsiasi preoccupazione.» Mi resi conto che non potevo domandargli a bruciapelo se i rapporti fra lui e la ragazza avessero un carattere d'intimità. Dissi invece in tono indifferente: «L'ispettore mi ha pregato di domandarvi informazioni riguardo all'anello, uno zaffiro mi pare, che Nellie portava al dito.» Fanshawe domandò bruscamente: «Gliel'hanno rubato?» «No. E proprio il fatto che non le abbiano sottratto un oggetto di quel valore esclude l'assassinio per rapina. L'ispettore vorrebbe sapere come Nellie ha avuto quell'anello. Ne sapete qualcosa, voi?» Le ciglia di Fanshawe sbatterono sugli occhi azzurri. «Può darsi che fosse un anello di fidanzamento. Non posso escludere che Nellie avesse un fidanzato da qualche parte. Vi ho detto che non so nulla di lei.» Tacque, ed io non trovai altre domande da fargli. Rimanemmo a guardarci tutt'e tre, mentre il silenzio si addensava, carico di significato. E ad un tratto quel silenzio fu rotto da un suono alle mie spalle. Era il suono di una risata. Una risata strana, secca, breve e assolutamente priva d'intonazione. Mi voltai di scatto e così fece Barnes.
Marion Fanshawe era sulla soglia della camera da letto e ci guardava sorridendo. Sul volto irrigidito, come divorato dai grandi occhi chiari, quel sorriso che seguiva la risata era terribile. E il volto era bellissimo, come sempre, simile a una camelia biancorosa. Guardai Virgil Fanshawe. Aveva anche lui la faccia irrigidita e negli occhi un'espressione tormentata che lo rendeva simile ai dannati del suo quadro. «Marion, cara...» Fece un passo verso di lei... «Tu sei stanca. Torna a letto, ti prego.» Quando le fu vicino tese la mano per toccarla, ma lei lo guardò con disgusto e si sottrasse al contatto. Non avevo mai visto una simile espressione di ribrezzo fisico dipinta sul volto di una donna. «Ho sentito tutto» disse Marion con voce tranquilla. «Nellie Wood è stata uccisa.» «Marion cara...» La tenera angoscia che vibrava nella voce di Fanshawe era certamente genuina. Marion non gli badò affatto. Con gesto deciso spinse verso di noi una sedia che era accanto al muro e sedette. «Prego, dottor Westlake, continuate pure l'interrogatorio di mio marito, io starò ad ascoltare.» Guardai Barnes e vidi che si sentiva molto a disagio come me. «Per regolarità» cominciai «devo informarmi di quello che ognuno ha fatto nel corso della serata. Al mio ritorno, il proprietario mi ha detto che voi eravate rientrato pochi minuti prima di me. È vero?» «Sì, credo di essere arrivato dieci minuti prima, o poco più.» «E dove siete stato?» Venne la risposta inevitabile. «Oh! A far due passi e a prendere una boccata d'aria.» «Quanto tempo siete stato fuori?» «Non lo so. Quando passeggio soprappensiero, perdo il concetto del tempo.» «In che direzione siete andato?» «Lungo la spiaggia, verso il vecchio cimitero.» Nella direzione opposta a quella che Nellie Wood aveva preso, almeno se la risposta rispondeva a verità. «Avete incontrato qualcuno?» «Non ho visto anima viva.» Nellie Wood era stata uccisa intorno alle undici. L'ora in cui Fanshawe
aveva lasciato l'albergo era di capitale importanza. «Ricordate a che ora siete uscito?» «Mi dispiace, non ne ho idea.» «La so io» disse la voce chiara di Marion. «Sei uscito dieci minuti dopo Nellie, alle undici meno venti. E perché non dici che sei andato verso il cimitero? Ho visto benissimo che ti avviavi nella direzione presa da Nellie.» La voce della donna era limpida e chiara come quella di una bambina. I grandi occhi azzurri si distolsero da Fanshawe per guardare me e Barnes. E sulla bocca riapparve il sorriso di poco prima, cui seguì la risata breve e rauca, insensata. Mi sentivo perplesso e angosciato. Guardai Barnes che mi fece un lieve segno di assenso. «Bene, vi ringrazio» dissi con sollievo. «L'ispettore Sweeney v'interrogherà domani, ufficialmente. Buona notte.» Mentre uscivamo, nessuno dei due Fanshawe si mosse. Quando fui nel corridoio e mi voltai per chiudermi la porta alle spalle, li vidi ancora seduti e immobili. Fanshawe col viso contratto e impietrito come quello d'un angelo maledetto, e lei, Marion, piccolina, leggiadra, senza un filo fuori di posto... e inanimata come una bambola di porcellana. 7 «Bene» fece Barnes rompendo il silenzio. «Se quello che dice la moglie è vero, dobbiamo pensare che Fanshawe fosse sul teatro del delitto mentre questo veniva commesso. Pare che quella donna ci tenga molto a dirigere i sospetti sul proprio marito.» Marion Fanshawe, col suo volto impassibile, coi suoi silenzi, coi suoi begli occhi assenti era sempre stata un enigma per me. Ora non lo era più. Nella mia qualità di medico potevo discernere nella sua risata improvvisa, nel suo inverosimile e sinistro sorriso, i sintomi dello squilibrio mentale. E la sua testimonianza contro il marito non era stata il prodotto di un momento d'ira, ma la conclusione di un odio lungamente maturato. Mi domandai se Fanshawe non ci avesse mentito e se non avesse effettivamente avuto una relazione con Nellie. In tal caso poteva trattarsi, da parte di sua moglie, di una manifestazione di gelosia quasi morbosa. Tuttavia, l'atteggiamento del pittore durante la scena non era stato quello di un uomo che ha cessato di amare la propria moglie. Ricordavo la tenerezza ansiosa che
c'era negli occhi di lui e nella sua voce quando aveva tentato di acquietare la donna, l'amore appassionato con cui la guardava mentre lei tentava di renderlo sospetto ai nostri occhi. Tutta la faccenda era illogica, pazzesca. «Può darsi che Virgil si trovi immischiato nel delitto» disse Barnes con aria pensierosa. «Ma io stento a crederlo, dottore. È sempre stato un buon ragazzo. Certo, non era un tipo come tutti gli altri. Mentre noi nuotavamo e giocavamo al pallone e andavamo a pesca, lui non smetteva mai di dipingere. Poi scappò a New York perché voleva diventare un artista, e noi pensammo che fosse un po' matto. Suo padre non volle più saperne di lui e morì senza averlo perdonato. Ma Virgil ha fatto carriera e, quando è tornato qui, non si è dato delle arie con noi. È un buon ragazzo, dottore, non un tipo come Johnny Mitchell, pieno di superbia, che pretende che tutti lo riveriscano e lo chiamino signor Mitchell come se fosse un principe, mentre non è altro che uno del Capo, come tutti noi.» Quei pettegolezzi locali avrebbero senza dubbio esasperato Sweeney. A me interessavano. «Mitchell è di qui?» domandai. Mi sembrava una cosa strana. «Certo. È un po' più vecchio di Virgil e di me, ma siamo cresciuti insieme. Poi lui è andato a New York a lavorare negli alberghi e da quando è tornato si dà un mucchio di arie. Come se noi non conoscessimo benissimo la sua storia e quella di sua sorella che non era altro che una volgare...» Ma la storia della sorella di Mitchell non m'interessava e interruppi Barnes prima che definisse con precisione quella donna per me sconosciuta. «Sarà meglio che facciamo una scappata in camera di Buck, adesso. È meglio non perdere tempo, se poi vogliamo andare fino al cimitero.» Salimmo le scale, accompagnati dallo scricchiolio della vecchia scala di legno, e andammo a bussare alla porta del maestro di nuoto. Dall'interno ci rispose una serie di brontolii lamentosi. Poi udimmo la voce di Buck. «Chi è?» «Il dottor Westlake» risposi «con Barnes.» Si sentì un tramestio, poi qualche altro brontolio e un rumor di passi. La porta si aprì. Buck Valentine apparve sulla porta e ci fissò con gli occhi azzurri un po' assonnati. Si era messo addosso un accappatoio di spugna blu chiaro che faceva risaltare il colore abbronzato della pelle. «Cosa diavolo succede?» domandò. «Brucia l'albergo?»
Osservai che sotto l'accappatoio il giovanotto non indossava pigiama. «Mi pare d'aver dormito chissà quanto» disse Buck chiudendo la porta alle nostre spalle. «Che ore sono?» «Le due e mezzo circa» risposi. Come mi ero aspettato, sulle pareti della camera c'era una fila d'immagini di belle ragazze. Alcune erano fotografie originali con dedica e firma, altre erano tolte dalle riviste. Osservai che la fila seguiva ininterrotta tutte le pareti e che c'era soltanto un vano vuoto proprio sopra il letto. Mi domandai il perché di quel vuoto. Anche il letto mi lasciò perplesso. Il giovanotto diceva di aver dormito a lungo. Doveva essere un dormiente eccezionalmente tranquillo. Il letto era quasi intatto; vi si scorgeva soltanto l'impronta della testa sui cuscini, e appena appena quella del corpo sulle lenzuola. Sembrava che Buck vi fosse scivolato dentro proprio al momento del nostro arrivo. «Be', che c'è di nuovo?» domandò il maestro di nuoto accendendo una sigaretta e soffiando il fumo nella nostra direzione. Cominciava ad impazientirsi. «Dobbiamo star qui tutta la notte?» soggiunse. Barnes sembrava aver preso alla lettera le istruzioni di Sweeney nei miei riguardi e non fiatò. «Siamo venuti per Nellie Wood» cominciai. «Per Nellie? Cosa c'entro, io, con Nellie?» «Nellie è stata strangolata. Abbiamo trovato il suo cadavere sulla spiaggia, poco fa.» Le dita del giovane si strinsero convulsamente sulla sigaretta che si spezzò. Il bel viso regolare sembrò rimpicciolirsi. «Nellie morta? Dio mio!» Poi, con uno sforzo, quasi senza pausa: «Perché siete venuti da me?» Buck mi piaceva. Era l'amicone di Dawn e aveva sempre dimostrato una grande pazienza con lei. Non ebbi il coraggio d'impiegare l'astuzia con lui. «Nellie è stata uccisa nella serata, Buck. Non dimenticate che io ero nella veranda e ho visto che siete uscito subito dopo di lei e l'avete seguita.» «Seguita?» Buck balzò in piedi e l'accappatoio si aprì sul suo torace atletico. «Io non l'ho seguita affatto, dottore. Ero nella veranda e mi annoiavo; quando lei è scesa e ha detto che usciva, ho pensato di andare anch'io a...» «A prendere una boccata d'aria» completai, quasi mio malgrado. «Proprio così.» «E non avete visto Nellie, fuori?» «Non l'ho più vista da quando è uscita. E non ho più pensato a lei. Del
resto, ho preso tutt'altra direzione.» «Se non l'avete vista, come fate a sapere che direzione ha preso?» Il giovanotto si fece rosso in viso. «Se avessi preso la stessa direzione l'avrei raggiunta, non vi pare? Io cammino sempre di buon passo.» «A che ora siete tornato in albergo?» «Oh, di preciso non lo so.» Guardò con imbarazzo il sergente che era in piedi accanto alla finestra, poi sì volse di nuovo verso di me. «Perché mi fate tutte queste domande, dottore? Non penserete, spero, che io abbia a che fare con una simile faccenda! Perché poi avrei ucciso quella ragazza? Non la conoscevo nemmeno.» «Non la conoscevate?» «Voglio dire che la conoscevo superficialmente, come la conoscevano tutti gli altri, qui in albergo. Ma...» I suoi occhi corsero macchinalmente alla parete e allo spazio vuoto tra le fotografie. «Ma non c'erano fra noi rapporti di alcun genere. Del resto, lei non aveva certamente tempo da buttar via per me.» Guardai anch'io le fotografie sulla parete. «Mi pare che le ragazze che avevano tempo da buttar via per voi siano state parecchie.» Il giovanotto tentò un sogghigno. «Nellie no di certo. Era troppo occupata con Fanshawe. Lui le regalava gli zaffiri.» Sussultai. «Buck!» dissi con severità. «State bene attento a quello che dite. Siete sicuro che l'anello gliel'avesse regalato Fanshawe?» «Così mi ha detto lei.» «Strano che Nellie vi facesse le sue confidenze, se vi conoscevate appena.» «Sapete, in questi posti solitari...» «Già» dissi. Ma non gli credevo affatto. D'altra parte, non volevo svolgere un vero e proprio interrogatorio. L'ordine di Sweeney era di dare la notizia e di far cantare la gente con garbo. Non avevo l'impressione che Buck fosse disposto a cantare ulteriormente, quella notte, e ripresi, calmo: «Bene. L'ispettore Sweeney verrà domani. Avrete un colloquio con lui. Noi ora dobbiamo andarcene.» Mi alzai, e Barnes si dispose a seguirmi. Il giovanotto apparve visibilmente sollevato per la nostra decisione, e si alzò per accompagnarci alla
porta. In quel momento intercettai l'occhiata furtiva che diede al cestino della carta straccia posta in un angolo. Senza dir parola, passai fra Buck e il sergente e mi avvicinai al cestino. In fondo scorsi una fotografia stracciata in quattro e mi chinai per prenderla. «Lasciate stare...» Buck s'interruppe. Aveva capito che non c'era niente da fare. Posai sulla tavola i quattro pezzi della fotografia e li misi insieme. Dal cartoncino, l'immagine di Nellie Wood mi guardò in modo provocante. In un angolo, la ragazza aveva scritto: Al mio amato Buck, per ricordo. Nellie. Il maestro di nuoto si era fatto livido. Lo guardai fisso.. «E così, fra voi e Nellie non c'era assolutamente nulla, vero?» Il giovanotto non disse parola. Non c'era niente da dire. Mi ficcai in tasca i pezzi della fotografia e uscii con Barnes dalla stanza. Dunque, Nellie aveva fatto il doppio gioco con Fanshawe e col maestro di nuoto. Il doppio gioco può essere pericoloso e avere per posta anche la morte. Buck Valentine aveva deliberatamente distrutto il "ricordo" di Nellie Wood. Perché? Veniva fatto di pensare che avesse saputo del delitto, prima che Barnes ed io andassimo a dargli la notizia. E nemmeno Virgil Fanshawe se l'era cavata troppo brillantemente, soprattutto dopo l'intervento di sua moglie. Mentre Barnes ed io scendevamo le scale, non feci alcuna allusione ai due colloqui precedenti; mi limitai a dire: «Credo che andremo al cimitero, ora.» Nel vestibolo tutte le luci erano spente eccetto una. Non v'era traccia di Mitchell. Evidentemente se n'era andato a letto. Doveva essere molto tardi. Un po' della nebbia di fuori si era insinuata nel vestibolo ondeggiando nell'aria e creando una strana atmosfera irreale in quell'ambiente tedioso e rispettabile. «Andiamo, Barnes» dissi coraggiosamente, superando la voglia di coricarmi. In quel momento sentii un soffio d'aria fredda sulla nuca e mi voltai di scatto. Fuori dalla porta principale socchiusa, intravidi una sagoma femminile. Sembrava sogguardare, incerta se entrare o no, poi a un tratto la porta ven-
ne spinta e la donna entrò. Riconobbi subito la signorina Heywood, serena e imperturbabile come sempre, anche se un po' spettinata dal vento marino. Aveva fra le braccia un enorme fascio di frasche verdi. «Buona sera» disse sorridendo con la consueta amabilità. «È bello star fuori. Che notte selvaggia e romantica!» «Soprattutto romantica!» approvai amaramente. «Ho visto queste frasche meravigliose, degne di essere dipinte, e non ho potuto fare a meno di coglierle. Speriamo che il signor Mitchell non mi sgridi. Domani tenterò di ritrarle in tutta la loro bellezza. Si sta molto bene qui, al Capo. E mi sento ancor meglio dopo aver preso...» Mi venne voglia di finire la frase in coro con la signorina Heywood, la frase che mi aspettavo e che arrivò: «Dopo aver preso una boccata d'aria.» 8 Salutata la pittrice, Barnes ed io uscimmo di nuovo immergendoci nell'oscurità caliginosa. Ero molto stanco e, se non ci fosse stata di mezzo la consegna ricevuta da Sweeney, avrei rinunciato volentieri a quella spedizione. Barnes invece era tutto arzillo. «Come vi dicevo, dottore, non è accaduto nulla di simile a Capo Talisman, dopo la faccenda di Cora Mitchell...» Barnes era un tipo ostinato, mi resi conto che non sarei riuscito a sfuggire a quel racconto e domandai educatamente: «Quella sorella di Mitchell a cui avete accennato prima?» «Proprio lei. Tutti i giornali ne hanno parlato. C'era anche la fotografia. Cora era una famosa ladra di gioielli. L'ho arrestata io, qua al Capo, in casa di suo padre. C'era anche la mia fotografia sui giornali. Lui, Mitchell, non vuol sentirne parlare. Non ha voluto tirar fuori un soldo per il funerale, quando è morta, un paio di mesi fa, al penitenziario di Haling.» Si diffuse a raccontare come fosse avvenuto l'arresto e come tutti quanti, superiori e giornalisti, gli avessero fatto i complimenti, mentre io facevo sforzi inauditi per ascoltarlo e per tenere gli occhi aperti. La marea stava ancora salendo e il fragore delle onde aumentava costringendo Barnes ad urlare. Mi sembrava che fossero passati anni da quando Dawn aveva scorto la luce rosea nel cimitero. E la scena che avevo visto e la misteriosa figura apparsa e scomparsa nella nebbia cominciavano
a sembrarmi troppo fantastiche. Man mano che procedevamo nella nebbia fitta mi sentivo invadere da uno strano malessere. Barnes invece camminava spedito, incurante dell'oscurità e della nebbia. «Ecco» disse a un certo punto. «Qui comincia il muro del cimitero.» Proseguimmo ancora un po' affondando nella nebbia molle e ci trovammo press'a poco nel punto dove Dawn aveva scorto la luce della lanterna. «Dov'era la tomba aperta che avete visto?» domandò Barnes puntando la luce della lampadina sul cimitero e muovendola lentamente sulle file dei tumuli. «La lanterna era proprio davanti a noi, poi si è mossa in quella direzione e si è fermata sotto un abete. Non dovrebbe essere difficile trovare il posto.» Avanzammo abbastanza svelti fra le tombe, alla luce delle lampadine tascabili. Avevo il batticuore e mi sembrava che da un momento all'altro avrei scorto la luce rosea della lanterna. Ma non c'era nessuna lanterna. Tutto era buio e silenzio, intorno. Barnes mi camminava al fianco respirando un po' pesantemente. «Dovrebbe esser qui vicino» dissi a un certo punto. E in quello stesso momento il raggio della mia lampadina cadde sulla sagoma dell'abete. «Ci siamo, Barnes.» Feci strada verso l'abete e mi fermai con un'esclamazione di meraviglia. La fossa non c'era più, e non c'era traccia della lanterna, né della vanga. Sweeney era stato buon profeta. Proiettai la luce della lampadina sul terreno circostante scrutandolo con la massima attenzione. E ad un tratto, con grande sollievo, fra i tumuli che si allineavano all'intorno ne scorsi uno che era stato visibilmente smosso di fresco. La terra brillava, umida e scura, sotto il raggio di luce. «Avevate ragione voi, dottore» dichiarò Barnes. «La tomba è stata aperta e richiusa. Dopo che ve ne siete andato qualcuno ha lavorato di vanga. Poco fa avete detto che avete osservato la targhetta di rame fissata sulla bara. Avete letto il nome?» «No, da vero idiota non l'ho letto.» «Non importa. Il dottor Gilchrist, come ufficiale sanitario, lo sa di certo. Nel suo ufficio ci dev'essere una specie di mappa del cimitero coi nomi dei defunti. L'hanno fatta quando l'oceano ha cominciato a spazzar via le lapidi.» Barnes tacque e il silenzio mi parve più opprimente della nebbia che ci
avvolgeva. Strane cose erano accadute quella sera; strane e incomprensibili. «Diamo un'occhiata intorno, per vedere se troviamo la vanga e la lanterna» propose Barnes. «Ma non ci spero.» Si mosse cautamente fra le tombe, dietro il raggio della lampadina, ed io gli andai dietro. Ero d'accordo con lui: con tutta probabilità non avremmo trovato nulla. E fu così. A parte la tomba smossa, non v'era traccia del passaggio di un essere umano, in tutto il cimitero. Tornammo lentamente verso l'albergo. Barnes mi lasciò nel vestibolo. Mi dirigevo verso le scale e la mia stanza da letto quando il telefono sul banco della direzione suonò. Andai a rispondere. «Pronto, Westlake!» disse la voce asciutta dell'ispettore Sweeney. «Cosa c'è di nuovo? Voi e Barnes avete scoperto qualcosa?» «Abbiamo scoperto tre possibili assassini muniti di tre diversi moventi per uccidere la stessa persona tre volte.» Gli feci un succinto resoconto dei vari interrogatori e gli dissi della visita infruttuosa al vecchio cimitero. «È una faccenda strana» commentò lui. «Molto strana.» «Bene, Westlake. Vi ringrazio molto» disse ancora la voce di Sweeney. «Voi rappresentate un grande aiuto per me. Quel tonto di Barnes non riuscirebbe a cavarsela da solo in una faccenda come questa.» Fui contento di sentire quelle parole. Appena riattaccato il ricevitore corsi su per le scale e andai a ficcarmi in letto. Non ne potevo più. E i personaggi dell'inverosimile dramma, da Nellie Wood alla signorina Heywood, mi visitarono nel sogno e ballarono la sarabanda intorno al mio letto. 9 La mia cara figliola aveva l'arte di rendere turbolenti e movimentati i miei risvegli. E, ahimè, non accadeva mai che si svegliasse dopo di me. Non accadde nemmeno quella mattina. Ero tra il sonno e la veglia e stavo rimuginando in modo un po' vago gli avvenimenti della notte precedente, quando lei irruppe nella camera come un ciclone gridando: «Buongiorno, paparino!»
Saltò sul letto e si mise a sbaciucchiarmi alla maniera di un cagnolino petulante e troppo affettuoso. Aveva in mano una penna alquanto sudicia strappata a chissà quale orribile volatile e me la strofinò sul naso. «Hai visto che bella pena d'oca? Voglio adoperarla per scrivere.» Starnutii e mi dibattei con violenza contro quelle effusioni. Respinta energicamente, Dawn a un tratto divenne calma e si accoccolò in fondo al letto. «Nell'albergo sono tutti matti, stamani» mi annunciò. «Figurati che sono andata in cucina e il cuoco si era dimenticato il mio pesce. Dopo è venuta dentro Maggie col naso come un peperone e gli occhi gonfi come se avesse pianto. Nel vestibolo c'era il signor Mitchell che girava come una mosca senza testa. Dopo è venuta giù la signorina Heywood, e anche il signor Usher, e tutti e due hanno detto che volevano partire. Allora quel tipo buffo, il poliziotto che era lì, ha detto che nessuno poteva andar via dall'albergo. Loro si sono arrabbiati moltissimo e hanno detto che qui non si era più sicuri, poi si sono accorti che c'ero io e sono stati zitti; avevano delle facce proprio ridicole.» Tacque un momento per tirare il fiato, poi mi domandò: «Cosa sarà successo, papà? Perché la gente non può andarsene via, se ne ha voglia? E perché vogliono andar via tutt'a un tratto? Io, per esempio, non ho voglia d'andar via; e tu?» C'è chi dice che i bambini vanno tenuti all'oscuro delle cose poco belle che accadono nella vita. Non sono mai appartenuto a quella scuola, forse anche perché è assolutamente impossibile impedire a Dawn di ficcare il naso in tutto quello che succede e di svolgere indagini per suo conto. «È successa una cosa molto brutta» dissi. «La governante di Bobby è stata vittima di un incidente ed è morta. La gente non rimane volentieri in un posto, quando è morto qualcuno.» «È morta quella bella ragazza? Dava sempre i pizzicotti a Bobby perché si metteva le dita nel naso. L'ho vista io.» Dawn si interruppe e rimase un attimo soprappensiero come se meditasse sulla vita e la morte, poi riprese: «Scommetto che è morta annegata. Nuotava proprio malissimo. Buck la doveva sempre salvare.» Feci un vago brontolio di assenso, e mia figlia tacque di nuovo, pensierosa. Poi a un tratto, frugò nella tasca del suo vestitino di cotone e ne trasse una busta tutta sgualcita. «Questa me l'ha data il signor Fanshawe; per te» disse. «Forse è l'invito per il funerale.»
Guardai mia figlia esterrefatto e incredulo, ma quelle parole erano proprio uscite dalla sua bocca innocente. La faccia era più angelica del solito. Aprii la busta e lessi: Caro Westlake. Potreste farmi un grande favore? Mia moglie è sofferente, stamattina, e io devo rimanerle accanto. Partiremo di qui appena sarà possibile. Ma per il momento dobbiamo rimanere e Bobby rappresenta un grosso problema. Potrei affidarvelo per la mattinata? Se acconsentite, mandate Dawn a prenderlo. Naturalmente, lui non sa che Nellie è morta; gli abbiamo detto che è andata via per qualche giorno. Grazie in anticipo VIRGIL FANSHAWE Lessi due volte il biglietto, poi lo rimisi nella busta. Dawn mi scrutava con molto interesse. «È un invito, papà?» «Ma che invito! Il signor Fanshawe vuole che tu custodisca Bobby per tutta la mattina. Dovresti andarlo a prendere. Ma, per l'amor di Dio, non dir niente di Nellie!» Mia figlia corse fuori dalla stanza. Stavo vestendomi, quando tornò trascinando Bobby per mano. Il bambino dei Fanshawe era piccolino, per la sua età. Aveva capelli nerissimi e lisci, e grandi occhi cupi dall'espressione solenne. Mi guardò a lungo, senza abbandonare la mano di mia figlia, poi domandò con voce cavernosa: «Chi è quell'uomo?» «È il mio papà» rispose Dawn. «L'hai visto un mucchio di volte.» Bobby non batté ciglio. «Non mi piace» dichiarò. «Ha la faccia da stupido.» Era troppo. Cacciai tre o quattro urlacci perché se ne andassero tutti e due, e riuscii a restar solo e a finir di vestirmi senza testimoni. Nel vestibolo regnava, come Dawn aveva detto, una certa confusione. Vidi Barnes e Mitchell che parlottavano in un angolo e mi guardarono con aria di attesa. Ma ero affamato e tirai dritto verso la veranda dove i due bambini mi aspettavano per andare a colazione. Anche là trovai una certa agitazione. Grosse lacrime colavano dagli oc-
chi di Bobby, e lui le asciugava col dorso della mano. Dawn brandiva la penna d'oca con aria truculenta. «Voleva mangiare la mia penna» dichiarò. «E io gli ho dato un pizzicotto come faceva Nellie, che...» S'interruppe di colpo. Non ero disposto a intervenire nelle loro beghe, perciò li presi per mano con una certa malagrazia e li trascinai verso la sala da pranzo. La signorina Heywood e il signor Usher sedevano già ai rispettivi tavoli. Sembravano ambedue offesi e indignati, e mi guardarono come se avessero avuto l'intenzione di comunicarmi i loro sentimenti. Tagliai corto con un'occhiata che significava "Non davanti ai bambini", e arrivai così senza inciampi al mio tavolo. Maggie ci aveva già serviti e se n'era andata, quando mi accorsi che mia figlia s'era preso sul piatto il pesce e lo stava divorando da sola. «Dawn!» «Cosa vuoi, papà?» «Da' immediatamente la metà del tuo pesce a Bobby» dissi con tono severo. Mia figlia sporse il labbro inferiore con una smorfia di suprema indignazione ma non osò ribellarsi e, sotto il mio occhio d'aquila, tagliò il pesce e ne fece scivolare la metà nel piatto che le porgevo. «Ecco, Bobby» dissi. «Questo è il pesce che Dawn ha pescato ieri.» Il bambino abbassò gli occhi e fissò pensieroso il pesce. Poi, con solennità, afferrò il piatto e lo buttò sul pavimento. «Odio il pesce» disse calmo. «Il pesce è stupido.» Mia figlia gli saltò addosso come una furia e gli diede un tremendo pizzicotto. Mentre il bambino strillava, sentii con stupore la mia voce che diceva: «Benissimo, Dawn, dagliene un altro!» Come Dio volle la colazione finì. E i processi mentali dei bambini sono così misteriosi che Bobby e Dawn si alzarono da tavola ottimi amici. Barnes era ancora nel vestibolo. «L'ispettore Sweeney sarà qui fra poco» disse vedendomi. «Accompagno alla spiaggia queste due belve e torno.» Contavo di affidare i bambini alle cure di Buck Valentine. Nonostante la situazione sospetta in cui quest'ultimo si trovava dopo la notte precedente, non avevo timori. Buck mi era sempre piaciuto e continuava a piacermi. Buck era sulla spiaggia e aveva l'aria di un Titano stanco. Mi disse che
doveva riparare il canotto di salvataggio e ne avrebbe avuto per una mezz'oretta. Poi avrebbe preso in consegna i bambini. Rassegnato sedetti sulla spiaggia accanto ai due cari angeli, nell'attesa del suo ritorno. Dawn stava insegnando a Bobby un gioco di sua invenzione. «Tu sei il diamante nero» sentii che diceva. «Adesso ti seppellisco. Poi scavo e ti trovo.» «Cos'è il diamante nero?» chiesi distratto. «Non sai che esiste un diamante nero sepolto da queste parti?» mi domandò mia figlia in tono saccente. «Non dir sciocchezze. Il diamante nero è il carbone.» Mi dilungai in una spiegazione sulle proprietà del carbone, ma mia figlia non mi badò affatto. Aveva seppellito Bobby fino alla testa, e ora stava rovesciandogli della sabbia sui capelli. «Smettila» dissi. «Lo accecherai.» Lei si fermò e Bobby cominciò a frignare. «Voglio essere accecato! Voglio essere accecato!» Mi disinteressai di quel gioco idiota e mi distesi a godermi il sole. I bambini stavano ancora seppellendosi e disseppellendosi reciprocamente quando Buck arrivò. «Eccomi, dottore. Adesso potete lasciarli a me.» «Grazie, Buck.» Il giovane si mordicchiò le labbra. «L'ispettore Sweeney arriva stamattina?» domandò. «Sarà qui da un momento all'altro» risposi. Buck mi diede una rapida occhiata. «Gli racconterete la storia della foto, dottore? Ammetto di avervi detto una bugia, ma ero spaventato. Vi confesso che ho avuto una cotta per Nellie, qualche settimana fa. Ma poi ho visto che teneva in ballo anche Fanshawe e l'ho piantata. Ieri sera non l'ho nemmeno vista, dopo che è uscita dall'albergo, ve lo assicuro.» «Bene, Buck, se siete sicuro del fatto vostro non dovete aver paura di Sweeney.» Aprì la bocca per dir qualcosa, ma non parlò e capii il perché quando, alzando gli occhi, mi trovai davanti il nerovestito signor Usher che mi sorrideva orridamente. «Buongiorno, dottore. Terribile tragedia, ma splendida mattina. Ecco le compensazioni che Dio concede a noi poveri peccatori.» Esitò un attimo.
«Vorrei scambiare due parole con voi, dottore.» La cosa era ben lungi dall'entusiasmarmi, ma pensai che il signor Usher potesse darmi qualche notizia riguardo al delitto. «Volentieri» dissi. Lasciai i bambini a Buck e mi avviai al fianco del signor Usher, lungo la spiaggia. «Che spiacevole faccenda!» cominciò lui. «Stamattina, quando ho saputo la cosa, ho pensato di finire le vacanze altrove, ma sembra che la polizia non intenda lasciar partire nessuno di noi, per ora.» «È sempre così, quando c'è un omicidio di mezzo» mormorai. «Ma questo non è un omicidio dei soliti, dottore; è l'opera di un pazzo. Non posso concepire che si sospetti di gente come noi, di uno come me, per esempio.» Fece una risatina come se l'ipotesi fosse assurda e comica, ma a me non sembrò né comica né assurda. «Chissà com'era sfigurata, povera ragazza» continuò lui abbassando la voce. «Che peccato!» «La conoscevate bene?» domandai a bruciapelo. «Oh, la conoscevo appena. E voi? Conoscevate la sua famiglia, per caso?» «Le avrò parlato due o tre volte» risposi, asciutto. «Già, già...» Il signor Usher tacque per un po' come assorto in pie elucubrazioni, poi disse: «Forse mi giudicherete curioso, ma non si tratta di mera curiosità.» «Di che cosa, allora?» «Sapete, è molto importante sapere in che mani si mettono i propri cari. Io sono conosciuto per la mia abilità e la mia delicatezza.» La mano destra del signor Usher scivolò nella tasca della giacca e ne usci con un biglietto listato a lutto. «Sono sicuro dottore, che, se affiderete il corpo a me, farò un lavoro di tutta soddisfazione.» Ma io non lo udivo più; fissavo il cartoncino listato di nero e finalmente cominciavo a capir qualcosa. Lessi: BENJAMIN G. USHER Impresa Pompe Funebri Specialista in trattamenti cosmetici HALING
«Eh, sì...» la voce sommessa del signor Usher mi giunse come da lontano. «Ho molto lavoro col penitenziario femminile di Haling. Ma naturalmente ho anche una clientela altolocata. Sono sicuro che, se mi occupassi di quella povera ragazza, la cosa mi gioverebbe presso i miei futuri clienti.» Fece una risatina sinistra. «Se mai, in qualità di professionista, foste voi ad occuparvi della cosa, ricordatevi di me. Dicono che io sia un artista del mio genere, specialmente quando si tratta di donne.» La macabra farsa continuava. Il signor Usher contava su di me e sulla defunta Nellie Wood per farsi pubblicità. «Torniamo indietro?» proposi, evitando di rispondere. Da lontano, mentre ci avviavamo per tornare, scorsi due persone che uscivano dall'albergo dirigendosi verso la spiaggia. «Ecco, l'ispettore è arrivato e sta scendendo sulla spiaggia col sergente Barnes e il dottor Gilchrist» dichiarò il mio compagno, che doveva avere un'ottima vista. Una volta che lui ebbe identificato i tre uomini, anch'io riuscii a riconoscere la figura tarchiata dell'ispettore, quella più snella di Barnes e la sagoma corpulenta del mio collega. I tre uomini si erano avvicinati a Buck. Il maestro di nuoto si era alzato. Lo vidi fare un gesto in direzione dell'albergo, e i bambini corsero subito via. «Sono curioso di sapere cosa dirà Valentine all'ispettore, riguardo al suo contegno della notte scorsa» dichiarò il signor Usher. Drizzai le orecchie. «Quale contegno?» Il signor Usher si soffregò le mani con giubilo evidente. «Be', dottore, non mi direte che non avete visto che il giovanotto correva dietro a Nellie Wood, ieri sera. A quanto pare il delitto è stato commesso poco dopo e...» «Buck dice di non aver affatto seguito la ragazza» lo interruppi, mosso da un assurdo impulso di solidarietà col giovane. «Dice che è uscito dietro di lei per caso e che fuori non l'ha neanche vista.» «Ha detto così?» Il signor Usher sogghignò visibilmente. «Ho proprio paura che sia una bugia, una grossa bugia.» Lo guardai fisso. «Perché? Sapete qualcosa?» «So quello che ho visto coi miei occhi, dottore. Il caso vuole» tossicchiò con affettazione «che io sia uscito a mia volta per prendere una boccata
d'aria.» Beninteso era uscito anche lui a prendere una boccata d'aria. «Andate avanti» dissi, ruvido. «E sono capitato proprio addosso a quei due che se ne stavano sulla spiaggia. Non ho dubbi possibili sulla loro identità, perché avevo una torcia elettrica. La porto sempre quando esco di notte. Non si sa mai...» Lo guardai con occhi minacciosi. «Li ho visti come vedo voi, dottore. Lui la teneva fra le braccia e la stava baciando.» 10 In fondo, in fondo avevo avuto ragione; il signor Usher era in possesso di notizie interessanti. E Buck mi aveva ancora una volta mentito. Facemmo qualche passo in silenzio, poi il signor Usher riprese: «Ho parlato con voi, dottore, perché so che lavorate con la polizia. Preferirei che foste voi a dir la cosa all'ispettore. Non desidero che venga fatta pubblicità sul mio nome. La mia reputazione potrebbe soffrirne.» La reputazione del signor Usher non mi interessava affatto, e risposi: «Se volete testimoniare, dovete farlo voi stesso. Del resto se con la vostra testimonianza Buck verrà condannato alla sedia elettrica, avrete un cliente di più.» Il signor Usher non parve apprezzare l'umorismo della battuta, e rispose, contrito: «Va bene, dottore. Visto che non volete aiutarmi, parlerò io stesso con la polizia.» Proseguimmo in silenziosa inimicizia finché non fummo vicini al gruppo. La notte precedente non avevo visto bene l'ispettore Sweeney. Ora mi parve più piccolo di statura, ma formidabile. La voce tagliente che avevo udito nella notte si adattava in modo perfetto alla sua faccia magra e mobilissima, agli occhi straordinariamente acuti, ai baffetti a spazzolino che gli ornavano il labbro superiore. Il gruppo si voltò al nostro sopraggiungere. Buck aveva l'aria del cane bastonato, Barnes affiancava deferente il suo superiore; Gilchrist, grassoccio, mi fece un bel sorriso. «Salve, Westlake» disse l'ispettore. «Stavamo facendo quattro chiacchiere con Valentine. Lui non nega d'aver avuto un amoretto con Nellie... dopo la faccenda della fotografia non potrebbe. Ma sostiene di non averla vista
dopo che è uscita dall'albergo, ieri sera.» Guardai il signor Usher e aspettai che scoppiasse la bomba, ma lui non parlò. A malincuore cercai d'incoraggiarlo. «Pare che il signor Usher abbia qualcosa da dire in proposito.» «Di che si tratta?» Per la prima volta nella vita, probabilmente, una specie di rossore colorò il viso di cera del signor Usher. «Io... io sono dolente di dover dire che il signor Valentine afferma il falso, perché...» «Perché?...» «Perché ieri sera l'ho visto coi miei occhi sulle dune, insieme con Nellie Wood, pochi minuti dopo che erano usciti dall'albergo. Ho visto il loro amplesso.» Amplesso. Ci avrei giurato, che, presto o tardi, il signor Usher avrebbe usato questa parola! Tuttavia, amplesso o no, la dichiarazione fece colpo. Buck sembrò afflosciarsi a un tratto. La faccia di Barnes sbiancò e Gilchrist emise un'esclamazione di sorpresa. Con estrema tranquillità, l'ispettore Sweeney si voltò verso il maestro di nuoto. «E così, Valentine, ci avete raccontato un mucchio di bugie. Bene, bene. Sarà meglio tornare all'albergo e fare quattro chiacchiere fra noi.» Senza guardare nessuno di noi, l'ispettore si avviò verso l'albergo. Gilchrist e Barnes lo seguirono e il signor Usher, che sembrava cresciuto di statura dopo la sua uscita a effetto, si accodò a loro. Nessuno ebbe l'aria di pensare a Buck, che sembrava inchiodato al suolo. Gli andai vicino e gli posai una mano sul braccio. «Andiamo, Buck. È meglio affrontare la situazione.» Il giovane parve rilassarsi sotto la mia stretta e si avviò docilmente al mio fianco. Soggiunsi: «Non per cacciare il naso nei fatti vostri, Buck, ma non sarebbe meglio che diceste la verità? Mi pare che, finora, le vostre bugie abbiano avuto le gambe straordinariamente corte.» Mi diede un'occhiata nera, ma non parlò. Raggiungemmo gli altri nella veranda. Il nostro gruppo fece un effetto terribile su Maggie Hillmann, che in quel momento usciva dalla sala da pranzo con un grande vassoio vuoto. La ragazza, quando ci vide, si fermò di botto e ci fissò con occhi atterriti. Il visino le si contrasse, come se fosse stata sul punto di piangere, poi il vassoio le sfuggì dalle dita tremanti e
cadde a terra con grande fragore. Mentre Maggie si chinava per raccoglierlo, io scorsi due facce infantili, prive di corpo, a quanto pareva, che spiavano fra le sbarre della ringhiera, a metà della scala. Subito dopo risuonò la voce baritonale di Bobby. «Eccolo di nuovo» annunciò. «È tornato, quello stupido.» Seguì un tramestio, e le due facce scomparvero. Poi si udì un rumore sordo seguito da alte grida. Dawn era insorta in difesa di suo padre. E ancora una volta Bobby aveva morso la polvere. Per fortuna, nessuno all'infuori di me aveva colto il piccolo dramma. Il signor Mitchell era apparso proprio in quel momento e Sweeney gli stava dicendo: «Ci occorre una stanza dove poter discorrere tranquilli, Mitchell. Possiamo andare nel vostro ufficio?» «Sì, certo.» Mitchell guardò con apprensione Buck. «Venite con me.» Nello studio dell'albergatore, dove eravamo entrati, Sweeney andò dritto alla poltrona dietro la scrivania e si sedette. Buck rimase di fronte a lui. Il signor Usher assunse istintivamente la parte dell'accusatore e andò a mettersi di fianco a Sweeney. Gilchrist, Mitchell ed io formammo un terzetto accanto alla finestra. Barnes, entrato per ultimo, chiuse la porta e vi si addossò. «Bene, Valentine» fece Sweeney con una voce che risuonò come uno schiocco di frusta. «Mi pare che sia venuta l'ora di sputar fuori la verità. Noi riteniamo che Nellie Wood sia stata uccisa alle undici di ieri sera. Voi ci avete affermato di non aver niente a che fare col delitto. E adesso il signor Usher ci dice di avervi visto baciare la ragazza. A che ora, signor Usher?» Usher fece un sorrisetto melenso. «Pochi minuti dopo che erano usciti dall'albergo. Alle undici meno venti, direi.» «Alle undici meno venti, cioè venti minuti prima del delitto. Be', Valentine, cosa ci dite?» Buck non rispose subito. Rimaneva lì come un grosso cane bastonato. Poi, a un tratto si decise. «Sono stato un idiota, ha ragione il dottor Westlake. E anche il signor Usher ha ragione. Ho visto Nellie, ieri sera. Avevo un appuntamento con lei sulle dune. Dio sa se avevo voglia di andarci, e Dio sa se sono rimasto con lei più di due minuti.» Rise amaramente. «Se il signor Usher fosse capitato un momento dopo, avrebbe visto che me ne venivo via.»
Sweeney domandò: «Non avevate voglia di andare all'appuntamento? E siete rimasto con Nellie Wodd solamente un paio di minuti?» «Proprio così.» «Avete l'abitudine di baciare le ragazze che vi dà fastidio incontrare?» Buck fece un gesto d'impazienza. «Voi non potete capire, ispettore. Non conoscevate Nellie...» Il giovane era sempre più imbarazzato. «Non mi piace sparlare di una ragazza che non può più difendersi perché è morta, vi ripeto, non conoscevate Nellie. Ho girato un bel po' nella mia vita, ma non avevo mai incontrato un tipo simile prima. Quando Nellie voleva una cosa, era disposta a tutto pur di procurarsela. E Dio sa per quale ragione si era messa in testa di volere me.» Sweeney fece un risolino. «Insomma, vi ha sedotto, no?» Pensai alle fotografie che ornavano le pareti della camera di Buck. Non vedevo il giovanotto nelle vesti del casto Giuseppe. Buck si aggrondò. «Sembra che la cosa vi faccia ridere. Non avreste riso, se vi foste trovato quella ragazza sulle braccia. Mi stava dietro notte e giorno senza darmi pace. Da principio, non lo nego, la cosa non mi dispiaceva. E, del resto, non so come avrei potuto sottrarmi al gioco. Ma dopo qualche giorno ne ho avuto più che abbastanza e gliel'ho detto. Le ho detto che non mi piacevano le donne che tengono il piede in due scarpe.» «Intendevate dire che lei aveva un'altra relazione amorosa?» L'imbarazzo di Buck parve aumentare. «Non mi piace mettere la gente nei guai, ma il signor Usher ha messo di mezzo me, e io sono costretto a mettere di mezzo un altro. Quando ho saputo che Nellie aveva una relazione con Fanshawe, gliene ho dette di tutti i colori. Le ho detto che, quando un uomo spende un mucchio di quattrini per una donna, ha diritto di averla per sé solo.» «E così voi accusate Fanshawe...» «Io non accuso nessuno» ribatté pronto il giovanotto. «Mi avete chiesto la verità e ve l'ho detta. In conclusione, avevo piantato Nellie, ma lei si era intestardita. Ieri ha talmente insistito, che le ho dato appuntamento sulle dune per le dieci e mezzo di sera. Diceva che se non avessi acconsentito si sarebbe uccisa.» Incrociò le braccia sul petto abbronzato e sembrò più che mai un giova-
ne titano prigioniero di oscure forze. «Così è, signori miei. Ieri sera, alle dieci e mezzo, Nellie è uscita dallo studio di Fanshawe, dopo la posa. Io ero nella veranda e l'aspettavo. Quando è uscita le sono andato dietro e ci siamo trovati sulle dune. Io ero molto sostenuto e le ho detto che per me la storia era finita e che se lei continuava a perseguitarmi avrei detto tutto a Fanshawe. Lei si è infuriata e ha cominciato a dire che Fanshawe era geloso pazzo e...» Buck s'interruppe di botto come se si fosse accorto che stava dando addosso a Fanshawe senza misericordia. «Be', alla fine lei si è calmata e ha promesso che mi avrebbe lasciato in pace purché le dessi un bacio d'addio. Quello è il bacio che il signor Usher ha visto. Subito dopo me ne sono andato e posso giurare di non aver più visto Nellie.» Senza lasciar trasparire il proprio pensiero, Sweeney domandò: «Cos'ha fatto, Nellie, dopo che voi l'avete lasciata?» «Non ne ho la minima idea.» «Siete tornato subito all'albergo?» Buck esitò un attimo prima di rispondere: «Sì.» «In tal caso, il bacio di commiato deve essere stato lunghetto» ribatté Sweeney gelido. «Ho interrogato il personale dell'albergo. Il cuoco dice che la sua camera è proprio sopra la porta di servizio e che lui vi ha visto rientrare. Era mezzanotte passata.» Guardai Buck. Doveva essere fuori di sé. Ogni volta che tentava di mentire qualcuno lo sbugiardava. Mi accorsi che anche Mitchell fissava Buck, con un'apprensione che mi sembrò eccessiva. Con voce quasi afona e con gli occhi bassi, Buck dichiarò: «Avevo bisogno di camminare un po'. La scena con Nellie mi aveva reso nervoso. E non avevo voglia di tornare nella veranda dell'albergo a farmi crescere la barba. Ho camminato finché non sono stato stanco, poi sono tornato indietro.» «In che direzione siete andato?» «Sono andato oltre la stazione costiera.» Sembrava del tutto inconscio della portata di quell'affermazione. «Oltre il Monk's Head, in altre parole. E siete passato e ripassato dal luogo dove il delitto è stato commesso senza accorgervi di niente, neanche di quella lanterna che era visibile nella nebbia a un miglio di distanza.» «Non ho visto lanterne. Non ho visto niente.» «Eravate immerso in profondi pensieri, immagino» fece l'ispettore
Sweeney, sarcastico. «Proprio così. Immerso in profondi pensieri.» «Sperate che io vi creda?» «Fate come vi pare. È la pura verità.» «Non è la verità.» Sweeney si alzò in piedi ed ebbe l'aria di un piccolo Davide di fronte a Golia. «Può darsi che abbiate detto qualcosa di vero riguardo a Nellie Wood. Può darsi che foste stufo di lei. E può darsi che abbiate tentato di liberarvene. E se non ci foste riuscito? Se vi foste accorto di esservi messo la corda al collo per tutta la vita e vi foste visto nell'alternativa di sposare la ragazza o di toglierla di mezzo?» «Non è così.» «Datemene le prove.» «Come volete che faccia?» «Voi, Buck Valentine, avete ucciso Nellie Wood?» «Vi aspettate che risponda di sì?» «No, non me l'aspetto.» «E allora perché mi fate domande così stupide?» I baffetti di Sweeney ebbero un fremito foriero di tempesta. «Le domande stupide fanno parte del nostro mestiere. Si fa una domanda stupida e poi la si fa una seconda, una terza, un'ennesima volta, finché non si ottiene la risposta giusta. Ieri notte è stato commesso un delitto. Una ragazza è stata uccisa. Voi avevate amoreggiato con quella ragazza, poi ve n'eravate stancato e lei stava assillandovi con un amore di cui eravate sazio. Chi mi dice che la ragazza, esasperata, non vi abbia ricattato? In tal caso, trovandovi con le spalle al muro, voi...» «Io l'avrei uccisa. È questo che volete farmi dire?» L'ispettore lo guardò con l'aria truce. Non riuscivo a capire se fosse veramente in collera o se quello fosse il suo atteggiamento professionale. «Non voglio farvi dire niente. Voglio sapere la verità e la saprò. Tanto per cominciare voi verrete con me alla Centrale di polizia e vi resterete finché non vi sarete deciso a sputar fuori tutto.» Buck arricciò il naso con disprezzo. «Si capisce. La polizia in questi casi arresta sempre qualcuno, per salvare la faccia.» Il carattere del giovanotto stava evidentemente peggiorando. Sweeney girò intorno alla tavola e andò a fermarsi di fronte a Buck. Non c'era dubbio possibile sull'autenticità della sua collera, ora. «Chiudete il becco» ringhiò. «Ne ho abbastanza delle vostre chiacchiere.
Voi verrete con me alla Centrale e vedremo se là farete il galletto!» In quel momento la porta si aprì con violenza e sulla soglia apparve Maggie rossa in viso. «Maggie!» fece Mitchell in tono indignato. Senza badargli, la ragazza andò verso l'ispettore. «Devo dirvi qualcosa, non mandatemi via!» pregò. «Buck ha mentito, è vero. Vi ha detto che dopo aver lasciato Nellie ha passeggiato da solo per un'ora, ed è una bugia. Buck ha avuto paura che il signor Mitchell mi licenziasse se diceva la verità.» L'ispettore la guardò con meraviglia. «Quale verità? Cosa c'entra il signor Mitchell?» «In quell'ora Buck era con me. Vi ha detto la pura verità riguardo al suo appuntamento con Nellie, lo so perché ho visto tutto. L'ha lasciata quasi subito, e dopo, fino al momento in cui è tornato all'albergo, è stato con me.» La ragazza si voltò verso Buck, un timido sorriso illuminò il suo faccino sconvolto. «Era meglio dire la verità fin dal primo momento, Buck. Se il signor Mitchell mi cacciava via, pazienza.» Il giovane la fissò senza dir parola. Sweeney osservò con voce severa: «Questo sarebbe un alibi per il giovanotto. Bisogna vedere se è valido.» «Certo che è valido» disse con impeto la ragazza. «Buck e io ci vogliamo bene, e lui ha piantato Nellie per me. Preferivamo vederci la notte, di nascosto, perché avevamo paura che il signor Mitchell venisse a saperlo.» Ora capivo perché Maggie si era messo il suo vestito più bello per una passeggiata notturna sulla spiaggia. La ragazza proseguì: «Ieri sera Buck mi aveva avvertito che aveva appuntamento con Nellie sulle dune. Non riusciva a liberarsi di lei. Ho visto che la baciava, ma non mi ha fatto dispiacere, perché sapevo che lui voleva bene a me e non a lei. Ho visto anche il signor Usher che stava là a spiare...» L'imprenditore di pompe funebri sussultò visibilmente. «Dopo aver lasciato Nellie» riprese la ragazza «Buck mi ha raggiunto e siamo rimasti insieme finché non abbiamo visto la lanterna.» «Attenta Maggie!» gridò il maestro di nuoto. La ragazza gli sorrise teneramente. «Bisogna dir tutto, Buck» dichiarò. «Di ritorno dalla nostra passeggiata, quando siamo arrivati vicino al Monk's Head, Buck e io abbiamo visto la
lanterna che ci ha messo in curiosità. Ci siamo avvicinati per vedere che cosa accadeva e abbiamo scoperto il cadavere. Al primo momento Buck voleva che io tornassi all'albergo da sola per non compromettermi. Intanto lui sarebbe andato a chiamare la polizia. Ma poi io ho pensato che la gente magari sapeva che lui aveva avuto un amoretto con Nellie e avrebbe sospettato che l'avesse ammazzata lui per levarsela d'attorno. Allora abbiamo deciso di fare il contrario. Buck è tornato all'albergo, quatto quatto, ed io ho fatto una corsa fino all'ufficio del guardacoste. Vedete dunque, ispettore, che Buck non può essere l'assassino.» La ragazza tacque, si avvicinò a Valentine e gli appoggiò la testa sulla spalla con un atto timido e amoroso insieme. Il giovane guardò fissamente Sweeney. «Be', ispettore, vi toccherà di cercare un altro colpevole!» L'ispettore sembrava perplesso. «Mentre Valentine veniva verso di voi» disse rivolto a Maggie «avete visto cosa faceva la signorina Wood? in che direzione andava?» «Non si è mossa affatto. È rimasta là, in piedi finché...» Maggie lanciò un'occhiata al signor Usher... «finché un uomo non si è avvicinato a lei.» «Un uomo?» fece l'ispettore stupefatto. «Sì, un uomo che sono quasi sicura di aver riconosciuto. Lo stesso uomo che stava a spiare mentre Buck abbracciava Nellie, il signor Usher.» L'impresario la guardò con gli occhi fuori della testa. «Siete matta! Ritirate immediatamente questa ignobile calunnia!» Maggie sembrò turbata da quell'irruenza e disse con una certa indecisione: «Può darsi che mi sia sbagliata. Se non eravate voi, allora doveva essere...» Noi tutti ascoltavamo le parole della ragazza con estrema avidità. Chiunque fosse, l'uomo che lei aveva visto nell'oscurità, era certamente l'assassino. «Doveva essere chi?» domandò brusco l'ispettore. «Avanti parlate!» «Non so...» disse Maggie che aveva perso la sua bella sicurezza e sembrava sul punto di piangere. «Era buio e io non potevo vedere bene la faccia di quell'uomo. Ma da quello che dice Buck riguardo a Nellie, doveva essere il signor Fanshawe.» 11
Quelle parole provocarono un certo fermento. Usher, ancora sprizzante dignità offesa per la straordinaria insinuazione di Maggie, uscì a testa alta. Maggie guardò con rassegnazione il signor Mitchell, come in attesa di essere licenziata sui due piedi. Ma l'albergatore, apparentemente troppo felice per le sue dichiarazioni che avevano scagionato Buck, era disposto a perdonarle qualsiasi cosa. Buck stesso era tornato quello di prima: sicuro di sé, un po' sprezzante, e ovviamente grato a Maggie per quell'opportuno intervento che l'aveva liberato da un'accusa di assassinio. In segno di riconoscenza le passò un braccio intorno alle spalle, stringendola a sé. E i due lasciarono l'ufficio seguiti da Mitchell. Sweeney, Gilchrist, Barnes ed io restammo soli. «Be',» brontolò l'ispettore «credo di essermi lasciato trasportare un po', a proposito di quel ragazzo. Dico, ammesso che la donzella non racconti frottole.» «Volete dire che ha fatto quelle dichiarazioni al solo scopo di procurare un alibi al suo innamorato?» domandò Barnes. «Perché no?» «Non credo» intervenni. Parlai loro dell'abito bello e del viso truccato. «È evidente che aveva un appuntamento, e Buck è l'unico giovanotto dei dintorni. Sono sicuro che ha detto la verità.» «E allora rivolgiamoci altrove» dichiarò Sweeney. «Volete alludere a Fanshawe?» Gilchrist inarcò le sopracciglia. «Al vostro posto andrei adagio. Maggie stessa ha ammesso di non aver riconosciuto l'uomo che si è avvicinato a Nellie. Se ha pensato a Fanshawe, è stato unicamente per le chiacchiere fatte intorno a lui e alla ragazza.» «Lo so. Ma la signora Fanshawe ha detto che il marito era uscito dieci minuti dopo la governante. Dunque deve aver bazzicato da quelle parti. E, comunque, credo che sia in grado di spiegarci parecchie cosette, per cui è meglio non perder tempo. Gilchrist, Barnes, venite con me. Voi pure Westlake, se volete...» Feci per seguirli, ma poi pensai a Dawn e a Bobby rimasti soli già da parecchio tempo e che bisognava non perdere d'occhio. A malincuore risposi: «Devo badare ai bambini, ma non mi allontanerò. Se volete farmi sapere quel che ha detto Fanshawe...» «Certo.» Li guardai allontanarsi, mentre il pensiero mi tornava al viso tormentato di Virgil Fanshawe, come lo avevo visto la sera prima, e al sinistro sorriso di sua moglie. Ci doveva essere un cupo mistero nella famiglia Fanshawe,
ne ero sicuro, ma fino a che punto quel mistero concerneva Nellie Wood? Ritrovai subito Dawn e Bobby. Seduti sotto il portico, erano intenti a leggere un libriccino nero sul quale gettai un'occhiata distratta. Ma a poco a poco la voce cantilenante di Dawn raggiunse le mie orecchie e non potei far a meno di ascoltarla. Dawn leggeva un brano della Bibbia, e Bobby la seguiva estatico. La lettura continuava quando, mezz'ora dopo, l'ispettore, Gilchrist e Barnes scesero dalla camera di Fanshawe. Sweeney si lasciò cadere nella poltrona accanto alla mia, e dal viso dei tre capii che il colloquio non era stato molto soddisfacente. «Ebbene?» domandai. «Fanshawe nega di aver visto Nellie sulle dune» mi rispose il funzionario. «Naturalmente! La sua storia è molto semplice. Finito di dipingere, è uscito a prendere una boccata d'aria, dirigendosi dalla parte opposta a Monk's Head, cioè verso il villaggio. Non ha visto nessuno, ed è tornato quando si è sentito stanco. Ecco la storia, e nessuno ci dice che non sia vera.» «E sua moglie?» chiesi. «Ieri sera ha detto di averlo visto dirigersi appunto verso Monk's Head. Anzi, sembrava ansiosa di gettare i sospetti su di lui.» «Non l'abbiamo vista, Westlake» intervenne Gilchrist. «Fanshawe ha detto che si trovava in camera sua, sofferente...» «... Gilchrist si è offerto di darle un'occhiata» continuò Sweeney «ma Fanshawe è diventato bianco come un fantasma e non ne ha voluto sapere. C'è qualcosa che non va, in quel matrimonio. Direi, c'è tutto che non va, in questa storia. O mente Valentine o mente Fanshawe. Fanshawe ha categoricamente dichiarato di non aver mai avuto niente a che fare con Nellie Wood, né di averle regalato l'anello. La faceva posare per qualche quadro, ecco. Beninteso, non avrebbe potuto dir altro.» «Non mi pare che avesse l'aria di mentire» disse Gilchrist. «Nemmeno Valentine» ribatté Sweeney. «Dopotutto entrambi possono dire la verità» osservai. «Può darsi che abbia mentito Nellie, parlando dell'ipotetico amore di Fanshawe per lei unicamente per rendersi più interessante agli occhi di Buck.» «È possibile» annuì Sweeney, guardandomi con approvazione. Per un momento nessuno parlò, poi Gilchrist cominciò lentamente: «Sweeney, e se fossimo su una falsa traccia? Anche se Fanshawe era l'amante di Nellie Wood, questo non vuol dire che l'abbia ammazzata lui. E
in questo modo, poi! La stessa cosa, naturalmente, vale per Valentine.» Si batté pesantemente con la mano aperta sul ginocchio e continuò: «Per me, la cosa più importante di questo delitto è la messinscena, chiamiamola così; la lanterna cinese, le mani giunte, il cerchio rosso intorno al neo. Lo studio della psicologia anormale ha sempre destato il mio più vivo interesse, ecco la ragione per cui sono venuto a seppellirmi in questa tana da lupi, per poter lavorare nel penitenziario femminile di Haling, dove ci sono dei casi straordinari, credetemi, Sweeney, non sono più il dottor Gilchrist se questo non è il lavoro di un maniaco. È un pazzo che dovete cercare... non una conoscenza più o meno intima di Nellie Wood. E tanto Valentine quanto Fanshawe non danno segno della minima stravaganza. Valentine è una specie di giovane bue, e Fanshawe... be', se volete saperlo mi fa perfino compassione, ecco.» Il medico fece pausa. «Ecco perché vi dico che perdete il vostro tempo, cercando nella vita privata di Nellie. Con novantanove probabilità su cento, lei non conosceva il suo assassino. Con novantanove probabilità su cento, si tratta di qualcuno all'apparenza innocuo, che ha vissuto tutta la sua vita a Capo Talisman soffocando in se stesso l'impulso omicida fino a quando questo non è esploso. Io la penso così, Sweeney. E se la mia ipotesi non è errata, bisogna trovare quest'uomo al più presto.» Mi lanciò un'occhiata. «Westlake, come medico, sono certo che sarà d'accordo con me. Se si tratta di un maniaco, la sua furia omicida scoppierà ancora, e avremo un altro di questi terribili delitti, se non lo fermiamo in tempo.» Non avevo immaginato che il dottor Gilchrist, solido medico di paese, si fosse così profondamente votato allo studio della psicologia morbosa; ma il suo ragionamento era pieno di buon senso, ed io mi sentivo perfettamente d'accordo con lui. Lo dissi all'ispettore. «Ebbene, signori» dichiarò questi lisciandosi i baffetti: «io pure, forse, la penso come voi. Comunque, un poliziotto non deve lasciarsi sfuggir nulla ed esaminare ogni pro e contro. Fino a quando voi medici non riuscirete a provarmi che il delitto è opera di un pazzo, io continuerò nel mio metodo.» Diede uno sguardo all'orologio. «E adesso, permettete... Ho un sacco di cose da fare. Barnes, avrò molto bisogno di voi.» Il mio pensiero si era trasferito sul secondo problema che, forse, non era meno importante del primo: gli scavi nel cimitero. Barnes ed io sapevamo ormai quale delle tombe era stata scoperta, ma non sapevamo ancora a chi appartenesse. Gilchrist, come ufficiale sanitario, era in grado d'informarci.
«Gilchrist» dissi «Barnes mi ha detto che voi avete una mappa del cimitero vecchio nel vostro ufficio...» «Sicuro. Ne avevamo fatta una un paio d'anni prima che un fortunale spazzasse via le lapidi. Sapevamo che un giorno o l'altro il cimitero sarebbe scomparso, e una carta era necessaria nel caso che qualcuno avesse voluto traslare le tombe dei suoi cari.» Dissi al medico quello che la sera prima io e Barnes avevamo trovato. «Possiamo mostrarvi la fossa, Gilchrist. Riuscirete a identificarla? Può sembrare un'assurdità, ma ho l'idea che c'entri per qualcosa col delitto.» «Sicuro che lo posso» rispose gravemente Gilchrist. «Lavoro qui da sedici anni, conosco tutti, e conosco quel vecchio cimitero come le mie tasche.» «Voi che ne dite, ispettore?» chiesi a Sweeney. «Potete provare.» Ma Gilchrist lanciò uno sguardo irritato al suo orologio. «Dolente, ma ora non posso, Westlake. Dovrei già essere ad Haling, dove mi aspetta tutto un pomeriggio di lavoro. Possiamo andarci stasera, però. Va bene?» «D'accordo» risposi. Gilchrist si allontanò con Sweeney, e Barnes li seguì. Rimasi solo, e praticamente con nulla da fare fino a quando non avessi risolto con Gilchrist il problema del cimitero. Salii in camera mia a indossare il mio costume da pesca; sarei andato a pescare per un paio d'ore prima di pranzo. Prima di uscire dall'albergo andai a prendere i due ragazzi. Dawn e Bobby accolsero con entusiasmo la mia proposta. Bobby, però, guardandomi serio serio non mancò di osservare: «Vestito così, ha l'aria ancora più stupida.» In dignitoso silenzio uscii dalla camera, e i due ragazzi mi seguirono. Sulla spiaggia, gettai l'amo e attesi con indomabile ottimismo lo strappo che non avrei mai sentito, mentre Dawn e Bobby riesumavano l'affascinante gioco del "Diamante Nero". Venne la sera. Rientrai all'albergo, mi cambiai, e uscii di nuovo tutto solo per fare una passeggiata prima di cena. Camminavo fumando la pipa, mentre il pensiero mi tornava involontariamente ai misteri di Capo Talisman. Il delitto, le lanterne, le tombe rimosse... I macabri elementi della sera prima. Fu quasi all'improvviso che vidi una figura muoversi davanti a me. Nella
semioscurità, pareva più alta del normale; si stagliava immobile contro il cielo grigio cupo, al limitare del vecchio cimitero. Normalmente, la vista di un altro essere umano sulle dune, al tramonto, non avrebbe suscitato in me altro che curiosità. Ma quella sera, chissà perché, mi sentii serpeggiare dentro un brivido molto simile alla paura; e mi nascosi contro un rialzo del terreno, cercando di avvicinarmi lentamente alla figura senza esser notato. Non potevo identificarla, a quella distanza; non capivo neppure se fosse un uomo o una donna. Vidi soltanto, man mano che mi avvicinavo, che teneva qualcosa fra le braccia. Sempre seguendo il mio impulso, mi appiattii contro i cespugli, attendendo non sapevo neppur io che cosa. Ma non dovetti attendere molto. Avevo voltato la testa verso l'albergo; e subito vidi un'altra figura... una figura sottile, nera contro la luce morente. E questa figura si muoveva... Correva. Il profondo silenzio che mi circondava aggiungeva un incalcolabile significato alla scena. La persona che avanzava di corsa diventava sempre più grande. Adesso vedevo che si trattava di una donna... una piccola donna fragile dai capelli chiari che le ondeggiavano intorno al viso. Sentivo il suo respiro, rapido e ansante. Ma soltanto quando mi passò davanti la riconobbi: era Marion Fanshawe. Non mi vide; i suoi occhi erano fissi sulla figura tuttora immobile, verso la quale correva come se fosse questione di vita o di morte raggiungerla. Non avevo più paura, ma ero più incuriosito di prima. Marion Fanshawe era stata ufficialmente indisposta e a letto tutto il giorno. Perché, in nome di Dio, adesso correva disperatamente sulle dune? Perché? Verso quale appuntamento? Le due figure s'incontrarono. Per pochi istanti esse rimasero vicine l'una all'altra, confondendosi, poi Marion Fanshawe si staccò e, sempre correndo, venne di nuovo verso me. Aspettai che fosse a una cinquantina di metri, poi mi mossi, come per caso, riprendendo la passeggiata interrotta. Venne a sbattere quasi contro di me. Gettò un grido di terrore e si fermò. Nell'incipiente oscurità vidi il suo viso, stravolto in un'espressione di folle paura. «Dio mio, chi è?...» balbettò. «Buona sera, signora Fanshawe» dissi col tono più indifferente. «Mi rincresce di avervi fatto paura. Sono uscito a far due passi...»
«Oh...» Quale enorme sollievo nella sua voce! «Oh, siete voi, dottore. Credevo...» S'interruppe con una debole risatina. La donna teneva qualcosa tra le braccia... Lo avevo visto subito, ma soltanto allora capii di che si trattava, era un fascio di frasche. «Lieto di vedervi» ripresi. «Mi avevano detto che eravate indisposta, oggi.» «Sicuro, sicuro, non stavo bene...» disse precipitosamente. «L'impressione di quella cosa terribile... quel che è accaduto a Nellie. I miei nervi, sapete.» Rise di nuovo, una risata aspra e amara. «Virgil ve l'avrà detto no? Parla sempre dei miei nervi. È comodo avere una moglie malata di nervi, non vi pare? Quel povero artista, così simpatico, con la moglie mezza matta...» Rise ancora; ed io, allarmato, potei soltanto dire scioccamente: «Anche voi siete uscita a far due passi, vedo...» Era un commento buttato là a caso. La signora Fanshawe si strinse al petto il fascio di frasche. «Oh sì, dottor Westlake» rispose. «Sono andata a raccogliere queste frasche. Meravigliose, degne d'esser dipinte, non vi pare? Le metterò nella mia camera...» E dopo una pausa, in fretta: «Arrivederci, dottore.» Se ne andò rapida, sulle dune, verso le tremolanti luci dell'albergo. Rimasi immobile, assolutamente stupefatto. Dunque Marion Fanshawe voleva farmi credere che era uscita soltanto per raccogliere quelle frasche. Non mi aveva detto nulla dell'altra persona che, a quanto mi era sembrato, teneva lei pure qualcosa fra le braccia. Sapevo che non poteva aver avuto il tempo di raccogliere le frasche. Aveva dunque corso disperatamente sulle dune per incontrarsi con qualcuno che le aveva dato... un fascio di frasche. Perché? E dove avevo già udito quella frase: "...meravigliose, degne di esser dipinte"? Ricordavo. La sera prima. L'aveva pronunciata la signorina Heywood, tenendo fra le braccia un enorme fascio di frasche, e sorridendo con quello statico sorriso che non aveva segnato neppure una ruga agli angoli dei suoi occhi o sul suo volto. "Meravigliose, degne di esser dipinte..." Con improvvisa decisione, ripresi la strada verso il punto dove avevo scorto l'altra figura in attesa. Avevo tuttavia poca speranza di ritrovare la persona che aveva dato le frasche a Marion Fanshawe.
Mi sbagliavo. Svoltando all'improvviso dietro una duna, vidi la figuretta scura. Veniva verso di me. Ci fermammo. E una voce, bassa e musicale, mormorò: «Oh, dottor Westlake, anche voi, dunque, godete la squisita bellezza di questo tramonto!» Avrei dovuto immaginarlo. Era la signorina Heywood, e, naturalmente le sue braccia erano vuote. «Buonasera, signorina» dissi. «Una serata incantevole, nevvero?» «Stupenda. Che colori! guardate, è rimasto qualche riflesso nel cielo. Quel violetto, laggiù in fondo, non è straordinario?... Chi potrebbe pensare, in questo momento, che ieri notte è stato commesso un orribile delitto? Volevo andarmene stamattina... debbo confessare che m'impressiono abbastanza facilmente... Ma l'ispettore non me lo ha permesso.» «E i vostri quadri come vanno?» domandai con indifferenza. «Avete cominciato le frasche?» «Le frasche?» ripeté con una strana intonazione. «Sicuro, non ricordate? Ieri sera mi avete detto che volevate dipingerne un fascio!» «Oh sicuro, sicuro!... Dimenticavo. Sicuro. Ma quel che è successo mi ha fatto perdere ogni entusiasmo per la pittura, lo confesso. Domani forse» aggiunse con un sospiro. «Può darsi che domani il contatto con la bellezza mi faccia dimenticare questo... questo orrore.» Nella penombra non vedevo com'era vestita. Ma doveva indossare una giacca con le tasche, perché improvvisamente vidi apparire nella sua mano un oggetto bianco: un fazzoletto. E contemporaneamente qualcosa cadde sulla sabbia; qualcosa di grigiastro e di leggero. Mi abbassai e tastai in terra fino a quando la mia mano non incontrò un foglietto. Lo presi e, risollevandomi, vi diedi un'occhiata. Era un biglietto da cinquanta dollari. Cinquanta dollari conservati nella tasca di una giacca! Strano, davvero strano. Porsi il biglietto alla signorina Heywood. «Credo che abbiate perso questo» dissi. Lei pareva risvegliarsi da un sogno, e afferrò il denaro che rimise in fretta in tasca. «Oh sì, dottor Westlake. Grazie, grazie davvero!» Se ne andò, senza premura, verso l'albergo. Marion Fanshawe con un fascio di frasche che non aveva colto. La si-
gnorina Heywood con un biglietto da cinquanta dollari in tasca. Strano, molto strano... 12 Sulla soglia dell'albergo incontrai Virgil Fanshawe. Non lo vedevo dalla sera prima. Mi domandai se sapeva che sua moglie era uscita. «Salve, Westlake» mi disse. «Sono andato a fare compagnia a Marion, ed è stata lei ad insistere perché uscissi.» «Vostra moglie è ancora indisposta?» «Purtroppo» rispose con un sospiro. «I nervi, sapete. Il delitto l'ha scossa terribilmente. Le farò portare qualcosa da mangiare in camera. Si rimetterà appena riuscirò a portarla via di qui, ne sono sicuro.» Ero sicuro che lui non sapeva nulla dell'appuntamento di sua moglie, come ero sicuro che Marion lo aveva mandato fuori per poter uscire a sua volta. «Siete stato gentile, a prendervi cura di Bobby» continuò il pittore. «Credete che possa dormire in camera di vostra figlia, stanotte? Io non ci so fare, coi bambini e, quando Marion non sta bene, la presenza di Bobby non fa che innervosirla di più.» Risposi che Dawn sarebbe stata felice di tenere con sé il piccolo Bobby, e Fanshawe mi ringraziò quasi con le lacrime agli occhi. Questo, incidentalmente, mi fece ricordare che sulle dune sua moglie non mi aveva detto neanche una parola di ringraziamento, né chiesto notizie del figlio. «Peccato che proprio qui sia accaduto un così orribile delitto» aggiunse Fanshawe. «Io sono nato e cresciuto a Talisman, sapete. Ma, dopo quel che è successo, credo che Marion non vorrà tornarci più.» Si allontanò, ed io salii nella camera di Dawn. Mia figlia era occupata a mangiare e a far mangiare Bobby, e mi assicurò che avrebbe pensato lei a farlo dormire. Le sue parole esprimevano uno zelo e un entusiasmo davvero commoventi. Tranquillo su questo punto, scesi anch'io a cena. Nel salone non c'erano che il signor Usher e la signorina Heywood; non vidi Maggie, sempre così sollecita a servirmi. Pensai che, dopo l'inattesa e straordinaria condiscendenza del signor Mitchell verso l'idillio dei due giovani, lei si trovasse con Buck in un luogo assai più romantico di una sala da pranzo. Più tardi rimasi tutto solo a fumare la pipa sotto il portico. Il dottor Gilchrist non comparve che alle dieci, e si lasciò cadere su una sedia vicino
alla mia con un sospiro di stanchezza. «Accidenti, Westlake, che giornata, oggi!» esclamò. «Credevo che non mi lasciassero più venir via... Be', eccomi qui, e, prima di tutto, beviamo qualcosa.» Non mi parve una cattiva idea. Entrai e uscii poco dopo con due bicchieri di cognac. Gilchrist bevve un lungo sorso e sospirò di nuovo, questa volta di soddisfazione. «Oh, adesso va meglio!» disse. «Se volete, sono pronto a muovermi. Ho portato una lampadina tascabile. Non sarà difficile. Conosco il posto molto bene!» Fece una pausa, poi soggiunse: «Ho parlato a lungo con Sweeney, mentre andavamo al villaggio. Si è convinto che ho ragione; è sicuro che si tratta di un pazzo, ormai, e farà tutto il possibile per arrestarlo prima che commetta un secondo delitto.» «Avete fatto l'autopsia stanotte, vero? Non mi avete detto nulla. Qualcosa d'interessante?» domandai. «Nulla che non sapessimo già. Morte per strangolamento, non c'è stata aggressione. È stato analizzato il prodotto usato per tracciare quel cerchio intorno al neo. Come mi aspettavo, è risultato rossetto per labbra.» «Rosso per labbra?» «Sì, e non quello usato da Nellie Wood. L'assassino deve esserselo portato dietro a quello scopo.» Gilchrist si sporse in avanti appoggiando le mani sulle ginocchia, secondo la sua abitudine. «Proprio questo particolare ha definitivamente convinto Sweeney che si tratta di un pazzo. Che una persona normale abbia potuto uccidere Nellie, deturpandole a quel modo il viso col rossetto della ragazza in segno di disprezzo o di rabbia, è possibile... Ma, poiché l'assassino aveva con sé la lanterna e il rossetto quando la seguì sulle dune, questo dimostra fin troppo evidentemente l'infermità mentale.» «Se la vostra ipotesi è esatta» dissi «quell'uomo deve avere una vera e propria idiosincrasia per i nei.» «Sicuro» approvò Gilchrist, felice di dimostrare la sua competenza nella questione. «Sono convinto che il neo è il vero protagonista del delitto. Nellie Wood non è stata uccisa perché era Nellie Wood, ma perché aveva sulla guancia quella macchia così visibile. Altrimenti, come spiegherebbe il cerchio rosso?» «E, comunque, l'assassino doveva conoscere Nellie almeno di vista. Su una spiaggia buia, di notte, nessuno può vedere un neo.» «Esatto, Westlake. Ma Nellie Wood si trovava qui da qualche settimana,
ormai. Quasi tutti, nel villaggio, la conoscevano.» S'interruppe per bere un altro sorso. «Francamente, questo delitto mi appassiona. Chissà, forse l'assassino è stato innamorato di una donna con un neo, che l'ha lasciato; o, risalendo più indietro, una istitutrice, una maestra particolarmente severa con lui, o un coetaneo che gli aveva fatto del male... Ha accumulato odio dentro di sé fino al giorno in cui quest'odio si è polarizzato non nella persona che gli ha fatto del male, ma sul neo della persona stessa. E da allora ha preso a odiare tutti quelli che avevano un neo. Queste ossessioni psicopatiche rimangono segrete per anni e anni e l'individuo appare in tutto perfettamente normale. I paranoici credono che l'oggetto del loro odio sia dannoso alla società. Il nostro assassino, uccidendo Nellie, probabilmente era convinto di sostituirsi a Dio nella vendetta. Ecco il perché del cerchio intorno al neo... Un segno per far sapere al mondo che giustizia era fatta. Orgoglioso del gesto compiuto, ha messo vicino al cadavere la lanterna per attirare l'attenzione. E le braccia incrociate sul petto... la deliberata intenzione del "riposare in pace". Il demonio è distrutto e tutto è tornato tranquillo...» Gilchrist finì il suo bicchiere. «È un maledetto affare, Westlake. E vi confesso che ho paura. Ho paura di far capire a Sweeney che, se non ci sbrighiamo a mettere le mani sul nostro uomo, accadrà dell'altro. Tenete a mente le mie parole.» Anch'io ne ero convinto, purtroppo; e quel pensiero mi diede un leggero brivido. «Ma la faccenda del cimitero, Gilchrist, come la spiegate?» domandai. Il medico tirò fuori la pipa e cominciò a riempirla. «Ecco...» rispose. «Sarei propenso a credere che non abbia alcun nesso col delitto. Vedete, voi non conoscete la gente di Capo Talisman. Io sì... Ci vivo da sedici anni. Molti, specialmente i più vecchi, sono superstiziosi e primitivi come i loro vecchi, ignoranti pescatori venuti dall'Europa. Sono in massima parte di origine portoghese. Quando il fortunale distrusse a metà il vecchio cimitero, furono avvisati che, dietro richiesta, avrebbero potuto traslare i loro morti in un luogo più sicuro. Bene, nessuno si mosse. Quasi tutti dissero che non volevano "disturbarli". Ma sono sicuro che non si fidavano dell'Ufficio Igiene. Non mi meraviglierei se qualcuno avesse voluto rimuovere una tomba senza ricorrere alle autorità. Sapete, l'ignoranza fa fare tante cose...» La pipa era piena ed accesa. «Bene, ma adesso è meglio muoverci. Chissà che il nome scritto su una tomba non ci dia qualche idea.» C'incamminammo verso le dune. Era una splendida sera, quieta e piena
di stelle. Cominciai a pensare alla storia che la sera prima, sulla stessa strada, Barnes mi aveva raccontato a proposito della sorella di Mitchell. Ne domandai a Gilchrist. «Volete dire Cora Mitchell? Sicuro... È un fatto accaduto circa vent'anni fa. Non avete letto nulla sui giornali?» «Una famosa ladra di gioielli, se non sbaglio. È stata arrestata qui?» «Sì.» Gilchrist scoppiò a ridere. «Una straordinaria emozione, per quelli di Capo Talisman. Cora e John, l'attuale proprietario dell'albergo, erano figli di un pescatore del villaggio. John se ne andò presto a New York; sognava di far carriera di albergo. Cora voleva molto bene a suo padre, ma era una ragazza impulsiva, selvaggia, sfrenata, e anche lei si stancò presto di Capo Talisman. Andò a New York e si associò a dei veri e propri gangster. Sposò uno di essi, un criminale, e i due, insieme con un terzo, divennero famosi ladri di gioielli. Per alcuni anni riuscirono a farla franca. Poi tentarono il colpo grosso della loro carriera, nella casa di un magnate di Long Island, un certo Hogan. Sua moglie possedeva un gioiello favoloso... un diamante nero. Unico al mondo, credo, il regalo d'un re.» Un diamante nero. Di qui, dunque, aveva origine il gioco di Dawn. «L'hanno rubato?» «Già. Ma accadde che Hogan tornasse inaspettatamente, mentre i tre erano ancora nella casa. Li pescò con le mani nel sacco e loro gli spararono, ferendolo mortalmente. Ma, prima di morire, il magnate poté descrivere minutamente i suoi assassini alla polizia. Fu una delle più famose cacce all'uomo che la criminologia ricordi. Il marito di Cora e l'altro vennero arrestati; Cora sparì, invece. E anche il diamante non venne ricuperato. Probabilmente era stato venduto.» «E poi Cora è stata arrestata qui, a Capo Talisman?» «Sì. La trappola di Sweeney funzionò a meraviglia. Giusto in quel periodo il vecchio Mitchell si era gravemente malato e tutti sapevano quanto Cora gli fosse affezionata. Sweeney pubblicò un avviso anonimo sui giornali. Papà morente. Ritorna, Cora. E lo firmò John, il nome del fratello. Pareva fin troppo ingenua per riuscire. Invece funzionò. Una notte, Cora arrivò dalla città e andò alla casa del vecchio. Naturalmente, Sweeney e i suoi uomini l'aspettavano, e fu proprio Barnes ad arrestarla. Una storia sensazionale che ebbe il suo lato sentimentale, perché il caso volle che il vecchio Mitchell fosse morto due giorni prima.» Bella storia davvero. Sfido, che l'impeccabile Mitchell non voleva sentir parlare della sorella!
«I due uomini andarono sulla sedia elettrica per l'omicidio di Hogan. Cora fu condannata a vent'anni. È morta un paio di mesi fa ad Haling.» Gilchrist rise di nuovo. «Capo Talisman non sale spesso agli onori della cronaca, ma quando lo fa... Cora Mitchell, e adesso questo.» Cora Mitchell, e adesso questo. Dimenticai Cora Mitchell quando arrivammo in vista del cimitero. Davanti a noi, ombra cupa contro il cielo stellato, la vecchia chiesa era chiaramente visibile. «Conoscete il punto preciso, Westlake?» La voce di Gilchrist, ingrandita dal silenzio, mi risuonò alle orecchie come un tuono. «Sì. Laggiù, proprio sotto l'abete... Ecco, là.» Presi il medico per il braccio e lo guidai. Il raggio delle nostre lampadine tascabili si diresse verso il punto preciso dove la terra era stata smossa di fresco... «Ecco» dissi. «La cassa era scoperta per metà.» Gilchrist rimase un momento in silenzio. Poi mormorò: «Fatemi pensare. Sono tombe quasi nuove, collocate qui da una dozzina d'anni al massimo... Vediamo.» Puntò il dito verso il quinto tumulo da quello violato. «Quello è della vecchia signora De Silva. Ne sono sicuro. Sì, De Silva. L'altro è di Fanshawe, il padre di Virgil. Poi... poi Mitchell, il padre di Cora. Sì, non posso sbagliarmi. De Silva, Fanshawe, Mitchell, Madeiras. Il vecchio Joe Madeiras. E poi...» Il raggio della sua lampadina si puntò sul tumulo scoperto di fresco. «...Poi Casey. Signora Casey. Sì, Westlake. La tomba scoperta ieri è quella della signora Casey.» Casey? Quel nome non mi diceva nulla. «E chi è? O meglio, chi era? Può esserci un nesso fra questa tomba e il delitto?» «No, che io veda, Casey... oh, sì, la ricordo vagamente. Circa tredici anni fa. Sicuro, ero qui da poco, quando è morta. Era giovane, sulla trentina; e bella, anche. Morta di parto.» «Ma chi era? Una del paese?» «No. Cugina di qualcuno andatosene da Talisman qualche anno fa. Sì, ricordo. Cugina, e venne qui poco prima del parto. Morì due mesi dopo.» «Non potete ricordare nulla di più preciso? La ragione per cui qualcuno abbia voluto riaprire la sua tomba?» «No... ma comincio a ricordare più chiaramente il suo aspetto. Era bella, alta, bionda, con... Gran Dio, Westlake!»
Sobbalzai. «Che c'è?» «Adesso ricordo!...» La pesante mano di Gilchrist si posò sulla mia spalla. «È come se vedessi davanti a me il suo viso. Sulla guancia sinistra aveva un neo... un grosso neo!» Ci guardammo. Quelle parole avevano prodotto su di me una profonda impressione. Sì, c'era un nesso fra il delitto e la violazione della tomba, un nesso fantastico: una donna con un neo, morta di parto tredici anni prima... una donna con un neo, uccisa la notte avanti. Una tomba che fino a pochi minuti prima non era altro che una tomba, adesso assumeva qualcosa di sinistro. Trasalii, quasi aspettandomi che una rosea lanterna cinese apparisse all'improvviso tra gli alberi. «Mi pare che non ci sia altro da stabilire, Westlake. Meglio andarcene di qui. Passiamo dalla spiaggia. Si fa più in fretta.» Dalla voce di Gilchrist capii che stava subendo le mie stesse impressioni. Senza dir nulla mi voltai, e insieme riprendemmo la strada verso le dune. All'uscita del cimitero il medico si fermò un momento a guardare la distesa scura e tranquilla del mare. Lui era davanti a me, e la sua ampia schiena m'impediva ogni visuale. Poi la sua voce, una voce che l'orgasmo rendeva stridula, risuonò tremante: «Guardate, Westlake. Guardate sul mare.» Guardai. Per un momento non distinsi nulla. Poi compresi. Tremolante, eppure chiara contro la distesa vellutata del mare, c'era una luce. Era a qualche distanza dalla spiaggia, e tuttavia distinguevo sotto di essa la sottile sagoma di una barca. «Mio Dio...» balbettai. «Non è... non può essere.» Lo era. La luce sopra la barca era rosa, e irradiava una vaga opalescenza rosata sull'oscurità intorno. La luce di una lanterna cinese. 13 Rimanemmo immobili, pietrificati. La luce rosea sembrava ammiccare. Era qualcosa di orribile, un incubo che c'impediva perfino di parlare. «Qualche pescatore, forse...» mormorai infine. «Pescatore!» ribatté Gilchrist. «Andiamo Westlake, la vedete anche voi,
la luce. Non si va a pescare con la lanterna cinese!» "Se non ci sbrighiamo a metter le mani sul nostro uomo, accadrà dell'altro"... aveva detto poco prima Gilchrist. «Andiamo, Westlake» mormorò con voce rotta. «La mia barca è ancora laggiù. Bisogna raggiungere quella lanterna.» Ci mettemmo a correre verso il villaggio. Mi sentivo stringere alla gola da una paura folle, e almeno fino a quel momento non giustificata, e muovevo automaticamente le gambe. In pochi minuti raggiungemmo il porticciolo di Capo Talisman e saltammo nella barca di Gilchrist. «La corda, Westlake» disse lui. «Bisogna portarla, per attraccarci all'altra barca...» Cominciammo a remare affannosamente; per il momento non vedevo davanti a me che il buio. Poi, dapprima debole e sempre più chiara man mano che la barca avanzava, riapparve la luce rosata della lanterna... la quieta luce rosata che per noi simbolizzava ormai una terribile minaccia. «È un canotto, Westlake...» sussurrò Gilchrist. «In nome di Dio, perché su un canotto? È... è pazzesco.» La sagoma del canotto appariva sempre più chiara. Era bianco, e dondolava tranquillamente sulle onde. «Un canotto bianco» disse il medico. «Guardatelo, bene, Westlake... Non è quello di Valentine, il maestro di nuoto?» Mi sporsi in avanti: eravamo abbastanza vicini per distinguere la sagoma lunga e snella, i bordi bassi, la prua aguzza. «Ma sì, mi pare!» esclamai. Il canotto di Buck sul mare con una lanterna cinese dentro... Cosa voleva significare? Quale macabra messinscena indicava un altro delitto? Chi avremmo trovato nel canotto? Qualcuno che conoscevo, qualcuno dell'albergo? In un lampo di cieco terrore pensai a Dawn... No, era impossibile; Dawn dormiva con Bobby Fanshawe, sognando il diamante nero! Avevamo ormai raggiunto l'imbarcazione; vi diressi il raggio della mia lampadina. Era il canotto di Buck, non vi potevano più essere dubbi, me ne resi conto nel subcosciente, troppo intento a guardare ciò che il raggio della lampadina aveva rivelato. Qualcosa di orribile... Da uno dei fianchi del canotto sporgeva e sfiorava l'acqua con l'estremità, in un gesto di assoluta frivolezza, una gamba, una gamba femminile. Gilchrist mi si avvicinò. Entrambi rimanemmo come ipnotizzati a fissare
quella gamba nuda, poi scivolammo con lo sguardo sul corpo vestito di un abito a fiori. Le mani erano incrociate sul petto proprio come quelle di Nellie Wood. Aveva il capo leggermente reclinato e il volto disteso in un'espressione di riposo. Il contrasto fra l'estrema compostezza del corpo e la posizione della gamba era grottescamente lugubre. Per quanto in penombra, distinguevo i lineamenti del volto. La donna distesa priva di vita in fondo alla barca era Maggie Hillmann. Mi sentii stringere il cuore. Maggie era la seconda vittima di quella terribile pazzia che aveva ucciso due volte. Nella mia mente in tumulto, un fatto saliva inevitabilmente alla superficie: Nellie era la ragazza di Buck, ed era morta, Maggie era la ragazza di Buck, ed era morta. E il suo cadavere era lì, sul canotto di Buck, che andava lentamente alla deriva. «Gettate la corda, Westlake.» La voce di Gilchrist mi risvegliò. «È inutile salire, dal momento che non possiamo toccar nulla finché non l'abbia visto Sweeney.» L'una rimorchiando l'altra, simili a un macabro convoglio, le due imbarcazioni riguadagnarono la riva in un viaggio che mi parve interminabile. Eravamo appena scesi nel porticciolo quando udimmo dietro di noi un rumore di passi, poi una voce nota: «To', Gilchrist e Westlake! Siete proprio voi?» Era il sergente Barnes. «Come mai siete venuto qui, Barnes?» domandò Gilchrist. «Ho visto la luce sul mare... quella luce rossa... e, non so perché, ho sentito che qualcosa non andava. Volevo prendere la vostra barca, ma non l'ho trovata... Così vi ho seguito lungo la spiaggia.» Uno dei marinai della guardia costiera ci aveva raggiunti e si era fermato curioso vicino a Barnes. «Un altro delitto, Barnes» dissi. «Proprio come quello della notte scorsa. Questa volta si tratta di Maggie Hillmann.» «Maggie!» «Sì. Voi e il marinaio correte subito ad avvertire Sweeney. Presto, Barnes!» I due uomini corsero via in un silenzio atterrito, mentre Gilchrist ed io finivamo di assicurare gli ormeggi. A un tratto mi parve di udire dietro le mie spalle un lieve rumore. Mi voltai di scatto, e intravidi, o così credetti, un'ombra sgusciar via nel buio.
«Chi è?» gridai. Nessuno rispose, e pensai che si trattasse di una mia impressione. Gilchrist esaminava intanto la lanterna. «Ingegnoso» mormorò. «È appesa al bordo e ha intorno alla candela una specie d'involucro che le impedisce di dar fuoco alla carta in caso di rollìo del canotto. Direi che questo delitto è ancora più esibizionistico del precedente. La stessa posizione, ma, come tomba... una barca vagante sull'acqua.» «Ma la gamba...» dissi. «La gamba penzolante sul fianco... Per quale diabolica ragione...? Un tocco finale di teatralità?» Gilchrist diresse il raggio della lampada sulla gamba della povera Maggie, ed entrambi ci chinammo a guardare. Dai nostri petti uscì un'esclamazione di orrore. Fissavamo sulla gamba qualcosa che prima non avevamo notato. Avrei dovuto immaginarlo fin dal primo momento. Ma non c'ero preparato. E la sorpresa fu agghiacciante. Sulla gamba nuda di Maggie, pochi centimetri più sopra del ginocchio, c'era un grosso neo. Intorno, era tracciato un vivido cerchio rosso. 14 Fissai quel cerchio, incapace di formulare un pensiero qualsiasi. Davanti a noi, all'estremità del promontorio che ci divideva dall'albergo, il Monk's Head aveva qualcosa di opprimente, e il cigolio del battello della guardia costiera contro la gettata, sottolineava cupamente il desolato silenzio. Finalmente un suono di voci e di passi emerse dal buio, e pochi istanti dopo Sweeney e i suoi uomini erano davanti a noi. Quando, in poche parole, gli avemmo raccontato quel che era accaduto, lui diede ordine di rimuovere il cadavere. Solo allora, benché l'avessimo già sospettato, capimmo come era morta Maggie. Come Nellie, era stata strangolata da un pezzo di spago passato intorno al collo e annodato alla nuca. Anche lei, con tutta probabilità, non aveva visto il suo assassino e non le era stato possibile difendersi. Esposta com'era stata all'aria di mare, risultava difficile stabilire l'ora esatta della morte. Non più di quattro ore prima e non meno di un'ora e mezzo da quando il cadavere era stato rinvenuto, però... ossia subito dopo pranzo o non molto prima del momento in cui dal cimitero avevamo scorto
la lanterna. Non era difficile, invece, stabilire come era stato commesso il delitto. Buck teneva il canotto ancorato all'estremità del promontorio alla parte opposta del Monk's Head. Poteva darsi che Maggie fosse arrivata alla baia da sola o vi fosse stata attirata. Dopo averla uccisa, l'assassino l'aveva sistemata con la lanterna sul canotto e spinto questo al largo. «Questa è pura pazzia» disse Sweeney. «Gilchrist ha ragione... Nessun uomo normale avrebbe fatto una cosa simile.» «E il neo?» aggiunse Gilchrist. «Sappiamo che la sua ossessione omicida si rivolge soltanto alle donne che hanno questa particolarità...» In quel momento mi balzò alla mente ciò che avrebbe dovuto sembrarmi ovvio fin dal principio. Il neo di Nellie era sulla guancia, e tutti potevano vederlo. Ma quello di Maggie era sulla gamba, più in su del ginocchio. Per quanto sapevo, Maggie non era affatto sportiva, e non andava sulla spiaggia a fare i bagni. Chi dunque poteva sapere di quel neo? Chi? Solo qualcuno che la conoscesse intimamente. Ricominciai a pensare a Buck. Sweeney diede ordine di rimuovere il cadavere per l'autopsia. Gilchrist sarebbe andato con loro, io preferii rimanere. Se c'era la possibilità di scoprire qualcosa, non l'avrei certo trovata all'obitorio. Augurai loro la buona notte e, dopo che si furono allontanati col triste fardello, accesi una sigaretta e m'incamminai lentamente lungo la spiaggia. Che cosa avrebbero detto, a Capo Talisman, quando si fosse sparsa la notizia del secondo delitto? E Dawn? L'assassino di Nellie e di Maggie non era certo il genere di compagnia che avevo sognato per mia figlia. Bisognava allontanare Dawn. Io avrei difficilmente potuto muovermi, prima che il mistero fosse stato chiarito e l'assassino scoperto, ma Dawn poteva partire. Cominciai a pensare a dove mandarla. Dalla zia Mabel, forse? Era vecchia, malaticcia e di carattere bisbetico. Da quei cugini che conoscevo appena?... Avevo dimenticato l'ombra che mi era parso d'intravedere quando, sulla gettata, eravamo in attesa di Sweeney e dei suoi. Adesso, avvicinandomi al Monk's Head, ebbi la sensazione precisa che qualcuno camminasse silenziosamente alle mie spalle. I miei nervi dovevano essere molto scossi, se provai un brivido di paura. Che assurdità, pensai. L'assassino non poteva scegliere me come terza vittima... Mi voltai di scatto. Alla luce delle stelle, vidi una figura maschile venire
rapida verso di me. «Chi diavolo...?» cominciai. «Oh, buona sera, dottor Westlake. Mi domandavo se eravate proprio voi...» L'uomo mi aveva raggiunto. Riconobbi l'alta figura e le spalle curve di Benjamin Usher. Usher! Cosa faceva, quel beccamorto, a quell'ora e in quel luogo? «Ah, siete voi!» dissi brusco. «Mi era sembrato d'avervi visto... Avete aspettato tutto questo tempo?» «Ah, sì, sì... Io... ecco, non volevo disturbare le indagini ufficiali. Ma ero incuriosito, e ho pensato di avvicinarvi da solo. Volevo dirvi che... che ho visto una luce sul mare. Ho pensato che ci fosse sotto qualcosa di... di...» «Siete molto attento, signor Usher.» «Già, già... Un'altra ragazza, eh?» Mi parve che, nel buio, si stropicciasse soddisfatto le mani. «Si tratta di Maggie Hillmann» risposi. «Tanto vale che lo sappiate. Domani ne parleranno tutti.» «Maggie Hillmann! povera ragazza... È terribile, terribile!» Mi venne ancor più vicino. «È successo allo stesso modo, dottore? Gli stessi segni?» Come sempre, la curiosità di Usher mi esasperava. Non risposi. Ma lui continuò, imperterrito: «Maggie era una brava ragazza, dottore. Vorrei fare qualcosa per lei. So che non ha parenti prossimi. Vorrei quindi pensare io stesso al suo funerale... a mie spese, s'intende. Sì, sarei proprio felice che la povera ragazza venisse dignitosamente sepolta. E se ci fosse da asportare nei o qualche segno del genere... potrei farlo alla perfezione, sapete. Esiste un certo prodotto che cancella qualsiasi ferita e fa apparire un cadavere più bello, più tranquillo che...» Era troppo! «Insomma, smettetela!» scattai. «Vi pare che sia il caso di fare anche del macabro umorismo?» «Umorismo?!» ripeté lui con voce piena di rimprovero. «Evidentemente noi vediamo la morte sotto un aspetto diverso, dottore. Voi, come medico, ne vedete solo il lato brutto. Ma per me è diverso. Io vedo i morti quando il dolore è spento... È profondamente dolce, ridar loro la bellezza e la pace. Dicono che, nel mio genere, io sia un artista.» Con un gran senso di sollievo, vidi apparire i lumi dell'albergo. E, quando l'ebbi raggiunto, mi staccai deciso dal signor Usher e andai a chiudermi
in camera mia. Mi cambiai d'abito indossandone uno più asciutto e stavo per ridiscendere, quando udii battere affannosamente alla porta. «Dottor Westlake, dottor Westlake, mi è permesso entrare?» Aprii e vidi entrare Mitchell assai diverso da quello che conoscevo; aveva il viso stravolto e gli abiti in disordine. «Dottor Westlake, è terribile, terribile! Il signor Usher mi ha detto... Un altro delitto! Nel canotto dell'albergo, buon Dio! Dottore, cosa dobbiamo fare?» «Sarà fatto tutto il possibile per scoprire l'assassino, state tranquillo» risposi. Esitò, come se non osasse continuare. Poi, aggrappandosi alla mia giacca: «Dottor Westlake, dovete dirmi... La polizia... L'ispettore pensa ancora che Buck... che Buck abbia qualcosa a che fare con questa faccenda?» Come mi aspettavo, la sua preoccupazione andava al maestro di nuoto. «Non ne abbiamo ancora parlato. Ma rimane il fatto che tanto Nellie quanto Maggie amoreggiavano con lui, e il canotto è il suo...» «Lo so, lo so, me ne rendo conto... Ma debbo dirvi questo: l'ispettore non può sospettare di Buck perché... perché Buck è stato con me tutta la sera. Ero stanco, nervoso avevo bisogno di riposare il cervello. L'ho pregato di venire in camera mia a fare una partita a scacchi. Se n'è andato pochi minuti fa.» Mi guardò con un'espressione quasi trionfante. Strano, invece di disperdere i miei vaghi sospetti su Buck, le parole di Mitchell non fecero che aumentare la mia curiosità. No, quell'uomo non era un capolavoro di simulazione. Il suo sguardo diceva troppo chiaramente la falsità della sua storia. Qualunque cosa avesse fatto Buck, quei due non avevano occupato la serata in una tranquilla partita a scacchi. E se Mitchell mentiva, era per difendere Buck o se stesso? In fondo, un alibi serve tanto alla persona che lo dà quanto a quella cui è dato. Per un momento Mitchell ed io rimanemmo a guardarci in silenzio. Pensavo che, se non ne era venuto a conoscenza prima che gliel'avesse detto Usher, Mitchell non aveva avuto il tempo di mettersi d'accordo con Buck. Se fossi andato subito nella camera del maestro di nuoto, avrei scoperto quanto c'era di vero e di falso in tutta quella storia. Mormorando una scusa, gli passai davanti e uscii nel corridoio. Poco dopo, ero davanti alla porta di Buck, attraverso la quale filtrava un filo di luce. Bussai ed entrai senza attendere risposta.
Ero stato indiscreto, e me ne accorsi subito. Buck c'era: nudo come il solito, sotto l'accappatoio azzurro, sdraiato per traverso sul letto. Ma non era solo. Davanti a lui, in una poltrona, accurata ed elegante come sempre in un abito lungo fino ai piedi, stava la signorina Heywood. Buck balzò in piedi guardandomi con un'emozione che, ne sono certo, non aveva niente a che fare con la mia presenza, ma che era stata piuttosto provocata da qualcosa di cui stava discutendo. Il viso di lei, invece, era come sempre impassibile: i suoi zigomi sporgenti parevano voler bucare la pelle, i suoi occhi mi guardavano con indifferente curiosità. Fin dal nostro incontro sulle dune, quella donna era diventata per me il personaggio più enigmatico dell'albergo. «Scusate» mormorai. «Non volevo disturbare.» Buck tentò di ricomporsi senza tuttavia dar troppo peso alle mie parole. Brontolò: «Ma niente, dottore. Lieto di vedervi.» Al primo momento avevo creduto d'aver interrotto un colloquio sentimentale. Adesso ero sicuro di no: la signorina Heywood aveva dato a Buck una notizia che lo aveva scombussolato. Quella della morte di Maggie, forse? E come l'aveva saputo, la signorina Heywood? Da Usher? Lei si alzò, scostando la fluttuante gonna grigia, e disse sorridendo: «Stavo proprio tentando di convincere il signor Valentine a posare per me, dottore. Ho voglia di ricominciare a dipingere, e il signor Valentine sarebbe un perfetto modello.» Il suo tono era assolutamente convincente. E forse l'avrei creduta, se l'espressione di Buck non mi avesse detto che mentiva. «Temo che non sarà la giornata più adatta per dipingere, quella di domani» risposi, preparandomi a far scoppiare la bomba. «C'è stato un altro delitto.» La reazione dei due fu perfettamente spontanea e naturale. L'espressione della signorina Heywood, la sua esclamazione di terrore, lo sguardo di Buck, erano quelli di due persone assolutamente sincere o di due perfetti commedianti. «Un altro delitto!» esclamò Buck con voce soffocata. «Chi è stato ucciso?» «Maggie. Maggie Hillmann.» «Maggie! Non è possibile, povera Maggie! Non può essere...»
«Io e Gilchrist abbiamo scoperto il cadavere» tagliai corto. «Era fuori, sul mare, nel vostro canotto. La stessa messinscena... La lanterna, il cerchio scarlatto intorno al neo.» «Il neo!» Il grido risuonò acuto, stridulo, e la signorina Heywood si lasciò cadere nella poltrona nascondendo il viso tra le mani. Rimase per un momento in quella posizione, sussultando, poi rialzò il viso e tentò di ricomporsi. «Perdonatemi dottore» disse. «È un colpo terribile. Povera ragazza... non me l'aspettavo...» «Bisogna scoprire chi è stato, dottore!» esclamò Buck con voce tremante d'indignazione. «Uccidere la povera Maggie, che non ha mai fatto male a nessuno... Bisogna scoprirlo, dottore!» Il suo dolore e la sua collera sembravano genuini. Siccome ero venuto per controllare l'alibi di Mitchell, ripresi: «Ho pensato di venire io stesso a darvi la notizia, Buck, perché l'ispettore Sweeney vorrà senza dubbio interrogarvi. Poiché Maggie era la vostra ragazza ed è stata trovata nella vostra barca, dovrete dirgli cos'avete fatto questa sera.» «Ma è facile, dottore» rispose Buck lanciando uno sguardo alla signorina Heywood. «Ho passato tutta la sera con la signorina.» La mano di lei, stranamente rozza per un tipo così fine, strinse un lembo della gonna. Con voce tranquilla disse: «È vero, dottor Westlake; posso testimoniare. Sono venuta a chiedergli di posare per me quasi subito dopo cena. Abbiamo avviato una conversazione così interessante, che il tempo è passato senza che ce ne accorgessimo.» Li guardai tutt'e due pensando che, nei delitti, generalmente la persona indiziata manca di alibi. Buck ne aveva due. Troppi. Buck non poteva aver passato la serata a chiacchierare con la signorina Heywood e contemporaneamente a giocare a scacchi con Mitchell. Non occorreva essere Sherlock Holmes per capirlo. 15 La signorina Heywood giudicò venuto il momento di andarsene. Mi rivolse un sorriso squisito e mormorò: «Me ne vado, adesso. È stato terribile, terribile. Ho bisogno di riposare,
mi sento sfinita...» Si avviò alla porta, si voltò rivolgendomi un altro sorriso, posò un istante gli occhi su Buck e scomparve. Ma io non mi ero lasciato ingannare. Lo sguardo rivolto al giovane era stato più che eloquente; una raccomandazione, un avvertimento. Non potevo sbagliarmi. Quale raccomandazione? Quale avvertimento? Rimasto solo con Buck, attesi in silenzio. Speravo che lui si decidesse a parlare, e così avvenne infatti. Tormentando con le grosse mani il cordone dell'accappatoio, fece qualche commento piuttosto distratto sul delitto. La sua commozione era sincera, è tuttavia sentii che cercava avidamente di prender tempo e di ottenere da me qualche informazione che per lui doveva essere di vitale importanza. Quale? A un tratto disse: «Ma dove eravate, voi e Gilchrist, quando avete scorto il mio canotto?» «Nel cimitero.» «Nel cimitero?... Oh, sicuro, ho sentito qualcosa in proposito... L'identificazione di una tomba, se non sbaglio.» Mi domandai come l'avesse saputo. Chiacchiere di Barnes o di Gilchrist stesso, forse. Meglio rispondere con franchezza. «Sì» dissi. «Sweeney voleva che identificassimo una tomba... La tomba di una certa signora Casey. Non ne sapete nulla?» «Casey?» Il viso di Buck espresse la più assoluta indifferenza. «No, proprio nulla.» Accese una sigaretta e si mise a fumare con assoluta noncuranza. Eppure la notizia avrebbe dovuto almeno incuriosirlo. «Già» riprese. «So che nel vecchio cimitero sono stati sepolti il padre di Fanshawe... e anche quello di Mitchell.» La sua indifferenza mi disse che stava per giungere al punto che lo interessava. Infatti disse: «Gilchrist non vi ha mostrato le tombe del padre di Fanshawe e di Mitchell?» E alla mia risposta affermativa domandò: «Dove si trovano esattamente?» «Proprio lì» risposi. «A destra, subito dopo quella della signora Casey. L'una di fianco all'altra.» Notai come la mano che teneva la sigaretta tremasse. Perché, in nome di Dio? Attesi ancora, ma evidentemente lui aveva saputo quel che lo interessava. Si alzò sospirando.
«Dio, quando penso a Maggie! Povera piccola Maggie...» Quando capii che non avrei ottenuto altro, decisi d'andarmene. Buck mi accompagnò fino alla porta, l'aperse e fece per richiuderla alle mie spalle. Ma rimase immobile, come pietrificato. Anch'io rimasi immobile, in ascolto. Da qualche parte dell'albergo era partito un grido, un grido atterrito di donna. «Westlake, cosa...» Ancora quel grido, più acuto. «Presto!» gridai. «Da basso, sotto di noi!» Il corridoio del primo piano era debolmente illuminato. Restammo un momento in ascolto. E il grido si ripeté per la terza volta, più vicino. «Lì!» dissi. «Quella porta!» «È la stanza della signorina Heywood...» ansò Buck. Spalancammo l'uscio e restammo sulla soglia a guardare la straordinaria scena. Scarmigliata, discinta, la signorina Heywood era rannicchiata sul letto. Deposto l'abito fluttuante, aveva indossato una camicia da notte di seta bianca abbondantemente scollata. Il suo viso, più bianco della camicia, era levato verso l'uomo curvo su di lei, le cui mani la stringevano al collo mentre gli occhi gli brillavano di furore pazzo. L'uomo era Virgil Fanshawe. Per qualche secondo nessuno di noi si mosse. Pareva che posassimo per l'ultima scena di un vecchio melodramma. Poi Buck balzò in avanti, afferrò Fanshawe alle spalle; lo spinse verso l'altra parte della camera. Guardai meglio il viso del pittore. Era stravolto da una disperazione e da un odio senza fine. Nessuno parlò, e la scena divenne ancora più fantastica. Poi, gradualmente tutto tornò normale, come se gli attori avessero abbandonato la loro parte per diventare uomini normali. Fanshawe si scrollò passandosi una mano sui capelli e il suo viso ridivenne una maschera impenetrabile, la signorina Heywood rialzò la scollatura della camicia da notte e, incredibile, sorrise col suo solito sorriso squisito. Si udirono dei passi nel corridoio, poi un allarmato Mitchell apparve sulla porta. «Cos'è successo?» chiese. «Ho sentito gridare...» Fui io a rispondere. La signorina Heywood e Fanshawe sembravano tramutati in statue. Mitchell disse: «Dunque, signorina: il signor Fanshawe è entrato in camera vostra per farvi del male... Volete che chiami la polizia?»
La donna e il pittore si scambiarono un'occhiata. Poi, più disinvolta che mai, lei rispose: «La polizia? Ma no, che assurdità! Non è successo nulla, proprio nulla. Nient'altro che uno sciocco errore.» «Un errore?...» feci eco, sbalordito. «Ma sì! Sonnecchiavo e non ho riconosciuto il signor Fanshawe. Ho gridato, sciocca! Era venuto a prendere un po' di crema per sua moglie.» Fra tutte le fantastiche storie della signorina Heywood, questa era la più fantastica. Mai in vita mia avevo visto un odio profondo come quello espresso dal volto di Fanshawe, né una paura più violenta di quella apparsa negli occhi della signorina Heywood. E adesso lei voleva farci credere... «Ma che storie!» esclamò Buck, certo non meno stupefatto di me. «Lo abbiamo visto, Fanshawe, e voi lo sapete! Stava per strangolarvi!» «Strangolarmi!» La signorina Heywood scoppiò a ridere. «Ragazzo mio, che assurdità!» «Davvero!» esclamò Mitchell. «E voi signor Fanshawe, non dite nulla?» «Ve lo ha spiegato la signorina» disse Fanshawe, ancora mortalmente pallido. «Non è stato che un errore.» Nessuno poteva crederci, eppure, per qualche segreta ragione, nessuno dei due parlava. La signorina Heywood si era seduta alla pettiniera e con grande cura si aggiustava i capelli sulle orecchie. Dopo un poco sorrise: «Bene signori, sono davvero dolente di avervi disturbati. Ma è molto tardi, e se volete scusarmi...» Non c'era altro da aggiungere. L'uno dietro l'altro, uscimmo tutti e quattro. Fanshawe, senza neppure augurarci la buona notte, si diresse verso la sua stanza. Mitchell se ne andò in fretta. Rimanemmo soli Buck e io. «Be',» disse il giovanotto «spiegatemi questa faccenda.» Ma io non potevo spiegare nulla, naturalmente. 16 Erano accaduti tanti fatti straordinari e con tale straordinaria rapidità, dal mio ritorno in albergo, che avevo dimenticato di essere stanco. Avevo persino dimenticato Dawn... cosa che non mi accade spesso. E all'improvviso sentii per lei un'assurda ansia. Corsi nella sua camera; i due bambini dormivano pacificamente; ed io
sospirai di sollievo, per quanto non avessi avuto alcuna definita ragione di temere che fossero altrove. Uscendo, seguii il mio impulso e chiusi la porta a chiave, ficcandomela in tasca. Avevo materiale per lunghe meditazioni, ma ero così stanco che me ne andai a letto. Speravo di dormire. Non avevo più alcuna intenzione di svegliarmi fino al mattino dopo. Invece mi svegliai. All'improvviso, come se qualcuno mi avesse toccato sulla spalla. E mi trovai seduto sul letto. Rimasi per qualche istante al buio, in attesa. Poi riudii il rumore che mi aveva svegliato. Un leggero scalpiccio nel corridoio davanti alla porta della mia camera. Guardai il quadrante luminoso dell'orologio. Erano le tre precise. Istintivamente, allungai una mano verso i miei abiti, mi vestii alla meglio e sgusciai fuori della stanza. In quel momento udii uno scricchiolio sulla scala che portava al primo piano. Attesi immobile. Un altro scricchiolio sulla prima rampa, poi un rumore di passi nel vestibolo, e infine il cigolio della porta d'ingresso che si riapriva e si richiudeva. Lo sconosciuto, uomo o donna che fosse, era uscito. Fino a quel momento non ne avevo avuto la precisa intenzione, ma poi decisi di seguirlo. Scesi in fretta le scale e uscii a mia volta senza rumore. Sotto la luce della luna che rendeva la notte chiarissima, scorsi una figura alta e sottile che si dirigeva verso il cimitero. La riconobbi subito, era la signorina Heywood. Che cosa faceva, quell'instancabile donna, alle tre di notte sulle dune? Che cosa? Non feci fatica a seguirla. Indossava una specie di mantello grigio, mentre io ero vestito di scuro; poi, soprattutto, lei non sospettava affatto di essere seguita. Avrei dovuto immaginare che si sarebbe diretta verso la tomba della signora Casey. Trovai facilmente un nascondiglio dietro un grosso tronco, e perdetti per un momento di vista la signorina Heywood, ma la vidi subito riapparire. Non era sola; un uomo alto e quadrato stava al suo fianco, e aveva in mano un oggetto lungo e scuro. Una vanga, certo. Riconobbi l'uomo sull'istante: era Buck Valentine. E contemporaneamente ricordai le sue parole di qualche ora prima: "La tomba del padre di Fanshawe... e quella del padre di Mitchell...".
Il giovanotto cominciò a scavare; e la signorina Heywood, accanto a lui, sorvegliava i suoi movimenti con ansia evidente. Data la distanza, non potevo stabilire con esattezza quale dei tumuli stessero scavando. Ma per quanto potesse sembrare fantastico, pensai che quel lugubre atto notturno fosse lo stesso che due sere prima Dawn ed io avevamo interrotto. E pensai contemporaneamente alla vecchia di Capo Talisman che aveva detto a Barnes di aver visto un fantasma grigio nelle vicinanze della chiesa. Un fantasma grigio! E la signorina Heywood era vestita di grigio! Apparentemente tutta questa faccenda non aveva niente a che fare con il delitto. Eppure l'immagine della signora Casey, col neo sulla guancia, nel solitario cimitero, mi sovrastava come un palpabile fantasma. Dibattendomi tra un tumulto di pensieri, mi domandavo se dovevo uscire, affrontarli e costringerli a una spiegazione, quando i due scomparvero, così all'improvviso, come se si fossero dissolti nell'aria. Dopo il primo momento di stupore incredulo, uscii in fretta dal mio nascondiglio e mi avvicinai ai tumuli. Ricordavo esattamente la loro disposizione da quanto mi aveva detto Gilchrist; avrei giurato che la tomba violata fosse quella della signora Casey, pur senza poter spiegare nemmeno a me stesso la ragione di questa mia sicurezza. Invece, con enorme stupore, vidi che la terra appena smossa era quella che copriva la tomba del padre di Virgil Fanshawe. Fissavo stupidamente la fossa, tentando invano di darmi una spiegazione, quando, alzati gli occhi, vidi un'altra figura maschile venire verso di me dall'ingresso del cimitero. Ma non era Buck. Sgusciai rapido dietro l'abete, sicuro però di non essere stato visto. E non perché la mia sparizione fosse stata così fulminea da non essere notata, ma perché l'uomo era evidentemente immerso nelle sue riflessioni, e si disinteressava di tutto quel che accadeva intorno a lui. Dal suo modo di camminare, da tutto il suo atteggiamento capii che l'uomo era accasciato da un dolore insopportabile. Si avvicinò alla tomba del padre di Mitchell, si lasciò cadere sul cumulo di terra e rimase così, seduto, il volto nascosto fra le mani. Ma un istante prima che si coprisse gli occhi, alla luce delle stelle l'avevo riconosciuto. Era Virgil Fanshawe. Gli ero vicino. Così vicino che, allungando una mano, avrei potuto toccarlo. Stavo per farlo, quando un suono, uno strano suono, basso, spezzato, infinitamente doloroso, mi trattenne.
Virgil Fanshawe si trovava alle tre di notte nel cimitero, solo, e singhiozzava da spaccarsi il cuore. Bisogna rispettare certe sofferenze anche nei casi di assassinio. Silenziosamente mi allontanai, lasciandolo alla sua veglia tormentata. 17 Ripresi la strada, meditabondo. Comunque la pensasse Sweeney, ormai per me la signorina Heywood era al centro di tutta la faccenda. La gentile e raffinata creatura era la sorgente dell'orribile incubo che gravava su Capo Talisman. E quanto ai Fanshawe... il mistero di quella famiglia mi interessava sempre più. La signora Fanshawe era malata, questo lo avevo notato fin da prima del delitto. Il suo sguardo troppo vago, o troppo fisso, mi aveva detto che lei soffriva o per qualche forte scossa o per un grave disordine nervoso. E, ripensandoci, mi pareva che Virgil avesse sempre fatto il possibile affinché la malattia della moglie passasse inosservata. Dapprima avevo dato la colpa a Nellie, credendola, come tutti nell'albergo - e come lei stessa aveva fatto credere a Buck - l'amante di Virgil. Poi Nellie era morta, e avevo udito Marion Fanshawe singhiozzare disperatamente nella sua camera, mentre il marito non faceva nulla per consolarla ma nello stesso tempo negava una sua relazione con la governante. Il giorno dopo, Marion era ufficialmente a letto, indisposta; il che però non le aveva impedito di convincere il marito a uscire, e di uscire lei stessa per incontrarsi con la signorina Heywood sulle dune e ricevere da lei... un fascio di frasche. Questo straordinario appuntamento mi diceva che le due donne si conoscevano. Da quanto tempo? Quali erano i loro rapporti? Marion aveva dato all'altra un biglietto da cinquanta dollari. Ma un fascio di frasche non costa cinquanta dollari! E quel fascio di frasche mi riportò alla memoria la sera del primo delitto, quando Barnes ed io avevamo visto la signorina Heywood entrare all'albergo con un altro fascio di frasche tra le braccia. Quale importanza avevano quelle frasche nel nostro caso? E perché Marion le aveva strette al petto come se fossero state qualcosa di prezioso? E, poche ore prima, la signorina Heywood aveva urlato, e nella sua camera c'era Virgil Fanshawe, il viso sconvolto dall'odio, sul punto di ucciderla. Quale nesso poteva esserci tra il fascio di frasche dato a Marion Fanshawe, l'aggressione alla signorina Heywood da parte di Fanshawe e il
pianto disperato di quest'ultimo nel cimitero? Un nesso ci doveva essere. Ma quale? Tutto era oscuro e ingarbugliato come prima. E poi, la sinistra figura della signorina Heywood si era introdotta anche nella vita di Buck Valentine. Quella sera stessa l'avevo sorpresa nella camera del maestro di nuoto, immersa con lui - a quanto avevo potuto capire dal viso del giovanotto - in una discussione straordinariamente grave. Così grave che la notizia dell'assassinio di Maggie aveva prodotto su di lui una limitata impressione. E più tardi, insieme con la signorina Heywood, era andato nel vecchio cimitero mettendosi a scavare nel tumulo del vecchio Fanshawe. Appariva almeno logico che le notizie date dalla donna a Buck avessero provocato l'apertura della tomba... lavoro turbato e interrotto dall'arrivo del pittore. La signorina Heywood... Buck... Marion... Virgil... la tomba del vecchio Fanshawe... La defunta signora Casey e il suo neo... La defunta Nellie Wood e il suo neo... la defunta Maggie Hillmann e il suo neo... Tutti i caratteri del complesso e surrealistico scenario turbinavano monotoni nella mia mente. Con la riflessione, non ero riuscito a concludere nulla. Per la seconda volta nella notte, andai a coricarmi. Mi svegliai che il sole era alto. Udii subito un impaziente bussare alla porta di comunicazione con la stanza di Dawn e un indignato pigolare: «Papà, papà...» Era la mia figliola. Balzai dal letto, tirai fuori dalla tasca della giacca la chiave e corsi ad aprire. Dawn si precipitò nella mia camera. «Papà, papà, qualcuno ci ha chiusi dentro... Abbiamo bussato e bussato. Io, almeno...» Bobby, seduto sul letto, puntò verso di me un dito accusatore, e la sua voce profonda disse: «Lui ci ha chiusi. Lo so io che è stato lui. Sciocco.» «Davvero papà? Bobby si è svegliato, voleva andare in bagno, ma non ha potuto, e...» «Adesso può andarci» dissi io. Bobby fece una smorfia sprezzante. «Sciocco. Ormai è tardi.» Così Bobby, quel diabolico bamberottolo, voleva sempre avere l'ultima
parola. Ma Dawn continuava a guardarmi. Sapeva ormai che ero stato io a chiuderli a chiave, ed io sapevo bene che con lei era inutile fingere. Non sarei mai riuscito a ingannarla. Le passai un braccio intorno alle spalle. «Ascolta, cara» dissi. «Ieri sera è successa un'altra cosa... È morta un'altra persona. Ecco perché vi ho chiusi dentro, perché foste al sicuro. E appunto per questo devi far le valigie e tenerti pronta ad andar via.» «Andar via!» ripeté lei in tono di profonda infelicità. «Ma non è possibile, adesso! Mi hai promesso di portarmi a pescare col dottor Gilchrist, di andare a far merenda sulle dune, di...» «Cara, mi dispiace, ma devi andar via. Io non posso accompagnarti. Devo restare ancora un giorno o due. E tu andrai da zia Mabel.» «Zia Mabel!» strillò Dawn, sul punto di piangere. «No da zia Mabel, papà! Zia Mabel con quel suo sciocco Pierrot che morde, e la casa buia!... Non voglio andarmene, papà! Devo prima trovare il diamante nero! Il diamante nero!» Scoppiò in lacrime. E Bobby, che aveva seguito impassibile la scena, la imitò. Dai loro strilli, se qualcuno fosse entrato in camera in quel momento, avrebbe creduto che stessi scuoiandoli. Tentai di far qualcosa per calmarli, ma due bambini in lacrime sono troppo per un povero medico. Perciò, decidendo di disinteressarmene per il momento, mi avvolsi nel mio accappatoio, e uscii per andare nel bagno. L'avevo quasi raggiunto quando la porta in fondo al corridoio si aperse e la fragile figura di Marion Fanshawe avanzò verso di me. Indossava una vestaglia bianca e aveva il viso pallido e turbato. «Dottor Westlake... dottor Westlake, debbo parlarvi!» Afferrò i risvolti del mio accappatoio. I suoi occhi neri, così simili a quelli di Bobby, mi guardavano disperati. «Dottor Westlake... mio marito non mi dice nulla, nulla. Dice che mi farebbe male ai nervi. Ma ieri sera è successo qualcos'altro, vero? Lo so, potrei giurarlo. Qualcun altro è stato ucciso!...» La guardai riflettendo rapidamente. Meglio dirle la verità. Era proprio inutile mentire. «Sì» risposi. «Temo che sia davvero un altro delitto. Maggie Hillmann. È stata trovata morta, ieri sera.» «Maggie!» esclamò con voce fievole Marion Fanshawe. «Maggie! È questo luogo, questo orribile luogo! È stato Virgil a voler venire qui. Dob-
biamo andarcene, dobbiamo...» S'interruppe, guardando al disopra delle mie spalle. L'espressione di sofferenza e di paura era subitamente cambiata in una vera e propria repulsione fisica. L'espressione che le avevo già notato una volta mentre guardava suo marito. Mi voltai, aspettandomi di vedere appunto Virgil. Mi sbagliavo. Nel corridoio c'era Bobby. Uscito dalla stanza di Dawn, correva a piedi nudi verso di noi. Si aggrappò a un lembo della vestaglia di sua madre e alzò su di lei gli occhi solenni e gravi come sempre. «Il dottor Westlake è cattivo, mammina» tuonò. «Vuol portar via Dawn prima che abbiamo trovato il diamante nero. Digli che non porti via Dawn.» Marion Fanshawe, rigida, guardava il figlio come affascinata; lo sguardo dell'uccellino affascinato dal serpente. Bobby continuò: «Mammina, di' a quest'uomo che lasci qui Dawn fino a quando...» Solo allora, lei sembrò risvegliarsi. Le sue labbra si curvarono in una smorfia di disgusto. Con uno strappo liberò la vestaglia dalla stretta del figlio e lo respinse come se fosse stato qualcosa di ripugnante. «Non toccarmi» disse. «Vattene. Non toccarmi.» Il suo volto si decompose come una maschera. Con un piccolo gemito si portò la mano alla bocca, poi si voltò barcollando come una cieca e tornò nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Ero rimasto sbalordito. Mai, mai avevo visto un gesto simile da parte di una madre. La furia con la quale aveva respinto Bobby era agghiacciante. In quella strana famiglia sconvolta, c'era indubbiamente un mistero più complesso e doloroso di quanto avevo supposto in principio. Guardai Bobby; il suo visetto da pupattola giapponese era impassibile. Se il piccino era rimasto ferito, sapeva nasconderlo bene. Cacciandosi il pollice in bocca farfugliò: «La mamma è sciocca. Sciocca anche lei.» Quell'"anche" sottintendeva me, naturalmente. Bella famiglia, quella dei Fanshawe. Scesi per la colazione, e, in attesa dei ragazzi, accesi una sigaretta. Mi trovavo casualmente nel corridoio, proprio davanti alla porta dell'ufficio di Mitchell. Udii qualcuno che parlava nell'interno; due voci maschili piuttosto forti, che parevano discutere animatamente. Rimasi un momento in ascolto, e riconobbi la voce querula di Mitchell e quella profonda di Buck.
Se l'ascoltare è un'indiscrezione, gli avvenimenti di quegli ultimi giorni la giustificavano ampiamente. Lasciai cadere il fiammifero e accostai l'orecchio all'uscio. Dapprima non afferrai le parole. Poi la voce di Buck mi giunse distintamente: «Ma non possiamo lasciarla là! Bisogna trovare il modo di trasportarla!» Trasportarla! La signora Casey?... Quella notte, insieme con la signorina Heywood, Buck aveva tentato di violare la tomba del vecchio Fanshawe. Adesso, con Mitchell, parlava di trasportare un corpo di donna! Rimasi in attesa di qualcos'altro che mi spiegasse l'enigma, ma proprio in quel momento udii gridare il mio nome. Mi voltai. Sweeney e Gilchrist entravano nell'atrio. Mi staccai a malincuore dalla porta di Mitchell e raggiunsi i due uomini, che apparivano stanchi e sfiduciati. «Avete fatto bene a non seguirci, ieri sera» disse l'ispettore. «Abbiamo passato tutta la notte all'obitorio per non concludere nulla.» «Tranne che il rossetto usato per tracciare il cerchio intorno al neo di Maggie è lo stesso usato per il cerchio fatto intorno al neo di Nellie» aggiunse Gilchrist. «C'era da aspettarselo, comunque» grugnì Sweeney. «Be', Westlake, eccoci qui alle prese con un maniaco. I miei uomini sono sguinzagliati per il paese alla ricerca di stranieri o almeno di qualche informazione. Tutti sanno la verità, ormai, e il panico si è impadronito del villaggio. Vogliono andar via, e le ragazze non osano più uscire da sole dopo il tramonto. E tutti se la prendono con me! Vogliono sapere perché non ho ancora arrestato l'assassino!... E voi, dottore, che cosa avete da dirci?» Un sacco di cose, avevo. Ma ora, guardando Sweeney e ripensando alla conversazione che in quel momento si svolgeva nell'ufficio di Mitchell, restai perplesso. Sweeney era un ottimo uomo, e molto efficiente. Ma i poliziotti sono sempre poliziotti, specialmente quelli dei piccoli centri, e hanno la mano piuttosto pesante. Se gli avessi detto quello che sapevo, nell'intento di forzarli a dire la verità, lui avrebbe sottoposto a stringenti interrogatori tutti gli interessati. E, come spesso avviene in questi casi, non avrebbe ottenuto nulla. Decisi lì per lì di tacere. Meglio prender tempo, nell'interesse mio e della polizia stessa. «No, Sweeney... Nulla che possa aiutarvi.» Lui non parve sorpreso; e dal come mi rispose, capii che non aveva fatto
troppo affidamento sull'aiuto di un dilettante come me. «Sono venuto per far qualche domanda a quel Valentine» riprese. «Intendiamoci, io sono d'accordo con Gilchrist. Questi delitti sono opera di un pazzo. Ma non si sa mai; chiunque può diventarlo da un momento all'altro. Non bisogna trascurare nulla, dunque.» Fu interrotto dall'arrivo al galoppo di Dawn e di Bobby. Mia figlia si rivolse subito a Gilchrist, che aveva sempre dimostrato per lei un'affettuosa simpatia, ed esclamò ansante: «Oh, dottore, il babbo dice che devo andarmene! Ma io non voglio, io! Ditegli che mi lasci star qui, per piacere! Andarmene adesso che non sono ancora venuta a pescare con voi come mi avevate promesso!...» Il florido viso di Gilchrist arrossì per il rimprovero indiretto. «Be', cara, se il tuo papà pensa che per te sia meglio andar via, devi fare come vuole lui... Aspetta, facciamo così. Ora non posso; ma più tardi, dopo colazione, andiamo a fare un giro di pesca al largo. Poi partirai, come vuole il tuo babbo. Va bene?» Non era che una vittoria parziale, ma Dawn fece buon viso a cattivo gioco. «Oh, che bellezza!» esclamò. E aggiunse: «Può venire anche Bobby?» «Ma sicuro» rispose benigno il dottor Gilchrist. «Benissimo» conclusi. «Andiamo a far colazione, allora. Gilchrist, quando siete libero, venite a prelevarci. Saremo sulla spiaggia.» Entrammo nel salone, dove l'unica superstite cameriera disimpegnava il suo lavoro con gli occhi rossi e il volto pallido. Usher era seduto al suo tavolo, e la signorina Heywood, serena e imperturbabile come sempre, come sempre elegante e raffinata, beveva spremute d'arancia e sorrideva con maggior impegno del solito. Dopo la colazione, che i ragazzi consumarono a tempo di primato, ci trovammo fuori dell'albergo, diretti alla spiaggia. Due strade si aprivano davanti a noi; quella del cimitero e quella del Monk's Head. Entrambe piene di ricordi poco allegri. Scelsi la seconda, se non altro meno lugubre. Ci sedemmo sulla spiaggia calda di sole, a qualche centinaio di metri dall'albergo. La prospettiva di una gita in barca aveva fatto dimenticare a Dawn e a Bobby il dispiacere della partenza, e i due s'immersero subito nel loro gioco preferito, quello del diamante nero. S'inseguivano ancora ridendo e schiamazzando, quando vidi la signorina Heywood venire sulle dune verso di noi. Sedette di fronte al mare, aprì sulle ginocchia qualcosa che rico-
nobbi per un album da disegno, e posò in terra accanto a sé una scatola di acquerelli. S'immerse nel lavoro con un'attenzione e una tranquillità che dapprincipio m'incuriosì, poi finì con l'esasperarmi. Mi alzai e la raggiunsi, fermandomi alle sue spalle e osservando il profilo appena abbozzato delle barche perdute sul mare. «Buongiorno, dottore» disse lei, voltandosi. «Passo il tempo, come vedete. Niente di più consigliabile per stendere i nervi..» «Posso sedermi qui?» domandai. «I ragazzi sono turbolenti, stamattina, e desidero anch'io un po' di pace.» «Ma certo, accomodatevi! Mi fa molto piacere.» Mi lasciai cadere sulla sabbia al suo fianco e la guardai di sottecchi. Era senza dubbio una bella donna. I capelli, tirati sulle orecchie e raccolti in un grosso nodo sulla nuca, erano folti e di un nero denso, gli occhi grandi e splendenti e le labbra di un vivido rosso. Eppure, come avevo già notato, quel volto aveva una curiosa espressione sfingea, conferitagli forse dalla pelle, così tirata sugli zigomi che, ad ogni movimento della bocca, sembrava stesse per screpolarsi. Un effetto di tensione febbrile, assolutamente in contrasto con la compostezza dei modi. Che età poteva avere? Impossibile indovinarlo, nemmeno approssimativamente. «Spero che la piccola discussione della notte scorsa con Fanshawe non sia stata troppo spiacevole» dissi. «Gentile, da parte vostra, comportarvi così, di fronte a Mitchell. Evidentemente non avete voluto far avere dei guai a Fanshawe.» «Infatti, dottore, è stato press'a poco così» rispose lei, tranquilla. «Poveretto, credo che fosse leggermente brillo. Non è piacevole, certo, che un uomo entri nella tua camera con... con il pretesto di dirti che è innamorato di te. Ma... gli uomini sono uomini, no?» Fece una risatina. «E, alla mia età, dovrei sentirmi lusingata.» La guardai sbalordito; così quella donna pretendeva che il pittore fosse entrato nella sua camera, spinto da ragioni amorose! «Vi prego, dottore» continuò «non parliamone più. Vorrei proprio dimenticare quello spiacevole episodio.» Non mi rimaneva che l'argomento di Buck. Su questo, almeno, potevo parlare. Ripresi: «Davvero, dopo la proposta che avete fatto a Buck, ieri sera, mi aspettavo piuttosto che prendeste lui come modello, stamattina.» «Infatti» rispose lei, continuando a dipingere. «Ma, dopo il secondo de-
litto, sapevo che la polizia avrebbe voluto parlare con lui. Non è una giornata allegra, questa, per Buck.» Sapeva dunque tutto, e aveva una risposta pronta per tutto. Rimasi un poco in silenzio, guardandola dipingere. Era chiaro che, in vita sua, per quanto volesse far credere il contrario, non aveva mai dipinto. Così elementare e ingenuo era il suo bozzetto, che esprimeva tutto tranne che una sia pur minima competenza. D'altronde, poiché sembrava che da lei non sarei riuscito a cavar nulla, ripiegai sull'argomento delle frasche. «Siete molto versatile, signorina» dissi. «Paesaggio, figura... natura morta.» «Natura morta? Oh, no, dottore, quasi mai. I fiori, per esempio! Sono tanto belli, così... perché voler sciupare la loro bellezza fissandola sulla tela?» «Avete dimenticato le frasche. Ricordate che mi avete detto che le volevate dipingere? Vi piacciono tanto, mi avete detto.» Feci una pausa. «Anche la signora Fanshawe ne va pazza.» Il colpo andò a segno. La donna s'irrigidì e mi lanciò un'occhiata quasi paurosa nella sua fissità. «Quella graziosa signora Fanshawe... Anche a lei piacciono le frasche? Non mi fa meraviglia! Sono così belle, quelle foglie color dell'argento...» S'interruppe. Io la guardavo, e fui colpito dal suo improvviso mutamento. La pelle del suo viso parve tendersi ancor più sugli zigomi, i denti minuscoli affondarono nelle labbra; e negli occhi, abitualmente sereni, passò un lampo di paura. Si alzò di scatto e raccolse la sua roba; poi, con un vago saluto, s'incamminò sulla spiaggia verso Monk's Head. La rapidità della sua partenza mi aveva lasciato senza parole. Mi voltai per vedere cosa aveva potuto spaventare l'imperturbabile signorina Heywood al punto di farla scappare. Un mostro, doveva essere, non meno. Ciò che vidi non aveva invece nulla di mostruoso. Tre figure venivano verso di me: due, piccole e sgambettanti, Dawn e Bobby. Il terzo era il dottor Gilchrist. «Paparino, il dottore ci porta a pescare...» canterellò mia figlia. E il medico, asciugandosi il viso sudato, domandò, curioso: «Con chi stavate parlando, Westlake?» «Con la signorina Heywood, un'ospite dell'albergo.» «Sembra che se ne sia andata in fretta.» «È quel che pensavo» risposi. «Mi è parso che non volesse lasciarsi ve-
dere da voi.» «Ma perché?» fece stupito Gilchrist. «Che io sappia, non ho mai conosciuto quella donna.» «Può darsi. Ma sono sicurissimo che lei ha conosciuto voi.» Sentivo che era proprio così. E forse questo era il fatto più significativo di cui fino a quel momento ero venuto in possesso, riguardante la straordinaria signorina Heywood. 18 La piccola spedizione al largo ebbe un grande successo. L'entusiasmo di Dawn si comunicò anche a me e a Gilchrist, che dimenticammo per un poco i problemi più gravi per abbandonarci al piacere della pesca. L'unico a rimanere imperturbabile fu Bobby Fanshawe, il quale, seduto a poppa, seguiva i nostri movimenti con una specie di contenuto disprezzo. Il suo disinteresse, comunque, non tolse nulla alla nostra gioia. Fu liberando dall'amo un bellissimo pesce, che Dawn si graffiò il braccio con l'uncino. Diede un piccolo grido di dolore, e Gilchrist ed io le fummo vicini in un attimo. «Non è niente» disse Gilchrist dopo averla esaminata. «Un po' di tintura di jodio e tutto è passato.» Tirò fuori dalla tasca una bottiglietta, un pacchetto di cotone idrofilo, e rimboccò la manica del vestitino fin oltre il gomito. «Qui» disse, bagnando un batuffolo di cotone nel disinfettante. «Un po' di bruciore e poi...» S'interruppe, arrossendo cupamente. Mi guardò con ansia, come se fosse stato colpito da qualcosa che non poteva non colpire anche me. Lo guardai meravigliato, poi seguii la direzione del suo sguardo. Sopra la macchia scura della tintura di jodio, sul braccio abbronzato di Dawn, c'era un'altra macchia che avrei dovuto conoscere, ma alla quale fino a quel momento non avevo pensato: un neo. Mi sentii percorrere da un brivido, e l'ansia e la paura divennero in me addirittura ossessionanti. Dawn tornò alla sua esca, più allegra di prima, ma io non la seguii. Mi avvicinai invece a Gilchrist, che mi guardò serio come non l'avevo mai visto. «Perché non mi avete detto che vostra figlia aveva un neo?» «Non me ne ricordavo, ve l'assicuro!» «Meglio che la mandiate via, Westlake... il più presto possibile, subito! Chissà! L'assassino può già averlo visto, può già... Portatela via. Se
Sweeney vorrà, potrete sempre tornare, voi. E portate via anche Bobby Fanshawe. Non è posto per bambini, questo.» Ero più che d'accordo con lui. E, poiché la gita non poteva più avere alcun interesse per me, e la pesca aveva fruttato abbastanza, decisi di tornare. Sweeney era ancora all'albergo quando arrivammo in processione. Un preoccupatissimo Mitchell ci annunciò che l'ispettore aveva interrogato Buck per tutta la mattinata, e che ora stava interrogando Virgil Fanshawe. Accolsi l'informazione con scarso interesse. Ormai non avevo che un pensiero, quello di far partire Dawn. Non mi sarei lasciato commuovere né da pianti né da proteste. Perciò, quando lei fu di ritorno da una lunga conferenza col cuoco, le ordinai brevemente di preparare la valigia. E Dawn, che dal mio tono capì come ogni ribellione sarebbe stata inutile, mi pregò soltanto di lasciarla partire insieme con Bobby. «Per mio conto, non ho niente in contrario» dissi. «Mentre tu prepari la valigia, io vado a parlarne alla sua mamma.» Attraversai il corridoio e andai a bussare alla porta dei Fanshawe. Virgil non c'era e così avrei trovato Marion sola. Al primo colpo non rispose nessuno. Al secondo risuonò la voce della donna, sonora e allegra: «Sì, sì. Chi è?» «Il dottor Westlake. Posso entrare?» «Avanti, avanti. La porta non è chiusa.» Mi accolse una Marion Fanshawe completamente diversa da quella che ero abituato a vedere. Aveva le guance rosse, gli occhi raggianti e le pupille le brillavano di un'animazione addirittura innaturale. «Ma che bella sorpresa, dottore! Figuratevi che stavo guardandomi allo specchio e ammirando la mia bellezza!» Scoppiò a ridere. «Bel modo d'impiegare il tempo, per una donna che si ritiene intelligente!» Non potevo credere ai miei occhi. Sedetti su uno dei letti gemelli, che lei mi aveva accennato con un sorriso, e lo sguardo mi cadde sul tavolino da notte. Sul ripiano di marmo, da una cornice d'argento, sorrideva un bambino che pensai fosse Bobby. E dietro la fotografia c'era un vaso pieno di frasche artisticamente disposte. La signora Fanshawe continuava a chiacchierare volubilmente, eccitata, passeggiando su e giù per la camera, e guardandomi con occhi nei quali la pupilla pareva scomparsa, ridotta a un puntino quasi invisibile. «Perdonate, dottore» disse finalmente. «Chiacchiero come un pappagal-
lo e non vi permetto neanche di parlare. Ditemi: di dove venite? Cos'avete fatto, oggi?» Era il momento di presentare la mia richiesta. «Ho pensato che quest'albergo non è il posto adatto per due bambini, dopo quanto è accaduto» dissi. «Ho intenzione di mandare Dawn da una mia zia, e sarei felice se permetteste a Bobby di andare con lei. Potete stare perfettamente tranquilla sul suo conto.» «Bobby?... Ah, sì, Bobby, povero bambino! L'avevo quasi dimenticato. Ma sicuro, dottore, se credete che sia bene... E grazie; molto gentile da parte vostra.» Guardai le sue mani che tremavano leggermente. Guardai le sue pupille fisse e i suoi movimenti febbrili. Quella straordinaria animazione cominciava ad apparirmi un poco più chiara. E, guardando il vaso di frasche, credetti d'aver capito. «Belle, quelle frasche» mormorai. «Le avete raccolte ieri sulle dune, vero?» «Sì, sì» rispose nervosamente la donna avvicinandosi al letto. Mi alzai e mi chinai sul vaso, mentre Marion Fanshawe, al mio fianco, pareva vigilare ogni mia mossa. «Vedo che non c'è acqua, qui» dissi. «Lasciate che ne metta un po'...» «No, no!...» gridò quasi la donna. «Non hanno bisogno di acqua! Non...» Era vero. Ma io non volevo lasciarmi sfuggire l'occasione di chiarire finalmente il problema delle frasche. Insistei: «Vi assicuro che vi sbagliate. Se non le mettete nell'acqua, appassiranno subito...» Entrai nel bagno, riempii una bottiglia d'acqua fresca e tornai nella camera. Vidi Marion Fanshawe che, tolte le frasche dal vaso, se le stringeva convulsamente al petto. Al disopra delle foglie grigie mi guardava con due occhi allucinati. «Non voglio bagnarle, dottore» balbettò. «Non voglio acqua nel vaso.» Posai la bottiglia sul tavolino. «Va bene, signora. Scusate, non volevo... Dunque, posso far partire Bobby con Dawn?» «Sì, sì, certo.» Continuava a stringere il fascio di frasche come se fossero state un cofanetto di preziosi gioielli e io un ladro. «Benissimo.» Mi avviai alla porta. «Penserò io a tutto. Grazie, signora.» Uscii adagio. Adesso conoscevo il segreto di Marion Fanshawe. Un segreto pietosamente semplice.
E cominciavo a saperne qualcosa di più sul conto della signorina Heywood, anche. Non mi occorreva che un colloquio con Virgil Fanshawe. Stavo appunto pensando a lui, quando lo vidi apparire sulle scale. Sorrisi debolmente. «Bene, Westlake, ho fatto una bella chiacchierata col vostro amico ispettore. Mi è sembrato piuttosto seccato che non volessi ammettere di essere un donnaiolo, un maniaco e un duplice assassino...» «Ho una bottiglia di whisky in camera mia» risposi. «Che ne direste di un bicchierino... postinterrogatorio?» Mi seguì, sorridendo malinconico. Il whisky doveva stabilire fra noi una corrente di simpatia e di amicizia che avrebbe dovuto facilitare il penoso colloquio. Cominciai a parlargli di Bobby, ripetendo l'offerta fatta a sua moglie; offerta che lui accettò con non minor gratitudine e, certo, con maggior interesse, poi cominciai: «Sono medico, Fanshawe. E come tale vorrei rivolgervi qualche domanda. Ma vorrei che nel mio interesse non vedeste solo quello professionale... Parlo come medico, ma anche e soprattutto come uomo che ha molta simpatia per voi e per la vostra famiglia. E vorrei che non mi giudicaste indiscreto.» Lui alzò le spalle. «Dopo l'interrogatorio di Sweeney, nessuna domanda può sembrarmi indiscreta. Cosa volete sapere?» «In questo albergo sono successe molte cose strane» ripresi. «Alcune possono essere connesse ai due delitti, altre no. Se voi mi aiutaste a chiarirne alcune per provare che non hanno niente a che fare col pazzo assassino di Sweeney...» «Ma io non credo di...» «Parlo di vostra moglie» ripresi tranquillamente. «Mi avete detto che era ammalata. Bene, sono stato con lei fino a questo momento. Sì, vostra moglie è malata, ma non si tratta di una vera e propria malattia. La sua eccitazione innaturale, la scomparsa quasi totale delle pupille, le mani tremanti... tutto. Vostra moglie è cocainomane, vero? E la signorina Heywood le procura la droga.» Fanshawe si era fatto mortalmente pallido. «Voi avete scoperto o quanto meno sospettato la verità» continuai. «Per questo la notte scorsa stavate per ucciderla. Per questo lei, pur spaventata da morire, non ha voluto che Mitchell chiamasse la polizia. Per la paura
che la verità venisse a galla. E per questo voi, sfinito, bisognoso di sfogarvi, siete andato a piangere al cimitero.» Fanshawe si alzò e mi guardò con una specie di cieco orrore. «Ma voi... come lo sapete?» «Niente di misterioso. Ho visto coi miei occhi quanto riguarda vostra moglie. E stanotte mi trovavo al cimitero quando siete arrivato voi. Non ci ho capito niente, ma adesso sì. Dovete aver passato l'inferno... E perdonatemi se ve ne ho parlato. Non è necessario che gli altri lo sappiano.» «Ma, Westlake... come sapete che la signorina Heywood rifornisce Marion? Io lo sospettavo, ne ero quasi certo... ma non avevo prove. Per questo sono andato in camera sua, ieri sera. Volevo costringerla a confessare.» «So che la signorina Heywood rifornisce vostra moglie, perché so come lo fa. Ieri sera, vostra moglie, quando vi persuase ad uscire, aveva un appuntamento con la Heywood sulle dune. Le ho viste io. La Heywood ha dato a vostra moglie un fascio di frasche e vostra moglie le ha dato cinquanta dollari. Adesso quelle frasche sono in camera sua, vicino al letto. Fingendo di voler mettere acqua nel vaso, l'ho costretta a reagire. Me l'ha impedito. Forse la cocaina è nascosta in uno degli steli... e, bagnandolo, si sarebbe sciupata...» «Le frasche! È lì, dunque, che nasconde la droga.» Il volto di Fanshawe era sconvolto dall'ansia. «E io che... riuscivo sempre a scoprire i nascondigli... ero diventato bravissimo... Ma non ho mai pensato alle frasche!» Si avvicinò alla porta, ma io lo fermai, mettendogli una mano sul braccio. «Aspettate, non c'è premura» dissi. «Non volete piuttosto raccontarmi la vostra storia?... Vostra moglie ha subito una grande scossa, è vero? È accaduto qualcosa che l'ha portata a odiare istericamente voi... e anche Bobby, non è così?» Si lasciò cadere su una sedia. Capii che da tanto tempo aveva bisogno di sfogarsi, di parlare con qualcuno, e che si chiedeva se io meritavo la sua fiducia. «Va bene, Westlake» disse poi. «È una confidenza che vi faccio... e sono sicuro che la terrete per voi.» Annuii, e lui riprese: «È accaduto due anni fa. Fino allora, tutto andava così bene! Bobby era molto piccolo, ma c'era un altro figlio: Martin... Forse avrete visto la sua fotografia sul tavolino da notte di Marion.» Ricordai la fotografia nella cornice d'argento, quella che avevo creduto di Bobby.
«Era il giorno di Natale» riprese Fanshawe. «Nevicava. Avevamo avuto gente a pranzo. Quando se ne andarono, io ero ancora... ero un poco brillo, forse. Mi venne l'idea di prendere la macchina e fare una passeggiata. Marion non si sentiva bene, era andata a riposare. Bobby era con lei. Ma Martin... aveva sei anni, Martin. Gli dissi: "Andiamo a fare una corsa in macchina, Martin?". Rispose di sì con entusiasmo.» Fece una pausa, gli occhi fissi davanti a sé. «Andai a prendere la macchina. Martin era seduto accanto a me. Guidavo veloce, sempre più veloce, perché ero un po' sbronzo, ve l'ho detto. Il terreno era gelato, scivoloso. Arrivammo a una collina: su... e poi giù, e io ridevo come un ragazzo. A un tratto... a un tratto persi il controllo. L'automobile slittò, il volante mi sfuggì dalle mani, tentai di frenare, feci una giravolta... Poi udii lo schianto dei vetri mentre la macchina si capovolgeva, e un debole grido, il grido di mio figlio... Persi i sensi. Quando rinvenni, all'ospedale, mi dissero che Martin era morto.» Il suo viso rifletté l'orrore di quel tragico Natale. «Dio solo sa quanto soffrii. Ma subito pensai a Marion. Perché Martin era la passione di Marion. Era il primo figlio, e gli avrebbe baciato la terra sotto i piedi. Avrebbe preferito veder morire me e Bobby, piuttosto che venisse torto un capello a Martin. E io glielo avevo ucciso. «Tornai a casa alcune settimane dopo, e già non riconobbi più mia moglie, il colpo l'aveva prostrata, e ne avrebbe fatto in seguito un'altra donna. Sapeva che quel giorno io avevo bevuto un po' troppo, e mi ritenne responsabile della morte di nostro figlio. Per lei, io ero un assassino. Non volle neppure che la toccassi. Le facevo orrore. E, chissà perché, provava gli stessi sentimenti per Bobby. Più tardi scoprii che prendeva la cocaina. Per tentar di dimenticare, naturalmente.» Questo dunque il segreto dei Fanshawe; più triste e doloroso di qualsiasi storia avessi mai udito. «La mandai in una casa di cura. Ne uscì qualche tempo dopo, e i medici mi assicurarono che era completamente disintossicata. Ma tutto continuò press'a poco come prima. Marion non voleva più saperne di me e, tuttavia, cominciò ad accusarmi di tradirla. Sono pittore, lo sapete. Per il mio lavoro mi occorrono modelle. Ogni volta che ne assumevo una nuova, erano sarcasmi e allusioni a non finire, che culminavano invariabilmente in una violenta scenata, al termine della quale la modella se ne andava. A New York, la vita era divenuta impossibile. Ebbi la pazza idea di portarla a passare l'estate qui, nel paese dove sono nato. Presi con noi Nellie Wood perché mi
occorreva una modella e soprattutto perché Bobby aveva bisogno che qualcuno badasse a lui. In principio le cose parvero andare un poco meglio, poi, alcune settimane fa, tutto riprese come prima.» Fece una pausa. «Marion ricominciò a fare allusioni a me e a Nellie. Tra me e quella ragazza non c'era nulla. Lo giuro... pure; l'avete sentita la sera del delitto. Voleva farvi credere che io avessi seguito Nellie sulle dune. È falso, tutto falso, ma non è colpa sua... Quel suo terribile, maledetto vizio le fa dire anche quello che non vorrebbe. Vuol punirmi per la morte di Martin, vuol farmi soffrire, e tuttavia non vuol separarsi da me... E così mi sono accorto che aveva ricominciato con la cocaina.» Lo guardai; ero sicuro che non mentiva. Non può mentire, un uomo, in certi momenti. Fra Virgil e Nellie non c'era stato nulla, adesso ne ero sicuro. Pura invenzione del cervello malato di Marion, e di Nellie per rendersi interessante agli occhi di Buck. «Il resto lo sapete» riprese il pittore, alzandosi in piedi. «Da tante piccole cose ho cominciato a sospettare della signorina Heywood; e la scorsa notte ne sono stato certo. Non so cosa le avrei fatto... Credo che l'avrei uccisa, se non foste arrivato voi.» Scoppiò in un'amara risata. «Quando penso che Sweeney ha passato la mattinata a interrogarmi! Vi giuro che ho appena fatto caso a quei delitti. Il mio pensiero non è rivolto che a Marion. Perché, per quanto possa sembrarvi assurdo, Westlake, io non posso pensare a un'altra donna. Nonostante tutto, continuo ad amare lei.» Era stata una confessione completa. E, come spesso accade in questi casi, cominciò a rimpiangere quanto aveva detto. Arrossì cupamente, e tacque impacciato; ed io non sapevo cosa dire per dissipare l'imbarazzo, pur compiangendolo con tutto il cuore. Poco dopo, mormorando qualcosa a proposito di Marion, uscì dalla stanza. Con la sua storia Virgil Fanshawe aveva tagliato corto a molti miei dubbi e chiarito molte idee. Ero sicuro che diceva la verità, e ormai sapevo che né lui né sua moglie avevano niente a che fare col caso che interessava Sweeney. Per la signorina Heywood, era un'altra cosa. Benché il suo aspetto facesse pensare a una donna di classe anziché a una spacciatrice di cocaina, la signorina Heywood procurava la droga alla signora Fanshawe a cinquanta dollari per mazzo di frasche. Il nascondiglio era senza dubbio originale, e chissà se era stata un'idea sua o di qualcuno che l'aveva preceduta. Scindendo il dramma dei Fanshawe dai due delitti, si tornava alla tesi di Gil-
christ: l'assassino era un maniaco con nessun altro motivo che un'avversione psicopatica per i nei. Ma... e la signora Casey? Quella donna morta tanti anni prima sembrava ormai l'unico tramite fra i delitti e la violazione delle tombe nel vecchio cimitero. Tutto era ancora molto confuso. E Buck, che la notte prima aveva aiutato la signorina Heywood, nel cimitero, era l'unico che poteva fornirmi ancora qualche informazione. Prima però bisognava mandar via Dawn. Andai in camera e trovai i due bambini pronti a partire e stranamente remissivi. Dawn pareva quasi aver premura, adesso. Con aria candida disse: «Papà, se in treno avessimo fame o sete, o volessimo comprare dei giornali, con i sei centesimi che mi restano del dollaro che tu mi hai dato l'altro giorno, non potremmo comprare nulla. Non ti pare che dovresti darci qualcosa?» «Ho capito» risposi. «E quanto vorresti?» «Tre dollari e quarantacinque» rispose lei, pronta. «No» tuonò Bobby. «Non bastano. Occorrono tre dollari e quarantasei.» Annuì gravemente a se stesso e ripeté: «Tre dollari e quarantasei.» Poi guardò Dawn ferocemente, di traverso. «Sciocca» disse. «Sciocca stupida.» La smania di Bobby di avere sempre l'ultima parola era andata, mi parve, un po' troppo lontano. 19 Quando riuscii finalmente a collocarli sul treno e li vidi allontanarsi agitando la mano in un ultimo saluto, tirai un sospiro di sollievo. Dawn stringeva ancora nel pugno i tre dollari e quarantasei. Tre dollari e quarantasei sono una bella cifra per un viaggio che, tutto sommato, non dura più di un'ora e mezzo. Comunque, la gioia di avere allontanato Dawn da qualsiasi pericolo non mi fece soffermare a lungo su quel pensiero. Ritornai quasi allegro all'albergo, e trovai Sweeney, il cui umore sembrava ancora peggiorato, a colloquio con Mitchell. «Stavo appunto dicendo a Mitchell» scattò quando mi vide «che chi esce la sera lo fa a suo rischio e pericolo. Lo stesso ho detto a tutti quelli del villaggio. Di notte, Barnes si metterà di sentinella per la spiaggia. Inoltre, due uomini gireranno per il paese. E se stanotte ci sarà un altro delitto, mi le-
ghino una corda al collo e mi impicchino a una trave del mio ufficio!» Lasciai i due e andai alla ricerca di Buck Valentine. Lo trovai sulla spiaggia, il torso apollineo interamente nudo esposto al sole. Aveva il viso scuro. «Salve» disse. «Che accidenti di mattinata ho avuto col vostro ispettore! Quando si ficcherà in mente che non posso dargli nessun aiuto in questo caso?» «Davvero?» ribattei. «Io penso il contrario, invece. Personalmente, mi piacerebbe sapere cosa stavate facendo stanotte nel vecchio cimitero, vicino alla tomba di Fanshawe, insieme con una spacciatrice di cocaina. E» aggiunsi, ricordando le parole udite quella mattina nell'ufficio di Mitchell «quale sarebbe il corpo che volete trasportare.» L'espressione di Buck fu quella dell'uomo colpito da una mazzata. Poi tentò di riprendersi. «Spacciatrice di cocaina?» balbettò. «Ma cosa volete dire?...» «Come, ignoravate di che cosa si occupa la signorina Heywood?» «La signorina Heywood!» «Andiamo, non fingete di non sapere! Volevate nascondere della merce nel cimitero, non è così?» «Ma voi siete pazzo! Cocaina... Cosa volete che m'interessi? Non sono mai stato in nessun cimitero con nessuna signorina Heywood! È una maledetta bugia!» Mi voltò le spalle e si mise a correre verso l'albergo. Buck non era un buon mentitore; i suoi occhi l'avevano denunciato mentre parlava; ma con tutto questo non avevo fatto un passo avanti. Il pomeriggio passò senza che accadesse nulla d'importante. Venne la sera e, poiché non avevo altro da fare che riflettere, dopo la cena decisi di coricarmi. Avrei riflettuto a letto. Invece mi addormentai subito. E dormii pesantemente. Tanto pesantemente che, quando quel rumore mi svegliò, mi occorsero alcuni minuti prima che riuscissi a stabilire che si trattava d'un suono, e non del risultato d'un brutto sogno. Mi levai a sedere sul letto. Una campana! Il suono di una campana nella notte, un suono monotono che si perdeva sulle dune, s'interrompeva, riprendeva. La campana di una chiesa. La chiesa del vecchio cimitero. Guardai stupefatto l'orologio; erano le due e tre quarti. La campana di una chiesa abbandonata che suona a morto a metà della notte... Suonare a morto. La morte di chi?
Balzai dal letto, infilai i pantaloni e su di essi il soprabito. Uscii nel corridoio, feci di corsa le scale. Con mia grande sorpresa, la porta dell'albergo era aperta. Corsi verso le dune, verso il cimitero. Il vento si era levato, e alla debole luce di una luna calante intravedevo i cespugli di frasche che frusciavano malinconicamente. In pochi minuti raggiunsi il cimitero, mi diressi verso il portico della chiesa, completamente al buio. Allora soltanto udii un ansito profondo, affannoso, come di due uomini che lottassero. E si trattava davvero di questo. Nell'ombra intravidi prima un braccio, poi una gamba, infine due corpi avvinghiati che rotolavano sul terreno umido. Subito non potei riconoscerli; e, dopo il primo istante di stupore, balzai verso di loro per dividerli. Ma proprio in quel momento udii un colpo secco, e una delle figure si rovesciò all'indietro e rimase immobile. L'altra si risollevò a fatica, e solo allora, con enorme meraviglia, riconobbi Mitchell. «Mitchell!» esclamai al colmo dello stupore. Mi sembrava incredibile che il compito proprietario dell'albergo fosse in grado di abbattere qualcuno a suon di pugni. «Cosa sta succedendo, in nome di Dio?» L'uomo sussultò; poi passandosi le mani nei capelli spettinati, domandò ansioso: «Cos'ha, dottore? Voglio dire... non gli ho mica fatto troppo male?» Caddi in ginocchio vicino al corpo disteso, che non dava segno di vita. «Chi è?» «Non lo so» rispose Mitchell. «Abbiamo cominciato a picchiarci prima che potessi vederlo in faccia. Il portico era buio, e... Ecco, prendete questa.» Si frugò in tasca e tirò fuori una lampadina. Diressi il fascio di luce sul viso dell'uomo che non dava segno di vita, e riconobbi i lineamenti scialbi e i capelli rossicci di Benjamin Usher. «Quel sangue... quel sangue, dottore...» balbettò Mitchell al disopra della mia spalla. «Non si sarà fatto male? Il signor Usher, uno dei miei clienti, povero me!» «Aiutatemi a trasportarlo sotto il portico» dissi dopo avergli tastato il polso. «Niente di grave, è solo stordito.» Lo sollevai, aiutato da Mitchell, che con voce affannosa intanto spiegava:
«La campana, dottore. Stavo leggendo nella mia camera, quando l'ho sentita suonare. Sono corso qui, spaventato... Capirete, con tutto quel che è successo... Son voluto venire a vedere cos'accadeva di nuovo. Ma appena entrato sotto il portico, qualcuno mi è saltato addosso alle spalle. Io non sono molto bravo nella boxe, ma si trattava di difendermi, e... Il signor Usher, buon Dio! Un cliente così a modo, così...» «Credete che sia stato lui a suonare la campana?» domandai. «Oh, no, no!» si affrettò a rispondere Mitchell, come se avessi fatto una domanda sconveniente. «Una delle persone più note e stimate di Haling! È stato lui che ha seppellito mio padre...» «Be', se non è stato lui sarà stato qualcun altro. Meglio dare un'occhiata qui intorno.» Entrammo nella chiesa, e la luce della lampadina rivelò un vecchio fonte battesimale di pietra, un pulpito in rovina e alcuni banchi di legno tarlato. «La corda della campana» sussurrò Mitchell «è laggiù, sotto il campanile.» Proseguimmo, illuminando con la lampadina a destra e a sinistra; passammo sotto il pulpito, e Mitchell si fermò davanti a una tenda polverosa che sembrava stranamente fuori di posto in quel luogo abbandonato. La sollevò. «La corda... è qui.» Diressi il raggio della lampadina in alto; vidi il baluginare di una finestrella e il debole luccichio della campana. Una grossa corda grigiastra strisciava fino a terra e dondolava leggermente, come se qualcuno l'avesse toccata pochi istanti prima e fosse fuggito sentendoci arrivare. «Naturalmente» dissi «non potevamo aspettarci di trovarlo qui.» Mitchell non rispose. Uscimmo di nuovo nel portico e, mentre mandavo il fascio di luce della lampadina verso il punto dove pochi minuti prima giaceva il signor Usher, udii Mitchell esclamare con voce soffocata: «Se n'è andato. Straordinario!» Illuminai il portico in lungo e in largo, e le tombe fuori. Mitchell aveva ragione; in pochi minuti Usher aveva ripreso i sensi ed era sgusciato via misteriosamente com'era venuto. «Non può essere andato lontano» disse Mitchell, dopo un attimo di silenzio. «È impossibile che se ne sia andato da solo. Bisogna trovarlo, accompagnarlo all'albergo...» In quel momento ricordai le parole pronunciate quella mattina da Sweeney: Barnes sarebbe montato di sentinella sulla spiaggia... E dove
diavolo s'era cacciato, allora? Possibile che non avesse udito la campana? «Signor Usher, signor Usher, dove siete?...» La voce di Mitchell si levò con strane vibrazioni nel profondo silenzio. Uscimmo dal cimitero, salimmo sulle dune, continuando a chiamare. Fu Mitchell a guardare per primo verso l'albergo; e allora la sua voce, tremula e sgomenta, risuonò alle mie spalle. «Dottore! Guardate!» Mi sporsi a guardare il punto che lui m'indicava affannosamente. Nel buio, tremula, incerta, una lanterna cinese descriveva il suo roseo cerchio di luce. E mentre la guardavo divenne più vivida, più sicura. Veniva verso di noi. Gridando a Mitchell di seguirmi, scesi dalla duna e le corsi incontro. «Chi va là?» gridò in quel momento la voce del sergente Barnes. «È il dottor Westlake!» disse un'altra voce. Dietro la luce rosata ormai a pochi passi da noi, scorsi la magra figura del poliziotto e quella massiccia del medico. «Westlake! Cosa fate qui?» esclamò Gilchrist. «E voi Mitchell?» «Abbiamo sentito la campana» risposi. «Ma voi dov'eravate, Barnes? E dove avete preso quella lanterna?» «Stavo sorvegliando la spiaggia, dottore, quando ho visto una luce ai piedi del Monk's Head. Sono andato a vedere e ho trovato questa lanterna. Non son potuto correre qui appena ho udito la campana, perché esploravo i dintorni laggiù. Poi sono venuto subito.» «Già, anch'io ho udito la campana» aggiunse Gilchrist. «Mi sono precipitato qui e ho incontrato Barnes. A momenti gli sparo... Cos'è successo, Westlake?» «Barnes, voi non avete trovato nient'altro che la lanterna? Nessun... nessun... cadavere?» «Proprio niente, dottore. Nient'altro che la lanterna, piantata ai piedi del Monk's Head, come quella volta che è stata uccisa Nellie Wood.» Nonostante le precauzioni di Sweeney, nonostante la guardia di Barnes, il pazzo di Capo Talisman non aveva interrotto la sua orribile attività. In quattro parole spiegai a Barnes e al medico quel che era accaduto nella chiesa. «Se è stato il pazzo a suonare la campana, deve aver avuto un motivo, Westlake» disse Gilchrist. «Ha voluto forse attirare la nostra attenzione su qualcosa... qualcosa che bisogna trovare.» Era quello che avevo pensato anch'io.
«Torniamo indietro!» esclamai. «Torniamo al cimitero, guardiamo fra le tombe... Mitchell ed io non ci abbiamo guardato.» Barnes faceva strada con la lanterna. Pochi minuti dopo, eravamo di nuovo al cimitero. Udivo i respiri ansanti dei miei compagni alle mie spalle. «Venite!» Gilchrist prese la lanterna dalle mani di Barnes e noi lo seguimmo. Sentii sotto i piedi la morbidezza delle zolle fresche mentre passavamo davanti alle tombe della signora Casey e del vecchio Fanshawe. La luce rosata della lanterna, che dondolava davanti a me, si arrestò all'improvviso a mezz'aria. E udii la voce stridula e atterrita di Gilchrist gridare: «Guardate! Guardate!» Eravamo fermi sull'orlo di una tomba appena scavata. In quel primo orribile momento non mi chiesi di chi fosse. La terra era stata rimossa in fretta, aprendo un largo buco profondo circa trenta centimetri. E nel buco, con una vanga di ferro da una parte e una lanterna cinese spenta dall'altra, stava il corpo di una donna. La posizione era fin troppo familiare. Le mani incrociate sul petto, gli occhi chiusi e le labbra atteggiate a un sorriso quasi estatico. La lanterna si abbassò lentamente, ma io avevo già riconosciuto quel viso dalla pelle stranamente tesa, quel lungo abito grigio, quelle mani rozze. La signorina Heywood giaceva nella fossa, pallida, sorridente e... morta. E intorno alla sua gola, visibile, era l'inevitabile sottile cordicella che l'aveva strozzata. Nessuno parlò, nessuno si mosse, tutt'e quattro pietrificati dall'orrore. Poi Gilchrist posò un ginocchio a terra, si sporse verso quel volto privo di vita, sul quale io gettai il fascio di luce della lampadina. L'orecchio, lasciato libero dai capelli, attirò la mia attenzione. Guardai meglio. Una sottile recente cicatrice stava tra esso e la guancia. Con una mano girai lentamente la testa della morta; dall'altra parte, nel punto esattamente corrispondente, era visibile un'altra cicatrice del tutto simile alla prima. Avevo capito il significato delle due cicatrici, e anche il perché di quella pelle tesa in modo così innaturale sul bel viso della signorina Heywood. «Vedete, Gilchrist? Vedete queste cicatrici? Sono recenti» dissi. «Un'operazione di plastica che ha avuto per scopo di "rialzarle" la pelle.» «Rialzarle la pelle?» ripeté sbalordito il medico, che si chinò ancora di più.
In quel momento la voce di Barnes, traducendo il pensiero di tutti noi, risuonò vibrante: «L'ha uccisa il pazzo che ha ucciso Nellie e Maggie. Ma dove sono... dove sono il neo e il cerchio?» Allora Mitchell fece udire la sua voce... un gemito strozzato: «La tomba... L'hanno uccisa sulla tomba di mio padre!» Me ne resi conto in quel momento. La signorina Heywood giaceva nella terza tomba a partire dall'albero. Signora Casey... signor Fanshawe... signor Mitchell... La figura di Buck Valentine mi balenò davanti agli occhi. Buck la notte prima nel cimitero con la signorina Heywood; Buck che scappava per evitare di ascoltarmi; e la strana domanda di Buck: "Dove si trovano esattamente le tombe di Fanshawe e di Mitchell?"... Mi chinai ancora una volta sul corpo senza vita; e soltanto allora notai che il lungo abito grigio, sui fianchi, era stracciato e come allentato. «Alzatela, Gilchrist. Voltatela.» La mano di Gilchrist la prese per una spalla, io per l'altra; adagio dolcemente, la voltammo. Vidi subito che cosa era successo: l'abito della signorina Heywood era stato lacerato dalle spalle alla cintura; il suo dorso, nudo e bianco, premeva contro il terreno umido. Sulla scapola sinistra, una mano aveva cominciato a tracciare il cerchio scarlatto. Ma si era fermata a metà; e nel centro, dove avrebbe dovuto trovarsi il neo, non c'era nulla. Proprio nulla. 20 Alla luce incerta della lanterna cinese che Barnes aveva trovato sulla spiaggia, ci raccogliemmo intorno al corpo della signorina Heywood. Cadde un altro lungo silenzio, rotto da Barnes il quale annunciò che sarebbe andato a Capo Talisman a telefonare a Sweeney. Lui scomparve nel buio, e Mitchell riuscì a ricomporsi almeno quel tanto necessario per poter pensare ai suoi interessi. Cominciò a lamentarsi: «La signorina Heywood! Un'altra ospite del mio albergo! Anche lei una donna così quieta e raffinata!» Non mi trovavo d'accordo con lui nel definire la personalità della signorina Heywood, né condividevo il suo rincrescimento per la morte della
donna. Non mi sarei mai aspettato che l'assassino scegliesse lei come terza vittima, e questo non faceva che rendere sempre più fitto il mistero. Avevo sperato di trovare la soluzione attraverso lei, ma questa speranza era scomparsa. Guardai i suoi capelli, troppo neri, dai riflessi metallici e leggermente rossastri alla radice. Ero quasi certo che fossero tinti. Capelli tinti, operazione di plastica. Quanti sforzi aveva fatto, la signorina Heywood, per conservare l'illusione della giovinezza! Non so quanto tempo rimanemmo in silenzio a riflettere. L'arrivo di Sweeney e d'un gruppo di agenti interruppe le nostre meditazioni. L'ispettore era al massimo della tensione, e naturalmente se la prese col povero Barnes il quale, disse, invece di far la guardia sulla spiaggia aveva permesso che sotto i suoi occhi avvenisse un terzo delitto. Ma era fin troppo chiaro che l'assassino, sapendo che Barnes avrebbe sorvegliato la spiaggia, lo aveva tratto in inganno con la lanterna cinese piantata ai piedi del Monk's Head. Compiuto il delitto, mentre il sergente cercava dalla parte opposta, aveva suonato la campana della chiesa - grandioso e tipico esibizionismo di un pazzo - per richiamare l'attenzione. Gilchrist ed io facemmo del nostro meglio per scagionare il buon Barnes. Sweeney finì con l'ammettere di mala voglia che poteva anche essere andata così. Tuttavia, verso di me si mostrò del tutto indifferente. Non mi parlò, come se non esistessi, e quando venne il momento di portare il cadavere ad Haling, non m'invitò a seguirli. Mitchell ed io rimanemmo soli sulle dune, e riprendemmo malinconicamente la strada verso l'albergo. Eravamo appena entrati nel vestibolo quando fummo investiti dal signor Usher, l'occhio sinistro gonfio e tumefatto e l'aria impaurita. «Ah, signori miei, cosa è successo?» esclamò. «Ho sentito suonare la campana, sono corso a vedere e... e qualcuno mi è balzato addosso e mi ha preso a pugni. Io...» «È stato Mitchell» risposi, mentre il padrone dell'albergo arrossiva confuso. «Ha creduto che foste il pazzo.» «Mi dispiace...» intervenne Mitchell. «Ho visto un'ombra, qualcuno che usciva dalla chiesa. Non avevo idea...» «Oh niente, niente» mormorò vagamente Usher. «Un errore più che naturale. Anch'io vi ho creduto... ehm... l'assassino. E» aggiunse in tono quasi reverente «è stato trovato un altro cadavere?» Mitchell si affrettò a informarlo, e poiché quei due che confabulavano
fra loro non avevano per me alcun interesse, li lasciai e salii in camera mia. Passando davanti alla porta di Buck mi soffermai ad ascoltare: giungeva fino a me il respiro calmo e un po' pesante dell'uomo addormentato. Buck dormiva o fingeva di dormire. Comunque era nella sua stanza. A letto, cominciai a pensare alla signorina Heywood. Se era implicata nei due delitti precedenti fino a lasciarci la vita, da lei poteva ancora venire la soluzione del mistero. Chi era, quella donna? Quando era venuta a Capo Talisman? E perché? Pelle tirata... capelli tinti... mani rozze... A un tratto mi balenò alla mente un'immagine del giorno prima, l'immagine della signorina Heywood che si alzava di scatto e se ne andava quasi di corsa prima dell'arrivo del dottor Gilchrist. Quella donna aveva conosciuto il medico, ma adesso non voleva rinnovare la conoscenza. Lo avevo già pensato, ma solo in questo momento tale fatto acquistava un grandissimo significato. Perché non l'avevo intuito prima? Con un minimo di fortuna avrei potuto, se non altro, mettere in luce uno dei più interessanti capitoli della sua vita. Bastava che ottenessi da Sweeney il permesso di fare un viaggetto, il giorno dopo. E con questo pensiero mi addormentai, tranquillo come un uomo che ha concluso degnamente la sua giornata di lavoro. La mattina seguente, avevo appena finito di far colazione quando apparve l'ispettore. Gli andai incontro. «Volete farmi un favore, Sweeney?» cominciai. E poiché lui apriva la bocca per rimandare a più tardi, ripresi in fretta: «Non vi faccio perder tempo. Voglio solo un biglietto di presentazione per qualcuna delle autorità del penitenziario femminile di Haling. Voi conoscete tutti, basta un vostro biglietto...» «Al penitenziario?» ripeté Sweeney, la cui curiosità cominciava a risvegliarsi. «Che cosa volete andare a farci, Westlake?» «Pura curiosità, Sweeney» risposi sorridendo. «Curiosità! Questi poliziotti dilettanti! Qualcosa che ha relazione coi delitti?» «Può darsi.» «Be', è ora che facciate qualcosa.» Tirò fuori dal portafoglio un biglietto da visita, vi scarabocchiò qualche parola e me lo porse: «Ecco. Datelo alla direttrice. È una donna in gamba, vale più di un uomo. Vi darà tutte le informazioni che desiderate.»
«Grazie.» Ottenni in prestito da Mitchell la sua automobile, e mi misi in viaggio per la squallida landa che portava al penitenziario. Vi giunsi dopo mezz'ora di strada. Suonai al pesante cancello di bronzo, e alla donna che venne ad aprire mostrai il biglietto di Sweeney. Pochi minuti dopo, ero alla presenza della direttrice, una donna alta e dignitosa dai capelli grigi e dagli occhi azzurri. «Buongiorno, dottor Westlake» disse. «Ho letto il biglietto dell'ispettore Sweeney. Sono lieta di poter esservi utile.» «Sono alla ricerca di una donna» cominciai. «Una donna di cui non so nulla, neanche il nome. E posso dirvi ben poco di lei. Era alta e magra, aveva gli zigomi molto sporgenti e gli occhi verdi. Un tipo distinto direi. La mia idea è che sia stata una delle vostre prigioniere, spacciatrice di cocaina, e rimessa in libertà solo da qualche mese. Non è possibile che voi...» «Oh, ma è semplice!» sorrise la direttrice. «Non può essere che Lena Darnell. Risponde alla descrizione, è stata condannata appunto per traffico di stupefacenti e rilasciata pochi mesi fa.» La mia intuizione non aveva sbagliato, dunque. Una signora quale pretendeva di essere la Heywood, non avrebbe avuto le mani rozze e ruvide, mentre una donna che aveva lavorato in un penitenziario non poteva averle diverse. Ma, a rassicurarmi ancor di più su questo punto, c'era il fatto che la donna era letteralmente fuggita all'arrivo del dottor Gilchrist. Più che logico che una ex prigioniera non volesse rivedere il medico del penitenziario. Che lui non l'avesse riconosciuta, non provava nulla. Anzitutto, la sua fisionomia era radicalmente mutata. In secondo luogo, un medico che vede centinaia di prigionieri ogni giorno, li riconosce assai meno facilmente di quanto loro non possano riconoscere lui. Questa era la ragione che mi aveva condotto al penitenziario. E il nome di Lena Darnell suonava davvero promettente. «Vi accompagno in archivio» continuò la direttrice. «Vi mostrerò le fotografie di Lena Darnell, e voi potete riconoscerla o meno.» Mi precedette, attraverso un corridoio, in una stanza lunga e stretta, dove una donna anziana dagli occhiali cerchiati di tartaruga stava seduta a una scrivania. «Signorina Webb!» disse la direttrice. «Il dottor Westlake vuol vedere la scheda di Lena Darnell.» «Subito.» La signorina Webb si avvicinò a uno scaffale, cercò un momento, poi tirò fuori due schede rettangolari e me le portò. Sull'angolo a
sinistra della prima, era incollata una fotografia. La guardai attentamente; nonostante i capelli brizzolati, nonostante la pelle non tirata, quello era senza possibilità di sbagli il viso della signorina Heywood. Sotto la fotografia era scritto a macchina il nome di Lena Darnell; seguito da numerosi "alias", nessuno dei quali era Heywood. E la scheda m'informò che la signorina Lena Darnell aveva già subito tre condanne, sempre più lunghe, per traffico di stupefacenti. La seconda scheda descriveva brevemente i caratteri somatici della persona in questione, e li scorsi brevemente. Poi i miei occhi scivolarono in fondo alla scheda e sussultai. Sotto la voce segni particolari stava scritto: grosso neo sulla scapola sinistra. Per un istante questo non mi disse nulla. Poi, in un lampo, mi disse praticamente tutto. Nel mio cervello turbinava un'idea straordinaria. «Dunque, avete trovato?» domandò la direttrice, che mi osservava. «Se ho trovato!» cominciai. Ma tacqui di colpo, gli occhi fissi all'angolo opposto della scheda. Come se il primo colpo non fosse stato sufficiente, quest'altro mi lasciava senza respiro. In fondo alla scheda era scritto: Cella N° 3672. Compagna di cella: Cora Lasky. «Cora Lasky!» esclamai, guardando la direttrice. «Non era per caso la ladra di gioielli, Cora Mitchell?» «Infatti. Lasky era il suo nome da sposata; ma tutti continuavano a chiamarla Mitchell. Lena Darnell è stata rilasciata sei mesi dopo la morte di Cora, mi pare. Sono state compagne di cella per circa tre anni.» Restituii le schede alla sbalordita signorina Webb. «Ascoltate» dissi «non potrei parlare con qualcuno che m'informasse sull'arresto di Cora Mitchell, sui particolari dell'arresto... tutto, insomma?» La direttrice, che pareva saper tutto, pensò un momento, poi rispose: «Credo di sì... Una donna, condannata a vita, che passa la giornata a parlare con le sue compagne. Volete provare?...» Assentii con slancio, mentre la signorina Webb mi porgeva due schede di Cora Mitchell. Guardai come affascinato il viso bellissimo della donna bionda, quel viso che mi parve subito stranamente familiare. Ma non per una somiglianza con suo fratello, il padrone dell'albergo, non per questo. Quella bocca forte, ben disegnata, sensuale... dove, dove l'avevo già vista? «Quando volete, dottore, vi accompagno alle celle...» disse la direttrice. Restituii le schede alla signorina Webb e seguii la direttrice lungo i cupi
corridoi di pietra, prestando orecchio distratto alle sue spiegazioni. Ero troppo ossessionato dal pensiero che mi occupava interamente. Davanti alla porta chiusa di una cella, la direttrice si fermò un momento. «La donna che conoscerete è un tipo piuttosto strano» disse. «Si chiama Ruth Mallory, e viene da un paese molto vicino a Capo Talisman. Trentacinque anni fa avvelenò il marito, per riscuotere un premio di assicurazione di mille dollari. Un delitto brutale, premeditato.» Entrai con lei, aspettandomi di vedere una vera e propria incarnazione del demonio. Invece mi trovai di fronte a due vecchiette dall'aspetto dolcissimo, l'una intenta a lavorare a maglia, e l'altra a ricamare un cuscino. «Buongiorno Doris, buongiorno Ruth» disse la direttrice. «C'è una visita per te, Ruth.» Ruth Mallory alzò il volto rosso, incorniciato di capelli candidi, dal lavoro a maglia, e sorrise come una buona donnina. «È sempre un piacere, per me, parlare con gente di fuori» rispose gentilmente. La direttrice la invitò a seguirci nel suo ufficio. Dopo averla fatta sedere, riprese: «Il dottor Westlake viene da Capo Talisman, e vuol sapere di Cora Mitchell. Non è così, dottore?» «I particolari del suo arresto... chi era presente, com'è avvenuto. È questo che voglio sapere.» «Cora» la vecchia scosse lentamente la testa, «si confidava con me, come quasi tutte qui dentro. Una ragazza in gamba, usava dire che lei e suo marito avevano commesso almeno una dozzina di furti in grande stile, prima che li pescassero in seguito all'affare Hogan. E sono sicura che non esagerava.» Fece una pausa. «E poi, il diamante nero, sicuro. Valeva una fortuna. Ed è riuscita a nasconderlo in un luogo sicuro; per quanto fossero convinti che l'aveva addosso, quando l'hanno arrestata. «Non era buona, Cora Mitchell, ma adorava suo padre. E arrischiò la vita pur di vederlo ancora prima di morire...» «Ma non riuscì, vero? Suo padre era morto un paio di giorni prima che lei arrivasse a Capo Talisman.» «Sicuro, il vecchio John Mitchell» riprese la vecchia guardando nel vuoto. «Eravamo lontani parenti. Ricordo, Cora bambina, e suo fratello, un ragazzo strano che non giocava mai con gli altri. Mi hanno detto che guadagna un sacco di soldi con l'albergo. Ma, tornando a Cora, fra lei e il fratello non correva buon sangue. Lui era a casa la sera che lei arrivò, andando a
cadere nella trappola, e non le disse una parola. Sapete, la polizia l'aspettava. Jo Barnes l'arrestò... anche lui l'ho visto piccino... Lei entrò e Jo era pronto con le manette.» «E suo padre era già morto?» «Sicuro, due giorni prima. Il becchino si trovava in camera quando lei arrivò.» «Il becchino!» esclamai. «Sapete per caso...» «Era il signor Usher. Venne qui a trovare Cora, una volta, per dirle che suo padre aveva avuto un funerale decoroso.» «Continuate!» la sollecitai eccitato. «Bene... Cora pregò che le lasciassero vedere un momento suo padre. Il fratello non voleva. Ma Jo Barnes, un brav'uomo, l'accompagnò lui stesso di sopra, così come si trovava, già ammanettata. Poté appena chinarsi sulla cassa e baciare suo padre, poi la trascinarono via. Sì; se non avesse voluto accorrere al letto di morte di suo padre, non sarebbero mai riusciti a prenderla, credo.» «Eravate con lei, quando è morta?» chiesi. «No. C'era soltanto Lena. Il dottore, gentilmente, me lo avrebbe permesso. Ma non mi piace veder morire la gente. E poi, Cora aveva delirato parecchio. Sembra che l'ultima visita fatta a suo padre le tornasse alla mente. Diceva cose come questa: "Voglio baciare il suo cadavere...", e via discorrendo. Terribile, dottore. Alla mia età non avrei potuto sopportarlo.» Rabbrividì leggermente. «E poi suo figlio. Ha lasciato un figlio, sapete... povero ragazzo! Qualcuno l'adottò, quando lei fu arrestata. Non l'ha più visto; non ha più saputo niente di lui. Ma ha sempre tenuto con sé la fotografia... che bel bambino!... Il più bello che abbia mai visto. Biondo, con un faccino!... Povera Cora, quando si ammalò l'avrebbe voluto accanto al letto.» Quella incantevole vecchia assassina, con i suoi strani discorsi, mi dava le informazioni più interessanti che avessi potuto desiderare. «Cora e Lena» continuò Ruth Mallory «erano inseparabili. Tremende tutt'e due, ma amiche per la pelle. Be', adesso non c'è più né l'una né l'altra: una è morta, l'altra è uscita. Senza di loro stiamo meglio.» «Una domanda ancora.» Mi voltai verso la direttrice. «Cora Mitchell è stata sepolta qui in carcere, immagino.» «Sì» rispose la donna. «Qualche parente avrebbe potuto richiedere il corpo, ma nessuno lo fece. In tal caso, le prigioniere vengono sepolte qui.» Mi alzai. «Capisco. Bene, credo che questo sia tutto. Grazie infinite. E grazie an-
che a voi, signora Mallory.» La Lucrezia Borgia britannica sorrise dignitosamente e tornò nella cella dove aveva passato trentacinque anni della sua vita e dove indubbiamente avrebbe passato il resto dei suoi giorni. 21 A metà strada fra il penitenziario e Capo Talisman fui colto da un inatteso quanto furioso temporale. La pioggia formava una specie di muro davanti al parabrezza della macchina, e a cinque chilometri circa dal villaggio l'automobile, affondata in una pozzanghera, si fermò e non diede segno di voler riprendere la strada. In circostanze normali, sotto un simile diluvio, avrei aspettato pazientemente che smettesse di piovere. Ma ero conscio della mia responsabilità come l'unica persona in possesso della chiave dei delitti. Bisognava affrettarsi; ogni minuto diventava prezioso. E l'unica speranza di una rapida conclusione era contenuta in un pronto ritorno a Capo Talisman. Sotto i rovesci di pioggia e il vento furioso, senza impermeabile e senza cappello, percorsi alla mercé di Dio la distanza che mi divideva dall'albergo. Mitchell stesso venne ad aprirmi, ed io mi lasciai cadere esausto in una poltrona, grondando acqua come un pulcino. «Dottor Westlake, siete stato fuori con questo uragano, il peggiore dell'anno!» esclamò Mitchell disperato. «Ho paura che l'albergo non resista. Ho paura...» In quel momento arrivò il cuoco ad avvertire che il tetto lasciava filtrare la pioggia e l'acqua si rovesciava in cucina. Corsi dietro a Mitchell che, assieme al cuoco, cominciò a mettere al sicuro, al riparo dall'acqua, i vari utensili di cucina. «Mitchell» dissi «debbo parlarvi subito.» Il cuoco si allontanò poco dopo, chiamato da Fanshawe, ed io rimasi solo col padrone dell'albergo. «Dottore, non potete aspettare?... C'è tanto da fare, adesso, tanto da...» «Nulla è più importante di questo, Mitchell. Ditemi: Buck Valentine... è vostro nipote, vero?» Il viso già pallido di Mitchell divenne grigio. «Dottore, che cosa?...» «Vengo dal penitenziario di Haling. Ho saputo là che Cora Mitchell aveva un figlio, ho visto la sua fotografia. La bocca, il naso, gli occhi...
Buck è figlio di Cora. Per questo l'avete fatto lavorare qui, benché non aveste un vero e proprio bisogno del maestro di nuoto; per questo vi preoccupavate tanto per lui, fornendogli quell'alibi assurdo a proposito di Maggie. È vostro nipote.» Mitchell boccheggiava; ritrovò la voce a stento. «Be', poiché lo sapete già... Sì, Buck è figlio di Cora. Era un bambino quando suo padre morì e Cora fu arrestata. Lei, non potevo perdonarla; ma il bambino era un'altra cosa... Ho fatto tutto piuttosto in segreto, si capisce, non volevo che Buck sapesse di che bei genitori era figlio. L'ho fatto studiare, e poi gli ho dato un lavoro qui, al mio albergo...» «Non gli avete mai detto nulla, vero? Ma qualche giorno fa lui ha saputo...» «Ma sì, sì...» «Ieri ho udito per caso un brano di conversazione tra voi due... nel vostro ufficio, Buck diceva: "Dobbiamo trasportare il suo corpo, in un modo o nell'altro...". Credevo che parlasse di qualcuno nel cimitero. Invece parlava di Cora, eh?» «Sì, sì... Capirete, aveva appena saputo che... Era assai turbato, ed è stata una discussione piuttosto tempestosa. ..» «Capisco, capisco. Grazie, Mitchell. È tutto quello che volevo sapere.» Corsi alla ricerca di Buck. Lo trovai nella veranda; puntellava con chiodi e martello il tetto pericolante. Per qualche minuto fui costretto ad aiutarlo, mentre l'acqua si rovesciava sui vetri con crescente violenza; poi mi lasciai cadere su una sedia e cominciai: «Buck, torno adesso dal penitenziario di Haling. So che siete figlio di Cora Lasky...» Vedendo che s'irrigidiva, aggiunsi in fretta: «Non preoccupatevi, Buck. Non andrò in giro a gridare ai quattro venti la notizia. Ma dovete aiutarmi. È molto importante per quanto riguarda i delitti.» «I delitti?» Buck trasalì. «Come sarebbe a dire?» «La sera che sono entrato in camera vostra e ho visto la signorina Heywood... Vi aveva appena parlato di vostra madre, vero? Vi aveva anche detto che dividevano la stessa cella nel penitenziario?» «Dividevano la stessa cella? No, niente di questo. Mi ha detto soltanto che era una sua amica, che l'aveva vista prima che morisse, e che esaudiva il suo desiderio di rivelarmi la verità.» «Ho capito» dissi meditabondo. «Ma quello che voglio sapere, adesso, è come ha potuto persuadervi a scavare nel cimitero.» Buck mi guardò sgomento, poi si passò una mano sui capelli.
«Ero così... sconvolto» rispose. «Non sapevo se andare o no. La storia di Cora Mitchell la sapevo anch'io, come tutti da queste parti. E adesso... di punto in bianco scoprivo che era mia madre. Potete immaginare i miei pensieri, la mia emozione... e la signorina Heywood disse che mia madre, la quale aveva avuto una vera e propria adorazione per suo padre, aveva espresso il desiderio che il corpo del nonno venisse rimosso dal cimitero vecchio e tumulato in quello nuovo, più sicuro. Mitchell, che avrebbe potuto farlo facilmente attraverso l'ufficio sanitario, si era rifiutato. Per non far chiasso, per non far sapere agli altri che io ero il figlio di Cora...» «La Heywood vi suggerì di farlo voi stesso, col suo aiuto, di notte» finii io, che finalmente capivo. «Proprio» annuì Buck arrossendo. «Può sembrare una storia incredibile, assurda, ma ero così scombussolato che acconsentii. Disse che voi lo sapevate e, quindi, potevate dirmi dove si trovava la cassa. Il progetto era di nasconderla dietro qualche duna per costringere poi Mitchell ad acconsentire al trasporto. Ma qualcuno arrivò mentre stavamo scavando, e noi dovemmo andarcene in fretta. E la tomba non era nemmeno quella di mio nonno, ma quella del padre di Fanshawe... vero?» A uno a uno, i pezzi di quel fantastico mosaico andavano insieme. La signorina Heywood si era servita della naturale ingenuità e del turbamento di Buck per un suo scopo preciso; e, soprattutto, per mezzo suo era riuscita a sapere l'esatta ubicazione della tomba del vecchio Mitchell. «Poi» continuò Buck «ieri mi avete detto che la Heywood era una spacciatrice di cocaina. Ero già abbastanza pentito di quel che avevo fatto, cosicché decisi di non voler più saperne di lei e, quando mi chiese di aiutarla anche ieri sera, rifiutai... Per fortuna, vero?» mormorò con un pallido sorriso. «Altrimenti ci sarei andato di mezzo un'altra volta.» Preferii non dirgli fino a che punto era stato fortunato. «Bene» feci alzandomi. «Vi ringrazio, Buck. Mi siete stato molto utile, non potevate esserlo di più.» Adesso non mi restava da fare che una cosa, vedere Barnes, rivolgergli una domanda, una sola. Poi andare da Sweeney. Nel mio entusiasmo avevo dimenticato l'uragano, che imperversava con rabbia devastatrice. Con le linee telefoniche interrotte, per il momento era impossibile rintracciare Barnes, e tanto meno Sweeney. Poco dopo, ci trovammo riuniti nella sala da pranzo dell'albergo: i due Fanshawe, Usher - scesi tutt'e tre dalle loro camere - Buck e io. In silenzio, guardavamo dalla finestra la furia della pioggia, che scrosciava violenta
contro i vetri, batteva sul tetto, scorreva in rivoletti davanti alla porta d'ingresso, sul terreno tramutato in un pantano. L'oceano mugghiava spaventosamente, i cavalloni impazziti si rovesciavano sul vecchio cimitero, devastandolo completamente. A un tratto, la porta che dava in cucina si aprì, lasciando entrare l'unica cameriera rimasta. «Oh, dottor Westlake!» disse la donna venendo verso di me. «Non sapevo che foste tornato. È arrivato questo telegramma per voi... L'ha portato il fattorino poche ore fa; dice che l'indirizzo non era completo e non sapeva dove rintracciarvi...» Mi porse il foglietto giallo, che aprii con un vago senso d'inquietudine. E mi parve che all'improvviso il mondo si rovesciasse su di me. Il telegramma diceva: "Terribilmente preoccupata; bambini non sono arrivati. Cosa è accaduto? Prego telegrafarmi subito. Zia Mabel." Rimasi a fissare stupidamente le parole del messaggio. I ragazzi sarebbero dovuti arrivare alle sei. La zia Mabel aveva mandato il telegramma alle sette e trenta. Non erano arrivati. La mia bambina e Bobby non erano arrivati. «I ragazzi» dissi a Virgil Fanshawe che si era voltato verso di me «non sono arrivati.» «Impossibile» mormorò Fanshawe diventando pallido, mentre Marion lo guardava con occhi inespressivi. «Cosa può essere accaduto? Voi stesso li avete messi sul treno!» Nel mio cervello vi era una gran confusione d'idee. Tante cose, cui prima non avevo badato, adesso mi tornavano alle mente. La strana docilità di Dawn dopo la sua veemente protesta al mio ordine di partire; la sua insistenza per farsi accompagnare da Bobby; quei ridicoli tre dollari e quarantasei centesimi che avevano domandato con tanta insistenza... Se avessero deciso di tornare a Capo Talisman? Dawn era capacissima. E se in quel momento, in seguito a chissà quale sciocco, infantile progetto, si fossero trovati sulle dune, in balìa dell'uragano? «Non penserete che li abbiano rapiti, Westlake... In nome di Dio, perché li abbiamo lasciati andar soli? Voi non potevate muovervi, ma io... io che non avevo niente da fare...» S'interruppe. Intuivo il suo pensiero. Martin era morto, in parte per colpa sua. E adesso Bobby... Guardai Marion. Il suo viso, mortalmente pallido, era simile a una maschera di pietra.
In quel momento si udirono nel vestibolo voci e rumori. «Aiutatemi a chiudere la porta» diceva Mitchell. Poi il sergente Barnes, in impermeabile e stivaloni, apparve sulla porta. Cinque minuti prima, era l'unica persona al mondo che desiderassi vedere. Adesso lo notai appena. «Vengo dal villaggio attraverso il cimitero» disse, ansando.'«Questa volta se ne va davvero. Le onde sono già arrivate fino al portico. Non mi meraviglierei che anche la chiesa crollasse.» Scosse la testa. «Sto diventando anch'io cretino come le vecchie del villaggio. Attraversando il cimitero, avrei giurato di sentire dei rumori, nella chiesa... Voci, direi. Voci che cantavano. Voci sottili, acute, di bambini.» «Di bambini!» Mi voltai verso Fanshawe come impazzito. «I bambini!» gridai. «Sono là!» «Nella chiesa?» «Sì, ne sono certo!» L'afferrai per un braccio. «Andiamo, su!» Mi seguì senza dir parola. In quel momento risuonò la voce di Marion. «Virgil!» Corse verso di noi, si aggrappò al braccio del marito. «Non sai se i bambini sono là! Non puoi uscire con questo uragano... Potrebbe accaderti qualcosa. Il sergente dice che il cimitero è spazzato via... Vuoi essere trascinato in mare anche tu?» Fanshawe si liberò con uno strattone, e uscimmo di corsa, mentre la voce atterrita di Marion risuonava sempre più debole alle nostre spalle. 22 Non ho che un vago ricordo di quel terribile viaggio attraverso le dune. Persi di vista Fanshawe non appena uscimmo dall'albergo; un turbine di vento e uno scroscio di pioggia c'investì, separandoci. Trovai la strada per il cimitero unicamente guidato dall'istinto. La paura per Dawn mi spronava. Nel subcosciente, per così dire, continuavo a pensare ai delitti. Il terribile uragano poteva cambiare tutto, per l'assassino, render vana la morte delle tre donne e strappargli il successo al momento di raggiungerlo. Poteva anche annullare la mia soluzione, però. Avevo abbastanza buon senso per rendermene conto. Mi parve di camminare per ore e ore. A un tratto, quando avevo già perduto la speranza di raggiungere il cimitero, inciampai in un ostacolo che riconobbi per una pietra tombale. Una tomba! Per un miracolo, ero arrivato. Ma il promontorio aveva cambiato aspetto. Il mare ribolliva a pochi pas-
si da me. Il giorno prima quelle tombe erano a considerevole distanza dall'oceano; questo significava che le onde avevano già raggiunto la parte del cimitero dov'erano le tombe di Mitchell, di Fanshawe, della signora Casey, e dove la notte prima la signorina Heywood aveva compiuto le sue ricerche. Vidi profilarsi davanti a me la sagoma della chiesa e subito dopo intravidi la figura di Fanshawe arrancare faticosamente nel terreno ridotto ormai a una sabbia mobile. Gli andai vicino, lo presi per il braccio; non avevo mai visto un uomo così bagnato e col viso così stravolto. Con un ultimo sforzo riuscimmo a trovare la porta della chiesa, sulla quale le onde battevano irosamente. L'interno non era che una pozza d'acqua. Cominciai a gridare il nome di mia figlia, dirigendomi faticosamente verso la tenda dietro l'altar maggiore che nascondeva l'apertura del campanile, seguito da Fanshawe che chiamava disperatamente Bobby. Allungai una mano, strappai la tenda polverosa che cadde nell'acqua, e urlai: «Dawn!» In quel momento vidi i bambini. Una specie di vano era aperto nel muro, a più d'un metro e mezzo d'altezza. Accoccolati in uno stato indescrivibile, Dawn e Bobby ci guardavano come due gufi giovani e spaventati. Mi misi a balbettare: «Grazie a Dio! Grazie a Dio siete qui... Fanshawe!» strillai. «Fanshawe! Sono qui, sono salvi!» I ragazzi mi guardarono con benevola indifferenza, come se fossi capitato giusto per il tè. «Ciao, papà» disse Dawn; poi tirò fuori la mano che teneva nascosta dietro la schiena e si strinse affettuosamente al petto un orribile pezzo di salsiccia. Fanshawe mi aveva raggiunto. Tese le braccia, e Bobby si lasciò scivolare dalla nicchia, mentre Dawn faceva altrettanto con me. Appena usciti dalla chiesa, un cupo fragore alle nostre spalle ci disse che almeno uno dei muri era crollato. 23 Il ritorno fu laborioso, ma un poco della violenza dell'uragano aveva ceduto. L'ingresso all'albergo fu drammatico, ma la scena che seguì lo fu ancora di più. Marion, ritta ai piedi delle scale, non si era mossa. I suoi occhi andarono lentamente da Virgil a Bobby, dapprima spauriti poi, illuminandosi a poco
a poco, come se si rendesse conto che ciò che aveva creduto allucinazione era invece realtà. Virgil la guardava timidamente, stringendo nella sua la mano di Bobby. Bobby guardò sua madre; poi, solennemente, sternuti. Una, due, tre volte. Quel piccolo suono umano parve spezzare l'incantesimo. Con un gemito, Marion corse verso suo figlio, lo sollevò tra le braccia, lo strinse disperatamente. I suoi occhi splendevano, le labbra tremavano. «Bobby!» sussurrò. «Bobby mio!» Poi guardò suo marito. «Virgil, caro, l'hai salvato! Virgil, hai salvato la vita di Bobby!» Tese la mano al marito. L'odio, la repulsione fisica l'avevano lasciata. Anche il suo corpo era diverso, rilassato, ammorbidito. Ormai non era altro che una giovane moglie che aveva tremato per il figlio e per il marito. Virgil sorrideva debolmente, ancora incredulo. «Andiamo» disse. «Bisogna cambiare Bobby. È tutto inzuppato.» «Sì, sì.» Marion posò a terra il bambino, lo prese per una mano. Virgil lo prese per l'altra, e insieme si avviarono su per le scale, evidentemente dimentichi di noi. Marion sorrideva raggiante al marito. «Anche tu, caro, sei fradicio. Devi cambiarti anche tu, o prenderai una polmonite.» Era accaduto un piccolo miracolo. Virgil aveva salvato Bobby, e questo, nella mente di Marion, aveva riscattato la sua colpa verso Martin. Il ghiaccio che le fasciava il cuore si era sciolto, e lei finalmente tornava a vivere. Rimasto solo con Dawn, l'accompagnai in camera, le ordinai di far subito un bagno caldo, poi la misi a letto coprendola ben bene. Ero sicuro che, grazie alla sua costituzione di ferro, fisicamente non avrebbe sofferto dell'avventura. Solo allora, riuscii a ottenere da lei un racconto completo di quanto era avvenuto. Dawn aveva aizzato Bobby contro la zia Mabel e la sua casa. Insieme, avevano deciso di scendere alla prima stazione dopo Capo Talisman e, scelta la vecchia chiesa come loro quartier generale, avevano stabilito di vivere alla maniera degli zingari per un paio di giorni, aiutati dalla cospicua somma (tre dollari e quarantasei) che erano riusciti a carpirmi, presentandosi poi a noi e mettendoci davanti al fatto compiuto. L'uragano non era stato preventivato, ma li aveva divertiti infinitamente. Il soggiorno nella chiesa era stato divino e, quanto ai delitti, Dawn non ne accennò. O li aveva dimenticati o non le parevano degni di attenzione. «Ma, in nome di Dio, perché hai fatto questo? Lo sapevi che ti mandavo
via perché non eri al sicuro, qui! Sapevi che...» «Ma sì, sì: sapevamo tutto... Ma dovevamo tornare. Tu non capisci... Dovevamo trovare il diamante nero! Questa è la cosa più importante.» Sorrise misteriosamente. «E l'avremmo trovato, credo. Anzi forse l'abbiamo trovato.» La guardai, rivivendo la mia terribile angoscia, ripensando alla chiesa crollata un minuto dopo che noi eravamo usciti. Ero stato lì lì per perdere Dawn. E invece non l'avevo perduta. Da padre fatto veramente di pasta frolla, mi chinai su di lei e, anziché sgridarla severamente, la baciai sulla punta del naso. Potevo dedicarmi di nuovo ai delitti, adesso. Barnes era all'albergo, gli avrei fatto la domanda che tanto mi premeva. Ma un colloquio con lui non era più sufficiente, ormai. L'uragano, devastando il vecchio cimitero, aveva anche sconvolto il mio progetto. Quando avevo lasciato il penitenziario, tutto era chiarissimo nella mia mente. Adesso tutto era mutato... così mutato che, nonostante la tecnica perfetta, poteva ancora risolversi in un fiasco solenne per me. E se questo fosse accaduto, anziché guardarmi con ammirazione, Sweeney mi avrebbe riso in faccia. E il pazzo di Capo Talisman avrebbe potuto abbandonare la sua sanguinosa attività e ritirarsi a coltivar rose. Grandemente preoccupato, corsi giù alla ricerca di Barnes. Nel vestibolo trovai i Fanshawe, Buck e Mitchell che parlavano animatamente e s'infilavano gl'impermeabili. «Cos'è successo?» domandai. «E Barnes non c'è?» «No» rispose Mitchell. «È appena uscito. L'hanno mandato a chiamare dal paese. L'uragano ha spazzato via le bare dal cimitero vecchio, che adesso vagano sul mare... e la gente tenta di recuperarle. Andiamo anche noi, dottore. La tomba di mio padre era nel cimitero vecchio, lo sapete...» I Fanshawe erano già usciti, perdendosi nella pioggia; Mitchell e Buck li seguirono, lasciandomi solo. Ma quasi immediatamente comparve il signor Usher, avvolto in un lugubre impermeabile nero. «Avete sentito, dottore? Dio punisce gli abitanti di Capo Talisman per aver troppo negletto i loro morti e non aver dato loro onorata sepoltura. Andiamo, dottore... tutti dobbiamo andare.» Fui lì lì per rifiutare, ma improvvisamente capii che questo era quanto di meglio potevo desiderare. Poco prima, mi lamentavo di non aver la prova necessaria alla soluzione del delitto. Adesso potevo ottenerla. Afferrai un impermeabile gettato su una sedia e corsi alla porta.
Il vento era considerevolmente diminuito, e la pioggia aveva quasi smesso di cadere. Al posto delle dune non era rimasta che una desolata landa sabbiosa, e il livello delle onde era salito di almeno trenta metri oltre il normale. Capo Talisman non sarebbe stato mai più quello di prima. Quando arrivammo a poca distanza dal vecchio cimitero, lo spettacolo delle bare dondolanti sul mare mi fece fermare di scatto, sbalordito. Intravidi, fra la gente del villaggio, i Fanshawe, Mitchell, Buck e Barnes. Usher si buttò all'arrembaggio con la gioia del pesce che si trova nel suo vero elemento. Lo spettacolo delle bare vaganti sull'acqua non aveva tuttavia nulla di macabro. Esse ormai non erano per me che specie di grosse scatole di legno, con un nome inciso su ciascuna piastrina di metallo. Stavo per raggiungere gli altri, quando scorsi Gilchrist che arrancava sulla spiaggia seguito da un gruppo di donne che lo trattenevano per le braccia e per la giacca, parlandogli animatamente e gridando. Quando mi vide, si liberò con uno strattone e venne verso di me. «Non avrei mai immaginato che mi sarebbe toccato anche di venire a pesca di feretri con un branco di contadini impazziti» sbuffò. «Sono peggio dei bambini. Per anni ho tentato di persuaderli a rimuovere i loro morti. Sapevano che presto o tardi sarebbe accaduto qualcosa di simile... Ma niente. E adesso se la prendono con me. Dicono che è colpa mia...» Scosse la testa e si avvicinò a un gruppo di pescatori che avevano tirato a riva un'altra cassa. Delle dodici o tredici che vagavano nell'acqua, non ne rimanevano che due. L'ultima recuperata era quella del padre di Fanshawe; e il pittore si allontanò preceduto da alcuni uomini che portavano la cassa e seguito da Marion, che sembrava ormai tramutata in un piccolo cane fedele. Mitchell, Valentine, Usher e Barnes erano rimasti. Quando li raggiunsi, Mitchell disse: «La bara di mio padre... dev'essere una di quelle due, dottore. Non è stata ancora tirata a riva.» Con non poca fatica, anche le ultime due furono ripescate. Una era proprio del padre di Mitchell, e questi, riconoscendola, diede in un grido di gioia. Quando, l'una a fianco dell'altra, le casse furono tutte allineate al sicuro dalle onde, Barnes si voltò verso Gilchrist. «Ebbene, dottore, cosa ne facciamo, ora?» Gilchrist apparve perplesso.
«Ci sto pensando» rispose. «Bisogna metterle al coperto... Credo che la vecchia scuola appena fuori dal villaggio sia il posto più adatto. Bisogna portarle là. Bisogna...» Non udii altro, perché mi ero avvicinato all'ultima bara della fila. La targhetta di metallo era quasi illeggibile. A stento riuscii a decifrare il nome. HELEN ISOBEL CASEY Poco dopo, mi trovai accanto a Barnes, al seguito di quello straordinario funerale che si avviava lentamente verso il villaggio. Era venuto il momento della domanda cruciale, non potevo attendere oltre. Lo guardai negli occhi e dissi: «Sergente, siete sempre vissuto a Capo Talisman, vero?» E alla sua risposta affermativa continuai: «E conoscevate tutti, immagino.» «Tutti, e molto bene.» «Ricordate una donna sulla trentina, che venne qui e morì un paio di mesi dopo, la cugina di qualcuno che poi se ne andò?... Si chiamava Helen Isobel Casey.» «Casey!» Barnes impallidì. «Che sapete di lei?» «Nulla. Vorrei soltanto sapere.» «Sicuro che la conoscevo, e come» riprese Barnes dopo una pausa, a voce straordinariamente bassa. «Una delle più belle ragazze che abbia mai visto. Per la verità, speravo di farla mia moglie, ma poi...» «E com'era?» domandai, sforzandomi di apparire indifferente. «Bella come una pittura. Bionda con gli occhi azzurri...» «E aveva un neo... Un grosso neo su una guancia?» «Un neo?» fece eco Barnes sbalordito. «Un neo sulla guancia? Ma no, nemmeno per sogno. Perché avrebbe dovuto aver un neo?» «Niente, niente, Barnes, non fateci caso. Speravo proprio che mi rispondeste come avete risposto. Grazie.» Lo lasciai e raggiunsi la testa della colonna. Poco dopo, entravamo nel villaggio. Sistemati i feretri nella vecchia scuola, Gilchrist disse: «Bene, adesso passerò ancora un rapido controllo per vedere se ci sono tutti, poi chiuderò a chiave la porta. Ci vediamo all'albergo.» Rientrò nello stanzone chiudendosi dentro. Bisognava che andassi subito da Sweeney. Avevo già perduto troppo tempo. Ma dove trovarlo? Come?
Stavo pensando a questo, quando lo vidi apparire dalla strada del paese e avvicinarsi a Barnes. «Gilchrist mi ha telefonato di venire. Dice che l'uragano ha spazzato via il cimitero vecchio.» «Sissignore. E anche le bare. Però le abbiamo ricuperate tutte.» Accennò all'edificio scolastico. «Gilchrist le ha fatte raccogliere tutte là dentro, al sicuro.» «E Gilchrist dov'è?» «Là dentro.» L'ispettore si avviò verso la scuola. Io lo raggiunsi e gli toccai il braccio. «Posso parlarvi un momento?» «Di che si tratta?» domandò lui, impaziente. «Dei delitti. So chi li ha commessi, e credo che possa interessare anche voi.» L'effetto fu superiore alle mie speranze. Sweeney impallidì e balbettò: «Voi sapete?...» «Sì. E più presto ve lo dirò meglio sarà, Sweeney.» «Avete udito, Barnes?» disse lui, al sergente che si avvicinava. «Westlake dice che sa chi ha commesso i delitti.» «No!» Barnes divenne scarlatto. In quel momento si aprì la porta della scuola e apparve Gilchrist. Sweeney gli afferrò il braccio. «Gilchrist... Westlake dice che ha risolto l'affare dei delitti.» Gilchrist mi guardò. Barnes mi guardò. Sweeney mi guardò. Poi l'ispettore disse: «Dove vogliamo andare?» «Dove volete» risposi. 24 Eravamo seduti nell'ufficio di Mitchell, all'albergo. Avevo fisse su di me tre paia d'occhi, occhi scettici, ed ero nervoso perché, come ben sapevo, non sarebbe stato facile convincere quegli uomini che avevo risolto un problema che sfidava ancora la giustizia. «Ebbene, Westlake» scattò Sweeney, impaziente «ditemi chi è questo pazzo assassino.» «La prima cosa che debbo dirvi» risposi «è che non si tratta di un pazzo. L'assassino è del tutto normale.»
«Normale!» Sweeney ripeté quasi con derisione. «Un uomo che va in giro a uccidere donne con nei, a dipingere cerchi rossi intorno a questi nei, a gingillarsi con lanterne cinesi... questo sarebbe un uomo normale?» «Ho creduto anch'io che fosse un pazzo, in principio» ripresi calmo. «E voi lo sapete. Gilchrist e io abbiamo riconosciuto fra noi i suoi complessi e la sua ossessione. L'assassino aveva preparato la trappola ideale per uno psichiatra, e tutti noi ci siamo cascati in pieno.» «Ma quando avete capito che si trattava, invece, di un uomo normale?» «La notte scorsa, quando trovammo il cadavere della signorina Heywood. Il pazzo, come ce l'eravamo raffigurato noi, uccideva soltanto donne con nei. La signorina Heywood aveva un semicerchio tracciato sulla scapola, ma non aveva un neo. E questo non combaciava, vi pare?» Il dottor Gilchrist mi guardò con aperta disapprovazione. «Può darsi che il pazzo credesse di trovare un neo, e solo dopo il delitto abbia scoperto che il neo non c'era. O, più verosimilmente, che, una volta cominciato, non abbia più voluto fermarsi nella sua furia sanguinaria. Il desiderio di uccidere aumenta di volta in volta. La sua terza vittima può essere stata scelta a caso.» «Possibilissimo» ammisi. «Ma seguitemi, e capirete il mio ragionamento. Quando scoprimmo che la signorina Heywood non aveva neanche un neo, misi da parte l'idea del pazzo e trovai un'altra ipotesi che poteva coincidere meglio della prima coi fatti avvenuti, compresa la messinscena del cimitero e tutto il resto. Vi dirò subito che non avevo mai perduto di vista l'affare di Cora Mitchell. Mi pareva strano che due fatti così sensazionali fossero avvenuti in un paese come Capo Talisman senza aver alcun nesso fra loro.» Barnes che stava seduto in un angolo, sentendosi troppo poco importante per prender parte a una simile discussione drizzò le orecchie. «Cora Mitchell, dottore? Non direte che quei delitti hanno a che fare con Cora Mitchell, arrestata quindici anni fa e...» «Lo so, Barnes. Cora è stata arrestata e ormai è morta. Eppure c'entra, in questi delitti, come se lei stessa fosse andata a scavare nel cimitero.» Capii d'aver risvegliato la curiosità dei miei ascoltatori. I baffetti di Sweeney vibrarono. «Perché non venite al fatto, Westlake?» «Ci vengo subito. Meno male che Barnes è qui. È stato lui ad arrestare Cora, quando venne a trovare suo padre; e i particolari dell'arresto sono importantissimi. Potrà correggermi se sbaglio. Dunque... Anzitutto, Cora
scappò col diamante nero di Hogan: questo è stabilito. Suo marito e il complice vennero pescati quasi subito. Cora aveva la gemma, e quella non venne mai trovata. Si disse che Cora fosse arrivata a Capo Talisman col gioiello e che l'avesse nascosto qui, in qualche luogo.» «Le chiacchiere come queste sono inevitabili, nei piccoli centri!» esclamò Sweeney. «E non hanno alcuna importanza.» «Generalmente. Ma in questo caso ne hanno. Seguitemi, vi prego. Barnes, ecco la storia di quel che accadde la notte in cui avete arrestato Cora Mitchell nella casa di suo padre. Interrompetemi se sbaglio.» Gli occhi di Barnes brillavano. Il buon sergente stava vivendo il momento più straordinario della sua vita. «A quanto pare, Cora entrò in casa dalla porta di servizio, e la prima persona che vide fu suo fratello.» «Infatti» m'interruppe Barnes «Mitchell, d'accordo con Sweeney, aveva autorizzato l'inserzione sul giornale nella quale lui fingeva di richiamarla. E Mitchell era in cucina, insieme con me e un altro.» «Diteci allora esattamente che cosa accadde.» Dopo un cenno di assenso da parte dell'ispettore, il sergente cominciò: «Dunque, andò così. Cora entrò e vide suo fratello, col quale non si può dire che fosse in buoni rapporti. Chiese subito di suo padre, ansiosa e preoccupata. Senza molti riguardi, Mitchell rispose che il vecchio, morto da un paio di giorni, era già nella bara, su, in camera. Cora sembrò diventar pazza. Si precipitò su per le scale gridando che voleva veder subito suo padre, e Mitchell le corse dietro, tentando di fermarla, gridando a sua volta che il padre non aveva voluto più aver niente in comune con lei, né da vivo né da morto. Lottarono per qualche istante come due belve. In quel momento entrai in scena io, mi precipitai su Cora e l'ammanettai.» «Proprio come pensavo io» dissi. «E quando fu ammanettata, Cora chiese di poter vedere almeno un momento suo padre. E voi, ormai tranquillo perché non poteva più scappare, vi lasciaste commuovere. Nonostante le proteste del fratello, acconsentiste. Saliste con lei e con l'altro agente, non è così?» Barnes annuì, ed io ripresi: «E quando arrivaste in camera, vedeste il becchino che si affaccendava intorno alla cassa, facendo quello che di solito fanno i becchini in queste circostanze, vero? E il becchino era il signor Usher.» «Usher?» esclamò Gilchrist. «Sì. Usher era là» annuì Barnes. «E Cora, quando vide la cassa e il resto,
cominciò a pregarmi di toglierle le manette. Che almeno l'ultimo saluto a suo padre potesse darlo con le mani libere!... Non vidi niente di male in quella richiesta; tanto, scappare non poteva. Gliele tolsi. Il mio compagno, Usher, Mitchell e io non uscimmo dalla camera. Rimanemmo a una certa distanza, mentre lei si avvicinava alla bara.» «Non l'avete persa d'occhio?» «Naturalmente no. Fu una scena commovente, devo riconoscerlo. Cora rimase per un momento vicino alla cassa, senza dir nulla. Poi si chinò e baciò il cadavere. Tutto questo non durò più di un minuto. Poi tornò vicino a noi, pallidissima e quasi solenne. Senza parlare, tese i polsi e io le rimisi le manette. Subito dopo, la portammo via.» «Più tardi, il coperchio della cassa venne chiuso e il vecchio Mitchell fu portato al cimitero e sepolto.» Mi voltai verso Sweeney. «E questo è il ladro per voi. Non molto complicato, vero? Vi ho chiesto di accettare il fatto che Cora avesse con sé il diamante, al momento del suo arrivo a Capo Talisman. Mentre è certo che, quando venne portata in carcere non l'aveva più. Dove ha potuto nasconderlo? Non c'è che un posto. Le vennero tolte le manette al momento di avvicinarsi alla cassa. Si chinò a baciare suo padre. Far scivolare il diamante nella cassa è stata la cosa più semplice del mondo.» Gli occhi di Sweeney sembravano voler schizzar fuori dalle orbite. «Nella cassa?» «Ma certo! Anche se la polizia avesse perquisito la casa da cima a fondo, nessuno avrebbe mai pensato di frugare nella cassa. Comunque, il vecchio Mitchell venne sepolto il giorno dopo. Col tempo, Cora fu condannata a vent'anni. Se non fosse morta in carcere, sarebbe uscita ancora abbastanza giovane. In tal caso, non avrebbe avuto altro da fare che recuperare il diamante e vivere il resto della sua vita in tranquilla ricchezza. Credo che abbia recitato la commedia della figlia affranta appunto per riscuotere la simpatia di Barnes e per adoperare quindi la cassa come nascondiglio.» Feci una pausa. «E questa, credo è la chiave di tutti i misteri di Capo Talisman. Il favoloso diamante nero di Hogan è rimasto chiuso nella bara del vecchio Mitchell per quindici anni. «Questo» continuai in fretta «l'ho stabilito solo ieri, dopo esser stato al penitenziario di Haling. Prima, lo confesso, avevo pensato assai poco a Cora Mitchell. Andai là per avere informazioni sulla signorina Heywood.» «La signorina Heywood!» esclamò Sweeney. «Cosa volevate sapere, di
lei, al penitenziario?» Dirgli tutta la verità sarebbe stato rivelare particolari troppo delicati. Mi limitai a rispondere: «Avevo cominciato a sospettare di lei. Non ci vedevo chiaro, senza tuttavia riuscire a scoprire il suo gioco. È stato Gilchrist a darmi l'idea!» «Io?» fece stupefatto il medico. «Indirettamente. L'altro giorno, quando veniste coi ragazzi sulla spiaggia, io ero con la signorina Heywood la quale, vedendovi arrivare, se ne andò in fretta, come se vi sfuggisse. In quel momento fui certo che vi conosceva e che voleva impedirvi di riconoscerla. Poiché siete il medico del penitenziario, ho pensato che fosse un'ex reclusa. È stata un'idea un po' campata in aria, lo ammetto; ma è risultata giusta. Dalla descrizione, la direttrice del penitenziario riconobbe in lei una certa Lena Darnell.» «Lena Darnell!» Gilchrist rimase a bocca aperta. «Lena Darnell! Ma l'ho conosciuta, sicuro! Soltanto... Lena Darnell aveva i capelli grigi.» «I capelli si tingono facilmente, Gilchrist. E la nostra Lena si era sottoposta a un'operazione di plastica, per ringiovanire. Ecco perché non l'avete riconosciuta.» «Lena Darnell...» ripeté il medico. «Santo cielo, Westlake, la ricordo bene! Era la compagna di cella di Cora!» «Infatti. E qualcosa di più; anche. Durante la malattia che doveva portarla alla morte, Cora delirò. E nel delirio continuava a parlare del diamante nero e del feretro di suo padre. Lena era un'amica molto affezionata. Ottenne di restare con lei durante l'ultima notte.» Mi voltai verso Sweeney. «Capite cosa voglio dire, ispettore? Nel delirio, Cora rivelò il nascondiglio del diamante nero. Lena non era certo il tipo da lasciarsi scappare una simile occasione. Entro un paio di settimane sarebbe uscita. Quella era la possibilità di diventare ricca. «Ma non era una stupida. Sapeva che Gilchrist viveva a Capo Talisman e che l'avrebbe riconosciuta. Appena uscita dal carcere si fece tingere i capelli, tirare o meglio "rialzare" l'epidermide del viso, in modo da cambiare fisionomia, e prese un nome falso, diventando una rispettabile pittrice. Ingannò tutti, all'albergo, da perfetta simulatrice qual era. Ma né Cora Mitchell né Lena Darnell sapevano che il fortunale di tre anni fa aveva spazzato via dal vecchio cimitero le tombe dalla parte del mare. Lena Darnell sapeva che la tomba del vecchio Mitchell si trovava nel cimitero vecchio, ma non ne conosceva l'esatta ubicazione. Solo Gilchrist, come ufficiale sanitario, la conosceva. Se non che, ovviamente, lui era l'unica per-
sona alla quale Lena non avrebbe mai potuto rivolgersi.» Sweeney aveva trovato una sigaretta e fumava furiosamente. «È fantastico, assurdo, Westlake, e tuttavia può darsi. Così, la persona che voi e vostra figlia avete interrotto nel suo lavoro, la prima sera, era la signorina Heywood?» «Esatto. Dio sa in che modo, riuscì a scoprire press'a poco la posizione della tomba. Cosicché decise di scavare fino a quando non fosse arrivata a quella giusta. E quella sera scavò sulla tomba della signora Casey. Furba com'era, e conoscendo la gente superstiziosa del villaggio, indossava apposta un abito grigio, lungo, e usava la lanterna cinese per una spettrale messinscena. Chiunque l'avesse vista, credendola un fantasma, sarebbe scappato, dandole il tempo di nascondersi.» «Ma la lanterna...» disse Sweeney. «Non crederete che sia stata lei a metterla vicino ai cadaveri.» «Oh, questa è una faccenda alla quale arriverò in seguito, non preoccupatevi. Dunque, la sera del primo delitto, Lena scavò la tomba sbagliata. Suppongo che la morte di Nellie la spaventasse non poco, ma comunque, non aveva tempo da perdere. Delitti o no, doveva continuare prima che Gilchrist o qualcun altro la riconoscesse. La seconda sera andò di nuovo al vecchio cimitero.» Omisi un particolare, tacendo che si era fatta accompagnare da Buck. «Questa volta toccò alla tomba del vecchio Fanshawe. Ma Virgil, arrivando, la disturbò costringendola ad allontanarsi. «Ieri sera fece l'ultimo tentativo. E stavolta trovò la tomba giusta. Ma, mentre scavava febbrilmente, sul punto di raggiungere il diamante nero... l'assassino di Capo Talisman balzò su di lei e la uccise.» «Va bene, Westlake.» La voce di Sweeney aveva perso la sua arroganza. «Può darsi che abbiate ragione, che sia davvero come dite voi. Ma che c'entra, tutto questo, coi delitti? Nellie Wood e Maggie Hillmann sono state uccise. Non penserete che la Heywood, trovandosi nel cimitero sola, sia stata...» «Sia stata uccisa per puro caso?» Sorrisi. «Sarebbe davvero assurdo, non vi pare? No. Lena Darnell sapeva che non aveva tempo da perdere. Sapeva che qualcuno progettava di uccidere lei. E infatti è stata uccisa.» Feci una pausa e guardai a uno a uno i miei ascoltatori. «Lena Darnell è stata uccisa da qualcuno che, come lei, cercava il diamante nero.» «Ma è assurdo!» esclamò Sweeney. «Che nesso possono avere Nellie Wood e Maggie Hillmann col diamante nero?»
«Nessuno» risposi. «Assolutamente nessuno. Ecco il punto. Ecco la ragione per cui sono state uccise.» «Andiamo, Westlake, questo è...» «Aspettate... Vediamo la posizione dell'assassino prima che tutto ciò accadesse. Lui la sapeva lunga, sul diamante nero; ormai aveva arguito che era stato nascosto nella cassa del vecchio Mitchell. Lo voleva, ed era pronto a qualsiasi cosa per ottenerlo. Ma c'era un ostacolo. Lui sapeva che anche Lena sapeva che lui lo cercava. Che fare? Arrivare prima di lei e impadronirsi del gioiello... Ma questo significava farsi ricattare per tutta la vita. Lena era capacissima di farlo. Non gli restava dunque che ucciderla. E per questo non c'era fretta. Lasciarla cercare, lasciarla scavare per lui, risparmiarsi la fatica e il rischio... e, al momento buono, piombarle addosso e ucciderla.» Ero perfettamente conscio della tensione creata. Sweeney e Gilchrist stavano immobili come mummie. Barnes, invece, continuava ad agitarsi sulla sedia. «Sono certo che tale fu il progetto dell'assassino» ripresi. «Ma anche questa soluzione presentava un gravissimo ostacolo. Nonostante i capelli tinti e la fisionomia alterata, inevitabilmente Lena sarebbe stata identificata, prima o poi, come una ex reclusa. E allora la sua amicizia con Cora Mitchell e la faccenda del diamante nero sarebbero venute alla luce. L'assassino si trovava in questa posizione; non appena stabilito il movente per l'assassinio di Lena Darnell, i sospetti non potevano cadere che su di lui. In altre parole, a meno di architettare qualcosa di straordinario, uccidere Lena voleva dire mettersi una corda attorno al collo. E a questo punto entrano in scena Nellie e Maggie.» Il viso di Gilchrist s'illuminò. «Westlake, comincio a capire! Io... Ma continuate.» «Questo fu il lampo di genio dell'assassino. Se vuoi nascondere una foglia, nascondila in una foresta. Se vuoi nascondere un delitto, nascondilo in mezzo ad altri delitti. Sapeva di avere alcuni giorni davanti a sé. Benissimo... alcuni giorni son più che sufficienti per creare... un pazzo omicida.» «Creare!» fece eco Barnes. «Sicuro. Il pazzo di Capo Talisman avrebbe fatto lambiccare il cervello a tutti i medici della zona, intorno a complessi, fissazioni, feticismi e cose del genere. La sua attenzione si fissò su Nellie Wood, in parte perché era la prima donna con un neo che gli fosse capitata sotto gli occhi, in parte per-
ché la sua ambigua posizione nei confronti di Buck e di Fanshawe avrebbe fatto convergere i sospetti su questi due. La uccise, poi architettò la messinscena che doveva far passare il delitto come opera di uno squilibrato... messinscena in cui la parte principale era costituita dal neo e dal cerchio rosso intorno. Le braccia incrociate, gli occhi chiusi aggiunsero colore. E le lanterne cinesi... «Quest'idea, credo, gli venne direttamente da Lena Darnell. Le lanterne cinesi potevano esser collegate alla faccenda degli scavi al cimitero. Un pazzo omicida che scava le tombe durante la notte diventa sempre più interessante e, diciamo, palpabile. L'assassinio di Nellie Wood appariva senza un movente, ma stabilì l'esistenza del pazzo. Però un delitto solo non bastava. Ci voleva un altro cadavere. E Maggie venne prescelta. Maggie aveva un neo, e il fatto che anche lei fosse immischiata con Buck aumentava la confusione. Altra messinscena ancor più macabra fu quella della barca e della lanterna sul mare. Due ragazze perfettamente innocenti sacrificate unicamente allo scopo di giustificare il terzo delitto... l'assassinio di Lena Darnell, o della signorina Heywood, come preferite.» Sweeney mi fissava come l'uccello affascinato fissa il serpente. «Un'idea geniale, non c'è che dire... e ingannò anche voi, dovete ammetterlo, Sweeney. Ieri, quando è stato trovato il corpo di Lena Darnell, eravate ormai così certo che si trattasse del delitto di un pazzo, da giudicarlo, come gli altri due, assolutamente senza moventi. Non avete dato molta importanza alla tomba scavata a metà. L'avete creduta un'altra messinscena. Né, suppongo, vi è passato per la mente d'indagare un po' nel passato di quella donna. Per voi, era la signorina Heywood, un'ospite dell'albergo e la terza vittima. E basta. E se tutto fosse andato come doveva andare, l'assassino, venuto in possesso del diamante, sarebbe sparito lasciando dietro di sé la leggenda del pazzo omicida sfuggito alla giustizia.» Sweeney si agitò imbarazzato. «E il diamante nero, Westlake? Volete dire che l'assassino l'ha trovato, stanotte? Che l'ha preso dalla cassa, dopo aver ucciso la Heywood?» «No. A questo punto, qualcosa non è andato come doveva andare. Per chissà quale ragione, l'assassino ha dovuto uccidere la donna quando lei non aveva scavato che a metà. E poi non ha avuto più il tempo di continuare. Comunque la cosa non era importante. Tolta di mezzo Lena Darnell, poteva ricuperare il gioiello con tutto comodo. E allora ha suonato la campana per richiamar gente, senza prevedere, s'intende, che il giorno dopo si sarebbe scatenato un uragano così violento da spazzar via le bare.»
«Credete dunque» disse Gilchrist «che il diamante fosse ancora nella cassa, stasera, quando l'abbiamo ripescata dal mare?» «Sicuro» risposi. Gilchrist guardò Sweeney, che guardò Barnes. Sembravano tutti stanchi per lo sforzo di seguire il mio ragionamento. «Non credete che bere qualcosa sarebbe una buona idea, prima di continuare?» domandò il medico. Barnes si rianimò, e Sweeney convenne: «Ottima idea.» Gilchrist scomparve e tornò poco dopo con un vassoio e quattro bicchieri di whisky e soda, che distribuì. Sweeney bevve un lungo sorso; poi, con un nuovo tentativo di sarcasmo, riprese: «Bene, Westlake; e adesso spiegateci la faccenda dei nei. Avete detto che Nellie e Maggie sono state uccise perché avevano un neo... Ma, a quanto abbiamo visto, Lena Darnell non ne aveva.» «È qui che vi sbagliate. Ed è qui dove l'assassino, del tutto inconsciamente, si è tradito. Ieri, al penitenziario, ho visto la scheda di Lena Darnell. Quella donna aveva un neo... un grosso neo sulla scapola sinistra, proprio dove l'assassino ha cominciato a tracciare il cerchio. Ovviamente, subendo l'operazione di plastica, se lo fece togliere. Un neo è sempre un imbarazzante segno di riconoscimento, e Lena voleva liberarsene.» «Così l'assassino...» cominciò Sweeney. «Questo significa che l'assassino aveva conosciuto Lena Darnell intimamente, prima che lei diventasse signorina Heywood; che la conosceva abbastanza per sapere del neo sulla scapola, ma che non aveva avuto più niente a che fare con lei dopo che il neo era stato asportato. Vedete, adesso, come quel particolare ha rovinato tutti i suoi progetti? Lui aveva costruito tutto su una "idiosincrasia dei nei", chiamiamola così. E fino a quel momento tutto era andato bene. Ve l'immaginate, uccidere Lena Darnell, voltarla bocconi e strapparle i vestiti, cominciare eccitato a tracciare il cerchio dove sapeva che il neo avrebbe dovuto essere... E poi, all'ultimo momento, col cerchio già tracciato a metà, scoprire che il neo non c'era più?... Anziché confondere l'assassinio di Lena Darnell coi primi delitti a motivo del neo, accadeva esattamente il contrario. La Darnell era l'unica vittima senza nei. Ed è stato questo particolare a mettermi sulla strada giusta.» «Bene, bene, ammetto che sia tutto molto ingegnoso» disse Sweeney, bevendo un altro sorso. «Naturalmente se potete darci le prove necessarie.»
«Tutte le prove che volete» dichiarai, mentre un leggero brivido mi percorreva la spina dorsale. In realtà, non avevo ancora la prova sicura. Potevo ottenerla in quel momento. Ma potevo anche non ottenerla. E, allora, meglio non pensare a ciò che sarebbe accaduto. «Benissimo, Westlake. E allora, non vi pare che sia giunto il momento di dirci il nome dell'assassino?» «D'accordo» risposi. «Ma prima, lasciate che riassuma quel che ci consta sul suo conto. Sappiamo che conosceva il posto dov'era nascosto il diamante nero. E lui sapeva che Lena Darnell, in possesso dello stesso segreto, avrebbe tentato di ricuperare il gioiello. Sapeva che Lena Darnell aveva un neo sulla scapola sinistra. Sapeva, inoltre, che Maggie Hillmann aveva un neo sulla coscia, per quanto la ragazza non avesse mai messo un costume da bagno o una sottana tanto corta da metterlo in mostra.» Il cuore mi batteva forte forte. Guardai Sweeney. «Non c'è che una persona che logicamente fosse a conoscenza di tutte queste cose, non vi pare?» «Sta a voi provarlo, Westlake» ribatté Sweeney senza batter ciglio. «Va bene.» Raccolsi la sfida. «Andiamo per ordine. Mitchell, Usher e Barnes erano presenti nel momento in cui Cora Mitchell fece scivolare il diamante nella cassa del padre. Ciascuno di loro, teoricamente, avrebbe potuto sorprendere quel suo gesto; ma, se avessero deciso d'impadronirsi del gioiello, vi pare che avrebbero aspettato tanti anni? Meglio dunque scartarli subito tutt'e tre. L'uomo che commise i delitti non era presente, al momento dell'arresto di Cora. Quindi dovette scoprire il segreto in altro modo. In quale modo? Attraverso Cora stessa... Ma Cora non l'avrebbe mai rivelato a nessuno. Sennonché, durante la malattia, delirò a lungo. Fu così che Lena scoperse il segreto, ma Lena non era la sola persona, al letto di morte di Cora.» M'interruppi. Ero con le spalle al muro, e ormai non potevo più tergiversare. Mi voltai verso Gilchrist. «Voi dovreste saperlo, Gilchrist, dal momento che avete curato Cora, come medico del penitenziario. Voi eravate accanto a lei quando è morta, non è così?» «Ma sì, certo» rispose lui, stupefatto. «Voi, non meno di Lena, attraverso il delirio di Cora siete venuto a conoscenza del nascondiglio. E, sempre come medico del penitenziario, avrete più di una volta visitato Lena Darnell. Chi all'infuori di voi, a Capo Talisman, poteva sapere che aveva un neo sulla scapola sinistra? E lo stesso Maggie. Maggie si era ferita a una gamba cadendo, quest'estate, non è co-
sì? E voi l'avete curata. Il che dimostra che siete stato voi a uccidere Nellie, Maggie e Lena, allo scopo d'impadronirvi del diamante Hogan.» Il colpo era partito. Sweeney e Barnes balzarono in piedi. Gilchrist si limitò a guardarmi freddamente. «Volevate quel diamante nero» risposi. «E credo di capire anche il perché. Eravate stufo di vivere in questo paese sperduto, stufo di fare il piccolo medico condotto. Per un altro, sarebbe stato difficile, quasi impossibile, vendere un gioiello come il diamante Hogan. Ma non per voi con le conoscenze che avevate nel penitenziario.» «Westlake!» esclamò Sweeney. «Westlake, in nome di Dio, che state dicendo?» «Che Gilchrist è tre volte assassino» scandii, guardando fisso negli occhi il medico. «Siete stato furbo, Gilchrist. Molto furbo, a cacciare l'idea del pazzo in mente a un altro medico. E molto furbo a cacciarla in mente a Sweeney, giorno e notte, usando il vostro prestigio e la fiducia che aveva in voi. Ma io non debbo avervi dato sufficiente affidamento. Ecco perché avete giocato quella piccola commedia durante la pesca di ieri, medicando il braccio di mia figlia. Speravate di farmi paura al punto di convincermi a partire, vero? «Ma non è stato solo questo. Il giorno in cui avete identificato la tomba della signora Casey, avreste dovuto fermarvi lì. Invece no; avete voluto essere ancora più furbo, troppo furbo. Avevate capito che la faccenda delle esumazioni m'interessava e che potevo diventare un pericolo per voi. Così, per disorientarmi, mi avete detto che la signora Casey aveva un grosso neo sulla guancia. Fantastica idea che mi ha perfettamente ingannato per qualche giorno. Pensai che l'assassino fosse qualcuno che, su tutte le donne con un neo, volesse vendicarsi di una sua passata e infelice relazione con la defunta Casey. Splendido, ripeto, ma non avete riflettuto che non eravate voi l'unico a conoscere quella donna. Il sergente Barnes mi ha detto che la Casey non aveva un neo, né grande né piccolo, su nessuna guancia.» Solo in quel momento, la sicurezza di Gilchrist sembrò vacillare. Il suo volto rosso era divenuto grigiastro, e lui apparve improvvisamente invecchiato, finito. Risuonò di nuovo la voce di Sweeney. «Ma tutta questa faccenda dei nei e di ciò che vi ha detto Gilchrist... che cosa conclude? Non avete nulla di più definito? In nome del Cielo, non si può accusare un uomo di un delitto, senza...» Era questo il momento in cui avrei raggiunto il successo o sarei stato
sconfitto. «Sì» dissi «credo di aver tutte le prove che occorrono. Credo di potervi dare il diamante nero.» «Il diamante nero!» «Oggi tutti i feretri, compreso quello di Mitchell, sono stati spazzati via dall'uragano, ma poi ricuperati e radunati nella vecchia scuola. E Gilchrist, come ufficiale sanitario, ha passato il controllo ed è rimasto solo con le bare. Non può aver rinunciato a una simile occasione. Sono sicuro che ha ricuperato il diamante. E poiché non appena è uscito dalla scuola l'abbiamo trascinato con noi, a meno che non mi sbagli di grosso, il diamante è ancora addosso a lui.» Mi voltai verso Gilchrist: «Dunque... volete darci il diamante, o dobbiamo perquisirvi?» Gilchrist era di nuovo perfettamente sicuro di sé. Mi sorrise con infinito disprezzo e si rivolse a Sweeney: «Non cerco nemmeno di difendermi, Sweeney. Il povero Westlake deve soffrire di megalomania; e, poiché gli è accaduto di risolvere qualche altro caso, nel passato, crede di essere infallibile. Comunque, dal momento che le cose sono andate così lontano, non mi resta che pregare voi e Barnes di perquisirmi.» Mi guardò; non avevo mai visto tanto odio concentrato in un viso d'uomo. «Per quanto vi siate compiaciuto di chiamarmi piccolo medico condotto, Westlake, occupo una certa posizione nel mondo della medicina. Vi annuncio quindi che farò del mio meglio affinché siate radiato da ogni associazione medica del paese.» Si voltò a Sweeney e a Barnes: «Andiamo. Perquisitemi.» Mentre i due poliziotti gli si avvicinavano, mi sentii cadere il cuore. Avevo fallito. Ero sconfitto; eppure ero sicuro, matematicamente sicuro che, arrivando all'albergo, Gilchrist aveva ancora addosso il gioiello. La perquisizione, naturalmente, non fruttò nulla. Gilchrist si lisciò i capelli e riprese: «Be', Sweeney, se credete di avere le prove, andiamo, non vi resta che arrestarmi.» «Ma no, no, naturalmente» mormorò Sweeney, arrossendo imbarazzato. «Nessuna prova. Io non so che cosa...» «In tal caso» tagliò corto Gilchrist «provvederò domani stesso che a Westlake sia indirizzata una diffida.» No, non era proprio così che avevo sperato finisse. Pensai disperatamen-
te a qualcosa da fare. Dopo un lungo momento d'insopportabile silenzio, Gilchrist disse: «Bene, dal momento che l'assurda accusa di Westlake non è stata accettata, credo che...» S'interruppe, guardando verso la porta che si apriva con drammatica violenza, mentre due oggetti incredibilmente in disordine rotolavano nella stanza. Il primo di quegli oggetti era mia figlia. Il secondo Bobby. Dawn indossava ciò che fino a quel momento era stato il suo più bel pigiama. Era bagnata, sporca di fango, spettinata. E Bobby, conciato ancor peggio, indossava una camicia da notte, sudicia fino all'inverosimile, che gli sbatteva fradicia contro le corte gambette impedendogli il passo. I due bambini vennero solennemente verso di me. Bobby teneva in mano una lampadina tascabile. Dawn era dignitosa e disinvolta, come se il suo abbigliamento fosse il più corretto per un ingresso in società. «L'abbiamo trovato» annunciò. «È stato molto difficile, ma l'abbiamo trovato.» Non trovai niente di meglio che balbettare: «Ma... ma tu dovevi essere a letto!» «Già» ribatté lei gaiamente. «Invece non c'ero. O meglio, io c'ero, ma Bobby no.» Bobby ammiccò. «Io stavo mangiando un maiale» disse adagio. «Un grosso grasso enorme maiale.» «Ed io ero a letto» proseguì Dawn, ignorando l'interruzione. «E il mio letto è vicino alla finestra, e così ho visto l'ispettore Sweeney e il sergente Barnes e il dottor Gilchrist entrare qui, e, più tardi, ho visto il dottor Gilchrist uscire di nuovo e gettarlo tra i cespugli.» «Gettare che cosa tra i cespugli?» gridai. «"Quella cosa"» rispose Dawn con tono misterioso. «Così sono andata a chiamare Bobby, e siamo scesi, e abbiamo cercato fra i cespugli finché non l'abbiamo trovato.» Aprì il pugno che fino a quel momento aveva tenuto strettamente chiuso. Sulla sua palma stava un enorme diamante. Di taglio squisito, raccoglieva tutta la luce del lampadario, rifrangendola con un fosco splendore quasi irreale. Non potevo credere. Quasi non potevo credere. Ma sicuro! Gilchrist ci aveva suggerito di bere qualcosa, ed era uscito prima che io lo accusassi. Prevedendo il seguito, aveva messo il diamante al sicuro.
«Non è grosso nemmeno la metà di quello che avevo sperato» mormorò Dawn. «Ma è bellissimo. È stato sciocco, il dottor Gilchrist, a buttarlo via.» «Il dottor Gilchrist è uno sciocco» aggiunse Bobby. «È stato uno sciocco questa notte quando è venuto in chiesa e si è messo a suonare la campana. Don... Don... Suonare proprio mentre noi stavamo per addormentarci!» Ripeté: «Sciocco!» Guardai Bobby. Lo adoravo. Aveva visto Gilchrist suonare la campana, aveva ritrovato il diamante! Lui e Dawn avevano tramutato la mia sconfitta in una trionfale vittoria. Barnes e Sweeney si voltarono verso il medico. Per lui era finita. Non occorreva aggiungere altro. Sollevai tra le braccia Dawn e Bobby. Li baciai con slancio, prima l'uno poi l'altra. Bobby cominciò a giocare coi bottoni del mio cappotto. La sua voce si levò all'improvviso, profonda e pontificante: «Sono cattivo, io» disse. «Molto cattivo. Ho detto una bugia.» «Una bugia, Bobby?» domandai. «Vuoi dire che non hai visto il dottor Gilchrist?...» «Il maiale» disse Bobby. «Era un grosso grasso enorme maiale. Bianco e nero. Aveva due orecchie. Ma ho detto una bugia. Non l'ho mangiato. No, davvero. Lui ha mangiato me.» «No!» disse Dawn. «Sì» disse Bobby. «No.» «Sì.» «No...» Sweeney e Barnes trascinarono via Gilchrist. FINE