STUDI P U B B L I C A T I D A L L ' I S T I T U T O P E R LA STORIA ANTICA
ITALIANO
FASCICOLO QUINTO
EUGENIO MANNI
PER LA STORIA DEI MUNICIPII FINO ALLA GUERRA SOCIALE
ANGELO EDITORE
SIGNORELLI
— ROMA — 1947
INDICE
PREMESSA METODICA .
. pag.
PARTE I — PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM FINO ALLA GUERRA SOCIALE . . . . 1°
— Municeps e municipium secondo le definizioni delle fonti e la oritica moderna 1. — L'etimologia di municipium 2. — Le fonti antiohe
II« — Le oittà latine
.
1. — La teoria dell'isopolitia . . . 2. — Le teorie del Mommaen e del Belooh 3. — La civitas delle oittà latine .
.
III 0 — Le oittà senza suffragio e le prefetture
9-90
»
11-28
» »
11 18
»
29-56
» » »
29 36 51
»
57-74
.
» ? »
57 62 69
»
75-85
1. — I municipi! della terza oategoria festiana . . 2. — Pro moinicipieis e pro oolonieis. Municipium fundanum
» >
75 78
.
»
86-90
.
»
91-208
1. — La civitas sine suffragio 2. — Campani e Latini 3. — Mnnioipii oon autonomia limitata e prefetture IV* — L'ultimo secolo dalla Repubblica
CONCLUSIONE. — 11 cosiddetto foedus municipale PARTS II — LE MAGISTRATURE MUNICIPALI 1°
»
1-8
— 1 magistrati dei municipii latini
.
.
.
.
.
.
.
1..— Dittatura ed edilità nei mnnioipii latini . 2. — La triplice edilità di Arpinum, Fundi e Formiae Nota sai poteri degli edili nei manici pii anteriori alla guerra sooiale
93-140 » 93 » 123 » 129
Indice
Vili
II 0 — Le magistrature degli altri municipii 1. 2. 3. 4.
— — — —
.
.
.
.
pag. 141-208
I/ottovirato I mnnioipii oon l l v i r i Gli aedilea iuri dioundo di alcune città meridionali La questione dei cosiddetti Illviri aedilea . .
» » » »
141 148 155 159
EXCURSUS I. — L'origine dell'edilità nelle colonie ro mane
»
165
EXCURSUS II. — Il qnattuoivirato e i quattuorviri «nude dirti» EXCURSUS I I I . — II quattnorvirato delle oolonie in Italia
» »
171 201
APPENDICE — L'EDILITÀ IN ROMA . 1. 2. 3. 4.
— — — —
.
.
.
Prime affermazioni della plebe romana L'origine dell'edilità plebea . . . L'origine dell'edilità onrule . . . Le dne edilità fi no a Cesare . . .
.
»
209-260
.
» » » »
211 221 245 249
. .
PEEMESSA METODICA.
Il lavoro che presento consta di due parti distinte: la prima riguarda Io sviluppo del concetto di municipium fino alla guerra sociale, la seconda tocca le principali magistrature municipali di cui ci sia giunta nptizia. Entrambe vengono a fondersi in un tutto di cui costituiscono due aspetti diversi ma non fa cilmente scindibili l'uno dall'altro. J3e, infatti, la seconda parte riguarda l'aspetto del pro blema più comunemente discusso, la prima ne è però il fon damento e la base da cui non si può prescindere senza in correre in giudizi arbitrari e in gravi errori di metodo. Per rendersene conto sarà sufiìciente dare uno sguardo ad alcune delle opere più significative che appunto alle magistrature municipali sono state dedicate nell'ultimo periodo. La prima di queste opere è quella del Eosenberg (1), che, a pagina 3, per esempio, scrive: « Dove l'edile e Polizeiherr », assistente del magistrato supremo, è soprattutto magistrato politico, bisogna dedurne che egli è creato secondo l'esempio romano: soltanto se noi trovassimo in qualche luogo il * Tem pelherr », ciò potrebbe essere utile per la comprensione del l'origine dell'istituzione. Io vorrei porre il seguente postulato per un'edilità di cui la romana potrebbe essere una copia: un comune, nella cui vita un unico determinato tempio e il suo culto abbiano un'importanza dominante, in cui i capi di questo tempio portino il titolo di edili, e in cui essi con temporaneamente rivestano la magistratura comunale. Se fosse possibile constatare l'esistenza di una tale città, allora (1) ROSENBERG A., Der Staat der alten Italiker, Berlin 1913. 1
2
PREMESSA METODICA
la soluzione del problema sarebbe avanzata di un importante passo ». A parte ciò che il Rosenberg dirà in seguito e che ve dremo, è fin troppo evidente che un postulato del genere non è affatto metodico: esso dipende da un altro postulato, precedentemente enunciato dal Rosenberg, e cioè che gli edili portavano questo nome come amministratori dei templi ple bei. Ma entrambi questi postulati restano indimostrabili e, per di più, sono concatenati in base ad un rapporto del tutto soggettivo : una possibile analogia della magistratura romana con una straniera non implica la necessità che quella derivi da questa o viceversa. Soltanto la conoscenza di altri dati — e, se possibile, di date — potrà servire a determinare un rapporto del genere : in mancanza di tali dati una conclu sione qualunque sarà del tutto impossibile. Il Rosenberg, invece, seguitando la sua via, crede di poter affermare : « Ve dremo tosto che questa città esiste, che essa non è troppo lontana da Roma, e che essa è ben nota; ma prima v'è an cora qualcos'altro da sbrigare, e cioè le principali obbiezioni, che il Mommsen ha sollevato contro una deduzione dell'edi lità dal Lazio». Si ricorderà che il Mommsen (1) era dell'opinione che l'edilità non fosse tra le magistrature del periodo delle origini né nel Lazio, né in Roma, poiché « Roma era prima di tutto una città latina» e poiché, non essendo certo originaria l'edilità romana come istituzione plebea, essa « non può esser tale nemmeno nel Lazio ». Il Rosenberg osserva che è certamente esatto l'affermare che l'edilità in Roma è «sekundär», e che anzi essa non costituisce una parte es senziale della costituzione originariamente comune a tutte le città latine: «essa è proprio un prodotto del caso (Zu fallprodukt), che nacque in condizioni d'origine ben deter minate, ma nessuno potrebbe asserire che questa creazione possa aver avuto luogo proprio in Roma; è così molto più verosimile che l'edilità romana sia derivata da una fore stiera» (2). Il Rosenberg ha ragione quando osserva che (1) MOMMSEN T., Eomiaohes Staatsrecht, vol. II«, pag. 474 nota. (2)
ROSENBERG, op.
cit.,
pag.
3.
PREMESSA METODICA
3
l'affermazione del Mommsen è insufficientemente dimostrata, ma ha torto quando sostituisce ä quell'affermazione una pe tizione di principio altrettanto malsicura. In verità vi sono alcuni fatti che potrebbero servire a dimostrarne la tesi: ad esempio quello, importantissimo sebbene anch'esso molto di scusso, che la plebe romana^ in parte almeno forestiera in Borna, può aver portato nella città di cui diviene ospite l'organizzazione comune alle singole città donde proviene : fra queste certamente Tuscolo, che il Rosemberg vorrebbe prendere a modello ; ma il Rosenberg non vi fa caso, anzi non vi accenna neppure. E noi pure rimandiamo per ora la discussione del problema a luogo più opportuno. E così pure rinvieremo la discussione sulla possibilità o meno di identi ficare il praetor di Fundi con il maggiore dei tre edili esi stenti colà come in Formiae ed Arpinum, perchè pensiamo che una soluzione di questo problema non si possa tentare senza i dovuti collegamenti con il complesso della questione. Per ora ci limiteremo ad osservare che per il Rosenberg (1) neppure in quelle tre città è da cercarsi l'origine dell'edilità romana perchè, com'egli' osserva, nelle tre città «volsche» non v'è traccia di una funzione sacrale degli edili: ma anche questa osservazione ha scarso valore, in quanto è fondata non solo ex silentio, ma anche su quel postulato aprioristico, che resta da dimostrare, cui già s'è accennato. Analogamente si potrebbe discutere l'opinione del Rosenberg per altre ma gistrature. Più recentemente ha affrontato il problema dei rapporti fra città e Stato nell'Italia romana Hans Rudolph (2), la cui opera ha smosso nuovamente le acque apparentemente calme, rivolgendosi tuttavia soprattutto, come dice il sottotitolo del suo libro, allo sviluppo delle caratteristiche costituzionali municipali nell'età repubblicana. Ciò non toglie che, pur trattandosi ormai di municipii, il Rudolph debba affrontare di volta in volta i problemi inerenti ai rapporti fra le ma gistrature municipali e le corrispondenti romane, mettendo (1) ID., ibid., pag. 4 eegg. (2) RUDOLPH H., Stadi und Staat im römischen Italien, Leipzig 1935.
4
PREMESSA METODICA
in tal modo in discussione quanto di originale si crede che sia sopravvissuto nei municipii. Egli prende in esame la dit tatura, l'ottovirato, il quattuorvirato dei municipii, e, inoltre, l'organizzazione delle colonie. Se la prima parte del lavoro è, anche per noi, fondamentale, ugualmente, interessante sarà anche Pesame dell'organizzazione delle colonie, poiché — come giustamente osservò il De Sanctis in un suo articolo sull'edi lità — la cronologia di queste potrà suggerire di volta in volta elementi indispensabili per la comprensione dello svi luppo anche della oostituzione romana. Ma intanto noi se guiremo l'introduzione dell'opera per renderci conto dei criteri seguiti dal Eudolph. Criteri di cui egli rivendica l'originalità poiché mette in evidenza (1) l'indipendenza del suo modo di vedere dalle opinioni dominanti, e specialmente da quella del Mommsen, cui egli direttamente si riallaccia. La differenza sta in questo, che il Mommsen ha essenzialmente pensato ad un'origine autonoma del diritto municipale : la « umgestaltete Autonomie » del municipio sarebbe « la parziale conservazione della sovranità di un altro Stato, giuridicamente revocata attraverso l'ingresso di esso nello Stato Romano >, mentre per il Eudolph il municipio è stato sempre in funzione di una decentralizzazione statale. In questo senso egli può porre storicamente sullo stesso piano municipii e colonie. La diffe renza, dirà il Eudolph, seguendo il Weber da lui citato con tro il Mommsen (2i, sta in questo soltanto, che, mentre alla natura del municipio repubblicano appartiene un diritto fon diario soltanto parificato a quello romano, la colonia traeva origine proprio dalla Umitatio o divisione in fundi. Se ciò è esatto dal punto di vista gromatico, non può tuttavia essere preso come base sicura per lo studio della storia delle costi tuzioni municipali. Non è quindi presumibile che sia meto dicamente esatto il partire da una tale concezione. Come, d'altro canto, non sarà sempre possibile, neppure, partire dal punto di vista che tutto ciò che troviamo nei municipii abbia soltanto e sempre origini preromane. Malgrado queste preCi) I D . , ibid., pag. 3, n. 1. (2) I D . , ibid., pag. 176, n. 1.
PREMESSA METODICA
5
messe, il libro del Rudolph resta alla base di ogni ricerca su questi argomenti: noi dovremo tenerne conto ancora e molto sovente, tanto più che l'autore, malgrado la recisa affermazione da noi già confutata, deve ammettere che « i municipii e le colonie durante la Eepubblica sono nettamente distinti riguardo alle costituzioni cittadine loro concesse da Borna» (1). Infatti il Rudolph non può non ricordare e am mettere che solo i municipii hanno conservato, dopo il loro ingresso nello Stato Romano, una propria costituzione co munale (2) ; ma — egli aggiunge — « noi vediamo che in tutti questi casi l'incorporazione di queste città era accom pagnata da un'organizzazione della loro situazione interna, che però non prese nei tempi più antichi una forma costante, ma si differenziava nelle varie epoche > (3) : dittatura, triplice edilità, ottovirato e quattuorvirato. « Lo stato della tradi zione e le particolari condizioni non permettono di trattare nell'insieme lo sviluppo di queste costituzioni, ma esse pos sono essere trattate Puna dopo l'altra nell'ordine cronologico, secondo il tempo della loro genesi, ognuna secondo la pro pria natura e la particolare storia fino al I secolo. Peso particolare sarà sempre dato, corrispondentemente al punto di partenza di queste ricerche, specialmente alla prova del l'origine romana di questi ordinamenti > (4). Ma, intanto, ini ziando lo studio della dittatura, egli deve scrivere che i mu nicipii annessi nel IV secolo «hanno conservato nelle loro costituzioni tracce dell'originaria organizzazione della loro amministrazione autonoma fino a quando, nel tempo più tardo, durarono legalmente come città > (5) : si tratta di Arida, Lanuvium, Nomentum. Caere. Da ciò è tratto a discutere la « cosiddetta dittatura latina». Vedremo poi in che rapporto essa sia col problema che c'interessa. Per ora ci limiteremo a constatare che il pregio maggiore della posizione del Ru(1) (2) (3) (4) (5)
ID., ibid., ID., ibid., I D . , ibid. I D . , ibid., I D . , ibid.,
pag. 5. pag. 6. pag. 6 seg. pag. 7.
6
PREMESSA METODICA
dolph è quello di uscire dal rigido schematismo del Eosenberg, per cui tutto ciò che v'è fuori di Eoma diverso da ciò che per Eoma è ben noto appartiene senz'altro al fondo ori ginario delle costituzioni delle singole città; ma è controbi lanciato dal grave difetto di un opposto schematismo, che non lascia luogo a nulla di non romano. D'altra parte, am mettendo questa capacità organizzativa e innovatrice di Eoma rispetto ai municipii, sorge il problema del perchè Eoma abbia di volta in volta mutato il primitivo criterio : e questo problema, senza risolvere il quale non si può comprendere l'evoluzione e lo svolgimento del sistema organizzativo ro mano, non pare adeguatamente affrontato dal Eudolph, che, comunque, non dà mai una spiegazione soddisfacente. Più elastica, e quindi più aderente al dinamismo storico delle istituzioni in continuo sviluppo, appare l'opera dello Sherwin White (1), cui molte volte dovremo fare riferimento : vedute larghe e felici tentativi di sintesi ne sono la princi pale caratteristica, ma talvolta manca, come del resto anche nel Eudolph, una documentazione adeguata. Malgrado questo difetto il libro resta però indispensabile sia per l'informa zione sui vari problemi, sia per i notevoli contributi che offre alla loro soluzione. Infine, prima di iniziare la nostra ricerca, ricorderemo ancora Topera del Leifer(2), che — studiando con gran cura e profonda conoscenza dei problemi anche linguistici la co stituzione degli Etruschi — tenta di portare un utile contri buto alla serie di problemi con essa collegati, tanto più utile dopo che il Eosenberg aveva intravisto la possibilità di met tere in evidenza quanto di etrusco fosse rimasto in diverse costituzioni italiche. Ma in questo campo, in cui, come è ovvio, non si può giungere a conclusioni particolari sicure, inquantochè non si conosce con assoluta sicurezza il signi ficato dei vocaboli, sarà bene non addentrarsi troppo. Ci limiteremo perciò a mettere in evidenza quanto di sicuro (1) SHERWIN WHITE A. N., The roman citizenship, Oxford 1939. (2) LKIPER F., Studien zum antiken Aemtertoeêen, vol. I, in Kliot Beiheft XXIir, N, F. Heft X, Leipzig 1931.
PREMESSA METODICA
7
parve conquistato alla scienza dal Rosenberg e da coloro che l'hanno seguito sulla sua via, compreso lo stesso Leifer, ri petendo col Fell (1) che « il risultato principale delle ricerche del Rosenberg è di dimostrare che tanto nelle città etrusche quanto nella Lega la carica suprema era affidata ad un solo magistrato, con un assistente subalterno >. Ma sui particolari della questione avremo agio di tornare a suo luogo. Così, conclusa questa rapida rassegna delle posizioni di partenza di taluni studiosi, sarà facile e doveroso trarne al cune conseguenze. Anzitutto in una ricerca come questa bi sogna assolutamente evitare di partire con una base fondata su un concetto aprioristico qualunque, per non correre il rischio di costruire sulla rena: meglio sarebbe, in caso di sperato, giungere alla conclusione che non si può risolvere il problema. Movendo da questo ovvio criterio ho voluto cer care una base che mi permettesse di affrontare la questione con un più solido fondamento. E questo non poteva essere se non un approfondito riesame dei rapporti politici fra Roma e le città latine e non latine, che consentisse di stabilire fino a che punto si possa parlare di autonomia locale e quindi di originalità delle magistrature che noi troviamo fuori di Roma. D'altronde, all'infuori di un valore puramente antiquario, la conoscenza delle magistrature municipali non avrebbe sto ricamente alcun interesse se non appunto in relazione alla possibilità di trarne elementi positivi anche per un giudizio storico valevole sui rapporti che a Roma legarono nei tempi i municipii. Allo studioso di storia romana questo problema appare di grandissimo interesse perchè dalla sua soluzione dipende per molta parte il giudizio che potrà essere dato sulla politica estera ed interna della città dominante. Le pagine che seguono mirano soprattutto a questo scopo ; ma se la prima parte tenterà appunto di chiarire alcune que stioni essenziali della storia del concetto di municipium, la seconda servirà, forse, non tanto a dimostrare l'origine epi ci) FELL R. Â., Sulle ooatituzione degli Etrusohi, in Studi Etruschi 1928, pag. 185 eegg.
8
PREMESSA METODICA
coria di molte magistrature — origine del resto già ammis sibile a priori per chi accetti i risultati della prima parte — quanto invece, e soprattutto, a mettere in evidenza anche alcuni possibili legami originari fra magistrature di luoghi diversi e apparentemente assai dissimili Tuna dall'altra. Naturalmente, non ho inteso scrivere una storia compiuta e completa di ogni magistratura : ho toccato soltanto i punti che mi sono parsi più importanti e, anche per questi, ho dovuto sovente contentarmi di avanzare delle ipotesi. Ho invece aggiunto un'appendice sull'edilità plebea e curule in Eoma : anche se i risultati non ne appariranno in ogni punto definitivi, essa mi è parsa indispensabile considerando la possibilità che ad un certo momento la plebe romana abbia costituito un ente assimilabile per taluni aspetti ad un vero e proprio munidpium. Ma soprattutto la ricerca si rendeva in dispensabile per poter tentare di stabilire, anche in base ad essa, se l'edilità latina fosse o non fosse un'imposizione ro mana, un'imitazione spontanea di un modello romano, o — finalmente — qualcosa di diverso e preesistente alla stessa edilità plebea. Dell'interessante volume di Santo Mazzarino sul tema « Dalla Monarchia allo Stato Eepubblicano > (Oatania 1945) ho potuto prendere visione soltanto quando ormai il mio la voro era pronto per la stampa. Di quel volume interessano particolarmente il nostro argomento le pagine in cui si tratta di talune magistrature municipali — edilità, pretura, ditta tura, ecc. —, ma, poiché la sua impostazione metodica è assai diversa da quella che io ho adottata, non ho creduto necessario ritoccare la mia trattazione e mi sono limitato ad aggiungere in alcune note qualche cenno di rinvio. Ruma
1945
E. M.
PARTE I
P e r la storia del concetto di municipium fino alla guerra sociale
I. MUNICEPS E MUNICIPIUM SECONDO LE DEFINIZIONI DELLE FONTI E LA CRITICA MODERNA
L'ETIMOLOGIA DI MUNIOIPIUM.
Il desiderio di chiarire il significato etimologico e origi nario del termine municipium, evidentemente connesso con municepa, è, senza dubbio, naturale per chi intraprende l'esame storico di questo concetto. E tuttavia esso risulta pressoché inattuabile poiché le fonti antiche, non meno degli autori moderni, sono portate — come sovente avviene in casi ana loghi — a fare un'ammirevole confusione fra il mezzo e il fine e, facilmente attrattevi dall'ambiguità dei termini da esaminare, scambiano volentieri per dimostrato ciò che non è — a ragione veduta — se non un a posteriori molto dub bio, derivante dalla concezione invalsa nell'uso o nata nella mente dell'esegeta in epoca in cui il significato veramente originario del vocabolo che c'interessa era probabilmente di menticato. Per rendersi conto della facilità con cui il vocabolo municepa e il suo derivato municipium possono aver mutato signi ficato secondo i tempi e le circostanze, basterà pensare ai vari e distinti significati che ha avuto a sua volta il termine munua (munia, munera) che ne è alla base. Se si pon niente a ciò, si potrà forse sottoscrivere soltanto in parte l'opinione di quei moderni glottologi che in mu-nas vedono un derivato dal tema *mei- « barattare » (1), ma bisognerà senz'altro rinunciare, 1939, 1910,
(1) ERNOUT A.-MEILLBT A., Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris pag. 643 ; WALDB A., Latein, etymologische Wörterbuoh, 2* ed., Heidelberg pag. 502, s. v. munie.
12
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNIGIPIUM
per opportunità metodica, a scegliere nell'ampia gamma di sfumature che il concetto di « baratto » ha assunto in tutto il mondo indeuropeo. Già gli antichi, infatti, volendo fare questa difficile scelta non erano del tutto concordi fra di loro : possiamo anzi dire che non lo erano affatto. Già soltanto leggendo Festo (1), tro viamo che « municeps est, ut ait Aelius G alius, qui in municipio liber natus est. Item qui ex alio genere hominum munus functus est. Item qui in municipio ex Servitute se liberavit a municipe ». Fin qui dunque è riferito, a quanto pare, il pen siero di Elio Gallo, notevole perchè vi si afferma che è anche municeps chiunque e ex alio genere hominum (potremmo dire suddito o straniero) munus functus est*, e cioè si è sottopo sto a talun munus per Roma. Ma ecco la seconda parte del testo festiano : < At Servius films aiébat initio fuisse qui ea condicione cives Romani Jnissent, ut semper rem publicam separatim a populo Romano haberent , qui aeque < cives Romani erant et in legione merebant, sed dignitat.es non capiebant > ». Non dunque peregrini, ma cives Romani anche se appartenenti ad una diversa res publica. Lasciamo per ora in disparte questa questione : avremo occa sione di riparlarne a suo tempo. A noi importa per ora notare soltanto che sostanzialmente, a parte il problema se si trat tasse di cives Romani o di peregrini, i municipes sono per Servio come per Elio individui ammessi a sostenere tmuneris partem ». Alquanto diverso è invece ciò che ci riferisce Gellio (2) : « Municipes ergo sunt cives Romani ex municipiis, legibus suis et suo iure utentes, muneris tantum cum populo Romano honorari participes, a quo munere capessendo appellati videntur ». Qui il munus non è più il servizio militare o altra prestazione dovuta alla res publica Romana, ma il munus honorarium. Ma ancora Ulpiano (3) osserva che « proprie quidem municipes appéllantur muneris participes, recepii in civitatem ut munera (1) FEST., S. V. Municeps, pag. 126 L. (2) GKLL., N. A. XVI 13, 6 eegg.
(3) Dig. h 1, 1.
MUNÌGEPS E MUNICIPÏUM
13
nóbiscum facerent » ; mentre da Paolo il giurista (1) apprendia mo « municipes dici, quod numera civilia copiant », e ancora Isi doro (2) ripete press'a poco la stessa cosa affermando che « municipes sunt in eodem municipio nati, ab officio munernm dicti, eo quod publica munia accipiant. Munia enim officia sunt. TJnde et immunes dicuntur, qui milium gerunt officium ». Lo stesso concetto è ribadito dallo stesso autore in altri luoghi : € dictus autem princeps a capiendi significatane, quod primus capiat, sicut municeps ab eo quod munia capiat* (3) e, a propo sito di municipium, « municipium est, quo manente statu, ius aliquod minoris aut maioris officii a principe impetrat. Dictum autem municipium a muniis, id est officiis, quod tantum munia, id est tributa debita vel munera, reddant > (4). Ma c'è di più perchè, come appare ovvio, sullo stesso si gnificato di munus gli autori antichi non sono concordi. Su di esso già Varrone osservava che è e munus quod mutuo animo qui sunt dant officii causa » (5) ; ma se si avvicinava qui sensibilmente al concetto che di munus si sono fatti gli eti mologi moderni — il concetto già ricordato del « baratto » —, quando poi voleva, subito dopo, specificare un altro significato di munus, scriveva essere questo « quod muniendi causa imperatum » e a questo secondo significato collegava l'etimologia di municeps : da questo munus avrebbero preso nome i municipes poiché « una munus fungi debent » (6). E Paolo (7) distingueva di munus ben tre significati : « uno donum altero onus tertio officium, linde munera militarla et qnosdam milites muniflcos vocari». A quest'ultimo si collega, come già abbiamo visto, il significato di municeps : « igitur municipes dici, quod munera civilia capiant >. Non merita particolare attenzione Isidoro, che molto sem-
(1) Dig. L 16, 18. (2) ISID. IX
4,
21.
(3) ID., IX 3, 21. (4) ID., XV 2, 10. (5) VARR., de l. I. V
(6) ID., ibid. (7) Dig. L 16, 18.
179.
14
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
plicisticamente deriva munus da manus : « munera autem vo~ cantur quia manibus vel accipiuntur vel dantur» (1). Comunque, anche ammettendo che munus andasse sempre inteso in un solo modo piuttosto che in un dato altro, reste rebbe ancora assai dubbio che cosa significhi il secondo mem bro componente il termine municeps. A prima vista esso ap pare un derivato di capio, talché municeps dovrebbe signifi care colui « qui munera capit » ; ma possiamo noi afiermare che « munera capere > o — come vorrebbero taluni antichi — € munera capessere » (2) significhi t ricevere incombenze » e non piuttosto « ricever doni » o « ricevere compensi » Î E « munus fungi > è forse lo stesso che « munus capere » ? Su tutto ciò già gli scrittori moderni hanno ripreso la discussione dagli antichi tentando di darle una base scientifica più sicura, ma — a mio parere — non vi sono riusciti. Sarà tuttavia utile riepilogare rapidamente i loro risultati. Vediamo dunque anzitutto quale sia la base etimologica da essi accolta. Il dizionario etimologico Eroout-Meillet sceglie l'interpre tazione « qui capit munera » e traduce < celui qui prend part aux charges > (3), ricollegandosi alla più comune opinione. Zöller, Mommsen, De Sanctis, Piganiol, Kornemann — per non citare qui che alcuni —- ammettono infatti che municeps sia colui che « capit munera », ed interpretano l'espressione nel senso che municeps è colui che ai munera, cioè ai doveri, si sottopone (4). Press'a poco la stessa cosa dice il Toutain (5), e, da ultimo, il Bernardi che giunge ad identificare la figura del municipe con quella del civis (6). Ancora analoga è la po ti) ISID., VI 9,
27.
(2) Cfr. GELL., loc. oit. ; il quale però iutende qui munus come a munus honorarium ». (S) ERNOUT-MEIIXET, loc.
cit.
(4) ZÖLLKR M., Rom. Staats-und Rechtsaltertümer, BreBlau 1885, pag. 412 ; MOMMSEN T., Rom. Staatsrecht, III 1 (J887), pag. 231; D B SANCTIS G., Storia dei Romani, II (1907), pag. 434 e n . 2; PIGANIOL A., La conquête romaine, Paris 1930 (2* ed.), pag. 173; KORNBMANN E., Municipium, in P. W., XVI (1933) 573. (5) TOUTAIN J., Municipium, in DARKNBERG-SAGLIO-POTTIER, III (1904)
pag. 2023. (6) BERNARDI A., I cives sine suffragio, in Athenaeum 1938, pag. 240,
MÜNICEPS Ê MUNÎCIPIUM
15
sizione dell'Arangio Euiz, che spiega municipium da « munera capere*, cioè dal fatto che a tali comunità erano imposti da Roma certi servizi e prestazioni (1). Altro significato ha il nostro vocabolo per il Eudoro — e, dopo di lui, per Lange, Willems, Marquardt, Kariowa, Binder, Kubier, De Francisci — indicando invece « colui che riceve il dono ospitale » (2). La tesi sostenuta dal Eudoro parve per un certo periodo di tempo assolutamente inattaccabile. Nel 1880 il Willems poteva scrivere che la sua etimologia era allora « generalmente adottata» e aggiungeva: < Il arrivait que le Sénat Romain accordait à un étranger, voir même à une cité entière, le jus hospitii publici à Ko ine comme une récompense spéciale pour des services rendus » e in una nota, seguendo appunto Tetimologia del Eudorff e tentando di controbattere la tesi del Mommsen, scriveva, a proposito di munera dati all'ospite in seguito alla concessione deWhospitium publicum : « de là municepSj primitivement synonyme de hospes » (3). Il Karlowa poi (4) affermava nel 1885, citando Pesto, che i cittadini di talune città italiche allora indipendenti, quando abitassero a Borna non divenivano cives Romani, ma condivi devano coi cittadini Romani munera e diritti ad eccezione del (1) ARANGIO RUTZ V., Storia del diritto Romano, Napoli 1937, pag. 107. (2) RUDORFF A. F., in Berliner Lektiomkatalog, 1848-49 ; LANGE L., Rom. Alterthümer, I s (1876), pag. 468; WILLEMS P., Le droit public romain, Louvain 1880, pag. 364, n. 1 ; MARQUARDT J., Rom. Staatsverwaltung, I 2 (1881), pag. 2 6 ; KARLOWA O., Rom. Rechtsgeschiohte, I, Leipzig 1885, pag. 296 ; BINDER J., Die
Plebe, Leipzig 1909, pag. 339 ; KÜBLER B., Gesoh. d. rò'm. Rechts, Leipzig 1925, pag. 117 ; D E FRANCISCI P., Storia del diritto Romano, II (1938), pag. 22. Qnest'altinio autore oita in proposito anche BELOCH (Der ital. Bund, pag. 87 segg., 117 seg.) e BONFANTE (Storia del diritto Romano, I 3 242 segg. [ = I 4 240 segg.]) ; ina per costoro il rapporto federale assume un significato ohe va nettamente distinto da quello degli autori snelenoati. La tesi del Belooh, oui il Bonfante si riallaccia, Bara disoassa infra. Il Bonfante si stacca in parte dal Beloch quando pensa ad un municipium plebeo poi assorbito nella Civita» di Roma. Sa ciò ofr. infra, pag. 34 segg. e pag. 213 seg. (3) WILLEMS, loo. oit. Si veda ibid.y pag. 381, n. 9 una breve polemica oontro il Mommsen sul diritto di hospitium. (4) KARLOWA, op. oit., I 295 seg.
16
PEU LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICtPIUM
ius suffragii e del itts honorum, cosicché questa classe di in dividui prendeva nome di municipes. E spiegava che questo concetto poteva porsi in rapporto col fatto che quelle città avevano allora verosimilmente lo hospitiumpublicum con Koma, mentre poi il vocabolo mutò significato quando le stesse città ebbero conseguito la cittadinanza romana. Così il Binder, scrivendo nel 1909 (1), riteneva certo che il termine municipium sia più antico del 338 e indichi in ori gine un comune indipendente, legato ad un altro da un « Gast- und Freundschaftvertrag ». Si faceva però sentire sempre maggiormente l'idea del Monimseo, che era giunto a formulare una netta negazione della concezione del Eudoro : « colui che ha il diritto di rice vere i doni dell'ospitalità non partecipa ai munta della città, dai quali bisogna invece partire sachlich wie sprachlich, e non è mai chiamato municeps » (2). Vero è che il Binder, come altri, dava poco peso a questa affermazione, osservando che ciò non prova nulla; ma la tesi del Eudoro era ormai destinata a trovar fortuna durevole solo presso taluni giuristi come il Bonfante — cbe aveva avuto modo di concretare il suo pensiero già da taluni anni, nel periodo appunto in cui, eccetto che dal Mommsen, la tesi del Eudoro* pareva comu nemente accettata (3) —, il De Francisci (4) — che ricalca sovente le orme dello stesso Bonfante —, e il Kiibler — che in verità non dedica troppo spazio alla questione (5). Quest'ultimo osserva soltanto che -ceps, secondo membro dei composto municeps, esclude l'interpretazione di coloro che intendono municeps da «munus facere», poiché in tal caso do vremmo avere munifex e non municeps. L'osservazione è senza dubbio degna di attenta considerazione, anche se già molti anni fa il Niebuhr credeva di averne sgombrato il terreno, affermando che e der Schein dass die endende Svlbe von ei(1)
BINDER, op.
(2)
MOMMSEN, op. cit.,
oit.,
pag. Ill
339. 1, pag.
(4) DB FRANCISCI, op. oit.
231,
n.
1.
(3) BOKFANTE, op. oit. La prima edizione è del 1902. (5) KÜBLBR, op. citr
MUNICEPS E MUNICIPIUM
17
nem Verbuin entlehnt sey, trügt ; es ist eben gar nichts als eine von jenen vielfachen Endungen womit die lateinische Sprache wuchert > (1). Alla tesi del Rudorff si venne dunque sostituendo la tesi del Mommsen, che si fondò sull'osservazione già riferita, in opposizione al Rudorff, e affermò senz'altro che municeps è chi, non essendo cittadino, è sottoposto ad alcune prestazioni obbligatorie (2). Analogamente scrisse il De Sanctis che « municipe è in senso proprio chiunque è obbligato ai doveri (roienia) del cittadino » (3). Era stata del resto già l'opinione di coloro che avevano creduto di poter accogliere la definizione più comunemente data dagli antichi, come lo Zöller (4) e come, molto più recentemente, avrebbe ammesso il Kornemann (5). Ma se, fondamentalmente almeno, pare che l'accordo sia raggiunto nel definire municeps nel senso più antico chi è sot toposto ai munta cittadini, variano di molto le singole inter pretazioni di questa posizione giuridica non del tutto chiara. Talune di esse, tuttavia, potranno essere lasciate in disparte senza tema di errore, come quella dello stesso Zöller già ricor dato, che connetteva la condizione dei municipes alla loro ori gine di dediticii (6). Ad essa si contrappone all'altro estremo, l'ipotesi del Bernardi, che è incline ad identificare senz'altro municeps e civis (7) ; non si capirebbe la necessità del doppione se una reale differenza fra i due vocaboli non esistesse. Importa invece seguire più da vicino lo sviluppo delle tesi intermedie: prima fra tutte quella del Mommsen, che identi ficava nei più antichi municipes i Latini residenti in Roma e dotati del ius suffraga pur senza essere cives Bomani (8). Ma per far ciò diviene indispensabile allargare il nostro esame ad un altro punto non meno interessante : la storia — o cro ci) NIBBUHR B., Rom. Gesohichte, II» 57 {= II 1 62), n. 7.
(3) DE SANCTIS, loo. oit.
(2) MOMMSEN, op. cit., I l i 1, pag. 232 seg.
(4) ZÖLLER, loo. oit. (anno 1885), (5) KORNEMANN, loo. oit. (6) ZÖLLER, loo. oit. (7) BERNARDI, loo. oit. (8) MOMMSEN, op. cit., I l l 1, pag. 644, n, 1.
18
ÊER LA S T O M A DEL CONCETTO DI MUNICIPIUBÌ
naca — delle varie interpretazioni moderne delle fonti a di sposizione. Tanto più perchè si tratta ormai di tentar di com prendere — indipendentemente dal significato originario del termine municeps — che cosa in realtà siano stati i municipes più antichi di cui si possa andare in traccia. LE FONTI ANTICHE.
Le fonti antiche che più comunemente vengono prese in esame per ricostruire la storia del concetto di municipium sono Festo — e il suo epitomatore Paolo — e, in secondo luogo, Gellio (1). Anche qui si va da un estremo all'altro, da chi nega asso lutamente fede all'uno o all'altro o a tutti e due gli autori, a chi invece li considera, singolarmente o nel loro insieme, de gni di rimanere alla base di qualunque ricostruzione moderna. Come suonassero alcuni dei passi in questione abbiamo già detto al principio di queste note. Conviene aggiungere qui il testo della voce Municipium di Festo-Paolo : e Municipium id genus hominum dicitur, qui cum Romani venissent, neque cives Romani essent, participes tarnen fuerunt omnium rerum ad munus jungendum una cum Romanis civilus, praeterquam de suffragio ferendo aut magistratu capiendo ; sicut fuerunt Fundani, Formiani, Cumani, Acerrani, Lanuvini, Tusculani, qui post aliquot annos cives Romani effecti sunt. Alio modo, cum id genus hominum definitur, quorum civitas universa in civitatem Romanam venit, ut Aricini, Caerites, Anagnini. 1 ertio cum id genus hominum definitur, etc. » (pa gina 155 L.). La cosiddetta prima classe di Festo-Paolo parrebbe com prendere « Binzelmunicipes > di antiche città latine e di città nella stessa condizione di queste, i cui cittadini post aliquot annos cives Romani effecti sunt. Così almeno intende il Kornemann, che si appoggia al Rubino e al Gradenwitz (2). Ma (1) FESTUS, B. v. Municeps, pag. 126 L., riassunto da PAUL., pag. 117 L. ; PAUL. DIAC, B. V. Municipium, pag.
155 L. ; GELL., N.
A. XVI
13.
(2) KORNEMANN, ìoo. cit., 573, che cita GRADBNWITZ (Sittber. Akad, Mei-
kÜNICEPS E
MUNICÎPIUto
19
la cosa non è tanto semplice : v'è sul problema di Festo e di Paolo tutta una letteratura che comprende i nomi più illustri di un intero secolo dal Eubino (1844) ai più recenti studiosi italiani e stranieri, come Bernardi, Zmigryder Konopka, Sherwin-White e Frezza. Marquardt, Herzog, Kariowa, Mommsen e poi Toutain, De Sanctis, Binder, Gradenwitz, Beloch, Pais, Bonfante, oltre ai già citati, sono coloro che dopo il Niebuhr hanno portato i più notevoli contributi alla soluzione del dif fìcile problema (1). Il quale problema non può essere naturalmente studiato con profitto se non si cerchi anzitutto di verificare il valore stesso delle informazioni onde deriva il passo di Festo su cui la discussione è impostata. A questo proposito il Niebuhr scriveva che l'articolo Municipium « ist durch eine merkwürdige Fügung erhalten : er stand bei Festus auf einer weggebrannten Columne, und Pau lus hat ihn übergangen, ein römischer oder ravennatischer Grammatiker aber, von den einzelnen Nachschlössingen der alten Schulen, im 10. oder 11. Jahrhundert der Epitome hin zugeschrieben. Er fehlt nämlich in manchen Handschriften: wo er sich findet steht er ausser der Ordnung : und die Voll ständigkeit und Ausführlichkeit zeichnet ihn von den dürftig zusammengezogenen Artikeln die durch des Langobarden Hand gegangen sind . . . » (2). Ammessa in tal modo l'espli cita paternità festiana, era notevole l'afférmazione dello stesso dellerg 1916, XIV Abh., pag. 35) e pag. 962).
RUBINO
(Z. f. Altertumswiss., II, 1844,
(1) RUBINO, loc. cit. ; BERNARDI, loc. cit., pag. 239 seg. ; ZMIGRYDER KONOPKA
Z., Lea relations politiques entre Borne et la Campanie, in Eos 1929 (XXXII), pag. 587 8egg. ; SBERWIN WHITE A. N., The roman citizenship, Oxford 1939, pagg- 48 e 57 ; FREZZA G., Le forme federative e la struttura dei rapporti internazionali nelVantico diritto Romanoy in Studia et Dooum. kistoriae et iuris 1938, pag. 379 segg. ; MARQUARDT J., op. cit., pag. 28 segg. ; HERZOG E., Geschiohte u. System vón rò'm. Staatsverfassung, I (Leipzig 1884), pag. 986 ; KARLOWA 0., op. cit., I 295 segg. ; TOUTAIN J., loc. cit.t pag. 2022 segg. ; DE SANCTIS G., op. cit., pag. 435 e note l e 2; BINDER J., op. cit., pag. 339 segg. ; GRADENWITZ, art. cit. ; BELOCH K. J., op. cit., pag. 377 segg. ; PAIS E., Storia di Borna dalle origini alle guerre puniche, IV (Roma 1928), pag. 384, n. 1 ; BONFANTE P., op. cit., pag. 240, n. 1. (2) NIEBUHR, op. cit., II 8 58, n. 109.
20
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MÙNICIPIUM
Niebuhr che Festo, derivando la sua definizione da Verrio Fiacco, fosse degno della più alta considerazione perchè lo stesso Verrio « als er schrieb, w a r . . . scbon so hoch in An sehen und Jahren, dass sein grosses Werk über die Bedeu tung seltner Worte ziemlich als gleichzeitig angesehen wer den kann » (1). Così veniva affermata la validità sostanziale di Festo che, riassumendo — sia pure a suo modo — il testo di Verrio Fiacco, poteva essere abbastanza fededegno nel ri ferire intorno a concetti che ancora al tempo di Cicerone ave vano mantenuto un significato diverso da quello assunto dopo la guerra sociale se Cicerone poteva ancora essere considerato, sia pure a scopo polemico, un inquilinus civis (2). Se a ciò si aggiunga la nota esattezza e completezza di ricerca di Verrio Fiacco, si sarà confermato che il testo di Festo a nostra di sposizione è quanto di meglio ci sia dato oggi di consultare in proposito. Ma l'afférmazione del Niebuhr ha trovato un serio oppositore nel Mommsen. Questo grande studioso, ricco di esperienze in ogni campo della ricerca storica, giuridica, epigrafica e filologica, ritiene che anche la voce Municipium sia stata ridotta da Paolo e, convinto che l'idea di municeps abbia avuto come punto di partenza i rapporti fra Borna e i Latini, scrive che ai municipes latini appunto (3) si rife risce molto verosimilmente l'inizio della definizione : e Municipium id genus hominum dicitur qui, cum Eomam venissent neque cives Romani essent, participes tarnen fuerunt omnium rerum ad munus fungendum una cum Romanis civibus». Ciò che segue — egli aggiunge — (e cioè: «praeterquam de suffragio ferendo aut magistratu capiendo ») non conviene ai municipes latini, che avevano il diritto di suffragio, ma si riferi sce alle città di semicittadini (4). Lasciamo per ora la questione delle città latine, su cui dovremo fermarci più oltre, e soffer miamoci invece sui motivi addotti dal Mommsen a giustifica zione della sua affermazione. (1) I D . , ibid. p. 58. (2)
SALL., Cat. 31,
(3)
PAUL.
6.
D I A C , pag.
155
L.
=127
M. Cfr.
pag. 232, n. 2. (4) MOMMSEN, op. cit.,
Ill
1, pag.
235,
n.
1.
MOMMSEN, op. oit,
III
I,
MUNICEPS E MUNICIPIUM
21
La prova del rimaneggiamento risulterebbe dal fatto che l'epitomatore, nella forma attuale del testo, vi rifiuta il diritto di cittadinanza ai dimani e agli Acerrani, che invece chiama correttamente cittadini Eomani s. v. Municeps. Non solo però Paolo non si sarebbe contentato di fare dei tagli : avrebbe anche interpolato : riunendo il municipium di diritto latino e il municipium di cives Romani senza suffragio poiché la man canza di ius honorum era comune, con le relative conseguenze. L'affermazione del Mommsen ha avuto la conseguenza di screditare il passo di Festo agli occhi di numerosi studiosi. Così il De Sanctis lo giudicò «confuso», il Pais «senza va lore », il Bonfante « spropositato » (1). Ma per molti esso ri mase alla base di ogni discussione : il Toutain pensò a Varrone come alla probabile fonte, il Gradenwitz ad una deriva zione dall'archivio e il Bernardi lo accettò senza discus sione (2). Ma, prescindendo da questi studiosi che, in fin dei conti, non fanno che esprimere un'opinione personale senza portare alla discussione nuovi elementi, non avremo fatto molto cammino sulla via di un risultato conclusivo quando avremo osservato la posizione di altri, come il Marquardt, il Herzog, il Binder (3). Per il primo di essi il problema è sol tanto un problema d'interpretazione ; il Herzog, invece, è convinto, al contrario del Marquardt, che il primo tipo di municipio ricordato s. v. Municipium vada riferito — sulla traccia del Niebuhr, del Walter e di altri suoi seguaci, fra cui in certo modo sarà da collocare lo stesso Mommsen — ai La tini immigranti in Borna, e ritiene esatta la definizione, men tre errati ne sarebbero gli esempi. E poiché il Binder resta sostanzialmente allo stesso punto del Herzog, sarà lecito con cludere che anche per questi tre studiosi la soluzione del pro blema è cercata in modo piuttosto soggettivo che oggettivo. Notevole, inoltre, è lo sforzo del Beloch, il quale, pur accu sando il Mommsen e i suoi « Mirmidoni » di aver creduto a torto nella concessione della civitas sine suffragio alle città (1) Luoghi oitati nella n. 1 a pag. 19. (2) Luoghi oitati nella n. 1 a pag 19. (3) Looghi oitati nella n. 1 a pag. 19.
22
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
latine sottomesse nel 338 e di aver quindi corretto arbitra riamente il testo che ci interessa, è costretto a separare dalla definizione di questo autore gli esempi relativi : « es kommt nur darauf an, was Festus bzw. seine Quelle geglaubt hat»(l). Ma anche in questo caso siamo di fronte ad una posizione non del tutto giustificabile. Anche per ciò che ri guarda la concessione della sola civitas sine suffragio, il Beloch non riesce a smontare la posizione del Mommsen : pos siamo anzi dire che — sia pure con ragioni alquanto arbitrarie — egli non fa che confermarla quando, convinto che un foedus sia intervenuto a sistemare la posizione giuridica di talune città latine, afferma che questo joedus non potè essere con eluso con città dediticiae — come tali aventi, secondo lui, la sola civitas sine suffragio —, ma con comunità cui fu concessa la cittadinanza di pieno diritto. Ora, se noi consideriamo che la sconfitta delle città latine le rese probabilmente tutte dediticiae, non possiamo più vedere nel tentativo di distinzione fatto dal Beloch alcun motivo plausibile di sussistenza: tutte avrebbero dovuto avere la civitas sine suffragio ; ma per di più è ormai noto che la deditio non esclude il foedus (2) : nemmeno questo punto d'appoggio, che al Beloch parve tanto sicuro, può avere alcun valore determinante. Così anche la tesi del Beloch, controbattuta poi dal Frezza (3), può essere messa senz'altro in disparte. I testi di Festo e di Paolo a nostra disposizione non pos sono essere considerati se non come un tutto organico : e non possono essere rimaneggiati o ritoccati senza grave rischio di incorrere in errori di vario tipo. Ecco perchè noi riteniamo che, ammettendo la sostanziale derivazione di Festo da scrit tori dell'ultima età repubblicana che potevano ancora valersi di ottimo materiale e forse, per taluni punti, della propria memoria, Festo vada senz'altro accolto come fonte principale per la nostra ricerca. (1) BELOCH, op. oit., pag. 377. Sn oiò si veda anohe FREZZA, ÌOO. cit.
(2) Cfr. H E U S S A., Die völkerrechtlichen Grundlagen d. röm. Aussenpolitik in republikanischer Zeit, in Klio, Beiheft 31, N. F. 18 (1933), pag. 78 aegg. ; FREZZA, loo. cit., pag. 384. (3) FREZZA, loc. cit., pag. 382 segg.
MUNICEPS E MUNICXPIUM
23
Vediamo dunque in rapida analisi quali ne siano i dati più importanti. Tre restano i testi a disposizione, e cioè la voce Municipium e le due voci Municeps. Noi le indicheremo semplice mente col nome dei loro autori, riservando perciò le ultime due rispettivamente a Festo (pag. 126 L.) e a Paolo (pag. 117 L.) e chiamando Festo-Paolo l'autore della voce Municipium (pag. 155 L.) la cui attribuzione rimane, dopo quanto abbiamo visto, oggetto di discussione. Crediamo infatti superfluo sta bilire se la voce in questione sia da attribuire a Festo diret tamente oppure no poiché, come vedremo, la voce stessa rap presenta un tentativo di conciliare fra loro le definizioni date appunto da Festo alla voce Municeps. Come già abbiamo osservato confluiscono in quest'ultima voce varie definizioni, alcune delle quali non possono non riferirsi ad un'epoca già avanzatissima della storia municipale. L'accento va ora posto invece sulla definizione che Paolo rias sume usando l'imperfetto : « Municipes erant qui ex aliis civitatibus Romam venissent, quibus non licébat magistratum capere, sed tantum muneris partem » e corrisponde malamente a quella che Festo attribuisce a Servio iuniore : « initio fuisse qui ea condicione cives Romani fuissent, ut semper rempublicam separatim a populo Romano haberent... qui aeque (cives Romani erant et in legione merebant, sed dignitates non capiebant) ». Se la prima definizione non accenna alla cittadinanza romana dei municipes e la seconda è esplicita nel dichiararli cives Romani, entrambe insistono però sulla mancanza del ius honorum senza discorrere mai del ius suffraga*, cosicché parrebbe verosimile che il tentativo fatto da pareccchi studiosi di identificare cives sine suffragio e municipes non sia da ritenersi del tutto si curo (1). Ma la complicazione maggiore sorge quando alla voce Municeps di Festo noi accostiamo la voce Municipium. La prima categoria ivi ricordata comprenderebbe « id genus hominum (1) Già HERZOG, op. oit., pag. 986, e BINDER, op. cit., pag. 339, avevano fatto
delle riserve su questa i dentifioaz ione almeno per quanto riguarda le orìgini dei due concetti.
24
PER LA STORIA D E L CONGETTO DI MUNICIPIUM
qui, cum Romam venissent, neque cives Romani essent, participes tarnen fuerunt omnium rerum ad munus fungendum una cum Romanis civibus, praeterquam de suffragio ferendo aut magistratu capiendo : sicut fuerunt Fundani, Formiani, dimani, Acerrani, Lanuvini, Tusculani, qui post aliquot annos cives Romani effecti sunt*. Questa categoria, evidentemente diversa da quella di cui si parla alla voce Municipes, dove Festo riferisce la defini zione di Servio riguardante invece dei cives Romani, pare si possa porre in relazione con la definizione di Elio Gallo se condo cui è municipe anche « qui ex alio genere hominum munus functus est» (pag. 126 L.). La contrapposizione con quanto affermava Servio iuuiore — marcata da Festo nella voce Municeps con un significativo « at * — è qui scomparsa. Evidentemente, compilando la voce Municipium, Festo-Paolo La scelto fra le due definizioni quella che gli è apparsa migliore perchè identificava i « municipes » con i « cives sine suffragio*. Ma egli non poteva ignorare le parole di Gallo da lui stesso riferite e tentava quindi di con ciliare Gallo con Servio : in questo senso, forse, può essere inteso il « post aliquot annos > se si ammette che il testo sia genuino: i municipes — si tratta qui di singoli individui — che, venendo a Eoma, avevano soltanto il diritto di commercium e di connubium senza per questo divenire cives Romani, potevano del resto divenire forse veri e pro pri cives — acquistando almeno il ius suffraga — dopo una determinata permanenza nella città che li ospitava. Era logico che questo diritto fosse ripagato dal dovere ài fungere munus. Senonchè a questo proposito sottolineava il Marquardt la possibilità di interpretare il passo in modo diverso: la cit tadinanza di cui i municipes sarebbero privi originariamente sarebbe la civitas optimo iure, cosicché quando post aliquot annos essi furono fatti cives Romani, sarebbe loro spettato Voptimum ius (1). Non v'è tuttavia chi non veda lo sforzo ne cessario per sostenere quest'ipotesi: in realtà ciò potrebbe (1) MARQUARDT, op. cit., p. 32, n. 10. Sul significato dell'espressione «pò«* aliquot annos », ofr. tn/ra, n. 1 a pag. 58.
MUNIGEPS E MUNICIPIUM
25
andar bene solo postulando che il concetto di civis sine suffragio — pur essendo posteriore a quello di municeps — non ne sia che un sinonimo : esso dovrebbe essere sorto solo in seguito, quando municeps potè essere anche un civis ottimo iure. Questa ipotesi che — sebbene non espressa — è impli cita nel Marquardt — è, d'altro lato, da dimostrare ancora, specialmente da quando furono in proposito espressi i primi dubbi, anche prescindendo dalla teoria niebuhriana dell'isopolitia romano-latina (1). La definizione data da Festo-Paolo, ad ogni modo, diffe risce da quella di municeps attribuita a Servio su di un punto sostanziale: i municipes del primo tipo non sono cives. Essa trova riscontro, invece, in una definizione attribuita a Gallo (« ex alio genere hominum »). L'identificazione che il Mommsen ne tentava con i Latini rimane quindi una possibilità che di pende soltanto da una correzione di testo, forse non neces saria e certamente indimostrabile perchè fondata a sua volta, in circolo vizioso, sulla convinzione che dei Latini appunto si debba trattare. Ma in Pesto-Paolo sono indicati per questo tipo di municipium esempi di città non soltanto latine, ma anche di diversa origine, cosicché bisogna pensare che FestoPaolo le accomuni fra di loro proprio prescindendo dal ius Latii. Né è possibile escludere che Festo-Paolo abbia ragione da questo punto di vista quando si tenga presente che municeps può essere diverso da civis sine suffragio almeno origi nariamente. La condizione stessa dei Latini indipendenti è d'altronde una condizione di non cives poiché essi cessano di essere La tini quando divengono Eomani. E il loro diritto di ferre sufJragium in Eoma può e, direi, deve essere posteriore al foedus Gassianum. Se poi gli esempi di Festo-Paolo siano o non siano esatti è un'altra questione che non può essere risolta a priori. Anche più complessa della correzione del Mommsen è quella proposta dal Frezza (2), ma non reca alcun contributo effet(1) Cfr. supra, n. 1 a pag. 23 (2) FREZZA, loo. cit.
26
PER LA STORIA D E L CONGETTO DI MUNICIPIUM
tivo alla soluzione del problema: la ovvia constatazione che il punto di vista romano non è sufficiente per classificare i municipia — io direi, forse meglio, per comprenderne la ge nesi — non pare sufficiente per postulare la caduta nel sunto di Festo Paolo di una definizione come quella d'TJlpiano, che non esprime nulla più di questo stesso punto di vista (1). Riteniamo pertanto non necessaria una correzione del passo di Festo-Paolo : così come esso è, propone taluni problemi di difficilissima soluzione, ma, cionondimeno, non è del tutto inaccettabile. Anche l'altra fonte a nostra disposizione, Gellio, ha susci tato molte discussioni. Il giudizio che ne dava il Mommsen (2) è ben noto : la sua definizione sarebbe un vero capolavoro di confusione storico-giuridica e di mescolanza del linguaggio antico e moderno. Questo giudizio, per essere stato sottoscritto da altri studiosi di provato valore, come il Bonfante e il De Sanctis (3), merita una particolare attenzione. Esso è stato però discusso a fondo dal Toutain, il quale osservava giusta mente che Aulo Gellio si riferisce per fatti anteriori al suo tempo solo a Preneste e a Cere (4). Ripetiamo dunque la prima parte del testo di Gellio : « Municipes sunt cives Romani ex municipiis, legibus suis et suo iure utentes, muneris tantum cum populo Romano honorarii participes, a quo munere capessendo appellati videntur, nullis aliis necessitatibus neque ulla populi Romani lege adstricti nisi in quam populus eorum fundus fantus esset ». Ciò che vi è detto, osservava il Mommsen, s'accorda con l'antica terminologia sopprimendone le parole iniziali — perchè l'antico municeps non è cittadino — e l'interpretazione di munus come munus honorarium — poiché tale diritto mancava agli antichi muni(1) Big. L I , 1 : « et proprie quidem municipes appellantur muneris participes recepii in civitatem ut munera nobiscum facerent. .. ». (2) MOMMSEN, op, oit., Ili
1, pag.
796, n. 3 ; ofr.
KARLOWA, op. oit., I
297,
il. 1 ; MADVIG N., Die Verfassung u. Verwaltung d. ròm. Staats, Leipzig 1832J II 8. (3) BONFANTE, op. cit.,
pag.
240,
n. 1 ; D E SANCTIS, op. oit.t II
434,
n.
2.
(4) TOUTAIN J., Etudes sur Vorganisation municipale du Haut-Empire, in Mèi. Aroh. et Hist. 1896, pag. 315 segg.
MUNICEPS E MUNICIPIUM
27
cipes (1). Se invece, continuava il Mommsen, ci si riferisce ai municipii più recenti, l'aftermazione che le leggi romane si applicherebbero soltanto ai fundi di esse è un errore senza scuse possibili: i municipii non sono diversi dalle colonie in quanto a diritti locali. Ma è evidente che il tentare di chia rire in questo modo il passo di Gellio presuppone la sicurezza che non si possa affermare — circa i muoicipii più recenti — nulla di diverso da quanto il Mommsen ritiene certo. È precisamente su questo punto che si sofferma il Toutain per tentare di mostrare, contro il Mommsen e il Beaudoin, che la loro afférmazione non può ritenersi sicura (2). Non è adesso nostro compito affrontare questo problema, che ci por terebbe troppo lontani dalla nostra attuale ricerca. Solo ci inte ressa qui, ancor più che l'accenno a Preneste— divenuta munici pio solo dopo la guerra sociale —, il passo riguardante i Ce riti : « Primo* autem municipes sine suffragii iure Caerites esse factos accepimus, concessumque Ulis ut civitatis Eomanae honorem caperent, sed negotiis tarnen atqne oneribus vacarent pro sacris bello Gallico receptis custoditisque ». Anche su questo passo si è molto discusso, ma, all'in fuori di ogni discussione, ci pare degno di nota il fatto che vi si parla di primi € municipes senza diritto di suffragio >. Se po tremo tener fede a questo punto del testo di Gellio, ne po tremo anche dedurre che prima dei Ceriti ottennero in blocco la condizione del municipium altri comuni cui non fu rifiutato il ius sufragii. La mente corre subito al passo di Festo-Paolo in cui appunto si parla di Aricini, Caerites, Anagnini(S): ivi i Ceriti tengono il secondo posto e poiché gli Aricini pote rono avere prima dell'annessione — come Latini — il ius suffragii in Eoma, il passo di Gellio e quello di Festo-Paolo si corrispondono perfettamente : la fonte ne è probabilmente la stessa e se Festo-Paolo, può risalire a Verrio Fiacco o a Varrone, anche Gellio si collegherà presumibilmente per que(1)
MOMMSEN, loo. oit.f HI
(2) TOUTAIN, loc. cit.,
1, pag.
p. 324
796,
n.
3.
eegg.
(3) PAUL. D I A C , a. v. Municipium: «Alio modo cum id genus hominum definitur quorum civitas universa in civitatem Romanam venit, ut Aricini, Caerites; Anagnini ».
28
PER LA STORIA D E L CONGETTO DI MUNICIPIUM
sto punto ad un autore dello stesso periodo. Sarà dunque op portuno tener conto di questo fatto che appare della massima importanza, anche se molti dubbi sono stati elevati circa la tradizione riguardante Cere (1). Il problema riguardante la più antica accezione del ter mino municipium appare comunque strettamente collegato con quello che riguarda la priorità della definizione di Elio Gallo (non cives) o di quella di Servio iuniore (cives sine suffragio). Festo-Paolo tenta di fonderle insieme nel primo tipo di municipium affermando che i non cives ebbero la cittadinanza « post aliquot annos >. Municiyes sarebbero quindi stati in origine dei peregrini che, per godere in Eoma taluni diritti, si assoggettavano ai doveri dei cives. Ciò pare confermato dal fatto che la defini zione di Elio Gallo non può essere stata inventata quando ormai tutti i municipes erano anche cives Romani. Ma restano da esaminare alcune teorie moderne che me ritano speciale attenzione per il nome di coloro che le hanno presentate. (1) Cfr. BELOCH, op. ait., pag. 363 segg. ; tua la sua posizione è, a sua volta, messa in dnbbio ed è, probabilmente, da respingere. Cfr. ultimamente GIANNELLi G., La Repubblica Romana, Milano 1937, pag. 185 e n. 54 ; 8HERWIN W H I T E , op. cit.,
pag.
51
segg.
II. LE CITTÀ LATINE
LA TEORIA DBLL'ISOPOLITIA.
Ohi fossero i più antichi municipes è stato in vario modo tentato di definire. Il Niebuhr (1), ad esempio, riteneva che municipium e isopolitia fossero fra loro identici. Municipium, arguiva il Niebuhr, è originariamente, come mancipium, il di ritto in sé, passato poi a definire la comunità cui questo di ritto compete. A questa si riferisce la triplice distinzione di Festo-Paolo. Al primo tipo ricordato da Festo-Paolo, inoltre, andrebbe collegata la definizione di Servio Sulpieio che già conosciamo : in quest'ultima si parla di cives Romani senza ius honorum, che avrebbero servito in legione, cioè, sempre se condo il Niebuhr, avrebbero costituito una legione distinta dell'esercito romano come la legione campana nella guerra di Pirro. Questo rapporto corrisponde ali'isopolitia altrettanto bene quanto l'ordinamento gentilizio romano corrisponde a quello greco. Come la definizione romana, egli aggiunge, ri corda la partecipazione « an allen Dingen », così la documen tazione greca si riferisce ad una partecipazione e an allen men schlichen und göttlichen Dingen». Così anche la prossenia non era estranea all'uso romano : e poiché il singolo ospite (1) NIEBUHR, op. cit., II" 53 segg. ( = II 1 56 segg.). Sostanzialmente sulla stessa posizione era ancora il WALTER, Gesch. d. röm. Rechts, 1* (1860), pag. 120 segg., presso il quale si troverà anche una bibliografia ragionata degli studi anteriori al 1860. Il Walter tuttavia dissentiva dal Niebohr perchè l'isopolitia di oni egli parlava non sarebbe stata acoordata — come pensava il Niebuhr — dopo la guerra latina (pag. 127, n. 36). Le città latine annesse nel 338 sa rebbero invece venate a far parte della seoonda classe festiana«
30
PER LA STORIA DEL
CONCETTO Dì MUNICIPIUM
(Gastfreund) dello-Stato aveva gli stessi diritti di chi era mieniceps per un trattato del suo Stato, « wird die Isopolitie ge meines Gastrecht mit dem gesammten Yolk genannt». Ma tutta questa dimostrazione ha, secondo me, un grave difetto nel punto di partenza : come si può pensare che siano sicuramente riferibili allo stesso momento della storia dei municipii il primo tipo di Festo-Paolo e la definizione di Ser vio Sulpicio ? Noi abbiamo poco fa ammesso per verosimile che sotto la voce Municipium fossero fuse in qualche modo le due definizioni ricordate da Festo s. v. Municeps. Ma queste non sono necessariamente riferibili allo stesso momento tanto meno poi se si osserva che tra la prima e la seconda Festo in troduce un significativo e at >, che vale a porle in opposizione fra di loro. Se dalla voce Municipium è possibile ricavare qual che cosa, non è dunque altro se non che, qualora si ritengano fondate le due definizioni ricordate da Festo s. v. Municeps, bisognerà intendere che la fusione tentatane da Paolo rispec chi l'anteriorità del tipo di municipio descritto da Elio Gallo rispetto a quello definito da Servio Sulpicio. In realtà Dionigi usa il termine loonoXiteia in casi diversi : a proposito di singoli individui, cui viene conferita la piena cittadinanza (1), a proposito del foedus Gahinum (2) e poi del joedus Cassianum sia con i Latini (3) che con gli Ernici (4), a proposito di una richiesta analoga dei Yolsci condotti da Coriolano (5), a proposito della concessione della civitas sine suffragio a Formiani e Fondani (6). Lasciando per ora in di sparte il joedus Gàbinum di cui si tratterà a suo luogo, noi possiamo osservare che — sempre secondo Dionigi — Latini ed Ernici entrano in rapporto di loojtoXiteia con i Romani dopo la stipulazione del foedus Cassianum, i Yolsci propongono un (1) D I O N . H A L . , IV
22,
3-4.
(2) ID., IV 58, 3. (3) I D . , VII 53, 5 ; V i l i 35, 2 ; 7 0 , 2 ; 74,2. Come p r o p o s t a : VI 63, 4 ; ofr. V I I I 76, 2 ; 77, 2 (jtoXixeia xoiW)). (4) ID., V i l i 74, 2 ; XI 2, 2 ; VIII 76, 2 (iao^oXTxai y.aì a i j ^ a x o i ) . Cfr. V i l i 69, 4 (jcoXiTEtav) ; 77, 2 (jtoMxaç). (5) I D . , V i l i 35, 2. (6) ID., XV 7, 8.
LÉ
CITTÀ. LATINE
31
patto analogo, i Foriniani e i Fondani conseguono la civitas sine suffragio. Ma tra il caso dei Latini e degli Ernici e quello dei Formiani e dei Fondani pare vi sia una notevole differenza, giacché per Latini ed Ernici non si tratta sicuramente, al mo mento del foedus Gassianum almeno, di civitas sine suffragio, com'è invece nel caso di Formiae e di Fundi, ma di vera e propria alleanza. Lo stesso foedus Cassianum (1) stabiliva che, oltre alFallean(1) ID., VI 95. Cbe il testo non sia oompleto pare doonmentato dal fram mento rioordato da FKSTO S. V. Nanoitor. Amplissima è la bibliografia riguar dante la cronologia del foedus Cassianum. BELOCH, Rom. Geschichte, pag. 193 8e gg- ; BINDER, Die Plebs, pag. 332 segg. ; ROSENBERG, Die Entstehung des sog. foedus Cassianum, in Hermes 1920, pag. 337 segg. ; STEINWENTER, lus Latti, in P.-W. X 1265 ; sono stati i più tenaoi oppositori della data tradizionale aooolta ancora dal DE SANCTIS, Storia dei Romani, II 96 segg. ; Sul foedus Cassianum, in Atti I Congresso Studi Romani, Roma 1929; dal FRACCARO, in Atti del Congresso intern, di diritto Romano, I, pag. 197 ; dal GIANNKLLI, La Repubblica Romana, pag. 159; dallo SHERWIN WHITE, The roman citizenship, pag. 21 segg.; e da altri. Ulteriore bibliografia in Eno. Ital. X (1931), pag. 335 seg. (P. F[RACCARO]).
I principali motivi addotti di volta in volta oontro la datazione tradizio nale sarebbero : a) ohe Roma non potesse essere fnori della Lega nel 493 ; b) ohe Roma non fosse tanto forte da poter trattare alla pari con la Lega La tina; o) ohe non potesse ambire all'egemonia. A ciò farebbe riscontro: a) ohe la lingna del frammento riportato da Festo (s. v. Nancitor) non è la lingna del V secolo; b) ohe l'iscrizione non potè sopravvivere all'incendio gallico ; e) ohe i Romani non avrebbero conservato nn documento superato. Tatti qnesti motivi sono pnramente soggettivi, compreso quello riguar dante la lingua del frammento festiano, non solo perchè il testo ne è in al cuni punti corrotto, ma anche perchè Festo poteva aver ■ tradotto ». Motivi di dubbio di maggior peso possono inveoe essere: a) ohe quaran tanni prima delle leggi soritte potessero essere stabilite clausole oosì preci ne come quelle riferite da Festo; b) ohe soltanto verso la metà del V secolo tro viamo accenni a procedura di « Gastprozess » analoghi a quella ohe si sarebbe stabilita nel nostro foedus. Ma tutto ciò, indipendentemente dalla storicità di Spurio Cassio, negata da tntti coloro ohe ripudiano la data tradizionale, non potrebbe fare altro se non suggerire l'ipotesi ohe, ool rinnovo del foedus av venuto nel 358, le norme del vecchio foedus Cassianum fossero completate e precisate. II DE SANCTIS, op. ci«., pag. 98, scriveva ohe « riportare questa lega con piena parità di diritti (foedus aequum) alla metà circa del secolo IV, prima della guerra latina, può solo ohi non riferisca a quell'età, come indubitatamente si deve, il primo trattato rouiano-oartaginese, il quale mostra Roma nell'atto di eaer-
32 PËB LA STORIA DEL CONCETÒ DI MUNÎCPIUM za difensiva e all'equa ripartizione dei bottino di guerra, vi gesse tra Eomani e Latini il ius commercii e, forse, il ius connubii : « tc5v te IÔICOTIXQVV ovpfioXaiœv a! XQIOEIÇ ev ^piéoaiç yiyvêoftcoaav Ôexa jiao'oîç Yéviyrai tò ov\xßo\aiov » dice il testo riferito da Dionisio (1); ed ivi gli îôiomxà aujißoXaia, cioè i contratti privati — che non vengono specificati —, possono avvenire in qua lunque città latina come a Roma, se si dice che i relativi giu dizi, che eventualmente si rendessero necessari, debbono aver luogo là stesso dove i contratti sono stati fatti. Data la stretta connessione fra commercium e connubium non pare poi che si possa escludere dal testo di Dionigi né quello né questo. Se condo Dionigi, dunque, Pisopolitia latina è comunità di di ritti privati (commercium e connubium) e nul l'altro (2). Appare pertanto inutile supporre (3) che la sua definizione di isopolitia circa i rapporti romano-latini derivi dalla possibilità che i Latini hanno di dare il loro voto nei comizi romani. Giu stamente osservava il Beloch ^4) che « dass Dionysios das laoitare nii'indisonssa supremazia sai Lazio ». 11 motivo, di per sé, non pare suf ficiente perchè l'inizio del V secolo trovò Roma nelle stesse condizioni in cni l'avrebbe trovata la metà del IV dopo l'invasione gallioa. I motivi addotti dal ROSENBERG a sostegno della propria tesi poggiano invece soprattutto sulla sna sicurezza ohe i rapporti romano-latini concretati dal foedua siano rapporti isopolitioi e perciò dovuti ad influsso greco (pag. 353 seg.)t m» su questo problema esprimiamo altrove la nostra opinione nettamente negativa. Il risultato cui giuDge il Rosenberg è che il foedus Latinum, il «so g e n a n n t e » foedus Casëianum, sia stato stipulato nell'età di Pirro (pag. 363). A Ini si oppose già il BELOCH, op. cit., pag. 195., osservando ohe Roma non potè al lora concludere un foedua con le proprie colonie, cui da tempo era legata in modo analogo : il foedua Latinum del Rosenberg avrebbe infatti riguardato solo le città ohe non erano state incorporate oon la civitaa — secondo lui optimo iure — nel 338 a. C. Noi restiamo dunque dell'opinione tradizionale, ammettendo però ohe il rinnovo del 358 potè comportare altresì un completamento di t a l u n i punti ri masti dubbi nel t r a t t a t o precedente: anche se il foedus Latinum a noi perve nuto è qnello stipulato nel 358, il nome di Spurio Cassio che ad esso si rife risce rende verisimile ohe il fondamento di questo 8Ìa identico a qnello del foedua Caaaianum vero e proprio. (1)
D I O N . H A L . , VI
95.
(2) Cfr. infra, pag. 34 e nota 3. (3)
MOMMSEN, op. cit.,
(4)
BELOCH, B.
G., pag.
Ili
1, pag. 196.
643,
n.
4.
LE CITTÀ LATINE
33
tinische Recht als laojioXueia bezeichnet, um es seinen griechi schen Lesern verständlich zu machen, beweist doch nicht, dass die griechische Einrichtung für Rom Volbild gewesen ist*. Obi scrive è personalmente convinto che una vera e pro pria lega politica non esistesse avanti il Y secolo (1) ma se questi diritti siano o non siano anteriori al foedus Cassianum (2), è questione di scarso interesse per Fattuale argo mento: importa soprattutto osservare che il foedus Cassianum li riconfermava anche se non li stabiliva per la prima volta. Se si può dunque ammettere che il rapporto fra Romani e Latini che Dionigi definisce inesattamente isopolitia com prenda soltanto commercium e connubium, si deve credere che sia altrettanto valida l'equazione municiyium = commercitim + connubium ? Rigorosamente, no : è certo soltanto che commercium e connubium sono diritti di cui godono in Roma i Latini ivi residenti. Ma se commercium e connubium sono ele menti che contribuiscono, se non in tutto almeno in parte, a costituire il municipium, la cosiddetta isopolitia latina rap presenta, almeno, un aspetto del diritto di municiyium. In questo senso potremmo affermare che di questo diritto godono i componenti della civitas romana come i membri delle varie res publicae : col foedus Cassianum non si ha ancora la con cessione della civitas Romana ad altre comunità, ma, appunto come dice Festo nella sua prima definizione di mnniciphim, un diritto esercitato da singoli « qui Romam venissent », o, po tremmo aggiungere tenendo presente il foedus Cassianum, uscissero di Roma. Con quest'atto internazionale si stabiliva un diritto ana logo al diritto di municipium quale fu supposto dal Karlowa per le origini, che, secondo lui, rendeva un civis Tusculanus residente in Roma municeps Romanus e un civis Romanus re sidente in Tuscolo municeps Tusculanus (3). È, comunque, lo gico pensare che chi gode diritti in una città non sua, le sia
((12)) CfCfrr.. MOMMSKN, DB SANCTISop., op.cit.cit.I, II1,388pag.;607FRACCARO P.DE, art.SANCTIcit.S,, op.pag.cit.196, aegg. ; f e a.(3) KARLOWA, op. cit.f I 296. 9
34
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNIC3PIÜM
debitore di certi numera e in questo senso sarà pensabile che il termine municeps — se è vera l'etimologia da *niei- ba ratto (1) — rispecchi assai bene la posizione di chi, sottopo sto ai numera, gode di una certa ricompensa o munvs. A questo punto s'innesta nella nostra ricerca un altro pro blema, cui vogliamo accennare prima di continuare la discus sione delle varie opinioni espresse riguardo alla condizione delle città latine. Al rapporto intercorrente fra i cives Latini residenti in Borna .e i cives Romani di pieno diritto, viene a corrispondere nello stesso giro d'anni un nuovo rapporto fra patres e plebe nella stessa Eoma. I cives Latini residenti in Eoma vengono in realtà a tro varsi nella stessa condizione che noi conosciamo per i ple bei (2). L'unica differenza è torse quella riguardante il connubium, di cui godono i Latini e che è stato negato dai mo derni alla plebe di Eoma. Ma la differenza di cui si tratta non è sicurissima: in realtà il divieto di connubium fra patres e plebei è sancito soltanto da una iniqua legge immedia tamente posteriore al 450, contro cui la plebe insorse otte nendone l'abolizione (3). A parte dunque quest'ostacolo, che è forse soltanto apparente, noi siamo in grado di aftermare la sostanziale analogia di condizioni fra Latini e plebei. Che quest'analogia di condizioni significhi anche un'identità d'ori gini, come credeva il Binder (4), oppure l'esistenza di un co ti) ERNOUT-MEILLBT, Diot. étym. de la langue latine, ed. 1939, pag. 643. (2) Su ciò ofr. già LANGE, Rom. Alterthümer, I3 (1876), pag. 421. (3) La mancanza di questo diritto è infatti aanoita soltanto da una legge rioordata da Cic, de r. p. II 37, 63 e da Liv., IV 4, 5, legge ohe va consi derata contemporanea o nn pooo posteriore al decemvirato e — nel secondo oaso — dovnta forse alla breve reazione oligarchica ohe ne scaturì (cfr. an oiò DE SANCTIS, op. oit.} II, 55 seg.)- Prima di tale momento nulla ci autorizza a oredere con sicurezza ohe il oonnubium non fosse rioonosointo almeno ad nna parte della plebe, quella precisamente ohe era costituita da immigrati tnunicipes. Le parole di Cicerone, ohe parla di questa legge oome di una legge iniqua, paiono confortare la nostra ipotesi. Il passo di Livio pare anohe più esplioito, poiohè in esso la legge è ricordata come esempio di innovazione a danno deDa plebe, anzi come una • iniuria*. (4) BINDER, op. oit., pag. 359 e passim.
35
LE CITTA LATINE
mime autonomo plebeo antichissimo, come sostenne il Bonfante (1), è problema che pare inutile affrontare in questa sede : non è necessario credere né all'una né all'altra ipotesi, tanto più che a noi basta constatare che i plebei appaiono ben di stinti dai patres (2). Altrove affrontiamo, col problema delle origini dell'edilità plebea, anche il problema delle condizioni della plebe agli inizi del secolo Y (3). Qui basterà ricordare che col 493 noi troviamo la plebe organizzata con propri capi e perfino, stando alla tradizione, con un foedus ben definito nei riguardi dei patres. Questo foedus, che sarebbe stato concesso in seguito alla grande secessione (4), è stato considerato dal Bon fante come una prova che, sebbene non coincidesse in tutto e per tutto con la teoria del Beloch sui municipii federati, po teva tuttavia servire a dimostrare il carattere internazionale dell'istituto più antico del municipium (5). Il Beloch infatti pensava — come vedremo meglio in seguito — a municipii di cives optimo iuref mentre qui è evidente la limitazione imposta ai plebei per quanto si riferisce al ins honorum. A ciò probabilmente pensava il Bonfante quando faceva ta lune riserve sulla natura del municipium plebeo. Le città la tine mantennero tuttavia, anche dopo lo scioglimento dei foedus Cassianum, una propria autonomia e organizzazione (6), cui corrisponde il diritto che i plebei ottengono col 493 : il diritto di organizzarsi (7). Va però anche tenuto presente (1) B O N F A N T E . op. cit., I 95-96; 211 ; 240, n. 2 ; cfr. D E FRANCISCI,
I 231 segg. (2) Cfr. infra, pag. 211 segg. (3) Ibid. (4) Liv., II 33 ; DION. H A L . , VI 89. Sulla verisimiglianza dus ofr. infra, pag. 213 seg.
op.cit.,
di qneeto foe-
(5) BONFANTE, op. cit., I 96 ; ofr. D E FRANCISCI, op. cit., I 235, n. 3 ; F R E Z
ZA, art. o»«.t pag. 386. (6) Cfr. infra, pag. 93 segg. (7) Cfr. infra, pag. 219 segg, Una differenza, oertamente notevole, pnò essere presa in considerazione se si dà peso al fatto materiale obe i plebei non possedevano n n territorio proprio. P n ò essere meno importante se si ritiene cbe, almeno quelli d'origine latina, potessero in qaalobe modo, valersi dell'appoggio della loro patria d'ori-
36
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
il fatto che le città latine avranno, al momento in cui verrà creato il municipium, una propria tradizione di indipendenza ; mentre i plebei raggiungono forse soltanto nel 493 il diritto ufficiale di creare propri magistrati. Certamente, nucleo centrale e propulsore di questa orga nizzazione dovettero essere i più attivi cives d'origine latina che col foedus Cassianum vedevano quasi contemporaneamente riconosciuti, in un patto internazionale di particolare valore ed interesse, i diritti dei loro compatrioti; ma non è natural mente lecito affermare che solo essi costituissero il nuovo nu eleo politico retto da propri capi: ad essi poterono aggiun gersi altri elementi che, per un motivo o per un altro, si tro varono nelle loro condizioni. Il nuovo gruppo, autonomo sotto molti punti di vista ri spetto alla civitas romana, un vero comune anzi di cives senza ius honorum in quella civitas, potè essere il modello della se rie di municipia senza ius honorum che si sarebbe un giorno costituita nel Lazio. Il nome di municipium non è per esso documentato, ed — anzi — la sua stessa esistenza come municipium non è ri cordata da alcuna fonte in modo specifico ; ma,per molto tempo, i plebei furono una comunità ben distinta dalla civitas dei patres : ne furono potremmo dire, dei veri municipes, sebbene godessero del diritto di suffragio, e la loro organizzazione nel comune plebeo — pur senza ius honorum — è una vera con quista dovuta senza dubbio alla stessa importanza numerica ed economica. È anzi proprio questa organizzazione il fatto che differenzia i plebei organizzati dai municipes ancora considerati come singoli individui.
LE
TEORIE DEL MOMMSEN E DEL BELOOH.
Anche secondo il Mommsen (1) Pisopolitia di Dionigi non era una vera isopolitia di tipo greco, ma un qualche cosa ben gine e tanto più in nn momento in oui Roma doveva scendere a patti oon essa snlla base di nn foedus aequum. (1) MOMMSEN, op. cit., I l i
1, pag. 643, n. 4.
LE CITTÀ L A T I N E
37
definibile soltanto in termini latini che Dionigi traduceva col greco ìaoJioXiteui forse perchè attrattovi dal diritto di voto esercitato in Roma dai Latini e dagli Ernici : era, secondo il Mommsen, nulPaltro che il ius Latii: un diritto molto com plesso che distingueva i Latini da altre genti nei riguardi di Roma perchè conferiva loro una serie di privilegi. A questi privilegi il Mommsen dedicava un capitolo della sua opera, ma dichiarava egli stesso di non ritenere necessario tentarne una cronologia poiché, secondo lui, essi discendevano tutti egualmente da principii fondamentali risalenti alla lega pree sistente al 338 a. 0. (1). Così il commercium — e diritti ine renti —, il connubium, il ius migrandi, il ius suffragii ferendi sarebbero le caratteristiche speciali del ius Latii. È logico che con questa convinzione il Mommsen giu dicasse errato il passo di Festo-Paolo riguardante il primo tipo di municipia, tanto piò perchè riteneva che esso si rife risse appunto ai municipes latini (2) ; ma anche per lui il signi ficato primo — poi scomparso — di municipium, era quello di e prestazione obbligatoria di non cittadini» (3). Si aggiunga che, per lui ancora, municeps è di fronte a Roma il cittadino di una città latina non emigrato a Roma, perchè « egli esce dal cerchio dei municipes ottenendo, con la sua immigrazione, la qualità di membro della comunità romana e più tardi il di ritto di cittadinanza» (4). Sarebbe dunque invertita la definizione di Pesto Paolo che affermava invece trattarsi di individui < qui Romani venissent*. E il diritto di commercio e di connubio non sarebbe che il primo tempo di una completa ammissione al diritto di cit tadinanza conseguente alla comunione di munia con i cives Romani. Egli infatti interpreta l'espressione « gui Romam venissent » come atta a spiegare la situazione di coloro che ve nivano a Roma solo per esercitare il loro diritto di voto (5). In conclusione, il termine municipium avrebbe designato (1) (2) (3) (4) (5)
I D . , ibid., I D . , ibid.t I D . , ibid., I D . , ibid., I D . , ibid.,
pag. 627. pag. 232, n. 2. pag. 231 seg. pag. 232 seg. pag. 644, n. 1 ; ofr. pag. 232, n. 2.
38
P E R LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICÎPIUM
la città di diritto latino in comunità fondiaria e, conseguen temente, d'imposte con Eoma, e, soltanto in seguito, anche la località di cittadini inferiori coordinata ai cittadini com pleti con comunità di servizi e d'imposte, ma senza parteci pazione ai diritti politici: nell'un caso come nell'altro municipium è in opposizione alla qualità di civis optimo iure (1). Il Mommsen si fonda dunque su Festo, ma interpretan dolo a modo suo; né pare sussista alcun motivo specifico per sostenere la sua tesi. Quando egli afferma che il cittadino d'una città latina è, rispetto a Eoma, un municeps, non trova di me glio per suffragare la propria affermazione se non la possi bile, ma non sicura, manipolazione di Festo da parte di Pao lo (2). E, in realtà, non pare esatto limitare ai Latini l'esten sione del municipium fondandosi soltanto sul punto di vista che l'espressione « qui Bomam venissent » debba intendersi come conseguenza di un diritto di voto che tuttavia non pare ne gabile. A Eoma si poteva venire anche senza aver diritto al voto e non è facile credere che, accorrendo in Eoma per vo tare, i.Latini indipendenti dovessero sottostare ai munera a meno che non vi si fermassero per godere altri diritti : non pare possibile pensare che i vari munera cittadini dovessero essere condivisi da individui abitualmente residenti altrove. L'espressione « qui Romani venissent » potrebbe dunque es sere intesa solo nel senso di una reale immigrazione perma nente, ma se, come crede il Mommsen, l'immigrazione dà ai Latini i pieni diritti di cittadinanza in Eoma, non si tratta più di municipes ma di cives, com'egli stesso afferma recisamente (3). Cade dunque l'identificazione fra ins Latii e municipium per il periodo più antico, o, almeno, cade in parte, perchè — come già abbiamo visto — connuhium e commercium sono elementi dell'uno come dell'altro, anche se non sono i soli componenti del ius Latii. Il municipium del resto non pare sufficiente a definire il ius Latii, anche perchè, se di questo fa parte il ius migrandi, ius migrandi e municipium sono invece fra di (1) I D . , ibid., pag. 795. (2) I D . , ibid., pag. 232 e n. 2. (3) I D . , ibid., pag. 232 seg.
39
LE CITTÀ. LATINE
loro antitetici: o immigrando in Borna si diveniva cives Romani o si diveniva soltanto municipes : ma non si può essere nello stesso tempo cives Romani optimo iure e soltanto municipes (1). Alla conclusione che i Lati DÌ abbiano avuto subito nel 338 Voptimum ius giunse il Beloch (2) contro l'opinione del Momm sen (3). Se, infatti, il Mommsen affermava che non può es servi foedus fra concittadini (4), il Beloch, pur ammettendo che in seguito alla loro deditio talune città latine fossero state in un primo tempo dotate della sola civitas sine suffragio, so stenne invece che solo Voptimum ius poteva essere alla base del foedus che legava a Borna i singoli municipii. Questi, per tanto, si sarebbero venuti a trovare in una posizione del tutto particolare, poiché, essendo composti di cives optimo iure, avrebbero non solo acquistato il diritto di interferire nella vita dello Stato Eomano, mediante la più completa parteci pazione alla sua attività politica — partecipazione che avrebbe loro permesso di far valere in ogoi caso il loro punto "di vi sta sia mediante l'espressione di un voto, sia mediante la pre sentazione di propri candidati alle maggiori magistrature ro mane (5) —-, ma avrebbero altresì mantenuto, mediante un foedus, la loro autonomia locale. E' evidente che in tali con dizioni queste città avrebbero dovuto considerarsi almeno pari rispetto alla stessa Eoma, la quale, sia pure entro certi (1) Sa questo punto è necessario notaio ohe già il MARQUARDT (op. cit., pag. 33 Beg.) aveva posto in rilievo l'inoompatibilità che egli vedeva fra il concetto di munioipium e la Lega L a t i n a di Cassio. (2) Le fonti citate da BELOCH, op. cit., pag. 376. (3) MOMMSEN, op. cit.t pag.
177,
nn.
1-2 ; ofr.
pag.
571, n. 1 ; pag. 573.
Sa
qnesto punto egli fn seguito, per esempio, dal GIRARD {Rist de Vorganisation judiciaire des Romains, I, 1901, pag. 275) e dal PAIS (Storia di Roma oit., IV 202 per Arida, Nomentum, ecc. ; pag. 384 per Tusculum ; pag. 392 seg. e a.). (4) MOMMSEN, op. cit., I l i 1, pag. 774. È quindi assurdo pensare a niunioipii federati dotati di optimum ius in base al rispettivo foedus. Cfr. anche KORNEMANN, loc. cit., 576; BERNARDI A., Borna e Capua etc, in Athenaeum 1942, pag. 94. =. (5) Ciò resta sostanzialmente vero anche se, oorae è stato notato, la con cessione dell'optimum ius deve considerarsi più teorica che pratioa. Cfr. su ciò già
L A N G E , op. oit,, I I s
64,
40
PER LA STORIA D E L
CONGETTO DI MUNICIPIUM
determinati limiti, avrebbe dovuto tollerare la loro interfe renza nella sua vita politica senza potere, a sua volta, inter ferire nella loro se non indirettamente e in virtù soltanto del proprio prestigio. Già così enunciata una simile teoria appare un assurdo storico, tanto più grave inquantochè questa con dizione di municipia foederata, così privilegiata, sarebbe ri masta a città ribelli, quasi in premio della loro ribellione. Il Beloch, che fu il più valido propugnatore di questa teoria, considerava federate con pienezza di diritti politici Lanuvium, Arida, Nomentum, Pedum (1). Ma intanto vediamo, prima di tutto, Livio. Il passo in questione(2) dice testualmente: «Lanuvinis civitas data sacraque sua reddita cum eo, ut aedes lucusque Sospitae Iunonis communis Lanavinis municipibus cum populo Romano esset. Aricini, Nomentani et Pedani, eodem iure quo Lanuvini in civitatem recepti >. Balza subito agli occhi il carattere sacro della convenzione, non solo, ma anche — e so prattutto importante a mio modo di vedere — la contrappo sizione fra i municipes Lanuvini e il populus Romanus (3) : è chiaro infatti che se i Lanuvini avessero ottenuto la piena cittadinanza non ci sarebbe stato bisogno di questo accordo poiché essi stessi avrebbero fatto parte del populus Romanus come cives optimo iure e, d'altro canto, la condizione loro im posta sarebbe stata inutile inquantochè la loro divinità sa rebbe divenuta una divinità romana che essi — Eomani or mai — avrebbero potuto venerare in comune con i nuovi con cittadini senza bisogno che essa fosse loro restituita come Li vio ci dice. Si ricostituisce invece un comune giuridicamente scomparso in seguito alla sua deditio(4): un organismo distinto in qualche modo da Roma, che gli restituisce certe preroga tive e, con ciò stesso, lo tiene lontano da sé, in una condi zione di palese inferiorità, come appare evidente dall'imposi zione che aedes e lucus siano comuni a Lanuvini e Romani. In questi termini, se un foedus esiste, è evidente che si (1) Cfr. nota 2 a pag. 39. (2) Liv., V i l i 14, 2-3. (3) Cfr. MOMMSEN, op. cit,y III 1, pag. 177, n. 2 ; e infra, pag. 51 segg. e note relative. (4) La deditio risalta implicitamente dalle oondizioni imposte.
LE CITTÀ LATINE
41
tratta anzitutto di un foedus di carattere sacro, tendente, come l'analoga famosa pratica delVevocatio (1), ad assicurare a Eoma l'appoggio e il favore di una divinità, non romana, di un po polo da vincere o, come in questo caso, da tenere sottomesso. Lo stesso dovrà dirsi delle tre altre città trattate come Lanuvio. Oltre questi quattro vi sarebbero secondo il Beloch (2) an che altri municipii federati, e cioè Capena, Gabii — che ne sarebbe l'esempio più antico — e i Laurentes di Lavinium ; ma di Capena non si può tener conto alcuno in una ricostru zione storica perchè le testimonianze che ad essa si riferiscono sono molto discutibili (3) ; e, per quanto riguarda Lavinium, ci troviamo di fronte ad un caso speciale, perchè questa città non prese parte, se possiamo credere a Livio, alla guerra la tina (4). Resta Gabii, che però pare rappresenti una tappa an teriore a questo momento cruciale che stiamo esaminando (5). Una serena discussione di questi problemi è stata recen temente fatta dal Bernardi (6), che in ciò s'oppone non solo al Beloch, ma anche al Kornemann (7); ma sarà opportuno riprenderla per chiarire ancora taluni punti che non paiono sufficientemente spiegati e riconsiderare le relative fonti per tenerci esclusivamente ad esse. Oominciamo dunque da Lavinium, che, secondo Livio, non prese parte alla guerra : « Cum Laurentibus — prosegue Livio, dopo aver osservato che essi non desciverunt — renovari foedus iussum, renovaturque ex eo quotannis post diem decimum Latinarum». La conferma delle ultime parole è data da una iscrizione di età imperiale (8). NulPaltro, ma questo poco è denso di punti interrogativi. Lasciamo stare il fatto che, se(1) Su di essa si veda MANNI E., A proposito del oidio di Saturno, in Athenaeum 1938, pag. 230 aeg. (2) BELOCH, op. cit., pag. 446 (Capena) ; 155 (Gabii); 181 (Laurentes) ; 376. (3) Cfr. BERNARDI, art. oit.f in Athenaeum 1942, pag. 93 aeg.
(4) Liv., Vili 11, 15. (5) Per eaa» si veda infra, pag. 44 segg. (6)
BERNARDI, art.
oit.,
pag.
(7) In P.-W. XVI 570 segg. (8) C. I. L. X 797.
91-97.
42
PER LA STORIA DEL
CONCETTO DI MUNICIP1UM
condo il Belocli (1), il rinnovo del foedus implica la parteci pazione alla guerra : analogamente bisognerebbe ammettere l'assurdo che quotannis in seguito i Laurenti si ribellassero per poi rinnovare, come ci è testimoniato da Livio e dall'epi grafe, lo stesso foedus. Ci sono invece due altre questioni ben più importanti e ben più considerevoli. La prima è quella che riguarda la natura del foedus stesso -, la seconda è quella che concerne la data del rinnovo. Quanto alla prima non si può forse rispondere con sicurezza, ma poteva trattarsi di un foedus particolare stretto dai Laurentes coi Eomani, in base al quale appunto i Laurentes non si unirono ai Latini ribelli (2) ; né la data dell'annuale rinnovo del patto può servire a chia rire il problema della sua natura : se effettivamente il foedus fosse stato in rapporto con le ferie latine (3) non si vede per chè avrebbe dovuto essere rinnovato soltanto dieci giorni dopo. Pare tuttavia possibile che il carattere del foedus fosse essen zialmente religioso: tale almeno esso fu quando Lavinio ebbe la cittadinanza romana, e come tale il rito — così possiamo chiamarlo — del rinnovo del foedus sopravvisse alPindipendenza politica della città : ciò dimostra solamente una realtà che non avrebbe bisogno di dimostrazione, e cioè che il foedus, anche se era eminentemente politico, non andava disgiunto da un rito religioso. Non si può infatti negare che anche un valore politico avesse in origine la cerimonia annuale solo (1)
BKLOCH, op.
cit.,
pag.
376.
(2) Per la fedeltà a Roma ofr. Liv., V i l i 1 1 , 15. Il nome dei L a n r e n t ì n i compare inoltre nel primo t r a t t a t o pnnico-roinano ricordato da POLYB., I l i 22 per l'anno 508-507 a. C. Ivi i Lanrentìni sono considerati ouujiaxoi e XIJCI^XOOI (rispettivamente 22, 11 e 22, 4) dei Romani, cioè foederati protetti. A q n a u t o scrive il G I A N N E L L I (ojp. cit., pag. 91 seg.) non troviamo altro da aggiungere ; ad esso rinviamo anche per una breve storia della questione (ofr. le note 31 e 32 alla pag. 96 dell'op. cit.). Analoga è, in seguito, la posizione dello SHKRWIN W H I T E , op. oit., pag. 15 seg. Cfr. anche infraì pag. 50. L ' A F Z K L I U S , Die römische Eroberung Italiens^ Koebenhavn 1942, pag. 56, oonolude ohe Lavinium non si ribellò anche peroliè, data la sua posizione geo grafica, sarebbe s t a t a senz'altro incorporata qualora avenue partecipato alla guerra Latina. Roma, poi, non volendo commettere soperchiane, sarebbe ad divenuta all'idea di un t r a t t a t o rinnovabile annualmente. (3)
B E R N A R D I , art,
cit.,
pag.
92
seg.
LE CITTÀ LATINE
43
perchè a taluni (1) parve opportuno determinare al 338 la data d'incorporazione nello Stato Romano dell'antica città latina. Infatti, sebbene nessuno neghi che Lavinium abbia avuto la civitas optimo iure prima della guerra sociale, i Laurenti po terono essere in un primo tempo incorporati anche senza pieni diritti o con altre condizioni. Quanto a Capena, sappiamo da alcune iscrizioni che essa fu un municipium foederatum (2) : il significato di questa espres sione fu, come abbiamo già detto, inteso in varie maniere. Una delle più note e più discusse fu che Capena fosse detta federata derivando dalla fusione di tre centri minori (3), e po trebbe anche essere la maniera migliore ; senonchè non ci pare di poter accettare il punto di vista del Bernardi (4), il quale scrive che « ammettendo pure, per un momento, che vi siano stati dei municipio, foederata, se si ammette che Capena fu uno di questi, si cade fra l'altro in un anacronismo, perchè la pratica romana di permettere la sopravvivenza dell'auto nomia amministrativa delle città incorporate, è in ogni caso di epoca alquanto posteriore alla incorporazione dei primi cen t r i ! . Il che è indimostrato, tanto più che il Bernardi pare trascurare nella sua rassegna l'esistenza di Gabii. Ma c'è di più, perchè il titolo di municipium foederatum ci è testimo niato solo in età imperiale (5) ; ora, come Fidenae, dopo es sere stata municipium retto da Ilviri (6), ebbe in età impe riale dei dictatores (7), si può pensare ad una riesumazione di vecchi titoli e di vecchie magistrature cadute in disuso. Se dunque non si può escludere la possibilità che Gapena fosse federata in quanto costituita dalla fusione di tre borghi, non si può neppure escludere, in base alla contraddizione notata dal Bernardi, ma non dimostrata, che il titolo di municipium foederatum spettasse a Gapena proprio per unfoedus con Roma. (1)
BELOCH, loo.
cit.
(2) C. I. L. XI 3932, 393G, 3883, 3876a. (3) D E ROSSI, in Bull. Arch. Crist., IV (1883), pag. 115 segg. (4) BERNAUDI, art. (5) BELOCH, op. cit.,
oit.,
pag.
pag.
94.
446.
(6) C. I. L. XIV 4063. (7) Cfr. C. L L. I 8 1709; XIV 4068. Sa di oiò si veda infra, pag. 112 aeg.
44
PER LA STORIA DEL
CONCETTO DI MUNICIPIUM
Anche in questo caso dovremo dunque concludere con un non liquet, tanto più grave quanto più inafferrabile è la natura del foedus in questione. Vediamo dunque Gabii, il municipium joederatum più an tico secondo il Belocb, che anzi nel suo « Der italische Bund » (1), lo riteneva un municipio ante litteram e considerava il foedus Gàbinum come qualcosa d'analogo al foedus Cassianum, nel senso che questo fu il primo segno della politica federale in Italia, e diede l'avvio al posteriore regolamento dei rapporti fra Roma e i municipii. Egli infatti (2) osservava che Gabii, come Fidenae e come Ostia, si trovavano da tempo molto*an tico chiuse nel territorio romano senza esser comprese nella divisione per tribù. Nella Römische Geschichte (3) egli riprende la questione riaffermando l'esistenza del foedus posta in dub bio dal Täubler(4). Ma, intanto, la distinzione fra agro Gabino e agro Eomano è fondata su di un passo di Varrone (5), che non appare di lettura troppo sicura e che il Beloch rife risce così : « (Ager) Gabinus (dictus) ab oppido Gabiis, peregrinus ager pacatus, qui extra Bomanum et Gàbinum, quod uno modo in his seruntur auspicia, dictus peregrinus a pergendo, id est progrediendo, eo enim ex agro Romano primum progrediebantur, quocirca Gabinus quoque (Scaligero, ms. : quo sive) peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, a reliquo discreto ». A parte la lettura — che non interessa ora discutere in modo speciale — pare evidente che l'accenno che si fa a fun zioni religiose, come gli auspicia, faccia convergere l'atten zione dello studioso piuttosto su un rapporto appunto reli gioso intercorrente fra Roma e Gabi, che su un qualunque rapporto politico. Mail Beloch, che in questa sua ultima opera attenua di molto la posizione assunta in « Der italische Bund », scrive ancora che quattro città latine — Praeneste, Tibur, Ardea e Gabii — mantennero fino al tempo della guerra sociale (1) (2) (3) (4)
BELOCH, Der italische Bund, pag. 118. I D . , ibid., pag. 47. I D . , Rom Oesch., p a g . 155 seg. TXÜBLER, Imperium Romanum, I 382.
(5)
VARRO, de l. I. V
33.
LE CITTÀ LATINE
45
la loro e Selbständigkeit » (1) e respinge fra le interpolazioni i due tribunati consolari della gens Antistia, essendo propenso a fare altrettanto perii tribunato della plebe della stessa gens (2). Va anche più oltre, negando fede alla devotio di Gdbii di cui parla Macrobio, perchè la ritiene in contrasto con desistenza del foedus. Ma se questa argomentazione non è metodica, as sai dubbio è anche che la devotio escluda il foedus. Possiamo anzi affermare che un foedus, specialmente se di carattere re ligioso, presuppone sovente la devotio : si ricordino i vari esempi da cui si apprende che i Ko mani « restituiscono > i sacra ad una città sottomessa a patto che essi siano comuni anche al popolo Romano. Si tratta in questi casi, senza dubbio possi bile, di un Joedus che si stringe fra vinti e vincitori, dopo che questi ultimi — in seguito alla devotio — ne hanno evo cate le divinità (3). Il foedus Gaoinum può essere senz'altro di questo tipo. Nulla, almeno, pare opporsi a questa possibilità : non la mo neta che ricorda il foedus populi Romani cum Gaoinis (4) senza specificare il tipo di foedus, non la ricordata elezione — vera o falsa che sia poco importa — di membri della gens Antistia a cariche pubbliche in Roma (5), perchè, come osserva lo stesso Beloch, non era difficile a cittadini del Lazio entrare nella cittadinanza romana e tanto meno — come pare nel caso nostro — fra i plebei (6). Al contrario l'assenza del nome di G ab vi dall'elenco delle città latine federate che fondarono il lucum Dianium presso il lago di Nemi (7) potrebbe affermare soltanto che Gabii non è membro di quella Lega Latina, pò litica, che ha fondato Para di Diana nel bosco Aricino. Per quanto, poi, riguarda la distinzione fra ager Gàbinus (1) BELOCH, It. Bund, pag. 155.
(2) ID., ibid., pag. 156. (3) Valga l'esempio di Lanuvium in Liv., Vili 14, 2. (4) BABKLON, Monnaies de la Rép. Romaine, I 149, n° 65 seg. (5) Su di essa ofr. BELOCH, R. G., pag. 156.
(6) Sulla possibilità ohe soli i membri della classe governante latina potessero ottenere Voptimum tue equiparandosi ai patrizi romani si veda ZUMPT A., Studia Romana, pag. 365 ; oit. da SHKRWIN WHITE, op. cit., pag. 34.
(7) BELOCH, It. Bund., pag. 47.
46
Î>ER LA STORIA DEL CONCETTO DI MÜNICIPIUM
e ager Romanus, nulla vieta di pensare che il territorio gabino costituisca dal punto di vista religioso una categoria per sé stante perchè, unito al romano in epoca anteriore a quello delle altre città latine, ebbe la propria condizione regolata da uno speciale foedus. Appare dunque metodicamente impossibile affermare che Gabii fosse un municipio ante luterani almeno nel senso vo luto dal Beloch : si potrà invece pensare che, sottomessa a Roma per deditio, perdesse la sua autonomia religiosa, tanto che il suo agro fu, in certo modo, considerato di pertinenza romana, almeno dal punto di vista degli auspicia. Ma resta dubbio se non abbia invece mantenuta una certa autonomia amministrativa : l'esistenza di Illlviri (1) parrebbe infatti di mostrare che Gabii nou ebbe prima della guerra sociale la cittadinanza né di pieno diritto né senza suffragio : da questo punto di vista seguì, in certo modo, le sorti di Tibur e di Praeneste. Ma può anche dimostrare soltanto che Gabii non ebbe fino alla guerra sociale una costituzione municipale re golare o che, comunque, la vecchia costituzione non fu rite nuta sufficiente (2). Quanto a Tuscuhim essa partecipò alla guerra latina del 340 (3). Questo fatto ha suggerito al Beloch (4) l'ipotesi che essa non fosse ancora stata incorporata nello Stato Romano prima di quella data, mentre la tradizione è esplicita nel regi strare tale incorporazione nel 381 (5). Il Bernardi si è opposto a questa conclusione, osservando che l'insurrezione dei Tuscolani nel 340 prova soltanto che « il conseguimento della cit tadinanza romana, anche quella con i pieni diritti politici, ebbe sempre la forma di un'imposizione dalla quale, se se ne offriva l'occasione, i cosiddetti beneficiati cercavano di libe(1) C. I. L. XIV, pag. 278. (2) L'AFZKLIUS, op. cit., pag. 54, pensa che Gabii avrebbe avuto una « Kenkostitaiernng » dopo la gnerra sociale, essendo « so verfallen » ohe tale rinnovamento era necessario. Fino a tale momento sarebbe stata — come già aveva suggerito il BELOCH — un munioipium foederatum. (3) LlV., Vili 14, 4 ; ofr. 7, 2. (4) BELOCH, R. G., pag. (5) Liv.,
318.
VI 25-26 ; PLÛT., Cam, 38 ; ofr.
DION. HAL. XIV
6, 9.
47
LE CITTÀ LATINE
rarsi > (1): e questo può essere senza dubbio vero nella so stanza. Ma c'è subito da fare un'osservazione assai importante : come si dimostra che Tuscolo ebbe, nel 381 o nel 338 poco importa, la piena cittadinanza ! Oon la considerazione, si ri sponde (2), che i Tuscolani entrano ben presto nella vita po litica di Eoma conseguendo anche le maggiori magistrature romane. In realtà ciò sarebbe stato impossibile se i Tusco lani fossero stati dei cives sine suffragio ; ma il primo esem pio di Tuscolani magistrati romani è del 322(3). Prima di tale data non si può dunque affermare — per questa via — che i Tuscolani fossero cives optimo iure : nel 338 a Tuscolo non avviene nulla di sostanzialmente nuovo : « Tusculanis servata civitas, quam habeoant, crimenque redellionis a publica fraude in paucos auctores ver sum > (4). Tuscolo è dunque la più antica città fra quelle di cui si parla a proposito delle disposizioni del 338, che abbia conseguito la cittadinanza ro mana, ma il problema rimane — da questo punto di vista — quello stesso che è per Lanuvium, Arida, Nomentum e Pedum : quale tipo di cittadinanza è quello di cui si tratta 1 Per Tusculum, tuttavia, si può porre il problema su altre basi, senza pregiudicare la soluzione del problema del 338. Vero è che, se Festo-Paolo (5) elenca Tusculum fra i municipii senza suf fragio, Dionigi d'Alicarnasso (6) scrive che i Romani « jtoXiteuxv eyvœaav TOLÇ xQatTyfrelai xaQioaaûai, Jtdvtcov ^leTaôovteç (óv tolç TcD^aioiç netfjvj, e per Pesto-Paolo si deve tener presente il dubbio cui abbiamo accennato discutendo il valore della sua testimonianza. Meno chiara è invece la frase di Cicerone (7) — municipium antiquissimum —, giacché non è detto che si debba intendere municipium optimo iure. Ma nulla ci auto rizza a considerare Tusculum come municipium foederatum. Col titolo di municipium foederatum, infine, fu indicata (1)
BERNARDI, art.
cit.,
(2) BELOCH, R. G., (3) PLIN., n. Ä. VII
pag.
pag.
94, n.
5.
379 ; BERNARDI, toc.
136 ; ofr.
BELOCH, R.
oit.
G.f pag.
(4) Liv., V i l i 14, 4. (5) *E8T. ap. PAUL. S. V. Municipium, pag. 155 L. (6) DION. HAL., XIV
6,
9.
(7) C i c , pro Plane. 8 ; 19.
379.
4S
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICiPIUM
talora anche Arida (1): il termine compare anzi esplicitamente solo per Arida e per Capena; ma per Capena permane il dub bio che abbiamo espresso e per Arida — municipium vetustate antiquissimum, iure foederatam — non bisogna dimenticare che essa fu federata, ancora secondo lo Sherwin White (2), molto tempo prima del 338, anno in cui, con Pedum e Nomentum, fu trattata « eodem iure quo Lanuvini >. L'afferma zione del Beloch secondo cui anche queste tre città furono municipii federati con pienezza di diritti politici perchè tale sarebbe stata Arida, verrebbe dunque a cadere automatica mente quando si ammettesse la preesistenza del foedus Aridnum. Cicerone, comunque, scrive: « Quod antera municipium non contemnit is, qui Aricinum tanto opere despidt vetustate antiquissimum, iure foederatum, propinquitate paene flnitimum, splendore municipium honestissimum ? » (3). Pare evidente che vetustas, ius, propinquitas7 splendor, siano caratteristiche varie messe innanzi per magnificare il municipio Aricino e che l'accento cada su quei vocaboli più che sugli aggettivi cor rispettivi : antiquissimum, foederatum, paene flnitimum, honestissimum. Anzi se si può pensare ad un climax, ascendente o discendente non importa, «foederatum » ha qui minor valore che altri aggettivi. Pare chiaro anche che Cicerone non sen tirebbe la necessità di parlare di questa caratteristica se, pur essendo comune ad altri municipii, non distinguesse il gruppo cui appartiene Arida da municipii con diverso carattere : ed allora è facile mettere in contrasto questi municipii, che hanno una forma di costituzione interna tanto diversa dai municipii costituiti, ad esempio, lege lidia, con questi ultimi. Ma ciò non autorizza a pensare che sia gli uni che gli altri avessero la stessa origine o gli stessi diritti. A ciò si oppone una constatazione già fatta dal Mommsen (4) ed ormai divenuta (1) Cic, Phil III 6, 15; ofr.
BELOCH, (2) SHERWIN WHITE, op. cit., pag. 58.
R. G., pag. 378 seg.
(3) Cic, Phil. Ill 6, 15. (4) MOMMSEN, op. eit., Ill 1, pag. 774. Cfr. KORNEMÀNN, loo. cit.t 576 ; BERNARDI, art. cit., pag. 94.
40
LE CITTÀ LATINE
di dominio comune, che noi enunceremo anche più chia ramente così : optimum his e foedus sono in contraddizione fra di loro, perchè non si può concepire un foedus politico fra concittadini (1). E quindi Arida non ha, al momento al meno del foedus, la cittadinanza romana di pieno diritto. È forse un municipio del tipo più antico (vetustate antiquissimum) che soltanto in un secondo tempo — nel 338 — entrò nel novero di quelli « quorum dvitas universa in dvitatem Romanam venit». Soltanto quando ciò avvenne Arida si trovò nella condizione di poter essere affiancata a Caere ed Anagnia (2), che pur non godettero di pieni diritti. La teoria del Beloch appare dunque difficilmente soste nibile, salvo nel caso in cui per foedus s'intenda non già «Bündnis», ma «Vertrag» come egli appunto sottolinea(3), concludendo che un munidpium foederatum è un comune en trato nello Stato Eomano (römischer Staats verband) per un « Vertrag » e non per unilaterale decisione del popolo Eomano. Bisogna però considerare che questa affermazione implicala convinzione che munidpium sia lo stesso che dvitas e, anzi, dvitas optimo iure : il Beloch, infatti, mostra di credere che la prima categoria di municipii comprenda città che, come dice Paolo, non avevano il Bürgerrecht, ma, per liberare il campo da questa incomoda definizione, afferma anche che «diese Categorie kommt folglich für unsere Frage nicht in Betracht » (4) ; e soltanto nella seconda categoria egli rintrac cia municipii « quorum dvitas universa in dvitatem Romanam venit » o per foedus o per deditio. L'affermazione pare arbi traria perchè non è detto a priori che un municipio della prima categoria non possa essere un munidpium foederatum. Ma c'è di più perchè, se noi poniamo mente al fatto che, se ti) Che Cicerone {loo. cit.) parli di iu8 può essere di scarso rilievo: an. ohe sol fas pnò essere fondato un ius : tale è il oaso delle città che godono il tua di carnem accipere. Si t r a t t a di un antioo diritto di città federate che permane anohe quando il foedus ohe le legava ha perduto ogni carattere po litico. (2) S. v. Munidpium, p. 155 L. (3) B E L O C H , B.
Q., pag.
379.
(4) I D . , ibid., pag. 377. 4
50
P E R LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICÌPIÙM
condo le nostre fonti, le prime città latine incorporate nella civitas Romana sono, oltre Tusoulum e Gàbii (?), appunto ta lune di quelle che il Beloch chiama federate — Arida, Lanuvium, Nomentum, Pedum —, dovremmo, per rimanere al Beloch, concludere che solo col 338 queste città poterono di ventare municipii federati, perchè solo in tale data esse eb bero appunto la civitas. Ma il foedus Àricinum a noi noto pare di gran lunga anteriore (1), e quindi dovrebbe essere anteriore anche alla concessione della civitas, sia essa ovtimo iure o sine suffragio. Se, dunque, è possibile e verosimile ammettere l'esistenza di municipii federati, non già nella concessione della civitas optimo iure dovremo cercarne l'origine, ma in foedera diversi, anteriori ad essa (2). Di tali foedera noi abbiamo notizia — talora direttamente, talora indirettamente — dalle fonti antiche : si pensi ai le città menzionate nel primo trattato punico-romano, la cui data noi crediamo riferibile al periodo della Eoma etnisca (3) : Lavinium, Ar dea, Antium, Circeii, Suessa Pometia e Tarracina vi sono considerate come WCTJXOOL, ma anche come ov\L\iaypi, cioè come sodi dipendenti da Roma. Inoltre conosciamo i foedera con Gahii e con Grustumerium (4). Il foedus rinnovato coi Laurentes potrebbe essere quello stesso implicito nel foedus punico-romano, quello con Arida di poco posteriore alla cacciata dei Tarquinii (5). In tal modo il termine di municipium foederatum si riporterebbe ad una (1) Seoondo lo S H B R W I N W H I T E , op. oit., pag. 26,
il foedus
Aricìnum
sa
rebbe da porre nel V secolo, snbito dopo la oacoiata dei re. I n realtà Arida non compare nel primo t r a t t a t o pnnico-romano, su cui ofr. supra, p a g . 42, n. 2. (2) Sarà opportuno rioordare anche l'acuta osservazione del FREZZA, art. cit., p a g . 384, seoondo oui, poiché un foedus può segnire anche ad u n a deditio (ofr. H K U S S , loo. cit.) « viene a mancare il fondamento un oh e dell'altra affer mazione del Belooh, che municipia foederata possono essere stati soltanto dei oomoni oni Roma aveva sin dal momento della loro annessione uonoessa la oittadinanza optimo iure ». À questa debolezza fondamentale della tesi del Belooh abbiamo aooennato a pag. 22 con note 2 e 3. (3) Cfr. supra, pag. 42, n. 2. (4) Cfr. u l t i m a m e n t e S H E R W I N W H I T E , op. cit., pag. 18 seg.
(5) Cfr. ID., ibid., p a g . 26.
LE CITTÀ LATINE
51
epoca anteriore alla pace del 338: e resterebbe da spiegare solo il fatto che questo titolo non compaia anche per Tuseulum, incorporata nel 381 ; ma Tuscultim ebbe nel 381 la civitas, divenne cioè municipium non per un foedtis, ma proprio perchè ebbe la civitas (1) come poi, nel 338, essa fu data a Laimvini, Aricini, Nomentani e Pedani. Il problema che ci troviamo di fronte è dunque ora uno solo : di che tipo di civitas si tratta nel 338 ? LA CIVITAS DELLE CITTÌ LATINE.
L'ipotesi che ben presto Eoma abbia concesso la civitas optimo iure alle città del Latium vetus, trova oggi concordi tutti i critici (2). Le fonti che si ritengono utili al riguardo si riferiscono a Tuseulum (3), Arida, Lanuvium, Nommtum e Pedum (4), ed infine a varie città sabine e latine (5). Ma le fonti letterarie non valgono a mostrare quando pre cisamente i Latini abbiano avuto la civitas optimo iure, seb bene sia presumibile che l'abbiamo ricevuta ben prima di quelle città non latine cui fu concessa innanzi la guerra so ciale (6). Né valgono altre testimonianze di cui non si riesce a scorgere il legame con il nostro problema. (1) Liv., VI 26, 8 : tpacem in praesentia neo ita multo post civitatem etiam impetraverunt ». Cfr. V i l i 44, 4 : « Tusculanis servata civitas, quam habebant », (2) BELOCH, Ä. G.j pag. 377 segg. ; KORNEMANN, loc. cit., 570 segg. ; SHERWIN
W H I T E , op. cit., p a g . 56 seg.
(3) Cfr. supra, p a g . 46 seg. ^4) Liv., V i l i 11 ; V i l i 14 ; ohe però non dice ohe si t r a t t i di optimum ius ; ofr. supra, p a g . 40 segg. (5) C i c , pro Baiò. 13, 31 ; de off. I 11, 35. (6) Per Tuseulum ofr. supra, pag. 46 seg. Per Arida, Lanuvium, Nomentum e Pedum cfr. supiat nn. 4 e 5 e pag. 40. Nulla ai pnò ricavare di oonoreto dal passo di VELL., I 14, poiohè questo è assai incerto e oorrotto : cfr. BOLAFFI ad loc. nell'ed. da Ini onrata per il Corpus Paravianum. Quanto ai due passi di Cicerone {pro Balbo 13, 31 ; de off. I 11, 35) vi si parla soltanto di civitas senza indicazioni cronologiche e senza speoifioazioni particolari. Si noti che nel secondo paBso troviamo affiancati « Tusculanos, Volsoos, Jequos, Sabinos, Hernioos », la cui storia appare diversa per molti punti di vista. Una particolare disonssione meriterebbe il passo della pro Balbo per taluni problemi ohe pro-
52
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICÌPIUM
La costituzione delle due tribù Scaptia e Maecia (1;, avvenuta per inquadrarvi novi cives, non differisce sostanzial mente da quella delle tribù Amen sis, Stellatina, Tromentina, Sabbatino,, avvenuta per lo stesso motivo nel 387 (2) : i « novi cives » ceusiti nel 331 possono essere quei plebei cui si dette Pagro confiscato ai ribelli (3), capitecensi non più tali cbe entrano per la prima volta nel censo come proprietari di terra. E' la stessa cosa per le tribù già ricordate, che furono create pone, raa, poiché permane il dubbio che Cicerone scriva in qnesto oaso sotto rinflnsso di considerazioni contingenti, ci si limiterà a trascrivere le sue pa role : « Ex Latio multi, ut Tusculani, ut Lanucini, et ex ceteris generibus gente* uni' versae in civitatem sunt receptae, ut Sabinorum, Folscorum, Hernicorum ; quibus ex oivitatibu8 nec coacti essent civitate mutarif si qui nolnissent, nec si qui essent civitatem nostrani beneficio populi Romani consecuti, violatum foedus eorum videretur ». Si potrebbe qui oredere a d d i r i t t u r a ohe t u t t i oostoro mantenessero per foedus una propria oivitas, alla quale non dovessero rinunziare se non di loro vo lontà, mentre avrebbero ottenuto la civitas romana solo in taluni oasi « p e r be neficio » del popolo Romano. Ma oiò potrebbe derivare dal fatto che Cicerone perora la causa di Balbo, cui appunto si contesta il diritto di cittadinanza romana perchè già cittadino di Gades, e oioè proprio di u n a città federata (Cic, pro Balb. 15, 34 seg. ; cfr. Liv. XXXII 2. Nel 49 a. C. Cesare le conferì il d i r i t t o di c i t t a d i n a n z a : Liv., ep. C ; CABS,
D I O X L I 2 4 ; COLUM., V i l i 16, 9).
Quanto al foedus si veda infra, pag. 86 segg. ; quanto al « beneficio», potrebbe forse essere inteso nel senso che in taluni casi si concedesse l'optimum ius a membri di mnnioipii sine suffragio; quanto all'assenza dell'obbligo di m u t a r e civitas, può t r a t t a r s i della reminisoenza del fatto ohe talune città rifiutarono la Civita« sine suffragio (cfr. su questi rifiuti S H E R W I N WHITK, op. cit., pag. 46 seg.). Potrebbe pertanto trattarsi dell'affastellamento da parte di Cicerone di condizioni di diversi momenti, per q u a n t o oiò possa sembrare strano. (1) L i v . , V i l i 17, 11. (2) L i v . , VI 5. I Veienti, i Capenati e i Falisoi ohe oome novi cives eb bero assegnazioni di terreno (Liv., VI 4, 4) non erano dei vinti, ma individui ohe per ea bella transfugerant ad Romanos. Solo questi entrarono dnnque nelle nuove tribù, e si t r a t t ò di un'eccezione analoga a quella degli Anziati ammessi nella oolonia istituita nel 338 (Liv., VIII 14, 8 : nova colonia missa cum eo, ut Jntiatibus permitteretur, si et ipsi adscribi coloni vellent). Livio sottolinea questi due avvenimenti probabilmente proprio perchè erano eccezionali. Ma nel oaso di Antium gioverà notare ohe si t r a t t a v a forse già di una colonia romana (ofr. Liv., I l i 1) ancbe se da tempo staocatasi d a Roma. (3; L i v . , VIII 11, 1 3 : « Latium Capuaque agro multati, Latinus ager, Privernati addito agro, et Falernus, qui populi Campani fuerat, usque ad Fulturnum flumen plebi Romanae dividitur ».
LE CITTÀ LATINE
53
in territorio tolto alla distrutta Veli e distribuito a nuovi co loni (1). Né hanno un valore probante in senso opposto le do cumentazioni epigrafiche riflettenti l'esistenza, anche in epoca imperiale, di istituti normalmente riguardanti comunità indi pendenti : senatus, populus, census (2), poiché, in ultima analisi, potrebbe trattarsi di veri fossili. Già il Mommsen, del resto, ammetteva la permanenza di un'autonomia locale dei municipii anche dopo la concessione dell'optimum ius, affermando che ciò sarebbe avvenuto perchè «quando le città di semi cittadini ottennero il diritto di suffragio, quando altre città allora autonome ottennero immediatamente i pieni diritti, l'in dipendenza comunale era probabilmente già troppo sviluppata perchè si potesse — cambiando la loro posizione personale — ritirare ai popoli ammessi al diritto di suffragio romano o ricevuti nell'unione romana gli elementi della autonomia, i loro magistrati propri, il loro consiglio comunale proprio e i loro propri comizi » (3). Ma sarà opportuno tener presente che quella documentazione, comprovante l'esistenza di pcpuli e di res ptiblieae distinte dal populus e dalla res publica di Roma, è altrove ritenuta dallo stesso Mommsen prova dell'impossi bilità di credere all'esistenza per essi dell'optimum ins (4). Dob biamo comunque ammettere che le citta latine, salvo Tibur, Praeneste e Gabii (1), poterono mantenere i nomi ricordanti (1) Liv., V 30, 8 : « . .. agri Veientani septena iugera plebi dividuntur . . . ». Cfr. però la n. 2 a pag. 52. (2) Cfr. Indices in C. I. L., special inente I a e XIV. Quanto all'esistenza di n a populus e di a n senatus in quasi tatto le città latine, si può pensare anche alla benevola concessione da parte di Roma di titoli, quasi, onorifici, privi di ogni senso reale, ma giustificati dalla persi stenza di ana certa autonomia locale. Sarà anche opportuno non sopravvaintare la circostanza ohe speciali magistrati oompaiono ogni lustro oon fun zioni censorie (a Tusoulum, per esempio, l'aedi«« quinquennalis o lustrali»), perchè dopo la guerra sociale il censo dovette essere affidato in ogni singolo oomune a magistrati looali e non possiamo peroiò avere la certezza ohe, ad esempio, gli aediles lustrales di Tusoulum siauo praticamente diversi dai Ilviri o dai I l I I v i r i quinquennali di qualunque colonia o municipio del nuovo ordinamento. (3) MOMMSKN, op. cit.,
Ili
1, pag.
779.
(4) Cfr. il caso di Tusoulum e del suo populus infra, p a g . 54 seg.
in Livio, su cui si veda
54
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
la loro libertà anche dopo la concessione dell'optimum ius e si differenziarono da Tibur e da Praenestè apparentemente sol tanto perchè queste due città erano federate, essendo stata la punizione loro imposta nel 338 limitata ad una confìsca di territorio (1). Ma, in realtà, i nuovi municipii avevano do vuto accettare di entrare nello Stato Eomano mentre Tibur e Praenestè mantenevano invece, con ogni verosimiglianza, un foedus sul tipo di quello che in precedenza aveva regolato i rapporti fra Roma e la Lega Latina (2) : mantenevano cioè, almeno, il diritto di provvedere localmente alla leva dei con tingenti di truppe richiesti da Roma. In altri termini, Tibur e Praenestè mantengono il vecchio foedus su di un piede di apparente parità, le altre città hanno una autonomia locale concessa soltanto dalla generosità di Roma, di cui sono state dediticiae. Dobbiamo tuttavia tener presente che, pur ammettendo che le città latine abbiano avuto almeno in un primo tempo la civitas sine suffragio, il Mommsen mise in evidenza gli elementi utili per credere che ben presto esse abbiano otte nuto Voptimum ius. E alla sua tesi pare prudente attenersi anche se talvolta il Mommsen* pare in contraddizione con se stesso. Ciò si riferisce specialmente a quanto dice di Tuscolo e di Lanuvio, i soli municipii latini, invero, su cui gli sia possibile impostare la questione. A proposito di TuscuJum, infatti, egli (3) osserva che alle espressioni delle fonti in cui si parla di civitas (4) si possono contrapporre : a) un passo di Tito Livio (Vili 37), b) la testi monianza di Festo-Paolo. Tralasciando quest'ultima — il cui valore è soggetto al dubbio da noi avanzato a suo luogo —, ci soffermeremo ora sul passo di Livio per osservare che in esso si parla di un «poyulus Tusculanus >, che pertanto an drebbe ben distinto dal populus Bomanus ancora nel 323 a. 0. : (1) Liv., Vili 14. (2) Cfr. supra, pag. 31 segg. (3) MOMMSBN, op. cit., Ili 1, pag. 177, n. 1. (4) DION. HAL., XIV 6; 9 ; PLUT., Cam. 38 ; ofr.
$upra, pag. 46 seg.
Liv.,
VI 26, 8.
Si Teda
LE CITTÀ L A T I N E
55
secondo il Mommsen non si può per quella data parlare di civitas optimo iure. Tuttavia egli ritiene che Tusculum abbia avuto questo diritto « molto tempo prima di Atina (1), in un'epoca antica, probabilmente prima di qualunque altra città di semicittadini >, ma la sua ipotesi si fonda soltanto sul l'espressione « municipium antiquissimum » usata da Cice rone (2), e sul noto passo dello stesso autore (3), secondo cui < ex Latto multi, ut Tusculani, ut Lanuvini, et ex ceteris gé». Ma nérions gentes universae in civitatem sunt receptae non v'è chi non veda che è impossibile basare la credibilità della concessione dell'optimum ius soltanto sulla definizione di municipium. Unico elemento a disposizione per contrastare la testimonianza di Dionigi resterebbe dunque la documen tazione dell'esistenza di un populus Tusculanus distinto dal populus Romanus. Ma l'espressione non va forse presa in senso assoluto perchè il passo di Livio letto nel suo contesto as sume un significato generico. E' certo invece che Catone non era più un forestiero in Borna se si può credere a Cicerone (4). Per quanto riguarda Lanuvium, la situazione è press'a poco la stessa che per Tusculum. Il Mommseu, appoggiandosi sul passo di Fes to Paolo che noi già abbiamo accantonato per quanto riguardava Tusculum, mette in dubbio la testimonianza liviana e crede che, secondo il passo della *pro Balbo» già citato, Lanuvio sia giunta probabilmente all'optimum ius solo dopo Tusculum (5). Ma dal passo in questione non si può ri cavare nulla di sicuro. La data precisa della concessione del l'optimum ius resta dunque un mistero. Indipendentemente da questo problema, sarà per noi in teressante notare che la concessione dell'optimum ius non mo dificò sempre le amministrazioni locali. La permanenza delle funzioni sacrali delle varie magistrature ne è certo una prova (1) Per Atina oonverrà tener presente ohe la data del 102 fissata oome terminus ante quem per la concessione dell'optimum iu/t è molto incerta. Sn ciò ofr. infra, pag. 149, n. 3. (2) C i c , pro Plano. 8, 19. (3) I D . , pro Baiò. 13, 31. (4) I D . , de leg. II 2, 5. Il significato si ricava dal contesto. (5) MOMMSEN, op. cit., III 1, pag. 177, n. 2.
56
PER
LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM
non indifferente, poiché noi sappiamo che perfino ad Anagma — dove ai magistrati fu tolta ogni altra incombenza — ri masero ad essi queste funzioni (1). È questo un fenomeno analogo a quello per cui soprav vissero i foedera con Gabi e coi Laurenti e continuò a cele brarsi la solennità sul Monte Albano anche quando tutti i comuni interessati facevano già sicuramente parte integrante della civitas Romana con pieni diritti. Yale a questo proposito l'osservazione dello Sherwin White, che il dittatore di Lanuvio è un Lanuvino (2), ma — anche più — il fatto che questo dictator abbia incombenze sacrali. Altri argomenti, comunqu e, troveremo a suo luogo quando esamineremo le varie magistrature. (1) A proposito del termine municipibus usato da Livio nell'espressione « aedes lucusque Sospitae Iunonis communis Lanuvinis municipibus cum populo Jiomano esset*, lo S H E R W I N W H I T E , op. cit., p a g . 56, osserva ohe dall'interpre tazione di esso dipende la solnzioue del problema se si trattasse per le c i t t à latine di civitas completa oppure no. Ed osserva ohe Livio pare qui distinguere nettamente fra civitas e municipium : le oittà latine sarebbero dunque divenute municipia, i loro oittadini munioipes. I L a n u v i n i , pertanto, municipes, non sa rebbero stati dotati della civitas optimo iure. Sulla questione vale ancora, so stanzialmente, la discussione del Momnisen, di oui già s'è detto. (2) Cfr. infra, pag. 89.
III. LE CITTÀ SENZA SÜFFEAGIO E LE PKEFETTUBE
LA OIVITAS SINE SUFFRAGIO. Dopo quanto abbiamo visto crediamo opportuno tornare per un momento a Festo (1). Delle due definizioni di municeps da lui riferite sarà forse possibile ormai collegare la prima al momento dei foedera di volta in volta stipulati da Eoma con altre città, foedera da cui può esulare totalmente il con cetto di oivitas, ma questa possibilità sussiste solo a patto di distinguere il municipium originario dalla civitas sine suffragio ; la seconda definizione si riferisce invece senza sforzo ai municipii di cives creati per la maggior parte nel 338. Delle tre definizioni di municipium riferite da Festo-Paolo po tremo invece supporre che la prima, se può distinguersi dalla seconda, trovi conferma nel fatto che i più antichi municipes divennero tutti — post aliquot annos — dei veri e propri Gives in conseguenza della civitas data ai loro comuni. I muni cipii della seconda categoria corrispondono invece senza dub bio alla seconda definizione di municeps, quella di Servio Sulpicio riferibile ai municipii del 338. Se gli esempi addotti da Servio — dimani, Acerrani, Atellani — non sono identici a quelli ricordati da Festo-Paolo —Aricini, Gaerites, Auagnini —, ciò non costituisce affatto una prova in contrario per quanto affermiamo. Poiché tutti i municipes del primo tipo — i non cives, si trasformarono presto o tardi in cives con la creazione dei municipii della seconda categoria, è evidente che FestoPaolo, elencando Acerrani e dimani fra gli esempi della prima categoria, non avrà dovuto credere necessario riferirli anche
(1) FEST.,
S. V.
Municeps.
58
PER LA STOMA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
alla seconda: bastava l'accenno, da lui ritenuto abbastanza esplicito, che «post aliquot annos cives Romani effecti stmt* (1). È la condizione dei Lanuvini e dei Tuscolani che, pur dive nendo cives solo in un secondo tempo, potevano essere so stanzialmente municipes — se è verisimile quanto abbiamo supposto — già da epoca anteriore. Nella seconda categoria di municipio,, poi, troviamo come esempi Aricini, Caerites, Anagnini : non è detto che queste tre città siano divenute municipii solo dopo la concessione della civitas : da Festo-Paolo possiamo solo desumere che fu rono municipii dotati della civitas senza conoscere la data della concessione. Festo può dunque essere creduto : Tesarne della documen tazione a nostra disposizione lo ha confermato quasi su ogni punto. Ma anche ultimamente esso è stato discusso a fondo da uno studioso come il Kornemann (2), il quale, tra l'altro, (1) Fra i vari significati ohe si sono volati dare alla frase di Festo-Paolo « qui post aliquot annos cives Romani effecti sunt », mi pare senz'altro da scar tare quello proposto dallo SHBRWIN WHITE, op. cit.t pag. 38, n. 9. Egli, in fatti, pare intendere la frase oome riferita ad individui la oni civitas era sol tanto potenziale : essi potevano divenire cives emigrando in Roma e rimanere tali finobè servivano in legione ; ma non si vede come il legame fra l'espres sione di oni oerohiamo il significato e la definizione dello Sherwin White possa essere inteso. Meno nebuloso, ma forse uon meno impreoiso, è il BERNARDI in Athenaeum 1938, pag. 242, secondo il qnale si tratterebbe di individui ohe ottengono i pieni diritti poco dopo l'immigrazione in Soma. Ma questa era già implici tamente l'interpretazione del MARQUARDT, ohe (op. cit., pag. 32, n. 10) sugge riva a proposito delle parole « ncque cives Romani essent » che si trattasse di cives sine suffragio: questi evidentemente avrebbero potuto ottenere «post aliquot annoa» Voptimum iua. Per noi, ohe abbiamo ritenuto possibile distinguere la definizione di Elio Gallo da quella di Servio Sulpioio iuniore perchè, forse, riferibili a due momenti diversi (cfr. pagg. 28 e 57) viene a mancare la pos sibilità di aooettare con sicurezza l'identificazione del Marquardt e, conseguen temente, la deduzione del Bernardi. Restiamo inveoe oonvinti della possibilità ohe sia verosimile l'ipotesi acoolta dal KORNEMANN (loo. oit., 573 ; da RUBINO, Zeitsohr. f.
Älterlumsw. 1844,
pag. 962: GRADENWITZ, Sitzber. d. Akad. Heidelberg 1916, XIV Abh., pag. 35). Seoondo quest'ipotesi si tratterebbe di municipes di città ohe ebbero solo in seguito la civitas romana. Cfr. anohe KARLOWA, op. cit.y I, 295 seg. (2) KORNEMANN, loe. cit., 573 segg.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
59
afferma che il primo gruppo di municipii citato da FestoPaolo sia un contributo solo alla storia dei municipes e non dei municipio,. Lo stesso Kornemann, però, è costretto ad am mettere che pur trattandosi di singoli municipes, questi ap partengono a determinati comuni i cui componenti godono nei riguardi di Roma di una condizione per la quale « grie chisch gesprochen in einem isopolitischen Verhältnis zu Rom standen ». E su questo punto abbiamo già espressa la nostra opinione (1). Gli esempi addotti da Festo-Paolo per il secondo tipo di municipio sono invece assai interessanti per Paccostamento che vi viene fatto fra Aricini, Caerites e Anagnini, cioè fra rappresentanti di tre diversi gruppi etnici : Latini, Etruschi, Ernici. A questo proposito sarà però da notarsi anzitutto che a Festo non interessa la storia della civitas, ma quella del municipium. Aricini, Caerites e Anagnini sono avvicinabili fra di loro appunto in quanto per essi si può dire che la loro civitas universa in civitatem JRomanam venit, ma — almeno presso Festo-Paolo — non vi sono altri elementi atti ad in dicare se la civitas loro data fu per tutti identica. Solo si in siste sul fatto che ad un certo momento Arida, Caere ed Anagnia vennero in blocco compatto incorporate — ciascuna a suo tempo — nella civitas romana. Se ciò sia avvenuto con pienezza di diritti o meno a Festo-Paolo non interessa. Non si parla nel suo testo, per questo secondo tipo di mu nicipii, né di civitas optimo iure né di civitas sine suffragio. Lasciando in disparte Arida, che — come città latiua — si trovò forse in condizioni privilegiate rispetto alle altre due, sarà opportuno soffermarsi su Caere e su Anagnia. Con que ste due città noi entriamo nel vivo della storia della civitas sine suffragio : soltanto ora, infatti, possiamo identificare i municipes con i dves Romani che non godono del diritto di voto nemmeno trasferendosi in Roma. Ma i due esempi si riferiscono a periodi ben distinti della storia romana e sono logicamente da considerare non solo come l'espressione di una concezione fondamentalmente identica, ma anche, e soprat(1) Cfr. $upraf pag. 29 segg.
60
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
tutto, come il risultato di uno sviluppo storico rispondente a mutate necessità e a mutati interessi della città dominante. Quando Anagnia viene ridotta a civitas sine suffragio non si tiene nemmeno più conto del fatto che essa, come città ernica, ha goduto fino a quel momento degli stessi diritti di cui godono tutti gli Brnici in seguito al foedus Cassiamim : la sua riduzione a civitas sine suffragio è una cocente puni zione che si riflette non solo sui rapporti esterni della città, privata di ogni possibilità di fare una qualsiasi politica estera, ma perfino sulla sua amministrazione interna, e i suoi magi strati sono ridotti ad sacra (1). Ciò è tanto più degno di nota perchè pare un'assoluta novità : il fatto stesso che Livio senta la necessità di sottolinearlo pare infatti significare che si tratta del primo esempio del genere. Anagniay pur essendo congiunta a Roma — come ogni città ernica — da connubium e da commercium, è trattata as sai peggio di quanto fosse toccato in sorte all'etnisca Caere, una città del tutto straniera almeno d'origini. Caere infatti mantenne una certa autonomia, qualunque sia il motivo per cui fu ridotta a municipium (2). Né ci stupisce la mancanza del ius suffraga poiché questo non spettò certamente a città non latine, come infatti non spettò alle città campane che la civitas sine suffragio ebbero nel 338 (3). G eli io, infatti, afferma che i Ceriti furono i primi stranieri che divennero « municipes sine suffraga iure » in compenso dei servizi resi a Eoma durante la guerra gallica (4), e Livio parla addirittura di hospitium (5), cioè di un diritto che naturalmente doveva essere re ciproco e comprendeva senza dubbio connubium e commercium ; senonchè S trabone dice che la cittadinanza senza diritto di suffragio fu data ai Ceriti dopo una loro sconfitta per punirli
(1) Liv., IX 4 3 : « Anagninis civitas sine suffraga latioiie data, concilia conubiaque adempia et magistratibus praeterquam sacrornm curatione interdiotum ». (2) La tradizione è molto inoerta su qnesto p a n t o . Cfr. supra, pag. 26 eegg. e n. 1 a pag. 28. (3) Liv., V i l i 14, 10. (4; G K L L . , XVI
(5) Liv., V 50.
13,
7.
L E CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
61
della loro ribellione (1). Si può dunque presumere che la civitas sine suffragio sia stata data ai Ceriti allo stesso titolo per cui nel 338 fu data la cittadinanza ai Latini : secondo Livio, infatti, alla concessione daWhospithim seguì una guerra che fu conclusa da una tregua secolare (2) : ora pare evidente che questa tregua non possa essere stata accompagnata dalla concessione della cittadinanza senza suffragio poiché questa avrebbe reso inutile la tregua stessa ; e ne consegue che — se questo è vero — i Ceriti avrebbero mantenuto per un certo tempo la loro autonomia senza essere incorporati per nulla nella civitas romana. Tale condizione potè però durare relativamente poco, dato che il nome stesso delle talulae Caeritum suggerisce l'ipotesi che i Ceriti appunto siano stati i primi cives s. s. (3). In tal modo abbiamo confermata la possibilità — non la certezza — che esistano tre tipi di municipii corrispondenti ai tre esempi della seconda categoria di Festo-Paolo : Caere entra, forse, nello Stato romano come munidpium dotato di civitas dopo di aver mantenuto per un breve periodo una certa indipendenza formale, Arida diviene munidpium do tato di dvitas incompleta ma con ius suffraga e autono mia locale nel 338, Anagnia diviene munidpium perdendo addirittura la propria autonomia. Sono, comunque, tre tappe di una storia sola, tre tappe di cui specialmente due — Arida e Anagnia — svelano un mutamento di atteggiamenti di Roma verso le città vinte, che porta la dvitas sine suffragio ad un sempre più grave stato di inferiorità degli individui (1) STRAB., V 2,
3.
(2) Liv., VII 19-20. (3)
Contra P A I S , op. oit.,
IV
438
seg.
Crediamo imitile sottolineare il fatto ohe non possiamo essere d'accordo col P A I S (op. cit.t IV 212 seg.) il quale propende ad escludere la possibilità ohe Caere avesse la. civitas sine suffragio prima del 273, solo perohè egli crede ohe, se l'avesse avuta, non avrebbe potuto sooppiare allora la guerra fra Roma e Caere : esempi di ribellioni di popoli soontenti della civitas sine suffragio sono abbastanza numeroèi anche all'infuori di questo. Né pnò valere a dirimere la qnestione oronologioa il passo di Festo-Paolo, che potrebbe aver segnito an che altri criteri, come quello gerarchico : Arioia poteva avere ius suffraga mentre Caere non l'aveva sicuramente.
62
P E R LA STORIA D E L CONCETTO Dt MÜNICIPIUM
che ne sono dotati rispetto alla signoria di Roma sempre maggiormente afiermantesi. Da una condizione di parità teo rica — i patti del 338 furono da taluno considerati perfino come foedéra aequa (1) — si passa ad una vera e propria sud ditanza. Il municipium costituito sulla base della civitas sine suffragio è un comune suddito e protetto anche quando non sia trattato come Anagnia. Le frequenti ribellioni di municipii di questo tipo e i frequenti rifiuti di accettare la civitas sine suffragio sono la prova più sicura della nostra afférmazione (2). CAMPANI E LATINI.
Per comprendere il primo periodo della storia dei muni cipii senza suffragio, periodo in cui la civitas incompleta viene estesa anche pacificamente (3) a città non latine, bisogna ri farsi agli studi più recenti sull'argomento (4). Il concetto, in fatti, che la civitas sine suffragio sia, per così dire, la premessa indispensabile per il conseguimento dell'optimum ius e che come tale fosse usata dai Romani, ha tutta l'apparenza di un puro e semplice a posteriori, tanto più facile a formularsi inquantochè in Italia non rimase alcun popolo privo della piena cittadinanza romana. Non possiamo credere che quando (1) Cfr. BONPANTE, op. cit., pag. 231. Si noti tuttavia ohe di due rinvìi a L I V I O fatti d a questo studioso uno è anteriore alla pace ooi Latini ( V i l i 11), l'altro si riferisoe agii Ernioi di cui nel 338 non si parla (IX 43, 23) e che ora rifiutano la civitas. (2) Si veda su oiò anohe S H E R W I N W H I T E , op. cit., pag. 45 segg. I l
PAIS
era t u t t a v i a convinto (op. cit., IV 383 ; 391) ohe la civitas sine suffragio non costituisse u n a diminuzione per i popoli ohe la ricevevano. Della stessa opi nione fu press'a poco lo Z M I G R Y D E R K O N O P K A , seguito dallo S H E R W I N W H I T E :
dei risultati conseguiti da qnesti due studiosi si fa oenno nel paragrafo ohe segue. (3) Tale almeno pare, ad esempio, la « concessione » fatta a Formiani e Fandani nel 338 « quod per fines eorum tuta pacataque semper fuisset via », e, in certo senso, ai Campani « equitum honoris causa, quia cum Latinis rebellare noluissent», ai dimani e Suessulani ohe «eiusdem iuris condicionisqw, cuius Capuam, esse placuit » : L i v . , V i l i 14, 10-11. (4) Cfr. s p e c i a l m e n t e Z M I G R Y D E R K O N O P K A , art. cit.
LE
CITTÀ
SENZA SUFFRAGIO
È LE
PREFETTURE
63
Boina incorporò i primi cives sine suffragio abbia pensato al giorno in cui avrebbe potuto accoglierli come suoi tigli le gittimi, insieme ai discendenti di coloro che avevano portato le armi per sottometterli ; tanto meno possiamo crederlo quando osserviamo che non pochi comuni italici ebbero la civitas sine suffragio pur mantenendo la propria lingua (1) ed altri ancora furono accettati o spinti ad entrare nella comu nità romana e in ricompensa » di qualche loro atto (2). Abbiamo già detto a conclusione del precèdente paragrafo che la civitas sine suffragio implica una vera e propria sudditanza : i cives sine suffragio mantengono sovente una loro res publica, mantengono propri magistrati e propri comizi (3) ed hanno quindi una certa autonomia locale, ma a Borna, anzi tutto, cedono la direzione della politica estera. Del resto, se noi pensiamo che essi sono soggetti ai munera di Roma senza poter interferire direttamente nella sua politica, non ci riesce in alcun modo di vedere come Roma stessa potesse pensare di farne un giorno altrettanti elettori capaci di imprimere alla sua linea politica svolte nuove e forse non convenienti alle necessità e agli interessi romani. Se le comunità fornite di civitas sine suffragio ebbero in seguito Voptimum ius, ciò avvenne non già in attuazione di un preconcetto disegno ro mano, ma per desiderio loro di partecipare più attivamente alla vita politica dello Stato, desiderio che i Romani — i quali tante volte si erano aflratellaCi con essi sul campo di battaglia — non esitarono ad accogliere e soddisfare. Ma Roma
(1) Sa oiò ofr. ultimamente GOHLKR J., Mom und Italien, Breslau 1939, pag. 23 seg. Le sue oonolusioni, tuttavia, sono susoettibili di revisione. (2) Cfr. n. 3 a pag. 62. (3) Sa oiò si veda già MOMMSEN, op. cit., I l i 1, pag. 5 8 3 ; ma sogli edili ohe egli considerava u n a magistratura di rango inferiore ofr. infra, pag. 93 segg. Si noterà inoltre ohe l'espressione populus — ohe viene osata per indi care i municipe8 di queste città — può avere un valore puramente storico ed esaere mantenuta in grazia dell'autonomia locale di cai essi godono sia pure entro determinati limiti (su oiò ofr. supra, pag. 53 e n. 2). Si veda anohe, su altri basi, ZMIGRYDBR KONOPKA, art. cit., pag. 596 seg. ; ofr. SHKRWIN W I T I , op. oit., pag. 40 segg. e 45 segg.
64
PER LA STORIA DEL CONCETTO Di MUNICIPIUM
non coucesse la piena cittadinanza se non a chi spontanea mente ne avesse accoltele leggi, tutte le leggi (1). La civitas sine suffragio sorse dunque da necessità di di verso tipo. L'aver tentato di rintracciarle, sebbene il risultato non sia in gran parte accettabile, è — ultimamente — merito dello Zmigryder Konopka. Punto di partenza per la sua ricerca sono le ion ti riguar danti gii équités Campani, i quali sono detti talora cives Romani, talora sodi. Dalla rassegna dei passi di Livio, che sono almeno apparentemente in contraddizione gli uni con gli al tri, di Di odoro, di Dionigi d'Alicarnasso, di Appiano, di Po libio, egli crede di poter concludere, superando le posizioni del Mommsen già ricordate, che « il faut donc supposer qu'une ville par le fait même d'être municipium ne perdait pas son caractère essentiel d'état autonome — cela veut dire la pos session complète de son territoire (2)», e, poco dopo, che munieipia sine suffragio sono civitates con formale indipendenza politica : « le don de la civitas s. s. ne signifiait pas que la particularité de la civitas fut effacée > (3). Eesta, ben inteso, assai dubbio che la civitas sine suffragio sia un « dono > (4), e non pare sufficientemente dimostrato che municipium sine suffragio indichi una comunità autonoma entrata nell'orbita di Eoma soltanto con certi obblighi mi litari. Per quanto poi riguarda particolarmente Capua, città che poteva rivaleggiare per importanza con la stessa Eoma, pare possibile che essa abbia avuto proprio per la sua importanza un trattamento particolare rispetto alle altre città annesse allo Stato Eomano. E pertanto la dimostrazione dello Zmi gryder Konopka — pur se si potessero sottoscrivere tutte le
(1) Cfr. a proposito della lex Iulia de civitate la clausola riferita da C i c , pro Éalb. 8, 21 : « ut qui fundi populi facti non essent, oivitatem non haberent». Non v'è motivo di oredere ohe anteriormente l'optimum ius fosse oonoesso in modo diverso. (2)
Z M I G R Y D E R K O N O P K A , art
(a) ID., riid., paff. 597. (4) Liv., V i l i 30.
cit.,
pag.
596.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
65
sue affermazioni riguardo a Oapua — non sarebbe estensi bile cou sicurezza a tutti i municipii di cices sine suffragio. Accettando tuttavia la dimostrazione dello Zmigryder Konopka, lo Sherwin White può dire che « Festus gives only the roman point of view, and hênce imply that it was a dis advantage to be a civis s. 5., but the only original obliga tion which could equally well have been determined by a fo'dus, is the liability munus facere » (1), ed osserva cbe, se è vero che i Campani non hanno ius honorum in Eoma, nem meno i Romani hanno tale diritto presso di loro (2). Poco oltre può scrivere ancora che « it is difficult to see any dif ference between the status of mimici pes enjoying the origi nal form of civitas s. s. and the status of Latins enjoying connubium, commercium and ius civitatis mutandae1 except that the line of demarcation between Latin and civis Romanus was more clearly drawn » (3). Le pagine che seguono dello stesso autore mostrano brillantemente come il concetto di civitas sine suffragio si sia presto mutato — cominciando dall'esempio di Anagnia — in uno stato inferiore (4). Ma, al meno nel primo periodo, la completa autonomia locale avrebbe compensato — sufficientemente secondo lui — i municipes del munus cui erano sottoposti. Noi non possiamo usare che le stesse parole dello Sherwin White circa i vantaggi che la concessione della civitas sine sujfragio offriva a Roma : essa le dava il controllo diretto sulle truppe alleate che « in legione merebant » (5). Ma a ciò — che già di per sé sarebbe suffi(1)
S H E R W I N W H I T E , op. cit.,
pag.
40.
(2) I D . , ibid. (3) I D . , ibid., pag. 44. (4) I D . , ibid., pag. 45 segg. (5) I D . , ibid., pag. 44. 11 MOMMSEN, op. cit., I l l 1, pag. 586 seg., affermava ohe non si formarono mai legioni di Ceriti o di altri cives sine sufragio all'infuori deUa Campana, ma in ana n o t a a pag. 587 (n. 31), osservando ohe D I O N . HAL., XX 1, ricorda la presenza nella battaglia di Asculum del 279 ( = 475 di Roma) di quattro nèon di vjtrjxooi — Latini, Campani, Sabini, Umbri, Volsoi, Marrnoini, Peligni, F r e n t a n i , Arpani —, afferma ohe, ponen dosi da nn p n n t o di vista storicamente non ingiusto, e forse sotto l'influsso di fonti greche, Dionisio pare riunire come sndditi i cives aine sujfragio e i iodi nominis Latini. La mancanza di altre, fonti riguardanti i municipes e la 6
66
PER LA S i O R l A D E L CONCETTO DÌ MÛNICIPÎUM
ciente a garantire l'egemonia romana e, quindi, anche nella prima fase, a rendere indiscutibilmente sudditi i cives sine suffragio — si deve senza dubbio aggiungere che i cives sine suffragio pagavano — come tutti i cives — il tributo e sot tostavano alla giurisdizione romana. A questo proposito, anzi, merita un cenno particolare la ricerca del Bernardi, del quale tuttavia non possiamo condi videre l'opinione su ciascun punto. Egli si oppone allo Sherwin White, negando che la civitas sine suffragio data ai Cam pani rappresenti qualcosa d'analogo all'isopolitia greca, per affermare che essa rappresenta invece, immediatamente al suo comparire, uno stato di netta inferiorità di questi ultimi (1). E su ciò siamo sostanzialmente d'accordo. Così pure possiamo forse credergli quando, dopo aver*discussa la teoria del Pais negante che i Campani fossero tutti cives Romani (2), intende spiegare diversamente dallo Zmigryder Konopka come tal volta i Campani stessi, pur essendo cives Romani, siano de signati come sodi, e Tale termine — egli dice — ha un si gnificato non strettamente giuridico, ma piuttosto vago, di amici in generale > (3). H Bernardi passa poi in rassegna le varie teorie che hanno tentato di spiegare come i Campani potessero essere nello costituzione di legiones oomposte da essi non può, comunque, impedire di cre dere ohe, almeno per un certo periodo, essi siano stati nelle condizioni atte state per i Campani. Per questi i n a n e le fonti, già raooolte dallo ZMIGRYDER K O N O P K A , sono riferite dallo S H E R W I N W H I T E , op. cit., p a g . 40, n. 4. (1) B E R N A R D I , art. cit., p a g . 98 segg.
(2) I D . , ibid., pag. 89 segg. (3) I D . , ibid., pag. 103. Varrebbe p e r questi sodi Campani l'analogia con le oittà latine ricordate nel primo t r a t t a t o pnnioo-romano, che sono dette tanto ov\i\ia%oi quanto wcrjxooi. Ma così faoendo non si fa ohe spostare il problema, po nendone i terutini nell'ambito più antico del Lazio e facendo coincidere dei sodicives con dei ouu,[iaxoi-i>;tr|xooi : un risultato possibile, n o n intravisto dal Ber nardi, sarebbe quello di mettere in evidenza la possibilità che quelle c i t t à latine fossero g i à dei municipia: oosa n o n del t u t t o inverosimile data l a più autioa n a t u r a dei municipes descritti da Festo e di cui già ci siamo occupati. Va peraltro notato ohe t r e volte Livio (XXIII 5, 9 ; XXV 18, 6 ; XXXI 31) usa espressamente il termine foedus, ma soltanto p e r indicare i rapporti romano-campani anteriori alla Civita* sine suffragio.
LE
CITTÀ SENÄA SUFFRAGIO E
LÉ PREFETTURE
67
stesso tempo cives Romani e sodi dei Eomani stessi, e, prima di tutte, quella del Beloch concernente i miinicipia foederata di cui già abbiamo parlato, e che, veramente, non si riferì mai alle città campane. L'ultima parte soltanto riguarda la teoria dello Sberwin Wlìite e dello Zmigryder Konopka, ed è su questa che ci tratterremo brevemente. Gli elementi su cui si fonda la sua discussione sono i seguenti : anzitutto la differenza esistente fra la civitas sine suffragio e l'isopoli tia greca; poi l'esistenza di un'iscrizione del 180 a. 0. in cui compare un TCO[ACUOC FX KI3JIT]Ç ; infine l'impossibilità di cre dere che i rapporti romano-campani abbiano subito dopo un certo periodo una modificazione per cui i Capuani avrebbero visto aggravata la loro posizione. Quanto al primo argomento dobbiamo però dire subito che la posizione assunta dallo Sherwin White, se è quasi cer tamente erronea in quanto si riferisce ad una presunta origine greca dell'istituzione (1), non è però altrettanto facilmente confutabile per quello che riguarda la posizione dei Campani rispetto a Roma. Nessun dubbio può esistere sul fatto che V isopoliti a greca non ha alcun rapporto con la civitas s. s. dei Campani ; e, del resto, come dice Cicerone nel noto passo secondo cui « diiarum civitatum civis nosier esse iure civili nemo potest» (2), i Campani cives Romani non possono più dirsi cives di una loro civitas distinta appunto da quella romana. D'al tronde una netta differenza fra la cosiddetta isopolitia romanocampana e Pisopolitia greca fu già messa in chiaro anche dallo Zmigryder Konopka perfino in base alla frase di Cicerone già riferita (3). Non v'è dunque bisogno di stabilire dei rapporti cronologici per dimostrare che il concetto di isopolitia sia nella Grecia stessa posteriore alla concessione della civitas sine suffragio ai Campani, poiché è evidente che si tratta di isti tuti giuridici di diversa origine (4). (1) S H K R W I N W H I T E , op.
cit.,
pag.
40 ; 45
seg.
(2) C i c , pro Baïb. 1 1 , 28 seg. (3) ZMIGRYDER K O N O P K A , art,
oit.,
pag.
599.
Cfr.
a n c h e ROSENBERG,
art.
oit., in Hermes 1920, pag. 351 seg. La oivitas romana di n n colono latino o di nn rives eine suffragio sarebbero puramente potenziali. (4) Quanto alla cronologia si osserva ohe il BERNARDI, loo. cit., interpréta
68
PER LA STORIA D E L
CONCETTO DI MUNICÎPIUÀÎ
Poco utile, poi, pare essere per la dimostrazione del Ber nardi l'iscrizione ricordata (1) : il Tcofjiaïoç ex KTJJIT]Ç che vi incon triamo poteva dirsi Eomano non solo perchè i suoi concitta dini avessero la civitas sine suffragio, ma anche perchè egli stesso avesse, in qualche modo, conseguita la cittadinanza ro mana (2). Resta il terzo argomento, che dovrebbe essere il più pe sante : ma anch'esso se ben si osservi, è più apparente che reale : la confisca dell'agre?* Falermis (3) non può essere presa in considerazione perchè avviene in periodo di piena guerra contro la Lega lati no-cam pan a nel 340 ; e la nomina di un dittatore nel 314 alla notizia di una congiura antiromana dei Campani, con conseguente soffocamento di ogni velleità (4), non implica che Capua avesse già perduta completamente la sua autonomia locale rispetto a Eoma perchè il dictator non fu creato tanto per ingerirsi negli affari interni di Capua quanto invece per difendere Eoma: e JEodem anno (314 a. C.) — scrive Livio — cum omnia infida Romanis essent, Capuae quoque occultae prineipum coniurationes factae, de quibus, cum ad Senatum relatum esset, haudquaquam neglecta res : quaestiones decretae, dictatoremque quaestionibus exercendis dici placuit. C. Maenius dictus ; is M. Folium magistrum equitum dixit*. Lo stesso fatto che si nomina un dittatore e un magister equitum dimostra l'eccezionalità della cosa : ci si pone in regime militare, e in regime militare non era certo discu tibile la supremazia romana sui cives sine suffragio tenuti fra l'altro a fornire contingenti alle legiones. Al punto in cui siamo ci pare comunque lecito restare alla conclusione che i Latini divenuti cives e i Campani si siano le fonti (raooolta già da ÒHLKR, in P.-W., IX 2227 segg.) in modo troppo ri gido e tenendo conto troppo spesso di argomenti ex silentio. (1) HOMOLLE, in Bull, de Corr. hell. VI, pag. 45, 1. 147. (2) È analogo il caso del Lanninus — 'Pconcûoç doll'isorizione oitata dal MOMMSEN op. cit., I I I 1, pag. 573, n. 2 ) : Lannvino d'origine è t u t t a v i a rivi» Eomanua e se, entro i confini dello Stato, indica la propria origine, di fronte agli stranieri indica lo Stato oui appartiene. (3) BERNARDI, art. oit.f pag. 103. Cfr. Li v., V i l i 11, 13. (4) I D . ibid. Cfr. Liv., IX 26.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
69
trovati nel 338 press'a poco nelle stesse condizioni : furono tutti, possiamo affermare, dei cives legati a Roma dai tre fon damentali diritti di connubium, commercium e migratio, e te nuti a fungere munera. La distinzione fra essi avviene quando ai Latini è concesso Voptimum ius. MUNIOIPII OON AUTONOMIA LIMITATA
E PREFETTURE.
Anagnia, il primo municipio cui siano stati lasciati sol tanto ad sacra i propri magistrati, è forse anche la prima prefettura a noi nota. Il Kornemann tuttavia considera come appartenenti allo stesso tipo di comunità anche Fundi, Formiae e Privernum, già da una data anteriore (1). Fondamento di quest'affermazione dovrebbe essere ancora una volta Festo, ma il passo in questione merita di essere esaminato nel suo contesto. « Praejecturae — leggiamo a pag. 262 L. — eae appellantur in Italia, in quibus et ius dicebatur et nundinae agebantur ; et erat quaedam earum res publica, neque tarnen magistrat tus sìios habebant, in -f qua his f legibus praefecti mittebantur quotannis, qui ius dicerent. Quorum genera fuerunt duo : alterum alter urn, in quas ibant, quos praetor urbanus quotannis in quaeque loca miserat legibus, ut Fundos, Formias, Caere, Yenafrum, Allijas, Privernum, Anagniam, Frusinonem, Reate, Saturniam, Nursiam, Arpinnm, aliaque complura». L'espressione « neque tarnen magistratus suos habebant > può aver valore per Capua e per i luoghi della prarfectura Capuani Cumas uno a quando vi furono dedotte le colonie di Yoltumum, Litemum, Puteolij senza contare che almeno Cumae, Acerrae e Suessula, fedeli a Roma durante la defezione dei Campani, poterono mantenere propri magistrati pur ap partenendo alla stessa prefettura (2). Quanto invece alle pre fetture del secondo tipo, l'espressione ricordata può aver si gnificato soltanto in quanto la magistratura suprema vi dive(1) KORNEMANN, loo. cit.,
581 segg,
(2) Cfr. infra, pag. 131, n. 1.
70
PfiR LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPI UM
niva naturalmente proprio il praefectus, dotato di poteri giu risdizionali. Magistrati locali dovevano certo sussistere perchè evidentemente il prefetto non sarebbe da solo bastato a tufcte le necessità del luogo, né le sue mansioni uscivano dalla iurisdictio. Si noterà inoltre che molte delle città nominate appar tengono a tre stirpi che conseguirono Voptimum ius prima della lex lidia de civitate : Brnici, Volsci, Sabini (1). Molte di queste città avevano già una loro organizzazione politica ben sviluppata quando furono sottomesse ed ottennero la civitas sine suffragio e, a parte le città sabine che ricevettero Pottovirato, esse poterono mantenere i propri magistrati origi nari (2). Ma, come il testo di Festo è inesatto nella definizione ge nerale, così non sarà possibile seguirlo ad occhi chiusi per quanto riguarda la cronologia, il che, del resto è costretto ad ammettere per altri motivi lo stesso Kornemann, che esclude dall'ordine di Festo tanto Caere (3) quanto Vena fr um e Allifae (4). Neppure è certo che la concessione della civitas sine suffragio significhi anche l'istituzione della prefettura. Anche a prescindere dalle opinioni dello Zmigryder Konopka — se condo cui la prefettura j>uò sorgere anche in un municipium che conservi piena autonomia locale pur accettando con le
(1) C i c , pro Balbo 13, 31 : « Ex Latto multi, ut Tusculani, ut Lanuvini, et ex ceteris generibus gentes universae in civitatem aunt receptae, ut Sabinorum, Volsoorum, Hernicorum, eto. » ; ofr. de off. I 11, 35. (2) Salla possibile origine del duovirato di queste prefetture si veda infra, pag. 148 segg., ove si t r a t t a fra l'altro di Vena/rum e Allifae. Quanto ad Anagnia i I l v i r i sostituirono forse i praetores, ridotti ad sacra, quando il munici pio ottenne, in qaalohe modo, u n a maggiore autonomia; Caere ebbe un dictator (ofr. infra, pag. 109 segg.) ; Saturnia, divenuta oolonia civium Romanorum, ebbe auoh'essa dei Ilviri (C. I. L. XI, pag. 419). Ignote sono le magistrature di Vrusino e Privernum. (3) Di questa prefettura egli dubita perchè oollooa Cere fra gli « Altbürgergemeiuden » oon piena autonomia (P.-W., XVI 579). (4) Di queste due prefetture si ignora in ohe anno abbiano a v u t o la cit'itas, Cfr. ibid, 583.
LB CITTÀ. SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
71
leggi di Eoma, di cui diviene fundum, un prefetto romano (1) —, nulla ci assicura cbe altre prefetture siano sorte prima di Anagnia. Almeno per Fundi è possibile cbe l'istituzione della pre fettura non coincida con la civitas sine suffragio poiché l'in dipendente gesto dei Fondani di unirsi ai Privernati in una spedizione militare nel 329 a. 0. (2) non sarebbe forse avve nuto se in Fundi e in Privernum vi fosse stato un prefetto romano: in tale data Fundi poteva dunque essere ancora senza un praefectus ivi residente, non essere cioè centro di una prefettura. Tale situazione potè perdurare ancora qualche tempo per chè i Eomani si limitarono a punire Vitruvio Vacco lasciando inalterata la condizione dei Fondani (3). La sorte di Fundi potè essere condivisa da Formiae, che con Fundi ed Arpinum raggiunse V optimum ius solo nel 188(4). Tra le città che sarebbero state prefetture prima di Anagnia, il Kornemann ricorda ancora Privernum : ma alla data del 329 ci viene detto da Livio soltanto che essa ebbe la civitas (5). Troppo poco per decidere se fosse la civitas optimo iure o la civitas sino suffragio e se immediatamente essa sia divenuta sede di un prefetto. La prefettura di cui parla Festo potè essere anche posteriore. Nel 306-305, finalmente, siamo al caso di Anagnia, che di venne miinicipium perdendo la propria autonomia al punto che i locali magistrati mantennero puramente funzioni sa crali. È evidente che un prefetto romano potè allora esservi inviato ; ma dobbiamo anche notare che Livio, pur dilungan dosi abbastanza sul caso di Privernum, non ci dice nulla se non che — come già s'è osservato — ad essa fu data la civitas, mentre poi, parlando di Anagnia, ricorda come un caso speciale la limitazione di poteri imposta ai suoi magistrati : (1) ZMIGRYDER KONOPKA, art,
(2) (3) (4) (5)
Liv., Liv., Liv., Liv.,
V i l i 19. V i l i 19, 10-14. XXXVIH 36. V i l i 21, 10.
cit.,
pag.
592 segg.,
595.
72
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIP1UM
se possiamo credere che ciò significhi che Anagnia fu la prima città che ebbe tale trattamento, potremo anche pen sare che, toltale l'autonomia amministrativa, essa si sia ve nuta a trovare in condizioni del tutto particolari rispetto alla stessa Privernum, se non addirittura identiche a quelle in cui Oapua sarebbe poi stata ridotta — « locus comportandis condendisque frugibus » — dopo il 211 (1). È escluso infatti con sicurezza che essa abbia avuto Voptimum ius non già perchè si debba credere che questo fatto l'avrebbe resa privilegiata rispetto alle città senza suffragio, ma perchè Anagnia fu tra l'altro privata del connubium con gli altri Ernici (2) : già notò lo Sherwin White (3) che tale di ritto le sarebbe spettato senz'altro se avesse allora avuta la civitas di Roma. Lo Sherwin White invero si riferiva alla civitas sine suffragio, ma a maggior ragione l'osservazione vale per la civitas optimo iure. Anagnia dunque fu una prefettura di sudditi, che poterono avere titolo di municipes solo perchè tenuti ai mimerà e la civitas sine suffragio le conferì maggiori doveri e minori diritti che ai municipii preesistenti. Con Anagnia il terzo momento della storia del concetto di municipium è ormai raggiunto. Il primo — addirittura preistorico — era stato, forse, quello che congiungeva fra loro due città mediante taluni diritti — forse il connubium e il commercium, se non pure anche altri — cui avrebbero corri sposto, per coloro che si trovavano nella condizione di poter godere di tali diritti, taluni doveri — munera — nella città di cui venivano ad essere municipes (4). Il secondo momento era stato quello in cui un'intera città diveniva municipium perchè costretta — per necessità o per interesse — ad accet tare la civitas di Roma (5). Il terzo momento si verificava con l'assoggettamento di una città in condizioni anche più gravi
(1) C i c , de leg. agr. II 32, 88 : « locus comportandis condendisque frugibus » Cfr. ibid. 1 6 , 19 ; Liv., XXVI 16, 7 (« aratorum sede8 » ) ; VELL., II 44. (2) Liv., IX 43, 24. (3)
SHKRWIN W H I T B , op. cit.,
(4) Cfr. supra, pag. 33 seg. (5) Cfr. supra, pag. 51 segg.
pag.
46.
LE CITTÀ SENZA SUFFRAGIO E LE PREFETTURE
73
e con limitazioni dolorose di diritti d'autonomia interna e perfino di ordine privato. Anagnia tuttavia potè raggiungere Y optimum ius prima della guerra sociale e la divisione della sua praefectura in tre municipii potè corrispondere ad una maggiore autonomia concessa a ciascuno di essi. L'esistenza di praetores ivi osser vata dal Beloch, praetores che poi furono sostituiti da Ilviri (1), non dice nulla perchè essi potevano benissimo es sere gli antichi magistrati sopravvissuti ad sacra; ma l'esi stenza dei Ilviri pare suggerire la nostra ipotesi se — come crediamo — essi rappresentano una magistratura anteriore alla creazione del llllvirato. Tra le altre probabili prefetture converrà fare una certa cernita : alcune di esse sono comuni che furono trasformati ad un dato momento in municipia retti da Ilviri, altre ebbero degli VIIlviri, altre ancora dei IIIlviri (2). Al primo gruppo appartengono Atina, Casinum, Aufidena, Trebula Sujfenas, forse gli Aequiculi, Treba e Afllae : di cia scuna di esse si conosce la data della concessione della civitas sine suffragio e — salvo che per le ultime due — l'esi stenza di Ilviri (3). Poiché la magistratura data ai municipii optimo iure creati dopo la guerra sociale è il llllvirato, pos siamo anche credere che i Ilviri che si trovano nelle loca lità surricordate non siano altro che gli antichi meddices delle città osche (4). Con esse va forse considerata Superaequum, sebbene non vi siano testimonianze sicure in proposito (5). Al secondo gruppo appartengono le città sabine che eb bero Voptimum ius già nel 268 : Beate e Nursia sono ricor date come prefetture da Festo. Con esse va certamente Amiternum e la serie di JEretum, Cures, Trebula Mutuesca, Fui giniae, Plestia, e, forse, Interamnia Praetuttianorum, seb(1) B E L O C H , R.
G., pag.
498 ; cfr.
C. I.
L.
X,
pag.
584.
(2) Cfr. BELOCH, H. G.t rispettivamente pagg. 508 segg. ; 499 seg. ; 505 seg. (3) Per tntto ciò ofr. infra, pag. 148 seg. Di Treba e Afilae la costituzione è del t a t t o ignota. (4) Cfr. anohe infra, pag. 149. Vale l'analogia eon la sorte di Arpinum, Fundi e Formine. (5) Cfr. infra, pag. 149.
74
PER LA STORIA DEL CONCETTO Di MUNICIPIUM
bene in talune di queste si trovino già dei IlIIviri. È noto infatti che PVIIIvirato cedette talora il posto al IlIIvirato, forse dopo la guerra sociale quando il IlIIvirato fu la magi stratura comune data a tutti i nuovi municipii (1). Per Fulginiae si ha la testimonianza della prefettura in un frammento di Cicerone, in cui essa è detta contemporaneamente anche municipium (2). V'è anche da notare che Interamnia Praetuttianorum ri sulta documentata verso la fine dell'era repubblicana come municipium et colonia (3). Che cosa significhi quest'espressione può essere spiegato in vari modi : ma a noi interessa ora sol tanto l'esistenza del municipium. Altre prefetture furono infine quelle di Saturnia, Statonia e Suana e quelle del Piceno e della Lucania nominativamente ignote. Se possiamo adottare la teoria del Beloch, che fa delle città rette da Ilviri altrettante comunità di cittadini optimo iure anteriori alla guerra sociale (4), altre ancora potremmo aggiungerne. Ma rimarrà una difficoltà : oltre alla possibilità che si tratti di municipii esiste la possibilità che si tratti di conciliàbula di cives Romani d'origine. Poiché discuteremo al trove la questione (5), ci limiteremo qui ad indicare i comuni che conciliàbula non furono sicuramente : essi sono Caiatia, Cuoulteria, Herculaneum, Suessula, Surrentum e Nuceria Ah faterna. Pochi dubbi possono permanere al riguardo. Per un certo periodo anche Caere dovette esser tale, come Festo dice ; essa, comunque, ebbe in età imperiale il vecchio dictator (6). (1) Cfr.
BELOCH, op. oit.,
pag.
520
aeg.
(2) Cic, pro Varen., fr. 4. (3) C. I. L. IX 5074. Già prefettura questa città rioevette una colonia BÌIlana: ofr. BELOCH, E. G., pag. 512.
(4) BELOCH, op. cit., pag. 508 segg. ; cfr. pag. 510. Naturalmente vanno escluse le comunità ohe oon Ilviri sostituirono i IlIIviri : ofr. ibid., pag. 508 e 521. (5) Cfr. infra, pag. 149 segg. (6) FEST., S. V. Praefectura. Per il dictator ofr. C. I. L. XI 3593, 3614, 3615 = 3257.
IV. L'ULTIMO SECOLO DELLA REPUBBLICA I MUNIOIPII DELLA TERZA CATEGORIA FESTIANA.
Resta da esaminare il terzo gruppo di municipia ricor dato da Festo-Paolo : esso si ha «cum id genus liominum definitur, qui ad civitatem Komanam ita venerunt uti municipia essent sua cuiusque civitatis ( = civitates f) et coloniae, ut TiburteSy Praenestini, Pisani, TJrbinates, Nolani, Bononienses, Piacentini, Nepetini, Sutrini, Lucenses». 11 testo è stato da alcuni modificato con la sostituzione di « municipes » a « municipia » e si è pertanto creduto che la definizione si riferisse a singoli individui anziché a intere città; ma in tal caso non vi sarebbe alcuna differenza fra questo gruppo e il primo, se questo aveva come caratteristica la per manenza di una res publica separata. Tuttavia questa lezione ebbe notevoli sostenitori dal Niebuhr al Madvig, al Marquardt, al Karlowa, al Toutain (1), sebbene non tutti ne tirassero le conseguenze che si sono or ora riferite. 11 Marquardt, per esempio, pure ammettendo la lettura municipes, affermava che le città ricordate a mo' d'esempio divennero municipii solo con la lex Iulia che diede loro V optimum ins (2). Questa, del resto, era anche l'opinione del Mommsen, il quale leggeva municipia, pur intendendo che la «pessima» lezione del testo dovesse rispecchiare una frase di Festo anàloga a quella di (1) NIEBUHR, op. cit., Il» 61, il. 18 = II1 68 ; MADVIG N., Opuicula academica, Hanniae 1834, p. 236, n. 2; MARQUARDT, op. cit., p. 35, n. 1; KARLOWA, op. ci*., I 296 ; TOUTAIN, in DARKNBERG-SAGLIO-POTTIER, III, pag. 2024, cfr. 2025.
(2) MARQUARDT, op. cit., pag. 35 ; ofr. anche HERZOG, Gesch. u. System oit., I 986.
76
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM
Ulpiano (1) e dire press'a poco :
1, p. 235, seg.
n. 1 (a p.
236).
(4) TOUTAIN, in DAR.-SAGLIO-POTT., Ili, a. v. Munioipium, pag. 2024 seg. (5) WALTER F., Gesoh. cit., I3 312, n. 7 ; cfr. 390, n. 21. (6) KORNEMANN, art. cit., 574. (7) GRADENWITZ 6 RUBINO, ivi
citati.
L'ULTIMO
SECOLO DELLA
REPUBBPÌCÀ
11
dano da questa interpretazione particolare di municipes o di municipio, nel passo preso e staccato dal contesto. Perciò noi crediamo che, considerando tutta la voce nel suo complesso, rimanga più opportuno basarsi sul fatto che tutte e tre le de finizioni considerano un «genus hominum*, ma che, interpre tando la terza nel senso voluto dal Karlowa, si torna a ri petere la definizione della prima senza tener conto del fatto che la progressione logica della esposizione pare portarci a credere che anche il terzo gruppo debba comprendere, come il secondo, intere città. A ciò si dovrà aggiungere la conside razione, sia pure di carattere negativo, che l'interpretazione del Karlowa esclude dal compendio di Festo-Paolo la defini zione dei municipia creati dopo la guerra sociale, che erano invece, senza dubbio, i più recenti e i più attuali nel mo mento in cui scriveva la fonte di Festo, Verrio. Da queste osservazioni mi pare esclusa anche la possibi lità che le città del terzo gruppo festiano fossero municipia già prima della guerra sociale (l), almeno secondo la stessa defi nizione di Festo-Paolo, perchè esse non ebbero prima d'allora la civitas romana. A meno che non si debba intendere che in questo caso sia usato il termine civitas Romana nel senso più lato di Stato Romano, non è infatti possibile pensare ad identificare i socii italici e i coloni di diritto latino con i cives, con o senza suffragio, che costituirono il secondo tipo di inunicipii. E, inoltre, manca affatto una qualunque documenta zione da cui risulti per essi il titolo di municipes. Resta tuttavia da tener presente che, secondo il Mommsen, dovevano essere dei veri e propri municipii, anche se non ne ebbero il titolo, le colonie di diritto latino : tanto municipium che colonia — scriveva egli infatti (2) — designano la città latina considerata dal punto di vista romano e, per conse guenza, nessuna delle due denominazioni fu assunta come titolo ufficiale dalle città nell'epoca più antica, ma giuridicamente anche la colonia va considerata come municipium. Ammesso questo principio e considerato che anche le città federate ave(1) BINDER, Die Plebs, p . 341. (2)
MOMMSKN, op.
cit.,
Ili
1, pag.
232,
n.
3.
78
PER LA SCORIA DEL CONCÈTTO DI MUNÌCIPIUM
vano taluni obblighi verso Roma, si potrebbe anche pensare che, ad un certo momento, anche le città federate fossero con siderate praticamente dei veri e propri municipii pur se le con dizioni di esistenza e di autonomia interna erano di un tipo in gran parte diverso. L'assunzione ufficiale del titolo di municipium dopo la guerra sociale avrebbe in tal modo una nuova giustificazione storico-giuridica. Ma la mancanza dei numera pare dirimente poiché — almeno in questo periodo — è pre cisamente municeps solo chi è sottoposto ai ninnerà. Una di versa situazione avrebbe trovato in Verrio, e quindi in Festo, uoa diversa definizione. I municipii del terzo tipo sono dunque città federate e colonie latine, che, con ogni probabilità, assunsero titolo di municipio soltanto dopo la guerra sociale. Il problema è tut tavia di scarsa importanza per noi perchè non tocca la natura dei loro rapporti con Roma, ma soltanto la terminologia usata nei loro riguardi.
P R O MOINICIPIEIS E PRO O O L O N I E I S -- MUNICIPITJM F U N D A N U M .
Nel corso della nostra trattazione non abbiamo mai accen nato all'esistenza di pro moinicipieis o di municipia fundana sebbene entrambi questi termini risultino usati dalla termi nologia tecnica del diritto romano. Pro moinicipieis sono ricordati dalla legge agraria del 111 a. 0. (1), un ventennio prima della guerra sociale ; municipia fundana paiono menzionati nella lex municipàlis della Tabula Heracleensis (2), attribuita anche ultimamente a C. Giulio Ce sare (3). Così enunciata la questione, si potrebbe pensare che promoinicipieis e municipia fundana fossero la stessa cosa o che, (1) Lex agraria, linee 31-32 ; in C. I. L. I9 585; RICCOBONO S., Fontes iuris Romani anteiustiniani, pag. 110. (2) Tabula Heracleensis, linee 159 seg. ; in C. / . L. I* 593 ; RICCOBONO, op. cit., pag. 151 seg. (3) La bibliografia sull'argomento si troverà in RICCOBONO, op, cit., pag. 140-142.
L'ULTIMO
SECOLO D E L L A
REPUBBLICA
59
almeno, i secondi fossero la continuazione dei primi ; ma un'af fermazione del genere risulterebbe probabilmente errata quando ci fossero documenti utili da cui desumere il vero significato dei due termini. In realtà noi abbiamo incontrato dei muuicipii cbe non potevano dirsi tali se non molto inesattamente : si tratta di quei ni un ici pi i cbe, forniti dell'optimum ius, sono — o sono stati — sottoposti alla giurisdizione di prasfecti del pretore romano. Può dunque sembrare verosimile cbe proprio di essi si tratti nel caso dei pro moinicìpieis e delle pro colonieis della legge agraria del 111 : si consideri cbe nell'epoca in cui tale legge fu compilata numerose dovevano essere le prefetture esistenti in gran parte d'Italia, mentre il testo della legge ri corda soltanto colonie e municipii. Y'è dunque una distinzione giuridica da fare tra moinicipia e pro moinicipieis, ma non è forse possibile tarne una fragro moinicipieis e pro colonieis (l). A prima vista apparirà facile identificare i fora, i conciliàbula e simili con le pro colonieis, e concludere cbe pro moinicipieis saranno quei comuni cbe, pur non essendo veri e propri mu nicipii, hanno la costituzione cbe più da presso si avvicina a quella dei municipii stessi, cioè le prefetture del tipo di Arpinum, Fundi, Formiae e simili ; ma va però tenuto presente cbe l'espressione può ancbe essere intesa come ellittica e servire perciò ad indicare press'a poco tutti quei comuni la cui co stituzione è intermedia fra quella delle colonie e quella dei municipii. E questa appunto pare l'opinione più probabile. Contro l'accenno del Mommsen — cbe considerava quei comuni appunto come altrettante praefecturae, fora e concilia(1) Lex agraria, toc. oit. : « sei quei colonieis seive moi]nicipieÌ8 aeive quae pro moinicipieis colo[nieisve sunt civium Eomanorurn]nominisve Latini M ; e, poco oltre, • quei colonei moinioipesve prove moinicipieis [ ] » e ancora : t. .. queiv]e pro colonia moinioipiove prove moinieipieis ». Sulla l e t t u r a di questi passi si veda MOMMSEN, op. oit.f III 1, pag. 792, n. 1 : ivi egli leggeva civium Rom. sociun]nominisve Latini. La parola soci um è soomparsa nell'edizione del C. I. L. e nell'edizione del
RICCOBONO, II.
ce.
Un commento a questi passi si trovava già in MOMMSEN (ad C. I. L. I, pag. 9 4 = Gè*. Sohriften, I 115 seg.) ; il terzo di essi andrà inteso come se fosse soritto *.pro colonia prove moinicipio prove eo oppidof quod pro moinicipio est*.
80
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIÜM
bula(l) — il Rudolph dedica alla questione una parte di una nota (2), in cui accenna al fatto che la legge agraria « bezeich net die anderen Orte — oltre i municipii e le colonie — auf dem römischen Gebiet mit : quae pro moinicipieis colo(nieisve sunt civium Romanorum), spricht ihnen also das Stadtrecht ausdrücklich ab». Ma l'interpretazione del Rudolph appare almeno altrettanto dubbia quanto incompleta è la citazione del testo epigrafico, dove l'espressione è completata, con un « nominisve Latini (3): la sua conclusione è dovuta più che altro al fatto che al Rudolph preme di dimostrare che vi fu in quel periodo una larga estensione di comuni rurali. A questo proposito, anzi, lo stesso Rudolph esclude la possibilità che i pro moinicipieis e pro colonieis della legge agraria siano i co muni costituiti fra il 133 e il 111 o quelli analoghi all'djioixCa di Modena del 218. Per lui la traduzione dei due termini che ci interessano non può essere complessivamente se non «Land gemeinden», ma è chiaro che questa traduzione non può es sere accolta sulla base di una semplice opinione del Rudolph ; cosicché noi potremo anche credere inopportuno seguire lo studioso tedesco quando conclude: « Wenn Geizer aus dieser Angabe folgert, jene Orte müssten den Munizipien und Ko lonien rechtlich gleichgestanden haben, so kann dies — ri chtig verstanden — nach dem, was früher über das Verhält nis von Stadt- und Landgemeinden auf dem römischen Gebiet festgestellt ist, zugegeben werden ; es ergibt sich daraus nichts für den städtischen Charakter jener Gemeinden ». Questo particolare non c'interessa gran che, specialmente se si considera che fora e conciliabula potevano essere « Land gemeinden», ma le prefetture non erano certamente tali in qualunque caso.
(1) MOMMSKN, op. eit., Ili 1, pag. 792. (2) RUDOLPH, op. oit., pag. 169, n. 1.
(3) Cfr. n. 1 a pag. 79. Va tuttavia rilevato che l'espressione va intesa ap punto come l'intende il Radolph. Ciò vale tanto se si segue la lettnra del MOMMSKN, ri tin tata dal C. I. L. e dal RICCOBONO, tanto se si segne la lettnra preferita da queste due edizioni del testo epigrafioo. Si osserverà anohe ohe il testo stesso è, purtroppo, abbastanza gravemente lacunoso.
L'ULTIMO SEGOLO DELLA REPUBBLICA
81
Allo stesso problema accenna lo Sherwin White (1), anch'egli ostile all'interpretazione del Mommsen ; ma anche la sua posizione appare debole e soggettiva : la legge nomine rebbe semplicemente le comunità capaci di occupare agro pubblico e solo in questo senso raggrupperebbe oppida Romana con municipia, preannunciando in tal modo la futura as similazione delle varie unità municipali. Ma, anche ammet tendo questo criterio, ne risulterebbe diedro moinicipieis sono appunto — almeno in parte — le prefetture : si tenga presente che oppida romani non possono essere che le città latine in corporate e le prefetture del secondo tipo festiano che abbiano raggiunto Voptimum ins e che le città latine in questione sono considerate dei veri e propri municipii da tutta la tradizione. Neppure vale osservare che la stessa legge dimostra in un altro suo passo che l'idea di creare artificialmente un municipium di cives Romani non era ancora accolta (2). Nulla dunque pare opporsi alla nostra ipotesi : la conclu sione cui era giunto il Mommsen ci pare la più opportuna e ad essa crediamo di poterci attenere nel senso che abbiamo indicato. Riguardo al termine di municipium fundanum usato nella Tabula Heracleensis, il testo dice precisamente : « Quei lege pl(ebeive) sc(ito) permissus est fuit, utei leges in municipio fondano municipibusve eius municipi daret, sei quid is post h(anc) l(egem) r(ogatam) in eo anno proxumo, quo h(anc) l(egem) populus iuserit, ad eas leges [addiderit commutaverit conrexerit], municipis fondanos item teneto, utei oporteret, sei eae res ab eo tum, quom primum legem eis mimici yibus lege pl(ebei)ve sc(ito) dedit, ad eas leges additae commutatae conrectae essent » (3). Le interpretazioni fondamentali sono due : secondo taluni municipium Fundanum sarebbe la stessa Fundi ; secondo altri si dovrebbe invece pensare ai municipii creati in conseguenza della guerra sociale, essendo essi divenuti allora fondi delle leggi romane, oppure a municipii che, creati indipendente(1) SHERWIN WHITE, op, cit., pag.
145.
(2) ID., ibid., pag. 145 e a. 2, con riferimento alla linea 22, (3) Tab. Heracl, loe. oit. t>
82
PER LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
mente dalla lex lidia de civitate, restarono liberi di accogliere di volta in volta le nuove leggi di Roma, di divenire cioè fundi di esse. Seguono la prima opinione Yon Premerstein, Gradenwitz, Kornemann, Cary, Sherwin Yvnite(l). Seguono la seconda numerosi altri che il Kornemann tenta di confutare appoggiandosi soprattutto allo studio del Yon Premerstein (2). Ma una terza ipotesi è stata avanzata dal Rudolph (3). La questione ci interessa in questa sede solo per la pos sibilità che col termine di municiyium fundanum s'intenda far riferimento a comuni preesistenti alla guerra sociale. Come già sappiamo, invero, prima della guerra sociale sono ricor dati soltanto colonie e municipii, procolonie e promunicipii. Se il termine che studiamo dovesse riferirsi a taluno di questi comuni, esso non potrebbe riferirsi se non ai promunicipii o alle colonie latine divenute municipii dopo la guerra sociale. Ma appunto questo si tratta di vedere. Per il Rudolph, in fatti, municipium fundanum sarebbe un termine tecnico usato per indicare i municipii costituiti sulla base di una divisione in fundi — nel senso gromatico — di un dato territorio. Il termine sarebbe stato usato per distinguere questi municipii di nuova creazione sia dai municipii di vecchio tipo, sia dalle colonie : si tratterebbe in altre parole di talune prefetture, di fori e di conciliaboli trasformati da poco in municipii perchè il testo presuppone ancora viventi i commissari che li avreb bero costituiti (4).
(1) VON PREMERSTEIN (in Zeitsohr. Sav.-Süß. XLIII, 1922, pag. 45-152), GRADENWITZ (Die Gemeindeordonnanzen von Heraklea, in Sitzber. Akad. Heidelberg 1616, XIV Abh.) e KORNEMANN {art. oit., 611 segg.) sono oitati e discussi da RUDOLPH, op. cit., pag.
178 seg., e da RICCOBONO, op. cit., pag. 141. Si aggiun
gano i oontributi del CARY (in Journ. of Rom. Studies 1929, pag. 116 segg. e 1937, pag. 51) e dello SHERWIN WHITE (op. cit., pag. 142 seg.). (2) KORNEMANN, art. oit., 585 segg. (3) RUDOLPH, op. oit., pag. 176 segg.
(4) Cfr. RUDOLPH, op. oit.y pag. 178. Si tenga presente che non è esatto quanto egli afferma, che oioè queste oittà « unmittelbar vor den Erlass des Gesetzes von Heraklea begründet bzw. eingerichtet sein müssen » : ciò ohe si ricava dall'iscrizione è soltanto una data approssimativa della loro trasforma zione in municipii.
L'ULTIMO
SECOLO DELLA
REPUBBLICA
83
Essi, poi, avrebbero — come le colonie — delle leges datae (1). Ma conviene anche tener presente che la Tàbula Heracleensis ricorda in tutta una serie di paragrafi la serie intera municipium colonia praefeotura forum conciliabulum (2) : i ter mini legali in essa usati per indicare comunità come quelle che il Rudolph pare identificare con i municipia fundana sono dunque ancora quelli di praefeotura, forum, conciliabulum. V'è inoltre — e soprattutto — da tener presente che una nuova divisione in fundi dei territori su cui sarebbero costituiti i municipia fundana non è attestata né pare verosimile, e bi sogna perciò pensare, come del resto fa lo stesso Eudolph, che l'aggettivo usato nell'espressione che c'interessa vada ri ferito più che altro alla natura stessa del territorio che, come «römisches Assi gnation sland », aveva «das römische Boden recht, für das die Limitation das entscheidende Moment war i. Ma centri di questo tipo ne esistettero parecchi, in di verse epoche e con origine diversa. A sostegno della tesi del Rudolph potrebbe stare, tuttavia, una sola circostanza : non essendo mai usato altrove in luogo del creduto sinonimo fundus l'aggettivo fundanusy presenta qualche difficoltà il pensare che esso possa essere usato nello stesso significato di fundus in questo caso soltanto. Quest'ultima considerazione era già fatta da coloro che leg gevano municipium Fundanum in luogo di municipium fundanum ; ma, per ammettere questa lettura, bisognerebbe anche ammettere che un frammento di legge riguardante Fundi sia andato a finire per errore nella Tabula (3). E ciò sembra ve ramente un po' diffìcile da ammettere anche quando si am metta che la Tabula sia una lex satura (4). Ma non basta, (1) R U D O L P H , ibid. Ma si t r a t t a di comuni optimo iure, e quindi la consta tazione non avrebbe gran valore dopo la lex Iulia de oivitate. (2) Linee 83, 108 e 109, 119 ; 124, 126, 127, 130, 135, 136. (3) Si veda KORNBMANN, loa. cit., 586 seg., ove si troverà anohe la rela tiva bibliografia. (4) S A V I G N Y , Vermischte Schriften, I I I 279 segg. ; D E PETRA, Monum. dei Lincei VI, p a g . 433 segg.; HACKKL, in Wiener Studien XXIV (1902), pag. 552 segg. ; e altri fra cai il MOMMSEN. Cfr. RiccoBONO, op. cit., pag. 140 seg., il quale però oonolnde : « Quaestio, ut mea feri opinio, de natura et nomili« legis in pendenti manet*.
84
PEH LA STORIA D E L CONCETTO DI MUNICIPIUM
perchè tutta la teoria si fonda sopra un'illusione veramente incomprensibile. Si è infatti voluto ricavare da un passo di Cicerone (1) che Arpinum sia stata costituita a municipium soltanto nel 46 a. C. Il contesto non convalida certo quest'opinione, che anzi vi si parla di un municipium già esistente da lungo tempo. Ma su quest'opinione ci si è l'ondati per inferirle che anche Fundi dovette seguire la sorte di Arpinum, onde nello stesso anno o press'a poco sarebbe avvenuta anche la costituzione del municipium di Fundi e cioè del municipium Fundanum. Ciò è più che sufficiente per respingere senz'altro anche quest'ipotesi. Non rimane dunque che l'ultima, quella che identifica i municipii fundani con le città che divennero fundae della cit tadinanza romana dopo la lex lulia de civitate : l'unica seria obbiezione deriva dal fatto già accennato che non si trova altrove l'epiteto fundanus in luogo à\ fundus, ma non si tratta che di un argumentum ex silentio di cui non pare indispensa bile tener conto. A questa soluzione pare inoltre che si op ponga la data della Tàbula (2). Ma anche questa difficoltà viene facilmente superata se si tiene presente che effettivamente, in quel giro d'anni, Cesare potè promulgare una legge per dare ai municipii creati dopo la guerra sociale un'organizza zione più uniforme. Dal passo di Cicerone che serve per la datazione di questa legge si ricava infatti soltanto che essa dovesse contenere norme per la carriera politica municipale;
(1) Cic, adfam. XIII11, 3. Si veda su ciò SHEEWIN WHITE, op. cit., pag. 142; oft. KORNEMÀNN, loc. cit. Ma il verbo « constituée > vi appare usato in senso generico. (2) Secondo il RUDOLPH, op. cit., pag, 120, la Tabula presuppone la pree sistenza di una lex lulia municipalis. La data del 44 è ritenuta sionra anche dallo SHERWIN WHITE, op. cit., pag 142. La bibliografia sull'argomento si trova in RICCOBONO, loc. cit. Questi propende per l'anno 45. Allo stesso giro d'anni crede opportuno riferirsi anche I'ARANGIO RUIZ, Storia del diritto romano (1937), pag. 200. Ritengo ohe si tratti toi tan to di un terminus post quem per quanto riguarda la compilazione della Tabula, poiohè aderisco alla probabilissima ipo tesi del D E SANCTIS (in Atti Aoc. Scienze Torino, vol. XLV, adunanza 26 dU oembre 1909) ohe si tratti di una raccolta di leggi interessanti Eraclea. -
L'ULTIMO SECOLO DELLA REPUBBLICA
85
ma questo basta per superare l'osservazione del Eudolph ri guardante i commissari che devono agire nei municipii fundani poiché non si tratta più di quelli creati ex lege Iulia de civitate o per una legge analoga di quel periodo. Né vale osservare che la Tabula, come afferma lo Sherwin White sulla traccia di Von Premerstein e di Stuart Jones (1), non parla di una classe di municipii «at all» perchè, egli dice, l'espressione municipes fundani ivi impiegata non è pa rallela ad un termine come Latini coloniarii : aggettivi non indicanti luogo non sarebbero normalmente congiunti a DIMniceps se non in un senso non tecnico. Ma è chiaro che una regola del genere può avere eccezioni. Si deve dunque concludere che i municipio,/andana paiono essere, comunque, una creazione posteriore alla lex Iulia de civitate e non sono identificabili con i pro moinicipieis e pro colonieis della legge agraria del 111.
(1) Citati dallo stesso SHERWIN WHITE, op, oit., pag. 143.
CONCLUSIONE. IL COSIDDETTO FOEDUS MUNICIPALE.
La civitas sine suffragio è data dal popolo Romano me diante una legge. Ciò è senz'altro dimostrato dal caso di Acerrae, come ben vide il Mommsen (1) sulla base di un passo di Livio che non pare ammettere repliche: a Romani facti Acerrani lege ab L. Pap ir io praetor e lata, qua civitas sine suffragio data » (2). È Vanno 332 a. C, anno vicinissimo a quel 338 in cui la civitas fu data a tante città. Si può dunque ritenere che anche nel 338 la civitas sia stata data nello stesso modo. Ma nel 338 si sarebbe avuto anche un vero e proprio foedus. Questa, al meno, è la convinzione di taluni eminenti studiosi, fra i quali conviene particolarmente citare lo Zmigryder Konopka, se condo cui nei rapporti del IY e del III secolo la civitas sine suffragio e il municipium sono delle vere e proprie forme di relazioni internazionali (3). Le due opposte tesi non sembrano inconciliabili perchè un foedus non esclude la legge che lo sancisce né una legge esclude la possibilità di un foedus an teriore ad essa; ma, se vogliamo credere che foedus e lex (1) MOMMSEN, op. cit., Ili
1, pag.
573, n. 8.
(2) Liv., Vili 17 ; cfr. VELL. PAT., I 14. Si può aggiungere, come fa lo SHKRWLN WHITE, op. cit., pag. 42, la legge riguardante i cavalieri Campani rioordata da Liv., XXIII 31, 10: « de trecentia equitibus Campanie... latum ad populum ut cives Romani essent, item uti municipes Cumani essent pridie quam populus Campanu8 a populo Romano defecisset ». Si noterà ohe i Campani sono de uniti come nu populus distinto dal populua Romano par essendo da tempo oives sine suffragio. Ma oiò avviene forse perchè la stessa definizione li stacca da Roma. (3) ZMIGRYDER KONOPKA, art.
cit., pag.
602.
CONCLUSIONE
87
coesistano, dovremo in ogni caso, ammettere che i\ foedus pre ceda cronologicamente la lex dalla quale viene annullato, come nel caso dei municipii creati ex lege lidia de civitate. Nel IV secolo, infatti, noi vediamo taluni popoli rifiutare la civitas sine suffragio (1) : ciò significa che, per avere la realizzazione di questa condizione nei rapporti fra Borna e la città cui la civitas deve essere concessa, è, almeno in taluni casi, indispen sabile un accordo reciproco, dunque — in altri termini — il consenso degli interessati all'abolizione del foedus (2) ; e solo in determinate circostanze una lex romana sancirà l'estensione della cittadinanza a genti peregrine. L'opposta conclusione traeva, forse arbitrariamente, il Bonfante a proposito di pre sunti foedera del 338 e del 306 (3). Si osserva però che di un foedus si parla per i Campani (4), di foedus si parla per talune città latine come Arida, Lavi nium e altre, ma se per queste è probabilmente necessario (5) rifiutare il significato politico del foedus dopo la concessione della civitas (6), v'è tuttavia un documento dal quale l'esistenza di foedera con pieno significato politico può apparire proba bile : . . . . . . in quoque municipio colonia praefectura quoiusque Il vir(i) eiusve qui ibei lege fo edere pl(ebei)ve sc(ìto) s(enatus)ve consulto) institutove, iure dicundo praefuit »(7). Poiché il frammento è databile al 49 a. 0., dopo la guerra sociale dunque, Faccenno ad un foedus non pare riferibile se non a comuni che avessero magistrature sopravvissute alla trasformazione avvenuta nell'89 quando il IVvirato divenne comune a tutti i municipii di nuova creazione : tali comuni, che dovrebbero essere stati legati a Roma da un Joedusy non possono dunque (1) Si veda a questo proposito SHERWIN W H I T E , op. cit., pag. 46 seg. (2) Contra BONFANTE, op. cit., pag. 241, n. 5. (3) L i v . , VIII 1 1 ; IX 43. Cfr. BONFANTE, op. cit., pag, 231.
(4) Cfr. supra, pag. 66 e n . 3. (5) Cfr. supra, pag. 39 segg. (6) Per i Campani la cosa pare ohiarissinia : nei tre passi in oni Livio aooenna ad un foedus (XXIII 5, 9 ; XXV 18, 5 ; XXXI 31) il foedus è sempre considerato come la tappa piü antica dei rapporti fra le due oittà, tappa su perata dalla « oonoessioue » della civitas sine suffragio. (7) fragm. Atest., linea 10.
88
PER
LA STORIA DEL CONGETTO DI MUNICIPIUM
essere le città di federati italici né le colonie latine che as sunsero dei IVviri. Si tratta dunque di antichi municipii e prefetture. Anche la Tabula Heracleensis (1) si esprime in modo analogo rispetto alla serie municipia, coloniae, praefecturae, a pro posito della « vocatio rei militaris legibus pl(ebei)ve sc(itis) exve foedere ». Ma la testimonianza di questi due passi va senza dubbio intesa nel senso che ad un foedus anteriore alla concessione della civitas sopravvissero, nell'atto della promulgazione della costituzione municipale, taluni privilegi. Il foedus — come tale — non poteva sopravvivere perchè, come già s'è detto più volte, non può esistere foedus fra concittadini, ma la lex che lo sostituisce definitivamente può sancirne alcuni punti secondo i desideri manifestati dai nuovi cives prima di farsi fundi di essa, e dal foedus consacrati fino a quel momento. Da questa lex possono dunque essere garantite anche le magistrature locali già garantite dal foedus. In questa opinione ci conferma la considerazione che solo per Anagnia noi sap piamo da Livio che la civitas sine suffragio portò con sé, come particolare aggravio di punizione della città ribelle, la limi tazione dei poteri della locale magistratura ridotta ad sacra (2). Se possiamo ritenere che il fatto sia notato da Livio appunto per la sua straordinarietà, potremo anche tener per certo che i municipii anteriori conservarono tutti i propri magistrati anche quando fu loro data la civitas sine suffragio o, comun que, una qualche specie di civitas. La loro autonomia interna è limitata soprattutto per quanto riguarda i rapporti con Borna, la città egemone e protettrice (3). Indipendentemente dalle considerazioni che noi abbiamo or ora fatte, era per altra via giunto alla conclusione che i municipii conservassero le proprie magistrature anche lo Sher-
(1) Tab. Heraol., linee 93 e 103. (2) L I T . , IX 43, 24. (3) CANADESI M., La politica estera di Borna antica, I, Milano 1942, pag. 81, ofr. ibid., pag, 63-65, Vi si parla di « sudditanza p r o t e t t a ».
CONCLUSIONE
89
win 'White (1), tentando di dimostrare contro il Eudolph (2) l'inverosimiglianza del contrario. Perciò, non sarà forse inutile un cenno anche alle osservazioni più importanti da lui fatte contro il Eudolph, assertore dell'opposta tesi. La prima osservazione è che il Rudolph dimentica che i municipii furono inseriti nella vita dello Stato Eomano solo gradualmente e che essi cedettero a Eoma solo poco per volta l'interferenza nei loro affari interni, — e ciò potrebbe essere tratto in dubbio — mentre, d'altro canto, una riorganizzazione generale non era necessaria al tempo della loro incorpora zione (3). Soprattutto interessante è l'osservazione che l'esem pio di Anagnia mostra come, almeno in apparenza, i municipii conservassero, entrando nello Stato Eomano, la loro costitu zione originaria, anche se soltanto «maimed and shadowy» (4): i loro magistrati mutarono soltanto, talora più talora meno le loro attribuzioni. Le quali, naturalmente, turono limitate in vario modo e, nei municipii come Anagnia, furono addi rittura ridotte ad sacra. Lo Sherwin White sottolinea inoltre l'importanza del fatto che il dittatore lanuvino sia un Lanuvino : « in this detail lies the essence of the change which was inaugurated on a grand scale in 338, after certain preliminary trials at Gdbii and Tusculum. The change set free the idea of the town wi thin the State to develop as it would. To say that Eome merely left religious duties to the incorporated boroughs obscures the fact that in this remnant lies hid the continuated existence of the separate community within the Eoman state > (5). A questo proposito lo Sherwin White ricorda lo stretto le game esistente fra lex, ius e /as, ma le conseguenze che egli vuol trarne ci paiono forzate anche se verosimili. Le riferiamo perciò lasciando il giudizio al lettore. Se la vita del munici(1) SHERWIN WHITE, op. cit., pag. 65 segg., liallaooiautesi alla teoria del Mom m sen sulla e umgestaltete Autonomie », sii oui si veda supra, pag. 53 seg. (2) RUDOLPH, op. cit., pag. 6 seg. (3) SHERWIN WHITE, op. cit., pag.
(4) ID., ibid., pag. 65. (5) ID., ibid., pag. 66.
65.
90
PER LA STORIA DEL CONCETTO DI MUNICIPIUM
pio — egli dice — fosse solo religiosa, « doubtless » la nozione di una duplice patria posseduta da ogni civis Romamis vi vente fuori dell'Urbe sarebbe rimasta solo latente e il sistema municipale sarebbe « died of inanition » (1). Perciò, scrive an cora lo Sherwin ^Yhite, in aggiunta alla base teoretica era necessario, per la formazione di una sana costruzione, un fon damento «broad material». Fondamento costituito da tutta una serie di attività che il Rudolph aveva trascurate come pu ramente amministrative e come operazioni di polizia (2). La conclusione complessiva dello Sherwin White è dunque che Koma non abolì la vita locale dei municipii e che a in however rudimentary a fashion, Rome entered at this period on the road that led to the municipal system of the Empire » (3). Ad essa possiamo aderire anche noi, che vi siamo giunti per una via in parte diversa. I municipii mantennero dunque di regola le proprie ma gistrature anche quando queste furono limitate nelle loro fun zioni come nel caso di Anagnia (4). (1) I D . , ibid., pag. 67. (2) I D . , ibid., pag. 67. (3) I D . , ibid., pag. 67. (4) Ciò non significa naturalmente ohe t n t t o ciò che BÌ trova nei muni cipii sia epioorio o, comunque, non romano.
PARTE II Le magistrature
municipali
I. I MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI.
DITTATURA ED EDILITÀ NEI MUNIOIPII LATINI.
Una delle prime questioni che si affacciano allo studioso che voglia rendersi conto dell'origine delle varie magistrature latine è naturalmente quello che riguarda l'origine della dit tatura. Le fonti più antiche sono di due tipi : epigrafiche e letterarie. Cominciando dalle prime troveremo la dittatura in parecchie città, ma non sempre, almeno a prima vista, con le stesse caratteristiche. Notiamo qui subito, per evitare equivoci, che, in un primo tempo, non faremo distinzioni cronologiche : l'elenco che segue mira al solo scopo di porre sul tavolo il materiale utile per il problema. Si tratta delle seguenti città, elencate in ordine alfabetico : ALBA : C. 7. L. VI 2161 : L. Fonteius Flavianus haruspex Augg. (ducenarius) pontifex dictator Âlban(us) mag(ister) publions haruspicum LX d. d. C. I. L. XIV 4452 : P. Flavio P. fll(io) Pai. Prisco e. v pontifici et dictatori Albano primo. ARIOIA : C. 7. L. VI 2169 : q(uaestor) aedilis dictator Ariciae. C. 7. L. VI 2213: Dianae Nemoresi Testae sacmm dict(atore) Imperatore) Nerva Traiano Aug. Germanico III cos., pracj\ecto) eins T. Yoltedio Mamiliano, quaestorib(us) L. Caecilio Urso II M. Lucretio Sabino 77, aedilib{us) Q. Vibenim Quieto Ti. Claudio Magno CAERE : C. 7. L. XI 3593 : Deos Curiales Genium Ti. Claudi Caisaris Augusti P. P. Curiae Aterniae A. Avillius Acanthus
94
LE MAGISTRATURE
MUNICIPALI
dictator M. Iunius Eutyclius de suo posuer(unt) es (per l'inter pretazione cfr. infra). C. I. L. X I 3614 : L. Publilio Celso II C. Glodio Crispino co(n)s(ulibus) idibus Aprilib(us) M. Ponilo Celso dictatore C. Svetonio Glaudiano aedili iuri dicundo praef(ecto) aerari In curiam fuerunt Pontius Celsus dictat(or) Svetonius Claudiamcs aed(ilis) iuri dic(undo) M. Lepidus Nepos aedil(is) annon(ae) C I. L. X I 3615 = 3257 : T. Egnatio T. / . Tot. Rufo q(uaestori) aed(ili) dict(atori) aed(ili) Etrur{iae). FABRÀTERIA V E T U S : C. I. L. X 5655: . Bufo dilatori) F I D B N A B : C. I.
L.
P 1709 =
Not. Sc. 1903, pag. 349 :
T.
Terentius T. f Già. Taravos dictator Fidenis quater. C. I. L. X I Y 4058 : Magno et invicto Imperatori) Gallieno senatus fid(elis) Dict(atore) C. Petr. Podalirio et. T. Aelio Octobre cu rag T. Ter. Octobre (per l'interpreta zione cfr. infra). LANUVIUM : C. I. L. P 1428 = Eph. Epigr. I X 602 : P .
Fourius L f. dictator) tertium Hercoli ea dat (anno 202 d. O. : cfr. C. I. L.} ad Zoe). C. I. L. X I V 2097 : C. Caecio Pulchro dictator e P. Autronio Celso L. Laberio Maximo aed(ilibus). C. I. L. X I V 2112 : (1. 8 segg.) [ikT. Antonio Hiber]o P. Mummio Sisenna co(n)s(ulibus) Kal(endis) Ianu{uariis) collegium salutare Dianae L. Caesennio L. f. Quir. Bufo dict(atore) III idemq(ue) patrono. C. L It. X I V 4178c: G. Mari G. f. Quieti haruspicis aedilis bis flam(inis) Martialis allecti inter dictatorios NOMBNTUM: G. I. L. X I V 3 9 4 1 : D. Valerius
D. f
Cor.
Proculus aedil(is) dictator quaest(or) alimentorum C. I. L. X I V 3955: ön. Munatius. M. f. Pal. Aurelius Bassus flamen perpetus (sie) duumvirali potestate aedilis dictator IUI. TUSOULUM : C. I . L. X I V falsde 212 : Marco Bebio Brix dictator e. Accanto alle fonti epigrafiche bisognerà tener conto anche delle seguenti fonti letterarie, che elencheremo anche queste secondo l'ordine alfabetico delle città cui si riferiscono :
i MAGISTRATI D E I MUNICÌPI! LATINI
95
ALBA : PLUT. Rom. 27 : 'Ejrel 8è xov nànnov No^toçoç êv
"AXßT) TEAeuTiioavtoç, alitò) (seil. Romulo) ßaaiXeveiv JIQOGTJXOV, eîç \iioov efrrjxe XT|VrcoXiTeiavôn[AaYû)YûW xal xœc'eviautov d:reÖeixvuev açxovta TOIÇ 'AAßavoic . . . DION. H A L . V 74 (ex LICINIO MAGRO): AIXLWIOÇ ôè jrap' 'AXßavcov oYetai tòv ôixrdtOQa 'Pcojiaiovç elXeqrévai, TOUTOUÇ Xeycov JIQCOTOUC \LRxà tòv 'AJAOXCOV xal Nepietoçoç frdvatov exXutcyuoTic tfjç ßaoiXixfic avyysvEiaç èviauaio'uç apx0VTaÇ djroôei£ai rr)v aurrjv e^ovrac eÇovaiav TOIÇ ßaaiXexioi, XCCXÊLV Ôè avtovç ôixtatopaç. Liv. I 23, 4 : In his castris Cluilius, Aïbanus rex, moritur : dictatorem Albani Mettium Fufetium créant. Cfr. Li y. I 23, 9 : per suum dictator em. FLDENAE : MACR. Sat. I 11, 37 : Post urbem captam cum sedatus esset Galliens motus, res publica vero esset ad tenue dedueta, finitimi opportunitatem invadendi Romani nominis aueupati praefecerunt sibi Postumium Livium Fidenatium dicta torem LANUVIUM: ASCON. ad Cio. pro Mil. 17, 45: Milo hanuvium, ex quo erat municipio et ubi tum dictator, profectus est ad flaminem prodendum. TUSCÜLÜM : Liv. ITI 18, 2 : L. Mamilius Tusculi tum dictator erat. Liv. VI 26, 9 : Dictator Tusculanus ita verba fecit. .. PLIN. n. h. VII 44, 136: Est et L. Fulvius inter insignia exempla, Tusculanorum rebellantium consul, eodemque honore, cum transisset, exornatus confestim a populo Romano, qui solus eodem anno qtio ftier at host is Romae triumphavit ex iis quorum consul fuerat. Cfr. Ghron. Cassin, IV 125. Ed infine per la Lega Latina : CATO, Orig. 2, ap. PRISOIAN. IV, pag. 129 H (= frg. 58
Peter) : Lucum Dianium in nemore Aricino JEgerius Laevius Tusculanus dedicavit dictator Latinus. Hi populi communiter : Tusculanus, Aricinus, Lanuvinus, Laurens, Cor anus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis Rutulus. II cod. E reca « dicator ». LIY. VIII 3 : Praetores turn duos Latium habébat, L, Annium Setinum et L. Numisium Gerceiensem, ambo ex coloniis Romanis (anno 341 a. C ) . DION. HAL. I l l 34 : (dopo la caduta di Alba e le richieste
96
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
dei Romani) al ôè twv Aativcov rcoXeiç. . . xoivfj ôè xov eiïvovç ayopàv êv <ï>eoevTivcp JCOIT| ad jie voi ijjeqnÇovtai \ir\ jcaoaxcooelv 'PcojAaioiç xr\ç àQXf\çt xal avtCxa aîoowtai ovo aiQaxj\yovç avcoxodropaç eto^vT]ç te x«i jroXe^ov, "Ayxov UO-UJIXIXIOV ex jroXeo)ç Kooaç xal Satoijaiov OuexCXiov ex Aaovïviov. D I O N . H A L . V 61 (dopo la presa di Fidene, all'inizio della r e p u b b l i c a ) : . . . ol 7zgoeoTT]xórec tfjç 'AQIXTJVCOV «oXecoç Oi ô'eyYQa^dfievoi taîç o"u\n&rjxaiç taûra TiQOßovXot xal TOVÇ OQXOVÇ ôfxocavteç arcò TOVTCÛV TCÛV JioXeœv Tjoav dvôoeç 'Ex TOVTCDV djcaawv tc5v jióXecov TOXJÇ êv CM.\LT\ cruarpaTe-ueiv ôacov av ÔÉT) totç fjyejLióoiv 'OxtaODicp Ma^iXicp xai SéÇtcp Taoxxmcp ' xovxovç yàg djtéôeiÇav orQarrjyovg avroxQaiOQaç. "Iva ô'evjtpejieiç ÔOÇOÛOI jroieîaftai tàç toû jtoXéfiov Jtooqpdaeiç, jtpeoßevTac e| êxdarrjç rcoXecoç toùç ènupaveoxârovç etç eP
(3) RUDOLPH, op, cit., pag. 7 segg.
ì
MAGISTRATI DEI MUNÌCIPÌI LATINI
97
stenti fra gli scrittori antichi, pensa di spiegarla con un a posteriori, originato dall'esistenza di dittatori in epoca romana. Per lui, anzi, il problema non riguarda soltanto Alba, ma tutto il Lazio poiché egli non presta fede alla latinità della dittatura, che vuole dimostrare imposta da Eoma. Prima di discuterne la parte riguardante Alba, sarà dunque opportuno vedere come egli imposti il problema generale. Egli osserva che la tradizione conosce la dittatura come innovazione pre romana soltanto di alcune città latine (Tuscolo, Fidéne, Alba — non tiene conto di proposito di Lanuvio e delle città in cui la dittatura è attestata solo più tardi dalle iscrizioni) e nota (1) : « Vor allem die in der Folgezeit massgebende Rekonstruktion der Latinischen Diktatur die Mommsen in for meller und materieller Hinsicht im Stadtrecht (2) vorgenom men hat, beruht vollständig auf den annalistichen Zeugnissen über die albanische Diktatur. Nach der herrschenden Auffas sung reicht daher auch in den oben angeführten Munizipien die Diktatur bis in die Zeit der Autonomie zurück und stellen überhaupt die Munizipalordnungen dieser Städte nichts als die im wesentlichen rein erhaltene latinische Verfassung dar ». Da questa premessa consegue tutto il resto e, anzitutto, il dubbio sull'autenticità della tradizione ; dubbio che per il Rudolph è certezza di negazione, a convalidare la quale ser vono, in circolo vizioso, i risultati conseguiti dalla stessa pre messa. Le prove sono ben difficilmente credibili: e Zunächst ist da zu bemerken, dass die Annalistik die Diktatur nicht als allgemein latinische Einrichtung kennt, sondern immer nur als Einrichtung einzelner latinischer Städte » (3). Non è necessario insistere sull'evidente errore di metodo di quest'af fermazione ex silentio ; ma il Rudolph nota che f für die Ent stehung der Tradition ist es doch wesentlich > tanto che « es ist nämlich auffallend, dass die Überlieferung den Diktator ausschliesslich in solchen Städten nennt, in denen nachweislich das Amt später in der römischen Zeit vorhanden ist, während (1) I D . , ibid., pag. 8. (2) MOMMSEN, op, ait.,
II 3 ,
pag.
RUDOLPH, op. cit.,
pag.
8,
(3)
170
%egg.
7
98
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
für andere latinischen Gemeinden kein Zeugnis vorliegt» (1). È chiaro che non è possibile seguire il Eudolph sulla sua via. Ma bisognerà ancora tener presente il suo lavoro e, per ora, le pagine che riguardano Alba. Infatti esse potranno servire ad una più completa discussione delle fonti letterarie che si riferiscono a questa città. Plutarco attribuisce a Eomolo l'istituzione della dittatura albana: alla morte di Numitore, di cui è erede, Eomolo iiç \iéaov efrrpte TTJV jtoXiteiav " ÔTinaycoY&v ,, xaL xai'IviauTÒv àneÔeixvuev aQxovta TOIÇ 'AXßavoIc (2). Vero è che ap^cov non corri sponde tecnicamente a « dictator », per lo meno nel senso che di solito si dà a questo vocabolo (3) ; ma il passo di Plutarco è logicamente posto in relazione con quel frammento di Li cinio Macro conservatoci da Dionigi d'Alicarnasso, secondo cui gli Albani, alla morte di Numi tore, avrebbero ogni anno eletto degli apxovreç " TTJV avxr\v e/ovrac eljovoiav TOIÇ ßaaiXevat, xcdeïv 06 avtoùç Ôixtatoçaç „ (4). Ma qui entra in gioco anche la notizia dataci da Livio (5), secondo cui, proprio durante la mortale lotta con Eoma, gli Albani avrebbero eletto dictator Mettio Fufezio, chiamato in tal modo a succedere al de funto rex Oluilio. Qui è il punctum dolens della questione, poiché si è voluta vedere una contraddizione fra i due scrit tori greci e Tito Livio, osservando che la dittatura sarebbe sorta in Alba in extremis, essendosi fino a quel momento conservata la monarchia (6). Tuttavia un'osservazione è pos sibile : Licinio Macro afferma che i dittatori di Alba avevano autorità regia ; se ammettiamo — il che non appare fuori luogo — che la fonte di Livio, diretta o indiretta poco im porta, fosse scritta in greco, potremo ammettere anche che in essa " ßaaiXevc „ stesse talvolta per e dictator », termine (1) I D . , ibid. (2) P L U T . , Som.
27.
(3) Il MAGIE infatti (De romanorum iuris publiai saorique vooabulii solUmnibus in graeoum sermonem conversis) nou aoooglie àç^ùy fr.-t i vooaboli ohe traduoono « diotator ». Cfr. a. v. Dictator, pag. 78 seg. (4) D I O N . H A L . , V
74.
(5) Liv., I 23, 4. (6) R U D O L P H , op. cit.,
pag.
9
seg^
99
i MAGISTRATI DÈI MUNICIPII LATINI
questo prettamente latino e diffidi mente traducibile in gre co^). Il problema diventa dunque problema di fonti, almeno fino ad un certo punto, poiché si tratta di vedere se l'autore di lingua greca da cui potè derivare la fonte di Livio, di stinguesse fra aQx<ûv e ßaadevc, oppure usasse indifferentemente i due termini. Non potremo certo dare una risposta sicura, ma ciò non ci esime dal tentare di risolvere il problema. Già il Rosenberg (2) osservava prudentemente : « Ich möchte den Schluss wagen, dass Alba schon damals eine Republik war, als es von den Römern erobert wurde ; denn wäre es Monarchie gewesen, so hätte der Priester später rex Albanas — e non dictator Albanus, come appare in 0. I. L. VI 2161 —i geheissen>. Dictator appunto doveva essere il titolo compeJ tente al magistrato che guidò l'ultiina lotta di Alba contro Roma, ma dictator, come già s'è detto, non è termine facil mente traducibile in greco e, aggiungiamo, la traduzione greca, molto approssimativa, si presta facilmente a confusioni. Livio, o la sua fonte latina che certamente non poteva igno rare l'esistenza del dictator, dovette rendere con questo vo cabolo il titolo dato a Mettio Fufezio dalla sua fonte troppo imprecisa, lasciando invece il nome di rex a Oluilio (3), — men tre altrove disse rex lo stesso Mettio — ponendolo sullo stesso piano con Tulio Ostilio nella frase « cum trigeminis reges, ut pro sua quisque patria dimicent ferro » (4). Pare evidente che in questo luogo Livio non avrà sentito la necessità di distin guerli, fors'anche perchè la sua fonte avrà tradotto con «reges* il termine di "ßaaiAeic,,, attribuito indifferentemente al su(1) Cfr. M A G I E , op. oit,
pag. 7 8 ;
ofr.
pag.
12 seg.
e passim;
HOLLKAUX
M.,
2xQaxT)yòc \maxoc, pag. 121 seg. È notorio che comunemente non si ritengono fou ti di prima mano di Livio nò Pisone né Fabio Pittore ; ma l'esistenza di varie citazioni di qnesti autori presso il Padovano autorizza a pensare ohe, almeno indirettamente, egli ne abbia ricavato talune notizie. S'intende quindi ohe quanto è detto nel testo oiroa l'eventualità di una difficoltà di traduzione in greco di termini latini — e viceversa — h a valore indipendentemente dalla solnzione positiva o negativa del problema riguardante l'uso diretto degli Annalisti di lingua greca d a parte di Tito Livio. (2) R O S E N B E R G , op. cit.,
(3) L i v . , I 23, 4. (4) Liv., I 24, 2.
pag.
75.
iòo
LE
MAGISTRATURE MUNI CIP ALI
premo capo romano come al suo antagonista albano. Invece poi, nello stesso capitolo (1) Livio tornerà per Mettio Fufezio al titolo di dictator, che meglio corrispondeva all'evidenza dei fatti. Crediamo dunque che non sia possibile parlare di due tra dizioni differenti conflueuti in Livio ma in contrasto fra di loro, ma soltanto di una verosimilissima confusione di ter mini derivante dalla difficoltà di rendere in greco il titolo di dictator. A questa confusione non si sottrae probabilmente lo stesso Catone (2) quando parla di un praetor albano, titolo che potrebbe corrispondere al generico aoxcov (3) ; e solo ap parentemente la sfugge Strabone(4) che parla soltanto di ßaaiXetc. Non ha quindi valore Posservazione del Eudolph (5), che Dionigi d'Alicarnasso non conosca la dittatura albana solo perchè, parlando del capo di Alba, lo chiama talora oTQornYÓc semplicemente, talora OTQ(XTT|YÒC avcoxodTcop, talora infine rfjç àoxfjç uÇiofreiç, e non mai ÔIKTCITCOQ (6). Altrettanto poco è ragionevole l'esclusione della testimonianza di Plutarco solo perchè essa presupporrebbe la conoscenza della leggenda — di posteriore formazione — dei re Albani (7) : conoscenza che a noi non pare indispensabile, essendo sufficiente la tra dizione dell'origine albana della dinastia romulea. Nemmeno ci pare giusto, come abbiamo visto, pensare che in Livio il ricordo del dictator albano sia un puro e semplice a poste riori (8). Assurda, infine, risulta la conclusione del Rudolph che « la menzione della monarchia in Alba porta piuttosto a (1) Liv., I 24, 9. (2) CAT., Or. fr. 22. (3) Evidentemente il titolo h a qai — come s'è già vieto sopra (ofr. pag. 98) — un valore p u r a m e n t e aggettivale. Si noti inoltre ohe, per qnanto riguarda Alba, non v'è traccia di un uso del termine aToat-nyoç a^xoxax(OQ. Catone potè t e n t a r e di usoire dal generico usando il termine « praetor », ohe oorrispondeva a quello in uso al suo tempo in molte oittà e colonie latine. (4) STRAB., V
231.
(5) R U D O L P H , op. oit.t pag.
9.
(6) Le fonti supra, pag. 95 seg. (7) R U D O L P H , op. cit.,
pag.
9.
(8) Basti a questo proposito rinviare alle sae stesso parole di pag. 9 seg. e 10, n. 1, per rendersi oonto dell'incertezza dello stesso RUDOLPH.
I MAGISTRATI D E I MUNICIPII LATINI
101
questo, che essa ha lo stesso appoggio che quella della dit tatura nelle più tarde istituzioni albane » (1). Di questa con clusione egli cerca la conferma nella possibile esistenza di reges sacrorum in Lanuvio e in Tuscolo, da cui gli Annalisti, poiché essi « dovettero » esserci anche in Alba, ricavarono l'esistenza della monarchia albana (2). Non basta però certa mente l'iscrizione bovillana di C. I. L. VI 2125 (= XIV 2413) a confermare un'affermazione del genere, tanto più che po trebbe anche essere posto in dubbio che si tratti proprio di reges sacrorum locali (3). D'altro canto il rex sacrorum non esclude l'esistenza del dictator, come non esclude quella dei consoli romani, se si considera che potrebbe essere il residuo di quella monarchia che non potè non esistere in Alba come in Roma e come in altre città latine. Indica, tutt'al più, che come in Roma così altrove la monarchia ha lasciato il luogo (1) R U D O L P H , op. cit.,
pag.
10.
(2) I D . , ibid. (3) A proposito del rex albano t u t t o si ridaoe ad un'ipotesi del WISSOWA (Religion und Kultus der Römer, II ediz., pag. 520, n. 6), il quale ritiene irapossibile ohe lo stesso individuo ohe fu re» sacrorum abbia potuto essere tale in Roma, dove fu auohe fiotor pontifioum P. R. Noi, in verità, nou vediamo questa inoompatibilità, tanto più ohe dei flotores pontifioum sappiamo ben poco. Vorremmo t u t t a v i a tener presente l'opinione del MARQUARDT (Staatverwaltung, III, pag. 249, 1), aooolta dal D E RUGGIERO nel suo Dizionario Epigrafico (s. v. Fiotor, voi. I l i , pag. 72) secondo oui i fictores pontificum, talora auohe individui dell'ordine equestre, « siauo stati di una condizione simile a quella dei pontifìcea minores ». Il De Ruggiero stesso, anzi, afferma ohe « se il rex sacrorum della lapide su riferita [ohe è la stessa di oui oi ooonpiamo] è quello di Roma e non già di Bovillae, oome ad altri sembra ohe fosse, si ha anzi il caso di un fiotor, ohe col tempo ascende a quell'alto sacerdozio.)». Quanto al rex sacrorum attribuito a Lanuvium (C. I. L. XIV 2089 ; ofr. RUDOLPH, op. cit., pag. 11), la presenza nello stesso cursus del titolo di flamen Dialis pare un indizio per esoludere ohe si t r a t t i di un rex sacrorum di Roma. Del rex sacrorum dell'iscrizione di Tusculum (C. I. L. XIV 2634) non pos siamo dire altro se non che la carica di senator municipi e di aedilis non esclude del tutto ohe, oome oittadino romano, sia stato rex sacrorum in Roma. Del resto a questi reges già rioordati bisognerebbe aggiungere — e non si vede perchè il Rudolph non l'abbia fatto — anohe quello di Velitrae (C. I. L. X 8417) e quello di Faesulae o di Florentia (C. 1. L. XI 1610), ohe infatti il ROSENBERG elenca nel suo articolò su Rex sacrorum (in P . W. I A, 725 seg.), reges che potrebbero anche essere imitazioni locali del modello Tornano,
102
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
alla repubblica e, in questo caso, sarebbe anzi una prova che la tradizione è nel vero quando ricorda confusamente re e dittatori prima della distruzione dello Stato Albano : perchè accanto al dictator, capo supremo dello Stato, potè sussistere anche il rex sacrorum con funzioni analoghe a quelle che competevano in Eoma a questa secondaria figura; a meno che non si tratti addirittura di un sacerdozio introdotto in taluni luoghi proprio ad imitazione di Roma. Ma la questione esorbita dal nostro campo e non è indispensabile affrontarla in questa sede, tanto più che ben difficilmente potrebbe es sere il caso di Alba, scomparsa prima della caduta della mo narchia romana, quando ancora il rex manteneva intatte tutte le sue prorogative sovrane. A prescindere da ciò, essendo la scomparsa di Alba ante riore al dominio etrusco nel Lazio, ben diverse saranno le condizioni storiche delle altre città latine : la dittatura albana non può essere posta sullo stesso piano di quella che dobbiamo ora studiare (1). Quanto alla Lega Latina il Rudolph (2) osserva chela fa mosa testimonianza di Catone è in contraddizione con la tra dizione riferita da Livio (3), secondo cui nel 340 i Latini sono sotto la guida di due praetores ; ma evidentemente, non cre diamo sia lecito parlare di contraddizione tra due fatti di cui il primo appartiene ad un secolo ed il secondo ad un altro (4). (1) Si osserverà anche che Alba è l'unica oittà latina di cui, per forza di cose, ignoriamo assolutamente se abbia a v u t a l'edilità. Questa lacuna è p e r noi gravissima perone non oi permette di assicurarci se la sua costituzione fosse analoga a quelle che conosciamo. Soltanto possiamo snpporre ohe — se è vero che l'origine d'Alba è « m e d i t e r r a n e a » (cfr. MANNI, Le tracce della conquieta voìsca del Lazio, in Athenaeum 1939, pag. 245 e n. 2) — la sna costitu zione non doveva essere molto diversa da quelle degli Etruschi. Da questo punto di vista, i risultati della nostra rioeroa sulle oittà latine — ohe agli Etruschi furono sottomesse — potrà in linea di massima valere anche per Alba. Ma vogliamo fin d'ora sottolineare ohe la d i t t a t u r a albana — anche se, come s'è visto, non può essere negata per la scarsità e l'incertezza degli ele menti a disposizioue — resta un mistero. (2)
R U D O L P H , op. cit.,
pag.
11.
(3) CAT., Or. fr. 58 ; Liv., V i l i 3, 9. (4) Al 358 a. C. ri sa) irebbe la creazione di due praetores latini subordinati
103
I MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
Più ragionevole appare il dubbio del Eudolph sull'esat tezza del testo di Prisciano (1) da cui si ricava il passo di Catone, inquantochè è norma che in casi dubbi del genere si segua la lectio difftcilior : in questo caso il « dicator » del codice II andrebbe preferito al più noto e dictator >. V e tut tavia da rilevare che « dicator > potrebbe in questo caso es sere ritenuto uu autoschediasma dello scrivano derivante dalla connessione col verbo « dedicavit > che precede immediata mente. D'altronde la questione è ben più complessa di quanto sia apparsa al Rudolph, perchè non basta a postulare l'esi stenza di un dicator della Lega il fatto che un dicator esista a Spoleto : si tratta di vedere se le condizioni di Spoleto siano le stesse di quelle della Lega. Il che, se pure è impos sibile a determinarsi con sicurezza, è tuttavia alquanto im probabile, essendo per Spoletium testimoniata in C. J. L. X I 4822 — litteris antiquis et pulchris — l'esistenza di due pretori (2). Le osservazioni del Rudolph non sono dunque tali da permettere di seguirlo nella sua recisa negazione. Per il Rudolph anche la dittatura delle città latine è una imposizione romana, nel senso che Roma, riorganizzando que sti municipii, avrebbe loro dato il dittatore come capo su premo, mentre in un primo tempo sarebbe stato soltanto il loro rappresentante sacrale; e, per di più, lo avrebbe esone rato da quelle che, secondo il Rudolph ancora (3), sarebbero state in origine le sue funzioni. Tutto ciò è talmente strano che per essere creduto avrebbe bisogno di una certa dimostra zione ; ma questa dimostrazione il Rudolph non la dà ; come al solito il suo ragionamento non convince. Stabilito che la dittatura sia imposta da Roma in sostituzione di qualcosa di simile, che però egli non tenta neppure di determinare, passa ai ooinandauti romani ohe sostituirono il vecchio dictator latino, già comandante federale delle forze comnni romano-latine. Su oiò si r e d a GIANNELLI G., La Repubblica Romana, pag. 186 e n. 58. (1) PRISCIAN., I, pag.
129
H e r t z . Cfr.
R U D O L P H , op. oit.,
pag.
12
aeg.
{2) BELOCH, op. cit.t pag. 490. L'isorizione dioe : . . .]ucius St. f. pr.[.... Prima della frattura si vede anoora la parte sinistra di n n a lettera tondeggiante. (3) RUDOLHP, op. cit.t pag. 27 segg. e passim.
10-1
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
a studiare quella magistratura come magistratura municipale romana ; e pertanto è costretto a postulare un « atto di di ritto statale » romano che abbia e revocate definitivamente > le costituzioni originarie (1). Quest'atto poi dovrebbe coinci dere, non con l'incorporazione in qualità di cive sine suffragio dei vinti nemici, ma con la concessione del pieno diritto di cit tadinanza (2). Egli, inoltre, ritiene di poter trascurare Fidene e Tuscolo, cavandosela a questo proposito con queste poche parole : « Es kann daher mit Sicherheit angenommen werden, dass die Überlierferung nur von diesen Institutionen (cioè dalle dit tature dei tempi storici) ausgegangen ist und diese in die Frühzeit übertragen hat > (3). Metodo spiccio, come si vede, che però permette al Rudolph di passar oltre. Sia su Fi dene (4) che su Tuscolo (5) tornerà poi in brevi note ; ma la sua posizione non può naturalmente mutare. Ma c'è forse di più, perchè la situazione di Tuscolo non è ancora nemmeno per il Rudolph, sufficientemente chiarita e lo stesso Rudolph cade in qualche incertezza quando, non potendo escluderne l'esistenza di un dictator, lo relega nel campo sacrale (6). A Tuscukim vide il Rosenberg (7) il luogo d'origine del l'edilità, ma la sua tesi non ha solide basi, anzitutto perchè infondato è il ragionamento da cui egli parte (8). Ma non in questo soltanto consiste il suo errore, che è anche materiale, in quanto egli, contro l'evidenza delle fonti epigrafiche, so stiene che l'edilità di Tuscolo è un collegio di tre membri. Questo errore è stato notato già dal Dessau (9), il quale ha (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) segg.
I D . , ibid,, pag. 17. I D . , ibid., pag. 18. I D . , ibid., pag. 9. I D . , ibid., pag. 19 n. 2 ; ofr. pag. 29. I D . , ibid., pag. 19 e n. 1 ; ofr. pag. 27 segg. I D . , ibid., pag. 12 seg. ROSENBERG, op. oit.t p a g . 7 segg. Cfr. supra, pag. 1 segg. DESSAU, Zur Stadtverfasaung von Twculum, in Elio XIV (1915), pag. 489
I MAGISTRATI D E I
MUNICIPII LATINI
105
sostenuto che il Lorentius Atticus di « Année épigr. > 1906, 79 ( = N. S. 1905, pag. 271) non è un magistrato tuscolano. Anche se la tesi del Dessau non viene accolta in tutto poiché non pare possibile ammettere che Lorentius Atticus sia edile di un viens (1), resta tuttavia evidente che gli eponimi tuscolani sono soltanto due e Lorenzo Attico può pertanto es sere un ex-edile che dedica la sua opera dopo di averla ini ziata quando era tuttora in carica (2). Scompare così l'unico appiglio con cui poteva sostenersi la tesi del Bosemberg, poi ché le altre iscrizioni parlano tutte di collegi di due edili, talora enumerati senza epiteti, talora detti quinquennales (ne gli anni del censo) o lustrales, epiteto questo che, come ha mostrato il Leuze (3), va inteso nello stesso senso che l'altro di quinquennales. Accanto a questi due edili la tradizione ri corda un dictator, e bisogna dire che vani appaiono gli sforzi di chi vuol negarne l'esistenza, compreso lo stesso Eosenberg, che se la cava col dire che : « die Diktatoren die Livius zwei mal nennt (III 18; VI 26J sind überhaus verdächtig » (4), dando la preferenza alla citazione di Plinio (5), secondo cui nel 322 un L. Fulvius fu consul dei Tuscolani ribelli. Egli infatti spiega questo titolo piuttosto come quello che « die beiden regie(1) Il DESSAU (in Klio XIV, 1915, pag. 491) afferma a torto che Lorentius Atticus deve essere edile del viens Angusculanus « vornehmlich auch wegen der einleitenden Formel ex auetoritate S. P. Tusculani ». Se qui Terrore è evidente, è però possibile ammettere ohe « die verschiedene Beteiligung der Kollegen an der Arbeiten « ofientlioh zum Ausdruck zu bringen, war nicht der Brauch ». Restano quindi in parte valide anche le osservazioni del ROSENBERG (op. cit., pag. 7 segg.), secondo cui il nostro personaggio non avrebbe potuto usare la cassa di Tusculum se non ne fosse stato un vero magistrato. Erronea ci pare invece la deduzione ohe si trattasse di un oollegio di t r e edili, smentito da t u t t e le altre iscrizioni tusoolane. (2) Che perfino la dedioatio di un tempio possa essere oompiata non solo da un magistrato in oarica, ma auche da un ex magistrato che vi sia interes sato risulta evidente da numerose fonti (ofr. su oiò MOMMSEN, op. cit., I I 3 621 seg.). A maggior ragione la regola può valere per la restitutio di un'ara come sarebbe nel oaso di Lorentius. (3) LBUZE, Aedilis lustralis, in Hermes 1914, pag. 110 segg. ; ofr. contra, ma a t o r t o , D E S S A U , l. e , pag. (4) ROSENBERG, op. cit., (5) P L I N , n. h. VII
136.
492. pag.
14.
106
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
renden Aedilen von Tusculum ebenso neben ihrer eigentli chen Bezeichnung gelührt haben, wie ursprünglich die bei den Praetoren von Rom » (1). Ma, ammesso che il titolo ricor dato da Plinio non vada inteso che come un'espressione re torica diretta a mettere in maggiore evidenza quella sfortuna » per cui il Fulvio nello stesso anno divenne console in Eoma, non si vede il motivo per cui egli non potesse essere stato dictator in Tuscolo. La tradizione riguardante la dittatura tuscolana, infatti, non si limita a Livio — che già sarebbe mol tissimo —, ma ha anche altre basi, considerando che compare anche nell'iscrizione di M. Bebio rivalutata dal Beloch (2), e, sia pure come reminiscenza, nella Oronaca di Montecassino (3). La dittatura di Tuscolo non può dunque essere così leg germente esclusa, né — come s'è visto — è del tutto esclusa la presenza di un rex sacrorum locale (4). 11 problema è dun que meno semplice di quanto l'abbia prospettato il Rosenberg, ma, per taluni aspetti è pi h chiaro : resta da vedere come si potrebbe conciliare l'esistenza del rex sacrorum con quella del dictator e dei due edili. Se infatti il dictator di Tuscolo non è il magistrato eponimo, bisogna pensare, come il Rudolph (5), che si tratti di un magistrato ad sacra. Avremmo così un re siduo di una precedente costituzione, per cui il rex sacrorum dovrebbe essere un assistente del dictator per certe funzioni, così come in Roma il rex sacrorum sopravvive pur essendo riservata al ponti/ex maximus la suprema autorità religiosa. L'eventuale esistenza del rex sacrorum di Tuscolo si concilierebbe dunque benissimo anche con l'esistenza della ditta tura che, a sua volta, non va esclusa per nessun serio mo tivo. Se davvero potessimo credere al rex sacrorum tuscolano, anzi, sarebbe questa una prova di più che la dittatura non sorse solo per motivi religiosi, ma ebbe funzioni nettamente politiche in un periodo intermedio fra la monarchia e la du(1) R08KNBEU<5, Op. cit., p a g . 1 4 . (2) C. I. L. XIV, falsae
212 ; B E L O C H , op. oit., p a g . 499.
(3) C H R O N . IV 125, oitato da R U D O L P H , op. cit., p a g . 19 n. 1. (4) Cfr. supra, p a g . 101 e n. 3. (5) R U D O L P H , op. cit., pag. 19 e n . 1.
I
MAGISTRATI DEI MUNICIPIl LATINI
107
plice edilità posteriore cbe noi ben conosciamo. La possibi lità di fissare cronologicamente questo periodo la troveremo forse osservando che Tusculum potè avere, all'atto dell'incor porazione nello Stato Eomano, nel 381 a. G. una sorte ana loga a quella che poi toccò au* Anagnia, i cui magistrati ri masero soltanto ad sacra (1) : passato ad sacra il dictator, as sunsero le funzioni amministrative della città i due edili che, per evidenti necessità contingenti, assunsero più tardi anche funzioni censorie. La costituzione preromana di Tusculum ci appare tuttavia simile a quella che troveremo a Lanuvium, Nomentum, Arida e, forse, Caere, sebbene in taluna di queste città la dittatura compaia in epoca romana esclusivamente con carattere sa crale, in talaltra invece mantenga l'eponimia e, quindi, anche un carattere politico (2). Delle due iscrizioni che riguardano Arida, una presenta un singolare cursus honorum, in cui la gerarchia locale risulte rebbe composta da un dictator, Traiano in persona, rappresen tato da un praefectus, da due questori e da due edili (YI 2213), ma è evidente, come ha osservato il De Sanctis (3), che si tratta in questo caso di un errore del « buon pistor » dedicante ; tanto più che Paîtra iscrizione (YI 2169) ci dà il cursus giusto, consistente nella sequenza quaestor aedilis dictator. È evidente altresì che il supremo magistrato è il dictator, poiché, come giustamente è stato notato (4), se il dictator non fosse un ma(1) Cfr., infra, p. 132. Sulla questione cronologica riguardante l'incorporazione di Tusculum nello Stato Romano non indugeremo : è nota la tesi del BKLOCH (op. oit., pag. 375) secondo oui essa sarebbe avvenuta solo dopo la guerra latina, ina rite niamo ool BERNARDI (in Athenaeum 1942, pag. 94 n. 5, ohe segue DE SANCTIS, St. dei Romani, II 243 seg.) ohe l'argomentazione del Belooli nou sia convin cente. Certo è tuttavia ohe i Tnscolani entrarono ben preuto nella vita politioa di Roma conseguendo anche le maggiori magistrature (BBLOCH, op. cit., pag. 379). (2) Ciò avvieue senza dubbio per Arida (C. I. L. VI 2213) e per Lanuvium (cfr. infra, pag. 108 seg. ; 136 seg. ; e C . l . L. XIV 2093 e 2112). Sulla esistenza di un rexy che, se fosse di Lanuvium, conforterebbe di un nuovo argomeuto il fatto ohe il dictator non fu ivi ad sacra cfr. supra, n. 3 a p. 101, ove si pone in evidenza la difficoltà di ammettere ohe si tratti di un rex romano. (3) DE SANCTIS G., La dittatura di Caere, in Scritti Nogara, pag. 155. (4) ROSENBERG, op, oit., pag.
73.
108
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
gistrato non sarebbe logicamente spiegabile la presenza del suo praefectus. Analoga appare la costituzione di Lanuvio, in cui troviamo confermata dalle iscrizioni l'esistenza di un dictator in età repubblicana (1), di un dictator e di due aediles nel 1° secolo d. 0. (2), l'esistenza di un ordine di dictatorii superiore a quello degli aedilicii (3). Inoltre in un'iscrizione arcaica (4), su di un vaso di bronzo dedicato a qualche divinità, compaiono ben tre aediles : e questo è un fatto che suscita problemi più com plessi di quanto non sia stato visto. Intanto esso è sfuggito al Eosenberg, pur così sottile indagatore di questi problemi, e al Eudolph, meno preciso ma non meno coscienzioso rac coglitore ed esaminatore di dati. Il merito di aver posto in evidenza questo fatto singolare spetta al De Sanctis, il quale però si limita a constatare che «in seguito i tre edili sono stati ridotti a due, il numero di tre essendosi mantenuto sol tanto in comuni dove gli edili erano i magistrati supremi » (5). Ma da questa constatazione si potranno ricavare ulteriori ri sultati. In realtà, come osserva ancora il De Sanctis, « nulla assolutamente impedisce di supporre che in Caere, al pari di Lanuvio, il numero originario degli edili fosse tre » (6). Si tratterà ora di vedere se questa triplice edilità di Lanuvio possa in qualche modo essere in relazione anche con la tri plice edilità di Arpinum, Fundi, Formiae. Ma, poiché sulla tri plice edilità dovremo tornare più oltre, basti qui accennare alla possibilità che, formando collegio il dittatore e i due edili — come appare confermato dal fatto che tutti e tre sono epo nimi (7) — potessero assumere tutti e tre lo stesso titolo. Senonché un'altra possibilità che non va scartata a priori è (1) C. I. L. I* 1428 ; ofr. supra, pag. 94. Non oredo possa considerarsi ve rosimile a Lanuvium l'esistenza di un praetor, ohe sarebbe dooamentata soltanto da C. I. L. XIV 2117 (C. Domatiue Cf. Rufus pr.). Cfr. contra DBSSAU, ad loc. (2) Ibid., XIV 2097; ofr. supra, pag. 94. (3) Ibid., XIV 4178c; ofr. supra, pag. 94. (4) Ibid., I1 2442. (5) DB SANCTIS, loo. cit., pag.
(6) ID., ibid. (7) C. /. L. XIV 2097.
155.
ì MAGISTRATI DEI MUNIGIPII LATINI
109
quella che, avendo scritto di seguito i nomi dei due fratelli, Quinto ed Aulo, per metterne in evidenza la comune pater nità di Quinti fllii, sia mancato il modo di mettere invece in evidenza il fatto che il primo era il dictator e il secondo un aedilis. Non possiamo dunque ricavarne nulla di certo in con trasto con quanto ci dicono le altre fonti. S'affaccia qui l'opportunità di studiare anche l'organizza zione di Caere, su cui appunto il De Sanctis si indugia spe cialmente nello scritto citato (1). Sarà bene sottolineare subito che, per il De Sanctis, se le istituzioni di Caere si differen ziano notevolmente da quelle € date da Roma» ai comuni in corporati nello Stato Romano prima o poco dopo di essa (Tuscolo, Aricia, Lanuvio, No mento, Pedo) al momento stesso della loro incorporazione, «avremo ogni ragione di ritenere quelle istituzioni di origine epicoria. Se invece tra le istitu zioni di Caere e quelle degli antichissimi comuni latini vi è stretta affinità, sarà assai più ragionevole ritenere cbe Roma abbia applicato istituzioni latine al più antico comune non latino incorporato nel suo territorio anziché ammettere che sull'esempio delle istituzioni di questo abbia modellate le istizioni da essa date ai comuni latini > (2). Tuttavia — persistendo il dubbio, di cui parleremo (3), che la dittatura possa essere d'origine etrusca — non si può escludere a priori che città latine e non latine state sotto il dominio etrusco avessero in comune il tipo di magistratura pur essendo di origine diversa. In secondo luogo non crediamo di poter ripetere un'afferma zione così recisa come quella che fa il De Sanctis quando scrive e ripete che queste costituzioni furono date da Roma. Studiamo dunque la costituzione di Caere senza precon cetti ; poi, solo dopo ciò> sarà possibile tentare di ricavarne i dati utili alla questione. Gli elementi a nostra disposizione sono quelli già ricordati, tutti di carattere epigrafico (4) : nelle fonti letterarie non si trovano accenni diretti alla nostra que stione.
(1) DB SANCTIS, loc. cit., pag. 147 BQgg. (2) ID., ibid., pag. 151. (3) Cfr. infra, pag. 123 segg. (4) Cfr. supra, pag. 93 seg.
HO
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
L'iscrizione più importante è quella di C. J. L. XI 3614, dalla quale risulta anzitutto che in Caere, nel 113 d. C, erano eponimi un dictator e un aedilis iuri dicundo, il quale ultimo è altresì praefectus aerarli, mentre un altro aedilis, non epo ni ino questo, ha funzioni annonarie (aedilis annonae). Il col legio dei due edili si è dunque spezzato, mentre un altro se n'è formato fra il dictator e ì'aedilis turi dicundo. Osserva giustamente il De Sanctis che se Yaedilis i. d. è detto anche praefectus aerarvi ciò significa che si tratta di un incarico straordinario, che non esclude l'esistenza di quaestores e che, comunque, non doveva rientrare nelle normali funzioni di questo edile (1^. Anche a proposito dell'iscrizione di C. I. L. XI 3593, in cui compaiono due dictatores (siamo al tempo di Claudio) è possibile che abbia ragione il De Sanctis che, ammessa la collegialità del dictator con Vaedilis i. d., spiega l'apparente anomalia con l'ambizione di questo secondo magistrato op pure con una bizzarria di Claudio (2), e sia detto qui per in ciso che, sebbene da una pura ipotesi aon sia lecito trarre conseguenze, ciò confermerebbe forse la possibile esistenza di due praetores della Lega Latina, di cui uno corrispondente al dictator e uno corrispondente al magister equitum : Claudio non avrebbe fatto che riesumare iu qualche modo, senza averne colto il significato con perfetta esattezza, l'antico collegio latino (3). Allo stesso ordinamento di Caere attribuisce il De Sanctis anche l'iscrizione di C. I. L. XI 3615, da altri variamente at tribuita; e già il Eosenberg (4) ne aveva compresa l'affinità : vi compare infatti un personaggio che fu quaestor, aedilis, dictator, aedilis Etruriae. È evidente che, come nota il De San ctis, questo magistrato non potè essere che di una città etni sca, di Cavre dunque che è l'unica cui possa essere attribuita l'iscrizione trovata fra Sutri e Nepet. (1) DK SANCTIS, loc. oit., pag. 154.
(2) ID., ibid., pag. 153 seg. (3) ID., ibid., pag. 154.
(4) .ROSENBERG, op. cit., pag. 68.
t MAGISTRATI DÈI MUNICIPI! LATINI
111
Vogliamo anche sottolineare la spiegazione data dal De Sanctis della singolare posizione deWaedilis iuri dicicndo : « Il fatto della assunzione di uno degli edili — egli scrive — a collega o quasi collega del dittatore ha la sua naturale spie gazione nella evoluzione degli ordinamenti municipali dati da Koma all'Italia dopo la guerra sociale » (1). La spiegazione ci pare logica, anche se, d'altro canto, converrà forse tener pre sente qualche altro elemento, come, per esempio, la possibi lità che questa specie di collegialità sia invece un fenomeno di riduzione della triplice collegialità edilizia comparente al trove : da essa potè in un primo tempo elevarsi la figura del dictator e poi quella deWaedilis i. d. ma su queste distinzioni cronologiche avremo occasione di tornare più oltre. Alla costituzione di Caere collega il Rudolph (2) quella di Nomentum e sulla stessa via si pone il De Sanctis (3), il quale ammette — come già il Eudolph — che il « duumvirali potestatv» di C. I. L. XIV 3955 sia da intendersi, come vuole il Rosenberg (4) riferito al titolo che segue — aedilis — e non a quello che precede — flamen perpetua — ; e ne ricava un istruttivo parallelo con Vaedilis i. d. di Caere. Meno im portante è l'altra iscrizione citata, in cui compare un aedilis, dictator, quaestor alimento-rum, il cui ultimo titolo si riferisce certo (5) ad una carica di istituzione recente. Anche Fabrateria vetus, che ottenne con la guerra sociale la condizione di municipium optimo iure con a capo IlIIviri (6) ha un dictator (7). Il Rosenberg (8) dice che in questa sola città « im Gegensatz zu der praetorischen Ordnung findet sich das Diktator-schema ausserhalb seiner eigentlichen Heimat ». Non so se il Rosenberg abbia ragione a parlare di contrapposizione con l'ordinamento pretorio, caratteristico delle più antiche (1) DE SANCTIS, loc. oit., pag. 158. (2) RUDOLPH, op. cit., pag. 32 segg. (3) D E SANCTIS, loc. oit., pag. 152. (4) ROSENBERG, op. oit., pag. 73 seg.
(5) ID., ibid., png. 73.
(6) BELOCH, op. cit., pag. 501.
(7) C. I. L. X 5655.
(8) BOSBNBKRG, op. cit., pag. 111.
lia
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
colonie latine (1), trattandosi per Fabrateria velus, di una città che prima di essere municipio — per la guerra sociale, come s'è detto — si sottomise a Eoma spontaneamente (2) e rimase federata a Eoma appunto fino alla guerra sociale (3): certo è invece che la dittatura persistette, almeno ad sacra (4), e non se ne spiegherebbe l'esistenza accanto al Illl^irato se non fosse esistita in precedenza. Ohe poi essa sia «ausserhalb seiner eigentlichen Heimat» (5), questo è problema che non si può risolvere se non ricercando l'origine etnica di Fabrateria stessa, il cui nome almeno non pare latino, né volsco o ita lico in genere, ma mediterraneo e forse etrusco (6), e quindi, contrariamente a quanto scrive il Rosenberg, suggerirebbe rapporti di affinità con Tusculum, Caere (?) e così via, città tutte di probabile origine etrusca. Tra queste città va posta Fi dene, che, secondo Macrobio (7) ebbe appunto un dictator : un Postumius Livius Fidenatium dictator è eletto a guidare i ribelli contro Eoma. Pare con trapporsi alla notizia di Macrobio l'iscrizione di epoca repub blicana di C. I. L. XIV 4063 in cui compaiono due Ilvirei, ma l'esistenza dei Ilviri non esclude quella del dictator, non solo perchè i TI viri di Fideue sono attestati solo in epoca sillana, mentre la notizia di Macrobio si riferisce ad epoca ben anteriore ; ma anche perchè il dictator Fidenis quater dell'iscrizione pubblicata in « Notizie Scavi)) 1903, pag. 349 (8) non può essere posto in dubbio, anche se l'iscrizione fu sca vata a Troia in Apulia, perchè l'esistenza della dittatura è attestata anche da O. i . L. XIV 4058 al tempo di Gallieno. A complicare la questione intervengono però un'altra iscri-
(1) B K L O C H , op. cit., (2) L i v . , V i l i
pag. 490.
19 ; ofr. B E L O C H , op. cit., pag. 368 e 3!'0.
(3) BKLOCH, op. cit.,
pag. 586.
(4) I D . , ibid. (5) R O S E N B E R G , op. oit.t p a g . 111.
(6) MANNI, Le tracce della conquista vohca del Lazio, in Athenaeum 1939, pag. 243. (7) M A C R . , Sat. I 11, 37.
(8) =
C. I. L. I 2 1709,
1Î3
î MAGISTRATI D E I MUNICIPII LATINI
zione in cui compaiono due dittatori (1) e le difficoltà stesse di lettura di quest'ultima. Si affaccia spontanea la domanda se per caso i due ditta tori non corrispondano ai due IIviri e se, gli uni come gli altri, non trovino raffronto con quei due dittatori di Caere di cui abbiamo parlato. Il problema deve pertanto essere approfondito : ma, intanto, bisognerà porre in disparte il « dictator Fidenis quater » (2) di cui non possiamo sapere se avesse un collega e quello di Fabrateria vetus, di cui il nu mero dei dittatori non è assicurato da nessuna testimonianza. Per quanto riguarda Caere sappiamo già che 0. I. L. XI 3593 presenta appunto due dittatori. Per l'iscrizione si sup pose dallo Henzen (3) che si tratti di una cosa molto semplice : le lettere ES, con cui termina l'iscrizione, sarebbero state in cise nell'interlinea per applicarsi alla parola « dictator*, avendo M. lunius FJutychus, successore di P. Avillius Acanthus nella carica di dittatore, voluto che anche il suo nome figurasse sul l'iscrizione accanto a quello del predecessore. L'ipotesi, logicis sima, fu posta in dubbio da Huillard-Bréholles (4) solo per la presunta esistenza di due dittatori anche a Fidenae; ma a me pare avvalorata dal fatto che là, ove ora si legge il nome del secondo dittatore, si intravvede chiaramente una raschiatura : le parole raschiate erano con grande probabilità « sua impensa posuit » (5). Il mistero si può dunque chiarire supponendo che Gianio Eutico abbia completata l'opera iniziata da Avillio Acanto, cosicché fosse necessaria la correzione di quel « sua impensa posuit », rispondente solo in parte a verità. Quanto all'iscrizione di Fidene c'è l'ipotesi del Eosenberg che è già stata accolta da altri (6), e cioè che si debba cor reggere l'ET in AED. La D potrebbe essersi mutata per errore in T essendo seguita da un'altra T, ma appare meno proba bile che sia scomparso anche il dittongo — E in sostituzione (1) C. I. L. XIV 4058. (2) C. I. L. I 1 1709. (3) H E N Z E N , in O R E L L I - H E N Z E N , ad n. 5772 ; ex Ann.
Inst.
1846, pag. 266.
(4) H U I L L A R D - B R É H O L L E S , in Bev. Aroh. 1862, pag. 356. (5) Cfr. BORMANN in C. I. L. X I ad n. 3593. (6) R O S E N B E R G , op. oit.t p a g . 74 seg. ; R U D O L P H , op. cit., p a g . 42. 8
Ì14
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
di AB — quando si osservi che nella stessa linea il dittongo compare nel nome ABLIO. Ho voluto perciò risalire ancbe questa volta alla fonte prima, e cioè al Guattani (1), che pub blicò la prima volta l'iscrizione, ed ho potuto osservare che dopo quel difficile ET c'è un punto, segno questo che non com pare fra una parola e l'altra nel resto dell'iscrizione. Si può dunque credere che si tratti veramente di un'abbreviazione. Ma l'iscrizione presenta anche un'altra anomalia, come quella di quel OURAG (2), che, per essere spiegato, dovrebbe essere considerato un nuovo errore del lapicida. Se proprio vogliamo tenere in considerazione un'iscrizione così poco chiara, po tremo forse dire che la probabilità che essa dimostri l'esi stenza di due dittatori è per lo meno dubbia, come pare in tuibile dal fatto che ogni nome sembra preceduto da un'ab breviazione diversa; ma sarà forse più prudente porre l'epi grafe nel dimenticatoio e non tenerne alcun conto. Nulla dunque ci autorizza a pensare come possibile l'esi stenza di collegi di due dittatori. Dobbiamo invece osservare che, almeno a Capena (3) si crede da taluni che sia esistito un tipo di pretura assai simile alla dittatura e costituita anch'essa da un magistrato unico. Questo tipo di pretura è stato avvicinato dallo Sherwin White (4) al praetor ricordato da Orazio per Fundi (5), dove sono invece testimoniati dalle epigrafi soltanto collegi di tre (1) GUATTANI, Monumenti sabini, voi. II, pag. 358. (2) L'interpretazioue our(am) ag(ente) mi pare assai difficile da ammettere per quanto paia la più ovvia. (3) C. I . L. XI 3873 e 3876a. Cfr. S H E R W I N - W H I T E , op. cit., pag. 65. Bi sogna però tener presente non solo ohe tali iscrizioni sono di t a r d a età impe riale (rispettivamente dell'età di Pertinace e di Caracalla) e potrebbero quindi doonuieutare ana m a g i s t r a t u r a non originaria, ma nnohe che un fenomeno ana logo si ha pnre per Falerii. Nella C. I. L. XI 3081 (Menerua sacra A. Cotena La. f. pretod de zenatuo sententiad vootum dedet, cuando datti, rected concaptum) nn solo pretod agisce de zenatuo sententiad ; ma in C. T. L. XI 3I56a = C. J. E. 8343 appaiono due pretori insieme (Hirmio M. [fj] Ce(piof). Tertineo. C.f.pret(ores): la l e t t u r a non è sicurissima, ma è almeno probabile). Non è quindi impossibile ohe anche a Capena i pretori fossero due. (4) S H E R W I N W H I T E , op. oit.,
(5) H O R . , Sat. I 5, 34.
pag.
63.
I MAGISTRATI DEI MUNIGIPII LATINI
115
edili (1). Secondo lui il praetor d'Orazio non sarebbe un er rore, ma andrebbe inteso come traduzione del nome di un magistrato corrispondente ai dictator di Lanuvium. Non sa rebbe dunque necessario «rovesciare» il carattere collegiale della triplice edilità per intendere Orazio, perchè è possibile pensare ad un magistrato, diverso dagli edili, le cui funzioni siano state ridotte (2). Questa variazione dei poteri del meddix — poiché è appunto di un meddix «travestito» quello di cui, secondo lo Sherwin Wite (3) si tratta —sarebbe inoltre avvenuta senza l'intervento di Koma. Noi dobbia mo senza dubbio sottoscrivere in linea di massima le pa role che lo stesso autore fa seguire (4) a proposito di al cune tendenze allo schematismo più assoluto di taluni stu diosi ; ma non siamo d'accordo con lui quando egli pare voler inserire la sua ipotesi sul praetor di Fundi in quella del Kornemann sulla triplicità delle magistrature indigene d'Italia (5), da cui trae la conclusione che «since an explana tion has been found even for the apparent disappearence of the meddix, it is hardly necessary to go on believing that Rome in 188 B. C. abolished the constitutions of the states then incorporated » (6). Ool che contraddice se stesso, a meno che non si voglia ammettere che i tre edili posteriori al 188 fossero una spontanea reviviscenza di una più antica magi ci) Cfr. infra, pag. 123 segg. (2) L'opinione del ROSENBERG (op. cit., pag. 5) e del KORNEMANN (Zur alt-
italischen Ferfaesungsgeschiohie in Elio 1914 pag. 199), è invece ohe il titolo non ufficiale di praetor sia spettato al primo dei t r e edili : « der Praetor-Aedil steht aber geradeso über den beiden anderen Âedilen wie der Diktator in den äl teren Verfassungen dieser A r t » . A proposito della tesi del KORNEMANN ofr. infra, p a g . 125 seg. (3) S H E R W I N W H I T E , op. cit., p a g . 63.
(4) I D . , ibid. : « I t is a serions flaw in several current views about the early municipalities t h a t sufficient allowance is made neither for the activity of the oommnnities themselves, in remodelling and in developing their constitutions, nor for t h e scattered and broken oharaoter of t h e evidence for the mnnioipal history of Italy. This flaw produoes its evil effeot especially in a tendency to elaborate extremely schematic t h e o r i e s » . (5) KORNEMANN, art. cit., in Klio 1914, p . 190 segg. (6;
SHERWIN WHILTE,
op. cit., pag. 63,
116
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
stiratura, risorgente in luogo dei caduti meddices, cui sareb bero rimaste — come egli suppone — funzioni limitate. Ma del praetor di Fundi dovremo ancora parlare fra poco e al lora vedremo come, secondo noi, possa trattarsi non già di un wfieddix, messo in disparte, ma, forse, soltanto di uno dei tre soliti edili, cui Orazio può dare il pomposo titolo di praetor perchè è fornito di funzioni giurisdizionali, o, forse di un quinquennalis che ha la suprema iurisdictio in un anno di censo. Sulla giusta strada appare invece lo Sherwin White quando osserva che, a differenza dei pretori di Anagnia, Capitulum Hernicum e Cumae (1), il praetor di Oapeoa — unico e cioè senza collega — < may be supposed to hold the same office as the (1) Lo S H E R W I N W H I T E (op. cit., pag. 65), riprendendo l'elenco del B E L O C H
(op. oit., p a g . 498), vi comprende, come il Belo oh stesso, an oh e Lavinium, su oui si veda infra (pag. 135, n. 1). Quanto ad Anagnia ofr. infra (pag. 132). Riguardo a Capitulum Hernicum bisognerà tener presente ohe essa fu dapprima compresa nella prefettura anagnina e solo più tardi eretta a municipium (ofr. BELOCH, op. oit., p a g . 527) : ciò spiega a sufficienza come fosse r e t t a da magistrati ana loghi a quelli di Anagnia. Qualohe parola di p i ù merita il caso di Cumae, ohe, secondo il BELOCH, (op. cit., p a g . 518) ebbe praetoren come colonia, dopo averli avuti oome munioipium (ibid., p a g . 498). È naturalmente soltanto quest'ultima affermazione quella ohe qui o'in te ressa. Il BELOCH la basa sulle due iscrizioni C. 1. L- X 3685 e 3698 ; ma, anzitutto, non si capisce come mai egli possa oitnre a que sto proposito il n. 3698, quando si ricordi ohe egli lo cita poi, e giustamente (pag. 518), anche come esempio per la p r e t u r a della colonia, che, sempre se condo l u i , non potrebbe essere augustea (contra MOMMSEN, in C. I. L. X pag. 351). Bisogna però osservare ohe I'isorizioue d a cui il Beloch ricava l'esi stenza del municipium all'inizio dell'Impero (C. I. L. V 3711) è da altri a t t r i buita alla une della repubblica (MOMMSEN, loc. cit.). Se d'altra parte l'isorizione 3685 non è databile ad epoca anteriore alla deduzione della oolonia — n o n solo perchè è impossibile preoisare la data esatta di quella deduzione, ma anche perchè malcerta è la datazione dell'epigrafe stessa oggi perduta (ofr. C. I. L. X pag. 352) — bisognerà concludere ohe non abbiamo alcuna documentazione dell'esistenza di praetores nel municipium di Cumae. Di conseguenza non po tremo tener conto, oome invece vorrebbe il MINGAZZINI (Notizie Scavi 1930, pag. 547 seg.), n é dell'iscrizione C. I. L. I 2 1575 ( = X 4651) — già a t t r i b u i t a a Cales dal MOMMSEN (C. I- L. X pag. 451) e dallo stesso BELOCH (op. cit., pag. 490) — né di quella ohe egli stesso pubblica, identica all'altra e, oome quella, attribuibile non solo a Cales, ma anohe u Roma (MINGAZZINI, loo. cit.). Resta l'isorizione edita in Notizie Scavi 1913, pag. 186 seg., in cui la p r e t u r a è senz'altro del periodo coloniale (l'individuo onoratovi fu anohe our.peo. pub.).
I MAGISTRATI DEI MUNICIPTI LATINI
117
dictator at Caere » (1). In ciò egli segue il Kornemann (2), te nendo presente il praetor Etruriae. E non si discosta dall'ipo tesi del Rosenberg (3), pur rilevando sulla traccia del Beloch (4) che lo stato attuale delle nostre conoscenze etruscologiche non permette di dare un valore assoluto alle sue con clusioni. Noi abbiamo già notato (5) come praetor e dictator possano, ad un certo momento, essere stati considerati come sinonimi» Nò dobbiamo dimenticare la possibilità che Puno e l'altro termine siano stati di volta in volta usati per tradurre termini analoghi in epoche diverse (6). Se dunque si può pensare che esista una forma di pretura unica corrispondente in qualche modo alla dittatura, il pro blema da affrontare è quello che riguarda il rapporto fra que ste magistrature e la triplice edilità di taluni comuni. Ma intanto converrà stabilire i termini del problema per quanto riguarda i rapporti fra le città del Lazio e Eoma circa le magistrature che abbiamo terminato di passare in rassegna. Abbiamo già dimostrato che ai municipii era possibile in qualche caso mantenere le magistrature del periodo anteriore alla < concessione » della civitas sine suffragio. Per quanto ri guarda particolarmente le città latine incorporate in un pri mo tempo con questo tipo di cittadinanza, si osserverà facil mente che la dittatura di Arida, di Lanuvium e di altre città non può essere un'imposizione romana. A Tuscolo avvenne anzi il contrario perchè il dittatore restò — se restò — sol tanto ad sacra, mentre magistrati supremi divennero gli edili. Del resto fin le più antiche colonie latine, in cui Roma, già egemone nel Lazio fin dal periodo della monarchia etnisca, esprime la sua capacità organizzativa, sono rette — come Roma stessa — da coppie di praetor es. Non si capirebbe per chè stati teoricamente sovrani, come le colonie latine, doves(1)
SHBRWIN WHITE, op. cit.,
pag.
65.
(2) KORNEMANN, art. cit. in Klioy pag. 199. (3) R08ENBKRG, op. oit., pn-g. 51 aegg. (4)
BELOCH, op. ait.,
pag.
231.
(5) Cfr. supra, pag. 114 aegg. (6) E' il punto di vista del KORNEMANN (Zoe. oit., pag. 199) rer Zeit Diktator Mese, wurde jetzt Praetor genannt »,
twas in alte»
118
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
sero assumere una magistratura identica a quella ordinaria in Eoina, mentre città più o meno totalmente assorbite dallo Stato Eomano avessero avuto per il magistrato locale il ti tolo che i Eomani riservavano ad un magistrato di fronte al quale perfino i poteri dei consoli decadevano totalmente. La dittatura sorse dunque spontaneamente nel Lazio e il dittatore fu probabilmente il successore del re quale capo su premo delle singole città. Quanto all'edilità la sua assenza nelle colonie latine rette da due pretori (1) ci conferma soltanto cbe la costituzione romana, modello di quella coloniale, ignorava, quando furono fondate le prime colonie latine, questa magistratura. D'altro canto dobbiamo tener presente la considerazione che fin quando gli edili plebei sono sacrosancti essi costituiscono una magi stratura puramente plebea avente quindi carattere rivoluzio nario (2). Durante questo periodo — che giunge almeno fino all'anno 339 (3) — non è pensabile che lo Stato patrizio dia alle città sottomesse una magistratura siffatta. In particolare, Tnsculum non può dunque aver avuto dai Eomani una tale edilità nell'anno 381. Ma, ammesso questo punto, restano aperte due vie nel campo delle ipotesi : o l'edilità tuscolana e, in generale, latina fu il modello della edilità plebea ro mana (4), o l'edilità tuscolana risale a data anteriore al 381 essendosi foggiata sul modello dell'edilità plebea quaudo que sta si avviava ancora a divenire una vera magistratura. Per le altre città latine, sottomesse soltanto nel 338, quando già esisteva l'edilità curule da quasi trentanni, e per la stessa Tusculum, esiste infine una terza possibilità : e cioè che in esse si sia imitata l'edilità curule di Eoma durante il periodo intercorrente fra il 366 — anno dell'istituzione in Eo(1) Cfr. infra, pag. 165 segg. (2) Cfr. infra, pag. 260. (3) Cfr. infra, pag. 260. (4) Lo sviluppo dell'edilità verso il 400 a. C. sarebbe dimostrato secondo il MAZZARINO a YoUinii {Dalla monarchia allo Stato repubblicana, pag. 136 : aiZ/[.]), nonoliè a Falerii (op. cit.y pag. 140 : efiles). Se ciò potesse essere accolto oon qualche sionrezza, l'ipotesi ohe an oh e Tusoolo conoscesse l'edilità prima del dominio romano ne trarrebbe valido sostegno.
I MAGISTRATI DEI MUMICIPII LATINI
119
ma — e il momento della rivolta armata. Si può infine pen sare ad una istituzione posteriore al 338. Ciascuna di queste ipotesi ha il suo pro e il suo contro. Consideriamo anzitutto la possibilità che l'edilità tuscolana sia anteriore al 381. Se ammettiamo che essa sia sorta in dipendentemente dall'edilità plebea di Roma, appare logico il pensiero che anche le altre città latine non fossero rette in modo diverso : poiché pure in esse troviamo le stesse magi strature — dittatura ed edilità — ed anzi la tradizione della dittatura appare più saldamente radicata nelle altre città che non in Tuscolo. A sostegno appunto dell'origine dell'edilità latina indipen dente dall'edilità plebea di Roma, si può anche notare che gli edili latini, e fra essi i tuscolani, non sono — o per lo meno non appaiono mai — sacrosancti : essi, a differenza degli edili plebei, sono legittimi funzionari locali cui lo Stato sovrano demanda talune funzioni. Anche ammettendo che, per ipotesi, gli edili plebei fossero già praticamente dei magistrati di tutto il popolo pur non essendo riconosciuti come tali (1), questa differenza apparirebbe ugualmente alquanto significativa. D'al tro canto il più valido sostegno all'ipotesi dell'origine romana dell'edilità latina durante il periodo dell'indipendenza e anzi prima del 381, resta la possibile considerazione che aedilis vada posto in relazione con aedes—tempio. In realtà quest'ipo tesi si fonda soltanto sul fatto che gli edili plebei sono con nessi col tempio di Cerere dove conservarono per un certo periodo di tempo il tesoro e l'archivio della plebe. Ma a que sta considerazione si oppongono due altre possibilità : la prima di esse è che, analogamente a quanto avviene per i questori, la connessione col tempio — il tempio di Saturno per que sti ultimi — potrebbe indicare soltanto la necessità di con servare in luogo sicuro tanto il tesoro che l'archivio. La se conda possibilità è che, oltre alle due interpretazioni tradizio nali della derivazione di aedilis da aedes (Bauherren o Tem pelherren), ne esista una terza : aedes potrebbe anche essere V aedes regia. Ma in questo caso l'origine dell'edilità andrebbe (1) Per la data ofr. infra, pag. 260.
120
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
cercata fuori di Borna per l'impossibilità di pensare ad edili romani di età regia trasformatisi in funzionari puramente plebei. Penso pertanto che, quando si ammetta una data ante riore al 381 per Porigine dell'edilità tuscolana, bisogna risalire anche oltre il 493 perchè l'edilità plebea non pare il modello, ma, se mai, la copia dell'edilità latina. Alle considerazioni già fatte bisogna anche aggiungere che — qualunque sia il peso dell'osservazione — è difficile pen sare che quando — per effetto della sottomissione a Eoma — si diminuirono le funzioni dei dittatori latini, si sia sentita la necessità per centri così piccoli di istituirvi anche l'edilità. Anche le colonie latine — Stati sovrani — non ebbero da Eoma l'edilità all'atto della loro costituzione : è pertanto dif ficile pensare che per città ridotte a sudditanza — e quindi con poteri molto più limitati — se ne sia sentita la neces sità prima che per esse. È però necessario, d'altronde, tener presente la possibilità che l'edilità sia stata data da Eoma perchè i dittatori fossero rimasti con incombenze puramente nominali, o quasi, anche nel campo amministrativo. In questo caso però si scenderebbe ad una data posteriore al 366 perchè i Eomani non diedero certo alle città sottomesse una magistratura plebea. Ed allora siamo nuovamente di fronte ad altre due possibilità : o furono i Eomani ad imporre una tale magistratura oppure essa preesisteva al 338. Oltre alle considerazioni già fatte bisognerà dunque soffermarsi anche su questo nuovo dilemma. Se l'edilità delle città latine è posteriore al 366 — anno in cui fu istituita l'edilità curule in Eoma — bisogna ammet tere che Tusculum sia stata senza magistrati effettivi almeno fino a tale data. Il caso non sarebbe inverosimile se si tiene conto del fatto che Antium — che era però una colonia ro mana almeno dal 338 — si trovò realmente in tali condizioni e solo nel 318 le furouo dati « ad iura statuenda », dietro sua ri chiesta, « ipsius coloniae patroni » (1). Ma bisognerebbe anche ammettere che le altre città latine, quelle che poi furono incor(1) Liv., IX 20.
I MAGISTRATI DEI MUNICIPII
LATINI
121
porate nel 338, si fossero date tutte spontaneamente l'edilità per imitare l'edilità curule romana nel breve volgere di tempo che intercorre fra il 366 e il 340, anno della loro rivolta. Anche questo caso non è del tutto inverosimile ; ma nel complesso appare tuttavia poco probabile cbe si siano verificate entrambe le circostanze e che cioè Tusculum sia rimasta senza magi strati almeno fino al 366(1) e che poi fra il 366 e il 340 le al tre città latine ancora indipendenti abbiano spontaneamente imitata l'edilità curule romana proprio alla vigilia della loro rivolta. Non resta dunque da considerare se non la possibilità che tanto Tusculum quanto le altre città latine abbiano avuto l'edi lità solo dopo la loro sottomissione. In questo caso però non scompare la necessità di dover credere che Tusculum abbia dovuto rimanere senza magistrati fino al 366, almeno, perchè — come s'è detto — è estremamente difficile ammettere che modello della sua edilità sia stata l'edilità plebea romana. Questa difficoltà mette in dubbio anche la possibilità che le altre città latine abbiano ricevuto l'edilità da Borna. Comunque sia, è necessario rilevare che nessun fatto do cumentato può illuminarci con sicurezza sull'origine dell'edi lità : il calcolo delle possibilità ci pare tuttavia che suggeri sca piuttosto l'ipotesi dell'origine latina. E questa possibilità ci pare in realtà la migliore. Ognuno giudicherà per conto suo se sia bene aderirvi. Se poi si vorrà spiegare come e perchè sia sorta l'edilità nel Lazio si entrerà per forza nel regno delle ipotesi pure e semplici e cioè nella pseudostoria. Non si può tuttavia esi mersi dal tentare di affrontare il problema anche se le spe ranze di risolverlo in modo definitivo sono quasi nulle. Si può osservare, comunque, che l'edilità compare nel (1) Si tenga presente a questo proposito ohe per Anagnia il fatto della esautorazione dei magistrati looali — non della loro soppressione, si noti — è sottolineato in modo particolare da Livio (cfr. supra, pog. 88 seg.) e che per d o abbiamo potuto ritenere ohe si trattasse di uu avvenimento straordinario. Quanto ad Antium, trattandosi di una colonia civium Romanorum, ci tro viamo di fronte al oaso di uu organismo di origine ben distinta da quella di Tusculum e sostanzialmente nuovo.
122
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Lazio, in età storica, come seconda magistratura accanto alla dittatura; ma non si può decidere con sicurezza se questa posizione di inferiorità sia originaria o derivata. L'iscrizione di Lanuvio già ricordata (1) e la triplice edilità di Arpinum, Fundi e Formine (2) potrebbero far pensare che il dictator non fosse che il primo dei tre edili, ma potrebbe sembrare un assurdo il pensare ad aediles cum imperio. Quest'obbiezione è senza dubbio valida per gli edili plebei di Roma per i quali è certamente errato il parlare di Imperium ; ma, se si può am mettere che gli edili plebei siano una creazione posteriore al l'edilità latina, il problema riguardante le città latine merita di essere riesaminato anche da questo punto di vista. Bisogna intanto osservare che l'obbiezione di cui si parla sarebbe valida soltanto se si considerasse come sicuro che gli aediles fossero originariamente i custodi dvWaedes sacra. In tal caso, infatti, ci troveremmo di fronte a magistrati sacer dotali e, per credere alla possibilità del loro imperium, bisogne rebbe sostenere l'ipotesi con esempi tratti dal mondo semi tico e orientale. Abbiamo però già osservato che l'etimologia del loro nome è assai incerta (3) e d'altronde la connessione originaria con un tempio è presumibile soltanto per gli edili della plebe romana, ma è indimostrabile per gli edili latini (4). Di aedes, invece, poteva esservi anche la regia e, come molti secoli dopo, sorgeranno i comités palatini e i domestici che prenderanno il loro nome dal palatium imperiale o dalla domus dell'Augusto, nulla ci vieta di credere che anche il re fosse stato assistito da aediles, torse in numero di tre come tre erano a quanto è dato di supporre le tribù in cui si sud divideva la civitas da loro retta. Per le città latine si potrebbe dunque pensare che, cac ciato il re, tre edili ne prendessero la successione e sceglies sero nel loro stesso seno un capo supremo, il dictator. Solo Roma, che conosceva forse i due praetores potè al
ci) Cfr. supra, pag. 108. (2) Cfr. infra, pag. 123 segg. (3) Cfr. supra, pag. 119 ; infra, pag. 126, n. 3. (4) Cfr. DE SANCTIS G., in Biv. di EiloU 1932, pag. 439 Beg.
I MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
123
fidare a questi il supremo imperio in sostituzione del re : le città latine, invece, potevano in quel momento conoscere an cora soltanto gli edili e affidare ad essi il potere. Il dittatore sarebbe in tal caso sorto per la necessità di dare un capo alla Lega quando il turno spettava alla sua città. A Roma esso rimase un magistrato straordinario, nel Lazio — al contrario — fu il magistrato eponimo. Tutto ciò, naturalmente, può essere fondato soltanto su una serie di ipotesi : chi non voglia accettarle non potrà, se condo me, concludere se non con un non liquet.
LA TRIPLICE EDILITÀ DI AKPINUM, FORMIAE E FUNDI. Fra le varie prefetture extra-latine, città che ebbero da Roma un praefectus qui ius diceret, ve ne sono tre che me ritano un cenno particolare per la loro speciale costituzione. Si tratta di Arpinum, Fundi e Formiae, che troviamo nelle iscrizioni e in altre fonti rette da collegi di tre edili (1). •Si aggiunge sovente a questi tre comuni la colonia latina di Ariminum, in cui si ritiene che esistessero dei Illviri aediles. Per quanto però riguarda Ariminum, avremo occasione di di scutere la questione più oltre (2). Ci limiteremo qui ad osser vare che, comunque, la suprema magistratura di Ariminum è il duovirato comune alle colonie (3). Preferiamo quindi di stinguere il caso di questa città da quelli delle tre prefetture che ci interessano ora. (1) Le fonti opigrafiohe sono : per Arpinum : G. I. L. l a 1537, 1538, 1539 (rispettivamente = X 5679, 5680, 5682) e X 5681 ; per Formiae : C. I. L. I 2 1563, 1564, 1565 (rispettivamente = X 6105, 6111, 6108) e X 1800, 6101, 6107 ; per Fundi : C. 1. L. I 2 1557 a, b, e, 1558, 1559, 1560 (rispettivamente = X 6233, 6234, 6235, 6238, 6239, 6242), X 6228, 6232, 6240, 6241,6243, 6244 e XII 4357. Negli anni del oenso troviamo a Formiae Yaedilis solus {C. / . L. I 2 1564 = X 6111; X 6105 — aed. quinq. solo —, X 6016) e a Fundi Vaedilis quinquennali* (C. I. L. X 6240, 6244 ? ; XII 4357). Si aggiunga C i c , ad/am. XIII 11, 3. Per il praetor di Fundi ofr. supra, pag. 114 segg. (2) Ofr. infra, pag. 159 segg. (3) Un Ifvir è oerto il consul di C. /. L. XIV 4269 : ofr. BELOCH, op. oit., pag. 490 Beg.
124
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Il carattere epicorio della triplice edilità di Arpinum, Fundi e Formiae è reso probabile più cbe dalla singolarità della stessa costituzione — singolarità cui può non credere chi am metta la triplice edilità di Tusculum o di Lanuvium, ove del resto l'edilità pare ugualmente nata sul posto —, da una con statazione di carattere tecnico-storico. Se, infatti, la magi stratura in questione si ritiene instaurata all'atto della con cessione dell'optimum ius, la triplicità dei magistrati non si spiega facilmente ; Eoma ha già dato l'ottovirato alle città « sabine » (1) e darà meno di un secolo dopo il quattuorvirato ai sodi ammessi nella cittadinanza : nello sviluppo storico non pare vi sia posto per il triumvirato di queste tre città. Se invece la magistratura in questione si considera come la continuazione di quella che resse il municipium sine suffragio, la constatazione già fatta (2) che solo per Anagnia la conqui sta romana significò sicuramente, per la prima volta nella storia dei municipii, la perdita dei propri magistrati, ci con sente di credere che non sia avvenuto alcunché d'analogo in queste tre città che entrarono pacificamente nello Stato Eomano prima della sottomissione di Anagnia. Eesta tuttavia da vedere come abbia potuto sorgere que sto tipo di costituzione. Avrà forse scarso valore a questo riguardo la notizia del l'esistenza sia in Fundi che in Formiae di un interrex (3), per chè non si può affermare con sicurezza che esso ci documenti l'antica esistenza dei re. Ma questa esistenza ci è suggerita per Arpinum anche dalla vantata genealogia regia dei Tullii (4), gente di stirpe probabilmente etnisca (5). È appunto al (1) Cfr. infra, pag. 141 segg. (2) Cfr. supra, pag. 88 seg. e 121, n. 1. (3) Sa di essa ofr. ROSENBERG, op. cit., pag. 7. (4)
Cfr.
PLUT., Cic. 1,
1 ; AUCT. de
vir.
ill.
18,1 ; SIL. ITAL., VIII
405
segg. Si veda per ciò MÜNZER, in P. W., VII A 800, 8. v. Tullii. (5) Cfr. SUULZE W., Zur Gesch. latein. Mgennanmen, pag. 246. ho stesso autore (pag. 30, n. 5), aocennando all'esistenza dello stesso nome in illirico, osserva ohe è «vielleicht nur zufallig mit dem Namen des Volskers Cicero identisoh und abgeleitet von einem illyr.-venet. Tullus, etc.». Si osservi ohe siamo sempre in ambiente «mediterraneo». Assai dubbia l'etimologia secondo WALDE A., Lai. Etymol. Wörterbuch, II ediz., pag. 797.
ì MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
125
dominio etrusco in questa zona che potremo forse riferire la origine della triplice edilità se teniamo presente l'organizza zione, forse anch'essa etrusca, delle tre tribù, di cui gli edili sono verosimilmente i rappresentanti (1). Eiferimenti alle ma gistrature che conosciamo in Etruria difficilmente potrebbero avere un valore determinante, data purtroppo la lacunosità delle nostre conoscenze al riguardo, aggravata dalla difficoltà di valutare rettamente le testimonianze ; né posso io pre tendere di dire in merito una parola definitiva; ma almeno vorrei tentare di mettere in evidenza il l'atto che nulla si op pone alla mia ipotesi. Stando, infatti, alle ultime teorie avan zate in questo campo, dovremo credere che in luogo del re detenessero poi i poteri supremi dello Stato dei magistrati il cui titolo potrebbe essere tradotto col latino praetor. Essi sa rebbero stati più di UDO e si sarebbero suddivisi funzioni di verse. Pare au che che la durata della loro carica fosse proba bilmente annuale. Accanto ad essi sarebbero anche esistiti dei magistrati, il cui titolo dimostrerebbe l'esistenza di collegi di duoviri, triumviri e quattuorviri (2). Per noi sarà sufficiente la constatazione della possibile esistenza di collegi di Illviri, che ben si confà con la nostra ipotesi (3) ; ma non dovremo dimenticare che, secondo il Kornemann (4), è appunto il numero tre che caratterizza i collegi magistratizi delPItalia più antica. La tesi del Korneniann me rita naturalmente un esame accurato per il rispetto dovuto alla sua firma, ma dobbiamo dire subito che non ci pare molto convincente, soprattutto per il fatto che egli accosta, arbitrariamente a mio avviso, magistrature di tutti i tempi e di tutti i luoghi a partire dai magistri dei vici — che, tra parentesi, non sono sempre tre — per giungere fino al trium virato di Ottaviano, Antonio e Lepido. Certo è però che la (1) Salle tre tribù cfr. MOMIGLIANO A., Rioerche sulle magistrature romane, IV, in Bull. Comm. Arch. Com. 1932, pag. 232, e, ivi, la bibliografia utile. (2)
PALLOTTINO H . ,
Gli
Etruschi,
pag.
245.
(3) I collegi di dne e di qnattro magistrati possono facilmente ritenersi di origine romana o, comunqne, italica. (4) KORNEMANN, art. oit. e Die Dreibeamtenzahl in Italien, in Klio, 1915, pagg. 494-496.
226
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
tradizione del numero tre non viene mai meno in Borna; la esistenza anzi di tre auguri, di tre pontefici, ecc. ne garantisce l'antichità e, forse, il carattere etrusco per il rapporto che si può istituire con le tre tribù. Meno certo sarà che l'esistenza dei tre magistrati dei vici e dei pagi dimostri che « die Dreibeamtenzahl ist der Rest eines älteren weit verbreiteten Verfassungsschemas in Italien, sowohl in der latinischen, wie in der oskischen Sphere > (1), tanto più che entrambe queste «sfere» si sono trovate sotto l'inuiisso etrusco. Eesta però aperto il problema, poiché abbiamo visto in altre città che subirono certamente il dominio etrusco un tipo di costituzione in cui compare un dittatore con due edili (2), e di cui è possibile credere che originariamente constasse di tre magistrati. Per quanto, in particolare, riguarda le tre città di Arpimnn, Fundi e Formiate, il primo punto da discutere dovrebbe pertanto essere quello riguardante il nome stesso degli edili. Il quale è, secondo ogni probabilità, di origine latina (3) e, (1) I D . , Zur altit. Verf., citato, pag. 195. (2) Cfr. supra, p a g . 104 segg. Coa esse v a certamente considerata anche Caere. (3) Il collegamento di aedilis con aedes, concordemente acoolto dagli stu diosi m o d e r n i , è già in V A R R O N E {de l. I. V 81). Solo il KORNEMANM (art.
in Elio, pag. 196, n. 1) tenta di oonfatare VON
P L A N T A (Gramm,
d. osk.-umbr.
Dial.,
cit.,
l'origine latina dal nome contro
I 424 e 468) e R O S E N B E R G (op. cit.,
pag. 102, n. 1). Ma i suoi motivi sono poco plausibili : e88Ì sono infatti rica vati da un'affermazione del MOMMSBN di cui già abbiamo parlato (ofr. aupra, pag. 2) e dalla negazione che sia possibile dedurre solo dallo < Zweizabl s de gli edili nelle città osohe la derivazione d a n n modello l a t i n o ; ma l'afferma zione del MOMMSEN è del t u t t o soggettiva e le ragioni linguistiche, aocolte tacitamente anche d a l DEVOTO (Gli antichi Italici, pag. 286 seg.) — che pure è preoisamente un glottologo —, superano l'importanza limitata che il KORNKMANN vorrebbe loro a t t r i b u i r e . Inoltre il KORNEMA_NN vuole negare l'origine romana degli edili comparenti nell'ottovirato di Trebula Mutuesca e a Peltuinnm e couolnde chiedendo come si possano spiegare gli aediles i. d. di Benevenluin, Gnalhiu, Ausculum, Herdoniae. La risposta a questa domanda crediamo di poterla dare ben diversa da quella cui pensa il KORJÏEMANN (cfr. infra, pag. 155 aegg.) e p e r q n a n t o r i g u a r d a Trebula Mutuesca rinviamo al luogo dove ne parliamo di proposito (pag. 142 segg.). P e r qnanto riguarda Peltuinum e la sua duplice edilità (ofr. C. I. L. IX 3384, 3385, 3431, 3433, 3438 e, p e r aedilis quinqùennalis, 3385, 3429, 3437, 4209) e Aveia, ohe viene considerata p e r aiia-
î MAGISTRATI DEI MUNICIPII LATINI
Ì27
quindi, non originario nelle tre città in questione. Ma che non sia originario il nome non implica di conseguenza che non sia originaria nemmeno la magistratura e perciò scarsa luce può venirci da questa nozione. Inoltre è assai arrischiato il credere col Rosenberg (1) che Vaedilis solus di Formiae(2) sia normalmente superiore ai due colleghi : il fatto che con ogni probabilità aedilis quinquennalis solus vale quanto aedilis solus semplicemente (3) dimostra, come ha visto il Dessau (4), che negli anni del censo si ha un solo edile anziché tre. Tuttavia il praetor di Fundi può avere un valore assai relativo se si pensa che Orazio abbia voluto in qualche modo prendersi gioco di un magistrato insdicente locale quale era certo un qualunque aedilis di Fundi. Va an che tenuto presente che praetor può, in questo caso, avere un logia sullo tìteBso piano (RUDOLPH, op. cit., pag. 44 segg.), dobbiamo notare ohe qaeste due prefetture, considerate dell'età repubblicana e anteriori alla guerra sociale da t u t t i gli studiosi (ultimamente dal RUDOLPH, loo. oit., che ne pone l'origine al I I I seo. a. C ) , forse per analogia con le prefetture sabine, hanno visto i loro edili (testimoniati solo per Peltuinum) oollooati oome un unicum nella serie delle magistrature via via oreate ed imposte dai Romani per le città sottomesse. £ ' faoile però osservare che in entrambe le località si trova ricordato an che il praefectua iure dicundo (come appare da talune iscrizioni di Peltuinum — C. 1. L. IX 3433-3437, nelle quali compaiono i due titoli affiancati — e una di Aveia — 3613 — ). Appare pertanto assai diffìcile considerare l'edilità oome la massima gerarchia anohe se un'iscrizione del 242 d. C. accenna a due edili quinquennali « ordinem habentes» (C. I. L. IX 3429). Â parte infatti la cronologia, è noto ohe gli edili hanno il potere di oonvocare l'assemblea co munque essa si chiami. Più diffioile è spiegare perchè si trovino aedxles quinquennales (cfr. anche il n. 3385) se la massima a u t o r i t à è il praefedus iure dicundo; ma appunto p e r questo converrà evitare di confondere gli edili di Peltuinum con quelli delle città latine. (1) ROSENBERG, op. cit., pag. 19 seg., 51 segg.
(2) Per la doouinentazione ofr. supia, pag. 123, n. 1. (3) Cfr. C. I. L. X 6015 (C. Iunio C. f. Anien(si) [forse per Jemilial] Tertio eq(uo) public(o) aug(uri) aed(ili) quinq(uennali) solo praef{eclo) coh(ortis)...) e C. I. L. X 6016 (6\ Iunio Cf. Aem(ìlia) Tertio eq. public, aed. solo augur.). Che l'individuo ricordato in entrambe le iscrizioni sia lo stesso non mi pare af fermabile ; ma i due cursus paiono identioi fra loro. (4) DESSAU, in Klio XIV (1915), p a g . 489 segg. Cfr. R U D O L P H , op. oit., pa
gina 63 seg.
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
12S
significato generico (1). Ma non si può tuttavia escludere con sicurezza che detto titolo trovi la sua spiegazione nell'esi stenza del praetor Campanus (2), ossia del meddix tutictis di Oapua (3). Se, infatti, teniamo presente che dei due meddices uno è gerarchicamente superiore all'altro (4), sarà possibile credere che fin dove si irradiò in qualche modo l'influsso osco do vette comprendersi ben presto quanto vantaggioso fosse il comando unico, non ignoto del resto agii stessi Etruschi, abi tuati al potere regio dei re o dei loro successori, e agli stessi Latini se effettivamente conobbero un dictator della loro Lega. Dal collegio dei tre edili, rimasto indipendente con la cac ciata del rex, potè dunque emergere anche qui la figura di uno di essi, come altrove era sorto — forse — in qualche luogo il praetor, in qualche altro il dictator7 o un magistrato il cui titolo potè a volta a volta essere tradotto con dictator o praetor nelle città etnische più vicine al Lazio (5). Ma l'es senza della magistratura fu forse sempre la stessa e, da que sto punto di vista, pare possibile credere che la triplice edi lità sia stata comune non solo alle tre città in cui essa è storicamente accertata, ma anche là dove troviamo un dictator o un praetor solo. Una vaga reminiscenza si potrà forse scorgere nell'iscrizione di Lamivium in cui compaiono ap punto tre aediles (6). . (1) Praetores si legge anche in un'iscrizione Il D E GRASSI, accostando appunto quest'iscrizione ohe praetor abbia in entrambi i oasi soltanto un a quello di magistrates. Debbo quest'informazione De Grassi, che qui ringrazio. (2) Liv., XXIII 7. (3)
R O S E N B E R G , op.
cit.,
pag.
19
metrica ( 0 . I. L. X 6193). al noto passo d'Orazio, pensa significato geuerico analogo alla gentilezza dello stesso
seg.
(4) DEVOTO, op. cit., pag. 264 segg. (5) Cfr. KORNSMANN, loc. cit., pag. 199 : « der erste Aedil ist eines Tages — wohl wiederum u n t e r dem Einfluss des etruskisohen Einzelbeamtenstaates — zum Diktator erhoben worden ». E per l'identificazione del praetor di Funài col primo dei tre edili ibid., con rinvio a ROSENBERG, op. cit., pag. 5. Sulla critica dello SHERWIN W H I T E a questo punto di vista abbiamo già espresso la nostra opinione. (6) Cfr. supra, p a g . 108 seg. Si noti ohe l'isorizione è so fiooientemente arOttiOtt,
i MAGISTRATI DEI MUNICIPI! LATIN!
129
Resterebbe soltanto da chiedersi perchè i tre magistrati di Arpinum, Fundi e Formiae abbiano assunto il nome di aediles. La risposta più semplice è fondata sulla considerazione che il nome è certamente di origine aggettivale latina. Nel Lazio, anzi, abbiamo intravisto la possibilità che l'edilità fosse la magistratura fondamentale che — come si può rite nere possibile anche per Arpinum, Fundi e Formiae — scalzò la monarchia e le successe nella suprema direzione dello Stato. Nel Lazio stesso, inoltre, qualunque fosse la vera ori gine del suo nome, l'edilità potè assumere con la cacciata dei re un nuovo significato e passare ad indicare soltanto il supremo collegio dei magistrati. Se ciò è possibile, è altresì possibile che il nome dell'edilità si sia prestato a tradurre il nome delle magistrature collegiali di varie comunità venute a contatto col Lazio e, per un motivo qualunque, profonda mente latinizzate. L'influsso romano potè essere decisivo. Ancora una volta, purtroppo, dobbiamo però contentarci di ipotesi. Una soluzione definitiva non pare in alcun modo raggiungibile.
NOTA SUI
POTERI DEGLI EDILI NEI MUNIOIPII E NELLE PRE
FETTURE ANTERIORI ALLA GUERRA SOCIALE.
Se è lecito credere che l'edilità sia sorta spontaneamente nei comuni di cui abbiamo parlato, che mantennero probabil mente le proprie magistrature epicorie, anche dopo la guerra sociale, sarà interessante altresì tentare di stabilire i limiti di essa e ricercarne le tracce più antiche. Questa magistratura, ormai sappiamo, tiene per lo più il secondo rango dopo la dittatura, eccetto che nelle tre città di Arpinum, Fundi e Formiae e a Tusculum dopo il possibile passaggio ad sacra del dittatore. Difficilissimo appare invece determinarne le funzioni speciali, soprattutto perchè la do cumentazione — scarsissima per il periodo anteriore alla guerra sociale — non potrà quasi mai essere considerata come indiscutibile per quanto concerne le funzioni originarie della 9
130
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
nostra magistratura. A questo proposito, infatti, bisogna an che tener conto della considerazione che l'edilità, come qua lunque altra manifestazione della vita umana, dovette essere soggetta ad una continua, se pure lenta, evoluzione, non solo per rispondere di volta in volta a mutate necessità lo cali, ma ancbe in corrispondenza di analoga evoluzione dei rapporti con i centri urbani vicini e lontani. Non per questo è lecito trascurare del tutto la ricerca, cui pertanto ci accin giamo pur senza grandi speranze. I municipii latini di cui ci occuperemo saranno Arida, Lanuvium, Nomentum, Tuscalum e, inoltre, quello viciniore di Capena(l). Non potremo invece considerare i municipii campani di Acerrae, Capita e Cumae perchè Capua, come è noto, fu privata delle proprie magistrature e ridotta a t locus comportando condendisque frugilms» fin dal 210 a. O. (2), men-
(1) Per Velitrae sarà opportuno notare ohe questa c i t t à dovette mante nere la sna costituzione a n t e r i o r e alla guerra latina, perchè i coloni, mandati nei campi dei senatori esiliati, non costituirono una vera e propria colonia^ ma soltanto fecero sì che « speciem antiquae frequentiae Velitrae receperunt » (Liv., V i l i 14). A questo proposito si noti ohe la Tabula Velitema (CONWAY, op. cit., n. 252), attribuita al IV secolo, ci parla di due meddioes volsoi, cosicché pare senz'altro da esoludersi la n o t i z i a di un'antica dednzione di colonia di oui parla L I V I O (II 31, 4). Del resto la notizia è respinta da taluni studiosi, in tendendosi il «colonia deduota» dei manoscritti come un glossema di «coloni ab Urbe missi » ohe preoede immediatamente (cfr. WKISSKNBORN, ad loc). L'attributo di Vbteres cives Romani, con oui il Padovauo qualifica i Veliterni non può dunque riferirsi se non ad un munioipio costituito dopo la oonquista volsoa di Velitrae (see. V I - V : cfr. MANNI, Tracce della conquista volsoa del Lazio, in Athenaeum 1939, p a g . 237, u. 10), forse appunto quando furono dedotti coloni nell'agro confiscato (« Volaci» devictis Volitemus ager ademptus » : LlV., I I 31, 4). Velitrae infatti oontinuò a lottare contro Roma, il ohe non avrebbe potuto avvenire se effettivamente si fosse costituita una colonia (cfr. Liv., passim, fino al 1. V i l i ) . L'edilità di Velitrae non pare pertanto epi. ooria se si considera il I l v i r a t o come diretta trasformazione della meddioità Dubbin è i a posizione di Ulubrae, retta da Ilviri e ricordata la prima volta ai tempi di Siila (BBLOOH, op. cit., pag. 524). Resta Ficulea, di oui conosciamo soltanto un aedil. praef, iur. die. et sacris Jaciundis (C. I. L. XIV 4002) e il oui prefetto sostituisce certo i normali ma gistrati, m ano an ti per qualohe motivo ohe non possiamo stabilire. (2> C i c ,
de leg. agr.
II
32, 88 ; I 6, 1 9 ;
Liv.,
XXVI 16, 7 ;
VBXL., II
44.
t MAGISTRATI DÈI MUfctClPlI LATINI
131
tre per Cumae e Acerfae non abbiamo iscrizioni anteriori alla concessione dell1 optimum ius (1). Diversa da quella di Capua è anche la posizione delle pre fetture del secondo tipo festiano, che in gran parte non solo ebbero magistrati propri, ma conservarono senz'altro quelli stessi che Eoma vi trovò, e fra di esse fu, per un certo periodo, anche Caere (2). Questa posizione di privilegio ebbero proba bilmente, secondo quanto s'è visto, Fundi, Formiae ed Arpinum, che raggiunsero poi, nel 188, l'optimum ins. Analogamente furono probabilmente trattate le prefetture degli Equi, se è vero che a Trebula Suffenas compaiono a (1) L'edilità di Acerrae è documentata d a C. I. L. X 3758 ; quella di Cumae da C. I. L. X 3704. In entrambe l'edile è già cittadino romano poiché ne è indioata la tribus. Queste due città avrebbero avuto nna prefettura del primo tipo festiano (FRSTUS, S. V. Praefecturaé) : esse cioè sarebbero s t a t e sot toposte ai praefecti Capuani Cumas instaurati per il 210 a. C. Si è già notato (BBLOCH, Der italische Bund, pag. 132 segg.) che questa prefettura avrebbe compreso almeno dal 194 — l'anno della oolouizzazione di Liternum, Puteoli e Volturnum (Liv., XXXIV 45) — tre tipi distinti di comuni : le tre colonie ricordate, quattro munioipii sine suffragio {Cumae, Acerrae, Suessula, e Atella) e tre oonciliàbula sine suffragio {Cupua, Casilinumt Calatia). Nel 210 si. trattò evi dentemente di provvedimenti straordinari adeguati alla oiroostanza : il terri torio campano venne a trovarsi — con la riduzione di Capua a «sedes aratorum » o « locus comportando condendisque frugibus » — in condizioni del tutto particolari : la neoessità di costituire una prefettura per la iurisdiotio nel ter ritorio di Capua — rimasto senza magistrati propri — potè suggerire l'oppor t u n i t à ohe anche i munioipii rimasti fedeli {Cumae, Acerrae, Suessula) facessero capo ad essa anziché al pretore romano. Sedici anni dopo si addivenne pro babilmente ad una nuova sistemazione della regione con la oolonizzazione di parte del territorio, ma non persero la loro autonomia locale i munioipii com presi nella prefettura. (2) Come risulta da FESTUS, S. V. Praefeotura, pag. 262 L. Secondo il KORNBMANN (in P. W., XVI, s. v. Municipium) essa fu dapprima municipium s. $. diveuno per un oerto periodo prefettura, poi riebbe il titolo di municipium, ma oon l'optimum ius. La permanenza del dictator in età imperiale pare t u t t a v i a suggerire l'ipotesi ohe essa non abbia mai perduto le proprie magistrature. La sua storia è dunque analoga, per questo aspetto, a quella di Arpinnm oui si è g i à aooennato. Sulla questione cerite si vedn ultimamente anche l'ottimo contributo re cato dallo SHERWIN W H I T E {op. cit., pag. 51 segg.). Si veda inoltre R U D O L P H , op. cit., pag. 17 seg., specialmente per quanto riguarda l'istituzione della dit t a t u r a . Su ciò ofr. supra, pag. 109 aeg.
132
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
capo del posteriore municipio dei IIviri che potrebbero ri specchiare i due antichi meddices (1). La stessa considerazione potrebbe valere per gli Equicoli : nei due municipii che sor sero poi sul loro territorio — Gliternia e la respubliea Aequi•eulorum — troviamo ancora dei IIviri (2). La stessa supposi zione infine può farsi per Vena/rum, Allifae, Atina Latii, che, come Casinum e Aufidena, ebbero pur esse dei IIviri anziché dei IlIIviri (3). Bisogna tuttavia notare subito che questi co muni retti da Ilviri non possono avere per noi grande impor tanza, perchè a noi non interessa ora il Ilvirato in quanto tale né in quanto erede della meddicità italica, ma Pedilità, che, in questi comuni, non pare originaria e talvolta non è nem meno documentata (4). Oosì pure non può interessarci Anagnia, che vide le fun zioni dei suoi magistrati ridotte ad sacra, e di cui manca una documentazione anteriore al momento di questa limitazione (5) ; né possono interessarci le prefetture rette ad VlIIvirato, la
(1) Cfr. BELOCH, op. cit., pag. 508; e, Balla meddioità di queste s t i r p i ita llone, anche DEVOTO, op. oit., pag. 265 segg. (2) Cfr. B E L O C H , op. cit., pag. 509;
(3) Si salda oon queste, in an bloooo geografloamente abbastanza compatto anche Caiatia, attraverso Cubulteria, di oni pnre ci sono noti Ilviri. P i ù a setten trione si trova in condizioni analoghe la peligna Superaequum ; a mezzogiorno si p o t r à forse pensare a l t r e t t a n t o per JEhirum e Surrentum, oongiungentisi per nna stessa linea idealmente tracciata alle c i t t à già ricordate attraverso Sues8ula ed Heroulaneum (anoh'esse rette da I l v i r i ) . Le fonti epigrafiche sono indi cate in BELOCH, op. cit., p a g . 508 seg. Manca n n a doonmentazione dei Ilviri per Venafrum e Allifae, che però furono certamente prefetture ( B E L O C H , op> oit., p a g . 472, 586, 600 ; KORNEMANN, in P. W., XVI 583 s. v.
Munioipium).
(4) Cfr. infra, pag. 148 segg. (5) Anohe Anagnia fu munioipio retto da praetores e poi-da Ilviri (C. I. L. X p a g . 584), ma, essendo essa stata prefettura (ofr. KORNEMANN, loc. oit., 582) oerto d a l tempo in oui i Romani tolsero ai magistrati anagnini ogni potere ci vile e politico, oodesti praetores o Ilviri non dovettero essere diversi d a quelli delle oolonie romane e non furono probabilmente coadiuvati da aediles almeno in un primo periodo. Ritengo pertanto ohe non sia il caso di prenderne in considerazione in questo capitolo la documentazione, anche perohè d a nessuna iscrizione risulta l'indicazione di qualohe funzione specifica degli edili locali (cfr. C. I. L. I s 1520 e 1521 ; X 5922).
I MAGISTRATI DEI MUNIGIPII LATINI
133
cui costituzione, come vedremo a suo luogo, non può essere considerata come epicoria (1). Restano le prefetture lucane e picene, ma esse sono troppo lontane dall'ambito geografico che ci interessa e, per di più, non v'è alcun motivo per presumere che le loro magistrature, se pure ebbero origine epicoria, abbiano potuto avere qual siasi influsso sull'organizzazione delle città latine e special mente di Roma. Si aggiunga che v'è la possibilità che code ste prefetture siano sorte soltanto, come quelle sabine, per or ganizzare cittadini romani costituenti nuclei più o meno com patti negli agri confiscati. Il nostro campo resta così limitatissimo. Il materiale disponibile è pertanto il seguente : ARIOIA : E. E. V I I 1236 (assai mutila). C. I . L. I» 1433 ( = X I V 4196 : plinto o base con due nomi di edili « d. s. s. »). LANUVIUM: G. I. L. P 38 (frammento).
I2 2442 (per multaticum) X I V 2097 (datata da un dictator e due aediles, anno 42-43 d. C ) . X I V 2104 (dedica di un edile). Gfr. Ciò. pro Mil. 17, 45 seg. e Aso. ad loc. NOMENTUM : G. I. L. X I V 3955 (llvirali potestate aedilis). OAPENA : nulla.
OAEEE : G. 1. L. X I 3614 (aedilis iuri dicundo ; aedilis annonaé). TUSCULUM: G. I. L. P 1441 e 1442 (atti de s. s.).
X I V 2579 (dedica a Iuppiter Libtrtas). X I V 2590 (edili eponimi nel 186 d. C). X I V 2621 (per multaticum). X I V 2623 (per ludi). A. E. 1906, 79 (edili quinquennali eponimi). ARPINUM : O. T. L. P 1537-1539 (opere pubbliche, de s. s.). FORMIAE : G. I. L. P 1563 (opere pubbliche, de s. s.). P 1564 (idem, de pequn. publica). P 1565 (idem, ex sen. sen.). (1) Ofr, infra, pag. 141 segg.
134
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
F U N D I : C. I. L. F 1557-1^60 (idem, ex s. e ) . Ammettendo, come noi facciamo, che le città suelencate possano aver m a n t e n u t o le loro magistrature epicorie anche sotto il predominio romano, pare necessario aggiungere a questo materiale anche quanto si può conoscere delle costitu zioni di Praeneste e di Tibur per il periodo anteriore alla lex Julia de civitate. Perciò, prima di riassumere e commentare le notizie forniteci dal materiale surriferito, crediamo sia op portuno dare u n o sguardo a quanto si riferisce a queste due città. La costituzione di Preneste non potè però sopravvivere a Siila, che ridusse la città colonia di suoi veterani (1) : la grande maggioranza di edili a noi noti appartiene senza dubbio pos sibile ad epoca posteriore a questa data e pertanto non inte ressa la nostra attuale ricerca. Il dubbio può sussistere solo per i due edili di C. I. L. F 1469 (= 1442 = X I V 3000), ma anche in questo caso sarà iti utile tenerne conto perchè i due edili agiscono ex senatus consulto, cioè non fanno nulla di di verso dai comuni edili di epoca posteriore) (2). È invece interessante notare che — ad u n certo momento che non possiamo ideutitìcare con sicurezza — compaiono in Praeneste anche d u e praetores (3), magistrati che portano lo stesso nome di quello ricordato da Livio (4) p e r l'anno 319 a. 0. Il EosenbeTg (5) è d'opinione che questa sia la magistra tura originaria di Praeneste, anche perchè, secondo lui, le iscri zioni che la ricordano « possono » essere più antiche dell'età sillana. Ma n o n ci sentiamo di sottoscrivere senz'altro la sua opinione anche perchè di nessun'altra città latina abbiamo veramente le prove di alcunché di simile e della stessa Tibur, ove pure pare dimostrabile l'esistenza della pretura (6), non si può dire se si trattasse di u n a magistratura unica o col legiale. La duplice pretura compare nel Latium vetus soltanto (1) KORNEMANN, in P . W., IV 523, a. v.
Colonia, n. 47.
(2) D E RUGGIERO, loc. cit., pag. 256 segg. (Poteri degli edili). (3) C / . L. XIV 2906 a-b, 2890, 2902, 2994. (4) Liv., I X 16. (5) R O S E N B E R G , op. cit., pag. 72. (6) W E I N S T O C K , in P , W., VI A 822, 8. v. .Tibur,
I MAGISTRATI D E I MUNICIPII LATINI
136
a Lavinium e in epoca molto tarda (1). Nelle altre città che conservarono la louo autonomia interna come municipii non si trova nulla di simile ; nemmeno a Capena, in cui, come s'è visto, il praetor è unico. E tale poteva essere la magistra tura originaria di Lavinium (2) e di Praeneste. Per quanto riguarda Praeneste crediamo quindi che l'ipo tesi del Rosenberg sia destituita di fondamento. I due praetor es che vi troviamo, au che se anteriori alla lex Tulia de civir tate come crede il dotto tedesco, non sono necessariamente esponenti della magistratura originaria della città, ma forse di un'innovazione che può corrispondere ugualmente bene a quella analoga di Roma — duplice pretura —, come alla du plice meddicità, certamente esistente presso gli Equi, con i quali furono per un certo periodo collegati i Prenestini (3). Per Tibur si dovrà pensare a qualcosa d'analogo. E anche di qui nessuna luce potrà venire al nostro problema, tanto più che delle due sole iscrizioni che potrebbero essere prese in considerazione, la prima ci presenta una dedica « Felicitàtei » che potrebbe ugualmente beue attribuirsi a cittadini pri vati poiché non è detto per quale motivo sia fatta (4), e la seconda (5) ci presenta una documentazione dell'uso di aes multaticum, che è comune a tutti gli edili a noi noti (6). Resta pertanto sgombrato il campo sia da Praeneste che da Tibur. Delle città che abbiamo elencate più sopra tre sono anch'esse scarsamente utili poiché la triplice edilità che in esse compare è una magistratura unica in cui tutte le fun zioni appaiono comuni a tatto il collegio. L'unica osserva zione che si può fare è quella che negli anni del censo il po tere si riassume nelle mani di uno solo che prende un ti tolo particolare (7). (1) C. I. L. X 2070 : « Divo Antonino Äug. . . . ». (2) Cfr. Liv., V i l i 11, 4. (3) BELOCH, op. oit., pag.
295.
(i) (J. I. L. I» 1481 = XIV 3538. (5) Ibid. 1496 = XIV 3678. (6) D E R U G G I E R O , loc. cit., pag.
261
sg.
(7) Aedili8 solvè, aedili» quinquennali* ; ofr. supra, pag. 123, n. 1, e D E RUG GIERO, loc. cit.,
pag.
251.
136
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Il campo infine si restringe anche maggiormente quando si osservi che di Capena non sappiamo assolutamente nulla nei riguardi dell'edilità e che Tusoulum mantiene la dittatura solo ad sacra, lasciando tutti gli altri compiti agli edili (1). Restano dunque Arida, Lanuvium, Nomentum e Caere. Per Lanuvium il problema è abbastanza complesso. Una buona discussione se ne trova però presso lo Sherwin White (2), ove sono anche controbattute efficacemente talune afferma zioni del Rudolph. Secondo quest'autore la dittatura sarebbe un'imposizione romana ad sacra per i municipii incorporati, cui si dettero altresì i due edili con funzioni amministrative (3) ; ma lo Sherwin White pone in rilievo alcuni elementi di fatto che contraddicono e negano l'idea del Rudolph, e non sarà qui necessario riparlarne. A noi interessa invece, soprattutto il famoso episodio di Mi Ione (4) che fu appunto dittatore a Lanuvio nel 52 a. C. : Cicerone ci narra che costui doveva re carsi a Lanuvio « ad flaminem prodendum >, e su questo fatto si incentra tutta la discussione secondo il Rudolph, i cui ar gomenti però non paiono definitivi e le conclusioni, pertanto, risultano affrettate. Secondo il Rudolph infatti la dittatura di Milone avrebbe carattere puramente sacrale : le prove ne sarebbero le seguenti : 1° : la funzione di Milone è tale che mai spettò ai più tardi magistrati supremi (5) ; 2° : Milone, se tosse stato un vero magistrato, non avrebbe potuto abbandonare Lanuvium senza essere sostituito da un praefectus che, naturalmente, avrebbe dovuto o potuto sosti tuirlo anche in questa circostanza (6) ; 3°: Cicerone parla soltanto di astata sacrificial per quanto riguarda i compiti di questo dictator (7). Di questi tre argomenti il terzo si elimina facilmente per(1) Cfr. supra, pag. 104 segg. (2) S H E U W I N W H I T K , op. oit., p a g . 60 Beg. (3) R U D O L P H , op. cit., pag. 27 sgg. ; 32 segg. (4) C i c , pro Mil. 45-46 ; cfr. A S C O N . , ad loc. (5) R U D O L P H , op. cit., pag. 30.
(6) I D . , ibid., p a g . 3 1 . (7) ID., ibid., pag. 3X.
I MAGISTRATI DEI
MUNICIPII LATINI
157
che è un argumentum ex silentio. Quanto agli altri due non si può dire che reggano molto di più. Se intatti può essere ritenuto certo che l'elezione del flam en spettasse al popolo o, più tardi, all'orbo, ciò non significa che le elezioni non doves sero essere dirette da qualcuno che potesse prodere il loro ri sultato. L'osservazione del Rudolph non può pertanto valere a negare che il dictator fosse un vero magistrato, ma anzi pare confermarlo. Perchè ciò non possa essere considerato vero oc : corre dimostrare il secondo dei tre punti del Eudolph : e cioè la necessità della sostituzione con un praefectus del magistrato assente. Ma anche questa dimostrazione non è facile quando si consideri che la vicinanza stessa di Lanuvium a Eoma po teva, forse, permettere a Milone di portarsi a Lanuvio quando ciò fosse necessario e quindi di considerarsi presente nel suo municipio. D'altronde la legge Petronia de praejectis pare as segnabile ad epoca posteriore e, per quanto non sia del tutto certo, ciò potrebbe esimerci dal tener conto di essa. Di altre anteriori non pare sia possibile parlare, e non si vede quindi perchè l'indimostrabile necessità di eleggere un praefectus possa ostacolare la tesi di chi vede in Milone un vero magi strato (1). In conclusione dovremo escludere anche Lanuvium dal campo della nostra ricerca soltanto se considereremo sicura la tesi— che a noi pare indimostrabile — del Rudolph. Tanto più poi dovremo ritenerla indimostrabile quando avremo os servato che a Caere e Nomentum il dictator è effettivamente il magistrato supremo del municipio e nella stessa Lanuvium il dictator appare superiore agli edili in più d'un'iscrizione che (1) Riguardo alla lex Petronia si osservi che già al MOMMSEN e ad altri oitati dal MARQUAKDT (Römische Staatsverwaltung, II ed., pag. 170, n. 1), essa, rioordata per la prima volta nei tasti Venusini del 32 a. G., pare debba asse gnarsi all'ultimo periodo repubblicano e sarebbe stata estesa solo da Angusto dalle colonie a t n t t e le città. Quanto alla lex lidia municipalis o, almeno, alla Tabula Heracleensis non v'è oenno di praefecti e, del resto, pare anoh'essa posteriore al nostro episo dio (per la situazione attnaJe del problema ofr. R U D O L P H , op. cit., pag. 113 seg.). Sono inane posteriori all'episodio sia la lex Cornelia ohe la lex Bubria (per la prima ved. RUDOLPH, op. oit., pag. 118, n. 1 ; per l a seconda ibid., pag. 237).
138
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
il Kudolph non tiene in considerazione perchè posteriore alla data che egli crede di poter stabilire per l'avvento della dit tatura fra le vere magistrature (1). Bisognerà tuttavia respingere un'ulteriore affermazione del Eudolph, secondo cui appunto la dittatura assunse il carat tere di vera magistratura solo assai tardi (2) ; ma, a questo proposito, sarà sufficiente considerare il passo della lex Acilia citato dallo Sherwin White (3), in cui il dictator appare sullo stesso piano degli altri magistrati : praetor e aedilis. Malauguratamente le informazioni che abbiamo sull'edi lità di Arida, Caere e Nomentum per quanto riguarda il rap porto fra l'edilità e la dittatura sono tutte assai tarde e non possono dunque esserci molto utili. Le funzioni anzi di quegli edili — cui già abbiamo accennato — non sono cer tamente originarie : non è originaria la distinzione fra aedilis iuri dicundo e aedilis annonae di Caere, nou è originaria la posizione dell'edile Ilvirali potentate di Nomentum. E quanto ad Arida solo l'iscrizione C. I . L. P 1433 ( = XIY 4196) ci mostra i due edili agenti d. s. s. Troppo poco per trarne qualche lume. Cosicché riesce impossibile trovare notizie certe per quanto riguarda le più antiche funzioni degli edili. Si può tuttavia considerare la possibilità che proprio Arpinum, Formiae e Fundi abbiano più a lungo delle città latine man tenuta la loro costituzione originaria, così come quelli di Tu sculum iu seguito al passaggio ad sacra del primo dei tre ma gistrati, il dictator (4). Se è vero che l'edilità è ivi epicoria, se è possibile che le sue funzioni non siano sostanzialmente mutate col tempo, nulla ci permette però di conseguire risultati maggiori di questi. L'oscurità è, invero, ancora troppo profonda. Solo si potrà osservare che a Lanuvium, ove la dittatura fu, come s'è visto, una vera e propria magistratura, si trovano (1) C. I. IJ. XIV 2097, dell'anno 42-43 d. C. ; 4178o, in oui an aedilis bis flam. Martialia è adlectus inter dictât orios ; per non considerare i nn. 2110 e 2121. Cfr. RUDOLPH, op. oit., pag. 36 segg. (2) RUDOLPH, op. oit., pag. 36 segg. (3) SHBRWIN WHITÄ, op. cit., pag. 61.
(4) Cfr. supra, pagg. 104 segg.
LE MAGISTBATURE DEGLI ALTRI MUNICIPI!
139
in un'iscrizione di cui abbiamo già parlato per altri motivi (1), tre aediles che compiono una dedica « moltatico » : se è vero simile che dei tre aediles uno sia il dictator (2), bisogna am mettere che si tratta qui di uua funzione comune a tutti e tre. E il fatto che i due edili compaiano come datanti a fianco del dictator in C. I. L. XIV 2097 (3) pare confermare l'ipo tesi che tutti e tre i magistrati agissero un tempo come colleghi proprio come si vede in Arpinum, Formiae e Fundi. Più oltre non ci pare possibile procedere. Ma prima di chiudere questa breve ricerca vogliamo ac cennare anche agli edili delle iscrizioni osche di Pompeii (4) e, se pure incerta ne sia la testimonianza, di Aufldena e Bovianum vetus (5). Se essi infatti fossero eflettivamentè di origine osca, la loro esistenza potrebbe in qualche modo porre in dubbio quanto finora abbiamo detto, ma — al contrario — pare as sodato che gli Osci ne abbiano tratto il modello proprio da Borna (6). Da questo punto di vista il loro interesse è per noi (1) C. I. L. I" 2442 ; cfr. supra, pag. 108, seg., 128. (2) Cfr. supra, loo. cit. (3) Cfr. supra, pag. 94. (4) Cfr. CONWAY, op. cit., n. 39 ( = Ephem. Epigr. II, pag. 165, n. 20); 40 ( = ZVETAIEF, Syll., 73); 53 (=» Eph. Epigr. II, pag. 169, n. 24). (5) Per A ufi den a si veda ZVRTAIEF, Ose, 12, e contra, CONWAY, op. cit.,
178. Por Bovianum vetus : ZVETAIEF, Syll., 20, e, contra, CONWAY, op. cit., 173. (6) Cfr. DEVOTO, op. oit., pag. 286 aeg. ; ROSENBERG, op. cit.t pag. 102 (e
n. 1) segg. ; SHERWJN WHITE, op. cit., pag. 122 segg.
Si noti speoialmente ohe anohe a Bantia, ove oonosoiamo l'intera gerar chia locale e possiamo stabilire con oertezza il cursus — questura, pretura, censura —■ l'edilità non oompare, sebbene vi siano prove di nn già intenso inflasso romano nell'esistenza di nn tribnnato della plebe non certo epioorio (ofr. su tntto oiò DEVOTO, op. cit., pag. 269 seg.
Inoltre noi troviamo impegnati questi edili, insieme con i meddices, sol tanto nella oostrozione di strade ; ma dobbiamo notare ohe l'iscrizione pom peiana di OONWAY u. 39 non è molto ohinra; pare che si tratti della collabo razione di magistrati di due diverse città. La traduzione latina del CONWAY suona infatti così : « Maius Suttius Maii f. Numisius Pontius Maii f. aediles Ilio viam terminaverunt ante pontem Stabianum. Via terminata est cippi« X. Iidem via m Pompeianam terminaverunt cippis III ante oaelatum (signum) Iovis Melichii Has vias et viam loviam ac deoumanam medioes Pompeiani solide ab ima (parte)
140
L E MAGISTRATURE- MUNICIPALI
limitato ai rapporti esistenti fra queste città e l'Urbe eterna in età anteriore alla guerra sociale, quando Pompeii e Bovianum vetus non erano ancora municipii (1), ed Aufldena era una prefettura del secondo tipo festiano (2). Ma di questi rap porti non è il caso di parlare qui (3). operati sunt, iidem aedile» probaverunt ». Potrebbe qnindi sembrare ohe questi aedilea non siauo di Pompeii o si considerino saperiori ai meddices di qnesta c i t t à se possono « probare » la loro opera. Ogni concinsione però sarebbe per ine avventata perone n o n sono in grado di giudicare se sia perfetta o meno la traduzione di nno studioso insigne quale il CONWAY. Per quanto riguarda i rapporti fra questi aedilea osci e gli edili poste riori, d'età romana, in Pompeii si veda infra, pagg. 201, 203 segg. (1) Cfr. B K L O C H , op. cit., pagg. 586, 600. (2) KORNBMANN, in P . W., XVI 583, s. v.
Munioipium.
(3) Larga e sufficientemente profonda fu la penetrazione romana, anche paci fica, fra queste popolazioni. Si vedano, ad es., SHERWIN W H I T E e DEVOTO {loco, citt.), e si ricordi il passo di Liv., IX 20, 6 : « Neo arma modo ned iura etiam romana laie poll el ant ».
II. LE MAGISTRATURE DEGLI ALTEI MUNICIPII L'OTTOVIRATO.
L'ottovirato è documentato nelle seguenti città dalle iscri zioni indicate a fianco di ciascuna. AMITEROTM : C. I L. I 2 1855 ( = I X 4398) :. C. Oviolenus I [1] Q(uirina)ì octo(o)vir . . . C. I. L. IX 4182 : T. Vinio Bufo T. Titsieno oct(o)vir(is)y Q. Orflo Fulcinio C. Iegio aed(ilibas), praefectiira Amiternina pro reditu Imp. Caesaris Au[gusti .. .] Fortunai[... C. 7. L. I X 4198 : P. AH . . . P. f. Qui . . . Till vir. q. a[erarii f] aed. C. L L. I X 4 1 9 9 : . . . ] Attio F.f. Quir. Tergo Vili vir(o\ quaestori, quinquennali... C. I. L. I X 4211 : o]ct(o)vlr de\diU C. I. L. IX 4324 : D. M. 8. P. Fullonio P.J. Celeri VII Iviro Fullonia P. / . Celerina . . . C. I. L. IX 4400 : . . . L. f. f. \o\cl. vir. p. ss. C. I. L. I X 4519 : Q. Gavio T. f. Cla(ternia) Pedoni tr. mil. a populo, praef. jabr. praef. eq., octovir[o~\ c. f. p. q. p{raef. f) pro o[cto]viro, ex testamento . . . C. I. L. I X 4520 : D. M. S. C. Cuspio C. J. Poppae [a]no iuvenum magistr(o), Ylllviro . .. Cfr. anche C. I. L. IX 4203 e 6352. Nella stessa Amiternum è documentata l'edilità, oltre che dalle ricordate iscrizioni C. I. L. IX 4182 e 4198, anche nelle seguenti : C. I. L. IX 4197 : Q. Orfio Q. f. Fiacco Caesio tr. mil.> praef. fabr.> aed» iter., L. Fabius A[vi]tu[s].
142
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
G. I. L. IX 4202 : T. Gallatronius . . . aedilis, G. I. L. IX 4205 : . . .] Proculeius F.f. aed. lud(os) f(ecit). G. 1. L. I X 4212 : . . . et Fronto f] aedilis . . . C. I. L. IX 4270 add. : . . . [ae]d., praef. i. d. [... La questura compare nelle tre iscrizioni IX 4198, 4199 e I 2 1855 già trascritte, se in quest'ultima non si preferisce leg gere Q{uirina) in luogo di q(uaestor). Si n o t e r à cbe nella 4198 la questura compare t r a Pottovirato e la quinquennalità. Quest'ultima magistratura, infine, compare nella iscrizione 4199 già trascritta e, inoltre, nelle seguenti : C. I. L. I X 4206, 4207, 4399 : cursus honorum di C. Sallio O. f. Quir(ina) Proculo, cbe fu iterum quinquennalis senza aver ricoperto altre magistrature amiternine. G. 1. L. I X 4 2 1 0 : frammento in cui si legge «quinq.». NURSIA : G. I. L. I X 4545 : Q. Pompei / / / . Prisons, VlIIvir IIvir{aìi) [p]ot(estate). G. I. L. IX4547 : T.Septimio T.f. [Quir.] Blasto, VIIIrvr(o) 1]lanorum... Ilvir(ali) pot(estate\ IIIl[vir(o) ?] coloniae A[scu C. I. L. X I 5006 : D. M. T. Verrutio T. j . Quir. Sabino IlIIvir. aed. potest., quaest. aerari Spoleti, item Vlllvir(o) Ilvir(ali) pot(estate) Nursiae ... G. I. L. I X 4543 : Sex. Petronius Sex. fil. Sempronianus VlIIvir aed [ìl(icia)] pot (estate), mag(istro) iuven(um) prim(o)... Gfr. anche 4549. G. I. L. IX 4622 : . . . Q. Aufldienus Q. F. Imtus, harispexy VlIIvir, praef. iur. die. ex decreto ordinis . . . È dunque documentato l'otto virato llvirali potestate e Pot tovirato aedilicia potestate. Solo l'ultima iscrizione indica sem plicemente Pottovirato senza specificare le mansioni di Q. Aufìdieno. TREBULA
MUTUESOA :
C.
I.
L.
IX
4891
:. . .
G.
Abelasi
G. f. Sabiniani. . . VIIlvir(i) aed, pot., VI Ilvir(i) [iterum...] sttis(1), IIIaer(ari\ C. Abelasi G. f. Castoris VIII(viri) aed. pot., VHIvir[i) II fanor(um), VlIIvir(i) III aer(ari) ; G. Abelasi G. f. Proculeiani iun{ioris) VIIIvir{i) aed. potest. ; G. Abelasi G. j . Gastoris iun(ioris) VIIIvir{i) aed. pot. ; C. Abelasi G. f Sabini VIIIvir{i) aed. pot. VlIIviro G. I. L. 1 X 4 8 9 6 : T, Petidio T.f. Fab(ia) Gessino
LE M A G I S Ï R A f U R E DEGLÎ ALTRI MUNICIPI!
Ì43
aedicüiae potestatis, YIIIvir(o) II fanor(um), YIII(viro) III aerari . . . C. I. L. IX 4900 c: Vlllvir: Il.aer. proc. L'ottovirato compare inoltre senza specificazioni di sorta in C. I. L. IX 4895 ?, 4897 (funeraria) e, inoltre, in 4889 e 4890. La quinquennalità risulta da: C. I. L. IX 4889:... mag. iuvent. bis, [quinta., YlIIvir bis, praef. Jabrum ter. C. I. L. IX 4890 :.. .qu] inquennalis, [octov\ir ter[. . . ] , etc. C. J. L. IX 4892 : C. Alfenu[*] C. f. Qui[r(ina)] Positimus frater aed(ilis), quinquen[nalis]. C. I. L. IX 4902 : Q. Yassi[. . .] aed. quin[ . . . Si veda anche G. I. L. IX 4883, 4903, 6363. A tutte queste si deve aggiungere C. I. L. IX 4119 (cfr. C. I. L., p. 388) in cui compare un « YlIIvir II qq>. A Trebula Mutuesca infine è documentata l'esistenza del l'edilità dalle già citate iscrizioni 4892 e 4902, in cui essa compare accanto alla quinquennalità. PLBSTIA : C. I. L. XI 5621 (della prima età d'Augusto) : dedica in onore di un Liconio della tribù Oufentina, YlIIvir. INTBRAMNÏA PllAETUTT. : C. I. L. I X 5067 = N. S. 1929,
p. 224 : L. Agusius Cn. f. L. n. Mussus, C. Arremis T. j . Rufus, octoviri iterum baìneas reflc. d. e. s. e. Riferibile ad Inter attinia è anche l'iscrizione di Truentum, C. J. L. IX 5158 (VIILvir) secondo il Beloch (R G„ p. 500). Al più tardi nell'età d'Augusto l'ottovirato si modella dunque, in talune località, sulle costituzioni duovirali. L'octovir senz'attributi di Amiternum corrisponde bene aWoctovir duovirali potestaU di Nur sia. Permangono inoltre gli aediles (Amiternum) o octoviri aedilicia potestate (Nursia) a costituire una specie di quattuorvirato (cfr. specialmente C. I. L. IX 4182). Altre magistrature non sono note eccetto la questura di Amiternum, che appare ormai un munus perchè, come s'è notato, non ha una posizione fìssa nel cursus honorum. Anche sull'origine dell'ottovirato il Rudolph si contrappone al Rosenberg : il primo pensa, come al solito, ad un'origine romana (1), mentre il secondo crede ancora una volta ad una (1) RUDOLPH, op. cit., pag. 66 sogg.
Ì44
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
origine epicoria (1) ed è seguito, con qualche limitazione, dallo Sherwin White (2). Sarà dunque necessario riesaminare tutta la questione, complicata dal fatto che neppure la distinzione fra le varie coppie che compongono il collegio degli VlIIviri è considerata originaria. Osserveremo dunque anzitutto che secondo il Rosenberg (3) l'origine epicoria delPVIII virato è dimostrata dalla comune razza delle città che ne furono rette, mentre il Rudolph, os servando giustamente* che Plestia non è sabina ma umbra e Interamnia è pretuzia, pone piuttosto l'accento sul fatto che tutte queste città dovettero ottenere la cittadinanza nello stesso anno (4). Lo Sherwin White obbietta che non si può dar ragione al Rudolph fino a che non siano dimostrati gli eventuali vantaggi che l'VIIIvirato presentasse, per esempio, rispetto alla triplice edilità o alla pretura (5). Ma è evidente che un'osservazione di questo genere non può essere presa in considerazione, specialmente da chi non crede — e lo Sherwin White è fra questi (6) — che siano di imposizione romana le magistrature sunnominate. D'altra parte, se vogliamo credere che, come pare incline a pensare lo stesso studioso inglese — si tratti qui di meddices o di mar on es con nome tradotto (7), non si capisce perchè di due meddices o di due marones si sia fatto un collegio di otto magistrati, le cui competenze, per di più, non sarebbero state ben distinte ; tanto meno si compren derebbe questa denominazione pensando ai Yviri di Asisium o al praetor di Oapena che— anche nel numero — non hanno alcun rapporto con l'VIIIvirato (8). Dovrebbe trattarsi di una forma di magistratura del tutto particolare, ma la cui esten sione avrebbe abbracciato popoli di diversa origine : il che (1) ROSENBERG, op. cit., pag. 40 segg. (2) SHERWIN WHITE, op. oit., pag. 62 (3) ROSENBERG, op. cit., pag. 40.
seg.
(4) RUDOLPH, op. cit.t pag. 66 seg. (5) SHERWIN WHITE, op. oit., pag.
62.
(6) ID., ibid., cap. II. Cfr. ad es. pag. 68. (7) ID., ibid., pag. 62 seg. ; per quanto a pag. 62 oritiohi quest'opinione nel RUDOLPH (op. oit., pag.
67).
(8) SHERWIN WHITE, ibid.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPI!
145
pare inconcepibile. Ma neppure lo Sherwin White è sicuro di quanto dice poiché, poche pagine dopo, non crede opportuno insistervi e pensa invece possibile che l'VIIIvirato sia il pre cedente storico del IlIIvirato (1) e che Roma appunto abbia sentito la necessità di dare un ordinamento a quelle popola zioni ancora rette con un sistema tribale : « some provision had to be made for the internal development of the various com munities, since external expansion was barred to tbem. In the area covered by the Octovirate, this duty fell to Rome, and was rendered more specially urgent because Roman settlers accustomed to the various forms of the Latin municipal sy stem were mixing whit the original inhabitans » (2). D'altronde non convincono neppure i motivi addotti dal Rosenberg (3) e cioè che le città cvolsche*> abbiano un ordinamento diverso — che egli stesso ritiene non romano (4) — o che compaia in queste prefetture la particolarità del magister iuventutis (5). Il Rudolph dal canto suo non sa sempre controbattere efficacemente la tesi del Rosenberg perchè, ad esempio, giunge ad affermare che l'VIIIvirato è romano perchè i magistrati hanno titoli latini (ti) —e su questo punto è già stato discusso dallo Sherwin White (7) ; — ma ha anche un'osservazione che pare decisiva poiché osservando che la magistratura ori ginaria di Plestia è il maronato, può facilmente dedurne che almeno per questa città l'VIIIvirato rappresenta un'innova zione (8). Noi crediamo che il Rudolph sia su questo punto dalla parte della ragione, ma riteniamo sia necessario vedere se è
(1) ID., ibid., pag. 68 seg. ; ofr. ROSENBERG, op. cit., pag. 45 seg. ; RUDOLPH, op. cit., pag. 109. (2) ID., ibid., pag. 69. (3) ROSENBERG, op. cit., pag. 40. (4) ID., ibid., pag. 4 8egg. (5) ID., ibid., pag. 44 seg. (6) RUDOLPH, op. oit., pag. 66. (7) SHERWIN WHITE, op. cit., pag. 62. (8) RUDOLPH, op. cit., pag. 67. Snl maronato si
veda ora anohe MAZZARINO 8. Dalla Monarchia allo Stato repubblicano, pag. 36 seg. ; 98 Aegg. ; 141 ; di coi però non oredo di poter condividere l'opinione. 10
146
L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
possibile aderire alla sua tesi anche per quanto riguarda la suddivisione dei compiti fra le quattro coppie di VlIIviri, suddivisione che non dovrebbe essere originaria (1). Egli osserva giustamente che il magister iuventutis di que ste città non può essere considerato come una vera e propria magistratura (2), contrariamente a quanto aveva supposto il Rosenberg (3), poiché le quattro coppie che noi conosciamo nel 1° secolo a Trébula Mutuesca, Punica città che ci abbia fatto conoscere per intero la sua costituzione ottovirale, sono rispettivamente di TlIIviri Ilvirali potestate(i), VlIIviri aedilicia potentate, VlIIviri aerarti, VlIIviri fanorum. Il magister iuventutis è dunque estraneo al collegio. Quanto agli VlIIviri è noto che le iscrizioni C. I. L. IX 4891, 4896, 4900c mostrano come l'VIIIvirato vada inteso come un tutto orga nico, una magistratura unica sul tipo di talune magistrature inferiori o straordinarie di Roma, come i Xviri, i Vviri a. d., i XVviriy i XXTIviri (5) : in esse infatti è esempio di VlIIviri che hanno iterato la loro magistratura cambiando ogni volta incombenza senza seguire un determinato cursus. Secondo C. I. L. IX 4896 un T. Petidio è la prima volta VlIIvir aediliciae potestatis, la seconda VlIIvir fanorum, la terza VlIIvir aerar ii e analogo è il cursus che compare in C.I. L. IX 4891 ; ma secondo il numero 4900° ci fu un VlIIvir II aer. proc. Così si può pensare col Rudolph che Patto dell'elezione è distinto da quello della suddivisione dei compiti, pro prio come avviene per i XXVIviri romani (6). Soltanto in un secondo periodo di tempo si potrà dunque credere che la differenziazione dei compiti indichi una subordinazione di una coppia ad un'altra. Considerando dunque questa stretta analogia con altre ma gistrature romane, apparirà anche più facile la conclusione (1) RUDOLPH, ibid., pag. 77 segg. (2) ID., ibid., p a g . 71 n. 1. (3) R O S E N B E R G , op.
cit.,
pag.
44.
(4) L'aggi a n t a Ilvirali potestate non pare indispensabile, essendo docu mentata solo a Nursia (C. I. L. IX 4545-4547). (5)
R U D O L P H , op.
oit.f pag.
(6) I D . , ibid., p a g . 75.
75.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MÜNICIPI
147
che PVIII virato sia appunto una creazione romana. Eesta da vedere come e perchè Eoma l'abbia introdotto nella costitu zione delle città «sabine». A questo proposito non sarà inutile ricordare che, contra riamente alle città di Arpinum, Fundi e Formiae, questo ter ritorio fu considerato, anche prima della conquista, un terreno da colonizzare e sfruttare da parte della-plebe romana (1) ed è noto che ben presto la popolazione indigena fu infatti as sorbita dai nuovi colonizzatori : la concessione deìYoptimum ius fu la più immediata conseguenza di questo stato di cose (2). Cittadini romani, è stato notato, non potevano adattarsi ad un'organizzazione ancora tribale se tale era — come taluno ha supposto forse a torto — quella delle località da loro oc cupate (3), ma soprattutto, aggiungiamo, non potevano sotto stare a magistrature indigene quali i meddices o i marones (4). Si rendeva necessaria una completa riorganizzazione, che non poteva però essere suggerita dai raunicipii che mantenevano le forme epicorie, né dalle colonie latine — veri e propri al leati forniti di un diritto diverso —■, né dalle colonie romane che erano ancora sottoposte ai praefecti ed avevano compiti ben diversi, miranti soprattutto a fini di carattere militare (5). Qualcosa di assolutamente nuovo doveva dunque essere immaginato : e fu l'VIIIvirato, il precedente storico del IlIIvirato. Quanto ai motivi che potevano suggerire questa forma di costituzione, limitata a compiti puramente locali, perchè la giurisdizione spettò al pretore romano per mezzo dei suoi pre tetti, lo Shervvin White se la cava con poco, scrivendo che « likewise where social life was not complex, and in these areas, where, if anywhere in Italy, the importance of the ru ral area outweighed that of the central oppidum, it is easy to (1) FRACCARO P., in Atti Congresso Internaz. di Diritto Romano, I 201 seg. ; BERNARDI A., I cives sine suffragio, iu Athenaeum 1938, pag. 272. (2) BERNARDI, ibid., pag. 272 seg. (3)
SHKRWIN W H I T E , op. at.,
pag.
68.
(4) Per i marones di Plestia ofr. C. J. L. I a 2112 ; ROSENBERG, op. cit., pag. 46 segg. (5) Tale, infatti, era stato Bovente lo scopo della loro fondazione.
148
L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
see that a board of eight men had special advantages . . . >(1). Forse intendeva dire che il numero dei magistrati permetteva loro di dividersi le incombenze nei diversi centri di vita del loro oppidtim; ma non è certo una risposta esauriente del problema proposto, poiché bisognerebbe ammettere non solo che non vi fu da principio una gerarchia di coppie — che è stata negata con molte probabilità (2) —, ma anche che non esistette alcuna distinzione fra di esse. La subordinazione ge rarchica sorse invece probabilmente quando cessò di essere inviato il prefetto, come avvenne nelle colonie civium BornanoTum (3). I MUHTI01PII OON I I V I B I .
Questi municipii, elencati dal Beloch (4), e considerati una vera croce dagli studiosi degli ordinamenti municipali, sareb bero tutti sorti, per esprimerci appunto col Beloch, in territo rio di romani «Altbürger». Se questo è vero, il problema non è più quello di vedere perchè abbiano Ilviri invece di ffllviri, ma quello di cercare i motivi per cui ebbero Ilviri invece di Vlllviri. Ma, ancor prima, bisognerà cercare di stabilire se essi fossero veramente tutti antiche prefetture e di che tipo. Potremo intanto osservare che Atina, Casinum, Auftdena, Trèbula Suffenas, forse Aequiculi, sono tutte prefetture del secondo tipo festiauo, di cui si conosce la data della conces sione della civitas sine suffragio (5) : il titolo di prefettura è dunque analogo a quello di Arpinum, Fundi e Formiae, an ch'esse in un primo tempo incorporate con quella forma di (1)
SHEBWIN WHITE, op. oit., pag.
69.
(2) Cfr. supra, pag. 146. (3) Cfr. infra, pag. 168. (4)
BELOCH, op. oit.,
pag.
508
segg.
(5) Atina, Casinum, Aufidena prefetture : Cic, pro Plane. 8, 21 ; C. I. L. X 5193-5194; C. I. L. X 2802. Per Trebula Suffenas e gli Equiooli ofr. KORNEMANN, in P. W. XVI 582 sg. s. v. Municipium. Per gli Equiooli ofr. anche infra, pag. 149, n. 4. Lo stesso articolo del KORNEMANN si consulterà util mente per quanto segue.
LE
MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
149
civitas. È pensabile che anche Superaequum — civitas sine suffragio dal 303(1) — fosse nelle stesse condizioni. Per queste città il pensiero corre dunque subito ai meddices osci, che poterono continuare a reggere la loro comunità sia come municipio sine suffragio sia come municipio optimo iure, come i tre edili di Arpinum, Formiae e Fundi. Ma si ignora quando ottennero Voptimus ius. Dati probanti non mi pare ve ne siano per tutte, ma non credo sia impossibile pensare ad una data un poco posteriore a quella delle tre città rette da tre edili. Il Kubitschek credette di poter affermare che Atina ebbe la pieua cittadinanza nel 102, il che farebbe pen sare altrettanto anche per Casinum e Aufidena, che — come Venafrum e Allifae, di cui non conosciamo i magistrati, e la stessa Atina — ebbero forse la civitas sine suffragio solo nel 201 a. 0. (2), circa un secolo dopo le tre città di Arpimim, Formiae e Fundi. Ma la data del Kubitschek non è esente da dubbi (3). Più antica è invece la concessione della civitas sine suffragio agli Equi, ai Peligni e, con ogni verosimiglianza, agli Equicoli (4) ; ma — anche questa volta — nessun indizio pre ciso si ha sulla concessione dell'optimum iusy che potè comun que esser fatta circa nello stesso tempo che ad Arpinum, Formiae e Fundi. Un secondo gruppo di prefetture — e conciliaoula — è quello dell'agro Piceno, cui si dovranno probabilmente àggiun(1) Per la concessione della Civita* sine suffragio ofr. DIOD., XX 90, 3. Ved. BERNARDI, art.
cit.,
pag.
260
seg.
(2) Venafrum e Allifae sono prefetture secondo FH8T. pag. 262 L. La data della civitas sine suffragio si suppone il 201, perchè in quell'anno furono fatte — seoondo Liv., XXXI 4, 1 — delle assegnazioni v i n t a n e in territorio confi scato ai Sanniti. Sa oiò cfr. BERNARDI, art. cit., pag. 274. (3) Il KUBITSCHEK (De ro manor um tribuum origine ao propagatane, pag. 57 e n. 180) si fonda sn ana notizia di Plinio (n. h., XXII 6,11), ohe parla di un centurione atinate nella guerra oimbrioa. Ma anzitutto non è detto se si tratti di Atina del Lazio o di Atina della Lucania ; in seoondo lnogo non è leoito arguire dalla oittadinanza di un individuo la oivitas del suo oomune d'origine. (4) Per gli Equi cfr. Liv., IX 45 ; X 1 ; DIOD., XX 101, 5. Per i Peligni ofr. u. 1. Quanto agli Equiooli si veda BELOCH {op.cii., pag 422, 429,597), cbe ne attribuisce al 990 la sottomissione e la concessione della civitas sine sufragio.
150
L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
gère la vicina Matilica e i due comuni dell'agro Gallico Ostra e Siiasa. A queste la civitas sine suffragio fu forse concessa nel 233 (1) ; il titolo di prefettura è documentato genericamente da Cesare (2). Difficile è pensare che i Piceni avessero otte nuto Voptimum ins prima della guerra sociale, poiché a que sta guerra parteciparono attivamente almeno quelli di Asco li (3). Si noti però che i cittadini romani dovevano essere as sai numerosi in tutto Pagro, che era stato in gran parte con fiscato all'atto della conquista (4). Furono certo questi, cui si aggiunsero dopo la guerra sociale anche gli indigeni divenuti cives wptimo iure, a costituire numerosi conciliabula o fora, riorganizzati poi a municipio al tempo di Cesare (5). Un terzo gruppo di città che certamente furono optimo iure, forse come conciliabula, comprende tutta una serie di comuni che sorsero in agro confiscato a varie genti : JSburum nell'agro Picentino, Blanda lulia e Aceruntia in territorio lucano, Veli sul cui territorio furono stabilite quattro nuove tribù, e forse Ama se si può pensare che sorgesse come conciliabulum ai margini di Perusia (6). Alle prefetture del secondo gruppo si possono aggiungere Yisentium, che faceva parte forse della prefettura di Statonia(l),
(1) Cfr. BERNARDI, loc. cit., pag. 273. Si tenga però presente ohe per il B E LOCH (op. cit., pag. 475) i Piceni non furono affatto sterminati, come —seguendo il MOMMSEN (Rom. JBorsch., I l 397) — mostra di credere il BERNARDI. Ancora se condo il BELOCH però almeno Osira e Suasa furono conciliabula fin dal 283. Sulla questione dei Piceni si veda ultimamente GOEHLER J., Rom und Italien, p a g . 14-16, che segue FRANK e BELOCH. (2) CAKS., bell. oiv. I 15, 1.
(3) Le fonti in GREENIDGE-CLAY, Sources for romanhistory 133 70, p. 109 segg. (4) Ne sono prova le colonie ivi fondate di Birmwm, Potentia, Auximum, (cfr. B E L O C H , op. cit., p a g . 476). (5) Per Cingulum ofr. CAES. loc. cit.
(6) Non mi pare « warscheinlich » — come invece al BELOCH (op. cit., pag. 606) — ohe Ama sia stata federata a Roma fino alla guerra sociale. L a man canza dei I l I I v i r i non è t u t t a v i a indizio sufficiente (ofr. ancora BELOCH, op. cit., pag. 510). Quanto ad Eburum, Blanda lulia, Aoeruntia, Veii, e alla loro origine si veda B E L O C H , op. cit., rispettivamente a pag. 544 seg., 591, 510, 607. (7) B E L O C H , op. cit., p a g . 566.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNIGIPII
151
e Cereatae Marianne, che fece parte senz'altro della praefeotura di Arpinum(l). Eestano da considerare Caiatia, Cubulteria, Herculaneum, Suessula e Surrentum. Quanto a Caiatia è certo che essa fu municipium sine suffragio (2). Per Cubulteria invece non ab-
(1) P L U T , Mar.
3.
(2) La questione r i g a a r d a u t e Caiatia è a n a delle più discusse : basti pen sare ohe punto di partenza deve essere considerato la famosa coufasione fra Caiatia e Caiatia, per oui nelle fonti si volle sovente vedere uno soambio fra i d u e nomi di oittà oon l a n a t u r a l e conseguenza ohe si venne di volta in volta escludendo dalla storia di Caiatia ciò ohe potesse sembrare più adatto per chia rire la storia di Caiatia e viceversa. 11 merito di aver affrontato di petto la questione, impostandola su basi più serie, spettò al MOMMSEN (già in / . B. N.f poi, meglio, in C. I. L. X p a g . 444). Ma anche il MOMMSEN non giunse in t u t t o ad una conclusione definita : il passo di DIODORO (XX 80, 1) è da lui oorretto in modo che ove i codici presentano « SCÒQOW a a ì 'Atiav» si legga « ScÓQdv xcù KOUOLTCOLV > : di conseguenza egli vuole logicamente correggere an che L i v i o (IX 43 : « Caiatia et Sora » in « Caiatia et Sora »), pur ammettendo ohe e oum oommodius longe cum Sora iungatur Atina, poterit etiam de hao cogitavi, scilicet Fabium scripsisse SOJOOLV wxl 'Axivav, inde latinos auctore% a Fabio pendentes id fecisse quod legimus apud Livinm». A parte questo dubbio il MOMMSEN giunge però a stabilire con sufficiente base che Caiatia, tenendo oonto delle monete oon iscrizione CAIATINO ohe ne conosciamo e ohe vanno poste crono logicamente fra la guerra di P i r r o e quella d'Annibale, aia stata., oome Acerrae, ridotta a Civita» sine suffragio. Se si oousidera poi, che, più tardi, Caiatia fu municipio con a oapo I l v i r i — e questa volta optimo iure—, tenendo oonto della nota teoria dello stesso MOMMSEN (Sl.-R., I l i 1, p a g . 582 e n. 1 ; pag. 797), secondo oni la prefettura è la via per oui la oivitas sine suffragio si tra sforma in civitas optimo iure, si confermerà ohe Caiatia fu appunto, per un oerto periodo, una praefeotura. L a teoria ricordata or ora è stata, in vero, discussa dal
FRACCARO (iu Atti
Congr. cit., I 205) e dello SHERWLN W H I T A
(op. cit.,
pag. 50), il quale osserva ohe essa non può considerarsi sufficientemente giu stificata dalla corrispondenza fra le due liste di Festo riguardanti le prefet ture e i primi municipi. Ma, anche tenendo oonto di questa osservazione, noi troviamo nel pasuo di F E S T O (pag. 262 L.) sulle prefetture il nome di Caiatia ohe essendo il passo notoriamente corrotto, potrebbe doversi correggere in quello di Caiatia : tanto p i ù se si considera ohe nella stessa lista troviamo il nome di Aoerrae o h e — secondo il MOMMSEN (loc. oit.) — ebbe una storia ana loga a quella di Caiatia. Bisogna anche tener presente che fino a quando scom parirà il sistema della prefettura (ofr. SHERWIN-WHITE, op. cit., pag. 76 segg. È oerto ohe Puteoli — oolonia romana e cioè prefettura — ebbe al p i ù tardi nel 105 a. C. propri organi looali oome risulta dalla lex de paristi /adendo,
152
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
biamo altro indizio se non l'affinità con Caiatia e la vicinanza geografica (1). Si tratterà dunque di città che, come Arpinum, Pandi, Formine, Oasinum, Yenafrum, Allifae, Aufidena, si trasformarono in prefetture : data la loro origine si potrà per tanto pensare ad una trasformazione degli antichi meddices, a meno che non si voglia tener presente il possibile caso che — come avvenne per il municipium di Perusia al tempo di Augusto (2) — il IIIIvirato abbia ceduto il luogo al Ilvirato in epoca posteriore alla costituzione del municipium. Vedremo infatti fra poco (3) che esistono numerosi municipii in cui, ac canto ai Ilviri iusdicenti troviamo dei IUI viri evidentemente identici agli edili. Ma bisogna osservare che si tratta di luo ghi — Yerulae, Fagifulae, Sa&pinum, Terventum e, forse, AnUnum e Carsioli — in cui evidentemente il IHIvirato non riesce ad imporsi definitivamente per la duplice magistratura antica : a Perusia forse il maronato, a Yerulae e negli altri municipii ricordati la duplice ineddicità. Nello stesso caso di Perusia potrà trovarsi Carsulae che ebbe al tempo d'Augusto i. d. (4). Tale feno dei Ilviri i. d.y sostituiti poi da Illlviri meno si verificò forse anche ad Herculaneum e a Surrentum, che seguirono le sorti di Nuceria Alfaterna, sottomessa fin dal 308 a. 0., ma rimasta federata a Roma fino alla guerra sociale (5)^e indi municipio fino a che vi fu dedotta una coloC. I. L. I 2 698) ogni comonità di cives optimo iure è sorvegliata da prae/ecti. E nelle stesse condizioni si sarà trovata anche Caiatia. (1) Di Cubulteria si conosoono monete osche. Secondo L i v i o (XXIII 39, 6 ; XXIV 20, 5) essa fa ripresa dai Romani dopo la defezione ad Annibale. Come vada inteso il termine di res publica ohe le si riferisce (ofr. MOMMSEN, in C. I. L. X, pag. 499) non è d'altronde affatto chiaro. (2) C. I. L. XI, p a g . 353. (3) Cfr. infra, pag. 171 segg. (4) Cfr. BBLOCH, op. oit., p . 503 ; infra, pag. 181 sog. (5) Da Liv., IX 4 1 , 3 sappiamo che nel 308 il console Fabio la costrinse a deditto. Parrebbe d n n q n e fuori discussione ohe da qnesto momento essa sia divenuta an municipium sine suffragio. Seuonchè il BELOCH (op. cit.t pag. 415) oonsidora questa notizia come a n falso di Fabio l'annalista « da der Stadt vielmehr ein günstiges foedus bewilligt warde ». La notizia dei foe das si rioava da Cic., pro Balbo 11, 28. Per JJeroulaneuni e Surrentum ofr, BELOCH, op. cit., pag. 539.
LE MAGISTRATURE
DEGLI ALTRI MUNICIPII
153
nia di veterani in seguito alle devastazioni degli uomini di Spartaco (1). Ma, mentre Nuceria rimase fedele (2), Herculaneum e Surrentum si ribellarono durante la guerra sociale (3). Quanto a Suessula, essa ebbe la civitas sine suffragio dopo la guerra latina, ma divenne colonia romana al tempo di Siila (4). Anche Ulubrae fu forse colonia, dedotta dai Triumviri, e pertanto i suoi Ilviri potrebbero avere quest'origine; ma il Beloch ritiene più opportuno porla nell'elenco dei munitipii (5). L'esempio di Ulubrae potrebbe, comunque, collegarsi a quello di Praeneste, che chiese a Tiberio il titolo di muni cipio dopo di essere stata trasformata in colonia da Siila (6). Stando così le cose, appare anche evidente che, nelle città che furono poi municipii con Ilviri, la loro seconda magistra tura — cioè l'edilità — non potè essere che romana : fu ro mana certo là dove sorse in un primo tempo un conciliabulum, fu romana quasi certamente nei casi, come quello di Per mia, in cui il II virato derivò dal IUI virato, fu romana con molta probabilità dove il Ilvirato potè sostituire la meddicità. Abbiamo infatti scarse tracce dell'edilità osca ed è as sai probabile che fra gli Osci essa non fosse per nulla origi naria. Come già sappiamo, infatti, anche le iscrizioni prero mane in cui essa compare sono considerate dagli studiosi della storia italica come documentazione di un influsso ro mano : così sarebbe per Pompei, così per Aufidena, se pure in quest'ultimo comune sia da considerarsi sicura la documen tazione (7). (1) F L O R . , I I 85. (2) Cfr. P H I L I P P , in P . W. X V I I 1236.
(3) Le fonti sulla ribellione sono assai scarse. Cfr. GALL, in P. W . V i l i 534 e P H I L I P P , in P . W . IV A 969 segg.
(4) Ebbe la civitas sine suffragio con Capna (cfr. BELOCH, op. cit., p a g . 584). Fa colonia si liana secondo il Lib. Col. pag. 237, 5. (5) BELOCH, op. cit., pag. 524. Il PAIS, Storia della colonizzazione romana, Roma 1923, pag. 271 segg., raccoglie le fonti relative e ritiene ohe Ulubrae fosse origiuariamente « nn povero vicus » trasformato in municipio per costituire u n centro urbano nel onore delle Pontine (loc. cit., pag. 273). (6) G E L L . . XVI 13.
(7) Cfr. supra, p a g . 139 seg. e n. 5 a p a g . 139.
154
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Eiassumendo in breve quanto abbiamo detto, possiamo anche osservare alcuni periodi ben chiaramente delimitabili nella storia dei municipii la cui costituzione fu imposta da Koma con assoluta certezza e delle prefetture di cives optimo iure : in un primo tempo troveremo l'VIIIvirato — anno 268 a. 0. ; — in un secondo tempo, forse, il mantenimento della costituzione epicoria del municipium sine suffragio con la sola variante del titolo — dopo la II guerra punica — ; in un terzo tempo il IIvirato per i comuni di cives optimo iure — lex Mamilia Boscia(l). Possiamo anche affermare che l'esperimento dell7 VI rivirato non dovette essere considerato sodisfacente : la prova si potrà avere nel fatto che PVIlIvirato stesso cede talora il posto al I U I virato creato per i municipii ex lege lulia de civitate e, dove pure sussiste, specializza i compiti dei suoi magistrati riducendosi talvolta anche di numero (2). Ai conciliabula e ai fora — già prefetture di diritto e di fatto (3) — fu così lasciata la costituzione Ilvirale sorta in essi forse spontaneamente per analogia con le colonie (4), mentre i comuni anticamente retti da meddices ebbero essi pure dei Ilviri, come accadde quasi sicuramente anche a Yelitrae, dove appunto il duovirato pare derivare direttamente dalla nieddicità dei Volsci : Yelitrae divenne un municipio in un primo tempo forse sine suffragio (5) — come le città latine che con servarono le magistrature epicorie — senza mai essere stato, per quanto ne sappiamo, sede di una prefettura. (1) La lex Mamilia Rascia è datata dal RUDOLPH (op. cit., pag. 191) al 55 a. C. ; ofr. SHERWIN WHITE, op. oit., pag. 142, che ne accoglie le oonolnsioni.
Al 109 a. C. essa andrebbe invece fatta risalire seoondo il FABRICIUS (Ueber die lex Mamilia Rotaia etc , in Sitz.-Ber. Akad. Heidelberg 1924 25), seguito dal BERNARDI (loo. cit., pag. 275). Il GOEHLER (op. cit. pag. 190 segg.) accoglie la tesi del B-UDOLPH, distinguendo dalle lex Mamilia Roscia, che ci interessa, nna lex Mamilia de limitibiisy da attribuirsi effettivamente al 109 a. C. Sulla oostitnzione duovirale ai veda RUDOLPH, op. cit., pag. 207 segg. (ofr. pag. 186 segg.), oon discussione e delimitazione della legge in questione. (2) Cfr. RUDOLPH, op. oit., pag. 69 segg., 80 segg. (3) Cfr. FEST., pag. 262 L., s. v. Praefecturae ; e, su di esso, MOMMSEN, St.-R. Ili 1, pag. 797 seg. ; RUDOLPH, op. oit., pag. 166. (4) BELOCH, op. oit.t p. 497.
(5) Cfr. éupra, pag. 130, n. 1.
GLI AEDILES I. D. DI ALCUNE CITÀ MERDIONALI Llì MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
155
Meritano un cenno in questo capitolo au che gli aediles i. d. di alcune città meridionali, a taluno dei quali il De Buggiero assegnava funzioni direttive nei loro comuni (1). Le fonti sono di carattere epigrafico e si riferiscono a : AUSCULUM : C. / .
L.
IX
BENEVENTUM : C. I. L. G N A T H I A : C.
I. L.
IX
H E R D O N I A E : C. / . L.
669 ; cfr.
IX
1646,
666. 1656.
263. IX
960.
Non è qui il caso di ritornare su Caere e Nomentum di cui già s'è parlato (2) e le cui condizioni storiche sono del tutto differenti. Per le quattro città ricordate sarà n a t u r a l m e n t e opportuno tentare una spiegazione distinta. Le iscrizioni di Âusculum e di Gnathia sono quelle che hanno dato al De Euggiero (3) l'impressione che si tratti di magistrati supremi. Ma, anzitutto, ci si stupisce che egli possa aver tratto una simile conclusione quando si osservi che an che a Beneventum ed Herdoniae compare lo stesso titolo, là dove è certo che Yaedilitas i. d. non fu sicuramente la su prema magistratura, essendo Beneventum un'antica colonia latina e Herdoniae una città ex-federata — retta da praetores e aediles — divenuta municipio con I U I viri. D'altra parte an che ad Ausculum e Gnathia non pare sufficiente a stabilire l'autorità di quegli aediles i. d. il loro attributo i. d. : si noti che si tratta di iscrizioni funerarie in cui non compare nessun altro titolo e da cui dunque non si può ricavare un qualsiasi cursus. Si potrà anzi peusare che l'assenza di altri titoli stia a dimostrare che quello di aed. i. d. non fosse che il primo gradino della scala gerarchica. Resta il problema dell'attributo i. rf., ma questo troverà una prima chiarificazione dal raffronto che si può fare con le iscrizioni di Beneventum e di Herdoniae. (1) D K R U G G I E R O , in Diz. epigr., I, 251, s. v. (2) Cfr. supra, pag. 109 aegg. (3) D E R U G G I E R O , loc. cit.,
pag.
251.
Aedilis.
156
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Di Herdoniae è l'iscrizione C. I. L. I X 690, in cui compare un cursus assai interessante : la trascriviamo qui nelPedizione del a I. L. : [ ] / [mit] nicipi. aed j iur. die. q. bis / Illvir. i. d. bis J q. q. curat mu j neris. bis\ / et q. s. Si nota subito il carattere ascendente del cursus che cul mina con la carica di quinquennalis rivestita dopo il I l I I v i rato i. d. L'edilità i. d. è dunque il primo gradino della scala gerarchica (1) e corrisponde bene alla comune edilità di tutti i municipii. Di Beneventani sono le due iscrizioni surricordate : la prima ci ricorda uno scriba aed. i. d., la seconda — più importante — è la seguente : M. Tanonius / Firmianus. aed j i. d. basent, cum j staterà, et. pon j der. aeneis / de. suo. fee. È evidente che questa è una delle solite curae degli edili normali ; ma pare complicare la questione il fatto che in Beneventum compaiono numerosi gli aediles senz'attributi e per fino un IlIIvir aedills che — come suggerisce lo stesso ti tolo — va considerato posteriore alla guerra sociale. Le iscri zioni che ricordano edili senz'attributi sono quelle contrasse gnate dai numeri 1419, 1503, 1614, 1622, 1644, 1648, 1651, 1657, 1658, 1661. La prima è di Aeqaum Tuticum (?) e ricorda questa carica in modo un po' confuso : è anzi probabilmente incompleta e non se ne può ricavare un gran che. Ad ogni modo la tra scriviamo : I. 0. M. C. JEnnius. C. f. Firmus permissu. decurion. C. B. Benevento . aedilis . . . 1] . I I . vir. i. d. quaestor curator, operis. thermarum datus. ab Imp. Gaesare. Hadriano. Aug. (1) Il genitivo municipi (o dativo munioipi ?) paò riferirsi alla parte man cante.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
157
Le lettere non inclinate sono scritte « in lituris». È evi dente che alla linea 5 deve mancare l'inizio : mancando quello, non si può capire se, per esempio, si possa supporre un i. d. q. che completerebbe il cursus sull'esempio dell'iscrizione di Herdoniae, in cui però compare un IlIIvir i. d. anziché un Ilvir i. d. Il n. 1503 è del pagus Veianus e vi compare un aed. decur. Beneventi; al n. 1614 v'è una dedica aedili, quaes. Ilvir / i. d. ecc.; il n. 1622, incompleto, ricorda semplicemente un aed.; il n. 1644 ricorda due aed. che « viam straverunt et lacuus fecerunt» ; il n. 1648 è dedicato ad un aedili praef. fahr, ed edili senz'altro sono ricordati anche dai numeri 1651, 1661 e 1658; il n. 1657 infine ci presenta un altro cursus completo: aed. pr[aef\ j fahr. Ilvir j i. d. [q.] ponti/ / [ È evidente che il titolo comunemente usato era appunto quello di aedilis senz'attributi ; m a una ragione deve pure es serci perchè nelle due iscrizioni citate in principio compaia il titolo di aedilis iure dicundo. E intanto possiamo notare che, accanto al titolo di aedilis senz'attributi, compare nei cursus soltanto il titolo di Ilvir i. d., mentre ad Rerdoniae Vaedilis i. d. si trova, come s'è visto, accanto ad un IlIIvir i. d. Quest'osservazione potrebbe assumere grande valore se potessimo stabilire la data in cui furono poste le d u e iscri zioni beneventane di aed. i. d., perchè, se si potesse stabilire che esse appartengono al periodo municipale immediatamente posteriore alla guerra sociale, il paragone con Herdoniae avrebbe immediata evidenza. P u r t r o p p o l'impossibilità di avere a di sposizione indicazioni di carattere cronologico c'impedisce di afìermare con sicurezza qualsiasi cosa del genere. Possiamo tuttavia supporre con molta verosimiglianza che la nostra ipo tesi non sia lontana dal vero e, in questo caso, riservare al periodo municipale di Benevento le due iscrizioni riguardanti l'edilità i. d. Se, poi, consideriamo che agli inizi del municipium non doveva ancora essersi formata u n a gerarchia religiosa parti colare, possiamo pensare che il titolo di aed. i. d. stesse ad indicare la distinzione necessaria fra Tedile del I l I I v i r a t o e Tedile sacro. È noto infatti che edili sacri sono testimo-
Ì58
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
niati un po' dovunque: a Napoli, per esempio (aedilis Augustalis), a Ostia (aedilis sacris Voïkano faciundis), in un pagiis di Super aequum (aedilis ad deam Pelinam) e altrove (1). Sarà possibile presumere che anche Herdoniae, avendo avuto còme capi prima dei IlIIviri i prastores e gli aediles, li abbia con servati ad sacra. Il caso non sarebbe unico ; basterà ricordare i pretori e gli edili di Vulcano ad Ostia (2) e il pretore o dittatore di talune località conquistate dai Eoraani nel Latium adiectum (3). Di qui la necessità di distinguere l'edile ad sacra dall'edile iusdicente e l'uso del titolo di aedilis i. d. che potè diffondersi su una larga zona, comprendente Gnathia ed Auscultila e Beneventani, forse per qualche fatto analogo a quello supposto per Herdoniae (4). A Beneventum però l'uso (1) Ad Ostia troviamo Yaedüis saoris Folkani faciundis (C. I. L. XIV 3, 351, 375, ofr. 376, 390, ofr. 391, 4453, 4688). Vaedilxs ad deam Pelinam di Superaequum o di un suo pago è testimoniato in C. I. L. X 3314 (ob honorem aedilitatis . . . . . ad deam Pelinam). A Sutrium troviamo uno scriba aedil. Diespitris (C. / . L. XI 3259). Di Neapolia è l'iscrizione di C. I. L. X 1493, in oui troviamo un aedilis Augustalis, a meno ohe non si tratti di due titoli aooostati in una Bpeoie di cursus. Funzioni saorali, qualunque ne fosse l'origine, ebbero gli aediles Elruriae (C. I. L. XI 1806, 1905, 2116, 2120, 3615, 5170, 5265). Crediamo invece di poter escludere la possibilità ohe Hiano edili con fun zioni saore tanto gli aediles lustrales di Tusculum (C. / . L. I* 782 = XIV 2603 ; XIV 2628 ; Année épigraphique 1916, 106. Un edile normale va considerato quello di C. / . L. XIV 2580. Sul valore dell'epiteto lustralis ofr. LKUZB O., in Hermes 1914, pag. 110 sgg. ; D E SANCTIS G., in Eiv. di Filol. 1932, pag. 439 segg.) ; quanto al preteso aedilis P. A. di Pompeii (C. I. L. IV 817 ; cfr. ibid., pag. 9) va notato ohe le due lettere P. A. possono intendersi anche oome le iniziali del prenome e del cognome di quell'A/ricanus che presenta il candidato nella stessa iscrizione: l'uso di tali abbreviazioni è abbondantemente documentato nello stesso volume del Corpus non solo, ma lo stesso personaggio doveva es sere ben noto poiché sovente compare senza prenome e senza nome gentilizio in altre iscrizioni — C. I. L. IV 818, 1026, 1544 e, particolarmente notevole, 2258a. Fu console secondo il n. 1544). (2) Cfr. CARPOPINO J., Virgile et les origines d'Ostie, pagg. 42-48 ; ofr. an che C. I. L. XIV, pag. 4. (3) Per il praetor di Aletrium ofr. C. I. L. X 5832 ; por il dictator di Fabroteria vetus ofr. C. J. L. X 5655. Cfr. supra, ad es. pag. 112 e 117, per altri oasi analoghi. (4) Degno di nota, sebbene non ne sia facile una spiegazione, è il fatto che talora il supremo magistrato di Beneventum assume il complesso titolo di
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPI!
Ì59
fu assai raro e riprese il predominio la forma più breve del titolo : è possibile che, se vi fu nn aedilis con funzioni sacre, abbia cessato di esistere con la comparsa dei pontifices (1). Il titolo di aeri. i. d. non va dunque considerato come di verso da quello del semplice aedilis o IlIIvir aedilis dei mu nicipi i e delle colonie (2). LÀ QUESTIONE DEI COSIDDETTI I I I V I R I ÀEDILES.
Assai difficile appare la soluzione del problema riguar dante i IIIviri coloniali, che, a dire il vero, non pare sia stata sufficientemente bene impostata dal Rosemberg (3). Il dotto tedesco aveva a disposizione una minor mole di materiale di quanto oggi possiamo considerare, ma anche da una parte di quella nota al suo tempo egli prescinde volen tieri, limitando la sua ricerca ai IIIviri di Ariminum. In questi egli vede, come in tutto ciò che non si può ricondurre a Roma senza una speciale ricerca, una magistratura locale. Ma è fin troppo evidente che il suo modo di vedere urta contro dif ficoltà non trascurabili : anzitutto il fatto che Ariminum, sorta come colonia latina, dovette subire la sorte di tutte le altre co lonie latine e trasformarsi perciò in un municipium dopo la guerra sociale, fino a che non fu colà dedotta dai Triumviri una colonia romana : questa è infatti l'ultima trasformazione della costituzione di Ariminum di cui si abbia notizia. Ma, anche ammesso che la colonia latina avesse accolto una magistrapraetor Cerialis i. d. (C. 1. L. IX 1640, 1641, 1655 e N. S. 1913, pag. 211 — sempre quinqusjinalis — e C. I. L. IX 1637), mentre la stessa magistratura arreca Vhonor cerialitatis (C. I. L. IX 1655 e N. S. 1913, pag. 211, entrambe dello stesso individuo). Si può pensare, forse, ohe il praetor (C. I. L. I 9 , 396, 1729, 1748) della colonia latina, rimasto ad sacra oome praetor Cerialis, in se guito alla trasformazione costituzionale connessa con la creazione del nlnnioipio, abbia ceduto il proprio titolo al magistrato supremo quando furono creati i pontifices (ofr. nota seguente) : il passaggio del titolo al magistrato sapremo avrebbe portato con so la necessità di aggiungergli l'attributo iure dioundo. (1) Cfr. C. I. L. IX 1657 e 1729. (2) Ad analoga conclusione ginnse per altra via il RUDOLPH (op. cit., pag. 40y n. 1). (3) R O S E N B E R G , op.
cit.
16Ö
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
tura epicoria accanto al suo Ilvirato, non si capisce come que sta abbia potuto sussistere attraverso le due trasformazioni successive, e specialmente la prima — la costituzione muni cipale— in cui senza dubbio non poterono esservi che Illlviri. I III viri dunque avrebbero potuto sussistere, al massimo, come magistrati ad sacra. Senonchè noi troviamo III viri anche altrove : di uno bo lognese ha dato ultimamente notizia il Ducati (1), di altri si sa da tempo : a Spoletium e ad Ilici e forse a Yerona, Tergeste, Aquìleia e Glusium (2). È dunque chiaro che anche trascurando 1 Illyiri di Cirta e delle colonie dipendenti (3) e i Illviri locorum publicorum perseqiiendorum di Vienna (4) — dei quali è stata data una sufficiente spiegazione già da molto tempo (5) — il problema dei Illviri non va limitato alla sola Ariminum. Diventa anzi impossibile pensare alla soluzione prospettata dal Eosenberg. Una possibilità da prospettare, per essere scartata imme diatamente, è anche quella che in un certo periodo si sia in (1) DUCATI P., Un'iscrizione latina di Gherghenzano, in Aiti Mem. Dep. St. Patr. Emilia e Romagna 1937-38, p a g . 99 segg. (2) Per Spoletium : C. I. L. XI 4802 : P. Fulio P. f. IIIvir(o), ex testa] Aug sac. mento) L. Fuli P. f. ; per Ilici : C. I. L. II 5950 : Hercul[ [ ] L. Poroius [....] Illvir, IIIIv[ir ] Aug. s. p.d.; per Verona: Suppl. Italicum I 1255 : DM Cybelifii. dec. 11 loir f Priamins j v. s. p. (l'editore commenta : « corrupturn titulum et fortasse interpolatimi non habeo quomodo emendem*; per Tergeste : C. I. L. V 5 4 4 : M. Surinus M. f. Marcellus HI vir. aed praef. i. d. Hoir pont, praef. fahr, quinq. d. d., M. Surinus M. f. Marcellus filius (sul valore di quest'iscrizione si veda ibid., p a g . 53. Cbi scrive sarebbe propenso a leggere piuttosto IlIIvir. aed. : contro l'opinione ammessa dall'edi tore del C. I L. non ci meraviglia l'opposizione di Illlviri aediles a Ilviri. Su ciò ofr. infra, a proposito dei I l l l v i r i «.nude dicti»). P e r Aquileia : C. I. L. Ia 2204 = V 872 : L. Luoilius C. f. / trium. virum / cap. ; per Glusium : C. I. L. XI 212ff: [ ] / [ ] / ». HI. vir. iter. i. d. Cinsi (l'iscrizione « videtur corruptay>). (3) Cfr. G. I. L. V i l i , p a g . 618 e i relativi Supplementa. (4) Cfr. C. I. L. X I I , pag. 219 ; ESPÉRANDIEU, Inscr. Lat. de Gaulef n . 348. (5) L É C R I V A I N , in D A R . - S A G L I O - P O T T I E R , I I I
1543, s. v. Magistratus
cipales. Si veda auohe STRASBURGBR, in P . W . VII A 521, s. v. n. 12, ove però non ai dà u n a spiegazione sodisfacente.
muni-
Triumviri
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
161
talune città modificato il IlIIvirato staccandone Yaedilis plebeius. Vero è che l'esistenza di questo tipo d'edile non è docu mentata, ma è facilmente immaginabile da chi creda all'esi stenza dell'edile curule (l). È anche vero tuttavia che le iscri zioni a noi note sono di epoca diversa : si pensi al Illvir di Spolettimi che non ha cognome ed è ritenuto di epoca « satis antiqua » (2) mentre ad Ariminum i Illviri noti sono di avan zata età imperiale (3). Piìi probabile pare invece l'ipotesi che si tratti di titoli e di compiti ben diversi. L'ipotesi del Eosenberg sottoposta a revisione pare infatti passibile di una sensibile variazione. Anche indipendente mente dal fatto che mai altrove i Illviri a noi noti hanno il titolo di aediles se non, forse, a Tergeste in un'iscrizione di incerta lettura (4), osserviamo che nella stessa Ariminum la cosa non è certa. L'iscrizione C. 1. L. XI 378 ci parla di un Illvir, e lo stesso titolo ci ripresenta il n. 417, che troviamo (1) Qaesta esistenza è d a p o r r e in dnbbio per la stessa Ariminum (ofr. infra, pag. 162 e n. 1). Quanto alla doonnientazione rignardante Salonae e Intei amna N., raooolta dal DM R U G G I E R O , loo. cit., pag. 251 sg.) non oredo sia possibile considerarla valida: l'iscrizione di Salonae (C. I. L. I l i 2077) pnò forse esser Ietta integrando decurioni) aedili cur(atori) def(en8or\) ; l'iscrizione di Inter amna (O. 3279, ora in C. I. L. XI 4206) potrà essere riferita ad un edile onrnle romano : si noti ohe lo stesso personaggio è ricordato in C. I. L. XI 4207, un'iscrizione ignota sia all'Orelli ohe al De Ruggiero, che I'OLCOTT (The8aur. linguae latm epigraphicae, I, 145) non esita ad elencare fra quelle ro mane. A ciò bisogna aggiungere ohe della stessa Interamna oonosoiamo dne iscrizioni di aediUa senz'attributi (C. I. L. XI 4212 e 4219), riguardo alle qnali un evidente errore (di s t a m p a ? ) si ha in BORMANN, C. I. L. XI, pa gina 611, ove sono attribuite a «idem homo» cui le due di cui già s'è detto. (2) Cfr. BORMANN, ad C. / . L. X I 4802, pag. 702. (3) Le iscrizioni di F u r i a n o (C. I, L. XI 385-387) sono di un pont, flamen Divi Nervae; il n. 417 è di a n flamen Divi Claudii, come pure il n. 6010; C. / . L. XI 378 è di un proo(urator) Imp. Anton. Aug. PU. Meno facile è la datazione dei nn. 406 e 418. Il personaggio rioordato in quest'ultima è però un G. Sentius C. f. Pal. Valerius Faustinianua, il oui nome ci riohiama al l'onomastica dell'età imperiale. L'isorizione 406 è inveoe assai mutila, ma non pare oomunque attribuibile ad epoca anteriore alle altre di cui s'è fatto cenno. Si deve anche tener presente che Beneventani, fondata anch'essa nel 268, non ha altre magistrature ohe la p r e t a r a e la questura (cfr. infra, pag. 165). (4) C. I. L. V 5 4 4 ; ofr. ibid., p a g . 53. li
162
tÈ
MAGISTBATUBÈ MUNICIPALI
ancora al n. 418 ; inversamente i n. 361, 409, 416 ricordano aediles soltanto. Eestano i n. 385, 386, 387 che si riferiscono tutte allo stesso personaggio in diversi momenti della sua carriera e, inoltre, i n. 406 e 6010. Al n. 387 L. Betuzio Furiano è stato soltanto edile acni et curulis i. d. et plebeia mandata est*. Ai n. 385 e 386 il suo cursus è ormai completo : è diventato patrono della colonia, flamine del Divo Nerva, pontefice, e la sua carriera politica è stata contrassegnata dalle tappe indicate in ordine inverso : Ilviro quinq. Ilvir i. d. Illvir aedili cur. Analogo, seppure meno completo, è il cursus del personag gio onorato con l'iscrizione n. 406 : Ilvir 1 Ilvir aed. p[ont Î] Perchè si possa pensare ad identificare i due titoli di Illvir e aedilis bisognerebbe ammettere che Illvir valga aedilis pleMs : si osservi infatti che il titolo di aedilis pleMs manca nel cursus dei nn. 385-387, mentre la 387 dice che a Betuzio furono affidate entrambe le giurisdizioni edilizie. Il cursus completo non dovrebbe ignorare questa magistratura plebea. Ma è stato pensato che l'iscrizione 387 non faccia che enfa tizzare le incombenze del comune aedilis (l), e allora non si spiegherebbe come mai i nn. 385 e 386 presentino il titolo di aed cur. anziché di aed. semplicemente come la 406. Appare anche difficile decidere con sicurezza perfino se il titolo di Illvir vada inteso come rispondente ad una magistra tura sacra o civile, quando si osservi il cursus di XI 6010 in cui si trovano mescolate incombenze di genere diverso : ponti/. Ilviro I quinq. Illviro flamini. Bivi Claudi patrono. Lo stesso fatto si verifica a Bononia : praef. fahr. q. Illvir. aug. Ilvir. pon. L'esempio che ci pare più adatto a chiarire i compiti di questi strani III viri è comunque quello dei III viri loc. plub. pers. di Vienna. Se è vero che costoro avessero l'incombenza di tutelare gli interessi del demanio nell'agro pubblico degli Allobrogi (2), questo stesso compito possouo aver avuto i (1)
KOSENBERG, op. cit.,
pag.
116.
(2) Cfr. supra} pag. 160 e n. 5.
LE MAGISTRATURE DEGLI ALTRI MUNICIPII
163
Illviri delle altre colonie a noi noti. Si presentano però alla mente altre possibilità. Una è suggerita dall'esistenza di Illviri Augustales in città della IV Regione (1). Pertanto, come noi sappiamo dell'esistenza distinta di seviri e di seviri Augustales, di seviri seniores e di seviri iunior es (2), potremo pensare an che a Illviri e Illviri Augustales con funzioni quasi ìnagistratizie, sebbene ad sacra. Ciò tuttavia pare escluso per Spoletium che, essendo senza cognome il suo Illvir, potrebbe es sere anteriore ad Augusto. Del resto non è nemmeno neces sario pensare agli Augustali. Come questi si organizzano cer tamente su qualche modello preesistente, così i nostri Illviri potrebbero avere funzioni analoghe a quelle dei tre pontiflees o dei tre augures : e si noti che nell'iscrizione di Bononia, come al n. 418 di Ariminum, il titolo di Illvir è seguito da quello di augur (a Bononia : aug.). A parte, dunque, il caso di Spoletium, v'è però da notare che, come Ariminum, anche Bononia, Aquileia ed Ilici sono colonie di cittadini romani dedotte da Augusto dopo che la trasformazione era forse avvenuta in un primo tempo ad opera dei Triumviri r. p. e. Per Ariminum in realtà la duplice de duzione è documentata in modo certo e per Bononia appare probabile (3). Si potrebbe dunque pensare che codesto trium virato r. p. e. avesse ispirato la decisione di dare ad Ariminum e a Bononia e, in seguito ad altre colonie di veterani augustee o posteriori, un triumvirato locale. La più tarda di queste colonie sarebbe Verona, dedotta forse da Nerone (4), ma l'esistenza dei Illviri è ivi incerta. E resterebbe in tal modo da spiegare soltanto l'esistenza di Illviri a Clusium,
(1) Cfr. VON PRBMBRSTEIN, in DE RUGGIERO, Diz. Epigr. I 829, s. v. Augustales. (2) ID., ibid., pag. 824 sgg. (3) Per Ariminum oolonia dei Triumviri ofr. APP., h. c. IV 3 ; per la co lonia aaguatea C I. L. XI 408 e PLIN., n. h. III 15. Per Bononia la oolonia augastea è documentata da CI. L XI 720; ofr. PLIN., n. h. Ili 19 e XXXIII 23. Una colonia dei Triumviri si suppone da CASS. DIO. L 6. (4) Sarebbe oolonia secondo TAC. Hist., Ill 8. Cfr. tuttavia KORNEMANN, in P.-W. IV 539, s. v. Colonia, n. 153.
164
L É MAGISTRATURE MUNICIPALI
dove tuttavia essa è assai incerta e dove potrebbe avere la stessa origine che a Spoletinm. La coesistenza dei Illviri e dei IlIIviri, sicura almeno per Iìici, pare, comunque, un nuovo motivo per escludere l'identifi cazione degli edili con i Illviri ; ed appare ancora una volta verisimile il raffronto con i Illviri locorum publicorum perseqtiendorum di Vienna, che è anch'essa una colonia di veterani dedotta, come Ilici, da Augusto (1).
(1) Per Ilici ofr. KORNEMANN, loc. cit., 541, n. 182 ; per Vienna, ibid., 542,
n. 191.
EXCURSUS
I :
NELLE
L'ORIGINE
DELL'EDILITÀ
COLONIE ROMANE.
Nessun edile ci è documentato per le colonie latine, seb bene abbastanza numerose siano le iscrizioni riguardanti i praetor es, i consules e perfino un dicator — se si tratta di un magistrato — e, più tardi, dei Ilviri senza attributi speciali (1). La documentazione relativa a quanto qui si afferma è co stituita dalle seguenti iscrizioni : BENEVENTUM : G. I.
L.
Oppio [ ] Capiton[ï] q. G. I. L. F 1748 = G. I. quis) : Visellius L. f. Fai. tus e(st), duovir Tele[s{iae)]y Si tratta evidentemente l'edilità non compare.
P
1729
=
G.
I.
L.
X
1635 :
G.
pr. in[terr.] cens[ori]. L. X 2240 (Telesiae, litteris antiFlaccus Beneventan(us) liete sepul[p]r(aetor) Benev[enti] di due cursus completi, in cui
INTERAMNÀ LIRENAS : G. I. L.
V
1545
=
C
1. L. X
5203
(da Casinum, ina attribuibile ad Interamnà, cfr. BELOCH, R. ., pag. 490) : N. Savonio N. f. pr{aetori) Apsennia Q. j . Panila uxor posuit. È un'iscrizione funeraria in cui l'unico titolo del defunto è quello di praetor. AQUILEIA : G. I. L. F 2648. Per quanto di lettura incerta quest'iscrizione pare documenti l'esistenza di due pretori e di due questori che « portas muros ex s. e. locavere eidemq(ué) pròbave(re) ». Si veda in proposito D E GRASSI A., in Riv. di Filol., 1938, pagg. 134, 135 sgg. Anche in questo caso pare da escludersi l'esistenza dell'edilità. Va anche tenuto presente che quali magistrature delle co lonie latine noi conosciamo altri praetores a Signia (C. I. L. (1) Cfr. anohe BELOCH, op. cit., pag. 489 segg.
166
LE MAGISTRATURE
MUNICIPALI
I* 1504 = X 5969: un <praetor» dedica «de sua pecunia»), Cora (P 1513 = X 5627 : due pretori), Setia (P 1517 = X 6466: un praetor dedicante), Cales (P 1575 = X 4 6 5 1 : un praetor « d(e) s(enatus) s(ententia) »), Beneventum (I 1 396 = IX 1547 : vi compare da u n lato un consol dedicante, da un altro un pr.)y Aeserniaì (P 1754 = I X 2664, iscrizione lacunosa che pare attribuibile a d epoca posteriore al 90 a. 0 . se le let tere TRO che vi si leggono indicano la tribù del personag gio : / TRO / N A S O . P R . Potrebbe trattarsi di un pr(aefectus) ?), e infine, forse, Alba Fucens (C. I. L. I X 6349, cfr. R O S E N B E R G , op. cit.,
pag. I l i )
e Spolettimi
(C. I. L.
XI
4822, inintelligibile). Oi sono noti dei consoli per Ariminum (l2 40 = X I V 4269: dedicante «pro poplo Ariminesi»), Beneventum (P 395 = I X 1633 : dedicante ; I 8 396 = I X 1547, già ricordata). Assai dubbio mi pare che si tratti di un vero magistrato a proposito del dicator spoletino di P 366 = X I 4766. Conosciamo infine dei lìviri ad Ariminum (C. I. L. P 2129 a-b — X I 400-401 : due llviri curanti un opus), Aquileia (P 2203 = V 971 : solo due nomi), Cora (P 1511 = X 5617. Il BELÖCH, op. cit., pag. 491, dubita con fondamento che si tratti di duoviri aedi dedicandae), Aesernia (P 1753 = I X 2662 : un solo nome in genitivo), Paestum (P 1682 = I X 480 : due duoviri agiscono « de sen[atus sententia] >). V a però notato che i duoviri di Ariminum possono appar tenere alla colònia d e d o t t a dai Triumviri. Nelle stesse con dizioni ci troviamo circa Venusia (P 1701 = I X 448) e Firmimi ( P 1917 = I X 5305), la cui documentazione di duoviri va ri ferita alle rispettive colonie di cittadini romani. L'edilità potrebbe essere attribuita ad u n a sola colonia la tina, Narnia (P 2097 = X I 4125 : C. Ia[nt]ius C. f. H. Coden[u(s)] aediles coiravere) se si potesse con certezza attribuire tale iscrizioue ad epoca anteriore alla guerra sociale ; ma la data non è sicura e, di fronte alla documentazione già riferita a proposito delle altre colonie latine, ci pare insufficiente prova per dimostrare il contrario del nostro assunto. F r a tutte le iscrizioni da noi ricordate meritano natural m e n t e speciale attenzione quelle che onorano magistrati de-
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ NELLE COLONIE ROMANE
167
funti. Sono quelle cbe abbiamo ricordate per prime. E se te niamo presente che l'uso più comune era appunto quello di indicare, almeno nelle iscrizioni funerarie, il cursus completo del defunto, crediamo di poter ritenere che la mancanza di documentazione dell'edilità non possa essere considerata come un argumentum ex silentio e che sia effettivamente lecito con cludere che le coionie latine non abbiano mai conosciuto l'edilità salvo forse qualche eventuale eccezione che non può costituire regola. D'altro canto si può osservare anche in iscrizioni di municipii e prefetture lo stesso fenomeno : Arpinum, Fundi e Formiae hanno una magistratura unica, Tusculum ba come magistrati civili solo gli edili, di Fidenae conosciamo soltanto IIviri dell'età sillana e, più tardi, dittatori e — se è vero quanto abbiamo potuto supporre — unica è la magistratura originaria di molte città latine (1). Ma l'elenco non vuole essere completo e potrebbe ancora essere allungato. Storicamente si potrà spiegare l'assenza dell'edilità nelle colonie latine pensando che, come i municipii avevano in molti casi una magistratura unica, così anche Roma dovette, agli inizi — quando cioè le colonie latine cominciarono ad essere dedotte —, avere soltanto dei praetor es : questura ed edilità sono magistrature sorte per necessità particolari del l'Urbe in ascesa, non certo intrinseche alla sua costituzione originaria. L'edilità curule infatti — della plebea non si può tener conto — sorse soltanto nel 367 (2), la questura non do vette essere agli inizi se non un incarico dato dai praetores, che infatti eleggevano direttamente i questori (3) e non, quindi, una vera magistratura (4). (1) Cfr. supra, pag. 128. (2) Cfr. infra, pag. 245 segg. (3) MOMMBBK, op. cit., II8, pag.
528
seg.
(4) Si noti ohe i quaestores furono ammessi in Senato solo a partire dal 216 a. C. seoondo Liv. XX1I1 23. Ma pare si tratti piuttosto di un'ecce zione ohe di nna regola. Cfr. TAC, Ann. XI 22, da oui pare si ricavi ohe l'eooezione sia divenuta regola solo al tempo di Siila. Degno di rilievo il fatto ohe i questori non ebbero sella curulis (cfr. LÄCRIVAIN, in DAB. SAGWO-POTTIER, IV 798, s. v. Quaestor).
168
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Il problema è dunque quello di cercare quando siano com parsi gli edili nelle colonie. Il primo esempio sicuro lo troviamo a Grumentum nel 51 a. G. (1), e questo sarà dunque il terminus ante quem. Al con trario troviamo a Puteoli soltanto Ilviri senza attributi di sorta e senza altre magistrature ancora nel 105 a. C. (2). E lo stesso fatto si verifica a Minturnae in un periodo che è stato fissato grosso modo fra il 90 e il 60 a. 0. (3). Noi, pru dentemente, riterremo utile la prima data — il 90 a. C. cioè — e la considereremo il terminus post quem. Tra le due date così fissate — 90 e 51 —, separate da un intervallo di meno che quarantanni, andrà posta la nascita ufficiale dell'edilità colo niale : con ogni probabilità questa sarà avvenuta nei momento della deduzione di Grumentum: anno 81, autore L. Cornelio Siila (4). Le colonie romane — oramai iion è più possibile parlare di colonie latine in Italia — non possono avere una costituzione meno importante dei nuovi municipii sorti in virtù delle ultime leggi de eivitate : al IlIIvirato municipale fa riscontro il IlIIvirato coloniale. Ma qui v'è una tradizione da rispettare: vi sono i Ilviri già collaudati dall'esperienza anteriore (5) : e non si possono sopprimere, differenziando le nuove dalle antiche colonie di cives Romani optimo iure. Ri marranno dunque i Ilviri affiancati dagli aediles e con questi costituiranno il nuovo collegio di magistrati, che assumerà nel suo complesso il nome di quattuorvirato come quello dei muni cipii, pur differenziandosene, come vedremo (6), perchè fin dagli, inizi le due coppie di magistrati delle colonie hanno già com piti distinti, mentre i IIIIviri municipali agiscono come col legio unico.
(1) C. I. L. X 220. (2) C. I. L. I» 698 (lex de pariete faciundo). (3) JOHNSON, Exoavationn at Minturnae, II 1, 123-124 ; ofr. Année épigr. 1934, 250-251. (4) Cfr.
K O R N E M A N N , in P . W. IV 523,
s. v.
Colonia; e MOMMSEN, ivi
oit.
(5) Sai Ilviri delle oolonie ofr. BULOCH, op. cit., pag. 492 seg.. Si tenga presente ohe le più antiche hanno nn duumvirato di praetore». (6) Cfr. infra, pag. 171 seg.
L'ORIGINE
DELL'EDILITÀ, NELLE
COLONIE ROMANE
169
Quando i Ilviri assumeranno l'attributo iteri dicundo (1), gli aediles riprenderanno costantemente il loro titolo, che ora amano talvolta sostituire con quello di IlIIviri senz'attributi (2). Le eccezioni, pochissime, non tanno che confermare la re gola. Si può anzi affermare che sono due sole : Aeclanum, co lonia di Adriano, e Aoellinum, colonia sillana, poi forse augustea, infine di Alessandro Severo. Nella prima il titolo di Ilvir aedilis corrisponde ad un Ilvir i. d. (3) ; ma non sarà inopportuno notare che, fino al momento in cui divenne co lonia, Aeclanum aveva avuto, come municipio, dei IlIIviri aediles e dei IlIIviri iuri dicundo (4) : essi non fecero che so stituire al / / / / un IL Quanto ad AbeUinum il titolo, questa volta di aedilis Ilvir, corrisponde a quello del praetor Ilvir che vi porta il supremo magistrato (5). Ed è caso unico, almeno per quanto io sap pia; perchè non pare che nemmeno a Narbo, citata a questo proposito dal De Euggiero (6), vi sia alcunché di simile. Del tutto straordinario appare infine il titolo di Ilvir aedilicia potestate (7), che andrà verosimilmente considerato come qualcosa d'analogo ad altri titoli del genere : per restare nel campo dell'edilità ricorderemo soltanto gli aediles pro
(1) RUDOLPH, op. oit., p a g . 210 aegg. ; SHKRWIN W H I T E , op. oit., pag. 84 segg.
(2) Cfr. infra, pag. 171 segg. ; speo. pag. 188 seg. ; per le oolonie in Italia pag. 201 segg. (3) Cfr. C. I. L. IX 1167, 1168, 1414, 1415. (4) Cfr. ibid.y 1133, 1139, 1143. (5) Cfr. C. I. L. X 1129, 1131, 1135, 1137, 1140 etc. (6) D E RUGGIERO, loc. oit., p a g . 248, ohe oita H. G. 27 (ora in C. I. L. X I I I 969). Ammettendo l'interpretazione del D E RUGGIERO, bisognerebbe ag giungere anche il caso analogo di Nicaea (Inscr. Lat. de Gaule, n. 6). Ma credo ohe, facendo il oonfronto oon le altre iscrizioni looali delle dne oittà, oonvenga piuttosto pensare a forme di cursus e oioè a dne titoli distinti l'ano dall'altro, ohe ad un nnico titolo di aedilis Ilvir. (7) Il titolo BÌ t r o v a ad Agrippina (C. I. L. XIII 8165 ? — [Ilvir i]ter. aedil. p[ot.] — ), Auzia {C.I.L. V i l i 9064), Fabrateria nova (C. I. L: X 5587, 5590), Salonae {Année epigr. 1925, 53? — Ilvir a[ed.pot. T~\—), Venusia (C. I. L. IX 456, 651).
170
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
quaestore (1) o aediles qtiaest. pot. (2), i praetores pro curulibus (3).
aedilïbus
(1) A Grumentum: C. I. L. I* 758 ( — X 219). (2) A Cirta troviamo degli aediles qunestoria potentate o aventi la turi« dietionem quaestoriam pro praelore (C. I. L. VIII 6712 di Tiddis ; 6950, 7105, 7125 ; 7986, 7990, 7991 di Rusicade) — Analoga è la doonmentaziune per Diana : Année épigr. 1933, 67 e 70 ; 1934, 26 e 28. (3)
C. I. L. VI
1501
e Add.
; ofr.
D B RUGGIERO, loc.
cit.,
pag.
240.
EXCURSUS II : IL QUATTUORVIRATO E I QUATTUORVIRI « N U D E DIOTI »
Pagine importantissime sono state scritte sul IlIIvirato da H. Kudolph (1). La sua ricerca ha tuttavia il grave torto di limitarsi alla repubblica e di vedere in Cesare il punto d'ar rivo dello sviluppo di queste magistrature ; tanto che per lui con Cesare si esaurisce il ciclo del IlIIvirato e, per Cesare, ha inizio quello del Ilvirato : esula dalla sua ricerca non solo il IlIIvirato municipale del tardo Impero, ma anche quello delle colonie latine di Cesare in Gallia. Inoltre egli esclude senz'altro che IlIIviri si possano trovare nelle colonie se non in un periodo già inoltrato dell'Impero, e, per di più, in exmunicipii (2). Noi siamo d'accordo col Rudolph, in linea di massima, per quanto riguarda l'originaria competenza dei IlIIviri e la com pleta collegialità dei quattro membri (3). Ma non ci convince (1)
R U D O L P H , op.
ci«.,
pag.
87
Bgg.
(2) I D . , ibid., pag. 88 eg. ; ofr. B E L O C H , op. cit., pagg. 520-522. (3) Talune delle iscrizioni oitate dal RUDOLPH per la sua dimostrazione vanno però ritenute in aperta oontraddizione oon la sua tesi. Alludiamo al oaso di Pompei, la cni magistratura q u a t t n o r v i r a l e si rivela proprio come l'in sieme dei magistrati iasdicenti e di qnelli oon funzioni edilizie (cfr. infra, pagg. 176 e 203 segg.). La sua documentazione v a dunque limitata ai oasi di Tibur (C. I. L. I a 1492 e 1493, ora in Insoriptiones Italiae, 1/1, 19 e 20), forse Brixia (C. I. L. V 4131, se questa iscrizione non va considerata * oppiai incerti» come pensa il MOMMSEN, in C. / . L. V Indexy pag. 1197), e VoUinii (C. I. L. XI 2710). L'esempio di Tibi\r è siouramente di età tùoeroniana e quindi perfettamente rispondente alla tesi del Rudolph. Si noterà però ohe si t r a t t a sempre di opere pubbli ohe ohe anohe in seguito poterono essere compiute col legialmente (ofr. pag. 172, n. 2). Cosioohè sarà opportuno credere ohe i motivi giu stificativi della tesi del Rudolph vadano cercati piuttosto nel oampo dell'ana logia e ohe sia peroiò più logioo pensare ohe la divisione dei compiti non sia stata originaria solo perohè nou fu tale quella dei oompiti degli V i l i viri,
172
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
affatto il suo tentativo di escludere le colonie dalla costituzione IUI virale, che in taluni casi appare troppo artificioso (1) ; né crediamo che con Cesare cessi il IlIIvirato, che anzi lo vediamo anche in seguito perfino in regioni, come la Dacia (2), dove non si può assolutamente pensare a residui di precedenti co stituzioni. Quanto il Rudolph scrive a pagina 99, che da un certo de terminato tempo non furono più dati IlIIviri alle nuove città, non ha fondamento se non per l'Italia. E dunque le sue con clusioni vanno considerate solo come un punto d'arresto prov visorio, non come un punto d'arrivo. Del resto le colonie d'Augusto in Dalmazia hanno ancora IlIIviri, e IlIIviri si trovano nella stessa Gallia Cisalpina an che in taluni comuni divenuti colonie romane. E dunque, mal grado quanto scrive il Rudolph, non crediamo di dover attri buire a Cesare la nuova sistemazione delle colonie e dei municipii, se non limitandone la portata non già — come fa il Rudolph — pensando che dal Divo abbia inizio un periodo di puro Ilvirato accanto al quale il IlIIvirato si distingue solo per il nome dei suoi componenti ; ma a qualcosa di più veramente importante : la suddivisione del IlIIvirato in due collegi. Si identificano, è vero, i compiti dei due tipi di ma gistratura, ma non cessa l'uso di costituire comunità con IlIIviri, né cessa la parzialmente diretta collaborazione fra magistrati iusdicenti ed edili. La riforma di Cesare ha dunque la massima importanza per quanto riguarda il funzionale snellimento delle magistra ture municipali ; ma non ne ha alcuna per quanto riguarda la cessazione del IlIIvirato, il cui titolo servirà ora, in genere, a designare sia i magistrati delle colonie sia quelli dei municipii, anche perchè ormai identiche ne sono le funzioni. Ciò come lo stesso Rudolph ha confermato. Riforma dell'VHIvirato e riforma del I l I I v i r a t o sono simnltanee fra di loro e, contemporaneamente, simultanee alla riorganizzazione delle oolouie che il Rudolph fissa circa l'anno 47-46 a. C. (1) Sul I l I I v i r a t o ooloniale cfr. infra, pag. 201 »egg. (2) Per la c o n t i n u i t à di questa collaborazione ofr. D E RUGGIERO, loc. cit.y pag. 256 sgg. e infra (Excursus III sui I l I I v i r i in oolonie, pag. 201 segg.). Inoltre passim si a v r à oooasione di farne cenno.
IL QUATTUORVIRAÏO E I QUATTUORVIRI f N U D E
DICTl »
173
sarà senz'altro vero all'epoca dei Flavii (1) ; ma si può forse risalire più su nel tempo perchè una parte delle colonie d'Au gusto ha appunto dei I U I viri come meglio vedremo in se guito (2). Dopo i Flavii, invece, l'istituzione del TTIIvirato sarà una vera eccezione perchè lo troviamo in comunità po steriori ad essi solo in Africa— Calama, municipio nel 111° se colo, e forse Yallis, coeva, e Thisdrus —, in Dacia — Apulum, età di M. Aurelio, e Potaissa, età di Settimio Severo —, e in Pannonia — sia municipii che colonie. Si può notare che siamo sempre nel IP secolo d. 0. — fors'anche per i tre municipii africani di cui ignoriamo la data esatta della fondazione — : è un periodo notoriamente arcaizzante, e questo forse spiega come si sia tornati al I U I virato quasi esclusivamente per i municipii. L'unica eccezione rimarrebbe Poetovio, colonia ro mana di Traiano sorta da canabae (3), e si spiega forse consi derando che siamo ancora assai vicini ai Flavii e la nuova tendenza può non essersi ancora affermata. Non può comunque esservi dubbio che, per quanto con cerne la distinzione fra le due coppie di Illlviri in seno al U H virato, non dovremo tenere in considerazione i Illlviri del periodo intercorrente fra la prima origine di questa ma gistratura e il momento in cui essi si raggruppano appunto in due collegi distinti, ciascuno con propri compiti. Né può esservi dubbio alcuno sui municipii in cui appunto troviamo i due collegi nettamente distinti ; ma bisogna invece tener presente che spesso troviamo dei Illlviri senza particolari at tributi anche dopo la riforma di cui ci parla il Rudolph e, per tanto, sarà opportuno cercare chi sia il magistrato che porta questo titolo perchè, se talora esso è senz'altro identificabile col IlIIvir i. d., sovente invece esso sembra confondersi col IlIIvir a. p. (1) Cfr. infra, n . 3 a pag. 180. (2) Cfr. infra, pag. 192 segg. (3) Le indicazioni cronologiche sono in gran parte desunte dagli articoli Colonia e Munioipium del KORNEMANN, in P. W. IV 511 sgg., XVI 570 egg., e del D E RUGGIERO, Diz. Epigr., II 415 sgg. {Colonia). Ciò vale anohe per le pagine seguenti, oosiooliè, quando non vi siano dubbi, eviteremo in seguito la ripetizione di citazioni superflue.
174
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
La nostra attuale ricerca mira appunto ad un tentativo di comprendere quali magistrati si nascondano elettivamente dietro il titolo di IlIIvir senz'attributi. Cominciamo dall'Italia. Il Latium vetus La IlIIviri nei seguenti comuni : BOVILLAE : C. I. L. XIV 2413. OASTRLMOEMUM ; C. I. L. XIV 2454. GABII : C. I. L. XIV 2794. LABIOI : JEJph. Upigr. IX 722. LAURENTBS VICO AUGUSTANÒ : C. I. L. XIV 301 e 352. 2 T I B Ü R : G. I. L. XIV 3664 ( = I 1492 = I. It. I/l 19) e
3666 ( = I2 1493 = L It. I/l 20) : collegi di 4 IlIIviri. a I. L. XIV 3667/8 ( = I21494 = I. It I/l 21) ; 3586, 3670, 3679, 3692, 4256 (rispettivamente = L It. I/l 99, 195, 188, 189, 194): tutte coppie di IlIIviri. C. I. L. XIV 3665,3672,3690, 4261 (rispettivamente = I. It. I/l 193,196, 205, 207) ; I. It. I/l 200: tutte presentanti un solo
IlIIvir. Questi comuni, salvo Tibur, non ci hanno lasciato altre tracce di loro magistrature: una qualunque ipotesi sarebbe perciò del tutto avventata, ancbe perchè non sappiamo nulla di questi IlIIviri (1). Quanto a Tibur troviamo due collegi di IlIIviri con quat tro membri in età ciceroniana (2) e quattro o cinque collegi di IlIIviri con due membri all'inizio del II 0 secolo d. C. (3). Nel frattempo gli edili hanno ripreso il titolo più semplice : un'iscri zione del tempo di Tiberio o di Caligola ci presenta il cursus di un personaggio aedilis, IlIIvir, mag. Hereulaneus et Augiili) Il n. 2413 è n n eursué, e così pure il n. 352: in nessuna delle due iscrizioni oonipare il titolo di aedilis. Il n. 2454 è una dedica personale (d. p.[«.])• Il n. 2794, intine, è un'isorizione troppo mntila per cavarne qualcosa di con creto. (2) C. I. L. I« 1192 e 1493 (ora in Inner.
Hal. I/l, 19 e 2 0 ) ; ofr. R U
DOLPH, op. cit., pag. 105 sg.
(3) Iscrizioni citate nel t e s t o . Solo IUÈCT. It. I / l , 20 è giudioata dagli epi grafisti databile al I seoolo a. C. Ma ciò non infirma la nostra ipotesi ohe le due iscrizioni di cui s'è detto a proposito dei oollegi quattuorvirali siano an teriori a questa.
ît
QUATTUORVIflATO E l
QUATTUORVIRI a N U D É DICTI»
1?5
stalis (1). Il titolo di IlIIvir pare dunque riferirsi soltanto ai due magistrati iusdicenti. Nel resto della I a regione compaiono IHIviri senz'attri buti ad Aletrium, Cales, Capua, Caudium, Ferentinum, Inte ramna Lirenas, Nola, Pompeii, Setia, Signia, Teanum, Yerulae con le seguenti iscrizioni : 2 A L E T R I U M : C. I. L. X 5806 = I 1530. CALES : C. I. L. X 4643, linee 5 e 28. OAPUA : O. I. L. X 3921. OAÜDIÜM: G. L L. X 1572 = I2, 1619. FERENTINUM : C. L L. X 5853, linea 16. INTERAMNA LIRENAS : C. L L. X5410; N. S. 1911, 150. KOLA : C. I. L. X 1236. 2 2 P O M P E I I : C. /. L. X 800 (= I L631), 938 ( = I 1630),
1075, 8147. SETIA : C. 7. L. X 6463. S I G N I A : N. 8. 1911, 144. TEANUM : D B GRASSI, in Biv.
di FU. 1938, pag. 142 (= A.
E.,
1905, 192). VERULAE : N. S. 1922,
253.
Alcuni casi sono di risoluzione immediata : il IlIIvir di Ferentinum è, per esempio, un IlIIvir i. d., come si vede fa cilmente dal contesto deiriscrizione, in cui a Illlviri i. d. e Illlviri a. p. si contrappongono rispettivamente Illlviri e aediles. Lo stesso dovrà dirsi per quelli di Teanum, risultando chiaro dall'epigrafe che li documenta. Il titolo di Illlviri senza attributi si applica a Pompeii e Capua specificamente ai soli edili, quando almeno i Illlviri stessi non compaiono in numero di quattro comprendendo così Ilviri ed edili (2). I Illlviri di Verulae saranno anch'essi da conside rare edili, visto che la città è retta da Ilviri (3). yarrà l'analo gia con altri municipii come Fagifulae, Saepinum elerventum di cui parleremo tra poco. (1) Inaor. It. 1/1, 193 = C. I..L. XIV 3665. (2) Cfr. infra, pag. 203 aegg. (3) Cfr. C. I. L. X 5796, da oni risulta altresì ohe Verulae fu un munioijrìum. Senza serio fondamento il BELOCH (op. cit.^ pag. 508 ; ofr. 510) intende attribuire l'iscrizione a Cereatae.
176
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Meno facile e meno sicura risulta la soluzione del pro blema per le altre città ricordate : Aletrium, Cales, Setia e Signia ci presentano in un primo tempo dei praetores (1) ; anzi a Cales troviamo ben due volte i titoli di IlIIvir praetor (C. /. L. X 3923, 4657). A questi magistrati subentrano poi dei IlIIviri i. d. (2), di fronte ai quali si trovano ad Aletrium degli edili, cbe sono evidentemente i IlIIviri aedilicia potestate (C. I. L. X 5832). D a t a però la completa assenza di edili e di IlIIviri a. p. che si riscontra in questa città di fronte a IlIIviri e praeIlIIvir tores, e considerata la stranezza dell'accoppiamento praetor — cbe si giustifica soltanto pensando all'accostamento di d u e titoli in un cursus e suggerisce perciò Pi dea che praetor resti ad indicare il IlIIvir i. d. — sarà possibile pensare che ad Aletrium, Cales, Setia, Signia ed anche, ad Interamna Lirenas — tutti municipii ex-federati — IlIIvir senza attri buti vada inteso come aedilis. Incerta resta la posizione del IlIIvir di Caudium. Nella I I a regione augustea abbiamo I l I I v i r i senz'attributi a AEOLANTJM : C. / . L. I X 1140 ( = I 2 1722), 1143. B E N E V E N T U M ? : C. I. L. I X 2117 ( = P 1730, di iucerta
lettura), mentre abbiamo il titolo IlIIvir I X 1632 e 1634. OANTJSITJM : C. I. G O M P S A : 0. / . L.
L. IX
IX
326,
327,
aedilis in C. I. L.
342.
980.
L U O E R I A : C. / . L. I X 806. Ofr. I l i 6541a
R U D I A E : C. L L. I X 23 (IlIIvir aedilis, età di Adriano). Lasciamo in disparte Beneventum perchè Piscrizione 2117 è mutila e quindi non può far testo ; e lasciamo pure i IlIIviri aediles di quella città e di Rudiae perchè pare trattarsi del titolo specifico degli edili come componenti del I l I I v i r a t o . Il campo della ricerca si restringe dunque a quattro città soltanto. P e r Luceria n o n è necessario insistere sul n. 806
(1) Cfr. BKLOCH, op. cit., pag. 490. P e r Aletrium: C. I. L. X 5832 e MOMMSEN, ibid., pag. 565. L'esistenza di nn praetor con funzioni sacrali non si spiega se non sapponendo la preesistenza al I l I I v i r a t o oon funzioni poli tiche. (2) Cfr. C. I. L. X Index, pag. 517.
IL QUAÏTUORViRATO Ë I QUATTÜORVIRI « N U D E DÌ CTI »
1 77
poiché si tratta di un'iscrizione funeraria di nu IlIIvir Luceriae da cui non può venire alcuna luce. Assai pi il impor tante è l'iscrizione di C. / . L. I l i 6541a poiché è cronologi camente determinabile come di epoca anteriore ad Augusto e forse è del tempo del primo Triumvirato, sicché la carica indicatavi può essere ritenuta anteriore alla riforma del IIIIvirato. A Canusium si trovano anche IlIIviri aediles e llllviri i. d. (C. I. L. IX 415), ma si nota che sono arcaiche le iscri zioni dei IlIIviri senza epiteti dei numeri 326 e 327, in cia scuna delle quali due IlIIviri fanno dediche a divinità de miniere gladiatorio ex 8. e. A Compsa il llllvirdéì numero 980 fornisce mensuras « legò civitatis proprio sumptu ». Potrebbe trattarsi in entrambi i casi di semplici edili, ma non può ri tenersi sicura l'interpretazione. Kulla di concreto, poi, sap piamo dei due IlIIviri che compaiono ad Aeclantim, ma an che per quelli di Canusium e Compsa, come s'è detto, gli ele menti sono insufficienti per determinarne l'identità precisa. La terza regione augustea ha IlIIviri a A T I N A : JV. S. 1926, pag. 256 = A.
E. 1917, 12.
P A B S T U M : MUENSTERBERG, Beamtennamen
etc., pag. 12 sg.
P E T E L I A : C. I. L. X 113, 114. P O T E N T I A : C. I. L. X 131, 133, 434. V I B O V A L E N T I A : C. I. L. X 44 Add. Y O L O E I I : C. I. L. X 8105.
Si ha l'impressione che in questa regione il titolo dei IlIIviri indichi specificamente i magistrati iusdicenti. Degno di nota è il fatto che le iscrizioni 131, 113, 114 e 8105 — per non te ner conto della 434, di integrazione però assai probabile — ci presentano la formula aed. IlIIvir, la quale pare del tutto ana loga a quella di aed. Hllvir i. d. che ritroviamo abbastanza so vente in questa regione (137,138, 399, 8106). I IlIIviri L d. che compaiono a Potentia, Volceii ed Atina in epoca imprecisabile possono documentare una modificazione abbastanza tarda del titolo, visto che quello del numero 416 di Volceii — l'unico caso in cui possiamo stabilire con una certa esattezza la cronolo gia — è ricordato in un'iscrizione posta dopo la morte di Adriano ; mentre il numero 131 di Potentia ricorda un indi-
isò
L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
viamo una dedica di un Illlvir solo (3352), per cui valgono le stesse considerazioni del Illlvir di Cures del numero 4976. Sesta Aesernia, antica colonia latina retta da praetores, poi municipio dalla guerra sociale. L'esistenza del titolo di Ilvir in un'iscrizione abbastanza arcaica — il numero 2662, in cui non si La il cognome del magistrato —, ci fa pensare che in un primo tempo i praetores abbiano assunto il titolo di Ilviri, poi sostituito da quello di Illlviri i. d. Accanto ai titoli di praetores o di Ilviri trova anche posto quello di Illlviri, come a Cales e nelle altre ex-colonie latine di cui abbiamo parlato fino ad ora. Scarsissima è la documentazione per la quinta regione, ma assai interessante: ASCÜLUM : C. I. L. IX 4547. FALERIO : C. 1. L. IX 5420. U R B S SALVIA C. 1. L. IX 5538, 5540, 5543. Qui l'iscrizione più importante è certo quella del n. 5420 : un rescritto di Domiziano ai Illlviri di Falerio, città in cui conosciamo, da numerose altre iscrizioni, soltanto dei Ilviri (1). È noto che su questa base, sostenuta da un altro rescritto di un Flavio ai Illlviri di Sabora in Spagna (2), si è voluto ve dere il segno dell'indifferenza di quella cancelleria imperiale di fronte alle costituzioni interne dei municipii e delle colo nie (3). Noi crediamo invece che non si tratti proprio di un errore, tanto più inesplicabile iu un atto rifereutesi ad una città italiana, di cui la cancelleria imperiale doveva ben co noscere la storia come risulta dallo stesso contesto del rescritto. Riteniamo invece che sia opportuno pensare, sulla scorta di quanto abbiamo già visto e di quanto potremo ancora notare in seguito, che per Illlviri s'intendessero i quattro magistrati nel loro complesso, anche se i due iusdicenti assumevano il titolo di Ilviri, come, per esempio, a Saepinum, a Fagifulae (4) (1) Cfr. C. I. L. IX, pag. 517. (2) C. I. L. I I 1423. (3) Cfr. BKLOCH, op. oit.t pag. 488 segg. ; KOBNEMANN, in P. W. X V I D E G R A S S I A., in Riv. di FU. 1938, pag. 138.
(4) Cfr. supra, pag. 178 seg.
615 ;
IL QUATTUORVIRATO E I QUATTUORVIRI « N U D E DI CTI »
181
e, come vedremo, anche altrove. Dei quattro, due mantengono il titolo di IlIIviri senz'attributi — e sono gli edili —, gli altri due assumouo talora il nome di Ilviri — e sono i magistrati iusdicenti —, ma quando compaiono tutti insieme, il loro titolo non può essere che quello di IlIIviri. Si noti a questo propo sito che anche ad Asculum, colonia retta da Ilviri (1), com coloniae À[scit]lanorum7 la cui identità pare pare un IIII[vir] sicura : egli non può essere che un edile. Vedremo altri esempi del genere. Urbs Salvia è invece un municipio in cui compaiono sol tanto IlIIviri ed aediles. Non pare dunque possibile dubitare che qui il titolo di IHIvir sia rimasto particolarmente ai ma gistrati iusdicenti, anche in epoca assai avanzata, visto che il IHIvir del numero 5538 è un liberto come quello del nu mero 5540. Passando alla sesta regione troviamo IlIIviri senz'attri buti a AMBRIA : G. I. L. X I 4*85, 4391-4393,4398, 4399, 4407, 4387. OARSULAB : C. I . L. X I 4572 linea 6, 4585 ; cfr. 4582 {IIIh viratus). FALERII: a / . L. X I 3113, 3)29, 3127, 3134,3140, 7494; cfr. 7501, 7502. ' HISPELLUM : C. 1. INTERAMNA
L. X I
JSTAHARTIUM :
5281. C. I.
L.
XI
4189,
4205, 4217, 4222 ( = P 2099). Cfr. 4191. MBVANIA : G. I. L. X I 5043, 5055 (2), 7928 ; 1945, pag. 65, n. 3. PITINUM M B R G E N S : G. L
L. X I
4192,
4195,
Epigraphica
5961.
SARSINA : C. L L. X I 6514, 6540.
SPOLETIUM : G. L L. X I 7870, 4793, 4799, 4804, 7122 ; e, forse, altre ; cfr. 4819 (IlIIviratus), 7869. TRBBIAE : C. I. L. X I 5001, 5005. TUFIOUM : G. I . L. X I 5694, 5717. UBVINUM M A T A U R B N S E : G. I.
L.
XI
6072.
(1) Cfr. C. I. L. IX, pag. 494. (2) Forse è nu doppione di qnesta l'iscrizione che compare in Epigraphies 1945, pag, 55, n. CI, con Q, Fettius in luogo di ty Tettiut,
182
LE MAGISTRATURE
MUNICIPALI
L'identificazione con gli edili è sicura per Hispellum, di cui troviamo il cursus del numero 5281, ove compare un cens. pr. bis. IHIvir : i due eponimi sono senza dubbio i pretori. A questa iscrizione si collega facilmente quella del numero 5288 in cui abbiamo un IHIvir aedilis. Quanto a Spolettimi, ex-colonia latina, l'identificazione spe cifica dei IlIIviri senz'attributi con gli edili è garantita dal l'esistenza di IlIIviri i. d. in « titulis antiquioris aetatis » (1) e dall'assenza totale di edili, appena attenuata dalla presenza di un IHIvir aedilicia potestate (4816). Tutte le altre città sono municipii dopo la guerra sociale. In esse la posizione dei IlIIviri senz'attributi è illuminata da alcune iscrizioni di Garsulae e di Interamna Nahartium. A Carsulae compaiono in un primo tempo dei Ilviri i. d. (2), da identificare coi posteriori IlIIviri i. d. (3) ; ad Interamna com paiono nello stesso tempo — prima età d'Augusto — IlIIviri e IlIIviri i. d. (4) che non possono essere identici fra di loro. Si può dunque ritenere che si tratti di edili quando troviamo dei IlIIviri senz'attributi. L'analogia varrà per Mevania e TreMae, ove pure i IlIIviri sono « antiquioris aetatis » (5) e si tro vano IlIIviri i. d. (6) ; e la geografia suggerirà la stessa ipotesi per le altre città della stessa regione che ebbero la stessa storia. Quanto a Sarsina, infine, l'esistenza di IlIIviri senz'attri buti è probabile, data la sua posizione geografica, ma non sicura : il numero 6540 è troppo incompleto per poter essere preso in considerazione e il numero 6514 potrebbe riferirsi an che a un IHvvr (7). E veniamo ora alla settima regione, l'Etruria : IlIIviri sono documentati per (1) Cfr. C. I. L. XT, pag. 702. (2) Cfr. C. I. L. XI, pag. 665. (3) Cfr. ibid. (4) Cfr. 0. I- L. XI, p a g . 611. (5) Cfr. C. I. L. XI, p a g g . 732 e 728. Al I secolo a. C. si attribuisce anohe l'iaorizioue di Mevania in Epigraphica 1945, pag. 65, n. 3. (6) Cfr. ibid. (7) Sai III vi ri ofr, supra, pag. 159 aeg.
IL QUATTUORVIRATO E I QUATTUORVIRI «NUDE DI CTI »
183
B L E R A : C. 1, L. X I 3358. OLUSIUM:
a
FAESULAB:
I,
L.
C. L
X I 2117, L, X I
2122.
1610.
F E R E N T U M : G, I. L. I 2 2634, 2635 e, forse, 7432, 7441, 7441 a ; N.S. 1919, pag. 2 8 2 ; 1921, pag. 219 e pag. 220 ( = A. JE, 1922, 90). T A B Q U I N I I : G, I. L. X I 3373, 3376, 3380, 3381. VOLATERRAE:
G. I.
L,
XI
1746.
V O L C I : G. L L. X I 7395. V O L S I N I I : C. I. L, X I 2710; cfr. 7304.
A Faesulae il Illlvir è senz'altro il magistrato iusdicente : il numero 1610 non ammette dubbi col suo cursus : aedili 1 Iliviro pontifici regi sacrum. Lo stesso si deve dire per Volci ove il Illlvir del numero 7395 agisce pro aedile. Senza cognome sono i U H viri senz'attributi di Ferentum e, poiché oltre ad essi troviamo sempre IlIIviri aed. e IlIIviri i. d, (1), possiamo credere che si tratti di magistrati del periodo più arcaico. Senza cognome sono anche i IlIIviri di Blera (3338) e di Clusium (2117 ; il 2122 non può essere preso in considerazione perchè troppo mutilo) e possono perciò considerarsi anch'essi abba stanza antichi. Quanto a Volaterrae il fatto che il numero 1746 sia di tra dizione manoscritta impedisce di stabilirne la cronologia an che approssimativa, m a i l n u m e r o 1749 ci presenta un Illlvir aed., che potrebbe essere un titolo unico se si considera la documentazione dell'esistenza di IlIIviri i, d. (2) ; e perciò po tremmo trovarci nelle condizioni di Blera e di Clusium, oltre ché di Ferentum. Ma per Clusium, colonia sillana, può valere l'identificazione con gli edili (3). Il caso di Volsinii (2710) è del t u t t o speciale trattandosi di un intero collegio di quattro IlIIviri. Beata Tarquinii, delle cui iscrizioni due sono pure, certa mente, abbastanza antiche, d a t a la mancanza del cognome (3373, 3381). (1) C. I. L. XI 3008, 3013. Inoltre ibid., pag. 454. (2) Cfr. C. /. L. XI, pag. 325. (3) Cfr, infra, pag. 203, 205.
184
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Se si può adottare il criterio di considerare come espo nenti del tipo originario di UH virato questi magistrati più antichi, pare pertanto che il titolo di IlIIvir senz'attributi nei municipii di questa regione non indica mai specificamente gli edili. A parte resta il caso di Clusium, che è colonia sillana. Una sola città della regione ottava ha IIIIviri : PLAOENTIA : C. i .
L. X I
1217.
Dubbia ne è l'esistenza a Bononia, ma ci pare da escludere, perchè l'unica iscrizione che potrebbe farne supporre l'esi stenza ( 0 . I. L. X I 1065) può essere letta tanto IJT]IIvirì quanto . ,]IIvir, quanto I]IIvir. A Placentia il IlIIvir è senz'altro un edile. Anche volendo trascurare la mancanza di documentazione dell'edilità locale, i. d. pare certo che sebbene esistano ivi anche dei IlIIviri (G. I. L. X I 7940 e pag. 1259 ad n. 1219) il IlIIvir in que stione sia di rango inferiore al Ilvir come appare dal cursus « IlIIvir, Ilvir » (1217) analogo a quello di altri comuni di cui già s'è parlato. Non credo infatti che sia necessario pensare del municipio e che lo stesso personaggio sia stato IlIIvir Ilvir della colonia augustea (1). Si osservi che, oltre all'ana logia con le altre colonie romane già ricordate, si può qui notare, pur senza sopravvalutarlo, il fatto che dei due perso naggi di quest'iscrizione uno è semplicemente IlIIvir : pare che sia rimasto al primo scalino del cursus. Il IlIIvir i. d. avrà invece potuto assumere il titolo di Ilvir. Nessun IlIIvir senz'attributi mi è noto nella regione nona. Nella decima troviamo invece i seguenti : ACELUM : C. I. L. V 2092, 8808. ALTINUM:
C. I. L.
Ili
2914.
AQUILBIA : C. I. L. V 761, 888 Î, 922, 966 ( = I2 2200), 967,
983, 996, 999 ( = 3997 = P 2201), 1001, 8279, 8304 ; Suppl. It. I 191, 195, 199. CONCORDIA : C. I. L. V
1888.
F E L T B I A : C. I. L. V 2069 ; N. S., 1907, pag. 432. MANTUA : C. I. L. V 4058.
PATAVIUM : C. I. L. V 2791, 2828, 2852, 2863, 2878, 2973. (1) Qneata è invece l'opinione del BORMANN : ofr. C. L L, XI, pag. 242,
IL QUATTUORVIRATO E I QUATTUORVIRI « N U D E DI CTI »
TARVISIUM : O. / .
L. V
185
2118.
VERONA : C. I. L. V 3334, 3396, 3418, 4443 ; SuppL It. 632, 1252; N. 8. 1893, pag. 13; cfr. C. L L. X 5394. VIOETIA: a
I.
L.
V
3122,
3129,
3132,
3133,
3134,
3136,
3148; X I V 4673 linea 4. Aggiungiamo senz'altro la documentazione della regione undecima data la comunanza di storia che la lega alla regione decima : AUGUSTA TAURINORUM : C. BERGOMUM: C.
/.
L.
V
I.
5130,
L.
V
7034.
5139,
5140.
OOMUM: SuppL It. 747, 748 (se esatta ne è la lettura). LAUS : C. I. L. V 5856 (trovata nel territorio di Mediolanium), 6364, 6370. MEDIOLANUM : Ö. L L. V 5890 ; A. E. 1935,
133.
TIOINUM: C. I. L. V 6427, 6472 (quest'ultima da Laumellum (1). VEROELLAE : C. L L. V 6661, 6662 (se esatta ne è la lettura). Consideriamo anzitutto Augusta Taurinorum e Aquileia, Concordia e Verona, che furono tutte colonie romane. Quanto alla prima l'arcaicità dell'iscrizione ci assicura che si tratta del periodo augusteo, se è vero che Augusta Taurinorum en trò nel novero delle città romane solo come colonia d'Au gusto (2). Se questo è vero, considerando che vi esistono IIviri (3) non sarà possibile pensare ad una soluzione del pro blema diversa dall'identificazione con i IHIviri a. p. Concordia fu colonia prima d'Augusto : anche qui cono sciamo dei Ilviri (4) : il IIHvir non potrà essere che un edile, essendo abbastanza recente l'iscrizione che lo ricorda, a meno che non debba accogliersi l'ipotesi che si tratti di un magi strato di Opitergium (5).. (1) Sa Laumellum, vicus di Ticinum, cfr. Diz. Epigr., s v. Laumellum. (2) Cfr.
B E L O C H , op. oit.,
pag.
606.
(3) Cfr. C. I. L. V, pag. 780. (4) Ibid., pag. 178. (5) Come inclina a credere il P A I S (Suppl. Hai. I, ad D. 391), seoondo il quale il llllvirabo « Uli quoque reipublicac reote convenu aliénas a Concordiensi », ipotesi suffragata da ana testimonianza riferita dal BETTOLINI cai
186
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
Quanto ad Aquileia è noto cbe non si è certi della dedu zione augustea; ma essa fu certamente municipio con la guerra sociale dopo essere stata colonia latina (1). Se può va lere l'analogia con le altre ex colonie latine di cui abbiamo parlato, avremo anche qui da riconoscere nei Illlviri senz'at tributi altrettanti edili. Resta Verona, colonia secondo Tacito (2), ma — secondo le iscrizioni — solo assai più tardi, quando si ammette che or mai i niunicipii che ottenevano la promozione a colonia man tenessero le precedenti magistrature (3). In tal modo Verona non può essere separata dagli altri municipii della regione : noi lasceremo perciò indecisa la questione relativa e passeremo senz'altro allo studio dei Illlviri nei municipii. Quanto alle città dell'undecima regione si possono pren dere in considerazione solo Bergomum, Laus e Ticinum e, per esse, è soprattutto interessante l'iscrizione ir. 5139 di Bergomum, in cui il IlIIvir q(uaestor) si contrappone al IlIIvir i. d. Si aggiunga però Mediolanium, in cui il titolo di Illlviri senz'attributi pare doversi senz'altro riferire specificamente ai Illlviri aedilicia potestate contrapposti ai Illlviri i. d. o a praefecti iure dimindo (4). « Opitergio advectam esse Concordiam Muschiettii narrarunt *. Ad Opitergium d'al tronde conosciamo soltanto Illlviri i. d. (C. I. L. V 1978, 1980). (1) E' questa l'opinione del MOMMSBN {Ges. Schriften, I 185 seg.), respinta dal
BKLOCH {pp. cit.,
pag.
622),
ma
confermata
dal
D E G R A S S I , loc. cit.,
pa
gina 135). Qaanto alla dedazione augustea ofr. infra, pag. 202 seg. (2) T A C . Hist. I l l , 8. (3i) Cfr. MOMMSBN, in C. 1. L. V, pag. 327. Sull'uso di non mutare le ma gistrature con la concessione del titolo di colonia ofr. BELOCH, op. cit., pag. 518 e 522 e D E GRASSI, loo. oit., pag. 140. Quest'ni ti uno è inoline a datare l'inizio di quest'uso «già nell'età di Claudio o di Nerone». (4) Cfr. anche C. I. L. V 5478 : . . . IlIIvir a. p. praef. i. d. . .. Sulle ma gistrature di Milano è ooni parso dopo la stesura di qnesto lavoro un interes" sante articolo di A. PASSERINI, in Athenaeum 1944-45, pag. 98 segg. Sono lieto di constatare come anche il Passerini respinga l'ipotesi del MOMMSBN sulla presunta inanoanza di magistrati supremi nella grande c i t t à lombarda. Anche in Mediolanium compaiono Illlviri i. d. e Ilviri i. d. m. p. (le fonti nell'art. oiU) oltre che Illlviri a p. Si noti ohe C. I. L. V 5847 presenta contempo raneamente un Ilvir i. d. m. p. e un IlIIvir a. p. : se risorizione va attribuita a Mediolanium (ofr. PASSERINI, loo. cit., pag. 100), vi si potrebbe vedere un oaso
IL QUATTUORVIRATO E I QUATTUORVIRI « N U D E DICTI »
187
Sarà opportuno notare a questo proposito che in queste regioni si trova una prefettura i. d. che pare un vero e pro prio doppione della suprema magistratura : già il Mommsen (C. I. It. V, pag. 268), commentando il grande numero d'iscri zioni che la concernono in Patavium, osservava che « tam saepe in ordine honorum stimmi magistratus locum ohtinent et tam raro praefectura et quattuorviratus eidem homini tribuuntur, ut illa quoque ordinarii magistratus speciem prae se ferat >. Ma non solo a Patavium, bensì anche ad Acelmh (2092), Aquileia (949, 953, 961, 8291), Brixia (4212, *4469, 4487, 4495, 4957), Feltria (2069, 2070), Mediolanium (5478, *5775), Tergeste (544), sono do cumentati numerosi praefecti iure dicundo, parte dei quali al meno saranno da considerare sullo stesso piano di quelli di Patavium. Bisognerà quindi ritenere che la formula IlIIvir praef i d. sia un vero e proprio cursus, in cui il titolo di IlIIvir va riferito al gradino edilizio del quattuorvirato. Ciò varrà quindi specialmente per Acelum e per Feltria, dove appunto troviamo nelle iscrizioni già indicate Pespressione IlIIvir praef. i d., come, del resto, anche a Mediolanium (A. JE. 1935, 133). A Brixia troviamo addirittura un praefectus iuri dicundo quinqnennalis (C. 1. L. V. 5007J e a Tridentini un praefectus quinqnennalis (0. I. L. V 5036) che potrebbe essere analogo. Anche per Mantua è possibile la stessa conclusione, per quanto sia meno sicura, poiché vi conosciamo IlIIvir. i. d. (4061) e Ilvir. i. d. (4059), mentre non abbiamo la testimonianza di edili. L'analogia ci permetterà di pensare la stessa cosa per larvisium (2118) di cui ignoriamo del tutto altre magistrature, e per Patavium e Vicetia, essendo impossibile credere che tutte
analogo a qnello di Placentia (supra, p a g . 184). Ma è dubbio se questo Ilvir i. d. m. p. sia senz'altro da identifioare con nn coniane IlIIvir i. d. La sigla m. p. o man. p. andrebbe integrata, secondo l'aouta oongettnra del Passeriui, in « man(umittendi) piotestate) » ed è senz'altro nn cuiaç ^eyo^ievov nella titola t u r a municipale. L'unioa iscrizione con nn Ilvir i. d. m. p. databile con sicu rezza è posteriore alla morte di Curaoalla (C. 1. L. XI 1230 ; ofr. PASSERINI, loa. oit., pagg. 100-101).
188
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
le iscrizioni relative siano anteriori alla riforma del IlIIvirato e si riferiscano quindi a magistrati del collegio originario. Particolare è la posizione di Altlnum, il cui unico IlIIvir senz'attributi compare in un'iscrizione di lader (G. 1. L. Ili ?914), mentre le iscrizioni comprese nel V volume del G. I. L. (IlIIviri i. d. e 1111 a. p.) potrebbero anche non riferirsi a questa città, come fa notare il Mommsen (1). Compiuto ora questo rapido giro d'orizzonte sul materiale disponibile, possiamo venire a qualche conclusione. In tutte le colonie romane in cui compare, il titolo di IlIIvir senz'attributi spetta agli edili in quanto componenti del collegio quattuorvirale riunito (Nola, Pompeii, Capua, Asculum, Clusium, Hispellum, Placentia, forse Lucerla). I casi in cui il titolo si riferisce ai magistrati iusdicenti si verifica solo in municipii (Tibur, Ferentlnum, Atina e Potentia di Lucania, Petella, Volceil, Teate, Urbs Salvia, Faesulae, Voici, forse Guresl e Pinna). A queste s'aggiungerà anche Teanum Sidicinum se l'iscrizione che la riguarda è anteriore alla deduzione della colonia (2). Lasciando in disparte i casi in cui il titolo di IlIIvir pare riferirsi all'epoca più arcaica del municipio (Ferentum, Tarquinia Volaterrae, Yolsinii ?, Blera) e quelli in cui nessun indizio ci soccorre (Bovillae, Gastrimoenium, Gabii, Labici, Laurentes vico Augustano) abbiamo dunque una serie di IlIIviri muni cipali che.vanno identificati con i magistrati iusdicenti, ac canto ad una in cui essi paiono invece identificabili con gli edili. Di questa seconda serie fauno parte anzitutto i IlIIviri di Verulae, Faglfulae, Saepinum e Terventum, in cui il magistrato iusdiceute è il Ilvir. Si aggiungano i casi di lnteramna Nahartium, Mevania, Trebiae, in cui l'identificazione pare possi bile, poiché i magistrati iusdicenti hanno l'epiteto i. d. Ad Aletrlum, Gales, lnteramna Lirenas, Sella, Signla, Ae(1) In C. I. L. V pag. 205. (2) La deduzione della colonia è fissata dal D B GRASSI (loc. cit., pag. 140 8«gg) a l *6 d. C , sotto Claudio. Si veda oontra BBLOCH (op. cit., pag. 514), disoasso dal D B GRASSI nel laogo oitato. Ivi stesso si troverà una più ampia bibliografia sall'argomento.
IL QUATTUOR VIRATO È ì QUÀT1U0RVIRI « N U D E DICTI •
Ì89
sernia, Carsioli, Spoletium, e forse Alba Fticens e Paesttim ex colonie latine rette da praetores — coloro che si fanno chiamare IlIIviri senz'attributi saranno anch'essi edili, il che è certo per molti casi. Degli altri niunicipii retti da IlIIviri non ne resta alcuno in cui la precedente indagine ci abbia assicurata l'identifica zione dei IlIIviri nude dirti con gli edili. Si tratta di Caudium, Aeclanum, Canusium, Gompsa, Ameria, Carsulae, Falerii, Pitinum Mergens, Tuflcum, Urvinum Matanrense. L'analogia con Tibur, Ferentinum ecc., che divennero anch'esse muuicipii dopo la guerra sociale, ci spingerebbe a ritenere che si tratti di norma dei magistrati iusdicenti, ma pare invece certo che per le città della sesta regione si tratti di edili per i motivi che si sono visti a suo luogo : ivi i magistrati iusdicenti por tano di norma il titolo di IHIvir i. d. Quanto alle città delle regioni decima e undicesima l'iden tificazione con gli edili appare costante sia nelle colonie che nei municipii (1). * * Se dall'Italia passiamo alle province, troveremo anche qui molti casi interessanti. Istruttivo è anzitutto l'esame delle iscrizioni iberiche. Ad Aeso troviamo un'iscrizione funeraria con un IHIvir Ilvir (C. I. L. II 4466), accanto ad un'altra in cui compare (1) Per qnanto r i g u a r d a ad esempio Aquileia, questa e r a già l'opinione del AIOMMSEN (C. I.
L. V, p a g . 83), confermata dal D E G R A S S I (loo. cit., pa
gina 135). Si può qni accennare al caso della lex di Taranto, ove, aooanto ai IlIIviri figurano Ilviri e aedile s. E ' an oh e qnesto nn problema ohe, per lo più, ai tende ad eliminare mediante congetture (ultimamente se ne occupò il RUDOLPH, op. oit, pag. 120 sgg., e vi accennò lo S H E R W I N W H I T E , op. oitif pagg. 136 e
140) ; ma non sarà p i a a n problema per chi ammetta ohe il collegio dei IlIIviri ooruprende i Ilviri come gli edili : IlIIviri Ilviri si contrappongono ad aediles, e il loro titolo è indifferentemente usato intero o sdoppiato ; IlIIviri IIvirif IlIIviri, Ilviri: è evidente che qui il titolo di IHIvir va riferito specifica mente solo ai IlIIviri Ilviri. Si noti ohe si t r a t t a di un municipio, in cai pertanto il titolo di IHIvir è fondamentale,
19Ò
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
un aed. Ilvir (4464) ; ad Asido, dove si trova un Ilvir già prefetto di una coorte il cui nome è omesso « ex consuetudine antiquiore* (1314), troviamo due I l I I v i r i (1305, 1315) ; ad Ilici, dove G. I.L. II 5950 documenta i I l I I v i r i , abbiamo an che due Ilviri in carica (3557) ed è assai dubbio che vi sia un edile (5952, molto mutila) ; in un'iscrizione di Ilipula minor, di lettura assai dubbia, troviamo un IVvir.duu.v... (1470) ; a S. Lucar, nome moderno di un comune ignoto, sono documen tati Ilvir (1266) e IlIIvirum (1271). E, infine, un IlIIvir, anche questo senz'attributi, c'è anche nel municipio di Sigarra (4479). IlIIviri e Ilviri sono dunque affiancati come magistrati distinti e coesistenti in identici comuni. Non pare quindi che vi possa essere alcun dubbio sull'identificazione dei I l I I v i r i con gli edili, non solo, ma anche sul fatto che ormai Ilvirato e I U I virato h a n n o perduto la caratteristica che li distingueva originariamente in Italia. N e troveremo subito delle conferme in altre località : per esempio a Gluma, una colonia con IlIIviri i. d. (1) e a Gades, un municipio con Ilviri e IlIIviri a. p. (2). Non ci stupiremo dunque di quanto accade a Sabora (1423), ove varrà la stessa considerazione fatta per Falerio (3). Lo stesso accade a Clunia, dove noi troviamo più volte in dicati interi collegi di q u a t t r o I l I I v i r i (4). Da tutto ciò pare risultare u n a documentazione abba stanza completa e sodisfacente del fatto che nella regione iberica il IlIIvir senz'attributi vada normalmente considerato come un membro del I l I I v i r a t o coloniale o municipale, poco conta, ma sempre — quando non sia nominato con altri tre — di rango inferiore ai due membri iusdicenti che prendono il titolo di Ilviri o, talora, di IlIIviri i. d. A quanto abbiamo detto finora si oppone però la docu mentazione del I l I I v i r a t o di Garteia (5) e di Garmo (G. I. L.
(1) Cfr. C. I. L. II, Index, pag. 1142. (2) Un II Ilvir se n z' at, tri b «iti in Année Epigr. 1920, 79. Per gli altri si veda C. I. L. II, Index, pag. 1145. (3) Cfr. saprà, pag. 180. (4) VIVES Y ESCUDERO, La moneta hUpanioa, IV, pag. 112, un. 3-6. (5) Monete di IlIIviri a Carteia sono indicate da VIVES Y ESCUDERO, op.
ÌL QUATTUORVlftATÓ Ë Î QÜATTUORVÌRÌ i N U D E DÎCTI i
Ì9Ì
II 1379, 1380, 5120), in cui il titolo di IlIIviri è assunto senza dubbio possibile dai due magistrati iusdicenti. Ne è prova il fatto che a Cartaio, hanno questo titolo due Cesari, Germa nico e Druso (VIVES, IV, pag. 25, n. 42), e che nella stessa città è certa anche resistenza di aediles (1) ; mentre a Carmo si trova un praefectus C. Caesaris quatuor vir ali potestate (n. 5120). Bisogna aggiungere che aediles si trovano anche nella già ricordata Clunia (2). Ma qui l'identificazione fra IlIIviri ed aediles è possibilissima e non resta che l'eccezione di Carteia e di Carmo. Un dato cronologico ci libererà però facilmente da questo imbarazzo : Carteia fu colonia latina fin dal 171 a. C. (3), una delle più antiche dunque fra quelle esistenti fuori d'Italia, sorta in un'epoca ben diversa da quelle fra le altre di cui sappiamo qualcosa di sicuro : il titolo del magi strato supremo è dunque quello di Illlvir forse per analo gia con quanto avviene nelle antiche colonie latine d'Italia che hanno ottenuto Y optimum ins con la lex lidia in seguito alla guerra sociale. Anche Carmo, come sappiamo dalle iscrizioni, fu un mu nicipio (4) e certamente di cives Romani se la suprema magi stratura potè essere offerta ad un principe. Dovremmo per tanto trovarci, alPincirca, nelle stesse condizioni che a Carteia. Comunque sia di ciò il IlIIvirato appare comune in que ste province a colonie — Asido, Ilici — e municipii — Gades — già al tempo d'Augusto. Sia in quelle che ÌD questi sono documentati oltre i IlIIviri anche i Ilviri : e ciò signioi/., IV, pag. 24 sg., un. 29-40, 42, 43, 47, 49, 56. Fra di esse qnelle corri spondenti ai nn. 31 e 32 erano state attribuite dallo HBISS ad Obulco (cfr. MUENSTKRBERG R., Beamnten namen auf griech. Münzen, estratto da Numismatische Zeitschrift 1911, 1912, 1914, pag. 9). Il VIVKS le classifica inveoe, come s'è detto, fra le monete di Carteia : ofr. anche lo stesso VIVES, op. cit., pag. CLXII. (1) Cfr. VIVES Y ESCUDKRO, La moneta hispanica, IV, pag. 23, n. 19; pag.
24, n. 23. (2) VIVES Y ESCUDKRO, op. cit.,
(3) Liv. XLI1I 3, 1-4. (4) Cfr. C. I. L. II 5120.
IV,
pag.
112,
nn. 7, 8, 9.
1Ö2
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
fica senza alcun dubbio che, come s'è già osservato, i titoli di IlIIvir e di Ilvir debbono avere assunto già allora un valore nuovo : avviene nella penisola iberica qualcosa di molto simile a ciò che abbiamo constatato in Italia : non si può più parlare, ad un certo momento, di distinzione fra IlIIvirato municipale e Ilvirato coloniale. Eicordiamo quegli Vlllviri Ilvirali potestate (1) che pre ludono alla trasformazione in llviri senz'altro. Ad essi si ag giungeranno facilmente i IIHvin llviri, documentati anche in Ispagna, senza bisogno di ricorrere ogni volta all'ormai abusato sistema di considerarli come magistrati di un muni cipio prima e della colonia che vi si sostituisce poi (2). Essi saranno IlIIviri in quanto magistrati del comune come gli edili e llviri in quanto hanno la Hviralis potestas e cioè la suprema iurisdictio. Al tempo d'Augusto dunque questo nuovo sistema di ti tolatura è già in uso : questo si deduce facilmente, come ab biamo visto, anche dalle sole iscrizioni iberiche ; ma in Italia abbiamo trovato dei precedenti in età sillana(3), e ne trove remo subito altri dell'età di Cesare nella Gallia Narbonese. Nella stessa Iberia non è escluso che si possa risalire almeno a Cesare : potrebbe essere questo il caso di Asido, che infatti ha una costituzione diversa da quella delle colonie augustee di veterani in Gallia Narbonese e Dalmazia (4). Nella Gallia Narbonese troviamo tutta una serie di coloniae luliae di diritto latino, in cui compaiono esclusivamente IlIIviri : A L B A : C. L L. XII 2676 (1) A. Nur*ia, C. I. L. IX 4545, 4547. (2) Basti qai ricordare l ' u l t i m o esponente di questa tendenza in R U D O L P H , op. cit.y pag. 93. (3) Cfr. supra, pag. 188; infra, pag. 207. (4) Che A8ido sia già colonia di Cesare non pare da escludersi : cfr. KORNEMANN, in P. W. IV 540, 8. v. Colonia, ». 175. Secondo HUEBNBR, P. W. II 1579, ma forse a torto, fu municipium. Non è escluso ohe si possa pensare la stessa cosa per Ilioi. Il fatto ohe questa colonia porti il nome di lidia Augusta (ofr. KORNKMANN, loc. cit., 541, n. 182) non dovrebbe essere sufficiente ad escludere l'ipotesi,
i L QUATTUORVIRATO E I QUATTUÓRVIRI • N U D E DICTI •
193
AvBNNio : 0. /. L. XII 1029, 1031 OABBLLIO : C. / . L. XII 1050, 1051 E E I I : C. 1. L. XII 367, 983 TOLOSA : C. I. L. XII 5387 (1).
Ad Antiyolis, oltre il IlIIvir senz'attributi (C. L L. XII 176, cfr. Add.), si trovano anche dei Ilviri (2). Ad Apta l'unico edile documentato è ricordato in un'iscrizione posta fuori del luogo dove la magistratura fu tenuta (3) ; ma anche qui il magistrato supremo si distingue dal comune IlIIvir : ad Antipolis era il IIvir, qui è il IlIIvir i. d. (n. 1120). Ad Aquae Sextiae troviamo uno scriba IIIIvir(nm) (C. I. L. XII 524), ma per questo conviene rifarsi alle magistrature di Vienna e di Nemausus, che furono anch'esse colonie di veterani d'Augusto. A Nemausus infatti, dove troveremo finalmente anche de gli edili col nome loro specifico (4), esistono, oltre i IlIIviri senz'attributi (5), dei IlIIviri i. d. (6), ma questi ultimi paiono posteriori quando solo si osservi che, delle tre iscrizioni dei IlIIviri senz'attributi, una (n. 3179) risale proprio al tempo d'Augusto (7). Anche nella coeva Vienna esistono IlIIviri, IlIIviri i. d., aediles ed, inoltre, Ilviri e Ilviri i. d. (8). Ammessa l'identità (1) Incerta è a Reii resistenza di aedile» (C. I. L. XII 351). Quanto a Tolosa la sigla aed., ohe compare su di un signaculum, potrebbe anohe non ri guardare un edile looale. Esso infatti è •oppiai incerti» secondo l'Index (C. 7. L. XII, pag. 490). Incerta è la lettura di C. I. L. XII 5387. (2) Particolarmente importante ci pare l'isorizione C. I. L. XII 176 add. (pag. 806), in cui troviamo un IlIIvir II[ , forse da integrare in IlIIvir Ilvir. (3) C. I. L. XII 707 (da Arelate : aed. Apta). I IlIIviri sono documentati da C. I. L. XII 1114, 1116; un IlIIvir II in C. I. L. XII 1120; un IlIIvir bis i. d. al n. 119. (4) Cfr. C. I. L. XII 3095 Î, 3193, 3195, 3196, 3217, 3227, 3228, 3229, 3239, 3257, 3261, 3273, 3282, 3292, 5891 f ; Inscr. latines de Gaule 426. (5) 0. I. L. XII 3179, 3233, 3252 e, forse, 3142 a. (6) Cfr. C. I. L. XII, Index, pag. 935. (7) Si tratta di un milee di Tiberio. (8) Cfr. C. 7. L. XII, Index, pag. 937 sg. Si aggiunga il 7777uir della gena13
194
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
dei Ilviri con i Ilviri i. d. — perchè a Vienna si trovano anche Ilviri aerari che vanno certamente distinti da quelli (1) — si sarebbe indotti a pensare che nel seno del IlIIvirato ai IlIIviri i. d. corrispondano talvolta, come edili, i llllviri sen z'attributi, ai Ilviri posteriori corrispondano gli aediles. V'è però da osservare che in tutta una serie d'iscrizioni di due personaggi di Vienna, l'uno risulta IlIIvir e l'altro aedilis IlIIvir (2). Non v'è dunque altra possibilità che quella di iden tificare il IlIIvir col IlIIvir i. d. (3). La differenza fra queste colonie d'Augusto e le altre città della Narbonese è dunque sensibile : in queste il IlIIvir è il magistrato supremo, in quelle è l'edile, e forse l'aggiunta i. d. si affermò appunto per distinguere i IlIIviri delle colonie ro mane da quelli delle colonie latine, fino a che prevalse il ti tolo di Ilvir, già esistente nelle colonie cisalpine. Interessante è anche l'esame della situazione in Dalmatia e in Pannonia. Ivi troviamo IlIIviri, con o senza attributo i. d., a : AEQUUM. : G. I. L. I l i 2733 (IlIIvir i. d. di fronte ad aedilis) ASSERÌ A.: G. I. L. I l i 9940 (mutila, vi compare anche aedilis) BRATTIA : C. L L. I l i 13288 (mutila) DOOLEA: G. I. L.
I l i 13818 (IlIIvir
i. d.
qq.)
EPETIUM : C. I. L. I l i 8525 (senz'attributi) ; 8524 (IlIIvir i. d.) ; 6371 (Ilvir). N A R O F A : G. I. L. I l i 1774 e 1832 (senz'attributi). Varie iscrizioni documentano IlIIviri i. d. ; il n. 1832 un aedilis.
vense, Inscr. Lat. de Gaute 361 (z=i A. E. 1926, 2). Su Gettava, oious di VUnna ofr. Diz. Epigr. I l i 448 e I H M , in P.-W. VII 1130, n. 1. (1) Sai Ilviri aerari (di oui l'elenco è in C. I. L. X I I , Index, pag. 938) ofr. anche D B RUGGIERO, loo. cit., pag. 311, s. v. Aerarium (publicum). (2) / . L. G. 267 ( = C. I. L. XII 1882-1889) : « Q. Gellius L. J. Volt. Catella IlIIvir. D. Sulpicius D. fil. Volt, censor aedilis IlIIvir ». (3) Per ulteriori notizie BU Nemausus si veda L I N C K E N H E L D , in P . W. XVI 2299 aegg. Su Vienna cfr. C. I. L. XII, Index, pag. 937 seg. e / . L. G., pag. 82 aegg.
IL QUATTUORVIRAtO E I QUATTUORVIRI € N U D E DICTI •
195
SALONAE: C. I. L. Ill 8771 (mutila) e 12920 (senz'attri buti). Altre hanno Ulivi ri i. d. SOAKDONA : C. I. L. Ili 2810 (mutila). Un aedilis al n. 2085 AUGUSTA VINDEL. : C. I. L. I l i 5825 IlIIviralis) CARNUNTUM: C. I. L. Ili 11253 (senz'attributi); 4554
IlIIvir i. d.) EMONA : C. I. L. I l i 1070 (mutila : IlIIvir ?) 1 MOGETIANA : G. I. L. I l l 15188 (senz'attributi). Un [II]vir qq al n. 11043. POBTOVIO: C. I. L. III 4028 (=A. I. Yug. 280) (1). Iniziamo con la Dalmatia dove troviamo due colonie augustee : Narona e Salonae. La situazione è analoga a quella della Narbonese : a Narona troviamo nell'iscrizione 1832 un aed. IlIIvir. proprio come a Vienna ; a Salonae ve n'è tutta una serie, che comprende i numeri 2073, 2075, 2083, 6378, 8737, 8786, 8787, in cui il cursus è quello di aed. IlIIvir. i. d. Di fronte a queste troviamo un solo IlIIvir senza epiteti a Narona (n. 1774), ma l'iscrizione è mutila, come le due 8771 e e 12920 di Salonae, ed è evidente che non si può tenerne al cun conto (2). (1) L'isorizione è evidentemente male integrata, come può vedersi sia dalla fotografia (in Ant. Insohr. Tugosl.) che dalla trascrizione del C. I. L. È as sordo pensare ohe ci sia nn pr[aef. i. d.]t nn IJIIvi[r. i. d.], nn II vi[r. i. d.] contemporaneamente. Né lo spazio disponibile è identico dopo HIIvi[ . . .] e dopo IIvi[. . . ] , perchè l'isorizione appare simmetrica e IIvi[...] è scritto più in dentro di IIIIvi[. . .] ; quindi anche la sigla da supplire deve essere di versa, e quella ohe segue IJIIvi[ . . .] deve essere la più l u n g a : le propor zioni inducono infatti a pensare ohe poco più di metà dell'iscrizione sia con servata, oosioohè forse si potrà leggere : IIII[vir. aed. p.] IIvir[i. d.]t lasoiando inoerta la l e t t u r a della riga precedente, ohe si presta a varie integrazioni, come ad esempio : pr[inc{eps) ool(oniae)]. (2) Quanto all'esistenza di I I v i r i in Salonae e alla presunta confnsione fra magistrati di Salonae e di Issa, pensiamo ohe si t r a t t i in realtà dello stesso fenomeno che si verifica a Vienna. Del resto già a pag. 305 del III volume del C. I. L. si leggeva : « Poni potest Salonitanos primo saeculo fuisse sub IlIIviris, deinde sub Ilviris ; nam cum Ilviros habeamus in titulis aetatis Traianae {1978) et Hadrianae (1933), quo minus Ululi IlIIvirum adhuc reperti ante Traianum soripti sint, certe nihil obstat ». Si aggiunga ohe ad infirmare l'ipotesi ohe i IlIIviri fos sero di Issa e i Ilviri di Salonae, a l t r e iscrizioni oltre quelle già note al mo mento della redazione di C. / . L. I l i / 1 indicano la tribus Tromentina come quella
196
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
La stessa situazione troviamo nella colonia di Aequum, forse Claudia, dove troviamo aedilis di fronte a IlIIvir i. d. (n. 2733). Ed anche in un municipio flavio, Doclea, troveremo un IlIIvir i. d. qq (n. 13818). Non si può forse spiegare l'esi stenza di Ilviri e di IlIIviri i. d. ad JEpetium(l) se non pen sando che sia stata male trascritta l'iscrizione 6371 : . . . DBO. M.II.VI/KO . . . , da cui si desunse l'esistenza del municipium. Altre iscrizioni di lettura certa non ci sono. In Pannonia, tralasciando il IlIIviralis di Augusta Vindelicorum (n. 5825), si tratta di due municipii e di due colonie romane : Mogetiana e Carnuntum, Emona e Poetovio. Di esse solo Carnuntum, e cioè un municipio, ha sicuramente dei IlIIviri i. d. (n. 4554). Le altre sono tutte rette da Ilviri (2). Scarsi sono dunque gli elementi a disposizione per un giu dizio definitivo e ogni conclusione potrebbe sembrare arri schiata (3). Nel Noricum solo un municipio ha IlIIviri : Aguontwm, oni appartengono dei IlIIviri i. d. (es. : 8737, 8787), tribù questa ohe pare propria di Salonae, mentre Issa è della Sergia. Le ipotesi possibili paiono d u n q u e dne sole : o i oittadini di Issa h a n n o diritto di concorrere alla magistrature di Salonae — il ohe è paoitioo, bastando l'incoiato a dare questo d i r i t t o —, oppure anohe Issa fu retta come Salonae. Nell'un caso come nell'altro, infatti, potremmo spiegare l'esintenza sia di I l I I v i r i che di I l v i r i appartenenti all'una o all'altra tribus; ma di Issa si ignora del tutto la oostituzione : si sa soltanto che fu e oivium Romanorum » (ofr. D E R U G GIERO, Diz. Epigr., IV 91, s. v. Issa). (1) Cfr. C. I. L. I l i , Index, pag. 2534. (2) Emona: Ilviri i. d. (C. / . L. I l i 10738) ; Mogetiana : [Il]vir quinq. (C. I. L. H I 11043) ; Poetovio-. IIvi[r. ». d.J (C. I. L. I l i 4028 = A. I. Yug. 280; cfr. supra, pag. 195, n. 1). (3) Quanto a Poetovio bisogna infatti tener presente ohe C. I. L. I l i 4028 è assai male integrata in A. I. Yug. 280 (cfr. supra, pag. 195, n. 1). Riguardo ad Emona si noterà invece ohe C. I. L. I l i 10770 è incompleta e ohe al titolo IlIIvir potrebbe seguire qualche epiteto. P e r qnesta oittà specialmente, colonia augustea come Narona e .Salonae in Dalmatia, converrà dunque sospendere ogni giudizio. Più facile è pensare all'identità dei I l I I v i r i senz'attributi con gli edili a Mogetiana e Carnuntum ; ma anohe in questi oasi, e specie a Carnuntum, potrebbe t r a t t a r s i di una semplice illusione. Si noti infatti che il titolo di IlIIvir si h a qui solo una volta e pare si t r a t t i dell'iscrizione di un sedile ri servato appunto ai I l I I v i r i , ove non era necessario aggiungere anohe la sigla i. <*. o a l t r a ( C I . L. n i 11253).
IL QUATTUORVIRATO E I QÜATTUORV1RI «NUDE DI CTI »
197
ma sono ben distinti dagli attributi i. d. e aed. pot., e anche qui troviamo un Ilvir i. d. (1). Altri Illlviri troviamo anche a Drobeta (C. I. L. I l i 8009) ed Apulum (C. I. L. I l i 985, 1083, 1132; Dacia VIIVIII, 1937-1940, pag. 305 seg., nn. 2-3 = B. M. I. R. 1942, pag. 132, nn. 2-3), muuicipii della «Dacia, e, nella stessa re gione, un IlIIviralis a Potaissa (C. I. L. I l i 7678). Senza trattenerci su quest'ultimo, di cui non è possibile stabilire la natura precisa, dobbiamo osservare che ad Apulum non sono documentati altri magistrati ali'infuori di un IlIIvir primus annualis .{n. 1083), un primus IlIIvir (n. 1132 e Dacia, 1. e.) e un IlIIviralis (n. 985). Questo titolo di IlIIvir primus però è forse un indizio prezioso, specialmente se si vuol dare un senso grammaticale all'espressione, perchè, in questo caso, ci troveremmo davanti al primo dei quattro Illlviri e non dei due Illlviri iusdicenti : il primo fra due dovrebbe essere, se mai, indicato come prior (2). Un IlIIvir è comunque uno dei quattro, sicché evidentemente anche gli edili avranno ti tolo di Illlviri. Non è escluso che dei Ilviri della colonia di
(1) Cfr. C. I. L. I l i , Index, pag. 2526. (2) Analoga interpretazione si potrà dare del IlIIvir an(nualis) di Drobeta, perchè non si vede la neoessità di indioare con l'epiteto annualis ana carat teristica costante delle magistrature mnnioipali. Sarà dunque Vannualis primusf il primo eponimo. Mi pare in r e a l t à ohe anche il primus IlIIvir non possa inten dersi il primo in senso cronologico come proponeva il MOMMSEN, in C. I. L. I l i , pag. 183, seguito del D E RUGGIERO, Diz. Epigr. I 536, s. v. Apulum. Il Mommsen infatti, basandosi sulla coustatazione ohe il primus IlIItir è un ma gistrato del Municipi am Aurelium Apulense, mentre il IlIIvir primus annualis è tale nel Munioipium Septimium Apulense, ne dednoeva ohe prima di Settimio Severo il mnnioipio di Apulum non avesse I l l l v i r i se non per eooezione e saltnariamente, mentre con Settimio Severo il I l I I v i r a t o sarebbe divenuto la magistratura ordinaria : l'analogia oon Napooa (cfr. C. I. L. I l i , pag. 169) di cui non si oonosoono q n a t t u o r v i r i mi pare arbitraria. Ma anohe il fatto che si siano conservati ad Apulum doonmenti epigrafici r i g u a r d a n t i , oltre un Ulivi' ralis, soltanto il primo dei I l l l v i r i straordinari e il primo dei I l l l v i r i annuali mi pare assai poco convincente oome sostegno all'ipotesi del Mommsen, tanto più ohe le relative iscrizioni si riferiscono ad atti privati dei due personaggi (il primus IlIIvir a noi noto è, in tre iscrizioni votive, sempre la stessa per sona).
198
LE
MAGISTRATURE MUNICIPALI
Apulum taluno non vada invece riferito al municipio coesi stente. Infine abbiamo lasciato alcuni casi di IlIIviri delle Très Gàlliae, delle Oermaniae e dell'Africa. Si tratta della colonia flavia Forum Segusiavorum, della colonia — forse di Galba — dei Sequani e della civitas di diritto latino di Lugudunum Gonvenarum, oltreché di Galama, Girta e Thisdrus. Interessa notare che in ognuno di questi luoghi si trovano a capo dell'amministrazione dei Ilviri e che mai i IlIIviri compaiono con attributi d'alcun genere. Comunque ecco la documentazione : FORUM SEGUSIAVORUM : G. I. L. XIII 1632 (Ilvir del I se colo o dell'inizio del II) ; 1624 (UH ) LUGUDUNUM OONV. : A. JE. 1938, 171 (IUIvir del tempo di Traiano) SEQUANI : C. / . L. XIII 5343 (IIIlvir); 5367 e 1674 ( = B.L. pag. 5) (Ilvir) OALAMA : L L. Alg. 181 (IlIIvir) ; 289 (IlIIvir. Ilvir. quinq. primo) OIRTA : MUENSTERBERG, Beamtennamen, pag. 3 THISDRUS : I. L. Afr. 47 ( aedil . . . . /IlIIvir ). ISTon pare tuttavia opportuno tener conto dell'iscrizione G. I. L. XIII 1624 di Forum Segusiavorum, troppo mutila, poiché potrebbe trattarsi anche, per esempio, di un IIHIIvir ; né si può prendere in seria considerazione l'iscrizione di Thisdrus, visto che nelle due lunghe lacune potrebbe essere in dicato il nome di qualche città ove fossero state ricoperte le cariche indicate. Eestano dunque Lugudunum Gonvenarum, che ebbe il di ritto latino da Augusto e quindi fu retta da magistrati ana loghi a quelli delle colonie latine della Narbonese ; i Sequani, che appaiono retti allo stesso modo, come del resto lascia pensare anche il fatto che ebbero il titolo di colonia da Galba ma non certo la cittadinanza romana; Galama e Girta, la quale ultima fu retta da Ilviri fino a quando ebbe la sua spe cialissima costituzione triumvirale (1). (1) La nostra moneta è datata al 46-43 a. C. ; ofr. MOMMSEN, Qea.Sóhrif-
IL QUATTUORVIRATO E I QUATTUORVIBI fNUDE DICH •
199
Quanto a Calama si è voluto pensare, come al solito, al momento del trapasso dalla condizione di municipio a quella di colonia, riservando il IlIIvir del n. 181 al periodo muni cipale e il IlIIvir e Ilvir quinquennalis primus del n. 289 parte al periodo municipale (IlIIvir) e parte al coloniale (Ilvir quinquennalis primus) (1). Cosi infatti andrebbe spiegato l'attributo di primus : esso significherebbe che quel Ilvir quinquennalis fu il primo a ricoprire la carica indicata. Ma non crediamo sia indispensabile ammettere questa spiegazione : l'attributo primus — per quanto unito a IlIIvir anziché a Ilvir — si trora anche ad Apulum dove è assai probabile che abbia un significato ben diverso da quello che si suppone per Calama ; ad Apulum il primus IlIIvir è forse il primo eponimo (annualis), non il primo cronologicamente inteso di tutta la serie di IUI viri (2). Possiamo dunque pensare che Calama, già municipio al
ten, V 476. Quanto .alla sua oostituzione duumvirale si veda anohe V A G L I E R I , in D E RUGGIERO, Diz. Epigr. II 244. (1) Cfr. GSELL, in Inscr. Lai. d'Alg., pag. 34. (2) Cfr. supra, pag. 197. Dobbiamo però anche rioordare ohe — analoga mente a quanto avviene per Calama — ad nn « primo du[u]mviro municipii Lambesis » è dedicata l'iscrizione C. I. L. V i l i 2796 (ofr. 18133) e ohe nn altro Ilvii primus pare sionro in nn'isorizione di Vallis alquanto lacunosa (C. I. L. V i l i 1279). Particolarmente interessante è t u t t a v i a il oaso di Lambaesis che di venne certamente municipium almeno fin dal tempo di Commodo (ofr. Diz. epigr. s. v. Lambaesis), ma poiohè, anohe in questo oaso, non si pnò determinare in modo sionro la data dell'iscrizione, non si pnò affermare con assoluta certezza ohe il « primus du[u]mvir » in essa ricordato sia il primo della serie municipale. Ricordiamo tuttavia, pnr senza sopravvalutarne l'importanza, il fatto che anche Apulum, prima di divenire municipium Septimium era nn munioipium Aurelium proprio come Lambaesis'. nnioa differenza il titolo del magistrato ohe ad Apulum è nn IlIIvir, mentre a Lambaesis è nn Ilvir oome a Calama. Ma qnesta differenza pnò essere superata se si tien conto del fatto che proprio in Africa, forse nella stessa Calama e sionraineute a Cirta, v'è traccia di I l v i r i anche in munioipii con U H viri, oosiochè il titolo di Ilvir nonesoludeohe si t r a t t i — come altra volta — di I l I I v i r i ohe assumono il titolo di II viri per distinguersi dai due oolleghi minori. Ciò, del resto, non esclude nemmeno la possibilità ohe i due I l v i r i di Vallis e di Lambaesis, oome il quinquennalis di Calama, siano effetti vamente i primi nominati nelle rispettive città. Ma, anohe ammesso oiò, non si può escludere su questa sola base la nostra interpretazione circa i I l I I v i r i ,
200
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
tempo di Traiano e forse da prima ancora, avesse anch'essa agli inizi dei IlIIviri e dei IIviri, proprio come Cirta. Terminata questa rassegna, vediamo ora se è possibile ri cavarne qualche conclusione. Il titolo di IlIIvir senz'attributi sembra riferirsi specifi camente agli edili in tutte le località con diritto latino : inunicipii flavi di Spagna, colonie latine della Narbonese, Lugudumim Convenarum, Sequaìii. Oorrisponde invece quasi cer tamente sempre in modo specifico al magistrato iusdicente nelle colonie romane d'Angusto — Gallia Narbonese e Dal mazia — che dapprima hanno IlIIviri o IlIIviri i. d. e, in seguito, Ilviri. Più tardi, dopo il periodo dei Flavi, pare ri ferirsi specificamente piuttosto agli edili, e ciò si spiega forse con l'uso ormai invalso di dare Ilviri a tutti i municipii ol tre che alle colonie. All'epoca di Claudio troviamo infatti ancora IlIIviri i. d. sia in municipii (Aguontum) che in colonie (Aequum). L'ultimo municipio con IlIIviri i. d. esplicitamente testimoniati fu invece Carnuntutn, un municipium Aelium forse di Adriano o di Antonino Pio. A quest'epoca possiamo forse fissare anche il mutamento che si verifica in talune città aventi prima, come magi strati supremi, una coppia di magistrati detti specificamente IlIIviri — esempi di Vienna e di Salonae, che sono colonie d'Augusto —, di cui è giocoforza prendere atto.
EXCURSUS I I I :
I L QUATTOURVIBATO D E L L E COLONIE IN ITALIA,
La documentazione del titolo di IHIvir Italia è la seguente :
nelle colonie in
CAPUÀ: cfr. supra, pag. 175 seg. e pag. 188. NOLA : cfr. supra, pag. 175 seg. e pag. 188. POMPEII : cfr. supra, pag. 175 e pag. 188. LUOERIA : C. I. L.
IX
pag.
74.
ASOULITM : cfr. supra, pag. 180 e pag. 188. HISPELLUM : cfr. supra, pag. 181 e pag. 188. FALERII : C. I. L.
XI
pag.
466.
CLUSIUM : cfr. supra, pag. 183 e pag. 188. PLAOENTIA : cfr. supra, pag. 184 e pag. 188. AQUILEIA : C. 1. L.
V
pag.
83.
AUGUSTA TAURINORUM : cfr. supra,
CONCORDIA : cfr. supra,
pag.
185.
pag. 184 seg.
Si tralasciano le colonie di età posteriore, che mantennero senz'altro, almeno secondo la communis opinio, le magistrature del rispettivo municipio quando ebbero il titolo di colonie. E tralasciamo Faesulae che non fu, molto probabilmente, co lonia (1). (1) Cfr. BBLOCH, op. oit., pag. 611. I l l l v i r i in colonie sillane si trovereb bero seoondo il KORNEMANN (in P. W. V. 1804 seg., s. v. Duoviri) anohe ad Interamna N. e Spoletium. In altre colonie si avrebbero a Carsiolieà Opitergium. Quanto a Spoletium essa non fa affatto colonia romana, ma oolonia latina e poi manioipio (ofr. BBLOCH, op. cit.y pagg. 604 e 500) : i Illlviri spettano al municipio. Riguardo ad Interamna Nahartxum è opportuno tener presenti le considerazioni del BBLOCH (op. cit., pag. 606), seoondo oui essa fa federata, come Tuder ed Iguvium, fino alla guerra sociale. Per Carsioli ed Opitergium ofr. D B GRASSI, in Biv. di FU. 1938, pag. 140,
202
L E MAGISTRATURE MUNICIPALI
Vari tentativi si sono fatti per negare che si tratti di ma gistratura coloniale. Il De Grassi, per esempio (1), ha rifiutato fede alla documentazione riguardante Aquileia, Falerii e Lucerla, negando che si trattasse di colonie ; ma la sua dimo strazione non pare convincente, specialmente se si considera che in un'iscrizione che interessa i IlIIviri di Nola (2) si parla esplicitamente di colonia (3). Le sue argomentazioni del resto possono riassumersi in breve. Per lai Plinio non è da con siderare una fonte sicura, mentre i IlIIviri compaiono nelle colonie solo al tempo dei Flavi, quando cioè la cancelleria imperiale non fa più distinzione fra IIvirato e IlIIvirato e lascia quindi che sopravvivano i IlIIviri anche nelle colonie. Perciò, analogamente alle notizie che riguardano Aquileia, Lucerla e Falerii, egli respinge anche la notizia che Teanum Sidicinum fosse una colonia augustea. Ma, anche a prescin dere dal caso di Nola, crediamo di doverci in parte scostare dalla sua opinione anche per la stessa Teanum : questa città va considerata municipio fino al 46 d. 0. non già perchè nel 46 ancora vi si trovano dei IlIIviri, ma perchè la possibilità di una trasformazione in colonia Claudia, quale la riteneva il Mommsen, appare confermata dall'iscrizione stessa su cui il De Grassi giustamente si sofferma (4). Ammesso questo non pare più lecito trarre in dubbio a priori le testimonianze riguardanti Aquileia, Falerii e Lucerla, Vero è che i dubbi avanzati da taluni e accolti dal Beloch (5) Quest'ultimo è inoline a datare l'inizio di quest'oso di conservare le magi strature del periodo manioipale anche dopo la concessione del titolo di oolonia «già nell'età di Claudio o di Nerone». (1) D E GRASSI, loc. oit., pagg. 129-143. (2) C. I. L. X 1236. (3) Cfr. contra R U D O L P H , op. cit., pag. 93, il quale inolina a credere — ma a parer mio senza possibilità di dimostrazione — ohe « auch hier handelt es sich um eine Stiftung des I U I vir, also eines Altbürgers zu Ehren der neuen Kolonien und ihrer Kolonisten ». Ma non HL vede il motivo di una similo dedioa se si pensa ohe, anzi, un «Altbürger» non aveva certo motivo di ralle grarsi per la colonizzazione della sua oittà. Il riferito ■ auoh > rialluooia questa questione a quella di Pompeii, di cui parleremo fra pooo. (4)
Cfr.
D E G R A S S I , loo. cit.,
(5) BBLOCH, op. oit.,
pag.
515
pag. seg.
142 ; supra, pag.
188, n.
2.
IL QUATTUORVIRATO D E L L E COLONIE IN ITALIA
203
su Aquileia e Falerii possono sembrare fondati, specialmente per quanto riguarda Aquileia (1) ; ma per Lucerla non sussi ste alcun motivo per respingere la notizia se non la preven zione che non possano esistere IlIIvhi in una colonia (2). Quanto ai IlIIviri di Capua e a quelli di Pompeii e di Clushim, il Beloch accoglie l'ipotesi che in queste tre colonie sillane la prima forma di costituzione sia stata appunto il IlIIvirato, sostituita poi dal IIvirato (3). Ciò non contraddice quanto a suo luogo si è osservato, ne è contraddetto dall'esi stenza di Ilviri in tutte le altre colonie sillane, poiché anche queste tre ebbero in un secondo tempo dei II viri. Osservò però il Eudolph (4) che per queste città si tratta di ex-municipii con IlIIviri e che nulla si oppone a credere che i IlIIviri di cui abbiamo notizia siano anteriori alla deduzione della colonia sillana. Osservando infatti che taluni nomi dei IlIIviri ricordati nelle iscrizioni di Pompeii 1630 e 1631 si ritrovavano col titolo di Ilviri in altre che si possono ritenere poste riori (5), il Rudolph ne ricava che si tratterà di personaggi (1) La colonia è senz'altro n e g a t a dal BELOCH (op. oit., pag. 515) in base a notevoli argomenti, rincalzati anoora dal D E GRASSI (loo. oit., pag. 139). Ma per quest'ultimo è già oerto ohe la oolonia sia d'età non posteriore a Nerone : per altro egli è costretto a postulare ohe l'uso di mantenere i magistrati del municipium pur oon la concessione del titolo di oolonia risalga al tempo di Ne rone o anche di Claudio. Ma ciò non fa meraviglia se si tiene presente che la confusione fra I l v i r a t o e I l I I v i r a t o risale secondo noi ad epoca ben ante riore (cfr. supra, passim.). (2) Lo stesso D E GRASSI, che combatte ad arma t r a t t a la tesi ohe esistano I l I I v i r i in oolonie augustee, è costretto ad ammettere (loc. cit., pag. 129 seg.) ohe Lucerla sia effettivamente oolonia augustea. Per evitare di contraddirsi è costretto a proporre di integrare C. I. L. IX 804 con 7]/viri, anziché con III]Iviri e a lasciare sospesa la datazione di C. I. L. IX 806 e 936. Ma resta sempre il n. 803, di oui non è affatto oerto ohe non possa considerarsi di età augustea (ofr. ibid.), e per lo stesso n. 804 orediamo sia leoito dubitare della nuova integrazione. (3) BRLOCH, op. cit., pag. 511 sg. (Clusium e Pompeii). Solo per Capua egli tende a negare l'esistenza dei I l I I v i r i (ibid., pag. 512 sg.), ma questo atteg giamento si spiega ooi fatto ohe egli non pensa al I l I I v i r a t o nella forma da noi ammessa. (4)
R U D O L P H , op. cit.,
(5) I D . , ibid.
pag.
93
Bgg.
204
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
che hanno ricoperto la suprema carica prima nel municipio, poi nella colonia. Ma anche questa conclusione ci pare assai dubbia, poiché riteniamo difficile che un fatto del genere ab bia potuto avverarsi — ed essere ricordato in modo che la notizia ne giungesse fino a noi —• per ben tre cittadini. Il M. Porcins M, f. del n. 1631 compare poi come Ilvir quinqnennalis al n. 1632, ma questo fatto non esclude che ab bia potuto essere, prima, IlIIvir proprio nella colonia anzi ché nel municipio : è noto che due soli magistrati assumono il titolo di quinquennales, e, se ammettiamo per amore di po lemica che le iscrizioni di Pompeii siano di un periodo di transizione, non pare vi sia un serio motivo per non ascri verle al periodo della riforma di Cesare anziché a quello della deduzione della colonia. Abbiamo però la prova che in Pompeii il IUI virato si compone di due nuclei distinguibili pro prio da un'iscrizione locale ,(P 1630) che il Rudolph ammette dello stesso periodo di queste (1). In essa troviamo quel L. Cuspius e quel M. Loreius che al n. 1629 compaiono come Ilviri : è degno di essere sotto lineato il fatto che al n. 1630 essi occupano i due posti del primo gruppo e compaiono quindi effettivamente come ma gistrati supremi : sono in realtà dei Ilviri anche se portano il titolo di IlIIviri, e la diversità del titolo si spiega facil mente col fatto che al n. 1630 appaiono in accordo con gli altri due IlIIviri, mentre al n. 1629 agiscono da soli (2). Se dunque gli stessi individui possono portare indifferen temente un titolo diverso secondo le funzioni che compiono, non ci meraviglieremo se M. Porcins, funzionando da quinquennalis, ha il titolo di Ilvir. Nò vediamo come sia neces sario pensare che le magistrature di Cuspius e di Loreius siano state più di una. Basterà pensare che qui, come più tardi av verrà per Falerio e per S abora (3), il titolo sia di IlIIviri per i quattro magistrati del collegio, di Ilviri per i due iusdicenti. (1)
C. I. L.
Ia
1630.
Cfr.
R U D O L P H , op. oit., pag.
93, n.
(2) È questa dei resto la convinzione del MOMMSEN : ofr, gina 93. (3) Cfr. supra, pag. 180.
1.
C. I. L. X, pa
IL QUATTUORVIRATO DELLE COLONIE IN ITALIA
205
Ne dedurremo facilmente che se incontrassimo uno o due IUI viri senz'epiteti ci troveremmo di fronte ai magistrati mi nori. Il che non esclude, anzi pare confermare, che si tratti di una colonia, in quanto la suprema magistratura è proprio il Ilvirato. Analogamente, non ci sentiamo di aderire ali'ipotesi for mulata dal Rudolph per Clusiiim(l), altra colonia sillana che dovette perciò seguire la stessa sorte di Pompeii, ove, in epoca posteriore a quella di cui ahbiamo le iscrizioni surricordate, troveremo solo dei Ilviri e degli aediles (2). Il caso di Pompeii si complica però per resistenza degli aediles o Ilviri v. a. s. p. p. (3). E questa è una questione as sai dibattuta, su cui dobbiamo fermarci perchè può spiegare un'anomalia che il Mommsen non seppe spiegare chiaramente. Si tratta dell'iscrizione C. I. L. X 819, in cui compare un Ilvir i. d. assistito da due Ilviri senz'attributi. Il Mommsen, che pure ammette che agli edili si attribuisca il titolo di IlIIviri, inclina qui a credere che questi due Ilviri siano an che essi degli edili (4), mentre di solito il titolo di Ilvir, an che senz'attributi, spetta ai magistrati iusdicenti. Egli, che pure ammette la possibile identificazione fra Ilviri v.a.s.p.p. e aediles v. a. s. p. p. (5), non pensa nemmeno che qui i due Ilviri senz'attributi possano essere Ilviri v. a. s. p. p. : l'ipo tesi invece si può avanzare pensando che a distinguere il Ilvir i. d. dagli altri due Ilviri ricordati nell'iscrizione basta l'attributo i. d. del primo. Una probabile conferma della no stra ipotesi si avrà quando si osservi che tutte le iscrizioni su lapidi a noi note in cui compaiono i Ilviri v. a. s. p. p. ce li presentano sempre dopo i Ilviri i. d. Bisogna dunque pensare che non possauo considerarsi indipendenti da questi ultimi. Il problema da porre è dunque uno solo : che rapporto esiste fra le due coppie di Ilviri ? Due sono le risposte pos(1) R U D O L P H , op. oit.,
(2) Cfr. CI. (3) Cfr.
pag.
ZANGKMEISTKR, in
pag. 93. (4) MOMMSEN, loc.
(5) I D . , ibid.
93, n.
4.
L. IV, Index, pag. 7 6 9 ; X, pag. 89.
oit.
C. I. L.
IV, pag.
9 ;
MOMMSKN,
in
C. 1. L.
X;
206
LE MAGISTRATURE MUNICIPALI
sibili : o si tratta di IIviri ed edili, oppure i Ilviri v. a. s.p. p, sono soltanto dei funzionari dipendenti dai Ilviri i. d. La constatazione che, per quanto ne sappiamo, i Ilviri v. a. s.p. p. non agiscono mai indipendentemente dai Ilviri i. d. parrebbe infatti escludere la possibilità che si tratti di una magistra tura con competenze autonome. Per la prima possibilità sta già la possibile identificazione con gii aediles v. a. s. p. p. pro posta dallo Zangemeister ed accolta dal Mommsen (1). Ma questi due studiosi propendono invece a considerare questa magistratura come riferibile a speciali funzioni sacre in rap porto col culto della Casa imperiale. Ad essi si opposero il Willems e il Mau (2), e quest'ultimo osservò anche, molto opportunamente, che «fortasse aedilium nomini, usitato ante coloniam deductam, earn ipsam ob causam in colonia substituta est nova appellatio. Mansit tarnen in usti privato, velut in programmatis et in titulis sepuleralibus (X 1273) et ante annum p. G. 56 (X 826) irrepsit etiam in titulos publico* ». La tesi sostenuta da questi due studiosi pare a me la migliore. Mi pare anzi che, contro la tesi del Mommsen e dello Zangemeister, militi anche un fatto notevole : nelle iscri zioni in cui compaiono Ilviri v. a. s. p. p. non si tratta soli tamente del culto degli imperatori, ma di varie divinità (3), e non sempre si tratta di atti di culto. Perciò non mi pare si possa respingere l'interpretazione data dal Willems alla mi steriosa sigla : v(iis) a(edibus) s(acris) p(ublicis) p(rocurandis) (4). L'ipotesi che si tratti di funzionari dipendenti dai Ilviri i. d.
(1) I D . , ibid. (2) W I L L E M S , Les éleoiions municipales à Pompei, cit. da M A U , in C. 1. L. IV, pag. 460. (3) Le iscrizioni comprese nel X volarne del C. I. J*. non si riferiscono mai, almeno d i r e t t a m e n t e , al oulto della Domus : i un. 885 e 886 sono dedi che a Mercurio e a M a i a ; il n. 899 riguarda u n a lapide t r o v a t a « nel oortile a sinistra della vinella del Calcidioo, nell'intercolonnio dove si vede il quadro di Venere e Marte » ; il n. 900 una lapide t r o v a t a « in aedifioio quod dicitur Pantheum». Nessuna iscrizione di questo volume si riferisce al colto della Do mita. Né prova alonna si h a dalle iscrizioni del voi. IV a conferma della tesi dei due studiosi tedeschi. Si noti ohe l'iscrizione X 885 risale al 14 a. C. (4) Cfr. C. I. L. I V , pag. 460.
iL QUATTUORVIRATÖ DELLE COLONIE IN ITALIA
20?
mi pare poi da escludersi senz'altro pensando all'importanza che hanno questi v. a. s.p. p., importanza che non potrebbero avere quando non fossero veri e propri magistrati. L'iscrizione X 819 va dunque intesa nel senso che accanto al IIvir i. d. agiscano due edili. L'apparente contrasto con l'uso di chiamare II II vi ri gli edili si spiega facilmente ammettendo che il titolo di IlIIvir spetti agli edili come membri del collegio quattuorvirale riunito, mentre il loro titolo ufficiale specifico fu a Pompeii quello di Ilviri v, a. s. p. p., che li distingueva anche dai precedenti aediles della città osca (1), rimasti forse ad sacra per gli ele menti epicorii. La stessa considerazione da lui fatta per Pompeii varrebbe, secondo il Rudolph, anche per Paestum di cui conosciamo i Illlviri da talune monete da riferirsi alla breve epoca del municipio. Ma, oltre alle osservazioni da noi già fatte per Pompeii, dobbiamo tener presente anche Capua, di cai il Ru dolph tace. Oapua infatti non fu colonia sillana e non fu nemmeno municipio, poiché la prefettura senza magistrati propri diede luogo alla colonia mariana retta da praetor es (2). È quindi probabile che solo gli edili avessero interesse ad assumere specificamente il titolo di Illlviri. Anche se volessimo ammettere che Pompeii e Glusium, entrambe colonie sillane, abbiano avuto Illlviri solo nell'epoca in cui furono municipii, avremmo dunque sempre una terza colonia in cui compaiono Illlviri. Possiamo quindi tenere per certo che Nola e Capua, cui si potrà aggiungere, senza ob biezioni plausibili, anche Luceria, abbiano avuto dei Illlviri pur essendo colonie. Né si vede perchè dovrebbero rimanere escluse da quest'elenco Asciilum, Hispellum e Placentia, di cui s'è parlato a suo luogo. Preferiamo invece non tener conto di Beneventum, perchè l'iscrizione in cui compare il IlIIvir senz'attributi (C. I. L.
(1) Per questi ofr. supra, pagg. 139 aeg v 153. (2) C i c , de l. agr. II 34, 93.
20ä
LÉ MAGISTRATURE MUNICIPALI
IX 2117) è mutila; di Mutina, perchè incerta è l'attribuzione dell'iscrizione relativa (C. /. L. XI 848) ; di 8 ora perchè è possibile credere che l'iscrizione di C. I. L. X 5713 appartenga, come pensa il Beloch (1), ad epoca anteriore alla deduzione della colouia*
il)
BKLOCH, op.
cit.,
pag.
514.
APPENDICE L'edilità in R o m a
13
I. PRIME AFFERMAZIONI DELLA PLEBE ROMANA Le fonti antiche ci dicono che la plebe è coeva del patriziato: Romolo stesso avrebbe distinto i patres(1), costi tuendo una classe dominante con i pochi uomini liberi che con lui fondarono la città. Si avrebbe in tal modo il parallelo fra yatricii e ingenui, mentre, d'altro canto, la plebe avrebbe tratto origine da tutti gli individui accolti nella nuova co munità. La critica moderna, formulando parecchie ipotesi al ri guardo, ha creduto di poter rinnegare i dati della tradizione, ricercando di volta in volta l'origine della plebe in elementi anteriori alla fondazione quirite o al dominio etrusco, oppure da collettività di vinti, oppure ancora dai «clientes* (2). Solo il Meyer (3), seguito poi dal De Sanctis (4), dal Beloch (5) e dal Giannelli (6) ha pensato che la differenziazione sia sorta in un secondo tempo, quasi per selezione spontanea, venendo a costituire la classe patrizia gli elementi più attivi, più abili e più fortunati della massa originaria impadronitisi della vita economica della città e, di conseguenza, della vita politica. (1) DION. HAL., II 8; cfr. Cic, d. r. p. II 12, 23, cfr. 8, 14; Liv., I 8.
(2) Si veda in D E FRANCISOI P., Storia del diritto romano, I (ediz. 1941) pag. 227 segg., la relativa bibliografìa. Recentemente le varie tesi sono state esa minate e discusse dal PIQANIOL (Essai sur les origines de Rome, 1917, pag. 247 segg.) e dal GIANNELLI (La repubblica Romana, [1937], pag. 53 segg.). Ad alcune di queste teorie, come a quella del NEUMANN, del BINDER, del BONFANTE e del DE FBAN-
OISOI, avremo occasione di accennare nel corso di questo stesso paragrafo. (3) MEYBB E., Gesch. d. Altertums, II 512 segg. (4) DE SANCTIS G., Storia dei Romani, I 224 segg. (5) BELOCH, op. cit.t pag. 333. (6) GlANNBLLX G . , loc. C\U
212
^ E D I L I T À IN ROMA
Tutte queste teorie prestano, naturalmente, il fianco ad obbiezioni e sarà interessante ed utile vedere come i soste nitori di ciascuna abbiano attaccato e discusso i motivi che avevano indotto i loro avversari a concludere in modo diverso. Ma intanto conviene sbarazzare il campo dalla ormai lunga serie di ipotesi « etnografiche », anche perchè da esse non potrà forse venire una luce troppo sicura : gli elementi a nostra disposizione per impostare il problema su queste basi con qualche sicurezza non paiono ancora sufficienti (1). Tra di esse tuttavia vanno particolarmente notate le più re centi: quelle delBinder, del Piganiol,del Bonfante, del DeFrancisci e dell'Arangio Euiz(2). Ma alcune di esse si escludono a vicenda, perchè, se al Binder appaiono Latini i plebei e Sabini i patrizi, al Piganiol appaiono Sabini i plebei e Latini i patrizi: né l'uno né l'altro possono considerarsi sufficiente mente sicuri della propria ingegnosa tesi, anche se la sosten gono con acume e finezza. Non crediamo opportuno entrare qui nei particolari: per quanto riguarda l'idea comune dei due studiosi basterà con statare col De Francisci «come la popolazione del Lazio si sia formata attraverso una serie più volte secolare di immi grazioni e di sovrapposizioni che non hanno certamente per messo la conservazione di nette distinzioni etniche » (3). L'os servazione del De Francisci, già formulata, del resto, dal Bonfante, potrà forse avere un valore meno dirimente nel caso dell'ipotesi sostenuta con buona argomentazione dal l' Arangio Ruiz, che giudica, riallacciandosi in qualche modo al Cuno (1878), Etruschi i patrizi « che conquistarono il Settimonzio e rifondarono la città» e plebei gli antichi abitanti Latini e gli immigrati posteriori (4). (1) Le varie tesi « etnografiche » si troveranno elencate e discusse ultima mente nella già citata opera del DE FRANCISCI (cfr. pag. 211, n. 2). Riteniamo im possibile accogliere le tesi « razziali » anteriori al BINDER e al PIQANIOL, perchè si fondano su elementi troppo malcerti. (2) BINDER J., Die Plebs, Leipzig 1909, pag. 171 segg., e specialmente pag. 329 s egg., 372-375 ; PIQANIOL A., loc. cit. ; BONPANTE P., Storia del diritto romano, I* (1934), pag. »3 segg. ; DE FRANCISCI P., Aorta del diritto romano, I*(194I), pag. 227 segg.; ARANGIO Ruiz V., Storia del diritto romano, Napoli 1937, pag. 39 segg. (3) DE FRANCISCI, op, cit,t pag.
229 seg. ; cfr.
(4) ARANGIO Jìmz, op. cit., pag. 89 seg.
BONPANTE, op. cit., pag.
94.
PRIME AFFERMAZIONI DELLA PLEBE ROMANA
213
È innegabile infatti che la tesi dell'Arangio Euiz, appog giandosi alla concezione ormai accolta dai più che gii Etruschi abbiano dominato Eoma per un certo periodo, rappresenta un progresso sia nei riguardi del Binder che del Piganiol: la distinzione etnica fra patres e plebei viene abbassata al momento in cui l'avvento del dominio etrusco potè determi nare un nuovo ordinamento civile dell'Urbe e presenta quindi un maggior numero di possibilità di essersi affermata. Ma anche essa cade nell'ambito del dubbio quando si creda che la cacciata dei re segni l'affermazione di un patriziato indigeno rivendicante interessi nazionali : potrà tenersi per certo sola mente che ai patres indigeni si siano aggiunti gli esponenti di famiglie etnische. E in tal modo viene a mancare la sicu rezza che almeno i patres indigeni fossero originariamente di una stirpe diversa dai plebei. Quanto al Bonfante e al De Francisci, questi due studiosi ritengono probabile che « nelle origini > l'organizzazione ci vile come quella religiosa, le sedi e le tradizioni plebee siano campletamente distinte da quelle dei patres (1). Ma gli ele menti su cui si fonda quest'affermazione non sono forse tutti •cronologicamente coevi: ad esempio la questione degli auspicia non può non essere posteriore alla serrata del patriziato. E pertanto l'affermazione stessa non pare sicuramente dimo strabile. V'è tuttavia nelle pagine del De Francisci un altro spunto che può essere utilissimo per nuove feconde discus sioni : si tratta del problema inerente all'esistenza di un foedus fra le due classi (2). Anche qui il De Francisci si riallaccia al Bonfante(3), che vede in un foedus fra patrizi e plebei, stipulato in concomitanza con la creazione del tribunato, la conclusione storica dei rapporti esistenti fra la civitas romana e un comune autonomo dell'Aventino da lui ammesso: anzi — egli dice — « il rapporto di questo comune con la civitas ci appare in una luce molto analoga alla costituzione muni cipale dell'epoca storica », cosicché « in un certo senso, la plebe (1) D B FRANCISOI, op.
cit.,
pag.
231-,
cfr.
(2) D B FBANOISOI, op. cit., pag. 234 seg. (3) BONFANTE, op, ciU, pag. 95 seg.
BONFANTEJ, op.
cit.,
pag.
95.
214
L'EDILITÀ IN ROMA
è il più antico municipio, vale a dire una comunità unita alla civitas, ma serbante l'antica organizzazione come ordinamento locale . .. Anche nelle relazioni dei patres con la plebs durante le lotte diuturne della prima fase ci si offre quella forma internazionale a cui probabilmente debbono la loro origine i più antichi municipii, quando il carattere di questa istituzione non era ancora ben fissato : il foedus «. Ciò rimane naturalmente assai dubbio, anche se appare molto verisimile che vi sia senz'altro più di un punto da ac cogliere, ma in realtà può importare poco se un vero e proprio comune plebeo risalga ad epoca regia con un'organizzazione quale quella cui pensano il Bon fante e il De Francisco Il De Sanctis, ritenendo senz'altro inadeguate le teorie precedenti quella del Mommsen — egli accetta, come già abbiamo detto, la tesi del Meyer — si sofferma specialmente a discutere appunto le pagine del Mommsen, mettendo in particolare evidenza che i legami fra i clienti e i loro patroni patrizi sono di tal natura da escludere la possibilità che si formasse su tali basi « una casta così rigidamente separata dal patriziato come la plebe del secolo V»(l); e il Giannelli rincalza facendo osservare il numero elevatissimo dei plebei, sicché egli si cbiede «come si possono giustificare tanti clienti in uno Stato ordinato con forme sociali delle più semplici, basate sulla solidità del vincolo famigliare, e con scarsissimi e rudimentali commerci con l'esterno, con povertà di vita per tutti e quindi con pochissimi schiavi »(2). Esclusa la teoria del Mommsen, va respinta anche quella del Neumann (3), che, sviluppando il concetto del Mommsen, aveva visto nella lotta tra patrizi e plebei un fenomeno derivante dal tentativo dei clienti, lavoratori dei campi, di emanciparsi dai grandi pro prietari. È chiaro che questa lotta avrebbe anche portato come immediata conseguenza la rescissione dei legami esistenti fra le due classi. Ma già il De Sanctis ne criticava la teoria, minandola direttamente alla base e rifiutando — sostenuto (1) D E SANCTIS, op. cit., pag. 228. (2) GIANNELM, op. cit., pag. 54.
(3) NEUMANW, Die Grundherrschaft der römischen Republik, Strassburg 1900.
PRIME AFFERMAZIONI DELLA P L E B E ROMANA
215
da una valida argomentazione — di identificare il cliente col servo della gleba (1): tolta di mezzo questa identificazione, risultava uno sforzo vano quello di procedere su una via che non avrebbe potuto condurre ad alcun risultato concreto. Al De Sanctis si potrà forse obbiettare la constatazione che tra le origini di Eoma e il V secolo troppo tempo è trascorso, non tanto in rapporto alla materiale differenza di età — circa tre secoli se stiamo alla tradizione —, quanto invece perchè troppi punti della storia di Roma regia sono ancora del tutto oscuri e ben difficile sarà il portarvi luce sicura. D'altronde non è impossibile pensare che il dominio etrusco, ammesso dallo stesso De Sanctis (2), abbia in qualche modo potuto approfondire una divergenza preesistente tra le due caste. Sarà opportuno ricordare a questo proposito che Roma fu forse sotto i Tarquini la città egemone del Lazio (3) e, certo, ebbe di gran lunga aumentata la propria popolazione da ele menti stranieri trapiantati in essa per lo sviluppo dei com merci e delle industrie, elementi che poterono giungere da centri più o meno vicini (4) e furono certo protetti dai re per la necessità stessa di incrementare la grandezza e la potenza del loro dominio. Taluni nomi plebei sembrano senz'altro di origine straniera e stranieri dovettero essere i plebei che li portarono (5). Persino taluni nomi patrizi, e non sono pochi, (1) D B SANCTia G., Storia dei Romani, (2) D E SANCTIS, op.
cit.,
vol. I, cap.
I 227 e D. 1. XII.
(3) Si veda a questo proposito FRACOARO P., in Atti del Congr. Intern, di Dir. Romano, voi. I, pag. 196 segg. Cfr. BELOCH, op. cit., pag. 180 segg. (in cui si am mette una supremazia di Koma, almeno religiosa, dopo la distruzione di Alba) *, PASQUALI G., La grande Roma dei Tarquini, in Nuova Antologia 1986, estratto di pagine 14 ; SHERWIN W H I T E , op. cit., pag. 11 segg. (sulla traccia del Fraccaro)-, GIANNBLLI, op. ciU, pag. 65 segg. e 91. Infine, ultimamente, CANAVESI M., La politica estera di Roma antica, I 13 seg. (4) Ofr. LAST. H., in C. A. H. V I I (1828), pag. 420 segg. A pag. 421 seg. egli scri ve : *.The plebs is a composite body, but fioman by birth or naturalization, and, in the opinion of the present writer, the theory t h a t the difference between patrician and « plebeian is due to a difference of race is unacceptable, the more so as the Roman seem to have recognized no racial distinction between the orders in historical times ». (5) KUBITSOHEK W.", De romanorum tributivi origine ac propagalione, pag, 20 ;
216
L'EDILITÀ IN ROMA
paiono indicare un'origine non romana, come ha visto il Pais(l). Bisogna inoltre tener conto del fatto che la lotta fra patrizi e plebei assume in certi momenti un carattere essenzialmente religioso : i plebei infatti sono accusati di seguire culti e riti diversi dai patrizi (2), e ciò non avrebbe alcun valore, né alcun motivo di plausibilità se l'origine di tutti i plebei e di tutti i patrizi fosse la stessa, giaccbè, in questo caso, la posteriore differenziazione non avrebbe potuto diflerenziare anche i culti delle due caste. Ma conviene qui notare che l'accusa di cui si parla potrebbe anche essere frutto di induzioni annalistiche. La distinzione tra patres e plebei ha quindi una base solo nella questione degli auspicio,, di cui non si può qui tener conto (3). La tesi del De Sanctis resta quindi sostanzialmente inat taccabile. Nella disputa è entrato anche lo Zancan (4), il quale è tornato alla teoria del Mommsen, ritenendo di trovarne la giu stificazione nella natura stessa della clientela. « Ohe (i clienti) — egli scrive — fossero cittadini, non credo possa seriamente negarsi: ma erano inoltre possidenti e, come tali, combattenti. Erano (ripetiamo) piccoli possidenti, che trovavano una neces saria integrazione ai loro redditi nella concessione a precario. Ora le condizioni giuridiche dei plebei, cittadini, soldati, ma esclusi dal connubio e dalle cariche pubbliche, sono così coerenti con quel che conosciamo delle condizioni sociali dei clienti da far ritenere che le une rispecchino le altre. L'esclu sione dal connubium e dalle magistrature si spiega infatti pensando aWobsequium che essi dovevano ai patrizi, e che dipendeva, in definitiva, dalle loro condizioni d'inferiorità economica. Il plebeo non deve però Vobsequium, perchè non è cliente, ma è un ex-cliente che, uscito di tutela, vuol fare
DBHermes SANCTIS, op. cit.(1913) , II, pag. I ; 359ROSENBERG A., Studien zur Entstehung der Flebs, in XLVIII segg. E;infra, , Rictrehe sullan. storia e sul diritto pubblico di Roma, li 97 sg. (((213))) PAIS CfCfrr.. infra pag. 218, 3. (4) ZANCÀN IJ,t, pag. Ager219.publicus, pag, 17 segg.
PRIME AFFERMAZIONI DELLA PLEBE ROMANA
217
da sè e reclama il completo pareggiamento giuridico coi patrizi » (1). Ma la tesi dello Zancan presta il fianco ad obbiezioni ab bastanza gravi. Prima di tutto si osserverà infatti che quanto noi conosciamo delle condizioni sociali dei clienti può anche non corrispondere alla loro situazione originaria; in secondo luogo urta contro una caratteristica della clientela stessa, che è ereditaria e quindi non si annulla; inoltre è forse data im portanza eccessiva nWobsequium, a discapito di altri elementi religiosi : pare infatti che il cliens assuma talora addirittura il gentilizio del patrono, di cui certo abbraccia i culti, distin guendosi in tal modo dal resto della plebe (2). La stessa «serrata» del patriziato che dette origine alle lotte fra plebe e patrizi per il pareggiamento dei due ordini pare invece dimostrare che, per un certo periodo almeno, fu possibile l'ascesa di famiglie nuove al patriziato (3), il che forse non sarebbe stato possibile se tutti i plebei fossero stati tenuti, come ex-clienti, alYobsequium. È facile infatti supporre che, se anche il plebeo si fosse sottratto per conto suo a questi doyeri, non altrettanto facilmente avrebbe dimenticato i propri diritti il patrizio: e ve n'è esempio anche in epoca storica(4). (1) ID., ibid., pag. 18. (2) DB SANCTIS, op. cti., I 228, secondo il MOMMSEN, Rom. Forschungen, I 366.
(3) Le minores génies risalirebbero al regno di Tarqutnio secondo Liv., [ 85
e Cic, de r. p . II 20, 35; cfr. DION. H.AL., I l i 67.
A Giunio Bruto le fa risalire TAC., Ann. XI 25 ; cfr. FEST., pag. 304 L. ; PLUT., Poplic. 11. Quanto a SUHT., Aug. 2, parlando della gens Octavia^ afferma che essa fu « a Tarquinio Prisco inter minores gentes adlecla in senatum, mox a Servio Tullio in patricios traditela ». Il confronto fra Tacito e Svetonio ha fatto sì che il MOMMSEN (op. cit., Ili 31, n. 1) accusasse Taoito di confondere l'incorporazione dei plebei in Senato ad opera di Tarquinlo con la ricezione delle minores gentes patrizie fatta da Bruto. Comunque vada risolta la questione, pare certo che almeno Bruto ammise in Senato degli autentici plebei. Altre fonti sull'ammis sione di nuovi elementi in Senato all'inizio della repubblica sono PEST., S. V. Aliseli y pag. 6 L. ; Conscripti, pag. 36 L. ; Qui patres qui conscripti, pag. 304 L. ; Liv., Il 1, 10-11. Si veda anche DION. HAI,., V 13 che, come SVETONIO (loc. cit.) parla espli citamente di plebei conscripti nel patriziato (cfr. anche PLUT., Quae$t. Ronu 58). Le minores gentes sarebbero dunque di origine plebea. Si veda anche DE SANCTIS, op, cit., I 233-231. L'opinione che il patriziato non fosse una casta chiusa è espressa anche dal NICCOLINI, Il Tribunato della plebe, pag. 7. (4) PLUT., Mar. 5, 5 (clientela dei Marti verso gli Uerennii).
218
L'EDILITÀ IN ROMA
Sostanzialmente la questione trova dunque ancora la sua mi gliore soluzione nei termini proposti dal Meyer, dal De Sanctis, dal Beloch e dai Giannelli. D'altra parte può essere una questione di poca importanza il decidere se la clientela sia posteriore alla plebe, come ul timamente ba sostenuto il Giannelli, o sia anteriore ad essa, come pensa ancora lo Zancan, quando si creda cbe, in un'epoca o in un'altra, parte dei plebei o tutti i plebei siano stati clienti dei patrizi. A noi interessa piuttosto notare che, quando cominciano le lotte fra le due classi di cittadini, esse non hanno più rapporti del genere se non per eccezioni : in altri termini, chi lotta per il pareggiamento dei diritti civili non sono i clienti come tali, ma i plebei come uomini liberi di sé e dei propri beni(l). A questo punto sarà opportuno rilevare che, mentre da un lato appare possibile che dei plebei siano stati ammessi in Senato in età regia (2), dall'altro ci si dice che ad un certo momento la questione degli auspicio, separa nettamente pa trizi da plebei (3). A questa apparente contraddizione corri sponderebbe una strana situazione : la plebe si troverebbe in quel momento divisa in due tronconi: una parte, ammessa in Senato, parteciperebbe attivamente alla vita pubblica, l'altra, esclusa da ogni diritto, e composta di individui che si trovano giuridicamente nella condizione — o quasi — di municipes, è costretta alla ribellione. Come si può spiegare questo fatto ì Non valse dunque sempre, fino al pareggiamento dei due ordini, il motivo religioso degli auspicio, a distinguere i patrizi dai plebei ? Crediamo di poter avanzare l'ipotesi che il momento in cui il patriziato romano si libera dal potere regio vada considerato come data della nuova situazione. È facile infatti osservare che l'autorità regia, consacrata dal po polo curiato, non ha bisogno di speciali auspicio per i suoi magistrati, perchè questi promanano da quella. Se poi si am mette che la politica dei re etruschi cercasse nella plebe un (1) NICCOLINI, op. cit., pag. 5 a e g g . (2) Cfr. supra, pag. 217, D . 3. (3) Lw., IV 3; VII 6; cfr. V 14 ; V I 41 ; DION. H A L . , X I 56.
PRIME AFFERMAZIONI DELLA PLEBE ROMANA
219
sostegno contro l'aristocrazia indigena avida di libertà, non si vede perchè i plebei non potessero essere chiamati a co prire cariche che, in definitiva, dipendevano tutte dal potere regio. Possiamo dunque credere che la rivolta della nobiltà in digena contro i re etruschi sia stata la causa prima della necessità degli auspicio,, riconoscendosi la necessità che i ma gistrati della nuova res publica libera si assicurassero il favore divino incentrato in precedenza nella persona del rex. Così potè avvenire anche la serrata del patriziato, riconoscendosi alle sole genti patrizie, autrici della rivoluzione, la capacità, se così può dirsi, di agere cum diis: gentes maiores e gentes minores diedero i loro esponenti al Senato, e la distinzione dei due gruppi — corrispondente forse a quella fra patres e conscripti — rimase, possiamo pensare, a testimoniare la ne cessità dei patrizi di accettare de facto l'immissione di famiglie plebee nei ranghi del patriziato. Esclusi dagli auspicia tutti gli altri cittadini, che nelFordinamento centuriato avevano forse intravista la possibilità di partecipare attivamente alla vita politica dell'Urbe (1), essi si servirono dei propri capi per riorganizzarsi e per ribellarsi al nuovo stato di cose : la loro ribellione non si fece atten dere perchè interessi troppo gravi urgevano ed incalzavano. La loro prima vittoria potè essere costituita dal riconosci mento di capi propri (2). Ohi fossero questi capi non possiamo dire con sicurezza; taluni pensano senz'altro agli edili (3), ma (1) A proposito dell'ordinamento centuriato mi attengo a quanto ne scrissi in Mondo Classico 1939, Supplemento, pag. 1 segg. ove si troverà discussa la più recente bibliografia. Qianto al valore politico di quest'ordinamento ritengo naturalmente che» ammettendo la partecipazione dei plebei alle varie classi, non sia possibile escludere la loro attività nel campo elettorale e — quindi — politico. Nell'art, cit. concludevo, anzi, esprimendo l'ipotesi che la riforma • serviana», di età regia, avesse un carattere «almeno apparentemente popo lare», sembrando essa appoggiarsi sulle classi minori. Siamo naturalmente nel campo delle ipotesi, ma se effettivamente può ac cogliersi la cronologia da me proposta, che concilia fra di loro le opinioni ultime del DB SANCTIS e del FRACCABO (ivi citati), non parrà da escluderai quanto dubitativamente propongo nel testo. (2) Liv., II 33; DION. HAL., VI 89. (3) BONFANTE, op. cit., pag. 95; DE FRANCISCI, op. cit., pag. 232 seg.
220
L'EDILITÀ, I N
ROMA
sarà forse opportuno ricordare l'etimologia varroniana secondo cui i tribuni plebei avrebbero preso quel nome per analogia con i tribuni militum (1). Tribuni plebei poterono infatti aversi già con l'ordinamento serviano, secondo il quale appunto la plebe entrò nell'esercito (2), e non è da escludere senz'altro la possibilità che essi rappresentassero e tutelassero i diritti dei plebei di fronte ai tribuni militum patrizi, opponendosi loro nelle leve quando fossero lesi interessi plebei (3). O, forse, essi furono i capi delle tribù territoriali, in cui i plebei erano in maggioranza e di cui dunque sarebbero naturalmente stati portati a difendere i diritti. Ma è inutile tentare di risolvere qui un problema cui dedicarono la vita intera studiosi di valore (4). A noi per ora interessa soltanto notare che la tradizione presuppone tribuni plebei anteriori alla secessione: questi do vettero essere i suoi capi nella rivolta. La secessione, poi, avrà generato gli edili (5). (1) VARR., de l. I. V 81. Si veda ALTHKIM F . , Lex sacrata, Amsterdam 1989, p a g . 30 segg. (2i Ritengo opportuno, pur senza sopravvalutarne l'importanza, ricordare qui l'esistenza in iscrizioni etnische di uno speciale magistrato detto zil eteraias 0 zilath eterav che, secondo il PAIXOTTTNO ( Gli Etruschi, pag. 245) sarebbe e forse pretore addetto alla classe degli etera, gli estranei alle genti» e cioè, dovremo dire, il « pretore della plebe •. Si osservi che esso coinciderebbe bene con il tribuno che si oppone al praetor patrizio riguardo alle leve (su ciò cfr. n. 3). (3) NICOOUNI, // Tribunato, pag. 108, n. 1. (4) Basterà ricordare l'opera già citata del NIOOOLINI e, dello stesso autore, 1 Fasti dei Tribuni della plebe (1934), oltre a numerosi altri suoi scritti minori. Ivi si troverà la bibliografia sull'argomento. Si aggiunga SIBEB H., Die plebejischen Magistraturen bis zum lex Hortensia (1936). GOBNEUUS F., Untersuchungen zur frühere römischen Geschichte (1940), pag. 109 segg. (5) Cfr. infra, pag. 221 segg.
IL L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA Si è molte volte affermato cbe dall'etimologia del nome della nostra magistratura si può ricavare qualche luce sul l'origine di essa(l). Per quanto riguarda almeno Eoma ciò non pare sicuro. A parte la derivazione da aditus (2) troppo evidentemente falsa, bisogna però prendere in considerazione le spiegazioni di altri antichi che connettono e aedilis » con e aedes » (3). Non ne risulta chiarito se le funzioni degli edili fossero sacre o profane o, contemporaneamente, sacre e pro fane, ma la logica condurrebbe piuttosto — almeno a prima vista — a propendere per il carattere sacro dell'edilità, non essendo possibile pensare che, almeno originariamente, gli edili plebei potessero intromettersi in questioui di carattere urbano, se queste spettavano ai magistrati urbani e cioè ai magistrati patrizi soli riconosciuti dal Senato di Roma. V'è tuttavia da osservare che, anzitutto, il tempio di Ce rere, di cui dovrebbero essere stati originariamente aeditui i futuri edili della plebe, fu — almeno secondo la tradizione — dedicato ed eretto da magistrati patrizi (4) e perciò, se fos ti) Fra gli ultimi autori citeremo il ROSENBERG (op. cit., pag. 1-2), il BELOOB (op. cit., pag. 277) ; il STBHB (op. cit., pag. 8). Per quest'ultimo anzi l'edilità è antica quanto il culto plebeo e, perciò, più antica del tempio (op. cit., pag. 9 e n. 24 ; cfr. pag. 14). Anche il CIAOEEI (Le origini di Roma, pag. 429) crede gli edili ante riori ai tribuni con funzioni sacerdotali. (2) FKST., pag. 12 L. ; THEOFHIL., Inst. I 2, 7.
(3) DION. HAL., VI 90 ; Dig. I 2, 2, 21 ; LTD., de mag. I 36. Secondo questi autori il titolo andrebbe connesso con aedes nel senso di tempio. Varrone in voco (de l. I. V 81; cfr. FEST., pag. 12 L.) lo connette con le aedes sia sacre che private. (4) Il tempio di Cerere fu votato nel 496 dal dittatore A. Postumio e de-
222
L'EDILITÀ IN ROMA
sero stati plebei tali aeditui, le loro mansioni non avrebbero potuto avere alcun vero carattere sacerdotale. A parte ciò, bisognerà anche tener presente che la connessione originaria fra gli edili e il tempio si basa soprattutto sul fatto che gli edili plebei conservarono nel tempio di Cerere l'archivio e il tesoro della plebe (1). Si osserva giustamente che tra le fun zioni che gli edili plebei ebbero in tempi posteriori le sole che abbiano la possibilità di essere considerate originarie sono appunto quelle connesse col tempio. La considerazione in parola non tiene però conto del fatto che gli edili della plebe possono essere sorti anche per imitazione degli edili latini (2). E, in questo caso, ogni discussione sui rapporti fra il nome degli edili plebei e le loro funzioni originarie sarebbe del tutto vano, essendo chiaro che i rapporti fra gli edili e il tempio potrebbero essere anche analoghi a quelli fra i questori patrizi e il tempio di Saturno, da cui essi non trassero affatto il nome di aediles ciimles o di aediles Saturni. Né credo veramente utile un esame particolare delle fonti antiche sulle origini dell'edilità plebea. Esso pare condurre piuttosto ad un risultato negativo, nel senso che una vera e propria tradizione al riguardo non doveva esistere. Co munque, anche per giungere soltanto a questa conclusione, un rapido sguardo potrà essere interessante. Abbiamo a nostra disposizione anzitutto un passo di Festo(3), da cui si ricaverebbe che gli edili della plebe furono creati insieme coi tribuni € dissidente plebe». Secondo Dio nigi d'Alicarnasso invece (4) sarebbero stati eletti nel 493 cinque tribuni per volontà della plebe e, oltre ad essi e col consenso del Senato avôçaç, ovg vjvr\Qéxa<; twv Onu-dcx0^ x ^ cruvctQxovTaç xal ôixaarctç InaXovv» e che in seguito avrebbero dicato dal console Sp. Cassio nel 493 secondo DION. HAL., VI 17 e 94. Cfr. T A C , Ann. II 49 ; VITR., Ili 3, 5 e PLIN., n. h. XXXV 12, 154 (dai quali ultimi tuttavia non risulta quanto ci interessa ora). (1) Liv., Ili 55, 13; Dig,, I 2, 2, 21. Cfr. D B SANCTIS G., Storia dei Romani, Li 37. (2) Cfr. supra, pag. 118 segg. (3) FEST., pag. 258 L.
(4) DION. HAL., VI 89-90.
t/ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
223
assunto il nome di edili. Secondo Zonara poi (1) gli edili sa rebbero stati eletti dai tribuni in numero di due « olov VTC^QÌXOU; oqpioiv zoo\iévovç jtQÒc YQd\i\iaTa»; mentre Gellio(2), abbreviando, scrive che « tribunos et aediles tum primum per seditionem sibi plèbes creavit » e il « tum » si riferisce a poco tempo prima del l'esilio di Ooriolano. Per completare il quadro non resta che un breve accenno del Digesto (3), di cui ci occuperemo più avanti. Le tonti sono dunque concordi su un punto solo : l'edilità plebea sorge al tempo della secessione quando il Senato, costrettovi dall'azione rivoluzionaria della plebe, deve rico noscerne l'importanza, sancita anche dalla dedicazione del nuovo tempio di Cerere. Ma il problema non è così semplice come può apparire a prima vista e non ha certo contribuito a chiarirlo né la troppo breve trattazione del Mommsen (4), né, tanto meno, la sicu rezza con cui il Beloch si tenne in diritto di affermare che gli edili furono in origine quattro (5), anziché due come con cordemente affermano le fonti. Così facendo, infatti, il Beloch attribuisce agli edili — che definisce « Gebäudeherren », mentre il Mommsen li aveva definiti e Tempelherren » — po teri che paiono esorbitare dalla competenza di funzionari ple bei in una città in cui abitano anche, e da padroni, cittadini patrizi. 11 Beloch basa la sua affermazione sulla constatazione che il numero di quattro e entspricht den vier Stadtbezirken und ist also offenbar ursprünglich» (6). Ma ciò é veramente troppo, né vale a dargli maggior peso la notizia di Zonara (7) che nel 471 «xal toùç âyoQavô\iov(; ôè xal xovç bi\\idQiovç êjrryuÇr|aav, iva jtXeiato'uç TOÙÇ autaw jtçouata(jivovç e'/coai ». La notizia, trascurata dal Mommsen, potrebbe, se presa in considerazione, (i; ZON., VII 15, 10. (2) GELL., XVII 21, 11.
(3) Dig., I 2, 2, 21. (4) MOMMSEN, op, cit., II» 470 segg. (5) BBLOOH, op. cit., pag. 277 seg.
(6) ID., ibid. Ma la sua affermazione si fonda soltanto su di un passo di Z o NABA (VII 17), che è stato giustamente posto in dubbio dal SIBER (op. cit., pag. 8). (7) ZON., V I I 17.
224
L'EDILITÀ IN ROMA
dimostrare il contrario di quanto vorrebbe il Beloch, perchè ne risulterebbe esplicitamente che il numero degli edili, come quello dei tribuni, non fu sempre uguale. Questo passo di Zonara non può tuttavia essere soprav valutato : va però tenuto presente perchè, se venisse accolto come fededegno, potrebbe servire a ben altro. Altrettanto si deve dire di un luogo di Dionigi d'Alicarnasso (1) riguardante il nome origiDario degli edili, che, trascurato dal Beloch, era già stato considerato dal Mommsen degnò di scarsa conside razione : « wird nicht viel zu geben sein » (2). Tuttavia né il passo di Dionigi d'Alicarnasso, né quello di Zonara possono essere seriamente discussi se non entrino nel gioco serrato di tutta una più vasta serie di considerazioni. Pare invece opportuno toccare subito dei primi rapporti fra edili e tribuni, dei primi atti degli edili ricordati dalla tradizione, dei rapporti stessi fra plebe e patriziato. Questo anzi pare il primo punto e il più importante, ma non parrà fuor di luogo il ritenere che le magistrature plebee siano sorte quando, avendo la plebe raggiunta una sufficiente coscienza della propria forza, tentò di scuotere il giogo della sua infe riorità organizzandosi con capi propri che ne tutelassero gli interessi. In questo senso sarà logico parlare di una vera e propria rivoluzione, che trova il suo episodio primo e più vi stoso nelle secessioni, una o più poco importa, da cui la plebe uscì col riconoscimento non soltanto dei suoi tribuni, ma anche dei suoi edili (3). Ecco perchè bisogna ritenere che, anche per lo studio del l'edilità, non si possa prescindere da talune questioni inerenti al tribunato. Questa considerazione del resto è già implicita nelle fonti, che non disgiungono mai l'origine dell'edilità da quella del tribunato. La plebe, come abbiamo visto, trae, senza dubbio, nuovo impulso da elementi non indigeni, provenienti da vari centri (1) DION. HÀL., VI 90. (a) MOMMBEN, op. cit., II3 471, n. 2.
(3) Cfr. supra, pag. 219, seg. Si veda infra, pag. 240 e n . 5 sulla questione del foedus, che il Bonfante e il De Francisci (II. ce.) ammettono come base del ri conoscimento di magistrati plebei.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
225
del Lazio, della Sabina, della Campania, e, insomma, di tutti i popoli che, in un modo o nell'altro, vengono ad avere inte ressi o rapporti con Roma. Con la serrata del patriziato, la questione degli auspicio, pone i plebei in condizioni di netta inferiorità, ma, poiché nulla è solido e duraturo quanto un vincolo sacro, sarà appunto un vincolo religioso quello che legherà fra di loro i plebei. Quel vincolo avrà alla base un culto comune a genti di così varia origine: e il tempio di Cerere assumerà effettivamente il carattere di santuario della plebe (1). Secondo la tradizione, il tempio sorge appunto, press'a poco, nel momento stesso in cui la plebe si ribella, ed è vo tato e dedicato in un giro d'anni cruciale non solo per la storia interna, ma anche per la vita stessa di Roma impe gnata in dure lotte esterne (2). È il momento in cui Roma ha più bisogno che mai dell'aiuto della plebe, e la plebe ne approfitta ottenendo il riconoscimento della sua organizzazione che — fino al momento della secessione — poteva avere, se l'ebbe, un carattere puramente difensivo e, perciò, non ben definito anche perchè in via d'evoluzione: possiamo credere che fino a quel tempo la sua importanza fosse — comunque — ben limitata. Certo è però che non potremmo immaginare le secessioni senza i tribuni che ne sono l'anima; ed altrettanto probabile è che prima preoccupazione dei tribuni siano state le questioni economiche, come pare risulti da tutta la tradizione (3). La (1) PAIS E „ Ricerche cit., I l i 297. (2) Secondo D I O N . H A L . , V I 17, 2 ; 94, 3, il tempio fu votato nello stesso anno della battaglia del Begillo ed eretto tre anni dopo in un periodo di carestia. (H) Cfr. NICOOLINI, Fasti cit. È da rilevare che questa loro attività fu pos sibile ai tribuni in quanto essi potevano imporre la loro volontà mediante leggi sacrate, che erano altrettante sfide al prepotere patrizio. P e r il presunto ca rattere militare del loro potere rinviamo ad ALTHEEM:, op. cit., pag. 34, osservando che, comunque, il patriziato non potrebbe sostenere le sue lotte con gli stra nieri se non avesse l'appoggio della plebe. Per il carattere di « rivoluzione permanente » dell'attività organizzata dei plebei, si veda, ultimamente, SiBER, op. cit., pag. 14. 16
226
L'EDILITÀ IN ROMA
plebe insomma pare riconoscere, almeuo per un certo periodo, la sua impossibilità ad ingerirsi direttamente nella politica estera di Roma. I compiti dei capi plebei saranno dunque esseuzialmente amministrativi rispetto alla plebe, politici in vece soltanto per i rapporti fra plebe e patriziato. Ma è evi dente che soltanto i compiti del primo tipo saranno normali, rientrando nel quadro delle attribuzioni che diverranno poi consuetudinarie per i capi di municipii. La capacità politica dei capi plebei sarà invece del tutto precaria: e ciò è dimo strato da parecchi fatti ricordati dalla tradizione (1). Possiamo anche osservare che, se duplice è veramente la funzione dei capi plebei, non ci deve meravigliare l'esistenza di due magistrature distinte — tribunato ed edilità — anche se unite, come è possibile, in unico collegio. Inoltre, forse, si comprende anche perchè — secondo talune fonti — gli edili siano considerati viatores dei tribuni (2), quando si ammetta che questi ultimi non possono essere considerati come i capi ufficiali della plebe mentre in età storica è vero il contrario. Così, almeno, doveva pensare già Dionigi d'Alicarnesso, se condo cui gli edili vengono eletti col consenso del Senato, mentre i tribuni sono il frutto diretto della ribellione (3): soltanto gli edili sarebbero dunque stati riconosciuti dal Se nato in base all'accordo, anche se i tribuni sussistono e man tengono, o si arrogano, funzioni diverse da quelle riconosciute agli edili (4). In realtà gli edili paiono rappresentare il primo passo verso (1) Per i tribuni — che saranno appunto i rappresentanti politici della plebe — si veda Liv., II 56, 13; ZON., VII 15; cfr. PLTST., Quaest. Rom. 81 e, fra gli studiosi moderni: MOMMSEN, op. cit., IP 281; HERTZOQ, Gesch. und System der röm. Staatsverfassung, I 1143, n. 4 ; DE SANCTIS, op. cit., II 26 ; DB FRAN CISCO, op. cit., I 244. (2) Cfr. DION. HAL., VI 90 ; GELL., XVII 21, 11 ; ZON., VII 15, 10. Sui rap porti originari fra tribuni ed edili cfr. ultimamente SIBEB, op. cit., pag. 9 seg. :
secondo quest'autore edili e tribuni si svilupparono indipendentemente gli uni dagli altri : quelli con carattere sacro, questi con carattere politico ; ma i tri buni seppero presto prendere il sopravvento perchè più attivi. (b) DION. HAL., VI 89 90.
(4; Si ricordi l'episodio di Appio Claudio che manda il suo littore al tribuno t privatum esse e lami tana, sine imperio, sine magistrato» (Llv., II 56, 13).
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
227
la pacificazione definitiva, mentre i tribuni rimangono Parma difensiva e, in certo senso, offensiva della plebe : gli edili rappresentano Pordine, i tribuni la rivoluzione permanente : gli edili trovano nel tempio il loro centro dazione preoccu pandosi soprattutto di mantenere o procurare il benessere interno dell'organizzazione plebea, i tribuni lottano con il pa triziato sulla base delle leges sacratae. Ma gli uni e gli altri concorreranno insieme, sostenendosi vicendevolmente, nei casi in cui ciò apparirà necessario.
Ed ora, a proposito di quanto s'è detto, esaminiamo più minutamente la tradizione." Essa ricorda fra il 493 e il 471 un solo episodio in cui compaiono gli edili (1). Questo episodio narrato da Dionigi d'Alicarnasso, mostra in strettissimi rapporti edili e tribuni. Si può anzi dire cbe il protagonista è un edile, il quale ha il potere di convocare la plebe, non solo, ma pare anzi superiore ai due tribuni che agitano la massa : tanto è vero che è proprio lui, Pedile Giunio Bruto, colui che riesce a sedare un tumulto, rivolgendosi di rettamente ai consoli; è lui che suggerisce ai tribuni la lex contra verba atque interfationem ; è lui insomma quegli che la plebe segue e il Senato teme. Poco tempo dopo un altro incidente, provocato da Coriolano, spinge i tribuni a tentarne il processo per aver egli mancato contro le leges sacratae (2). E anche in questo caso compaiono gli edili, cui i tribuni ordinerebbero di arrestare il superbo patrizio. Questo è tuttavia Punico esempio antico di prensio da parte degli edili ordinata dai tribuni, cui si rife risce anche un altro passo dello stesso Dionigi d'Alicar nasso (3). In quest'ultimo appunto si narra come i tribuni condannino Ooriolano per aver egli respinto, colpendoli, gli edili andati per arrestarlo. Ma il gesto di Ooriolano ammesso (1) DION, HAL., YIL 14 segg.
(2) Le fonti in NICCOLINI, Fasti, cit., pag. 7 seg. (8) DIOM. HAL, VII
36.
I/EDILITÂ IN ROMA
228
che fosse reale, si spiegherebbe soltanto negando agli edili — come del resto pare logico — la capacità dì arrestare un membro della civitas patrizia: l'intervento degli edili, se questi furono effettivamente invitati alla premio dai tribuni, era un gesto rivoluzionario, non certo giustificabile normalmente. E del resto v'è un terzo passo di Dionigi fi), in cui è narrato come i tribuni abbiano ordinato « ürcricetaic te x-al àyopavo^ioiç > di incarcerare i consoli dell'anno 455. Ivi la distinzione fra viatores e aediles è netta, e non v'è dubbio che l'arresto debba essere compiuto da quelli e non da questi. La tradizione non è dunque affatto sicura. Nell'episodio di Ooriolano la posizione degli edili pare invece rispondente all'inesatta affermazione dello stesso Dio nigi d'Alicarnasso, il quale afferma appunto che essi furono in un primo tempo detti v^peTai (dei tribuni) xal cruvdgxovteç xal ÔLxaata[(2); ma, in realtà, anche questa definizione non può essere accolta senza cautele, poiché è difficile ammettere — secondo la concezione romana — che dei cruvdoxovteç pos sano essere nello stesso tempo degli v7ir\Qexm. Si potrà però pensare che il terzo titolo loro attribuito — ôtxaorat — cor risponda abbastanza bene alla prima cura di coloro che, a detta dello stesso Dionigi, si chiamarono poi edili. Questo, infatti, potè essere uno dei loro compiti essenziali, se si può ritenere che, come capi ufficialmente riconosciuti dell'organiz zazione plebea, fossero anche capaci di giudicare le liti fra ple bei e, pertanto, dotati di coercitio verso i loro amministrati. . Non pare dunque impossibile che la notizia di Dionigi contenga una traccia di verità, tanto più che non è nemmeno inverosimile che — come s'è visto — il titolo di aediles sia stato dato a questi magistrati per imitazione di quelli latini: ciò potrebbe collegarsi con l'affinità che doveva legare ai La tini una gra parte dei plebei. Si ricorderà infatti che — una volta ancora secondo la tradizione -— la plebe, durante la secessione, avrebbe partecipato, secondo talune fonti, alle ferie
(1) D>„ X 34. (2) ID., VI 89.
L'ORIGINE DELL'EDIUTA. PLEBEA
229
Latine (1): prevalendo la parte d'origine latiua, o anche sol tanto per imitazione dei modelli più vicini, la plebe avrebbe chiamato aediles i suoi iudices. Per i rapporti fra tribuni ed edili nel primo periodo della loro storia — quello che va dal 493 al 471 — è inoltre oppor tuno soffermarsi anche su alcune notizie che, in apparenza almeno, riguardano solo i tribuni. Si suppone infatti solita mente che i tribuni siano stati originariamente due (2), oppure in numero variabile (3) o, perfino, quattro (4). In realtà le fonti sono discordi su questo punto, ma dal gruppo che pare migliore (5) si può ricavare che i due primi tribuni ne avreb bero cooptati altri tre, costituendo in tal modo un collegio di cinque. Solo Dionigi d'Alicarnasso aggiunge a questi cin que tribuni i- due edili (6): Zonara parla di due tribuni e di (1) Cfr. DION. HAL., V I 95. Contra MOMMSEN., op. cit., I I s 520, n. 1. Quanto alla identificazione della plebe coi Latini si veda il già citato BINDER e le no stre riserve al riguardo : supra, pag. 212. (2) MOMMBBN, op. et/., I l "
273 seg. ; cfr. N I C C O U N I , Tribunato, pag. 35. A
due
soli tribuni regolarmente eletti nel 471 crede il S I B E B , op. cit., pag. 6 7 ; cfr. pag. 14. (3) LBNGLE, in P. W . V I A 2458, secondo M B T E B E . , in Hermes XXX (1895), pag. 4. Tra coloro che ammettono un numero diverso di tribuni ricorderemo il DE SANCTIS (in Enciclopedia Italiana X X X I V 315 sgg., s. v. Tribuno della plebe), secondo cui i tribuni stessi sarebbero dapprima s t a t i 16 o 17 secondo il numero delle tribù rustiche, poi 10 per influsso ateniese. Secondo il SIBER, op. ciL, pag. 14, i primi tribuni, il cui numero sarebbe stato fissato a due nel 471 (pag. 5 segg.), furono in origine eletti saltuariamente e rivoluzionariamente mediante acclamazione. (4) BELOCH, op. cit., pag. 275 seg. -, ma già M E Y E R , loc. cit.t pag. 6 segg. Tale numero sarebbe in relazione con quello delle tribù u r b a n e . Cfr. anche FRACCABO, in Riv. di FU. 1929, pag. 271, che, contro l'opinione del BHLOOH (op. cu., pag. 270), le fa risalire alla stessa età dell'ordinamento centuriato, mentre ritiene di età posteriore le tribù rustiche. Ma anche tale connessione non pare ammissibile. La data proposta dal MEYEK, il 471, è g i u s t a m e n t e respinta anche, ultima mente, dall'AUHETM (op. cit., pag. 31 seg.). (5) Liv., I I 33,1-2 (cfr. 58, 1); TUDIT. e P O M P . A T T . , ap. A s c , pag. 83 Giarr. ; Cic., de r. p . I I , 34, 60. Si tenga però presente che, secondo FEST., pag. 258 L . (cfr. pag. 259 L.), plebei aediles furono creati dai patrizi * dissidente plebe », m e n t r e dai plebei furono creati i tribuni (p. 424 L.) L'interpretazione del primo passo citato è però malsicura, essendo assai probabile che si debba invece intendere e dissidente plebe a patribus» come un nesso unico. R e s t a comunque il fatto che Festo non accenna alla cooptatio. (6) D I O N . H A L „ VI
90,
230
L'EDILITÀ IN ROMA
due edili (1). Gellio parla di « tribuni et aediles > senza spe cificarne il numero (2). È ovvio che la tradizione appare assai confusa e sarà pro babilmente impossibile giungere ad una esatta soluzione del problema: ma intanto appare sintomatico che Livio taccia sull'istituzione dell'edilità, proprio lui che pure è così scru poloso nel tentare, per quanto può farlo col suo ingenuo senso critico, di dare sempre una spiegazione, e possibilmente la migliore, dei fatti più oscuri. Se tace dell7istituzione dell'edi lità là dove facile gli sarebbe stato ripetere quanto scrissero altri autori, non si può credere che si tratti soltanto di un « errore di distrazione > come credeva il Mommsen (3) ; un motivo deve esserci e forse non siamo lontani dal. vero se pensiamo che il fatto si colleghi con la confusione della tra dizione sur numero originario dei tribuni: la fonte annalistica di Livio poteva ricordare due ouvdoxovteç riconosciuti e tre cooptati (non riconosciuti), e questi corrispondono assai bene ai cinque jtQooTdtai di Plutarco (4) e ai cinque ÔTJjxapxoL di Dio nigi, cui questi aggiunse due (TUV(XQXOVTEÇ (5) per la necessità di spiegare l'origine anche degli edili. Ma in quest'ultimo caso pare anche possibile che si tratti di un'arbitraria aggiunta : per lo meno bisogna osservare che VXZQÌXOLI di cinque tribuni avrebbero dovuto essere soltanto due edili, i quali, poi, se condo lo stesso Dionigi, avrebbero avuto il potere di convo care la plebe come gli stessi tribuni (6). V'è dunque la pos sibilità che abbiano avuto in origine un titolo comune: da quello stesso collegio avrebbero potuto, per ipotesi, distin guersi, col nome di edili — forse non originario — e con compiti più limitati, i due capi riconosciuti dai patrizi. Nel Digesto si legge invece che non sono due i tribuni originali, ma tre, due sono invece gli edili (7). Ancora una (1) ZON., V I I 15, 10. (2) GELL., X V I I 21, 11. (3) MOMMSEN, op. cit., Il» 470, n. 1. (4) PLUT., Coriol. 7. (5) DION. H A L . , VI 89-90.
(6) I D . , V I I 17, ove appunto agisce un edile. (7) Dig. 1 2 , 2 , 20-21.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
231
volta dunque compare il numero cinque, ma se raffrontiamo il passo del Digesto con quello di Livio, in cui il Padovano dice che furono due « tribuni » a cooptarne altri tre, ci parrà anche possibile che i due « tribuni » della tradizione accolta da Livio siano i due « aediles »; i quali, secondo Dionigi avreb bero in origine a v u t o un titolo diverso. Del resto anche nel Digesto si legge che « duos ex plebe constituerunt, qui etiam aediles appellati sunt » (1). È, comunque, evidente che, per il periodo di tempo inter corrente fra il 493 e il 471 almeno, siamo di fronte a palesi contraddizioni delle fonti e che perciò non possiamo crederle in tutto esatte: o gli edili furono effettivamente, ma non lo crediamo, viatores dei tribuni e, come tali,, non avrebbero certo avuto il potere di convocare la plebe a concilio ; o fu rono invece magistrati indipendenti, e allora la qualifica di viatores fu loro a t t r i b u i t a dagli Annalisti nell'intento di spie gare in questo modo il fatto che in età storica i tribuni sa rebbero ricorsi talora ad essi per la prensio di coloro che essi stessi accusavano (2). Riesce infatti difficile il comprendere perchè i tribuni, tipica magistratura rivoluzionaria sancita e sostenuta dal sacro giuramento della plebe tutta, non prov vedessero essi stessi alla premio e alla condanna dei loro accusati. Questo è forse il motivo per cui ad una critica pri mitiva, e fondata su elementi talora discordanti, parve neces sario affermare che ciò avvenisse perchè gli edili erano viatores dei tribuni. Ma la stessa tradizione credeva che i tribuni della plebe agissero direttamente solo quando si trattava di delitti contro le leges sacratae o v o l u t e dalla plebe, e ciò, per di più, sarebbe avvenuto soltanto in un momento assai delicato, che prelu deva ad un nuovo assestamento delle magistrature plebee. Prima del 471, infatti, la « tradizione » presenta tre casi in cui i tribuni avrebbero accusato magistrati patrizi, e sono tutti dello stesso giro di anni — fra il 476 e il 474 — imme diatamente prima della riforma provocata dalla rogatio Publi(1) Ibid. I 2, 2, 2!. (2) Cfr. infra, n. 1 a pag. 258,
232
L'EDILITÀ IN ROMA
Uà. Si può osservare che si tratta di un momento in cui la forza dei tribuni, sostenuti dalla massa plebea, si fa particolar mente minacciosa, tanto è vero che i patrizi dovranno accet tare nuove condizioni. Ma anche in questi tre casi vi sono elementi tali da far giudicare possibile che i compiti dei tri buni dovessero essere ritenuti dagli Annalisti di natura ana loga a quella dol loro tempo : fanno sempre da sfondo le agi tazioni per le leggi agrarie, anche se in due dei tre casi compare altresì un motivo militare. Nel 476, infatti, Q. Gonsidio e T. Genucio accusano il con sole T. Menenio, cui « invidiae erat amissum Gromerae praesidium » (1). Nel 475 L. Oedicio e T. Stazio accusano Sp. Servilio, « et huio proelium cum Tuscis ad Taniculum erat crimini » (2). Né nel primo caso, né nel secondo dunque la stessa tra dizione vedeva una competenza degli edili, poiché non li fa ceva comparire sulla scena : si riteneva quindi che le accuse fatte ai due ex-consoli esorbitassero dal loro campo d'azione, il quale pertanto risulterebbe limitato alla sfera amministrativa. Nel 474 infine On. Genucio, tribuno della plebe, avrebbe arrestato i consoli uscenti per essersi questi opposti ancora una volta all'attuazione della legge agraria (3). Anche questa volta, gii edili non sono chiamati in causa e non compaiono nemmeno come viatores dei tribuni. I tribuni agiscono invece direttamente come difensori di una legge voluta dalla plebe. Base di questa loro attività è del resto una legge sacrata attri buita al 492, di cui sarebbero stati protagonisti, accanto ad un tribuno, anche due edili : 0. Sicinio e L. Bruto, i primi edili della tradizione. Si tratta della lex Sicinia contra verba atque interfationem. Ancora una volta la posizione dei due edili non appare per nulla quella di subordinati : essi sarebbero gli stessi uomini che per primi avrebbero condotto la plebe alla rivolta nel 493 : due ex-tribuni dunque ; e questa constatazione pare di per (1) Liv., II 52, 3 ; D I O N . H A L . , I X 23, 2«, 27. (2) Liv., II 52, 6 ; cfr. D I O N . H A L . , I X 28-33. (3) Liv f , II 54, 1, Cfr. NICCOLINI, Farti
cit., pag. 13 seg.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
233
sé escludere che la loro nuova carica fosse ritenuta — dagli Annalisti almeno — inferiore a quella dell'anno precedente: sono anzi proprio essi, con la loro autorità, coloro che paiono guidare ancora la plebe. La legge, è vero, prenderebbe nome dal tribuno; ma ciò può avvenire anche soltanto perchè agli edili non si attribuivano facoltà legislative : il potere loro ri conosciuto dai patres, in realtà, non va — anche secondo la tradizione — oltre il limite di compiti puramente amministra tivi. Perciò per essa è un tribuno, sostenuto da una lex sacrata che ne sancisce l'inviolabilità, l'autore della nuova lex sacrata che ne garantirà per l'avvenire la possibilità di agere cum plebe indisturbato (1). In conclusione si può dire che, secondo la « tradizione » riguardante il periodo compreso fra il 493 e il 471, il tribuno avrebbe agito direttamente, e solo negli ultimi anni, soltanto quando si trattasse di fatti riguardanti le leggi sacrate o il suo diritto, acquisito in virtù di una di esse, di agere cum plebe-, mentre l'edile, invece, avrebbe agito soltanto per fatti riguardanti la sua capacità amministrativa : si riteneva dunque che i suoi compiti fossero ben distinti da quelli del tribuno ; di cui non era considerato inferiore. Con ciò contrasta però quanto viene riferito sulla premio di Coriolano. Ma è anche assai probabile che la prensio di cui si parla sia soltanto un'invenzione che riflette condizioni assai più tarde (2). D'altro canto le stesse azioni dei tribuni ri ferenti si a questioni agrarie possono essere un'anticipazione di quanto si verificò in età graccana. Su queste basi non è quindi possibile determinare con qualche sicurezza quali fos sero i poteri dei tribuni della plebe e, conseguentemente, nulla si può ricavare con certezza nemmeno per quanto ri guarda gli edili.
Nel periodo fra il 471 e il decemvirato, il tribunato pare oramai avere assunto caratteristiche più nette; ed in realtà (1) NIOCOLINI, Tribunato, pag. 49. (2) Cfr. supra, pagg. 2Ï8 e 231.
234
L'EDILITÀ IN ROMA
la tradizione COD corde afferma che l'elezione dei tribuni passò nel 471 ai comizi tributi, cioè — se possiamo aderire alla lo gica teoria del Mommsen — ai concilia ylébis tributa (l): in questo senso anzi può dirsi che soltanto ora il tribunato sorga a vera magistratura della plebe e, pertanto, si spiega come, secondo taluni (2), questo sia il momento della sua nascita. Zonara, che ammetteva in un primo momento solo due tri buni e due edili, afferma che in questa circostanza la plebe ne accrebbe il numero (3), ma non è probabilmente il caso di dare troppa importanza alle sue parole, considerando che anche in altre occasioni la sua fonte non pare la migliore. Pare tuttavia fuori discussione che il numero dei tribuni venga ora fissato a cinque (4). Yi sono però dei dati che por terebbero, se potessero essere accolti come fededegni, a pen sare piuttosto che il riconoscimento dei tribuni da parte dei patrizi portasse costoro ad essere veramente cruvdpxovteç degli edili: si veda ad esempio il passo di Livio (5) in cui un tri buno ed un edile accusano due consoli — anno 454 — e la multa inflitta dal primo corrisponde alla multa inflitta dal se condo: diversa ne è soltanto la misura, giacché maggiore è quella dell'edile. Anche la causa è la stessa: per entrambi aver venduto a benefìcio dell'erario il bottino di un'impresa di guerra. È questo l'unico caso in cui si parli di un edile processante un console e non si spiegherebbe se non con la parità di condizioni, anzi addirittura con la superiorità che,
(1) Liv., I l 56; 5 8 : 6 0 ; DION. HAL., I X 41-43; ZON., VII 17. Ohe si tratti di comizi plebei ha ritenuto — credo giustamente — il MOMMSEN: cfr. infraì pag. 252, n. 1. (2) Cfr. SEIDEL J., Fasti aedilicii, pag. 4. (3) ZON., V I I 17. Cfr. supra, pag. 223, n. 6. (4) La tesi del M E T B R e del BBLOCH già citata è opportunamente discussa dal NICCOLINI (Tribunato, p a g . 38 seg. ; Fasti dei Tribuni^ pag. 16 seg.) anche in base all'analisi del passo di Diodoro in questione ( X I 68, 8). Contrario a questa tesi è inoltre I'ALTHBIM (op. cit., pag. 30 segg. ; cfr. anche ZANCAN L., in JRiv* di FU. 1941, pag. 64), il quale pone in rilievo — sulla traccia del SIBBB (op. cit., p a g . 12) e del BINDER (Die Plebs, pag. 237 seg.) — che le t r i b ù hanno capi speciali, anche in età storica, ben distinti dai tribuni dellafplebe. (5) Liv.,
III
31, 5 ; cfr.
D I O N . H A L . , X 48,
3.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
235
in questo periodo, la « tradizione » assegna agli edili rispetto ai tribuni. L'importanza degli edili compare ora sotto una luce del tutto particolare: nel 463 avrebbero addirittura avuto la «cireumitio ac cura vigiliarum», per cui Livio osserva che « ad eos summa rerum ac maiestas consularis imperii venerai » (1). Si tratterebbe pertanto di un caso del tutto straordinario do vuto all'assenza dei consoli — impegnati nella guerra —, ma appare sintomatico che ad essi e non ai tribuni si sia ritenuto che potesse essere stato affidato quest'incarico: la potestas trilunicia è in opposizione con l'autorità consolare (2) e l'incarico non può dunque essere affidato ai tribuni ; ma le competenze specifiche degli edili si prestano invece assai meglio alla bisogna non essendo qui il caso di tutelare interessi della plebe nei ri guardi della prepotenza patrizia, ma di tutelare, con quella del patriziato — mediante un'attività di polizia —, l'incolumità della plebe. I supremi magistrati patrizi sono alle armi al co mando di truppe patrizie e plebee, gli edili della plebe restano in città a capo della popolazione civile plebea e patrizia. Sareb be, in realtà, una fusione, sia pure temporanea, delle due classi : la plebe, resa per ciò consapevole della sua importanza anche più di quanto già non fosse, chiederà subito dopo che siano scritte le leggi valide per la convivenza col patriziato. Senonchè il problema consiste ancora una volta nella cre dibilità della fonte. Certo un avvenimento così straordinario poteva essere ricordato anche perchè una lex o un senatusconsultum che lo avessero originato sarebbero stati conservati o ricordati in qualche modo. Ma di tale legge o senatoconsulto non si ha altra traccia e la notizia dell'avvenimento si spiega benissimo come un'invenzione annalistica conseguente alle catastrofiche condizioni in cui si sarebbero trovati i patres in quel momento. * * * Col decemvirato, magistratura straordinaria, scompaiono temporaneamente sia l'edilità che il tribunato, per risorgere (1) Liv., IH 6, 9. (2; Cfr. supra, pag. 220, n. 2 e 8.
236
L'EDILITÀ. I N ROMA
subito dopo in nuove condizioni. Con ciò ha anche inizio un terzo periodo della storia dell'edilità, che va compreso fra il 449 e il 366, antfö dell'istituzione dell'edilità curule e del di ritto definitivamente acquisito da parte della plebe di concor rere al consolato. Le notizie riguardanti l'edilità in questo terzo periodo non sono molte. Se prescindiamo infatti da una notizia assai incerta di Tito Livio (1), si tratta in due casi di frumentazioni (2), in un terzo caso dell'incarico dato agli edili « ut animadvertercnt ne qui nisi romani di neu quo alio more quam patrio colerentur » (3). Qnanto alle due frumentazioni è evidente che — anche ammessa l'esattezza delle notizie — si tratta di compiti stret tamente inerenti all'amministrazione dell'erario plebeo e rien tranti quindi nella stessa cerchia d'incombenze che dovettero essere riconosciute agli edili fin dal momento della loro isti tuzione. Di esse, comunque, anche se ce ne parla soltanto Plinio, non mi pare vi siano gravi motivi per dubitare. Meno comunemente accolta è l'altra notizia riguardante i culti stra nieri : il Seidel per esempio, sulla traccia del Mommsen, la revoca in dubbio (4), trovando strano che agli edili sia affidata un'attività di polizia già da quel tempo. Crediamo tuttavia che non sia necessario respingerla senz'altro : anzi essa acquiste rebbe un particolare significato quando la si connettesse con la discussa questione degli auspicia} particolarmente sentita in questo travagliato periodo in cui la plebe aspira alla massima magistratura patrizia. Per la continuità di essi anspicia è indi spensabile che la religione rimanga identica a quella dei padri : e, poiché non saranno certo i patrizi coloro che in un momento così delicato vorranno venir meno alla pax deorum, spetterà appunto ai magistrati plebei sorvegliare i culti della plebe eterogenea per renderla degna di concorrere alla suprema magistratura. La notizia rientra dunque nel novero delle pos ti) Liv., Ili 57, 10 : *Sunt qui ». (2) Le fonti in NIOCOUNI, Fasti cit., pag. 36 aeg. ; cfr. SBIDBL. op. cit., pag. 6.
Cfr. però iìifra, pag. 256 e n. 1. (3) Liv., IV 30, 11. (4) SBIDEL, op. ci*., pag. 7 ; cfr. MOMMSEN, op. cil. U a 477, n. 2.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
237
sibili. E tuttavia, conviene tener presente un altro passo di Livio (1) che narra un fatto di cui questo ha tutta Paria di essere una semplice anticipazione annalistica. Comunque sia di ciò, non sarà inutile osservare anche che una presunta lex Valeria Horatia attribuita dalla tradizione al 449 stabilisce che « qui tribunis plebis aedilibus iudicibus decemviris nocuisset, eius caput lovi sacrum esset, familia ad aedem Cereri* Lìberi Liber aeque venir et (2) : in essa compaiono affiancati il luppiter patrizio e la triade plebea, indizio questo di una fusione religiosa, di cui abbiamo traccia anche in Zonara (3) e una prova implicita nel fatto che i plebei sono ammessi appunto a concorrere alle magistrature dello Stato Romano. Secondo Diodoro anzi (4) essi hanno perfino il diritto di eleggere consoli due plebei insieme. Se ciò sia esatto non si può affermare con sicurezza, anzi pare senz'altro ben diffi cile da ammettere considerando che il primo console plebeo si ha solo col 365 ; ma il periodo di cui stiamo trattando è ricco (1) Cfr. Liv., X X X I X 14,9. (2) Liv., I l i 55, 6 ; cfr. C i c , de leg. I l l 9. A proposito di questa * lex » già il Da SANCTIS (Storia dei Romani, I I 28 seg.) aveva espresso l'opinione, condivisa anche dal GIOFFBHDI (Il fondamento della « tribunicia potestà» » e iprocedimenti normativi dell1 ordine plebeo, in Studia et Documenta hisloriae et iuris 1945, pag. 87 segg.) che si t r a t t i invece di uu plebiscito. I n un suo nuovo studio, che prende lo spunto proprio dall'articolo citato del Gioffredi, il Da SANCTIS (La lex tribunicia prima, in Miscellanea G. Mercati, voi. V, Città del Vaticano 1946) ribadisce la sua opinione. È notevole la circostanza che la data e l'occasione del plebiscito di cui si t r a t t a siano da lui identificate con quelle della pretesa lex Valeria Horatia (pag. 5 dell'estratto : « la d a t a e l'occasione sono quelle che la tradizione assegna alle pretese leggi Valerie-Orazie con le quali, perchè, vere o false che siano, esse sono leggi consolari, la lex tribunicia prima di Festo [pag. 221 JVl.] non può e non deve in alcun modo essere confusa»), che avrebbe confermato, dopo la pubblicazione delle dodici Tavole, un plebiscito anteriore da collocare (pag. 6) verso il 470. (3) ZON., V I I 19, 1 ; 15, 4. P e r la probabile identificazione di luppiter e Liber cfr. le fonti citate dal WlBSOWA, Religion und Kultus der Römer, pag. 120, note 5 e 6. Si noti anche che secondo FESTO (pag. 422-424 L.) il monte Sacro si chiamò cosi f quod eum plebs cum secessisset a patribua, creati» tribunis discedentes lovi consecraverunt ». Ultimamente si occupò dei rapporti fra luppiter e Liber anche il KOCH (Der römische luppiter, Frankfurt 1987, specialmente pag. 46 j cfr. pag. 48. (4) D I O D . , XII
25,
2.
238
L'EDILITÀ
IN
ROMA
di contraddizioni e di incertezze. Tanto per ricordarne una, è incerto se dieci tribuni siano stati creati per la prima volta nel 457 o nel 448 (1). Pare possibile invece che il numero dieci comprenda ancora una volta edili e tribuni col nome comune di decemviri. Nel passo di Livio che abbiamo or ora ricordato si parla infatti di «qui tribunisplebis aedilibtis iudicibus decemviris nocuissetn (2). Ma l'analogia col titolo dei « praetores consules indices » patrizi che, secondo Cicerone, indica originariamente una stessa magistratura (3), mentre in prosieguo di tempo probabilmente ciascuna parte di esso indi cherà una magistratura distinta dalle altre due, è- soltanto illusoria. Tuttavia e ciò potrebbe valere anche in questo caso fino alla metà del IV secolo — tribuni aediles indices possono essere stati fino ad un certo momento col leghi fra di loro, sebbene già avessero forse distinti non solo i compiti ma anche i titoli. Ciò potrebbe essere avvenuto, quando agli (1) Nel 457 secondo Liv., I I 30, 5 ; DION. H A L . , X 30, 6. Nel 448 secondo DIOD., X I I 25. (2) Lrv., I l i 55, 6. (3) C i c , de leg. I l i 3, 8 ; Liv., I l i 55, 12. Alcune considerazioni sul contesto del passo di Livio in questione potrebbero essere interessanti per dimostrare che egli supponeva appunto la collegialità dei tribuni aediles iudices decemviri. La prima h a carattere stilistico ed è perciò anche la meno sicura, ma non per questo può essere trascurata : all'asindeto « tribunis plebis aedilibus iudicibus decemviris » non corrisponde un analogo asindeto nel nesso « Cererie Liberi Liberaeque», in cui compare una congiunzione. I n o l t r e i iudices decemviri, di cui si potrebbe qui vedere una traccia, non ci sono noti per altra via. Perciò, se te niamo presente che la tradizione, concorde, afferma che almeno col 448 i ma gistrati plebei che chiama « tribuni» sono dieci, ad essi Livio potò attribuire il titolo di decemviri, e cioè sia ai tribuni che agli edili, analogamente a quanto Livio stesso aveva affermato circa l'origine dei « tribuni » confondendovi forse anche gli edili (cfr. supra, pag. 230). Non si spiegherebbe altrimenti con altret tanta facilità come possano essere considerati inviolabili non solo i tribuni e gli edili, m a anche quei iudices decemviri che taluno ha identificato coi Xviri stilitibus iudicandis [come lo HUSCHKE, citato e seguito dal D E SANCTIS, op. cit., I l 39, e il VOGT, in Studi giuridici in onore di O» Fadda, I 154. Ved. contra NicCOLINI, Tribunato, pag. 83, e cfr. PAIS, Storia di Roma dall'origine alVinizio delle guerre puniche, I I I (1927), pag. 236 seg.), e che, se veramente fossero stati giudici — e soltanto giudici — delle liti fra plebei — e solo di quelle — non avreb bero avuto alcun rapporto col patriziato.
L'ORIGINE
DELL'EDILITÀ
PLEBEA
239
edili plebei si affiancarono i curuli. Ricordiamo però ancora una volta che aediles e indices sono la stessa magistratura se condo Dionigi d'Alicarnasso. Queste le fonti antiche sull'edilità fino al 366. Bisogna ricordare la notizia riguardante la conservazione nel tempio di Cerere del tesoro e dell'archivio plebeo (1), ed è questa Punica di cui sia possibile tener conto con qualche sicurezza. Ad essa si potrà aggiungere soltanto una probabile capacità di iudicatio, ammessa anche dal Mommsen (2). * * * Le moderne teorie sull'origine dell'edilità si compendiano in pochi nomi: da un lato il Rosenberg(3), che riprende su nuove basi la teoria già avanzata dall'Ohnesseit (4) ; dall'altro il Mommsen (5), cui si riallacciano più o meno direttamente tutti gli altri (6), tranne pochi — specialmente giuristi — di cui sono i più recenti esponenti il Bon fan te e il De Francisci (7). Il Bonfante infatti parte dalla sua definizione dei rapporti esistenti fra le due classi romane, secondo cui « quello che erano i clienti entro la gente, tale appare la plebe nei primi (1) Cfr. supra, pag. 222 e n. 1. (2) Cfr. supra, pag. 228 ; MOMMSEN, op. cit.f I I 8 47ö seg. Contra DE RUGGIEBO s. v. Aedilis, pag. 213. (3) ROSENBERG, op. cit., pag. 1 segg. ; 18 segg. (4) OHNESSEIT, Ueber den Ursprung der Aedilität in der italischen Landstädten, in Zeit. Savigny-Stift.. Eöm. Abth., 1888, pag. 200 segg. (5) MOMMSKN, op. cit., I I 3 470 segg. (6) Non merita u n a speciale discussione la tesi del LATTE (in Nachrichten v. d. Gesellschaft der Wissensch. in Göttingen 1931, pag. 73 segg.), secondo il quale l'edilità sarebbe di provenienza greca. (7) Cfr. di questi studiosi le opere citate. Ad essi — come giurista — biso gnerebbe aggiungere V ABANGIO RUIZ (Storia del Diritto Romano, 1937), ma questi non approfondisce l'esame della questione, limitandosi ad osservare che (pag. 42 seg.) « minori magistrati plebei sono gli aediles, preposti forse ai templi delle maggiori divinità plebee, e, attraverso questi, alla amministrazione delle risorse finanziarie che la plebo dovette costituirsi per proseguire nella lotta ». Quanto alla posizione del D B FBANCISOI sarà sufficiente osservare che egli, sulla traccia del BONFANTE, ritiene che « il più antico r e t t o r e della plebe » fosse Vaedilis, « che poi passò in seconda linea in confronto al tribuno quando questi fu creato quale tutore della plebe e intermediario fra essa e la civitas» (op. cit.} pag, 238).
24Ö
L ; EDILITÀ IN ROMA
secoli della città : i vinti, i profughi, gli stranieri immigranti a stuoli per esercitare nella città il piccolo commercio e le arti più umili, in quanto ai bisogni di simil genere non fosse provveduto entro le case dei signori, o per lavorare, come giornalieri, le terre dei signori > (1) e ricollegandosi in qualche modo alle varie tesi etnologiche, ritiene possibile che sia in realtà esistito un comune autonomo plebeo sull'Aventino — un comune « fuori del sacro pomerio della città » poi as soggettato dalla « civitas » (2) — cui attribuisce « ab origine » un e proprio rettore » ; l'edile (3). Tanto più sarà difficile ac cogliere su questo punto l'opinione del Bonfante quando si osservi che — chiudendo in circolo la sua dimostrazione — afferma egli stesso che « questa magistratura latina soprav vivente anche in epoca storica ci attesta . . . di per sé l'esi stenza di un comune plebeo sull'Aventino » (4) : nulla ci prova che effettivamente l'edilità plebea risalga ad epoca anteriore a quella che comunemente si accoglie come terminus post quem, e cioè la secessione del 493. E, anche volendo ammettere che essa preesistesse a questa data, non sarebbe questo un motivo più probante degli altri messi innanzi dal Bonfante e, per esempio, già dal Binder per dimostrare la diversità etnica esistente fra patrizi e plebei : questa differenza anche se fosse realmente affermabile non implicherebbe ancora l'esistenza di un comune autonomo con propri magistrati : per rimanere col Bonfante basterebbe ricordare le parole che abbiamo ci tate poco fa a proposito della sua concezione riguardante l'origine della plebe. Credo opportuno ammettere l'accordo di cui già abbiamo più volte parlato, e si potrà quindi forse anche dire che « anche nelle relazioni dei patres con la plebs durante le lotte diuturne della prima fase ci si offre quella forma intemazionale a cui probabilmente debbono la loro ori gine i più antichi municipii, quando il carattere costituzionale di questa istituzione non era ancora ben fissato : il foedus » (5). (1) BONFANTE, op. cit.,
(2) (3) (4) (5)
I D . , ibid., I D . , ibid., I D . , ibid., ID., ibid.,
pag. pag. pag. pag.
pag.
94.
95. 95 seg. 96. 96. Sul carattere originario del foedus si veda
tuttavia
L'ORIGINE
DELL'EDILITÀ
PLEBEA
241
Ma non si può andare oltre procedendo a ritroso verso le origiui : i municipes residenti in Borna non hanno necessa riamente un'organizzazione politica vera e propria fino «ab origine», e tanto meno potranno averla altri elementi come i vinti o i profughi. Oiò, del resto, riconosce anche il Bonfante, il quale perciò basa la sua affermazione soltanto sul «nucleo originario» della plebe (1), ma di questo «nucleo» non è possibile stabilire la consistenza. D'altro canto egli afferma che il tribunato sorge col foedus (2) e che « così nello Stato, e in antitesi ad esso, si afferma un'organizzazione non più subordinata, ma coordinata, la plebei. Ma, allora, se si vuole ammettere questa distinzione, perchè pensare all'edilità come magistratura dell'organizza zione subordinata, e al tribunato come magistratura dell'or ganizzazione coordinata ? Non sarebbe più semplice proiettare nel passato lo stesso tribunato ? Secondo il Rosenberg l'edilità plebea è di origine latina; egli anzi si spinge più avanti perchè indica in Tuscolo il anche lo studio del FBEZZA in Studia et Documenta historiae et iuris, 1938, pag. 363 segg. Tale foedus, d'altronde, e negato anche dal D B SANCTIS (op. cit., II 29, n. 2). È dubbio se la sua esistenza trovi u n nuovo appoggio nello studio dell'A-LTHHiM, Lex sacrata, Amsterdam 1939, che pone in rilievo l'origine militare della prima organizzazione plebea (pag. 30 segg. e specialmente pag. 34) : e die Plebs erstma lig u n t e r militärischen Formen auf dem politischen Kampfplatz t r a t « . Oerto À soltanto che, se un accordo fu raggiunto, esso fu raggiunto dopo una certa lotta. Sulla vewata quaestio è t e r n a t o il GIOFFRBDI (toc. cit., pag. 22 seg. del l'estratto), il quale nega il foedus sostenendo che i l a tutela dell'autorità tribu nizia non si fondò su un atto bilaterale patrizio plebeo, ma su un atto unilate rale plebeo seguito da una manifestazione di volontà dell'intera cittadinanza ». E, in realtà« come il carattere rivoluzionario dell'attività dei tribuni esclude la possibilità che tutti i loro a t t i fossero consoni all'atto che riconosceva uffi cialmente la loro esistenza, così si può, anzi, credo, si deve ammettere cha al meno in un primo tempo la pretesa plebea di considerare sacer chi offendesse un tribuno non potesse fondarsi che su u n plebiscito. Ma questo plebiscito non esclude che, per il riconoscimento iniziale dei tribuni come capi della plebe, si sia avuto un procedimento analogo a quello che abbiamo potuto rico noscere possibile per le magistrature municipali e che non pare ne riconoscesse la sacrosantità. L'eventuale foedus potò, e in ogni caso avrebbe dovuto, essere riassorbito da una lex populi dopo il riassorbimento della plebe nello Stato Romano. (1) BONFANTE, op. cit.t pag. 95. (2) I D . , ibid., pag. 104, 1«
242
L'EDILITÀ IN ROMA
centro di diffusione di quella magistratura (1). Secondo il Mommsen non v'è invece alcun motivo di ritenere importata la magistratura plebea, poiché egli non la ritiene originaria neppure nel Lazio (2). Inutile ci pare elencare ora tutti coloro che in sede di recensione hanno opposto obbiezioni più o meno fondate alla tesi del Rosenberg. Sarà tuttavia opportuno ricordare che il Momigliano (3), in una speciale ricerca sull'origine dell'edilità, ammette col Rosenberg che Pedilità plebea sia una creazione della plebe romana senza precedenti in Roma e osserva che « ciò non esclude tuttavia, anzi rende già a yriori verisimile che l'edilità sia stata introdotta dai plebei prendendo a mo dello qualche città che l'aveva come magistratura civica ». Egli propende però ad escludere che Tuscolo sia il centro della « trasformazione profana » di una precedente edilità sacra e il modello di Arpinum, Fundi e Formiae. Anzi, se condo lui, il fatto che a Tuscolo vi fossero tre edili, secondo quanto afferma il Rosenberg, impedisce anche di credere che di là abbiano i plebei tratto ispirazione per la loro duplice edilità. Tuttavia, non ritenendo che quella magistratura sia originaria di Roma, ed essendo, al contrario, convinto che e nessuna città aveva due edili », formula l'ipotesi che « i ple bei abbiano modificato il numero sotto l'influenza dei con soli : e allora s'intende che l'imitazione avrebbe potuto av venire sull'edilità tusculaua come su qualsiasi altra ». Per lui, infine, « l'edilità (come magistratura civica) si doveva trovare in uno stadio molto primitivo, quando fu imitata dai Romani, e doveva essere ancora strettamente connessa con un tempio ». Alla tesi del Momigliano noi ci siamo notevolmente accostati. Tuttavia non pare indispensabile ammettere quest'ultima af fermazione, poiché, se è vero che compiti originari degli edili plebei paiono, tra gli altri, quelli di custodi dell'archivio ple beo in stretta connessione col tempio di Cerere, ciò non esclu de in modo totale la possibilità che gli edili romani trovas ti) ROSENBERG, op. cii.t pag. 1 segg. ; 18 segg. (2) MOMMSEN, op. cit., I I 3 470 s e g g . (8) MOMIGLIANO, loc. cit., pag. 224.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ PLEBEA
243
sero nel tempio di Cerere un appoggio ai loro poteri piuttosto per cause contingenti che per analogia con l'edilità latina ; della quale a sua volta non pare possibile dire nulla di sicuro riguardo all'etimologia del nome (1). Al Momigliano e al Eosenberg si è opposto il De Sanctis (2), che —- sulla traccia del Mommsen — non vede la necessità di credere ad un'importazione in Roma di modelli forestieri. Altrettanto fa il Rudolph (3), che — anzi — vede un'origine romana in tutte le magistrature dell'Italia antica. Ma poiché l'impostazione della tesi del Rudolph non è se non un a priori — visto che egli crede appunto che sia stata Roma a dare un'organizzazione a tutte le città italiane, compresi i municipii latini — non ci soffermeremo oltre a discorrerne (4). * Riteniamo invece indispensabile un cenno più preciso alle pagine del De Sanctis. Egli comincia col chiedersi « perchè la plebe si sarebbe data come magistratura in sottordine, quelli che in Tuscolo, a quanto ritengono i citati scrittori (seil. Rosenberg e Momigliano) erano i magistrati principali » e non crede a questa possibilità. La difficoltà tuttavia non esisterebbe se — come ci è parso possibile — si potesse rite nere che l'edilità plebea non vada considerata nelle sue ori gini come inferiore al tribunato ; mentre, d'altro canto, l'edilità poteva avere già altrove il secondo rango dopo la dittatura. Né è necessario credere che, quando l'edilità plebea fu isti tuita, s'intendesse imitare una magistratura suprema : l'orga nizzazione plebea si costituiva certamente in condizioni di inferiorità rispetto alla civitas patrizia e la sua edilità non aveva sicuramente un imperium quale ebbero i dittatori delle città latine. Un'altra domanda senza risposta per il De Sanctis è quella che riguarda il numero degli edili : « perchè invece di dar sene t r e . . . se ne diede invece due ? ». Ma a .questa obbie zione aveva già tentato di dare una risposta plausibile lo
(1) Cfr. supra, pagg. 119, 122, 126 n. 3. (2) DB SANCTIS G., Vorigine dell'edilità plebea, in Riv. di Filol, 1932 pag.
484 segg. (8)
RUDOLPH, Op. Ctt.
(4) Cfr. supra, pag. 3 segg.
244
L'EDILITÀ, IN ROMA
stesso Momigliano e, d'altronde, l'edilità non esistette soltanto a Tusculum, né ovunque gli edili, almeno in età storica, fu rono tre. Come abbiamo visto, comunque, l'edilità plebea è, almeno in origine, una magistratura puramente plebea e pertanto, riguardo alla possibile derivazione dall'edilità latina dell'edi lità plebea, valgono le considerazioni da noi già fatte a suo luogo.
III. L'ORIGINE DELL'EDILITÀ CURULE.
L'anno 366 a. C, l'anno in cui la plebe ottiene di concor rere al consolato, una grande novità muta la costituzione consolare patrizia non solo nell'avvento dei plebei da pari a pari — almeno teoricamente — nel pubblico governo ; ma anche nei ranghi minori. Pino allora i due consoli avevano da soli retto lo Stato, facendosi coadiuvare soltanto dai questori e sentendo il parere del Senato che, costituito dai più eminenti rappresentanti della casta di governo, era in realtà il padrone dello Stato, quale legittimo successore dell'oligarchia che aveva liberato Roma dai re. Essi, i consoli, avevano avuto compiti eminen temente militari, loro derivanti dalla stessa natura delle loro incombenze originarie : guidavano Roma in guerra quando non si riteneva necessaria la creazione dei dittatori e, come tali, avevano Vimperium sui cittadini-soldati ; ma ai loro compiti civili mancava ancora il diritto, che ogni senatore e paterfamilias aveva, di giudicare direttamente coloro che erano soggetti alla sua mamis, salvo il caso di delitti contro lo Stato che lo stesso pater non avocasse a sé. D'altronde leggi scritte non ve n'erano state fino ai decemviri, che ne avevano compilate in uno stile scheletrico e duro le prime tavole. Ma quando la plebe entrò definitivamente nello Stato, divenne indispensa bile una serie di organi nuovi. Questa necessità portò nel 366 alla creazione di' un terzo praetor e di due aediles curules. Quali fossero compiti di questo terzo praetor è ormai noto ed ammesso da tutti ; quali quelli dei due nuovi edili è stato ma-
246
L'EDILITÀ IN ROMA
gistralmente detto da grandi studiosi come il Mommsen (1) e il De Ruggiero (2). Ma perchè si ebbe la riforma ? Scrive il Padovano (3) che, decisa la partecipazione dei plebei al consolato e la nomina di un praetor patrizio che ius in Urbe diceret, < ita ab diutina ira tandem in concordiam redactis ordinibus, cum dignam earn rem senatus censeret esse, meritoque id, si quando umquam alias, deum immortalium fore, ut ludi maximi lièrent et dies unus ad triduum adiceretur, recusantibus id munus aedilibus plebis, conclamatum a patriciis est iuvenibus se id honoris deum immortalium causa libenter facturos, ut aediles fièrent. Quibus cum ab universis gratiae actae essente factum senatus consultum, ut duoviros aediles ex patribus dictator populum rogaret, patres auctores omnibus eius anni comitiis fièrent». Rifiutando genericamente fede a particolari che non erano forse altro che frutto di induzioni di Annalisti, si può natu ralmente ritenere infondata anche questa notizia (4). Ma chi cerchi di comprendere i motivi del rifiuto attribuito ai plebei senza escluderne a priori la possibilità si convincerà forse che Livio ha una qualche giustificazione, anche se il suo racconto va senza dubbio accolto con beneficio d'inventario. L'avvenimento che si vuole solennizzare così clamorosa mente non è infatti tale da contentare completamente i plebei: questi, anzi, protestano subito contro l'elezione del pretore patrizio (5) che — investito del diritto di ius dicere in Urbe(6) — riduce per altra via ad uno stato d'inferiorità i plebei, non solo perchè di fronte ad un solo plebeo vengono a trovarsi di diritto due patrizi, ma anche — e soprattutto — perchè la giurisdizione viene attribuita proprio ad un patrizio con evidente danno della plebe. E questo sarebbe già un ottimo mo(1) MOMMSEN, op. cit., Il 8 470 aegg.
(2) DE RUGGIERO, in Diz. Epigr., I 209 aegg. (3) Liv., VI 42, 12. (4) Fra gli altri MOMMSEN, op. cit., IP 517 e 520, n. 1 ; SEIDEL, Fasti aedilicii, pag.
7 ; DE RUQGIEBO, loc: cit., pag.
(5) Cfr. Liv., VII i. (6) LivM loc. cit.
215.
L'ORIGINE DELL'EDILITÀ CURULE
247
tivo per rifiutare di celebrare l'avvenimento ; ma se ne aggiun geva forse un altro di carattere assai più pratico ed immediato : la spesa occorrente per i ludi, cui i plebei, già poco sodisfatti per la nomina del terzo praetor, non dovevano avere alcuna intenzione di sobbarcarsi. Il rifiuto dei plebei non esulerebbe dunque affatto dal campo delle possibilità e Livio è pertanto giustificabile. Ma ciò non significa affatto che tale possibilità corrisponda ad una realtà : è altrettanto possibile che i patrizi non abbiano affatto invitato gli edili della plebe alla celebrazione di cui Livio ci parla. Dalle sue parole bisogna dunque prescindere completamente quando si voglia tentare di comprendere per chè siano stati creati gli edili curuli. Una risposta a questo quesito non può quindi essere data se non per ipotesi : e chi scrive crede che sia necessario tener presente la situazione che si era venuta a determinare con l'accoglimento della richiesta plebea di poter adire il consolato. Di fronte ai tribuni ed agli edili della plebe, la nobiltà patrizia doveva sentire la necessità di porre qualche organo nuovo, che completasse il suo scheletrico ordinamento, ba sato, come abbiamo visto, sui due capi militari e i loro que stori : ammessa la plebe al consolato, non potevano i patrizi rimanere in condizioni d'inferiorità : al Senato si contrappo nevano i comizi, ai consoli i tribuni — e i consoli non erano più solamente patrizi —, i questori non erano ancora consi derati veri e propri magistrati e, del resto, solo l'autorità con solare dava valore ai loro atti ; e — per converso — i due edili plebei avevano una posizione invidiabile di fronte ai loro amministrati. Per mantenere l'equilibrio, per far pendere anzi ancora la bilancia dalla parte del patriziato, v'era però un mezzo sicuro : aumentare il numero delle magistrature patrizie. I patrizi insomma, costretti a cedere sui magistrati epo nimi, ne avrebbero ridotta l'importanza e sarebbero ricorsi per ciò anche a nuove magistrature, ingannando in questo modo i plebei che credevano d'aver già vinta la loro battaglia e dovettero invece continuarla ancora. Necessità dunque ad un tempo politiche e amministrative
248
L'EDILITÀ IN ROMA
poterono dettare le decisioni del Senato ; ma è difficile cre dere che una di esse fosse quella di opporre ai poteri rivo luzionari degli edili plebei la nuova edilità curule (1) : i campi in cui agirono i nuovi edili curuli furono, come vedremo, ben diversi da quelli che potevano essere appartenuti ai più antichi edili plebei.
(1) D B RUGGIEBO, loc. dt.,
pag.
215.
IV. LE DUE EDILITÀ FINO A CESARE La maggior parte delle funzioni attribuite in comune agli edili curuli ed ai plebei dagli studiosi moderni non possono essere state necessarie nella comunità plebea : ad esempio, non poteva interessare la prima edilità della plebe la cura aquarum (1), né la cura morum comprendente la sorveglianza sul lusso della mensa e quella delle sepolture. Ma il problema riguardante la distinzione dei compiti fra edili plebei ed edili curuli è stato trattato dagli studiosi partendo dal punto di vista che l'edilità sia sorta prima che altrove in Eoma e che anche l'edilità plebea sia stata, fin dall'anno dell'istituzione dell'edilità cnrule, una magistratura di tutto il popolo. Questo, almeno, è il punto di vista del De Ruggiero (2). Per quanto però riguarda i rapporti fra gli edili curuli e gli edili della plebe si notava che una certa inferiorità di questi rispetto a quelli era evidente (3), si notava anche che non tutte le loro incombenze erano comuni (4), ma non si credeva opportuno distinguere nettamente le due categorie, considerandole anzi partecipi della stessa autorità e delle stesse competenze (5). Naturalmente, per giungere a questo (1) 11 primo acquedotto fa costruito solo nel 312 a. C, dopo l'istituzione dei curuli e per cura dei censori. Cfr. DE RUGGIERO, in Diz. Epigr., I 540 e 567, s. v. Aqua. (2) DB RUQGIEBO, in Diz. Epigr., I 215. Cfr. MOMMSEN, op. cit., II« 486 segg.
(3) ID., ibid., pag. 215. (4) ID., ibid., pag. 215 e 221. (5) ID., ibid., pag. 216. Si noti però che il MOMMSEN rilevava la differenza esistente fra i collegi edilizi e quelli, ad esempio, questorii o pretorii (op. cit., II» 486 seg.).
250
L'EDILITÀ IN ROMA
risultato, era necessario ammettere una riforma dell'edilità plebea coincidente con l'istituzione dell'edilità curule(l). Ma a noi una vera e propria riforma in questo senso non appare affatto sicura. Qualunque ne sia il primitivo campo d'azione, l'edilità plebea va nelle sue origini posta in rapporto con l'esistenza di una speciale organizzazione plebea, di cui gli edili furono i capi amministrativi come custodi dell'erario e dell'archivio. Gli edili plebei furono, almeno in tale periodo, magistrati puramente plebei ; ma ancbe in seguito mancò ad essi sempre il segno esteriore dei magistrati iusdicenti dello Stato : la sella curnlis (2). D'altra parte se le loro funzioni fossero state identiche almeno in parte — anzi nella maggior parte come comune mente si crede — a quelle degli edili curuli, non si vedrebbe perchè gli edili plebei non avessero mai avuto gli stessi di ritti dei curuli : primo fra tutti la sella curulis appunto, col diritto di agire davanti ai comizi tributi e, poi, la facoltà di emanare l'editto (3). Bisogna anche osservare che l'edilità curule fu aperta ai plebei (4) mentre all'edilità plebea i patrizi non poterono mai aspirare. Né si può qui pensare che una distinzione fosse resa necessaria dalla celebrazione dei ludi — che del resto vengono istituiti solo nel III 0 secolo —, perchè, visto che i plebei poterono celebrare come edili cu ruli i ludi patrizi, non vi sarebbe motivo per escludere che i patrizi, in quanto tali, avrebbero potuto celebrare i ludi della plebe (5). Una netta distinzione fra gli edili curuli e gli edili della plebe vi fu dunque non solo nelle insegne esteriori, ma anche nell'essenza stessa delle due magistrature. Lasciando in di sparte taluni compiti straordinari come la dedicazione di
(1) (2) (8) (4) (5)
Cfr. D B RUGGIERO, Cfr. D E RUGGIERO, Cfr. D E RUGGIERO, Liv., V I I 1, 6 ; cfr. Sui ludi plebei cfr.
loc. cit., p a g . 215. loc. et/., p a g . 22J. loc. cit., p a g . 224 e 237. VI 43. 10 e Dig. I 2, 2, 26. infra, p a g . 257 con n . 5 e 6.
LE D U E EDILITÀ FINO A CESARE
251
templi dello Stato (1) e la coniazione di monete ex S. e. (2) — ebe sono sempre attribuiti ai curuli — è anche opportuno rilevare che solo i curuli contribuiscono con i questori alla custodia dei senatusconsulti quando questi vengono conser vati nel tempio di Saturno (3), solo i curuli pubblicano Vedictum(4), solo i curuli sembrano avere la giurisdizione penale davanti ai comizi tributi (5). Inoltre, mentre i plebei possono agire — secondo la nota tesi del Mommsen — solo nei con(1) Le fonti sono : Lrv., I X 46, 6 (804 a. 0.) : X X I V 16, 19. Cfr. però MOMM SEN,
op.
cit.,
I I 3 620, n. 6 e D B RUGQIEBO, loc. cit., pag.
225.
(2) CI. L. I a App. numor. 327 (M. Plaetoriua Cestianua), 341 (M. Scàurus e P. Hupsaeua), 326 (P. Galba). Non porta l'indioazìone S. C. il n. 277 di P, Fouriua Crassipes. (3) Cfr. . D E EUGQIERO, loo. cit.,
pag.
225.
(4) L'edictum aedilium cundium è talora detto brevemente ediclum aedilium. Insufficiente ci pare il punto di vista del D E RUGGIERO (loc. cit., pag. 236), se condo cui l'editto « abbia preso nome soltanto dai curuli perchè questi avevano una certa superiorità sui plebei ». Cfr. contra MOMMSEN, op. cit., I s 203 e 208, n. 3. (5) Le fonti per gli edili curuli sono V A L . M A X . , V I 1, 7, e V I I I 1, damn. 7 ; P L O T . , Marc. 2 ; PLIN., n. h. X V I I I 6, 4> ; X X X I I I 1, 19; C i c , Verr. I 12, 36 ; V 67, 173; Liv. X 23, 11; 31, 9 ; 47, 4 ; X X X V 10, 12; 41, 9. Quasi certamente bisogna aggiungere Lrv., V i l i 22, 3 (die dieta ab aedilibus crimine stupratae matrisfamiliae, M. Flavio fu assolto dal populua) ; VII 28, 9 (Indicia eo anno (scil344) populi in faeneratores quibus ab aedilibus dies dicta etaet) ; X 13, 14 (Eo anno (seil. 298) dies dicta ab aedilibus, quia plus quam quod lege finitum eroi, agri possiderent). Quest'ultimo luogo potrebbe però essere attribuito anche ad edili plebei se si tien conto delle multe inflitte da costoro a pecuarii almeno fin dal 295 (infra, pag. 255, n. 5). Si tenga presente, infine, Liv., XXXIV 53 : « aedes eo anno (seil. 194) aliquot dedicatae : ima lunonis Matutae altera Fauni ; aedilea earn biennio ante ex multaticio argento faciendam locarant C. Scriboniua et On. Domitius, qui praetor urbanus earn dedicavit. Si tratta di due edili plebei ( S E I D E L , Faati, pag.
31).
Per quanto riguarda gli edili della plebe le altre fonti sono : Liv. X 23, 13 (multaticio pecunia . . . . pecuariis damnati*, anno 295) ; XXXIII 42, 10 (pecuarii portati ad populi iudicium, anno 196). Particolarmente notevoli i casi del pro cesso di Claudia durante la prima guerra punica, conclusosi con uua m u l t a (GELL., X 6 ; VAL. MAX., V i l i 1, damn. 4 ; LiV., epit. X I X ; SUET., Tib. 2), e il processo de vi contro Milone, accusato da Clodio ad populum nel 56 a. 0. (Cic. pro Mil. 14, 40 ; pro Seat. 44, 95 ; in Vatin. 17, 40 ; ad Q. fr. II 3 ; ASCON., in Milon. 14, 38 ; CASS. DIO. X X X I X 18). Un altro caso di azione degli edili plebei apud populum si avrebbe nel 213 a. C. (Liv., XXV 2, 9), ma la notizia pare assai dubbia. Su ciò cfr. D E RUGGIEBO, loc. cit., pag. 229, il quale osserva che la p e n a dell'esilio non potè essere dagli edili inflitta alle matrone accusate di probrum perchè l'edile non era competente ad altra pena che la multa. Va tuttavia notato che il populum cui si rivolgono gli edili plebei pare es sere quello dei concilia tributa plebis. Su ciò cfr. la n o t a seg.
252
L'EDILITÀ IN ROMA
cili tributi della plebe (1), maggiore è ancora durante l'Impero la capacità della pignoris capio da parte dei curuli che da parte dei plebei (2), i quali, infine, non coniano mai moneta ex S. e. (3). Vero è che tali differenze sono in gran parte non origi narie; ma talune di esse non possono non essere caratteri stiche. Le due sfere d'azione sono dunque abbastanza netta mente distinguibili, tanto che appare anche possibile mettere in dubbio che prima della cosiddetta lex Julia municipalis fosse divisa in quattro parti — fra edili curuli ed edili ple bei — la cura Urbis (4). Appare pertanto indispensabile un riesame accurato delle fonti riguardanti specialmente gli edili plebei. I campi di attività degli edili sono principalmente cin que (5) : polizia urbana, polizia dei mercati, protezione e limi tata concessione di proprietà demaniale, culto e feste in ge nere, diritto di battere moneta. L'enunciazione sommaria di questi cinque campi d'azione è già di per sé sufficiente a di mostrare come l'edilità abbracci — almeno in età storica — compiti prevalentemente di polizia, che — come tali — non possono spettare ad alcun altro magistrato annuale, essendo evidente che di essi non può occuparsi direttamente il praetor, le cui incombenze sono da sole sufficienti ad impegnarlo in modo completo, tanto che ben presto si sentì la necessità di dargli prima uno poi più colleghi. Tanto meno si può pen sare ad una attività dei consoli, le cui incombenze sono emi nentemente militari e politiche. Né potrebbe bastare la cen sura, limitata ad un'attività saltuaria ed in gran parte diversa. Se si esclude infatti l'attività degli edili nei due campi (1) Che si t r a t t i per gli edili plebei di concilia anziché di comitia è sostenuto dal MOMMSHN, il quale dimostra che soltanto gli scrittori dell'età imperiale usano comitia per tutte le assemblee di cittadini in cui si vota. La distinzione pare sicura t a n t o per i tribuni (op. cit., I l i 1, 147» n. 1) quanto per gli edili (ibid., pag. 147 segg. e 149, n. 1). Cfr. D E RUGGIERO, loc. cit., pag. 238. (2)*Cfr. TAO., Ann. X I I I 28. (3) L'unico esempio di moneta degli edili plebei è in C. I. L, I 1 272 : si tratta di una m o n e t a di M. Fan(nius) e L. Crit(onius), che porta la sigla A. P. (4) Cfr.
D E RUGGIERO, loc, cit..
pag.
217 e 231.
(5) I D . , ibid., pag. 216 s e g g . ; 229 segg.
L E D U E EDILITÀ FINO A CESARE
253
cultuale e monetario, e specialmente quest'ultima, che non è costante, ma straordinaria, tutte le rimanenti incombenze degli edili hanno carattere poliziesco. Ma, anche così limitato il campo d'azione, le competenze degli edili plebei non coin cidono con quelle dei cimili. Perfino la vigilanza degli incendi spettò — quando fu istituita ed organizzata regolarmente — agli edili curuli, tanto che alle loro dipendenze — non a quelle dei plebei — furono più tardi posti da Augusto seicento vigili (1), e solo in taluni casi vi collaborarono gli edili e perfino i tribuni delle plebe (2). Dall'editto dei soli edili curuli sarebbero stati regolati il lusso, la sanità pubblica, la sepoltura (3). Eccezionalmente è ricordato per la cura thermarum l'edile plebeo Catone (4), mentre per la cura morum tutti gli esempi noti e sicuramente attribuibili riguardano soltanto edili curuli (5). (1) Cfr. CASS. D I O . X L I V 2.
(2) Dig. I 16, 1. (3) P e r tatti questi casi l'editto è ricordato esplicitamente. Per il lusso dei funerali è citato da Cic., Phil. I X 7, 17 ( senatum censere atque e re publica existimare aedilis eurulis edictum quod de funeribus hàbeant, remitiere) e, per quanto riguarda le tombe da C. I. L. V I 1375 (e ex ea pecunia quam pro suis partibus receperiunt) ex vendilione attalicorum quae eis per edictum aedilis in sepulcrum C. Cesti ex testamento eius in ferre non licuit »). Ancora per le sepolture si noti la formula « corp(us) per aediles inferri non licebit » in C. I. L. V I 12389 (cfr. D B RUGGIERO, loc. cit., pag. 230), ove sarà da intendere che si tratti degli edili curuli, che hanno appunto, come s'è visto, la sovrintendenza sulle tombe. P e r quanto riguarda la sanità pubblica valgono i paragrafi 3 e 6 dell'editto edilizio, rispettivamente adversus eos qui pueros castraverint (RICCOBONO, Fontes, p a g . 390; cfr. Dig. I X 2, 27 ; 28) e de ferie (RICCOBONO, p a g . 391; cfr. Dig. 21,
1, 40, l e 21, 1, 42) commentato da Ulpiano e da Paolo. In realtà il processo delle matrone accusate di veneficio, ricordato da Li v., V I I I 18, spetta ad un edile curale. (4) Cfr. la nota seguente. (5) L e fonti che si riferiscono sicuramente ad età repubblicana sono soltanto le seguenti. Liv., XXXTX 14, 9, a proposito dei Baccanali (cfr. infra, pag. 257 e n. 2); e, per casi di stuprum, Liv., X 81, 9 (anno 294 a. 0., l'edile è u n Fabio e quindi quasi certamente curale; -, XXV 2, 9 (218 a. C. : vi si parla di plebei, ma sul valore della notizia cfr. supra, pag. 251, n. 5) ; V i l i 22, 3 (327 a. 0., tab aedilibus»); VAL. MAX., VI 1, 8 e PLUT., Marc. 2 (edile curale). Non pare sia d a mettere in relazione con questa cura morum la cura thermarum di cui ci parla S E N . , ep. 86, 10 {quam iuvat Ula balinea intrare obscura et gregali tectorio inducta, quae scires Çatonem tibi aedilem aut Fabium Maximum aut ex Corneliis aliquem manu sua tem-
254
L'EDILITÀ IN ROMA
Meno netta appare Ja distinzione, almeno nell'ultimo pe riodo della Bepubblica, fra le incombenze degli edili curuli e dei plebei circa la sorveglianza degli edifici pubblici e pri vati, le vie e il corso pubblico : ciò si spiega senza bisogno di difficili elucubrazioni quando si osservi che, logicamente, non poteva esservi, specie al tempo in cui iu redatta la legge della Tabula Heracleensis, una netta distinzione fra gli edifici plebei e gli altri e perciò si rese necessaria, in un'epoca im precisabile, una divisione più o meno fittizia delle zone di sorveglianza (1). Ma va tenuto presente che ancora al tempo di Cicerone la cura urbis pare spettare agli edili curuli (2), onde rimane assai dubbio che gli edili plebei abbiano potuto prima d'allora coadiuvare in qualche modo i curuli se non, eventualmente, come subordinati. Pare tuttavia opportuno tener presente che tanto gli edili curuli quanto gli edili plebei collocano miliari nel suburbio perasse), anche se si pon mente a de vita beata 7, 3 (jbalinea ae sudatoria ac loca aedilem metuentia). (1) L a Tabula Heracleensis (linee 20 segg. ; KICCOBONO, Fontes, pag. 143) pre scrive che : « Quae viae in urbe Rom(a) propiusve u(rbem) R(omam) p{assus) Jkl, ubei continente habitabitur, sunt erunt, quoius ante aedificium earum quae vi(a) er(i)t (nella lapide : viae erunt), is earn viam arbitratu eius aed{ilis), quoi ea pars urbis A. I. obvenerit, tueatur ; isque aed(ilis) curato uti, quorum ante aedificium erit, quamque viam h. I. quemque tueri oportebit, ei omnes earn viam arbitratu eius tueantur, neve eo loco a(qua) consistât, quominus conmode populua ea via utatur. Aed(iles) cur(ulès) aeoXiles) pl(ebei), quei nunc sunt, queiquomque post h. I. r(ogatam) factei crealei erunt eumve mag{istratum) inierint, iei in diebus V proxumeis, quibus eo mag(istratu) designate* erunt eumve mag{istratum) inierint, inter se paranto aut sortiuntot qua in partei urbis quisque eorum vias publicas in urbem Roma(m), propiusve u(rbem) R{omam) possum M, reficiendaa sternendas curet, eiusque rei procurationem habeat. Quae pars quoique aed(ilei) ita h. I. obvenerit, eius aed(ilis) in eis loceis, quae in ea vartei erunt, viarum reficiendarum procuratio esto, utei h. I. oportebit Segue la serie delle n o r m e particolari da applicare in ogni circostanza. Ne risulta che in base a questa legge gli edili plebei si dividono coi curuli la cura urbis per quanto riguarda vie ed edifici compresi nel raggio di mille passi in torno alla città. Nulla però comprova che questa cura sia stata condivisa dai plebei prima di tale legge, anche se n o n è facile pensare ad una innovazione assoluta. A questo proposito può essere interessante ricordare il passo di VABR., r. r.. I 2, 2, in cui è detto che un edituo fu « accersitus ab aedile cuius procuratio huius templi est*, È però incerto se si possa dedurre da queste parole una divisione per quartieri fra tutti gli edili curuli e plebei. (2) Cic, Verr. V 14, 36 : ■ mihi totani urbem tuendam esse commissam ».
LE D U E EDILITÀ FINO A CESARE
255
di Roma almeno fino a trenta miglia, come risulta da talune iscrizioni, alcune delle quali vanno poste con certezza nel 111° secolo a. C. (1). Ciò esula però dalla mira urois e va proba bilmente connesso con la sorveglianza dell'agro pubblico : non si spiegherebbe altrimenti come i poteri degli edili po tessero superare il miglio «propius urbem Romani» esplicita mente indicato dalla Tabula Heracleensis (2), anche se gli edili curali convocano eccezionalmente le matrone comprese in un raggio di dieci miglia nel famoso processo del 207 a. 0. (3). Pare quindi necessario pensare a compiti straordinari che non possono, come tali, incidere sul giudizio generale che ci si può formare sulla distinzione fra i compiti degli edili ple bei e dei curuli. Bisogna tuttavia tener presente che i compiti inerenti alla protezione e alla limitata concessione di proprietà demaniale dovettero spettare agli edili curuli, come delegati o sostituti dei censori (4), sebbene non si possa escludere che gli edili plebei — specie in difesa degli interessi dei cittadini plebei — agissero talvolta in questo campo. Pare questo in realtà il caso di multe inflitte a pecuarii da edili plebei fino, almeno, dal 295 a. 0.(5). (1) Sono utili a questo proposito le iscrizioni di C. I. L. I a 829 (P. Menâtes P. f. I aid. pi. I XXX), 22 (XI... / C. Cinci(os) — Q... / aidile{s) — P. C / pleib(ei) — probavferjo) entrambe riferentisi ad edili plebei. La seconda — di difficilissima lettura, anche perchè pare consti di due parti accostate — viene attribuita al V J secolo di Roma piuttosto che al VI° e perciò sarebbe di circa la m e t à del 111° a. C. Si aggiunga C. I. L. I a 21, di due edili curuli e riferibile anch'essa allo stesso periodo (cfr. MOMMSEN, in C. I. L. X, p . 1019). (2) Cfr. la linea 20, già citata nella nota 1 a pag. 254. (3) Lrv., XXVII 37, 9 : a aedilium curulium editto in Capitolium convocatele, quibus in urbe romana intraque decimum lapidem ab urbe domicilia essent, ipsae (matronae) inter se quinque et XX delegerunt. . . •. (4) Le fonti che ricordano esplicitamente edili accennano esclusivamente ai curuli ; C. I. L. I a 807 e 2514 ; VI 31759, rispettivamente per la restitutio di un'ara, per la concessione di locus e per Vattribuito di « areas a cippo ad Tiberim ». Il passo della Tabula Heracleensis (1. 77) citato a questo proposito dal D E RUG GIERO (op. cit., pag. 235) non si riferisce solo agli edili (quos ludfosj quisque Romae p(ropius)ve u{rbei) JR(omae) p(assus) M faciei ) e comunque è valido solo per il caso di ludi. (5) Il primo esempio di multe inflitte da edili plebei a pecuarii si ha nel 295 (Liv., X 23, 13). P e r altre multe cfr. Liv., X X X I I I 42, 10 (anno 196, ancora a pecuarii). Argentum multaticium è ricordato da Liv., X X V I I 6, 19 (anno 210),
256
L'EDILITÀ
IN
ROMA
Quanto alla cura dei mercati, sembra opportuno scinderne la cura annonae almeno per quanto riguarda le largizioni gratuite di generi alimentari — specie del frumento — che, pur essendo rivolte ad interessi economici della plebe, furono anche di interesse generale dello Stato e, particolarmente, della classe dominante che mirava a conseguire con esse il favore dei capitecensi. È chiaro che, in queste condizioni, la prevalenza sia senz'altro degli edili curuli (1) e di norma sono appunto ricordati come autori di frumentationes proprio gli edili curuli (2) ; ma si deve anche ricordare che a due edili plebei appartiene una moneta che vi si riferisce (3) e gli stessi edili Ceriali, creati da Cesare, ebbero l'attributo di plebei (4). Quanto alla vigilanza sulla vendita del bestiame e degli schiavi, regolata dall'editto (5), e anche — quasi certamente — sull'usura (6) bisogna invece pensare soltanto all'edilità curule. Solo a questa si può dunque attribuire una vera e propria agoranomia. Analogamente fu una funzione interessante i mercati la sorveglianza dei pesi e delle misure e va quindi attribuita con ogni probabilità agli edili curuli (7). Nessuna traccia v'è, infatti, di attività degli edili plebei in questo campo. X X X I I I 25, 3 (anno 197), X X X V I I I 36, 6 (anno 189). Dubbio è il tipo di edi lità dei fratelli Publicii costruttori del tempio di Flora (plebei secondo VABR., I. I. V 158 e OVID., Fast. V 285 segg. ; curuli secondo FEST., S. V. Publicity, mentre T A C , Ann. I I 49 li chiama semplicemente edili). (1) Cfr.
CARDINALI G.,
in
D E RUGGIEBO, Diz.
Epigr., I l i 228 seg.,
s. v.
Fru-
mentatio. (2) LD., ibid.y ove anche (pag. 228) sono revocate in dubbio le frumentazioni di età anteriore. (3) C. I. L. Ia, App. numor. 272. (4) CABS. D I O . , X L I I I 5 I ; Dig. I 2, 2, 32. (5) Cfr. D E RUGOTBBO, loc. cit., pag. 234. Le fonti in EICCOBONO, Fontes, pag. 389 seg. (6) I processi per usura a noi noti sono quelli ricordati da Lrv., V I I 28, 9 (iudicia eo anno (seil. 3*44) populi in faeneratores quibus ab aedilibus dies dicta esset traduntur) ; X 23, 11 seg. (aediles curules aliquot faeneratoribus diem dixerunt) ; X X X V 41, 9 seg. (iudicia in faeneratores, accusati da edili curuli) ; PLIN., n, h. X X X I I I 1, 19 (edili curuli). L'unico caso in cui non sia detto espli citamente che si tratti di edili curuli è il primo citato, ma non pare si possa nutrire alcun dubbio in proposito tenendo conto del fatto che gli altri tre casi sono nettamente definiti. (7) Su di essa cfr. D E RUGGIEBO, loc. cit., pag. 268 seg.
LS
D U B EDILITÀ FINO A
CESARE
257
Quanto al culto e alle feste in genere, si tratta di man sioni dipendenti dalla volontà dei consoli e del Senato (1) : la partecipazione degli edili plebei non può comunque con siderarsi se non come straordinaria (2). D'altro canto l'unico esempio noto di un processo di magia è di un edile curule che agisce di fronte ai comizi (3). Gli stessi ludi sono forse tutti sotto la cura degli edili curali (4) eccetto i ludi plebei (5), sorti nel III secolo a. C. (6). Eiassumendo e completando il fin qui detto, potremo con ci) Cfr. D E BTTQGIBRO, loc. cit., pag. 236. Particolarmente degno di nota mi pare il passo di MACH., Sat. II 6, 1, in cui si dice che * aediles e di ter e ni né qui* in arenata nisi pomum miiisse vellet » (anno 56 a. C ) . Se la facoltà di edicere spetta ai curali, anche in questo caso bisognerà pensare solo ad essi. Analoga mente pare da riferirsi agli edili curali l'editto di cui parla Lrv,, XXVII 87, 9, emanato per motivi religiosi. (2) Liy., XJULIX 14 : « consules aedilibu» curulibua imperarunt ut sacerdote* eiu Boeri omnes conquirerent, comprehensisque libero conclavi ad quaestionem servarent ,s aediìes plebis vidèrent ne qua sacra in operto fièrent •. (3) P U N . , n. h. X V I I I 6, 41-42. (4) I ludi che più comunemente si ritengono curati dagli edili plebei sono oltre i ludi plebei (su cui cfr. la nota seguente), i Ceriali e i Florali. I ludi Oeriali furono celebrati la prima volta da un Memmio (C. /. L. I*, App. numor. 854) quasi sicuramente plebeo (MOMMSEN, op. cit., II 9 521» 1), ma ciò non si gnifica che si tratti di un edile della plebe. Se si tiene presente la circostanza che Cicerone, certamente edile curule (ricorda di avere la sella curuHs in Verr. V 14, 36) celebrò tali ludi {toc. cit.), ciò pare escludere che la cura dei Oeriali sia spettata agli edili della plebe. Assolutamente inconcepibile à il passo di Lrv., X X X 39, 8 secondo il giudizio del MOMMSEN ( I S 607, n. 1), che pure considera i Oeriali come uno « den plebejischen Aedilen obliegendes Jahrfest » (II 520 seg.) : ci accordiamo con lui solo per respingere il passo in questione. Cosi pure non crediamo sia il caso di prendere in considerazione OASS. DIO., XLVII 40 (ol àyoQavó^oi xov nXrftovç oaX.O|iaxtaç àyavaç àvri tf\ç trcjtoÔoouiaç xfi ATJU-TJXQi èmxëkeoav) non solo perchè Dione potesse confondere gli edili plebei con gli aediles plebei Ceriales, ma anche perchè la notizia appare riferibile ad un fatto straordinario. Quanto ai ludi Florali la questione sta press'a poco negli stessi termini. La dedica del tempio di Flora fu fatta da edili — i due Publicii — di cui non è certo se fossero curali o plebei (cfr. supra, pag. 255, n. 5) ; ma Cicerone (loc. cit.) enumera tali ludi fra le sue incombenze di edile curule. È quindi verosimile che anche essi spettassero agli edili curali. (5) I ludi plebei appartennero certamente agli edili plebei (Lrv., XXIII 80, 17; XXV 2, 10; X X V I I 6, 19 e 8 6 , XXVIII 10, 7; X X I X 38, 8; XXXI 4, 7 ; 50, 3 ; X X X i n 25, 2 ; 42, 10; X X X I X 7, 10; P I A U T . Stich., didasc. (6) Malsicura è la data della loro istituzione, che tuttavia pare da collocare nel III 0 secolo (MOMMSEN, II 519. seg.), anche perchè tale è il periodo (290-220 circa) per cui ci manca il testo di Livio. 17
258.
L'EDILLTÀ
IN
ROMA: .
eludere che la documentazione riguardante l'attività degli edili plebei è, fino alla metà del I sec. a. 0., assai scarsa. Da essa non si può ricavare se non quanto segue. (I) Gli edili plebei sono considerati verso la fine dei III secolo come viatores dei tribuni : ad uno di essi è dato l'in carico della eventuale prensio di Scipione nel 204 (1) ; (II) essi hanno fin dal III secolo una certa coercitio penale anche nei riguardi dei patrizi (2) ; e (III) si ingeriscono fin dallo stesso periodo di questioni riguardanti l'agro pubblico (3). (IY) La manutenzione di strade del suburbio (4) è documen tata dall'epigrafìa anch'essa nel III 0 secolo. (Y) È molto dubbio che gli edili plebei abbiano avuto una qualsiasi cura Indorimi salvo quella dei ludi plebei (5). (YI) Catone, come edile plebeo, avrebbe avuto la cura di terme (6). (YII) Gli edili plebei eb bero nel 186 un'incombenza straordinaria in occasione delle misure adottate contro i Baccanali (7). (Vili) Qualche proba bile frumentatio (8) fu evidentemente rivolta ad alleviare le condizioni di una parte della plebe e una moneta vi si può riferire (9). (IX) Solo la cosiddetta lex lulia municipalis parla esplicitamente di cura urbis per gli edili plebei (10). A questo stesso periodo — o poco prima — appartiene la próbatio di opere pubbliche (11). Si può osservare che, per quanto riguarda la relazione fra edili curuli ed edili plebei, l'unico punto sicuro di contatto (1) Liv., X X X I X 20, 6 segg. : Si P. Scipio iam in Africani traiecisset, tribuni plebis atque aedilis cum duobus legatis, quos maxime idoneo s praetor censuisset, in Africani proficiscereniur, tribuni atque aedilis, qui reducerent inde Scipionem, legati, qui exercitui praeessent, donec novus imperator ad eum exercitum venisset. I D . 20, 11 ; aedilis plebis datus, quem prendere tribuni inherent ac iure sacrosanctae potè» statis reducerent (2) Cfr. supra, pag. 251, n. 5. (8) Cfr. supra, pag. 255, n. 5. (4) Cfr. supra, pag. 255 e n. 1 e 2. (5) Cfr. supra, pag. 257 e ri. 4 e 5. (6) Cfr. supra, pag. 258, rt. 5. (7) Cfr. supra, pag. 257, n. 2. (8) Cfr. supra, pag. 256 e n. 1 e 3. (9) Cfr. supra, pag. 252, n. 3. (10) Cfr. supra, pag. 254, n. 1. (11) C. !• L. I 8 24 : aid. cur. Vefljiterns lofcJavU, ei»dem aid. pi. prob.
LE D U E EDILITÀ
FINO A CESARE
259
pare essere la coercitio penale nei riguardi dei cittadini pa tri/i (II) e, più tardi, la cura urbis documentata dalla Tabula Heracleensis (IX). Di tutti gli altri compiti documentabili per gli edili plebei alcuni paiono del tutto straordinari: tali mi sembrano l'incombenza attribuita agli edili plebei in occasione dei Baccanali (VII), forse la cura di vie suburbane (IV) e le frumentazioni (Vili). Appaiono strettamente inerenti ad in teressi della plebe sia la funzione di viatores dei tribuni (I), sia, forse, le stésse incombenze straordinarie già ricordate. Sono facilmente collegabili con interessi che non sono sol tanto statali ma anche plebei parecchi altri fatti. Così pos siamo pensare che difendessero interessi plebei gli edili che condannarono i pecuarii ; così la cura delle terme di Catone, se pure non va pósta in dubbio, può riferirsi a terme fre quentate da plebei. La stessa ingerenza nei Baccanali e le frumentazioni e monetazione già ricordate si riferiscono senza sforzo ad interessi plebei ; ed anche la funzione di viator dei tribuni a proposito del previsto arresto di Scipione ci riporta forse ad interessi plebei se si tien conto del fatto che vi in ter vongono appunto i tribuni della plebe. Può finalmente essere connessa con la tutela di interessi dei plebei la coercitio penale che si manifesta nel processo di Claudia e nell'accusa clodiana contro Milone. Quest'ultimo punto è pertanto anche il più importante. Ma anche per esso non è sicuro che la coercitio degli edili plebei sia da porre sullo stesso piano di quella degli edili curuli, perchè — come si notava — si tratta anche in questo caso di fatti che interessano probabilmente non solo lo Stato, ma altresì, e soprattutto, la plebe stessa in quanto classe or ganizzata (1). È, comunque, pensabile che la coercitio del III secolo abbia come precedente una qualche forma di agoranomia. Si tratterebbe però, ad ogni modo, di un'agoranomia senza iurisdictio, poiché" questa pare mancare agli edili plebei; e quindi una tale agoranomia avrebbe un carattere particola rissimo e forse del tutto rivoluzionario, se pure la coercitio (1) Cfr. supra, stessa pagina.
260
L'EDILITÀ IN ROMA
in questione non si connette con la possibile iudicatio già ricordata per l'età più antica (1). Sulle basi suesposte è impossibile stabilire in quale mo mento gli edili plebei siano divenuti magistrati di tutto il popolo Romano. Possiamo dire soltanto che con Cesare la trasformazione è completa (Tabula Heracleensis). È però anche certo che in un primo tempo le funzioni degli edili plebei furono sostenute dalla loro sacrosanctitas (2). La quale esclude la legittimità della loro esistenza (3) : e infatti quando gli edili plebei cominciano a ricevere ordini e incarichi dal Senato o dai consoli la loro sacrosanctitas è messa in discus sione e finisce con lo scomparire (4). Quando ciò avviene essi sono ormai magistrati di tutto il popolo : ma questa nuova situazione non può quasi certa mente essere anteriore al riconoscimento legale dei plebisciti (anno 339) e va, anzi, ritenuta posteriore, sia pure di poco, a tale data. Terminus ante quem resta naturalmente la Tàbula Heracleensis, posteriore di circa tre secoli, senza che sia pos sibile tentare di stabilire il momento esatto in cui l'edilità plebea assunse il carattere di vera magistratura di tutto il popolo Romano. Né pare che questo spazio di tempo possa essere seriamente limitato al periodo compreso fra il 339 e la metà del secolo successivo soltanto in base alla cura di vie del suburbio che, come s'è detto, potè essere straordina ria o, almeno, saltuaria. (1) Cfr. supra, pagg. 289 e 228. (2) Cfr. supra, pag. 238. (3) MOMMSEN, op.
cit.,
I I s 286 e
302.
(4) M.OMMSBN, op. cit., I I s 486, 2. Il problema, gik visto dagli antichi, trova espressione In Livio ( I I I 55,8-9), il quale scrive a proposito della «legge» Valeria-Horatia i « Hoc lege iuris interprètes negant quemquam sacrosandum esse, sed eum, qui eorum cuiquam nocuerit, sacrum sanciri. I toque aedilem prendi ducique a maioribus magistratibus, quod etsi non iure fiat — noceri enim ei, cui hac lege non liceat —, tarnen argumentum esse non haberi pro sacro sanctoque aedilem ». Si può forse stabilire all'epoca sillana questa cavillosa interpretazione della lex Valeria-Horatia se si tien conto che ancora per Catone (ap. FXST». pag. 422 L.) gli edili sono considerati sacrosanti.