Joe Haldeman Mondo senza fine (World without End, 1979) Traduzione di Annarita Guarnieri
Qualsiasi tecnologia sufficien...
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Joe Haldeman Mondo senza fine (World without End, 1979) Traduzione di Annarita Guarnieri
Qualsiasi tecnologia sufficientemente progredita è indistinguibile dalla magia. Arthur C. Clarke
CAPITOLO I Diario del Capitano, Data Astrale 7502.9. Questa mattina, giunti quasi alla fine dell'esplorazione a scopo di carteggiamento del Settore 3, abbiamo goduto di un raro spettacolo. Alle 07.39, Antares ha eclissato Deneb... e per un istante le due stelle più brillanti di questo tratto di spazio hanno dato l'impressione di unirsi e di fondere le loro luci, una azzurra e una rossa. La maggior parte dell'equipaggio ha interrotto le sue attività per assistere allo spettacolo. Questo non è stato un viaggio emozionante.
– Coopme Queopsto – stava farfugliando il tenente Martin Larousse, rivolto al signor Spock, nella sala ufficiali. – Sopi mopettope opun 'op' dopavopantopi opa... – Capisco – rispose Spock. – Non è difficile da decifrare. Si antepone semplicemente il suono 'op' a ogni vocale. – Non è difficile per voi. Ma i bambini terrestri se ne servono per confondere i compagni di gioco, per comunicarsi segreti. – Dubito che un bambino vulcaniano ne rimarrebbe confuso. – Ma qui non abbiamo un bambino vulcaniano da usare come cavia, non vi pare?... Ritenete che l'esempio sia stato sufficiente a darvi la padronanza del meccanismo? – Naturalmente. Se è un meccanismo che rimane costante in tutto il vostro inconsistente linguaggio. – Allora – suggerì Larousse, massaggiandosi il mento e scrutando il soffitto – Provate con "esafloruro di uranio". – Opesopafloporopuropo dopi opuropanopiopo. – rispose Spock, senza esitazione. – Tenendo conto del vostro errore di pronuncia per quanto
riguarda la parola "esafluoruro". Il tenente scosse il capo. – È inumano. – Esatto. – Spock non sorrise. – Anche i bambini vulcaniani usano linguaggi segreti, ma sono formati da codici, gesti e intonazioni che cambiano continuamente. Altrimenti, il segreto non durerebbe a lungo. – Non mi sorprende. I Vulcaniani...– Spock e Larousse si alzarono in piedi. – Buon pomeriggio, capitano. – Buon pomeriggio, signori. – Kirk posò una tazza di tè sul loro tavolo e accostò una sedia; poi i tre uomini sedettero contemporaneamente. – Abbiamo fissato un altro punto di riferimento – commentò Kirk, con un sospiro, o forse un verso di noia, quasi inudibile. – Proprio dove andava messo, come il precedente e quello ancora prima... Vorrei solo che uno risultasse spostato di qualche metro, perché un po' di eccitazione ci servirebbe. – Non dite sul serio, vero, capitano? – No, naturalmente no. – Kirk sorrise, senza convinzione. – Ma quattro settimane di questa attività bastano e avanzano, e sono certo che l'equipaggio sarà lieto di dedicarsi ad altro. – Se anche Spock o Larousse avevano un'opinione diversa... l'equipaggio sembrava abbastanza contento di quella monotona routine... non si provarono ad esprimerla. – Ancora dieci giorni, signore? – chiese il tenente. – Nove, se non succede niente, poi ci verrà comunicato il nuovo incarico, alla Base Stellare Tre. – Accennò verso Spock. – Siamo stati finalmente avvertiti che là ci aspettano degli ordini sigillati. – Dev'essere qualcosa d'importante – commentò Larousse. – Non necessariamente – ribatté Kirk, sorseggiando il tè. – Il fatto che gli ordini siano sigillati non sempre significa che si tratta di una decisione di comando. Magari è una decisione che anche un impiegato potrebbe prendere. La voce calma di Uhura filtrò nella sala. – A tutti i ponti, allarme giallo. – Kirk posò la tazza, che fece un ticchettio di plastica, versando parte del contenuto. – Questa non è un'esercitazione. Tutto l'equipaggio riprenda servizio! Spock si diresse verso il turboelevatore, Larousse tentò di togliere una macchia di tè dai pantaloni, e Kirk azionò l'intercom. – Ponte, parla il capitano. Cosa succede? – Capitano, la maggior parte degli strumenti è completamente inutilizzabile... ci sono dei disturbi sonori. Non c'è... aspettate. – Che succede?
– Sembra che tutto stia funzionando di nuovo in maniera normale. – Mantenete ugualmente l'allarme. – Kirk azionò ancora l'intercom. – Ingegneria! – Parla Scott. – Scotty, togliete potenza ai motori. Torniamo indietro a velocità di curvatura uno. Tenetevi pronto a una sequenza di ricerca lenta, oppure a rapide manovre evasive. – Sì, signore. – Volevate un po' d'eccitazione, capitano? – commentò Spock, che stava trattenendo il turboelevatore per Kirk. Questi grugnì, guardando le porte che si chiudevano. – Si parla del diavolo e ne spunta la coda – borbottò, quasi fra sé. – Su Vulcano, abbiamo un detto simile. – Superstizione, Spock? – chiese Kirk, inarcando un sopracciglio. – Affatto, capitano. Osservazione. Diario del Capitano, Data Astrale 7503.0: Abbiamo fatto una scoperta davvero notevole. In Data Astrale 7502.931, l'Enterprise ha incrociato un campo magnetico estremamente forte, tanto che ha influenzato il funzionamento di tutti gli strumenti non schermati. Ho ritenuto che rientrasse nei miei limiti discrezionali ritardare il completamento della nostra attuale missione per tornare indietro e scoprire la fonte di tale campo. Si tratta di una specie di veicolo, grande quanto un asteroide (duecentodiciassette chilometri di diametro), e abitato da creature senzienti. Ho indetto una riunione del personale scientifico per le ore 18.30.
Venticinque persone erano ammassate in una sala riunioni progettata per una dozzina, al massimo. Dietro richiesta del capitano, Spock aveva invitato tutti gli ufficiali scientifici e i guardiamarina che avevano cognizioni potenzialmente utili. Scotty, dal canto suo, aveva portato con sé tre ingegneri, specialisti in sistemi di propulsione. – C'è qualcuno, fra voi, che non sa cos'è un "colpo di pistone di Bussard"? – Parecchie mani si sollevarono; quelle di Larousse e di due studiosi di scienze vive, e una zampa appartenente a Glak Sôn, un tozzo e peloso guardiamarina alieno, originario di Anacontor e specializzato in matematica. – È abbastanza semplice. Si tratta del mezzo con cui una primitiva nave interstellare riesce a raccogliere il carburante per un motore a fusione. Anche noi ne abbiamo costruito qualcuno nel ventunesimo secolo, prima di scoprire la velocità di curvatura.
"Lo spazio interstellare è pieno d'idrogeno... è sparso in uno strato molto sottile, ma abbonda. Un colpo di pistone di Bussard usa un forte campo magnetico per aspirare questo idrogeno, che poi utilizza per ricavare energia. "È un sistema molto lento, con cui s'impiegano secoli per andare da una stella all'altra. Delle navi munite di colpo di pistone di Bussard che hanno lasciato il nostro sistema solare, due erano sonde automatiche e tre erano "navi generazionali"... in cui l'equipaggio originale sapeva che non sarebbe vissuto abbastanza a lungo da arrivare a destinazione e che sarebbero stati i suoi nipoti a portare a termine la missione. "La Federazione ha rintracciato due di quelle navi, accelerandone il viaggio con la velocità di curvatura, mentre la terza, chiamata Quaranta famiglie, risulta dispersa da duecentocinquant'anni. "Speravamo di aver trovato proprio la Quaranta famiglie, ma questa nave è troppo grande. Il signor Spock ha i dettagli." – Si tratta, essenzialmente, di un asteroide cavo, molto vasto, del diametro di circa duecentodiciassette chilometri. Ho preparato due diagrammi. Guardiamarina Fitzsimmons? – La donna spense le luci e proiettò due immagini sulla parete. – Il diagramma superiore è soltanto un'immagine della nave. Notate la direzione in cui viaggia: sta decelerando, e procede a una velocità pari soltanto a un centesimo di quella della luce. La decelerazione avviene con un andamento di circa un millimetro al secondo, per secondo. – Allora si arresterà fra altri novantacinque anni – osservò il peloso matematico. – E quarantasette giorni – aggiunse Spock. – Gli abitanti, ovviamente, occupano l'interno della sfera, che ruota e fornisce loro la "gravità", avvalendosi della forza centrifuga. – Non hanno una vera gravità artificiale? – chiese qualcuno, e Spock lanciò un'occhiata nella direzione da cui era giunta la domanda, decidendo poi di non rimproverare chi l'aveva formulata per aver accostato quei due aggettivi. – Non ce l'hanno, e questo fa parte del paradosso di cui discuteremo fra un momento. "Il diagramma inferiore è una sezione, che mostra l'interno della sfera. Ho indicato la densità della popolazione in base ai dati forniti dai biosensori. "Quel piccolo pianeta è abitato da più di un milione d'individui, concentrati per nove decimi in una striscia intorno all'equatore. Quella,
naturalmente, è l'area in cui la "gravità" è maggiore, anche se in effetti è di poco inferiore alla metà della gravità a cui noi siamo abituati." Fece un segnale al guardiamarina e le luci si riaccesero. – Abbiamo tentato inutilmente di comunicarsi con loro: ogni nostra trasmissione viene nuovamente riflessa contro di noi. – Quell'informazione causò una serie di commenti sommessi. – Sì, è un fatto notevole, e non sappiamo ancora se il teletrasporto sarà efficace. Non vogliamo, però, teletrasportare un oggetto inanimato fino a quando non potremo farlo seguire subito da un gruppo di contatto, in modo che le nostre motivazioni non possano essere fraintese. – O che si preparino ad accoglierci – aggiunse qualcuno. – Naturalmente, abbiamo preso in considerazione anche questo. Si tratta di una razza che viaggia fra le stelle, anche se lentamente, ed è logico supporre che disponga di armi di notevole potenza. "C'è inoltre un mistero da risolvere. Usando la diffrazione neutrinica, abbiamo scoperto cosa provoca la riflessione dei nostri segnali: l'intero globo, sotto uno strato di comune roccia, spessa novanta metri, è coperto da un involucro di metallo molto denso, il cui peso atomico sembra aggirarsi intorno a milleduecento." Spock attese che gli altri facessero completo silenzio. – Sì, sembrerebbe impossibile, ma il dato è esatto. A quanto pare, sono più progrediti nel campo della metallurgia, o della chimica fisica, di quanto lo siano in quello dell'astronautica. "Il computer di bordo ha preparato una sintesi dei dati in nostro possesso riguardo a quell'oggetto. – Accennò in direzione della Fitzsimmons, che cominciò a distribuire copie di un rapporto lungo una pagina. – Prendetevi pure un paio di minuti di tempo per leggerlo. – Il vulcaniano sedette accanto al capitano Kirk. – Una faccenda seria – commentò questi, fissando il foglio, che aveva già letto. – Proprio. – Spock aveva però notato che, per quanto l'espressione di Kirk apparisse preoccupata, i suoi occhi lo tradivano, rivelando che stava aspettando con ansia un po' di azione. – Molto seria – ripeté il capitano, fissando il foglio e sorridendo.
CAPITOLO II SOMMARIO 1. Nel momento della misurazione (DA 7502.9576) l'oggetto viene descritto secondo i seguenti parametri: POSIZIONE: DIREZIONE: VELOCITA': ACCELERAZIONE: RAGGIO: MASSA: TEMPO DI ROTAZIONE:
119.70239D, 689.4038psc.; -1.038572D, – 0.9965psc. w.r.t. Rigel 37.903D, 0.0127D 0.008401303 c (2.518.651,8m/sec) -0.000839m/sec (0.0000855 g) 108.756,3 m. 35.527835 teratonnellate 0.006578 rad/sec (una volta ogni 15 minuti 55.12 sec)
2. Estrapolando il passato da tali dati, sembra che l'oggetto sia in viaggio da quasi tremila anni. Il suo punto d'origine si trova al centro di un tenue involucro gassoso, tutto ciò che rimane di un'antica supernova. 2a. Questa supernova è esplosa ali'incirca nel 750 a.C. Non esistono documentazioni umane dell'evento, ma esso è stato registrato dagli astronomi vulcaniani. 2b. L'oggetto (e forse altri simili ad esso) ha lasciato il suo sistema parecchi secoli prima dell'esplosione. 3. Se l'oggetto continua a decelerare alla velocità di 0.000839 m/sec (e per poterlo fare dovrà presto passare a un altro sistema di propulsione), allora esso si arresterà a circa un ottavo di parsec da qui. 3a. A quel punto, i suoi occupanti si verranno a trovare a due parsec dalla stella più vicina. 3b. Questa non può essere la loro destinazione iniziale. Tutta la loro energia si dissiperà sotto forma di calore superfluo, in mancanza di una fonte di energia esterna (anche se ci potrebbero volere secoli o anche millenni perché questo accada ). 4. Può darsi che gli abitanti della sfera desiderino morire, nel qual caso il principio dell'autodeterminazione richiede che noi non interferiamo.
DISCUSSIONE L'efficienza di un colpo di pistone di tipo Bussard diminuisce con il diminuire della velocità, in quanto si riduce la quantità di idrogeno assorbita ogni minuto. Di conseguenza, l'oggetto dovrà presto adottare un altro sistema di decelerazione. Le prime astronavi umane di tipo Bussard si servivano della "spinta a scoppio" (definita anche Sistema Dedalo) per l'accelerazione iniziale, e per la decelerazione finale, fasi nelle quali le astronavi venivano accelerate o frenate dalla pressione delle radiazioni derivanti dall'esplosione di bombe a fusione all'idrogeno, poste a prua e a poppa. L'ampia depressione concava (simile a un cratere naturale) che si trova in posizione opposta al generatore di tipo Bussard dell'oggetto, potrebbe avere proprio questa funzione. Supponendo che il teletrasporto operi adeguatamente e che una squadra di approccio venga inviata all'interno dell'oggetto, si dovrà studiare un opportuno sistema di comunicazione. Il tenente Uhura ritiene di poter utilizzare il generatore di particelle, installato sul ponte due, per creare un sistema che sfrutti l'ampiezza di modulazione dei neutrini. La squadra di approccio dovrà essere teletrasportata all'equatore, dove è maggiore la densità della popolazione. CAPITOLO III Kirk assunse il comando della squadra di approccio, formata quasi interamente da ufficiali anziani. Essa comprendeva il dottor McCoy, il tenente Larousse, il capo della sicurezza B. "Tuck" Wilson e Moore, anche lui della sicurezza, che era l'unico guardiamarina del gruppo. Wilson, un uomo maturo, quieto e formale, sistemò una scatola nera al centro di una delle posizioni del trasferitore. – Pronto, signore. Si trattava di un generatore passivo di neutrini, che Spock aveva messo insieme al fine di sperimentare il sistema di comunicazione di Uhura. Se il suo trasferimento si fosse concluso con successo, Kirk e i suoi uomini lo avrebbero seguito. – D'accordo. – Il capitano rivolse un cenno a Scotty. – Energia. L'oggetto divenne sempre più sfuocato, fino a scomparire, poi dall'intercom giunse la voce di Uhura. – Sta trasmettendo chiaro e forte,
capitano. – Andiamo. – I cinque uomini salirono sulla piattaforma e presero posto. – Sarà un viaggio turbolento – avvertì McCoy. – Nessun altro vuole una pillola? – Quel tranquillante di cui mi parlavate? – chiese Kirk. – Ne avete preso uno? – Potete scommetterci, Jim. In realtà, non è un tranquillante, ha effetto solo sull'orecchio interno e serve a non avere le vertigini dentro quel pallone rotante. – No, grazie, preferisco sopportare i sintomi. – Nessun altro accettò l'offerta del dottore. – Energia. Lo sconcertante limbo del teletrasporto parve durare una frazione di secondo in più del solito, e quello che seguì non fu piacevole. Kirk aprì gli occhi e si affrettò a richiuderli, in preda alle vertigini; risollevò le palpebre e si sorresse aggrappandosi a Larousse, che stava facendo lo stesso con lui. Non c'era orizzonte. Sopra di loro brillava un sole, ma il cielo mancava. Potevano guardare "in basso" per cinquanta, cento chilometri; oppure stavano guardando in "su"? – Sapevamo che avremmo potuto essere disorientati – commentò Wilson, con calma – ma non ero preparato a un simile effetto. State bene, capitano? – Sì. – Kirk deglutì con cautela e lasciò andare la spalla, di Larousse. Non cadde. – Ci stanno ignorando – commentò il tenente. Si erano materializzati nel centro di quella che sembrava una piazza del mercato, affollata da centinaia di alieni. Quelle creature erano vagamente umanoidi, nel senso che avevano l'"esatto" numero di occhi, mani, piedi, nasi e bocche, ma la somiglianza finiva lì; gli alieni erano coperti da un fitto pelo, non portavano indumenti, a parte collane di nastri, e non si notava alcun indizio del sesso a cui appartenevano. Ciascuno aveva un paio d'ali, simili a quelle di uno scoiattolo volante: membrane di cuoio che crescevano lungo i fianchi, dal polso alla caviglia. La statura media si aggirava intorno al metro, anche se quattro o cinque erano alti quanto Kirk, e tutti andavano in giro tenendo lo sguardo fisso a terra, sebbene qualcuno lanciasse di tanto in tanto una fugace occhiata in tralice agli intrusi. Come progettato, si trovavano al centro della città, i cui edifici si
stendevano in salita in ogni direzione; a destra e a sinistra, una distesa di campi di un verde pallido incontrava i confini della città e proseguiva sollevandosi nel "cielo", fino a dissolversi nella foschia, di un colore fra il grigio e il porpora. Le costruzioni erano tutte alte da dieci a trenta piani, fatte di mattoni giallo chiaro e di metalli lucenti, e s'inclinavano verso la squadra a mano a mano che la città si allargava in lontananza, dando agli umani la sgradevole impressione di trovarsi al centro di una città che stesse per crollare. La maggior parte degli edifici più lontani, di cui potevano vedere la sommità, aveva i tetti coperti da giardini, e molti palazzi avevano le pareti decorate da intricati mosaici astratti, formati da pietre colorate o da frammenti di ceramica. Ogni casa aveva una o più porte aperte a ciascun piano, e le strutture erano unite fra loro da aggraziate ragnatele di cavi; le creature si arrampicavano o passavano da un cavo all'altro, e sembrava che ce ne fossero di più in aria che al suolo. Quando si libravano nel "cielo", gli alieni esibivano una notevole grazia nei movimenti, mentre la loro andatura a terra era piuttosto goffa. Secondo ogni standard umano, poi, quelle creature erano brutte... non solo strane a vedersi, ma proprio brutte. Gli occhi, di un giallo acceso e grandi il doppio di quelli di un uomo, sporgevano in fuori e chiudevano le palpebre lateralmente, il naso era ridotto a due buchi rossi e la bocca aveva una sogghignante espressione a U, con il labbro superiore fisso e quello inferiore che si apriva e si chiudeva, rivelando varie file di piccoli denti aguzzi. I crani erano allungati, fino a essere quasi a punta, e sporgevano sulla nuca. Il pelo era corto e setoso, di un marrone rossiccio, e mancava in vari punti... sui piedi, sulle mani, sui gomiti, sulle ginocchia e sulla sommità della testa... dove la pelle era di un bianco spento, come anche le labbra, le palpebre e l'interno della bocca. Non erano esseri piacevoli a guardarsi, ma nessuno degli uomini dell'Enterprise fu impressionato dal loro aspetto. Non solo erano costretti a vivere quotidianamente a stretto contatto con Glak Sôn... che era basso, peloso e tuttaltro che affascinante... e con gli altri membri alieni dell'equipaggio, ma non sarebbero neppure stati accettati a bordo di un incrociatore se gli psicologi della Rotta Stellare avessero individuato in loro la minima traccia di xenofobia. – Davvero bizzarro – commentò il guardiamarina Moore. Kirk annuì distrattamente, scrutando la folla in movimento alla ricerca di
qualche segno d'interesse. – Si comincia. Azionò il traduttore. – Salve... salute a voi. – Non ricevendo risposta, aumentò il volume. – Vi salutiamo a nome della Federazione dei Pianeti Uniti. – Il cerchio vuoto intorno a loro si allargò, e la folla divenne più rumorosa. – Sono il capitano James T. Kirk, dell'astronave... Alcuni alieni, più vicini a loro, fuggirono di corsa... poi, di colpo, come se fosse stato dato un segnale, tutta la piazza piombò nel caos più totale. Le creature correvano, svolazzavano, urlavano, precipitandosi in ogni direzione per allontanarsi dagli umani. Entro venti secondi, Kirk e i suoi uomini si trovarono nel mezzo di una piazza deserta. – Direi – osservò McCoy – che questo è l'inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione. Kirk si morse il labbro inferiore, pensoso. – Credo di poter capire questo panico. È probabile che non vedano niente di nuovo da tremila anni – Si avvicinò alla bancarella più vicina, formata da tre bassi tavoli su cui erano esposti strani frutti e verdure, raccolse un vegetale purpureo e squadrato, lo annusò arricciando il naso e lo rimise a posto. – Ma perché non c'è stata nessuna reazione, finché non ho azionato il traduttore? Non ho detto niente che suonasse ostile o che li confondesse... oppure l'ho fatto? – È difficile stabilirlo – replicò Larousse. – Alcune parole devono essere state poco familiari... "Federazione dei Pianeti" può non significare nulla per loro, ma certo sanno cosa sia un'astronave... Probabilmente, non sono fuggiti a causa delle parole, e dovremo aspettare fino a quando ne convinceremo uno a parlare con noi: allora potremo ritradurre il suo linguaggio e verificare che il significato dei nostri termini sia chiaro. – Ora che ci penso – intervenne McCoy – il loro comportamento non è poi tanto strano. Puoi rimanere in piedi accanto a un formicaio tutto il giorno, e le formiche continueranno a lavorare e a ignorarti, ma se infili un ramo nel formicaio impazziranno tutte insieme. – Ritenete che possano essere tutti parte di una mente di gruppo? Una consapevolezza da alveare? Il dottore scrollò le spalle. – Non sarebbe il primo caso. – Cosa dobbiamo fare, signore? – chiese il tenente Wilson, scrutando gli edifici che li circondavano. – Siamo piuttosto esposti. – Alcune decine di creature infatti erano sedute sulle ragnatele sospese, intente a osservarli, mentre le altre sembravano scomparse dentro oppure dietro le costruzioni. – I vostri faser sono regolati per stordire? – Sì, signore.
– Molto bene, allora aspetteremo. – Kirk stava facendo scorrere ansiosamente lo sguardo da una finestra all'altra, cercando... cosa? Una bandiera bianca? Una canna di fucile? – Naturalmente, se si arriverà a uno scontro, preferirei tornare a bordo piuttosto che usare la forza. – È ovvio. Il silenzio era opprimente, faceva paura. – Larousse, alcuni di quegli alieni stavano parlando fra loro, questo è certo. Cosa potrebbe farsene di una forma di linguaggio, una mente di gruppo? Il tenente rispose subito, consapevole del comune bisogno di riempire il silenzio. – Dipende dal grado d'integrazione. In un certo senso, il vostro cervello e il sistema nervoso formano una mente di gruppo, se si considerano le cellule come individui. Esse non hanno bisogno di un linguaggio, ma passando all'estremo opposto, la civiltà umana è una specie di mente di gruppo ad azione lenta, integrata soprattutto dalla comunicazione verbale. – Semantica – commentò McCoy. – Cosa mi dite delle vere menti di gruppo, come le termiti... non possono usare un linguaggio, vero? – Questo è un errore comune. Le termiti non operano spinte da una coscienza di gruppo: sembra che collaborino fra loro, ma solo grazie a una serie di reazioni istintive radicate. – Potrebbe trattarsi dello stesso fenomeno, su piccola scala. – No. – Stavano conversando senza guardarsi a vicenda. – In quel caso, non esiste una forma di guida superiore, non c'è integrazione. Quegli insetti spingono le palline di terra a casaccio, e quando due di essi s'incontrano, ne accumulano in cima una terza, e così via, fino a costruire una cattedrale. Per istinto. Cos'è stato? – Dei passi – sussurrò Wilson, portando la mano al faser che aveva nella cintura. – Passi in marcia. – Kirk a Enterprise – chiamò il capitano, aprendo il comunicatore. – Scotty, forse stiamo per trovarci nei guai, qui. State pronto a farci risalire all'istante... quando il tenente Wilson vi darà il segnale. – Sì, signore. Raccogliendo il suggerimento, Wilson lasciò andare il faser e tenne pronto il comunicatore. Un gruppo di circa venti alieni superò un angolo ed entrò nella piazza. – Su una cosa non c'è da sbagliarsi – dichiarò McCoy – quale che sia il pianeta o la cultura: la polizia. Le creature erano tutte armate, alcune con bastoni e altre con rotoli di corda, tranne una. Quella disarmata guidava la processione e portava tre
nastri azzurri intorno al collo, mentre le altre avevano tutte una sequenza rossa, arancio e verde. Il capo disse qualcosa, e gli alieni smisero di marciare, allargandosi in fretta a semicerchio e avanzando verso gli uomini. – Aspettate! – esclamò Kirk, e una sillaba aliena, molto amplificata, echeggiò nella piazza. I poliziotti si arrestarono, lanciarono un'occhiata al loro capo, e ripresero ad avanzare. – Meglio andarcene – decise Kirk, quando gli esseri non distavano ormai più di dieci metri. – Su! – gridò Wilson, nel comunicatore. Non accadde nulla. – Scotty! – chiamò Kirk. – Tirateci su. – Non funziona... energia! – Sentirono il ronzio del teletrasporto, in sottofondo. – Ancora! Capitano... Di colpo, le creature furono loro addosso, volando basse, mirando alle gambe con i bastoni e lanciando le funi. Moore ebbe appena il tempo di estrarre il faser, che però gli venne fatto cadere di mano prima che potesse sparare; Wilson riuscì a strappare il bastone a un aggressore e a rimanere in piedi per qualche secondo, ricambiando i colpi, ma come i compagni era goffo a causa della scarsa gravità, e ben presto raggiunse gli altri a terra, ingarbugliato senza speranza nelle funi. I poliziotti indietreggiarono, formando una linea irregolare, mentre due di essi si tenevano la testa fra le mani, come unico risultato delle bastonate di Wilson; l'alieno con i tre nastri azzurri avanzò e cominciò a parlare. Era una lingua melliflua, che saliva e scendeva di tono in una piacevole cantilena e che, naturalmente, non aveva maggior senso del cinguettio di un uccello. Kirk, che aveva le braccia legate, accennò con la testa in direzione del traduttore, che gli era stato strappato di mano ed era rimbalzato per parecchi metri sul duro terreno. – Spero che funzioni ancora – disse. – È possibile – gemette McCoy. – È più robusto di noi, come struttura. Alla fine, l'alieno parve capire. Raccolse il traduttore, lo studiò per qualche istante, poi lo accostò alla bocca. – Vi serve questa macchina per parlare e per sentire? – Sì – rispose Kirk. – Ora mi capisci, vero? – Naturalmente. Parli la lingua dei maghi, come faccio io. È ovvio che siete dei maghi, anche se non sapevo che ne esistessero alcuni senza casta. È per questo che non avete le ali? – Non so cosa tu voglia intendere, con il termine "maghi" – replicò Kirk,
dopo una lieve incertezza. – Io sono il capitano James T. Kirk, dell'astronave Enterprise, e questi altri... – Cosa significa la parola "croblentz"? – "Croblentz"? – Oh, mio Dio – fece Larousse. – La croblentz Enterprise. Che cos'è? – Non hanno il termine corrispondente – spiegò Larousse. – Non sanno di essere dentro un'astronave. – Oh, poveri noi. – Se è un indovinello – dichiarò l'alieno – non ne capisco il senso. – Ascolta – gli disse Larousse. – Noi veniamo dall'esterno del vostro mondo. Mi capisci? – Credo di sì – replicò la creatura, dopo una lunga pausa. – Siete pazzi, oppure volete che vi consideri tali. – No – insistette Kirk. – Tenta di comprendere. Siamo davvero... non vi somigliamo affatto, non è così? – E allora? – Siamo comparsi dal nulla – rincarò McCoy. – Questo non ti sembra insolito? L'alieno ebbe un gesto stranamente umano, allargando le ali e scrollandole un poco. – I maghi fanno sempre cose del genere. – Credo che sarebbe meglio cercare d'incontrarci con un mago – suggerì McCoy a Kirk. – Sono certo che sarete accontentati – rispose l'alieno. – Non potreste essere condannati da un giudice ven-chatalia. – Condannati? – Wilson si sollevò a sedere. – Cos'abbiamo fatto, per indurvi ad attaccarci in questo modo? Tutto quello che vogliamo è parlare con voi. – Forse siete davvero pazzi. – Cercherò di esprimermi con la massima semplicità possibile – disse Kirk. – Noi viviamo dentro un mondo che è come il vostro, ma più piccolo. Ci siamo accorti che eravate in difficoltà, e vi siamo venuti in aiuto. – Altri enigmi. Teologia. Dove si trova questo vostro mondo, nel sottosuolo? – In un certo senso. – Se scavaste nel punto giusto – aggiunse Larousse – lo potreste vedere, mentre si muove accanto al vostro. L'alieno fissò il tenente per parecchio tempo, poi girò le spalle ai
prigionieri. – Guardie... aiutate queste creature ad alzarsi. – Potreste vederlo! – insistette Larousse. – Credo che abbiate detto qualcosa di sbagliato – rilevò McCoy. – Non sono uno stupido, e neppure un blasfemo – affermò ad alta voce l'alieno. – Non cercate d'imbrogliarmi. – Le guardie sollevarono rozzamente in piedi gli umani e risistemarono loro le corde, in modo che rimanessero legati ma potessero camminare. – Non capisco, davvero – dichiarò Larousse, calmandosi. – Fa' finta che io sia un neonato, e spiegami perché non si può scavare fino all'esterno. – D'accordo, nel caso che questo sia qualche strano esame studiato dai maghi. Se scavi abbastanza in profondità, raggiungi il Fondo. Non c'è un "esterno", e il Fondo è dappertutto, tranne che nel Sotto, forse, ma credo che lo scoprirete da soli. Il comunicatore di Kirk stava trillando, ma lui non cercò di convincere l'alieno a slegarlo. – Il Fondo dev'essere lo strato di metallo a cui Spock... – Strato? – ripeté la creatura. – Metallo? Non esiste un metallo che non possa essere segnato o ammaccato. Quello è il punto in cui finisce il mondo, niente altro. – Si misero a camminare. – Dove ci portate? – Alla Casa di Educazione e Giustizia. – Il traduttore se la cavò molto bene con gli eufemismi. – Suppongo che là sarete ascoltati e interrogati, in attesa che arrivi il prossimo mago. Sembrava che la città stesse tornando alla normalità, dato che la piazza si riempì di nuovo, mentre loro ne venivano allontanati. Curiosi, gli alieni li osservavano dall'alto, tenendosi sospesi ai cavi con una mano o con un piede; a terra, invece, vi erano pochi pedoni e abbondava soprattutto il traffico di veicoli. C'erano mezzi muniti di ruote, che emettevano un sommesso sibilo e si lasciavano alle spalle un penetrante odore di ozono; carretti a pedali come gli jinrikishas, e perfino alcuni animali da tiro che somigliavano a piccoli buoi e che erano sempre guidati da alieni di dimensioni umane. – Perché alcuni di voi sono molto più grandi degli altri? – domandò Larousse. – Continua a fingere che io sia un neonato – aggiunse poi, nel silenzio che seguì. – Perché non la smetti di farfugliare assurdità? Mi sembra indegno di un mago. – Ti ci dovrai abituare – ribatté Kirk. – Non siamo maghi, e veniamo dall'esterno. – Come vuoi, blasfemo, ma non mi coglierai in contropiede. – Si
appiattirono tutti contro un muro, per lasciar passare un grosso carro carico di fiori dal profumo pungente. – Fingere che siate... bene, forse lo siete. Non ho mai visto uno nuovo, e tanto meno un nuovo mago, e certo non avete molti peli. – Il carro strideva troppo, e la conversazione cessò fino a quando non si fu allontanato. – Quelli alti sono i lan-chatalia, che vivono in campagna, mentre io sono un ven-chatalia, perché vivo in città. O forse vivo in città perché sono un ven. Voi maghi vivete nelle terre centrali, sopra il Sotto, e siete ela-chatalia. – Vuoi dire che i maghi ci somigliano? – chiese McCoy. – Oh, anche tu sei uno nuovo? – Ripresero a camminare. – Naturalmente, i signori della vita possono assumere qualsiasi forma, anche se di solito sembrano dei lan-chatalia un po' più grossi del normale. Hanno facce diverse e ali migliori. Li studiò tutti con attenzione. – Vorrei sapere perché vi hanno creati tutti senz'ali. Nella mia ignoranza, mi sembra un atto crudele. – Ne dovrò parlare alla mamma – borbottò McCoy. Percorso meno di un chilometro, giunsero a un alto edificio, oltrepassando quello che sembrava un portale aperto, anche se il chatalia armeggiò con esso, usando una serie di sbarrette simili a chiavi (che estrasse da una tasca naturale all'altezza della vita). Furono poi raggiunti da un altro chatalia, evidentemente un carceriere, e condotti verso un ascensore molto simile a un montacarichi di modello antiquato, mediante il quale raggiunsero l'ultimo piano. All'estremità di un buio corridoio si trovava un altro ingresso senza porta, che venne aperto dal carceriere. Dentro, vi erano parecchie basse cuccette, troppo piccole per dormirvi, un tavolo a tre gambe e un servizio sanitario dall'aspetto strano (una semplice depressione nel pavimento con una conduttura di scolo e un rubinetto sgocciolante). Una finestra aperta si affacciava su un centinaio di metri di aria e cavi. – Cosa c'impedisce di uscire dalla finestra e fuggire? – chiese Kirk, mentre lo slegavano. Il carceriere, che aveva tre nastri come quelli delle guardie e un quarto nero, disse qualcosa ai poliziotti, che venne riferito al capo con i tre nastri azzurri. – Non peggiorate la vostra situazione – lo ammonì questi. – Indirizzate i vostri scherzi contro di me o altri senza casta. – Il nastro in più dev'essere un simbolo di rango – azzardò Wilson. – Esatto? – Sto perdendo la pazienza. Aspettate... guardie! – L'alieno poggiò a
terra il traduttore e disse qualcosa ai suoi uomini. Poi, mentre gli umani avevano ancora le mani legate, procedette a prelevare i faser e le altre attrezzature appese alla cintura. – Lasciaci un comunicatore – chiese Kirk, quando il chatalia riprese il traduttore. – Un'altra parola senza senso. Quale di quelle cose è un "repabclo"? – Indicò il mucchio di oggetti. – A cosa vi serve? – A mantenere il contatto con l'esterno. L'alieno con i nastri azzurri mormorò qualcosa a una guardia, che parlò a sua volta con il carceriere e riferì quindi la risposta. – Anche se siete pazzi, avete comunque qualche diritto di proprietà, e potete conservare tutto, tranne le armi. – Raccolse i faser. – Dal modo in cui le avete usate, devono essere queste, giusto? – Sì – ammise Kirk. – Sono molto pericolose. Non devi permettere a nessuno di adoperarle. Un'altra scrollata di spalle. – Le conserveremo per il prossimo mago. Quanto agli altri oggetti... v'impegnate ad assicurarci che non sono armi? – C'erano due tricorder, uno medico e uno scientifico, cinque comunicatori e il medikit di McCoy. – Hai la mia parola. – Molto bene. Sappiate che se cercherete di fuggire o di far del male a qualcuno sarete uccisi tutti, indipendentemente dalla casta o dalla famiglia di appartenenza. È quanto prevede la legge, anche per i maghi. – Abbiamo capito. – Sarete mandati a chiamare. – L'alieno seguì il carceriere fuori dalla cella, imitato dagli altri; poi la porta invisibile fu richiusa. Quando l'ascensore si fu messo in moto con un lieve rumore, Kirk si accostò alla soglia e cercò d'infilare la mano nell'apertura, ma qualcosa lo arrestò. – È strano – commentò, spingendo ancora. – È una specie di campo a pressione, ma... – Appoggiò tutto il peso del corpo su un dito solo e poi ritrasse di scatto la mano, mostrando il polpastrello coperto di sangue. – Lasciatemi dare un'occhiata. – McCoy pulì la ferita, la sbirciò nella penombra, poi condusse Kirk accanto alla finestra per un controllo più accurato. – Sembra un taglio a reticolato, in piccoli quadrati, e sta già guarendo. – Premette a sua volta il dito contro la finestra e venne arrestato nello stesso modo, quindi aumentò la pressione, e ritrasse anche lui un polpastrello insanguinato. Lo pulì e scrutò l'apertura. – È uno schermo. – D'energia? – chiese Wilson.
– No, somiglia a un paravento, ma di metallo e non di plastica. Sono fili di una sottigliezza incredibile. – Funziona come una lama di coltello – rifletté Wilson, e si rivolse a Larousse. – Tenente, il tricorder scientifico non potrebbe dirci di che cosa è fatto? – Dovrebbe. – Larousse raccolse lo strumento e lo accostò alla finestra. – Non ne uso più uno da quando ero all'Accademia. Non serve molto, a un linguista. – Limitatevi ad attivare i sensori, sul canale B, e selezionate il disco chimico – spiegò Kirk, che si stava ancora osservando il dito. – Ponete la distanza sullo zero e accostate il tricorder allo schermo. Larousse lanciò uno sguardo al capitano e obbedì. – Si è accesa una luce rossa lampeggiante e c'è scritto "funzionamento difettoso dei sensori". Non c'è un override? – Qui.– Kirk ruotò una manopola. – Tentate ancora. Sul video apparve un ammasso confuso di lettere e di numeri... nella memoria dell'apparecchio non era registrato nessun composto o materiale che corrispondesse alle caratteristiche dello schermo... ma una riga rimase stabile: PESO ATOMICO (MOLECOLARE) 1132.4963. – Si deve trattare dello stesso materiale che circonda la nave – commentò Larousse. – Del Fondo. McCoy stava guardando fuori. – Usano animali da traino, e posseggono metalli ignoti alla nostra scienza. Vivono in un'astronave, e credono che essa costituisca tutto l'universo. Penso che faremmo meglio a chiamare Spock. – Lui riuscirà a capirci qualcosa? – domandò Wilson. – Forse, in maniera vulcaniana, ma in effetti voglio cogliere l'occasione per confondergli le idee. Diario del Capitano, Data Astrale 7504.5: La registrazione del Diario è effettuata dall'Ufficiale Scientifico Spock, in comando temporaneo. Il capitano Kirk e la sua squadra di approccio sono bloccati a bordo dell'astronave, perché il teletrasporto funziona a senso unico, e non può recuperare oggetti o persone che si trovino all'interno del vascello. Sono state avanzate parecchie teorie per spiegare questo fenomeno, e la più probabile sembra essere quella secondo cui la superficie esterna dell'involucro metallico della nave (individuabile sotto circa ottanta metri di roccia) è perfettamente liscia da un punto di vista ottico, a una frazione della lunghezza d'onda di un elettrone. Non abbiamo
idea di come ciò sia possibile, ma il risultato finale è che il teletrasporto non riesce a mantenere un'onda guida costante (perché le superfici convesse riflettono la sua energia in maniera divergente) e quindi può trasportare le cose all'interno dell'astronave ma non può effettuare uno scambio d'informazioni (e quindi di materiali) in senso inverso. Se tale teoria è esatta, ci basterà praticare una piccola breccia nella struttura e aprire un foro in un punto qualsiasi della superficie, perché il teletrasporto riprenda a funzionare. Stiamo comunque rimandando tale intervento, perché potrebbe essere considerato un'aggressione e danneggiare gli abitanti del vascello. Ho stabilito un succedersi di turni per le squadre di sicurezza, in modo che ce ne sia sempre una nella sala del teletrasporto, pronta a trasferirsi al primo segno di pericolo fisico. Attualmente, il capitano Kirk e i suoi uomini sono detenuti in una cella, in attesa di essere interrogati.
Una guardia aprì la porta invisibile della prigione, depose a terra un vassoio con cinque ciotole e si ritrasse in fretta. Il guardiamarina Moore ne prese una e l'annusò con cautela, facendo una smorfia. – Comunque, non avevo molta fame. – Quella roba non ci serve – replicò McCoy, avvicinandosi con il tricorder medico. – Possiamo farci mandare qualche razione da campo. Però sono curioso. Selezionò il disco nutritivo e piazzò una goccia vicino ai sensori. – Non vi ucciderebbe – decretò poi – a meno che non andaste avanti a mangiarne per una settimana. Contiene tracce di arsenico. – Contattarono la nave per avere il pranzo. Mentre stavano consumando le razioni da campo, la guardia tornò a prelevare le ciotole piene: scrollando le ali frusciami, l'alieno mormorò qualcosa con voce gutturale, e Moore gli rispose facendogli il verso, beffardo. – Scherzi a parte – commentò Larousse – sembra che l'alieno che ha parlato ora con noi usi un linguaggio del tutto diverso da quello delle guardie, più delicato e con una caratteristica pronuncia sibilante. – Fece una dimostrazione, emettendo fra i denti un fischio musicale. – Come può essere? – domandò Kirk, aprendo con cautela un involucro di pesche affettate. – Anche se all'inizio avevano lingue diverse, ci sarebbe da pensare che, dopo tremila anni, ne abbiano ormai adottata una comune. – Potrebbe trattarsi di una tradizione, linguaggi diversi per diverse attività. Per secoli, le funzioni religiose si sono svolte in latino, anche se la maggior parte dei fedeli non ne capiva più neppure una parola. – Oppure si tratta di una differenza nelle classi sociali – opinò Wilson. – Non dovremmo parlare con quelli che hanno il nastro simboleggiante il
rango. – È successo anche sulla Terra – annuì Larousse. – In un'epoca antecedente alla Rivoluzione Russa, l'aristocrazia locale parlava in francese. – Sono pronto a scommettere che non è così complicato – intervenne McCoy. – Un alieno che ascoltasse un uomo e una donna che parlano inglese, penserebbe a due idiomi diversi... farfugliamenti cupi e assurdità acute. Probabilmente, si tratta solo di differenze individuali nell'anatomia vocale. – Non credo – insistette Larousse.– Questo non ingannerebbe un linguista. Il comunicatore di Wilson trillò. – Rapporto situazione, signore? – chiese la sua controparte, in sala teletrasporto, quando lui aprì lo strumento. La chiamata arrivava ogni venti minuti esatti. – Rap-sit negativo. – Chiuse il comunicatore e sorrise. – Come definireste questa lingua? – Sicurezzese – commentò McCoy. – Voialtri mi ricordate... Sei guardie entrarono, armate in maniera anche più impressionante di prima, con diverse lance e con una specie di fionda che scagliava freccette appuntite. C'era anche il chatalia con i nastri azzurri, che portava con sé il traduttore. – Ora verrete con me. Lo seguirono in silenzio. Nell'ascensore, l'alieno abbassò lo sguardo sul traduttore e disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare: – Ho fatto qualche esperimento con questa macchina. È molto pericolosa... perché è stata inventata? – Perché le persone possano parlare fra loro, pur senza conoscere le rispettive lingue – spiegò Kirk. – Questo è ovvio. Ma, perché? Il capitano lanciò un'occhiata interrogativa a Larousse, ma anche il linguista era perplesso. – Penso che non abbiamo capito la tua domanda – dichiarò. – Ce ne saranno altre – avvertì il chatalia, mentre la porta si apriva. Qui non c'era corridoio, ed entrarono subito in un'ampia stanza. Le quattro pareti erano coperte da un ininterrotto mosaico, in lucide piastrelle di ceramica, nel quale erano inseriti, qua e là, alcuni cristalli lucenti, forse gioielli; i colori vivaci formavano accostamenti violenti, privi di senso per l'occhio umano, e il soffitto era coperto da una fosforescenza uniforme. Una trentina di chatalia fissavano gli umani da tre file di trespoli, su cui
sedevano con i piedi raggomitolati e le ali pendenti lungo la schiena, simili a pelosi uccelli da preda. In fondo alla stanza, un singolo alieno era appollaiato su un trespolo sopraelevato rispetto agli altri. Nella confusione, sembrava comunque esserci una certa struttura dominante: le creature erano suddivise in base ai loro nastri. Tutte ne avevano quattro, i primi tre rispettivamente rosso, arancio e verde, mentre il colore del quarto variava. Nella fila più vicina era nero, in quella successiva rosso, e nell'ultima argento. Il chatalia isolato portava una successione di nastri rosso, arancio, verde e oro. – I maghi... – cominciò a dire questi, e il traduttore si disattivò. – Ehi! – esclamò McCoy. – Così noi non sentiamo... L'alieno gli rivolse uno sguardo inespressivo e gli girò le spalle. – Mi chiedo se sia un tribunale – borbottò Wilson. – Credo che lo scopriremo – rispose Kirk. – Comunque, si tratta di qualche rituale preciso. L'ultima fila stava ascoltando con attenzione le parole di quello che era ovviamente il capo, tenendo la testa piegata con un'angolazione impossibile. Tutti gli altri guardavano fisso davanti, e le guardie di scorta ai prigionieri contemplavano il suolo. Quando il chatalia isolato smise di parlare, la fila di mezzo (quella con il nastro rosso), si girò e ascoltò uno dei compagni con il nastro argento; quando anche questi ebbe finito, un portavoce con il nastro rosso si rivolse agli alieni con il nastro nero. – Sembra che stiano dicendo tutti la stessa cosa – commentò Larousse. – È una cerimonia religiosa – dichiarò McCoy. – Verremo tutti sacrificati. – Avanti, Bones – lo rimproverò Kirk – cercate di essere serio. – E chi sta scherzando? Giunti alla fase finale del rito, il chatalia che si trovava al centro dell'ultima fila apostrofò il gruppo in piedi. L'alieno che fungeva da interprete si voltò verso i prigionieri e rimise in funzione il traduttore. – Il capo della polizia vorrebbe sapere se siete pronti a confessare la verità. – È tutto ciò che ha detto?– domandò Kirk. – Tutto ciò che voi dovete sentire. – Allora questo è tutto quello che lui deve sentire – ribatté il capitano, avanzando verso la macchina e alzando la voce. – Le nostre parole corrispondono a verità! – S'inarcò bruscamente in avanti quando le punte di due lance gli urtarono la schiena.
I chatalia sui trespoli stavano fissando le pareti, il pavimento, il soffitto... qualsiasi cosa tranne Kirk. – Vuoi morire? – chiese l'alieno con i nastri azzurri, poi disattivò il traduttore e parlò in fretta agli occupanti la prima fila. Le guardie lasciarono andare Kirk. Quando l'interprete ebbe finito, le creature con il nastro nero comunicarono con la fila successiva e il procedimento di prima si ripeté in senso inverso. – Come riusciranno mai a concludere qualcosa? – commentò McCoy. – È impossibile che lo facciano sempre – spiegò Larousse. – Deve avere un significato rituale. Un minuto più tardi, arrivò la risposta del chatalia con il nastro dorato. – Il capo della polizia vi ricorda che il suo compito è quello di far osservare il giusto comportamento, non quello di filosofeggiare. Siccome siete maghi, rinvierà il giudizio e attenderà che qualche membro della vostra famiglia valuti il vostro insano atteggiamento. – Credo che sia ora di cominciare a mentire, Jim – sussurrò McCoy. – Avete ragione. – Il capitano si rivolse al chatalia con il traduttore. – Non sembri temerci molto. Perché? Sai quello che possiamo farti, o almeno pensi di saperlo. – Allora ammettete di essere maghi senza casta. – Non ammettiamo nulla. Noi non dobbiamo rispondere a te, ma voi risponderete delle vostre azioni, se ci verrà fatto del male. – Non vi abbiamo recato alcun danno – Il chatalia mosse le mani in una sequenza complessa, poi si rivolse all'uditorio. – "Un comitato" – citò il dottore – "è un organismo con molte teste e nessun cervello". Questa situazione comincia a sembrare sempre meno aliena. – Il capo non prenderà in considerazione le minacce – Fu il risultato del succedersi di domande e risposte. – Vi ricorda che la casta ha la precedenza sulla famiglia. – Ma noi non abbiamo casta. – Esatto. Quindi dovete capire che il capo della polizia vi può anche imprigionare o condannare a morte, a meno che un mago di casta primaria non lo proibisca. – Non oserebbe ucciderci – rispose Kirk, in tono tranquillo... poi ricordò che forse la sua intonazione non aveva significato per quegli esseri. – Non credete che ci sarebbero rappresaglie? – Non sta a me...
– Qualche mago è mai stato messo a morte? – Stava andando alla cieca. – Questo esula dalle preoccupazioni della mia famiglia. Inoltre, voi avete inizialmente sostenuto di non essere maghi, mentre ora affermate di godere della protezione di quella famiglia. – Aspetta – intervenne McCoy. – Forse posso chiarire meglio la cosa. Conosci il significato del termine "amnesia"? – Certo. – Dunque. – Il medico trasse un profondo respiro. – Potremmo appartenere a qualche altra famiglia, a parte quella dei maghi, in base al nostro aspetto? – Non credo – ammise il chatalia. – A meno che non siate macchine create dai maghi per qualche scopo. – Posso perfino ammettere quest'ipotesi – proseguì, lento, McCoy. – Comunque, ascolta: per quello che ne sappiamo, siamo venuti dall'esterno... può essere blasfemo, ma è la verità, come noi la conosciamo. Non sappiamo nulla di famiglie o di caste... non potrebbe darsi che siamo maghi in preda ad amnesia? – E ad allucinazioni – aggiunse il chatalia, dopo una lunga pausa. – Possiamo quindi chiedervi di aiutarci a ritrovare un po' di orientamento, in modo da capire almeno di cosa stiamo parlando? – Ora mi informo. – L'interprete trasmise la richiesta, e presto arrivò la risposta. – Potete, ma siate brevi. – È meglio che ci pensiate voi, Larousse – suggerì il dottore. – D'accordo. Spiegami le famiglie... quante e dove sono? – Sono duecentocinquantasei, alcune senza membri. Io appartengo alla famiglia degli interpreti, mentre tutti gli altri presenti in questa stanza sono controllori del comportamento, a parte voi, che mancate degli ornamenti d'identificazione, come i maghi. – Come può una famiglia non avere membri? – Se la sua funzione cessa, allora i membri non vengono sostituiti, quando muoiono. Io ricordo ancora quando è morto l'ultimo degli anziani alfgan. Naturalmente, gli alfgan avevano già cessato di moltiplicarsi da tempo. – I nastri identificano la tua famiglia? – Famiglia e casta. – E il tuo mestiere è determinato dalla famiglia in cui nasci? Ci fu una pausa. – Non capisco. – Per esempio, potresti essere un controllore del comportamento, se lo volessi? Oppure, loro potrebbero diventare interpreti?
– Naturalmente no. Non sono fatti... Il comunicatore di Wilson trillò. Il tenente lo estrasse dalla cintura e guardò verso il capitano. – Rapporto negativo – disse questi. – Rapporto situazione? – domandò la voce metallica, quando Wilson aprì lo strumento. – Rap-sit negativo – rispose. L'interprete fece un cenno con la mano e una delle guardie controllò il comportamento del capo della sicurezza, appoggiando gli contro il petto la punta di una lancia. – Di chi stai parlando? Chi è "l'amministratore negativo di prima casta"? – Cosa? – La macchina non funziona alla perfezione – spiegò Larousse, cercando di non sorridere. – Non conosce la parola rap-sit, quindi l'ha ritradotta impiegando quella più simile ad essa... "satrapo", cioè una specie di amministratore di prima classe. – Perché ha parlato in quella piccola macchina? – È in contatto con la nostra gente, fuori. Fa parte delle nostre allucinazioni – si affrettò ad aggiungere. – Ci chiamano ogni venti minuti, per essere certi che non corriamo pericoli. Se non rispondiamo, ci verranno in aiuto. – Notevole – commentò l'interprete, poi si girò e fece un discorso, mentre Wilson aspettava la risposta con aria tesa. L'alieno rivolse un cenno alla guardia e si ritrasse, lentamente. – È opinione del giudice che il suo interrogatorio stia diventando pericoloso. Il nostro mago arriva domani, e la questione rimarrà in sospeso fino ad allora. – Risponderai ad altre domande? – volle sapere Larousse. – Nella vostra cella? – L'alieno si girò un poco, come per chiedere il permesso al giudice, poi disse: – Certo... se anche voi risponderete alle mie. CAPITOLO IV Diario del Capitano, Data Astrale 7505.2: Ci stiamo mantenendo in condizione d'allarme. Grazie alle abili domande formulate dal capitano Kirk e dalla sua squadra, abbiamo un quadro abbastanza completo della società chataliana. Ogni individuo appartiene a una famiglia e gli viene assegnato un livello di casta;
può parlare soltanto con i membri della sua casta, o con quanti appartengono a quella immediatamente superiore o inferiore a essa. L'isolamento dell'individuo è ulteriormente intensificato dal fatto che ciascuna famiglia ha un suo linguaggio (tecnicamente, in alcuni casi si tratta di dialetti, piuttosto che di lingue distinte), per cui un carpentiere di seconda classe potrebbe parlare con un panettiere di seconda classe, ma non riuscirebbero comunque a capirsi. Di conseguenza, una delle famiglie più numerose è quella degli interpreti, in quanto qualsiasi transazione, che non sia al livello del semplice baratto, richiede l'intervento di uno di questi chatalia. I maghi, il cui numero è relativamente scarso, sono esenti da restrizioni di casta e possono parlare con chiunque, pur avendo anch'essi bisogno dell'interprete; evidentemente, sono suddivisi in due caste, prima e seconda, e gli individui appartenenti alla prima vengono visti di rado. Essi vivono in un'area distinta, un'isola posta al polo "nord" (solitamente quello anteriore) della sfera. Sembra che la loro funzione primaria sia la riproduzione, che secondo il nostro informatore viene effettuata con l'uso della magia. La popolazione è sottoposta a uno stretto controllo e, quando un individuo muore, il rimpiazzo viene consegnato dopo un periodo di tempo di circa due anni. La parola "bambino" non ha, per i Chatalia, un termine corrispondente. Secondo il nostro informatore, i maghi consegnano individui già adulti ai lan-chatalia, che vivono nelle aree rurali circostanti la città; là essi vengono addestrati e, infine, inviati alle varie famiglie.
– Questa è certo la struttura sociale più assurda di cui abbia mai sentito parlare – commentò Uhura. L'equipaggio del ponte era inattivo, perché non c'era molto da fare fino a quando la squadra di Kirk non si fosse svegliata. – Non è ortodossa, ma certo vi è in essa una logica ammirevole – replicò Spock. – Logica? – Sulu era incredulo. – Non riesco a immaginare un modo meno efficiente di funzionare. – In questo contesto, l'efficienza è subordinata alla stabilità... il che è ragionevole, se si considera che una popolazione di quasi un milione d'individui doveva essere preservata per centinaia di generazioni, su un territorio grande quanto una piccola isola. – Quindi credete che i Chatalia originali fossero diversi – osservò Uhura. – Che abbiano organizzato questa società come una specie d'immenso equipaggio d'astronave... – E abbiano fatto dimenticare ai suoi membri di essere su una nave spaziale? – concluse per lei Sulu. – Sembra che sia necessariamente così – confermò Spock. – Ci sarebbe da congetturare, naturalmente, che l'effettivo equipaggio, incaricato di mantenere in funzione la nave, sia quello della famiglia dei maghi. Gli altri
vengono lasciati nell'ignoranza, perché sarebbe psicologicamente doloroso per loro sapere di essere impegnati in un viaggio di cui non potranno vedere la conclusione. – L'ignoranza è una benedizione – dichiarò Sulu. – Uno strano concetto. – L'intercom trillò, e il primo ufficiale rispose. – Parla Spock. – Signor Spock, sono il guardiamarina Berry, dalla sezione cartografica. – La voce della donna era inasprita dall'eccitazione. – Abbiamo trovato i rottami di un'astronave sulla superficie del planetoide. Il primo ufficiale aveva ordinato la stesura di una mappa dell'asteroide, nella speranza di scoprire un accesso al suo interno. – Che tipo di astronave? Dateci un'immagine, per favore. – Non si tratta di un modello attuale. – L'immagine apparve sullo schermo visore principale, oscurata dalle onde e dalle strisce prodotte dall'interferenza del campo magnetico. – In base alle linee generali, sembra però una nave klingoniana. – Effettivamente sì, anche se è un disegno primitivo. Computer. – In funzione – rispose la macchina. – Esamina la nave rappresentata sullo schermo visore del ponte. Possiedi registrazioni di altri vascelli di disegno simile... in particolare di navi klingoniane? – Non esistono registrazioni di questo genere. I dati sottratti ai Klingon si riferiscono al massimo a vascelli vecchi di centoquattordici anni. Quello raffigurato sullo schermo presenta qualche somiglianza con gli incrociatori a lungo raggio di quell'epoca, il che potrebbe farlo risalire a un periodo di parecchi secoli antecedente a quello noto, se la nostra comprensione della storia klingoniana è accurata. – Molto bene. Guardiamarina Berry, avete qualche lettura biosensoriale relativa a quella nave? – Negativo, signore. C'è troppa interferenza; il rapporto fra segnali e disturbi è molto scarso, da questa distanza. – Grazie, guardiamarina. Per ora è tutto... Signor Sulu, formate una squadra composta da tre uomini della sicurezza e da un etnologo, scegliendo quello che ha maggiori cognizioni per quanto riguarda la società klingoniana... credo che si tratti del tenente Sydny... e fatevi consigliare dal signor Scott qualcuno esperto in astronavi antiche... a parte lui stesso. Prelevate le tute di protezione e fatevi teletrasportare nel vascello. – Sì, signore! – Sulu era già a metà strada dal turboelevatore.
– Signor Sulu... – Signore? – Usate la massima cautela. Niente è come sembra. – Sì, signore. – Il tenente oltrepassò in fretta le porte del turboelevatore. – Molto strano – osservò Spock, modificando i comandi dello schermo per ottenere il massimo ingrandimento. – Mi chiedo cosa possa aver causato quel genere di danni. – Era evidente che la nave non era stata perforata, ma deformata, incassata come se una mano enorme si fosse chiusa su di essa. – Raggi trattori? – suggerì Uhura. – È una possibilità... ma in quel caso la pressione sarebbe stata esercitata con maggiore uniformità. C'è qualcosa di strano... certamente! La nave non dovrebbe neppure essere là! – Cosa intendete dire, signore? Spock azionò il pulsante dell'intercom. – Signor Sulu. Contattate il ponte, prego. – Un momento più tardi, il tenente rispose. – Non trasferitevi direttamente sulla nave, non subito. In essa vi è un'anomalia. Non c'è motivo per cui i rottami debbano rimanere sulla superficie: il planetoide sta ruotando e decelerando, e certo non è abbastanza massiccio da fornire una gravità sufficiente, per cui la nave se ne sarebbe dovuta distaccare non appena effettuato il contatto. "Di conseguenza, il vostro primo compito è quello di scoprire cosa la trattiene sulla superficie. Prendete gli uomini della sicurezza e teletrasportatevi accanto a essa; dopo che avrete trovato una spiegazione soddisfacente, vi potrete trasferire all'interno." – Potrebbe trattarsi di magnetismo? – chiese Uhura. – Intanto, non escluderei ancora nessuna ipotesi. Ma credo che l'attrazione magnetica sarebbe insufficiente, anche se i rottami fossero fatti di ferro. – Forse è una trappola. – Mi sembra improbabile. – Il primo ufficiale si rivolse a Chekov, che occupava la postazione degli armamenti. – Signor Chekov, se dovesse accadere qualcosa al signor Sulu, tenetevi pronto a reagire con la forza. – Sì, signore. – Al mio comando, azionate la prima batteria dei faser, con regolazione minima di energia, e scegliete un qualsiasi bersaglio sul planetoide, a parte il sistema di propulsione o il generatore del campo magnetico. È preferibile provocare un danno che possiamo poi riparare. Si rivolse quindi a Uhura. – Tenente, se sarò costretto a intraprendere
una simile azione, voglio che la squadra di approccio venga riportata a bordo non appena il planetoide sarà perforato. Volete provvedere al riguardo? – Sì, signor Spock. – La donna contattò Scotty e collegò la sala del teletrasporto alla propria consolle. Il vulcaniano continuò a fissare, impassibile, l'immagine sullo schermo. Erano almeno due anni che Sulu non indossava una tuta spaziale. Essa gli provocava un senso di claustrofobia, accentuato dalla necessità di portare anche guanti e stivali trattori (in modo che la rotazione del planetoide non scagliasse gli uomini nel vuoto). I quattro membri della squadra occuparono le postazioni del teletrasporto, e Sulu sollevò i pollici per segnalare a Scott che erano pronti. La superficie dell'asteroide somigliava a quella della Luna, se fosse stato possibile liberare la Luna dalla polvere e dalle rocce smosse. L'orizzonte era a meno di un chilometro di distanza; le stelle ne oltrepassavano in fretta il limitare ed erano troppo vivide e luminose perché, in mancanza di altre fonti d'illuminazione, le tute ne amplificavano automaticamente il chiarore per rendere visibile il terreno circostante. La nave klingoniana giaceva rovesciata, alla loro destra, e così si diressero da quella parte, camminando come se fossero stati immersi in un denso sciroppo, a causa degli stivali trattori che li agganciavano alla superficie. – Finora non abbiamo trovato cavi, o altre attrezzature di sostegno – riferì Sulu. Teneva a tracolla un tricorder scientifico che, a causa della rotazione, gli rimaneva sospeso sulla testa. D'un tratto, l'uomo che procedeva a destra del tenente incespicò. – Aiuto! – gridò; Sulu cercò di afferrarlo, ma non ci riuscì, e quello andò alla deriva nello spazio, dapprima lentamente, poi con rapidità sempre maggiore. (Così sembrò, almeno, a Sulu e agli altri due uomini della sicurezza, ma in effetti il membro dell'equipaggio era stato proiettato in fuori, in linea retta e con velocità costante, come un pezzo di gomma potrebbe staccarsi da un pneumatico in movimento. In realtà, era Sulu ad allontanarsi da lui, perché gli stivali lo tenevano agganciato alla superficie rotante del planetoide.) – Signor Scott, Jakobs è inciampato e si sta separando da noi. Potete intercettarlo e ritrasferirlo qui? – Scotty confermò che lo avrebbe fatto. – Tutti fermi dove siete fino al ritorno di Jakobs. Quindi Sulu tirò a sé il tricorder, e ne puntò i sensori verso la nave
klingoniana. – Lo scafo è formato soprattutto da alluminio e magnesio – riferì a Spock. – Credo che questo escluda il magnetismo. – Modificò la regolazione dello strumento. – La temperatura è di dodici gradi, la stessa del planetoide. – Guardate qui, signor Sulu. – Uno degli uomini di sicurezza era inginocchiato, con una mano protesa. – Dev'essere stato questo a far inciampare Jakobs. Il tenente diede un'occhiata, ma non scorse nulla; poi protese una mano e avvertì una resistenza. – Un campo di forze? Jakobs tornò in quel momento, e spiegò cosa gli era accaduto. – Stavo camminando verso la nave, e sono passato su un ostacolo invisibile, più o meno qui. – Era la stessa barriera. Seguendone al tatto i contorni, stabilirono che si stendeva per circa un centinaio di metri, che correva lungo il perimetro del vascello e che probabilmente lo circondava del tutto. Il tricorder, tuttavia, non individuava altro campo tranne quello magnetico associato al colpo di pistone Bussard. Spock dedusse, però, la natura dell'ostacolo. – Controllate se è presente qualche metallo – suggerì. Sulu obbedì, e ottenne sul display video del tricorder un miscuglio di lettere e di numeri in cui una sola riga aveva senso: "PESO ATOMICO (MOLECOLARE) 1132.4963". Evidentemente, la nave era trattenuta dallo stesso materiale che formava le porte e le finestre della Casa di Educazione e Giustizia, dentro il planetoide. Tentarono di fonderlo, ma il raggio concentrato di quattro faser produsse soltanto una pozzanghera di roccia fusa sotto la barriera, senza avere alcun effetto sul materiale in se stesso. Spock richiamò a bordo la squadra, che venne raggiunta in sala teletrasporto da altri due membri. Il tenente Sydny era una giovane donna bruna d'incredibile bellezza; non amava le tute spaziali, ma fino a quando non si fu messa anche il casco, il suo aspetto rimase tale da ridurre Sulu in gelatina, con uno sguardo. – Non credo che troveremo qualche klingon a bordo. – Uh, no, no. – Sulu stava fissando il pavimento. – La... temperatura dell'ambiente, sapete... – La nave è troppo fredda. – Sì... esatto. – Ma dovrebbe essere interessante lo stesso. – D'accordo – intervenne Scott, fermo accanto ai comandi. – È tornata indietro. – Non volendo commettere due volte lo stesso errore, aveva trasferito nella nave klingoniana una sonda passiva, riportandola poi a
bordo: era evidente che la rete non aveva sul teletrasporto lo stesso effetto provocato dalla sottostante superficie convessa. I membri della squadra s'infilarono i caschi e presero posto. – Accendete le luci della tuta – raccomandò Sulu. Quando gli altri ebbero obbedito, Scott azionò il raggio trasferitore. All'interno della nave klingoniana, il ponte era coperto da uno strato di brina azzurrina spessa un dito: era aria ghiacciata. Mentre gli uomini dell'Enterprise percorrevano un corridoio buio, filamenti di vapore volteggiavano intorno a loro, perché l'aria congelata veniva fusa e fatta evaporare dal calore emanato dalle suole degli stivali. S'imbatterono due volte in porte sigillate, ma Sulu e Jakobs le aprirono senza difficoltà con i faser. L'ultima di esse dava accesso alla sala di controllo. Uno dei klingon era evidentemente sopravvissuto fino alla fine. Indossava una tuta spaziale simile alla loro e, prima di morire, si era tolto l'elmo. Aveva gli occhi e la bocca pieni di ghiaccio, e la pelle era diventata cuoio gelato. Gli altri, undici in tutto, avevano un aspetto ancora più sgradevole: era chiaro che si erano suicidati in massa, e che il freddo li aveva preservati in uno stato di avanzata decomposizione. – Tenente Sydny – chiamò Sulu. La ragazza non rispose immediatamente. – Sì, signor Sulu – disse dopo un poco. – Potete decifrare il pannello di comando, per riuscire a recuperare il diario di bordo? – Non lo so. – Il tenente oltrepassò lentamente lo sguardo ghiacciato del klingon seduto e riversò la luce della tuta sulla consolle. – I simboli sono strani, ma la lingua sembra simile al klingoniano moderno. Ecco. Non hanno un diario di bordo, ma nel computer figura una modalità di registrazione che è indicata come "lezioni", oppure "insegnamenti", in senso letterale. Però non so come rintracciare i collegamenti e separare questo banco di memoria. – Forse potrei capirlo io – intervenne il guardiamarina Masters, l'esperto in navi antiche che Scott aveva raccomandato. – Posso dare un'occhiata? – Procedete pure – rispose Sulu. Ci volle quasi un'ora di attento lavoro con il microfaser e, durante quel tempo, i tre uomini della sicurezza e Sydny controllarono il resto del vascello, registrando alcune immagini ed effettuando misurazioni da trasmettere al Comando di Flotta. Non trovarono altri cadaveri, anche se le dimensioni del dormitorio indicavano che l'equipaggio klingoniano doveva essere stato formato da centotredici membri.
Tornarono quindi a bordo e affidarono il diario con le "lezioni" al computer dell'Enterprise. TRASCRIZIONE PARZIALE DEL DIARIO DI BORDO KLINGONIANO (Nota: alcuni dati sono stati cancellati dall'infiltrazione del campo magnetico oltre gli schermi. Le date sono scomparse, ma i seguenti estratti sono in ordine cronologico, basato sulla supposizione che il sistema klingoniano abbia effettuato la registrazione partendo dall'apice del cristallo di memoria e procedendo verso la base.) D'un tratto, la nostra situazione è diventata disperata. Nessuno dei soldati è riuscito a comunicare dall'interno del planetoide, e i tentativi di riportarli a bordo sono serviti soltanto a surriscaldare i cristalli del teletrasporto. Considerate le condizioni disperate in cui versiamo, abbiamo accondisceso a tentare di contattare (i vermi), ma essi non rispondono su nessun canale. Abbiamo inviato all'interno altri cinquanta uomini. (Giorno successivo). Un mortificante fallimento! Ho sacrificato due dita sull'altare, e ancora non riesco a trovare pace. Il mio vicecomandante, un buon soldato, ha offerto la sua testa. Non sopporto di registrarne il sacrificio. (Molto più tardi). Siamo rimasti soltanto noi preti. Il freddo aumenta. Nel registrare questo fallimento, rischio di cadere nella blasfemia. Invoco ogni (non traducibile) maledizione sulla putrida anima di qualsiasi bastardo straniero che possa vedere tutto questo, e prego perché i futuri fratelli che possono trarre insegnamento dalla nostra sorte ne ricavino (amara) liberazione. Per purificare quest'atto, richiedo le teste di tutti i preti superstiti, sùbito! È fatto. Io sopravvivo per guardarli marcire; la mia è la penitenza più terribile. I fatti si sono svolti come segue. Non siamo riusciti a contattare il vascello padre, a causa del campo magnetico di questi pagani. Durante un periodo di (parecchi giorni), abbiamo teletrasportato entrambe le compagnie di soldati all'interno del planetoide. Soltanto allora, il capitano si è esposto all'imbarazzo di chiedere rinforzi. Quando abbiamo cercato di allontanarci dall'asteroide per contattare il
vascello padre, abbiamo scoperto di essere intrappolati da un reticolato di materiale apparentemente indistruttibile. Il tentativo di liberarci è servito solo a deformare la nave, quasi schiacciandola. I pagani ci hanno attirati come (un pesce all'amo), e la rete ha in qualche modo prosciugato le energie della nave; quando abbiamo toccato la superficie del pianeta, abbiamo cercato di abbandonarla, per morire combattendo, ma non disponevamo più dell'energia necessaria per il teletrasporto. Nello stesso modo, quando il capitano ha cercato di fare esplodere il vascello, sovraccaricando i motori a curvatura, non è accaduto nulla. Il capitano, insieme a tutti membri dell'equipaggio ancora a bordo, tranne i preti, si è consegnato allo spazio, mentre noi siamo rimasti per assaporare la terribile sofferenza della sconfitta. A mano a mano che (i vermi) prosciugavano le scorte di energia, ci siamo spostati tutti nella sala di controllo, che dovrebbe rimanere calda per il tempo sufficiente a permettere alle teste dei miei fratelli di marcire, come deve accadere. Se qualsiasi fratello futuro dovesse trovare questa registrazione, che mi presti ascolto! Questo mondo è una maledizione! Non si tenti di conquistarlo... lo si distrugga! Trasformate la nostra putredine in cenere. Mandateci a casa, all'inferno. – Un documento notevole – commentò Spock. – Non sembra che siano cambiati molto, con il trascorrere dei secoli. – Mi chiedo quanto fossero distanti dal planetoide, quando sono stati agganciati – si domandò Chekov. – Una valida osservazione – annuì Spock. – Ci dovremmo allontanare quanto più possibile, senza rompere il contatto con la squadra di approccio. – Non so con certezza quale sia la portata del teletrasporto, in queste condizioni – affermò Uhura – ma i comunicatori ai neutrini hanno un limite ben preciso, dovuto a un'attenuazione in base alla legge dell'inverso dei quadrati e al disturbo per interazione debole. Forse un migliaio di chilometri, ma probabilmente anche meno. – Qual è la distanza attuale, signor Sulu? – Duecentotrentuno punto cinquantanove chilometri, fra i centri di massa; centoventidue punto novantanove chilometri, dal teletrasporto alla superficie. – Portateci a settecento chilometri fra i centri di massa.
– Sì, signore. – Le mani dell'orientale danzarono sulla consolle, poi Sulu si fermò, accigliandosi, e premette vari pulsanti parecchie volte, con forza. – Ci hanno presi, signore – riferì quindi, in tono rassegnato. CAPITOLO V Kirk e i suoi uomini si svegliarono poco dopo che la nave klingoniana distrutta era stata scoperta, e seguirono le fasi della sua esplorazione per circa un'ora, fino al ritorno dell'interprete. Questi, che si chiamava W'Chaal, era diventato sempre più amichevole, la sera precedente, durante lo scambio di domande e risposte. Non credeva davvero alla loro storia assurda, ma era disposto a concedere che si trattasse di un'allucinazione; tuttavia, quando cominciarono a discutere della faccenda di quel vascello naufragato "all'esterno", la sua risposta fu gentile ma irremovibile: – Per favore. Per il gusto della discussione, ho accettato che il nero fosse bianco, ma ora volete farmi credere anche che il caldo sia freddo. Che altro ancora? Sosterrete che l'alto è basso, che un ven è un ela! – Suppongo che tu abbia ragione – ammise Kirk, ridendo. – Moore, vorreste persistere in quest'allucinazione e mantenere il contatto? – Sì, signore. – Quando incontreremo questo mago? – chiese McCoy a W'Chaal. – Adesso è giù – replicò l'interprete. – Ci sono alcune formalità da osservare e, forse, ha altri affari da sbrigare. – Cosa ci dobbiamo aspettare? – domandò il capitano. – Conosci questo specifico mago? – Gli ho parlato. È come tutti gli altri. – Kirk rimase in silenzio, e il chatalia aggiunse: – Riservato, freddo, superiore. Molto conscio del suo potere. – Deduco che il suo potere su di noi sia considerevole – interloquì Wilson. – Ci potrebbe fare uccidere. – Mandarvi in Basso, sì. La vera morte, senza sostituzione. – S'interruppe, forse preoccupato dal contatto avuto con gli umani, poi proseguì in fretta: – Ma certo non avete nulla di cui preoccuparvi. Deve sapere tutto di voi. – Non ci farei affidamento – replicò il dottore. – La scorsa notte – disse Larousse – tu ci hai... – Un momento – intervenne Moore, accostando il comunicatore
all'orecchio. – Ci sono dei guai! Tutti lo stavano fissando, quando il mago valicò la soglia. – Alzatevi, stolti – intimò. Era di tutta la testa più alto di Kirk, e differiva talmente da W'Chaal che sarebbe anche potuto appartenere a un'altra specie. Una robusta muscolatura, rigata da venature, sporgeva sotto il pelo ispido, rado e nero; le ali erano di lucido cuoio nero, la testa più grossa e più umanoide, la bocca molto grande e munita di zanne. Sembrava l'immagine di Satana, dipinta da un'artista medievale. – Mio Dio! – esclamò Larousse, obbedendo. – Ci ha parlato in klingoniano! L'Enterprise era passata ai sistemi d'emergenza, per conservare energia, e le luci normali erano state sostituite da quelle rosse di sicurezza. Il turboelevatore procedeva con lentezza e le porte andavano aperte manualmente. Spock le spinse di lato ed entrò nella sala motori, sbattendo le palpebre per l'oscurità che vi regnava. – Signor Scott? – Sono qui, signore. – L'illuminazione normale della nave era già piuttosto tenue per il vulcaniano, che con quella di emergenza era virtualmente cieco. Accese una lampada a mano e individuò il capo ingegnere grazie al suo raggio. Glak Sôn gli era accanto. – Qualche cambiamento? – No, signore. Ciò che ci sta privando dell'energia, qualsiasi cosa sia, lo sta facendo a velocità di curvatura nove. – E tale velocità aumenta con l'accrescersi dell'energia da noi usata? – Esatto. – Scotty si rivolse a Glak Sôn. – Riferite i vostri calcoli al signor Spock. – Con il ritmo attuale, i sistemi di supporto vitale continueranno a funzionare per diciotto giorni e quattro punto sessanta sette ore. – Quell'alieno piccolo e peloso era un aiuto prezioso, adesso che il computer era inoperante. – Tuttavia, se vogliamo trasportare tutti all'interno del planetoide, lo dovremo fare entro quattro giorni e nove punto diciotto ore. – Anche questa sarebbe una misura momentanea – osservò Spock. – Alla fine, dovremmo mangiare il loro cibo, e il dottor McCoy ha scoperto che contiene arsenico. – Mi piace l'arsenico – rispose Glak Sôn. – Quello che dobbiamo fare – proseguì Spock – è isolare l'equipaggio e tutte le scorte necessarie in un'area ristretta al massimo e poi chiudere le strutture di supporto vitale in tutto il resto della nave.
– Sì – convenne Scott. – Possiamo mettere qui il teletrasporto portatile e chiudere le installazioni fisse. – Molto bene. – Il vulcaniano indugiò, poi riprese a parlare, quasi fra sé. – Possiamo spostarci sul ponte di emergenza, su questo livello, e chiudere tutto al di sopra del ponte sei. Trasferiremo la sezione medica nell'area ricreativa e concentreremo l'equipaggio sui ponti dal diciotto al venti. È possibile ruotare la nave? – Ruotarla, signore? Una lieve nota di esasperazione affiorò nella voce di Spock. – In modo da trarre vantaggio dalla rotazione del planetoide, quando ne toccheremo la superficie, e da escludere anche il generatore di gravità artificiale. – Sì, Signor Spock, credo che sia fattibile. – L'accento di Scotty era praticamente scomparso. – Provvedete, e informate il tenente Uhura. – Scotty si accostò alla consolle di controllo. – Potete rifare i calcoli, Glak Sôn? – Dovrei verificare la funzione esatta per l'attingimento di energia da parte del generatore gravitazionale – rispose l'alieno. – Questo comunque dovrebbe raddoppiare i tempi. Circa trenta giorni, o sedici, se ci teletrasportiamo sul planetoide. – Molto bene. Entro quel termine dovremmo ricevere aiuti. – Uhura aveva inviato una richiesta di soccorso non appena si erano accorti di essere stati intrappolati, ma la statica generata dal campo magnetico impediva loro di sentire l'eventuale risposta. Forse, la statica aveva anche distorto il segnale di soccorso, ma nessuno accennava a quella possibilità. Spock: È estremamente sgradevole che una simile emergenza si sia verificata sotto il mio comando, ma non c'è stata assenza di precauzioni da parte mia. Non disponevamo di alcun dato, fino a quando non abbiamo individuato la nave klingoniana. Supposizione: se avessi iniziato la separazione dal planetoide non appena trovato il vascello schiantato, avremmo evitato la cattura? È ovvio che i dati sono inadeguati. Potremmo essere stati intrappolati sùbito dopo aver raggiunto l'asteroide, anche se può darsi che siano state le nostre indagini sulla nave in rovina a far scattare una forma di difesa automatica. Un simile discorso non può sostituire la logica. Dobbiamo accettare il
problema come una condizione di base e non preoccuparci della sua causa, fino a quando non saranno disponibili ulteriori informazioni. E la causa dovrà essere ricercata solo come possibile strada per arrivare a una soluzione... non come strumento per attribuire o negare responsabilità individuali. Questo è un impulso esclusivamente umano e uno spreco di energie. Energia: i cristalli di dilitio, per lo meno, non sono danneggiati. In qualsiasi modo ci stia influenzando il planetoide, l'effetto della rete è un prosciugamento simmetrico di materia e antimateria dalla nostra scorta di carburante. Quanta più energia usiamo, tanto più in fretta essa viene prelevata, secondo la formula seguente: dE/dt = δm/δt * c2 – δf(W,t)/ δW –R(A)t-W
Attualmente, l'unica linea d'azione pratica è quella di minimizzare gli ultimi due termini dell'equazione, cioè l'emissione di energia e il trasferimento radiante. Sulu ha suggerito un'idea, formulata forse anche da altri membri umani dell'equipaggio, quella di tentare di perforare la crosta del planetoide, concentrando il fuoco dei faser. Pur avendo preso precedentemente in considerazione tale mossa (anche se solo per permettere il rientro a bordo della squadra di approccio), ritengo che adesso sarebbe una linea d'azione errata, perché l'energia sciupata equivarrebbe a molti giorni di supporto vitale, e sussiste anche la possibilità che i raggi dei faser non possano penetrare il misterioso involucro di metallo, che sembra essere un conduttore quasi perfetto di calore. Inoltre, potremmo trovarci alla mercé dei Chatalia fra pochi giorni, anche se il nostro segnale di soccorso è stato intercettato. In caso contrario, passeranno forse alcuni mesi prima che veniamo rintracciati; se si verificasse questa eventualità, dovremmo trovare un modo per rendere il cibo chataliano compatibile con il metabolismo dell'equipaggio, altrimenti solo Glak Sôn vivrà abbastanza a lungo per essere salvato. Non dobbiamo quindi inimicarci i Chatalia. La loro esperienza con i Klingon non può essere stata positiva, e su di noi ricade il gravoso compito di dimostrare che le nostre intenzioni sono pacifiche. – Conosco alcune parole della vostra lingua – proseguì il mago. Larousse aveva studiato il klingoniano per un semestre, vent'anni prima. – Non essere... lingua nostra. Umani, non Klingon. Usare traduttore. – In klingoniano non esisteva un termine equivalente a "per favore".
– Cosa diavolo sta succedendo? – chiese McCoy. Il mago accennò a W'Chaal con la testa e con un battito d'ala. – Lui non conosce il klingoniano. – No! Traduttore meccanico!– Larousse si rivolse a W'Chaal. – Dagli il traduttore. – È un atto blasfemo. E poi, lui parla la vostra lingua. – Non è la nostra. – La nave – osservò Kirk. – I Klingon devono essere penetrati qui dentro. – Silenzio – intimò il mago, ma nessuno lo capì. Larousse venne avanti e tolse l'apparecchio dalle mani di W'Chaal. – Ascolta... – Guardia! – gridò il mago (servendosi del dialetto dei correttori del comportamento), e un chatalia si affacciò sulla soglia, usando l'arma a forma di fionda. Istintivamente, Larousse sollevò le braccia per deviare il dardo e venne raggiunto all'avambraccio. – Ouch! – Il linguista scosse l'arto e la freccetta cadde a terra... non era un'arma particolarmente impressionante. Moore guardò verso Kirk, in attesa di ordini, ma questi scosse il capo. – Non ancora – sussurrò. – Vuoi ascoltarci per un secondo? – esclamò, irritato, Larousse. – Stai usando la lingua dei nostri nemici. Dei nostri nemici! Noi siamo umani, non Klingon. Il mago lo fissò, impassibile, con le grosse braccia incrociate sul petto, e non rispose. – Di cosa stai parlando? – chiese, in tono lamentoso, W'Chaal, e il mago gli scoccò una lenta occhiata. Larousse trasse un profondo respiro. – In base a quanto siamo riusciti a scoprire, molte generazioni fa una nave klingoniana vi ha contattati, proprio come... – Zitto! – Il mago si rivolse all'interprete. – Hai ascoltato questo genere di cose? – Sì, maestro. Hanno molte strane allucinazioni. – Ne parleremo in séguito – decise il mago, dopo un momento di riflessione. – Forse dovrai rinascere. – Come tu vuoi, maestro. – Deve morire per aver ascoltato la verità – commentò McCoy. – Dovrebbero andare d'accordo con i Klingon! – Guardia – ordinò il mago – colpisci quello al centro. – Un dardo raggiunse il medico all'addome, e lui lo estrasse con un'imprecazione. –
D'accordo, terrò la bocca chiusa. – No, non abbiamo gradito la presenza di voialtri demoni, l'ultima volta che siete venuti. Avete ucciso prematuramente migliaia di noi e il ricordo della vostra aggressione ha sconvolto tutto il mondo, che ha atteso un vostro ritorno. Ci sono volute molte generazioni, per rimuovere quel ricordo dai ven e dai lan. – Non siamo Klingon... davvero! – insistette Larousse. – Se ne vedeste uno, notereste quanto siamo diversi da loro. – Io ho visto decine di Klingon. Il ricordo non è stato cancellato, negli ela. Voi siete Klingon. Il dottore si riassestò la tunica, dopo aver controllato la puntura al torace. – Non capite, Larousse? Dal loro punto di vista, siamo identici, come due diverse specie di pesci. Mago, avete dei medici, studiosi della vita? – Non dirigerete a me le vostre domande. – W'Chaal, ti dispiace? L'interprete guardò verso il mago, che non gli diede alcun segnale, né in un senso né nell'altro. – Fra i maghi, ci sono coloro che praticano le arti della vita. Sia i ven che i lan hanno famiglie dedite alla guarigione, in aggiunta alla loro attività principale di barbieri e massaggiatori. Quell'informazione fece sussultare il dottore. – Bene... il mago non è obbligato ad ascoltare questo, ma forse gli interesserà. Ci sono differenze fisiologiche fondamentali fra i Klingon e gli umani. Certo qualcuno di voi deve aver esaminato almeno un klingon. – Certo – confermò il mago. – Loro hanno due fegati. – Non è così per tutti? – chiese W'Chaal. – Gli umani ne hanno uno solo – replicò McCoy. – Inoltre... – Conteremo i vostri fegati prima di quanto possiate immaginare! – intervenne il mago. – Quanto alla vostra fisiologia, avete appena dimostrato di essere dei Klingon, altrimenti quel dardo ti avrebbe mandato in coma e due ti avrebbero ucciso. Guardia? – La seconda freccetta era diretta alla faccia, e McCoy l'intercettò con la mano, estraendola poi con un grugnito. – È stato così che in passato siete riusciti a mietere tante vittime. Le vostre armi a lunga gittata erano efficaci, le nostre no. – Hai notato – intervenne Kirk – che abbiamo consegnato volontariamente le nostre armi? – Ho detto di non rivolgermi domande! – Indicò McCoy. – Smettila... cosa stai facendo?
Il medico aveva acceso il tricorder e teneva la punta del dardo sui suoi sensori. – Sto cercando di scoprire di quale veleno si tratta, per vedere se abbiamo bisogno di cure – spiegò. Poi sorrise. – È come il sale da tavola: cloruro di sodio. Non mi meraviglia che non abbia avuto effetto sui Klingon. O su di noi. – Rimarrai in piedi, finché ti rivolgerai a noi. – McCoy si alzò lentamente. – Siete voi che dovreste essere grati di esservi lasciati disarmare. Se avessi pensato che potevate costituire un pericolo, vi avrei fatti uccidere in questa cella. Le informazioni che posso ricavare da voi non valgono la sofferenza o la morte prematura di nessuno. – Al contrario – ribatté Kirk – se tu soltanto ci ascoltassi per un momento... – Potrei farvi imbavagliare, se non parlate solo per rispondere. Sei tu il capo? – Sì. – Esigo la verità: quanti di voi stanno arrivando? – Dipende dalle vostre azioni. Potremmo esserci solo noi cinque, ma se ci metterete in pericolo, ne giungeranno altri. – Non ritenete di essere in pericolo? – Non corriamo rischi che non possano essere superati. Pacificamente. Il mago rimase in silenzio per un momento. – Agite in maniera diversa. Prima, avete soltanto ucciso, e la maggior parte dei prigionieri si è rifiutata di parlare. – Come vedi, non siamo della stessa razza. Non siamo Klingon. – Preferisco pensare che sia un trucco. In ogni caso, questa volta sarà differente. Abbiamo le vostre armi di allora e stiamo studiando quelle che avete portato adesso con voi. – Non devi permetterlo – si affrettò ad avvertire Kirk. – Abbiamo detto a W'Chaal che sono molto pericolose. Se regolate in maniera errata, potrebbero esplodere con violenza. – Un ovvio inganno. Abbiamo chiamato i nostri artigiani più esperti... – In quel momento, una tremenda esplosione echeggiò da qualche parte, sotto di loro, e frammenti d'intonaco si staccarono dal soffitto e dalle pareti. L'espressione del mago non mutò. – Guardie con le lance: uccidete tutti tranne il capo, quello là. Spock stava facendo parecchie cose contemporaneamente, il che lo
appagava sufficientemente. Il mago era appena giunto nella cella, e lui stava seguendo la conversazione per mezzo del comunicatore di Moore. Nello stesso tempo, stava coordinando il trasferimento delle strutture di comando e del personale sul ponte di emergenza e lo spostamento di tutto il resto dell'equipaggio e delle provviste necessarie sui ponti più bassi, vicino all'area ricreativa. Anche il ponte otto venne lasciato aperto, sia perché il teletrasporto di emergenza era su quel livello, sia a causa della flora e della fauna del piccolo parco presente nell'area di riposo. Il ponte di emergenza era affollato. Cinque uomini della sicurezza sedevano per terra, intorno al teletrasporto portatile. Sulu, Chekov e Uhura erano alle loro postazioni, un guardiamarina della sezione di ingegneria occupava la poltrona di comando, intento a effettuare un controllo dei sistemi, e Spock stava in piedi, nel mezzo. – Tenente Gary – disse, rivolto all'ufficiale della sicurezza. – Ritengo opportuno che voi e i vostri uomini vi rechiate al teletrasporto sul ponte otto. Così, non dovrete trasferirvi uno alla volta, se insorgessero dei problemi. – Sì, signore. – Gli uomini si alzarono, stiracchiandosi. – Incaricherò qualcuno di tenersi pronto a teletrasportarci. – Su mio ordine. – Naturalmente, signore. – La squadra di sicurezza uscì, con un sommesso ticchettare di armi, e la stanza parve ingrandirsi di colpo. – Signor Spock – avvertì il guardiamarina della sezione di ingegneria. – Qui c'è una ridondanza che andrebbe eliminata... L'esplosione risultò fragorosa, anche nel minuscolo microfono del comunicatore. Spock si portò sùbito sulla postazione del teletrasporto. – Energia – ordinò. Il vulcaniano si materializzò tanto vicino al mago da poterlo toccare, e questo fu ciò che fece: lo toccò con un gesto spassionato, scientifico e molto duro, alla mascella. Il chatalia cadde all'indietro, verso la soglia, gettando a terra una guardia e mancando di poco la punta di una lancia. Spock estrasse quindi il faser e stordì i quattro soldati, si affacciò nel corridoio, schivando una lancia, e ne mise fuori combattimento altri dieci, prima di rientrare. – State tutti bene, capitano? – Fino a ora, tutto bene, ma faremmo meglio ad andarcene di qui. – Sono d'accordo. Questo sarebbe W'Chaal? – Sono io. – L'interprete era indietreggiato fino al muro più lontano e si
stava sforzando di passarvi attraverso. – Dobbiamo chiederti di venire con noi – disse il primo ufficiale. – Come ostaggio – aggiunse, rivolto a Kirk. – Meglio prelevare anche il mago. Potete trasportarlo? Spock raccolse l'alieno e se lo gettò su una spalla. – Da che parte? Percorsero il corridoio, in direzione dell'ascensore, ma questo aveva la porta chiusa e non c'era pulsante di chiamata. – Ci deve essere una scala, da qualche parte – osservò McCoy, e si lanciò verso una porta aperta, sulla destra, fermandosi però di botto, e indietreggiando con passo incerto. – Mio Dio! Persone munite di ali non avevano bisogno di scale: oltre la porta c'era semplicemente un precipizio di un centinaio di metri, nel cui centro pendeva una scala di corda, dall'aria poco sicura, posta a un paio di metri dall'orlo. Un'altezza che metteva paura. Guardarono tutti verso il basso, con precauzione. – Io devo scendere per ultimo – dichiarò Spock – perché sono di gran lunga il più pesante, dovendo trasportare il mago. La corda potrebbe rompersi. – Cinque faser si materializzarono per terra. – Un momento – intervenne Larousse, mentre raccoglievano le armi. – W'Chaal, come chiamate l'ascensore? – Ascensore – rispose il chatalia, piegando la testa da un lato. – No, non con quale termine lo definite, ma come fate a chiamarlo. – Gli ascensori non hanno orecchie. – Ascolta, se vuoi andare giù con l'ascensore, come lo fai venire su? – Nessuno usa mai l'ascensore per scendere, ma solo per salire. – E se dovete trasportare qualche oggetto pesante? Lo buttate giù per questo condotto? – Certo che no. Lo lasciamo vicino all'ascensore, scendiamo planando e torniamo su. – Vale la pena di tentare – dichiarò Wilson. – Geronimo! – Si lanciò nel pozzo e afferrò la scaletta, che gli vorticò selvaggiamente intorno. Invece di utilizzare gli scalini, il tenente raccolse le funi fra le mani e le avvolse intorno a una caviglia, servendosi dell'altro piede per frenare durante la discesa. – Cercherò di mandarvi l'ascensore – gridò dal basso. Mentre osservavano la discesa di Wilson, Spock contattò l'Enterprise e chiese che inviassero un po' di metri di corda. – Chiedo scusa per il fastidio – disse quindi a W'Chaal – ma ti devo immobilizzare le braccia per impedirti di volare via. – Lo capisco, ma tanto non posso volare, posso solo planare. Lui può
volare. – Interessante. – Il mago era leggero per la sua taglia, molto muscoloso, e le sue ali sembravano avere un'apertura almeno doppia di quelle del piccolo alieno. – Comunque, per il momento, devo chiederti di lasciarti legare. La corda si materializzò e il vulcaniano legò entrambi i chatalia; mentre si stava occupando del mago, ancora svenuto, dal basso giunsero i deboli rumori di una lotta. Moore si preparò a saltare verso la scala. – Aspettate – ordinò Kirk. – È probabile che Wilson possa fare da solo. Se lui... se dovessero sopraffarlo, li trovereste ad aspettarvi. – Rimanendo quassù, siamo virtualmente invulnerabili – aggiunse Spock. – Fino a quando non tireranno fuori quelle armi klingoniane. – replicò Moore. – Sono vecchie di secoli e, a meno che non siano state tenute con cura, dubito che funzionino ancora. Un minuto più tardi, le porte dell'ascensore si aprirono, rivelando all'interno il tenente Wilson, visibilmente scosso. – È stata dura, signore? – chiese Moore, raggiungendolo con gli altri. – Non la lotta, perché li ho storditi tutti. Ma là sotto c'è stato un massacro. L'ultimo pulsante li fece scendere nelle fondamenta, e W'Chaal consigliò loro di premere il terzo, per raggiungere il piano terra. Evidentemente, il faser era scoppiato vicino alle porte dell'ascensore, perché c'era sangue dappertutto e la violenza dell'esplosione aveva fatto a pezzi parecchi chatalia. W'Chaal svenne subito. – Sarà difficile giustificare tutto questo – osservò Spock. Moore sollevò l'interprete svenuto e se lo gettò sulle spalle. – Andiamo via di qui! – Si diresse a grandi passi verso la porta, e andò a sbattere contro la barriera invisibile. – State indietro – ammonì Wilson, regolando il faser al massimo. – Non avrà effetto – disse Spock – se la porta è bloccata dallo stesso materiale che compone la rete che trattiene l'Enterprise. In effetti, la barriera rimase intatta. – Ah, bene – borbottò Wilson, mirando questa volta al muro, in cui aprì un buco tale che ci sarebbe quasi potuto passare un elefante. Fuori, le strade erano deserte. Pochi chatalia sbirciavano dalle finestre dei piani superiori, ma non ce n'era nessuno sulle reti, fra gli edifici.
– Moore, tenete d'occhio la situazione in alto – raccomandò Wilson. – Dove andiamo, capitano? – Là – Kirk indicò i vaghi contorni dell'isola dei maghi, sospesa nel "cielo", a metà strada dallo zenith. – Una strada lunga! – commentò il tenente. – Circa centosessantanove chilometri – calcolò Spock. – Per lo meno, non ci servirà una bussola – osservò Moore, ma aveva ragione solo a metà. Camminare attraverso la città era abbastanza facile, visto che le vie erano disposte con regolarità, a scacchiera. W'Chaal riprese i sensi, ma rimase in silenzio quando cercarono di spiegargli come si era verificato l'incidente e camminò accanto a loro emanando paura. Quando anche il mago accennò a riprendersi, Spock decise che era il caso di rispedirlo nel mondo dei sogni... perché poteva causare più fastidi con i piedi per terra che viaggiando sulla spalla del vulcaniano. Al limitare dell'abitato, s'imbatterono in un ampio e placido fiume, su cui non si scorgevano ponti. – Come lo si attraversa, W'Chaal? – chiese McCoy. L'alieno infranse il silenzio. – Non si fa. È proibito. – Ma noi abbiamo visto alcuni lan-chatalia, in piazza. Devono aver oltrepassato il fiume. – Non è proibito a un lan oppure a un ela. – E loro volano, immagino. – Esatto. – Non è possibile – intervenne Spock. – I lan devono fornire le provviste per il mercato e, secondo quanto tu stesso hai affermato, portano qui venchatalia adulti, come rimpiazzi. Le loro ali non basterebbero per il trasporto. – Non ho detto che volano sempre. Qualche volta usano le barche. Erano così presi dalla discussione, che per poco non furono sopraffatti da un attacco a sorpresa. Una lancia raggiunse Moore alla schiena, gettandolo a terra, e molte altre solcarono l'aria, ondeggiando e ruotando... evidentemente non erano bilanciate per essere scagliate. Una ventina di chatalia si scagliarono contro di loro, ma furono abbattuti dal fuoco di quattro faser. Moore si rialzò, barcollando. – Cosa diavolo mi ha atterrato? Il dottore gli sollevò la tunica: la ferita era profonda un centimetro e lunga tre. – Siete fortunato. Dev'essere stato un colpo di striscio. – Già... certo che mi sento fortunato. – McCoy pulì il sangue e richiuse il
taglio con un protoplaser anabolico. – Sono tutti morti? – chiese W'Chaal. – No, a meno che un mago non metta loro addosso le mani – rispose il dottore. – Queste armi possono uccidere, ma non nel modo in cui noi le usiamo. Così, fanno soltanto addormentare la gente per un po'. L'interprete s'inginocchiò accanto al chatalia più vicino e lo fissò in faccia. – È vero – ammise. – Tutto quello che ti abbiamo detto è vero – dichiarò il dottore, in tono aspro. – Se voialtri non foste così dannatamente... ignoranti... – Smettetela, Bones – intervenne Kirk. – W'Chaal, dov'è che i lan tengono le barche? – Sull'altra sponda, naturalmente. Il capitano s'impose di avere pazienza. – Quando sono qui, intendo. Sappiamo che alcuni di loro si trovano su questa sponda: dove potrebbero aver lasciato le barche? – Non lo so. Questo non riguarda la mia famiglia. – Continui a ripeterlo – osservò Larousse. – Davvero non sei mai curioso di niente? Tranne che delle lingue? – Perché dovrei? I maghi sono curiosi. – Picche – borbottò McCoy. – Credo che faremmo meglio a incamminarci, signore – suggerì Wilson. – Prima o poi, troveremo una barca. – Immagino di sì. W'Chaal, non è che per caso l'acqua è abbastanza bassa da attraversarla a guado, vero? – Non lo sa – fu la previsione di Moore. – In effetti, non lo so. Può darsi che lo sia, in qualche punto... ma è meglio che non ci entriate. Ci sono pesci e anguille che mordono. Si avviarono, con passo deciso, e dopo mezz'ora avvistarono una barca, anche se ci vollero altri trenta minuti di cammino (in salita) per raggiungerla. Si trattava di una zattera di quattro metri quadrati, che veniva spinta con alcuni pali. Staccarono l'ormeggio e iniziarono la traversata del "fiume"... che in realtà era una specie di lago, che compiva il giro completo del planetoide ed era privo di correnti. Scoprirono sùbito che sarebbe stato poco consigliabile passare a guado, perché un'anguilla nera, più lunga della zattera e grossa quasi quanto un uomo, li seguì per metà del percorso, con aria poco rassicurante. – È molto strano – commentò Spock. – Se dovessi creare un'ecologia adatta a un'imbarcazione del genere, certo non includerei grossi e
pericolosi animali da preda. – Non so – replicò McCoy, fissando la creatura, munita di lunghi denti. – Da quello che ho visto, la logica non è il loro forte. Forse servono per impedire ai contadini di passare a nuoto. – Oppure hanno voluto preservare quante più specie era possibile. Come l'Arca di Noè, nella vostra mitologia. – Datelo a me, per un po' – si offrì il dottore, togliendo il palo dalle mani di Moore, mentre Spock dava il cambio a Wilson. I due uomini della sicurezza si accasciarono sul fondo della zattera, esausti. Erano solo a metà strada e dovevano ancora percorrere due chilometri. – Mi piacerebbe avere la concessione per le barche a motore, quaggiù – commentò McCoy, spingendo la pertica. – Basterebbe una vela – osservò Kirk. – La brezza sembra costante. – Dovrebbe essere una condizione permanente – annuì Spock – considerato che questo corso d'acqua è una fonte di calore. A meno che loro non scelgano d'imporre un'altra sequenza climatica... – Il mago si era svegliato e stava borbottando qualcosa. Kirk prese il traduttore, che si trovava ai piedi di W'Chaal, e glielo accostò. – Cos'hai detto? – Dove ci state portando? – A casa Sull'isola dei maghi. – No. Non ci arriverete vivi. – È un tipo decisamente enfatico – osservò McCoy. – Non abbiamo paura delle vostre armi. – Non si riferisce a quelle... – cominciò W'Chaal, che era rimasto in silenzio da quando erano saliti sulla zattera. – Zitto! – Maestro, se vengono avvertiti... – Taci. – Non sei obbligato a obbedirgli, W'Chaal – intervenne Kirk. – Ora comandiamo noi. Vorresti che morissimo per qualcosa che ignoriamo? – Sarebbe giusto – rispose l'interprete. – Coloro che sono stati uccisi dalle vostre armi sono morti per ignoranza, o almeno così avete affermato. – Ti ho detto... – cominciò il mago. Nonostante il tramite della macchina traduttrice, la nota di sfida risultò con chiarezza. – Non fa alcuna differenza, maestro. Entro l'alba di domani saremo tutti morti. – Di cosa diavolo stai parlando? – chiese McCoy, brandendo il palo senza accorgersene.
– Come afferma il maestro – replicò W'Chaal, sussultando – non dovete essere informati. Noi tutti moriremo e ricominceremo daccapo. – Tu, forse, ma io non credo nella reincarnazione. – È vero. Considerato che siete delle aberrazioni, è probabile che non verrete sostituiti. – Credi davvero che tornerai indietro? – domandò Spock. – L'hai visto accadere? – Certo. Molti dei miei amici sono stati sostituiti. – E sono ritornati senza aver subito cambiamenti? – No. Ricominciano da zero. Sanno a quale famiglia appartengono, ma non ricordano le loro vite precedenti... non vorresti ricordare tutta l'eternità, vero? – Clonazioni – suppose McCoy. – Probabile. È così, mago? Create nuovi chatalia dalla carne di quelli vecchi? Il mago ignorò la domanda. – Tu sei un klingon diverso. La tua pelle e le tue orecchie sono strane. – Nessuno di noi è un klingon. Io sono per metà umano e per metà...vulcaniano. Gli umani vengono dal pianeta Terra, i Vulcaniani da Vulcano, mentre i Klingon provengono dall'Impero Klingon... tutti mondi diversi uno dall'altro. – Assurdità. – Sono costituzionalmente incapace di mentire o di dire assurdità. La tua visione del mondo è errata, se coincide con quella di W'Chaal. Oppure tu sei consapevole del fatto che voi vivete dentro un piccolo mondo, costruito artificialmente e in movimento nello spazio? – Mi avevano informato delle vostre idee blasfeme, le stesse di quelli che sono venuti in passato. Questa è un'altra prova che siete dei klingon. – Da dove credi che veniamo, se non dall'esterno? – Dal futuro, naturalmente. Voi siete maghi del futuro. – Lanciò uno sguardo a W'Chaal. – Dovrai morire per aver sentito questo, piccolo. L'interprete scrollò le spalle. – Stanotte morirò comunque. – Come possiamo essere maghi? – chiese McCoy. – Apparteniamo a una specie del tutto diversa... perfino la chimica del nostro corpo è differente. – La vostra pretesa ignoranza è seccante. – Mi chiedo se quell'anguilla tornerebbe qui, nel caso che tu cadessi nell'acqua. – Le minacce non porteranno a... – Non era una minaccia, era una pia speranza.
CAPITOLO VI Diario del Capitano, Data Astrale 7506.5: Parla il tenente comandante Montgomery Scott, al comando temporaneo in assenza del capitano Kirk e del comandante Spock. Abbiamo toccato la superficie del planetoide in Data Astrale 7506.1074. Secondo gli ordini del signor Spock, ho fatto disattivare il generatore di gravità artificiale dell'Enterprise per risparmiare energia, approfittando della rotazione del planetoide stesso. L'improvviso passaggio a 0.479g ha provocato malesseri in alcuni membri dell'equipaggio, ma tutti si sono ripresi entro poche ore. Abbiamo inviato due faser pesanti alla squadra di approccio, in quanto entrambi gli alieni sostengono che il gruppo stia correndo un pericolo mortale, pur rifiutandosi di spiegare il perché. Il mio suggerimento di mandare alcuni uomini della sicurezza, come rinforzi, è stato respinto dal capitano; sia lui che il signor Spock ritengono che lo sfortunato incidente con il faser possa aver danneggiato in maniera irreparabile la nostra immagine agli occhi dei Chatalia, e che dobbiamo di conseguenza evitare a ogni costo qualsiasi azione che possa sembrare aggressiva. Secondo la mia interpretazione, "a ogni costo" non significa sacrificare la vita di sei membri dell'equipaggio, quindi ci sono ventidue uomini, armati in maniera pesante e pronti a intervenire, nella sala d'emergenza del teletrasporto.
La riva opposta del fiume era formata da un paio di metri di sabbia ghiaiosa, che terminava di colpo in mezzo a una fitta giungla. W'Chaal si rifiutò di lasciare la zattera, ma non oppose resistenza quando Spock lo sollevò di peso. – Ci deve essere un sentiero – osservò Kirk. Wilson socchiuse gli occhi, scrutando la linea in salita della riva. – Ci dovrebbe essere anche un molo di carico. – Mago, conosci una strada per passare? – domandò Spock. – Sì. Ho sorvolato la zona. – Ma non ti va di dircelo – aggiunse Wilson, e il chatalia rispose con il silenzio. – Il sentiero non può essere lontano – dichiarò il vulcaniano. – Dal momento che la zattera deve aver seguito il tragitto più breve di attraversamento, suggerirei di dividerci in due gruppi e di cercare in direzioni opposte. – Va bene – assentì Wilson. – Vieni con me – ordinò, afferrando il mago per un braccio. Questi emise un urlo raccapricciante e si liberò dalla stretta del tenente. – Che diavolo succede? – Sulla spalla del chatalia apparve una vescica purpurea, che aveva la forma della mano di Wilson. – Il sale! – esclamò McCoy. – Il sale contenuto nel vostro sudore.
Il tenente si fissò la mano, poi guardò il mago. – Mi... mi dispiace. Avrei dovuto pensarci. – Non toccare più nessuno di noi due. – Il chatalia rivolse lo sguardo verso Spock. – Perché il tuo tocco non ha danneggiato il piccolo? – I Vulcaniani non hanno sudorazione. I nostri corpi posseggono un sistema più efficiente per regolare il calore. – Non conosco il primo termine. – La sudorazione è un sistema con cui gli umani, e altri animali, regolano la temperatura del loro corpo. Alcune speciali ghiandole secernono un liquido sulla superficie della pelle. Quando evapora, esso preleva calore dall'epidermide. – Disgustoso. – Il mago si girò verso Wilson. – Ti ordino di smettere sùbito di farlo. Nonostante l'intimazione, il tenente scoppiò a ridere. – Sfortunatamente – spiegò Spock – non possono controllare questa funzione. È una reazione automatica all'aumento della temperatura corporea. – Tutto questo è sicuramente interessante – commentò Kirk – ma credo che dovremmo pensare ai problemi immediati. Moore, andate da quella parte, con il signor Spock e il dottor McCoy, e prendete con voi il mago. Noi andremo di qui. Il primo che trova un sentiero si guadagna una licenza. – Molto divertente – commentò il dottore, poi si separarono e iniziarono le ricerche. Qualche minuto più tardi, il gruppo di Spock trovò un'apertura nel fitto fogliame, e attese che Kirk e gli altri lo raggiungessero. Si trattava di un dritto sentiero erboso, coltivato come un prato e largo circa tre metri. In lontananza, esso scompariva gradualmente là dove la giungla cedeva il posto a tratti di terreno coltivato. – Trenta o quaranta chilometri – valutò Kirk, dando un'occhiata all'orologio. – Non ci rimangono certo quattro ore di luce... mi chiedo... – Devo dire una cosa – interloquì il mago. – Anche se non credo minimamente che diciate la verità, devo ammettere che i Klingon, così come noi li conosciamo, non hanno questa sudorazione-che-brucia. Quindi forse voi non siete Klingon. – Hai finalmente... – Zitto, Bones. Allora, sei disposto a cooperare? – Non ho ancora deciso. Ho la forte propensione a ritenere che sarebbe meglio se almeno uno di voi sopravvivesse, per essere studiato. D'altro canto, da morti non costituireste una minaccia. Non sono sicuro sul da
farsi. – Allora aggiungi quest'informazione alle altre: se dovessimo morire, domani arriverebbero qui altri come noi, venti volte più numerosi, ben armati e arrabbiati. – Naturalmente, quello che hai appena detto è inutile. Tuttavia, la mia decisione è valida e, in sua funzione, penso che dovremmo cercare di sopravvivere a questa notte. – È impossibile – gemette W'Chaal. – No. Non con le armi. – Ma gli spiriti... – Non sono esattamente spiriti. È una cosa che non devi sentire: scendi sulla spiaggia Quando il piccolo chatalia fu abbastanza lontano, il mago riprese a parlare. – Lasciate che vi spieghi. Come avete intuito, noi usiamo la vita per creare nuova vita, e quest'arte è stata da sempre la funzione primaria della mia famiglia. "Qualche volta, tuttavia, si producono degli errori e le usanze proibiscono di ucciderli. Alteriamo i loro occhi in modo che rifuggano dalla luce e li liberiamo in questa giungla." – Allora qui intorno è pieno di chatalia deformi? – domandò McCoy. – Hai usato un termine improprio. Ci è proibito giudicare se, per via dell'errore, il risultato è un essere inferiore. Le nostre leggende dicono che la definitiva divisione dei Chatalia in tre specie è stata la conseguenza di un tale "errore". "E nella giungla non ci sono solo i Chatalia. Noi controlliamo anche la riproduzione di alcuni grossi animali mediante... voi avete usato il termine "clonazione". Gli altri si riproducono senza aiuto, mediante uno scambio di materiale genetico." – La fai sembrare una cosa molto sexy – commentò il dottore. – Non conosco quella parola. L'anguilla che ha seguito la zattera è il risultato di entrambi i casi: la capacità di riprodursi naturalmente, che era stata soppressa, è riaffiorata in conseguenza di un incidente di clonazione. È successo due volte, parecchie generazioni fa, e nel secondo caso le loro dimensioni sono diventate venti volte quelle normali. Adesso costituiscono un fastidioso pericolo. – Selezione naturale – annuì McCoy. – E selezione innaturale. – Ritieni che saremo attaccati da questi "errori"? – domandò Kirk. – Dai Chatalia e dagli altri. La lotta per procurarsi il cibo è molto violenta, nella giungla.
– Suggerisco di trascorrere qui la notte, capitano – propose Spock. – Almeno, avremo le spalle protette. – No! – esclamò il mago. – Sarebbe morte certa. Le creature acquatiche si raccolgono al termine di questo sentiero, nella speranza che qualcosa venga sospinto fino alla riva, e possono lasciare l'acqua per brevi periodi, allo scopo di attaccare. – Un momento – intervenne Wilson. – Sa troppo su questo argomento... mago, tu voli sulla giungla e le sue creature non infastidiscono mai la tua specie. Quindi come fai a conoscere così bene i vari modi di attacco? – L'ho visto succedere spesso, dall'aria, al tramonto. Sono tanti gli ela che vengono qui quando è il momento di morire. Ci devono venire se hanno commesso qualche errore. – È una punizione piuttosto eccessiva – osservò Spock. Wilson scosse il capo. – Come suggerisci di difenderci? – Dobbiamo percorrere il sentiero quanto basta per essere al sicuro dalle creature acquatiche. Poi uccideremo il piccolo e metteremo il suo corpo davanti a noi, per attirare gli errori. Quando verranno, voi userete le vostre armi per... – Aspetta – lo interruppe Kirk. – Assolutamente no. Non ci piace interferire con le usanze degli altri popoli, ma questo non possiamo permetterlo. E un omicidio. – Non capisco. – Non cercare di capire. Non possiamo permetterlo. – Ma è già come morto, fin da quando gli ho detto cose che non doveva sapere. Così, almeno, il suo corpo servirà a uno scopo. – Se è così, perché lo hai allontanato? – domandò McCoy. – Apprendere la verità sul conto di questi "spiriti" non avrebbe potuto cambiare la sua sorte. – Non sono crudele. Gli ho risparmiato la sofferenza di modificare le sue concezioni. – Il sole divenne meno luminoso, ebbe un ultimo sprazzo di luce, poi tornò ad attenuarsi. La sera precedente, questo era accaduto poco prima che scendesse la notte. – Dobbiamo affrettarci – avvertì il mago, e richiamò W'Chaal, mentre Kirk contattava la nave e si faceva mandare altri quattro faser e una lampada portatile. Si avviarono con passo deciso e il capitano formulò un semplice piano. – Lasciamo le armi regolate per stordire, formiamo un cerchio intorno agli ostaggi e manteniamo sei campi di fuoco. Ogni quindici minuti, ruotiamo in senso antiorario, per rimanere svegli. Se cominciate a sentirvi assonnati,
ditelo... Bones, avete degli stimolanti con voi? – In abbondanza. Ma andiamoci piano, perché rendono nervosi. – Intanto la luce del sole, da gialla, era diventata rossa, tingendo di grigio il verde fogliame della giungla sullo sfondo nero delle ombre. – Qui è sufficiente – avvertì il mago. Si fermarono e assunsero la formazione stabilita, scrutando la fitta vegetazione in cerca di tracce di movimento. La lampada proiettava lunghe ombre grottesche, e Kirk se ne fece mandare un'altra per completare l'illuminazione. – Forse la luce li terrà lontani – opinò Wilson. – Non lo so – rispose il mago. – Non abbiamo mai provato a farlo. – Spock lanciò a Kirk un'occhiata significativa: l'alieno stava fornendo spontaneamente altre informazioni, senza essere interrogato. Trascorsero circa dieci minuti di silenzio, durante i quali il sole si oscurò completamente, e il gruppo li passò in preda alla tensione, in un'isola di luce aspra. Le foglie e i viticci tremolavano sotto la brezza costante. – Sarà peggio per loro – dichiarò Moore. – Perché? – Diavolo, metto il sale su tutto quello che mangio. Basterà che mi addentino per crollare stecchiti. – Non sapete quanto questo mi renda felice – ribatté McCoy. – Un momento – intervenne Kirk – ho un'idea. Facciamoci mandare dall'Enterprise... In quel momento scoppiò l'inferno. Siccome non stavano guardando in alto, per poco non persero McCoy quando un enorme errore-mago fluttuò silenzioso verso il basso, con le zanne snudate. Il mago loro prigioniero gridò un avvertimento e tre faser stordirono la creatura, che svolazzò da un lato, priva di sensi. Mentre era ancora in aria, tre chatalia più piccoli attaccarono da terra. Wilson ne stordì uno che aveva due teste, quattro braccia e laceri brandelli al posto delle ali; quello colpito da McCoy era senza pelo, completamente bianco, e il bersaglio di Kirk aveva innumerevoli occhi. Quando urtò il terreno, il chatalia volante rovesciò una delle lampade e vi cadde sopra. Sentendo lo sfrigolio del pelo che bruciava, Moore uscì dalla formazione per spingere la creatura lontano dal calore, e venne aggredito da un ven che aveva una grossa piaga purulenta al posto della bocca. L'addetto alla sicurezza gli sferrò un violento calcio all'inguine, tattica discutibile nei confronti di un essere asessuato, e riuscì a rallentare la sua carica quanto bastava perché Wilson lo colpisse. Sfortunatamente, il
raggio del faser sfiorò Moore, paralizzandogli il lato sinistro del corpo. Il guardiamarina mosse un passo e cadde a terra. Wilson gli corse accanto, sventagliando la giungla con i raggi del faser, spinse il mago deforme lontano dalla lampada e trascinò di nuovo Moore nel cerchio. Le creature continuavano ad arrivare. Una specie di medusa volante con speroni lucenti, un ven che sembrava normale, tranne che per un fiore che gli cresceva sul torace, poi una palla rotolante fatta di scaglie e denti, un mago senza ali, un topo con aculei e zanne, due ela uniti da un lucido tubo di carne, un'anguilla che strisciava sul terreno ed era già quasi morta quando li raggiunse. Il mucchio di corpi continuò ad aumentare, poi ci fu un rallentamento, quando le altre creature trascinarono i compagni storditi nella boscaglia, per divorarli. A intervalli, qualcuno attaccava, arrampicandosi sulla barriera di corpi, mentre altri si riprendevano dagli effetti del raggio e si accostavano barcollando, solo per cadere ancora. Moore fece fuoco rimanendo a terra fino a quando la paralisi non fu cessata, poi chiese il permesso di regolare l'arma per uccidere, ma gli fu negato, sia pure con rammarico. Qualcosa che somigliava a una chitarra pelosa munita di piedi arrivò a un braccio di distanza senza essere stordita, e Moore dovette colpirla sulla testa con l'impugnatura del faser. Nessuno ebbe bisogno degli stimolanti di McCoy. A bordo dell'Enterprise, Scotty aveva abbandonato il ponte temporaneo ed era seduto, nervoso, accanto ai ventidue uomini in attesa vicino al teletrasporto. Aveva avanzato diversi suggerimenti al capitano Kirk. Teletrasportare qualche uomo per dar loro un po' di respiro. Spargere sulla zona una tonnellata di sale. Inviare tutti e ventidue gli uomini della sicurezza... o tutto l'equipaggio... e fare a pezzi quella dannata giungla. Durante le pause dello scontro, Kirk aveva risposto "no", "no", e "non fate pazzie". Dal comunicatore giunse il suono, amplificato, di qualcosa che ringhiava o miagolava, poi il sibilo di un faser e un tonfo. – Rapporto situazione – chiese un guardiamarina, con voce tesa e laconica. – Era solo un altro di quei topi – rispose Moore. – Perché non la smettete di seccarci? È come giocare a tiro al bersaglio! Scott emise un sospiro sofferto. – Come se potessero sapere con certezza
che la situazione non peggiorerà di colpo. – Almeno – assentì il tenente Gary – ci dovrebbero permettere di mandare giù qualche arma più pesante dei faser, come il campo disruptore portatile... allora potrebbero dormire un poco. – Ordine Generale Numero Uno – rispose Scotty, ascoltando distrattamente. Si trattava di un ordine fisso, secondo cui tutti i gruppi esplorativi della Federazione dovevano ridurre al minimo gli effetti che una tecnologia avanzata poteva avere su culture più primitive. – Qualcuno dovrebbe leggere a loro l'Ordine Generale Numero Uno. Siamo noi a essere sopraffatti dalla loro tecnologia, e non viceversa. – Sì, esatto. – Scott stava fissando l'aria, al di sopra delle postazioni del teletrasporto. Amava quella nave, amava specialmente i suoi motori... e adesso c'era un vampiro che stava succhiando la vita da essi. – Pagheranno per questo – dichiarò, con insolita intensità. – Dovesse essere la mia ultima azione, gliela farò pagare. CAPITOLO VII Quando sorse, il sole trovò gli uomini di Kirk e i due alieni in piedi, esausti, al centro di un cerchio di mostri privi di sensi e ammucchiati in cataste che raggiungevano i due o tre metri di altezza. Kirk si accasciò a terra, imitato dagli altri. – Adesso potete far circolare le vostre pillole magiche, Bones – dichiarò. – Ci aspetta una lunga camminata, se non vogliamo trascorrere un'altra notte simile a questa. – Niente pillole – rispose il medico, aprendo la borsa. – Porgetemi il braccio. – O, che gioia – commentò Moore. – Se si tiene il braccio immobile, non fa alcun male. – Me lo dicono da quando avevo cinque anni, ma non ci credo, non più di quanto creda nella "fatina dei denti". La siringa ipodermica iniettava una dose prestabilita di medicinale grazie a un getto d'aria compressa e non faceva male, se si riusciva a non sussultare per il sibilo da essa emessa. Pochi si trattenevano però dal farlo. Il capitano Kirk cercò di non muoversi, e McCoy lasciò Moore per ultimo, per ovvi motivi. Si arrampicarono sui cumuli di mostri, da cui esalava un odore che faceva pensare a una via di mezzo fra un impianto chimico e uno zoo, e si
avviarono a passo svelto lungo il sentiero, con Moore e Wilson che camminavano all'indietro per metà del tempo, nell'eventualità che qualcuno di quegli orrori decidesse di sfidare la luce per procurarsi la colazione. A mano a mano che si riprendevano, tuttavia, gli "errori" si dirigevano sùbito verso la fresca penombra della giungla, e ben pochi si soffermavano, anche soltanto per dare un morso a un compagno. – Saresti disposto a consigliarci qualche mezzo di trasporto più efficiente del procedere a piedi? – domandò Spock al mago. – A parte volare – aggiunse, senza sarcasmo. Sia il mago sia W'Chaal incespicavano ormai per la stanchezza: era chiaro che McCoy non poteva somministrare anche a loro i suoi stimolanti. – Quando raggiungeremo il dominio del lan-chatalia – rispose l'alieno – dovrei riuscire a trovare un carro, ma dubito che io e il piccolo ce la faremo a camminare fino là. – Se si renderà necessario, vi trasporteremo noi – assicurò Spock – ma quanto più a lungo procederete da soli, tanto prima saremo fuori pericolo. I due chatalia resistettero per circa cinque chilometri. W'Chaal cadde per primo e il mago si accasciò anche lui, mentre Moore s'issava in spalla l'altro; McCoy offrì di somministrare un'altra iniezione, ma Moore e Spock declinarono la proposta. L'aria era immobile e la temperatura in aumento, quindi Moore si fece mandare dalla nave un paio di guanti leggeri, per non ustionare W'Chaal con il suo sudore. Mentre procedevano con fatica, sentivano le creature della giungla che li seguivano in mezzo al fogliame, e i membri del gruppo che avevano le mani libere tenevano i faser spianati. Non osarono cercare il riparo dell'ombra durante le soste di riposo che McCoy impose loro, cinque minuti ogni ora; quegli intervalli non erano particolarmente rilassanti, dato che i fruscii della giungla cessavano non appena loro si sedevano, e gli umani potevano sentirsi addosso gli sguardi pazienti dei mostri, che attendevano il buio. Quando si avvicinarono al limitare della giungla, parecchie ore più tardi, due creature tentarono di attaccarli, barcollando alla cieca nella zona di luce, diretti verso i rumori e gli odori che percepivano, ma McCoy e Wilson le abbatterono entrambe. Il primo impatto con la terra dei lan non fu impressionante. Campi di vegetali azzurri, che facevano pensare a cavoli malati, lottavano per crescere sul duro terriccio grigio, senza un ordine apparente; per lo più, le piante erano polverose e appassite, e non c'era traccia di un sistema d'irrigazione.
– Questa gente avrà anche delle virtù – commentò McCoy – ma l'abilità nel coltivare i campi non rientra in esse. – Al contrario – replicò Spock, che non aveva neppure il respiro affannoso, nonostante il fardello – si può trattare di una strategia molto saggia. Se i raccolti fossero commestibili, servirebbero solo a nutrire le creature della giungla, quindi è molto probabile che siano piante velenose. – Non ci avevo pensato – ammise il dottore, con una sfumatura d'irritazione. Comunque, la natura del terreno e le piante migliorarono lungo i due chilometri successivi. Quando si avvicinarono a un villaggio, Spock svegliò il mago, che confermò la pratica di piantare sementi velenose vicino alla giungla per scoraggiare le razzie notturne; stavano procedendo lungo una strada diritta e ghiaiosa, fiancheggiata su entrambi i lati da file di cespugli bassi e verdi, carichi di frutti rossi. Anche W'Chaal si svegliò e si rivolse sùbito al mago. – Quanto tempo mi rimane da vivere ancora? – Ora possiedi particolari conoscenze, che non fanno parte del sapere dei ven, ma siccome non ne puoi parlare con nessun altro ven, nella situazione in cui siamo, ritengo che tu possa vivere finché raggiungeremo l'Isola. – Le voci di entrambi avevano una strana eco, a causa della posizione da loro assunta. Avevano infatti risolto il problema del traduttore facendosi inviare un secondo apparecchio: ora ciascun alieno ne portava uno appeso al collo e, quando si trovavano a circa due metri di distanza, entrambe le macchine intercettavano le parole di tutti e due, provocando un'eco innaturale. – Forse riusciremo a convincerti di quanto sia sbagliato questo tuo atteggiamento, prima di arrivare all'Isola – intervenne Kirk. – Risparmiate il fiato, Jim – gli consigliò McCoy. – Tanto varrebbe cercare di convincere Spock a non essere vegetariano. – Le due cose non hanno nulla in comune – rilevò il vulcaniano. – Mago – disse Kirk, levando per un momento gli occhi al cielo – come facciamo a trovare un mezzo di trasporto? Alludo a quel carro a cui accennavi. – Il villaggio sembrava deserto, anche se potevano vedere qualche lan che lavorava nei campi. – Guardiamo. Quando ne troviamo uno, lo prendiamo. – E il lan a cui appartiene? – Non capisco. – Il contadino a cui lo sottraiamo. Non credi che ne abbia bisogno per lavorare? – Ne userà un altro... aspetta, credo di capire cosa intendi. Che lui possa
obiettare se prendiamo il "suo" carro. – Esatto. Il mago e W'Chaal si guardarono ed emisero un suono che poteva essere una risata. – No, i lan non hanno diritti di proprietà, al contrario dei ven. Sarebbe più esatto dire che sono loro ad appartenere alla proprietà, almeno per quanto riguarda i lan che fanno i contadini. "Caso mai, il carro appartiene a me, perché sono il mago più vicino, come appartengono a me le vite di tutti voi." In una baracca adiacente a un alto edificio a cono, trovarono parecchi animali da traino, simili a grossi topi a sei zampe, e due carri. Dopo qualche tentativo, Kirk riuscì ad attaccare un paio di bestie al carro più grosso e a condurle sulla strada; caricò quindi un paio di sacchi di foraggio e tutti salirono sul veicolo, dopo aver liberato le braccia dei due chatalia e aver legato loro le caviglie. Nessuno dei due espresse proteste o ringraziamenti, ma tutti e due si stiracchiarono a lungo. Il capitano non rimase sorpreso nello scoprire che lui era l'unico ad avere qualche esperienza in fatto di animali da traino, esperienza risultante da uno strano anacronismo: suo padre era stato un uomo mosso da grandi ambizioni politiche e aveva fatto parte del gruppo conservatore del Ritorno alla Terra. La sua immagine (di sindaco cittadino che mirava al senato), richiedeva anche lo svolgimento di qualche simbolica attività agricola... quanto più primitiva, tanto meglio... ma lui era un uomo molto occupato, quindi la maggior parte del lavoro veniva svolta dal giovane Jim, dopo la scuola. Cercare di far crescere il grano su undici acri di terreno arido, aveva fatto acquisire a Kirk un'intima conoscenza con la parte meridionale di un mulo diretto a nord. – Gee-hah!– Dodici zampe si misero in moto con riluttanza e, dopo i primi sobbalzi, la loro andatura si stabilizzò. Il sole rovente, sempre a picco, rendeva Kirk assonnato, ora che gli effetti dello stimolante di McCoy cominciavano a svanire, e lui poteva sentire dietro di sé il dottore che russava sommessamente. La strada procedeva diritta a perdita d'occhio, quindi Kirk si avvolse per precauzione le redini intorno alle mani e si assopì. Intontito dal sonno, Kirk liberò una mano dalle redini e tirò fuori il comunicatore. – Parla il capitano. Rap-sit negativo. – Si guardò alle spalle. – La squadra di sicurezza sta facendo un sonnellino. Siete voi, tenente Gary? – No, signore, sono il guardiamarina Dunhill.
– Bene. Potete riferire che qui è tutto pacifico e che la maggior parte di noi sta riposando. Siamo diretti a nord, su un veicolo che abbiamo requisito, a una velocità di circa quindici chilometri all'ora. Come vanno le cose lassù? – Fa freddo, signore. Stiamo risparmiando l'energia... ecco il tenente, signore. – Ci fu un cambiamento di voce. – Capitano, i calcoli più recenti di Glak Sôn ci concedono tre giorni e nove ore prima di dover trasferire tutti laggiù, tenendo conto del l'attuale prosciugamento di energia Glak Sôn mi ha incaricato di chiedervi se prevedete di fare un uso insolito del teletrasporto entro breve tempo. – No, ci basta il cibo. Ancora niente dal Comando di Flotta? – No, signore, anche se dubito che potremmo raccogliere un messaggio sui normali canali subspaziali. Ne parlerò con Uhura e vi farò sapere al prossimo rap-sit. – Molto bene. – Kirk avrebbe potuto chiamare personalmente Uhura, ma così si risparmiava energia. – Chiudo. – Mi dispiace di non aver risposto io, capitano – disse Spock, alle sue spalle. – Stavo meditando. – Avevate bisogno di riposo. Spock esitò. – No, capitano. Era necessario meditare, a causa delle elevate probabilità che la nostra missione fallisca. – Della probabilità di... morire qui? – Ci sono molti fattori ignoti, ma la maggior parte di essi suggerisce solo vari livelli di fallimento. – La Flotta Stellare ci troverà, prima o poi. – Non lo metto in dubbio, ma qualsiasi nave ci rintracciasse subirebbe probabilmente la nostra stessa sorte, e così anche quelle inviate in séguito. Kirk si massaggiò il mento. – Quindi... anche se ci credessero... anche se facessero perfino di noi dei re... – Se pure riuscissimo a modificare il cibo in modo da poterlo mangiare, rimarremmo comunque intrappolati qui per il resto della vita, insieme a chiunque venisse a salvarci. – A meno che i soccorsi non arrivino entro tre giorni e nove ore, e possano essere messi in guardia. – Tale possibilità costituisce una delle poche alternative ottimistiche. – Suggeritemene un'altra. Ho bisogno di essere tirato su di morale. – Ovviamente, c'è quella che il nostro viaggio si concluda con successo, con la scoperta che il nostro amico mago... – Mi chiamo T'Lallis – intervenne il chatalia, che sembrava sveglissimo.
– ... con la scoperta che T'Lallis non è un tipico mago – annuì Spock – e che gli altri sono più propensi ad accettare la nostra concezione dell'universo e sono perfino disposti a liberare l'Enterprìse e a rifornirla di energia. T'Lallis, tu sei un mago di seconda casta, vero? – Certo. – L'alieno si toccò il nastro d'argento. – Quelli di prima casta potrebbero essere gli effettivi piloti della nave – continuo Spock. – Se è così, dovremmo riuscire a spiegare loro la situazione, ma quanto a ricevere aiuto o meno... – Potreste non incontrare mai un mago di prima casta. Loro si occupano soprattutto della coltivazione delle piante. – Coltivazione delle piante? – ripeté Kirk. – Curano le piante. Orticultura. – È tutto quello che fanno? – Per la maggior parte, sì. Quelli di seconda casta governano il mondo e si occupano delle rinascite. Noi obbediamo a quelli di prima casta, quando ci viene chiesto qualcosa, ma non accade spesso. – Interessante – commentò Spock. CAPITOLO VIII SOCCORSO-SOCCORSO-SOCCORSO-SOCCORSO-SOCCORSO-SOCCORSO
.903D, 0.0127D, il tutto con riferimento a Rigel. Segue la traduzione del diario di bordo klingoniano... Parla il comandante Spock, dell'astronave Enterprise. Siamo in grave pericolo. In Data Astrale 7502.9, abbiamo scoperto un artefatto notevole: una gigantesca astronave a forma di asteroide cavo, che procedeva a velocità sub-luce, servendosi di un sistema di propulsione interstellare di tipo Bussard. L'astronave è abitata da circa un milione di esseri senzienti, che si definiscono Chatalia. Abbiamo inviato nell'asteroide una squadra convenzionale di approccio, ma abbiamo scoperto che i suoi membri non potevano tornare indietro, perché un sottile guscio di un metallo o di una lega ignota, con peso molecolare 1132.5, impedisce, in qualche modo, al teletrasporto di funzionare in entrambi i sensi. I Chatalia hanno imprigionato la squadra di approccio. È evidente che hanno dimenticato di trovarsi a bordo di una nave spaziale... sono in viaggio da almeno tremila anni... e non comprendono le spiegazioni fornite dalla squadra. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, parecchie centinaia di anni fa, il planetoide è stato attaccato da un incrociatore klingoniano. I Chatalia lo ricordano e ci credono Klingon. Abbiamo trovato i resti della nave sulla superficie del planetoide, e allego a questo messaggio una trascrizione del diario di bordo. È chiaro che l'Enterprise sta subendo la stessa sorte dell'incrociatore klingoniano:
il planetoide sta prosciugando l'energia di bordo mediante qualche meccanismo ignoto e la perdita è direttamente proporzionale all'energia che usiamo. Un avvertimento per i soccorritori: l'Enterprise è stata intrappolata quando si trovava a centoventitré chilometri dalla superficie dell'asteroide, e la cattura è avvenuta per mezzo di una rete formata da quel metallo dal peso innaturale a cui si è accennato in precedenza. Fra meno di una settimana, l'equipaggio dovrà abbandonare la nave e trasferirsi dentro il planetoide, dove dovremmo riuscire a sopravvivere per parecchi mesi. Raccomandiamo ai soccorritori di tentare di perforare l'involucro dell'astronave aliena con un raggio di faser, concentrato su un piccolo punto: in questo modo si potrà utilizzare il teletrasporto e la perdita, d'aria subita dai Chatalia sarà comunque insignificante. Non possiamo vivere a tempo indefinito dentro il planetoide. Non solo i Chatalia sono ostili, ma il loro cibo non può essere assimilato dagli esseri umani. Questo messaggio viene trasmesso in Data Astrale 7504.966, da 119.70238D, 689.4039psc; –1.038572D, -09966psc, con rotta di 37
Contrariamente ai timori nutriti dal tenente Uhura e dal signor Spock, il segnale di soccorso riuscì a trapassare il campo magnetico del planetoide e venne sùbito raccolto da una nave. Sarebbe stato meglio se si fosse trattato di una nave della Federazione. L'incrociatore klingoniano era impegnato in una missione di carteggio simile a quella dell'Enterprise... in effetti, stava seguendo l'astronave a una discreta distanza, mantenendo il silenzio su tutte le frequenze di comunicazione, anche se la sua condotta non era illegale. I Klingon ascoltarono il messaggio, e lo fecero con molta attenzione. – Hai preso una decisione, mio signore? Il capitano Kulain si lasciò cadere in grembo la trascrizione e rimase a fissare il nero notturno, inquadrato nello schermo visore. – Ci può essere una sola linea d'azione – rispose, senza guardare verso il tenente. – Seguila. L'ufficiale sollevò il pugno. – Successo, mio signore! – Il capitano ricambiò il gesto. Dopo che il tenente fu uscito, nella stanza rimase soltanto un'altra persona, il prete Kal. – Il tuo entusiasmo è un'ispirazione per noi tutti. – Molto divertente, Kal. Tu e la tua gente dovreste condividere le mie riserve. Il prete raccolse una copia della trascrizione e diede un'occhiata all'ultima pagina. – Trasformate la nostra putredine in cenere. Mandateci a casa, all'inferno. – Mormorò le prime quattro note di un inno religioso. – Era un uomo devoto, costui, e la sua memoria sarà onorata, quando
riporteremo a casa questo diario. Kulain si alzò in piedi, gettando le carte sulla scrivania, e si mise a passeggiare, girando le spalle al prete. – Se lo desideri, farai meglio a trasmettere il diario sul canale subspaziale. Non siamo... – Ti avverto, Kulain, che stai oltrepassando i limiti della fratellanza e sconfinando nella blasfemia. – Sono un uomo realista e pratico, ed è per questo che sono capitano, vecchio amico, mentre tu sei un prete. – Si voltò a guardarlo. – Questa storia puzza di morte, e lo sai anche tu. – E allora? Tutti dobbiamo morire. – E quale modo migliore per farlo – aggiunse il capitano, in tono untuoso – che vendicare la memoria di una nave perduta, e liberare l'universo dalla presenza di Kirk? Per puro accidente. – Il Trattato di Pace Organiano fra la Federazione e l'Impero Klingoniano proibiva qualsiasi atto di ostilità armata, anche se ciascuna fazione poteva entrare in guerra con una terza parte. – Esatto. – Il prete sfogliò le pagine, distogliendo lo sguardo dall'amico. – Ora le nostre armi sono molto più potenti. – Lascia che te lo spieghi in termini comprensibili anche a un prete. Abbiamo armi più potenti, è vero, ma non più di quelle dell'Enterprise. Ritieni davvero che non abbiano cercato di lottare? – La psicologia umana è molto strana. È possibile che non lo abbiano fatto. – Possibile! Ho combattuto contro questi demoni, Kal, prima del Trattato. Adorano parole stupide e pacifiche, ma nel loro intimo sono feroci. Credimi, ci hanno provato. – Allora moriremo, lo ripeto. – Kal incrociò le braccia sul petto e fissò Kulain, con calma. – Moriremo combattendo. – Una buona filosofia, ma una tattica scadente – ribatté l'altro e, quando Kal rimase in silenzio, aggiunse: – Dovremmo chiedere rinforzi, in modo che una nave cerchi di distruggere il planetoide mentre le altre restano indietro per valutare i risultati. In questo modo, la perdita di un vascello potrebbe essere un investimento e non un sacrificio. Per di più, quello stesso vascello potrebbe essere soccorso. – E al suo equipaggio verrebbe negata l'opportunità di morire in battaglia. – In primo luogo, non sembra che ci sia da affrontare nessuna battaglia, ma piuttosto che si muoia per una specie di malattia. In secondo luogo... – Esitò. – Un guerriero che non rimane ucciso può combattere ancora.
– Kulain... – Kal si alzò in piedi. – D'accordo, ritiro le ultime parole. – Hai studiato troppo gli umani: cominci a pensare come loro. – C'era qualcosa di sbagliato, nell'ordine che ho impartito? – No. Ma il modo in cui lo hai formulato è stato tutt'altro che... deciso. Un suono animalesco salì in gola a Kulain, che attraversò la stanza ed estrasse di scatto, dal fodero appeso alla parete, una spada da cerimonia. – Avanti – lo incitò Kal – uccidi l'unico amico che hai su questa nave. Mostrami che non hai bisogno di nessuno. – Kal – replicò il capitano, soppesando la spada per bilanciarla. – Porgimi la mano. – Signor Scott – avvertì Uhura, cercando di controllare la nota di eccitazione nella voce – abbiamo una risposta sul canale subspaziale. – Trasmettetela sullo schermo. – Apparve un vorticare di fiocchi di neve colorata... l'interferenza del campo magnetico... che copriva un'immagine vagamente umanoide. – Il capitano Kirk? – chiese l'immagine. – No, signore, sono il tenente comandante Montgomery Scott, comandante temporaneo in assenza dei miei superiori. – I miei complimenti, signor Scott. Sono il capitano Kulain, della nave da guerra Korezima. Abbiamo ritenuto cortese avvertirvi che vi trovate vicino a un planetoide che noi distruggeremo fra due giorni, a partire da ora. Vi consiglio di portarvi a una distanza di almeno centomila chilometri, secondo i vostri sistemi di misura. – Non possiamo muoverci! – replicò Scott, dopo un momento di silenzio, sconvolto. – Oh, come mi dispiace – dichiarò Kulain. – E noi abbiamo già lanciato la bomba nova. Forse dovreste iniziare i preparativi spirituali di cui avete bisogno per affrontare la morte. – Lo schermo si svuotò di ogni immagine, tranne i vortici colorati, e Scott lo spense. – Questo ci forza definitivamente la mano. Signor Chekov, cercate d'individuare quella bomba e di tracciarne la traiettoria. Esiste ancora la possibilità che una nave della Federazione abbia raccolto il nostro messaggio e arrivi in tempo per intercettarla. "Tenente Uhura, trovate Glak Sôn e cominciate i preparativi per il trasferimento dell'equipaggio. Porteremo con noi la massima quantità di cibo... e dite all'infermiera Chapel di consultare un chimico in merito alla possibilità di modificare il cibo alieno. Potrebbero esserci delle sostanze
chimiche che dovremo trasportare con noi." – Ritenete che l'involucro metallico del planetoide ci proteggerà? – chiese Uhura. – Contro una bomba nova? Non credo proprio, ma non riesco a vedere altre alternative. – "E non ho mai desiderato comandare", pensò mentre protendeva la mano verso il comunicatore. Stavano attraversando la pigra distesa di case di una cittadina rurale, il cui aspetto era familiare a Kirk, anche se tutti i dettagli erano alieni, come gli edifici troppo alti e troppo distanziati fra loro, e gli spazi intermedi occupati da fiori anziché da erba. Una cosa che sembrava un incrocio fra un cane e uno scarafaggio uscì a precipizio da un'abitazione e abbaiò contro di loro; non si scorgevano bambini, ma ogni adulto che oltrepassavano interrompeva ciò che stava facendo per fissarli. La maggior parte di quei chatalia non aveva mai visto un ven, oppure un ela che non volasse... e tanto meno una creatura proveniente dalla Terra o da Vulcano! Wilson e Moore tennero pronti i faser, ma nessuno notò che i chatalia erano prigionieri, o forse nessuno era disposto a intervenire. Avevano percorso circa cinquanta chilometri, e la forza della pseudogravità si era notevolmente attenuata, a mano a mano che si avvicinavano all'asse del planetoide. – Mi chiedo per quanto tempo ancora potremo utilizzare questo carro – commentò Kirk. – Quando arriveremo all'Isola starà ormai galleggiando in aria. – Suppongo che dipenda dal comportamento degli animali – rispose Spock. – Fra non molto faranno difficoltà a mantenere la presa sul terreno. – Questo – dichiarò il capitano, aprendo il comunicatore – mi ricorda che ci dobbiamo far mandare gli stivali trattori. Il congegno trillò. – Sono Scott. Devo parlare con il capitano Kirk. – Continuate, Scotty. – Siamo in guai grossi, signore. – Non mi dite... che altro succede? – Scotty lo mise al corrente della minaccia klingoniana. - ... e secondo il signor Chekov e Glak Sôn, abbiamo all'incirca quarantasei ore, prima che la bomba nova ci colpisca. – Rientra comunque nei limiti di tempo imposti dalla fuga di energia, vero? – Sì. Con il vostro permesso, aspetteremo fino all'ultimo momento per trasportarci giù. – Volevo suggerirvelo. Potrebbero sopraggiungere aiuti... e sarebbe
preferibile che vi trasferiste su un'altra nave. Scotty rimase in silenzio, e Kirk, che lo conosceva bene, intuì quello che stava per aggiungere. – E non voglio sentire sciocchezze circa l'"abbandonare la nave"... – Ma, signore! – O abbandonare noi, già che ci siamo. Il vostro dovere è evidente. – Rivolse a Spock un'occhiata divertita. – Sarà già abbastanza imbarazzante dover spiegare come siamo riusciti a perdere i due ufficiali comandanti, il medico di bordo e il capo della sicurezza. – Guardiamarina e linguisti si possono perdere facilmente – sussurrò Larousse a Moore. – È facile rimpiazzarli – rispose l'altro. – Questo mi preoccupa, qualche volta. – Kirk lo incenerì con un'occhiata e gli fece cenno di tacere. I due chatalia stavano ascoltando con estremo interesse, masticando alcuni frutti raccolti in un boschetto, fuori della cittadina. Kirk chiese gli stivali e la cena, poi chiuse la comunicazione. Si materializzarono sùbito una pila di panini al prosciutto e una porzione di verdure per Spock. – Non capisco questo tipo di magia – dichiarò T'Lallis. – Questa roba viene dal futuro? – Viene dalla nave – spiegò, asciutto, McCoy. – Dall'esterno, non dal futuro. Dall'esterno. – Quale tipo di magia comprendi? – chiese Larousse. – Quale genere praticate voi? – La magia della vita, naturalmente. – Dammi una dimostrazione – propose il dottore. – Forse, quando saremo arrivati all'Isola. – T'Lallis prese fra le dita una piega dell'ala, studiandola – Quando arriveremo là... ecco... vorrei che la smetteste con questi discorsi sull'"esterno", sull'Enterprise e su cose del genere, così può darsi che vi lascino in vita per un po'. – Abbiamo raggiunto una posizione di stallo, T'Lallis – affermò Kirk, precedendo la reazione di McCoy. – Entrambi sappiamo che noi stiamo dicendo la verità e che l'altra concezione è del tutto sbagliata; quindi non c'è più bisogno di parlarne. – Guarda questo – disse il dottore, raccogliendo la buccia di un frutto scartata da W'Chaal, che l'aveva staccata accuratamente in un solo pezzo, a spirale. McCoy la rimise insieme e la tenne fra le mani, come un globo vuoto e irregolare. – Potete almeno cercare di visualizzarlo? – Per arrivare a capire le nostre allucinazioni – aggiunse Larousse.
– Attualmente, noi siamo all'interno... – Guai in vista – avvertì Wilson, mentre venti lan si precipitavano fuori da un edificio e si disponevano su due file, in mezzo alla strada di ghiaia, protendendo rozze lance verso il carro in avvicinamento. – Puoi dire loro qualcosa? – domandò Kirk. – Altrimenti dovremo sparare. – Lo farei – rispose il mago – ma non hanno con loro un interprete. – W'Chaal, puoi... – No. – Il chatalia si eresse sulla persona. – Io non sono un interprete per mercanti! – Se protendi il traduttore verso quella gente, funzionerà nella loro lingua – suggerì Larousse. – Abbatteteli – rispose l'alieno. Moore e Wilson spararono una breve raffica ciascuno, e i venti chatalia caddero a terra, come soldati da operetta. Gli animali da tiro s'immobilizzarono, rifiutandosi di passare sui fiori, quindi dovettero scendere e ammucchiare gli alieni svenuti sui due lati della strada. Mentre erano intenti a completare quel lavoro, il sole ammiccò un paio di volte. – Dobbiamo proseguire anche al buio, capitano? – chiese Wilson, nel trasportare un grosso chatalia. – A meno che non sorgano difficoltà. Con le lampade, dovremmo riuscire a vedere la strada. Risultò che potevano vedere la via, ma non percorrerla perché, non appena fece buio, le bestie da traino ripiegarono le zampe sotto il corpo e si addormentarono in pochi secondi. Kirk scese a terra e cercò di incitarle, ma invano, e McCoy gli andò in aiuto con un lume. Quando la luce batté sugli occhi degli animali, essi si alzarono sùbito in piedi. Viaggiarono quindi per tutta la notte, stabilendo turni alterni di tre uomini: uno guidava, uno era di guardia e uno camminava a ritroso, proiettando il bagliore di una lanterna negli occhi delle bestie; dal momento che Kirk e McCoy erano gli unici a saper condurre il carro, e che Moore e Wilson erano guardie di professione, Larousse e Spock trascorsero la notte procedendo a ritroso, oppure sognando di farlo (ammesso che Spock sognasse o anche solo dormisse). Spock: L'unico ragionevole approccio al problema è quello di supporre il
successo e di ragionare, poi, in modo da vagliare le diverse diramazioni logiche che conducono a tale conclusione. La prima cosa che deve accadere è che la bomba nova dei Klingon non esploda. Perché ciò si verifichi, deve realizzarsi una delle tre ipotesi che seguono: 1. Intervento di una nave della Federazione. La presenza dei Klingon sottintende che essi hanno ricevuto il nostro messaggio, quindi tale supposizione può non essere troppo azzardata, anche se è improbabile che ci sia una nave nel raggio di quarantotto ore di volo. 2. Difetto di funzionamento della bomba. Le probabilità relative sono scarse, e comunque i Klingon ritenterebbero. 3. Il potere della bomba non è sufficiente a distruggere lo scudo di supermetallo che ci avvolge. Si tratta dell'eventualità più probabile, ma non si può fare una valutazione, a causa dell'ignoranza sulla capacità calorica di quel metallo. (Esiste anche una seconda eventualità: che lo schermo rimanga intatto ma conduca il calore con tanta efficienza da sollevare la temperatura fino a renderla letale.) Procedendo in base al supposto verificarsi della terza ipotesi, si ottiene che noi siamo vivi, quaggiù, ma l'Enterprise è stata distrutta sulla superficie. Può darsi che i Klingon si accontentino e se ne vadano, certi di aver annientato ogni traccia di vita... o almeno desiderosi di far rapporto in tal senso, ma è più probabile, tuttavia, che trasportino all'interno una forza di sbarco. È evidente che i Chatalia sono già riusciti a sconfiggerli una volta, in passato, e da soli; con il nostro aiuto, potrebbero respingerli con minore spargimento di sangue, anche se è improbabile che un klingon si lasci prendere vivo. Ciò che succederà in conseguenza di questa serie di azioni, dipende in grande misura dai maghi. Ipotesi: 1. Si limitano a giustiziarci. Non è improbabile, ma è una soluzione banale. 2. I maghi di prima casta sono i piloti e sono disposti ad aiutarci. In tal caso, la nostra sopravvivenza dipenderebbe da: A. Scorte di cibo. È necessario un forte razionamento. Se l'acqua locale contiene arsenico, esso può essere eliminato con il processo di Marsh, ma potrebbe rivelarsi irrealizzabile la manipolazione del cibo senza sofisticati strumenti. B. Trovare un'uscita verso la superficie, allo scopo di poter essere teletrasportati al sicuro, quando arriverà una nave della Federazione.
Anche se non riuscissimo a stabilire un contatto con tale vascello, esso invierebbe di certo una squadra a investigare, una volta che i biosensori avessero rilevato la presenza di vita. 3. Sono i piloti, ma non sono disposti ad aiutarci. L'uso della forza è possibile, ma sconsigliabile, perché non possiamo combattere in eterno e non possiamo neppure occupare e tenere un intero pianeta con le armi comunemente in dotazione. In questo caso, la tattica migliore sarebbe quella di convincerli che hanno bisogno della nostra collaborazione. Anche se non avrà alcun effetto all'interno del pianeta, la bomba nova distruggerà di certo il sistema di propulsione Bussard, e gli ingegneri della Federazione dovrebbero essere capaci di ripararlo o di sostituirlo. 4. Infine, i maghi potrebbero non essere affatto i piloti, e la nave essere del tutto automatizzata, oppure un relitto alla deriva. In tal caso, dovremo tentare di dedurne la storia e le modalità di funzionamento, per scoprire un sistema sicuro, capace di praticare un'apertura nello strato di metallo. È probabile che tutte queste speculazioni siano inutili. Se la capacità del supermetallo di resistere all'azione dei faser è dovuta (anche in parte) a una conduttività termica molto elevata, allora entro quaranta ore l'interno del planetoide raggiungerà la temperatura di una supernova...con un incremento di una frazione al secondo, che sarà però sufficiente. – Spock... svegliatevi! – Larousse gli porse la lanterna, poi si issò a bordo del carro e crollò sul fondo, mezzo addormentato. Il vulcaniano stava meditando e non dormendo, ma non ritenne di dover correggere il linguista. Scese dal carro, planando lentamente al suolo. Ormai, avevano raggiunto circa un quarto della normale gravità e questo, paradossalmente, rendeva più difficile camminare, anziché facilitare la cosa... specie dovendo procedere a ritroso. McCoy stava togliendo le redini dalle mani di Kirk, che si stiracchiò, e sbadigliò. – Mi chiedo quanto può mancare ancora – commentò. Spock effettuò un rapido calcolo. – Continuando dritti verso l'asse, alla velocità attuale, notte e giorno, dovremmo arrivare in sette ore e dieci minuti. Dobbiamo però oltrepassare un corso d'acqua, che potrebbe presentare nuove difficoltà. – Troveremo un'altra barca – dichiarò il dottore. – Potrebbero non essercene. Non so cosa succeda a una massa d'acqua
posta all'interno di una struttura rotante a un decimo della gravità normale, ma dovrebbe essere uno spettacolo interessante. E forse non navigabile. – Nel qual caso? – Ho considerato diverse possibilità. Come dice un vostro proverbio: mai mettere il carro davanti ai buoi. Attraverseremo quel ponte quando ci arriveremo! McCoy smosse le redini, facendo alzare in piedi gli animali alieni, e guardò con incredulità il vulcaniano. – Avete appena detto una battuta di spirito? – Non coscientemente. Era "buona"? – Tremenda. Spock annuì, serio, e cominciò a camminare all'indietro. CAPITOLO IX Poco dopo l'alba, gli animali da tiro cominciarono a gemere per la paura o per la stanchezza; a ogni passo, infatti, fluttuavano in aria per un secondo a causa della gravità molto bassa, avanzando lentamente e a scatti. Kirk si decise a togliere loro i finimenti e a spingerli nella direzione da cui erano venuti. Essendo muniti di stivali trattori, gli uomini dell'Enterprise non avevano problemi a circolare, ma i chatalia sì. W'Chaal non si era mai avventurato a tali altitudini, e T'Lallis era abituato a volare e non a camminare, là dove la gravità era scarsa. I due alieni rimanevano a lungo in aria, a ogni passo, e alla fine Spock li afferrò per un braccio e se li tirò dietro. Procedevano su un terreno molto inclinato, quasi stessero risalendo una ripida collina, perché "su" era una dimensione soltanto perpendicolare al terreno, nelle vicinanze dell'equatore. Impiegarono parecchie ore per raggiungere la massa d'acqua che separava l'Isola dalla terraferma e, come Spock aveva previsto, essa si rivelò un ostacolo formidabile. La superficie del liquido non era ben definita... era cosparsa di sporgenze, tanto da dare l'impressione che stesse bollendo, anche se non per il calore. Masse d'acqua grandi come piscine si separavano dalla superficie, si libravano in aria per un momento e ricadevano con lentezza, e su di esse si stendeva un tratto di spuma che arrivava a parecchi metri di altezza e sembrava tanto fitto da poterci annegare dentro. Un arcobaleno circolare brillava tremolando davanti a loro.
– Una barca non servirebbe a molto, a quanto pare – commentò il dottore. – Come traghettate le merci? – Con delle barche. – T'Lallis scrollò le spalle. – Barche aeree, però, non acquatiche. – Come fanno queste imbarcazioni a volare? – Volle sapere Kirk. – Le barche, volare? Com'è possibile? – Questo ritornello mi suona familiare – dichiarò McCoy. – Come funzionano, intendo – insistette il capitano. – Uno o più ela le trainano con delle corde. Sono rese leggere dalla magia. – La vostra "magia della vita"? – chiese Kirk. – Sì. C'è una pianta chiamata hrnii, e quando si mette un suo seme nell'acqua, esso diventa una palla, che si riempie di leggerezza. – T'Lallis – interloquì Spock – se si apre una palla di hrnii, l'aria al suo interno brucia? – Sì, con una fiamma invisibile, come dovete sapere. – Una pianta che genera idrogeno – osservò McCoy. – Avete mai sentito nulla del genere, Spock? – Solo in fase di decomposizione – rispose il vulcaniano – ma mai in quella di crescita. Credo che la vostra magia m'interesserà molto, T'Lallis. – Se mai riusciremo a passare – obiettò Kirk. – Anche avendo una di queste barche, non ci sarebbe modo di utilizzarla. – Vi potrei trainare tutti, vista la breve distanza – si offrì T'Lallis. – No... avrei paura di un incidente – rifiutò Kirk, con una sfumatura di sarcasmo. – Signore – intervenne Moore – ho un'idea. Potremmo volare noi stessi dall'altra parte. – Avete perso il senno, guardiamarina? – domandò Wilson, con educazione. – No, signore. L'ho visto fare, sulla Luna. Sulla Luna della Terra, intendo, durante la mia ultima licenza. – Sono stato sulla Luna decine di volte – dichiarò Kirk – ma non ho mai visto nessuno volare. – Wilson si mostrò d'accordo con il capitano e scoccò al guardiamarina un'occhiata vagamente minacciosa. – Signori, allora non siete mai stati a Disneymoon. – Il parco dei divertimenti? – Kirk e Wilson non avevano più commesso simili frivolezze da quando avevano ricevuto i gradi di ufficiale. – Volano, là? – Ora che ne parlate – confermò McCoy – ricordo di aver letto qualcosa
al riguardo. Si tratta di una grotta sotterranea naturale... – È più grande dell'Enterprise, signore, e si può volare a lungo, con la gravita ridotta a un sesto e con grandi ali leggere. – E risulta difficile? – Ecco, signore, non lo so... la mia ragazza ha avuto paura di provare. – Il che era stato un sollievo anche per Moore. – E cosa proponete di usare, come ali? – domandò McCoy. – Dobbiamo dire a Scotty di mandarci colla e piume? – Disegnare le ali non dovrebbe essere difficile – osservò Spock. – Imparare a usarle in maniera adeguata potrebbe essere però una questione del tutto diversa. – I turisti le usano sulla Luna, signore. – È probabile che Park Tinney ne sappia qualcosa – suggerì Larousse. – È un guardiamarina della sezione linguistica, ed è nata e cresciuta sulla Luna. Kirk annuì e aprì il comunicatore. – Sentiamo cosa ne pensa Scotty. In effetti, il guardiamarina Tinney aveva volato praticamente ogni giorno, dal suo decimo compleanno a quando aveva lasciato la Luna per entrare in Accademia, e aveva ancora le ali chiuse in un armadietto, nel caso le fosse capitata una licenza su un pianeta con scarsa gravità. Le ali erano fatte di leggero tessuto, in rete metallica, incollato a tubi cavi dello stesso materiale, ed erano due paia: uno grande per le braccia e uno piccolo per i piedi. Esse vennero trasportate con cura nella sezione ingegneria, stese sul ponte e misurate con attenzione. Glak Sôn calcolò le alterazioni da apportare alle misure per ogni uomo dell'equipaggio presente nel planetoide. A quel punto, ci vollero meno di due ore per la fabbricazione vera e propria. Park Tinney si offrì di teletrasportarsi insieme alle ali, per istruire gli uomini nel loro uso; a Scott non andava a genio l'idea di esporre al pericolo una ragazza giovane come Tinney, mentre lui rimaneva al sicuro sulla nave, ma non poté negare che la presenza del guardiamarina giù fosse indispensabile. Se le condizioni fossero state uguali, sarebbe stato più facile volare là che non sulla Luna, in quanto il peso di ognuno era inferiore alla metà di quello che sarebbe stato sul satellite terrestre. Ma le condizioni non erano uguali. Sulla Luna, ci si lanciava partendo da una specie di trespolo, e chi volava non era impacciato dai vestiti; Park non pensò neppure di chiedere ai membri della squadra di affrontare i nemici in mutande (anche se avrebbero dovuto abbandonare gli stivali, perché le ali si manovravano
mediante piccoli movimenti delle dita dei piedi). Avendo anche le ali ai piedi, non si poteva partire in corsa, ma quello non fu un problema, perché grazie alla gravità minima era possibile spiccare salti di dieci metri, tenendo poi le ali aderenti ai fianchi fino a raggiungere l'apice del salto; a quel punto, bisognava inclinarsi in avanti e allargarle, agitandole velocemente. Mentre gli altri si esercitavano, Park si divertì immensamente a fare qualche acrobazia, sotto gli sguardi incantati dei due chatalia; essi non avevano mai visto veri uccelli, non essendoci sul pianeta altri animali capaci di volare, e i maghi si tenevano in aria con la forza bruta. Quando furono tutti capaci di rimanere sospesi e di procedere senza troppe difficoltà, Kirk li richiamò a terra; Moore scese in picchiata e frenò, atterrando con la dolcezza di una piuma e dimostrando un naturale talento per l'uso delle ali, mentre McCoy ne ruppe una di quelle inferiori e commentò di essere stato fortunato a non rompersi anche una caviglia. Park aveva comunque portato gli strumenti per eventuali riparazioni, e riuscì a raddrizzare i tubi e a incollare di nuovo il tessuto, senza neppure sfilare l'ala dal piede. – Credo che la strategia migliore sia quella di tenersi il più lontano possibile dall'acqua – decise Kirk. – Torneremo indietro di circa un chilometro e guadagneremo quota. T'Lallis, puoi trasportare W'Chaal? – Sì, ma non capisco il motivo di portarlo con noi. Morire su questa sponda o su quella non farà alcuna differenza. – Portalo. Può darsi che ci sia da discutere su questo punto. Spock sembrava pensoso, mentre tornavano, camminando e svolazzando, verso il punto di lancio. – Capitano – disse poi, soppesando le parole. – In passato, avete scherzato sulla mia mancanza d'immaginazione e temo che questo sia un difetto che manifesto spesso, e specialmente adesso, con il problema che dobbiamo affrontare. – Volare fino all'Isola? – No, signore... l'attacco klingoniano. C'è un modo in cui si potrebbero accrescere le probabilità di un suo fallimento, se non è già troppo tardi. – Quale sarebbe? – Signore, la bomba nova può essere un'arma molto potente ma, come tutte quelle omnidirezionali, subisce l'attenuazione dell'inverso dei quadrati: quanto più lontano la faremo detonare, tanto minore sarà il danno da essa causato al planetoide e all'Enterprise. – Ma certo! Potremmo usare i faser principali di bordo per... – Kirk si accigliò.
– Come vedete, è un problema complesso, e dobbiamo comunque trasportare l'equipaggio e le provviste dentro l'asteroide. Quanta più energia devieremo nei faser, tanto meno ce ne rimarrà per il teletrasporto e i sistemi di supporto vitale. "Tuttavia, noi vogliamo che l'equipaggio rimanga a bordo il più a lungo possibile, e riconciliare i diversi aspetti di questo problema richiede per lo meno un'equazione di quinta grandezza, per la quale mi mancano i parametri. Avendo accesso alle registrazioni di bordo, Glak Sôn dovrebbe poterla risolvere." – Vedremo. Scotty si massaggiò gli occhi stanchi. – Lasciatemi pensare. Alle 09.47 teletrasportiamo tutti giù, tranne uno. Alle 09.48, l'uomo rimasto... io... punterà i faser principali contro la bomba e la farà esplodere. Poi... – Cercherà di farla esplodere, signore – lo corresse Glak Sôn, rabbrividendo. – Nei calcoli c'è una percentuale di rischio. Non possiamo sapere con certezza quanto sia potente la bomba nova dei Klingon, né quanto sia vulnerabile al fuoco dei faser. Quest'orario rappresenta la soluzione migliore, basata però su informazioni che potrebbero non essere aggiornate. – Info...oh. Informazioni spionistiche. – Con tutto il rispetto, signore, raccomando ancora di non lasciare un uomo a bordo. È talmente improbabile che la bomba cambi traiettoria all'improvviso... – Ho preso la mia decisione, guardiamarina – ribatté Scotty, in tono un po' tagliente. Costrinse il cervello stanco a funzionare. – Loro possono riprodurre qualsiasi nostro calcolo. Potrebbero prevedere la nostra mossa, e inserire un cambiamento di rotta non appena i biosensori li avvertiranno che abbiamo lasciato la nave, in modo da proteggersi contro un attacco faser automatico. Glak Sôn mormorò qualche parola di scusa. – Non hai mai combattuto contro di loro, ragazzo... – Era un termine valido quanto un altro, per una creatura che cambiava genere quasi ogni anno... – quindi non puoi pensare come loro. – Guardò il cronometro. – Abbiamo nove ore. Tenente Uhura, scenderò per un po' nel mio alloggio. Se non sarò di ritorno per le 07.30, mandate qualcuno a chiamarmi. – Sì, signore. – Uhura gli sorrise, e i pensieri di Scotty s'intricarono, mentre lui cercava una frase arguta da dirle e finiva poi per andarsene,
rosso in volto. Tornato nel suo minuscolo alloggio temporaneo, l'ingegnere si preparò un bicchierino di brandy, lo fissò per un momento, poi tornò a versare con cura il liquido nella bottiglia. Quella di allontanarsi dall'acqua per fare una "partenza lanciata" era stata una buona idea, perché c'era una costante corrente d'aria calda in salita che andava dalla terraferma verso l'Isola. Presero sùbito quota, mantenendosi inizialmente in linea retta. I due alieni, però, continuavano a rimanere indietro, perché T'Lallis stringeva goffamente W'Chaal con i piedi, come un buffo uccello da preda; Park e Moore, invece, erano sempre in testa... Moore era entusiasta di non provare la temuta paura dell'altezza... ed erano costretti a perdere quota di frequente per tornare dagli altri. – È abbastanza divertente – ammise McCoy, affiancandosi a Kirk. – Se fossero furbi, venderebbero questo pianeta a Disney... comprerebbero un tranquillo... – Dove diavolo sono? – chiese Moore, sbattendo furiosamente le ali per ridurre la spinta in avanti. I due chatalia erano scomparsi, ma li riavvistarono poco dopo: il mago era un punto in alto nel cielo, e l'interprete stava precipitando verso il basso. Park ripiegò le ali contro il corpo, si tuffò lentamente a cigno e cominciò a nuotare nell'aria verso il basso, raggiungendo in un paio di minuti W'Chaal, le cui ali erano state allargate dall'aria, ma non abbastanza da frenare considerevolmente la caduta. – W'Chaal! Plana! Puoi arrivare fino a riva! – Gli sarebbe bastato girarsi in modo da fronteggiare la corrente calda e sbattere un poco le ali. – Lo so, ma il maestro mi ha detto di morire, di cadere nell'acqua. Guardando in basso, Park calcolò di avere ancora una ventina di secondi. Non c'era tempo per discutere, quindi afferrò una manciata di pelo con ciascuna mano e protese in fuori i gomiti in modo da allargare le ali al massimo, agitando le gambe a forbice per mantenersi equilibrata. – No! – W'Chaal sbatté con violenza entrambe le braccia, colpendola al plesso solare, e la ragazza si piegò su se stessa per il dolore, lasciando la presa. Il movimento istintivo privò le ali del sostegno dell'aria, facendola precipitare a sua volta all'indietro... priva di controllo per alcuni preziosi secondi, finché riuscì a rigirarsi.
W'Chaal gridò qualcosa d'incomprensibile e scomparve nella nebbia, mentre Park finì in una massa d'acqua fluttuante, grande quanto un uomo, e ne emerse tossendo e annaspando. Accecata, in preda al panico, venne salvata dall'istinto radicato di anni di volo. S'irrigidì, appiattendo il corpo e spalancando al massimo le ali, fino a quando la tosse non si fu calmata; poi, sentendo i vapori acquosi che la circondavano, ordinò ai polmoni affaticati di non respirare e risalì lentamente verso la luce. Quando le parve che l'aria che le colpiva il viso fosse secca e calda, respirò con cautela dal naso, tossì due volte e si asciugò gli occhi, cercando di andare ancora più su, grata che il tessuto di cui erano fatte le ali fosse impermeabile. Un'ombra le passò sopra. Sollevando lo sguardo, scorse Moore che fluttuava giù. – Torna indietro, dannato stupido! – Ma lui le si affiancò e si adeguò con qualche difficoltà al suo ritmo di ascesa... davvero niente male, per un principiante, Park dovette ammetterlo. – Sembrava che fossi nei guai – commentò lui. – Nei guai ci farò finire te! – rispose la ragazza, ma sorrise. Avevano percorso circa metà strada, equivalente a una decina di chilometri, quando i maghi li catturarono, arrivando alle loro spalle, nascosti dal bagliore del sole e li avvilupparono in un'ampia rete del consueto filo metallico invisibile. – Non lottate! – ordinò Kirk. – Non fate fuoco. – Moore, che aveva estratto a metà il faser, lo ripose, consapevole che chiunque avesse stordito sarebbe precipitato verso morte certa. Park si era tagliata il dorso delle mani, spingendosi lontano dalla rete. – Che cos'è? – Cavi microscopici – spiegò Larousse – e taglienti come rasoi se si esercita pressione. Cercate di rilassarvi. – Sembra che siano una trentina – osservò Wilson, schermandosi gli occhi. – Credo che non possiamo fare altro che aspettare e vedere quali sono le loro intenzioni. Il suo comunicatore trillò. – Rapporto della situazione, signore. Il tenente estrasse con cautela l'apparecchio, evitando la rete. – Le cose stanno migliorando – ringhiò. – Ora viaggiamo a carico!
CAPITOLO X Data Astrale 7508.9 Ora di bordo: 08.20 Ho incaricato il tenente Uhura di occuparsi dei dettagli relativi all'evacuazione, compresa l'organizzazione logistica successiva al teletrasporto. Seguendo il consiglio del capitano Kirk, l'equipaggio si materializzerà nell'area agricola, meno popolosa e relativamente sicura, in cui vivono i lan-chatalia. Dopo aver occupato la zona e stabilito un perimetro difensivo, la loro prima preoccupazione sarà quella di effettuare un'analisi del cibo locale e dell'acqua. Il guardiamarina Amstel (della sezione chimica) è certo di poterli purificare, in modo da permetterci di sopravvivere a tempo indefinito. In caso contrario, abbiamo razioni di cibo soltanto per diciannove giorni (nelle normali dosi di 2500kCal/giorno) e d'acqua per cinque (a cinque litri al giorno). Uno spostamento in massa verso l'isola dei maghi non sarebbe una mossa pratica, perché ci rimangono solo dieci paia di stivali trattori, riservati ai membri della sicurezza, che sono anche stati dotati di ali e che serviranno da contingente di soccorso, dirigendosi verso l'isola non appena il campo sarà installato e protetto. Le misure che questa squadra adotterà dipenderanno dal modo in cui Kirk e i suoi uomini verranno trattati. Nel corso dell'ultimo contatto, la squadra era nelle mani dei maghi, essendo stata intrappolata in una rete mentre attraversava la massa d'acqua che circonda l'isola. L'evacuazione avrà inizio alle 09.45, dando energia ai teletrasporti a intervalli di sei secondi circa. Il trasferimento del personale e delle provviste dovrebbe essere ultimato entro le 09.47.5, lasciando qui me a vedermela con i Klingon. Tenente Comandante Montgomery Scott.
Alle 09.32, solo, nella sala di controllo, Scotty stava studiando la lista di coordinate elaborata per lui da Glak Sôn, quando Uhura oltrepassò senza far rumore la porta aperta. – Qualche problema? – domandò l'ingegnere, sollevando il capo. – No, sono tutti pronti, anche se ammassati. Volevo allontanarmi dalla ressa per un momento. La donna spezzò il silenzio imbarazzato, con voce tremante. – Volevo dirvi... – Avanti... – Scotty agitò debolmente una mano, fissando il pavimento. – Volevo dirvi addio – proseguì Uhura – nel caso che sia un addio. – Si affrettò a proseguire. – Mi siete sempre stato simpatico, Scotty, e ammiro il vostro coraggio. – Suvvia – protestò lui, senza sollevare lo sguardo. – E io ho sempre... so che siete un buon ufficiale... una donna in gamba... io... Di colpo, l'ingegnere si ritrovò fra le braccia un commosso ufficiale addetto alle comunicazioni. Per qualche tempo non si mossero né
parlarono, mentre Scotty rimaneva in piedi, con gli occhi chiusi, sopraffatto dalla morbidezza e dal profumo di Uhura. – È ora... è ora che andiate giù – mormorò poi, con una voce strana e soffocata che suonò nuova alle sue stesse orecchie. Un casto bacio gli piovve sulla guancia rovente. – Ce la faremo – sussurrò Uhura. – Non so spiegare perché, ma sento che ce la faremo. L'ingegnere la seguì con lo sguardo, rimpiangendo le cose che non le aveva detto in passato. Quanto al futuro, contavano solo i prossimi dodici minuti, quindi tornò a sedersi davanti alla lista e cercò di concentrarsi. Sulla nave klingoniana, Kulain si massaggiò gli occhi, per allontanare il sonno, e accennò un sottile sorriso nel notare le cifre sul display che aveva davanti. – Riceverai una medaglia per questo, Karez. – Era una delle varie linee d'azione possibili – annuì l'ufficiale scientifico. – Probabilmente quella che avrei consigliato io stesso, se fossi un codardo. "O se volessi introdurre là dentro il maggior numero possibile di combattenti", pensò Kulain. – Cominciare le manovre evasive. Accese lo schermo e contemplò l'immagine dell'Enterprise intrappolata. – Se sperano di salvare la nave – commentò – dovrebbero cominciare a reagire più o meno adesso. Scotty sistemò i fogli con i dati accanto allo schermo, poi lo accese. Le cifre di Glak Sôn erano basate sulla sequenza evasiva "a casaccio" che i Klingon avevano impiegato in passato. Tenendo entrambe le mani sulla tastiera e il piede sul pulsante di fuoco, fissò l'immagine della bomba nova. C'era un tempo di scarto di circa venti secondi, quindi avrebbe dovuto "impallinare" la bomba come un cacciatore di anatre fa con la preda, mirando un po' più avanti rispetto al punto in cui essa si trovava. L'immagine ebbe un tremolio laterale. Scotty individuò sui fogli i dati per quel tipo di spostamento, inserì tre cifre in rapida successione e premette il pulsante di fuoco. Un pallido raggio di luce toccò la bomba, ma senza alcun effetto visibile. Con la faccia madida di sudore, attese lo spostamento successivo e ripeté l'operazione, ma questa volta non ci fu neppure il filo di luce. Urlò un insulto contro la consolle e le sferrò un calcio, facendosi male al piede, quindi spense lo schermo e raggiunse zoppicando il teletrasporto portatile.
– Energia – disse, ma una luce rossa cominciò a lampeggiare sul pannello di controllo automatico. Non c'era abbastanza potenza, e se avesse cercalo di trasferirsi giù, sarebbe stato dissociato in una massa di particelle per non essere più riassemblato. Forse era meglio che aspettare l'esplosione di una bomba per nove ore: l'effetto sarebbe stato uguale. Accennò a chiamare Uhura, ma poi decise di aspettare un poco, perché là sotto doveva esserci una confusione infernale, e del resto lui aveva alcune cose da sbrigare. Scese in sala mensa a prelevare un po' di razioni, sigillando quell'area; la seconda tappa fu al suo alloggio, per raccogliere una bottiglia di brandy denebiano... sarebbe dovuta durare nove ore. Alla fine, chiuse i sistemi di supporto vitale in tutta la nave, tranne che nella sala di controllo di emergenza e sul ponte otto, dove c'erano gli alberi e la fauna. Doveva conservare l'energia, perché esisteva ancora la remota possibilità che una nave della Federazione venisse in loro soccorso e li salvasse almeno dall'attacco dei Klingon. Era, però, più probabile che lui sarebbe stato il primo a morire, sia pure per una frazione di nanosecondo. Tornato nella sala di controllo, azionò alcuni interruttori, in modo da ricevere e inviare messaggi attraverso il comunicatore a mano, dall'area ricreativa, e vi scese con il turboelevatore. Trovato un bicchierino di cristallo, sedette sull'erba fresca con le spalle appoggiate a un albero, si versò da bere e sorseggiò il liquore, prima di posarlo a terra con cura. – L'Enterprise chiama Uhura, Jim... chiunque sia in ascolto laggiù. "Ci dev'essere stato un errore nei calcoli. Anche se abbiamo colpito la bomba, l'energia rimasta non è stata sufficiente a danneggiarla, e neppure a permettermi di teletrasportarmi di sotto. "Glak Sôn, non ti attribuisco alcuna colpa per l'accaduto. Mi avevi avvertito... e poi, i tuoi dati relativi alle manovre evasive a casaccio hanno funzionato alla perfezione." Nel proseguire, scelse con attenzione ogni parola. – Non posso parlare a lungo, perché questo aggeggio ai neutrini assorbe un'energia trenta volte superiore a quella di un comunicatore normale. Se chiamerò ancora, sarà perché sono arrivati i soccorsi. Mi mancate. Addio. – Non riesco a capire – mormorò Glak Sôn, tremando per qualche emozione... forse aliena, o forse no. – Ho lasciato un ampio margine d'errore nei miei calcoli.
Uhura si protese per battergli un colpetto sulla spalla, presa dai suoi pensieri. – Dev'essere stata colpa dei dati. – Non vedo come. Dovevo essere certo. – Si girò per allontanarsi. – Mi piaceva. Quattrocento persone si stavano aggirando in un campo di cavolfiori azzurri, dando e ricevendo ordini. Se fossero Bantu, pensò Uhura, farebbero la cosa più ragionevole: si siederebbero e aspetterebbero in silenzio per nove ore. Una volta che fossero sopravvissuti alla bomba, allora sarebbe giunto il momento di organizzare la distribuzione del cibo e dell'acqua, di scavare le latrine, di assegnare gli "alloggiamenti". Le uniche cose da fare con urgenza riguardavano i nativi... soprattutto, stabilire un perimetro di guardia. Incaricò anche una squadra di raccogliere e di ammucchiare di lato, senza danneggiarli, i cavolfiori che crescevano nelle immediate vicinanze, in modo che non venissero calpestati. Sedette quindi a gambe incrociate sul terreno arido, osservando come venivano eseguiti i suoi ordini. Aveva già affrontato altre volte la morte, ed era preparata a essa, ma non le piaceva quel senso d'impotenza, il fatto di sapere il minuto e il secondo in cui il colpo sarebbe giunto e di non poterlo fermare. Se non altro, in quella situazione c'era un familiare senso africano di paradosso. No, non proprio di "paradosso", in inglese non esisteva un termine corrispondente. Consisteva nel trovarsi seduti dentro una piccola sfera in cui il cielo era il terreno, completamente rinchiusi e al tempo stesso persi nella vastità interstellare. Consisteva in quel tranquillo, stupidamente curato campo di cavoli, dov'erano venuti tutti a condividere il tipo di morte di solito riservato alle stelle. Le dava una strana sensazione, essere responsabile di quelle centinaia di fratelli, di sorelle e di figli... dopo aver rinunciato alla maternità per la Federazione e per l'Enterprìse (con delusione della sua famiglia), solo per finire a fare da madre a un'intera astronave. Questo le ricordò una storia che aveva imparato dalla sorella della sua bisnonna. Il primo uomo e la prima donna vivevano felici in Cielo. Un giorno, Dio disse loro che dovevano scendere sulla terra, e chiese se preferivano condividere il destino della luna o quello della banana. Loro non sapevano cosa scegliere. Dio spiegò che la luna cresce, poi rimpicciolisce e muore, ma rinasce sempre.
La banana, invece, durante la sua esistenza propaga germogli che ne accompagnano il suo crescere e il suo invecchiare, e che la circondano quando muore. Ma quella morte è definitiva, tranne che per il fatto che la sua progenie è viva. Quindi, dissero loro, noi possiamo rinascere, ma vivere e morire soli; oppure possiamo dividere la nostra vita con dei figli, ma morire una volta sola. Sta a voi scegliere. Cosa è meglio? domandarono. Non ve lo dirò. Tutti gli animati hanno scelto. Siccome siete i miei preferiti, vi ho lasciati per ultimi. Cos'hanno scelto gli animali? Dio rise. Non vi dirò neppure questo. L'uomo voleva fare come la luna, essendo guidato dalla mente e dalle sue paure; la donna, invece, voleva fare come la banana, essendo guidata dal suo grembo e dalle sue speranze. L'uomo impiegò le parole, e la donna no: così essi ci diedero la vita, e la morte. Uhura rifletté che la sua prozia non si sarebbe sorpresa se avesse sentito parlare dei Chatalia: erano solo un popolo che aveva scelto il destino della luna. CAPITOLO XI Ormai erano a pochi minuti di volo dall'Isola. – Credo che sia meglio rimetterci gli stivali – disse Kirk, liberando il braccio destro e prendendo le calzature che aveva agganciato alla cintura. – È possibile volare senza le ali inferiori, guardiamarina? – Si può rimanere in aria, ma non si manovra molto bene – spiegò Park. – Non si può neppure estrarre il faser e sparare con prontezza, a meno di rinunciare del tutto alle ali – aggiunse Wilson. – È vero – convenne Larousse – ma probabilmente ci disarmeranno non appena atterreremo. – O cercheranno di farlo – lo corresse Wilson. – Dovremo valutare la situazione – dichiarò Kirk. – Se avessimo ancora Scotty che ci assiste con il teletrasporto, potremmo cedere le armi senza eccessive preoccupazioni; ma adesso non ne riceveremo altre. – Se fossero umani – intervenne McCoy – direi di consegnare i faser e di
sperare che ci tengano in vita per curiosità, almeno per qualche tempo. Ma dubito che questi esseri provino qualche curiosità. – E sono certamente pronti a uccidere i loro simili con una facilità notevole – aggiunse Park. – Un momento – interloquì Wilson. – Ci serve una garanzia... due di noi hanno ancora un armamento doppio, da quando ci hanno mandato giù i fucili. Posso nascondere quello piccolo nello stivale e consegnare quello più appariscente... Moore, avete ancora il faser? – L'ho già messo via, signore – rispose il guardiamarina, con un sorriso innocente. – Allora agiremo secondo l'intùito – decise Kirk. – Se mostreranno l'aperta intenzione di ucciderci su due piedi, li terremo a bada fino a quando non si esaurirà il cristallo dei faser. – Anche se nessuno lo rilevò, tutti sapevano che quei cristalli sarebbero probabilmente durati più a lungo degli abitanti del planetoide. – Se invece vorranno trattare, dopo averci disarmati, consegneremo tutto, tranne le due armi nascoste. – Tre, signore – intervenne Park, arrossendo leggermente. – Il signor Scott ha insistito perché prendessi un faser di scorta. – Esso era assicurato all'avambraccio, sotto la manica della tunica. – Devo darlo a qualcun altro? Non ne ho mai usato uno, tranne che in addestramento. – No – rispose Spock. – Siccome siete di gran lunga la più minuta fra noi, vi considereranno forse la meno pericolosa. – Ma lo sono! Erano ormai abbastanza vicini alla terraferma da scorgere il comitato di benvenuto che li aspettava, per lo più munito di lance. Erano tutti maghi, uno dei quali aveva il nastro dorato che simboleggiava un rango maggiore, e un altro era T'Lallis... o forse qualche altro ela con il traduttore appeso al collo. L'unico di cui ora disponessero. Liberati dalla rete, planarono al suolo. Qui non esisteva praticamente alcuna "gravità" centrifuga, e atterrarono in piedi solo grazie agli stivali trattori. – Diavolo – sussurrò Moore – li potremmo stendere a mani nude. – I maghi avevano le lance, ma dovevano usare le ali per potersi muovere, e fluttuavano intorno al gruppo come orribili angeli. – Non lo so – rispose Wilson. – Questo è il loro elemento naturale. – Era comunque difficile pensare che quelle lance potessero essere impiegate con efficacia, considerato il modo in cui la loro punta ondeggiava, mentre i chatalia si avvicinavano. – Adesso siete prigionieri e qualsiasi vostra aggressione verrà punita con
la morte. – T'Lallis sussurrò qualcosa. – Protendete le mani e permetteteci di prendere le vostre armi. Tre maghi disarmati si accostarono alle spalle degli umani per togliere loro i faser. – T'Lallis – disse Kirk – avvertili di lasciarci i comunicatori. – No. Potete usarli per chiedere altre armi, vi ho già visti farlo. – Ricordate di non toccare la loro pelle – ammonì il mago di prima casta. – Cosa c'è in quelle borse? – Sono attrezzature mediche – rispose McCoy, poi indicò le sacche che Larousse e Park portavano appese alla spalla. – E in quelle ci sono congegni per effettuare misurazioni scientifiche, cibo e acqua. – Perquisiteli. – I tre alieni frugarono nella borsa con i tricorder e in quella con il cibo, e parvero soddisfatti; portarono quindi i faser e i fucili al loro capo, senza aver notato le armi nascoste. Il mago osservò uno dei faser. – È questo ciò che ha ucciso così tanti ven nella Casa di Educazione e Giustizia? – Sì – ammise Kirk – perché hanno ignorato il nostro avvertimento al riguardo. Il chatalia porse l'arma a uno dei perquisitori di seconda casta. – Come potete rimanere in piedi, come se foste in fondo al mondo e aveste la forza ai vostri piedi? – Magia – rispose Kirk. – Le tue parole non sono sufficienti. – Bene! Possiamo fare un patto. Più spiegazioni ci date voi, più ne forniremo noi. Il mago rimase in silenzio per un minuto. – Forse si può provare. Parlami ancora di come state in piedi. – Indossiamo "stivali trattori"... – È un vocabolo senza senso. – Lo so. Siccome non avete un termine corrispondente, il traduttore non ne può coniare uno. Vi darò una dimostrazione pratica – Slacciò gli stivali e ne uscì, librandosi in aria per un paio di metri. Poi si spinse goffamente verso il suolo e si rimise le calzature., – Ho capito come fate – dichiarò il mago. – Le cose che avete ai piedi sono appiccicose. Non capisco però perché le indossiate. Potete volare: perché negare a voi stessi questa libertà? – Non siamo abituati a volare. Dove viviamo noi, c'è sempre una forza che ci trattiene al suolo. – Come per i ven e per i lan.
– Qualcosa del genere, anche se si tratta di un tipo di forza diverso. Ora tocca a me domandare: quali informazioni posseggono gli ela di prima casta, che non siano accessibili a quelli di seconda? – Non ti posso rispondere con tutta questa gente intorno, e comunque non sono certo di potertelo rivelare. – Mandali via e provaci. – No. Credo che sarebbe pericoloso. Chiedi qualcos'altro. – Posso, capitano? – intervenne Spock, e Kirk annuì. – È una piccola domanda. Siete consapevoli che noi non siamo Klingon? – Riteniamo che siate una diversa specie di Klingon – replicò il chatalia, senza esitare. – Quelli che sono venuti prima di voi agivano in modo differente. Questo non significa, però, che possiamo fidarci. – D'accordo – dichiarò Kirk. – Mi sembra una risposta onesta. Chiedi ancora. – Quest'arma. – Il mago prese il faser dalle mani dell'ela di seconda casta che gli stava accanto. – Come mai certe volte uccide e certe altre addormenta soltanto? – C'è un disco regolatore... – cominciò Kirk. – Parole senza senso. – Lasciate provare me – disse Larousse. – C'è un modo per spiegare all'arma quello che deve fare. Di norma, noi non vogliamo uccidere nessuno, ma quell'oggetto può ammazzare, bruciando, o perfino esplodere, se gli si dà l'ordine sbagliato. – Abbiamo creato animali così. – Il mago soppesò il faser. – Ma questa cosa non è viva. – No, è una macchina. – Non capisco. – Il mago si accostò a Larousse e gli diede il faser. – Uccidi qualcuno, che non sia io. – Cosa? – Uno di quelli di seconda casta. Il linguista fissò prima il faser e poi il mago. – Io... noi... non uccidiamo senza una ragione valida. – Te l'ho ordinato. Questo è un motivo. – Non... non è abbastanza valido. – Sono solo guardie. – Wilson e Moore si scambiarono uno sguardo. – Non rimarranno morti a lungo. – Spopock – chiese il linguista, in op. – Coposopa dopevopo foparope? – Spock, cosa devo fare? – Cos'hai detto? – Ovviamente, il traduttore era regolato per l'inglese.
– Ropestopitopuopitopelopo. – Restituitelo. Il mago indietreggiò. – Proviamo così. Guardia, uccidi quello piccolo. Una delle guardie sbatté le ali e volò dritta verso Park, impugnando rigidamente la lancia dinnanzi a sé. – Addosso! – gridò Wilson. Lui e Moore annasparono per impugnare le armi nascoste, impacciati dalle ali. Quella di Park era più accessibile, e la ragazza la estrasse nel momento stesso in cui la punta della lancia le penetrava nell'addome. Park fece fuoco e la guardia esplose in un sanguinoso fiore purpureo, conservando intatti soltanto gli arti e la testa. La ragazza emise un solo gemito, di dolore o forse di sgomento; poi, siccome la violenza del colpo era stata tale da spezzare la presa degli stivali, fluttuò lentamente all'indietro lasciando nell'aria una viscosa scia di sangue. Moore e Wilson avevano preso posizione schiena contro schiena, con un ginocchio a terra, e stavano sparando. Stordirono prima i chatalia armati, quindi le altre guardie, e alla fine Moore si alzò in piedi e affrontò il mago, regolando il faser sul "9". – Assassino – ringhiò, e prese la mira. – Non fatelo, Moore – ordinò Kirk. – Magari più tardi. McCoy si era precipitato da Tinney e l'aveva adagiata al suolo, aprendo il medikit e usando le forbici per tagliare la tunica senza dover estrarre la lancia dalla ferita. La ragazza era in grave stato di shock... la pelle era grigia, si vedeva solo il bianco degli occhi e il respiro era rapido e affannoso. Il dottore regolò il tricorder per la "tomografia" ed esaminò la ferita da diverse angolazioni. – È grave – dichiarò. – Retroperitoneale, lesione della vena cava inferiore. Qualcuno di voi ha seguito il corso paramedico? – Sì – risposero all'unisono Moore e Wilson. – Dobbiamo fare in fretta. Venite qui, sui due lati. – McCoy inserì il supporto sterile da campo sotto la schiena della ragazza. – Ascoltate bene – disse, somministrando un anestetico. – Devo praticare qui un'incisione piuttosto lunga, perché la vena cava si trova a circa otto centimetri di profondità. Voi dovrete tenere separate le labbra della ferita, mentre io lavoro all'interno. Limitatevi a esercitare una leggera tensione sulla pelle, così. Non sarà una cosa simpatica. – Era già uno spettacolo raccapricciante, con tutta quella schiuma rossa che gorgogliava da ogni parte tranne che "in basso", ma la situazione peggiorò rapidamente quando McCoy estrasse la lancia e si mise all'opera.
Ci vollero circa sessanta secondi perché il bisturi penetrasse i vari strati di muscolo, grasso e cartilagine, allargando la lacerazione quanto bastava perché il dottore potesse inserirvi l'estremità del protplaser anabolico e suturare la vena cava. Altri secondi furono poi necessari per richiudere la ferita, e a quel punto i due aiutanti di McCoy apparivano in condizioni peggiori della paziente... verdognoli in faccia sotto gli spruzzi di rosso. – Vivrà, ma non dovrà essere mossa per almeno un giorno. – Rimarrò qui a proteggerla – si offrì Moore. – No – obiettò Wilson. – Voi siete più rapido di me, e questo potrebbe voler dire molto, se ci fosse un altro scontro. E poi, sono abbastanza vecchio per poter essere suo padre e lei non si sentirà imbarazzata a essere assistita da me. – E poi – aggiunse Moore – è un ordine. – Stavo per arrivarci. McCoy si ripulì dal sangue e passò la pezzuola da lui usata a Wilson. Kirk stava parlando a bassa voce, riferendo la situazione a Uhura, e Larousse teneva sotto tiro il mago con il faser stretto nella mano piuttosto tremante. – Non capisco – disse. – L'avevo regolato per stordire. Il dottore era fermo accanto al corpo devastato della guardia che aveva attaccato Park. – Suppongo che dal punto dove eravate non abbiate potuto vedere come sono andate le cose. È stato colpito dal faser di Tinney, non dal vostro. Non deve aver controllato la regolazione, o forse si è spostata quando lo ha estratto. – Questo... è un sollievo. Non ho mai ucciso nessuno, e non mi sono arruolato per farlo. – Credo che neppure Tinney avesse mai ucciso prima, e non ha ucciso neanche ora. – Spinse i resti con il piede. – Questo qui tornerà indietro in men che non si dica, non è così, mago? – Non so cosa tu intenda con "in men che non si dica". Il suo nuovo corpo sarà pronto presto, ma ci vorranno molte decine di giorni prima che lui possa riprendere a svolgere i suoi compiti. Gli ela imparano con maggiore rapidità dei nostri fratelli inferiori, ma noi abbiamo comunque molto di più da imparare, perché conserviamo i nostri ricordi., Il mago fece una pausa. – È per questo che siete arrabbiati con me? È proprio vero che voi non venite mai sostituiti? – Sì, è vero, ed è per questo che siamo furenti! Per poco non hai fatto uccidere quella ragazza... – Parola senza senso.
... e lei non sarebbe più tornata indietro. – Il dottore voltò le spalle al macabro spettacolo che aveva davanti e fissò il mago. – Ragazza. Una ragazza, o una donna, o una femmina, appartiene alla stessa specie di un ragazzo, o di un uomo o di un maschio, anche se gli elementi che la formano sono diversi. Il modello standard di ragazza è fatto di zucchero, di spezie e di tutto ciò che è grazioso. I ragazzi, d'altro canto, sono fatti di bastoni, lumache e code di cane. Capito? – Non ho capito assolutamente niente. – Ha lo stesso senso dei tuoi farfugliamenti sulla "sostituzione". Li clonate, vero? – Naturalmente no. – Ma conosci il termine clonazione. – Certo. Cloniamo molte varietà di piante e di animali, ma la sostituzione non è la stessa cosa. "Guarda qui, per esempio. – Indicò una spessa linea bianca, in rilievo, che gli attraversava diagonalmente un'ala. – È una cicatrice che mi hanno fatto i vostri fratelli klingoniani, dieci generazioni fa. Una mia clonazione, se i Chatalia fossero cloni... per non parlare degli ela... non avrebbe la cicatrice. Non più di quanto potrebbe avere le mie memorie e la mia individualità." – Stai parlando dell'immortalità, e noi sappiamo che è una cosa impossibile a ottenersi. – Alcuni umani usufruivano dell'"immortalità seriale", ottenuta rimpiazzando gli organi, a mano a mano che si logoravano, ma dopo un paio di centinaia di anni non si riusciva più a indurre le cellule a suddividersi nella maniera giusta e tutto andava in pezzi in una volta sola. – Credo che siate vittime di un'illusione, o che stiate mentendo. – I maghi non mentono. – Può essere come sostiene lui. – intervenne Spock. – Né costui né T'Lallis hanno detto finora nulla che fosse dimostrabilmente falso, per lo meno secondo la loro concezione del mondo. – Lasciate che vi spieghi. Noi non viviamo per sempre, siamo sostituiti finché la nostra funzione è utile. È stato permesso di estinguersi a intere famiglie, quando le loro funzioni sono divenute obsolete, e gli individui vengono lasciati morire senza sostituzione quando il loro comportamento indica che la loro futura sopravvivenza sarebbe di danno agli altri. – Questo non spiega ancora come ci riusciate – insistette McCoy. – Come duplicate voi stessi, se non con la clonazione? – Con il Padre Macchina. – Il mago accennò al corpo devastato che
fluttuava vicino ai piedi di McCoy. – Quello, per esempio, si chiama T'Kyma. La prossima volta che andrò nel Sotto, dirò al Padre Macchina che T'Kyma dev'essere sostituito. "Noi andiamo dal Padre Macchina ogni venti giorni e sediamo per un po' accanto a esso. Quando moriamo, o siamo tanto malati da dover essere uccisi, il Padre Macchina produce una copia di quelli che eravamo l'ultima volta che ci siamo seduti accanto a esso." – Con i ricordi e tutto il resto – aggiunse McCoy. – Per quanto riguarda gli ela, sì, ma i ven e i lan sono sostituiti da un Padre Macchina diverso, che ne riproduce solo il corpo. Ci sono alcune famiglie di lan che sono specializzate nell'educare le persone nuove. – Mi piacerebbe vedere questo Padre Macchina – disse Spock. – Ci sono molte macchine che anch'io vorrei vedere – aggiunse Kirk. – Ci porterai da esse? – Nel Sotto? – Dove che sia. Ci volevi far scortare in qualche posto da queste guardie, vero? – Sì, proprio nel Sotto. Ma non per mostrarvi quello che c'è là. – Credo che ci andremo ora – disse Kirk. – E armati. Scotty aveva razionato il brandy, bevendo un bicchierino ogni quarantacinque minuti, ed era sobrio quanto Spock; non desiderava in particolar modo esserlo, ma voleva conservare il liquore per un ultimo brindisi, prima dell'impatto con la bomba. Quando frequentava l'università, a Glasgow, Scotty aveva trascorso parecchio tempo nei pub. A quell'epoca c'era un'usanza, che forse perdurava ancora, per stabilire chi avrebbe pagato il giro successivo: il ragazzo che aveva offerto quello precedente si alzava (picchiando il bicchiere sul tavolo per chiedere silenzio) e recitava il primo verso di una poesia, di solito scozzese, qualche volta inglese. Lo studente alla sua sinistra doveva proseguire con il secondo verso, e il giro continuava: il primo che non ricordava il verso che gli spettava, doveva offrire da bere. Scott riteneva che un gentiluomo si riconoscesse dal fatto che faceva pagare agli altri il liquore che consumava... e un uomo capace di memorizzare ogni linea di un complicato diagramma tecnico non aveva certo difficoltà a imparare una manciata di versi. Per non sentirsi solo mentre beveva, Scotty aveva iniziato già da un paio d'ore a declamare quelle poesie di vent'anni prima, rievocando i suoi giovani amici e passeggiando fra il verde.
Mancavano solo dodici minuti, più o meno, ed era tempo di tornare sul ponte di emergenza e di riaccendere lo schermo. Entrando nell'ascensore, cominciò a recitare un brano di Robert Graham: "Se la mia dama apprezza imprese d'ardimento, Ben presto monterò del mio destriero in sella; E forte sia il braccio, e sicuro il portamento, Di chi allontana da me la donzella..."
Lasciò perdere quella poesia, perché non gli sembrava appropriato alla situazione celebrare gesta cavalleresche quando il nemico era un crudele aggressore a tradimento. Durante il tragitto nel turboelevatore e mentre ne usciva, venne perseguitato da cupi versi di Donne e di Shakespeare, ma non intendeva inneggiare alla morte. Non ora. Mancavano ancora dieci minuti. Prese posto sulla poltrona di comando e accese lo schermo. Utilizzando un'energia minima, impiegò un paio di minuti a localizzare la bomba, e la guardò avvicinarsi, domandandosi se fosse il caso di chiamare Uhura e decidendo infine di non farlo. Quando rimase solo un minuto di tempo, riempì fino all'orlo il bicchiere di brandy e lo vuotò con solennità, fissando quindi, accigliato, la bomba che si ingrandiva a vista d'occhio. – Dannazione a te! – sussurrò, rivolto a Kulain. Conosceva anche espressioni più colorite, ma questa esprimeva meglio i suoi sentimenti. – Che Dio ti condanni all'inferno! Un candore abbagliante si diffuse sullo schermo. L'Isola dei Maghi era un luogo bizzarro da attraversare. Il terreno era fatto di un'argilla secca e apparentemente dura come il cemento, ma le piante crescevano dovunque, senza un ordine logico o, tantomeno, estetico. Fiori e foglie avevano tutti i colori dell'arcobaleno e variavano per forme e dimensioni, da piccoli ciuffi d'erba a intricati ammassi di viticci grandi quanto una casa. A mano a mano che si avvicinarono all'ingresso del Sotto, il cammino si fece più difficile, a causa di una fitta giungla che dovettero bruciare con i faser. Quel percorso non era studiato per un approccio da terra, ma Kirk e i suoi uomini non avevano alcun desiderio di volare. Spock tratteneva energicamente per un braccio il mago, il cui nome avevano scoperto essere T'oomi, e lo spingeva davanti al gruppo. L'accesso era un buco del diametro di circa cinquecento metri, con le pareti nere e lisce, quasi fosse stato praticato nell'ossidiana. Ovviamente,
non c'erano gradini. – Precedici, T'oomi – ordinò Kirk. – Non posso minacciarti, dato che non puoi morire in modo definitivo – aggiunse, asciugandosi il sudore sporco dalla faccia e ansando per la fatica dell'ultima ora di marcia – ma prima di pensare alla fuga, o di rifiutale qualsiasi collaborazione... rifletti sui danni che queste armi potrebbero arrecare alla Macchina Padre e a tutto il resto del Sotto. – Ho capito – rispose T'oomi – e collaborerò... ma non credo... – Capitano – interloquì Spock, con una strana nota nella voce. – Date un'occhiata all'ora. Kirk comprese cosa il vulcaniano intendesse dire prima ancora di guardare il quadrante. – Siamo vivi. – L'involucro deve aver retto. – Scotty... – Kirk tirò fuori di scatto il comunicatore. – Kirk a Enterprise. Rispondete, signor Scott. Non udì altro che statica, e ripose l'apparecchio. – Sbrighiamoci – ordinò, muovendo un passo verso T'oomi. – Non mi toccare! – Il mago si allontanò svolazzando e si librò sull'orlo del buco. – Seguitemi. – Noi cammineremo – decise Kirk. – Tu rimani davanti a noi. – Iniziarono la discesa della liscia parete, in parte camminando e in parte galleggiando, diretti verso quello che sembrava un fitto giardino. Impiegarono quasi mezz'ora per scendere; il terreno era meno impraticabile di quello della giungla, ma l'illusione di sfidare continuamente la forza di gravità li disorientava e li stancava. In effetti, quel buco largo mezzo chilometro costituiva una presa d'aria per il Sotto, che era un'immensa cupola sotterranea del raggio di decine di chilometri, dove una fredda luce azzurrina si diffondeva in maniera uniforme dal soffitto. Fluttuarono verso il basso con cautela, con i faser spianati, e Moore impugnò il fucile. Ebbero l'impressione di giungere in un giardino fiorito, dove le piante erano ordinatamente disposte a cerchi oppure a poligoni, mentre i viticci si stendevano dappertutto. La varietà di forme, dimensioni e colori era pari a quella presente in alto, ma la luce fredda e tenue conferiva un'aria sinistra al tutto. Quando toccarono terra, rimbalzarono, perché gli stivali trattori sembravano non far presa sul suolo. – T'oomi, cosa succede? – chiese Kirk, ma il mago si limitò a fluttuare, fissandoli. – Spock? – Interessante... esistono alcune sostanze che respingono i campi trattori,
ma sono tutte metalliche. – Il terreno sembrava un misto di ghiaia e cemento. – Credo che la cosa sia più complicata – avvertì Larousse. – Guardate gli orologi. Spock e Kirk abbassarono lo sguardo sui loro cronometri e scoprirono che i numeri erano scomparsi; il capitano aprì allora il comunicatore, ma non si sentì il suono che ne indicava l'attivazione. – Kirk a Uhura. – Silenzio. T'oomi disse qualcosa nella sua lingua, ma il traduttore rimase muto. – Mio Dio – mormorò McCoy. – Quaggiù non funziona nulla. E i maghi stavano arrivando in volo da ogni direzione, quasi tutti armati. CAPITOLO XII Dopo essersi massaggiato gli occhi abbagliati dalla luce, e dopo essersi dato un energico pizzicotto, Scotty decise che era ancora vivo o che l'esistenza nell'aldilà era piuttosto prosaica. – Uhura chiama Enterprise! Rispondete, prego! – La trasmissione era debole e distorta dalla statica. – Qui Enterprise. Sto bene, Uhura! – Enterprise rispondete, prego! – Uhura non lo sentiva. – Per favore, rispondete! – Kirk a Enterprise. Rispondete, signor Scott. – Il segnale del capitano era ancora più debole. – Sono qui, capitano! – gridò lo scozzese. – La nave ha resistito! Disgustato, chiuse il comunicatore: l'energia non era più sufficiente a mantenere l'onda portante ai neutrini. Avvertì un gelido brivido, provocato al tempo stesso da una spaventosa consapevolezza e dal freddo fisico vero e proprio: se l'energia residua non era sufficiente ad alimentare il comunicatore, per quanto tempo sarebbero rimasti attivi i sistemi di supporto vitale? Sembrava che la temperatura del ponte d'emergenza si fosse abbassata di almeno dieci gradi, da quando aveva visto esplodere la bomba. Se avesse continuato a calare con tanta rapidità, lui sarebbe morto congelato in breve tempo. Si alzò di scatto e si precipitò verso il turboelevatore. Doveva prelevare cibo e acqua dall'area ricreativa, e procurarsi altre cose, come coperte o altro...
Il turboelevatore non si mosse. Non c'era abbastanza energia. Scott forzò le porte. C'era un passaggio che poteva condurlo fino al ponte sottostante, ma era connesso a parti della nave in cui i sistemi di supporto vitale erano stati disattivati. Per fortuna, il condotto del turboelevatore era sigillato, e conteneva una scala a pioli che collegava i vari livelli. Scese fino al ponte otto e ne forzò le porte: doveva fare in fretta, raccogliere ciò che gli serviva e disattivare tutto quanto, tranne il centro di controllo d'emergenza. Peccato per gli alberi. Gli alieni dovevano essere almeno duecento, tutti con il nastro dorato della prima casta, e T'oomi stava conferendo con loro in tono oratorio. – Ci capite qualcosa, Larousse? – domandò Kirk. – Niente di utile. Ho afferrato il termine "maghi" e il termine che indica noi, o magari i Klingon. È una lingua diversa da quella usata da T'Lallis. – Volete che cerchi di tagliare la corda? – suggerì Moore. – Probabilmente sono più veloce di loro, in linea retta. – Sarebbe una buona idea, se avessero soltanto le lance – replicò Kirk – ma ce ne sono alcuni muniti di arco. – Questo non vuol dire che riescano a colpirmi. – Meglio non correre rischi. – Un chatalia disarmato stava fluttuando verso di loro, con in mano quella che sembrava una manciata di rami di sedano azzurro cupo. – Tenetevi pronti, sta succedendo qualcosa. Attraverso la base di ogni gambo di sedano azzurro passava un cappio di fibra vegetale; il mago si accostò a Kirk e gli infilò con lentezza il cappio intorno al collo, con i gambi che pendevano come una cravatta di vegetali. – Ora riesci a capirmi? – chiese l'alieno. – Uh – fece Kirk, colto alla sprovvista. – Uh...sì. E tu mi capisci? – Certo. – Il mago si spostò verso McCoy. – Che diavolo sta succedendo qui? – Il dottore tentò di allontanare il cappio. – Traduttori – spiegò Kirk, ma McCoy sentì "Grumfoon w'kaiba". – Ho capito – disse, e collaborò, imitato dagli altri. – Come l'hai fabbricato? – chiese Larousse, dopo aver ricevuto il suo cappio. – Non sono stato io. Non ricordate? Il Padre Macchina li ha creati, l'ultima volta che siete venuti. – Aspetta, vuoi dire che funzionano in klingoniano? – È ovvio. – Ropiopescopi opa copapopirmopi? – Riesci a capirmi?
– Naturalmente. – Il mago si allontanò. – Sono migliori dei nostri – commentò Larousse, rivolto a Spock. – Non devono essere ricalibrati per lingue diverse. – Je parle français – disse il primo ufficiale. – Pouvez-vous me comprendre? – L'ho sentito in francese – confermò Larousse – ma è una lingua che conosco. Wakarimasu ka? – L'ho sentito in vulcaniano. Era "avete capito"? – Ho parlato in giapponese. Che macchina incredibile. – Opera telepaticamente – dichiarò Spock, osservando i gambi vegetali con interesse. – È simile al nostro, ma è una pianta. T'oomi stava parlando. – ... e quando muoiono, è sempre una mortesenza-sostituzione. Anche questo è sospetto. "Io sono però stato con loro per qualche tempo, e un ela di seconda casta che ha viaggiato con loro per alcuni giorni è d'accordo con me: non agiscono affatto nel modo in cui ricordo che facevano i Klingon." – Non siamo Klingon – intervenne Kirk. – Le somiglianze fisiche sono superficiali. I vostri scienziati, coloro che praticano le "arti della vita", ci potrebbero esaminare e confermarvelo subito. Seguì un silenzio intenso e profondo. – Il Padre Macchina – disse qualcuno, fra la folla. – Si potrebbe fare – convenne T'oomi, poi si girò verso gli umani. – Potreste non sopravvivere. Il Padre Macchina ha ucciso tutti i Klingon che gli abbiamo mandato. Senza sostituzioni. – Sai perché li ha uccisi? – chiese Kirk. – Perché mettevano in pericolo l'ordine delle cose. – Non perché erano... malvagi? – Questa parola non ha traduzione. – Ah! Suppongo che anche noi abbiamo sconvolto l'ordine delle cose. – Lo avete fatto di certo. Non so se questo possa indurre il Padre Macchina a uccidervi. – Lasciami proporre un'alternativa – intervenne Spock. – Tu sai che il mio tocco non vi danneggia, come accade invece con quello degli altri. – Per quel che ne sappiamo. – Molto bene. I membri del mio popolo, i Vulcaniani, hanno un particolare dono chiamato "tocco mentale". Esso permette un intimo contatto telepatico fra due esseri, che non lascia spazio a menzogne o a fraintendimenti. Qualcuno di voi sarebbe disposto a entrare in contatto con me in questo modo?
– Gli altri possono seguire quello che succede? – chiese T'oomi. – No. Si tratta di una comunicazione personale a due. T'oomi gli si accostò. – Tuttavia c'è una certa dose di pericolo. – È doloroso per entrambi, ma non necessariamente pericoloso. – Proverò io. Le lunghe dita aggraziate del vulcaniano toccarono le tempie dell'alieno, e Kirk fece una smorfia, nel guardare la scena; aveva già visto Spock stabilire un simile contatto, e sapeva quanto la cosa fosse ardua per il suo amico. Ma i minuti trascorsero e Spock fluttuò nell'aria con il volto atteggiato a un'intensa concentrazione, senza, però, alcuna traccia di sofferenza. Alla fine lasciò andare T'oomi, perplesso. – Nulla In qualche modo, devi essere capace di bloccare il processo. – Non ho resistito, ma anch'io non ho provato nulla. – Si allontanò e voltò le spalle al primo ufficiale. – Credo che il vulcaniano, come si autodefinisce, stia mentendo, Come un ven o un lan. O come un klingon. Teso, Kulain sedeva sulla poltrona di comando, osservando ancora il cristallo, forse per la ventesima volta; esso mostrava la bomba che si avvicinava al planetoide, seguendo una traiettoria che doveva farla esplodere accanto all'Enterprise. – Rallenta – ordinò all'ufficiale addetto alle comunicazioni. – Rallenta più che puoi. L'immagine dell'Enterprise occupò quasi la metà dello schermo. La bomba arrivò a due o trecento metri da essa, poi si trasformò di colpo in un punto bianco e luminosissimo, che cominciò a ingrandirsi. La sfera di fuoco si gonfiò fino a toccare la superficie del planetoide... poi svanì bruscamente. – Impossibile! – si infuriò Kulain. – L'energia non può scomparire in quel modo! Il klingon che gli stava accanto, un ufficiale d'artiglieria, annuì con disagio. – La sfera di fuoco si sarebbe dovuta allargare fino ad avviluppare il planetoide... e poi ancora altre dieci volte. E avrebbe dovuto impiegare parecchie ore a dissiparsi. – Cos'è accaduto, allora? Il subordinato fissò lo schermo, accigliandosi. – Magia. – Tenente... – Sono serio, mio signore, può trattarsi proprio di questo. Le leggi della dinamica del calore sono alla base di tutta la nostra scienza, ma quanto è
successo le nega. Quindi il termine "magia" è una definizione adeguata e funzionale. – Voglio un mezzo per combatterla, non una descrizione "funzionale". – Certo, mio signore. – Il klingon rifletté per un momento. – Innanzitutto, dobbiamo stabilire se quest'arma difensiva è stata impiegata dall'Enterprise oppure dai Chatalia. – Se veniva dall'Enterprise, allora il segnale di soccorso è stato una trappola per attirarci qui e indurci ad attaccare – meditò Kulain. – Forse volevano sperimentare il loro congegno e metterci in una situazione che risultasse imbarazzante in base ai termini del trattato organiano. – Ma se il segnale era autentico – replicò l'ufficiale d'artiglieria – esso contiene la prova che i Chatalia posseggono un modo misterioso per controllare l'energia. Magia. – È una parola offensiva. – Kulain si appoggiò all'indietro e chiuse gli occhi. – Quello che ci serve, è un piano d'azione che vada bene in entrambi i casi. Hai qualche idea? – Forse manco d'immaginazione – rispose l'ufficiale, dopo una lunga pausa. – Tutto quello a cui riesco a pensare è un assalto diretto con il teletrasporto. Potremmo strappare loro il segreto con la forza, prima di annientarli. Kulain non aveva cambiato espressione, ma ora sorrise appena e aprì gli occhi. – Sei fortunato che la tua posizione non richieda immaginazione. Ci rimane una bomba nova, giusto? – Sì, mio signore, ma sconsiglierei di... – No, non ripeteremo la stessa azione. Useremo il teletrasporto e faremo detonare la bomba dentro il planetoide. – Mio signore... è troppo grande per essere teletrasportata. Kulain si batté un colpetto sulla tempia. – Immaginazione, tenente. La materializzeremo smontata e manderemo con essa una squadra di esperti, che possa montarla e farla detonare. – Una squadra di artiglieri, mio signore? – Ne manderesti forse una di cuochi? – Provvedo subito, mio signore. – L'ufficiale si sollevò lentamente e salutò. – Successo, mio signore. Kulain lo guardò mentre si allontanava, poi riprese a studiare il cristallo. Naturalmente, rifletté, c'era un'altra linea d'azione che calzava per entrambe le spiegazioni: la fuga. Un pensiero tormentosamente umano. Forse Kal aveva ragione. Era osceno, ma indugiare in esso gli dava un oscuro piacere.
I maghi avevano tolto loro i traduttori simili a sedani per impedire che gli umani origliassero, ed erano adesso impegnati in una vivace discussione, presumibilmente per stabilire cosa fare di loro. T'oomi aveva precisato che quel gruppo comprendeva tutti i maghi di prima casta, e che una riunione del genere si verificava soltanto poche volte per ogni generazione. – Se quaggiù c'è una specie di sala di controllo, è nascosta molto bene – commentò Kirk. – Forse, stiamo cercando la cosa sbagliata – avvertì Spock. – Ho formulato una teoria, e cioè che tutte le loro macchine abbiamo la forma di piante... se ben ricordate, T'Lallis ha detto che "curare le piante" è l'attività principale dei maghi di prima casta. – Macchine a forma di pianta? – Ha senso. Supponete di progettare una nave come questa, destinata a viaggiare per decine di migliaia di anni, e forse anche più. Quale sarebbe la vostra principale preoccupazione? – Credo di capire. – Kirk si massaggiò il mento. – La manutenzione, per l'impossibilità di trovare pezzi di ricambio e per la certezza che quasi nulla durerebbe a lungo senza guasti. – Esatto. Ma se foste abbastanza progredito nelle scienze vive da creare piante che duplicano la funzione delle vostre macchine, allora potreste effettuare le necessarie sostituzioni con il semplice metodo della coltivazione diffusa. – Se è così – interloquì Larousse – è probabile che nessuno di loro sappia di trovarsi dentro a un'astronave. Se posseggono una radicata tradizione secondo cui ogni pianta dev'essere curata e sostituita, e così via... La discussione degli alieni volgeva al termine. – Dovrebbe essere semplice appurarlo – replicò Kirk. – Ecco che torna T'oomi. – Era difficile distinguere gli alieni fra loro, ma T'oomi spiccava per via della cicatrice sull'ala. Era accompagnato da un altro ela, munito del loro traduttore. – Dicci, T'oomi – iniziò Kirk – le piante sono davvero... – Forse ne parleremo più tardi. Prima andrete dal Padre Macchina. Seguitemi. Fu un tragitto pieno di nervosismo. Ciascun membro dell'equipaggio aveva alle sue spalle una scorta munita di lancia, seguita da una falange di arcieri, che volavano molto lentamente. Come Spock aveva potuto prevedere, il Padre Macchina era una pianta,
o un sistema di piante, che si levava fino a cinquanta metri di altezza dal suolo ed era largo quanto era alto. Le foglie verdazzurre, più grandi di un uomo e spinose, si sovrapponevano le une alle altre come quelle di un carciofo, ma con una regolarità impressionante. Nell'insieme, la cosa sembrava un incrocio fra un carciofo e una scala a chiocciola, il tutto grande come un palazzo per uffici. Quando furono più vicini, notarono anche che si muoveva, come se respirasse. Si arrestarono accanto alla sommità della pianta, e scoprirono che respirava davvero, emanando getti d'aria calda a intervalli precisi. Il suo fiato aveva uno sgradevole odore di carne putrescente. – Di cosa si nutre questa pianta?– domandò Kirk. – Mangia tutto quello che vuole – rispose T'oomi. Nell'area adiacente alla sala del teletrasporto, Kulain stava ispezionando le sue truppe, divise in due gruppi. C'era la squadra degù artiglieri, scortata da uno squadrone di soldati armati in maniera pesante, e c'era un contingente di scienziati e di preti (anch'essi armati fino ai denti, per rispetto alla tradizione), che doveva invece teletrasportarsi dentro le rovine dell'antica nave klingoniana. Kulain, dal canto suo, aveva intenzione di scendere sull'Enterprise. I sensori avevano rivelato che a bordo era rimasto un solo uomo, e il capitano klingoniano voleva incontrarlo, per soddisfare il suo interesse nei riguardi della psicologia umana, e magari anche per ucciderlo in maniera adeguata. In un modo che non fosse qualificabile come "aggressione" secondo i termini imposti dagli Organiani. – L'ordine da seguire per il trasferimento sarà il seguente. Prima di tutto scenderanno gli artiglieri con la loro scorta, seguiti dalle parti della bomba. "Vi dirigerete subito verso il polo. Là non esiste gravità centrifuga, perciò sarà più facile maneggiare le attrezzature." Si rivolse quindi ai preti di alto lignaggio presenti nel secondo gruppo. – Poi toccherà a voi, e dovrete agire in fretta. Se dobbiamo credere al messaggio di soccorso inviato dalla nave della Federazione, siamo forse abbastanza vicini da essere catturati da quello che ha intrappolato anche loro. – Kulain avrebbe lasciato la nave subito dopo. Scotty sedeva con la schiena appoggiata alla piattaforma dell'inutile teletrasporto, avvolto in quattro strati di coperte. Davanti a lui ardeva vivacemente un piccolo fuoco, che costituiva l'unica fonte di luce nella sala di controllo di emergenza.
Alla sua sinistra c'era una pila di legna, formata da giovani alberi sradicati e da rami staccati da altri più grossi (che Scotty aveva tagliato usando un'ascia al tritanio prelevata dall'attrezzatura antincendio d'emergenza... un'ascia che poteva trapassare una paratia di metallo e per la quale il legno era come burro), e da alcuni pezzi di mobilio. Alla sua destra, erano allineati diciassette contenitori di ossigeno compresso, e l'ingegnere ne teneva un diciottesimo fra le ginocchia, con l'apertura appena svitata e diretta verso il fuoco. Una bottiglia di brandy era posata accanto a lui, dimenticata e con il contenuto ghiacciato. Nella sala regnava una temperatura di quaranta gradi sotto zero, e nel resto della nave faceva ancora più freddo. La figura di Kulain si materializzò, dapprima tremolante, poi sempre più distinta. Scotty, che stava cercando di riposare, aveva gli occhi chiusi. – Umano! – disse il comandante nemico, poi fu assalito da un accesso spasmodico di tosse. I Klingon tolleravano le basse temperature un po' meglio degli umani, ma quella era troppo rigida anche per loro. – Sei vivo? – gracchiò. – Sì, almeno lo ero l'ultima volta che ho controllato... ma so che tu non resisterai molto, con questo freddo. Kulain trasse un brusco respiro e il gelo alla gola gli impedì di ribattere, mentre apriva la fondina. – Non ci provare – intimò Scotty, il cui braccio proteso gonfiava la coperta davanti a lui – se non vuoi che ti faccia esplodere. Kulain disse qualcosa in klingoniano, ad alta voce. La sua figura tremolò, ma non si dissolse. – Se stai cercando di teletrasportarti, rinunciaci. Siamo bloccati qui. – Bloccati? – Forse definitivamente – annuì l'ingegnere. Il klingon lo fissò per un momento con aria inespressiva, poi parve accasciarsi. – Non sparare – disse, quindi estrasse con lentezza la sua arma e se la puntò contro la fronte. Quando premette il grilletto, risuonò un miagolio simile a quello di un gatto stanco. – Non funziona neanche questo? – No, e non funzionerebbe neppure il mio faser, se fosse reale. – Aprì il bozzolo di coltri, rivelando una mano vuota. – Se vuoi dividere con me queste coperte, sei il benvenuto, a patto che facciamo a turno ad alimentare il fuoco. – Preferisco morire. – Kulain incrociò le braccia sul petto. – Accomodati pure – replicò Scotty, riavvolgendosi nel suo bozzolo. –
Sai quanto servirai alla tua patria, gelato come uno stoccafisso? Puoi anche tenere il fiato fino a diventare blu, per quel che me ne importa. – D'accordo – borbottò qualche minuto più tardi il klingon, battendo i denti. Prese un ramo, lo spezzò in due (producendo un suono di ceramica infranta), poi ne mise metà sul fuoco e metà accanto a esso. Le coperte erano sufficienti ad avvolgere tutti e due gli uomini, a patto che stessero spalla a spalla. Kulain fissò le fiamme, cupo. – Non sono mai stato tanto vicino a un umano da poterne sentire l'odore. – Neppure tu sei un dannato mazzo di violette! CAPITOLO XIII – Andrò io per primo – si offrì Spock. – Aspettate... – cominciò Kirk, ma fu interrotto da T'oomi. – No, deve andare un umano. Ci sono quaranta decine di esseri come voi radunate nei giardini dei lan. Dobbiamo sapere come regolarci nei vostri confronti. – Lo farò io – si offrì Moore. – Sono il più sacrificabile. – Moore – replicò Kirk, combattuto fra la logica e i sentimenti. – Non vi ordinerei mai di... – Lo so, signore. Forse è per questo che mi sto offrendo volontario. – Fluttuò verso T'oomi. – E poi, sembra che tanto moriremo comunque. – Oracoli – chiamò T'oomi, e due maghi si presentarono. – Preparatelo... come meglio potete, senza toccare la sua pelle. I due ordinarono a Moore di stare fermo e di tenere le braccia lungo i fianchi, quindi lo spinsero verso il fiore purpureo posto in cima al Padre Macchina, toccandogli solo il torace. Uno degli oracoli fischiò una serie di note, e il fiore si aprì. Moore venne pilotato al suo interno e i petali si richiusero intorno a lui. Dopo circa dieci secondi, il fiore espulse con violenza l'umano, proiettandolo verso il soffitto. Due guardie si diressero verso di lui, e Moore le incontrò a metà strada, volando in giù. Uno degli oracoli s'insinuò allora nella corolla, sporgendone soltando con la testa e con le spalle, e dichiarò, in tono cantilenante: – Non klingon. I Klingon hanno buon sapore, hanno menti sgradevoli. Il sapore di questo è velenoso, ma la sua mente è neutra. Dov'è quello che sostiene di appartenere a una specie diversa?
– Puoi avvertirlo che sono per metà umano? – chiese Spock, fluttuando in avanti. – Lo sa – rispose T'oomi. – Sa sul tuo conto tutto ciò che sapeva T'Lallis. – La comunicazione sarà reciproca? – No. Il Padre Macchina parla solo per mezzo della famiglia degli oracoli. – Ma non aveva mai incontrato un vulcaniano. Spock decise che valeva la pena di tentare il contatto mentale. L'interno del fiore era bianco e umido, come la bocca di un serpente. Spock si lasciò inserire poi, quando i petali si richiusero, protese le mani e diede inizio al contatto. E lanciò un urlo. – Non sparate, a meno che non mostrino segni di aggressività – ordinò Uhura. – Un centinaio di lan si stavano avvicinando, in silenzio. Una decina di essi era armato di lance, ma gli altri erano muniti di attrezzi da lavoro che potevano risultare altrettanto efficaci. La folla era guidata da un ven-chatalia disarmato, che sfoggiava i tre nastri azzurri degli interpreti privi di casta, e Uhura azionò il traduttore. – Salve – disse, incerta. La folla si arrestò di botto, e un centinaio di voci sussurranti echeggiarono come il ronzio di una nube d'insetti. L'interprete andò a conferire con due lancieri, che a loro volta parlarono con altri due lancieri di casta più elevata e riferirono un messaggio all'interprete; il piccolo ven si fece quindi avanti, ovviamente intimidito dall'alta donna dalla pelle scura. – Non ti faremo del male – lo rassicurò Uhura. – Abbiamo piacere di poter parlare con te. – Porto un messaggio – rispose il chatalia. – Da parte di chi? – Da parte dei contadini di questo villaggio, e dei loro protettori. State distruggendo la loro terra. Ve ne dovete andare. – Siamo stati attenti a non danneggiare i vostri raccolti, a parte quelli che abbiamo mietuto per fare un po' di spazio. – Ma il vostro tocco li ha resi velenosi all'esterno e il veleno emanato dai vostri corpi sta dilagando attraverso il terreno. – In effetti, le piante che crescevano vicino alle latrine avevano cominciato a tingersi di verde, il che non era probabilmente un segno di buona salute, in un cavolfiore azzurro. – Ma se ci spostiamo avveleneremo un'altra zona.,
– Allora il problema non riguarderebbe più me – fu la logica risposta. Di colpo, il ven guardò in alto. Tre maghi planarono dal cielo, e uno di essi atterrò fra Uhura e l'interprete. Ignorando la donna, l'ela torreggiò sul ven. – In nome del Sotto, cosa stai facendo? – Questi lan, i miei, loro hanno, il terreno... – Non sei venuto dalla città? – Sì, maestro. – E non sai che non dovete prestare attenzione a questi maghi del futuro e che essi vi possono fare del male? – Sì, maestro. – E sai di esserti condannato alla morte senza sostituzione? – Per favore, maestro. – Il ven abbassò la voce. – Sai com'è con questi... Il mago lo afferrò per le pieghe di pelle dietro le spalle e lo scagliò verso i chatalia muniti di lance. – Uccidetelo – ordinò, e si girò verso Uhura. – Quanto a voi... Il mago, l'interprete, i "protettori" e una trentina di lan caddero tutti a terra storditi; gli altri lan fuggirono in direzione del villaggio e i due maghi rimasti spiccarono il volo; poi uno di essi estrasse dalla tasca un lungo coltello d'argento. L'alieno scese in picchiata verso Uhura, ma era una lotta impari. La donna lo stordì a mezz'aria, senza perdere la calma, e il mago cadde a terra con violenza, battendo la testa con un suono secco. – Devo abbattere anche l'altro? – chiese un uomo della sicurezza, tenendo sotto tiro l'ultimo mago, mentre questi prendeva quota. – No. Credo che per oggi abbiamo già fatto danni a sufficienza. L'infermiera Chapel era china sulla forma inanimata del mago precipitato, e Uhura la raggiunse di corsa. – È morto? La Chapel annuì. – Questo è proprio strano – commentò e, tenendo un ciuffo di peli fra pollice e indice, spostò delicatamente la testa avanti e indietro: si muoveva in qualsiasi direzione, senza offrire resistenza. – Se non ci sono obiezioni, vorrei fare un'autopsia. – Suppongo... – Uhura esitò. – Prima stendiamo dei teli o qual cosa del genere, in modo che dal villaggio non possano vedere. Neppure Uhura aveva molta voglia di guardare; era impegnata in una lenta partita di owari con Sulu, quando la Chapel finì l'autopsia e si avvicinò agli altri due, come intontita, tenendo ancora in mano i guanti insanguinati. – Incredibile – commentò. – Vorrei che Spock fosse qui. Agitando una
manciata di ciottoli, Uhura fissò l'infermiera con curiosità e preoccupazione. – Cos'avete trovato? – Non c'era sistema nervoso centrale, solo qualche ganglio minore. Niente midollo spinale, niente cervello. Il Padre Macchina divorò Spock, dissolvendolo nello stesso modo in cui un teletrasporto smaterializza le persone, ma non con altrettanta rapidità; e poi lo ricreò, proprio come fa un teletrasporto. Il vulcaniano rifletté che contemplare la distruzione di se stessi era alquanto orribile, ma che il processo opposto era affascinante. Stai cercando di parlarmi? Sì. Per dirti la verità, in modo che tu possa trasmetterla ai maghi. Io conosco tutte le verità. Ai maghi, esse non servono. Sai di essere all'interno di un'astronave? (Risata) Io l'ho costruita e ne sono il pilota. Sai che siete condannati? (Altra risata)Davvero? Se non cambierete l'attuale rotta, vi arresterete in un area di spazio lontana parecchi anni luce da qualsiasi stella. Una volta ho vissuto vicino a una stella. È esplosa. Ma devi capire che, senza una stella vicino, esaurirai l'energia e alla fine la temperatura scenderà fino a raggiungere lo zero assoluto. (Risata) Vuoi dire che voi avete bisogno della vicinanza di una stella. E allora come farai a procurarti l'energia? Come forse hai notato, la tua astronave ne è a corto. L'ho prosciugata io, e ora sto per prosciugarne un'altra. Ma non puoi fare affidamento sul fatto che passino di qui altre astronavi, a intervalli regolari. Ho molte risorse. Anche se è noioso e richiede tutta la mia attenzione, posso convertire direttamente la materia in energia. Fra le stelle c'è polvere a sufficienza per mantenermi in vita a tempo indefinito, e nei momenti di carestia posso consumare la mia stessa sostanza, e poi ricrearla quando l'energia è in eccesso. Nello stesso modo in cui consumi i Chatalia? Occasionalmente, sì. Come sospetti, non sono vere creature viventi, ma solo i miei giocattoli: mi diverte guardarli. Ti diverte guardare anche noi? A piccole dosi, sì, ma ora state provocando troppo disordine nel sistema, e mi dovrò liberare di voi.
Ci ucciderai tutti? Non ho ancora deciso. Sembrate abbastanza senzienti, e comunque non sarò costretto a uccidervi: se v'ignoro, morirete molto presto. È la stessa cosa. Sei stato tu a intrappolarci qui. Vi siete intrappolati da soli. Non eravate stati invitati. Con quelle parole, Spock si ritrovò di colpo all'aria aperta, e rotolò verso il suolo, inseguito da due maghi. Essi tornarono poi vicino al fiore, dove un oracolo si stava inserendo nello spazio lasciato libero dal vulcaniano. – Com'è andata, Spock? – chiese Kirk. – Il Padre Macchina – rispose a bassa voce il primo ufficiale – sostiene di essere l'unica creatura senziente su questa nave... – Ma i dati dei nostri biosensori... – Erano ambigui. Ho una teoria... L'oracolo cominciò a parlare. – Ritengo di potervi permettere di andarvene da dove siete venuti, ma a due condizioni: la prima, è che non torniate mai più qui. "In secondo luogo, ho fame di klingon. Adesso ne sono giunti alcuni. Mandatemi gli altri: sapete cosa intendo. – Sarebbe un omicidio – obiettò Kirk. – No, capitano – intervenne Spock. – Lasciate che me ne occupi io. – In effetti, quei pochi klingon si stanno avvicinando al Sotto, dopo alcuni combattimenti. Portano un dono di energia. Assemblata, la bomba nova era un massiccio pezzo di metallo grigio, grande quasi quanto una navetta. I klingon l'avevano spinta giù per il condotto di aereazione usando i razzi posteriori, e avrebbe colpito il suolo del Sotto da un momento all'altro. – Sta per succedere quello che penso io? – chiese Kirk. – Forse no – rispose Spock. – Non dovremmo correre pericoli, a meno che non ci sia un limite alla quantità di energia che quell'essere può assorbire. – Tanto, non possiamo farci niente. Seguirono entrambi con lo sguardo il lento movimento della bomba, accompagnata da nove klingon, vestiti con funeree tute spaziali. Quando sbucarono dal condotto di aereazione, i razzi si disattivarono, e i klingon mostrarono segni di sgomento... dato che anche il sistema di supporto vitale delle tute si era bloccato... finché riuscirono a togliersi gli elmetti. – Portateli da me – ordinò l'oracolo – e scortate fuori questi altri. I klingon stavano fluttuando con rigida dignità, aspettandosi di finire
vaporizzati da un momento all'altro; quando la bomba nova colpì il suolo ghiaioso senza fare danni, essi conferirono rapidamente fra loro, poi otto formarono un Quadrato Klingoniano, con i disintegratori spianati, e il nono aprì una piastra sul fianco della bomba, armeggiando al suo interno. Tutti quanti galleggiavano goffamente, essendo privi di ali. I membri dell'equipaggio dell'Enterprise li sorvolarono, e i klingon scoprirono che i disintegratori non funzionavano; tentarono di aprire il fuoco anche contro la falange di lancieri che si stava avvicinando, poi estrassero i coltelli e formarono una linea. Quando la gente dell'Enterprise imboccò il condotto, la scorta l'abbandonò, presumibilmente per aggredire i klingon alle spalle. Gli stivali trattori funzionavano di nuovo, e camminare fu un sollievo. Il comunicatore trillò. – Parla Kirk. – Sono Scott, signore. Sembra che l'energia sia tornata. Volete che vi faccia risalire? – Controllate con il tenente Uhura, per vedere se ci sono malati o feriti. Altrimenti... – Si guardò indietro, verso il punto in cui i klingon si stavano preparando a una futile resistenza; quindi spostò lo sguardo davanti a sé, verso lo strano sole che avrebbe fluttuato per sempre all'interno di quel mondo eternamente stagnante. – Fatemi risalire ieri! CAPITOLO XIV Il capitano Kirk cercò di rimanere serio in volto, quando scese dalla piattaforma del teletrasporto, sul ponte di comando di emergenza. Esso non somigliava a nessun ponte su cui si fosse mai trovato, a causa di un fuoco da campo quasi spento, di un paio di alberi sradicati e dei contenitori di cibo sparsi un po' dovunque, insieme a un paio di bottiglie di brandy vuote. C'era perfino un klingon. – Il capitano Quirk, prescumo? – Era un klingon sbronzo. – Sono il capitano Kulain, della nave... nave da guerra Korezima. – Incrociò le braccia sul petto e barcollò leggermente. La sua immagine tremolò. – Oops! Ora di andare. Addio, signor Scott – Aggrottò la fronte. – Non... non riesco a ricordare la parola. Ah, grazie! – Piacere mio. – Il klingon scomparve. – Sembra che abbiate avuto visite, Scotty. L'ingegnere finì di regolare i comandi e si girò verso il capitano. – È una lunga storia, signore.
– E anche interessante, scommetto. – Non sono poi gente cattiva, quando si comincia a conoscerli. Ma non reggono i liquori. – Come lo avete convinto a bere? Credevo che non facessero nulla per puro piacere. – Non è stato per piacere, signore, ma per regolare la temperatura. Faceva tanto freddo che abbiamo dovuto sgelare il brandy. – Controllò una serie di dati. – Ci vorranno almeno cinque minuti, prima che la sala del teletrasporto sia attiva. Volete che intanto riporti a bordo il signor Spock? – Certo. Voglio proprio vedere che faccia farà. Ma Kirk non ebbe questa soddisfazione, perché il vulcaniano mantenne un'espressione da giocatore di poker. – Il freddo dev'essere stato notevole, signor Scott. Sono lieto che stiate bene. Si accostò quindi allo schermo visore. – Potete mettermi in contatto con quella nave klingoniana? – Sì. – L'ingegnere manovrò alcuni interruttori. – Spock... intendete davvero consegnare... – Ho dato la mia parola, capitano. In effetti, tuttavia... Una figura indistinta apparve sullo schermo. – Parla Kal, in comando temporaneo. Chi sta chiamando? – Questa è l'astronave Enterprise, parla il primo ufficiale Spock. Ho un avvertimento per voi. "La creatura che domina il pianeta sottostante, e che si definisce il Padre Macchina, ha lanciato una sfida: essa desidera consumarvi tutti. "Vi consiglio di non accettare tale sfida. Nessuna delle vostre armi funzionerà nel suo dominio, e la creatura potrebbe impedirvi di tornare alla vostra nave." – Ma i coltelli e le mani nude funzioneranno, vero? – Sì, ma sarete molto inferiori di numero. Era difficile interpretare l'espressione del klingon, attraverso il vorticare di colori, ma parve che Kal esibisse un sorriso soddisfatto. – Bene – commentò, e chiuse la comunicazione. – Vedete, capitano, ho solo detto la verità. Il Padre Macchina aveva restituito una quantità di energia sufficiente a raggiungere la Base Stellare Tre. Kirk concesse all'equipaggio un periodo di servizio leggero e tutti si disposero a oziare per una settimana. Parecchi ufficiali stavano consumando insieme una bottiglia di brandy sauriano, nella sala ricreativa. – Vorrei che potessimo tornare là senza
correre rischi – commentò Spock. – Ci sono così tante domande che non hanno avuto risposta. – Quella faccenda della rinascita? – chiese McCoy. – No, non in particolare. Si tratta di un semplice processo di rigenerazione, con l'aiuto di una tecnologia molto simile a quella del teletrasporto, dato che in effetti i Chatalia sono solo estensioni del Padre Macchina, delle specie di arti. – Mi sembra piuttosto notevole – osservò Kirk. – Anche altre creature lo fanno – dichiarò Spock – sia pure su scala più piccola. Il vero mistero ha a che vedere con l'energia. Ciò che il Padre Macchina fa, sfida le leggi basilari della termodinamica e della conservazione dell'energia, e siccome lui vi riesce, questo significa che le nostre leggi sono sbagliate, insufficienti. Wilson raggiunse il gruppo e accostò una sedia al tavolo. – Sono appena andato a trovare il guardiamarina Tinney, in infermeria. La Chapel dice che si rimetterà in un paio di giorni. – E suppongo che abbiate visto anche il guardiamarina Moore – aggiunse McCoy. – In effetti, era là anche lui. Le stava leggendo qualcosa. – Il dottore levò gli occhi al cielo, ma non parlò. – Credo che siamo proprio in debito con voi, signor Spock – dichiarò Wilson. – Mi hanno riferito che, se non foste riuscito a comunicare con quel carciofo troppo cresciuto, saremmo ancora là sotto, probabilmente morti. – Era la cosa più logica da tentare – ribatté Spock. – E non è stata veramente sgradevole, se paragonata ad altre esperienze con il contatto mentale. Come stavo appunto dicendo agli altri, vorrei poter trascorrere più tempo con lui. Con esso. – In effetti, avevate molto in comune – convenne McCoy, impenetrabile in volto. – Non erano le somiglianze a renderlo interessante. Per esempio, sembrava una creatura logica, ma la logica valida non varia, da specie a specie. – Spock fissò lo sguardo nel vuoto. – No, ciò che lo rendeva davvero interessante era il suo umorismo: credo che sia l'unica creatura intelligente da me mai incontrata che possegga il senso dell'umorismo. – Ecco che ci ricascate – osservò McCoy, dopo un momento di silenzio. – Cosa volete dire? – Se fosse stato chiunque altro a pronunciare quelle parole, avrei giurato che si trattava di una battuta di spirito.
Spock lo guardò, inarcando un sopracciglio. – Uno di noi due sta imparando qualcosa. FINE
Theodore Sturgeon Licenza di sbarco (Shore leave, 1977) Adattamento di J. A. Lawrence – Traduzione di Annarita Guarnieri
Il capitano James Kirk si accasciò sulla poltrona di comando e contemplò lo schermo visore. Se non altro, per una volta, da questo pianeta non provenivano siluri fotonici o misteriosi segnali, e lui nutriva la speranza che non accadesse nulla, perché non era certo di poter affrontare un ennesimo problema. Si sentiva intorpidito, perfino mentalmente. Si accorse, in modo vago, di un rumore di passi che si avvicinavano. Non poteva permettersi di apparire così abbattuto, quindi si raddrizzò con uno sforzo, avvertendo una dolorosa fitta alla schiena. – La squadra di sbarco non ha ancora riferito niente, signor Spock? – Dovrebbe inviare un rapporto da un momento all'altro, capitano. – Il primo ufficiale gli lanciò un'occhiata. – C'è qualcosa che non va? – Ho i crampi alla schiena. Sì, più o meno qui. Una mano energica toccò il punto dolente, trovò il muscolo irrigidito e cominciò a massaggiarlo. Poteva contare sempre su Spock. – Un po' più in alto. Ohh... sì, proprio lì, Spock. Più forte... spingete di più... – Ma il vulcaniano era in piedi davanti a lui. – Cosa...? – Il sottufficiale Tonia Barrows gli sorrise, quando lui girò il capo. Non poteva cominciare a impiegare i membri femminili dell'equipaggio come massaggiatrici personali, dannazione. – Grazie – disse in fretta – è sufficiente. – In effetti gli aveva giovato. – Ha bisogno di dormire, capitano – suggerì, con esitazione, la ragazza. – Se mi permesso dare un consiglio... – Ne ricevo abbastanza dal dottor McCoy, grazie. Spock incrociò le braccia. – E il dottor McCoy ha perfettamente ragione, capitano. Dopo tutto quello che l'equipaggio ha passato negli ultimi mesi, non c'è a bordo un solo uomo a cui non gioverebbe un po' di riposo. "A parte me, naturalmente." Qualche volta Spock era quasi insopportabile. Comunque, Kirk non era obbligato a rimanere sul ponte, in quel momento, e avrebbe potuto registrare il Diario di Bordo dal suo let... dal suo alloggio, in attesa del rapporto della squadra di sbarco.
Azionò il pulsante di registrazione: – Diario del Capitano, Data Astrale Tre-Zero-Due-Cinque punto uh... Tre – disse in tono stanco. – Siamo in orbita intorno a un pianeta ina... desa... disabitato, nella Regione Omicron Delta. Si tratta di un pianeta piuttosto simile alla Terra... o a come noi la ricordiamo. I rilevamenti... i rilevamenti preliminari sembrano troppo belli per essere veri: fiori, alberi e riposo. – Sbadigliò. – Una volta sentito il rapporto degli esploratori, ho intenzione di concedere una licenza generale...
Sul pianeta, la squadra di sbarco stava respirando con piacere l'aria fresca, profumata di erba e fiori. Gli alti alberi stormivano dolcemente sotto la brezza, e il cielo era di un azzurro fiordaliso. McCoy si chiese da quanto tempo qualsiasi membro dell'equipaggio dell'Enterprise non avesse avuto l'opportunità di osservare il clima senza essere in tensione per qualche pericolo. Non c'erano edifici, solo alberi, e nessuna creatura vivente tranne il gruppetto di umani e i fiori. E regnava la quiete. I suoni costanti dei sistemi della nave non erano mai notati fino a quando non venivano a mancare. – È splendido – commentò Sulu, contemplando le foreste e i vasti prati. – Niente animali, niente persone, niente preoccupazioni... solo quello che ha ordinato il medico. Giusto, dottore? – Non avrei potuto prescrivere nulla di meglio – convenne allegramente McCoy. – Siamo una nave molto stanca. – Credete che il capitano ci concederà una licenza di sbarco qui? – Dipenderà dal mio rapporto e da quello degli altri esploratori – rispose McCoy. – Oh! – Si fermò di colpo. Sulu seguì la traiettoria del suo sguardo: davanti a loro, un piccolo lago si stendeva come una gemma incastonata fra il verde smeraldo del fogliame, con le rive coperte da cespugli fioriti e con un salice piangente che s'inchinava, aggraziato, verso l'acqua. – Bisogna vederlo, questo posto, per credere che esista – dichiarò il dottore, entusiasta. – Sembra tratto da... Alice nel Paese delle Meraviglie! Il capitano deve venirci! – Gli piacerebbe – annuì Sulu, assolutamente d'accordo. – Ne ha bisogno. Voi avete i vostri problemi e io ho i miei, ma lui ha i suoi e in più anche quelli di altre quattrocentotrenta persone. – McCoy si avviò verso il lago, crogiolandosi al sole e godendo dell'aria tiepida. Era talmente immerso nella sua rapita contemplazione, che si ricordò a stento di voltarsi verso Sulu. – Cosa state facendo?
Il tenente era accovacciato accanto a una pianta, intento a regolare il tricorder. – Sto registrando la struttura cellulare della vegetazione... un filo d'erba, un cespuglio, un petalo di fiore. Su queste basi, potremo analizzare tutta la biologia del pianeta. Non sentendosi per nulla in vena di analisi, McCoy lo lasciò al suo lavoro e seguì un sentiero appena tracciato, assorbendo pace e meraviglia. – Oh! Per le mie zampe e per i miei baffi! Farò tardi! Il dottore si scosse di colpo. Allucinazioni temporanee, diagnosticò. Doveva essere più stanco di quanto avesse pensato. Baffi e zampe, proprio. Si girò con estrema lentezza. Ed era là, che correva sulle grandi zampe posteriori, alto circa un metro e venti, con il pelo bianco e le orecchie lunghe, intento a estrarre un vecchio orologio a cipolla dalla tasca del panciotto. – Tch! – Il coniglio bianco scomparve attraverso una breccia nel fitto fogliame. McCoy scosse il capo. "Non l'ho visto, sono assolutamente certo di non averlo visto" disse a se stesso. I cespugli alle sue spalle frusciarono. – Scusate, signore – chiese una ragazzina con un grembiulino, in tono educato – è passato da queste parti un coniglio bianco piuttosto grande, con il panciotto giallo e i guanti bianchi? Ovviamente, McCoy non credette neppure a questo ma, imbambolato per lo stupore, indicò la direzione presa dal coniglio. – Grazie tante – disse la ragazzina, con una riverenza, e scomparve dietro l'animale. Il dottore serrò gli occhi con forza. – Sulu! SULU! Non intendeva guardarsi ancora in giro. Che fosse Sulu ad avere le allucinazioni. Quanto a lui, McCoy, non era obbligato ad accettare per vere cose impossibili, dopo colazione. – Cosa c'è? Che succede? – Li... li avete visti? – Visto cosa? Non vedo nulla – rispose il tenente, scrutando intorno. – Che vi prende, dottore? McCoy deglutì. – Io... uh... – Non c'era niente da dire, e seguì Sulu sentendosi impotente. – Capitano? C'era qualcuno alla porta. Doveva svegliarsi, essere attento, responsabile. Sangue, riprendi a circolare. Puoi far meglio di così. – Sì? – Sono Spock, capitano. Ho il rapporto del dottore relativo
all'equipaggio. – Entrate, Spock. – Kirk si scosse e si alzò in piedi. – Adesso tutti i sistemi sono sull'automatico, capitano; un equipaggio ridotto è pronto ad assumere il controllo del ponte, della Sezione Comunicazioni e della Sala Motori – riferì il vulcaniano, in tono pratico. – Trasferiremo a terra prima la sezione di tribordo, signor Spock. Con quale gruppo vi piacerebbe scendere? – La licenza è inutile, nel mio caso, capitano. Sul mio pianeta, riposare significa appunto riposare, smettere di usare energie, e secondo me è illogico correre avanti e indietro sull'erba, sprecando le forze invece di risparmiarle. Insopportabile. L'intercom trillò dalla scrivania. – Qui Kirk. – Il dottor McCoy sta chiamando dal pianeta, signore. – Bene. Aprite un canale, tenente Uhura. – Capitano – disse McCoy. – Avete intenzione di raggiungerci? – Non era nei miei programmi, Bones. Perché? – Ecco, o le sonde e gli strumenti di esplorazione sono difettosi, e tutti noi della squadra stiamo diventando negligenti e ci stiamo lasciando intossicare dalla bellezza, oppure mi devo dichiarare inidoneo al servizio. – Spiegatevi. – Kirk soffocò un'ondata di depressione. Un problema: erano difettosi gli strumenti oppure l'equipaggio stava dando i numeri. Grandioso. – Su un pianeta che si suppone disabitato – dichiarò McCoy, scandendo le parole – ho appena visto un grosso coniglio bianco tirare fuori un orologio d'oro dalla tasca del panciotto. Poi ha affermato di essere in ritardo. Kirk scoppiò in una risata di sollievo. Non si trattava di un problema, dopo tutto. – Davvero buona, Bones. Ora ne ho io una per voi. Il coniglio era seguito da una ragazzina bionda, esatto? – Ecco... in effetti, sì... e sono scomparsi attraverso un buco, in una siepe. – Prenderò in considerazione il vostro rapporto, dottore – rispose Kirk, continuando a ridacchiare. – Chiudo. – Si girò verso lo sconcertato primo ufficiale. – Era una pillola confezionata da McCoy e zuccherata con un po' di mistero: sta cercando di farmi scendere a terra, ma non ci casco. – Molto bene, capitano. Ero venuto per discutere con voi di una cosa. – Kirk lo fissò. – Ho prelevato questo estratto dal diario medico di McCoy. Finalmente, il capitano si accorse che Spock aveva in mano un foglio.
– Abbiamo un membro dell'equipaggio che mostra segni di stress e di stanchezza. Il suo tempo di reazione è ridotto di una misura che varia fra il nove e il dodici per cento, e la capacità di associazione è scesa a meno tre. La preoccupazione riuscì a penetrare la nebbia di sfinimento che avvolgeva Kirk. – Sono livelli troppo bassi – convenne, in tono secco. – Il soggetto in questione sta diventando irritabile, inefficiente, litigioso, ma rifiuta di concedersi un periodo di riposo. – Spock sollevò lo sguardo. – Naturalmente, è nel suo diritto, ma... – I diritti di un membro dell'equipaggio cessano là dove comincia la sicurezza della nave. Quest'uomo andrà in licenza su mio ordine – dichiarò Kirk, seccato. – Come si chiama? – James Kirk. Il capitano sollevò la testa di scatto. Questo era ciò che succedeva quando s'impartivano ordini senza disporre di tutti i necessari particolari. Era stato inefficiente, e ora lo avevano intrappolato senza via di scampo. Spock gli porse il foglio. – Divertitevi, capitano. È un pianeta interessante, ritengo che lo troverete molto piacevole e simile alla vostra Terra. Gli esploratori non hanno individuato forme di vita, artefatti o campi di forze di qualsiasi genere. Niente tranne pace, sole e aria buona. Non avrete problemi. Kirk scrollò le spalle e infine sorrise. – Avete vinto, Spock. Ci andrò. Il sottufficiale Barrows lo accompagnò a terra, e i due si materializzarono vicino a due membri della squadra esplorativa. – Rodriguez, Teller – salutò Kirk. – Tutto a posto? – Sì, signore – rispose il giovane bruno, che stava chiudendo un contenitore pieno di campioni. – Abbiamo completato la raccolta di esemplari. – Il guardiamarina che lo accompagnava aveva un'aria leggermente malinconica: forse anche lei era stanca di lavorare. – È sufficiente, signor Rodriguez. Trasmettete i vostri rapporti al signor Spock e cominciate a divertirvi. La ragazza si rasserenò in viso. – Sì, signore! – rispose Rodriguez, porgendo il tricorder alla compagna. – Ah, signore, credo che troverete il dottor McCoy laggiù. Kirk guardò "laggiù" e tutt'intorno a sé. – È riposante, qui, vero? Dopo tutto quello che abbiamo passato, è difficile credere che esista un pianeta così bello. – È splendido. – Il sottufficiale Barrows ruotò su se stessa, facendo allargare la corta gonna. – Così adorabile e tranquillo e... – Si controllò,
accorgendosi che cominciava a farfugliare. – Oh, voglio dire... affermativo, capitano. Kirk si concesse un lieve sorriso per quel giovanile entusiasmo, e si avviò verso il dottore, accompagnato dalla ragazza. – McCoy? Dove siete? In quella radura, il fogliame era fitto. – Quaggiù! McCoy era ancora fermo nel punto in cui aveva avuto la supposta allucinazione. – Bones! Avete sentito qualche bella barzelletta sui conigli, di recente? – Non avrebbe permesso al dottore di scordarsi della sua trovata per parecchio tempo. – In effetti, sì – rispose McCoy, ma la sua espressione era troppo seria per essere tranquillizzante. – Solo che questa non è una barzelletta. Guardate qui. Il sorriso di Kirk svanì mentre lui fissava il punto indicato da McCoy: tracce, su un pianeta privo di fauna. Grosse tracce, accoppiate, di una creatura che procedeva a balzi. – Quelle impronte non sono un po' grandi per un coniglio? – Ecco... – Il dottore assunse un'aria contrita. – Come ho riferito, capitano, si trattava di un coniglio molto insolito. Kirk si lasciò cadere in ginocchio, studiando le orme. – Ammetto di aver creduto che fosse uno scherzo, ma questi segni sono reali. – Erano molto distanziati, quindi la creatura doveva aver avuto zampe molto lunghe. Un grosso essere saltellante. – E Sulu? Può confermare il vostro rapporto? McCoy scosse il capo. – In quel momento stava esaminando la flora. – Questa storia non mi piace, Bones. – Kirk aprì il comunicatore. – Ponte, parla il capitano. La prima squadra in franchigia si è già teletrasportata? – Negativo, capitano. I trasferimenti stavano appunto per cominciare. – Riferite all'equipaggio il seguente messaggio. Le licenze sono sospese, e nessuno deve lasciare la nave finché non riceverà da me ulteriori comunicazioni. Seguì una breve pausa, poi la voce di Uhura rispose in tono avvilito. – Sì, signore. – Intendete annullare la franchigia, Jim? – protestò McCoy. – Soltanto fino a quando non avremo dato una spiegazione a questo. – Indicò le enigmatiche tracce. – Ma l'equipaggio ha un terribile bisogno di riposo. – Lo so – ammise Kirk, sentendo il peso della responsabilità in maniera schiacciante. – Quello che avete visto aveva l'aria innocua e probabilmente
lo è, ma io voglio la prova che si tratta di un animale inoffensivo, prima di lasciar scendere i miei uomini. McCoy era sul punto di obiettare che la cosa peggiore che poteva capitare era imbattersi in un mazzo di carte ambulanti, quando venne interrotto. Spari. Colpi di pistola. Addio pace e tranquillità. Kirk estrasse il faser e si mise a correre, fermandosi di scatto quando vide in una radura Sulu in piedi, con un sorriso beato sulle labbra, intento a prendere di mira una foglia innocente. Bang! – Cosa credete di fare, signor Sulu? – stava chiedendo Kirk, in tono stanco, quando McCoy lo raggiunse. – Tiro al bersaglio, Capitano – rispose l'orientale. – Non è uno splendore? Non ho nulla di simile, nella mia collezione. – Dove l'avete presa? – L'ho trovata. So che è una coincidenza assurda, ma ne avevo sempre desiderata una. Era laggiù. – Offrì con orgoglio l'arma a Kirk, perché l'ispezionasse. – Una Police Special del passato, e in ottime condizioni. Non si fabbricano più pistole del genere da almeno un paio di secoli. Guardate, spara proiettili di piombo spinti dai gas in espansione provocati da un'esplosione chimica. Sulu e i suoi hobby. – Ne ho già viste di simili – replicò Kirk, ricordando alcune avventure in cui si era trovato coinvolto nella storia remota della Terra. Prese l'arma e sorrise: non poteva biasimare il tenente, ma... – La terrò io. Sembra che quest'aria fresca vi abbia reso un po' troppo incline a far fuoco. – Sì signore – rispose Sulu, ma parve deluso. Al sottufficiale Tonia Barrows non interessavano le pistole e, non appena aveva sentito che non si trovavano davanti a un'emergenza, si era messa a gironzolare. – Signore! – chiamò d'un tratto. – Il coniglio del dottor McCoy dev'essere passato di qui. Indicò una serie di tracce, identiche alle prime, che attraversavano una piccola radura e sparivano in una foresta. Kirk le esaminò. – Bones, siete certo che i vostri strumenti non abbiano registrato nessuna forma di vita animale, su questo pianeta? – Assolutamente. Niente mammiferi, uccelli, insetti, niente di niente. Sono certo che le nostre rilevazioni erano esatte, e tuttavia... – Fissò le sconcertanti impronte. – Mi piacerebbe credere che si tratti di un elaborato scherzo – sospirò
Kirk – ma... – Si alzò in piedi e guardò verso la foresta. – Sottufficiale Barrows, accompagnate il signor Sulu e scoprite da dove vengono quelle orme. – I due si addentrarono fra la vegetazione. – Voi tornerete con me nella radura, dottore. Voglio dare un'altra occhiata a quell'area. – Questa sta diventando una licenza di sbarco davvero insolita – commentò Kirk, con una certa amarezza, mentre si avviavano verso il lago color acquamarina. – Potrebbe essere peggio – replicò McCoy, in tono leggero. – E come? – Potreste aver visto voi il coniglio. Per quanto fosse preoccupato, Kirk scoppiò a ridere. – Cosa succede, Bones? Sviluppate - un complesso di persecuzione? – Questa storia comincia a seccarmi un poco, se capite cosa intendo – rispose il dottore. – Conosco bene questa sensazione, l'ho provata quando ero all'Accademia. – Continuarono a passeggiare e McCoy notò con soddisfazione che il capitano appariva meno teso. – C'era uno studente anziano... ideava una burla dopo l'altra, e sempre a mie spese. Si trattava del mio diavolo personale, un tizio chiamato Finnegan. – Ed essendo voi un serio, giovane cadetto... – Serio? Vi farò una confessione, Bones, ero assolutamente tetro, e questo divertiva Finnegan. Era tipo da metterti un piatto di minestra fredda nel letto, o da sistemare un secchio d'acqua su una porta socchiusa. Non potevi mai sapere quando e come avrebbe colpito. – E voi non l'avete ancora digerita, con tutto il tempo che è passato – commentò McCoy, pensoso. – Altre tracce, Bones. Sembra che il vostro coniglio sia arrivato da qui. McCoy si chinò a osservare il terreno. – Ci sono anche le impronte della ragazzina, Jim, quella ragazzina bionda che gli correva dietro. – Seguite il coniglio, Bones, io penserò alla bambina. C'incontreremo dall'altra parte di quella collina. – Il dottore annuì, e Kirk si avviò, seguendo la fila di orme lasciate da un paio di piccoli stivali. Ragazzine, conigli, vecchie pistole... che altro sarebbe successo? Erano anni che non pensava più a quello zoticone di Finnegan. Che spina nel fianco era stato quell'uomo! Ricordava un giorno in cui... Alta, larga di spalle e con un sorriso sfrontato stampato sulla faccia, una figura lo stava aspettando più avanti, accanto a un albero. Kirk sbatté le palpebre. – Finnegan! Il giovane, che portava la divisa dei cadetti dell'Accademia, gli si
accostò con fare tracotante e con una risata cattiva. – Non sai mai quando colpirò, eh, Jimmy? – Lo stesso lieve accento, la stessa derisione. Mentre se ne rimaneva fermo, incredulo, Kirk fu costretto ad accettare la realtà di quanto aveva dinnanzi: un destro improvviso alla mascella lo atterrò. Si rialzò lentamente, fissando il suo antico nemico che, un po' incurvato sulla persona, gli saltellava davanti, pronto a combattere. – Forza, Jimmy, fatti sotto. Colpiscimi! Non è forse quello che hai sempre desiderato? – Lo era. Kirk accantonò la propria incredulità e si preparò alla lotta. Non intendeva perdere quest'occasione di liberarsi finalmente della sua personale bestia nera, e una rossa ondata di rabbia lo sopraffece, quando ricordò tutte le prepotenze e le spietate persecuzioni che aveva subito. – Avanti, fatti sotto! – lo beffò Finnegan, e Kirk balzò verso di lui. – Ricominciamo daccapo! Una donna urlò. Oh, all'inferno, pensò Kirk, preparandosi ad attaccare. Tonia Barrows? Lui era il capitano, e un suo sottufficiale era in pericolo. Dannazione. Si precipitò nella direzione da cui proveniva l'urlo. – Qualsiasi scusa è buona, vero, Jimmy? – gli gridò dietro Finnegan. – Scappa, scappa, non sai fare altro! McCoy sbucò dal sottobosco, correndo a sua volta. – Cos'è stato? – Barrows. Venite. Trovarono la ragazza raggomitolata contro un albero, con la tunica strappata e i capelli in disordine. Era sola e in preda a un pianto isterico. – Cos'è successo? – Io... non lo so. Voglio dire... lo so – singhiozzò la Barrows. – Credo... stavo seguendo quelle tracce e... lui era là! – Lui chi? – scattò Kirk. Non era questo il modo in cui un membro addestrato dell'equipaggio avrebbe dovuto riferire delle informazioni. – Lui! – gemette il sottufficiale. – Barrows, fatemi un rapporto dettagliato! La donna riacquistò gradualmente il controllo. – Aveva un mantello, signore e... e una spada con l'impugnatura ingioiellata. – Siete certa di non averlo immaginato, sottufficiale Barrows? – chiese McCoy, che la stava esaminando. Lei tirò su la spalla lacerata dell'uniforme, in preda a un improvviso imbarazzo. – So che sembra incredibile, capitano. – I due uomini annuirono. – Ma non l'ho sognato, non più di quanto abbia sognato quello che ha fatto. – Accennò alla tunica strappata.
– D'accordo – la rassicurò McCoy – vi crediamo. Ma chi era questo vostro Don Giovanni? – Come lo sapete? – sussultò lei. – Sapere cosa? – Ecco, questo posto sembrava... uscito da un libro di racconti. – La Barrows deglutì e continuò il racconto, timidamente. – Stavo pensando che a una ragazza che si trovi qui manca solo un Don Giovanni. Era soltanto un sogno a occhi aperti, capite cosa intendo? – Guardò con esitazione i due ufficiali. – Come voi potreste immaginare qualche donna che vi piacerebbe incontrare. Kirk, che non si sentiva pronto ad affrontare quell'argomento, si guardò intorno, notando che mancava qualcosa. – Il signor Sulu era con voi. Dov'è? – Oh... lo ha inseguito. Lui... – Ma il tenente non si vedeva da nessuna parte. – Rimanete con lei, dottore. – Kirk si allontanò di corsa. – Signor Sulu! – chiamò. – Sulu! Dove siete? – Non ricevendo risposta, si addentrò nel sottobosco, fino a sbucare in una radura che ospitava un giardino desertico in miniatura, con i cactus in fiore. Continuando a chiamare, cominciò a cercare fra le rocce. Alcuni passi echeggiarono sulla destra. – Sulu? Non era Sulu. La ragazza sorrise, mentre la brezza agitava le rose vere che le decoravano il vestito; avanzò verso Kirk con occhi colmi di ricordi. – Ruth... – Il capitano si ricordò di lei. – Tu! Come... non capisco... – Jim, caro, sono io. Sono Ruth. – Lui aveva chiuso per sempre quella particolare ferita. In qualche modo, a causa della pressione degli esami finali, delle qualificazioni e della prima crociera, l'aveva perduta e aveva accantonato i rimpianti. – Non credi che io sia reale. – Aveva perfino dimenticato quanto fosse dolce la sua voce, e ora tutto gli tornò in mente di colpo, insieme alla sofferenza e al desiderio. – Ma lo sono, caro, lo sono. La Ruth conosciuta da Jim Kirk non poteva esistere là e in quel momento, ma quando la ragazza gli circondò il collo con le braccia, lui non poté più dubitare che fosse reale e non riuscì a trattenersi dal ricambiare l'abbraccio. Tentando di resistere, prese il comunicatore. – Dottor McCoy, rispondete – chiamò, senza però riuscire a distogliere gli occhi da Ruth. – McCoy, mi ricevete? Lei spinse di lato il comunicatore. – Non pensare a nulla, caro, tranne al
fatto che siamo insieme. – La morbida massa dei suoi capelli gli sfiorò il volto. – Ruth. Come fai ad essere tu? Non puoi trovarti qui! Lei gli si accostò di più e sollevò lo sguardo verso di lui; la sua pelle brillava sotto il sole. – Non ha importanza, vero? Erano trascorsi quindici anni, ma lei era rimasta la stessa creatura fresca, giovane e gentile che aveva pianto con tanta amarezza quando si erano detti addio. – Non ha importanza – ripeté. – Nulla di tutto questo ne ha, Jimmy. Il trillo del comunicatore penetrò attraverso il suo stupore. – Parla Kirk. McCoy voleva sapere se aveva trovato Sulu. – Cosa? – Ruth portava ancora i capelli intrecciati in modo da formare una coroncina. – Avete trovato il signor Sulu? – Oh, no... – rispose Kirk, distratto. – Ma sono certo che sta bene. – Lei lo fissava negli occhi con aria sognante. – Voglio dire, perché dovrebbe essere altrimenti? – Capitano, voi state bene? – Oh, sì, benone. – Il comunicatore parve fluttuare da solo fino a una roccia vicina, poi trillò ancora. Kirk raccolse la chiamata con un sospiro. – Sì, signor Rodriguez? – Capitano, poco fa ho visto... ecco, alcuni uccelli, stormi interi. – Vi piacciono gli uccelli, signor Rodriguez? – Ruth gli stringeva la mano nel suo modo speciale. – Mi piacciono, signore, ma tutti i nostri sondaggi avevano indicato... Kirk non aveva notato il coro di cinguettii che giungeva dalla foresta, perché sembrava far parte integrante dell'ambiente. – Allora direi che i nostri strumenti devono essere difettosi, signor Rodriguez. – Non sembrava avere importanza. – In effetti, ci sono forme di vita su questo pianeta. – Ruth gli si rannicchiò contro la spalla. Ma Rodriguez s'intestardì. – Signore, la nostra esplorazione non può essere stata errata fino a questo punto. Ruth si staccò leggermente da lui e lo fissò con malinconia. – Rodriguez, comunicate a tutti i gruppi di ricerca di riunirsi nella radura. Voglio qualche risposta a tutto questo. – Sì, signore. – Non poteva permettere che accadesse di nuovo, non poteva perderla ancora, ma neppure abbandonare il suo equipaggio in balìa dei pericoli che quel misterioso pianeta celava. Desiderio e senso del dovere lottarono dentro di lui.
Ruth gli porse una mano e gli rivolse un sorriso raggiante. – Devi andare. – Ma non voglio. Questa volta, lei non pianse. – Mi vedrai ancora – promise, protendendosi verso di lui. – Se lo vorrai. – Lo baciò su una guancia e prese a indietreggiare. Kirk accennò a seguirla. – Ma devo chiederti... non mi hai detto... – Fa' quello che devi, Jim, poi mi troverai ad aspettarti. – Lo avrebbe aspettato, questa volta? La chiamò, mentre scompariva nella foresta, poi il comunicatore trillò. – Parla il capitano Kirk – rispose, tenendo ancora lo sguardo fisso sull'apertura fra gli alberi oltre cui era svanita Ruth. – Capitano – disse il signor Spock – ricevo strani dati dalla superficie del pianeta. Sembra che su di esso ci sia in funzione un campo di forze. – Specificate. – Si tratta di una forma di energia estremamente sofisticata, capitano, che pare essere diventata operante dopo che noi abbiamo effettuato i rilevamenti iniziali. Sta prosciugando le energie della nave e disturba le comunicazioni in maniera crescente. – Ne potete localizzare la fonte? – Ora Kirk era attento, sia pure con riluttanza. – Potrebbe trovarsi nel sottosuolo, ma non riesco a individuarla con precisione. La sua struttura indica una specie di attività industriale. Attività industriale? Là, fra campi e boschi? – Tenetemi informato, signor Spock. Noi continueremo le indagini da qui. Le indagini procedevano con lentezza. Il dottor McCoy era seduto con il sottufficiale Barrows sotto una betulla. La ragazza si stringeva ancora la divisa lacera contro la spalla. – Vi sentite meglio? – Un poco – sorrise lei. – Ma non vorrei trovarmi qui sola. – Perché no? – il medico emise un lungo sospiro di soddisfazione. – È un posto splendido. Un po' strano, lo ammetto, ma... – Proprio così. È quasi troppo bello. Prima che la mia tunica venisse strappata, stavo pensando che in un luogo del genere una ragazza dovrebbe essere vestita in maniera intonata all'ambiente. – Il sottufficiale Barrows stava rivelando un inaspettato romanticismo. – Vediamo... come le principesse delle favole, con un abito ampio e un cappello a punta con tanto di velo. McCoy la guardò con gentilezza, poi guardò meglio: era una giovane
donna davvero attraente, ed era strano che lui non se ne fosse mai accorto prima. Naturalmente, l'aveva sempre considerata una paziente. Era proprio molto carina. – Capisco cosa intendete dire, ma allora dovreste tenere a bada interi eserciti di Don Giovanni. – Lei ridacchiò. – E anche me. La ragazza lo scrutò da sotto le palpebre abbassate. – È una promessa, dottore? Si misero a passeggiare lungo la riva del lago, mentre il cinguettìo degli uccelli pervadeva l'aria e il verde lucido delle foglie brillava sotto il sole, saziando il loro sguardo. – Oh! – Un mucchio di stoffa era gettato con noncuranza su un cespuglio. – Oh, dottore, è adorabile! – Il sottufficiale Barrows raccolse un lungo velo. – Sì, vero – convenne McCoy, fissando la Barrows con occhi lucenti. Lei si coprì il viso e sbirciò da sopra il velo. – Guardatemi ! – Fece una lieve piroetta, poi mosse qualche passo solenne, parlando con finta serietà. – Una dama da proteggere e per cui combattere, una principessa di sangue reale. Perché ci aveva messo tanto a entrare nello spirito della cosa? – Siete tutto questo, e molto di più. – Doveva aver dimenticato come si giocava, a causa delle preoccupazioni pressanti del suo lavoro, ma la ragazza non lo aveva scordato; era gaia, vulnerabile e graziosa. Raccolse il costume dal cespuglio e glielo mise fra le braccia. – Sarebbe ancora più bello indosso a voi. L'espressione da monella si trasformò in una di terrore, mentre lei guardava verso il cespuglio. – Ho paura, dottore. – Calmatevi – la confortò McCoy, mentre lei gli nascondeva la faccia contro la spalla. Si accorse che stava tremando, e cercò di non notare che la tunica era scivolata dalla spalla. Avvertì una fugace fitta di gelosia nei confronti di quel seccante "Don Giovanni" che l'aveva vista per primo. – Sentite, non so come, dove o perché, ma il vestito è qui. – Le sorrise. – Mi piacerebbe vedervelo addosso. La Barrows guardò l'abito, dubbiosa, liberandosi dall'abbraccio; nonostante i suoi timori, era ovviamente tentata. – D'accordo! – si decise, e andò dietro il cespuglio. – Ma voi rimanete dove siete... e non sbirciate! – Sono un dottore, mia cara ragazza – replicò McCoy, con dignità. – Quando sbircio, lo faccio sempre per dovere. Leonard McCoy, gentiluomo e medico, scoprì di essere incapace d'ignorare la tunica che veniva messa da parte e i movimenti che si
scorgevano al di sopra del fogliame. Il suo comunicatore trillò. – Chiamo il dottor McCoy, rispondete, prego. Chiamo... Si accostò lo strumento all'orecchio. – Parla McCoy. – Che razza di momento per contattarlo, senza contare che la voce era molto debole. – Non vi sento bene. Siete voi, Rodriguez? – È tutto il volume che riesco a ottenere con quest'aggeggio. Neanch'io vi sento bene. Il capitano ha ordinato di riunirci nella radura in cui vi ha trovato. – D'accordo. Rodriguez, cosa diavolo hanno i comunicatori? Esteban? Esteban! McCoy agitò l'apparecchio come se si fosse trattato di un antiquato termometro, poi scosse il capo, con una scrollata di spalle. Nel voltarsi per dare un'ultima sbirciatina, sussultò. Il sottufficiale Barrows era scomparso, e al suo posto c'era una visione medievale, che portava un alto cappello a cono e un abito verde chiaro, che aderiva al corpo e si allargava in pieghe aggraziate dai fianchi in giù. Il volto della ragazza era splendente, e lei portava il velo come una sposa. Perché diavolo non l'aveva notata prima? Il capitano stava consultando l'ufficiale scientifico, ma lo sentiva a stento. – Voglio una spiegazione, Spock. Prima abbiamo Alice nel Paese delle Meraviglie dove non dovrebbero esserci forme di vita animale. Poi la pistola di Sulu, in un luogo dove non esistono metalli lavorati. Quindi gli uccelli e... le due persone che ho visto. – C'è qualche possibilità che si tratti di allucinazioni, capitano? – Una delle "allucinazioni" mi ha steso con un pugno alla mascella, e l'altra... – Sembra una dolorosa realtà, capitano. – E poi ci sono le tracce... – Ci deve essere una spiegazione logica. Capitano, il vostro segnale è molto debole. Potete aumentare il volume? – È già al massimo. Seguì una pausa. – Devo far scendere una squadra armata, capitano? Kirk non lo ritenne opportuno. – Il gruppo che si trova quaggiù è munito di faser. E poi non abbiamo ancora incontrato un vero pericolo. È soltanto... chiudo. – Indugiò per un momento a osservare uno stormo di uccelli che solcava improvvisamente il cielo. Era ancora molto stanco: se soltanto quella avesse potuto essere una vera licenza, e non un enigma!
Perché c'erano quegli uccelli nell'aria? Qualcosa doveva averli spaventati. Sulu! Non era stato ancora ritrovato. Kirk si massaggiò gli occhi e tornò ad addentrarsi nella foresta. Udì un debole urlo, grida e tonfi, e si mise a correre, chiamando McCoy. In quel momento, Sulu emerse dalla foresta, alla massima velocità possibile. – Riparatevi, capitano! C'è un samurai che m'insegue! – Un cosa? Non c'era nulla che inseguisse Sulu, e questi si fermò, ansante, guardandosi alle spalle. – Un samurai, con la spada... sapete, un antico guerriero giapponese. Mi dovete credere, capitano! – Vi credo. – Kirk non poteva dubitare di Sulu. – Anch'io ho incontrato alcuni personaggi interessanti. Avete visto il resto della squadra di sbarco? – Rodriguez mi ha chiamato pochi minuti fa, appena prima che m'imbattessi nel samurai. Ha detto che dovevamo ritrovarci tutti nella radura. – Si avviarono verso il punto di raccolta, mentre Sulu continuava a guardarsi nervosamente indietro. – Spero che Rodriguez abbia contattato tutti. I comunicatori non funzionano quasi più. – E non basta – aggiunse Sulu. – Ho cercato di sparare al samurai, ma il mio faser è inservibile. – Infilò nella cintura l'arma inutilizzabile. Kirk aveva ancora in pugno il suo, che aveva estratto nel sentire i rumori prodotti dall'incontro di Sulu con il samurai. Lo puntò verso terra e fece fuoco, ma non accadde nulla. Controllò la regolazione e sparò ancora, poi lo ripose lentamente. – Faremo meglio a tornare nella radura – dichiarò, cupo. – Sì, signore. Noi... guardate! L'aria stava tremolando con un effetto familiare, ma erratico e incerto. – Dalla nave stanno teletrasportando qualcuno. Era sicuro che ci stavano provando, ma sembrava esserci qualche impedimento. Come se potesse servire a qualcosa, Kirk attese, desiderando intensamente che il trasferitore funzionasse. Il tremolio svanì, riprese, scomparve ancora, poi Spock si materializzò davanti a loro con una pioggia di scintille. – Spock! Avevo ordinato che nessuno lasciasse la nave! – Era necessario, capitano. Non potevo più contattarvi con il comunicatore, e il teletrasporto è ormai quasi inutilizzabile. Come vi ho detto, quaggiù c'è un campo di forze assolutamente insolito, che sembra
alimentarsi attingendo a ogni forma di energia disponibile. Ho calcolato la rapidità con cui progrediva il fenomeno e ho dedotto che potevamo teletrasportare una sola persona. – Con un gesto del sopracciglio, Spock sottintese che, se anche conigli bianchi e cose del genere esulavano dalla sua comprensione, non poteva tollerare però la presenza di un misterioso campo di forze. – Ci siamo riusciti a stento. – Bene. – Kirk dovette approvare la decisione del vulcaniano. – Il vostro aiuto ci sarà utile. – Siamo bloccati qui, capitano? – domandò Sulu, ansioso. – Fino a quando non avremo scoperto cosa sia tutta questa storia. Una tigre ruggì in lontananza. – Da quella parte! – ordinò Kirk. – Allargatevi e trovatela. – Cercò di non pensare ai faser fuori uso. Nella radura, Tonia Barrows e McCoy si guardarono intorno, cercando gli altri, a malincuore. – Qui non c'è nessuno. – È il punto di raccolta – replicò McCoy. La ragazza prese ad aggirarsi per la radura, seguita lentamente dal dottore. – Cos'è stato? Mi è parso... avrei giurato di aver sentito qualcosa. – Non parlate in questo modo! – Nonostante lo splendido abito e i caldi sguardi di McCoy, la ragazza era ancora nervosa. – Una principessa non dovrebbe avere paura, quando è con un coraggioso cavaliere che la protegge. – Tonia riuscì ad abbozzare un sorrisetto e si accostò maggiormente al riparo offerto da una quercia scaldata dal sole. – Aaah! – Ci fu un violento agitarsi di bianco e nero... la ragazza stava lottando con qualcuno. McCoy cominciò a correre. Il cappello piumato era inclinato da un lato, la barbetta a punta, il giustacuore ingioiellato e completato da un ampio mantello. McCoy andò all'attacco, agitando i pugni, ma quel vigliacco si rifiutò di combattere. Don Giovanni batté in ritirata. Il dottore tenne stretta la ragazza per un momento, mentre lei riassestava l'abito e raddrizzava il cappello a cono, e si sentì estremamente cavalleresco: aveva combattuto per la sua dama, e lo avrebbe fatto ancora. In lontananza si udì un battito di zoccoli. Si voltarono di scatto e videro un cavallo gigantesco emergere dalla foresta, dall'altra parte del prato. L'animale s'impennò e si girò, poi il cavaliere notò le due figure appiedate. La buona fede di McCoy subì la prova più ardua quando il Cavaliere Nero abbassò una lancia dall'aspetto micidiale e partì alla carica.
Questi personaggi da fiaba cominciavano a interromperlo un po' troppo spesso, e lui ne aveva abbastanza: avrebbe trattato quest'apparizione nella maniera giusta. Un parto dell'immaginazione non era reale, non poteva fare alcun male, e lui non avrebbe più reagito alle allucinazioni. Si fece avanti, disarmato, e affrontò la minaccia in arrivo, concentrandosi sulla negazione di quanto i sensi gli stavano mostrando. Il grande destriero nero attraversò il prato al galoppo, il cavaliere tenne la lancia puntata. – Bones, attento! – McCoy ignorò il grido di avvertimento di Kirk, e si avviò con cocciuta decisione verso il cavallo. Il faser di Kirk non funzionò, e lui estrasse dalla cintura la vecchia pistola confiscata a Sulu, nel momento in cui la lancia attraversava il petto di McCoy. Il destriero indietreggiò mentre Tonia Barrows urlava, poi il Cavaliere nero si chinò per recuperare l'arma e Kirk sparò, facendolo crollare al suolo, a pochi metri di distanza. Le urla della ragazza si levarono, stridule, fra gli echi dello sparo. La Barrows cadde in ginocchio accanto alla figura prostrata di McCoy. – È morto, è morto. Non sarebbe mai dovuto succedere... Ohhh! – No, Tonia... – cominciò Kirk. – Ma è stata... è stata colpa mia! La colpa è mia! Io l'ho ucciso, io ho ucciso Leonard! – Il capitano la prese per un braccio, ma lei si liberò con uno strattone e prese a picchiare i pugni sul terreno. – Sottufficiale – chiamò Kirk, usando il suo tono più severo – siamo in difficoltà. Ho bisogno che ogni membro dell'equipaggio sia all'erta e in grado di pensare. L'isterismo svanì dalle grida della donna. – Sì, signore. – Si alzò in piedi, lottando per ritrovare una certa compostezza. Spock coprì il corpo di McCoy, nascondendo l'ampia ferita, e Kirk volse le spalle alla scena, per un momento, perché non riusciva a controllare del tutto il proprio volto. Il suo amico era morto. In licenza di sbarco. E tutti guardavano a lui per ricevere forza. Si costrinse ad assumere un'espressione di ferrea calma e, senza guardarsi alle spalle, si avviò con passo deciso verso Sulu, che era accanto al corpo del Cavaliere Nero. – Capitano – disse il tenente, preoccupato – non capisco. – Neppure io, signor Sulu – rispose Kirk, fissando con odio l'armatura nera. – Ma prima di lasciare questo pianeta, avrò una risposta. – Allora farete meglio a guardare qui, signore. – Sulu sollevò la visiera, rivelando la faccia dell'assassino di McCoy.
– Cosa dia... ? – La maschera aveva una pelle modellata alla perfezione e il naso diritto, i lineamenti erano regolari come quelli di una statua di cera. – È come un pupazzo, capitano, non può essere vivo. – Tricorder? – Funziona appena, signore. – Spock! – Kirk porse lo strumento al suo primo ufficiale. – Che ve ne sembra di questo? Il vulcaniano rilevò i dati con una certa difficoltà. – Non è tessuto umano, signore, somiglia di più alla struttura cellulare che usiamo per rivestire le ferite, anche se naturalmente è migliore. – Signor Spock! – Kirk si alzò in piedi. – Voglio un giudizio esatto! – È senza dubbio un congegno meccanico. I suoi tessuti ricordano la struttura cellulare di base delle piante locali... degli alberi e perfino dell'erba. Kirk fissò ancora il primo ufficiale. – State suggerendo che questa è una pianta, Spock? Il vulcaniano mostrò un'estrema perplessità, accigliandosi leggermente. – Sto dicendo che tutte queste cose sono agglomerati multi-cellulari: le piante, le persone, gli animali... sono fabbricati senz'altro da qualcuno. – Da chi? E perché? – domandò Kirk. – E in base a quale criterio selettivo? Spock scosse il capo. – Tutto quello che sappiamo è che si comportano esattamente come i loro corrispondenti reali: possono essere altrettanto piacevoli... o altrettanto letali. Esteban Rodriguez non aveva ancora avuto modo di riferire il suo incontro con la tigre del Bengala, che era balzata fuori dalle rocce e gli aveva ringhiato contro. Era riuscito ad allontanarsi, e ora stava parlando ad Angela Teller di questo e di altre cose, mentre si dirigevano verso la radura. Udirono un ronzio e si guardarono intorno, volgendo infine lo sguardo al cielo. In alto, un Sopwith Camel cabrò e scese di quota. – Cos'è quello? – Con tutte le assurdità... Ricordi che poco fa ti stavo raccontando dei primi scontri aerei e dei buffi piccoli veicoli che venivano impiegati? – Angela annuì, osservando il cielo. – Bene, quello è uno di essi. L'aereo eseguì una virata e passò sulle loro teste. Angela lo adocchiò dubbiosa. – Può farci del male?
– No, se non scende in picchiata. – Rodriguez era piuttosto compiaciuto: non avrebbe potuto sperare in una migliore opportunità per esibire le sue particolari cognizioni, e non si era certo aspettato di veder volare davvero uno di quegli aeroplani! – In cosa? – Si accorse di aver fatto colpo su Angela. – È il modo in cui attaccavano le persone che si trovavano a terra – spiegò, con disinvoltura. I motori del biplano ruggirono, poi esso cabrò e puntò verso di loro, scendendo in picchiata. Lo scoppiettìo della mitragliatrice parve lacerare l'aria. – Santa Maria! – Rodriguez trascinò la ragazza verso un riparo tra le rocce, ma lei si accasciò mentre l'apparecchio si allontanava. – Angela! – La sollevò, ma la testa le dondolò di lato con una passività innaturale, e il suo peso gravò come morto fra le braccia di Rodriguez. Kirk e Spock stavano osservando l'aereo, visibile in lontananza, quando Sulu li chiamò. I corpi di McCoy e del Cavaliere Nero erano svaniti. – Guardate – disse Sulu. – Sono stati trascinati via. Erano bloccati dentro a un incubo. – Signor Spock! – esclamò Kirk, quasi disperato. Il vulcaniano parve a disagio. – A questo punto, capitano, la mia analisi potrebbe non sembrare molto scientifica. – La morte di McCoy è un dato scientifico. – Era l'unica, innegabile realtà. – Esiste una tenue possibilità. È molto improbabile, ma... capitano, quali erano i vostri pensieri prima che incontraste le persone in cui vi siete imbattuto? Kirk cercò di ricordare. – Stavo pensando a... all'Accademia. – Ehi, Jimmy! Finnegan era di nuovo là, appoggiato con indolenza a un albero, dall'altra parte della radura. – Vedo che hai dovuto chiamare rinforzi – lo beffò. – Io ti sto ancora aspettando, Jimmy! Forse. – Finnegan! Cosa sta succedendo ai miei uomini? In carattere con il suo personaggio, il cadetto si limitò a ridacchiare e a indietreggiare fra le piante. La sua risata beffarda fluttuò fino a Kirk, che serrò i denti. – Prendete con voi il signor Sulu e cercate il corpo di McCoy.
Quell'uomo è un mio problema. – Si avviò attraverso la radura. – Capitano... – cominciò Spock. – È un ordine, signor Spock! – Kirk si lanciò fra gli alberi, sulla scia di Finnegan. La risata si diffondeva per la foresta, e Kirk cercò di seguirla; essa veniva però da direzioni sempre diverse, ora da destra, ora da sinistra, ora da un punto davanti a lui. – Da questa parte, Jimmy, da bravo ragazzo! Aggirò un gruppo di piante e si venne a trovare sul nudo pendio di una collina rocciosa. Qui non cresceva erba, il luogo era selvaggio e deserto... tranne che per la voce piena di scherno. – Le tue vecchie gambe stanno cedendo, Jimmy? Ah-ah-eehee-heeh! – Il suono proveniva da dietro le sue spalle. Kirk si girò di scattò, e la risata giunse allora dall'alto. – Proprio come una volta, Jimmy, ricordi? Non vedevi mai a un palmo dal tuo naso! Kirk serrò i pugni. Avrebbe pareggiato i conti con Finnegan, anche se quella fosse stata la sua ultima azione. Finnegan lo chiamò, da uno sperone di roccia posto sulla destra. – Sono qui, Jimmy! – Finnegan! Voglio delle risposte! – Vieni a prenderle! Ah-ah-eeh! – Kirk inseguì quella voce elusiva fino a ribollire di rabbia; poi Finnegan indugiò su una roccia sovrastante abbastanza a lungo da permettere a Kirk di cominciare ad arrampicarsi. Con la scioltezza che nasce dalla pratica, Finnegan si lanciò su di lui con un balzo violento. Caddero entrambi su un tratto di terreno piatto, e Kirk avvertì una fugace soddisfazione... finalmente erano venuti a uno scontro diretto. Finnegan non aveva mai perduto un combattimento, lo si capiva dalla sua sicurezza e dalla sua abilità, e Kirk incassò un colpo dopo l'altro senza riuscire ad assestare un solo pugno. E per di più aveva il fiato corto per l'inseguimento. Finnegan si alzò in piedi e abbassò lo sguardo su di lui. – Tirati su. Combatti sempre lealmente, vero? Da ufficiale e gentiluomo, vero? Il vantaggio è mio, razza di stupido. – La voce del cadetto echeggiò, carica di gioia trionfante. – Io ho ancora vent'anni mentre tu... guardati! Sei un vecchio! Kirk scattò in piedi e sferrò un pugno. Per schivarlo, Finnegan scivolò e cadde malamente; Kirk si concesse un momento per assaporare quella vittoria.
Il cadetto gemette. – Non posso muovere le gambe! Ohh. Ho la schiena rotta. Mi hai rotto la schiena... Ohhh! Ufficiale e Gentiluomo. Kirk s'inginocchiò e raddrizzò con precauzione la gamba della sua vittima, tastando il muscolo. Finnegan si lamentò e scosse il capo, come intontito, mentre Kirk gli si accostava di più e tastava ancora. – Riesci a sentire qualcosa? E si ritrovò lungo e disteso quando le mani congiunte di Finnegan gli piombarono con violenza sulla nuca; il cadetto balzò in piedi, ridendo. – E tu riesci a sentire questo? – lo beffò. – Sogni d'oro, Jimmy. Dormi quanto vuoi. Dormi per sempre, Jimmy, per sempre... Kirk non era nella situazione adatta per apprezzare quell'ironica ninnananna. Immagini indistinte gli ondeggiavano davanti agli occhi, il naso gli doleva e aveva la nuca appoggiata su un ciottolo appuntito. Finnegan si erse su di lui contro lo sfondo del cielo, con le mani sui fianchi, scuotendo tristemente il capo. – Non imparerai mai, Jimmy? Non sei mai riuscito a battermi! Faticosamente, Kirk si puntellò su un gomito e sputò sangue, sternutendo. – Una cosa, Finnegan. – Certo, parla pure – fu la magnanima concessione. – Risposte! Avrebbe dovuto immaginare che era inutile. – Guadagnatele! Kirk si alzò debolmente in piedi, e Finnegan lo atterrò ancora. Rimase disteso per un intero minuto. Quella storia era andata troppo oltre: in modo onesto o meno, quel bullo prepotente avrebbe avuto una lezione. Rotolò su se stesso e, facendo appello a tutto il suo addestramento nel corpo a corpo, si alzò con lo stesso movimento. Finnegan gli fece cenno di venire avanti, mantenendo una posa difensiva, "...spazzargli quel sogghigno dalla faccia", pensò Kirk, scattando in avanti e piazzando un colpo schiacciante. Finnegan barcollò, si riprese e sferrò il contrattacco. Parvero trascorrere ore di dolorosi impatti contro costole, mascella e braccia; divenne sempre più faticoso sollevare le mani, sempre più difficile espellere l'aria che entrava nei polmoni con facilità sempre minore. Alla fine, Kirk colpì Finnegan allo sterno con tutte le energie che gli rimanevano e il cadetto cadde a terra, restando immobile. Kirk si appoggiò a una roccia e cercò di respirare: e pensare che prima aveva creduto di essere esausto! Non osava chiudere le palpebre neppure per allontanare il sudore dagli occhi, nel timore che l'altro stesse fingendo ancora, e non riusciva più a sollevare le braccia.
Finnegan si riprese a poco a poco. – Non c'è male – ammise, con riluttanza. – Già. – Questo... pareggia un po' le cose, eh, Jim? Kirk si leccò il sangue da un labbro. – Un sacco di cose. – Anche se aveva un occhio nero. – Ora dimmi, che sta succedendo ai miei uomini? Il cadetto ridacchiò, con un tocco dell'antica arroganza. – Non rispondo alle domande dei plebei. – Non sono un plebeo. Questo è oggi, e sono passati quindici anni. Cosa ci fai qui? Ci fu una pausa, durante la quale si squadrarono a vicenda. – Sono qui per essere esattamente quello che tu ti aspetti che io sia, Jimmy! – gridò Finnegan, scagliando una manciata di polvere negli occhi di Kirk e alzandosi in piedi; il capitano perse l'equilibrio, ma piazzò lo stesso un energico pugno contro il plesso solare dell'avversario, prima che questi gli fosse addosso. Anche se barcollavano per la stanchezza come un paio di ubriachi, nessuno dei due voleva cedere. Comunque, Finnegan non rideva più e aveva cominciato a schivare i pugni di Kirk. "Ha solo vent'anni ed è senza fiato", pensò questi, "più di quanto lo sia io!" Evitò un diretto e afferrò Finnegan per la tunica, piantando il pugno contro la faccia malconcia del bullo, con un ultimo, esplosivo grugnito. E questo segnò la fine della lotta. Finnegan era fuori gioco e Kirk, con il fiato corto, ammaccato e sanguinante, ebbe voglia di cantare per la gioia. Dopo tutti quegli anni... Mentre un sorriso gli stendeva dolorosamente il labbro spaccato, sentì la voce di Spock. – Vi siete divertito, capitano? – Sì – ansimò Kirk, gongolante. – Mi sono divertito. Per quasi metà della mia vita, l'unica cosa che ho veramente desiderato è stata quella di dare una lezione a Finnegan. Spock inarcò il sopracciglio destro. – Questo conferma la teoria che ho formulato... – E cioè che incontriamo le persone o le cose a cui ci capita di pensare. – In qualche modo – annuì Spock – i nostri pensieri vengono letti, poi l'oggetto viene rapidamente costruito e fornito al destinatario. – Quindi la situazione diventa pericolosa se per caso pensiamo a... – Kirk si affrettò a interrompersi. – Dobbiamo controllare i nostri pensieri con estrema cura. – Ovviamente, per Spock non sarebbe stato difficile.
Kirk cercò di non pensare a... no! Oppure... no, neppure a quello! – Il campo di energia da noi individuato si trova indubbiamente nel sottosuolo, dove si fabbricano questi oggetti, convogliati poi sulla superficie per mezzo di vari passaggi. Per esempio, quando Rodriguez ha pensato a una tigre... – Neppure Spock era infallibile, a quanto sembrava. Si udì un ruggito ringhiante e la testa splendida di una tigre del Bengala sbirciò da sopra le rocce, prima di oltrepassare il costone e scomparire fra i cespugli... diretta verso di loro. Senza muoversi, Kirk scrutò i cespugli. – Dobbiamo tornare dagli altri e avvertirli. – Sì – mormorò Spock, altrettanto immobile. – Dobbiamo andarcene da qui. – Immediatamente, capitano. Si guardarono in tralice. – Andate voi per primo, Spock. Io cercherò di distrarla. – Non ve lo posso permettere, signore. La distrarrò io. – La tigre attese con impazienza che fossero loro a fare la prima mossa, poi si accoccolò per terra e cominciò a leccarsi le zampe. – Potremmo cercare di muoverci con estrema lentezza. Con la massima cautela, Kirk spostò un piede, osservato con interesse dal felino, poi appoggiò il peso del corpo sulla gamba e conquistò un passo. Spock gli sgusciò accanto mentre aggiravano la roccia, e si misero a correre con quanto fiato avevano. Dietro di loro, la tigre si disattivò. Rodriguez sbucò dai cespugli, intercettandoli. – Angela! L'aereo... – Come se avesse ricevuto l'imbeccata, il Sopwith Camel apparve su di loro, in picchiata, e Kirk si gettò al suolo insieme ai suoi uomini nel momento in cui le pallottole di mitragliatrice calibro 50 bucherellavano il sentiero, accanto a loro. – Evitate di pensarci! – ordinò Kirk. – Nella radura, presto! – Hai! – Il guerriero giapponese con la complessa e pesante armatura agitò la spada davanti ai tre. – Ahh-HOU! – Ma il samurai era impacciato dalla corazza e lo schivarono con facilità. Quando giunsero al punto d'incontro, videro che il sottufficiale Barrows era di nuovo in difficoltà. Sulu stava lottando con il barbuto Don Giovanni dal mantello nero e la ragazza si stringeva davanti al corpo la tunica lacera: a quanto pareva, era stata aggredita mentre si stava togliendo l'abito da principessa. Ma Don Giovanni svanì non appena Kirk e Spock corsero verso di loro.
– Sulu, Rodriguez, Barrows, fronte al centro! – ordinò Kirk, secco. – Signore... – Non fate domande. È un ordine! – Si disposero di fronte a lui, mentre Tonia s'infilava l'uniforme. – Ora ascoltate bene: guardate davanti a voi, non parlate, non respirate, non pensate. Siete sull'attenti e vi dovete concentrare su questo e solo su questo. Avanti! I tre membri dell'equipaggio, obbedienti, si sforzarono di non pensare. Ad un gesto di Spock, Kirk si girò e scorse una nuova apparizione, un anziano e cortese gentiluomo che gli sorrideva. – Chi siete? – A chi appartenevano i pensieri erranti che avevano fatto apparire quel vecchio? – Io sono il Custode di questo pianeta, capitano Kirk. – Mi conoscete? – Naturalmente. – L'anziano sconosciuto indicò con il capo gli altri, che lo fissavano sconcertati. – E il tenente Rodriguez, il tenente Sulu, il sottufficiale Barrows... e il Signor Spock. Fino ad allora, i pericoli di quel luogo non si erano mai presentati in veste di agnelli, erano sempre stati minacce evidenti. Forse... – Mi ero soffermato a controllare le scorte di energia, e mi sono accorto solo adesso che avevamo ospiti che non capivano tutto ciò. Le esperienze che avete fatto erano state progettate per divertirvi. Kirk rimase sconcertato. – Per divertirci! È così che definite quello che abbiamo passato? Il vecchio scoppiò in una tranquilla risata. – Oh, nulla di tutto questo è permanente. – Indicò la radura circostante, la foresta, i prati. – Qui dovete semplicemente formulare i vostri più sentiti desideri... antiche esperienze che desiderate rivivere, altre che volete provare, battaglie, paure, amori, trionfi. Qui può essere realizzata qualsiasi cosa a voi piaccia. – Il termine esatto – specificò Spock, attingendo all'enciclopedia inserita nel suo cervello – è "parco dei divertimenti". – Ma certo. – Il Custode parlò come se si trattasse di un'affermazione ovvia. – È un vecchio termine terrestre che indicava un luogo dove la gente poteva andare a vedere ogni sorta di spettacoli avvincenti e fantastici. – Questo pianeta è stato costruito per la nostra razza, capitano. Noi veniamo qui per giocare. Sulu era perplesso. – Per giocare? Siete tanto progrediti e giocate ancora?
Il Custode gli rivolse un'occhiata di compatimento e Kirk segnalò al tenente di tacere. – Per giocare, signor Sulu. Quanto più una mente è complessa, tanto maggiore è il suo bisogno della semplicità del gioco. Il vecchio gli rivolse un raggiante sorriso di approvazione. – Esatto, capitano. Siete molto percettivo. "Mi rincresce che le vostre apparecchiature siano state inavvertitamente disturbate. Il sistema richiedeva una leggera regolazione... stava prelevando energia dalla più vicina fonte disponibile, ma credo che ora scoprirete che tutto è in ordine." Ma non era stato tutto un gioco. La lotta contro Finnegan era stata molto soddisfacente; la tigre, a conti fatti, non aveva aggredito nessuno; e la virtù di Tonia era ancora intatta. Però... – Nulla di tutto questo spiega la morte del dottore di bordo – dichiarò Kirk. Il "parco dei divertimenti" di una razza progredita si era trasformato in una macchina di morte per un popolo più giovane. Il volto del Custode era gentile, le sue parole tendevano a rassicurare, ma forse i giocattoli di quella razza erano troppo pericolosi. – Forse perché non sono morto, Jim – dichiarò la voce di McCoy, alle sue spalle. Il sottufficiale Barrows impallidì, poi assunse un'espressione di gioia raggiante. McCoy entrò nella radura, perfettamente sano e con due giovani donne vestite di piume, una per ciascun braccio. – Mi hanno portato sotto la superficie – spiegò, lanciando un'occhiata al proprio torace – per qualche... rimarchevole... riparazione. È stupefacente! Là sotto c'è un complesso industriale come non ne ho mai visti. Possono costruire qualsiasi cosa, all'istante! Tonia era corsa da lui e lo stava fissando come se non riuscisse a credere ai suoi occhi. Gli sfiorò il petto, lacero e sanguinante l'ultima volta che aveva visto il dottore, poi si accorse di un'ostruzione e realizzò solo allora che McCoy non era solo. Questo le fece ritrovare la lingua. – E come spiegate loro due? – Ecco... – McCoy guardò con affetto le due bellezze nude, voluttuose e disponibili che aveva sotto braccio. – Stavo pensando a un piccolo cabaret che conosco, su Rigel II. Nel balletto c'erano queste due ragazze che io... ecco... Tonia lo fissò. – Dopo tutto, sono in licenza – si difese lui. – Anch'io – ribatté Tonia, minacciosa. – ... Anche voi. – McCoy avrebbe voluto scomparire. Il sottufficiale Barrows attese.
Rassegnandosi all'inevitabile, non privo di attrattive, il dottore congedò le sue compagne. – Bene, ragazze, sono certo che riuscirete a trovare qualcun altro. Le spogliarelliste gli rivolsero un allegro sorriso di saluto e si spostarono. La rossa si strinse contro Sulu, con evidente soddisfazione del tenente, ma Spock non parve gratificato dalla presenza della bionda che gli si accostò. Cercò di evitarla con cortesia, ma invano: lei riuscì a insinuarsi sotto la sua guardia e ad avvicinarsi in maniera allarmante. – E... Angela? – chiese Rodriguez, in tono molto sommesso. – Esteban! – chiamò la ragazza, uscendo di corsa dai cespugli. – Ti ho cercato dappertutto! – Lui le prese la mano e rimase a fissarla, incredulo. Il Custode sorrise a tutte quelle coppie, perfino all'irrequieto Spock. – Ci rincresce di avervi causato disagi e perplessità. Kirk si era rilassato abbastanza da essere curioso. – Dite che la vostra gente ha costruito tutto questo? Chi siete? Da quale pianeta venite? Il Custode scosse la testa canuta. – La vostra razza non è ancora pronta a comprenderci, capitano Kirk. – Sono d'accordo – convenne Spock, che cercava ancora di liberarsi con tatto della ragazza da cabaret. Il comunicatore trillò. – Qui il ponte, capitano. I sistemi hanno riacquistato energia. Avete bisogno di assistenza? – È tutto a posto, Uhura. Rimanete in attesa. – Ora sembrava davvero che ogni cosa fosse in ordine, ma... – Usando adeguate precauzioni, il nostro pianeta dei divertimenti potrebbe essere un luogo di distrazione ideale per la vostra gente, se volete – propose il Custode. – Il che è quello che il dottore aveva prescritto, Jim – aggiunse McCoy, saldamente attaccato al sottufficiale Barrows. – Molto bene... Ponte! Vi invierò un breve rapporto informativo. Non appena tutto il personale lo avrà ascoltato, potrete cominciare il trasferimento dei gruppi, per la franchigia. E avvertiteli di prepararsi alla migliore licenza di sbarco che abbiano mai avuto! Mentre Kirk chiudeva il comunicatore, il Signor Spock gli si avvicinò, ancora circondato da piume rosa e gambe nude. – Io tornerò a bordo, capitano. Con tutto il dovuto rispetto per questa giovane signora, ho già avuto una licenza più che sufficiente. Ammettendo la propria sconfitta, la ragazza andò a raggiungere la sua compagna, il che non parve dispiacere a Sulu. – No, Spock, andrò io. Voi...
Ruth sbucò dalla foresta e protese una mano verso di lui, sorridendo. – Ripensandoci, forse mi fermerò per un giorno o due... – disse il capitano, abbandonando il primo ufficiale a se stesso. Al loro rientro, Spock li salutò, impassibile come sempre, e scosse il capo nel notare le loro facce abbronzate. – Avete goduto della vostra licenza, signori? Lo sguardo di Kirk incontrò quello divertito di McCoy. – Proprio, signor Spock. Proprio! Il Vulcaniano li fissò, perplesso, perché sembravano oltremodo soddisfatti. Poi scrollò le spalle. – Estremamente illogico – dichiarò, in tono conclusivo. L'Enterprise partì a velocità di curvatura uno, fra le risate del capitano e del dottore.