MARGARET MILLAR MISTERO SENZA FINE (Beyond This Are Monsters, 1970) 1 Stavano perlustrando di nuovo il laghetto artifici...
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MARGARET MILLAR MISTERO SENZA FINE (Beyond This Are Monsters, 1970) 1 Stavano perlustrando di nuovo il laghetto artificiale in cerca del corpo di Robert. Tutto si svolgeva come la prima volta, con Valenzuela, il poliziotto di origine messicana, che gridava ordini ai suoi uomini e i giovani sommozzatori che giravano lì attorno, nelle loro tute di gomma, con i respiratori fissati alla schiena. Nel sogno, Devon stava a guardare, muta e impotente, dalla finestra della casa del ranch. Nella realtà, era uscita invece a protestare con Estivar, il fattore: "Perché lo cercano lì dentro?" "Devono guardare dappertutto, signora Osborne." "Ma l'acqua è così sporca e Robert è una persona molto pulita." "Certo, signora." "Non sarebbe mai entrato in quell'acqua così sporca." "Può darsi che non avesse altra scelta, signora." L'acqua, usata soltanto per l'irrigazione, era troppo torbida perché i sommozzatori potessero mettersi all'opera, e la polizia aveva finito col fare ricorso a una grossa pala. Il fondo del laghetto era stato dragato per ore. Ma avevano trovato soltanto pezzi arrugginiti di macchine, vecchi pneumatici, pezzi di legno e lo scheletro ricoperto di fango di un bambino appena nato. Il ritrovamento di quel bambino senza nome e senza volto aveva sconvolto il poliziotto Valenzuela più che se avesse ritrovato una mezza dozzina di Robert. Gli pareva che tutti i Robert del mondo facessero sempre qualcosa per meritare la loro sorte, per quanto terribile potesse essere. Ma quel bambino... "Maledizione!" aveva esclamato, facendosi il segno della croce, e aveva portato via quel mucchietto di ossa in una scatola di scarpe. Devon si svegliò, quando Dulzura bussò alla porta della camera da letto. «Signora Osborne? È sveglia?» La porta fu appena socchiusa. «È ora di alzarsi. La colazione è già sul fuoco.» «È ancora presto» protestò Devon. «Sono appena le sei e mezzo.» «Ma è per oggi. Lo ha dimenticato?» «No.» Altro che dimenticato! Aveva firmato lei stessa la petizione, mentre l'avvocato la stava osservando, apparentemente sollevato dal fatto che alla fine avesse acconsentito. La mano piccola e grassoccia di Dulzura tremava sulla maniglia della
porta. «Io ho paura. Sarò sotto gli occhi di tutti.» «Non devi far altro che dire la verità.» «Come faccio a essere sicura della verità dopo tutto questo tempo? E se dico bugie, dopo aver giurato sulla Bibbia, Estivar dice che mi metteranno in prigione.» «Voleva scherzare, forse.» «Ma non ha riso.» «Non ti metteranno in prigione» la rassicurò Devon. Poi aggiunse: «Sarò pronta per la colazione fra dieci minuti.» Ma rimase immobile, ad ascoltare i pesanti passi di Dulzura sulle scale e il brontolio minaccioso del vento che girava e rigirava intorno alla casa. La notte autunnale era stata calda. I corti capelli scuri di Devon erano madidi di sudore e la camicia da notte umidiccia era incollata al suo corpo, come se lei stessa fosse stata ripescata dal laghetto e distesa sul letto ad asciugare: una sirena semiaffogata. Dulzura non avrebbe certo mentito, la verità era troppo semplice perché si potesse distorcerla: dopo cena Robert era uscito in cerca del suo cane e, passando, si era fermato in cucina a salutarla. Le aveva fatto gli auguri per il suo compleanno, prendendola in giro perché stava invecchiando, e era uscito dalla porta di servizio diretto in garage. L'auto di Robert era ancora lì con la capote abbassata, la chiave inserita. Estivar sosteneva che era un errore lasciare la macchina in quel modo, una tentazione troppo grande per i lavoranti messicani che venivano in primavera a cogliere i limoni, in estate a mettere i pomodori nelle cassette e in autunno a raccogliere i meloni. Tutti gli immigranti, arrivati e ripartiti nel corso di quell'anno, sapevano certamente della macchina; ma non c'era stato nessun tentativo di rubarla. Forse Estivar li aveva ammoniti severamente, oppure pensavano che un'automobile come quella portasse su di sé una sorta di maledizione. Qualunque fosse la ragione, la macchina rimaneva lì, indisturbata, sotto un velo di polvere. Le ondate di immigranti che arrivavano e ripartivano erano regolate dal sole, allo stesso modo in cui le maree oceaniche venivano regolate dalla luna. Ora era ottobre, il periodo cruciale dell'anno, e il dormitorio era pieno. Devon non aveva nessun rapporto personale con i lavoranti: non dicevano una parola d'inglese e Estivar la scoraggiava dal comunicare con loro nel suo spagnolo scolastico. Non conosceva il loro nome, né sapeva da dove venissero. Piccoli e affamati, si muovevano nei campi come tanti roditori. "Devono essere stati un paio di wetbacks" aveva detto uno dei poli-
ziotti. "Lo avranno rapinato, ucciso e seppellito da qualche parte." "Qui non abbiamo wetbacks" aveva protestato Estivar. Più tardi aveva fatto osservare a Devon che quel poliziotto era un vero ignorante perché il termine wetbacks, in spagnolo mojados, che riferito agli immigranti clandestini significava dal dorso bagnato, andava bene nel Texas, dove il confine tra gli Stati Uniti e il Messico era costituito dal fiume Rio Grande. In California, invece, dove il confine era segnato da chilometri di reticolato di filo spinato, gli immigranti clandestini venivano chiamati più propriamente alambres, in spagnolo, fili di ferro. Devon si alzò dal letto e si accostò alla finestra per aprire le tende. Da tempo ormai aveva abbandonato la camera da letto che aveva condiviso con Robert per trasferirsi in una stanza più piccola al secondo piano della casa. In una piccola camera si sentiva meno sola. Esposta a mezzogiorno, questa godeva di un'ampia vista sulla valle e, in lontananza, sulle aride colline di Tijuana con le sue capanne di legno e la sua cattedrale a cupola dello stesso colore della mostarda che vendevano con gli hot dogs all'ippodromo e all'arena dei tori. Tijuana era più bella di notte, quando si animava di luci brillanti all'orizzonte, o all'alba, quando la cupola della cattedrale si tingeva di rosa e le baracche erano ancora nascoste dall'oscurità. Attraverso la finestra aperta, Devon poté sentire squillare il telefono nella cucina di sotto e Dulzura che rispondeva, con la sua voce stridula come quella di un pappagallo perché il telefono la innervosiva. Un minuto dopo, la ragazza bussò di nuovo alla porta della camera da letto, con il respiro affannoso per lo sforzo e la rabbia. «È sua suocera, dice che è importante.» «Dille che la richiamo io.» «Lo sa che non le piace aspettare.» Già, rifletté Devon, alla mamma di Robert non piaceva aspettare. Ma lei per mesi aveva aspettato, come tutti gli altri, il suono del campanello, lo squillo del telefono, il rumore di una macchina sul vialetto d'ingresso, un passo nell'atrio; era rimasta in attesa di una lettera, di un telegramma, di una cartolina, di un messaggio da un amico o da un estraneo. «Dille che la richiamo» ripeté Devon. Dalla finestra poteva anche vedere i filari di tamerici, piantati per rompere il vento e proteggere il laghetto artificiale dalle tempeste di sabbia. A sinistra c'era il letto asciutto del fiume e a destra i campi di pomodori, già raccolti. Sui campi volavano miriadi di piccoli uccelli. Piombavano tra i filari delle piante, svolazzavano tra le foglie ingiallite, beccavano i resti
dei frutti marci e cercavano nella terra insetti e semi caduti. Estivar era in grado di distinguerli l'uno dall'altro. Li chiamava con i loro nomi messicani, il che li faceva apparire esotici agli occhi di Devon, finché scopriva che molti di essi erano uccelli che lei aveva sempre conosciuti. Il chupamirto non era che un colibrì, la cardelina il cardellino, la golondrina la rondine. Altre cose che avevano nomi familiari erano tutt'altro che familiari. Per Devon, nata e cresciuta sulla costa atlantica, la pioggia era qualcosa che rovinava un picnic o una gita allo zoo, non qualcosa che la gente misurava in decimi di millimetro come i poveri misurano l'oro fuso. E un fiume era qualcosa che non cambiava mai, come l'Hudson o il Delaware o il Potomac. Il fiume che osservava ora dalla finestra della sua camera da letto era completamente asciutto per la maggior parte dell'anno, e tuttavia qualche volta si trasformava in un torrente impetuoso capace di trascinare a valle un autocarro. E i ponti erano scarsi. Era convinzione comune che, quando pioveva a dirotto, la gente avesse abbastanza buonsenso di starsene a casa o da non allontanarsi dalla strada maestra; e che, quando il letto del fiume era asciutto, si potesse semplicemente attraversarlo in macchina o a piedi, come una strada particolare esente da pedaggio e da spese di manutenzione. L'altra sponda del fiume segnava il confine con il ranch vicino, che apparteneva a Leo Bishop. Quando Robert l'aveva portata a casa, dopo il loro matrimonio, un anno e mezzo prima, Leo Bishop era stato il primo vicino che Devon aveva conosciuto. Robert le aveva chiesto di essere particolarmente gentile con lui, perché aveva perduto tragicamente la moglie durante l'inverno. Devon aveva fatto del suo meglio, ma c'erano ancora momenti in cui Leo le appariva estraneo non meno di un qualsiasi alambre. Devon fece la doccia e cominciò a vestirsi. L'abito che avrebbe indossato era pronto da una settimana. Era andata in macchina a San Diego per trovarsi con la madre di Robert e era stata lei a sceglierlo; un tailleur marrone, leggermente più chiaro dei suoi capelli e appena più scuro della sua pelle abbronzata. Era come se Devon e il vestito fossero usciti dallo stesso bagno di colore, ma lei si era guardata bene dal fare commenti sulla scelta della suocera. Il marrone era, tutto sommato, un colore che andava bene per una giovane donna in procinto di divenire vedova in una splendida giornata d'autunno. Scese per la scala di servizio che portava direttamente nella cucina. Dulzura stava ai fornelli, mescolando qualcosa in una casseruola con la mano sinistra e facendosi vento con la destra. Non aveva ancora trent'anni,
ma la sua giovinezza, come lo sgabello su cui era seduta, scompariva sotto debordanti pieghe di grasso. «Sto preparando le uova strapazzate da mangiare con il chorizo.» «Grazie, ma prenderò soltanto un caffè e un succo d'arancia.» «Il signor Osborne andava pazzo per il chorizo, aveva uno stomaco da vero messicano... Dovrebbe provare almeno le uova. Guardi come sono belle!» Devon lanciò un'occhiata fugace a quella poltiglia gialla e molliccia, arrossata dalla polvere di chili e distolse lo sguardo. «Sono veramente belle.» «Ma lei non le vuole.» «Non questa mattina.» «La signora Osborne non ne vuole, non ne vuole il cagnolino, dovrò mangiarmele tutte io. Obalz!» Era questa l'espressione preferita da Dulzura e per molto tempo Devon aveva ritenuto che fosse una parola spagnola per indicare contrarietà. Alla fine si era decisa a chiederlo a Estivar. "Non esiste una parola simile nella mia lingua" aveva risposto Estivar. "Ma deve avere un significato. Dulzura la ripete sempre." "Oh, ce l'ha un significato, può esserne certa." "Capisco, è una parola inglese." "Sì, signora." Dulzura faceva parte dei cosiddetti cugini di Estivar. Ne aveva un gran numero. Se parlavano inglese, sosteneva che provenivano dal ramo della famiglia di San Diego o di Los Angeles; se parlavano soltanto spagnolo, provenivano dal ramo di Sonora, di Sinaloa, di Jalisco o di Chihuahua, a seconda di come gli veniva in mente. Nei momenti in cui c'era più bisogno di manodopera, i cugini di Estivar sciamavano nella valle come un esercito d'occupazione. Piantavano, coltivavano, irrigavano; potavano, sfrondavano, irroravano; coglievano, selezionavano, imballavano, inscatolavano. Poi, di punto in bianco, sparivano, come se la terra dalla quale avevano tratto tanta abbondanza di frutti, li avesse assorbiti al pari di un fertilizzante. Dulzura scodellò in una ciotola le uova strapazzate. «Sua suocera al telefono mi ha raccomandato di mettermi le calze. Io ne ho soltanto un paio che conservo per il matrimonio di mio fratello.» «Puoi usarle più di una volta, naturalmente.» «Non se devo inginocchiarmi, quando giurerò sulla Bibbia.»
«Nessuno si inginocchia nell'aula del tribunale.» Devon non era mai stata in tribunale, ma parlava con convinzione perché sapeva che Dulzura la stava guardando, per cogliere un qualche segno di incertezza, con i suoi occhi scuri e lucenti come olive mature. «Tutte le donne avranno le calze e tutti gli uomini giacca e cravatta.» «Anche Estivar e il signor Bishop?» «Sicuro.» Il telefono cominciò a squillare di nuovo e Devon attraversò l'atrio per andare a rispondere nello studio. Lo studio era stata la stanza riservata a Robert. Per molto tempo era rimasto, come l'automobile nel garage, esattamente come lui l'aveva lasciato. Era una pena per Devon entrarci o persino passare davanti alla porta chiusa. Ora, non aveva più lo stesso aspetto. Non appena era stata fissata la data dell'udienza, Devon aveva cominciato a imballare tutte le cose di Robert in scatole di cartone, con l'intenzione di sistemarle in soffitta... le sue racchette da tennis e i trofei che aveva vinto, la collezione di monete d'argento, le carte dei posti dove aveva desiderato andare, i libri che aveva pensato di leggere. Mentre compiva quel lavoro, Devon si era sciolta in lacrime tanto che Dulzura aveva cominciato pure lei a piangere, e infine avevano preso a gemere come una coppia di vecchie donne irlandesi a una veglia funebre. Alla fine, quando Devon era stata di nuovo in grado di vedere attraverso gli occhi gonfi, aveva preso un pennarello e aveva scritto su ognuna delle scatole ESERCITO DELLA SALVEZZA. Estivar stava portando l'ultimo dei pacchi nell'atrio, quando improvvisamente, e senza avvertire come spesso faceva, era arrivata la madre di Robert. Devon si era aspettata che la suocera si sentisse disturbata dalla vista di quelle scatole o che per lo meno facesse riserve sulla loro destinazione. Invece, la signora Osborne si era tranquillamente offerta di consegnare lei stessa tutto all'Esercito della Salvezza. Aveva persino aiutato Estivar a caricarle nel baule della macchina. Era di parecchio più alta di Estivar e quasi forte come lui e, senza parlare, i due avevano lavorato alacremente, come se nel passato avessero fatto molte volte insieme quel genere di lavoro. La signora Osborne era già seduta al volante, pronta per partire, quando si era rivolta a Devon e le aveva detto con voce bassa, ma ferma: "Robert aveva sempre avuto l'intenzione di ripulire il suo studio. Ci sarà grato per avergli risparmiato la fatica." Devon chiuse la porta dello studio e sollevò il ricevitore. «Sì?»
«Perché non mi hai richiamata, Devon?» «Non c'era premura. È ancora molto presto.» «Lo so benissimo. Ho passato la notte a guardare l'orologio.» «Mi dispiace che lei non abbia dormito.» «Non volevo dormire» ribatté Agnes Osborne. «Volevo riflettere, stabilire se questa sia la decisione giusta da prendere.» «Non c'è altro da fare. Il signor Ford e gli altri avvocati gliel'hanno detto.» «Non sono tenuta a credere a tutto quello che la gente mi dice.» «L'avvocato Ford è un esperto.» «Sì, di problemi legali. Ma per quanto riguarda Robert, sono io l'esperta. Ed è sbagliato quello che tu stai per fare oggi. Avresti dovuto rifiutarti di firmare i documenti. Forse potresti chiamare Ford e pregarlo di chiedere un rinvio perché hai bisogno di pensarci ancora.» «Ho avuto un intero anno per pensarci. Niente è cambiato.» «Ma potrebbe cambiare. Forse potremmo sentire squillare il telefono da un momento all'altro o bussare alla porta, e eccolo lì sano e salvo. O forse lo hanno colpito alla testa la notte in cui è scomparso e ora soffre di amnesia. Oppure...» Devon allontanò il ricevitore dall'orecchio. Non voleva più sentire i forse che la signora Osborne aveva sognato durante le sue interminabili notti e elaborato nel corso delle sue lunghe giornate. «Devon? Devon! Mi stai ascoltando?» «L'udienza sarà tenuta oggi. Non posso disdirla ora e non lo farei anche se potessi.» «Ma... e se...» «Non sentiremo bussare alla porta, né squillare il telefono. Non accadrà niente.» «È una crudeltà, Devon, è una crudeltà distruggere così la speranza di qualcuno.» «Sarebbe ancora più crudele incoraggiarla ad aspettare qualcosa che non può avvenire.» «Non può? Sei troppo drastica. Nemmeno Ford direbbe "non può". I miracoli accadono tutti i giorni. Considera i trapianti di organi che vengono effettuati in tutto il paese. Fa' l'ipotesi che Robert sia stato trovato in fin di vita e che abbiano dato il suo cuore a qualcun altro. Sarebbe meglio di niente, non ti pare?... sapere che il suo cuore è ancora vivo... non ti pare?» Agnes Osborne andò avanti su questo tono, ripetendo le stesse cose che
aveva detto durante tutto un anno, senza nemmeno preoccuparsi di farle sembrare nuove cambiando una parola qui, una frase là. Due orologi alle due estremità della casa cominciarono a suonare le ore: l'orologio a pendolo nel salotto e quello a cucù nella cucina, che Dulzura teneva appeso alla parete sopra i fornelli. Dulzura sosteneva che era un regalo di suo marito, ma nessuno credeva che lei avesse mai avuto un marito, senza parlare poi di un marito che le facesse dei regali. Il grande orologio a pendolo apparteneva alla suocera. Incise nello zoccolo c'erano le parole che dovevano accompagnare i suoi rintocchi: Dio è con te, Non dubitarne mai, Mentre le ore passano per sempre. Quando la signora Osborne si era allontanata dal ranch per permettere a Devon e a Robert di occupare la casa da soli, aveva portato con sé la sua antica scrivania di legno di ciliegio e il pianoforte di mogano, il servizio da tè in argento e la collezione di finissime porcellane inglesi, ma aveva lasciato lì l'orologio a pendolo. Non credeva più ormai che Dio fosse con lei e non voleva che le si ricordasse che le ore passavano per sempre. Erano le sette. I lavoranti messicani stavano uscendo dal dormitorio e dal vecchio capannone di legno, il granaio di un tempo che ora era stato adattato a mensa. In fretta e in silenzio si accalcarono sul grosso autocarro che li avrebbe lasciati ovunque i campi fossero pronti per il raccolto. Nella loro vita non c'era altro che duro lavoro e il cibo che rendeva il lavoro possibile. A mezzogiorno avrebbero preso posto sulle panche che i figli di Estivar avevano sistemato ai bordi del laghetto e avrebbero consumato la loro colazione all'ombra delle tamerici. Alle cinque avrebbero mangiato fagioli con focacce di granoturco nel locale della mensa e alle nove e mezzo tutte le luci del dormitorio sarebbero state spente. "Le ore che passavano per sempre" erano una bella liberazione. Agnes Osborne continuava a parlare al telefono. Dal momento in cui Devon aveva smesso di ascoltarla a quello in cui aveva riaccostato il ricevitore all'orecchio, la suocera aveva accettato il fatto che l'udienza sarebbe stata tenuta come stabilito, a cominciare dalle dieci. «Forse è meglio che ci troviamo in tribunale, così siamo sicuri di non perderci. Ti ricordi il numero dell'aula?»
«Cinque.» «Vieni in città con la tua macchina?» «Leo Bishop mi ha proposto di andare con lui.» «E tu hai accettato?» «Sì.» «Sarà meglio che tu lo chiami per dirgli che hai cambiato idea. Non vorrai che la gente cominci a fare pettegolezzi su te e Leo, proprio in una giornata come oggi!» «Non c'è niente da dire sul nostro conto.» «Se sei troppo nervosa per guidare, puoi venire con Estivar nella giardinetta. Oh, e assicurati che Dulzura abbia le calze, capito?» «Perché? Dulzura non è sotto processo. Neanche noi lo siamo.» «Non fare l'ingenua» la rimbeccò la signora Osborne. «Certo che siamo sotto processo, ognuno di noi. Ford ha fatto le cose con molta discrezione, ma i testimoni dovevano essere citati e a molte persone bisognava dare comunicazione giudiziaria della data e del luogo dell'udienza. Perciò non è certo un segreto. E non sarà certamente nemmeno un picnic. Un conto è firmare un pezzo di carta, tutt'altra cosa è comparire nell'aula di un tribunale e rivivere in pubblico quei terribili momenti. Ma tocca a te decidere, tu sei la moglie di Robert.» «Non sono sua moglie» ribatté Devon. «Sono la sua vedova.» 2 Le due automobili procedevano lentamente lungo la strada di terra battuta, sollevando nuvole di polvere simili a segnali di fumo. In testa c'era la giardinetta guidata da Estivar. L'uomo aveva quasi cinquant'anni ormai, ma i suoi capelli erano ancora neri e folti e, da lontano, il suo corpo agile e snello lo faceva sembrare un ragazzo. Per l'occasione aveva indossato l'unico completo che possedeva, un abito di gabardine blu che riservava ai banchetti annuali dell'Associazione Agricola e alle sue apparizioni davanti alle autorità di immigrazione, quando qualcuno dei suoi uomini veniva acciuffato dalla polizia di frontiera per essere entrato illegalmente nel paese. Il completo blu, che avrebbe dovuto conferirgli un'aria rispettabile e irreprensibile, dava semplicemente rilievo al suo disagio, alla sua irritazione per la piega che gli eventi stavano prendendo. Se proprio doveva esserci un riconoscimento ufficiale della morte di Robert Osborne, questo sarebbe
dovuto avvenire non davanti alla Corte, ma in chiesa, tra preghiere e implorazioni, e lunghe, oscure parole recitate da preti dal volto triste. Estivar aveva portato con sé la moglie Ysobel, per conforto morale e perché lei si era rifiutata di stare a casa. Era una meticcia, per metà indiana, con zigomi sporgenti di un rosso bronzo e occhi neri inespressivi che sembravano spenti, ma a cui non sfuggiva niente. Stava col collo rigido e il corpo eretto, decisa a non arrendersi al movimento della macchina. Sul sedile, dietro Ysobel, Dulzura sedeva di fianco con le gambe diritte per paura di rompere le calze alle ginocchia. Indossava un enorme vestito con un motivo di cavallini che galoppavano lungo l'orlo e attraverso le tasche. Lo aveva comperato in vista di una gita domenicale alle corse di Agua Caliente, ma l'uomo che le aveva proposto la gita non si era fatto più vivo. Il rincrescimento maggiore di Dulzura per quella defezione era stato il pensiero del denaro che avrebbe potuto vincere. "Cinquecento pesos, forse" aveva esclamato a voce alta senza rivolgersi a nessuno in particolare. "E cioè quaranta dollari." Vicino a Dulzura sedeva Lum Wing, l'anziano cinese che cucinava per i lavoranti. Non faceva mai comunella con loro, appariva semplicemente al loro arrivo, portando una borsa con i suoi vestiti e una cassetta di legno, chiusa con un lucchetto, che conteneva una raccolta di coltelli, una pietra per affilarli e una scacchiera con gli scacchi. E quando gli uomini se ne andavano, spariva anche lui, ma non insieme a loro e nemmeno nella loro direzione, se appena poteva evitarlo. Lum Wing succhiava il cannello di una pipa spenta ricavata da un tutolo, chiedendosi che cosa esattamente volessero sapere da lui. Un poliziotto in uniforme gli aveva consegnato un pezzo di carta, dicendogli che avrebbe fatto bene a presentarsi, altrimenti... Aveva il presentimento, basato su fatti di cui lui pensava che nessun altro fosse a conoscenza, che sarebbe andato a finire in prigione. E quando un buon cuoco andava a finire in prigione, nessuno aveva fretta di rimetterlo in libertà, come sapeva per esperienza. Per la tensione nervosa aveva continuato tutta la mattina ad ingoiare aria e ora, di tanto in tanto, la espelleva con lunghi, rumorosi rutti. «Digli di smetterla di fare quei rumori disgustosi» disse Ysobel al marito in spagnolo. «Non ci può fare niente.» «Pensi che sia ammalato?» «No.» «Mi sembra più giallo in faccia di come l'ho visto l'ultima volta. Forse
ha una malattia contagiosa. Ma pure io comincio a non sentirmi bene.» «Anch'io» intervenne Dulzura. «Forse è il caso di fermarsi in qualche posto a Boca de Rio e di bere qualcosa per calmare i nervi.» «Lo sai che vuol dire con quel "qualcosa"» osservò acida Ysobel. «Non certo caffè, te lo dico io. E faremmo una bella figura, se arrivassimo davanti alla Corte con lei ubriaca fradicia.» Estivar frenò di colpo la macchina e ordinò alle due donne di smetterla, sicché il viaggio continuò per un po' in silenzio attraverso boschetti di limoni, i cui fiori mandavano un dolce profumo, acri di stoppie dov'era stata tagliata l'erba medica e campi di zucche quasi mature che l'ultimo figlio di Estivar, Jaime, aveva coltivato per venderle a Boca de Rio in occasione di Halloween e del Giorno del Ringraziamento. Jaime aveva quattordici anni. Era sdraiato ora a pancia in giù in fondo alla giardinetta, e si rosicchiava l'unghia del pollice destro, chiedendosi se i suoi compagni a scuola immaginassero dov'era e che cosa avrebbe fatto. Forse stavano già inventando storie sul suo conto, come se lui fosse un amico dei piedipiatti. Una diceria del genere poteva rovinare la reputazione di un ragazzo per il resto della sua vita. Si era cacciato in quella situazione a causa delle zucche. Nell'ultima settimana di ottobre ne aveva portate alcune a scuola per la festa di beneficenza e le altre le aveva vendute in un negozio di Boca de Rio. Il sabato successivo suo padre gli aveva ordinato di prendere uno dei trattori piccoli e di dissodare il campo delle zucche. La pala del trattore aveva portato in superficie, in un angolo del campo, il coltello a farfalla. Era un bel coltello, piccolo, a due manici, che si aprivano come le ali di una farfalla e, ripiegandosi all'indietro, mettevano a nudo la lama al centro. Uno degli amici di Jaime possedeva un coltello a farfalla. Se si aveva passione e ci si esercitava intensamente nei momenti liberi, la lama poteva essere estratta quasi con la stessa rapidità di un coltello a serramanico, che veniva considerato invece illegale. Jaime era stato felicissimo di averlo trovato, finché non aveva notato un'incrostazione rossastra intorno alla cerniera. Aveva deposto il coltello con cura sul terreno, si era asciugato le mani sui jeans e era andato a informarne il padre. A sud di Boca de Rio entrarono nell'autostrada che collegava San Diego con Tijuana. Le due città, così diverse per aspetto, rumori e atmosfera, erano legate dalla geografia e dall'economia, come due sorellastre di estra-
zione completamente diversa, costrette a vivere insieme sotto lo stesso tetto. In un batter d'occhio, Estivar e la sua giardinetta furono fagocitate dal flusso del pesante traffico. Leo Bishop si teneva nella corsia riservata ai veicoli lenti, con tutt'e due le mani così strette al volante che le nocche delle dita pareva fossero lì lì per uscire dalla pelle. Era un uomo magro e alto, sulla quarantina. C'era in lui un'aria di sconfitta e di smarrimento, come se tutte le regole che aveva imparato ad osservare in vita sua venissero l'una dopo l'altra sovvertite. Se la giovinezza di Dulzura scompariva sotto le pieghe di grasso, l'età di Leo era enfatizzata da anni di sole e di vento. I suoi capelli rossi avevano assunto il colore della sabbia, il suo volto era segnato, sopra gli zigomi e all'attaccatura del naso, da numerose bruciature. Aveva occhi verde chiaro che proteggeva dal sole socchiudendo le palpebre, cosicché, quando si ritrovava all'ombra e i muscoli facciali si rilassavano, sottili linee bianche apparivano agli angoli dei suoi occhi, nei punti dove i raggi ultravioletti non erano arrivati. Quelle linee gli conferivano un'espressione stranamente tesa, che induceva alcuni dei lavoranti messicani a parlare sottovoce di mal ojo, malocchio, e di azar, malasorte. Dopo che sua moglie era annegata nel fiume, quelle voci si erano moltiplicate: aveva avuto problemi con le squadre di lavoranti, le attrezzature si erano guastate, il gelo aveva bruciato i pompelmi e danneggiato le palme da datteri... mal ojo... demonios del muerte. Leo sospettava che fosse Estivar ad alimentare quelle voci, ma non aveva mai parlato dei suoi sospetti con Devon. Lei avrebbe fatto fatica a credere che il malocchio e i demoni facessero ancora parte del mondo di Estivar. «Devon!» «Sì?» «Presto sarà tutto finito.» Devon si strinse nelle spalle. «Che ora è?» chiese. «Le nove e dieci.» «L'avvocato Ford mi ha detto che oggi non si concluderà nulla. Anche se riesce a interrogare tutti i testimoni, ci sarà in ogni caso un rinvio per dare al giudice il tempo di esaminare le deposizioni. Può anche passare una settimana, prima che annunci la sua decisione. Dipende dagli altri impegni che ha.» «In ogni caso, lei avrà esaurito il suo compito.» Devon non sapeva nemmeno quale sarebbe stato il suo compito. L'avvo-
cato le aveva suggerito non soltanto di rispondere alle domande, ma di fornire spontaneamente informazioni ogni volta che lo ritenesse opportuno: piccoli particolari personali, semplici fatti familiari, che servissero a mettere in luce la vera personalità di Robert. "Dev'essere come se tornasse in vita" aveva detto Ford. Non si era nemmeno scusato per la frase infelice: sembrava che volesse verificare fino a che punto lei fosse padrona di sé e se avrebbe retto in tribunale. La strada piegava ora a ponente verso San Diego Bay. Barche a vela si muovevano leggere sull'acqua, simili a grandi farfalle bianche che si fossero tuffate per bere. All'estremità della baia una sottile striscia di spiaggia, con la sabbia bagnata dalla marea che si stava ritirando e inargentata dal sole, faceva da argine al mare aperto. «Le converrà farmi scendere un po' prima del Palazzo di Giustizia» disse Devon. «La signora Osborne pensa che non dovremmo farci vedere insieme.» «Perché?» «La gente potrebbe parlare.» «E questo avrebbe importanza?» «Sembra che ne abbia per lei.» Continuarono per un po' in silenzio. Nella baia le barche cedettero il posto alle navi della Marina militare, le bianche farfalle ai grigi scarafaggi metallici, muniti di minacciose antenne e stravaganti sovrastrutture. «Quando tutto sarà finito» disse Leo «non avrà più motivo di preoccuparsi delle opinioni di Agnes Osborne. Sarà soltanto la sua ex suocera. Domani, dopodomani, la settimana ventura, lei sarà una persona libera.» Devon ripeté la frase tra sé, assaporandone il senso. Vedova significava perdita e rimpianto. La libertà faceva pensare al futuro. «E che cosa fanno le persone libere, Leo?» «Fanno le loro scelte.» Per Devon quello era stato un anno senza scelte, un anno in cui tutte le decisioni erano state prese da altri. Aveva pagato i conti che Estivar le diceva di pagare, firmato le carte che l'avvocato Ford le aveva messo davanti, risposto alle domande che Valenzuela le aveva fatto, mangiato quello che Dulzura aveva preparato, indossato i vestiti che Agnes Osborne le aveva consigliato. Presto l'anno di vedovanza sarebbe ufficialmente finito e sarebbe stata lei a decidere. Non ci sarebbero stati più tailleur di colore marrone, non più chorizo e uova strapazzate, sepolte sotto la polvere di chili; Valenzuela poi
non faceva nemmeno più parte della polizia; dopo l'omologazione del testamento, non avrebbe più avuto alcuna ragione per vedere Ford; avrebbe potuto vendere il ranch e così anche Estivar sarebbe stato un ricordo del passato. Ysobel si protese in avanti per guardare il tachimetro. «Stiamo partecipando a una corsa, allora?» La sua voce era carica di ironia. «Non sapevo che si organizzassero le corse in autostrada.» «Il limite di velocità è cento chilometri» precisò Estivar. «E devo adeguarmi all'andatura degli altri.» «Si direbbe che stiamo andando a una bella festa, tanta è la tua fretta di arrivare. Il signor Bishop ha più buonsenso di te. È indietro di parecchi chilometri rispetto a noi, e è giusto. Sa benissimo che nessun premio l'aspetta alla fine del viaggio.» Estivar, che era stato imbronciato per tutta la mattina, scoppiò di punto in bianco in una sghignazzata. «In questo potresti sbagliarti di grosso.» «Zitto. Qualcuno potrebbe sentirti e trarne le conseguenze logiche.» Ysobel non pensava a Jaime, il quale era quasi sempre distratto o assente, o a Lum Wing che non sapeva lo spagnolo, a quanto le risultava, al di là di qualche parolaccia e di convenevoli come buenos dias. «Dovresti stare attento a come parli, quando c'è Dulzura» aggiunse Ysobel. «È una pettegola nata.» Dulzura spalancò la bocca con esagerato stupore. Non era vero che era nata pettegola o che lo fosse diventata. Non diceva niente a nessuno, soprattutto perché in un posto così sperduto non c'era nessuno a chi poter dire qualcosa, salvo quelli che già ne erano informati. Si chiese quale premio potesse attendere il signor Bishop e quanto valesse e se era il caso di chiederlo alla giovane signora Osborne. «La giovane señora» disse Ysobel in un sussurro. «È quello il premio secondo te?» «E che altro?» «Non lo sposerebbe mai. È troppo vecchio.» «Non è che ci sia una coda di pretendenti davanti alla sua porta.» «Non per il momento. Per legge è ancora una donna sposata e le persone di una certa condizione ci tengono a queste cose. Aspetta e vedrai. A partire da oggi ci saranno abbastanza uomini, anche giovani. Ma lei non vorrà saperne. Venderà il ranch e ritornerà in città.» «Come fai a saperlo?»
«L'ho sognato la notte scorsa. A colori. E quando sono andata dall'indovina a Boca de Rio, mi ha raccomandato di fare molta attenzione a tutti i sogni a colori, perché, buoni o cattivi che fossero, si sarebbero avverati... Non ti è mai accaduto di sognare a colori, Estivar?» «No.» «Be', non importa. Ecco quello che accadrà: la giovane señora venderà il ranch e ritornerà nel posto da dove è venuta.» «E io?» «Il nuovo proprietario sarà naturalmente felice di disporre di un fattore con quasi venticinque anni di esperienza.» «C'era anche il nuovo proprietario nel sogno?» «No, ma forse non ho guardato attentamente. Questa notte cercherò di osservarlo meglio, stando in un angolo.» «Se rassomiglia a Bishop» disse Estivar arcigno «svegliati subito.» «Bishop non ha i soldi per comperare il ranch.» «Può sposarlo.» «No, no, no. La señora è stufa di questo posto. Se ne tornerà in città, come nel mio sogno. L'ho vista camminare tra enormi palazzi grigi, con un vestito rosso scarlatto e i fiori nei capelli.» L'umore di Estivar si fece più nero dopo questo scambio di parole con la moglie. Appena Lum Wing ruttò di nuovo, Estivar gli gridò di smetterla o di scendere e proseguire a piedi. Lum Wing non avrebbe chiesto di meglio che andarsene a piedi, ma l'auto non si fermò per farlo scendere e, inoltre, nella tasca della camicia c'era quel malaugurato pezzo di carta... Sarà meglio che ti presenti, perdio, altrimenti... Il povero vecchio sapeva benissimo di non essere padrone del suo destino. Quando era con gli altri, erano loro che decidevano quello che doveva fare. Era soltanto quando era solo che aveva la facoltà di scegliere: il solitario o gli scacchi, estratto di limetta nel gin o limone, oppure niente gin e una dozzina di semi di stramonio. Per assicurarsi un po' d'intimità e i suoi momenti di libertà di scelta, aveva sistemato un angolo del locale che fungeva da mensa nel periodo in cui c'erano i lavoranti. Tra i fornelli e l'armadio aveva appeso un lenzuolo doppio di flanella preso da una delle cuccette. Alla fine della giornata di lavoro, si ritirava nel suo angolo per giocare a scacchi con avversari immaginari, molto scaltri e spietati, ma non tanto quanto lo era lui stesso. Una parte dei fornelli funzionava a metano, il resto a legna o a carbone. Anche nelle notti calde Lum Wing teneva acceso un po' di fuoco con pez-
zetti di legname vecchio, rametti tagliati dagli alberi o abbattuti dal vento. Gli piaceva lo scoppiettio della legna che ardeva. Aiutava a coprire i rumori che provenivano dall'oscurità al di là della parete di flanella... sussurri, brontolii, frammenti di conversazione, risa. Lum Wing si sforzava di ignorare quei rozzi rumori di gente ordinaria e di concentrarsi sul silenzio eburneo di re, regine e cavalli. Ma a volte, suo malgrado, riconosceva una voce nel buio e, quando questo accadeva, fabbricava con pezzetti di carta due tamponcini e se li ficcava nelle orecchie quanto più in fondo possibile. Sapeva che la curiosità era una brutta bestia. Deglutì e rigurgitò un'altra boccata d'aria. «...forse dipende dal fegato» osservò Ysobel. «Mi hanno detto che molte malattie del fegato sono contagiose.» Prese un fazzoletto dalla borsetta e lo tenne premuto contro il naso e la bocca. Poi gridò con voce soffocata: «Jaime! Mi senti, Jaime? Rispondi a tua madre.» «Rispondi a tua madre, Jaime» gli fece Dulzura gentilmente. «Ehi, svegliati.» Jaime sbatté leggermente le palpebre. «Sono sveglio.» «Rispondi a tua madre, allora.» «Sto rispondendo, che cosa vuole?» «Non lo so.» «Chiediglielo.» Dulzura si sporse in avanti. «Jaime vuole sapere che cosa vuole da lui.» «Digli di stare attento che quel cinese non gli respiri in faccia.» «Tua madre dice di stare attento che il cinese non ti respiri in faccia.» «Non mi sta respirando in faccia.» «Be', se lo fa, cerca di impedirglielo.» Jaime chiuse di nuovo gli occhi. La vecchia diventava sempre più stravagante. Personalmente, lui, sperava di avere la fortuna, come il signor Osborne, di morire prima di invecchiare. Sui gradini del Palazzo di Giustizia i piccioni si lisciavano col becco le penne al sole e saltellavano su e giù, con un'aria d'importanza come guardie in uniforme. A lato di uno dei colonnati, Devon scorse il suo avvocato, Franklin Ford, circondato da una mezza dozzina di uomini. Ford colse il suo sguardo, le lanciò un'occhiata di avvertimento e si voltò di nuovo. Mentre gli passava a fianco, Devon lo udì parlare con la sua voce bassa, pronunciando ogni sillaba distintamente come se si rivolgesse a un gruppo di stranieri o di ignoranti:
«...tenete presente che questo è un procedimento legale senza controparte. Non c'è l'opposizione di una compagnia di assicurazioni, per esempio, che debba pagare una grossa polizza per la vita di Robert Osborne, né di un parente che non sia soddisfatto delle disposizioni testamentarie circa la proprietà del signor Osborne. L'ammontare della polizza di assicurazione del signor Osborne è trascurabile, poiché si tratta di una piccola polizza stipulata dai genitori, quando era ancora un bambino. I termini del suo testamento, chiaramente definiti, non sono stati impugnati. E questa udienza è stata richiesta alla Corte con un'istanza della moglie alla quale si è associata anche la madre. Perciò l'udienza di oggi ha lo scopo di accertare il fatto stesso della morte di Robert Osborne e di provare in maniera il più possibile definitiva come, perché, quando e dove tale morte è avvenuta. Nessuno è stato accusato, nessuno è sotto processo.» Entrando nell'edificio, Devon si chiese se fosse più vicino al vero l'affermazione di Ford: "Nessuno è sotto processo". O quella di Agnes Osborne: "Certo che siamo tutti sotto processo." La porta dell'aula numero cinque era aperta e i posti riservati al pubblico erano quasi tutti occupati. Sul lato destro, vicino alle finestre, sedeva Agnes Osborne tutta sola. Aveva in testa un cappello azzurro, che sembrava una ghiandaia appollaiata sui suoi impeccabili riccioli biondi, e indossava un vestito di maglia dello stesso grigio degli occhi. Se si considerava sotto processo, non lo lasciava trapelare. Il suo volto era privo di espressione, salvo un angolo della bocca atteggiato a un mezzo sorriso, come se fosse in qualche modo divertita all'idea di trovarsi in quella situazione e in quella compagnia. Era il volto riservato al pubblico. Quello privato era incerto, confuso, spesso rigato di lacrime e acceso di collera. Osservò Devon che le si avvicinava lungo il corridoio, pensando a quanto apparisse fuori posto in quel luogo di violenza e di morte. Devon avrebbe dovuto ancora aggirarsi nei corridoi di qualche college insieme ad altre graziose ragazze e a ragazzi dal volto serio pieno di foruncoli. "Devo essere più gentile con lei. Devo sforzarmi di volerle bene. È colpa mia se lei è qua." La signora Osborne aveva pensato che, se avesse allontanato Robert dal ranch per un paio di mesi, le chiacchiere sullo scandalo della morte di Ruth Bishop sarebbero cessate. Era stato un doppio errore. La sua lontananza aveva semplicemente alimentato i pettegolezzi e quando era tornato aveva portato con sé Devon. Agnes si era sentita sconvolta e offesa. Voleva che suo figlio si sposasse, naturalmente, ma non a ventitré anni, non con quella
strana piccola creatura che veniva da un'altra parte del mondo. "Robert, perché? Perché lo hai fatto?" "E perché no? La ragazza mi ama, mi considera un essere straordinario. E allora?" Devon si chinò e le due donne si sfiorarono leggermente le guance. C'era qualcosa di definitivo in quel tiepido abbraccio, come se tutte e due sapessero che sarebbe stato uno degli ultimi. In fondo all'aula, seduto tra suo padre e Dulzura, Jaime era come un paziente che si sveglia dall'anestesia e scopre che il suo corpo può muoversi ancora. Eseguì un paio di misteriosi esercizi isometrici, si schiarì la gola, canticchiò qualche battuta di una pubblicità commerciale... «Taci!» gli ordinò Estivar... si ficcò in bocca un altro pezzetto di gomma da masticare, si tirò su i calzini, fece scrocchiare le nocche delle dita... «Piantala!» ...si grattò un orecchio, si fregò la mascella, si passò un sudicio mozzicone di pettine tra i capelli... «Perdio, vuoi stare fermo o no?» Jaime incrociò le braccia sul petto e rimase seduto immobile, salvo una gamba che dondolava contro il sedile davanti e un impercettibile digrignare dei denti. La scena era diversa da come se l'era immaginata. Aveva pensato che ci sarebbe stato un gran numero di poliziotti in giro. Ma in tutta l'aula se ne vedeva soltanto uno, un tipo sui trentacinque anni che si stava dissetando alla fontanella dell'acqua. Il posto del giudice e il banco dei giurati erano vuoti. Tra l'uno e l'altro era stato sistemato su un cavalletto un grande foglio su cui era disegnato qualcosa. Per quanto aguzzasse la vista e si concentrasse con tutte le sue forze, Jaime non riusciva a capire che cosa volesse rappresentare. Forse era rimasto lì dal giorno o dalla settimana prima e non aveva nessun rapporto con il caso del signor Osborne. Malgrado l'atteggiamento di indifferenza che aveva assunto con i suoi compagni e l'aria sonnolenta e distratta che ostentava nell'ambito familiare, conservava la viva curiosità di un bambino. «Ehi, spostati, lasciami passare» bisbigliò a Dulzura. «Dove vuoi andare?» «Fuori di qui.» «Puoi passare, se vuoi.» «Non posso, sei troppo grassa.» «Sei proprio uno sfacciato» lo rimbeccò Dulzura. Si alzò e si fece da parte. Con un'aria strafottente e le mani in tasca, Jaime andò a sedersi nella
prima fila di posti. Il poliziotto si era allontanato dalla fontanella e lo teneva d'occhio come se temesse di vedergli fare chissà quali pazzie da un momento all'altro. Jaime in effetti faceva di tutto per dare l'impressione di essere capace di qualsiasi bravata, se lo avesse voluto. Ma per il momento non ne aveva voglia. Il disegno sul cavalletto era una mappa. Quella che dal fondo dell'aula appariva una strada era in realtà il letto del fiume, che segnava i confini del ranch a est e a sud-est. I triangolini erano alberi, che rappresentavano il boschetto dei limoni a ovest, a nord-est quello degli avocado e a nord le palme da datteri con gli alberi di pompelmi che crescevano tra un filare e l'altro. Il circolo indicava l'ubicazione del laghetto artificiale e i rettangoli, ognuno contrassegnato da una lettera dell'alfabeto, rappresentavano gli edifici: la casa stessa del ranch, la baracca della mensa, il dormitorio e i magazzini, il garage per tutte le attrezzature meccaniche e, dall'altra parte del garage, la casa dove Jaime viveva con la sua famiglia. «Stai cercando qualcosa, ragazzo?» gli chiese il poliziotto. «No. Stavo soltanto osservando la mappa. Rappresenta il posto dove io abito. Il rettangolo con la lettera C è la mia casa.» «Non dire sciocchezze.» «Io sono un testimone al processo.» «Davvero?» «Stavo guidando il trattore, quando tutto ad un tratto ho guardato per terra e ho visto il coltello.» «Bene, bene, bene. Ma ora ti converrà ritornare al tuo posto. Sta per arrivare il giudice e lui vuole che tutto sia in ordine.» «Non vuole sapere che tipo di coltello era?» «Posso aspettare. Tanto, io devo restare qui fino alla fine. Sono l'aiutante dello sceriffo.» Il cancelliere, un giovanotto dagli occhiali cerchiati di tartaruga e con un vestito di saia blu, si alzò in piedi per fare il primo degli annunci della giornata: "La Corte Superiore dello Stato di California per la Contea di San Diego è in seduta. Presiede il giudice Gallagher. Prego, seduti!" Prese posto al tavolo che condivideva con il rappresentante dello sceriffo. L'udienza per l'omologazione di un testamento era di solito la più noiosa delle procedure giudiziarie, ma questa si annunciava diversa. Prima di riporre la pratica nel fascicolo, lesse di nuovo alcuni brani dell'istanza. In relazione alla situazione patrimoniale di Robert Kirkpatrick
Osborne, defunto, con questa istanza si fa rispettosamente presente che: Devon Suellen Osborne è la vedova superstite di Robert Osborne. L'instante dichiara, in base alle sue informazioni e convinzioni, che Robert Osborne è morto. Il momento preciso della sua morte non è noto, ma l'instante è convinta e perciò dichiara che Robert Osborne è morto il 13 ottobre 1967. I fatti sulla base dei quali la morte viene presunta sono i seguenti: l'instante e il marito, Robert Osborne, hanno vissuto insieme dopo il loro matrimonio per circa sei mesi. La sera del 13 ottobre 1967 Robert Osborne, dopo aver cenato con la moglie, è uscito dalla casa del ranch in cerca del cane, che era scomparso nel corso della serata. Alle ventuno e trenta, poiché Robert Osborne non era ancora rientrato, l'instante ha telefonato al fattore del ranch e è stata organizzata una squadra per la sua ricerca. È stata questa la prima delle numerose operazioni di ricerca che si sono svolte in un periodo di parecchi mesi, coprendo un'area di centinaia di chilometri quadrati. Sono stati raccolti indizi dai quali risulta senza possibilità di dubbio che tra le otto e trenta e le nove e trenta della sera del 13 ottobre 1967 Robert Osborne è stato ucciso ad opera di due o più persone... 3 Il giudice Gallagher si tirò impaziente il colletto della toga. Dopo quindici anni di attività giudiziaria, ancora temeva il momento in cui entrava in aula e la gente lo fissava come se la toga gli conferisse poteri magici. A volte, quando gli accadeva di cogliere uno sguardo particolarmente ansioso, si sentiva quasi tentato di spiegare che la toga era semplicemente un pezzo di stoffa che nascondeva una comune giacca e un paio di pantaloni, una camicia non stiro e un uomo come tanti altri che non poteva operare miracoli, per quanto se ne potesse sentire la necessità. Gallagher si guardò intorno e notò con sorpresa che gli unici posti vuoti erano quelli dei giurati. A quanto gli risultava, non era stata data nessuna pubblicità all'udienza, salvo gli annunci giudiziari nei giornali. Forse quegli annunci avevano un pubblico di lettori superiore a quanto immaginasse. Ma era più verosimile che alcuni dei presenti fossero entrati casualmente e che non avessero per il caso in esame un reale interesse: una signora in gi-
ro a fare spese e che, tra un acquisto e l'altro, dava respiro ai suoi piedi; un giovane militare in preda ai postumi di una sbornia; un gruppetto di studenti armati di blocchi per appunti; una ragazza sottile come un giunco, con una parrucca bionda e enormi occhiali da sole, che teneva in braccio un bambino addormentato. Alcuni degli spettatori erano clienti abituali che venivano per curiosità o perché non avevano nessun altro posto dove andare. Una tedesca di mezza età continuava a lavorare a maglia alacremente nel corso di processi per appropriazione indebita, divorzi, rapine a mano armata e violenze carnali. Due anziani pensionati, uno con le grucce e l'altro con un bastone bianco, si presentavano con qualsiasi tempo e rimanevano seduti imperterriti per tutta la durata delle cause, anche le più noiose. Si portavano da casa un sandwich che a mezzogiorno consumavano fuori sui gradini del Palazzo di Giustizia, gettando ai colombi le briciole. Per Gallagher, che li guardava dalle finestre del suo ufficio, quello sembrava il modo migliore di passare l'intervallo di mezzogiorno. Anche senza i suoi anni di esperienza, sarebbe stato facile per lui individuare le persone implicate nel processo: la moglie e la madre di Osborne che fingevano di non sentire il caldo della mattinata; la gente dei ranch con la faccia segaligna che sembrava fuori posto e a disagio negli abiti cittadini; l'ex poliziotto, Valenzuela, col suo elegante vestito a righe e la cravatta arancione; e, seduto al banco degli avvocati, il legale della signora Osborne, Ford, un uomo affabile e dai modi garbati, ma con un caratteraccio che gli era costato centinaia di dollari di multe per oltraggio alla Corte. «Lei è pronto, signor Ford?» «Sì, Vostro Onore.» «Allora proceda.» «Con questa azione giudiziaria si vuole arrivare al riconoscimento della morte di Robert Kirkpatrick Osborne. A sostegno delle dichiarazioni contenute nella istanza di Devon Suellen Osborne, io intendo sottoporre all'attenzione della Corte i seguenti elementi di prova:» Vostro Onore, il corpo di Robert Osborne non è stato trovato. Secondo le leggi dello stato della California, la presunzione di morte, dopo sette anni di assenza, è inconfutabile. La presunzione di morte, prima che sia trascorso un periodo di sette anni, richiede prove indiziarie dalle quali risulti: primo, il fatto della morte, e cioè che esistono sufficienti indizi per raggiungere la ragionevole conclusione che la morte sia avvenuta; secondo,
che l'assenza per altri motivi diversi dalla morte è incongruente con l'indole della persona assente. La citazione che segue è ricavata dalla sentenza relativa al caso L. Ewing Scott: qualsiasi indizio, fatto o circostanza concernente l'indole del morto presunto (lunga assenza, nessuna comunicazione con amici o parenti, abitudini, simpatie, affetti, prosperità e aspirazioni, tutti quegli elementi che di solito regolano la condotta di una persona e sono alla base delle sue azioni) e l'assenza di qualsiasi indizio che dimostri che il morto presunto ha lasciato la casa, la famiglia o gli amici o i suoi impegni, sono elementi validi dai quali è possibile dedurre la morte di una persona assente o di cui non si è più avuto notizia, qualunque sia la durata di tale assenza. Noi vogliamo dimostrare, Vostro Onore, che Robert Osborne era un giovane di ventiquattro anni, fisicamente e mentalmente ben dotato, felicemente sposato e proprietario di un florido ranch; che i suoi rapporti con la famiglia, con gli amici e con i vicini erano cordiali, che la vita gli arrideva e che il futuro per lui era pieno di promesse. Se noi potessimo osservare un uomo nel corso di una particolare giornata della sua vita, scopriremmo molte cose su di lui, il suo carattere, il suo stato di salute, la sua mente, le sue possibilità economiche, i suoi interessi o gli hobby, i progetti, le aspirazioni. Non riesco a immaginare un modo migliore per presentare un ritratto di Robert Osborne che quello di ricostruire l'ultima giornata quanto più esaurientemente è possibile. La prego di scusarmi, Vostro Onore, se io sollecito dai testimoni particolari apparentemente irrilevanti, e opinioni, supposizioni e conclusioni che non sarebbero ammissibili in un procedimento con due parti in causa. L'ultima sua giornata è stata il 13 ottobre 1967. È cominciata nel ranch Yerba Buena, dove Robert Osborne era nato e dove aveva vissuto quasi tutta la sua vita. Faceva molto caldo, come del resto dall'inizio della primavera, e il fiume era asciutto. Si stavano raccogliendo e imballando per la spedizione gli ultimi pomodori e era imminente la raccolta dei datteri. Il ranch ferveva di attività e Robert Osborne era sempre indaffarato. La mattina del 13 ottobre si è svegliato all'alba come al solito e ha cominciato i suoi preparativi per la giornata. Mentre faceva la doccia, anche sua moglie Devon si è svegliata, ma non si è alzata. Era agli inizi di una difficile gravidanza e le prescrizioni del medico erano di starsene quanto più quieta possibile... Vorrei chiamare come mia prima testimone Devon Suellen Osborne.
Nell'aula la gente cominciò ad agitarsi, a muoversi, a bisbigliare, a cambiare posizione. Poi tutto ritornò tranquillo, mentre Devon si dirigeva verso il banco dei testimoni. «Giuri di...» Devon giurò, con la mano destra ben ferma, con voce inespressiva. Ford faceva fatica a riconoscere la ragazza che un anno prima piangeva disperatamente. «Vuole ripetere il suo nome per il verbale, per favore?» «Devon Suellen Osborne.» «E dove abita?» «Rancho Yerba Buena, Rural Route, numero due.» «Su quel cavalletto c'è una mappa. L'ha già vista, prima?» «Sì, nel suo ufficio.» «E ha avuto l'opportunità di esaminarla?» «Sì.» «È una fedele rappresentazione di una parte della tenuta nota col nome di Rancho Yerba Buena?» «Secondo me, sì.» «C'è qualche parte del Rancho Yerba Buena, che appartiene a lei, signora Osborne?» «No, tutta la proprietà è stata intestata a mio marito da quando aveva ventun'anni.» «Durante i primi tempi dell'assenza del signor Osborne, come è stato gestito il ranch?» «Non è stato gestito affatto. I conti si ammucchiavano, arrivavano assegni che non potevano essere riscossi, gli acquisti erano bloccati. È stato allora che sono venuta da lei a chiedere assistenza.» Ford si rivolse al giudice Gallagher. «Vostro Onore, io ho consigliato alla signora Osborne di aspettare che passassero novanta giorni, da quando il marito era stato visto per l'ultima volta, e poi di presentare istanza alla Corte per ottenere l'amministrazione fiduciaria della proprietà del marito assente. L'amministrazione fiduciaria è stata accordata, la signora Osborne, come prescritto, ha presentato alla Corte, tramite il mio ufficio, resoconti periodici delle ricevute, dei pagamenti e altra documentazione.» «E è questa la sua attuale posizione, signora Osborne» chiese Gallagher «amministratrice fiduciaria della proprietà?» «Sì, Vostro Onore.» «Continui, signor Ford.» Ford si avvicinò alla mappa sul cavalletto e mise un dito sul piccolo rettangolo contrassegnato dalla lettera O. «È questa la casa del ranch, signora
Osborne?» «Sì.» «È in questa casa che ha visto suo marito all'alba, il 13 ottobre dell'anno scorso?» «Sì.» «Avete parlato tra di voi a quell'ora?» «Sì, ma non ci siamo detti niente di importante.» «È difficile stabilire che cosa è importante e che cosa non lo è nel ricostruire l'ultimo giorno della vita di un uomo. Ci dica quello che ricorda, signora Osborne.» «Era ancora buio. Mi sono svegliata, quando Robert è uscito dal bagno e ha acceso la lampada della scrivania. Mi ha chiesto come stessi e io gli ho risposto che mi sentivo bene. Mentre si vestiva, abbiamo parlato del più e del meno.» «C'era qualcosa d'insolito nel modo in cui quella mattina si è vestito?» «Si è messo un paio di pantaloni e una giacca sportiva, invece della solita tenuta da lavoro, perché sarebbe andato in auto in città.» «In questa città, San Diego?» «Sì.» «Le dispiacerebbe descriverci i pantaloni e la giacca, signora Osborne?» «I pantaloni erano di gabardine grigio leggero e la giacca di tessuto sintetico a quadretti bianchi e neri.» «Perché andava a San Diego?» «Per diverse ragioni. La mattina aveva un appuntamento dal dentista e avrebbe fatto un salto da sua madre. Poi sarebbe andato a ritirare una racchetta da tennis che aveva ordinato, un nuovo tipo di racchetta d'acciaio. Gli ho ricordato anche che era il compleanno di Dulzura, la nostra cuoca, e che avrebbe dovuto comperarle un regalino.» «E ha fatto veramente tutte queste cose?» «Tutto tranne il regalo per Dulzura. Se n'era dimenticato.» «Non doveva partecipare a una colazione di lavoro a mezzogiorno?» «Sì.» «E si ricorda qual era lo scopo della riunione?» «Riguardava i problemi del lavoro degli immigranti nelle aziende agricole della California.» «E ci è andato?» «Sì. Robert era del parere che il problema dovesse essere risolto all'origine: il prodotto stesso. Se le colture potevano essere intensificate con pro-
dotti chimici, quali per esempio gli ormoni, ci sarebbero stati raccolti in tutto l'arco dell'anno, il che avrebbe assicurato un impiego fisso ai lavoratori agricoli locali, e non ci sarebbe stato più bisogno di lavoratori stagionali.» «Ora, signora Osborne, quella mattina, quando suo marito ha finito di vestirsi, che cosa ha fatto?» «Mi ha salutata e mi ha detto che sarebbe rientrato a casa per cena alle sette e mezzo circa. Mi ha anche chiesto di stare attenta se vedevo il suo spaniel, Maxie, che era scappato la sera prima. Io pensavo che fosse stato attirato da una cagna in calore e che fosse uscito a cercarla, ma Robert temeva che gli fosse successo qualcosa di grave.» «Per esempio?» «Non me lo ha detto. Ma non permetteva mai a Maxie di avvicinarsi al dormitorio o alla mensa, e di notte lo teneva chiuso in casa.» «Lo faceva per proteggere il cane o per proteggere voi stessi?» «L'uno e l'altro. In certi periodi dell'anno c'era molta gente estranea nelle vicinanze del ranch. Maxie era il nostro cane da guardia e noi eravamo... be', forse si potrebbe dire che noi eravamo... i suoi guardiani.» A questa singolare espressione piccole risate soffocate si udirono qua e là nella sala. «Il cane, dunque» chiese Ford «non simpatizzava con nessuno dei lavoranti nel ranch?» «No.» «Nell'eventualità che suo marito fosse stato aggredito, pensa che il cane sarebbe accorso in sua difesa?» «Non ne dubito.» Ford si sedette al banco degli avvocati e allargò le mani davanti a sé con i palmi in su, come se volesse leggere nelle loro linee, non solo il passato, ma anche il futuro. «Dove e quando lei e Robert Osborne vi siete sposati?» «A Manhattan, il 24 aprile 1967.» «Quanti anni aveva allora il signor Osborne?» «Ventitré.» «Lo conosceva da molto?» «Da due settimane.» «Dal momento che lo ha sposato dopo così breve tempo, devo ritenere che il signor Osborne abbia fatto su di lei un'enorme impressione.» «Sì.» Un'enorme impressione.
Si erano conosciuti un sabato pomeriggio a un concerto al Philharmonic. Devon era arrivata nel corso del numero di apertura e si era infilata al suo posto, cercando di non disturbare. Dopo che i suoi occhi si erano un po' alla volta abituati all'oscurità, aveva notato che la poltrona alla sua sinistra era occupata da un giovane robusto dai capelli biondi e dagli occhiali cerchiati di tartaruga. Ogni due minuti si girava a guardarla e nell'intervallo l'aveva seguita nel ridotto. Lei non era abituata ad essere oggetto di tanta attenzione e la cosa le procurava un certo disagio, ma suscitava in lei una forte curiosità. Il giovanotto dava l'impressione di essere entrato nella sala da concerto per errore o perché qualcuno gli aveva offerto un biglietto e lui non voleva sprecarlo. Era stata lei la prima a parlare. «Perché mi guarda così?» «La stavo guardando?» «Lei mi sta ancora guardando.» «Mi scusi.» Il suo sorriso era timido, quasi melanconico. «È più forte di me, temo. Lei mi ricorda qualcuno al mio paese.» «Una ragazza carina, spero.» «Lo era.» «Non lo è più?» «No.» «Perché no?» «È morta.» Dopo un momento di esitazione aveva aggiunto: «Molti pensano che sia stato io ad ucciderla. Non è vero, ma quando la gente vuol credere qualcosa, è difficile impedirglielo.» Ora era Devon che lo fissava. Una vena alla nuca le pulsava come un campanello d'allarme. «Non dovrebbe andare in giro a dire cose simili a gente che non conosce.» «Non l'ho mai fatto prima. Mi auguro che lei...» Ma Devon stava già allontanandosi. «La prego, si fermi» lui aveva implorato. «L'ho spaventata? Mi dispiace. È stata una stupidaggine da parte mia. Il fatto è che non ho parlato con nessuno da quando sono arrivato in città e lei mi pareva carina e gentile come Ruth.» "Il suo nome era Ruth" Devon aveva pensato. "Era carina e gentile e un sacco di gente pensa che questo giovane l'abbia uccisa e forse lo ha fatto." «Mi dispiace se l'ho spaventata» lui aveva detto. «Aspetti ancora un momento, le dispiace?» Lei si era voltata a guardarlo. «Le apparenze ingannano. Io non sono
molto carina e tutt'altro che gentile, perciò sarà meglio che lei dimentichi qualunque cosa avesse in mente.» «Ma io...» «E le consiglierei di andare a sedersi altrove per il resto del concerto.» «D'accordo.» Per un'ora buona il posto al suo fianco era rimasto vuoto. Avrebbe voluto dare un'occhiata in giro per vedere se lui fosse seduto nelle vicinanze, ma si era sforzata di tenere gli occhi fissi sul palcoscenico e di concentrarsi sulla musica, applaudendo quando gli altri applaudivano. Alla fine del concerto, lui l'aspettava nel ridotto. «Signorina, potrei parlarle per un minuto? Ho riflettuto sulla stupidaggine che ho fatto. Non mi sorprende che lei abbia avuto paura.» «Non ho avuto paura. Ero seccata.» «Mi dispiace. La mia sola attenuante è che ci tenevo ad essere sincero con lei sin dall'inizio.» «Non c'è stato un inizio, niente è cominciato. Ora, se lei non...» «Io mi chiamo Robert Osborne, Robert Kirkpatrick Osborne, e lei?» «Devon Suellen Smith.» «Mi piace, è un bel nome.» Mentre Devon gli spiegava che i suoi genitori avrebbero voluto escogitare qualcosa di meglio che compensasse il comunissimo "Smith", si era resa conto che lei aveva avuto torto e il giovane ragione: un inizio c'era stato. E c'era stato un seguito: da Schrafft's dove avevano preso il caffè e i cannoli, e la mattina successiva al Central Park dove erano andati per una passeggiata. Era la prima domenica calda dell'anno. Doveva esserci stata gente dappertutto nel parco, ma l'unica persona che Devon ricordava di aver visto era stato Robert, mentre camminava a gran passi sul prato verso di lei, con le tasche rigonfie di noccioline che aveva comprato per gli scoiattoli. Le aveva parlato del suo ranch in California, che in realtà era una fattoria, e degli scoiattoli che lì vivevano nelle buche del terreno invece che sugli alberi. Le aveva parlato di Maxie, il suo spaniel; di suo padre, che era morto qualche anno prima cadendo da un trattore; della terra, che era un deserto irrigato, e del bizzarro fiume che o straripava o era asciuttissimo. Alla fine della giornata, Devon sapeva che la sua vita era improvvisamente cambiata e che non sarebbe stata più la stessa. «...risponda alla domanda, per favore, signora Osborne.» «Mi dispiace, non ho sentito.» «Suo marito era un uomo robusto?»
«Era alto un metro e ottantacinque e pesava settantotto chili.» «Era sano?» «Sì.» «Forte e attivo?» «Sì.» «Aveva qualche imperfezione fisica? Per esempio, portava gli occhiali?» «Sì.» «Che tipo di occhiali?» «Per correggere la miopia.» «Ne aveva più di un paio?» «Sì. Oltre ai comuni occhiali cerchiati di tartaruga, aveva quelli da sole che gli erano stati prescritto dall'oculista da usare specialmente quando guidava. All'inizio dell'estate si era fatto applicare le lenti a contatto, e le usava per giocare a tennis e per il nuoto e in tutti gli altri casi in cui gli occhiali comuni lo avrebbero impacciato.» «Le lenti a contatto gli erano state prescritte e applicate da un oculista?» «Sì.» «Ne ricorda per caso il nome?» «Sì, il dottor Jarret.» «Dove ha lo studio?» «Qui, a San Diego.» Ford consultò alcuni appunti sul tavolo davanti a sé. «Mi dica ora, signora Osborne. Lei ha affermato che suo marito è venuto in auto in città per ritirare, tra l'altro, una nuova racchetta da tennis che aveva ordinato. L'ha poi trovata quella racchetta nel corso del pomeriggio?» «Sì. Ha giocato qualche partita in uno dei campi di Balboa Park.» «Aveva le lenti a contatto?» «Sì.» «Ne è certa?» «Sono certa che le aveva quando è tornato a casa.» «Ha continuato a tenerle anche a tavola?» «Sì.» «E dopo cena, quando è uscito a cercare il cane, le aveva ancora?» «Sì.» «Chi ha quelle lenti attualmente, signora Osborne?» «La polizia.» «E i suoi occhiali da sole... dove sono ora?» «Nel vano portaoggetti della sua macchina.»
«Dove li ha lasciati lui?» «Sì.» «E i suoi occhiali cerchiati di tartaruga dove sono ora?» «Non lo so.» «Vuol dire che sono andati perduti o che non sono al loro posto?» «Né l'uno, né l'altro.» «Quando li ha visti l'ultima volta, signora?» «Tre settimane fa. Se proprio vuol sapere il giorno e l'ora precisa, è stato quando lei ha telefonato per informarmi che era stata fissata l'udienza. Gli occhiali di mio marito erano tra le altre cose che io ho riposto in scatole di cartone. Avevo intenzione di conservare quelle scatole in soffitta. Poi mi sono resa conto che questo avrebbe semplicemente rimandato l'inevitabile, perciò ho deciso di mandare tutta quella roba all'Esercito della Salvezza nella speranza che potesse servire a qualcuno. Sono sicura che Robert avrebbe approvato.» «Le ha consegnate lei stessa all'Esercito della Salvezza?» «No. La signora Osborne, la madre di Robert, si è offerta di farlo.» «Quando lei stava imballando quegli scatoloni, immaginava quale sarebbe stato il risultato dell'udienza di oggi?» «Ero sicura che mio marito era morto. Ne ero sicura da molto tempo.» «Perché?» «Niente avrebbe impedito a Robert di mettersi in contatto con me, se fosse stato vivo.» «Eravate una coppia felice?» «Sì.» «E lei aspettava un bambino?» «Sì.» «Ha portato a termine la gravidanza, signora Osborne?» «No.» Devon si ricordò del viaggio all'ospedale sul sedile posteriore della giardinetta di Estivar con Dulzura al suo fianco, stranamente silenziosa e compunta, e la macchina della polizia che faceva loro strada a sirene spiegate. C'era voluto molto tempo prima di tornare a casa dall'ospedale. L'autunno era quasi alla fine e i lavoranti se n'erano già andati. I raccolti erano stati portati a termine. Il viaggio di ritorno era stato più tranquillo. Non c'era nessuna scorta di polizia. Era tornata in tassì invece che con la giardinetta, con Agnes Os-
borne al suo fianco al posto di Dulzura. La signora Osborne aveva continuato a parlarle con voce bassa e monotona, da cui non si riusciva a capire se la perdita del bambino fosse un colpo più grave per lei o per Devon. Per Devon ci sarebbero state altre possibilità, per la signora Osborne era la fine. Aveva detto alla nuora quello che avrebbe dovuto fare col tono di chi stesse leggendo una lista scritta in un cantuccio della propria mente: belle dormite e aria fresca, evitare ogni preoccupazione, darsi coraggio, fare molto moto, sostituire Dulzura con una persona più affidabile, dedicarsi a un qualche hobby, mangiare cibi ricchi di proteine... «...mi stai seguendo, Devon?» «Sì.» «Forse converrebbe ignorare il Natale quest'anno, è sempre una fonte di emozioni. Forse potrebbe farti bene una breve vacanza da sola. Non hai una zia a Buffalo?» «Per favore, la smetta di preoccuparsi per me.» «Non mi piace l'idea che tu stia sola al ranch. Non è un posto sicuro. Su Dulzura non puoi fare affidamento, dovresti essertene accorta, ormai.» «Lo so che di tanto in tanto beve un po'.» «Beve molto e lo fa tutte le volte che può mettere le mani su una bottiglia. In quanto ad Estivar, come facciamo a sapere da che parte starebbe in un caso di emergenza? In questi ultimi venticinque anni ha imparato a parlare inglese, a condurre un ranch e a comportarsi in modo civile, ma rimane un messicano come lo era quando ha passato il confine... Che ne è di tua zia a Buffalo?» «È morta.» «Tutti muoiono. Dio mio, non ce la faccio più. Tutti muoiono...» Ford si alzò, girò lentamente intorno al tavolo e andò ad appoggiarsi alla balaustra del banco dei giurati. Era una mossa voluta, per dare a Devon la possibilità di ricomporsi. «Signora Osborne, lei ha dichiarato in precedenza che suo marito, prima di uscire di casa, la mattina del 13 ottobre, le ha detto che sarebbe ritornato per cena verso le sette e mezzo. È rientrato a casa alle sette e mezzo?» «Sì.» «E avete cenato insieme?» «Sì.» «E è stato un pasto sereno?» «Sì.»
«E quando avete finito, il signor Osborne è uscito a cercare il cane?» «Sì.» «Che ora era?» «Suppergiù le otto e mezzo.» «Dopo che suo marito è uscito, lei che cosa ha fatto?» «Era arrivato per posta un nuovo album di dischi quel giorno e li ho ascoltati.» «Un grosso album?» «Tre dischi, sei facce.» «Che genere di musica?» «Musica sinfonica.» «Spesso nella musica sinfonica ci sono brani sommessi, per cui bisogna alzare un po' il volume per poterli sentire. Il volume del giradischi era al massimo, signora Osborne?» «Sì.» «Allora gli altri brani saranno stati altissimi, vero?» «Sì.» «In quale stanza era stato installato l'impianto stereofonico?» «Nel soggiorno.» «E è lì che lei si è seduta ad ascoltare i dischi?» «Sì, ma non sono stata sempre seduta. Mi sono mossa, ho spolverato, ho rimesso un po' di ordine, ho dato un'occhiata ai giornali.» «Le finestre erano aperte o chiuse?» «Chiuse. Faceva molto caldo e in casa c'è più fresco con le finestre chiuse.» «E le tende?» «Le avevo aperte dopo che il sole era tramontato.» «Dove danno le finestre del soggiorno?» «A levante e a mezzogiorno.» «Che cosa si vede dalle finestre che guardano a levante?» «Di giorno, si vede il letto del fiume e, sull'altra sponda, il ranch che appartiene a Leo Bishop.» «E di notte?» «Niente.» «Si vede qualcosa dalla finestra rivolta a mezzogiorno?» «Si riesce a vedere Tijuana in lontananza sia di notte sia di giorno.» «E la strada asfaltata che porta al ranch è visibile dalle finestre del soggiorno?»
«No, perché è a ponente della casa. Si può vedere dallo studio e dalla cucina e da un paio di camere da letto di sopra.» «Ma non dal soggiorno dove lei stava seduta ad ascoltare la musica.» «No, da lì no.» Ford ritornò al suo posto e si sedette. «Man mano che il tempo passava, senza che suo marito si facesse vivo, ha cominciato a preoccuparsi, signora Osborne?» «Ho cercato di ripetere a me stessa che non c'era niente di cui preoccuparsi, che Robert era nato nel ranch e che ne conosceva ogni angolo. Ma verso le nove e mezzo ho deciso di andare a vedere in garage se Robert avesse preso la macchina per andare a cercare Maxie, invece di andare a piedi come faceva di solito. Ho acceso i riflettori dalla cucina. Dulzura era nella sua stanza, adiacente alla cucina e si sentiva suonare la radio.» «Ha trovato la porta del garage aperta?» «Sì.» «L'auto di suo marito era in garage?» «Sì.» «Che cosa ha fatto allora, signora Osborne?» «Sono rientrata in casa e ho telefonato al signor Estivar.» «Il fattore?» «Sì. Il suo cottage è dall'altra parte del laghetto artificiale.» «Ha risposto subito?» «No. Lui va a letto verso le nove e erano ormai quasi le dieci. Ho lasciato squillare il telefono finché si è svegliato e ha risposto. Gli ho detto che Robert non era rientrato e lui mi ha raccomandato di rimanere in casa con le porte e le finestre chiuse, mentre con Cruz avrebbe fatto un giro con la jeep per cercarlo.» «Cruz?» «È il primo figlio di Estivar. Aveva una jeep munita di un riflettore.» «E lei ha fatto come il signor Estivar le aveva suggerito?» «Sì. Ho aspettato in cucina vicino alla finestra. Da lì potevo vedere le luci della jeep che andava su e giù per le strade di terra battuta che attraversano in ogni senso il ranch.» «Ha notato altri segni di vita, veicoli in moto, passanti, luci?» «No.» «È possibile vedere il locale della mensa e il dormitorio da qualcuna delle finestre della casa?» «No. Un filare di alberi di tamerici impedisce la vista degli stabili riser-
vati al personale.» «Quanto tempo è rimasta ad aspettare in cucina, signora Osborne?» «Fino alle undici meno un quarto, quasi quarantacinque minuti.» «E poi che cosa è accaduto?» «Si è presentato il signor Estivar.» «Era solo?» «Sì.» «Che cosa le ha detto?» «Che era meglio informare la polizia.» «E lei lo ha fatto?» «Il signor Estivar ha chiamato l'ufficio dello sceriffo a Boca de Rio.» «Quando sono arrivati gli uomini dello sceriffo?» «Poco dopo le undici. E il poliziotto responsabile era il signor Valenzuela; l'altro era più giovane, non ne ricordo il nome, ma è stato lui a trovare tutto quel... tutto quel sangue nel locale della mensa.» «Lei è stata informata di quella scoperta?» «Non direttamente. Il signor Valenzuela è venuto di nuovo in casa verso le undici e mezzo e mi ha chiesto se poteva usare il telefono per chiamare l'ufficio dello sceriffo di San Diego. Ho sentito di sfuggita che diceva di aver trovato una gran quantità di sangue e che sembrava fosse stato commesso un omicidio.» «Che cosa ha fatto allora lei?» «Intanto anche Dulzura si era alzata. Ha preparato il caffè e credo di averne bevuto un po'. Subito dopo ho sentito una sirena. Non avevo mai sentito una sirena nel ranch: è sempre così tranquillo durante la notte. Ho guardato dalla finestra della cucina e ho visto diverse macchine venire lungo la strada e le luci rosse che lampeggiavano.» Oltre al suono della sirena c'era Dulzura che pregava in spagnolo a voce altissima come se avesse problemi di collegamento. Poi, tutto ad un tratto, l'orologio a cucù sopra i fornelli aveva cominciato a battere la mezzanotte: sembrava volesse perfidamente ricordare che Robert mancava da tre ore e mezzo e che forse era troppo tardi per le preghiere o per la polizia. Devon era andata nello studio, chiudendosi la porta alle spalle, quasi per sottrarsi a tutto quel trambusto. Per la prima volta aveva sentito la presenza fisica del bambino nel suo ventre. Lo sentiva pesante e inerte come un cherubino di marmo. Aveva composto il numero della casa di Agnes Osborne a San Diego. La
signora Osborne aveva risposto al terzo squillo, con un tono un po' seccato, come se stesse seguendo una trasmissione televisiva e non volesse essere interrotta da qualcuno che sbagliava numero. «Mamma?» «Sei tu, Devon? Come mai non sei a letto a quest'ora? Il dottore ti ha prescritto...» «Temo che sia successo qualche cosa a Robert.» «...di dormire quanto più possibile. Che cosa hai detto?» «C'è qui la polizia. Stanno facendo ricerche. È uscito a cercare Maxie e non è più ritornato e nel locale della mensa c'è sangue, tanto sangue.» C'era stato un lungo silenzio, poi di nuovo la voce della signora Osborne, ostinatamente fiduciosa. «Non è la prima volta che è stato trovato sangue nel locale della mensa. Diamine, ricordo almeno una dozzina di risse là dentro, e tre o quattro veramente gravi. I lavoranti spesso litigano tra di loro e tutti vanno in giro con il coltello. Mi stai ascoltando, Devon?» «Sì.» «Ecco che cosa è probabilmente successo: mentre era in giro in cerca del cane, Robert ha sentito che litigavano e è entrato per vedere di che si trattava. Forse uno degli uomini era ferito gravemente e Robert ha dovuto accompagnarlo in macchina a Boca de Rio da un dottore.» «No.» «Che cosa vuol dire, no?» «Non può essere andato in nessun posto, la sua macchina è qui.» C'era stata un'altra lunga pausa di silenzio. Poi: «Vengo subito lì. Cerca di non agitarti, pensa al bambino. Sono sicura che c'è una spiegazione logica e che, quando Robert saprà che la polizia lo ha cercato, ne sarà molto divertito. Hai qualche tranquillante da prendere?» «No.» «Te ne porterò qualcuno io.» «Non ne voglio.» Non c'era bisogno di tranquillanti per la madre impietrita di un cherubino di marmo... «... per il momento nessun'altra domanda» stava dicendo Ford. «Può andare ora, signora Osborne.» La guardò con interesse mentre scendeva dal banco dei testimoni e tornava a sedersi nei posti riservati al pubblico. La lunga esperienza nel suo lavoro aveva insegnato a Ford a sospettare delle donne troppo docili. Avevano la tendenza ad ereditare, se non tutta la terra, almeno enormi porzioni
di beni terreni. «Vostro Onore, vorrei che fosse chiamato adesso il signor Secundo Estivar.» 4 «Nome e cognome, per favore» disse Ford. «Secundo Alvino Juan Estivar.» «E il suo indirizzo?» «Rancho Yerba Buena.» «Cioè la zona rappresentata nella mappa alla vostra sinistra?» «Sì, signore.» «Lei lavora lì?» «Sì.» «Con quali mansioni?» «Fattore.» «Lei è responsabile della gestione del ranch?» «La Corte ha affidato la gestione del ranch alla signora Devon Osborne durante l'assenza del marito. Io prendo ordini da lei. Se non ci sono ordini, faccio di mia iniziativa il meglio che posso.» Un certo rossore si diffuse sulle guance di Estivar e nel bianco dei suoi occhi. «Quando ci sono profitti, io non me ne attribuisco il merito; ma se ci sono furti o un assassinio, non me ne ritengo responsabile.» «Nessuno ve ne dà la colpa.» «Non a parole. Ma posso sentirne l'odore a chilometri di distanza. Perciò penso che sia meglio chiarire alcuni punti sin dall'inizio. Io ingaggio il personale in buona fede. Se salta fuori che i loro nomi e i loro indirizzi sono falsi e che le loro carte sono state contraffatte, non è colpa mia. Non sono un poliziotto. Come faccio a sapere se i documenti sono falsificati o no?» «Si calmi, per favore, signor Estivar.» «È una posizione scomoda la mia, non è facile rimanere calmi.» «Cerchi di farlo» gli raccomandò Ford. «Un paio di settimane fa, quando abbiamo parlato della sua convocazione in tribunale come testimone, le ho detto che lo scopo di questo procedimento è di stabilire il fatto che c'è stata una morte, non di attribuirne la responsabilità a qualcuno.» «Sì, lei me lo ha detto. Ma...» «Lo tenga presente, allora, per favore.» «Va bene.»
«Quando è arrivato per la prima volta al ranch degli Osborne, signor Estivar?» «Nel 1943.» «Da dove proveniva?» «Da un piccolo villaggio vicino a Empalme.» «E dov'è esattamente Empalme?» «Nello stato di Sonora, in Messico.» «Aveva i documenti per l'espatrio?» «No.» «Ha avuto difficoltà a trovare lavoro senza quei documenti?» «No. C'era la guerra in corso. I coltivatori avevano bisogno di manodopera, non potevano permettersi il lusso di preoccuparsi delle leggi sull'immigrazione. Ogni settimana, centinaia di messicani come me attraversavano il confine e trovavano subito da lavorare.» «Molti lo fanno anche adesso, non è vero?» «Sì.» «C'è, infatti, in Messico un traffico clandestino abbastanza redditizio che consiste nel fornire a questi uomini documenti falsi e mezzi di trasporto.» «Così ho sentito.» «Approfondiremo questo argomento più tardi, nel corso di questa udienza» disse Ford. «Chi è stato ad assumerla nel ranch degli Osborne nel 1943?» «John Osborne, il padre di Robert.» «Ha lavorato sempre lì sin da allora?» «Sissignore.» «Perciò il suo rapporto con Robert Osborne risale a molto tempo fa.» «Al giorno in cui è nato.» «Era un rapporto molto stretto?» «Da quando aveva cominciato a camminare, mi seguiva dappertutto come un cagnolino. Stavo più con lui che con i miei figli. Mi chiamava Tio... zio.» «E questo rapporto è durato per tutta la vita di Robert?» «No. Nell'estate in cui aveva compiuto quindici anni il padre è morto in un incidente, e dopo di allora le cose sono cambiate. Per tutti noi, suppongo, ma specialmente per il ragazzo. In autunno lo hanno mandato in una scuola in Arizona. La madre pensava che aveva bisogno di essere guidato da uomini... voleva dire uomini bianchi.» Estivar lanciò una fugace occhiata ad Agnes Osborne. Ma la signora Osborne aveva voltato la testa e guar-
dava attraverso la finestra uno scorcio di cielo. «Robert è rimasto in quella scuola due anni. Quando è ritornato, non era più un ragazzo, non era più il ragazzo che si appiccicava a me per farmi domande e che veniva a casa mia a mangiare. Lui era il padrone e io ero un dipendente. E così è stato fino al giorno in cui è morto.» «C'era del malanimo tra lei e il signor Osborne?» «Potevamo dissentire a volte sulla conduzione del ranch, ma niente di personale. Non c'era più niente di personale tra noi, soltanto il ranch. Tutti e due volevamo gestire il ranch nella maniera più redditizia, il che significava che qualche volta io dovevo accettare ordini su cui non ero d'accordo e il signor Osborne doveva accettare consigli che non voleva.» «Secondo lei, c'era rispetto reciproco tra voi due?» «Nossignore. Interesse reciproco. Il signor Osborne non aveva nessun rispetto per me come per nessun altro membro della mia razza. Era colpa della scuola dove lei lo aveva mandato... dove lui era stato mandato. È stata quella scuola che lo ha cambiato. Lo aveva imbevuto di pregiudizi. Ero abituato ai pregiudizi, avevo imparato a vivere tra i pregiudizi. Ma come potevo spiegare ai miei figli che ormai il loro amico Robbie non esisteva più? Non ne sapevo la ragione. Ho pensato più volte di chiederglielo... alla madre... ma non l'ho mai fatto. Dopo che è morto, mi è rincresciuto di non essere riuscito a scoprire perché era cambiato, di non averne discusso con lui come ai vecchi tempi. In un certo senso, dentro di me, mi aspettavo che alla fine fosse lui a parlarmene spontaneamente e che io non dovevo sollecitarlo perché c'era ancora tanto tempo. Ma il tempo invece è mancato.» Estivar si interruppe per asciugarsi le gocce di sudore sulla fronte. Nell'aula si era fatto un silenzio di tomba, come se ognuno si sforzasse di sentire scorrere il tempo, il lento passare dei minuti, il rapido succedersi degli anni. Ford chiese: «La mattina del 13 ottobre 1967 lei ha visto Robert Osborne?» «Sì, signore.» «In quali circostanze?» «Molto presto, quando era ancora buio, l'ho sentito che fischiava per chiamare il cane. Circa mezz'ora dopo, io e mia moglie stavamo facendo colazione, quando il signor Osborne si è presentato alla porta di casa e mi ha chiesto di uscire un momento. Sembrava sconvolto e infuriato, perciò sono uscito immediatamente. Il cane giaceva al suolo con la schiuma alla bocca, gli occhi stralunati, come se avesse ricevuto una mazzata in testa.» «Lei ha dichiarato che il signor Osborne era "sconvolto e infuriato".»
«Sì, signore. Mi ha detto: "Qualche sporco... eccetera, eccetera, qui intorno ha avvelenato il mio cane". Soltanto che non ha detto "eccetera, eccetera". Ha usato un'espressione molto offensiva volendo riferirsi alla peggiore specie di messicani. Per quanto mi riguarda, io non bado agli insulti. Ma la mia famiglia ha sentito quella frase, mia moglie e i miei figli più piccoli che erano ancora a tavola. Ho intimato al signor Osborne di andarsene e di non tornare finché non avesse ripreso la padronanza di sé.» «E se n'è andato?» «Sì, signore. Ha preso in braccio il cane e si è allontanato.» «Ha rivisto il signor Osborne più tardi?» Estivar si fregò la bocca con il dorso della mano. «No.» «Vuole per favore parlare più forte?» «Quella è stata l'ultima volta che l'ho visto, mentre si dirigeva verso la casa del ranch con il cane tra le braccia. Le ultime parole che ci siamo scambiati erano parole di rabbia. Mi pesa enormemente, quel saluto brusco.» «Non ne dubito. Tuttavia non è stata colpa sua.» «In parte sì. Sapevo quanta importanza avesse per lui il cane. L'aveva ricevuto in regalo anni prima da qualcuno che... da un'amica.» Ford cominciò a camminare su e giù davanti al banco vuoto della giuria, in parte per abitudine, in parte per l'impazienza. «Signor Estivar, non è mia intenzione, nel corso di questa udienza, di analizzare il complesso problema dell'impiego degli immigrati nell'agricoltura della California. Dobbiamo, comunque, accertare alcuni fatti che influiscono su questo caso, tenendo presente che lei, fattore in un ranch, è al centro del problema. Da una parte, rappresenta i coltivatori, il cui scopo è quello di smerciare prodotti del suolo per trarne un profitto. Dall'altra parte, lei sa benissimo che l'attuale sistema, o l'assenza di un sistema, incoraggia la violazione delle leggi da parte di cittadini messicani e il loro sfruttamento da parte dei coltivatori americani.» È questa una corretta descrizione della sua posizione, signor Estivar? «Abbastanza corretta, suppongo.» «Bene, possiamo continuare. Nella scorsa estate e all'inizio dell'autunno del 1967, oltre a lei stesso, chi lavorava nel ranch degli Osborne?» «In agosto i miei tre figli maggiori: Cruz, Rufo e Felipe. Mia cugina, Dulzura Gonzales, lavorava dagli Osborne come domestica e il mio figlio più piccolo, Jaime, lavorava parecchie ore al giorno. Poi c'erano sei o sette frontalieri, cittadini messicani autorizzati a passare il confine ogni giorno e
a lavorare nei ranch ad una distanza che consentisse di andare avanti e indietro. Avevamo anche un meccanico a part-time, che veniva da Boca de Rio per la manutenzione delle macchine.» «Questo in agosto, ha detto?» «Sì, signore.» «In quel periodo impiegavate lavoratori immigrati?» «No. Non siamo riusciti a trovarne. Lo sciopero nei vigneti era in corso a Delano e i cittadini messicani venivano usati come crumiri. Molti di essi venivano attirati nei vigneti a nord con la promessa di un salario più alto; gli altri venivano ingaggiati dai coltivatori più grossi. Il ranch degli Osborne è in paragone una piccola azienda familiare.» «Che cosa è accaduto in settembre in rapporto alla gestione di questa azienda familiare?» «Molte cose e quasi tutte spiacevoli. Il mio secondo figlio, Rufo, si è sposato e è andato ad abitare a Salinas in modo che la moglie potesse restare vicino alla sua famiglia. Il mio terzo figlio, Felipe, se n'è andato per cercare un altro tipo di lavoro. Ho perduto persino Jaime, perché le scuole si sono riaperte e lui poteva dare una mano soltanto al sabato. Ai frontalieri avevano rubato il loro minibus in una strada di Tijuana e senza mezzo di trasporto non potevano venire a lavorare. Alla fine del mese, soltanto Cruz, il mio figlio maggiore, era ancora con me impegnato a tempo pieno. Abbiamo lavorato sedici ore al giorno finché non è arrivato quel vecchio camion General Motors con gli uomini.» «Si riferisce agli stessi uomini che lei ha ingaggiato in seguito per raccogliere pomodori e datteri?» «"In seguito" dà l'impressione che io sia stato lì a pensarci prima di assumerli. Non è stato così. Li ho ingaggiati appena sono saltati giù dal camion. Poi ho telefonato a Lum Wing a casa di sua figlia a Boca de Rio e gli ho detto che doveva venire a cucinare per una nuova squadra di lavoranti.» «Quanti erano, signor Estivar?» «Dieci.» «Li conosceva?» «No.» «Per quanto le risultava, erano wetbacks o alambres?» «No, erano viseros, cittadini messicani registrati come lavoratori agricoli, muniti di visto che permette loro di lavorare in questo paese. Gli americani li chiamano di solito "carte-verdi" perché il loro visto è registrato su
un cartoncino di colore verde.» «I lavoranti le hanno presentato la carta verde?» «Sì.» «Che cosa ha fatto allora?» «Ho detto agli uomini che si potevano considerare assunti e ho trascritto i loro nomi e indirizzi nei miei registri. Mio figlio Cruz ha fatto loro vedere dove avrebbero mangiato e dormito e dove potevano mettere i loro bagagli.» «Avevano molti bagagli?» «I lavoratori migranti viaggiano leggeri» rispose Estivar. «Vivono con poco.» «Ha esaminato attentamente i visti, quando glieli hanno mostrati?» «Li ho guardati. Come le ho detto prima, non sono un poliziotto, non sono in grado di dire se un visto è autentico o no. Se non li avessi ingaggiati io, quegli uomini sarebbero semplicemente andati dal signor Bishop, dall'altra parte del fiume, o dai Polk il cui ranch confina col suo. Tutti i piccoli coltivatori cercavano disperatamente manodopera a causa dell'huelga, lo sciopero dei vigneti, e perché si era al culmine della stagione dei raccolti.» «Quegli uomini avevano un capo?» «Non so se si possa definire esattamente un capo, ma l'uomo che guidava il camion era di solito quello che parlava.» «Lei ha detto che era un vecchio camion della General Motors?» «Sì.» «Vecchio di quanti anni?» «Molti. Bruciava tanto olio che sembrava una ciminiera.» «Di chi era il camion?» «Non lo so.» «Non ha registrato l'immatricolazione del veicolo?» «No.» «Come mai?» «Non ci ho mai pensato. Perché dovrei farlo? Se lei venisse in macchina al ranch e mi chiedesse di essere ingaggiato per la raccolta dei pomodori, io non verificherei l'immatricolazione della sua macchina.» Ford inarcò le sopracciglia con espressione ironica. «Mi offrirebbe un lavoro, signor Estivar?» «Potrei darglielo. Ma lei non resisterebbe a lungo.» Ci fu uno scoppio di risa tra il pubblico. Estivar non si unì alla risata. Il suo volto si era di nuo-
vo tutto acceso, salvo una sottile linea bianca intorno alla bocca. «Lei è troppo alto. Le persone alte fanno fatica a stare curve per molto tempo.» «Che giorno era quando la squadra di lavoranti è arrivata al ranch col vecchio camion?» «Il 28 settembre, un giovedì.» «Sicché quando Robert Osborne è scomparso, il 13 ottobre, avevano lavorato nel ranch per due settimane.» «Sì, signore.» «È entrato in rapporti personali con qualcuno di loro?» «Io non gestisco un club.» «Tuttavia, è possibile che qualcuno di loro le abbia parlato della moglie o della famiglia che aveva lasciato a casa, cose del genere.» «È possibile, ma non è accaduto. Gli uomini venivano pagati in base al numero delle cassette imballate. Non avevano voglia di parlare, più di quanto io avessi voglia di ascoltarli.» «Ogni quanti giorni venivano pagati, signor Estivar?» «Una volta alla settimana, come tutte le altre squadre.» «In che giorno?» «Il venerdì. Il signor Osborne preparava gli assegni il giovedì sera e io li distribuivo la mattina dopo nel locale della mensa, mentre gli uomini facevano colazione.» «Che cosa facevano dopo il lavoro, nei giorni di paga?» «Non lo so esattamente.» «Be', che cosa fanno di solito i lavoranti?» «Vanno a Boca de Rio a incassare i loro assegni. La banca è chiusa il sabato, perciò la sera del venerdì rimane aperta fino alle sei. Gli uomini sistemano i conti tra di loro e alcuni mandano soldi a casa a mezzo vaglia postale. Vanno alla lavanderia, al negozio di alimentari, al cinema, al bar. Di solito organizzano una partita a dadi nel retro di qualche negozio o in un garage. Alcuni si ubriacano e fanno scoppiare qualche rissa, ma di solito se ne stanno tranquilli perché non vogliono attirare l'attenzione della polizia di frontiera.» «Che genere di risse?» «Con i coltelli, per lo più.» «Vanno tutti in giro col coltello?» «Usano spesso il coltello nel loro lavoro. Il coltello è un attrezzo, non un'arma.» «Bene, signor Estivar, gli uomini che lavoravano per voi il 13 ottobre
1967 hanno lasciato il ranch subito dopo il lavoro?» «Sì, signore.» «Con il camion?» «Sì.» «Sono rientrati quella sera?» «Stavo proprio andando a letto quando ho sentito il camion arrivare poco dopo le nove e parcheggiare all'esterno del dormitorio.» «Come fa a sapere che era il vecchio camion della General Motors?» «I freni stridevano in una maniera particolare. A parte ciò, nessun altro veicolo avrebbe parcheggiato in quel punto.» «Alle nove è troppo presto per concludere una serata di bagordi in città, non le pare?» «Il giorno seguente avrebbero dovuto lavorare, il che significa che dovevano essere all'opera prima delle sette. In un ranch, non si osserva ovviamente l'orario di una banca.» «E gli uomini, la mattina dopo, erano nei campi prima delle sette, signor Estivar?» «No.» «Come mai?» «Non ho avuto la possibilità di chiederglielo» Estivar rispose. «Non li ho più rivisti.» 5 Alle undici il giudice Gallagher concesse una pausa. L'usciere aprì le pesanti porte di legno e la gente cominciò a riversarsi nell'ampio corridoio: i vecchi con il bastone o le grucce, gli studenti tenendo stretti contro il petto, come scudi, i loro blocchi per appunti, la signora che era uscita per le spese, gli uomini dei ranch, la tedesca con la borsa del lavoro a maglia, l'ex poliziotto Valenzuela, la ragazza col bambino mezzo addormentato che piagnucolava sommessamente. Impacciato e tutto accaldato, Estivar raggiunse i suoi nell'ultima fila di posti. Ysobel affrontò il marito in un marcato spagnolo, dicendogli che era stato uno sciocco ad ammettere più di quanto fosse necessario e a rispondere a domande che non gli erano nemmeno state poste. «A me sembra che Estivar se la sia cavata benissimo» osservò Dulzura «parlando chiaramente, senza nemmeno innervosirsi.» «Questi non sono affari tuoi» la rimbeccò Ysobel. «Non interferire.»
«Devo interferire. Io sono sua prima cugina.» «Seconda. Seconda cugina.» «Mia madre era...» «Signor Estivar, di' alla tua seconda cugina, Dulzura Gonzales, di non esprimere le sue opinioni finché non ne è richiesta.» «Penso che se l'è cavata egregiamente» ripeté Dulzura ostinata. «Non sei di questo parere, Jaime?» Jaime, con lo sguardo assente, faceva finta di non sentire, persino di non far parte di quella rumorosa, caratteristica famiglia straniera. Dall'altra parte della sala Agnes Osborne e Devon sedevano silenziose e disorientate, come due estranee processate insieme per un misterioso crimine non descritto nell'atto di accusa, né menzionato da un giudice. Non era stata convocata una giuria per decidere sulla loro colpevolezza. La loro colpa veniva data per scontata. Gravava sulle due donne, immobilizzandole nei loro posti. Devon aveva sete, sarebbe voluta andare nel corridoio per bere un sorso d'acqua, ma temeva che l'usciere potesse seguirla e che il crimine non nominato di cui era accusata avesse cancellato persino il diritto primario di dissetarsi. La signora Osborne fu la prima a parlare. «Te lo dicevo che non ci si poteva fidare di Estivar, se le cose si fossero messe male. Lo vedi quello che sta cercando di fare?» «Non proprio.» «Sta infangando il nostro nome. Vuol far credere che Robert abbia meritato la sua sorte, qualunque fosse. Tutte quelle chiacchiere sui pregiudizi, una pura invenzione. Il signor Ford non avrebbe dovuto permettergli di dire bugie.» «Va bene, andiamo fuori a respirare un po' d'aria fresca» propose Devon. «No, devo rimanere qui a parlare con il signor Ford. Bisognerà che raddrizzi le cose.» «È tutto documentato quello che Estivar ha detto. Né il signor Ford, né altri possono farci niente, ora.» «Lui può fare qualcosa.» «D'accordo, rimarrò qui con lei, se proprio lo vuole.» «No, va' a fare due passi.» Per raggiungere la porta principale, Devon doveva passare vicino alla fila di sedili dove Estivar era ancora seduto con i suoi. Sembravano incerti sul significato della parola intervallo e su che cosa intanto avrebbero dovuto fare.
Quando Devon si avvicinò, tutti, persino Dulzura, alzarono gli occhi come se si fossero dimenticati di lei e fossero sorpresi di vederla in un posto simile. Poi Estivar si alzò e, a un cenno del padre, si alzò anche Jaime. Devon fissò il ragazzo, sorpresa che fosse così cresciuto nel poco tempo trascorso da quando lo aveva visto l'ultima volta. Jaime doveva avere quattordici anni, ora. Quando Robert aveva la stessa età, era solito seguire Estivar dappertutto, lo chiamava Tio, lo assillava con le sue domande e mangiava alla sua tavola. Ma lo faceva davvero? Perché nessuno gliene aveva mai parlato, né Robert stesso né Estivar né Agnes Osborne o Dulzura? Forse l'uomo, Tio, e il ragazzo, Robbie, e il loro rapporto non erano mai esistiti, salvo che nella mente di Estivar. «Ciao, Jaime» Devon lo salutò. «Buongiorno, signora.» «Sei cresciuto tanto che quasi non ti riconoscevo.» «Sì, signora.» «Non ti ho più visto da quando sono cominciate le scuole. Va meglio quest'anno?» «Sì, signora.» Era una cortese bugia, come lo sarebbe stata la risposta a qualsiasi altra sua domanda. La differenza d'età fra loro due avrebbe potuto essere non di dieci ma di cento anni, anche se le pareva che soltanto ieri la gente si meravigliasse di quanto lei stessa era cresciuta e le domandasse se le piaceva la scuola. Nel corridoio, uomini e donne erano raccolti in piccoli gruppi vicino alle finestre, come prigionieri ansiosi di dare un'occhiata al mondo esterno. Qua e là, il fumo di una sigaretta saliva verso il soffitto. La ragazza con la parrucca bionda uscì dalla toilette per signore. Il bambino era completamente sveglio, ora, e scalciava e si agitava e tirava la parrucca della ragazza finché le scivolò giù sulla fronte, facendole saltar via gli occhiali da sole. Prima che la mano del bambino fosse allontanata con un buffetto e gli occhiali e la parrucca ritornassero al loro posto, Devon riuscì a scorgere i capelli neri, tagliati cortissimi, e gli occhi ansiosi con le palpebre che si socchiudevano persino nella luce smorzata del corridoio. «Buongiorno, signora Osborne.» «Buongiorno.» «Scommetto che non si ricorda di me.» «No.» «Ho perso quasi otto chili di peso. E poi la parrucca e gli occhiali da so-
le. Oh, e anche il bambino.» Rivolse uno sguardo al bambino che teneva in braccio con una specie di distacco, come se ancora non sapesse con sicurezza da dove venisse. «Sono Carla, davo una mano alla signora Estivar con le gemelle l'estate scorsa.» «Carla» ripeté Devon. «Carla Lopez.» «Sì, sono io. Sono stata sposata per un po', ma era una pena... mi capisce? Così ci siamo separati e ho ripreso il mio nome di ragazza. Perché portarmi dietro per tutto il resto della vita il nome di un uomo che odio?» "Carla Lopez, sei cresciuta tanto che io faccio fatica a riconoscerti." Devon ricordava una ragazzina sorridente e grassoccia, appena più grande di Jaime, che correva nella strada per andare incontro al portalettere, con una minigonna che metteva in risalto le sue gambe troppo corte. "Buenos dias, Carla" "Buongiorno, signora Osborne..." Carla che si stirava i lunghi capelli neri nella cucina della casa del ranch, con Dulzura che l'aiutava... quasi ammirandola, perché aveva sentito che quella era l'ultima moda e, nello stesso tempo, un po' riluttante perché sapeva che Devon sarebbe andata alla fine ad accertare da dove provenisse l'odore di capelli bruciacchiati che pervadeva la casa. "Che diavolo state combinando, voi due?" E Dulzura a spiegare che riccioli e onde non erano più di moda, mentre la ragazza si inginocchiava con i capelli distesi sul tavolo da stiro come una pezza di seta nera... Carla che sedeva al crepuscolo sotto l'albero di tamerice vicino al lago. "Come mai sei lì tutta sola, Carla?" "C'è tanto chiasso in casa degli Estivar, tutti che parlano nello stesso tempo e la TV accesa. L'estate scorsa, quando lavoravo per i signori Bishop, tutto era assolutamente tranquillo. Il signor Bishop leggeva molto e la signora Bishop faceva lunghe passeggiate perché soffriva di mal di testa. Erano terribili i suoi mal di testa." "È meglio che tu rientri, prima che le zanzare comincino a mordere. Buenas noches." "Buona notte, signora Osborne." Devon le chiese: «Perché sei qui oggi, Carla?» «Penso che sia stata un'idea di Valenzuela, è stato lui che mi ha fatto entrare.» «Vuoi dire che sei stata citata come testimone?» «Sì.» «Per quale ragione?» «Gliel'ho detto, è stato Valenzuela che mi ha fatto venire, insieme a tutta
la mia famiglia.» «Valenzuela non c'entra con le citazioni» ribatté Devon. «Non è nemmeno più un poliziotto.» «Ma qualcosa del poliziotto gli è rimasto. Chieda a chiunque a Boca de Rio... continua ad andare in giro a fare lo spaccone come se avesse ancora l'uniforme.» Spostò il bambino dal braccio destro a quello sinistro, dandogli dei buffetti sulla schiena per acquietarlo. «Anche gli Estivar ce l'hanno con me. Ma ce l'ho anch'io con loro. Be', è un sentimento reciproco, reciproco al cento per cento... Mi dicono che Rufo si è sposato e che Cruz è militare.» «Sì.» «È l'altro quello per cui ho preso una cotta... Felipe. Credo che nessuno sappia dov'è.» «Non lo so.» Devon ricordava i tre figli più grandi di Estivar soltanto come un terzetto. Quando le capitava di incontrarli individualmente, non era mai sicura se si trattasse di Cruz, di Rufo o di Felipe. Erano tutti tranquilli e educati allo stesso modo, come se il padre avesse dato loro precise istruzioni sul modo in cui dovevano comportarsi in sua presenza. Correva voce, arrivata a lei soprattutto attraverso Dulzura, che lontano dal ranch i fratelli Estivar fossero molto più vivaci. Sotto la parrucca platinata della ragazza una sottile striscia della fronte scura luccicava di sudore. «Mia madre avrebbe dovuto incontrarsi con me qui, mi aveva promesso di guardare il bambino, quando io sarò chiamata a testimoniare. Forse si è perduta. Capita così... la gente su cui credo di contare si perde.» «Posso aiutarti io, se vuoi.» «Sono certa che presto o tardi si farà viva. Probabilmente è andata a finire in qualche chiesa e ha cominciato a pregare. Lei prega sempre, ma non serve a niente, specialmente per quanto mi riguarda.» «Come mai?» «Io porto iella.» «Nessuno crede più nella iella.» «No, ma io porto iella.» Carla lanciò un'occhiata al bambino, accigliata. «Spero che il bambino non la prenda da me. Avrà già tanti guai senza che la gente muoia intorno a lui, o che sparisca, o che anneghi, o che sia accoltellata come il signor Osborne.» «Il signor Osborne non è morto a causa della tua iella.» «Be', sento che se non fosse stato per me, sarebbe ancora vivo. E anche
lei.» «Lei?» «Sì, la signora Bishop. È morta annegata.» La signora Bishop soffriva di forti mal di testa, faceva lunghe passeggiate e era annegata. Il tavolo riservato alla stampa durante le udienze era rimasto vuoto per l'intervallo. Ford e la signora Osborne si fronteggiavano attraverso il lucido ripiano di mogano. La signora aveva ancora la faccia che riservava al pubblico con il suo cappello azzurro alla moda, ma Ford cominciava ad irritarsi e la sua voce sommessa si era un po' inasprita. «Le ripeto, signora Osborne, Estivar ha parlato più liberamente di quanto io avessi previsto. Comunque, non ha fatto niente di male.» «Non per lei. Niente la tocca personalmente. Ma per me? Tutto quel discorso sui pregiudizi e su una nostra presunta ostilità è stato piuttosto imbarazzante.» «L'assassinio è una faccenda imbarazzante. Nessuna legge prevede che la madre della vittima debba essere risparmiata.» «Mi rifiuto di credere che ci sia stato un assassinio.» «D'accordo, d'accordo. Nessuno le contesta il diritto di avere una sua opinione. Ma, per quanto riguarda l'udienza odierna, suo figlio è morto.» «Una ragione di più per non permettere ad Estivar di infangare il suo nome.» «Io l'ho lasciato parlare» ribatté Ford «come intendo lasciar parlare tutti gli altri testimoni. Il giudice Gallagher non è uno stupido. Si insospettirebbe subito, se io cercassi di presentare Robert come un giovane perfetto senza nemici al mondo. I giovani perfetti non vengono assassinati, non vengono nemmeno messi alla luce. Quando si esaminano i precedenti di un assassinio, i difetti della vittima sono molto più pertinenti delle sue virtù, i suoi nemici sono più importanti dei suoi amici. Se Robert non andava molto d'accordo con Estivar, se aveva noie con i lavoratori immigrati o con i suoi vicini...» «Gli unici vicini con cui ha avuto qualche piccolo screzio sono stati i Bishop. Non vorrà riesumare di nuovo quella faccenda... Ruth è morta ormai da due anni.» «E Robert non c'entrava niente con la sua morte?» «No, naturalmente.» La signora Osborne scosse il capo e il cappello le scivolò di colpo sul naso come se la ghiandaia volesse beccare qualcuno
che la infastidiva. «Robert aveva cercato di aiutarla. Era una donna molto infelice.» «Perché?» «Perché aveva buon cuore.» «No. Perché era una donna infelice, volevo sapere.» «Forse perché Leo... il signor Bishop... era più interessato ai prodotti della terra che a sua moglie. Lei si sentiva sola. Era solita venire da noi a chiacchierare con Robert. Non c'era altro tra di loro, soltanto parlare. Per la sua età poteva essere sua madre. Robert provava molta pena per lei, era una creatura così patetica.» «È questo che suo figlio le diceva?» «Non aveva bisogno di dirmelo, era evidente. Ogni giorno se ne veniva a casa nostra trascinandosi dietro la sua pena, come un animale malato che non riuscisse né a curare né a sopprimere.» «Come veniva a casa sua?» «A piedi. Fingeva di farlo come esercizio fisico, ma naturalmente nessuno se la beveva, nemmeno Leo.» La signora Osborne s'interruppe, passando la mano inguantata sul ripiano del tavolo come se volesse accertarsi che non ci fosse polvere. «Lei saprà, immagino, come è morta.» «Sì. Ho guardato nelle raccolte dei giornali. Stava cercando di attraversare il fiume durante una pioggia battente, è stata travolta da un'improvvisa piena e è annegata. La giuria ha emesso un verdetto di morte accidentale. È risultato che soffriva di depressioni, ma il suicidio è stato escluso dal ritrovamento della sua valigia a un paio di chilometri più a valle, inzuppata d'acqua ma ancora intatta. Era stata preparata per un viaggio. Aveva intenzione di andare in qualche posto.» «Forse.» «Perché "forse", signora?» «Non c'era nessuna prova che Ruth e la valigia fossero andate a finire nell'acqua nello stesso momento. È semplicissimo preparare la valigia di una donna e gettarla nel fiume, specialmente per chi non ha difficoltà a mettere le mani sulle sue cose.» «Come un marito, per esempio?» «Esatto, come un marito.» «E perché un marito dovrebbe farlo?» «Per lasciar credere che la moglie doveva trovarsi con un altro uomo e tagliare la corda con lui. Il modo migliore per evitare di essere incolpato è quello di far ricadere la colpa su qualcun altro. Quella valigia faceva di
Leo un povero vedovo sconsolato e di Robert un seduttore irresponsabile.» «Che cosa c'era nella valigia?» «Che cosa c'era esattamente, vuol dire?» «Sì.» «Non lo so. Ma che differenza fa?» «Una donna che si prepara per un appuntamento con il suo amante non metterebbe nella valigia le stesse cose che un uomo ci caccerebbe per lei, anche se fosse suo marito. Presumo che il contenuto della valigia sia stato mostrato durante l'inchiesta del coroner.» «Io non ero presente all'inchiesta. Ormai avevo smesso di uscire per evitare i pettegolezzi. Intendiamoci, non se n'è mai parlato davanti a Robert o a me, ma lo si poteva leggere sulla faccia di tutti, persino degli uomini che lavoravano per noi. Se non fosse morta, sarebbe stata soltanto ridicola l'idea di Robert che scappava con una donna che poteva essere sua madre, una povera creatura tutta pelle e ossa che sembrava una vecchina.» «Signora Osborne, secondo lei, che cosa è accaduto a Ruth Bishop?» «Io so quello che non è accaduto. Non ha preparato una valigia, né ha attraversato quel fiume per andare ad un appuntamento con mio figlio. Pioveva prima ancora che lei uscisse di casa, e sapeva benissimo del pericolo di una piena improvvisa.» «Lei crede che abbia attraversato il fiume deliberatamente?» «Forse.» «E che Leo Bishop abbia preparato la valigia e l'abbia buttata nell'acqua in maniera che venisse ritrovata a valle più tardi?» «Anche qui, forse.» «Perché?» «Il suicidio di una donna sposata mette il marito in cattiva luce, insospettisce la gente che comincia a porsi domande e a indagare. In realtà, siamo stati noi a farne le spese. Ho mandato Robert a fare un viaggio sulla costa atlantica, per lasciare che lo scandalo si sgonfiasse. È là che ha conosciuto Devon e l'ha sposata due settimane dopo. Strano come le situazioni si ripetano! La prima cosa che mi ha colpita di Devon è stata la sua rassomiglianza con Ruth Bishop.» La gente cominciava a rientrare nell'aula: gli studenti, Leo Bishop e gli altri coltivatori, gli Estivar, Lum Wing che si trascinava a stento dietro di loro come un cagnolino, Carla Lopez, tutta azzimata, ora, e senza il bambino come se fosse arrivata tutto ad un tratto alla conclusione che era troppo giovane per sopportare il carico di un bambino e lo avesse lasciato nel
corridoio o nella toilette per signore. Come unica reazione al rientro della gente nell'aula, Ford abbassò leggermente la voce. «Lei ha allontanato Robert dal ranch anche dopo la morte del padre, vero?» «Sì.» «Come è morto suo marito?» «Gliel'ho già detto.» «Me lo ripeta.» «Si è fratturato il cranio cadendo dal trattore. È rimasto in coma per giorni.» «E dopo la sua morte, Robert è stato mandato in una scuola dell'Arizona.» «Ero molto depressa e sarei stata una pessima compagnia per un ragazzo della sua età. Robert aveva bisogno della guida di un uomo.» «Estivar sostiene che non è stata una buona guida.» «Estivar esagera. I messicani in genere esagerano.» «È d'accordo con Estivar che Robert era cambiato, quando è tornato a casa?» «Certo che era cambiato. Sono gli anni in cui il cambiamento è più marcato, dai quindici ai diciassette anni. Robert era partito che era un ragazzo e è tornato che era un uomo destinato a prendere in mano le redini del ranch. Estivar, ripeto, esagera. Il rapporto tra lui e Robert non è mai stato così stretto come lui ama ricordare. E perché avrebbe dovuto esserlo? Robert aveva un ottimo padre.» «E i loro rapporti erano amichevoli?» «Naturalmente.» «Come ha fatto il signor Osborne a cadere dal trattore?» «Io non c'ero, quando è successo. E mio marito non me l'ha detto perché non ha più ripreso conoscenza. Ma in ogni caso, che cosa cerca di dimostrare? Prima, tira in ballo la morte di Ruth Bishop e, ora, quella di mio marito. Non c'è nessun rapporto tra l'una e l'altra e sono avvenute a sei anni di distanza.» «Non ho tirato in ballo Ruth Bishop» ribatté Ford. «È stata lei a farlo.» «Mi ci ha portato lei.» «Comunque, non è proprio facile cadere da un trattore.» «Non saprei. Non ho mai provato.» «Dicono che suo marito fosse ubriaco.»
«Così ho sentito.» «Lo era?» «È stata effettuata l'autopsia. Nel referto non si parlava di alcol.» «Qualche istante fa, lei ha detto che il signor Osborne è rimasto in coma per giorni. Ogni traccia di alcol sarebbe scomparsa dal sangue durante quei giorni.» «Non sono un medico. Come faccio a saperlo?» «Penso invece che lei sappia molte cose, signora. Il problema è di riuscire a farglielo ammettere.» «Questa è un'osservazione non degna di un gentiluomo.» «Non ci sono stati mai gentiluomini nella mia famiglia» ribatté Ford. «Sarà meglio, ora, che lei ritorni al suo posto. L'intervallo è finito.» Il giudice Gallagher stava rientrando nell'aula, con le code della toga che si agitavano come le ali spezzate di una cornacchia. «Si prega di prendere posto e di tacere» ordinò il cancelliere. «L'udienza riprende.» 6 Fu chiamato il nome di John Loomis e uno degli uomini in abiti da lavoro salì al banco dei testimoni e prestò giuramento. John Sylvester Loomis, 514 Paloverde Street, Boca de Rio; occupazione, veterinario. Il dottor Loomis dichiarò che la mattina del 13 ottobre 1967, mentre dormiva nell'appartamento situato sopra il suo studio, era stato svegliato da qualcuno che batteva forte alla porta d'ingresso. Era sceso e aveva trovato Robert Osborne con il cane, Maxie, al guinzaglio. «L'ho mandato a quel paese, se mi è consentita l'espressione, per avermi svegliato così presto, perché ero stato in piedi fino alle tre di notte per assistere una giumenta che aveva figliato. Ma, secondo lui, era una cosa urgente: qualcuno gli aveva avvelenato il cane.» «E qual è stata la sua opinione, dottore?» «Non ho notato nessun sintomo di avvelenamento. Il cane era vivace, aveva occhi limpidi, il naso freddo, il fiato non gli puzzava. Il signor Osborne mi ha detto di aver trovato Maxie in un campo prima dell'alba, con le gambe che si contraevano spasmodicamente, la schiuma alla bocca e una violenta diarrea. Ho convinto il signor Osborne a lasciarmi il cane per qualche ora. Mi ha detto che sarebbe passato a riprenderlo nel tardo pomeriggio o nelle prime ore della sera, rientrando a casa da San Diego.»
«E lo ha fatto?» «Sì. Verso le sette di quella sera.» «Nel frattempo lei ha avuto modo di esaminare il cane?» «Sì.» «E che cosa ha riscontrato?» «Niente di particolare. Ma ero sicuro che doveva aver avuto un attacco epilettico. Attacchi simili non sono rari nei cani, quando invecchiano, e in particolare gli spaniel come Maxie ne vanno soggetti. Quando l'attacco è finito, il cane si riprende in fretta. È proprio la rapidità del miglioramento che facilita la diagnosi.» «Ha spiegato tutto questo al signor Osborne, dottor Loomis?» «Ho tentato. Ma lui era fissato con l'idea che il cane fosse stato avvelenato.» «C'erano motivi perché lo credesse?» «Nessuno, per quanto io potessi vedere» rispose Loomis. «Ma non ho insistito con lui, mi è sembrato piuttosto suscettibile su quell'argomento.» «Perché?» «La gente spesso si identifica con i suoi animali prediletti. Il signor Osborne temeva, mi è sembrato, che qualcuno tentasse di avvelenare lui stesso.» «Grazie, dottor Loomis. Può andare, ora.» Fu chiamato Leo Bishop. La lentezza dei movimenti e lo sguardo contrito che rivolse a Devon nel passarle vicino sottolineavano la sua riluttanza a testimoniare. Quando rispose alle domande di Ford circa il suo nome e l'indirizzo, la sua voce era così fioca che persino il cronista giudiziario, seduto proprio sotto il banco dei testimoni, fu costretto a chiedergli di alzare la voce. «Vuole per favore ripetere, signor Bishop?» gli disse Ford. «Leo James Bishop.» «E l'indirizzo?» «Rancho Obispo.» «Lei è il proprietario oltre che il gestore del ranch?» «Sì.» «Qual è l'ubicazione del suo ranch rispetto a quello degli Osborne?» «Si trova esattamente ad est e a sud-est, con il fiume che fa da confine.» «Perciò, siete vicini di casa.» «Si potrebbe forse affermarlo, anche se tra le due case c'è parecchia strada da fare.» Parecchia strada e un fiume.
«Lei, naturalmente, conosceva Robert Osborne?» «Sì.» «Lo conosceva da molti anni?» «Sì.» «Vuol riferire alla Corte quando e dove lo ha visto per l'ultima volta, signor Bishop?» «La mattina del 13 ottobre 1967, in città.» «A Boca de Rio?» «Sì.» «Vuole chiarire le circostanze in cui l'incontro è avvenuto?» «Uno dei miei lavoranti era in preda a crampi allo stomaco. Ho temuto che quei disturbi potessero essere l'effetto di un insetticida che avevamo usato il giorno precedente, perciò l'ho portato in auto a Boca de Rio da un medico. Passando, ho scorto la macchina di Robert parcheggiata nella Main Street all'esterno di un caffè. Lui stava parlando sul marciapiede con una giovane donna.» «Ha suonato il clacson o lo ha salutato in qualche modo?» «No. Mi è sembrato molto occupato e non ho voluto interromperlo. Inoltre, avevo in auto un uomo che stava male.» «E tuttavia, sarebbe stato naturale farlo, perdere un paio di secondi per salutare un amico intimo.» «Non era un amico intimo» replicò calmo Leo. «C'era la differenza di una generazione tra di noi. E qualche vecchio dissapore.» «Questo "vecchio dissapore" potrebbe avere qualche rapporto col presente caso?» «Non credo.» Ford finse di consultare alcuni fogli ingialliti di carta protocollo che stavano sul tavolo davanti a lui, concedendosi così un po' di tempo prima di decidere se fosse il caso di insistere su quel dettaglio o se invece fosse più prudente attenersi all'argomento principale che aveva scelto di illustrare. Ma, considerato l'atteggiamento piuttosto scettico del giudice Gallagher, pensò che strafare sarebbe stato un errore. Perciò disse: «Signor Bishop, lei è stato per tutta la mattina presente in aula, non è così?» «Sì.» «Quindi ha sentito il signor Estivar dichiarare che aveva assunto una squadra di messicani per lavorare nel ranch degli Osborne alla fine di settembre, e che quegli uomini sono scomparsi la sera del 13 ottobre... Come coltivatore, lei ha una certa familiarità con questa specie di pirateria a pro-
posito delle squadre di lavoratori, non è così, signor Bishop?» «Sì.» «Infatti, nell'estate del 1965, lei ha avuto occasione di denunciare che la squadra da lei ingaggiata per raccogliere meloni era scomparsa la sera del giorno di paga.» «È esatto.» «Ora, a prima vista, il comportamento della sua squadra e quello della squadra di Estivar erano apparentemente simili. C'era però un'importante differenza, non è così?» «Sicuro. Entro mezzogiorno del giorno seguente, i miei uomini erano stati rintracciati. Un coltivatore vicino a Chula Vista li aveva semplicemente convinti che avrebbero potuto guadagnare di più con lui, perciò se n'erano andati. Ma gli uomini del ranch degli Osborne non sono mai stati trovati. Può darsi che abbiano attraversato il confine prima ancora che la polizia sapesse che era stato commesso un crimine.» «Signor Bishop, quando ha saputo che era stato commesso un crimine?» «Sono stato svegliato verso l'una e mezzo di notte da un poliziotto. Mi ha detto che non si riusciva più a trovare Robert Osborne e che si stavano perlustrando tutti i ranch intorno per rintracciarlo.» «Che cosa ha fatto lei allora?» «Mi sono vestito e mi sono unito agli altri. O almeno ho tentato di farlo. Il poliziotto che dirigeva le ricerche mi ha rimandato a casa.» «Come si chiamava?» «Valenzuela.» «Perché ha rifiutato la sua offerta di collaborazione?» «Mi ha detto che i dilettanti spesso creano confusione nella ricerca di una persona scomparsa e lui non voleva che questo accadesse, se poteva evitarlo.» «Bene. Grazie, signor Bishop. Lei può andare.» Ford aspettò che Leo riprendesse posto nella parte riservata al pubblico, poi chiese all'usciere di chiamare al banco dei testimoni Carla Lopez. Carla si alzò e si avviò lentamente verso il banco dei testimoni. Nell'aria calda e secca, la camicetta rosa e gialla si attaccava al suo corpo madido di sudore come attirata da una calamita. Forse era imbarazzata e nervosa, ma riusciva a nasconderlo. Ripeté la formula del giuramento con voce annoiata: gli enormi occhiali da sole le conferivano un'aria di assoluta indifferenza. «Il suo nome, per favore» disse Ford.
«Carla Dolores Lopez.» «Signorina o signora?» «Signorina. Ho in corso la causa di divorzio, perciò ho ripreso il mio nome da nubile.» «Dove abita, signorina Lopez?» «Al numero 431 di Catalpa Street, San Diego, appartamento n. 9.» «Lavora?» «Ho lasciato il posto la settimana scorsa. Sto cercando qualcosa di meglio.» «Conosceva Robert Osborne, signorina Lopez?» «Sì.» «Qualche minuto fa, il signor Bishop ha dichiarato di aver visto il signor Osborne la mattina del 13 ottobre, mentre parlava con una giovane donna davanti a un caffè di Boca de Rio. Era lei quella giovane donna?» «Sì.» «Chi ha avviato la conversazione?» «Che cosa intende dire?» «Chi ha cominciato a parlare per primo?» «È stato lui a rivolgermi la parola. Io camminavo lungo la strada per conto mio, quando ha accostato la macchina al marciapiede e mi ha chiesto se poteva parlarmi per un momento. Io non avevo niente di meglio da fare e gli ho detto di sì.» «Di che cosa le ha parlato?» «Dei miei fratelli» rispose Carla. «Erano soliti lavorare per lui, i miei fratelli più grandi, e il signor Osborne voleva sapere se potevano andare di nuovo a lavorare al suo ranch.» «Le ha detto il perché?» «Mi ha detto che l'ultima squadra che Estivar aveva ingaggiato non andava troppo bene. I lavoranti erano privi di esperienza e lui aveva bisogno di qualcuno come i miei fratelli per mostrare loro come il lavoro andava fatto. Gli ho detto che i miei fratelli non avevano più nessuna intenzione di crepare con quel lavoro. Non avevano più bisogno di accovacciarsi come scimmie perché avevano un lavoro rispettabile, che potevano svolgere in piedi in una stazione di servizio.» «Il signor Osborne ha fatto qualche altra osservazione sugli uomini che lavoravano per lui?» «No.» «Non ha lasciato capire, per esempio, se sospettava che fossero entrati
nel paese senza documenti?» «No.» «Ha usato nei loro riguardi i termini wetback, mojado o alambre?» «Non mi ricordo. Poi abbiamo parlato di fatti personali... capisce, cose nostre.» La ragazza si grattò energicamente la gola con le unghie dipinte d'argento come per calmare un prurito interno difficile da raggiungere. Fu il primo segno di nervosismo. «C'era qualcosa nella conversazione» chiese Ford «che avrebbe potuto avere un certo nesso con la presente udienza?» «Non credo. Mi ha chiesto del mio bambino» ...non si vedeva ancora, ma in paese tutti lo sapevano, è così in paesi come quello... e mi ha detto che anche sua moglie aspettava un bambino. Sembrava un po' nervoso in proposito. Forse era spaventato all'idea che potesse somigliargli. «Che cosa intende dire con questo?» «Be', ci sono stati molti pettegolezzi sul conto suo, quando è annegata la signora Bishop. Forse c'era qualcosa di vero. O forse portava iella come me. Io sono un'esperta in fatto di iella. Ho portato iella sin da quando sono nata.» «Davvero?» «Se, per esempio, avessi fatto la danza della pioggia, ci sarebbe stato probabilmente un anno di siccità o addirittura di tempeste di neve.» «La Corte deve occuparsi di fatti, signorina Lopez, non di iella o di danze della pioggia.» «La Corte ha i suoi fatti» ribatté la ragazza. «Io ho i miei.» 7 L'esodo dall'aula per la pausa di mezzogiorno fu più rapido e completo di quanto non fosse stato per l'intervallo della mattina. Devon non si mosse finché l'usciere rimase in aula. La guardò con curiosità. «Questo locale viene chiuso a chiave durante la pausa di mezzogiorno, signora» le disse. «Oh, grazie.» «Se non si sente bene, nel seminterrato c'è una saletta per le signore dove si può prendere il caffè o altro.» «Sto benissimo» lo rassicurò Devon. Agnes Osborne era ritornata in auto a casa sua per riposarsi: non aveva
fame, ma si sentiva molto stanca. Poiché la suocera se n'era andata, Devon pensò che avrebbe trovato Leo ad attenderla nel corridoio e così avrebbero potuto prendere qualcosa insieme. Ma non c'era nessuna traccia di lui. Non c'era nessuno nel corridoio tranne un paio di turisti che scattavano fotografie presso una delle finestre munite di sbarre e, in una nicchia al di là delle cabine telefoniche, l'ex poliziotto Valenzuela che parlava a una donna messicana, piccola e tozza, con un bambino in braccio. Il bambino aveva in bocca un succhiotto e fissava Valenzuela con un certo interesse. Valenzuela, così arzillo all'inizio della mattinata, aveva cominciato a tradire gli effetti del caldo crescente e della tensione. Si era tolto la giacca e la cravatta e sotto ogni manica della camicia a righe c'era un semicerchio scuro che sembrava la macchia di una colpa segreta. Quando Devon si avvicinò, lui la guardò contrariato, come se fosse uscita da un angolo remoto del suo passato e non avesse alcun diritto di uscire in quel momento senza avvertire. Mentre passava, Devon accennò un saluto, ma senza parlare. Tra loro due non c'era più niente da dire: "Ho fatto quello che potevo, signora Osborne. Ho perlustrato i campi, ho dragato il lago artificiale, ho percorso su e giù il letto del fiume. Ma ci sono centinaia di altri campi, decine di laghi artificiali, chilometri e chilometri di fiume." "Deve cercare ancora, cercare meglio." "È inutile. Devono averlo portato in Messico." La primavera successiva Valenzuela aveva telefonato a Devon e le aveva detto di aver lasciato la polizia e che ora faceva l'assicuratore. Le aveva chiesto se voleva sottoscrivere una polizza e lei gli aveva risposto di no, molto gentilmente... A qualche isolato dal Palazzo di Giustizia, Devon trovò un piccolo chiosco dove vendevano hamburger. Si sedette a un tavolo poco più grande di un fazzoletto e ordinò un hamburger con patate fritte. L'odore di grasso rancido, la bottiglia del ketchup con l'anello scuro di salsa raggrumata intorno al collo, la sottile polpetta rotonda di carne identica a quelle che aveva mangiato a Philadelphia, a New Haven, a Boston... era tutto così comune e familiare che si sentì come una ragazza qualsiasi che fa uno spuntino al chiosco degli hamburger e non ha niente a che vedere con poliziotti e giudici. Mangiò lentamente, cercando di prolungare la sua permanenza in quel posto angusto, nel suo ruolo di ragazza comune. Dopo aver mangiato, si avviò riluttante verso il Palazzo di Giustizia, fermandosi di tanto in tanto per dare un'occhiata al mare. "Devono averlo portato in Messico" aveva detto Valenzuela. "O forse lo hanno buttato in mare e l'alta marea lo riporterà sulla spiaggia." C'erano state centinaia di
alte maree, prima che Devon rinunciasse a sperare. Agnes Osborne non vi aveva mai rinunciato. Devon sapeva che la suocera continuava a portare nella borsetta un prospetto delle maree, che camminava ancora ogni settimana per chilometri lungo la spiaggia, con gli occhi fissi a scrutare nell'acqua ogni macchia che si rivelava alla fine per una boa o una comune foca, un uccello oceanico o un pezzo di legno galleggiante. "Nell'acqua salata e fredda ci vogliono due settimane perché si formino i gas nei tessuti in modo da riportare in superficie il corpo." Era passata la prima settimana, e la seconda, e cinquanta altre. "Non tutto quello che va a finire in mare ritorna a galla, signora Osborne." Ad ogni marea molte cose si arenavano sulla spiaggia: detriti, meduse, uova di pescecane, colimbi, cormorani e orchetti marini inzuppati di petrolio, canestri per la pesca delle aragoste, bottiglie di plastica, scarpe spaiate e altri pezzi di indumenti. Ogni brandello di stoffa veniva raccolto e portato in una stanza del seminterrato del dipartimento di polizia per farlo asciugare e esaminare. Nessuno era appartenuto a Robert. Devon si allontanò dalla spiaggia e affrettò il passo. Fu allora che scorse Estivar. Era seduto tutto solo sulla panchina alla fermata di un autobus, accanto a un arbusto di lunaria. Al minimo alito di vento i dischetti argentei, che sembravano tante monete, si agitavano e volavano in aria ansiosi di essere spesi. I loro rapidi, allegri movimenti provocavano un gioco di luci e di ombre, sicché il volto di Estivar in lontananza sembrava ravvivarsi. Quando si avvicinò, Devon notò che in realtà quel volto non era più vivace del cemento della panchina. L'uomo si alzò lentamente, come se fosse contrariato dalla sua apparizione. «Non mangia niente, Estivar?» Devon gli chiese. «Più tardi. Gli altri hanno preferito fare un picnic allo zoo, e mi hanno lasciato un sandwich e un avocado. Vuol sedersi, signora Osborne?» «Sì, grazie.» Mentre si sedeva, Devon si chiese se la panchina fosse stata fatta di cemento perché era materiale resistente o perché la sua superficie ruvida avrebbe scoraggiato la gente dal fermarsi troppo a lungo. «Non le piace lo zoo?» «Gli animali non dovrebbero essere tenuti nelle gabbie. Preferisco guardare il mare. Tutta quell'acqua, pensi che cosa potremmo fare nel ranch con tutta quell'acqua... Dov'è la signora Osborne, sua suocera?» «È andata a casa per riposarsi un momento.» «So che si è risentita per alcune mie affermazioni al banco dei testimoni questa mattina. Ma non potevo fare diversamente: era la verità e io parlavo
sotto giuramento. Che cosa si aspettava da me? Forse qualcuna di quelle belle bugie in cui lei stessa crede.» «Non deve essere così duro con lei, Estivar.» «Perché no? Lei è molto dura con me. L'ho sentita stamattina durante l'intervallo parlare con l'avvocato. L'ho sentita dall'altra parte della stanza che pronunciava il mio nome come se fosse stato una parolaccia. Che cos'ha contro di me? Ho fatto andare avanti l'azienda per lei, quando il figlio era troppo giovane per essere di qualche aiuto e il marito era troppo...» trattenne il respiro, come se qualcuno gli avesse dato un colpo di avvertimento nello stomaco. «Troppo che cosa?» «È morto, non ha più importanza.» «È importante per me.» «Pensavo che ormai l'avesse scoperto per suo conto.» «Io so soltanto che è morto in seguito a una disgrazia.» «Questo è stato il verdetto del giudice.» «Lei non era d'accordo?» «Se uno va in giro in cerca di incidenti, desiderandoli quasi, quelli non si possono più chiamare incidenti. C'incidente" del signor Osborne è accaduto prima delle dieci della mattina, e aveva bevuto già tanto bourbon che avrebbe messo fuori combattimento qualsiasi uomo.» Estivar allargò le braccia in un gesto di disperazione. «Non è stata la cattiva sorte a ucciderlo, quando aveva appena quarantatré anni, ma è stata la buona sorte a tenerlo in vita per tanto tempo.» «Quando ha cominciato a bere?» «Non lo so con sicurezza. Tra tutti e due erano riusciti a tenere la cosa segreta per anni. Ma alla fine la situazione era arrivata a un punto tale che persino i lavoranti messicani, appena lo vedevano, gli affibbiavano il soprannome di borrachon.» «È per questo che Robert passava tanto tempo con lei, quando era un ragazzo?» «Sì. Veniva a casa mia quando le cose si mettevano male. Naturalmente, non ho detto niente di tutto questo davanti alla Corte, ma ne ho parlato al signor Ford la settima scorsa. Continuava a farmi un sacco di domande sul conto degli Osborne. Dovevo dirgli la verità. Sapevo che la signora Osborne, sua suocera, non avrebbe parlato; infatti non l'aveva mai detto a nessuno. Aveva sempre recitato la commedia. Se il marito era troppo ubriaco per venire a lavorare, lei diceva che aveva l'influenza o il mal di testa o
che gli doleva la schiena. Una volta abbiamo dovuto riportarlo a casa dai campi che era ubriaco fradicio e puzzava di whisky; ma lei sosteneva che doveva aver preso un colpo di sole, sebbene fosse un giorno d'inverno con il cielo ricoperto di nuvole. Si rifiutava di ammettere la verità persino quando si rivolgeva a mio figlio Rufo per far portare via le bottiglie vuote ogni settimana.» Estivar sollevò la testa, guardando accigliato le argentee foglie rotonde, come se rappresentassero le monete da un dollaro e da mezzo dollaro con cui Rufo era stato pagato per portar via le bottiglie. «Era una sciocchezza tutto quel nascondere, ma non si poteva fare a meno di ammirare il suo coraggio, specialmente quando il marito diventava così litigioso.» «Che faceva allora?» «Oh, lei le studiava tutte, come ogni moglie fa con un marito ubriacone. Ma alla fine un sistema l'aveva trovato. Lo cacciava nel soggiorno con le buone o con le cattive, chiudeva le porte e le finestre e tirava le tende. Poi cominciavano a litigare. Quando si arrivava agli urli, per coprirli lei si sedeva a quel suo pianoforte e si metteva a suonare un brano "fortissimo" come la Marcia dei Toreador. Si rifiutava di ammettere che litigavano, come si rifiutava di ammettere che lui beveva. Tutti mangiavano la foglia, naturalmente. Persino gli uomini che lavoravano nei campi, quando sentivano il pianoforte, si guardavano l'un l'altro sogghignando.» «E Robert?» «Molte delle discussioni erano a causa sua, sul modo di crescerlo, di educarlo, di disciplinarlo. Ma avrebbero litigato lo stesso persino se il ragazzo non fosse nemmeno nato. Era soltanto un pretesto per litigare. Quando è cresciuto, a dieci o undici anni, ho cercato di spiegarglielo. Gli ho detto che non era colpa sua e che non ci poteva fare niente. Tanto valeva che si rassegnasse.» «Come poteva un bambino di dieci anni capire una situazione simile?» «Penso che capisse. Comunque, era solito venire a casa mia, quando vedeva che le cose si mettevano male. Qualche volta non faceva in tempo a svignarsela e finiva fatalmente con l'essere tirato in mezzo. Un giorno ho sentito il suono del pianoforte aumentare di volume e ho aspettato a lungo che Robbie si facesse vivo. Alla fine, mi sono avvicinato alla loro casa per vedere che cosa stava succedendo. La signora Osborne aveva dimenticato di tirare le tende a una finestra e sono riuscito a sbirciare nell'interno della stanza. Lei sedeva al pianoforte e Robbie sul panchetto al suo fianco, con un'espressione spaventata. Il signor Osborne era appoggiato alla mensola
del caminetto, con le vene del collo sporgenti come corde. La sua bocca si muoveva, e così quella della signora Osborne. Ma si riusciva a sentire soltanto il bang bang bang del pianoforte, così forte da svegliare i morti. Avanti, Soldati Cristiani!» «Che cosa vuol dire?» «È il pezzo che lei suonava, suonava e suonava, Avanti, Soldati Cristiani! Sembra ridicolo, ora, che lei suonasse un inno religioso. Ma non era comico allora. Era una battaglia come tutte le altre, lunga e cattiva e mortale, di quelle che nessuno vince e tutti perdono, specialmente gli innocenti. Io volevo portar via Robbie da quella stanza e da quella casa finché le cose non si fossero calmate. Sono entrato e ho cominciato a picchiare alla porta del soggiorno con tutte le mie forze. Qualche istante dopo, la musica è cessata e la signora Osborne ha aperto la porta. "Oh, Estivar" mi ha salutato "stavamo appunto facendo un po' di musica." Io le ho chiesto se Robbie poteva venire da mio figlio Cruz ad aiutarlo a fare i compiti. Lei mi ha detto: "Certo. Non credo che Robbie ci tenga tanto alla musica...". Quando mi sveglio di notte, giuro che mi pare di sentire ancora il suono di quel pianoforte, anche se non c'è più. Ho aiutato io stesso gli uomini dell'agenzia a portarlo fuori dalla casa.» «Perché mi racconta tutto questo?» «Nessun altro lo farà, e è ora che lei ne sia informata.» «Non ci tenevo a saperlo.» «No, lei voleva saperlo molto più di quanto io avessi voglia di dirglielo, signora Osborne, specialmente oggi. Ma come si fa ad esserne sicuri? Potrei non avere più un'occasione come questa per parlare con lei.» «Parla come se dovesse succedere qualcosa.» «Succede sempre qualcosa.» «Al ranch non cambierà niente» disse Devon. «E lei continuerà a fare il fattore. Non ho nessuna intenzione di fare cambiamenti.» «Purtroppo l'uomo propone e Dio dispone. L'ho letto da qualche parte e, come la musica del pianoforte, continua a ritornarmi nella mente. La vita di Robbie era stata programmata... liceo, college, una professione. Poi suo padre è caduto dal trattore e le cose sono cambiate prima ancora che potessero cominciare.» Tra i due si fece un silenzio di tomba, accentuato dai rumori tutto intorno: il fragore del traffico stradale e gli aeroplani che atterravano e decollavano dal Lindbergh Field e dalla Naval Air Station, dall'altra parte della baia. In cima ad una palma lì vicino un tordo aveva cominciato a cantare.
Era ottobre, non era il tempo dei canti, ma un uccello cantava lo stesso, gioiosamente, e il volto di Estivar si raddolcì a quel suono. «Un sinsonte» disse. «Ascolti!» «Un tordo beffeggiatore?» «Sì.» «Perché sta cantando, ora?» «Perché ne ha voglia... è una ragione sufficiente per un uccello.» «Forse pensa che sia primavera.» «Forse.» «Un uccello fortunato.» Un orologio cominciò a suonare l'una e un quarto. Estivar si alzò di scatto. «È ora che io vada a prendere i miei.» «Non ha mangiato il suo sandwich.» «Lo farò in macchina.» Anche Devon si alzò. Si sentiva gli occhi asciutti e stanchi, come se avessero visto troppe cose e troppo in fretta e avessero bisogno di riposo in un posto tranquillo, all'ombra. «Mi dispiace di aver dovuto dirle cose che lei non voleva sapere» disse Estivar. «No, lei aveva ragione, naturalmente. Ho bisogno di tutte le informazioni che posso avere per fare i miei piani.» «Sì, signora. La vita, signora Osborne, è tutto quello che succede mentre stiamo facendo i nostri piani.» Devon si avviò lentamente verso il Palazzo di Giustizia come se, ritardando il suo ritorno, potesse ritardare anche il processo e l'emissione del verdetto. Non aveva nessun dubbio sulla natura del verdetto. Robert, che era morto dozzine di volte al ritmo di Avanti, Soldati Cristiani! o della Marcia dei Toreador, sarebbe morto questa volta al mormorio indistinto di voci estranee e ai colpi occasionali del martelletto del giudice. 8 La Corte si riunì con dieci minuti di ritardo perché il giudice Gallagher era stato bloccato dal traffico, mentre rientrava dal suo club. All'una e quarantacinque, malgrado il ritardo, Agnes Osborne, che sarebbe stata la prima a salire sul banco dei testimoni quel pomeriggio, non era ancora arrivata. Si decise perciò di non ritardare ulteriormente i lavori per aspettarla, ma di chiamare il testimone seguente.
«Dulzura Gonzales.» Dulzura udì il suo nome, ma non rispose finché Jaime non le diede una gomitata nel fianco. «Ehi, tocca a te.» «Lo so che tocca a me.» «Allora, sbrigati.» Già senza fiato per la paura, Dulzura fece fatica ad alzarsi e a uscire nel corridoio tra le due file di posti a sedere. Ma una volta in movimento, camminò con tanta precipitazione che l'enorme vestito prese a svolazzarle intorno come una tenda investita da una tempesta di vento. «Lei giura che la testimonianza che sta per dare nel caso in discussione davanti a questa Corte sarà la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità?» Dulzura giurò. La sua mano lasciò umide impronte sulla balaustra di legno intorno al banco dei testimoni. «Cognome e nome, per favore» disse Ford. «Dulzura Ynes Maria Amata Gonzales.» «Signorina o signora?» «Signorina.» La sua risatina nervosa corse per tutta l'aula, provocando l'ilarità e l'incredulità generale. «Dove abita, signorina Gonzales?» «Dove abitano gli altri... lo sa, nel ranch degli Osborne.» «Che cosa fa lì?» «Be', molte cose.» «Per che cosa la pagano, volevo dire, signorina Gonzales?» «Per lo più cucina e bucato. Un po' di pulizia di tanto in tanto.» «Da quanto tempo lavora per i signori Osborne?» «Da sette anni.» «Chi l'ha assunta?» «La signora Osborne, la signora Osborne madre, c'era soltanto lei allora. Il signor Osborne era morto e il ragazzo era a scuola in Arizona. Il mio primo cugino, Estivar, mi ha fatto una bella presentazione su un pezzo di carta.» «Signorina Gonzales, vorrei che si sforzasse di ricordare la sera del 13 ottobre dell'anno scorso.» «Non ho bisogno di sforzarmi. Ricordo già tutto.» «Ci sono fatti particolari che hanno segnato quel giorno nella sua memoria?» «Sì, signore. Era il mio compleanno. Di solito mi prendo qualche ora di
libertà per festeggiarlo, magari vado a Boca con un paio di ragazzi, dopo il lavoro. Ma quel giorno non è stato possibile, era venerdì e il tredici del mese. Non mi è permesso lasciare la casa di venerdì e al tredici del mese.» «Non le è permesso?» «Un quiromantico mi ha detto di non farlo mai a causa di strane linee sulle mie mani. Perciò sono rimasta a casa, come se fosse un giorno qualsiasi, e ho preparato la cena e l'ho servita.» «A che ora?» «Verso le sette e mezzo, un po' più tardi del solito, perché il signor Osborne era stato in città.» «Ha visto il signor Osborne dopo cena?» «Sì, signore. È venuto in cucina, mentre io stavo riordinando. Mi ha detto che aveva dimenticato di comprare un regalo per il mio compleanno, come la signora Osborne gli aveva raccomandato, e mi ha chiesto se poteva darmi i soldi, e io ho detto che andava benissimo.» «Il signor Osborne aveva gli occhiali, quando è venuto in cucina?» «No, signore. Ma ci vedeva benissimo, perciò ho pensato che avesse quei pezzetti di vetro sugli occhi.» «Le lenti a contatto?» «Sì.» «Che cosa le ha dato per il suo compleanno, signorina Gonzales?» «Un biglietto da venti dollari.» «Ha tirato fuori il biglietto dal portafoglio in sua presenza?» «Sì, signore.» «Ha notato qualcosa di particolare nel portafoglio?» «Era pieno di soldi. Non avevo mai visto prima il portafoglio del signor Osborne e ne sono rimasta sorpresa e anche un po' preoccupata. I ragazzi non prendono molto di paga.» «I ragazzi?» «I lavoranti che vengono e vanno.» «Gli immigranti messicani?» «Sì. Sarebbe stata una forte tentazione per loro, se avessero scoperto quanti soldi il signor Osborne portava in tasca.» «Grazie, signorina Gonzales. Lei può...» «Non voglio dire che sia stato qualcuno di loro ad ucciderlo per i suoi soldi. Voglio dire soltanto che tanti soldi possono essere una forte tentazione per un uomo povero.» «Ce ne rendiamo conto, signorina Gonzales. Grazie... Il signor Lum
Wing vuole accomodarsi, per favore, sul banco dei testimoni?» Lum Wing, rinfrancato dall'ora di sole nel parco, diede il suo nome con voce alta e chiara e un leggero accento meridionale. «Dove abita, signor Wing?» «Qualche volta qui, qualche volta là. Dove c'è lavoro.» «Ma ha un recapito permanente, vero?» «Quando non ho niente di meglio da fare, vivo con mia figlia a Boca de Rio. Lei ha sei bambini e io divido una stanza con due di loro, e vado via appena è possibile.» «Che lavoro fa, signor Wing?» «Un tempo facevo il cuoco in un circo. Mia figlia dice ai vicini che io adesso sono pensionato. La realtà è che il circo è fallito.» «Vuol dire che smette di fare il pensionato e ogni tanto si cerca un lavoro qua e là?» «Sì, signore, per togliermi dai piedi.» «Ha avuto più volte occasione di andare a lavorare al ranch degli Osborne?» «Sì.» «Attualmente lavora lì?» «Sì.» «E era lì un anno fa, il 13 ottobre?» «Sì.» «Dove dorme, quando lavora al ranch?» Lum Wing descrisse la sua sistemazione nell'angolo chiuso da una tenda nel granaio che ora serviva da mensa. Nel tardo pomeriggio del 13 ottobre aveva preparato la cena come al solito. Quando gli uomini erano partiti per la loro bisboccia a Boca de Rio la sera del giorno di paga, lui aveva tirato la tenda, preparato la scacchiera per una partita a scacchi e aperto una bottiglia di vino. Il vino gli aveva dato sonnolenza, perciò si era sdraiato sulla sua branda. Doveva essersi appisolato, perché la prima cosa di cui si ricordava era di aver sentito parlare in spagnolo con voce alta e concitata al di là della tenda. Altri bisogni fondamentali, oltre al mangiare, venivano di tanto in tanto soddisfatti ai tavoli della mensa e Lum Wing aveva imparato a ignorare quello che accadeva. Muovendosi cautamente al buio, aveva controllato la sua cassetta dei coltelli, l'orologio da tasca e la scacchiera, la bottiglia col vino rimasto e infine la cintura col denaro che portava addosso anche dormendo. Dopo essersi accertato che niente mancava, era ritornato alla sua branda. Le voci erano continuate.
«Ne ha riconosciuto qualcuna?» chiese Ford. Dopo un momento di esitazione, Lum Wing scosse il capo. «Ha sentito quello che stavano dicendo?» «Parlavano troppo in fretta. E poi non stavo ad ascoltare.» «Lei capisce lo spagnolo, signor Wing?» «Non più di quattro o cinque parole.» «Devo ritenere che lei non ha sentito nessuna di queste quattro o cinque parole in quell'occasione?» «Io sono vecchio. Mi faccio i fatti miei. Non ascolto, non sento, non mi metto nei guai.» «C'è stato un gran trambusto quella sera, signor Wing. Che ascoltasse o no, lei deve aver sentito qualcosa. Per un uomo della sua età, mi sembra che abbia un udito normale.» «Ho trovato io la maniera perché il mio udito sia meno normale.» Dimostrò alla Corte come preparava i tappi per le orecchie con pezzetti di carta. «A parte i tappi, c'era il vino. Mi dava sonnolenza. Inoltre ero stanco. Io lavoro duro, in piedi dalle cinque di mattina, a fare questo e quello.» «Va bene, signor Wing, io credo che lei... ha lavorato al ranch degli Osborne parecchie volte, è così?» «Sei, sette volte.» «Robert Osborne parlava spagnolo?» «Non con me.» Lum Wing volse lo sguardo al soffitto. «Bene, le è accaduto di sentirlo parlare con gli uomini in spagnolo?» «Due o tre volte, forse.» «E forse anche più spesso? Molto più spesso?» «Forse.» «In realtà, lei avrebbe potuto riconoscere benissimo la voce del signor Osborne, anche se avesse parlato in una lingua straniera?» «Non mi sentirei di dirlo. Non vorrei causare guai.» «Il guaio è già fatto, signor Wing.» «Potrebbe essere peggio.» «Non per Robert Osborne.» «C'era altra gente» ammise il vecchio Wing sbattendo le palpebre. «Altra gente. Il signor Osborne non parlava da solo. Perché avrebbe dovuto parlare da solo in spagnolo?» «Allora, lei ha riconosciuto la voce del signor Osborne quella sera?» «Forse. Non posso giurarci.» «Signor Wing, noi abbiamo motivo di ritenere che nello stesso locale in
cui lei dichiara di aver dormito c'è stata una colluttazione terminata in un assassinio. Se ne rende conto?» «Io non ho commesso un assassinio, io non ho preso parte alla colluttazione. Dormivo, innocente come un bambino, con i miei tappi nelle orecchie, quando è venuto il signor Estivar e mi ha svegliato, prendendomi per un braccio e puntandomi sulla faccia la luce della torcia. Gli ho chiesto che cosa era accaduto. E lui mi ha risposto che cosa era accaduto, che il signor Osborne non si trovava più, che c'era sangue dappertutto sul pavimento e che stava arrivando la polizia.» «E che cosa ha fatto, allora, signor Wing?» «Ho infilato le mutande.» «Vuol dire che si è vestito?» «È la stessa cosa.» «Suppongo che ormai si fosse tolto i tappi dalle orecchie.» «Sì, signore.» «E poteva sentire perfettamente?» «Sì, signore.» «E che cosa ha sentito, signor Wing?» «Niente. Mi pareva strano che fosse tutto così tranquillo. Mi chiedevo dove fossero tutti gli altri. Ho guardato dalla finestra. Vedevo luci dappertutto nel ranch, nella casa dei padroni, in quella di Estivar, nel garage dove tengono le macchine, nel dormitorio, persino tra gli alberi di tamerici intorno al laghetto. Mi chiedevo che cosa fosse accaduto: tutte quelle luci e nessun rumore. Poi ho visto che il grosso camion non c'era più, quello con cui gli uomini erano arrivati, e che il dormitorio era vuoto.» «Che ora era, signor Wing?» «Non lo so.» «Lei ha detto prima che aveva un orologio da tasca.» «Non ho proprio pensato a guardarlo. Ero spaventato, volevo uscire da quel posto.» «E è uscito?» «Ho aperto la mia porta... ci sono due porte nel locale della mensa, quella principale per gli uomini e quella posteriore di cui mi servo io. Sono uscito. Cruz, il figlio maggiore di Estivar, stava a metà strada tra me e il dormitorio con un fucile a tracolla.» «Gli ha parlato?» «È stato lui a parlarmi. Mi ha detto di tornare dentro e di restarci, perché stava arrivando la polizia e che, nel caso mi avessero chiesto se avevo toc-
cato niente, dovevo dire di no. Perciò mi sono seduto sull'orlo della mia branda, e poi dopo cinque o dieci minuti è arrivata la polizia.» Nell'aula ci fu un'improvvisa animazione, come se l'arrivo della polizia segnasse la fine di un periodo di tensione e desse ai presenti la libertà di muoversi. Qualcuno tossì, altri cambiarono posizione, bisbigliarono qualcosa ai loro vicini, sospirarono, si stiracchiarono, sbadigliarono. Ford aspettò che si ristabilisse il silenzio. Senza nemmeno voltarsi a guardare il pubblico, poté vedere che il posto occupato da Agnes Osborne nel corso della mattinata era ancora vuoto. Nel suo disagio per l'assenza della signora Osborne c'era un senso di colpa. Forse le aveva parlato troppo aspramente. Donne come la signora Osborne, che non avevano peli sulla lingua e che sembravano incoraggiare gli altri a fare altrettanto, spesso erano quelle che sopportavano meno un linguaggio schietto. «Che cosa è successo dopo l'arrivo della polizia, signor Wing?» chiese Ford. «Molte cose, molto rumore, movimento di macchine, portiere sbattute, gente che parlava e gridava. Subito dopo, uno dei poliziotti è venuto da me e ha cominciato a farmi domande come quelle che lei mi ha fatto: se avevo visto, se avevo sentito qualcosa. Ma soprattutto voleva sapere dei miei coltelli.» «Coltelli?» «Mi porto sempre dietro i miei coltelli da usare in cucina... mannaie, coltelli per affettare, trincianti... li tengo tutti puliti e affilati, chiusi in un astuccio. Custodisco la chiave nella cintura col mio denaro. Ho aperto l'astuccio e gli ho fatto vedere che i coltelli c'erano tutti, che non era stato rubato niente.» «Non ha mai sentito parlare di un coltello a farfalla?» Il volto impassibile di Lum Wing assunse un'espressione sorpresa. «Un coltello per tagliare farfalle?» «No. È un coltello che fa pensare a una farfalla, quando è aperto.» «Queste sciocchezze io le lascio ai messicani. Da queste parti tutti portano coltelli, tanto meglio se sono stravaganti, come se fossero gioielli.» «Quando quella sera il poliziotto l'ha interrogato, lei non è stato in grado di dargli più informazioni di quante ne abbia dato alla Corte?» «No, niente di più.» «Grazie, signor Wing. Può ritornare al suo posto... Vuole ora, per favore, venire al banco dei testimoni Jaime Estivar?» Quando si incontrarono nel corridoio, il vecchio e il ragazzo, si scambia-
rono occhiate smarrite e rassegnate: si sentivano entrambi circondati da un mondo di gente di mezza età, che Lum Wing aveva da tempo sorpassato e che Jaime non aveva ancora raggiunto, un mondo per il quale nessuno dei due aveva interesse o comprensione. 9 «Vuoi dirmi il tuo nome, per favore?» chiese Ford. «Il mio nome di battesimo o quello con cui mi chiamano a scuola?» «C'è differenza?» «Sì, signore. Sono stato battezzato con cinque nomi, ma a scuola mi chiamano soltanto Jaime Estivar, perché altrimenti ci vorrebbe troppo spazio sulla pagella, sul registro delle presenze e su cose del genere.» Aveva giurato di dire la verità, ma proprio la prima cosa che disse fu una bugia. E, quel che è peggio, gli scappò dalle labbra senza un attimo di esitazione. I ragazzi che lui ammirava a scuola si chiamavano semplicemente Chris, Pete, Tim, o a volte Smith, Mcgregor, Foster, Jones. Non poteva permettere che scoprissero il suo vero nome: Jaime Ricardo Salvador Luis Hermano Estivar. «Basterà il nome con cui ti chiamano a scuola» rispose Ford. «Jaime Estivar.» «Quanti anni hai, Jaime?» «Quattordici.» «E vivi con la tua famiglia al ranch degli Osborne?» «Sì, signore.» «Parlaci della tua famiglia, Jaime.» «Be', non so proprio che cosa dire.» Diede un'occhiata ai suoi genitori, a Dulzura e a Lum Wing, in cerca di ispirazione. Non ne trovò nessuna. «Voglio dire... che è una famiglia come tutte le altre, niente di straordinario.» «Hai fratelli e sorelle?» «Sì, signore. Tre fratelli e tre sorelle.» «Vivono tutti a casa?» «No, soltanto io e le mie sorelle più piccole, che sono gemelle. Mio fratello maggiore, Cruz, è militare in Corea. Rufo è sposato e vive a Salina. Felipe ha trovato un bel posto in una fabbrica di aeroplani a Seattle. Mi ha mandato dieci dollari per Natale e quindici per il mio compleanno.» «Quando i tuoi fratelli erano a casa, facevano tutti qualche lavoro nel
ranch?» «Sì, signore.» «E tu?» «Io dò una mano dopo la scuola e durante il week-end.» «Ti pagano?» «Sì, signore.» «In che maniera?» «Mio padre mi dà qualche piccola somma e mi dice di andare a comprarmi una Cadillac.» «Volevo sapere se ti pagano a ore o a forfait.» «A forfait di solito. E poi, da tre anni, ho lavorato in parte anche per conto mio. Zucche.» «Mi sembri troppo giovane per lavorare per conto tuo.» «Be', non è che faccia tanti soldi» replicò Jaime serio. Ford sorrise. «Come hai fatto a metterti nel commercio delle zucche, Jaime?» «L'ho rilevato da Felipe, come lui l'aveva rilevato da Rufo e Rufo da Cruz. Tutto è cominciato quando il vecchio signor Osborne ha ceduto a Cruz un campo per una coltivazione che avrebbe potuto rendergli i soldi da mettere da parte per la sua istruzione. Cruz e Rufo vi hanno coltivato parecchie varietà di piante. È stato Felipe a pensare alle zucche. Crescono in fretta e non richiedono molto lavoro. Si raccolgono tutte in una volta all'inizio d'ottobre.» «E è questo che hai fatto all'inizio dell'ottobre del 1967?» «Sì, signore.» «Dopo che le zucche erano state raccolte e vendute, hai dissodato il terreno sotto le piante?» «L'ho fatto quando mio padre me lo ha ordinato, perché altrimenti...» «Che giorno era?» «Un sabato mattina, il 4 novembre, tre settimane dopo la scomparsa del signor Osborne. Le piante di zucca erano seccate ormai e molte erano spezzate. Le avevano calpestate quelli che cercavano indizi e cose del genere.» «E sono stati trovati "indizi e cose del genere"?» «Non credo, non nel campo delle zucche.» «Ma tu hai trovato qualcosa?» «Ho trovato il coltello» rispose Jaime. «Il coltello a farfalla.» «In quale parte del campo esattamente?»
«Nell'angolo di sud-ovest.» «È l'angolo più vicino alla strada che porta fuori del ranch?» «Sì, signore.» «Era sepolto nel terreno?» «No, signore. Sembrava che qualcuno lo avesse buttato dal finestrino di una macchina per liberarsene e che in qualche modo fosse andato a conficcarsi nel terreno sotto una delle piante.» «Ti mostrerò, ora, il coltello e ti chiederò se è quello che hai trovato.» Ford sollevò con una mano il coltello, contrassegnato con un cartellino. «È questo, Jaime?» «Non ne sono sicuro.» «Eccolo, prendilo e guardalo attentamente.» «Non vorrei... be', d'accordo.» «È il coltello che hai trovato?» «Credo di sì. Soltanto che mi pare un po' più pulito, ora.» «Le macchie di sangue sono state raschiate via perché fossero analizzate nel laboratorio di polizia. A parte questa differenza, ti sentiresti di dire che questo è il coltello che hai raccolto nel campo di zucche?» «Sì, signore.» «Aveva la lama fuori come ora?» «Sì, signore, era aperto.» «Avevi mai visto un coltello come questo, prima di allora?» «Un paio di ragazzi a scuola vanno in giro con un coltello a farfalla.» «Per farsi belli? Per scherzo?» «No, signore, sul serio.» Il coltello fu catalogato e poi riposto sul tavolo del cancelliere. Due degli studenti tra il pubblico si alzarono per vederlo meglio, ma il poliziotto li invitò prontamente a sedersi. «Ora, Jaime» disse Ford «desidero che tu ti avvicini alla mappa sul cavalletto e con una delle matite colorate indichi l'ubicazione del campo di zucche.» «In che modo?» «Disegna un rettangolo e scrivici a fianco le parole "Campo di zucche".» Jaime eseguì. La mano gli tremava e le linee di confine del campo di zucche erano piuttosto irregolari, come se le avesse disegnate proprio il vecchio signor Osborne in uno dei suoi giorni di sbornia e che nessuno si fosse preoccupato di raddrizzarle. Nel punto in cui era stato trovato il coltello, Jaime disegnò un circolino e all'interno la lettera C. Poi tornò al ban-
co dei testimoni e Ford riprese ad interrogarlo. «Jaime, mi risulta che la faccenda delle zucche ti teneva occupato soltanto per un paio di mesi all'anno.» «Sì, signore. Alla fine dell'estate e all'inizio dell'autunno.» «Nel resto dell'anno tu eri impegnato in altri lavori nel ranch, è così?» «Sì, signore.» «E questi tuoi impegni ti mettevano in contatto con le varie squadre di lavoratori messicani?» «Quasi mai. Io facevo il mio lavoro per lo più dopo la scuola, nei weekend e nei giorni di vacanza. E poi mio padre mi aveva dato ordine di stare alla larga dalla mensa e dal dormitorio.» «Perciò non avevi occasione di conoscere gli uomini personalmente?» «No, signore. Salvo qualche rara volta.» «In quanto alla squadra che lavorava nel ranch nella prima metà dell'ottobre del 1967, vorrei che tu mi dicessi se conoscevi qualcuno per nome.» «No, signore.» «Ti ricordi qualcosa in particolare di quella squadra?» «Soltanto il vecchio camion con cui sono arrivati. Era verniciato di rosso scuro. L'ho notato specialmente perché era dello stesso colore del camioncino che Felipe usava per insegnarmi a guidare. Non c'è più, ora, perciò penso che il signor Osborne lo abbia venduto perché il cambio a volte grattava.» Poi aggiunse con un'aria tra il disprezzo e l'invidia: «I ragazzi nel corso di guida a scuola usano il cambio automatico.» «Non ho altre domande da farti, Jaime. Ti ringrazio, puoi andare.» Jaime si affrettò a ritornare al suo posto, per il timore che l'avvocato cambiasse idea. Ma l'attenzione di Ford era ormai volta in altra direzione, al posto vuoto vicino a Devon. «La mia testimone non c'è ancora» disse al giudice Gallagher. «La madre di Robert Osborne.» «Dov'è?» «Non lo so.» «Bene, cerchi di saperlo.» «È quello che farò. Ho bisogno di una breve pausa.» «Dieci minuti?» «Mezz'ora andrebbe meglio.» «Signor Ford, proprio in questo momento, da qualche parte nella contea di San Diego, almeno un contribuente rabbioso sta facendo il conto di quanto esattamente gli costa un minuto di questo processo. Se ne rende
conto?» «Me ne rendo conto, Vostro Onore.» «La Corte si ritira per una pausa di dieci minuti.» Mentre l'aula cominciava a vuotarsi, Ford si avvicinò a Devon. Avrebbe tanto voluto sedersi al suo fianco. Si sentiva le gambe pesanti e la parte inferiore del corpo come se le vertebre si fossero rammollite e i dischi che le collegavano si fossero staccati. «Dov'è sua suocera?» «È andata a casa a riposare durante l'intervallo di mezzogiorno, ma contava di ritornare per l'una e mezzo.» «L'avevo informata che l'avrei chiamata a testimoniare subito dopo la pausa per il lunch. Forse se n'è dimenticata.» «Non credo. Mia suocera è molto meticolosa in cose del genere e è di solito puntualissima.» «Allora è forse il caso che uno di noi vada a controllare perché tutto ad un tratto ha smesso di essere meticolosa e puntuale.» «Mia suocera non ama essere controllata. Questo la fa sentire vecchia.» «È ora che ci si abitui» ribatté Ford. «In fondo al corridoio ci sono alcune cabine telefoniche.» «Forse sarebbe meglio che la chiamasse lei.» «Non credo. Ai suoi occhi io sono l'uomo cattivo che le fa domande imbarazzanti, lei è invece la sua affettuosa nuora.» «Io?» «Sì, lo è fino alla conclusione di questo processo.» Delle sei cabine telefoniche in fondo al corridoio cinque erano occupate. Facevano pensare a casse da morto ritte contro la parete, i cui occupanti non fossero ancora morti, ma collocati lì in uno stato di coma, in attesa di un mondo migliore. La porta aperta della sesta cabina pareva invitasse Devon ad entrare e a mettersi in attesa insieme agli altri. Si chiuse alle spalle la porta a vetri e, come le era accaduto di fare centinaia di volte nell'ultimo anno, cominciò a comporre il numero della casa di Agnes Osborne, ma la sua mano sembrò bloccarsi sul disco combinatore. Non riuscì ad andare oltre le prime due cifre e dovette cercare il numero nella guida telefonica, come se si trattasse di telefonare ad un estraneo. "Lei invece è la sua affettuosa nuora... Lo è fino alla conclusione di questo processo." Lo squillo del telefono fu forte e marcato. Devon tenne il ricevitore lontano dall'orecchio, in modo che il suono le sembrasse un po' più lontano, meno personale. Sei, otto, dieci squilli. La casa di Agnes Osborne non era grande e si poteva raggiungere il telefono da qualsiasi stanza o dal patio o
dal cortile, in meno di dieci squilli, in meno di cinque, se ci si fosse affrettati. E in quell'ultimo anno, in cui ogni chiamata poteva riguardare Robert, lei si precipitava sempre all'apparecchio. Faceva caldo nella cabina e c'era puzzo di tabacco, di roba da mangiare e di sudore. Devon aprì la porta di qualche centimetro, e insieme al filo di aria fresca sentì le voci di gente che parlava nella nicchia attigua alla fila delle cabine. Una era la voce di un uomo, rauca e bassa. «Ti giuro che non ne sapevo niente fino a qualche minuto fa.» «Bugiardo. Lo hai sempre saputo e non me l'hai detto. E così hanno fatto loro. Siete tutti un mucchio di bugiardi.» «Ascolta, Carla: per il tuo bene, sta' lontana dal ranch.» «Non ho paura degli Estivar. E nemmeno degli Osborne. Ci penseranno i miei fratelli a fare in modo che nessuno faccia il prepotente con me.» «Questa non è più roba da ragazzi, stanne alla larga.» «Ma guardalo che vuol dare ordini come se avesse ancora la sua vecchia uniforme da poliziotto e il distintivo di latta!» «Guai, ecco! Tu non mi hai procurato altro che guai, da quando ho messo gli occhi su di te.» «Hai messo ben altro che gli occhi su di me, chicano.» Devon aspettò un altro mezzo minuto, sei squilli, ma non arrivò nessuna risposta dalla casa della signora Osborne e non si sentì più parlare nella nicchia accanto. Aprì la porta della cabina e uscì nel corridoio. La ragazza non c'era più. C'era Valenzuela solo, vicino alla finestra munita di sbarre, gli occhi cupi e cerchiati di rosso. Alla vista di Devon, la sua bocca si mosse leggermente come se stesse dando forma a parole che non era ancora pronto a pronunciare. Quando parlò, la sua voce era completamente diversa da quella che aveva usata con Carla, sommessa e triste, priva di qualsiasi traccia di autorità. «Mi spiace, signora Osborne.» «Di che?» «Di tutto, di come sono andate le cose.» «La ringrazio.» «Ho sperato tanto che le cose andassero diversamente e che il caso fosse ormai risolto. Ci tenevo a dirglielo. Quella notte, quando sono stato chiamato al ranch per cercare il signor Osborne, ero certo che l'avremmo trovato. Ad ogni passo, ad ogni angolo, ad ogni porta che aprivo, mi aspettavo di trovarlo... forse conciato male, forse ammalato o persino sul punto di combinarne qualcuna. Mi dispiace che le cose siano andate come sono an-
date.» «Non è colpa sua, signor Valenzuela. Sono sicura che lei ha fatto del suo meglio.» Non ne era sicura, invece, non ne sarebbe stata mai sicura, ma era troppo tardi, ora, per dire qualcosa d'altro. «Avrei potuto forse fare meglio, se mi avessero dato più soldi. Non una paga più alta. Soldi per le bustarelle.» «Per le bustarelle?» «Non si sorprenda, signora Osborne. In un paese povero tutto si compra, compresa la verità. Qualcuno deve aver visto quel vecchio camion rosso al confine o sulla strada che porta e Ensenada o dall'altra parte verso Tecate. Qualcuno deve aver notato gli uomini sul camion, forse ne ha riconosciuto un paio. Qualcuno può averli visti mentre seppellivano il corpo nel deserto o lo buttavano in mare.» «Mia suocera ha offerto una consistente ricompensa.» «Le ricompense hanno un carattere troppo ufficiale, troppe persone sono coinvolte, troppa burocrazia. La bustarella è una piccola faccenda che si risolve in famiglia.» «Perché non mi ha spiegato la situazione un anno fa?» «Un poliziotto non può chiedere a un privato cittadino soldi per le bustarelle. Produrrebbe una brutta impressione sulla stampa, potrebbe causare persino uno scandalo internazionale. Dopo tutto, in nessun paese si è disposti ad ammettere che molti dei poliziotti, dei giudici, degli uomini politici sono corrotti... Comunque è finita. Tutto quello che voglio dire ora è che mi dispiace, signora Osborne.» «Dispiace anche a me.» Devon si voltò e si avviò verso l'aula, camminando impettita come per neutralizzare la sensazione che parti vitali del suo corpo non si reggessero più e sanguinassero. Qualcuno aveva visto il camion... qualcuno aveva notato gli uomini... qualcuno li aveva visti seppellire il corpo o buttarlo in mare. Si ricordò di tutte le volte che aveva guardato gli uomini chini sui campi, ma erano sempre molto lontani, sempre senza volto. Avrebbe voluto conoscerli un pochino, parlare con loro in disparte, chiamarli per nome e informarsi delle loro case, delle loro famiglie, ma Estivar non lo avrebbe permesso. Diceva che non era prudente, che gli uomini avrebbero frainteso qualsiasi forma di benevolenza da parte sua. Anche agli uomini erano stati impartiti ordini tassativi. Quando lei passava in macchina lungo i campi, durante il raccolto, si chinavano sul loro lavoro, con le facce nascoste sotto gli enormi cappelli di paglia che usavano dall'alba al tramonto.
Il cartello sopra la porta era ora illuminato: SI PREGA DI FARE SILENZIO, L'UDIENZA È IN CORSO. Quando Devon entrò, l'aula era quasi piena, come lo era prima dell'interruzione, ma ora Carla Lopez, così come la signora Osborne, non c'erano. Nel corridoio, vicino al sedile che Devon aveva occupato sin dall'inizio dell'udienza, Ford stava parlando con Leo Bishop. Tutti e due si rivolsero impazienti a Devon, come se si fossero aspettati di vederla arrivare prima. «Allora?» chiese Ford. «Non ha risposto nessuno.» «Ha lasciato squillare il telefono a lungo, nell'eventualità che fosse fuori o sotto la doccia?» «Sì.» «Allora sarà il caso forse che lei faccia un salto a vedere che cosa è successo. Il signor Bishop si è offerto di accompagnarla o di lasciarle usare la sua auto, come meglio preferisce.» «Che cosa dovrei fare esattamente?» «Accertarsi che stia bene e sentire quando intende presentarsi per testimoniare.» «Perché vuole obbligarla a testimoniare?» «No, non la sto obbligando. Quando ne abbiamo parlato, sembrava assolutamente disposta a farlo.» «A parole, forse» ribatté Devon. «Non deve lasciarsi trarre in inganno.» «D'accordo, allora io non riesco a distinguere quello che pensa da quello che dice. Sono un uomo semplice. Quando la gente mi dice una cosa, io ci credo, non salto subito alla conclusione che intende dire esattamente il contrario.» «Lei... lei non accetta ancora l'idea che Robert sia morto.» «Ha avuto un intero anno per abituarcisi. Forse non ce la mette tutta.» «Questo mi sembra un atteggiamento piuttosto cinico.» «Stia attenta» replicò Ford con un sorrisetto ironico. «Lei sta cominciando a diventare una perfetta, affettuosa nuora.» La porta dell'ufficio del giudice si era aperta e il cancelliere stava annunciando: «L'udienza riprende. Seduti e silenzio, per favore.» «Faccia chiamare Ernest Valenzuela.» «Ernest Valenzuela si presenti al banco dei testimoni, per favore.» 10
Quando raggiunsero la macchina nel parcheggio, Leo aprì la portiera anteriore destra e Devon s'infilò dentro senza farselo dire. Non le piaceva dover dipendere da Leo, ma le piaceva ancora meno l'idea di guidare una macchina a cui non era abituata in una città che non le era ancora familiare. Leo si mise al volante, accese il motore e mise in funzione il condizionatore d'aria. «Mi sono tenuto lontano da lei tutto il giorno perché me lo ha chiesto.» «È stata un'idea di mia suocera» spiegò Devon. «Pensava che la gente avrebbe sparlato di noi, se ci avessero visti insieme.» «Non mi dispiacerebbe che avessero qualcosa da dire su... Crede che abbiano qualcosa da dire?» «No.» «No soltanto, o non ancora?» L'unica risposta di Devon fu un lieve movimento della testa che avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. Si era tolta i guanti bianchi che aveva tenuto in continuazione sin dal mattino presto. Ora li aveva in grembo, le false mani immacolate che aveva esibito in aula agli spettatori e agli estranei nel corridoio e in istrada. Le sue vere mani, ruvide e abbronzate dal sole, con i palmi callosi e le unghie rosicchiate, le mostrava soltanto agli amici come Leo, che non ci avrebbero fatto caso, o ad altri che vedeva tutti i giorni come gli Estivar e Dulzura, che non se ne sarebbero accorti. «Sono preoccupato per lei» disse Leo. «Basta, non voglio che si preoccupi per me.» «Nemmeno io lo voglio, ma non posso farci niente. Ha mangiato qualcosa?» «Un hamburger.» «Non è abbastanza. Lei è troppo magra.» «Non se la deve prendere tanto per me, Leo.» «Perché no?» «Mi rende nervosa, impacciata. Preferisco sentirmi a mio agio con lei.» «D'accordo. Non me la prendo. È una promessa.» Il ronzio del condizionatore d'aria copriva il suono aspro della sua voce. Leo girò verso nord sulla superstrada. Il traffico veniva rallentato dalla sua stessa intensità. Gli automobilisti non avevano nome, volto o altro segno di riconoscimento, tranne la loro auto: una Mustang rossa con la targa della Florida, una Chevelle azzurra, un camper VW decorato con marghe-
rite, una Continental metallizzata con cui si intonava il fumo argenteo del tubo di scappamento, una Dart gialla con il tetto di vinile nero, una Monaco familiare bianca che portava a rimorchio una barca. Era come se gli esseri umani esistessero soltanto per mantenere in moto i veicoli, come se la loro vera identità personale si fosse trasferita dagli Smith e dai Jones alle Cougar, alle Corvair, alle Toronado e alle Toyota. «Giri all'Università» disse Devon. «Lei abita al 3117 di Ocotillo Street, tre o quattro isolati più a nord.» «Lo so dov'è.» «Glielo ha detto il signor Ford?» «Me lo ha detto lei. Mi ha chiamato un giorno e mi ha chiesto di andare a casa sua.» «Credevo che non vi parlaste nemmeno.» «Non ci parlavamo, infatti» ribatté Leo. «Neanche adesso ci parliamo. Ma ci sono andato.» «Quando?» «Circa tre settimane fa, appena ha saputo che l'udienza sarebbe stata tenuta oggi. Bene, dopo un sacco di chiacchiere, finalmente è arrivata al punto... Voleva essere sicura che nel corso dell'udienza non saltasse fuori la morte di mia moglie. Ha osservato che era irrilevante. Io mi sono trovato d'accordo con lei. Mi ha offerto un drink che ho rifiutato, e me ne sono tornato al mio ranch. Tutto qui. Almeno, era tutto per quanto mi riguardava. Non ho capito che cosa avesse realmente in testa, forse qualche cosa di completamente diverso da quello che è stato detto.» «Perché dice questo?» «Se voleva soltanto che non si parlasse di Ruth al processo, avrebbe chiamato il signor Ford e non me. Io sono soltanto un testimone. È lui che dirige lo spettacolo.» «Forse si è rivolta anche a lui.» «Forse.» Passò lentamente la mano sinistra sull'orlo dentellato del volante, come se fosse stato il fondo accidentato di una strada di campagna mai esplorata prima. «Credo che volesse accertarsi che io non avrei detto niente contro il figlio. Lei doveva credere... e fare in modo che anche gli altri lo credessero... che Robert fosse perfetto.» «Che cosa avrebbe potuto dire contro di lui, Leo?» «Non era perfetto.» «Leo, lei si stava riferendo a qualcosa in particolare.» «Niente che possa avere importanza per lei, Devon. La cosa era chiusa
già prima che sapesse dell'esistenza degli Osborne.» Dopo un po', Leo aggiunse: «Non è stata nemmeno colpa di Robert. Il caso ha voluto che fosse il ragazzo della porta accanto. E Ruth... be', il caso ha voluto che fosse lei la ragazza della porta accanto, soltanto che era vicina ai quaranta e aveva paura di invecchiare.» «Allora nei pettegolezzi sul loro conto c'era qualcosa di vero?» «Sì.» «Perché non me lo ha detto prima?» «Ho tentato di dirglielo, molte volte, soltanto che non sono mai riuscito a continuare. Mi sembrava una crudeltà. Ora... be', ora so che è necessario. Non posso permettere che lei continui a credere all'immagine che la signora Osborne vorrebbe dare di Robert. Non era perfetto. Aveva i suoi difetti, commetteva errori. Ruth si è rivelata uno dei suoi più gravi errori, ma lui non avrebbe potuto prevederlo. Era piuttosto attraente nel suo ruolo di piccola donna indifesa e Robert pareva fatto apposta per cascarci. Non aveva nemmeno una ragazza che potesse impedirglielo, grazie proprio alla signora Osborne. Era riuscita ad allontanarlo da tutte le ragazze che non erano alla sua altezza, e questo significava tutte le ragazze. Perciò aveva finito col mettersi con una donna sposata che aveva il doppio dei suoi anni.» Devon rimase in silenzio, cercando di immaginare i due insieme, Ruth che vedeva in Robert un'ultima illusione di giovinezza e Robert che vedeva in lei la possibilità di sentirsi uomo. Con quale frequenza s'incontravano e dove? Vicino al lago o nel boschetto delle palme da datteri? Nel locale della mensa o nel dormitorio, quando non c'erano i lavoranti messicani al ranch? Nella stessa casa del ranch, quando la signora Osborne andava in città? Ovunque si trovassero, la gente doveva averli visti e esserne rimasta sconcertata o divertita o compiaciuta... gli Estivar, Dulzura, i contadini, forse persino la madre, prima che fosse accecata dall'amore materno e non vedesse più niente. Gli accenni della signora Osborne a Ruth erano stati tutti uguali e sullo stesso tono: "Robert era molto gentile con quella povera donna..." "Si faceva in quattro per mostrarsi premuroso..." "Era penoso lo spettacolo che dava di se stessa, ma Robert era sempre paziente e comprensivo." Robert... gentile, paziente, comprensivo e premuroso. Molto, molto premuroso. «Quanto tempo è durata?» chiese Devon. «Non ne sono sicuro, ma per molto tempo, penso.» «Per anni?»
«Sì. Forse sin da quando è ritornato dalla scuola in Arizona.» «Ma aveva appena diciassette anni, allora, era un ragazzo.» «A diciassette anni non si è più ragazzi. Non sprechi la sua comprensione per lui. Può darsi che Ruth gli abbia fatto un piacere allontanandolo dalla madre.» «Come può dire una cosa tanto terribile e rimanere calmo?» «Forse la cosa non è così terribile, forse io non sono tanto calmo.» Ma sembrava calmo, invece, persino distante. «Quando Estivar era sul banco dei testimoni, questa mattina, se l'è presa con la scuola che ha inculcato nell'animo di Robert dei pregiudizi e l'ha tenuto lontano dalla sua famiglia. Io non credo che fossero pregiudizi. Robert aveva semplicemente qualcosa di nuovo nella sua vita, qualcosa che non poteva permettersi di condividere con gli Estivar.» «Se lei sapeva della relazione, perché non ha cercato di troncarla?» «Ci ho provato. All'inizio Ruth ha negato tutto. In seguito abbiamo avuto frequenti alterchi, lunghi e violenti, senza esclusione di colpi. Dopo l'ultimo, lei si è preparata la valigia e si è incamminata a piedi verso la casa degli Osborne. Non ci è mai arrivata.» «Allora non avevano fatto nessun piano per scappare insieme?» «No. Credo che sarebbe stato un vero colpo per Robert, se avesse guardato fuori e l'avesse vista dirigersi a casa sua con una valigia. Ma non l'ha vista. Era cominciato a piovere a dirotto e lui era nel suo studio ad aggiornare i conti. La signora Osborne era di sopra nella sua camera da letto. Tutte e due le stanze sono esposte a ponente, dalla parte opposta del fiume, perciò nessuno stava a guardare, nessuno sapeva l'ora esatta in cui c'era stata la piena, nessuno aveva visto Ruth tentare di attraversare il fiume. Era piccola e fragile come lei, non ci sarebbe voluto molto per travolgerla.» Piccola e fragile... "Lei mi ricorda qualcuno al mio paese" Robert le aveva detto in occasione del loro primo incontro. "Una ragazza carina... o lo era. Ora è morta. Molti pensano che sia stato io ad ucciderla." «Leo!» «Sì?» «La sua morte è stata una disgrazia?» «Sì, secondo il coroner.» «E secondo lei?» «A me» rispose Leo lentamente «è sembrato uno strano modo di morire: annegare in mezzo a un deserto.»
La casa al numero 3117 di Ocotillo Street era costruita nello stile delle missioni californiane, con tetto ricoperto di tegole, spessi muri di mattoni rossi e un passaggio a volta che portava nel cortile. La volta era decorata con piastrelle di ceramica e dal suo punto più alto pendeva una giostra in miniatura di cavalli d'ottone, che si impennavano e tintinnavano l'uno contro l'altro quando soffiava il vento. Il cortile interno era lastricato con pietre finte e fiancheggiato da arbusti e alberelli piantati in grossi vasi messicani d'argilla. L'arancione delle foglie di cachi, il rosa dei boccioli di ibisco, il rosso dei fiori di amaranto, tutto sembrava sbiadito e pallido in confronto alla splendida vernice dei vasi. La parola BENVENUTO, stampata sul tappetino all'esterno della porta d'ingresso, dava l'impressione che nessuno vi avesse mai messo piede. I sandali di Devon sprofondarono nello spesso tappeto finché furono visibili soltanto le punte, e le cinghiette incrociate come due X sembravano contrassegnare il posto: "Devon Osborne è stata qui". Premette il pulsante del campanello. Si sentiva il braccio rigido e pesante come un tubo di piombo. «Non so più che cosa credere» disse a Leo. «Vorrei che lei non mi avesse detto niente.» «A volte è facile fare di un morto un eroe, specialmente con l'aiuto della madre. Be', io non posso competere con gli eroi. Se per vincere devo ridimensionare il mio avversario, non esiterò a farlo.» «Lei non deve parlare così.» «Perché no?» «Mia suocera potrebbe sentirla.» «Lei sente soltanto quello che vuole sentire. Qualunque cosa io dica, è molto improbabile che la prenda in considerazione.» Una raffica di vento investì il cortile. I cavalli della minuscola giostra danzarono al ritmo della loro stessa musica. Splendidi petali si staccarono dalle piante di amaranto e i bambù sembrarono aggrapparsi alla finestra del soggiorno. Le tende erano aperte e buona parte della stanza con i suoi arredi era visibile. Uno accanto all'altro, lungo una parete, erano allineati i pezzi che la signora Osborne aveva portato con sé dalla casa del ranch... il pianoforte di mogano e l'antica scrivania di ciliegio. Erano entrambi aperti, come se la signora Osborne avesse appena suonato un motivo e scritto una lettera e poi fosse scomparsa. Gli altri arredi facevano parte della casa e lei non si era preoccupata di apportare cambiamenti... un paio di poltrone a fiori ai
due lati opposti di un tavolo da backgammon, una libreria a vetri e, sulle pareti, quadri a olio raffiguranti l'infanzia di qualcuno, ricordi di limpidi fiumi, di verdi distese di prati, di dorate foreste di aceri. Leo aveva girato sul fianco della casa per guardare in garage. Ritornò irritato e preoccupato, come se il destino volesse giocargli un altro brutto tiro, come se gli fossero state tese trappole in posti che non conosceva. «La macchina è qui» disse. «Provi ad aprire la porta.» «Anche se la porta non è chiusa a chiave, non possiamo entrare così.» «Perché no?» «Potrebbe esserne contrariata.» «Può darsi che non sia in condizioni di essere o non essere contrariata.» «Che cosa vuol dire?» Leo non rispose. «Leo, pensa che potrebbe...» «Proporrei soltanto di fare un tentativo per scoprirlo.» Il pomolo girò senza difficoltà e la porta si aprì lentamente, come trattenuta dal suo stesso peso e dalla riluttanza di Devon. Mentre la porta si apriva, un colpo di vento fece volar via le carte dalla scrivania. Chinandosi per raccoglierne una, Devon notò che era tutta scritta a stampatello, con un pennarello indelebile. C'erano frasi intere e mezze frasi, parole singole, alcune in inglese, altre in spagnolo. Ricompensa. Premio. (Remunerazione? Chiedere a Ford.) La somma di diecimila dollari sarà pagata a chiunque fornirà informazioni. (No, no. Più semplice.) Il 13 ottobre 1967 Robert K. Osborne, anni 24, capelli biondi, occhi azzurri, altezza m. 1,85, peso 78 chili. (Una somma maggiore? Chiedere a Ford.) Chi ha visto quest'uomo? (Usare tre fotografie: di fronte, di profilo, di tre quarti.) Atención! Vi prego aiutatemi a trovare mio figlio. Devon rimase con il foglio in mano, l'orecchio teso ai movimenti di Leo nella sala da pranzo e in cucina. Si chiedeva come poteva dirgli che dopo tutto non era ancora arrivato l'ultimo giorno. Sua suocera aveva intenzione
di offrire un'altra ricompensa e tutto sarebbe ricominciato daccapo. Ci sarebbe stata un'altra serie di telefonate e di lettere, molte delle quali assolutamente ridicole, ma alcune abbastanza ragionevoli da dar vita a un nuovo filo di speranza. La donna che sosteneva di aver visto Robert atterrare su un disco volante in un campo vicino a Omaha non andava certo presa sul serio. Tuttavia non si poteva ignorare quanto veniva riferito da quelli che dicevano di averlo visto lavorare come marinaio su uno yacht ancorato al largo di Ensenada o nell'atto di ritirare una valigia al deposito bagagli della TWA all'Aeroporto Internazionale di Los Angeles, bere rum e Coca Cola a un bar alla moda di San Francisco o lavorare come addetto all'ascensore in un hotel di Denver. Tutte le informazioni plausibili erano state vagliate. Ma Valenzuela aveva detto: "Non lavora, non beve, non viaggia, non fa nient'altro. Ha perso troppo sangue, signora." Vi prego, aiutatemi a trovare mio figlio. Devon ripose il foglio sulla scrivania con molta cautela come se si trattasse di materiale contaminato. Poi raggiunse Leo nella cucina. Era stata usata recentemente. C'era un bricco di caffè sul fornello, con la fiamma al minimo, e sul ripiano del lavandino un cespo di lattuga, due fette di pane e un vasetto di burro di arachidi con un coltello infilato dentro. Era un comune coltello da tavola, con la punta smussata e poco affilato, ma poteva aver ricordato alla signora Osborne, come lo stava ricordando a Devon, un altro coltello molto più micidiale e ne aveva allontanato il ricordo. «È come se stesse preparando un sandwich» osservò Leo «e qualcosa l'avesse interrotta... il campanello della porta, forse, o il telefono.» «Ci ha detto che era troppo stanca per mangiare, che voleva soltanto riposare un po'.» «Allora converrà dare un'occhiata nelle camere da letto. Qual è la sua?» «Non lo so. Continua a cambiare.» La camera da letto sulla facciata aveva una finestra che dava sul cortile, protetta da un'inferriata e incorniciata da fiori di buganvillea che ondeggiavano ad ogni alito di vento come pezzetti di carta scarlatta. Era perfettamente arredata, ma c'era un'aria di abbandono, come se chi ci abitava avesse ormai da lungo tempo lasciato la casa. La porta dell'armadio a muro era semiaperta e dentro, ben sistemate, c'erano una mezza dozzina di grosse scatole di cartone con scritto in rosso ESERCITO DELLA SALVEZZA. Devon riconobbe la propria scrittura e le scatole che lei stessa aveva imballato con tutte le cose di Robert e che aveva dato alla suocera per con-
segnarle all'Esercito della Salvezza. Nell'altra camera, la signora Osborne giaceva di traverso sul letto con la pancia in giù e con il corpo avvolto in una vestaglia di seta di colore azzurro chiaro. Teneva le braccia piegate e le mani premute contro la testa come per proteggere i punti dove i capelli si diradavano. Sullo scrittoio c'era un sostegno per la parrucca su cui erano sistemati i riccioli che la signora Osborne ostentava in pubblico. Il cappello azzurro che aveva portato in tribunale era caduto, o era stato gettato sul tappeto, e il suo vestito di maglia grigio pendeva da una sedia come la spoglia abbandonata di un animale. Le due finestre erano serrate. Sospeso nell'aria stagnava un amaro odore di rimpianti, di piccoli peccati, di insuccessi, che ammuffivano in armadi e in angoli dimenticati. «Signora Osborne» la chiamò Devon, ma il nome suonava falso, come se quella donna indifesa e silenziosa fosse un'estranea che non avesse nessun diritto a quel nome. «Signora Osborne, mi risponda. Sono Devon. Si sente male?» L'estranea si riscosse, negando la propria identità, protestando contro l'intrusione nella sua intimità, quando Devon si chinò su di lei e le toccò la tempia e poi sentì il battito del suo sottile polso bianco. Il battito del polso era lento, ma regolare, come il ticchettio di un orologio. Sul tavolino da notte, vicino al letto, c'era un flaconcino di capsule gialle mezzo vuoto. Dall'etichetta risultava che erano capsule di Nembutal e che erano state prescritte dal medico di famiglia di Boca de Rio. «Mi sente, signora Osborne?» «Va'... va' via.» «Ha preso le pillole?» «Pillole.» «Quante ne ha prese?» «Quante...? Due.» «È sicura? Soltanto due?» «Sì, due.» «Quando le ha prese?» «Stanca. Va' via.» «Le ha prese quando è tornata a mezzogiorno?» «Mezzogiorno.» «Ha preso due pillole a mezzogiorno, è così?» «Sì. Sì.» Leo aprì le finestre, e l'aria che entrava profumava di frutti non colti, di
arance troppo mature le cui bucce ispessite e ruvide ricoprivano la polpa ormai rinsecchita e filamentosa. La signora Osborne si girò sul fianco con le ginocchia tirate in su e le mani sulla testa, come un feto che cerca di tenere lontano il dolore della nascita. «Se mi dice la verità, ne ha preso soltanto cento milligrammi» disse Devon. «L'azione del medicinale dovrebbe esaurirsi presto. Rimarrò con lei finché si sveglia.» «Rimango anch'io, se posso essere utile.» «Non credo che sarebbe opportuno. Se si svegliasse e la trovasse qui, ne sarebbe sconvolta. È meglio che lei torni al Palazzo di Giustizia a informare Ford di quello che è accaduto.» «Io non so quello che è accaduto.» «Be', gli dica quello che sa... che sta bene, ma che non sarà in grado di testimoniare, almeno per questo pomeriggio.» 11 Ford si rivolse al giudice. «Vostro Onore, la deposizione di questo testimone, Ernest Valenzuela, ha posto parecchi problemi. Poiché non è più in servizio presso il dipartimento di polizia, non può avere accesso ai fascicoli che si riferiscono al caso in esame. Comunque, ho ottenuto per il signor Valenzuela il permesso di rinfrescarsi la memoria ridando un'occhiata ai fascicoli in presenza di un poliziotto e di prendere appunti in vista della testimonianza che avrebbe reso qui, oggi. Ho inoltre chiesto che un agente di polizia portasse in aula alcuni verbali e elementi di prova che considero vitali per questo processo.» «Questi verbali e questi elementi di prova» chiese Gallagher «sono ora in suo possesso?» «Sì, Vostro Onore.» «Bene, proceda.» Valenzuela prestò giuramento: la deposizione che era sul punto di rendere nel processo in corso sarebbe stata la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Ford disse: «Il suo nome, per favore.» «Ernest Valenzuela.» «Dove abita?» «209 Third Street, Boca de Rio.»
«Adesso svolge un lavoro?» «Sì, signore.» «Dove e con quali mansioni?» «Sono rappresentante dell'America West Insurance Company.» «Da quanto tempo occupa quel posto?» «Da sei mesi.» «Prima, che lavoro svolgeva?» «Appartenevo alla divisione di polizia di Boca de Rio del dipartimento di San Diego.» «Per quanto tempo è stato alla polizia?» «Dal 1955, quando ho lasciato l'esercito, poco più di dodici anni.» «Descriva succintamente la situazione nella polizia di Boca de Rio il venerdì del 13 ottobre 1967.» «Il capo, il tenente Scotler, era assente per malattia e io lo sostituivo.» «Che cosa è accaduto la sera di quel venerdì, signor Valenzuela?» «C'è stata una chiamata dal ranch degli Osborne alle undici meno un quarto di sera con cui si chiedeva assistenza nella ricerca del signor Osborne. Era uscito di casa, dopo cena, a cercare il cane e non era più rientrato. Sono andato a prendere il mio collega, Larry Bismarck, a casa sua e in macchina ci siamo diretti al ranch. Quando siamo arrivati, la ricerca del signor Osborne era in corso da circa un'ora, diretta dal signor Estivar, il fattore, e dal figlio Cruz. Il signor Osborne non era stato rintracciato, ma c'era molto sangue sul pavimento del locale adibito a mensa. Ho telefonato immediatamente alla Centrale di San Diego per chiedere rinforzi. Nel frattempo, il mio collega aveva trovato minutissimi frammenti di vetro sul pavimento della mensa e il brandello di una manica di camicia impigliato nella punta di una foglia di yucca davanti alla porta d'ingresso. Anche su quel pezzo di stoffa c'era sangue.» «Ha preso un campione del sangue?» «No, signore. Ho lasciato che se ne occupassero gli esperti.» «Che hanno fatto gli esperti dei campioni di sangue che hanno prelevato?» «Li hanno mandati al laboratorio della polizia di Sacramento per l'analisi.» «E questa è la procedura abituale?» «Sì, signore.» «E successivamente lei ha ricevuto il risultato dell'analisi?» «Sì, signore.»
Ford si rivolse al giudice. «Vostro Onore, metto a sua disposizione una copia del resoconto completo delle analisi perché lei possa leggerlo quando crede. È naturalmente, molto dettagliato e tecnico, e allo scopo di guadagnare tempo... per non parlare del denaro dei contribuenti... proporrei di consentire al signor Valenzuela di esporci con parole sue i fatti essenziali relativi al caso.» «Il permesso è accordato.» «Consegnerò al signor Valenzuela una copia del resoconto, nel caso che la sua memoria abbia bisogno di essere rinfrescata.» Ford prese dalla sua cartella due buste commerciali e ne porse una a Valenzuela. Questi la prese con una certa riluttanza, come se non avesse bisogno o non volesse che la sua memoria venisse rinfrescata. «Il resoconto del laboratorio di polizia» Ford riprese «prende in considerazione i campioni di sangue prelevati da quattro punti essenziali... il pavimento della mensa, il pezzo della manica di camicia impigliato nella yucca, il coltello a farfalla trovato da Jaime nel campo di zucche, la bocca del cane morto. È esatto, signor Valenzuela?» «Sì, signore.» «Esaminiamoli a uno a uno nell'ordine summenzionato. Primo, il sangue sul pavimento della mensa.» «Sono stati trovati due gruppi sanguigni in considerevole quantità» precisò Valenzuela «il gruppo B positivo e il gruppo AB negativo. Sono gruppi sanguigni poco comuni. Il gruppo AB negativo, per esempio, si trova soltanto nel cinque per cento della popolazione.» «E il sangue trovato su quel pezzo di manica di camicia?» «Anche lì ne sono stati rilevati due gruppi. Quello in quantità minore corrispondeva al sangue trovato sul pavimento, di gruppo B, il resto apparteneva al gruppo O. Quest'ultimo è il gruppo più comune, che si trova approssimativamente nel quarantacinque per cento della popolazione.» «Quale gruppo sanguigno è stato trovato sul coltello?» «Il gruppo AB negativo.» «E nella bocca del cane?» «Il gruppo B positivo.» «La quantità del sangue trovato e il fatto che appartenesse a tre diversi gruppi sanguigni le hanno suggerito qualche conclusione?» «Sì, signore.» «Per esempio?» «Tre persone sono state coinvolte nella colluttazione. Due di esse sono
state ferite gravemente, la terza ha riportato ferite meno gravi.» «Il gruppo sanguigno O, trovato sul pezzo della manica di camicia, apparteneva a questo terzo uomo?» «Sì, signore.» Dalla sua cartella Ford tirò fuori un sacchetto di plastica che conteneva un pezzetto di tessuto a quadretti blu e verdi. «È questa la manica di camicia a cui si riferisce?» «Sì, signore.» «Lo presento come prova.» Alcuni degli spettatori si sporsero in avanti nei loro posti per vedere meglio, ma subito si risedettero. Il sangue, vecchio di un anno, non interessava più di quanto interessassero le macchie di caffè di un anno prima. «Ora, signor Valenzuela, ci dica quali fatti sono stati accertati in base al contenuto di questo sacchetto di plastica.» «La manica appartiene a una delle migliaia di camicie tutte simili vendute dalla ditta Sears Roebuck attraverso il suo catalogo e i negozi al dettaglio. Il tessuto è cotone al cento per cento e viene prodotto in quattro combinazioni di colore. Le camicie nelle misure piccola, media e grande. Il prezzo di catalogo è di dollari tre e novantacinque. I numeri del modello e della partita risultano dal verbale della mia indagine.» «E secondo lei, signor Valenzuela, quante camicie di quel modello, colore e misura sono state vendute da Sears Roebuck l'anno scorso e nell'anno precedente?» «Migliaia.» «È riuscito a risalire alla vendita di quella particolare camicia ad una particolare persona?» «Ho tentato, ma non ci sono riuscito.» «Ma lei ha potuto accertare alcuni fatti sull'uomo che indossava quella camicia, è così?» «Sì, signore. Intanto, era piccolo, probabilmente meno di un metro e sessantacinque di altezza e sessanta chili di peso. I capelli rinvenuti sul polsino della camicia indicano che era di carnagione scura, ma non un negroide.» «In considerazione della vicinanza del confine messicano e del fatto che un'elevata percentuale della popolazione nella zona è messicana o di origine messicana, è verosimile che il proprietario della camicia fosse messicano?» «Sì, signore.»
«Lei ha esaminato il polsino della camicia, signor Valenzuela?» «Soltanto superficialmente. Un esame più accurato è stato effettuato dal laboratorio di polizia di Sacramento.» «È stato scoperto qualcosa di rilevante, oltre ai capelli?» «Un bel po' di sporco e di grasso.» «Che specie di sporco?» «Particelle di terreno sabbioso e alcalino del tipo che si trova nelle aree desertiche irrigate di uno stato come il nostro. C'era un alto tasso di azoto nel terreno, il che prova che recentemente era stato usato un fertilizzante molto comune nei ranch della zona.» «E il grasso misto allo sporco?» «Era sebo, la secrezione delle ghiandole sebacee dell'uomo. Questa secrezione è generalmente abbondante nei giovani e negli individui più attivi e diminuisce con l'età.» «Perciò comincia a prendere forma il ritratto dell'uomo che indossava quella camicia» osservò Ford. «Era piccolo e di carnagione scura, probabilmente messicano. Lavorava in uno dei ranch della zona. Era giovane. Il sangue rilevato sul pezzo di camicia era del gruppo O. E ha preso parte ad una colluttazione nella quale erano coinvolte almeno altre due persone. Si potrebbe ricostruire la parte che quell'uomo ha avuto nella colluttazione?» «Sì, in base agli indizi, sembrerebbe che nella prima fase della colluttazione sia stato leggermente ferito e che la manica sinistra della sua camicia sia stata strappata. Ha deciso di tagliare la corda, prima che le cose si mettessero al peggio. Mentre usciva di corsa dalla porta della mensa, la manica strappata si è impigliata in una delle foglie acuminate della pianta di yucca e si è staccata.» «E gli altri due uomini?» «Hanno continuato a battersi fino alla fine» rispose Valenzuela asciutto. «Che ci può dire a proposito di questi due uomini?» «Come ho già detto prima, avevano un diverso gruppo sanguigno, B e AB. Entrambi hanno perso molto sangue, specialmente quello del gruppo AB.» «Sul pavimento del locale della mensa?» «Sì, signore.» «Sono stati prelevati campioni di sangue dal pavimento e trasportati al laboratorio di polizia di Sacramento?» «Non proprio, signore. Una parte del pavimento stesso è stata rimossa e spedita laggiù. È un sistema che permette un'analisi più precisa.»
«Per semplicità io mi riferirò ad ognuno di quei tre uomini con il loro gruppo sanguigno. Va bene così per lei, signor Valenzuela?» «Sì, signore.» «Allora, O serve ad indicare il giovane dalla pelle scura che indossava la camicia a quadretti verde e azzurro e che ha abbandonato il campo dopo aver subito una ferita superficiale.» «Sì, esatto.» «Ora prendiamo in considerazione B. Che cosa sappiamo di lui?» «Tracce del gruppo sanguigno B sono state trovate nella bocca del cane.» «È il cane di Robert Osborne, Maxie?» «Sì.» «Dal momento che è molto improbabile, se non impossibile, che Robert Osborne sia stato attaccato dal proprio cane, possiamo senz'altro stabilire che B non era Robert Osborne.» «La circostanza viene confermata da altri indizi.» «Per esempio?» «Frammenti di tessuto umano, di pelle e di capelli, trovati nella bocca del cane, dimostrano che B ha la pelle scura e i capelli neri. Il signor Osborne non aveva né la pelle né i capelli scuri. Inoltre, un piccolo brandello di tessuto si era impigliato tra i denti del cane. Era una stoffa di cotone blu scuro da lavoro del tipo usato per fare jeans da uomo. Quando il signor Osborne è uscito di casa, aveva un paio di pantaloni di gabardine grigi. In realtà, non possedeva jeans. Indossava abitualmente indumenti da lavoro leggeri e chiari a causa del caldo nella valle.» «Ritornando un momento al cane. Quando e dove è stato trovato?» «È stato trovato la mattina del lunedì seguente, il 16 ottobre, vicino al punto in cui la strada del ranch degli Osborne si unisce a quella che porta sulla strada maestra. Il punto preciso è fuori dalla mappa esposta sul cavalletto.» «In quali circostanze è stato trovato?» «Alcuni ragazzi del ranch dei Polk, che confina con quello del signor Bishop, si dirigevano alla fermata dell'autobus della scuola, quando hanno scoperto il corpo del cane sotto un cespuglio. Lo hanno detto all'autista, il quale ne ha informato la polizia.» «È stata effettuata un'autopsia al cane?» «Sì, signore.» «Ci dica in breve i fatti salienti.»
«Fratture multiple del cranio e delle vertebre dimostravano che il cane era stato investito e ferito mortalmente da un veicolo in movimento, probabilmente un'automobile.» «O un camion?» «O un camion.» Ford consultò di nuovo i suoi appunti. «Così noi abbiamo accertato che l'uomo chiamato B aveva carnagione scura e capelli neri, che indossava jeans da lavoro e che è stato morso dal cane. Che altro sappiamo?» «Che possedeva, o per lo meno ha usato, un coltello a farfalla.» «E come fa ad esserne così sicuro?» «Il sangue sul coltello apparteneva all'altro uomo, quello dal gruppo sanguigno AB.» «Lei sa chi era l'altro uomo?» «Sì, signore. Era Robert Osborne.» Tutti nell'aula avevano anticipato la risposta, ma il sentire pronunciare quel nome sembrò provocare una sorpresa generale: fiati sospesi, improvvise agitazioni, mormorii, bisbigli. «Signor Valenzuela, dica alla Corte perché è così sicuro che il terzo uomo era Robert Osborne.» «I frammenti di vetro trovati sul pavimento del locale della mensa sono stati identificati dal dottor Paul Jarrett, un oculista, come frammenti delle lenti a contatto che lui stesso aveva prescritto a Robert Osborne nell'ultima settimana di maggio del 1967.» «La dichiarazione del dottor Jarrett è stata allegata al verbale?» «Sì, signore.» «Senza entrare in particolari troppo tecnici, può dire alla Corte fino a che punto le lenti a contatto sono distinguibili?» «Non sono assolutamente uniche come le impronte digitali, per esempio, ma ogni lente dev'essere adattata a ciascun occhio con tale precisione che un errore di identificazione è improbabile.» «Dal momento che ha tirato in ballo le impronte digitali, signor Valenzuela, parliamo anche di quelle. Nel leggere la sua relazione sul caso sono stato colpito dallo scarso rilievo che è stato dato alle impronte digitali. Vuole spiegarlo, per favore?» «Moltissime impronte sono state rilevate su porte, pareti, tavoli, panche, eccetera, eccetera. Questo è stato il guaio. Tanta gente era entrata e uscita da quel locale. C'erano troppe impronte dentro e fuori della mensa per poterle classificare. E confrontare.»
«Ora, signor Valenzuela, l'8 novembre, quasi quattro settimane dopo la scomparsa di Robert Osborne, un uomo di nome John W. Pomeroy è stato arrestato in un bar di Imperial Beach. È esatto?» «Sì, signore.» «Qual era l'accusa?» «Ubriachezza molesta.» «È stato trovato qualcosa di rilevante in relazione al caso in esame tra gli effetti personali del signor Pomeroy, quando è stato fermato?» «Sì, signore.» «Che cosa?» «Una carta di credito emessa dalla Pacific United Bank e intestata al signor Robert Osborne.» «Come ne è venuto in possesso il signor Pomeroy?» «Ha detto di averla trovata, e questo corrisponde a verità. All'inizio di quella settimana nella valle c'era stata la prima pioggia della stagione. Il fiume era straripato e la piena aveva portato a valle un sacco di detriti che si erano accumulati per mesi. Pomeroy è sempre stato un vagabondo: frugare tra montagne di detriti era una sua seconda natura. Ha raccolto la carta di credito a circa quattrocento metri dal ranch degli Osborne.» «È possibile interrogare il signor Pomeroy?» «No, signore. È morto di polmonite nel County Hospital la primavera scorsa.» «A parte la carta di credito trovata in suo possesso, c'era qualche altro elemento che lo collegasse alla scomparsa del signor Robert Osborne il 13 ottobre 1967?» «No, signore. Pomeroy il 13 ottobre era in carcere a Oakland.» «Pronunciamo in giudizio il reperto numero cinque, la carta di credito rilasciata dalla Pacific United Bank a Robert Osborne... C'è ancora un punto che adesso vorrei chiarire, signor Valenzuela. Lei ha dichiarato che il sangue sul coltello a farfalla era del gruppo AB negativo, un gruppo non comune che si riscontra approssimativamente nel cinque per cento della popolazione. Robert Osborne apparteneva a questo cinque per cento?» «Sì, signore.» «Me ne può dare una prova?» «Nell'estate del 1964 il signor Osborne ha subito un intervento chirurgico per appendicectomia. Le analisi del sangue effettuate prima dell'intervento e la cartella clinica dell'ospedale indicano che il gruppo sanguigno di Robert Osborne era AB negativo.»
Il giudice Gallagher si era sprofondato sempre più nella sua poltrona, con le braccia incrociate sul petto, sicché la sua toga aveva tutta l'aria di una camicia di forza. Per buona parte del tempo aveva tenuto gli occhi chiusi. L'illuminazione dell'aula era stata così ingegnosamente ideata dagli esperti che risultava troppo forte per guardarla e troppo debole per leggere. Disse senza aprire gli occhi: «Non ci sono norme in precise su questo punto, signor Ford, ma quando si vuole arrivare ad una dichiarazione di morte presunta di una persona scomparsa, è divenuta normale prassi aggiungere un attestato dal quale risulti che è stata compiuta una diligente ricerca.» «Ci stavo arrivando, Vostro Onore» lo rassicurò Ford. «Benissimo, continui pure.» «Signor Valenzuela, ha svolto una diligente ricerca per trovare Robert Osborne?» «Sì, signore.» «Indichi la durata della ricerca.» «Dalle ventitré del 13 ottobre 1967 fino alla mattina del 20 aprile 1968, quando mi sono dimesso dalla polizia.» «E la zona coperta dalle indagini?» «Svolte da me o da tutti quelli che si sono occupati del caso?» «L'intera zona coperta dalle indagini.» «Tutti i particolari sono nella mia relazione. Ma posso riassumere dicendo che in una fase successiva le ricerche relative al signor Osborne e ai lavoranti messicani scomparsi si sono unificate. L'indagine si è estesa dal ranch degli Osborne ai maggiori centri agricoli della California, dove si ricorre al lavoro degli immigrati messicani... nelle valli di Sacramento, di San Joaquin e di Imperial, in varie contee come San Luis Obispo, Santa Barbara, Ventura. Inoltre, località al di fuori dello Stato di California che fungevano da centri di raccolta per il programma di immigrazione stagionale: Nogales, in Arizona, El Paso, Hidalgo e Eagle Pass, nel Texas.» «C'è stato un particolare aspetto dell'indagine del quale lei fosse personalmente responsabile?» «Ho verificato i nomi e gli indirizzi forniti al signor Estivar dagli uomini che erano arrivati al ranch degli Osborne durante l'ultima settimana di settembre.» «Ha con sé una lista di quei nomi e indirizzi?» «Sì, signore.» «Vuole leggerli a voce alta alla Corte, per favore?»
«Valerio Pinedo, Guaymas» Oswaldo Rojas, Saltillo Salvador Mayo, Camargo Victor Ontiveras, Chihuahua Silvio Placentia, Hermosillo Hilario Robles, Tepic Jesus Rivera, Ciudad Juares Ysidro Nolina, Frasnillo Emilio Olivas, Guadalajara Raul Guttierez, Novojoa. Ci fu una breve interruzione, mentre il cronista giudiziario controllava con Valenzuela l'esatta ortografia di certi nomi. Poi, Ford continuò: «In questa lista c'è qualcosa di peculiare che l'ha colpita sin dall'inizio?» «Sì, signore.» «Ne parli alla Corte.» «Be', i messicani sono molto legati alle loro famiglie. Mi è sembrato molto strano il fatto che non ci fossero due uomini dello stesso cognome e che tutti provenissero da località diverse. Viaggiavano insieme in gruppo nello stesso camion, e tuttavia provenivano da posti come Ciudad Juarez e Guadalajara, distanti l'uno dall'altro più di duemilacinquecento chilometri. Mi sono chiesto come mai un gruppo così eterogeneo fosse stato messo insieme, per prima cosa, e come il camion che li trasportava potesse aver coperto simili distanze. Da Ciudad Juarez al ranch degli Osborne, per esempio, ci sono altri millecento chilometri. Il camion mi è stato descritto da diverse persone come un vecchio General Motors e il signor Estivar questa mattina ha detto che bruciava tanto olio che sembrava una ciminiera.» «Nel vedere la lista di quei nomi, lei ha avuto subito la sensazione che qualcosa non quadrasse?» «Sì, signore. Di solito un gruppo di dieci uomini come quello sarebbe composto soltanto da membri di due o tre famiglie, abitanti tutte nella stessa zona e probabilmente non lontano dalla linea di confine.» «Perciò, quando lei è andato in Messico per cercare di rintracciare gli uomini scomparsi, già sospettava che i nomi e gli indirizzi che avevano dato al signor Estivar fossero fittizi e che i documenti fossero contraffatti?» «Sì, signore.» «Malgrado ciò, lei ha svolto diligenti indagini in tutte le regioni?» «Certo.»
«E non ha trovato nessuna traccia di Robert Osborne o degli uomini che erano stati ingaggiati al ranch degli Osborne?» «Nessuna.» «Durante questo periodo, altri dipartimenti di polizia nel sud-ovest si sono uniti nelle indagini e annunci sono stati diffusi in tutto il paese.» «Sì, signore.» «Alla fine di novembre, la madre di Robert Osborne ha offerto una ricompensa di diecimila dollari per chi avesse fornito informazioni sul figlio, morto o vivo.» «In proposito lei ne sa più di me, signor Ford.» Ford fece un quarto di giro per rivolgersi al giudice. «Vostro Onore, di questa ricompensa si è occupato il mio ufficio su richiesta della signora Osborne. Avvisi sono stati affissi in edifici pubblici e annunci pubblicitari sono stati riportati in due lingue nei giornali di questo paese e del Messico. Anche la radio e la televisione ne hanno dato notizia principalmente nella zona di Tijuana - San Diego. Ho preso in affitto una casella postale per ricevere la corrispondenza e uno speciale apparecchio telefonico è stato installato nel mio ufficio per eventuali segnalazioni. La ricompensa ha suscitato molto interesse... una somma di diecimila dollari suscita di solito molto interesse. Abbiamo ricevuto una gran quantità di lettere e chiamate piuttosto strambe, un paio di false confessioni, soffiate anonime, responsi astrologici, suggerimenti sul modo di spendere meglio i soldi e minacce di vario genere. È venuta persino una donna nel mio ufficio con una sfera di cristallo in una borsa. Nessuna utile informazione è venuta dalla sfera di cristallo o da qualsiasi altra fonte, perciò la signora Osborne, su mio consiglio, ha ritirato l'offerta e ha annullato tutti gli annunci pubblicitari e gli avvisi.» Il giudice aprì gli occhi e lanciò a Valenzuela una rapida e penetrante occhiata. «Come mi pare di capire, signor Valenzuela, dal 13 ottobre, quando è scomparso, Robert Osborne, fino al 20 aprile, quando lei ha rassegnato le dimissioni dalla polizia, lei ha impiegato tutto il suo tempo nel tentare di rintracciare Robert Osborne e/o gli uomini presumibilmente responsabili della sua scomparsa.» «Sì, Vostro Onore.» «Questo farebbe pensare a una ricerca molto accurata da parte sua.» «Molte altre persone sono state coinvolte nella ricerca. Qualcuno lo è ancora. Un caso come questo non è mai ufficialmente chiuso, anche se il personale di polizia si occupa di altri casi.»
«Mi pare legittimo chiederle se le sue dimissioni dalla polizia siano state in parte dovute all'insuccesso nel rintracciare il signor Osborne e i lavoranti messicani scomparsi.» «No, Vostro Onore. Avevo ragioni personali.» Valenzuela si fregò una mascella come se gli facesse male. «Fallire non piace a nessuno, naturalmente. Se avessi trovato quello che cercavo, avrei esitato prima di cambiare lavoro.» «Grazie, signor Valenzuela.» Il giudice Gallagher si riappoggiò allo schienale della poltrona e incrociò le braccia sul petto. «Può continuare, signor Ford.» «Vostro Onore, è d'accordo sull'accuratezza della ricerca?» «Certo, certo.» «Ora, signor Valenzuela» riprese Ford «durante i sei mesi in cui lei si è occupato del caso, dev'essere arrivato a qualche conclusione circa quello che è accaduto ai dieci uomini che si sono così volatilizzati.» «Sono sicurissimo che hanno passato il confine, prima ancora che la loro assenza fosse notata al ranch e prima che la polizia accertasse che un crimine era stato commesso. Gli uomini avevano un autocarro ed erano muniti di documenti. Una volta tornati nel loro paese, erano al sicuro.» «Come mai al sicuro?» «Mettiamolo in cifre» rispose Valenzuela. «In quel periodo, Tijuana aveva una popolazione di oltre duecentomila abitanti e la polizia disponeva di una forza di sole diciotto pattuglie motorizzate.» «Tutti i veicoli vengono fermati alla frontiera, non è così?» «Il posto di confine tra Tijuana e San Diego è il più movimentato del mondo: venti milioni di persone all'anno. Questo significa una media giornaliera di cinquantaquattromila unità, ma in realtà il traffico è molto più leggero nei giorni di lavoro e molto più pesante durante il week-end. Tra il pomeriggio di venerdì e la sera di domenica trecentomila persone o più viaggiano da un paese all'altro. Queste cifre rappresentano già per se stesse un grave problema per le forze di polizia. Ma ci sono anche altri fattori. Le leggi messicane sono diverse da quelle degli Stati Uniti, e il rispetto della legge in alcune zone è quasi nullo, la corruzione del personale è una pratica generalizzata, i poliziotti sono pochi e di solito scarsamente preparati.» «Quali possibilità, secondo lei, c'erano di rintracciare gli uomini scomparsi, una volta che fossero rientrati nel loro paese?» «All'inizio pensavo che ci fosse qualche possibilità. Col passare del tempo, è risultato chiaro che non ce n'era nessuna. Le ragioni sono state
già menzionate... corruzione generalizzata, traffico intenso e scarsità di preparazione professionale, di disciplina e di morale tra il personale della polizia messicana. Simili dichiarazioni non mi renderanno molto popolare in certi ambienti, ma i fatti sono quelli che sono. Non sto inventando niente per giustificare il mio insuccesso in questo caso.» «La sua sincerità è apprezzata, signor Valenzuela.» «Non da tutti.» Un accenno di sorriso apparve e scomparve con tanta rapidità dal volto di Valenzuela che Ford non era nemmeno del tutto sicuro di averlo visto né che si trattasse davvero di un sorriso. Forse era semplicemente una smorfia che tradiva una fitta di dolore alla testa, allo stomaco o alla coscienza. «Un altro elemento da chiarire, signor Valenzuela. Si è parlato molto del sangue trovato sul pavimento della mensa. Tra il locale della mensa e il dormitorio c'è un tratto asfaltato. Non è stata trovata nessuna traccia di sangue sull'asfalto?» «No, signore.» «E nelle vicinanze?» «No, signore.» «E nel dormitorio?» «C'era una gran confusione, come risulta dalle fotografie agli atti, ma nessuna macchia di sangue.» «Si è potuto stabilire se qualcosa è stato asportato dal dormitorio?» «Non quella notte. Il giorno successivo è stata effettuata una perlustrazione accurata alla presenza del signor Estivar e si è scoperto che mancavano tre coperte da una delle cuccette: una di flanella di cotone a righe e due di lana scura, residuati dell'esercito.» «Ha collegato il fatto che non erano state trovate macchie di sangue all'esterno della mensa con la scomparsa delle tre coperte del dormitorio?» «Sì, signore. Mi è sembrato ragionevole supporre che il corpo del signor Osborne fosse stato avvolto nelle coperte, prima di rimuoverlo dal locale della mensa.» «Perché tre coperte? E non due? O una?» «Una o due forse non sarebbero bastate» rispose Valenzuela. «Un uomo giovane della statura e del peso del signor Osborne ha nel suo sistema sanguigno tra sei e sei litri e mezzo di sangue. Anche se ne avesse perduto circa un litro sul pavimento della mensa, ce ne sarebbe restato abbastanza per creare un bel problema agli altri uomini.»
«Intende dire gli altri due uomini coinvolti nella colluttazione?» «Sì, signore... quello del gruppo O, che si è ritirato prima, e quello del gruppo B, che ha perduto una considerevole quantità di sangue.» «Dalla sua precedente deposizione risulta che tutti e due questi uomini erano piuttosto piccoli di statura.» «Sì, signore.» «Conosceva personalmente Robert Osborne, signor Valenzuela?» «Sì, signore.» «Come lo descriverebbe fisicamente?» «Alto, non pesante, ma muscoloso e robusto.» «Avrebbero potuto due uomini piuttosto piccoli, entrambi feriti, e uno abbastanza gravemente, avvolgere il corpo del signor Osborne nelle coperte e portarlo fuori per caricarlo su un veicolo?» «Non posso dare una risposta precisa in proposito. In circostanze particolari, ci sono persone che possono fare cose che di solito sarebbero superiori alle loro forze.» «Dal momento che non può dare una risposta precisa, forse vorrà dire alla Corte qual è la sua opinione personale.» «La mia opinione è che l'uomo dal gruppo sanguigno 0, quello ferito leggermente, è andato a chiedere aiuto ai suoi amici.» «E lo ha ottenuto?» «Sì, lo ha ottenuto.» «Signor Valenzuela, nella giurisprudenza dello Stato di California è previsto che, quando l'assenza di qualcuno per ragioni diverse dalla morte è in contrasto con il carattere della persona assente e i fatti puntano alla ragionevole conclusione che la morte è avvenuta, la Corte è giustificata nel riconoscere la morte stessa come un fatto avvenuto. Tuttavia, se la persona, nel momento in cui viene vista per l'ultima volta, fosse un latitante o un fallito, o se per altre ragioni non desse notizie di sé, anche se viva, non se ne trarrebbe alcuna presunzione di morte. Questo è perfettamente chiaro, le pare?» «Sì, signore.» «Ora, come legale del signor Osborne posso testimoniare che non era un fallito. Era forse un latitante, signor Valenzuela?» «No, signore.» «Che lei sappia, c'erano altre ragioni che avrebbero potuto impedirgli di mettersi in contatto con i suoi parenti e amici?» «Per quanto io sappia, no.»
«Ci sono, secondo lei, ragioni per cui la presunzione di morte non dovrebbe essere dichiarata?» «No, signore.» «Grazie, signor Valenzuela. Non ho altre domande da farle.» Quando Valenzuela lasciò il banco dei testimoni, il cancelliere si alzò per annunciare l'abituale intervallo del pomeriggio di quindici minuti. Ford chiese di portarlo a mezz'ora per permettergli di preparare le sue conclusioni e, dopo qualche discussione, il tempo in più fu accordato. Il poliziotto aprì di nuovo le porte. Cominciava ad essere annoiato e stufo. I morti gli prendevano gran parte del suo tempo. 12 Come un animale che avesse sentito nel sonno un pericolo imminente, la signora Osborne si svegliò di colpo. I suoi occhi erano vigili, pronti a scoprire un nemico, la sua voce chiara, pronta a sfidarlo: «Che fai qui?» «Non ha risposto al telefono» spiegò Devon, voltandosi a guardarla. «Sono venuta a vedere perché. La porta d'ingresso non era chiusa a chiave, perciò sono entrata.» «Per controllarmi...» «Be'...» «Come se fossi una vecchia rimbambita...» «Il signor Ford mi ha suggerito di venire a vedere perché non è tornata in aula questo pomeriggio. Era sicuro di averle detto che avrebbe dovuto testimoniare.» «Sì, è stato del tutto chiaro.» La signora Osborne si alzò a sedere sul letto, passandosi le dita sul mento, sulle guance e sulla fronte come una donna cieca che riacquisti familiarità con la sua faccia. «Non sempre faccio quello che ci si aspetterebbe da me, specialmente quando penso che sia una cosa sbagliata. Non potevo bloccare l'udienza, ma potevo almeno astenermi dal recitarvi una parte.» «E questa le sembra una vittoria?» «Era il meglio che potessi fare, per il momento.» «Per il momento» ripeté Devon. «Ha qualcos'altro in mente?» «Sì.» «Una nuova ricompensa, per esempio?» «Allora hai visto il foglio sulla scrivania? Be', in ogni caso te l'avrei detto.» Si alzò dal letto, tenendo stretto il colletto della vestaglia azzurra sulla
gola, come per proteggere un punto vulnerabile. «Naturalmente tu non sei d'accordo. Ma è troppo tardi. Ho già disposto per il primo annuncio sul giornale.» «Mi sembra un gesto inutile.» «Diecimila dollari sono qualcosa di più di un gesto. Qualcosa di ben reale.» «Soltanto se serve a comperare qualcosa di concreto» ribatté Devon. «E non c'è niente da comperare. L'altra offerta di ricompensa non ha procurato nessuna informazione utile.» «Questa volta sarà diverso. Per esempio, ho intenzione di predisporre una più larga diffusione degli avvisi di ricompensa. E gli avvisi stessi saranno ridisegnati. Useremo almeno due fotografie di Robert, di fronte e di profilo... mi aiuterai a sceglierle... e il testo sarà redatto in termini molto semplici e diretti, sicché il messaggio arriverà anche nei più piccoli villaggi messicani, dove quasi tutti sono analfabeti.» Di colpo si mise a ridere, una risatina quasi da scolaretta. «Diamine, mi sento già meglio soltanto a parlarne. Mi dà sempre un tono fare qualcosa di mia iniziativa, invece di aspettare che gli altri decidano per me. Preparerò un bricco di caffè per celebrare. Ne prendi un po' anche tu, cara?» Uscì dalla stanza senza aspettare la risposta e, dopo una breve esitazione, Devon la seguì in cucina. La signora Osborne versò l'acqua nella caffettiera e misurò il caffè con una palettina di plastica, canticchiando con voce monotona per coprire imbarazzanti silenzi e scoraggiare imbarazzanti domande. Era come il suono del pianoforte di cui Estivar aveva parlato a Devon durante la pausa di mezzogiorno. "Lei si metteva a suonare, per coprire gli urli, un brano a tutto volume come la Marcia dei Toreador... Avanti, Soldati Cristiani! Bang, bang, bang... A volte, quando mi sveglio la notte, giuro che mi pare di sentire ancora il suono di quel pianoforte, anche se non è più lì. Ho aiutato io stesso gli uomini dell'agenzia a portarlo fuori dalla casa." Improvvisamente la signora Osborne smise di canticchiare e si allontanò imbronciata dalla finestra. «Non vedo la tua macchina nel vialetto. Come hai fatto a venire qui?» «Mi ha accompagnata Leo.» «Ah!» «Non ha fatto fatica a trovare la casa» disse Devon esitante. «Sembra che sia già venuto qui in precedenza.» «L'ho mandato a chiamare io due o tre settimane fa per discutere di una
faccenda personale.» «Di Ruth.» «Te lo ha detto, allora.» «Sì.» La signora Osborne sedette al tavolo di fronte a Devon, con un sorriso che pareva una smorfia. «Forse ha ripetuto anche a te quell'orribile storia di Ruth e Robert.» «Sì.» «Naturalmente tu non gli hai creduto. Diamine, Robert avrebbe potuto avere dozzine di ragazze giovani, carine, ricche. È impensabile che potesse correre dietro a una donna come Ruth che non aveva niente. La cosa non ha senso, non ti pare?» «No» rispose Devon soltanto perché ci si aspettava che lo facesse. Non sapeva più che cosa credere, che cosa aveva senso e che cosa non ne aveva. Ogni nuovo elemento di informazione gettava ombra invece che luce. Robert stava a poco a poco scomparendo nell'oscurità, e i mesi che avevano passato insieme stavano perdendo i loro contorni, cambiando forma come le nuvole in un cielo tempestoso. Il caffè stava già filtrando e per un po' nella stanza non si sentì che il suo allegro gorgoglìo. Poi la signora Osborne riprese a parlare: «Dopo che lei è morta, ci sono stati pettegolezzi a non finire, naturalmente. E la cosa strana era che nessuno biasimava Leo per aver trascurato la moglie, o Ruth per aver cercato la compagnia di un altro uomo. Tutti se la prendevano con Robert.» «Perché?» «Perché era giovane e vulnerabile.» «Questa non è una buona ragione.» «Il solo fatto di esistere era una ragione sufficiente per qualcuno. Ovunque andassimo, io e Robert, eravamo circondati da bisbigli e mormorii. Il telefono squillava ma nessuno rispondeva, si sentiva soltanto respirare. Arrivavano lettere, non firmate. Finalmente mi sono decisa a chiamare la polizia e hanno mandato Valenzuela al ranch per discutere della situazione. Bene, abbiamo parlato, ma senza capirci. Nella sua mente l'immagine di Robert era quella del seduttore della zona che causa la rovina delle donne, e non sono riuscita a smuoverlo. Ha avuto pregiudizi contro Robert sin dall'inizio, ecco perché non ha mai cercato davvero di trovarlo. Non voleva trovarlo. Oh, la commedia ha saputo recitarla, facendo tutti quei viaggi nei campi dove lavoravano gli immigrati e in Messico. È riuscito a darla a bere
ai suoi superiori per un po', ma lo hanno scoperto infine e lo hanno licenziato.» «Ho sentito dire che si è dimesso perché si è sposato di nuovo e a sua moglie non piaceva che facesse il poliziotto.» «Sciocchezze. Non avrebbe mai rinunciato al potere legato alla sua funzione, senza parlare dell'anzianità di servizio e della pensione, per correre dietro a una sgualdrinella.» «Come fa a sapere che è una sgualdrina? Potrebbe essere...» «Le voci corrono. Valenzuela è stato licenziato. L'ho sentito attraverso il tam tam della valle...» «Ho parlato con lui questo pomeriggio» disse Devon. «Mi ha chiesto scusa per il modo in cui le cose sono andate. Mi è sembrato molto sincero. Non posso credere che non abbia fatto tutto il possibile per trovare Robert.» «Non puoi credere...? Come lo preferisci il caffè?» «Senza latte, per favore.» «Temo che sia leggero.» «Andrà benissimo.» La signora Osborne versò il caffè, con mano ferma. «Che cos'altro aveva da dire? Non credo che sia venuto da te soltanto per dirti che gli dispiaceva.» «Ha detto che il caso è chiuso.» «Per quanto riguarda lui, il caso è stato chiuso da parecchio.» «No, non è questo. Voleva dire che io... io e lei... non dovremmo continuare a sperare.» «Bene, il suo consiglio è sprecato per tutte e due, non ti pare? Tu non hai mai sperato e io non intendo smettere di sperare.» «Lo so» disse Devon. «Ho visto le scatole di cartone.» «Le scatole di cartone?» «Nell'armadio a muro della camera da letto. Quelle che, secondo quanto mi ha detto, lei avrebbe portato all'Esercito della Salvezza.» «Non ho fatto nessuna promessa del genere. Ho accettato di prenderle perché non volevo discutere con te. Tu eri così ansiosa di liberartene. Mi è parsa la cosa più naturale portarle qui invece che regalare tutto a persone estranee. In quelle scatole c'erano alcune cose molto personali. I suoi occhiali, per esempio.» La sua voce incespicò nella parola, calò di tono, si elevò di nuovo. «Come potevi fare una cosa simile, Devon... dar via i suoi occhiali?»
«Avrebbero potuto aiutare qualcuno a vedere. Robert sarebbe stato d'accordo.» «Mi ha rattristato terribilmente il pensiero che un estraneo potesse usare gli occhiali di Robert, che potesse con quelli vedere brutture che Robert non avrebbe mai visto, perché era tanto un bravo ragazzo. No, non potevo sopportarlo. Ho messo via i suoi occhiali per custodirli.» «Che cosa pensa di fare con tutto il resto?» «Pensavo di sistemare la camera sulla facciata, proprio come era la sua nella casa del ranch, con tutte le cose che i ragazzi amano... bandierine del college alle pareti, poster dedicati al surf e, naturalmente, le mappe. Non ti ho mai mostrato le sue vecchie mappe?» «No.» «Mia sorella gliele aveva mandate una volta per il suo compleanno. Erano copie in cornice delle prime mappe medioevali che rappresentavano il mondo come si presumeva che fosse allora, piatto e circondato dall'acqua. Sull'orlo di una mappa una scritta diceva che le regioni al di là della linea di confine erano ignote e inospitali a causa del calore del sole. Un'altra scritta diceva semplicemente: "Oltre questo punto ci sono i mostri". Questa frase piaceva a Robert. Aveva scritto un cartello e lo aveva attaccato alla sua porta: AL DI LÀ I MOSTRI. Dulzura odiava quel cartello e non voleva nemmeno passare davanti a quella porta, perché lei credeva nei mostri, forse ancora ci crede. Si rifiutava di far pulizia nella camera di Robert a meno che io non stessi sulla porta per proteggerla, nel caso che... Dulzura è fortunata. Anche noi abbiamo i nostri mostri, ma li dobbiamo chiamare con altri nomi, o fingere che non esistano... Il mondo delle mappe di Robert era bello, piatto e semplice, c'erano terre per gli uomini e terre per i mostri. Che tristezza scoprire che il mondo è rotondo, che le terre emergono e che niente ci separa dai mostri. Che giriamo tutti insieme nello spazio e che non c'è nemmeno un modo elegante per uscirne fuori. La conoscenza può essere una cosa spaventosa.» Devon sorseggiò il caffè. Era come acqua calda, appena un po' colorato, quasi senza aroma. «Che età aveva Robert, quando gli hanno regalato quelle mappe?» «Non ricordo bene.» «L'età di Jaime?» «Qualcosa in più, penso.» «Quindici anni, allora?» «Sì, lo ricordo ora, è stato l'anno in cui ha cominciato a crescere. Fino a
quel momento era stato piuttosto piccolo, non molto più alto dei figli di Estivar, poi improvvisamente ha cominciato a crescere.» "Aveva quindici anni", pensò Devon. "Era l'anno della morte di suo padre e lei lo aveva mandato a scuola lontano da casa. In realtà, non è mai più tornato. Lei sta ancora aspettando il suo ritorno in una stanza decorata con le bandierine della scuola e i poster dedicati al surf e un cartello ammonitore sulla porta." 13 Per l'ultima volta, quel giorno, il cancelliere annunciò che la Corte era in seduta. Ford si rivolse al giudice: «Vostro Onore, vorrei ora riassumere i fatti che hanno portato alla presentazione dell'istanza con cui Devon Suellen Osborne dichiara che suo marito Robert Kirkpatrick Osborne è morto la sera del 13 ottobre 1967 e chiede alla Corte di dichiararne ufficialmente la morte e di nominarla amministratrice della proprietà. Sono stati ascoltati nove testimoni. Dalle loro deposizioni si ricava un completo ritratto di Robert Osborne. «Robert Osborne era un giovane di ventiquattro anni, felicemente sposato, in ottime condizioni di salute e di spirito, che faceva progetti per l'avvenire, sia per un futuro prossimo... si era recato quella mattina in macchina a San Diego per ritirare una nuova racchetta da tennis, partecipare a una colazione di lavoro con altri coltivatori, far visita alla madre, eccetera... e per un futuro più lontano... sua moglie aspettava un bambino. Era l'unico proprietario del ranch. Quella proprietà non lo avrebbe mai reso milionario, ma la gestione era in attivo e doveva provvedere soltanto a se stesso e alla moglie, in quanto la madre aveva avuto una consistente eredità dalla sorella. Non aveva grosse preoccupazioni e per lo più riguardavano la conduzione del ranch; la difficoltà di reperire adeguata manodopera per i raccolti, e così via. «La mattina del 13 ottobre 1967, Robert Osborne si alzò, come al solito prima dell'alba, fece la doccia e si vestì. Si mise un paio di pantaloni leggeri di gabardine grigio e una giacca di dacron a quadretti bianchi e neri. Baciò la moglie, le chiese di stare attenta per il cane, Maxie, che era fuori dalla sera prima, e le disse che sarebbe ritornato a casa per cena verso le sette e trenta di quella sera. Seguendo le prescrizioni del medico, la signora Osborne rimase a letto. Prima di riaddormentarsi, sentì il marito all'esterno che chiamava il cane.
«Il signor Secundo Estivar, il testimone seguente, ha dichiarato che Robert Osborne si era presentato alla porta di casa sua, mentre la famiglia era riunita per la colazione. Aveva il cane con sé e appariva molto turbato perché pensava che fosse stato avvelenato. C'era stata una discussione piuttosto animata fra i due uomini, poi Robert Osborne si era allontanato con il cane tra le braccia. Era ancora presto, quando Robert Osborne si presentò allo studio del veterinario, il dottor John Loomis. Lasciò il cane dal veterinario per una diagnosi più accurata e proseguì il suo viaggio, diretto a San Diego. Mentre si dirigeva in macchina verso l'autostrada, vide Carla Lopez che camminava sul marciapiede e si fermò per chiederle se i suoi due fratelli maggiori fossero disposti a tornare a lavorare per lui. Disse alla signorina Lopez che i lavoranti impiegati in quel momento al ranch non erano un gran che e non avevano esperienza. «La squadra a cui si riferiva era composta da dieci viseros, cittadini messicani muniti del visto che consentiva loro di svolgere un lavoro agricolo negli Stati Uniti. Il signor Estivar aveva trascritto i nomi e gli indirizzi degli uomini, ma non aveva esaminato attentamente i loro visti, né controllato il numero di immatricolazione del camion con il quale erano arrivati. In quel momento, tali controlli non sembravano importanti. I pomodori erano maturi e pronti per essere raccolti e imballati e la necessità di personale era aggravata da altre ragioni. Nel mese precedente, uno dei figli di Estivar, Rufo, si era sposato e era andato a vivere nella California del nord. Il terzo figlio, Felipe, se n'era andato in cerca di un altro genere di lavoro che non fosse quello dei campi, e ai frontalieri che avevano lavorato nel ranch era stato rubato il minibus in una strada di Tijuana. Era un periodo critico per il ranch, quello, con il signor Estivar e suo figlio maggiore che lavoravano sedici ore al giorno per tener dietro a tutto. Quando i dieci viseros si erano presentati, erano stati assunti seduta stante, senza tante formalità. «Rimasero nel ranch per due settimane. Durante quel periodo non sollecitarono e non ebbero contatti con nessuno. Come il signor Estivar ha fatto rilevare, dal banco dei testimoni, lui non gestiva un club. Il dormitorio dove i viseros dormivano, la mensa dove consumavano i loro pasti, erano locali vietati per la signora Estivar e Jaime, per le sorelle più piccole, per la signora Osborne, per la cuoca Dulzura Gonzales, persino per il cane degli Osborne. Questo isolamento rese il compito della polizia non solo difficile, ma, come risultò in seguito, addirittura impossibile. Gli uomini che il signor Valenzuela aveva ricercato per sei mesi erano poco più di ombre. Nessuno li ricordava, nessuno ne sentiva la mancanza. L'unico elemento di
identificazione era un vecchio autocarro GM rosso. «Il camion partì dal ranch nel tardo pomeriggio del 13 ottobre. Verso le nove di quella sera, mentre il signor Estivar si preparava per andare a letto, sentì il camion ritornare. Lo riconobbe dal particolare stridio dei freni e per il fatto che aveva parcheggiato all'esterno del dormitorio. La famiglia degli Estivar seguiva gli orari della gente dei ranch. Poco dopo le nove, tutti dormivano, il signore e la signora Estivar, i due figli che vivevano ancora a casa, Cruz, il maggiore e Jaime, il più piccolo, e le due gemelle di nove anni. Abbiamo ragione di ritenere che tutti dormissero profondamente nel momento in cui veniva commesso un assassinio. «La vittima, Robert Osborne, era arrivata a casa verso le sette e mezzo dal suo viaggio in città. Aveva con sé il cane, completamente ristabilito e ansioso di uscire fuori e scorrazzare, dopo essere restato rinchiuso tutto il giorno dal veterinario. Lo lasciò libero e proseguì verso casa, dove cenò in compagnia della moglie. A sentire la signora Osborne, il pasto fu piacevole e durò circa un'ora. Verso le otto e mezzo, Robert Osborne andò in cucina per regalare a Dulzura Gonzales un po' di soldi per il suo compleanno, perché aveva dimenticato di comperarle un regalo a San Diego. Tirò fuori dal portafoglio un biglietto da venti dollari. La signorina Gonzales notò che il portafoglio era gonfio di banconote. Non sappiamo a quanto ammontassero, ma non ha molta importanza... sono stati commessi assassinii per venticinque centesimi. Quello che conta è che, quando Robert Osborne lasciò la casa, portava con sé abbastanza denaro da costituire ciò che la signorina Gonzales ha definito una vera tentazione per un uomo povero. «Mentre Robert Osborne era fuori in cerca del cane, sua moglie, Devon, andò nel soggiorno per suonare un album di dischi di musica sinfonica che aveva appena ricevuto per posta. Era una sera calda e le finestre erano ancora chiuse; i tendaggi erano stati aperti dopo il tramonto, ma le finestre erano esposte a levante e a mezzogiorno, verso il fiume, il ranch dei Bishop e la città di Tijuana. Solo la città era visibile. Devon fece un po' d'ordine nella stanza, mentre ascoltava la musica e aspettava che tornasse il marito. Il tempo passava, troppo tempo passava. Malgrado il fatto che Robert Osborne fosse nato nel ranch e che lo conoscesse da cima a fondo, lei cominciò a preoccuparsi. Alla fine andò nel garage, pensando che suo marito potesse aver preso la macchina per andare in uno dei ranch vicini. Ma la sua macchina era ancora lì. Allora telefonò al signor Estivar. «Erano quasi le dieci e gli Estivar dormivano, ma la signora Osborne lasciò squillare il telefono finché il signor Estivar rispose. Quando si rese
conto della situazione, il fattore raccomandò alla signora Osborne di rimanere in casa con le porte e le finestre sbarrate, mentre lui e il figlio Cruz avrebbero cercato Robert Osborne con una jeep. Attenendosi alle raccomandazioni di Estivar, la signora Osborne rimase ad aspettare in cucina. Alle undici meno un quarto, il signor Estivar si presentò da lei per chiamare la polizia a Boca de Rio. Il signor Valenzuela, con il suo collega, il signor Bismarck, arrivò al ranch in meno di mezz'ora. Trovarono una grande quantità di sangue sul pavimento della mensa e chiamarono la Centrale di San Diego per chiedere rinforzi. «Altro sangue fu trovato più tardi, quella notte, su un pezzo di tessuto impigliato in una foglia di yucca all'esterno del locale della mensa. Quel pezzo di tessuto era stato strappato dalla camicia di un uomo di corporatura piccola. Il lunedì seguente, alcuni bambini, che aspettavano l'autobus della scuola, scorsero il corpo del cane di Robert Osborne che, come risultò dalla successiva autopsia, era stato investito da una macchina o da un camion. Circa tre settimane dopo, il 4 novembre, Jaime Estivar scorse il coltello a farfalla tra le piante di zucca. Il pavimento della mensa, la manica della camicia, la bocca del cane e il coltello a farfalla... queste sono le cose su cui fu trovato il sangue e da cui furono prelevati i campioni mandati al laboratorio di polizia di Sacramento per l'analisi. Furono individuati tre gruppi sanguigni, B, AB e 0. Il gruppo 0 era limitato alla manica di camicia. I gruppi B e AB furono trovati in quantità considerevole sul pavimento. Il gruppo B era nella bocca del cane e il gruppo AB sul coltello a farfalla. «Altri indizi saltarono fuori nel laboratorio. Minuscoli frammenti di vetro furono rinvenuti sul pavimento della mensa e riconosciuti come provenienti dalle lenti a contatto che Robert Osborne portava quando era uscito di casa. Sul brandello di stoffa della camicia furono rilevate tracce di terreno sabbioso e alcalino con un alto tasso di azoto che indicava l'uso recente di un fertilizzante. Questo tipo di terreno è tipico della zona della Valley. Misto al campione preso dal brandello di camicia c'era sebo, secrezione delle ghiandole sebacee, che è più abbondante tra i giovani, e alcuni capelli neri e lisci appartenenti a qualcuno di razza scura, ma non negroide. Capelli simili e particelle di tessuti umani furono trovati nella bocca del cane, così come un frammento di stoffa, un pesante tessuto di cotone blu del genere usato per confezionare pantaloni da lavoro per uomo. «Dal laboratorio di polizia, a ottocento chilometri di distanza, cominciò ad emergere un quadro degli eventi che avevano avuto luogo nel ranch de-
gli Osborne quella sera e degli uomini che vi avevano partecipato. Gli uomini erano tre. L'unico di cui sappiamo il nome era Robert Osborne. Riferiamoci agli altri due, come abbiamo fatto in precedenza, con il loro gruppo sanguigno. Il gruppo 0 apparteneva a un giovane dai capelli e dalla pelle scura, piccolo di statura, probabilmente messicano, che lavorava in un ranch della zona. Indossava una camicia a quadretti azzurri e verdi, del tipo di quelle vendute a migliaia da Sears Roebuck. Fu ferito leggermente all'inizio della rissa e si allontanò presto, impigliandosi con la manica della camicia in una delle foglie acuminate di yucca, mentre usciva di corsa dalla porta. Forse cercava semplicemente di evitare guai maggiori, ma sembra più verosimile che andasse a cercare aiuto per il suo amico, vedendo che le cose si stavano mettendo male. L'amico, quello del gruppo sanguigno B, aveva anche lui carnagione e capelli scuri e era probabilmente un messicano. Portava un paio di jeans e era armato di un coltello a farfalla. Lum Wing ha definito quel coltello un 'gioiello', ma era un gioiello letale. Un coltello a farfalla, usato con abilità, può essere fulmineo e mortale quasi come un coltello a serramanico. Sappiamo che l'uomo del gruppo sanguigno B fu morsicato dal cane e anche che fu gravemente ferito nella colluttazione. «Non tenterò di ricostruire l'azione criminosa, come e perché sia cominciata, se fosse effettivamente programmata come una rapina o un assassinio, o se sia stato uno scontro fortuito degenerato in omicidio. Semplicemente non lo sappiamo. Il laboratorio che ci dice l'età, la razza, la statura, il gruppo sanguigno, gli indumenti di un uomo, non può rivelarci quello che passa per la sua testa. L'unico nostro indizio relativo ad eventi anteriori al delitto è stato fornito da Lum Wing, il cuoco, che viveva appartato in un angolo del locale della mensa. Il signor Wing ha dichiarato di essersi appisolato sulla sua branda dopo aver bevuto un po' di vino, e di essere stato risvegliato dal clamore di voci rabbiose che parlavano in spagnolo. Non riconobbe le voci, né capì quello che stavano dicendo, poiché non conosce lo spagnolo. Né tentò di intromettersi nella discussione. Preparò un paio di tappi con pezzettini di carta, se li infilò nelle orecchie e si riaddormentò. «Mentre le circostanze che portarono al delitto sono e rimarranno probabilmente oscure, quello che accadde successivamente è in qualche modo più chiaro. Primo, c'è la prova delle coperte mancanti dal dormitorio... una coperta di flanella doppia tipo lenzuolo e due coperte di lana scura, residuati dell'esercito... più il fatto che nessuna macchia di sangue è stata trovata all'esterno della mensa. Il signor Valenzuela ha dichiarato che un gio-
vane della corporatura di Robert Osborne ha nel suo sistema sanguigno tra sei e sei litri e mezzo di sangue. È ragionevole supporre che il corpo sia stato avvolto in tre coperte e portato fuori sul vecchio camion rosso. Dieci uomini erano arrivati con quel camion. Ne ripartirono undici. «Mentre il veicolo si dirigeva verso la strada maestra, tre fatti accaddero: l'arma del delitto fu gettata nel campo di zucche; il cane fu investito e ucciso, mentre rincorreva il camion per seguire il suo padrone; e parte del contenuto del portafoglio di Robert Osborne, se non il portafoglio stesso, fu gettato nel letto del fiume. Una carta di credito fu successivamente trovata più a valle in un mucchio di detriti, dopo la prima, abbondante pioggia della stagione. A differenza delle altre carte, contenute nel portafoglio di Osborne, la carta di credito era fatta di resistente plastica, refrattaria all'acqua. Se gli uomini fossero stati comuni ladri, probabilmente avrebbero tenuto la carta di credito e avrebbero tentato di usarla. Ma è probabile che i viseros non sapessero nemmeno che cosa fosse, senza parlare poi del fatto che non poteva essere di nessuna utilità per loro. «In processi come questo, come Vostro Onore ha già sottolineato, si dovrebbe poter disporre di un'attestazione dalla quale risulti che è stata effettuata una diligente ricerca. La ricerca fu in realtà diligente. Cominciò la sera in cui Robert Osborne scomparve e è continuata fino ad oggi, per un periodo di un anno e quattro giorni. Ha coperto un'area che va dalla California settentrionale al Texas orientale, da Tijuana a Guadalajara. Ha compreso anche la diffusione di poster, ad opera della madre della vittima, con cui veniva promessa una ricompensa di diecimila dollari, ma che non è stata mai pagata perché nessuno si è presentato a reclamarla. «Quando un uomo sparisce lasciando dietro di sé indizi di azioni disoneste, ma non il corpo, la gente inevitabilmente si pone delle domande. È stata volontaria la sua scomparsa e gli indizi sono stati falsificati? La morte presunta avvantaggerebbe l'uomo stesso o i suoi superstiti? Aveva guai con la giustizia, con la famiglia, con gli amici? Era depresso? Malato? Rovinato? Nel caso di Robert Osborne, a tali domande si può facilmente rispondere. Era un uomo giovane con davanti a sé tutto quello che poteva desiderare. «Aveva una moglie affettuosa, una madre devota, un figlio in viaggio, un ranch prospero, ottima salute e buoni amici. «Vorrei concludere questa mia esposizione con le parole di Devon Osborne. Nella sua testimonianza, questa mattina, ha detto: "Ero sicura che mio marito fosse morto. Ne ero stata sempre sicura. Niente avrebbe tratte-
nuto Robert dal mettersi in contatto con me, se fosse stato vivo!"» 14 Sulla via del ritorno a casa, Lum Wing, esausto per le sue battaglie mentali con la legge e l'inaspettata vittoria, si addormentò profondamente in fondo alla giardinetta. Su Jaime la giornata aveva avuto un effetto opposto. Era eccitato e irrequieto. Chiazze di rosso macchiavano il suo volto, scomparivano e riapparivano come spie luminose che si accendevano e si spegnevano. Con i familiari e gli amici era solito ostentare una certa flemma, limitando le sue reazioni a sguardi privi di espressione, a indifferenti alzate di spalle o a movimenti del capo appena percettibili. Ora, all'improvviso, voleva parlare, parlare a lungo, con tutti. Ma solo Dulzura era a portata di mano, ingombrante e tranquilla, seduta al suo fianco. La vera conversazione si svolgeva sul sedile anteriore. Non parlavano a voce alta e non sembrava un litigio e tuttavia Jaime sapeva che era un litigio e tendeva le orecchie per scoprirne la ragione. «...il giudice Gallagher, non Galloper.» «Benissimo. Gallagher. Come ha fatto a diventare giudice se non è in grado di prendere una decisione?» «È in grado di prendere una decisione» ribatté Estivar. «Probabilmente l'ha già presa.» «Allora perché non l'ha annunciata?» «Non si fa così di solito. Si suppone che debba studiare attentamente tutte le deposizioni e i referti del laboratorio di polizia, prima di arrivare a una decisione.» Quando Ysobel era arrabbiata, il suo discorso diventava quanto mai preciso. «Secondo me, l'avvocato voleva dimostrare che sono stati i viseros a uccidere il signor Osborne. Accusare uomini assenti, che non possono difendersi, non è degno della giustizia americana.» «Non erano presenti, perché non si è mai riusciti a trovarli. Se fossero stati trovati, avrebbero avuto un regolare processo.» «Gli uomini non scompaiono nel nulla come fumo nell'aria.» «Qualcuno lo fa. Qualcuno l'ha fatto.» «Tuttavia, non mi sembra giusto leggere dei nomi ad alta voce in aula così come hanno fatto. Prova ad immaginare che uno di quei nomi fosse stato il tuo e che non ti venisse offerta la possibilità di dire: "Quello sono io, Secundo Estivar è il mio nome, come fa ad accusare..."»
«I nomi letti in aula non erano reali, lo capisci questo?» «Anche così...» «D'accordo. Se non ti va il modo in cui il signor Ford ha condotto il caso, chiamalo e diglielo appena arriviamo a casa. Ma non tirare me in ballo.» «Ci sei già in ballo» replicò Ysobel. «Sei stato tu a dargli i nomi.» «Ho dovuto farlo, mi è stato ordinato.» «Anche così...» Quello degli immigranti messicani era un argomento pericoloso e Estivar sapeva che sua moglie non avrebbe mollato finché non gliene fosse stato offerto un altro al suo posto. «Tu avresti trattato il caso» disse «molto meglio di quanto non abbia fatto Ford, naturalmente.» «Per certi aspetti, forse, avrei potuto.» «Bene, fa' una lista delle tue ragioni e mandagliela. Non sprecare il tempo per dirlo a me. Io non sono...» «Secondo me, avrebbe dovuto lasciar fuori la ragazza, Carla Lopez.» Ysobel si fregò gli occhi come se volesse cancellarne l'immagine. «È stato un colpo per me rivederla. Pensavo che avesse lasciato definitivamente la città. Poi, tutto ad un tratto, eccola lì, e proprio in aula, e non più una ragazza. Una donna, una donna con un bambino. L'avrai visto quel bambino, quando l'aveva con sé questa mattina.» «Sì.» «Pensi che assomigliasse...» «Assomigliava a un bambino» Estivar osservò gelidamente. «A un qualsiasi bambino.» «Che sciocchi siamo stati a prenderla quell'estate!» «Non sono stato io. Sei stata tu.» «Ma è stata tua l'idea di prendere qualcuno che ci sapesse fare con i bambini.» «Certo, ci sapeva fare con i bambini, soltanto che erano quelli grandi, e non i piccoli.» «Come potevo prevederlo? Aveva un'aria così innocente» disse Ysobel. «Così ingenua. Non avrei mai immaginato che lei sculettasse intorno ai miei figli come una... come una...» «Abbassa la voce.» Jaime si chinò verso Dulzura e le chiese in un bisbiglio: «Che cosa significa sculettare?» Dulzura non lo sapeva con sicurezza, ma non aveva nessuna intenzione
di ammettere la sua ignoranza con un ragazzo di quattordici anni. «Sei troppo piccolo per sapere queste cose.» «Balle!» «Fa' lo sfacciato e lo dirò a tuo padre. Ci penserà lui a conciarti per le feste.» «Ma va', dimmelo. Che significa sculettargli intorno?» «Significa» rispose guardinga Dulzura «che gli girava intorno col petto in fuori.» «Come una majorette?» «Sì. Ma senza musica, né tamburo. Niente costume, né bacchetta.» «E allora che ci rimane?» «Il petto?» «E che cosa c'è di straordinario nel petto?» «Te l'ho detto sei troppo piccolo.» Jaime si studiò le nocche della mano sinistra. «Lei e Felipe s'incontravano di solito nel capannone dove imballavano le cassette.» «Be', non andrai a dirlo in giro. Sono fatti loro.» «Ci sono fessure tra le tavole attraverso le quali io guardavo dentro.» «Dovresti vergognartene.» «Lei non gli sculettava intorno» disse Jaime. «Si toglieva soltanto i vestiti.» La ressa delle cinque per uscire dalla città era cominciata e le automobili affluivano da ogni rampa sulla superstrada. Con i finestrini abbassati, così a Leo piaceva guidare, la conversazione era impossibile. Al di sopra del frastuono del traffico, si potevano udire soltanto rumori molto forti, urli di rabbia, di eccitazione, di paura. Devon sentiva dentro di sé soltanto una sorta di scialba e tranquilla pena. Le lacrime che le bruciavano gli occhi si asciugavano nel vento lasciando sulle ciglia una sensazione di sale. Non fece nessun tentativo per asciugarsele. Leo prese l'uscita per Boca de Rio e fu allora che si scambiarono le prime parole. «Ci fermiamo a prendere una tazza di caffè, Devon?» «Se lei vuole.» «Deve decidere lei. È una persona libera, ora, se lo ricorda? Deve cominciare a prendere le proprie decisioni.» «D'accordo. Vorrei un po' di caffè.» «Vede com'è facile?» «Può darsi.» Non gli disse che la sua decisione non aveva niente a che
fare col caffè o con lui. Voleva soltanto essere certa che non sarebbe tornata in una casa vuota, voleva che Dulzura avesse tutto il tempo di arrivarci prima di lei. Si fermarono in una piccola cantina lungo la strada, alla periferia di Boca de Rio. Il proprietario, dopo un prolisso scambio di saluti con Leo in spagnolo, li accompagnò a un tavolo vicino alla finestra. Era una finestra panoramica, ma senza panorama: un alberello stentato e una macchia d'erba arsa dalla siccità. Come se non ci fosse stato nessun intervallo di tempo, da quando erano andati a casa della suocera, Devon disse: «Robert deve avere avuto delle ragazze.» «Amicizie di breve durata. Nessuna di loro resisteva dopo i primi scontri con la signora Osborne.» «Robert non era un uomo debole o timido. Perché non l'ha affrontata?» «Lei era molto abile, immagino. Forse lui non se ne rendeva conto. O forse non gliene importava niente.» «Intende dire che non aveva bisogno di nessun'altra, al di fuori di Ruth.» Devon guardò fuori verso la macchia d'erba, dura a morire come la speranza. «Senta, Leo. Non c'è assolutamente nessun dubbio che lui e Ruth...» «Assolutamente nessun dubbio.» «Per tutti quegli anni, persino quando era un ragazzo?» «Glielo ripeto, a diciassette anni non si è più ragazzi. Qualcuno non lo è più nemmeno a quindici.» «Che cosa vuole insinuare?» «Aveva quindici anni, quando la madre lo mandò via, a scuola.» «Ma lo fece perché era morto il padre.» «Davvero? In casi del genere, la madre tende a tenerselo vicino il figlio, non a mandarlo via.» Il proprietario della cantina portò due boccali di caffè e un vassoio con pezzetti di cioccolata messicana dolce e scura da sbriciolare nel caffè. La cioccolata si scioglieva appena toccava il liquido bollente, lasciando fragranti circoletti di grasso da cui i raggi del sole traevano riflessi iridescenti. Leo ruppe i piccoli arcobaleni rotondi con la punta del cucchiaino. «Ho continuato a pensare ultimamente a quei due anni in cui lui non c'era, ricordando tutti i particolari, alcuni futili, altri importanti. Ruth era depressa... me lo ricordo bene. Questo condizionava la nostra vita. Mi diceva che ogni ora era come una grossa macchia grigia attraverso la quale non riu-
sciva a vedere.» «E la signora Osborne?» «Lei se ne stava per lo più appartata... una cosa abbastanza naturale per una donna che aveva appena perso il marito. Gli Osborne non conducevano un'intensa vita sociale a causa del signor Osborne che beveva: perciò la vita ritirata della moglie non veniva particolarmente notata. In ogni caso, non l'avevamo mai vista frequentemente, ora la vedevamo meno.» I piccoli arcobaleni nella sua tazza si erano riformati e lui li ruppe di nuovo. «Mi ricordo una volta, quando chiesi a Ruth di andare a far visita alla signora Osborne, pensando che potesse far bene ad entrambe. Ruth accettò senza esitare e ne fui sorpreso. Preparò persino una torta da portarle. Si avviò a piedi verso il ranch degli Osborne... non guidava... e rifiutò la mia offerta di accompagnarla. Rimase via per ore. Non era ancora tornata quando io smisi di lavorare, perciò andai a cercarla. La trovai seduta ai margini del letto del fiume asciutto. Era circondata da tanti merli a cui sbriciolava la torta. Pareva del tutto felice. Non l'avevo mai vista così felice da molto tempo. Senza dire una parola, salì in macchina e tornammo a casa. Non mi ha mai detto che cosa era accaduto, io non gliel'ho mai chiesto. Questo avveniva nove anni fa, eppure è uno dei ricordi più vividi che io ho di Ruth, seduta tranquillamente sulla riva del fiume che sbriciolava la torta ai merli.» «Le piaceva dar da mangiare agli animali?» «Sì. Cani, gatti, uccelli, qualunque bestiola capitasse.» «Anche a Robert piaceva.» Devon volse lo sguardo al sole che tramontava. «Forse erano soltanto buoni amici, soltanto ottimi amici.» «Forse.» «Vorrei andare a casa, ora, Leo.» «D'accordo.» L'odore penetrante dell'origano che filtrava dalle finestre della cucina le diede il benvenuto. Dulzura stava grattugiando il formaggio al tavolo della cucina per le enchiladas messicane. «Tutto bene?» chiese senza voltarsi. «Sì, grazie.» «Ho pensato che mangiare presto con un po'di vino... che ne dice?» «Va benissimo.» «Me la sono cavata bene in aula? Ero nervosa, forse facevano fatica a sentirmi.»
«No, ti hanno sentita.» «Che tipo di vino gradirebbe?» Devon stava per dire "un vino qualsiasi", quando si ricordò dell'insistenza di Leo perché cominciasse a decidere per proprio conto. «Porto» rispose. «Abbiamo soltanto sherry. Gliel'ho chiesto perché lei mi risponde sempre che le è indifferente il tipo di vino.» "Se quello significava decidere..." pensò Devon e andò di sopra a fare la doccia. Dopo cena, Devon uscì da sola nella sera calda e tranquilla. Il fruscio dei suoi passi, che un orecchio umano non avrebbe percepito, fu colto da un barbagianni. Con un sottile sibilo avvertì la sua compagna, che andava a caccia di topi all'esterno del capannone d'imballaggio e sotto i gradini su cui i lavoranti consumavano la loro colazione. Devon si sedette sul gradino più alto. E tutti e due i barbagianni volarono silenziosi sopra la sua testa e sparirono tra gli alberi di tamerici che circondavano il laghetto artificiale. Aveva sentito spesso i barbagianni tra il crepuscolo e l'alba, ma questa era la prima volta che riusciva a vederli da vicino, e rimase quasi scioccata nello scoprire che non avevano per niente l'aspetto di uccelli, ma assomigliavano piuttosto alle scimmie o a bruttissimi bambini, muniti per caso di ali. L'acqua del lago, che di giorno appariva sporca e non adatta nemmeno per l'irrigazione, luccicava al chiaro di luna come se fosse tanto limpida da poterla bere. Si ricordò della pala gigante con cui avevano dragato il laghetto in cerca del corpo di Robert e che aveva portato in superficie soltanto vecchi pneumatici, bottiglie di vino, lattine di birra, pezzi di legno e di vecchie macchine arrugginite e, infine, gli ossicini del bambino che Valenzuela aveva portato via in una scatola di scarpe. Alcuni mesi dopo, aveva chiesto a Valenzuela notizie su quel corpicino. Le aveva risposto che probabilmente era il figlio di una di quelle ragazze che seguivano i lavoranti messicani. Con gli occhi fissi sull'acqua, Devon pensò al bambino morto e alla madre che lo aveva abbandonato, e a Valenzuela che si faceva il segno di croce e bestemmiava allo stesso tempo, mentre riponeva le ossa nella piccola bara di cartone. Improvvisamente, un fiammifero si accese dalla parte opposta del laghetto e qualche istante dopo l'odore del fumo di sigaretta arrivò attraverso l'acqua. Devon sapeva che ai membri della famiglia Estivar era vietato fumare... "L'aria", soleva dire Estivar "è già abbastanza asciutta, calda e
sporca..." e provò un senso di disagio e ancor più di curiosità. Si alzò e cominciò a camminare lentamente lungo il sentiero polveroso. Aveva una torcia in mano, ma non ci fu nessun bisogno di accenderla. «Jaime?» «Sì, signora.» Alla luce lunare il volto di Jaime era spettrale come quello del barbagianni. Ma non aveva le ali e non era selvatico, per cui non fece nessun tentativo di scappare. Invece, aspirò a lungo la sigaretta, e il fumo gli uscì in spire dalla bocca, avvolgendogli la testa come un ectoplasma. Niente si materializzò tranne la voce: «Dicono che il fumo tiene lontano le zanzare.» «E è vero?» «Sono stato punto soltanto due volte finora.» Si sfregò la caviglia sinistra con le dita del piede destro. La cassetta di legno su cui era seduto scricchiolò. «Andrà a dirlo ai miei?» «No, ma una volta o l'altra lo scopriranno.» «Non stasera, comunque. Lei è andata a letto con il mal di testa e lui è uscito.» «Dov'è andato?» «Non l'ha detto. Gli hanno telefonato e è uscito di casa. Credo che fosse contento di avere un pretesto per tagliare la corda.» «Come mai, Jaime?» «Lui e la mamma hanno litigato, avevano cominciato sin da quando erano in tribunale.» «Non sapevo che i tuoi genitori litigassero.» «Sì, signora.» Diede un'altra boccata alla sigaretta e mandò fuori il fumo, lentamente e con metodo, dirigendolo contro una zanzara che gli ronzava intorno al braccio. «Lui la tormenta, lei diventa nervosa. Qualche volta succede il contrario.» «I soldi» lei osservò. «È per quello che molte coppie litigano, immagino.» «Non loro.» «No?» «Litigano per gli altri. Per lo più per noi ragazzi, soltanto che questa sera è stato a causa di altra gente.» Devon si rese conto che non avrebbe dovuto stare lì nel buio a sollecitare informazioni da un ragazzo di quattordici anni, ma non si mosse, né fece niente per dare un'altra piega alla conversazione. Era la prima volta che sentiva veramente parlare Jaime. Appariva freddo e razionale, come un
uomo fatto che affrontasse il problema di una coppia giovane. «Quale altra gente?» lei chiese. «Di chiunque si parlasse.» «È saltato fuori anche il mio nome?» «Un po'.» «Un po' quanto?» «A proposito di lei e del signor Bishop. Lui e mio padre non vanno d'accordo, e mio padre ha paura che il signor Bishop diventi un giorno o l'altro il padrone del ranch. Se sposa lei, voglio dire...» «Sì, capisco.» «Ma mia madre dice che lei non lo sposerà mai perché si dice che il signor Bishop getti il mal ojo, il malocchio.» «E tu credi a queste cose?» «Penso di no. Ma lui ha occhi strani. Meglio non correre rischi.» «Ti ringrazio per il consiglio, Jaime!» «Non c'è di che.» I barbagianni comparvero di nuovo, volando bassi e silenziosi sopra il laghetto. Uno di loro aveva un topo tra le zampe. La coda del topo, lucida di sangue, oscillava mollemente nel chiarore lunare. «Che fanno quelli con il mal ojo?» chiese Devon. «Ti guardano.» «E poi?» «E poi ti gettano il malocchio.» «Come Carla Lopez?» «Sì, come Carla Lopez» Jaime disse esitante. «Era una delle persone per le quali mia madre e mio padre hanno litigato, questa sera. C'è stata una grossa discussione per stabilire chi dei due l'aveva chiamata a casa nostra a lavorare, l'altra estate, e chi per primo aveva avuto l'idea di chiamare qualcuno. La mamma sosteneva che era stata un'idea di papà, perché Carla Lopez aveva lavorato per i Bishop l'estate prima e mio padre non voleva essere da meno del signor Bishop.» «Carla, ha combinato qualche guaio, quando stava a casa vostra?» «A me non ha fatto niente. Ma sculettava intorno ai miei fratelli.» «Che faceva?» «Si pavoneggiava. Sa, come una majorette.» «Capisco.» «I miei due fratelli maggiori avevano già la loro ragazza, perciò non le badavano. Ma Felipe... lui sbavava ogni volta che la vedeva. E anche il po-
liziotto.» «Quale poliziotto?» «Valenzuela. Trovava tutte le scuse per venire in casa nostra. Diceva, per esempio, che doveva parlare con papà sul problema dei wetback, ma in realtà veniva per vedere Carla.» Jaime abbassò la voce, come se ci fosse un microfono spia fissato a uno degli alberi. «È corsa voce a scuola che bisognava stare alla larga dalla famiglia Lopez, perché avevano dei protettori. Persino Felipe ne stava alla larga.» «Perché dici persino Felipe?» «Lui sapeva battersi, aveva seguito un corso di karate per corrispondenza. Comunque, se n'è andato alla fine dell'estate. Non voleva passare tutta la vita a pasticciare con i fertilizzanti e con i pesticidi, perciò è andato a lavorare in città.» Questa era la storia così come l'avevano raccontata a Jaime, e sembrava plausibile. Veniva anche confermata dall'arrivo di tanto in tanto di lettere che Estivar leggeva a voce alta mentre erano a tavola la sera: Carissimi, sono qui a Seattle e lavoro in una fabbrica di aeroplani, guadagno bene e me la godo... A Jaime quelle lettere non sembravano naturali, o per le parole in se stesse o per il modo volutamente lento con cui Estivar le leggeva. Che Felipe dovesse scrivere non era affatto naturale. Era troppo impaziente. I pensieri che gli frullavano nella mente non potevano essere fermati da una penna e fissati sulla carta. Tuttavia le lettere continuavano ad arrivare: Carissimi, non potrò volare a casa per Natale, perciò ecco dieci dollari perché Jaime si compri un pullover nuovo... Jaime non poteva vedere l'espressione sul volto di Devon, ma sapeva che lo stava scrutando e si sentì vulnerabile e colpevole. Avrebbe voluto che la faccenda di Felipe non fosse saltata fuori. Era come se ci fosse stato trascinato dall'atmosfera notturna, da quella donna che gli parlava sommessamente, dal laghetto che rifletteva i raggi della luna come un gigantesco mal ojo. Si alzò di colpo, gettando la sigaretta al suolo e schiacciandola col piede. «Felipe non aveva niente a che fare con i viseros che hanno commesso l'assassinio. Era già andato via, prima che loro fossero ingaggiati. Comun-
que, mia madre sostiene che forse non sono stati i viseros, e che è facile accusare la gente che non è lì per difendersi.» Troppo facile, Devon pensò. L'accusa di Leo, che Ruth e Robert erano amanti, era saltata fuori soltanto quando tutti e due erano morti. Non c'era nessuna prova: Robert era stato mandato in una scuola dell'Arizona... Ruth era depressa e soffriva di mal di testa... Robert non aveva ragazze... "Quando lavoravo per i Bishop" Carla aveva detto, "tutto era tranquillo. Il signor Bishop leggeva molto e la signora Bishop faceva lunghe passeggiate per i suoi mal di testa." Che genere di passeggiate? Camminate innocenti e senza meta in giro per la campagna? O lei puntava direttamente sul fiume, la strada più diretta per arrivare da Robert? «Be', è meglio che me ne vada» disse Jaime «prima che qualcuno si metta in giro a cercarmi.» «Aspetta un momento, Jaime.» «Sì, ma...» «Vorrei parlare con Carla Lopez e non riesco a ricordare l'indirizzo che ha dato in aula questa mattina.» «Potrebbe chiederlo ai suoi familiari a Boca de Rio, ma è improbabile che siano disposti a dirglielo. Penseranno che lei voglia metterla nei guai. Sono fatti così... capisce, sospettosi.» Dopo un momento, aggiunse: «Scommetto che il poliziotto sa dove abita... Valenzuela.» «Proverò a chiederglielo. Grazie, Jaime.» «Non c'è di che, signora.» C'erano parecchi Valenzuela sulla guida telefonica, ma soltanto uno era elencato nelle pagine gialle sotto la voce ASSICURAZIONI. Allo stesso numero rispondeva l'ufficio e l'abitazione, e Devon ebbe l'impressione che non fosse un'azienda molto florida, non un genere di attività che avrebbe invogliato un uomo a lasciare un importante posto nella polizia. La voce che rispose al telefono era rauca e piuttosto incerta. «Pronto!» «Il signor Valenzuela?» «Chi parla?» «Devon Osborne. La moglie di Robert Osborne.» «Se cerca un poliziotto, ha sbagliato numero. Io sono in pensione. In realtà, mi sono stufato, mi sono pensionato e forse sono anche un po' ubriaco. Che gliene pare?» «Be', mi dispiace. Speravo che lei potesse aiutarmi.» «Non sono più in grado di aiutare nessuno.»
«Vorrei soltanto un'informazione» disse Devon. «Pensavo che lei potesse indicarmi come mettermi in contatto con Carla Lopez.» «Perché?» «Vorrei farle qualche domanda.» «Non ha il telefono.» «Può dirmi dove abita?» «Non è a casa questa sera.» «Capisco. Be', mi dispiace di averla disturbata. Mi farò dare il suo indirizzo domani mattina dal tribunale o dal signor Ford.» Ci fu un silenzio così lungo che Devon pensò che Valenzuela avesse riattaccato o che si fosse allontanato dal telefono per versarsi un altro bicchiere. Poi: «Catalpa Street, 431 Catalpa Street, interno 9.» «La ringrazio, signor Valenzuela.» «Non c'è di che.» 15 Non appena Estivar si fermò con la sua giardinetta, le luci si accesero all'esterno della casa, come se la signora Osborne fosse stata ad aspettarlo nel buio con l'implacabile pazienza di un predatore. Una fitta nebbia veniva dal mare e il carillon a forma di giostra sopra la porta del cortile era immobile. I cavalli di ottone, che si erano impennati e avevano galoppato tutto il pomeriggio al suono della loro stessa musica, erano muti ora, salvo che per l'umidità che gocciolava dai loro zoccoli sul pavimento a lastre di pietra. «È venuto, allora!» lo accolse la signora Osborne, quasi sorpresa che avesse mantenuto la parola. «Di solito io obbedisco agli ordini, signora.» «Non era un ordine. Povera me, lei non mi ha capito!» Con la sua parrucca bionda e la vestaglia di velluto rosso ciliegia, la signora Osborne dava l'impressione di essere sul punto di andare a un ricevimento o di darne uno lei stessa. Estivar non aveva proprio l'animo per un ricevimento. La nebbia lo metteva a disagio. Sembrava tagliar fuori il resto del mondo e lasciarlo solo in una piccola, fredda stanza grigia con quella donna che lo intimidiva. «Mi ha fatto chiamare» disse. «Certo. Era ora che noi due facessimo una bella chiacchierata. Potrebbe essere la nostra ultima... Ora, non stia lì a pensare che io sia depressa o
qualcosa del genere. Cerco di essere realistica. Succedono tante cose, lei capisce. C'è chi va via, chi muore, chi a volte diventa persino un'altra persona. Tante cose succedono» ripeté. «Vuole accomodarsi?» «Grazie.» Estivar fu contento di levarsi dalla nebbia. Almeno la casa era calda, le lampade erano accese e il fuoco ardeva nel caminetto mandando riflessi dorati. La signora Osborne si sedette in una delle poltrone accanto al focolare, invitandolo a prendere posto nell'altra. Tra i due c'era un tavolo da backgammon. I dadi erano stati gettati e i pezzi bianchi e neri erano sistemati come se qualcuno si fosse allontanato nel mezzo di una partita. La signora Osborne e Robbie erano soliti giocare a backgammon, pensò Estivar. Lei lo lasciava sempre vincere, anche se doveva barare. Perciò, quando perdeva con Rufo o con Cruz, il ragazzo rimaneva sconcertato, non riusciva a capire come la fortuna e la bravura gli fossero all'improvviso venute meno. «Mi sembra nervoso, Estivar» lei disse. «E ha l'aria colpevole. C'è qualcosa di cui si sente colpevole?» «Niente che possa interessarla, signora.» «Nella sua deposizione, questa mattina, lei ha fatto un apprezzamento poco lusinghiero sulla mia famiglia. Non me ne importa per me. Ma lei ha dato agli altri un'impressione sbagliata sul conto di mio figlio.» «Non intendevo farlo. La mia intenzione era di dare l'impressione giusta.» O le sfuggì l'ironia o lei finse di non rilevarla. «Qualunque fosse la sua intenzione, l'effetto è stato lo stesso... che mio figlio aveva dei pregiudizi, che non andava d'accordo con il suo fattore, senza parlare poi dei lavoranti messicani. È tutto verbalizzato, ora, e c'è un solo modo per porvi riparo.» «Quale?» «Se saltasse fuori che Robert è ancora vivo, tutta l'udienza sarebbe invalidata.» Estivar pensò al sangue nel locale della mensa, che colava tra le fessure del pavimento, che impregnava le tavole di legno di pino, che si raccoglieva in pozze come se gocciolasse da un tetto che fa acqua. «Signora Osborne, lui non...» «Basta. Mi rifiuto di ascoltarla. In definitiva, che cosa ne sa lei?» «Niente» rispose Estivar, augurandosi che fosse vero. «Niente.» Lei stava fissando accigliata il tavolo da backgammon, come se la partita fosse ricominciata e toccasse a lei giocare. «D'ora in avanti sulla polizia non si potrà più contare. L'udienza offre loro il pretesto che aspettavano
per abbandonare completamente il caso. Perciò tocca a lei e a me.» «E che c'entro io, signora Osborne?» «Lei ha moltissimi amici.» «Qualcuno.» «E parenti.» «Qualcuno.» «Lei dovrebbe fare in modo che ricevano il messaggio al più presto possibile.» «Quale messaggio?» «Sulla ricompensa. Ho deciso di occuparmi io personalmente di tutto, senza intermediari come il signor Ford.» Ford aveva, in realtà, rifiutato di occuparsene o persino di discuterne con lei. «Ho pensato spesso che l'annuncio della prima ricompensa non fosse molto chiaro. C'erano troppe restrizioni. Questa volta io offro di pagare diecimila dollari per qualsiasi informazione che riguardi mio figlio, dal momento in cui quella sera ha lasciato la casa.» «Lei andrà incontro a un sacco di preoccupazioni.» «Che altro mi resta, ora? Pensa che non sia una preoccupazione ignorare se il proprio figlio è vivo o morto? Ma lei non può capire. Se qualche cosa succedesse a Cruz, a lei rimarrebbero ancora Rufo e Felipe oltre a Jaime e alle gemelle. Io avevo soltanto Robert.» Si avvicinò alla scrivania di legno di ciliegio e aprì uno dei cassetti. «Stasera stavo guardando alcune vecchie fotografie e ho trovato questa... si ricorda?» Era un'istantanea a colori, ingrandita e messa in cornice, di un ragazzo alto e biondo, sorridente, sui quattordici o quindici anni. Teneva in braccio un cucciolo di spaniel appena più grande della sua stessa mano, e anche quello sembrava che sorridesse. Era un'immagine di vitalità, di innocenza. «L'ho scattata il giorno in cui ha portato a casa Maxie» disse la signora Osborne. «Né io né mio marito avevamo molta passione per i cani, ma Robert ha insistito tanto che abbiamo dovuto lasciarglielo tenere. Adorava Maxie. Si considerava il ragazzo più fortunato del mondo per aver trovato sulla strada un cucciolo come quello.» «Non l'aveva trovato sulla strada.» «Dev'essere caduto da un'auto di passaggio.» «Glielo aveva regalato la signora Bishop.» «Robert lo ha trovato sulla strada» lei ripeté «e lo ha portato in casa. Con gli anni, la sua memoria non migliora, Estivar.» «No.» Ma lui sapeva che nemmeno peggiorava.
La scena era ancora chiara e nitida nella sua mente. Era pomeriggio inoltrato e lui si era incamminato verso la casa del ranch per controllare alcuni conti con il signor Osborne. Le voci alterate di un litigio avevano colpito le sue orecchie prima ancora di arrivare al garage. La signora Osborne o non aveva avuto il tempo di chiudere le finestre e le porte, come faceva di solito, oppure non le importava più niente che qualcuno li ascoltasse e sentisse che cosa dicevano. «Deve riportarglielo» aveva detto. Osborne «Immediatamente.» «Ma perché?» «È evidente che è un cane di razza con un suo pedigree. Lei potrebbe averlo pagato un centinaio di dollari o anche di più.» «Vede che Robbie è un bravo ragazzo e vuole soltanto dimostrargli la sua stima.» «Tu ti metti sempre dalla sua parte, è vero?» «È mio figlio.» «È anche il mio. Ma nessuno lo immaginerebbe, da come tu lo hai viziato. Ha quindici anni. Quando io avevo quindici anni, mi guadagnavo da vivere, avevo un paio di ragazze...» «Vorresti sul serio che Robert crescesse come te?» «Che c'è che non va in me?» «Se hai abbastanza tempo, te lo dico.» Poi il pianoforte aveva cominciato a suonare... La Marcia dei Toreador e Avanti, Soldati Cristiani!, i brani che suonava meglio e a tutto volume. Quando Estivar era ritornato a casa sua, aveva trovato Robbie seduto sotto il portico d'ingresso con il cucciolo tra le braccia. Per essere un cucciolo così piccolo, era molto calmo e tranquillo, come se sentisse che la sua presenza era causa di guai. «Stanno litigando?» aveva chiesto il ragazzo. «Sì.» «I Bishop non litigano mai.» «Come fai a saperlo?» «Me l'ha detto lei. È una donna molto gentile. Tutti e due amiamo molto gli animali.» «Ascolta, Robbie. Ti stai facendo un giovanotto, ora, e...» «Me l'ha detto anche lei.» I litigi erano andati avanti ad intervalli per settimane. Nei limiti in cui era possibile, Estivar evitava di andare alla casa del ranch. E così faceva
Robbie. Si alzava molto prima dell'alba per sbrigare presto le sue incombenze e poi andava a scorazzare per la campagna con il suo cucciolo alle calcagna. Era tornato da una delle sue escursioni con la storia che il padre era caduto dal trattore e giaceva privo di conoscenza in un campo. Il signor Osborne era morto cinque giorni dopo. Un gran funerale, ma nessuno piangeva la scomparsa... «Non ha importanza stabilire, ora, come era venuto in possesso del cane» osservò Estivar. «È accaduto tanto tempo fa.» «E la memoria le viene meno.» «Se lo dice lei, signora Osborne.» Ripose la fotografia del ragazzo e del cucciolo nel cassetto della scrivania, tenendola con estrema cautela, come se fosse ancora una negativa soggetta a svanire con la luce. «Sono cose che faceva sempre» lei disse «soccorrere gli uccelli caduti dal nido, portare a casa cani sperduti. Questa sarà davvero la cosa peggiore.» «Che cosa?» «Dirgli, quando ritornerà, che Maxie è morto. Tremo al pensiero. Si sentirebbe di dirglielo lei per me, Estivar?» «Mi ascolti...» «Lo consideri un favore personale.» Per qualche istante il silenzio nella stanza fu così completo che Estivar poteva sentire la nebbia gocciolare dalla grondaia. «D'accordo» disse alla fine. «Quando torna, gli dirò che Maxie è morto.» «La ringrazio. Mi ha tolto un gran peso dal cuore.» «Ora, lei deve cercare di pensare al suo futuro, signora Osborne.» «Oh, ci penso! Sto facendo progetti per un viaggio in Oriente.» «Sono contento di sentirlo.» «Robert ha sempre amato la cucina cinese. E naturalmente, non vorrà tornare al ranch. Non si può biasimarlo. È rimasto inchiodato lì per tanti anni. È tempo che faccia nuove esperienze, che veda altri paesi, gente diversa.» «Lei si sta dimenticando della moglie.» «Non ha più moglie. Ha dato via tutte le cose di Robert. È proprio come un divorzio. Agli occhi di Dio, è un divorzio. Lei lo ha ripudiato, ha dato via tutto quello che lui possedeva, persino i suoi occhiali. È stata una pura fortuna che io sia riuscita a recuperarli.»
Si avvicinò alla finestra panoramica e rimase lì di fronte, sebbene le tende fossero tirate e non ci fosse niente da vedere. Estivar notò che una delle tende del centro era spiegazzata ed aveva macchie di sporco, come se fosse stata tirata da parte dozzine, forse centinaia di volte, per guardare nella strada. La futilità della cosa lo mandò in bestia, sicché non poté più trattenersi dal discutere con lei. «Lei è sempre stata una donna molto pratica» le disse. «Se questo vuole essere un complimento, la ringrazio.» «Che cosa pensa che sia successo, la sera in cui Robert è scomparso, signora Osborne?» «Molte cose potrebbero essere accadute.» «Ma quale in particolare, secondo lei?» «Vuole la mia opinione personale, da non ripetere a nessuno?» «Sì, la sua opinione personale, da non ripetere a nessuno.» La signora Osborne si allontanò dalla finestra volgendosi a guardarlo. «Penso che abbiano litigato, lui e Devon, e che lui l'abbia semplicemente piantata in asso.» «Questo non s'accorda con le testimonianze.» «Quali testimonianze? Soltanto chiacchiere della gente. E la gente mente, mente per autodifesa o per dare di sé una bella immagine o per denaro o per molte altre ragioni. La presenza di un giudice e la Bibbia non cambiano la situazione.» «Ma lei è stata in tribunale questa mattina, signora Osborne.» «Certo che ci sono stata. Lei mi ha vista.» «Allora, lei ha sentito la moglie di Robert dichiarare che, quando il marito è uscito di casa quella sera, portava le lenti a contatto, quelle lenti che più tardi sono state trovate rotte sul pavimento della mensa.» «Sì, l'ho sentita.» «Ha anche dichiarato che gli occhiali da sole di Robert, prescritti dal medico, erano ancora nel vano portaoggetti della sua macchina.» «Sì.» «E gli occhiali cerchiati di tartaruga che usava abitualmente li ha lei.» «Sì.» «Perciò lei deve sapere che Robert non ha piantato in asso la moglie. Senza occhiali, non sarebbe potuto andare in nessun posto.» Una vampata le salì dal collo, ricoprendole tutto il volto di scarlatto, finché persino gli occhi furono iniettati di sangue. «Lei è dalla sua parte.» «No.»
«Lei è contro di me.» «Non è vero. Se lei appena...» «Esca dalla mia casa.» «Va bene.» Nessuno dei due parlò più. L'unico rumore nella stanza fu prodotto da un ceppo che si mosse sul focolare come se qualcuno gli avesse dato un calcio. 16 Catalpa Street si trovava in uno dei rioni più vecchi della città, dove Devon non era mai stata prima. Case di legno della fine del secolo scorso si alternavano a casermoni popolari costruiti recentemente. Il 431 era una casa quasi nuova di legno rosso con decorazioni a stucco, ma stava già deperendo per sovraffollamento e negligenza. Molti degli appartamenti erano pieni di bambini. Se l'intonaco del soffitto si screpolava, se la vernice si scrostava e le tubature si logoravano, nessuno aveva l'interesse o il denaro o la capacità di porvi riparo. Il deterioramento generava scarso rispetto. Le strutture in legno e le pareti erano ricoperte di iniziali e di parolacce. Gli alberi venivano spezzati prima ancora che avessero la possibilità di crescere. I rubinetti esterni perdevano, formando pozzanghere, mentre a qualche passo di distanza i cespugli si essiccavano al sole del mattino per mancanza d'acqua. Montagne di rifiuti facevano da cornice all'intera zona. Al secondo piano, sul retro della casa, l'appartamento numero 9 recava il nome di Carla su un cartoncino fissato alla porta con lo scotch. C. LOPEZ, scritto a stampatello in piccole lettere con inchiostro verde chiaro, faceva pensare che Carla non ci tenesse tanto a farsi trovare. Devon premette il pulsante del campanello. Non riuscì a capire se avesse suonato all'interno per il gran rumore che veniva da sotto. Sebbene non fosse giorno di festa, sei o sette bambini in età scolare giocavano rumorosamente nell'atrio d'ingresso. Devon premette di nuovo il campanello ma, non ricevendo alcuna risposta, batté forte con le nocche delle dita. «Carla? È in casa, Carla?» La porta dell'appartamento vicino si aprì e ne uscì una giovane donna negra portando un orsacchiotto di stoffa. Aveva gli occhi stanchi e gonfi e si teneva stretto il corpo come se le facesse male. Come la casa stessa, la donna sembrava vittima del sovraffollamento e dell'abbandono.
«No» disse con voce roca. Devon la fissò. «Prego?» «No, non c'è. Lei è un'assistente sociale?» «No.» «La Lopez è andata via con qualcuno, questa mattina presto.» «E il bambino?» «Lo avrebbe lasciato dalla madre e poi lei e il suo amico sarebbero andati via per conto loro... Davvero lei non è un'assistente sociale?» «Sono un'amica di Carla.» «Allora lei sa che ha perduto il lavoro.» «Sì, lo so.» «Ne stava facendo una malattia e per di più ha ricevuto una specie di comunicazione giudiziaria. Ma ieri sera l'ho sentita muoversi lì dentro e cantare tra sé... come se fosse contenta, capisce? Mi sono detta che forse aveva trovato un nuovo lavoro. Ma poi è venuta a casa mia e mi ha annunciato che andava in vacanza.» «Dove?» «In qualche posto al nord. Molto a nord, fuori dello Stato della California.» «Si ricorda il nome del posto?» «Non sono mai uscita dalla California.» «Se lo ricorderebbe, se lo sentisse di nuovo?» «Forse.» «Seattle» disse Devon. «Seattle» ribatté la giovane donna e si passò le dita sulla bocca come se volesse sentire la forma della parola. «Seattle è molto a nord?» «Il più a nord possibile, senza uscire dagli Stati Uniti.» «Sì, mi sembra che sia proprio quello il posto.» «Ha visto Carla partire?» «Non ho potuto farne a meno. Stavo proprio dove sono ora.» «C'era anche l'amico di Carla?» «No, lui aspettava giù nella strada vicino alla macchina.» Gli occhi della donna lampeggiarono come carboni accesi. «Forse la macchina era stata rubata, eh?» «Aveva mai visto prima quell'uomo?» «No. Ma da come quei due si comportavano ho il dubbio che fosse un parente, non un amico. Suo zio, forse.» «Allora, non era un giovanotto?»
«No. Faceva fatica a muoversi.» «Gli zii non vanno di solito in vacanza con le nipoti.» «Lui non voleva andarci, si capiva. Se ne stava appoggiato alla macchina, forse era un po' sbronzo o forse era soltanto di umore nero. Comunque, c'era da divertirsi: lei che svolazzava intorno come un uccello e lui che sembrava un morto in piedi.» "Una ragazza che svolazzava felice come un uccello", pensò Devon, "e uno zio sbronzo, morto in piedi." «Grazie, signora...» disse Devon. «Harvey. Leandra Harvey.» «Molte grazie, signora Harvey.» «Non c'è di che. Sempre a disposizione.» Le due donne si fissarono l'un l'altra un momento come se entrambe sapessero che non si sarebbero mai più riviste. Devon si fermò a una stazione di servizio e chiamò l'ufficio di Ford. Dovette aspettare parecchi minuti, prima di udire la voce bassa e chiara dell'avvocato. «Sì, signora Osborne?» chiese. «Mi dispiace di disturbarla.» «Nessun disturbo.» «Le telefono a proposito della ragazza che ha testimoniato ieri mattina in tribunale, Carla Lopez. Volevo farle alcune domande, ma non ha il telefono. Perciò sono venuta in macchina in città per parlare con lei.» «E le ha parlato?» «No. È per questo che la disturbo. La donna che abita nell'appartamento a fianco mi ha detto che Carla è partita questa mattina per una vacanza in compagnia di un uomo.» «Niente di illecito in questo.» «Penso di sapere chi è l'uomo e sono certa di sapere anche dove stanno andando. In tutto questo c'è qualcosa di strano. Sono preoccupata.» «Bene, venga nel mio ufficio. Stavo per chiamarla io, in ogni caso... Il giudice Gallagher mi ha posto un paio di quesiti. Forse lei è in grado di rispondere. Dove si trova?» «In Bewick Avenue, a tre isolati circa da Catalpa Street.» «Continui diritto in direzione sud e incrocerà la superstrada. Dovrebbe farcela in un quarto d'ora.» Ci vollero invece più di venti minuti. Devon non era abituata alle superstrade della California e, in altre occasioni, quando era andata da Ford,
qualcuno l'aveva accompagnata e lei non aveva badato molto alla strada. Lo studio di Ford era stato progettato in modo da essere completamente isolato dalla città, come se i rumori potessero distruggere anche un solo pensiero e l'aria inquinata potesse soffocare anche una sola idea. La finestra con la vista sul porto era munita di doppi vetri, il soffitto aveva un rivestimento di sughero, le pareti e il pavimento erano ricoperti da uno spesso strato di moquette. Le sedie e il ripiano della massiccia scrivania erano rivestiti di cuoio e persino i portacenere erano fatti di un materiale speciale, legno di mirto. L'unico metallo esistente nella stanza era un vistoso anello nuziale d'oro che Ford portava al dito per proteggersi da clienti troppo focose. Non era sposato. «Buon giorno, Devon» disse. «Si sieda, la prego.» «Grazie.» Devon si sedette, un po' perplessa. Era la prima volta che lui la chiamava per nome. Capiva che non l'aveva fatto d'impulso, che anni di pratica legale gli avevano lasciato un ben scarso margine di spontaneità. Quello che diceva o faceva, persino i gesti, sembravano sempre destinati ai giudici e ai giurati. «Allora Carla Lopez è andata in vacanza» osservò Ford. «Perché questo dovrebbe preoccuparla?» «Sono quasi sicura che è andata a Seattle.» «Seattle, Peoria, Walla Walla... Che differenza fa?» si interruppe di colpo, aggrottando la fronte. «Un momento! Qualcuno ha parlato di Seattle nel corso dell'udienza. Quel ragazzo degli Estivar.» «Jaime.» «Se ricordo bene, è stata semplicemente un'osservazione casuale sul fatto che uno dei suoi fratelli lavorava a Seattle e che gli aveva mandato dei soldi per Natale.» «Il fratello si chiama Felipe e Carla aveva preso una cotta per lui. Ne è ancora innamorata.» «Chi glielo ha detto?» «La stessa Carla. E così mi ha detto Jaime, quando l'ho visto ieri sera vicino al laghetto del ranch. Mi ha detto che l'estate in cui Carla lavorava presso la sua famiglia faceva la vezzosa con i suoi fratelli. I due maggiori non le badavano, perché avevano la loro ragazza, ma Felipe "sbavava" ogni volta che la vedeva.» «Sbavava?» La sorpresa di Ford era genuina. «Dove ha preso...?» «È l'espressione che ha usato Jaime.»
«Capisco.» «Felipe si è allontanato dal ranch, e dalla zona, più di un anno fa.» «Prima o dopo che la ragazza restasse incinta?» «Dopo, penso. A quanto pare, per parecchio tempo lei aveva tentato di mettersi in contatto con Felipe, ma nessuno aveva voluto darle informazioni sul di lui.» «Anche questo glielo ha detto Jaime?» chiese Ford. «No. Ho sentito per caso una conversazione nel corridoio del Palazzo di Giustizia, nel pomeriggio di ieri, quando sono andata a telefonare alla signora Osborne. Nella cabina telefonica c'era afa e ho tenuto la porta semiaperta. C'erano due persone che parlavano proprio appena fuori dalla cabina. Una era Carla, l'altra il poliziotto Valenzuela.» «Ex poliziotto.» «Sì, ex poliziotto. Diceva di non averne saputo niente fino a pochi minuti prima. Ma Carla sosteneva che lui mentiva come avevano fatto gli Estivar. Valenzuela le ha intimato di stare lontano dal ranch e lei gli ha risposto che non aveva nessuna paura degli Estivar, né degli Osborne, né di altri, perché c'erano i suoi fratelli a proteggerla.» «E come è arrivata alla conclusione che stavano parlando di Felipe?» «Non è stato difficile. Carla aveva preso una cotta per Felipe e tutto fa pensare che lui sia il padre del bambino. Era naturale che lei fosse arrabbiata, se qualcuno sapeva dov'era e si rifiutava di dirglielo.» «E così ha scoperto dov'era e ora ci sta andando?» «Sì.» «Con un altro uomo? Non sembrerebbe molto opportuno.» «Ma necessario. Lei non ha i soldi per un viaggio così lungo. Doveva per forza convincere qualcuno ad accompagnarla.» «E lei è proprio sicura dell'identità di quel qualcuno?» «Sì. Era Valenzuela.» Ford si piegò in avanti nella sua poltrona e il cuoio sembrò mandare un sommesso, paziente sospiro. «Vorrebbe forse dare un'occhiata al dossier della ragazza?» «Naturalmente.» «Signora Rafael, vuole portarmi per favore il dossier di Carla Lopez?» disse l'avvocato al citofono. Nel dossier non c'era molto: Carla Dolores Lopez, 431 Catalpa Street, interno 9. Diciotto anni. Cameriera, attualmente disoccupata. Usa il nome da ragazza, anche se non ancora divorziata. Sposata con Ernest Valenzuela
il 2 novembre 1967 a Boca de Rio. Il 30 marzo 1968 ha dato alla luce un maschio, registrato col nome di Gary Edward Valenzuela. Separata dal marito il 13 luglio 1968 e trasferita all'attuale indirizzo di San Diego. Precedenti: furti nei grandi magazzini, inadempienza scolastica. «Il bambino» disse Ford «può essere o non essere figlio di Valenzuela. Secondo la legge, ogni bambino nato in costanza di matrimonio si presume sia figlio del marito, a meno che non sia provato il contrariato. Nessuno ha cercato di provare il contrario. Forse non c'è un'alternativa.» Girò il foglio a faccia in giù sulla scrivania. «Se la ragazza è davvero partita con Valenzuela, questo potrebbe semplicemente significare che c'è stata una riconciliazione.» «Ma sono diretti a Seattle, dove si trova Felipe. Non è possibile che lei si rivolgesse al marito da cui è separata per farsi aiutare a rintracciare il suo ex amante.» «Mia cara Devon, quanti affari vengono conclusi nella vita che sarebbe difficile capire o giustificare! La ragazza voleva andare a Seattle e in qualche modo era disposta a pagare per il viaggio.» «Allora, lei pensa che tutto sia perfettamente a posto?» «Io penso che niente è perfettamente a posto. Ma...» «Sono preoccupata per Carla. È una ragazza molto giovane e impressionabile.» «È anche una donna sposata con un bambino, non una ragazza scappata di casa che può essere fermata e trattenuta in un carcere minorile per la sua stessa protezione. E inoltre, non ho nessun motivo di credere che Valenzuela costituisca una minaccia per lei o per chiunque altro. Per quanto ne so, non c'è niente da eccepire sul suo stato di servizio al dipartimento di polizia.» «La signora Osborne mi ha detto che era incompetente.» «La signora Osborne pensa che siano in molti ad essere incompetenti» ribatté Ford. «Me compreso.» «Mi ha detto anche che non ha dato le dimissioni, ma che è stato licenziato.» «Quando Valenzuela ha lasciato la polizia, diverse voci sono corse negli ambienti del Palazzo di Giustizia. Secondo la versione ufficiale, si è dimesso per iniziare un nuovo lavoro con una compagnia di assicurazioni... e così è fino a prova contraria. In privato si diceva che avesse cominciato a sgarrare perché beveva forte. Il matrimonio non ha migliorato la situazione. La famiglia Lopez è numerosa e è portata a cacciarsi nei guai. Il lega-
me familiare di Valenzuela con loro era destinato a creare motivi di frizione nell'ambito del dipartimento di polizia.» Ford fissò accigliato il soffitto come un astrologo in cerca di astri da studiare. «Come abbia fatto a lasciarsi abbindolare dalla ragazza, non lo so. Gli affari di cuore non fanno parte della mia sfera di competenza. O di interesse.» «Davvero? Lei mi ha fatto domande abbastanza personali sulla mia vita con Robert.» «Soltanto perché era mio compito presentare al giudice Gallagher l'immagine di Robert come di un giovane felicemente sposato.» «Lo dice come se ne dubitasse.» «I miei dubbi, se ci sono, non sono pertinenti. Credo di essere riuscito a convincere la Corte che Robert è morto. Naturalmente non potrò esserne del tutto sicuro finché il giudice Gallagher non avrà annunciato la sua decisione a conclusione del caso.» «E quando lo farà?» «Non lo so ancora. Quando mi ha chiamato questa mattina presto, mi aspettavo che fissasse l'ora e il giorno dell'annuncio. Invece, mi ha fatto alcune domande.» «A proposito di che?» «In primo luogo, il camion.» «Il vecchio camion GM che apparteneva ai lavoratori messicani?» «No. Si trattava del camioncino al quale si è riferito Jaime alla fine della sua deposizione, nel pomeriggio di ieri. Io non ci ho fatto molto caso, poiché mi pareva che Jaime avesse fatto semplicemente un'osservazione di sfuggita. Ma il giudice Gallagher è molto pignolo in fatto di dettagli. Mi ha letto al telefono quel brano del verbale. Lo ripeto per lei:» D. Jaime, ti ricordi qualcosa in particolare di quella squadra? R. Soltanto il vecchio camion con cui sono arrivati. Era verniciato di rosso scuro. L'ho notato specialmente perché era dello stesso colore del camioncino che Felipe usava per insegnarmi a guidare. Non c'è più, ora, perciò penso che il signor Osborne lo abbia venduto perché il cambio a volte grattava. Devon annuì. «Me lo ricordo, ma perché è importante?» «Il giudice Gallagher vuol sapere che cosa ne è stato di quel camioncino e dove si trova ora.» «Non sono in grado di dare una risposta.»
«E chi è in grado?» «Estivar ha la responsabilità di tutti i veicoli usati nel ranch. Glielo chiederò, quando tornerò a casa. Sono sicura che c'è una spiegazione perfettamente logica e che il camioncino non ha avuto niente a che fare con la morte di Robert.» «Si fida della parola di Estivar?» «Certo.» Ford la guardò attentamente per scoprire in lei un qualsiasi segno d'incertezza. Non ce n'era nessuno, e dopo un po' lui continuò: «Il giudice Gallagher è anche perplesso a proposito dell'arma, il coltello a farfalla. Anch'io lo sono. Si sono dati molto da fare per sbarazzarsi del corpo. Avrebbero potuto sbarazzarsi del coltello nello stesso momento e nello stesso posto.» Invece, lo hanno buttato nel campo di zucche. Le zucche erano state raccolte per venderle al mercato al principio di ottobre e il campo avrebbe dovuto essere ripulito e dissodato. Qualsiasi lavoratore agricolo lo avrebbe saputo. «Perciò volevano che il coltello fosse trovato» osservò Devon. «Oppure, chiunque l'avesse gettato nel campo non era un lavoratore agricolo. Io sarei portata a credere alla prima ipotesi.» «Come mai?» «Tutti nella nostra zona sono in qualche modo legati all'agricoltura. Anche gli estranei che passano di lì lavorano nei ranch o sono immigrati messicani.» «Gallagher ha fatto un'altra osservazione: nessun lavoratore agricolo messicano avrebbe buttato via un coltello come quello. L'avrebbe lavato e lo avrebbe tenuto, indipendentemente dall'uso che ne era stato fatto.» Un bang sonico fece tremare l'edificio. Ford balzò in piedi e corse alla finestra, come se sperasse di riuscire a intravedere l'aereo pirata. Non vedendolo, ritornò alla scrivania e annotò sul suo blocco per appunti: segnalare bang sonico alle undici e trentadue. La sua segnalazione sarebbe stata una delle tante, accolta da un egual numero di proteste di innocenza da ogni base aerea nel raggio di un migliaio di chilometri. «Il problema vero» disse Ford «è quello di stabilire perché il coltello, se si voleva che fosse trovato, non abbia implicato nessuno. Non è stato mai provato a chi appartenesse, il che vuol dire che qualcosa è andato storto o che qualcuno ha cercato di insabbiare l'indagine.» «Chi?»
«Valenzuela si occupava del caso. Supponiamo che sapesse a chi apparteneva il coltello o chi potesse servirsene, ma che abbia taciuto in proposito.» «Perché lo avrebbe fatto?» «Chiediamolo a lui, quando ritorna dalla vacanza.» «Potrebbero passare settimane» obiettò Devon. «Dovremo aspettare così a lungo prima che il giudice Gallagher prenda la sua decisione?» «No. La decisione l'ha già presa, non ufficialmente... è convinto della morte di Robert e i quesiti che mi ha posto per telefono non influiranno sulla sua decisione. Ma, come le ho già detto prima, è un pignolo in fatto di dettagli. Lui ha anche condotto un gran numero di processi per assassinio e, se l'udienza di ieri fosse stata un processo, ad ogni domanda sul coltello e sul camioncino si sarebbe dovuto dare la massima considerazione.» «Sono stati quelli gli unici punti che ha sollevato?» «Gli unici relativi a fatti concreti» rispose Ford. «L'altro era di carattere psicologico, legato alla deposizione di Estivar. Forse lei ricorda che ho chiesto a Estivar da quanto tempo conosceva Robert. Ha dichiarato che lo conosceva sin dalla nascita, che da bambino Robert era solito seguirlo dappertutto, che Robert passava gran parte del suo tempo nella casa degli Estivar e che questo stretto rapporto era continuato finché Robert era stato mandato in una scuola dell'Arizona, dopo la morte del padre. Quando era ritornato al ranch due anni dopo, un gran cambiamento era avvenuto in lui. Non andava più a casa degli Estivar a mangiare, evitava i figli di Estivar e i suoi rapporti con Estivar stesso erano strettamente limitati a questioni di lavoro. Estivar aveva attribuito il cambiamento alla scuola dell'Arizona, sostenendo che aveva instillato pregiudizi in Robert. Il giudice Gallagher rifiuta di crederci. Sostiene che a un ragazzo di quindici anni, cresciuto tra i messicani, che parlava la loro lingua, che divideva con loro i pasti, non poteva essere inculcato nessun pregiudizio contro di loro, certamente non in quella particolare scuola.» «Perché non in quella particolare scuola?» «Il giudice Gallagher la conosce molto bene» rispose Ford. «Vi ha mandato i suoi figli, è una scuola molto aperta. Perciò, qualunque ragione Robert avesse per evitare gli Estivar, non era certamente un pregiudizio instillatogli dalla scuola. Naturalmente Gallagher è ansioso di sapere quale fosse la vera ragione. E anch'io lo sono. Si pone il quesito se Estivar credesse nella storia che ha raccontato sul banco dei testimoni e se gli servisse soltanto come copertura. Forse potrebbe chiederglielo lei.»
«E perché io?» «Be', lei dovrà in ogni caso chiedergli notizie del camioncino.» «Se non ha detto la verità in aula, sotto giuramento, che cosa le fa pensare che la dirà a me?» «Probabilmente non gliela dirà. Ma la sua reazione alla domanda potrebbe avere un certo interesse... Parto in aereo per Los Angeles questo pomeriggio per una conferenza e non ritornerò nel mio ufficio prima di domani mattina. Mi chiami allora, se ha qualcosa di interessante da riferirmi.» 17 Devon non vide Estivar fino a tardi nel pomeriggio. Era in cucina ad aiutare Dulzura a preparare la cena quando, guardando dalla finestra, vide in lontananza un uomo che attraversava l'appezzamento coltivato a pomodori. Al suo avvicinarsi, gli uccelli si levavano in aria, simili a foglie sospinte dal vento, e si posavano di nuovo dopo che il vento era passato. Sebbene l'uomo fosse troppo lontano perché si potesse riconoscerlo, Devon capì che doveva essere Estivar, perché era l'unico che camminava a piedi nel ranch. Gli altri viaggiavano tutti su ruote, anche se dovevano fare soltanto centro metri e senza carichi da portare. Appena uscì dalla porta posteriore, Devon si trovò intrappolata tra il gran caldo del sole e quello che saliva dalla terra. Era come sentirsi investiti da vampate di fuoco dall'alto e dal basso simultaneamente e lei rimase immobile per una frazione di minuto, quasi senza fiato. Poi si diresse verso il campo, riparandosi gli occhi con la mano. Il raccolto era stato già effettuato, ma alcuni pomodori essiccati dal sole pendevano ancora dalle piante, simili a palloncini rossi riempiti d'acqua. Estivar la vide venire, si levò il cappello e rimase ad aspettarla. Gli uccelli continuarono a sfrecciare sulla sua testa, imperterriti, come se sapessero che lui non era altro che uno spaventapasseri. «Ha finito la sua giornata di lavoro?» chiese Devon. «Sì, signora Osborne.» «Vuol venire a casa per un bicchiere di birra o di tè ghiacciato?» «È successo qualcosa?» «No. Volevo soltanto farle una domanda.» «A che proposito?» «A proposito di uno dei camion.»
«Va bene.» Cominciarono a camminare, uno dietro l'altro, tra le file di piante secche che ancora sapevano di fresco e di pomodori. Quando arrivarono alla casa del ranch, Estivar si fermò appena dentro la porta, rigirando tra le mani il polveroso cappello di paglia e appoggiando il corpo ora su un piede, ora sull'altro. Era stato in quella casa centinaia di volte, eppure sembrava un estraneo che fosse capitato lì per caso e volesse scapparne via. «Venga a sedere» lo invitò Devon. «Vado a prenderle qualcosa da bere.» «No, signora, non ho sete. Quale camion?» «Quello vecchio rosso di cui ha parlato Jaime in aula ieri. Ha detto che non c'è più nel garage.» «No, non c'è più.» «Che ne è stato?» «È... penso che sia stato sfasciato.» «Chi lo ha sfasciato?» «Non lo so. Forse uno dei miei figli» aggiunse. «Avevano sempre tanta fretta.» «Tutti i veicoli del ranch sono coperti da assicurazione, mi sembra.» «Sì.» «Non viene presentata una denuncia, quando uno dei veicoli subisce un danno?» «Sì.» «Ci dovrebbe essere una copia di quella denuncia.» «Sì, dovrebbe esserci. Perché mi fa queste domande?» «Il giudice Gallagher ha chiamato al telefono il signor Ford per chiarire alcuni punti che erano emersi durante l'udienza. Voleva sapere dove è andato a finire quel camioncino rosso.» «Capisco.» Qualunque cosa avesse capito, ne era rimasto sconcertato. Si fregò gli occhi con il dorso della mano. «Il camioncino... non ha avuto niente a che fare con la scomparsa del signor Osborne. Era già sparito prima.» «Lei mi è sembrato piuttosto vago in proposito, qualche minuto fa. Come fa, ora, ad esserne così sicuro?» «Ne sono sicuro.» «Che fine ha fatto?» «Lo ha preso Felipe, quando è andato via dal ranch. Doveva allontanarsi in fretta, perché c'era gente che lo cercava.» «Chi lo cercava?»
«Quella ragazza, Carla Lopez. Era incinta e ne dava la colpa a Felipe. Continuava a minacciare di mandare i suoi fratelli a conciarlo per le feste, se non l'avesse sposata. È una poco di buono. Non potevo permettere che mio figlio fosse costretto a sposarla, quando era molto probabile che lui non c'entrasse per niente. Aveva soltanto diciotto anni, troppo giovane per inguaiarsi con una famiglia e senza nessuna prospettiva. Sono stato io a dirgli di prendere il camioncino e di tagliare la corda. Era un vecchio camion, che valeva ben poco. Non pensavo che ne sarebbe stata notata la mancanza.» Un lungo e obliquo raggio di sole entrava attraverso il vetro dalla parte superiore della porta. Particelle di polvere si muovevano in tutte le direzioni come una folla in miniatura, inquadrata dal fascio di luce di un riflettore. Estivar si spostò leggermente, sicché la lama di sole lo investì di lato e i granelli di polvere cominciarono a girare vorticosamente intorno al suo occhio e al suo orecchio sinistro. «Se per lei questo è un furto...» «No, naturalmente no.» «...l'ho commesso io, non Felipe. Avrei rubato ben più di un camion per allontanarlo da quella ragazza.» «Penso che Carla stia andando proprio ora a Seattle per cercarlo.» «Non lo troverà.» «Pare molto decisa.» «Non importa. Non è lì, non c'è mai stato. Ho scritto io stesso di tanto in tanto lettere false per tranquillizzare la madre e anche Jaime... No, non lo troverà» ripeté, ma nella sua voce c'era una punta di tristezza, come se desiderasse quasi che Felipe fosse rimasto a casa, avesse sposato la ragazza e facesse una vita tranquilla. Erano circa le otto, quando Devon vide la giardinetta di Estivar uscire dal garage con i fari che foravano le tenebre. Il bar era nella strada principale di Boca de Rio e era riconoscibile da un'insegna rosa al neon su cui si leggeva DISCO. Il proprietario era uno scozzese di nome MacDougall, ma i messicani avevano cominciato a chiamarlo Disco, da quando anni addietro, aveva fatto installare un juke box e lui aveva mantenuto quel nome perché gli piaceva la gente cordiale che glielo aveva affibbiato. Quando Estivar arrivò, il locale era quasi vuoto: c'erano Disco, tre uomini che bevevano birra a un tavolo appartato e un paio di ragazzi che si
dividevano una ciotola di chili ad un'estremità del banco. Estivar si sedette all'altra estremità, muovendosi guardingo come se sospettasse qualche tranello. «Che cosa posso servire?» chiese Disco. «Caffè e una ciambella.» «Con zucchero o senza?» «Con zucchero.» La ciambella, servita su un tovagliolino di carta, era stantia e il caffè sapeva di cicoria. Dopo aver assaggiato l'uno e l'altra, Estivar disse: «Sto cercando Ernest Valenzuela. Qualcuno mi ha detto che bazzica questo locale.» «Infatti.» «Vorrei parlare con lui per una polizza di assicurazione.» «È troppo tardi. È partito questa mattina e, da quello che ho capito, può darsi che non ritorni. Ha continuato a parlare di andare da qualche parte e ricominciare tutto daccapo, ma non poteva muoversi finché il caso Osborne non fosse stato definito. Era il testimone principale. È stato nella polizia, lo sapeva?» «Sì.» Disco si protese in avanti sul banco. «La sua faccia non mi è nuova. Ci siamo incontrati da qualche parte, forse molto tempo fa?» «Non credo. Io mi chiamo Estivar.» «Alcuni ragazzi di nome Estivar erano soliti venire qui, lavoravano al ranch degli Osborne. Sono parenti suoi?» «Sono i miei figli.» «Ah!» Disco rifletté un po' e poi aggiunse: «Erano bravi ragazzi.» «Sì.» «Uno di loro era un po' litigioso... Felipe... gli piaceva battersi con i fratelli Lopez. Uscivano dalla porta sul retro e se le suonavano di santa ragione. Era più che altro un gioco, roba da ragazzi, finché Luis Lopez non ha cominciato ad andare in giro con un coltello. Allora la situazione si è fatta seria.» «Che genere di coltello?» «Uno strano aggeggio con una cerniera, fabbricato nelle Filippine, chiamato coltello a farfalla. Ne ho parlato con Valenzuela, ma lui mi ha detto di lasciar perdere. Perciò ho lasciato perdere. In questo lavoro si impara a dimenticare e a ricordare al momento giusto.» Estivar addentò di nuovo la ciambella. La sentì terrosa tra i denti, come
se i granelli di zucchero si fossero trasformati in sabbia. «Ora» Disco disse «è il momento giusto per ricordare... il caso Osborne è chiuso e Valenzuela ha lasciato la città. E tutto d'un tratto la mia testa si schiarisce. Capisce cosa voglio dire?» «Credo di sì.» «Non è che io abbia mai avuto importanti informazioni sul caso Osborne, soltanto qualche particolare. La sera in cui Osborne è stato ucciso, per esempio, Luis Lopez era qui e aveva un coltello a farfalla. Questo non significa che fosse quel coltello, naturalmente. E anche se fosse stato quello... be', qualcuno potrebbe averglielo preso. Era venerdì... il venerdì è un gran giorno a Boca de Rio e c'era un sacco di gente qua, compreso suo figlio Felipe.» «Lei si sbaglia. Non era Felipe.» «Ne sono sicuro.» «Felipe non era da queste parti, in quel momento. Era andato via dal ranch tre settimane prima.» «È tornato.» «No. È andato a Seattle, era a Seattle a lavorare in una fabbrica di aeroplani. Ha scritto da Seattle. Chieda alla mia famiglia delle sue lettere.» «Era qui, signor Estivar, proprio come lei è qui in questo momento. Mi ha detto che sarebbe venuto al ranch per farsi dare un po' di soldi da lei, appena avesse trovato un passaggio. Non so che cosa è accaduto, dopo che è andato via di qui.» «Niente» Estivar disse. «Niente.» «Io so invece che Luis Lopez è passato davanti al bar per caso e attraverso la finestra ha visto Felipe seduto al banco. È entrato e hanno cominciato a discutere a proposito di sua sorella Carla. Ben presto la discussione è degenerata e hanno cominciato a picchiarsi. Quando li ho buttati fuori sulla strada tutti e due, Luis perdeva sangue dal naso.» Estivar fissò la stanza vuota. Non riusciva a ricordare di aver bevuto il caffè o di aver mangiato la ciambella, ma non c'erano più e gli si stava formando sullo stomaco un blocco pesante come il piombo. Luis perdeva sangue dal naso. Sapeva ora l'origine del sangue sulla camicia di Felipe, il gruppo sanguigno O, che secondo Ford indicava la presenza di un terzo uomo. Non c'erano tre uomini nel locale della mensa, quella sera. Ce n'erano soltanto due... Robert Osborne e Felipe. «Non che la cosa abbia importanza» continuò Disco. «Il caso Osborne è ormai chiuso e Valenzuela non c'è più, non è più nemmeno un poliziotto.
Ma penso che potrebbe essere accaduto allora, se è proprio accaduto. Non è che un'ipotesi, voglio dire.» «E cioè?» «Lui ha tirato fuori il coltello e Felipe glielo ha portato via.» «No» protestò Estivar. «No.» Ma era sicuro, ora, che era vero che Valenzuela non aveva detto niente del coltello perché pensava di proteggere il fratello di Carla. Invece, aveva protetto Felipe. Quando Valenzuela fosse tornato e avesse scoperto la verità, sarebbe andato su tutte le furie. Sarebbe andato alla caccia di Felipe e lo avrebbe scovato. Valenzuela era. un ex poliziotto, conosceva tutti gli angoli, tutti i nascondigli... tutti i bar e tutti i vicoli di Los Angeles, le ramerias di Tijuana e i garitos di Mexicali, tutte le fondas d'infimo ordine di El Paso. Non c'era più nessun posto dove Felipe potesse essere al sicuro. 18 Devon si svegliò prima che si sentissero i rumori dalla cucina di sotto. Si vestì in fretta nell'incerta luce del mattino indossando la sua tenuta abituale: jeans, scarpette da tennis e camicetta di cotone. Quando tirò le tende e chiuse i vetri per tener lontano il caldo, poté vedere in lontananza Tijuana, la cattedrale che gradualmente passava dal rosa al giallo, le baracche di legno aggrappate ai fianchi della collina come cuccioli affamati al capezzolo della madre. Poté vedere anche una parte del ranch di Leo. Qualcosa bruciava in uno dei campi. La colonna di fumo si innalzava sottile e grigia, come un segnale di disperazione. Uscì dall'ingresso principale per non svegliare Dulzura. I campi di pomodori brulicavano di uccelli affamati, ma dall'altra parte della strada la mensa e il dormitorio erano vuoti e silenziosi, come se nessuno ci avesse mai vissuto e niente fosse mai accaduto. A nord del locale della mensa c'erano le piantagioni di meloni bianchi, dove i lavoratori messicani erano all'opera, con i corpi piegati, le teste basse e nascoste sotto i cappelli di paglia tutti uguali. Nessuno di loro si guardava intorno: teste in giù per sopravvivere. Jaime quest'anno era in ritardo con il raccolto delle zucche per Halloween e il campo era disseminato di grosse teste arancione. Sebbene nessuna faccia fosse stata ancora intagliata nelle zucche, a Devon parve che la guardassero, centinaia di denti ghignanti e di occhi geometrici. Nel cielo,
sulla sua testa, un avvoltoio volteggiava in cerca di preda. Battendo le ali e rimanendo a tratti sospeso nell'aria, continuava ad avvicinarsi sempre di più nella speranza che lei potesse condurlo verso una bestia morta... un cagnolino sull'orlo della strada, una donna annegata nel fiume, un ragazzo sanguinante. Si girò e emise un grido, in parte di rabbia, in parte di pena, e ritornò rapidamente verso casa. Dulzura, a piedi nudi, stava misurando il caffè al tavolo della cucina. «Ha chiamato il signor Ford» disse. «Sono salita a cercarla e lei non c'era.» «Che cosa voleva?» «Ha lasciato due messaggi. Li ho trascritti.» I messaggi, scritti in stampatello a grossi caratteri, erano su un foglio di carta vicino al telefono: Trovarsi con Ford in tribunale alle 13.30 per la decisione del giudice. Vedere il giornale del mattino a pagina 4A e 7B. A pagina 4, sopra una nota di cronaca, c'era la foto di un'auto sfasciata e irriconoscibile. In un'altra si vedeva Valenzuela in uniforme, che appariva giovane, fiducioso, divertito. Il resoconto dell'incidente era breve. Un ex poliziotto, Ernest Valenzuela, di quarantun anni, e la moglie separata, Carla, di diciotto anni, sono rimasti uccisi in un incidente automobilistico nel tardo pomeriggio di ieri, a pochi chilometri da Santa Maria. Secondo l'agente della polizia stradale Jason Elgers, che la inseguiva, l'auto viaggiava ad una velocità molto superiore ai centocinquanta chilometri all'ora. Elgers era stato avvertito dal gestore di una stazione di servizio di Santa Maria, dove Valenzuela si era fermato per fare rifornimento. Il gestore aveva detto di aver sentito i due litigare ad alta voce e di aver notato sul sedile anteriore una bottiglia di bourbon mezza vuota. L'ex poliziotto è rimasto ucciso sul colpo, quando l'auto è andata a sbattere contro il guardrail. La signora Valenzuela è morta mentre veniva trasportata in ospedale. Lasciano un bambino di sei mesi. A pagina 7 dello stesso giornale c'era un'inserzione pubblicitaria. Veniva offerta una ricompensa di diecimila dollari per eventuali informazioni su Robert K. Osborne, visto l'ultima volta vicino a San Diego il 13 ottobre 1967. Tutte le risposte avrebbero avuto carattere confidenziale e non sarebbe stata promossa nessuna azione legale a danno degli stessi informatori. Seguivano il numero di una casella postale e quello del telefono della
signora Osborne. Devon depose il giornale e disse a Dulzura: «Valenzuela è morto.» «L'ho sentito dalla radio» disse Dulzura e questo fu l'epitaffio per Valenzuela, almeno per quanto la riguardava. Nel corso della mattinata Devon chiamò la casa di Leo una mezza dozzina di volte prima di avere risposta quando lui, alle undici, rientrò dai campi per la colazione. Sembrava stanco. Sì, aveva appreso la notizia di Valenzuela e di Carla... uno dei suoi uomini gliel'aveva riferita... ma non sapeva dell'inserzione della signora Osborne o dell'ora fissata per l'annuncio della decisione del giudice Gallagher. «Questo pomeriggio all'una e mezzo» ripeté. «Lei è tenuta ad andarci?» «No, ma ci andrò.» «Benissimo, vengo a prenderla io...» «No, no. Non voglio che lei...» «...verso le dodici e un quarto. Il che non ci lascia molto tempo per discutere, non le pare?» Devon stava aspettando, quando lui fermò l'auto davanti all'ingresso. Prima di salire in macchina, guardò in su e vide l'avvoltoio che ancora volteggiava nell'aria sopra la casa. Volava così in alto, ora, che assomigliava a una farfalla nera nell'atto di sfiorare il cielo azzurro. Leo notò che lei guardava l'uccello e osservò: «Gli avvoltoi sono di buon augurio.» «Perché?» «Perché ci liberano dei rifiuti che lasciamo alle nostre spalle.» «Per me significano soltanto morte.» Una volta in macchina Devon non poté più vedere l'uccello, ma aveva la sensazione che al suo ritorno sarebbe stato ancora lì ad aspettarla, come un cagnolino. «Non ho sentito niente sulle circostanze della morte di Valenzuela o di Carla» Leo disse. «Il giornale parla di un incidente e come tale verrà registrato negli atti ufficiali. Ma non è così. Lui aveva bevuto abbondantemente, stavano litigando, la macchina viaggiava a più di centocinquanta chilometri all'ora... Come si può parlare d'incidente?» «Non si può, infatti. Soltanto che non sanno come chiamarlo diversamente.» «È stato un assassinio e un suicidio.»
«Non ci sono prove» osservò Leo. «E non c'è nessuno che le vuole. È più comodo così per tutti... la legge, la chiesa, i superstiti... credere che sia stato volontà di Dio.» A Devon venne in mente Carla che parlava al giudice con molta serietà della sua iella... "Se, per esempio, avessi fatto la danza della pioggia, ci sarebbe stato probabilmente un anno di siccità o addirittura di tempeste di neve..." e l'ultima volta che aveva visto Valenzuela fuori dall'aula. Stava solo nel vano di una finestra con le sbarre, cupo e con gli occhi iniettati di sangue. Le aveva parlato con voce smorzata: "Mi dispiace, signora Osborne." "A proposito di che?" "Di tutto. Di come sono andate le cose." "La ringrazio." "Avrei voluto che tutto si svolgesse diversamente..." Si rendeva conto, ora, che Valenzuela aveva continuato a parlare di se stesso e della propria vita, non soltanto di lei e di Robert. «Devon!» Leo pronunciò il suo nome con tono brusco, come se l'avesse già chiamata prima e lei non lo avesse sentito. «Sì?» «Tutte le volte che ci vediamo in questi giorni siamo in macchina o in qualche altro posto, dove io non posso guardarla in faccia. E continuiamo a parlare degli altri e non di noi.» «Meglio continuare così.» «No. Ho aspettato a lungo di poterle dire qualcosa, ma il momento giusto non è mai venuto e probabilmente non verrà mai. Perciò glielo dico adesso.» «Per favore, no, Leo.» «Perché no?» «C'è qualcosa che vorrei dirle prima. Non rimarrò qui.» «Che cosa intende dire con "qui"?» «In questa parte del paese. Appena posso, metto in vendita il ranch. Comincio a sentirmi come si sentiva Carla: mi sembra di portare iella e perciò devo andarmene via.» «Lei ritornerà.» «Non credo.» «Dove andrà?» «A casa.» La casa era dove i fiumi scorrevano tutto l'anno e la pioggia era qualcosa che rovinava un picnic e gli uccelli erano gabbiani, tordi bef-
feggiatori e rondini, non gaviotas o chupamirtos o golondrinas. «Se cambierà idea» lui disse calmo «lei sa dove trovarmi.» La sua breve riapparizione in aula fu, come Ford le aveva anticipato, una semplice formalità, e il momento che aveva temuto per settimane arrivò e passò così in fretta che capì appena le parole del giudice: "In riferimento all'istanza di Devon Suellen Osborne per l'omologazione del testamento di Robert Kirkpatrick Osborne, detta istanza viene qui accolta e Devon Suellen Osborne è nominata esecutrice testamentaria". Mentre ripercorreva il corridoio per uscire le sgorgarono le lacrime dagli occhi, non per Robert... quelle lacrime erano state già da lungo tempo versate... ma per Valenzuela e la ragazza che portava iella e il piccolo orfanello. Ford la toccò lievemente sulla spalla. «È tutto finito per ora, Devon. Ci saranno alcuni documenti da firmare. La mia segretaria glieli farà avere, appena saranno pronti.» «La ringrazio. La ringrazio di tutto, signor Ford.» «A proposito, le converrà chiamare la signora Osborne e informarla della decisione della Corte.» «Sono sicura che non vorrà saperne niente.» «Ma deve essere informata. Quell'inserzione l'ha messa in una posizione molto vulnerabile. Se sa che Robert è stato ufficialmente dichiarato morto, non vorrà pagare a qualche truffatore i diecimila dollari per informazioni fasulle.» «La signora Osborne è sempre stata molto pratica in fatto di soldi. Quando paga qualcosa, ottiene quello per cui paga.» «È proprio di questo che ho paura.» Devon telefonò dalla stessa cabina telefonica da dove aveva telefonato due giorni prima. Questa volta la signora Osborne rispose al primo squillo, con un brusco e impaziente "Pronto!". «Sono Devon. Ho pensato che conveniva informarla...» «Sono certa che lo fai con le migliori intenzioni, Devon, ma il fatto è che tieni occupato il mio telefono e qualcuno potrebbe tentare di chiamarmi.» «Volevo soltanto...» «Ti saluto, ora, perché sto aspettando una chiamata molto importante.» «Mi ascolti, la prego.» «Ciao, Devon.» La signora Osborne riattaccò, senza nemmeno rendersi conto di aver det-
to una bugia. Non aspettava la chiamata, l'aveva già ricevuta e aveva già preso le misure necessarie. 19 La mossa successiva era il preparare la casa per il suo arrivo. Non sarebbe venuto prima che calasse la notte. Aveva paura di farsi vedere in città alla luce del giorno, anche se gli aveva detto che nessuno lo cercava, che nessuno voleva trovarlo. Il caso era chiuso e Valenzuela era morto. Era una vera fortuna che lei avesse deciso di comperare proprio quella casa. Lo stile della missione californiana rispondeva ai suoi scopi... muri di mattoni spessi più di mezzo metro, tetto ricoperto di pesanti tegole, cortile recintato e, più importante di qualsiasi altra cosa, inferriate alle finestre per tenere la gente fuori. O dentro. Ritornò nella camera da letto che dava sulla facciata e al suo compito di prepararla, che la telefonata aveva interrotto. Le scatole di cartone, con la scritta Esercito della Salvezza nel piccolo stampatello di Devon, erano state quasi tutte disfatte. L'antica mappa era stata fissata alla porta: AL DI LÀ I MOSTRI. Gli abiti di Robert erano appesi nell'armadio a muro, i suoi poster e le bandiere del college decoravano le pareti, i suoi occhiali erano sulla scrivania, con le lenti accuratamente pulite, e i suoi stivali stavano accanto al letto come se se li fosse appena tolti. Robert non aveva mai visto quella stanza, ma apparteneva a lui. Quando ebbe finito di svuotare le scatole di cartone, le trascinò sul retro della casa e le ammucchiò nel portico di servizio. Poi preparò del caffè e lo portò nel soggiorno dove avrebbe aspettato che il sole calasse. Si era dimenticata di mangiare a mezzogiorno e, quando arrivò l'ora di cena, si sentì la testa vuota e un po' confusa, ma non aveva ancora appetito. Preparò un altro bricco di caffè e rimase a lungo seduta ad ascoltare i cavallini di ottone che fuori danzavano al vento e le piante di bambù che si aggrappavano alle inferriate delle finestre. All'imbrunire accese tutte le luci della casa cosicché se lui era fuori a spiare potesse vedere che era sola. Erano quasi le nove, quando udì bussare all'ingresso principale. Andò ad aprire e lui era lì, come lo aveva visto centinaia di volte nella sua mente durante tutta la giornata. Era più magro di come se lo ricordava, quasi emaciato, come se un ingordo parassita si fosse insediato nel suo corpo e gli sottraesse il nutrimento. «Pensavo che tu avessi cambiato idea» lei disse.
«Ho bisogno di quel denaro.» «Entra.» «Possiamo parlare anche qui fuori.» «Fa troppo freddo. Entra» ripeté, e questa volta lui obbedì. Appariva troppo stanco per discutere. Aveva semicerchi bluastri sotto gli occhi, quasi del colore degli abiti da lavoro che indossava, e continuava a tirar su col naso e a pulirselo con la manica come un bambino raffreddato. La signora Osborne sospettò che avesse contratto in giro l'abitudine di drogarsi, forse in qualche prigione messicana, forse in uno dei tanti barrios. Non gli avrebbe chiesto dove aveva passato quel lungo anno e che cosa aveva fatto per sopravvivere. Gli avrebbe rivolto soltanto domande importanti. «Dov'è, Felipe?» Lui si voltò e guardò la porta che si chiudeva alle sue spalle come se gli fosse venuto l'impulso di spalancarla di nuovo e di andarsene di corsa nel buio. «Non essere nervoso» lei disse. «Ti ho promesso al telefono che non avrei promosso nessuna azione legale, che non avrei detto nemmeno di averti visto. Voglio soltanto la verità, la verità in cambio del denaro. È un patto onesto, non ti pare?» «Suppongo di sì.» «Dov'è?» «Nel mare, l'ho buttato nel mare.» «Robert era un gran nuotatore. Potrebbe aver...» «No. Era morto, avvolto nelle coperte.» La signora Osborne si portò le mani al volto come se se lo sentisse andare a pezzi. «Tu l'hai ucciso, Felipe.» «Non è stata colpa mia. E lui mi ha aggredito, stava per assassinarmi come aveva fatto con...» «Allora tu l'hai avvolto nelle coperte.» «Sì.» «Robert era molto robusto, non avresti potuto farlo da solo.» La sua voce era fredda e calma. «Devi venire a sederti tranquillo e dirmi tutto.» «Possiamo parlare qui.» «Sto pagando una bella somma per questa conversazione. Tanto vale che io mi metta comoda. Su, vieni.» Dopo un momento di esitazione, Felipe la seguì nel soggiorno. Lei aveva dimenticato quanto fosse piccolo, appena un po' più alto di Robert,
quando aveva quindici anni, l'anno in cui di punto in bianco aveva cominciato a crescere. Felipe aveva vent'anni, ora, troppo tardi perché cominciasse a crescere. Avrebbe sempre avuto l'aspetto di un bambino, uno strano bambino triste e malato, con un appetito insaziabile e una digestione difficile. «Siediti, Felipe.» «No.» «Fa' come vuoi.» Rimase in piedi davanti al caminetto, pallido e teso. Sul tavolo da backgammon, tra le due poltrone, la partita era ancora in corso, ma da molto tempo nessuno aveva fatto più una mossa. E la polvere ricopriva la tavola quadrata, i dadi gettati, i giocatori di plastica. Lo vide che guardava la tavola. «Giochi a backgammon?» «No.» «Io gliel'ho insegnato a Robert, quando aveva quindici anni.» Il backgammon non era il solo gioco che Robert avesse imparato a quindici anni. Gli altri non erano così innocenti, i giocatori erano reali e ogni lancio dei dadi era irrevocabile. Nel corso di quell'ultimo anno, lei aveva passato giornate intere a pensare al diverso modo in cui si sarebbe regolata, se avesse avuto un'altra possibilità. L'avrebbe protetto, tenuto lontano da gente come Ruth, anche se avesse dovuto chiuderlo a chiave nella sua stanza. «Dove sei stato tutto questo tempo?» gli chiese. «A Tijuana.» «E hai visto la mia offerta di ricompensa nel giornale?» «Sì.» «Non avevi paura di incappare in una trappola venendo qui stasera?» «Un po'. Ma immaginavo che lei non volesse saperne della polizia più di quanto non volessi saperne io.» «Ti droghi, Felipe?» Lui non rispose. «Anfetamine?» I suoi occhi cominciarono ad inumidirsi e sembrò guardarla attraverso piccole sfere di cristallo. Non c'era speranza in quello sguardo. «Non è affar suo. Voglio solo quel denaro e uscirmene di qui.» «Non gridare, ti prego. Odio le voci arrabbiate. Ne ho dovute coprire troppe. Sì, sì, ancora suono il piano» ammise, come se lui glielo avesse chiesto, come se gliene importasse qualcosa. «Faccio parecchi sbagli, ma
non importa, perché nessuno mi sente, e le pareti sono troppo spesse... Perché lo hai ucciso, Felipe?» «Non è stata colpa mia, niente è stato colpa mia. Non vivevo nemmeno più al ranch, quando è accaduto. Ero tornato soltanto per farmi dare un po' di denaro da mio padre. Ero conciato un po' male perché mi ero battuto... mi ero scontrato con Luis Lopez in un bar di Boca de Rio... e questo aveva molto irritato mio padre. Non ha voluto darmi un soldo. Perciò ho deciso di andare nel locale della mensa per farmi fare un prestito da Lum Wing. Se mio padre mi avesse dato un po' di soldi, come avrebbe dovuto, non sarei mai passato dalla mensa, non avrei mai...» «Non voglio sentire le tue scuse. Dimmi soltanto quello che è accaduto.» «Rob... il signor Osborne ha visto la luce nel locale della mensa e è venuto ad indagare. Mi ha chiesto che cosa facessi e io gliel'ho detto. Mi ha risposto che Lum Wing stava dormendo e che non dovevo disturbarlo. Io gli ho chiesto perché no, i soldi non servono a un vecchio come lui, li porta soltanto in giro. Comunque, abbiamo cominciato a discutere animatamente.» «Hai chiesto soldi a Robert?» «Non più di quelli che mi doveva.» «Robert aveva preso in prestito soldi da te?» «No, ma me li doveva per la mia lealtà. Non ho mai detto una parola a nessuno di averlo visto tornare dai campi subito dopo la morte di suo padre. Teneva in mano un randello di legno macchiato di sangue. Mi ero arrampicato su una palma da datteri in cerca di un nido di topo e l'ho visto che buttava il randello nel laghetto. Ero soltanto un bambino di dieci anni, ma ero abbastanza furbo da tenere la bocca chiusa.» Felipe batté le palpebre. «Mi arrampicavo sempre sui posti più strani, dove nessuno avrebbe mai pensato di guardare. È così che ho scoperto di lui e della signora Bishop. Li vedevo sempre quando si incontravano. La cosa è andata avanti per anni, finché lui si è stufato e lei si è buttata nel fiume. Non è stata una disgrazia, come la polizia ha sostenuto... ebbene, di tutto questo non ho mai detto niente a nessuno. Immaginavo che lui mi dovesse qualche cosa per la mia lealtà.» «In altre parole hai tentato di ricattarlo.» «Gli ho chiesto di pagarmi un debito.» «E lui ha rifiutato.» «Mi è saltato addosso, mi ha colpito. Mi avrebbe ucciso, se non fosse stato per il coltello che avevo preso a Luis Lopez. Non riesco nemmeno a
ricordare come è andata, soltanto che di colpo lui è caduto al suolo e che perdeva sangue dappertutto. Ero certo che era morto. Non sapevo che cosa fare, se non scappare di lì più in fretta che potevo. Ho cominciato a correre e mi sono impigliato con la manica della camicia in una foglia di yucca appena fuori dalla porta. Stavo cercando di liberarmi, quando mi sono guardato attorno e ho visto mio padre. Fissava il coltello nella mia mano. Ha detto:» Che hai fatto? «e io gli ho risposto che mi ero trovato immischiato in uno scontro tra il signor Osborne e uno dei lavoranti messicani.» «E lui ti ha creduto?» «Sì. Ma mi ha detto che nessun altro mi avrebbe creduto. Io avevo una brutta reputazione e il signor Osborne era un anglo-americano e le cose si sarebbero messe male per me.» «Perciò ti ha aiutato.» «Sì. Diceva che dovevamo fare in modo che apparisse come una rapina, perciò mi ha dato il portafoglio del signor Osborne e mi ha detto di buttarlo via così come dovevo sbarazzarmi anche del coltello. È andato a prendere qualche coperta nel dormitorio e vi abbiamo avvolto il corpo del signor Osborne e lo abbiamo caricato sul vecchio camioncino rosso. Mio padre diceva che nessuno ne avrebbe notato la mancanza. È stato allora che tutto ad un tratto è saltato fuori il cane. L'ho preso a calci per cacciarlo via e mi ha morso, mi ha morso ad una gamba. Quando sono partito si è messo a rincorrere il camion. Non mi ricordo se il camion lo abbia investito.» «Sei andato via dal ranch prima che tornassero i lavoranti messicani da Boca del Rio?» «Sì.» «E naturalmente è stato molto semplice per Estivar dargliela a bere. Li aveva ingaggiati lui, li aveva pagati, li comandava lui. Parlava la loro lingua e era uno di loro. Bastava che gli dicesse che il padrone era stato ucciso e che era meglio che tagliassero subito la corda, se volevano evitare guai. I loro documenti non erano in regola e non potevano mettersi a discutere e perciò se ne sono andati.» «Sì, esatto.» «E tu, Felipe, che cosa hai fatto?» «Ho buttato il corpo in acqua all'estremità di un molo, poi ho passato il confine. Cominciava il week-end, c'erano centinaia di persone che aspettavano di attraversarlo. Nessuno mi cercava e nessuno nel ranch aveva notato la mancanza del camioncino. Se lo avessero notato, mio padre mi avrebbe coperto.»
«Ne sono sicura. Sì, Estivar è molto affezionato ai figli. Lo si avverte nella sua voce, quando dice i miei figli. I miei figli, come se fosse l'unico ad aver mai avuto un figlio...» la voce cominciò a tremarle e si arrestò un attimo per riprendere il controllo di sé. «E questa è tutta la storia, Felipe?» «Sì, esatto.» «Non mi pare che valga tutti quei soldi che io ho offerto, soprattutto perché ci sono in essa due grosse inesattezze.» «Io le ho detto la verità. Voglio il mio denaro.» «Tutte e due le inesattezze riguardano Robert. Non si era stufato di Ruth Bishop. Al contrario, stavano progettando di scappare insieme. Io naturalmente non potevo permetterlo. Lei poteva essere sua madre. L'ho cacciata via come una cagna randagia... l'altra inesattezza è a proposito del randello che, secondo te, Robert avrebbe gettato nel laghetto. Era sporco di sangue, il sangue di suo padre, ma Robert non c'entrava. Cercava di proteggere me. Mettiamo le cose in chiaro.» «Voglio i miei soldi» Felipe disse di nuovo. «Me li sono guadagnati.» «E li avrai.» «Quando?» «Subito. La cassaforte è nella camera da letto che dà sulla facciata. Puoi aprirla tu stesso.» Felipe scosse il capo. «Non so come si fa. Non ho mai...» «Devi soltanto girare il disco secondo le mie istruzioni. Su andiamo.» La cassaforte era sistemata nel pavimento dell'armadio a muro della camera da letto e nascosta da un rettangolo di moquette. Lo spostò, e poi si fece da parte, mentre Felipe si inginocchiava di fronte alla cassaforte. «A sinistra fino al tre» lei disse. «A destra fino al cinque. A sinistra fino a...» «Non riesco a vedere i numeri.» «Sei miope?» «No. C'è troppo buio qui dentro. Mi ci vuole una torcia.» «Penso che tu sia miope.» E prese dalla scrivania gli occhiali cerchiati di tartaruga di Robert. «Ecco, con questi potrai vedere meglio.» «No, io non ho bisogno di...» «Provali. Vedrai che differenza.» «La mia vista è buona, ho sempre avuto la vista buona.» Ma nello stesso momento in cui protestava, lei gli mise gli occhiali. Gli scivolarono giù lungo il dorso del naso e lei glieli rimise a posto. «Ecco. Non ci vedi meglio? Adesso ricominciamo. A sinistra fino a tre.
A destra fino a cinque. A sinistra fino ad otto. A destra fino a due.» La cassaforte non si aprì. «Dio mio, spero di non aver dimenticato la combinazione. Forse si comincia con "A sinistra fino a cinque". Prova di nuovo. Non aver fretta. E in ogni caso non posso lasciarti scappar via in fretta.» Gli si avvicinò e gli posò delicatamente una mano sul capo. «È da molto tempo che non ci vediamo, figlio.» Durante la notte, uno dei vicini si svegliò al suono di un pianoforte e si riaddormentò di nuovo. FINE