Topografia classica - 1
Capitolo 1 Elementi di trigonometria 1.1 Unità di misura angolari Esistono quattro unità di mis...
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Topografia classica - 1
Capitolo 1 Elementi di trigonometria 1.1 Unità di misura angolari Esistono quattro unità di misura principali degli angoli: sessagesimali, sessadecimali, centesimali e radianti. Negli angoli sessagesimali l'angolo retto vale 90° e l'angolo giro 360°. Le frazioni di grado non sono decimali, ma sono invece costituite dai primi e dai secondi. In particolare un grado è costituito da 60 primi e un primo consta di 60 secondi; di conseguenza un grado corrisponde a 3600 secondi. Le frazioni di secondo sono decimali. Un angolo sessagesimale si indica ad esempio come 45°27'19''.89983. Gli angoli sessagesimali sono principalmente usati per esprimere le coordinate geografiche di un punto, cioè latitudine e longitudine. Gli angoli sessadecimali sono la versione decimale dei precedenti. L'angolo retto vale 90° e l'angolo giro 360°, ma le frazioni sono decimali, indicate con un numero dopo la virgola. Per quanto riguarda la scrittura, un angolo sessadecimale si indica ad esempio con 26°.763973. Si usa lo stesso simbolo (°) usato per indicare i gradi negli angoli sessagesimali, ma la parte frazionaria seguente consente di discriminare fra le due unità di misura. Gli angoli sessadecimali erano usati negli strumenti topografici, ma oggi sono stati quasi completamente sostituiti dai centesimali. Sono utili come prodotto intermedio nelle conversioni. Negli angoli centesimali l'angolo retto vale 100°, l'angolo giro vale 400° e le frazioni di grado sono decimali. Si indicano nel modo seguente: 389g.981364. Attualmente la grande maggioranza degli strumenti topografici usa angoli centesimali.
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Vittorio Casella – Dispense – AA 20023 - 2004
I radianti sono una metodologia decimale di misura degli angoli basata sulla lunghezza dell'arco di circonferenza unitaria circoscritta all'angolo. La lunghezza di una circonferenza unitaria vale 2π , dunque l'angolo giro ha proprio il valore 2π , mentre l'angolo retto vale π 2 . Un angolo in radianti viene indicato ad esempio come 2r.76323.
B
α α
r
A
O
Figura 1 - Definizione di radianti
I radianti sono gli unici tipi di angoli riconosciuti da tutti i sistemi di calcolo. I linguaggi di programmazione in genere sanno gestire solo questo tipo di dati angolari e, dovendo elaborare dati espressi in altre unità, è necessario convertirli. Gli angoli sessadecimali, centesimali e radianti sono misurati da numeri decimali, mentre i sessagesimali non lo sono. Se indichiamo con x e y la misura decimale (in una delle tre unità considerate) di due angoli, la metà del primo angolo misurerà semplicemente x 2 e la somma dei due angoli misurerà x + y . Per gli angoli sessagesimali le cose sono più complesse. La metà di un angolo di 45° non misura 45 / 2 = 22.50 , ma piuttosto 22° 30’. Analogamente la somma degli angoli 1° 40’ e 1° 50’ non è 2° 90’, ma piuttosto 3° 30’. Nei testi anglosassoni le quattro unità considerate vengono indicate rispettivamente con: DMS (Degreees, Minutes, Seconds), DEG (Degrees), GRAD (Gradiants), RAD (Radiants). La conoscenza di tali acronimi può essere utile perché spesso anche la manualistica in italiano, le calcolatrici tascabili e i software di gestione degli strumenti topografici li adottano. Per quanto riguarda le notazioni, infine, quelle qui adottate sono chiare se riferite ad angoli indicati esplicitamente, come ad esempio 123°.4578, ma presentano un’ambiguità se impiegate in notazioni simboliche. Se indichiamo con α la misura di un angolo, la scrittura αg indicherà un angolo centesimale, αr un angolo in radianti, mentre α° potrebbe indicare sia un angolo sessagesimale sia un
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sessadecimale. Per rimuovere tale ambiguità in queste note, nel caso di notazioni simboliche, si adotterà per gli angoli sessadecimali la scrittura α°d. Esistono anche altre unità, sottomultiple di quelle considerate. Si usano ad esempio i milligon, la millesima parte dell’angolo centesimale, indicati dalla sigla MGON e si usano anche gli archi di secondo, ARCSEC, pari a un secondo sessagesimale.
1.2 Conversioni fra formati angolari Le conversioni fra i formati decimali sono agevoli e comportano il calcolo di semplici proporzioni. Le relazioni fra la misura sessadecimale α°d, centesimale αg, e in radianti αr di uno stesso angolo sono date da
α od 180
=
αg
αr 200 π =
Più complesso è il caso della conversione fra uno qualunque dei formati decimali e il formato sessagesimale. Limitiamoci a considerare la conversione fra il formato sessadecimale e quello sessagesimale, in quanto le conversioni fra il formato sessagesimale e gli altri formati dovrebbero semplicemente essere ottenute in due passi, cioè trasformando preliminarmente in sessadecimali. Consideriamo allora un angolo sessagesimale α°; esso sarà del tipo 123° 34’ 54”.9752. Indichiamo con g il numero intero di gradi [g=123]; con p il numero intero di primi [p=34]; con s il numero decimale di secondi [s=54.9752]. Un numero di primi p corrisponderà a una frazione di grado pari a p 60 e un numero di secondi s corrisponderà a una frazione di grado pari a s 3600 . Si può allora concludere
α Dd = g + p 60 + s 3600
α Dd =123.5819376 deg
Esaminiamo ora la conversione opposta. Consideriamo un angolo sessadecimale α°d, come ad esempio 78°.83765 e convertiamolo in sessagesimali. Si tratta di esplicitare i tre valori g, p e s precedentemente introdotti. Per il primo si avrà g = int(α Dd )
[ g = 78]
dove la funzione int() restituisce la parte intera di un numero. Il resto r1 = α Dd − g ,è
un numero decimale minore di 1 [ r1 = 0.83765] che rappresenta la differenza in unità gradi. Ricordando che un grado è composto da 60 primi, si può convertire il resto r1 in unità primi, moltiplicandola per 60; la parte intera di tale grandezza corrisponde ai primi p = int(60 × r1 )
[ p = int(60 × 0.83765) = int(50.259) = 50]
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L’ulteriore resto r2 = 60 × r1 − p [ r2 = 0.259] è in unità primi e deve essere convertito in secondi, moltiplicandolo per 60 s = 60 × r2
[ s = 60 × 0.259 = 15.54]
In sintesi abbiamo che 78°.83765 = 78D 50' 15".54
1.3 Alcune conversioni notevoli Consideriamo alcune conversioni notevoli, particolarmente utili. Troviamo anzitutto l’equivalente in centesimali e radianti di un secondo sessagesimale. 1 200 = 0 g .0003086 0.3 mgon 3600 180 1 π = 0r .000004848 5 10−6 rad = 3600 180
1" =
La Tabella 1 ne riassume alcune. A volte si pone il problema di quante cifre significative debbano essere mantenute, nell’angolo d’arrivo, per non perdere informazioni contenute in quello di partenza. La Tabella 1 fornisce una risposta semplice e ragionevole. Se di un angolo sessagesimale si conoscono i centesimi di secondo, la sua conversione nelle altre unità dovrà avere 6 cifre decimali per DEG e GRAD e 8 cifre decimali per RAD. DMS
DEG
1° 1' 1" 0".1 0".01 0".001
1,000E+00 1,667E-02 2,778E-04 2,778E-05 2,778E-06 2,778E-07
GRAD
1,111E+00 1,852E-02 3,086E-04 3,086E-05 3,086E-06 3,086E-07
RAD
1,745E-02 2,909E-04 4,848E-06 4,848E-07 4,848E-08 4,848E-09
Tabella 1 - Conversioni angolari notevoli
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Esercizi. La tabella riporta su ogni riga le misure sessagesimali, sessadecimali, centesimali e radianti di uno stesso angolo. Usare tali dati per esercitarsi sulle conversioni. DMS 301° 43' 21".505 7° 4' 12".810 245° 15' 35".201 136° 36' 47".399 299° 26' 47".639
DEG GRAD RAD 301,7226402 335,247378 5,2660535 7,070225 7,8558055 0,123398705 245,2597781 272,5108645 4,28059065 136,6131665 151,7924072 2,384349557 299,4465663 332,718407 5,226328516
Tabella 2 - Esercizi sulle conversioni angolari
1.4 Coordinate cartesiane e polari Consideriamo un punto P del piano e le sue coordinate cartesiane ( x, y ) . La posizione di P può essere anche caratterizzata in termini di coordinate polari ( r ,θ ) , dove r indica la distanza dall’origine, mentre θ è l’angolo antiorario formato dal segmento OP con il semiasse positivo delle ascisse. y P=(x,y)
r
θ x
Figura 2 - Le coordinate polari
E’ naturalmente possibile ricavare le coordinate cartesiane dalle polari e viceversa. Nel primo caso si ha
x = r cosθ y = r sin θ
.
(1.1)
La conversione da cartesiane a polari presenta qualche difficoltà: è semplice ricavare r r = x2 + y 2
;
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per l’angolo θ , la (1.1) ci dice che tan θ =
y x
(1.2)
che tuttavia non è sufficiente ad individuare univocamente θ a causa della periodicità della tangente. Infatti per la periodicità angoli diversi, anche nell’intervallo [ 0, 2π ] , hanno la stessa tangente e l’applicazione della trasformazione
θ ∈ [ 0, 2π ] → tan (θ1 ) = t → θ 2 = arctan(t ) non garantisce che l’angolo di arrivo θ 2 coincida con quello di partenza θ1 . Alcuni semplici esempi evidenziano tale fenomeno. Consideriamo dei punti notevoli appartenenti ai vari quadranti, consideriamo le loro coordinate cartesiane, quelle polari vere (in particolare ci soffermeremo sull’angolo θ ) e quelle polari che si ottengono dall’applicazione della (1.2) P1 = (1,1)
θ1 =
P2 = ( −1,1) P3 = ( −1, −1) P4 = (1, −1)
π
4 3π θ2 = 4 5π θ3 = 4 7π θ4 = 4
t1 = tan(θ1 ) = 1
θ1′ = arctan(t1 ) =
π 4
t2 = tan(θ 2 ) = −1 θ 2′ = arctan(t2 ) = − t3 = tan(θ 3 ) = 1
θ 3′ = arctan(t3 ) =
π 4
t4 = tan(θ 4 ) = −1 θ 4′ = arctan(t4 ) = −
= θ1
π 4
≠ θ2
≠ θ3
π 4
≠ θ4
Tuttavia proprio questo esempio consente di comprendere come la valutazione combinata della tangente di θ e delle componenti del vettore cartesiano ( x, y ) consenta di risolvere il problema. Calcolato anzitutto un angolo ausiliario
θ ' = arctan
y x
l’angolo cercato può essere ricostruito nel modo seguente
θ ' π 2 θ = θ ( x, y ) = θ '+ π 3π 2 θ '+ 2π
x>0
y≥0
x=0
y>0
x<0
(1.3)
x=0
y<0
x>0
y<0
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Esercizi. La Tabella 3 contiene sia le coordinate cartesiane sia le polari di alcuni punti. Essa può essere usata per esercizi di conversione nelle due direzioni. r 21,4999 29,2053 21,9583 26,8891 6,2383
θ 1,3806480 5,1748949 1,8905354 6,0088958 3,5676781
x y 4,0636 21,1124 13,0312 -26,1369 -6,9019 20,8454 25,8840 -7,2833 -5,6805 -2,5783
Tabella 3 - Esercizi di conversione da coordinate polari e cartesiane e viceversa
1.5 Teoremi sui triangoli rettangoli e sui triangoli qualunque Tali teoremi servono a risolvere i triangoli, cioè a calcolare alcuni elementi incogniti (lati e/o angoli) in funzione di altri noti. Per i triangoli rettangoli valgono risultati particolarmente forti. Teorema. In un triangolo rettangolo un cateto è uguale all’ipotenuta per il seno dell’angolo opposto (al cateto che si vuole calcolare). Teorema. In un triangolo rettangolo un cateto è uguale all’ipotenuta per il coseno dell’angolo adiacente (al cateto che si vuole calcolare).
Formalmente essi si traducono in a = c sin α
b = c cos α
= c cos β
= c sin β
(1.4)
Teorema. In un triangolo rettangolo un cateto è uguale all’altro cateto per la tangente dell’angolo opposto (al cateto che si vuole calcolare). Teorema. In un triangolo rettangolo un cateto è uguale all’altro cateto per la cotangente dell’angolo adiacente (al cateto che si vuole calcolare).
a = b tan α
b = a tan β
= b cot β
= a cot α
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α c b
β a Figura 3 - Triangolo rettangolo
Per i triangoli qualunque si rivelano spesso utili due altri teoremi. Teorema dei seni
a b c = = sin α sin β sin γ
(1.5)
γ a b β α
c Figura 4 - Triangolo qualunque
Teorema del coseno
c 2 = a 2 + b 2 − 2ab cos γ
(1.6)
Tale teorema costituisce una generalizzazione del teorema di Pitagora, al quale si riduce se il triangolo è retto, cioè γ = 0 .
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Capitolo 2 Tecniche di base della Topografia classica Questo capitolo tratta alcune semplici tecniche topografiche come la livellazione trigonometrica, la poligonale e l’intersezione in avanti. Vengono premessi alcuni risultati preliminari sulle coordinate polari, sull’angolo di direzione e sulla normalizzazione degli angoli. In tutte queste note si assume che la superficie di riferimento sia un piano.
2.1 Coordinate cartesiane e polari di un punto La posizione di un punto P del piano può essere caratterizzata dalle coordinate cartesiane ( x, y ) e anche dalle coordinate polari classiche, ( r ,θ ) . In Geodesia e Topografia si usano coordinate polari ( r ,α ) definite in modo diverso in quanto α è l’angolo orario formato dal segmento OP con il semiasse positivo delle ordinate.
y
P
a
d
x Figura 5 - Definizione delle coordinate polari usate in Geodesia e Topografia
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Le relazioni dimostrate per le coordinate polari classiche devono essere modificate. Per la conversione da polari a cartesiane si ha x = r sin α y = r cos α
(1.1)
mentre per la conversione da cartesiane a polari si ha
r = x2 + y 2 tan α =
x y
da cui, indicato con α ' = arctan x y si ottiene α ' π 2 α = α ( x, y ) = α '+ π 3π 2 α '+ 2π
x≥0
y>0
x>0
y=0
y<0
(1.2)
x<0
y=0
x<0
y>0
2.2 Angolo di direzione di un segmento E’ interessante caratterizzare l’orientamento di un segmento di estremi A = ( x A , y A ) e B = ( xB , yB ) e per tale scopo viene introdotto l’angolo di direzione. Consideriamo una semiretta r avente origine in A e parallela al semiasse positivo JJJG delle ordinate. Si definisce angolo di direzione α AB del segmento AB l’angolo orario che la semiretta r deve descrivere per andarsi a sovrapporre al segmento JJJG JJJG AB . Analogamente si definisce angolo di direzione α BA del segmento BA l’angolo orario che una semiretta r, avente origine in B e parallela all’asse y, deve JJJG descrivere per andarsi a sovrapporre al segmento BA . Si noti come in realtà la definizione di angolo di direzione faccia riferimento a un segmento orientato cioè a un vettore e come l’angolo di direzione cambi a seconda dell’orientamento del JJJG JJJG segmento ( AB invece di BA ). L’angolo di direzione può essere definito anche in un’altra interessante maniera, JJJG equivalente alla precedente. L’angolo di direzione α AB del segmento AB è l’anomalia del punto B in un sistema di riferimento ausiliario parallelo a quello JJJG dato, ma avente origine in A. L’angolo di direzione α BA del segmento BA è
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l’anomalia del punto A in un sistema di riferimento ausiliario parallelo a quello dato, ma avente origine in B.
Figura 6 – Definizione delle coordinate polari e cartesiane di un segmento
Le coordinate dei punti A e B, gli angoli di direzione del segmento e la sua lunghezza sono legati da interessanti relazioni. Una consente di calcolare le coordinate di B, note le altre grandezze xB = x A + d AB sin α AB yB = y A + d AB cos α AB
;
(1.3)
tale relazione generalizza in un certo senso la (1.1). Essa può ovviamente essere rimaneggiata in modo esplicitare le coordinate di A in funzione degli altri termini. E’ anche interessante il problema inverso, cioè la determinazione della lunghezza e dell’angolo di direzione di un segmento in funzione delle coordinate dei suoi estremi. Il primo problema ha una risposta ovvia, d AB =
( xB − x A )
2
+ ( yB − y A )
2
(1.4)
mentre il secondo richiede una generalizzazione di quanto dimostrato per il calcolo dell’anomalia α . Ricordando la seconda definizione di angolo di direzione di un segmento, ponendo ' α AB = arctan
xB − x A yB − y A
si ha
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α AB
' α AB π 2 ' = α AB ( x A , x B ) = α AB +π 3π 2 ' α AB + 2π
xB − x A ≥ 0
yB − y A > 0
xB − x A > 0
yB − y A = 0
yB − y A < 0
(1.5)
xB − x A < 0
yB − y A = 0
xB − x A < 0
yB − y A > 0
Esercizi. Usare i dati della Tabella 4 per esercitarsi nella conversioni dalle coordinate cartesiane alle polari e viceversa per i segmenti.
xA
yA
xB
yB
d A, B
α A, B
7,1265 3,5271 8,7510 3,3912 3,3663 9,9544 5,5183 4,7204
4,5137 4,9206 5,1459 6,7322 2,9580 2,3050 5,6688 8,9589
-0,6044 8,9643 3,8153 -3,1176 6,0750 18,1410 11,7001 10,9671
6,2040 11,0846 9,3511 11,0360 11,3975 7,2639 9,1455 12,1599
7,9135 8,2194 6,4842 7,8030 8,8635 9,5714 7,0924 7,0191
313,7035759 46,0166833 344,9234948 337,1935187 19,7710570 65,3280878 67,3848699 69,8541767
Tabella 4 - Coordinate cartesiane e polari di segmenti
2.3 Normalizzazione degli angoli orizzontali e verticali 2.3.1
Angoli orizzontali
Per ragioni sostanzialmente estetiche, si ritiene preferibile che gli angoli di direzione α e gli angoli orizzontali in genere soddisfino la condizione di normalizzazione
0 ≤ α < 2π
(1.6)
Non vi è una motivazione sostanziale, in quanto tutti gli angoli
α + 2π n
n∈]
sono equivalenti, tuttavia è bene usare angoli normalizzati. Durante lo svolgimento dei calcoli avviene spesso che, pur partendo da angoli normalizzati, i risultati non lo siano: è necessario pertanto normalizzare gli angoli. L’idea per la normalizzazione è che, se α > 2π si deve sottrarre iterativamente 2π fino a
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quando la condizione di normalizzazione è soddisfatta. Se viceversa α è negativo, si dovrà aggiungere iterativamente 2π fino a renderlo positivo. Un modo più formale di esprimere la stessa metodologia è basato sull’uso della funzione rem (funzione resto); rem( x, y ) fornisce il resto della divisione x y . Essa è così definita rem( x, y ) = x − int( x y ) × y La normalizzazione di un angolo orizzontale avviene mediante la seguente trasformazione
rem(α , 2π ) rem(α , 2π ) + 2π
α →α ' =
α ≥0 α <0
(1.7)
Non volendo far comparire la funzione rem, si può calcolare anzitutto q = int (α / 2π )
e ricordando che q è negativo o nullo se α è minore di 0,
α ≥0 α − 2π q α →α ' = α + 2π (1 − q ) α < 0
2.3.2
(1.8)
Angoli verticali
Gli angoli verticali ϕ devono essere sottoposti, per motivi sostanziali, alla normalizzazione
ϕ 2π − ϕ
ϕ →ϕ ' =
0 ≤ϕ ≤π ϕ >π
(1.9)
Collimato un certo punto P, corrispondente a un angolo verticale ϕ , se si fa ruotare l’alidada di π e se successivamente si fa ruotare il cannocchiale di π , a meno di errori e srettifiche, il punto P risulterà ancora collimato, ma questa volta il goniometro verticale segnerà un angolo di 2π − ϕ . Dato che l’orientamento iniziale dello strumento è assolutamente casuale e operativamente equivalente, si conclude che i due angoli verticale ϕ e 2π − ϕ sono strumentalmente equivalenti. Essi tuttavia non lo sono sostanzialmente in quanto sin (ϕ ) ≠ sin ( 2π − ϕ ) . La valutazione dell’uso che si fa dell’angolo verticale conduce alla conclusione che è necessario normalizzarlo come previsto dalla (1.9).
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2.4 Distanza topografica e livellazione trigonometrica Consideriamo due punti A e B. Ipotizziamo che su A sia posto in stazione un teodolite e che su B si trovi un prisma riflettente. Lo strumento consente di misurare la distanza inclinata d *AB fra i punti A" e B" (cioè i centri degli strumenti), ma in Topografia si usa di regola la distanza topografica o distanza orizzontale, d AB . Essa è la distanza che separa A ' e B ' , cioè le proiezioni dei punti A e B sul piano di riferimento.
dAB
A ''' ϕAB
B ''
* d AB
B
A ''
A dAB A'
B'
Figura 7 - Calcolo della distanza topografica
Dalla Figura 7 si può concludere facilmente che si ha * d AB = d AB sin ϕ AB
(1.10)
Osserviamo che la condizione necessaria perché la (1.10) sia vera è che i punti A , A ' , e A" siano sulla stessa retta ortogonale al piano di riferimento, cioè verticale. Da ciò deriva la necessità di eseguire una corretta messa in stazione degli strumenti. La misura della distanza inclinata e dell’angolo verticale consente di determinare anche il dislivello fra due punti, mediante una tecnica detta livellazione trigonometrica. Consideriamo anzitutto una figura simile alla precedente, ma in cui compaiono esplicitamente le altezze dei punti e le altezze strumentali
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Topografia classica - 1
dAB
A ''' ∆z
ϕAB
P
* d AB
A '' hAS A
B '' hB
B
zB
zA dAB A'
B' Figura 8 - La livellazione trigonometrica
L’equazione della livellazione trigonometrica può essere ricavata osservando che i punti A ''' e B" hanno la stessa altezza, cioè ∆z + hAS + z A = hBP + z B
Osservando che per il dislivello ∆z si ha * ∆z = d AB cos ϕ AB
= d AB cot ϕ AB si può concludere * ∆z AB = z B − z A = hAS − hBP + d AB cos ϕ AB
= hAS − hBP + d AB cot ϕ AB
(1.11)
Tale relazione può essere usata ovviamente sia per quotare B, noto A, sia per quotare A, noto B, fermo restando che lo strumento topografico staziona in A. Il modo più razionale di impostare la cosa è calcolare anzitutto il valore di ∆z AB e successivamente porre z B = z A + ∆z AB
(1.12)
z A = z B − ∆z AB
Si noti come la (1.12) contenga implicitamente un semplice e intuitivo risultato riguardante i dislivelli ∆z AB = z B − z A = − ( z A − z B ) = = −∆z BA
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Capitolo 3 La poligonale La poligonale è un metodo topografico rapido per la determinazione delle coordinate tridimensionali di punti stazionabili disposti lungo una spezzata. I punti si definiscono stazionabili se è possibile mettere in stazione sulla loro verticale un cavalletto; i punti della facciata di un edificio, ad esempio, non sono stazionabili. Tale metodologia necessita della misura di angoli e distanze, dunque richiede l’uso di un teodolite dotato di distanziometro, cosa che attualmente costituisce quasi la regola. La poligonale è un metodo iterativo in quanto richiede la conoscenza delle coordinate di due punti consecutivi iniziali (tale affermazione, vera nella sostanza, verrà meglio specificata in seguito) e consente di determinare da questi le coordinate di un terzo punto; dal secondo e terzo si può ricavare il quarto, eccetera.
3.1 Simbologia e convenzioni Nel corso della discussione verranno adottate le simbologie riassunte dalla Tabella 5.
di*, j
Distanza inclinata fra i punti Pi e Pj
di , j
Distanza orizzontale fra i punti Pi e Pj JJJJG Angolo di direzione del segmento PP i j
αi, j βi
Angolo orizzontale, misurato in senso orario, formato dai JJJJJG JJJJJG segmenti PP i i −1 e PP i i +1
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Topografia classica - 3
λi , j
Lettura al cerchio orizzontale con lo strumento su Pi e osservando Pj
ϕi , j
Lettura al cerchio verticale con lo strumento su Pi e osservando Pj
his
Altezza dello strumento in stazione su Pi
hip
Altezza del prisma in stazione su Pj Tabella 5 - Simbologie relative al calcolo della poligonale
Supponiamo ora di conoscere le coordinate dei punti Pi −1 e Pi . Da esse si può ricavare l’angolo di direzione α i ,i −1 . Abbiamo inoltre ipotizzato che sia possibile mettere in stazione un teodolite sul punto Pi e osservare prima Pi −1 (punto indietro) e poi Pi +1 (punto avanti). Il risultato di queste collimazioni è la misura delle seguenti grandezze guardando il punto indietro: di*,i −1 , λi ,i −1 e ϕ i ,i −1 guardando il punto avanti: di*,i +1 , λi ,i +1 e ϕ i ,i +1 Devono essere misurate inoltre le altezze strumentali his , hip−1 e hip+1 .
Pi+1
Pi-1 βi αi,i+1
αi+1,i di,i+1
αi,i-1 P i Pi+2
Figura 9 - Poligonale
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Preliminarmente è necessario fissare alcune convenzioni. Anzitutto si sottolinea che la poligonale ha un verso di percorrenza, deciso dal rilevatore (il quale tiene conto di tale scelta quando individua i punti indietro e i punti avanti delle varie stazioni), e che i nomi logici assegnati ai punti in queste note tengono conto di tale verso: il punto P2 precede P3 , eccetera. Nel casi pratici è possibile che i punti costituenti la poligonale abbiano una denominazione assegnata in precedenza con altri criteri, che potrebbe essere anche in contrasto con quella logica: per il calcolo della poligonale non si dovrà tenere conto della denominazione preesistente, ma si dovranno assegnare ai punti, almeno mentalmente, i nomi logici. Una seconda JJJJJG convenzione da fissare riguarda l’angolo interno β i , formato dai segmenti PP i i −1 e JJJJJG PP i i +1 , in quanto vi sono due possibili candidati. La scelta adottata per convenzione JJJJJG è quella oraria, dunque β i è l’angolo che il segmento indietro PP i i −1 descriverebbe JJJJJG se ruotasse in senso orario fino a sovrapporsi al segmento avanti, PP i i +1 .. La convenzione oraria è adottata dalla stragrande maggioranza degli strumenti topografici attuali, che dispongono di goniometri orari.
3.2 La soluzione del passo di poligonale Nel quadro delle convenzioni fissate, per l’angolo interno e per il goniometro degli strumenti, l’angolo interno α i può essere ottenuto da
β i = λi ,i +1 − λi ,i −1
(1.1)
Pi -1
Pi + 1 βi
λi,i+1
λi,i -1
Pi
Figura 10 - Calcolo dell'angolo interno nel passo di poligonale
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Noto tale angolo si può ricavare l’angolo di direzione α i ,i +1 ,
α i ,i +1 = α i ,i −1 + β i
.
(1.2)
Si noti come tutti gli angoli orizzontali ottenuti con il calcolo potrebbero richiedere la normalizzazione. La distanza orizzontale di ,i +1 può essere ricavata facilmente di ,i +1 = di*,i +1 sin ϕ i ,i +1
.
(1.3)
A questo punto si conoscono le coordinate polari di Pi +1 rispetto a Pi dunque si può concludere
xi +1 = xi + di ,i +1 sin α i ,i +1 yi +1 = yi + di ,i +1 cos α i ,i +1
.
(1.4)
zi +1 = zi + h − h + d i ,i +1 cot (ϕ i ,i +1 ) s i
p i +1
Ciò risolve il problema della poligonale per il punto Pi +1 . Le formule complete devono essere impiegate per il calcolo della poligonale nello spazio, mentre sono sufficienti le prime due relazioni delle (1.4) per il calcolo della poligonale nel piano. Le formule presentate fanno riferimento al generico punto i-esimo per sottolineare come esse possano essere adottate ripetutamente e identicamente per calcolare progressivamente i punti P3 , P4 , P5 , eccetera. Esiste la possibilità, una volta inizializzato l’algoritmo iterativo, di evitare il calcolo dell’angolo di direzione del segmento indietro; supponiamo che, per il calcolo delle coordinate di P3 , sia stato ricavato l’angolo di direzione α 2,1 dalle coordinate dei punti P1 e P2 . Passando ora al calcolo di P4 , si potrebbe certamente ricavare l’angolo di direzione α 3,2 dalle coordinate, ora note, di P2 e P3 ; tuttavia l’angolo di direzione cercato α 3,2 è più facilmente ricavabile dall’angolo di direzione α 2,3 , calcolato per la determinazione di P3 , nel modo usuale
α 3,2 = α 2,3 + π Si potrebbe pensare erroneamente che altezze strumentali e angoli verticali entrino nel calcolo solo nel caso di poligonali 3D, ma questo non è vero in quanto, anche per la soluzione 2D, è necessario misurare l'angolo verticale per ricavare la distanza topografica da quella inclinata. Tuttavia nel caso bidimensionale le altezze strumentali, che costituiscono la maggior fonte di errori, sono ininfluenti: è sufficiente che strumento e prisma siano posti correttamente sulla verticale dei punti misurati.
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3.3 Problemi di qualità e controllo Il controllo di qualità ha due scopi essenziali: stimare l’entità degli errori accidentali; individuare ed eliminare gli errori grossolani. La metodologia rigorosa per affrontare entrambi i problemi è la compensazione, mentre la metodologia di calcolo esposta in queste note è piuttosto debole sotto questo aspetto. Si consideri ad esempio che se, collimando un punto, si commette un errore di 100° nella lettura al cerchio orizzontale, tutti i punti della poligonale collimati successivamente risentiranno di tale errore. Il miglior strumento di controllo empirico è la chiusura della poligonale. Supponendo che i vertici siano n, si deve fare in modo che l’ultimo punto sia prossimo al primo, e che i due siano intervisibili. In questo modo è possibile trattare il punto P1 come un punto supplementare, denominato, Pn +1 , che deve essere rilevato facendo stazione su Pn . Le coordinate xn+1 e x1 dovrebbero coincidere, nominalmente, ma in pratica ciò non si verifica. Piccoli scostamenti sono accettabili, in quanto dovuti agli errori accidentali di misura; tali differenze consentono di stimare, anche se in modo non rigoroso, la precisione delle coordinate calcolate. Scostamenti significativi indicano invece la presenza di errori grossolani che devono essere individuati e eliminati. Purtroppo non è sempre possibile, o agevole, chiudere una poligonale, a causa della conformazione del territorio su cui si opera. Una seconda possibilità di controllo è legata alla conoscenza a priori delle coordinate dei punti estremi di una poligonale aperta. Capita talvolta che misure precedenti abbiano determinato, con metodologia topografica classica o GPS, i vertici estremi di una poligonale ancora da rilevare. In tal caso il controllo può essere effettuato verificando che le coordinate dell’ultimo vertice, determinate dalla poligonale, non differiscano significativamente dalle coordinate note a priori.
3.4 Inizializzazione della poligonale Una poligonale può essere inquadrata in un sistema di riferimento locale oppure in uno generale. Si opera in un riferimento locale quando lo scopo della poligonale è unicamente determinare le coordinate di punti in modo che siano coerenti fra di loro, senza alcuna connessione al contesto generale. Se si rilevano in questo modo i vertici di un appezzamento di terreno, sarà poi possibile ricavare dalle loro coordinate le distanze fra i vari vertici, l’area e il perimetro. Tali coordinate non forniranno tuttavia alcuna informazione su dove si trovi, nel contesto del territorio nazionale, l’appezzamento rilevato. Se lo scopo del rilevamento è proprio quest’ultimo, come nel caso di un accatastamento, sarà necessario procedere nella seconda modalità, cioè fare riferimento a un sistema di riferimento generale. Quando una poligonale viene inquadrata localmente, il sistema di riferimento viene definito durante i calcoli. Questa fase richiede la comprensione dell’impor-
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tante nesso fra invarianza e indeterminazione. Le misure topografiche che si fanno per rilevare una poligonale sono invarianti rispetto a una traslazione nello spazio e a una rotazione nel piano, corrispondenti a un totale di 4 gradi di libertà. Ciò significa ad esempio che le misure topografiche fatte per connettere certi punti fornirebbero gli stessi valori, a meno degli errori di misura, anche se i punti venissero traslati di una quantità arbitraria. All’invarianza corrisponde un’indeterminazione: se le misure sono invarianti per una traslazione, esse non consentono di fissare tale traslazione. In altri termini esse permettono di determinare la posizione relativa dei punti, ma non consentono di stabilire dove essi, visti come un tutto rigido, si trovino effettivamente. Quando si elaborano misure invarianti per un certo numero di gradi di libertà, è dunque necessario introdurre lo stesso numero di informazioni aggiuntive, in modo da fissare le indeterminazioni e ottenere le coordinate. Il rilevamento topografico, il GPS e la Fotogrammetria offrono importanti e significativi esempi del nesso invarianza-indeterminazione. Nel caso della poligonale è necessario come detto fissare 4 gradi di libertà corrispondenti a una traslazione nello spazio, nel caso di poligonale 3D, (che diventa traslazione nel piano nel caso di poligonale 2D), e a una rotazione nel piano. La corrispondente indeterminazione può essere fissata in infiniti modi e fra i più usati vi è quello di assegnare al primo punto delle coordinate a piacere P1 = ( x1(0) , y1(0) , z1(0) ) per fissare la traslazione, e vincolare il secondo vertice a stare sull’asse delle x , ponendo P2 = ( x1 + d1,2 , y1 , z1 + ∆z1,2 ) Sono ovviamente possibili molte altre scelte, come ad esempio vincolare il secondo vertice a stare sull’asse y , corrispondente alla scelta P2 = ( x1 , y1 + d1,2 , z1 + ∆z1,2 ) o fissare in modo arbitrario il valore dell’angolo di direzione α1,2 , corrispondente a
(
P2 = x1 + d1,2 sin (α1,2 ) , y1 + d1,2 cos (α1,2 ) , z1 + ∆z1,2
)
Una volta determinate le coordinate dei primi due punti, il calcolo può procedere nel modo usuale. Se si deve inquadrare la poligonale in un sistema di riferimento generale, è necessario disporre delle coordinate di almeno due punti. La discussione fatta su invarianza e indeterminazione evidenzia come questa non sia esattamente la condizione necessaria, tuttavia essa rappresenta la situazione operativa più diffusa.
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Se due punti sono i primi della poligonale, o, per meglio dire, se è possibile usarli come tali, il problema è ricondotto a quello già affrontato. Se invece i punti occupano posizioni distinte e qualunque della poligonale, sarà necessario operare in due passi: risolvere la poligonale rispetto a un sistema locale creato ad hoc; convertire le coordinate dal sistema locale a quello generale mediante rototraslazione stimata mediante i punti doppi, cioè i punti di cui si conoscono sia le coordinate locali sia quelle generali. Si sottolinea come sia opportuno che due punti di coordinate note costituiscano gli estremi della poligonale, in quanto ciò ne massimizza la capacità di controllo.
3.5 Metodi affini alla poligonale: rilevamenti radiali Le formule di calcolo impiegate per la poligonale vengono utilizzate in molti altri modi. Consideriamo due punti noti, A e B e un terzo incognito, C.
y C
A βB αB,A
αB,C
dB,C
B
x Figura 11 - Schema elementare del rilevamento radiale
Se i punti sono intervisibili è possibile ricavare C operando nel modo seguente: 1. si fa stazione su B con un teodolite-distanziometro; 2. si osserva A; 3. si calcola l’angolo di direzione α B , A dalle coordinate dei punti; 4. si osserva C; 5. si ricava l’angolo interno β B ; 6. si ricavano l’angolo di direzione α B ,C e la distanza topografica d B ,C ; 7. si determinano le coordinate cartesiane di C dalle polari.
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Fino a questo punto la soluzione proposta è equivalente a pensare ai tre punti come a una piccola poligonale. Se tuttavia i punti incogniti Ci sono n, tutti visibili da B, è possibile rilevarli visitandoli con una palina dotata di prisma e lasciando fermo lo strumento in B. Il calcolo richiede l’esecuzione dei passi 1-3 una sola volta e la ripetizione per n volte dei soli passi 4-7. In sintesi lo strumento viene messo in stazione una sola volta e l’orientamento delle misure viene effettuato una sola volta, al punto 3.
y
C1
C2
A C3
B C4
x
Figura 12 - Rilevamenti radiali
Il guadagno di questa tecnica, detta anche dei punti lanciati, rispetto allo schema della poligonale, è significativo. Tuttavia la sua applicabilità è limitata in quanto richiede che tutti i punti incogniti siano visibili da B. Si tratta dunque di una tecnica applicabile a rilievi di piccola estensione e ambientati in spazi aperti: la poligonale è invece uno strumento molto più versatile.
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Capitolo 4 L’intersezione in avanti L’intersezione in avanti è un metodo topografico per la determinazione delle coordinate tridimensionali di punti non stazionabili, come ad esempio i particolari architettonici di una facciata, oppure i punti situati in un territorio non raggiungibile. Se da due punti A e B, di coordinate note, stazionabili con teodolite, si può osservare un terzo punto C, la lettura degli angoli orizzontali e verticali consente di determinare le coordinate del punto incognito. Per eseguire l’intersezione in avanti è necessario fare stazione su A e osservare C e B; fare stazione su B e osservare A e C. Dalle coordinate dei punti A e B è anzitutto possibile ricavare l’angolo di direzione α A, B e la loro distanza orizzontale d A, B . La differenza fra le letture angolari orizzontali consente di ricavare gli angoli α e β alla base del triangolo +
ABC . Tale fase richiede qualche precisazione in quanto, fissati gli estremi del segmento AB , fissati gli angoli alla base del triangolo, α e β , sono possibili due casi, indicati dalla Figura 13: torneremo successivamente su questo punto.
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C
y
β α A
B
β
α
C’
x
Figura 13 - Le due soluzioni equivalenti della intersezione in avanti
L’angolo al vertice γ può essere facilmente ottenuto da
γ = π −α − β La distanza orizzontale d A,C deve essere ricavata dal teorema dei seni d A,C sin β
=
d A, B sin γ
La distanza d B ,C può essere ricavata in modo analogo. Il caso 1 è quello in cui il punto C si trova al di sopra del segmento AB ;
y C γ αA,C αA,B
dAC α’=α
β’=β
B αB,A
A x
Figura 14 - Intersezione in avanti: il caso 1
Gli angoli di direzione dei segmenti AC e BC possono essere ricavati da
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α A,C = α A, B − α α B ,C = α B , A + β
(1.1)
A questo punto sono note le coordinate polari di C e si possono ricavare le cartesiane. Per quanto riguarda la quota, si conoscono l’angolo verticale ϕ A,C e la distanza d A,C , dunque è possibile effettuare la livellazione trigonometrica. Il caso 2 è quello in cui il punto C si trova invece al di sotto del segmento AB .
y
αA,C
αA,B α’
A
β’
αB,A
B
dA,B β
α
γ
dA,C
C x
Figura 15 - Intersezione in avanti: il caso 2
In tal caso si ha
α A,C = α A, B + α α B ,C = α B , A − β
(1.2)
Il resto della procedura è analogo al precedente. La gestione dei due casi può essere effettuata da chi effettua i conti valutando la disposizione dei punti sul terreno, oppure è possibile una gestione di tipo formale, per certi versi astratta. Introduciamo gli angoli ausiliari α ' e β ' , così definiti
α ' = λ A , B − λ A,C
(1.3)
β ' = λB , C − λB , A
Il caso 1, quello in cui il punto C si trova al di sopra del segmento AB , è analiticamente caratterizzato dalla condizione
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α '<π β '<π e gli angoli incogniti si ottengono da
α =α ' β =β' Il caso 2, quello in cui il punto C si trova al di sotto del segmento AB , è analiticamente caratterizzato dalla condizione
α '>π β '>π e gli angoli incogniti si ottengono da
α = 2π − α ' β = 2π − β ' In sintesi i passi che dipendono dalla geometria del problema (caso 1 o caso2) sono
α '<π β '<π
→ caso 1 →
α '>π β '>π
→ caso 2 →
α =α ' β =β '
→
α A ,C = α A, B − α α B ,C = α B , A + β
α A, C = α A , B + α α =2π -α ' → α B ,C = α B , A − β β =2π -β '
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Capitolo 5 La livellazione geometrica La livellazione geometrica è una tecnica per la misura dei dislivelli di elevatissima precisione e che non richiede, al contrario della livellazione trigonometrica, la misura dell’altezza strumentale. La livellazione viene eseguita con uno strumento detto livello e due stadie. Queste ultime sono della aste graduate e vengono poste in verticale si due punti di cui si vuole determinare il dislivello. Lo strumento viene posto in posizione mediana, in modo che la distanza dalla due stadie sia il più possibile uguale.
A
La
”
Li
B” B
A d2
d1
’
B
A’
Figura 16 - Equazione della battuta di livellazione geometrica
Lo strumento ha il compito di materializzare, tramite il suo cannocchiale, una linea orizzontale e di consentire all’operatore di misurare a che altezza dal suolo tale linea taglia le due stadie. Perché ciò sia possibile le stadie sono opportunamente
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graduate: possono essere pensate come dei grandi righelli, di due o tre metri, aventi l’origine nel punto in cui toccano il terreno.
5.1 L’equazione della battuta di livellazione Dalla Figura 16 si ricava facilmente z A + Li = z B + La
da cui ∆z A, B = z B − z A = Li − La
(1.1)
LA distanza fra le due stadie non deve di norma superare 70-100 metri, dunque l’operazione elementare di livellazione, detta battuta, deve essere ripetuta n volte. Si parla in tal caso di linea di livellazione. 5.2
L’equazione della linea di livellazione
Dovendo misurare il dislivello fra due punti A e B la cui distanza eccede i 100 metri, come avviene di norma, è necessario suddividere il percorso fra i due punti in un numero n di tratti di lunghezza minore, compatibili con le condizioni operative della livellazione geometrica.
Figura 17 - Esecuzione di una linea di livellazione
Si determina il dislivello di ogni singolo tratto, o battuta, e si ricava il dislivello totale sommando i dislivelli parziali n
∆z A, B = ∑ ∆zi
(1.2)
i =1
La dimostrazione della (1.2) è evidente. Consideriamo a titolo di esempio una livellazione costituita da 4 punti P1 , P2 , P3 , P4 e tre battute, la cui misura consente di stimare i dislivelli elementari
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∆z1,2 = z2 − z1 ∆z2,3 = z3 − z2 ∆z3,4 = z4 − z3
La somma dei dislivelli parziali è ∆z1,2 + ∆z2,3 + ∆z3,4 = = z2 − z1 + z3 − z2 + z4 − z3 = = z4 − z1 = ∆z1,4
(cvd)
5.3 Propagazione degli errori nella livellazione geometrica Si assume normalmente che gli errori accidentali sia identici in ogni battuta. Indichiamo con σ B la loro deviazione standard. In realtà questo non è l’unico modo di modellizzare gli errori, ma si tratta probabilmente del più diffuso. La deviazione standard del dislivello di una linea costituita da n battute è
σL = n σB
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