Presentazioni
Nel 1987 i lavori di ristrutturazione dell’ex Monastero di Santa Chiara portarono alla luce reperti di ec...
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Presentazioni
Nel 1987 i lavori di ristrutturazione dell’ex Monastero di Santa Chiara portarono alla luce reperti di eccezionale importanza e apparve chiaro che, attraverso quel materiale, la Città aveva l’opportunità di riscoprire e di “riappropriarsi” di un periodo importante della sua storia. Ora, con la mostra “Senza immensa dote - Le Clarisse a Finale Emilia tra archeologia e storia”, allestita nel Castello delle Rocche dal 5 settembre al 4 ottobre 1998, corredata dal presente catalogo, l’Amministrazione Comunale assolve l’impegno preso a suo tempo con coloro che si prodigarono nel ritrovamento del ricco materiale, in particolare il Gruppo Culturale R 6J6, e restituisce a Finale Emilia un momento importante del suo ricco passato. Un ringraziamento particolare va pertanto al gruppo R 6J6, al prof. Sauro Gelichi e a tutti coloro che hanno concorso in qualche modo alla realizzazione di questo importante recupero storico culturale // Sindaco ALFREDO S GARBI L'Assessore alla Cultura ODILLA G ALLERANI
5 © 1998 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
La ristrutturazione di un edificio storico è senz’altro un’occasione importante per raccogliere e conservare il maggior numero di testimonianze storiche, architettoniche e cartacee, per “non dimenticare”. Se poi l’edificio in questione è un ex monastero, uno dei tanti presenti a Finale Emilia nei secoli scorsi (e forse il più “leggibile”), i ritrovamenti sono ancora più importanti e la collaborazione fra progettista del recupero, ditta appaltatrice dei lavori e Gruppo R 6J6 è risultata sicuramente proficua. L’ex monastero di Santa Chiara, sito a Finale Emilia in Via Montegrappa, presentò fin dai primi scavi alcuni ritrovamenti di una certa rilevanza, ma il vero scrigno apparve ben presto essere un pozzo tombato, ai piedi di una scala costruita tra la fine del secolo scorso e l’inizio del ’900. Dopo i primi momenti di comprensibile scetticismo (uno scavo di 1 metro e 10 centimetri), un ulteriore scavo mise infatti alla luce parecchie ceramiche, alcune integre, oltre a vetri ed oggetti vari. E a distanza di anni quei ritrovamenti vengono ora presentati alla cittadinanza grazie alla mostra allestita al Castello delle Rocche dal 5 settembre al 4 ottobre 1998 ed in questo catalogo. Un riconoscimento al nostro impegno ed un arricchimento per la storia della nostra città. GRUPPO CULTURALE R 6J6
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Introduzione
Nell’Inferno Monacale, Suor Arcangela Marabotti paragonava i monasteri a pubblici depositi («rinserrate (sott. le monache, n.d.r.) nei monasterij come quasi in pubblico deposito»: MEDIOLI 1990). Nelle crude parole della suora veneziana vissuta nella prima metà del secolo XVII, il convento veniva descritto come una sorta di area di parcheggio permanente, un territorio al di fuori del tempo e dello spazio del vivere civile, dove si consumavano, in regole che tuttavia tendevano spesso a riprodurre le stratificazioni sociali dell’esterno, le vite di centinaia di sventurate (per usare un sostantivo di manzoniana memoria). Nel suo manoscritto la monaca veneziana coglieva il senso più profondo del fenomeno delle vocazioni, almeno sul piano sociale. La sua operetta morale, che non conobbe, forse per l’argomento, l’onore della stampa, individuava con molta lucidità quali fossero i meccanismi che impedivano alla maggioranza delle giovani donne di abbracciare la più anonima, ma certo più naturale, via del matrimonio. Chi non poteva disporre d’«immensa dote», per usare le parole di un cronista modenese del XVI secolo, Tommasino Lancillotti, aveva aperte le vie dei monasteri: «non per orare et benedire, ma talhor per bestemmiare et maledire il corpo et l’anima de’ progenitori et attinenti suoi et accusare Iddio che le abbia destinate a nascere». La dote, dunque, una disponibilità economica sufficientemente forte da trasformare una figlia qualsiasi in un “buon partito” (ma in genere non più di una per famiglia); la dote, dunque, al centro di un delicato meccanismo di equilibrio sociale. Chi non ne disponeva, o non ne disponeva a sufficienza, avrebbe imboccato, non sempre di sua spontanea volontà, la via della clausura. L’archeologia, si sa, permette di dialogare direttamente con gli oggetti, con i manufatti; ed allora, di fronte alla documentazione materiale che i conventi (di epoca moderna in questo caso) hanno da offrirci, viene da chiedersi quale percorso è più fruttuoso intraprendere per ricomporre, si spera con originalità, il quadro di un fenomeno, e più latamente, di un’epoca che lo rappresenta. Proprio in questa stessa collana, oramai qualche anno fa, Daniele Manacorda aveva dato alle stampe un volume al tempo stesso curioso e provocatorio: un volume di archeologia dedicato allo spaccato più recente che l’equipe impegnata nello scavo urbano della Crypta Balbi a Roma aveva avuto modo di indagare e studiare. Un’area di rifiuti delle fasi più tarde del convento di Santa Caterina della Rosa (un “mondezzaio” secondo il colorito, ma filologicamente corretto, recupero linguistico) aveva consentito a studiosi poco ortodossi di investigare il “quotidiano” di un monastero femminile in epoca moderna. Seppure giustificato all’interno di un progetto che tendeva a riandare a ritroso nel tempo recuperando la millenaria storia, in quel caso, di un pezzo di città, il volume sull’archeologia di un settecentesco monastero si poneva di fatto (insieme ad altrettanto importanti ed innovative ricerche effettuate negli stessi anni in Liguria), come un raro e precoce esempio di archeologia post medievale.
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Il monastero delle Clarisse di Finale Emilia non è certo il convento romano di cui abbiamo parlato o le altrettanto importanti comunità monastiche genovesi indagate in più di un trentennio di archeologia urbana. È tuttavia un microcosmo che riproduce, pur nel localismo di determinate soluzioni, analoghi meccanismi, simili processi; dunque anch’esso un tramite per cercare di leggere gli aspetti della quotidianità del vivere comunitario e per tentare di capire quali riflessi quei modelli di vita, quelle convenzioni sociali avessero riprodotto negli oggetti, nei manufatti che erano venuti alla luce e dovevamo analizzare. Ci è parso che il nostro “mondezzaio”, di circa un centinaio di anni più antico di quello romano e che certo non così dovevano chiamare gli abitanti del luogo, potesse anch’esso rappresentare un buon banco di prova, soprattutto per le caratteristiche degli oggetti che lo componevano, per analizzare e discutere i problemi connessi alla formazione e alla connotazione dei corredi dotali: non quelli che permettevano alle giovani donne di maritarsi, ma quelli, anch’essi necessari seppure di minore valore, che dovevano accompagnare le suore al momento del loro ingresso nella comunità. Erano solo in denaro o potevano anche essere costituiti parzialmente da manufatti? quali oggetti e a quale scopo le monache li portavano con sé? perché tutti quei segni di proprietà che si riscontravano sulle ceramiche e che sapevamo, anche se trattate molto genericamente dalla letteratura specialistica, essere frequenti un po’ ovunque nello stesso periodo? si potevano rilevare differenze, nella “cultura materiale”, con i conventi maschili? Queste, ed altre, le domande che ci siamo posti e alle quali abbiamo cercato di rispondere, cercando di mantenere il giusto equilibrio tra la specificità del caso che analizzavamo e la generalità dei processi che quel caso comunque ci sembrava rispecchiare. A conclusione di questo libro vorremmo ringraziare innanzitutto l’Amministrazione Comunale, che ha creduto in questa iniziativa e l’ha supportata logisticamente ed economicamente, in particolare nelle persone dell’Assessore alla Cultura e dei funzionari Aleotti e Barbieri. La Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna e l’ispettrice di zona, Nicoletta Giordani, hanno facilitato in ogni modo il nostro lavoro. Questo volume ha accompagnato un Mostra, per la quale è stato fondamentale l’apporto di Mario Cavani, che ha saputo tradurre le idee in immagini con grande sensibilità e di Berto Ferraresi e tutto il Gruppo R 6J6, che con la loro abnegazione, il loro impegno, le loro capacità, hanno saputo costruire un altro tassello della loro personale storia finalese. Per il problema delle ceramiche e dei corredi dotali ci è stato utile discutere con Graziella Berti, Sergio Nepoti e Marco Milanese. Jacopo Ortalli ha messo a disposizione alcuni contesti conventuali bolognesi di epoca post medievale. Le foto sono state realizzate in parte presso il Gabinetto Fotografico della Soprintendenza Archeologica di Bologna e in parte si devono a Maurizio Molinari. Infine Marinella Zanarini ci ha aiutati nel reperimento di alcuni documenti del Convento. SAURO GELICHI - MAURO LIBRENTI
settembre 1998
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1. Il convento di S. Chiara a Finale Emilia
La fondazione del monastero di clausura dell’ordine delle Clarisse a Finale Emilia (Tav. 1) risale al 1603. Una serie di documenti, resi noti di recente dal Rovatti (s.d., pp. 197-198), fanno luce sui tempi e i modi di costituzione del complesso conventuale, voluto principalmente dal predicatore P. Girolamo Paolucci da Forlì e realizzato grazie al concorso del vescovo e del Duca stesso 1 (Fig. 1). Sono numerose, fra il tardo Cinquecento ed il secolo successivo, le fondazioni motivate dall’aumento e dalla ridistribuzione della popolazione monastica, in cerca di doti di accesso modeste, meno cospicue di quelle praticate nelle città maggiori. L’ubicazione stessa del convento, al di fuori del perimetro delle mura cittadine, ma in prossimità ad esse (Tav. 2), risponde ai canoni previsti dalla Controriforma, che tendevano da una parte ad emarginare le comunità monastiche dal tessuto sociale del centro urbano e, dall’altra, ad evitare che il loro accentuato isolamento favorisse fenomeni incontrollati di violenza, in particolare per opera delle soldataglie nel periodo delle guerre d’Italia (ZARRI 1986, pp. 401, 412). Dalle Cronache successive (FRASSONI 1752) veniamo a conoscenza che, verso l’ottobre del medesimo anno, i lavori erano già a buon punto; l’8 dicembre del 1604 il monastero poteva dirsi terminato (ROVATTI s.d., p. 198) e l’abito di S. Chiara imposto a 32 ragazze. Leggendo i testi parzialmente riprodotti dal Rovatti (e che principalmente si riferiscono alla versione dei fatti riportata dal menzionato predicatore in una serie di sue lettere) sembra emergere il dato della realizzazione di un istituto completamente nuovo. L’edificio viene costruito acquistando una casa con terreno da un certo Antonio Gnoli (ibid. p. 197), mentre il 1 maggio viene posta dal vescovo la prima pietra della chiesa (ibid.). Questi episodi sembrano mettere in serio dubbio l’ipotesi dell’esistenza delle Clarisse a Finale prima di quella data, nonostante una chiesa con quel nome compaia in una pianta di dubbia datazione al XVI secolo I due documenti della seconda metà del ‘500, conservati nell’Archivio di Stato di Modena e relativi al citato fondo delle Clarisse 2, sono in realtà atti testamentali che dovevano comprovare il passaggio di proprietà di alcuni beni a vantaggio delle future suore, le quali dovettero servirsene al momento della monacazione, per poi farli confluire nell’archivio comune. Tali documenti, dunque, non sono probanti per supporre l’esistenza delle Clarisse a Finale prima del 1603. Del resto che la fondazione dell’Ordine fosse un elemento di novità nel quadro delle istituzioni ecclesiastiche locali è comprovato, oltre che dal già citato atto di fondazione, da un passo di un documento di poco posteriore (1605) che ricorda il «venerabili monasterio et conventui sub
1 Archivio di Stato di Modena (d’ora in avanti citato A.S.MO.), Corporazioni soppresse, b 2170, anno 1603. 2 A.S.MO. , Corporazioni soppresse, b 2170, anno 1556; anno 1575.
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titulo sancte dare ad usum monialium nuper erecto et constructo in terra Finalis Mutine»3. Resta tuttavia un margine di incertezza sulla presenza, in loco, di strutture religiose precedenti (anche con la medesima intitolazione). Ci sono infatti alcuni elementi che sembrerebbero indicare, nell'area del futuro monastero, un precedente edificio di culto: tali elementi sono costituiti dalla già citata pianta (Fig. 10) nella quale compare una chiesa isolata intitolata a S. Chiara e dai resti di una cornice in cotto, ancora in situ (Fig. 5) che, al di là della incerta datazione, sembra collocarsi in posizione completamente disassata rispetto all'orientamento della chiesa attuale. Il problema resta tuttavia aperto poiché, altrettanto stranamente, nessun edificio di culto viene menzionato al momento della costituzione del monastero. Il convento di S. Chiara, almeno nella prima metà del XVII secolo, sembra incontrare i favori della comunità locale, dal momento che, secondo le Visite Pastorali (ROVATTI s.d., p. 205), il numero delle monache aumentò. Dunque un leggero incremento dovette essere alla base, nel 1637, della richiesta di poter annettere al monastero alcuni ambienti adiacenti, in modo da poter disporre di uno spazio maggiore per dare ricetto al numero crescente di novizie4. Nella lista del 1641, infatti, le monache presenti sono circa una sessantina, appartenenti ad un numero diversificato di famiglie locali (Fig. 3). Questo dato risulta particolarmente significativo in quanto sembra indicare il rispetto, da parte della comunità religiosa, delle volontà conciliari, che intendevano limitare il numero degli appartenenti alla stessa famiglia all'interno
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A.S.MO., Corporazioni soppresse, b 2170, anno 1605 17 maggio.
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dei conventi al fine di evitare la creazione di fazioni che si disputassero la guida del monastero (AIELLO 1997, p. 308). Solo quarant’anni dopo, però, la distribuzione della popolazione monastica secondo gruppi gentilizi risulta profondamente mutata: gli elenchi del 1680 (Fig. 4) mostrano infatti la netta prevalenza di alcuni gruppi familiari all’interno della nostra comunità, ad indicare che, dopo la parentesi della
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Fig. 2 - Finale Emilia prima dell'interro del corso d'acqua che ne costituiva l'asse centrale. Il monastero sorgeva poco distante dalla torre di cinta visibile sulla sinistra.
Controriforma, le istituzioni religiose femminili avevano ripreso a svolgere quel ruolo di equilibrio sociale che era loro prerogativa nel passato. Già da qualche anno, nel 1650, monsignor «Meleagro Berni, cittadino, et Arciprete della Terra del Finale» aveva lasciato in testamento i propri beni (soprattutto mobili e vestiti) a sua sorella, badessa di S. Chiara, e a suor Maria Lavinia Berni, sua parente e professa del medesimo convento, richiedendo che il proprio corpo fosse seppellito nella chiesa del monastero. Una delle clausole di questo donativo recita esplicitamente la proibizione ai suoi «Ministri, Sindici, Agenti, ed offitiali, ovvero altra persona à suo nome etiam col pretesto dell'utilità del convento» di «farli far Inventario, o' descritioni, né col levarli l'amministratione de' beni, né col farli render conto dell'entrate»5. Tale documento sembra allinearsi con il nuovo clima al riconoscimento delle proprietà private delle singole suore e conferma del ruolo crescente che i Berni e le famiglie nobili andavano assumendo nella direzione della comunità a discapito delle istituzioni del clero, come dimostra l'irritata polemica con il vescovo nel 1681 (ROVATTI s.d., p. 207). Tuttavia, come avviene nel 1663 6, quando i finanziamenti tardano a venire, le monache richiedono di poter usufruire dei soldi delle proprie doti per poter provvedere al completamento della fabbrica del convento. La documentazione successiva al Seicento, pur abbondante, lascia comunque trapelare la percezione di una sostanziale decadenza, che si intuisce anche dalla pur casuale documentazione archeologica (in particolare le ceramiche rinvenute negli sterri all'interno del convento sembrano indicare un 4
A.S.MO., Corporazioni soppresse, b 2173, anno 1637. A.S.MO., Corporazioni soppresse, b 2170, anno 1650 4 luglio. 6 A.S.MO., Corporazioni soppresse, b 2173, anno 1663 21 giugno
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Frg. 3-A. C. A MO., Pastorali 1641. Lista delle suore del Monastero di S. Chiara. Fig. 4 - Elenco delle suore presenti a S. Chiara nel 1680. Proprietà fam. Grossi.
numero molto modesto di residenti e un altrettanto modesta attività edilizia). Infatti, nel 1769, le monache rivolgono una supplica al vescovo nella quale, oltre ad esplicitare i disagi di una situazione economica divenuta insostenibile, propongono di vendere una parte dell'argenteria in loro possesso (di cui si allega l'elenco)7. Ma l'anno seguente, come ricorda anche il Frassoni, una piena del Panaro dovette arrecare ulteriori danni al monastero e decretarne quasi la fine, che arrivò, in maniera definitiva, nel 1798 con le soppressioni napoleoniche. In un elenco databile probabilmente a quegli anni, comunque, si registra una popolazione monastica già ridotta a poche unità8, molte delle quali in età avanzata: sono presenti tredici coriste, con età compresa tra i 47 e gli 88 anni, otto converse di età media un po' meno avanzata, quattro giovanissime educande e PAbbadessa. Una pianta del monastero, redatta nel 1808, ci permette di ricostruire, a grandi linee, la fisionomia e l'articolazione dello spazio conventuale durante i due secoli di vita {vd. per una dettagliata disamina infra, n. 4, Fig. 13). 11 complesso si trovava ubicato tra le attuali vie Montegrappa e via Leonardo da Vinci. All'angolo tra le due strade era la chiesa, già ricordata, di cui abbia7 8
A.S.MO., Corporazioni soppresse, b 2173, anno 1769. A.S.MO., Corporazioni Soppresse b 2171, XVIII sec.
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mo menzione anche nella descrizioni delle Visite Pastorali. L'edificio era orientato est-ovest, con accesso sull'esterno ad est. Come nelle chiese di clausura, secondo la normativa conciliare (Vercelli, pp. 81-82 e 84), l'edificio era suddiviso in due grandi ambienti, uno dei quali destinato alla liturgia pubblica ed uno a quella delle monache. Una serie di ambienti, prospicienti via Montegrappa, dovevano svolgere la funzione di tramite tra il monastero e l'esterno, essendo qui ubicati i parlatori delle monache, che davano su di una sorta di cortiletto interno. Ma il complesso vero e proprio doveva svilupparsi oltre, come di consueto intorno ad un chiostro su cui davano il refettorio, naturalmente la parte della chiesa per le suore e una serie di camere (Fig. 6). Strutture di servizio, come cantine e pollai, erano infine ubicati nell'ala più
Fig. 5- Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Foto degli edifici del monastero e le tracce di un fabbricato preesistente, con cornice in cotto nel sottotetto, inglobato nelle strutture seiecentesche.
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esterna, questa volta prospicienti un cortile di disimpegno, privo di quelle caratteristiche architettoniche (come il pozzo o il loggiato) che qualificavano il precedente (Fig. 7). Per quanto non sia stato realizzato uno studio analitico delle strutture murane, si può supporre che l'immagine riprodotta nella pianta del 1808 sia abbastanza fedele, almeno a livello di volumetrie, con l'impianto originario sul quale si dovette intervenire in maniera marginale (anche sulla scorta delle fonti scritte durante il XVII e XVIII secolo. Nei restauri, peraltro, sono emersi resti della fondazione secentesca, tra cui una serie di mensole in legno a sostegno delle travature (Fig. 8) e un cospicuo numero di tavolette dipinte usate come sottofondo della pavimentazione del piano superiore (Fig. 9).
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Allegato I. Piante di Finale Emilia e del monastero (L.M.-A.L.)* * Si pubblica in questa sede una scelta della documentazione cartografica prodotta dalla dott.ssa Lidia Moro e dalPArch. Adriano Lazzari su incarico dell'Amministrazione Comunale.
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2. Il contesto del pozzo e gli altri ritrovamenti
2.1. Il ritrovamento II pozzo (Tav. 2) venne scoperto e scavato nel giugno del 1987 dai membri del Gruppo R 6J6. La struttura, individuata nell’area del primo cortile, era stata coperta da una scala e si trovava al di sotto della pavimentazione in cotto di epoca recente (Tav. 2). Il pozzo, del diametro di m 0,85 (all’interno) e m 1,15 (all’esterno), era rivestito di mattoni e venne scavato per una profondità di m 6,60, quando si incontrò il terreno sterile (Tav. 3). Dalla relazione, compilata dagli scavatori, si rileva che i primi 60 centimetri erano coperti da uno strato di calce, che costituiva anche il sottofondo del pavimento in cotto. Subito al di sotto era un livello di riempimento di m 0,50 (Tav. 3,1) composto prevalentemente di terra sciolta, mattoni e tegole frammentarie. I seguenti m 2,30 (Tav. 3,2) contenevano i materiali che verranno discussi: nello scavo non si sono rilevate diversità di sorta nella giacitura degli oggetti, fatto che impedisce di valutare i tempi e le modalità di deposizione del contesto, il quale conteneva anche reperti naturalistici (semi, conchiglie, resti di pasto) che purtroppo non vennero conservati. La sostanziale contemporaneità cronologica dei reperti suggerisce tuttavia la possibilità che il pozzo sia stato colmato in tempi abbastanza veloci. IIdeposito successivo (Tav. 3,3) costituito da m 3,20 di terreno argilloso, in parte scavato, in parte solo sondato, non conteneva materiali. Come è stato già indicato analizzeremo solo i manufatti, non potendo più disporre dei reperti naturalistici che sarebbero stati di notevole interesse per conoscere, anche parzialmente, il regime alimentare delle monache. 2.1.2. Le ceramiche Le ceramiche costituiscono la categoria di manufatti più numerosa scoperta all’interno del pozzo e ad un grado di conservazione spesso molto buono (diversi recipienti sono integri o integralmente ricomponibili). La quantità e la qualità dei reperti e la natura del contesto consentono di affrontare lo studio di questi reperti da più punti di vista: per tarare meglio la cronologia di gruppi ceramici della prima metà del XVII secolo, per analizzarne la circolazione in un centro padano di media grandezza, per comprendere le modalità di approvvigionamento da parte di uno specifico nucleo sociale. In particolare questo ultimo aspetto ci sembra particolarmente significativo, perché ci porta ad approfondire quei meccanismi e quei processi economici e culturali che sembrano connotare la “cultura materiale” delle comunità monasti-che, sia maschili che femminili e, naturalmente, porle a confronto tra di loro: un percorso che dovrebbe lentamente svincolarci da un approccio essenzialmente o esclusivamente tassonomico e permetterci di costruire relazioni si-
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Tav. 4 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Nuda depurata: 1-2; invetriata da cucina: 3-9.
gnificative tra consumo ceramico e contesti socio-economici. Ma, per lo specifico dei problemi connessi ai monasteri, si rimanda alle considerazioni sviluppate nell’ultima parte del volume (infra cap. 3). In questo capitolo limiteremo l’analisi ad un inquadramento tipologico e cronologico dei reperti che accompagnerà le schede critiche di quei manufatti che saranno illustrati. Le misure nelle schede sono espresse in centimetri e il colore fa riferimento a Munsell Soil Color Chart, Baltimore 1975. 2.1.2.1. CERAMICHE PRIVE DI RIVESTIMENTO (S.G.)
La ceramica senza rivestimento è ridotta a pochissimi esemplari appartenenti tutti alla stessa categoria funzionale, cioè coperchi di piccole dimensioni, simili nella forma a quelli invetriati e utilizzati nella stessa maniera (lo indicano le tracce di annerimento sull’orlo). Sono ormai scomparse dal record archeologico le ceramiche depurate da conserva, mentre le produzioni da fuoco (nonostante si abbiano ancora attestazioni nel XVI secolo: Di CARLO, PANDOLFI 1987, pp. 27-30) sembrano esclusivamente ricondursi ai tipi invetriati (vd. infra). Assenti anche altri tipi che, saltuariamente, compaiono ancora in fasi di questo periodo (o addirittura anche più tarde) come i vasi da fiori (Crypta Balbi 1984, pp. 120-125). 1. Coperchio tronco conico con presa cilindrica. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ricomposto parzialmente da due frammenti. Annerimento sull’orlo. Inv. 69201 (Tav. 4). Diam: 12,5; h: 4,3 2. Coperchio tronco conico con presa cilindrica forata. Biscotto di colore marrone chiaro (10 YR 7/2). Ricomposto parzialmente da due frammenti. Annerimento sul l’orlo. Inv. 187841 (Tav. 4). Diam: 12,5; h: 3,2
2.1.2.2. CERAMICHE INVETRIATE DA FUOCO (S.G.)
Il gruppo delle ceramiche invetriate, abbastanza esiguo numericamente, costituisce il corredo ceramico domestico da cucina. Sono infatti documentate due forme, la pentola e il tegame, e un elemento accessorio, il coperchio. Le caratteristiche tecniche di questi prodotti sono abbastanza standardizzate: pareti sottili, forme e decori molto ripetitivi, uso della vetrina sufficientemente omogeneo. Gli elementi morfologici delle pentole di XVI-XVII secolo sono stati da tempo messi in evidenza per questa area ed il gruppo che qui si esamina non se ne discosta per i tratti essenziali (GELICHI 1984, pp. 162-163): la tendenza all’assottigliamento della parte inferiore del corpo verso una sorta di piede, la forma del bordo che diviene sempre più sagomata, la vetrina usata ora anche all’esterno (seppure parzialmente), l’uso di decori in ingobbio (qui presenti su quasi tutti gli esemplari) e, infine, la presenza di nuovi tipi di prese (a torciglione e con alette). Gli elementi qui rilevati erano già stati documentati, per Finale, dai ritrovamenti del fossato del Castello delle Rocche (Di CARLO, PANDOLFI 1987, pp. 30-31, tav. XI), forse leggermente anteriori quanto a cronologia, e, ancora in precedenza, da Reggi (1973, n. 87). Rispetto alle forme documentate riscontriamo la presenza di un tegame su peducci, noto tuttavia in altri ritrovamenti della regione (es. nello scarico verticale della torre di S. Giuliano nel castello di Ferrara: CORNELIO CASSAI 1992, pp. 187-189, fig. 2.1 con rif. bibl.). Come è già stato rilevato altrove (GELICHI, LIBRENTI 1997, p. 196, fig. 6) la produzione invetriata da cucina, già documentata a partire dal XIV secolo 25 © 1998 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
Fig.16 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Invetriate da fuoco: 1-4.
in questa regione, subisce una evoluzione nel tempo molto modesta, con cambiamenti, marginali soprattutto nelle pentole, a partire dal secolo XVI, anche se nella seconda metà del medesimo fanno la loro comparsa i tegami con prese tubolari (infatti attestati in questo ritrovamento). La scarsa entità dei vasi da fuoco, ed in particolare delle pentole, la cui funzione peraltro deve essere riconnessa con il riscaldamento a riverbero di vivande già cotte (NEPOTI 1992, p. 300), tende a confermare come i recipienti per la cottura di cibi fossero oramai quasi esclusivamente in metallo. 3. Tegame tronco conico con piccola carena, orlo leggermente estroflesso e due anse a torciglione simmetriche. Il recipiente poggia su tre peducci. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). La vetrina copre parzialmente anche il fondo. Graffito a cotto sul fondo (Tav. 18,11). Ricomposto parzialmente da cinque frammenti. Inv. 69193 (Tav. 4). Diam: 12,5; h: 5 4. Tegame tronco conico con orlo sagomato rastremato ad ansa a presa tubolare. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Esterno nudo. Decoro ad ingobbio con motivi a spirale al centro del recipiente. Ricomposto da cinque frammenti. Inv. 69192 (Tav. 4 e Fig. 16,1). Diam: 13,5; h: 4 5. Piccola pentola di forma ovoide con orlo estroflesso sagomato ed ansa a nastro.
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Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Vetrina anche sull’esterno fino alla spalla. Tracce di annerimento presenti sulla parte opposta all’ansa. Inv. 69194 (Tav. 4 e Fig. 16,2). Diam: 8,7; h: 7,5 6. Piccola pentola di forma ovoide con orlo estroflesso ed ansa a nastro. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Vetrina anche all’esterno fino alla spalla, decorata ad ingobbio con quattro linee orizzontali. Ricomposta parzialmente da cinque frammenti. Inv. 69195 (Tav. 4 e Fig. 16,3). Diam: 8; h: 8,5 7. Piccola pentola ovoide con orlo estroflesso ed ansa a nastro. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Vetrina anche all’esterno fino alla spalla, decorata ad ingobbio da quattro linee orizzontali. Ricomposta parzialmente da nove frammenti. Inv. 69196 (Tav. 4 e Fig. 16,4). Diam: 9,5; h: 8,5 8. Pentola ovoide con orlo estroflesso ed ansa a sezione circolare. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Coperta interamente da vetrina. Ricomposta da quattro frammenti. Sulla spalla decoro ad ingobbio composto da cinque linee orizzontali. Inv. 69197 (Tav. 4 e Fig. 17,1). Diam: 11,5; h: 9,5 9. Pentola ovoide con orlo estroflesso. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Vetrina anche all’esterno fino alla spalla, decorata in ingobbio con due linee ondulate incorniciate da due parallele orizzontali. Ricomposta da tredici frammenti. Inv. 69198 (Tav. 4). Diam: 16,5: h: 14,7 10. Pentola invetriata con ansa a torciglione e prese ad alette. Biscotto di colore giallastro (5 YR 5/6). Vetrina anche esterna fino alla spalla decorata in ingobbio da sei linee parallele. Ricomposta da venticinque frammenti. Inv. 69199 (Tav. 5). Diam: 22; h: 18,8 11. Boccale globulare con orlo estroflesso su collo pronunciato. Biscotto di colore marrone rossiccio (5 YR 5/4). Vetrina sia all’interno che all’esterno. Sul collo e sulla spalla decoro in ingobbio a fasce parallele. Ricomposta da ventinove frammenti. Inv. 69200 (Tav. 5). Diam: 16,5; h: 19,3 12. Piccola pentola ovoide con orlo estroflesso sagomato e due anse a torciglione divaricate sullo stesso lato. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Vetrina sia all’interno che all’esterno. Ricomposta parzialmente da quattro fram-menti. Inv. 187842 (Tav. 5). Diam: 9; h: non det. 13. Pentola miniaturistica di forma ovoide con orlo verticale ed ansa a nastro. Bi-scotto di colore rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Vetrina sia all’interno che all’esterno. Ricomposta parzialmente da due frammenti. Inv. 187843 (Tav. 5). Diam: 5,6; h: 4,6 14. Coperchio tronco conico con pomello sagomato. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/4). Vetrina parziale anche all’interno. Decoro con ingobbio costituito da quattro cerchi concentrici. Ricomposto da due frammenti. Nella parte interna lettera graffita a cotto: A (Tav. 18,15). Inv. 69202 (Tav. 5 e Fig. 17,2). Diam: 10,5; h: 4,5. 15. Coperchio tronco conico con orlo obliquo. Biscotto di colore marrone rossiccio (5 YR 5/4). Vetrina parziale anche all'interno. Decoro con ingobbio costituito da otto cerchi concentrici. Ricomposto parzialmente da sei frammenti. Inv. 69203 (Tav. 5). Diam: 14,5 16. Coperchio tronco conico con pomello sagomato. Biscotto di colore rosso gialla-stro (5 YR 5/6). Decoro con ingobbio composto da una fascia presso l’orlo e sul pomello. Ricomposto da quattro frammenti. Inv. 69204 (Tav. 5). Diam: 8,5; h: 3,5
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Tav. 5 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Invetriata da cucina: 10-18.
17. Coperchio tronco conico con pomello sagomato. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/4). Vetrina anche all’interno. Decoro con un nastro ad onde e tratti obliqui. Inv. 187844 (Tav. 5). Diami 8,2; h: 3,5 18. Coperchio tronco conico con due fori di sfiato. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/4). Vetrina solo nella parte esterna. Decoro in ingobbio con onde e fasce parallele. Inv. 187845 (Tav. 5). Diam: 26
2.1.2.3. CERAMICHE INVETRIATE DA MENSA (M.L.)
La ceramica invetriata da mensa costituisce una presenza decisamente marginale all’interno del contesto del pozzo, pari ad un pezzo, corrispondente a meno dello 0,5 % del totale. Si tratta di un dato che si inserisce in un quadro di generale marginalità di questi prodotti, relegati frequentemente fra quelli di uso generico (NEPOTI 1992), almeno fino al XVIII secolo, durante il quale si assiste alla comparsa di forme da mensa aperte invetriate (GELICHI, LIBRENTI 1997, p. 196). 19. Olla ovoide ad orlo estroflesso arrotondato. Biscotto di colore marrone chiaro (10 YR 7/3). Vetrina interna fino all’orlo di colore verde. Ricomposta parzialmente da dieci frammenti. Inv. 187846 (Tav. 6). Diam: 22
2.1.2.4. CERAMICHE INGOBBIATE (M.L.) I materiali di questa classe rappresentano il nucleo più consistente del contesto, pari al 61 % del totale (Diagramma 1). Già ad una prima osservazione appare evidente che si tratta di un complesso caratterizzato da una notevole frammentazione tipologica, comprensiva di numerose soluzioni tecnico decorative, a volte presenti solo in pochi esemplari. Per contro occorre rilevare come le pur rare concentrazioni costituiscano una porzione veramente notevole nel totale: quattro tipologie rappresentano da sole quasi il 65 % della classe e sono tutte collocabili tra quelle non graffite, che nel complesso raggiungono il 79 % (Diagramma 2). A questo dato si collega anche la constatazione di come il nucleo sia costituito prevalentemente da ceramiche prive di qualsiasi specifico carattere religioso: quelle che possiamo considerare inseribili nel gruppo con motivi dichiaratamente conventuali o religiosi sono in tutto 12 pezzi su di un totale di 27 graffite riconoscibili, mentre il numero sale a 21 sulle 201 ingobbiate presenti nel pozzo includendo quelle con sigle di proprietà tracciate a cotto. I recipienti con temi e motivi di carattere religioso sono tutti di forma aperta, piatti e scodelle, caratterizzati da finiture modeste, come la monocromia ed il graffito limitato alle sole sigle di proprietà. I recuperi nel resto del convento, pur discordanti su altri punti (vd. infra 2.2) non fanno che accentuare l’impressione che questa soluzione tecno-tipologica rappresenti una scelta preferenziale per i materiali di certa attinenza monastica. Anche gli esiti maggiormente originali, come il ritratto della monaca del n. 84 e l’uso delle coloriture, tradiscono una scarsa pratica con le figurazioni e mostrano soluzioni inconsuete nel panorama regionale, come le dipinture con il solo bleu, osservate, per ora, esclusivamente in contesti finalesi (REGGI 1973, n. 94). Le graffite di soggetto religioso trovano spesso confronto puntuale dal punto di vista morfologico con quelle non graffite e principalmente con le monocrome. Forme abbastanza peculiari, come alcuni piatti a tesa (nn. 20, 25) o scodelle a profilo ribassato ed orlo triangolare (nn. 30, 38, 76, 79) si
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rinvengono, infatti, indifferentemente tra le monocrome, le graffite e, solo nel secondo caso, anche tra le dipinte, ad indicare quello che risulta essere un comune sostrato produttivo alla maggior parte dei recipienti. Su di una medesima indicazione convergono anche i colori dei biscotti, discretamente uniformi. Ad un primo esame, possiamo quindi intuire una sostanziale matrice comune per il nucleo più consistente di pezzi, sia finiti in monocromia che dipinti, ed anche per quelli graffiti a punta. Le ingobbiate dipinte in bleu (nn. 35-54), che rappresentano da sole il 27 % della classe, costituiscono il nucleo maggiormente omogeneo sia sotto l’aspetto morfologico che decorativo. Si tratta quasi sempre di forme aperte piatti troncoconici, in particolare, e scodelle -, decorate con motivi geometrici e vegetali abbastanza rigidamente selezionati. Il cavetto risulta occupato prevalentemente da cerchi concentrici, mentre sulla tesa o in parete sono monticelli, spirali, elementi vegetali e graticci, ecc. Le forme chiuse presentano anch’esse decori standardizzati, con fronte suddiviso a triangoli campiti entro cornici a crocette. Si tratta di prodotti che si richiamano in alcune occasioni alle soluzioni adottate nella smaltata coeva, sino all’imitazione esplicita nei due catini (nn. 55-56) che fanno uso anche del giallo e di motivi copiati
Diagramma 2 - Ceramiche ingobbiate: incidenza delle singole tipologie all’interno del pozzo.
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dallo stile c.d. “fiorito” della maiolica policroma (Lugo 1991, pp. 152-162). La produzione locale dei materiali dipinti in bleu appare certa alla luce dei rinvenimenti di alcuni pezzi scartati in seconda cottura nei recuperi finalesi (REGGI 1973, n. 93). Sono documentati inoltre almeno tre sottocoppa di forma identica (n. 60) dipinti a cerchi concentrici in policromia giallo verde e bleu o giallo e bleu, un tipo di decori piuttosto inconsueto in ambito regionale. I recipienti per la mensa finiti a maculazione tendono sempre a caratteri di conservatorismo spinto, con l’uso di forme come le ciotole emisferiche ed i catini troncoconici (nn. 72-73) di tradizione cinquecentesca (CORNELIO CASSAI 1992). D’altro lato, però, con la finitura in verde e giallo, includendo nel gruppo i pezzi graffiti a punta dopo l’applicazione dell’ingobbio o a punta e stecca eseguita precedentemente, si viene realizzando tutta una serie di forme inconsuete - fioriere (n. 75), bossoli (n. 92), lucerne (nn. 74, 93) - che non trovano riscontro in altre tipologie. La presenza della maculazione giallo-verde copre una fascia limitrofa al Po decisamente ampia, che si concentra comunque nel Ferrarese (NEPOTI 1991, p. 127) dove questa finitura si applica sovente anche alle graffite. Nel nostro caso, quelle presenti si possono inserire solo un po’ impropriamente entro questo gruppo tipologico, in quanto si tratta sempre di oggetti privi di autentiche decorazioni, ove il graffito si riduce a poche filettature parallele. La frammentazione tipologica maggiore è comunque propria delle restanti graffite, le poche che esulano dal gruppo “dotale” in monocromia di pezzi siglati a punta già evidenziato. Gli oggetti presentano parallelamente caratteristiche tecnologiche e decorative che li differenziano nettamente da quelli visti in precedenza. È il caso delle graffite a stecca (nn. 94-96), 3% delle ingobbiate, tutte in monocromia verde e con motivi decorativi sostanzialmente identici, o di quelle a fondo risparmiato (nn. 97-99), 2 %, con forme del tutto differenti l’una dall’altra. Le poche restanti sono decorate a punta con soggetti non religiosi, come il volatile stilizzato di profilo (n. 91) e motivi geometrizzanti (n. 90). Esulano ancora dai gruppi precedenti due ciotole decorate a stemmi semplificati, comuni nella seconda metà del Cinquecento (Persiceto, tav. XXV, Bc2), oggetti che si suppone siano stati utilizzati a lungo, come suggerisce la presenza di un foro a cotto sul fondo di una di esse (nn. 86-87). Per questi ultimi ci pare che non si possa escludere la possibilità che si tratti di acquisizioni dal mercato e non di prodotti locali. L’area limitrofa al Po, collocata tra il Bolognese ed il Modenese, è stata notoriamente sede di numerose fornaci per ceramica durante il XVII secolo (GELICHI, LIBRENTI 1997), le quali risultano, per altro, tra le meglio documentate in ambito regionale. Infatti, se ben poco sappiamo delle pur attestate produzioni seicentesche di centri limitrofi a Finale, come Bondeno e Mirandola, e quasi nulla di città ben più rilevanti economicamente come Ferrara, Modena e Mantova, i materiali di Carpi (REGGI 1981) e Finale Emilia (REGGI 1973) sono sommariamente conosciuti. Consistenti, se pur parziali, selezioni di pezzi provenienti da queste località sono note da tempo e da esse paiono deducibili alcuni dei loro caratteri peculiari. Si tratta di una campionatura in grado di configurare scenari differenziati, sebbene non disponiamo di dati relativi alle presenze percentuali per le singole tipologie secondo una scansione diacronica e, soprattutto, scarseggiano i dati relativi a quelle non incise in prima cottura. Possiamo comunque apprezzare quelle che ci appaiono significative differenze a livello di incidenza di alcuni tipi di prodotti finiti o scartati, in particolare quelli graffiti. Le manifatture carpigiane, infatti, sembrano orien-
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tate preferenzialmente alle finiture con graffito a stecca e a fondo risparmiato, mentre Finale pare prediligere i motivi a punta e, anch’essa, a fondo risparmiato. Si tratta, però, in quest’ultimo caso, di soggetti ben distinti da quelli di Carpi, mentre i decori a punta trovano confronti prevalentemente con moduli bolognesi e modenesi. A Finale, la decorazione a stecca sembra invece del tutto marginale. Sebbene i tipi non graffiti non siano trattati estesamente, il Reggi li segnala comunque a Finale tra i pezzi finiti in numero cospicuo e con decori più aderenti al rinvenimento di S. Chiara che non quelli segnalati a Carpi, come confermano anche gli scarti di cottura già ricordati. Un confronto con contesti coevi di area emiliana ed una lettura tecnomorfologica rende comunque abbastanza chiari gli aspetti di rimarchevole localismo delle ingobbiate presenti nel pozzo di S. Chiara e, nel contempo, gli influssi dell’Oltrepo sulle manifatture locali. L’uso della dipintura in solo bleu, ad esempio, o dei motivi geometrizzanti in policromia mostra evidenti contatti con i materiali osservati a S. Felice sul Panaro (LIBRENTI 1994) e a Ferrara (GELICHI, LIBRENTI 1997, fig. 9), oltre a quelli di area extraregionale rinvenuti a Mantova (PALVARINI GOBIO CASALI 1987), Legnago (FIORONI 1962, tav. XXXVI), Padova (BANZATO, MUNARINI 1995, nn. 245-247) e Rovigo (MUNARINI 1995, nn. 48, 59). Il Finalese pare quindi in un’area dove si incontrano stimoli produttivi e materiali di provenienza disparata, regionali ma anche lombardoveneti. Vorremmo far notare, inoltre, l’assenza di alcune forme, come la fiasca del pellegrino, o di alcune finiture, come la monocromia giallo-bruna, ampiamente testimoniata nei contesti coevi regionali (NEPOTI 1991, pp. 173175. Ma anche il riscontro con la stessa produzione graffita locale appare carente di tutto il filone a fondo risparmiato. Un confronto con la ceramica raccolta nel resto del convento, per esempio (vedi infra 2.2), rende chiaramente idea di quanto la selezione fornita dal pozzo sia comunque parziale. Monocroma bianca 20. Piatto troncoconico ad ampio cavetto, apodo, con fondo incavato ed umbilicato. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/3). Ingobbio fino al piede, escluso, e vetrina su tutto il pezzo. Ricomposta da quattro frammenti. Inv. 69153 (Tav. 6). Diam: 21; h: 3 21. Ciotola apoda a tesa obliqua. Biscotto di colore rosso giallastro (5 YR 5/6). Ingobbio fino al piede, escluso, e rivestita completamente di vetrina. Sotto il fondo sigla graffita a cotto (Tav. 18,13). Ricomposta da quattro frammenti. Inv. 69163 (Tav. 6). Diam: 18; h: 5,6 22. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/6). Ingobbio fino all’orlo ed invetriato completamente. Ricomposto da tre frammenti. Inv. 69184 (Tav. 6). Diam: 18,5; h: 3,3
Monocroma verde 23. Boccale globulare trilobato su collo distinto, con terminazione dell’ansa tripartita. Biscotto di colore marrone scuro ( 7,5 YR 5/6). Ingobbio anche all’interno, vetri-na verde all’esterno e trasparente all’interno. Il piede è nudo. Integro salvo una lacuna nella parete. Inv. 69136 (Tav. 6). Diam: 11,5; h: 16 24. Ciotola emisferica apoda a profilo ribassato. Biscotto di colore marrone molto chiaro (10 YR 7/4). Ingobbio fino all’orlo ed irregolarmente anche su parte dell’esterno e vetrina nella stessa misura. Ricomposta da due frammenti. Inv. 69166 (Tav. 7). Diam: 10; h: 3,1
Tav. 6 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Invetriata da mensa: 19; ingabbiata monocroma: 2022; ingabbiata monocroma verde: 23.
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25. Piatto troncoconico con ampio cavetto, apodo a fondo incavato. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Ricomposto parzialmente da quattro frammenti. Inv. 69175 (Tav. 7). Diam: 21; h: 2,2 26. Piattello troncoconico apodo. Biscotto di colore marrone scuro (7,5 YR 5/6). Ingobbio e vetrina interamente su tutto l’interno e l’esterno. Sotto al piede graffiti a cotto (Tav. 18,7). Ricomposto parzialmente da quattro frammenti. Inv. 69176 (Tav. 7). Diam: 14,5; h: 2,1 27. Piatto troncoconico a tesa, apodo con leggero incavo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio anche parzialmente all’esterno e vetrina su tutto il pezzo. Ricomposto parzialmente da quattro frammenti. Inv. 69177 (Tav. 7). Diam: 19; h: 2,8 28. Piatto troncoconico con cavetto, apodo. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/3). Ingobbio fino al piede e vetrina su tutto il pezzo. Ricomposto parzialmente da due frammenti. Inv. 187847 (Tav. 7). Diam: 17; h: 1,5 29. Catino troncoconico con piede a disco ed orlo a tesa obliqua. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino all’orlo, mentre l’ester-no è nudo. Ricomposto parzialmente da quattro frammenti. Inv. 187848 (Tav. 7). Diam: 21; h: 8,3 30. Piattello con piede a ventosa ed orlo ad arpione. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino al piede. Ricomposto parzial-mente da due frammenti. Inv. 187849 (Tav. 7). Diam: 12,5; h: 3 31. Sottocoppa con bordo a baccellature oblique. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino al piede. Ricomposto da tre frammenti. Inv. 187850 (Tav. 7). Diam: 9; h: 2 32. Ciotola apoda con versatoio. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio fino al piede e vetrina su tutto il pezzo verde. Ricomposta parzial-mente da sei frammenti. Inv. 187851 (Tav. 7). Diam: 14; h: 7,4 33. Fioriera sferoidale con foro pervio al centro del piede eseguito a crudo. Biscotto di colore rosso giallastro (5 YR 5/6). Ingobbio fino al piede, escluso, con vetrina verde all’esterno, trasparente all’interno. Graffita con due solchi paralleli a punta prima dell’ingobbiatura. Priva dell’orlo Inv. 69191 (Tav. 7). Diam: 19,2 34. Catino troncoconico con piede a leggera ventosa ed orlo estroflesso obliquo. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino all’orlo, mentre l’esterno è nudo. Ricomposto da dieci frammenti. Inv. 69208 (Tav. 8). Diam: 26; h: 15
Dipinta in bleu 35. Boccale globulare trilobato con ansa a nastro appoggiata a terminazione pinzata. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio fino al piede, escluso, e vetrina anche all’interno. Dipinto con motivi triangolari campiti a tratti orizzontali. Ricomposto parzialmente da tre frammenti, con lacune nella copertura. Inv. 69137 (Tav. 8 e Fig. 17,3). Diam: 13; h: 17,5 36. Boccale trilobato con ansa a nastro. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio anche all’interno e vetrina su tutto il pezzo. Dipinto con motivi triangolari campiti a raggi e cornice di linee parallele e crocette. Tratti paralleli sull’ansa. Ricomposto parzialmente da due frammenti (cm 12 x 14). Inv. 187852 (Tav. 8 e Fig. 17,4). 37. Boccale trilobato con ansa a nastro. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro Tav. 7 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiata monocroma verde: 24-33
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. Tav. 8 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiata monocroma verde: 34; Ingobbiata dipinta in bleu: 35-39. Fig. 17 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Invetriate da fuoco 1-2; Ingobbiate dipinte: 3-4
(5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina su tutto il pezzo. Decorato con motivi triangolari campiti con raggiere entro cornici a crocette e linee parallele sull’ansa. Ricomposto parzialmente con cinque frammenti (cm. 11x7). Inv. 187853 (Tav. 8). 38. Scodella a profilo ribassato, su piede a ventosa, con orlo estroflesso obliquo. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino poco oltre l’orlo. Dipinta nella zona centrale con cerchi concentrici dai quali si staccano embricature e monticelli, mentre sulla tesa compaiono sequenze di steli spiraliformi e nodi. Sotto il fondo graffito a cotto (Tav. 18,9). Ricomposta parzialmente da tre frammenti. Inv. 69168 (Tav. 8 e Fig. 18,1). Diam. 18.5; h: 4.5 39. Scodella a profilo ribassato con orlo arrotondato, su piede a ventosa. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina anche buona parte dell’esterno Dipinta in bleu con ciuffo centrale a sette bulbi con steli e foglie entro cornici circolari e serie di nodi. Presso l’orlo sequenza a triangoli che includono monticelli. Sotto il piede sigla con le lettere CT graffite a cotto (Tav. 18,16). Ricomposta parzialmente da cinque frammenti. Inv. 69170 (Tav. 8 e Fig. 18,2). Diam: 17,8; h: 4,5
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Fig. 18 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiate dipinte: 1-2.
F i g . 1 9 F i n a l e E m Fig. 19 – Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiate dipinte: 1-2.
40. Piatto troncoconico apodo, con leggero incavo al fondo, convesso nel cavetto. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio fino al piede, escluso, e vetrina anche all’esterno. Dipinto con motivo centrale a cerchi concentrici e girandola, mentre sulla tesa si osserva una sequenza di ciuffi e monticelli. Ricomposta parzialmente da cinque frammenti. Inv. 69183 (Tav. 9). Diam: 19, 5; h: 3,3 41. Piatto troncoconico apodo, con leggero incavo al fondo. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina anche sull’esterno. Dipinto con cerchi concentrici e motivo a girandola nel cavetto, mentre sulla tesa è presente una sequenza a dente di sega con embricature. Ricomposto da quattro frammenti, lacunoso sulla superficie. Inv. 69185 (Tav. 9 e Fig. 19,1). Diam: 20; h: 3,3 42. Piatto troncoconico apodo con leggero incavo al fondo e cavetto convesso. Bi-
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Tav. 9 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingabbiata dipinta in bleu: 40-48.
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Fig. 20 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiate dipinte: 1-3.
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scotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Dipinto con motivo a cerchi concentrici e girandola nel cavetto, con sequenza a graticcio presso l’orlo. Ricomposto da sette frammenti. Inv. 69187 (Tav. 9). Diam: 19,5; h: 2,5 43. Piatto apodo a profilo troncoconico con cavetto convesso. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Dipinto con cerchi concentrici e motivo a girandola nel cavetto e sequenza a graticcio presso l’orlo. Integro. Inv. 69188 (Tav. 9 e Fig. 19,2). Diam: 19; h: 2 44. Piatto apodo a profilo troncoconico. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/ 6). Ingobbio fino al piede, escluso, e vetrina anche su tutto l’esterno. Dipinto con cerchi concentrici e trattini nel cavetto e sequenza di foglie e ciuffi alternati nella tesa. Ricomposto parzialmente da due frammenti. Inv. 69189 (Tav. 9 e Fig. 20,1). Diam: 20; h: 3,3 45. Piatto troncoconico con cavetto, apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 7/6). Ingobbio fino al piede e vetrina anche al di sotto. Decorato con cerchi concentrici e monticelli nel cavetto, sequenze alternate di tratti obliqui presso l’orlo. Ricomposto parzialmente da quattro frammenti. Inv. 187854. (Tav. 9 e Fig. 20,2). Diam: 20; h: 3,7 46. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio fino al piede e interamente invetriato. Decorato con girali di fogliami sulla tesa e motivo con cerchi ed embricature nel cavetto. Parzialmente ricomposto da cinque frammenti. Inv. 187855 (Tav. 9). Diam: 24; h: 3,5 47. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio fino al piede ed vetrina su tutto il pezzo. Dipinto a monticelli sulla tesa, cerchi ed embricature nel cavetto. Parzialmente ricomposto da due frammenti. Inv. 187856 (Tav. 9). Diam: 24; h: 3,5 48. Piatto troncoconico con cavetto. Biscotto di colore giallo chiaro (2,5 YR 8/2). Ingobbio fino al piede e vetrina su tutto il pezzo. Dipinto con motivi a spirali e monticelli sulla tesa. Ricomposto parzialmente da otto frammenti. Inv. 187857 (Tav. 9 e Fig. 20,3). Diam: 18; h: 21 49. Piatto troncoconico su piede a ventosa. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina parzialmente anche all’esterno. Dipinto con cerchi concentrici e embricature nel cavetto e sequenza di motivi radianti entro embricature nella tesa. Ricomposto parzialmente da sei frammenti. Inv. 68190 (Tav. 10 e Fig. 21,1). Diam: 28; h: 5,6 50. Piatto a tesa con cavetto su piede a ventosa. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 7/6). Ingobbio e vetrina fino a metà della parete esterna. Decorato con cerchi concentrici ed embricature nel cavetto. Inv. 187858 (Tav. 10). Diam: 35 51. Scodella a tesa. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/6). Ingobbio e vetrina fino a metà dell’esterno. Decorata con sequenza di spirali alternate a fogliami. Parzialmente ricomposta da due frammenti ed uno non contiguo. Inv. 187859. (Tav. 10). Diam: 20 52. Scodella a tesa obliqua e piede a ventosa. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/6). Ingobbio e vetrina fino al piede. Decorata con spirale centrale e sequenze illeggibili sulla tesa. Parzialmente ricomposta da sette frammenti. Inv. 187860 (Tav. 10). Diam: 25; h: 5,5 53. Scodella a profilo confluente ed orlo sagomato. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/6). Ingobbio e vetrina fino al piede. Decorata con sequenza di motivi vegetali stilizzati. Parzialmente ricomposta da diciotto frammenti. Inv. 187861 (Tav. 10). Diam: 29
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Tav. 10 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingabbiata dipinta in bleu: 49-54.
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Fig. 21 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiate dipinte: 1-3.
54. Catino troncoconico a tesa obliqua. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/ 6). Ingobbio e vetrina fino al piede. Decorato con sequenze a raggi. Parzialmente ricomposto da quattro frammenti. Inv. 187862 (Tav. 10). Diam: 35,25x16
Dipinta in bleu e giallo 55. Catino emisferico con piede a ventosa ed orlo estroflesso sagomato. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/6). Ingobbio e vetrina fino al piede. Decorato con motivi geometrizzanti e ciuffi in bleu e giallo, ad imitazione dello “stile fiorito”. Sotto il piede sigla FA graffita a cotto (Tav. 18,19). Parzialmente ricomposto da sette frammenti. Inv. 187863 (Tav. 11 e Fig. 22,1). Diam: 26; h: 8 56. Catino troncoconico, con orlo a breve tesa obliqua, rastremato presso il piede a ventosa. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al
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Tav. 11 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiata dipinta in giallo e bleu: 55-56; ingabbiata dipinta in azzurro e bleu: 57-58; ingobbiata dipinta in verde: 59; ingobbiata dipinta in giallo, verde e bleu: 60; maculata bleu: 61. Fig. 22 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiate dipinte: 1-2; maculate: 3.
piede escluso. Dipinto con tre fasce concentriche ad embricature pendenti e ciuffi, ad imitazione dello stile “geometrico” della maiolica policroma (Lugo, pp. 152-162). Ricomposto da quattro frammenti. Inv. 69206 (Tav. 11). Diam: 26; h: 8,8
Dipinta in bleu su fondo azzurro 57. Ciotola emisferica ad orlo arrotondato. Biscotto di colore rosa (7,5 YR 8/4). Ingobbio e vetrina su tutto il pezzo Dipinta con sequenza ad embricature presso l’orlo e fogliami nella parte centrale, ad imitazione delle ceramiche smaltate di tipologia “berettina tardiva” (Lugo, pp. 170-173). Ricomposta parzialmente da due frammenti. Inv. 187864 (Tav. 11 e Fig. 21,2). Diam: 12,2
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58. Ciotola a tesa. Biscotto di colore rosa (7,5 YR 7/4). Ingobbio e vetrina su tutto il pezzo. Dipinta con sequenza ad embricature presso l’orlo. Ricomposta parzialmente da due frammenti. Inv. 187865 (Tav. I l e Fig. 21,3). Diam: 17
Dipinta in verde 59. Boccale trilobato a corpo globulare con piede a disco ed ansa a nastro. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio anche internamente per alcuni centimetri oltre l’orlo e vetrina su tutto il pezzo, escluso il piede. Dipinto a tratti irregolari verticali e obliqui. Integro, con lacune nella copertura. Inv. 69134 (Tav. 11). Diam: 12,5; h: 16
Dipinta in giallo, verde e bleu 60. Sottocoppa con motivo a torciglione sul perimetro esterno. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina parzialmente anche sotto al piede. Dipinta a cerchi concentrici nei vari colori. Il torciglione esterno è in bleu. Mancante di una parte dell’orlo. Inv. 69149 (Tav. 11 e Fig. 22,2). Diam: 11,5; h: 1,5
Maculata bleu 61. Boccale ovoide a bocca rotonda su piede a disco con versatoio a cannula ed ansa a nastro appoggiata con terminazione pinzata. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio fino al piede, escluso, e vetrina anche all’interno. Ricomposto da sette frammenti. Inv. 69138 (Tav. 11). Diam: 12,6; h: 18 62. Ciotola emisferica leggermente svasata presso l’orlo, con piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina per metà dell’esterno della parete, mentre il resto è nudo. Integra, con fessura in cottura. Inv. 69152 (Tav. 12). Diam: 11,5; h: 5,8 63. Ciotola apoda con orlo a tesa obliqua. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 7/6). Ingobbio fino all’orlo e vetrina su tutto il pezzo. Parzialmente ricomposta da cinque frammenti. Inv. 187867 (Tav. 12). Diam. 17; h: 6 64. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 7/6). Ingobbio e vetrina parzialmente anche sull’esterno. Ricomposto parzialmente da cinque frammenti. Inv. 69186 (Tav. 12). Diam: 22; h: 2,5 65. Scodella a tesa con orlo sagomato. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio anche sull’esterno della tesa e vetrina fino a metà dell’esterno. Parzialmente ricomposta da cinque frammenti. Inv. 187868 (Tav. 12). Diam: 23
Maculata verde 66. Ciotola emisferica su piede a ventosa. Biscotto di colore rosa (7,5 YR 7/4). Ingobbio e vetrina fino all’orlo, mentre l’esterno è nudo. Mancante di una parte del bordo. Inv. 69164 (Tav. 12). Diam: 9,3; h: 4,4 67. Scodella apoda a tesa obliqua. Biscotto di colore marrone molto chiaro (10 YR 7/4). Ingobbio e vetrina fino poco oltre l’orlo, mentre il restante dell’esterno è nudo. Integra. Inv. 69165 (Tav. 12 e Fig. 22,3). Diam: 11,5; h: 3,2 Tav. 12 - Finale Emilia (Mo). Convento di S. Chiara. Pozzo. Maculata bleu: 62-65; verde: 66-67; 68. Boccale trilobato a corpo globulare con collo distinto ed ansa a nastro. Biscotto maculata maculata verde sotto vetrina di colore rosa (7,5 YR 7/4). Ingobbio solo all’esterno, mentre l’interno è invetriato. gialla: 68-71.
Maculata in verde su fondo giallo
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Tav. 13 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Maculata verde sotto vetrina gialla: 72-75.
Ricomposto parzialmente da quattordici frammenti. Inv. 187869 (Tav. 12). 69. Ciotola emisferica con piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina anche su parte dell’esterno, mentre il resto è nudo. Mancante di una parte dell’orlo. Inv. 69155 (Tav. 12). Diam: 11,5; h: 6 70. Ciotola emisferica con piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ceramica ingobbiata ed invetriata anche su parte dell’esterno, mentre il resto è nudo. Ricomposta da due frammenti. Inv. 69156 (Tav. 12 e Fig. 23,1). Diam: 11,5; h: 5,5 71. Ciotola emisferica con piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina anche su parte dell’esterno, mentre il resto è nudo. Ricomposta da sei frammenti. Inv. 69147 (Tav. 12). Diam: 12; h: 5,5 72. Catino troncoconico con piede a disco ed orlo estroflesso a sezione triangolare. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio su tutto il pezzo, ma senza vetrina all’esterno. Ricomposto da sei frammenti. Inv. 69205 (Tav. 13). Diam: 21.5; h: 8,5 73. Catino troncoconico con piede a disco. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino all’orlo, mentre l’esterno è nudo. Ricomposto da dodici frammenti. Inv. 69207 (Tav. 13). Diam: 14; h: 14 74. Portacandele troncoconico con piede a ventosa e parte inferiore della tesa digitata ad onda. Biscotto di colore marrone chiaro (10 YR 7/4). Ingobbio fino all’orlo, esterno nudo, con tre solchi sulla parete. Ricomposto parzialmente da sei frammenti ed uno non contiguo. Inv. 187870 (Tav. 13). Diam: 15,5; h: 5 75. Fioriera troncoconica con foro a crudo sul fondo. Biscotto di colore rosa (5 YR 7/4). Ingobbio e vetrina sull’esterno. Dipinta a maculazione verde su fondo giallo. Decorata a stecca prima dell’ingobbiatura con fasce di fogliami e baccellature presso il piede. Ricomposta parzialmente da cinque frammenti. Inv. 187871 (Tav. 13). Diam: 12 (al piede)
Graffita a punta monocroma bianca 76. Ciotola a profilo ribassato con basso piede a ventosa ed orlo estroflesso a sezione triangolare. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio anche all’esterno fino al piede escluso e vetrina su tutto il pezzo. Decorata con il trigramma bernardiniano I H S sormontato da croce e con un piccolo ciuffo vegetale al di sotto, entro cornice cuoriforme di steli ricurvi. Presso l’orlo sequenza ad onda continua entro cornici. Ricomposta parzialmente da undici frammenti. Inv. 69143 (Tav. 14 e Fig. 23,2). Diam: 13,8; h: 4 77. Scodella apoda a tesa obliqua, con fondo leggermente incavato. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina anche all’esterno fino al piede escluso. Decorata con il trigramma bernardiniano I H S sormontato da croce e cuore con frecce al disotto (Tav. 18,21). Sulla tesa motivo ad onda continua entro cornici. Ricomposta da quattro frammenti. Inv. 69144 (Tav. 14 e Fig. 23,3). Diam.: 17; h: 3,3.
Graffita a punta monocroma verde 78. Scodella a breve tesa obliqua su basso piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina anche all’esterno fino al piede escluso. Decorata sulla tesa con la scritta SUOR BENEDETTA PASARINJ e due nodi ai lati (Tav. 18,1). Integra, con lacune nella copertura. Inv. 69142 (Tav. 14 e Fig. 24,1). Diam: 16; h: 3 79. Ciotola a profilo ribassato su piede a ventosa con orlo triangolare. Biscotto di
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Tav. 14 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita monocroma bianca: 76-77; graffita monocroma verde: 78-82; graffita dipinta in bleu: 83-84; graffita dipinta in verde e giallo: 85.
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Fig. 23 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Ingobbiate maculate: 1; graffita a punta monocroma: 2-3.
colore marrone rossiccio (5 YR 6/3). Ingobbio fino al piede escluso e vetrina su tutto il pezzo. Decorata con tre spighe stilizzate nel cavetto. Ricomposta parzialmente da due frammenti. Inv. 69167 (Tav. 14 e Fig. 24,2). Diam: 13,5; h: 3,5 80. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Decorato con la sigla S L P nel cavetto (Tav. 18,5). Ricomposto da quattro frammenti. Inv. 69178 (Tav. 14 e Fig. 24,3). Diam: 19; h: 3,3 81. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Decorato con la sigla S F G nel cavetto (Tav. 18,6). Ricomposto parzialmente da nove frammenti. Inv. 69179 (Tav. 14 e Fig. 25,1). Diam: 19,7; h: 3,2 82. Piatto troncoconico apodo. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Decorato nel cavetto con la sigla S O Z (Tav. 18,4). Ricomposto parzialmente da dodici frammenti. Inv. 69180 (Tav. 14). Diam: 19,5; h: 3,2
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Fig. 24 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita a punta monocroma: 1-3.
Graffita a punta dipinta in bleu 83. Scodella apoda a breve tesa ricurva, con fondo leggermente incavato. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Decorata con la sigla T-C sormontata da croce graffita a punta (Tav. 18,3). Dipinta lungo i solchi del graffito. Ricomposta da due frammenti. Inv. 69140 (Tav. 14 e Fig. 25,2). Diam: 18,8; h: 4,5 84. Scodella a breve tesa obliqua su basso piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Decorata con figura di santa aureolata e reliquiario nella mano destra. La figura reca ai due lati le lettere S V e I G e dipinture nelle vesti e presso l’orlo (Tav. 18,2). Sul fondo sigla graffita a cotto (Tav. 18,12). Ricomposta da quattro frammenti. Inv. 69141 (Tav. 14 e Fig. 26,1). Diam: 15,8; h: 2,8
Graffita a punta dipinta in verde e giallo 85. Piattello troncoconico apodo, con fondo incavato. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina anche all’esterno fino al piede escluso. Decorato con motivo incomprensibile. Integro. Inv. 69147 (Tav. 14 e Fig. 26,2).
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ìg. 25 - Finale Emilia (MO). onvento di S. Chiara. Pozzo. affita a punta monocroma: 1; raffita a punta policroma: 2.
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Fig. 26 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita a punta policroma: 1-4.
Diam: 14,2; h: 2,4 86. Ciotola emisferica ad orlo estroflesso e piede a disco leggermente concavo. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino a metà dell’esterno. Decorata con stemma ovoide esemplificato contenente motivo a denti di sega, circondato da serie di embricature e spirali. Sul fondo presenta un foro passante eseguito a cotto. Ricomposta parzialmente da tre frammenti. Inv. 69158 (Tav. 15 e Fig. 26,3). Diam: 13; h: 5,5 87. Ciotola emisferica ad orlo estroflesso e piede a disco leggermente concavo. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino a metà dell’esterno. Decorata con stemma ovoide contenente motivo a tratteggio circondato da spirali. Ricomposta parzialmente da tre frammenti. Inv. 69159 (Tav. 15 e Fig. Tav. 15 - Finale Emilia 26,4). (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita dipinta in Diam: 13,6; h: 5,6
Graffita a punta dipinta in giallo, verde e bleu 88. Scodella a breve tesa obliqua su basso piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina anche su parte dell’esterno. Decorata con trigramma bernardiniano I H S sormontato da croce e piccolo ciuffo vegetale al
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verde e giallo: 86-87; graffita dipinta in verde, giallo e bleu: 89-91; graffita maculata verde sotto vetrina gialla: 92-93; graffita a stecca monocroma verde: 95-95.
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Fig. 27 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita a punta policroma: 1-3
disotto (Fig. 18, 20) nel cavetto, entro cornice circolare di foglie ovoidi, ombreggiate a tratteggio, alternate a steli spiraliformi. Nella tesa, sequenza a steli spiraliformi e cunei. Sotto il piede sigla graffita a cotto (Tav. 18,8). Ricomposta da quattro frammenti. Inv. 69145 (Tav. 15 e Fig. 27,1). Diam: 16; h: 3,5 89. Ciotola a profilo ribassato con basso piede a ventosa ed orlo a sezione triangolare. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina anche all’esterno fino al piede escluso. Decorata con trigramma bernardiniano I H S sormontato da croce e piccolo ciuffo vegetale al disotto, entro doppia cornice circolare di foglie ovoidi, ombreggiate per metà a tratteggio, alternate a steli spiraliformi. Sotto il fondo lettera Z graffita a cotto (Tav. 18,14). Ricomposta parzialmente da quattro frammenti. Inv. 69146 (Tav. 15 e Fig. 27,2). Diam: 14; h: 3
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90. Ciotola a profilo ribassato su piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio su tutto l’esterno, ma invetriato solo parzialmente. Decorata con motivo a losanga dai prolungamenti ellittici alle estremità, campito a graticcio. Presso l’orlo sequenza a onda continua entro cornici. Ricomposta parzialmente da sette frammenti. Inv. 69160 (Tav. 15 e Fig. 27,3). Diam: 16,3; h: 5,2 91. Piatto troncoconico a tesa con ampio cavetto su basso piede a ventosa. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede, escluso. Decorato con volatile stilizzato nel cavetto e sequenza continua di foglie simmetriche, a profilo lanceolato, nella tesa. Ricomposto da quattro frammenti. Inv. 69174. (Tav. 15 e Fig. 28,1). Diam: 21; h: 2,7
Graffita a punta dipinta a maculazione verde su fondo giallo 92. Bossolo subcilindrico con piede a ventosa ed orlo estroflesso. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina internamente ed esternamente fino al piede. Decorato con sette profonde incisioni orizzontali equidistanti. Integro. Inv. 69139 (Tav. 15). Diam: 9,5; h: 22,5 93. Portacandele troncoconico con orlo svasato ondulato e bulbo centrale ovoide su piede a ventosa. Biscotto di colore marrone chiaro (7,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino all’orlo, mentre l’esterno è nudo. Decorato con sette linee parallele presso l’orlo. Mancante di una piccola parte d’orlo e con fessura in cottura. Inv. 69154 (Tav. 15 e Fig. 28,2). Diam: 17,8; h: 7
Graffita a punta e stecca monocroma verde 94. Ciotola emisferica apoda a tesa obliqua. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio fino all’orlo e vetrina su tutto il pezzo. Decorata con motivo di ciuffi a girandola entro doppia cornice pentagonale nel cavetto. Nella tesa fascia a graticcio entro cornici circolari. Sotto il piede sigla graffita a cotto (Tav. 18,10). Ricomposta parzialmente da sette frammenti. Inv. 69181 (Tav. 15 e Fig. 29,1). Diam: 17; h: 5,5 95. Ciotola emisferica apoda a tesa obliqua. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio fino all’orlo e vetrina fino al piede, escluso. Decorata con motivo di ciuffi a girandola entro doppia cornice pentagonale nel cavetto. Nella tesa fascia a graticcio entro cornici circolari. Sotto il piede sigla con le lettere SV tracciate a cotto (Tav. 18,17). Integra. Inv. 69182 (Tav. 15). Diam: 17 h: 4,8 96. Ciotola emisferica con presa a palmetta presso l’orlo. Biscotto di colore marrone rossiccio chiaro (5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina su tutto il pezzo. Decorata nel cavetto con motivi geometrici e fascia a graticcio fino all’orlo, all’esterno raggera e sequenza a palmette sotto l’orlo. Ricomposta da due frammenti. Inv. 187872 (Tav. 16 e Fig. 29,2). Diam: 11
Graffita a fondo risparmiato dipinta in giallo, verde e bleu 97. Scodella a breve tesa su basso piede a ventosa. Biscotto di colore giallo rossiccio (7,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino al piede escluso. Decorata con motivo centrale a girali di racemi ed a foglie polilobate ricurve sulla tesa. Ricomposta da due frammenti. Inv. 69162 (Tav. 16 e Fig. 29,3). Diam: 16,3; h: 4 98. Sottocoppa con pareti leggermente oblique e fondo distinto. Biscotto di colore rosso (2,5 YR 6/4). Ingobbio e vetrina fino al piede. Decorata con girali di fogliami sul fondo e motivo a denti di sega in parete. Sotto il piede sigla con le lettere SFC graffite a cotto (Tav. 18,18). Inv. 187873 (Tav. 16 e Fig. 30,1). Diam: 11; h: 2,4
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Fig. 28 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita a punta policroma: 1-2.
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29 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita ecca monocroma: 1-2; graffita a fondo risparmiato policroma: 3.
99. Coperchio a profilo emisferico sagomato con pomello centrale e bordo sagomato. Biscotto di colore rosso (2,5 YR 6/6). Ingobbio e vetrina fino all’orlo. Decorato con motivi a girali e sequenza a nastro presso l’orlo. Inv. 187874 (Tav. 16 e Fig. 30,2). Diam: 13,8
2.1.2.5. CERAMICHE SMALTATE (S.G.)
Le ceramiche smaltate, anche in questo caso in numero molto esiguo di prodotti (per quanto alcuni di ottima qualità), possono essere ricondotte a tre categorie principali. La prima, e più numerosa, è quella che rientra nel gruppo c.d. “compendiarlo”; la seconda e la terza, rappresentate ciascuna da
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Tav. 16 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita a stecca monocroma verde: 96; fita a fondo risparmiato pinta in giallo, verde e 97-99; maiolica in stile ompendiario: 100-106.
un solo esemplare, appartengono alle c.d. smaltate berettine l’una e smaltate policrome (generiche) l’altra. Il nucleo delle ceramiche decorate in stile “compendiarlo” (sul problema vd. BALLARDINI 1938, pp. 89-91; LIVERANI 1958, pp. 27-32 e il recente RAVANELLI GUIDOTTI 1996 con bibl.) può essere suddiviso, sulla scorta delle forme e temi decorativi, in quattro gruppi. Isolati sono i frammenti appartenenti ad un grande recipiente con corpo baccellato, decorato al centro con un putto alato verso sinistra (n. 104); benché senza marca, potrebbe essere ricondotto alla produzione della bottega del Bettisi (ibid., n. 43, pp. 202-204, datato all’ultimo quarto del XVI secolo; NEPOTI 1987, p. 24, 3.18), come del resto altri frammenti provenienti dal convento di S. Chiara (vd. infra 2.2). Un secondo gruppo è rappresentato da due sottocoppe sostanzialmente identiche, decorate con l’arma della famiglia Zucati e con le iniziali di una monaca (nn. 101-102): purtroppo tali iniziali non coincidono con quelle delle monache, della stessa famiglia, che compaiono nella lista del 1641. Per il tipo di stemma con cimiero sormontante si possono portare a confronto ceramiche datate tra la fine del ‘500 e la prima metà del ‘600 (RAVANELLI GUIDOTTI 1996, p. 37, fig. 16; Lugo, n. 298, p. 270). Il gruppo più cospicuo è invece rappresentato da tre piccoli recipienti (scodelle, una con presa polilobata: nn. 103, 105-106), decorate con motivi vegetali (ibid. p. 412, l0la-d) o di soggetto religioso (ibid., p. 558, n. 176), tra i più frequenti in questo genere di prodotti. L’ultimo gruppo è ancora formato da un esemplare unico, un piatto decorato solo sulla tesa con un motivo vegetale non facilmente riconoscibile nei repertori di queste ceramiche (n. 100). Per quanto ceramiche con decori di tipo “compendiarlo” siano state imitate al di fuori di Faenza (ad es. MARSILLI in RAVANELLI GUIDOTTI 1996, pp. 51-62; GELICHI, LIBRENTI 1997, p. 204), è molto probabile (per i decori, per la fattura e per l’omogeneità del trattamento tecnico) che il gruppo ritrovato nel pozzo di Santa Chiara sia ascrivibile al centro romagnolo. Per quanto concerne la cronologia sappiamo che ceramiche di stile “compendiarlo” si iniziarono a produrre verso il secondo quarto del XVI secolo, ma il tipo continuò ad essere fabbricato ben oltre quel periodo (almeno fino alla prima metà del secolo successivo). Negli studi su queste ceramiche, tuttavia, al di fuori di alcuni recipienti datati o marcati (e dunque riferibili, non senza qualche incertezza, anche in questo caso, al periodo di attività noto della bottega), la scansione cronologica non sembra legata a precisi ed inequivocabili segni morfologico-decorativi (se non al generico riferimento di una progressiva degenerazione formale dei motivi). Una certa corsività di taluni decori, allora, e la presenza di armi con cimiero sormontante, parrebbero rinviare, almeno per alcuni prodotti rinvenuti in questo pozzo, verso i primi anni del XVII secolo, in precisa congruità con il supposto periodo di formazione del deposito (vd. infra 2.1.5). Se l’origine faentina per le ceramiche decorate in stile “compendiarlo” sembra estremamente probabile, qualche incertezza sussiste per gli ultimi due recipienti smaltati. Il piatto con decorazione policroma con motivo a festoni su smalto berettino appartiene anch’esso, quanto a schema iconografico e modello decorativo, alla fortunata serie del centro romagnolo (e probabilmente anche di altri finitimi) della prima metà del secolo XVI (n. 107). Tuttavia una produzione del tipo berettino è nota anche in area veneta (MAZZUCATO 1970; SIVIERO 1980 e 1981; SACCARDO, CAMUFFO, GOBBO 1992), dove sembra oltretutto protrarsi fino ai primi decenni del secolo XVII. Munarini sostiene
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che gli esemplari più precoci provenienti dall’area veneta appartengono alla famiglia “del festone” (dunque del tipo del nostro esemplare) e sono «in gran parte di origine faentina» (MUNARINI 1990, p. 209). Ma qualche ceramica con questo decoro viene segnalata come veneziana (SACCARDO 1990, fig. 51, p. 53) e un esemplare da Treviso come di probabile fabbricazione locale (BELLIENI 1991, n. 96, fig. 115, p. 100: datato al terzo quarto del XVI secolo). Tra l’altro il nostro recipiente presenta una decorazione abbastanza corsiva e un motivo, sul ricasco, molto vicino a quello che compare su ceramiche berettine di sicura provenienza veneta o più specificamente padovana (BANZATO, MUNARINI 1995, nn. 229-230, p. 160), datate tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Del tutto isolato appare al momento il boccale con figura femminile (n. 108), del quale non ho rintracciato precisi riscontri. Se la figura rientra nella categoria dei decori frequenti in varie produzioni della penisola (area faentina compresa), il recipiente in esame sembra trovare una qualche vaga somiglianza con un frammento conservato a Venezia (SACCARDO 1990, p. 53, fig. 49 a sinistra). 100. Piattello tronco conico con piede ad anello. Biscotto di colore marrone giallastro chiaro (2.5 Y 6/3). Smalto anche esterno. Dipinto in giallo ferraccia, antimonio e bleu con sequenza di foglie, steli e bulbi presso l’orlo. Ricomposto da quattro frammenti. Inv. 69148 (Tav. 16 e Fig. 30,3). Diam: 13,8; h: 1,5 101. Sottocoppa con orlo rialzato. Biscotto di colore giallo rossiccio (7.5 YR 6/6). Smalto anche esterno. Dipinta in bruno manganese, giallo ferraccia, antimonio e bleu con motivo araldico: stemma ovale con zucca alata, fogliata, circondato da foglie polilobate e sormontato da cimiero. Ai lati dello stemma le lettere S e Z, e al di sopra, I, in bruno. Inv. 69150 (Tav. 16 e Fig. 30,4). Diam: 10,5; h: 1,3 102. Sottocoppa analoga alla precedente. Inv. 69151 (Tav. 16 e Fig. 30,5). Diam: 10,5; h: 1,3 103. Porzione di ciotola con piede ad anello. Biscotto di colore giallo chiaro (2.5 YR 7/4). Smalto anche all’esterno. Dipinta in giallo e bleu con figura centrale di Santo, con gigli nella mano destra e croce nella sinistra (Sant’Antonio?). Inv. 69171 (Tav. 16 e Fig. 31,1). Diam (piede): 6 104. Parte di zuppiera su piedistallo con parete baccellata. Biscotto di colore giallo chiaro (2.5 YR 7/4). Smalto anche esterno. Dipinta al centro in giallo ferraccia, antimonio e bleu, con putto alato che impugna lancia e scudo e sullo sfondo paesaggio roccioso. Il paesaggio è inscritto in una cornice circolare a ciuffi, mentre la parete è decorata a scomparti con motivi vegetali. Mancante di quasi tutta la parete e di gran parte dell’orlo. Inv. 69169 (Tav. 16 e Fig. 31,2). Diam: 28; h (ipotetica): 15 105. Ciotola emisferica su piede ad anello con ansa ellittica a sezione circolare. Bi-scotto di colore giallo chiaro (2.5 YR 7/4). Smalto anche esterno. Dipinta in giallo e bleu con figura di santa che regge una fronda sulla mano sinistra. Ricomposta parzialmente da sei frammenti. Inv. 69172 (Tav. 16 e Fig. 31,3). Diam: 12,2; h: 4,5 106. Ciotola tronco conica con piede ad anello ed anse polilobate a presa simmetrica. Biscotto di colore giallo chiaro (2.5 YR 7/4) Smalto anche esterno. Dipinta in giallo ferraccia, antimonio, bruno manganese e bleu con ciuffo vegetale al centro entro nucleo di decori a spirale; sulle anse sono motivi a palmette ombreggiate. Ricomposta parzialmente da cinque frammenti. Inv. 69173 (Tav. 16 e Fig. 31,4). Diam: 11,5; h: 4,5
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Fig. 30 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Graffita a fondo risparmiato policroma: 1-2; maiolica policroma: 3-5.
107. Piattello tronco conico con piede ad anello. Biscotto di colore marrone chiaro (10 YR 8/3). Smalto anche esterno, di colore grigio azzurro (berettino). Dipinto in verde, giallo antimonio, arancio e bleu con motivo di frutto entro cornice circolare circondata da corona vegetale e motivo a steli intrecciati presso l’orlo. Sull’esterno sequenza di archetti. Ricomposto da quattro frammenti e lacunoso sull’orlo. Inv. 69161 (Tav. 17 e Fig. 32,1). Diam: 19: h: 2,7 108. Boccale ovoide con ansa a terminazione pinzata. Biscotto di colore giallo chiaro (2.5 YR 8/3). Smalto anche interno ad esclusione del piede. Dipinto in giallo
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Fig. 31 -Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Maiolica policroma: 1-4.
arancione, bleu e verde con ritratto femminile verso sinistra entro cornice a fogliame e frutta. Ricomposto da quattordici frammenti e due non contigui. Inv. 69135 (Tav. 17 e Fig. 32,2). Diam: 13,7
2.1.2.6. SCARTI DI COTTURA (M.L.) 109. Scodella apoda a tesa obliqua. Ingobbio fino al piede. Scarto di prima cottura. Inv. 187878 (Tav. 17). Diam: 20; h: 7 110. Ciotola apoda a tesa con versatoio trilobato. Scarto di prima cottura, con ingobbio fino all’orlo. Ricomposto parzialmente da due frammenti. Inv. 187876 (Tav. 17). Diam: 18; h: 6,9 111. Scodella con piede a ventosa e tesa obliqua. Scarto di prima cottura, ingobbiate fino all’orlo. Ricomposto parzialmente da tre frammenti. Inv. 187877 (Tav. 17). Diam: 26; h: 6,3
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Fig. 32 -Finale Emilia (Mo). Convento di S. Chiara. Pozzo. Maiolica policroma: 1-2.
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Tav. 17 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Maiolica policroma su fondo “berrettino”: 107; maiolica policroma: 108; scarti prima cottura di ingobbiata: 109-111.
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Tav. 18 -Finale Emilia (M=). Convento di S. Chiara. Catalogo delle sigle di proprietà presenti nel contesto del pozzo. Graffite a crudo: 1-8; Graffite a cotto: 7- 19. Motivi religiosi generici a crudo: 20-21.
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2.1.3. Vetri (M.L.) (Tavv. 19-20) I materiali vitrei recuperati all’interno del pozzo sono costituiti prevalentemente da oggetti ampiamente frammentati, anche se, in effetti, un numero abbastanza consistente di pezzi, oltre il 10 % del totale, è riconducibile a tipologie almeno parzialmente identificabili. I calici costituiscono il gruppo tipologico più numeroso e meglio leggibile. Il cavetto è a profilo svasato, campaniforme, in alcuni casi decorato a fascette orizzontali di fili di lattimo (n. 6), mentre lo stelo pieno risulta variamente sagomato o ispessito e di lunghezza diversa (nn. 4-12) (CORINA 1987, tav. XVII, nn. 5-8; CINI 1985, n. 950). Questo gruppo sufficientemente uniforme è affiancato da alcune eccezioni, come un calice a cavetto esagonale (n. 3), un esemplare a piede concavo (n. 7) (BOLDRINI, MENDERA 1994, tav. V, 1) ed uno con stelo a protome leonina (n. 13) (Torre Civica, fig. 59, n. 37, CURINA 1987, tav. XVIII, nn. 2-4). Compaiono anche alcuni pezzi decorati a molatura pertinenti ad un medesimo calice, molto ampio, in vetro opaco, (n. 2) forse di uso liturgico (Crypta Balbi 1984, nn. 189-194; Gerace, tav. 3, nn. 23-25). Decisamente esiguo è invece il numero dei bicchieri troncoconici, testimoniati da due soli esemplari, uno dei quali decorato con piccoli bulbi a matrice anche sul fondo (n. 1) (CINI 1985, n. 923; BOLDRINI, MENDERA 1994, tav. IV, IX)). Molto articolato il panorama fornito invece dalle bottiglie, che si intuiscono di forme e dimensioni eterogenee, a giudicare dalle caratteristiche di colli e piedi. Compaiono innanzitutto recipienti globulari su piedistallo (n. 28) (CURINA 1987, tav. XVI, n. 5) e piriformi su piede a ventosa (n. 27) (BOLDRINI, MENDERA 1994, tav. 1, n. 8), anche con decorazioni a costolature in lattimo (n. 29). A queste bottiglie sono riconducibili colli cilindrici leggermente svasati all’orlo (nn. 21-22). Sono però attestati anche alcuni recipienti di minore capacità (nn. 23, 26) e bottiglie a collo corto (n. 25) forse del tipo a fondo piano (n. 30) (BARRERA 1991, nn. 41-50). Si tratta di una varietà morfologica che riflette probabilmente l’eterogeneità di funzioni degli oggetti, tra i quali dovrebbero comparire contenitori per medicinali e essenze (nn. 25-26) (FERRARI BARBOLINI 1993, p.58). Almeno tre frammenti di vetro bleu (nn. 18-20) non contigui sono riconducibili alla stessa ampolla liturgica, caratterizzata da un collo decorato da un listello ondulato, corpo ovoide su piedistallo con ispessimento polilobato e cannula con ispessimento (FERRARI BARBOLINI 1993, pp. 32-33; COSCARELLA 1992, fig. 76, n. 2). Il pezzo è decorato sul corpo con una fascia molata a motivi vegetali. A tipologie eterogenee, come coppe, calici e ampolle, si collegano i frammenti di anse rinvenuti (nn. 15-17) (BARRERA 1991). Le lampade sono costituite quasi esclusivamente da cesendelli per lampadario, di due tipi diversi. Il primo (nn. 31-32) è realizzato con una vaschetta cilindrica nella parte superiore, rastremata a tronco di cono nella parte inferiore e bulbo globulare sul fondo (FoY SENNEQUIER 1989, PI. VI, nn. 2121) mentre il secondo (n. 33), a corpo ovoide e ispessimento prima del bulbo, risulta incompleto (Gerace, nn. 14-15). Veniva utilizzata per illuminare forse anche la vaschetta troncoconica (n. 34) rinvenuta integra, nella quale andavano inseriti gli stoppini su di un telaietto metallico (FERRARI BARBOLINI 1993, p. 89). Sono presenti, probabilmente, anche alcuni orinali di diverse forme
Tav.19 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Vetri: 1-20.
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Tav. 20 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Vetri: 21-38.
(nn. 35-36) (Felloni et al. 1985, n. 45) e numerosi occhi di finestra (nn. 3738) (Torre Civica, p. 233, nn. 67-68). 1. Fondo di bicchiere troncoconico. Vetro trasparente grigio decorato a piccole bugnature. Inv. 187882. Diam: 5,5 2. Frammento di calice. Vetro trasparente decorato a molatura con fasce di motivi vegetali ed archetti. Inv. 69265. Diam: 13,2 3. Porzione di calice con vasca esagonale. Vetro trasparente grigio, decorato con una fascia di filettature bianche sulla parete ed un listello ad onde nella parte inferiore. Inv. 69245. Diam: 3,9 alla base della vasca. 4. Porzione di calice a vasca svasata e basso stelo. Vetro trasparente grigio. Inv. 69235. 5. Calice a vasca svasata a stelo con rigonfiamento centrale. Vetro trasparente grigio. Inv. 69233. Diam: 8,7 6. Porzione di calice a vasca svasata e stelo con rigonfiamento centrale. Vetro trasparente grigio, decorato con fascia di filettature bianche a metà vasca. Inv. 69234. 7. Porzione di calice a stelo cavo con rigonfiamento polilobato. Vetro giallognolo. Inv. 69239. 8. Porzione di calice con stelo a rigonfiamento ovoide. Vetro trasparente grigio. Inv. 69236. 9. Come sopra. Inv. 69242. 10. Piede di basso calice su piedistallo. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69237. 11. Piede di calice. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69240. 12. Piede di calice con rigonfiamento polilobato. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69238. 13. Calice a stelo sagomato con protome leonina simmetrica. Vetro trasparente. Inv. 187879. 14. Piccolo calice. Vetro giallognolo. Inv. 69246. 15. Ansa di calice decorata a pinzature. Vetro trasparente grigio. Inv. 69256. 16. Ansa di calice a sezione circolare e terminazione ricurva. Vetro trasparente grigio. Inv. 69255. 17. Ansa di calice a sezione circolare. Vetro trasparente grigio. Inv. 69254. 18-20. Tre frammenti in vetro bleu, non contigui, pertinenti alla medesima ampolla con orlo estroflesso e collo decorato a listello ondulato, corpo ovoide su piedistallo decorato a molatura e cannula con rigonfiamento. Inv. 69266-69268. 21. Collo cilindrico di bottiglia, ad orlo estroflesso. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69253. Diam: 4 all’orlo. 22. Collo cilindrico di bottiglia, ad orlo estroflesso. Vetro trasparente azzurrognolo. Inv. 69252. Diam: 3,5 all’orlo. 23. Piede di piccola bottiglia a corpo globulare. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 187883. Diam: 4 24. Collo di probabile ampolla, svasato con filettatura ad onde. Vetro verdognolo. Inv. 69251. 25. Collo di piccola bottiglia ad orlo svasato. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69250. Diam: 3 all’orlo. 26. Collo di piccola bottiglia con allargamento prima dell’orlo. Vetro trasparente
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giallognolo. Inv. 69249. Diam: 12 alla bocca. 27. Fondo di bottiglia a ventosa. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69247. Diam. 6,5 al piede. 28. Piedistallo di bottiglia a corpo globulare. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 69243. Diam: 5 al piede. 29. Porzione di corpo di bottiglia piriforme. Vetro trasparente con decorazione a costolature leggermente rilevate di vetro lattimo. Inv. 187884. Diam: 16,5 30. Fondo piano di bottiglietta. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 187885. Diam: 7 31. Lampada da sospensione costituita da una vaschetta cilindrica sotto la quale si innesta una protuberanza troncoconica che termina in un bulbo. Vetro trasparente grigio. Inv. 69258. Diam: 12; h: 11,5 32. Porzione di lampada come sopra. Inv. 187886. Diam. 11,5 33. Porzione di lampada da sospensione. La vasca, incompleta, risulta ovoide nell’ultimo tratto e termina con un bulbo preceduto da un allargamento della parete. Vetro trasparente verdognolo. Inv. 69244. 34. Piccola ciotola troncoconica leggermente svasata. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 187889. Diam. 8,5; h: 2,5 35. Orlo di probabile orinale. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 187887. Diam: 12,5 36. Porzione di lampada o orinale. Vetro trasparente giallognolo. Inv. 187888. Diam: 12,5 37. Rullo da finestra. Vetro trasparente. Inv. 69262. Diam. 13,5 38. Rullo da finestra. Vetro trasparente verdognolo. Inv. 69261. Diam. 11,5
2.1.4. Altri oggetti (S.G.) Trattandosi di materiale in genere eterogeneo, anche se accorpabile in qualche caso per categorie funzionali, ometteremo una discussione complessiva e affiancheremo il commento e i confronti ad ogni singolo oggetto o gruppo omogeneo di oggetti.
2.1.4.1. REPERTI IN osso (TAV. 21) 1. Ago con parte apicale lavorata. Inv. 69211. L: 8,1 2. Ago c.s., parzialmente conservato. Inv. 69212. L: 5,9 3. Ago c.s., mancante della metà. Inv. 69213. L: 4,2 4. Ago c.s., mancante della metà. Inv. 69214. L: 3,3
La funzione di questi oggetti non è certa: sono stati interpretati anche come punteruoli o stili per scrivere (ma in quel caso il luogo di provenienza era una scuola: WOODFIELD, GOODALL in WOODFIELD 1981, p. 103, n. 4, fig. 1.0). Nel nostro caso è più probabile si tratti di aghi, strumenti per tessitura o
Tav. 21 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Pozzo. Oggetti in osso o madreper1a: 110; metallo: 11-22; pietra: 23; ceramica: 24-25.
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ricamo (Lugo, n. 25, p. 199, tav. XLIII), come sembrerebbe chiaramente indicare almeno uno dei due manufatti simili già scoperti a Finale Emilia (REGGI 1973, n. 105). 5. Pettine frammentario a doppia fila di denti. Inv. 69210 (Fig. 33,4). L: 4,7 Si tratta di un oggetto piuttosto tipico, per forma e dimensioni, tra ì manufatti documentati in contesti post medievali (MOORHOUSE 1971, p. 61, nn. 179-181, fig. 25; Torre Civica, p. 137, nn. 39-41, fig. 32 (XVI-XVII secolo); Crypta Balbi 1984, p. 156, n. 319, fig. 34.6-8; THOMPSON et al. 1984, pp. 111112, nn. 70-79, fig. 55; Crypta Balbi 1985, p. 567, nn. 17-20, fig. 130; Fox, BARTON 1986, p. 240, n. 15, fig. 153 e nn. 3-4, fig. 154). 6-7. Due grani (di cui una metà) sferici di rosario. Inv. 69227. Diam: 10 Vd. per confronto S. Silvestro, p. 192, n. 28, tav. XXXIX; WOODFIELD, GOODALL in WOODFIELD 1981 pp. 102-103, n. 1, fig. 10 (qui interpretate come oggetti del vestiario, oppure come parti di rosario o abaco: ma qui siamo in una scuola); Crypta Balbi 1985 p. 567, n. 23, fig. 130; CASSAMI 1992, p. 81, n. 6, fig. 48, rosario; p. 82, n. 14, fig. 348, corona di rosario, datata tra XVII e XVIII secolo; p. 82, n. 15, fig. 53 con perline di giaietto e croce terminale; p. 83, n. 25, fig. 58, due grani in osso; passim.
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8. Frammento di strumento per cosmesi (?). Inv. 69228. Il pezzo è frammentario e di difficile interpretazione. Una qualche analogia, anche per la sezione fortemente schiacciata, è con un paio di oggetti provenienti dal “mondezzaio” del XVIII secolo dello scavo della Crypta Balbi, interpretati come spilloni o strumenti per cosmesi (Crypta Balbi 1984, p. 156, n. 319, fig. 34.4.5). 9. Bottone di madrcperla. Inv. 187890.
2.1.4.2. REPERTI IN osso E METALLO (TAV. 21) 10. Parte di rosario costituito da grani in osso sagomati uniti da gancetti in metallo (si conservano dieci perline). Inv. 69219. L (conservata): 9,8 Vd. in generale Naturns, pp. 78-82; per i grani Crypta Balbi 1984, p. 159, n. 324, fig. 34.14.
2.1.4.3. REPERTI IN METALLO (TAV. 21) 11. Manico di cucchiaio in lega, trasformato successivamente in ago. Inv. 69223. L: 8,5 12. Ditale in bronzo. Inv. 69220. Diam: 1,5 Vd. per confronto DREWETT 1976, p. 33, n. 62, Fig. 15; S. Silvestro, p. 194, nn. 36-37, tav. XL; THOMPSON et al. 1984, p. 114, nn. 90-91, fig. 57; Crypta Balbi 1984, p. 149, n. 269, fig. 32.4; Crypta Balbi 1985, p. 580, fig. 130.7-13; Fox, BARTON 1986, p. 250, nn. 1-5, Fig. 150; Vercelli, p. 270, fig. 201.8. 13. 98 spilli in bronzo di varie dimensioni, con capocchia generalmente applicata e costituita da un piccolo filo ritorto. Gli oggetti variano, nella lunghezza, da cm 2,4 a cm 5,4. Naturalmente una valutazione quantitativa riporta valori principalmente compresi tra i cm 3 e i 4 (63 esemplari). All’incirca paritetiche le attestazioni sui valori immediatamente inferiori (cm 2-3) e superiori (cm 4-5). Pochi i manufatti superiori ai 5 centimetri (4 unità) (Fig. 33,3). Gli spilli trovano moltissimi confronti in scavi tardo e post medievali; le stesse fonti monastiche, quando li ricordano, menzionano quantitativi veramente notevoli. La loro funzione era molteplice, ma principalmente da riconnettere con l’attività di cucito che doveva praticarsi nel convento e di cui è testimonianza, ad esempio, anche la presenza di un ditale (n. 12) (Crypta Balbi 1984, pp. 169-170). Dai confronti con altri contesti (es. Crypta Balbi 1984, pp. 149-150; BEDWIN 1976, p. 64, n. 55, fig. 9b) i tipi più frequenti si attestano, come i nostri, intorno ai 3-4 centimetri. Sempre sulla scorta di confronti sembra che il tipo con capocchia piena (e non applicata come i nostri), diventi sempre più frequente a partire dai contesti della seconda metà del XVII secolo (THOMPSON et al. 1984, p. 114, nn. 88-89, fig. 57, da Aldgate: n. 88, con capocchia applicata, ca. 1500-1625, l’altro, n. 89, con capocchia piena, tra 1650-1750; GOOD 1987, p. 106, nn. 9-14, fig. 56; e BIECK in ABELA, MARJORAM 1972, p. 92, nn. 14-20 , a testa piena, ELLIS in DREWETT 1976, p. 33, nn. 73-77, fig. 16; HOLMES 1980, pp. 91-93, n. 35, fig. 5). Vd. anche S. Silvestro, p. 194, nn. 39-41, tav. XL; Torre Civica, p. 134, nn. 21-23, fig. 30 (XVI-XVIII secolo); MILANESE 1985, p. 45, n. 57, fig. 35; RIGOBELLO 1986, p. 99, tav. XIV, 8; GELICHI 1987b, p. 65, n. 6, tav. XXI (ancora da Finale Emilia); GRAMOLA, PASQUALI 1989, p. 67, n. 144, fig. 2 a p. 82; Scala, p. 404, tav. XXXIII. 1-7; CASSANI 1992, p. 84, n. 30, fig. 60; Lugo p. 199, n. 21, tav. XLIII, nn. 5-13; Argenta p. 171, n. 18, fig. 81.13; TOMADIN 1994, p. 115, n. 129a-d, tav. 29; Vercelli p. 270, fig. 201.7.
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14. Perno (?) in lega provvisto di appendice a vite per inserimento in qualche supporto ligneo. Inv. 69218. L: 4
Si tratta di un oggetto di funzione incerta, forse usato per essere inserito in un mobile. 15. Crocifisso in lega provvisto di gancio. Il corpo di Cristo è saldato al supporto tramite pernietti. Si tratta di un elemento di rosario (cfr. Fig. 37). Inv. 69216 (Fig. 33,1). L: cm 6
Vd. Crypta Balbi 1984, pp. 148-149, nn. 266-267, fig. 32.1.2 16. Raffigurazione del Cristo analoga alla precedente, ma di dimensioni più piccole, priva del supporto. Inv. 69214 (Fig. 33,2) L: 2,8 17. 13 ferma scarpe o ferma lacci in bronzo, alcuni dei quali integri, altri frammentari.
Vd. BIECK in ABELA, MARJORAM 1972, p. 92, nn. 21-22, fig. 41; DREWETT 1976, p. 33, nn. 71-72, fig. 16; WOODFIELD, GOODALL in WOODFIELD 1981, p. 93, n. 36, fig. 5; MILANESE 1985, p. 61, n. 137, fig. 66; RIGOBELLO 1986, p. 99, tav. XIV, 4; TOMADIN 1994, p. 116, n. 133, tav. 29. 18-19. Borchie in bronzo dorato; probabilmente appliques di mobili. Inv. 89826. Diam: 3/2 20. Manico di forchetta o cucchiaio in bronzo. L: 8,5
Vd. Torre Civica, pp. 130-132, nn. 4-5, fig. 29 (tardo XVI secolo); Crypta Balbi 1984, p. 155, n. 303, fig. 33.16. 21. Cesoie in ferro. L: 10,5
Due cesoie in ferro (interpretate come cesoie da sarto) provengono da contesti della seconda metà XVI-inizi XVII secolo della Cypta Balbi (Crypta Balbi 1989, p. 187, nn. 311-312, tav. XLII). Rispetto a quelle attestate a Finale sembrano, nelle parti conservate, di esecuzione più semplice. Un confronto più stringente è con esemplari provenienti da Amsterdam (Cities, nn. 1-115, p. 122). 22. Grano d’oro di rosario decorato a circoletti. Inv. 69209.
2.1.4.4. REPERTI IN PIETRA (TAV. 21). 23. Cote. L: 6,3
2.1.4.5. REPERTI IN CERAMICA (TAV. 21) 24. Campanella in ceramica priva di rivestimento. Diam: 8,4; h: 6,5 25. Fusaiola di forma sferica in ceramica priva di rivestimento. Diam: 2,1
2.1.4.6. REPERTI IN LEGNO E cuoio (Tav. 22-23 e Figg. 34-36) 26. Parte di coperchietto da pentola (?). 27. Coperchietto da pentola (?) con piccolo foro al centro forse per appiccagnolo e foro di sfiato laterale. Diam. 8 28. Coperchietto da pentola (?).
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29. Pettine frammentario a doppia fila di denti.
Per pettini il legno in contesti di scavo italiano italiani datati al XVII secolo vd. Genova, p. 144, n. 1.158. 30. Parte di fuso (?). 31. Frammento di suola in legno, porzione del tallone, appartenente a sandalo. 32. Frammento di suola in legno, porzione del tallone, appartenente a sandalo. 33. Frammento di suola in legno, porzione del tallone, appartenente a sandalo. 34. Frammento di suola in legno, porzione del tallone, appartenente a sandalo. 35. Frammento di suola in legno, porzione anteriore, appartenente a sandalo. 36. Frammento di suola in legno, porzione anteriore, appartenente a sandalo. 37. Suola di legno intera, costituita da due solette distinte applicate una sull'altra, appartenente a sandalo. L: 15 38. Elemento di chiusura di sandalo in cuoio 39. Elemento di chiusura di sandalo in cuoio 40. Frammento di tomaia di scarpa in cuoio. 41. Laccino in cuoio. 42. Suola di scarpa in cuoio con tacco sempre in cuoio, fermato con chiodini in ferro. 43. Soletta di cuoio per scarpa chiusa. L: 13 44. Parti in cuoio di scarpa (?), finito nel bordo superiore e, in quello inferiore, si notano le puntature delle cuciture.
Il gruppo dei manufatti in legno e cuoio, rappresentato prevalentemente da calzature, è stato sottoposto a restauro conservativo soltanto di recente: anche per questo motivo la loro analisi deve ritenersi molto generica (ad esempio non è stato possibile determinare le essenze dei legni) e le considerazioni che seguiranno decisamente orientative. Come è noto reperti in materiali deperibili sono abbastanza estranei al quadro delle restituzioni dei nostri contesti archeologici, principalmente per le caratteristiche dei suoli che in genere non ne garantiscono la conservazione (almeno di quegli oggetti sfuggiti al riciclaggio terminale: nel caso dei legni l’uso come combustibile). Tuttavia questo quadro trova qualche eccezione: legni e cuoi provengono sia da ambienti umidi (es. Finale Emilia (MO) e Ferrara: FELLONI et al. 1988; GELICHI 1987b; FERRARA, Genova: Genova 1996), che da particolari contesti funerari, come gli ossari (ad es. NEPOTI 1987; Gerace 1993; COLOMBO in PANTÒ 1993, pp. 128-131), anche se il numero dei ritrovamenti deve considerarsi ancora esiguo, soprattutto se paragonato all’incidenza dei reperti di questo genere negli scavi centro e nord europei (vd. ad es. Stadluft, passim, GÜNHE 1991). I reperti in legno del pozzo di S. Chiara sono rappresentati da alcuni oggetti di forma circolare (nn. 26-28), di incerta funzione ma che potremmo forse interpretare come piccoli coperchi per pentole (anche per la presenza di fori nel meglio conservato, il n. 27). Il pettine a doppia fila di denti, frammentario, è invece elemento comune nei depositi medievali e post medievali italiani ed europei (GÜNHE 1991, Abb. 30, n. 6, p. 58; Genova n. 158, p. 144 e bibl.). II resto dei reperti è costituito da 1 scarpa in cuoio, alcune tomaie (sempre i cuoio) e 7 suole in legno, più o meno frammentarie (non è improbabile che il numero degli oggetti sia inferiore), appartenenti a sandali (sul-
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Figg. 34-35 - Immagini di monache del XVIII secolo: a sinistra francescana (da BONANNI 1741-1742).
l'uso dei sandali nel medioevo vd. GREW, DE NEERGAARD 1988, pp. 91-101 e, per l'Italia, Genova 1996, pp. 150-151). In genere si tratta di suole realizzate tramite l'incollaggio di almeno due parti (evidente nel n. 37), con la punta di forma arrotondata (per le considerazioni sulla forma della punta vd. Gerace 1993 e Genova, p. 146). È probabile che a queste suole siano da riferire alcuni elementi di cuoio (nn. 38-39) interpretabili, per la forma, come lacci per chiudere il sandalo (cfr. Stadtluft p. 426). I sandali erano comuni anche in ambiente laico, ma naturalmente saremmo portati riconoscere in questi oggetti proprio le calzature tipiche del nostro Ordine («e scalze usano zoccoli di legno...» BONANNI LII), secondo quanto noto anche dall'iconografia (Fig. 38). Infine è presente un frammento di tomaia (n. 42), forse la parte intorno al tallone di una scarpa con tacco inchiodato alla suola (n. 40) (sull'introduzione del tacco nella seconda metà del XVI secolo vd. ancora Gerace 1993, p. 477). 2.1.5. Conclusioni: l'associazione e la cronologia del contesto (S.G.-M.L.) È bene rilevare, innanzitutto, che siamo in presenza di un contesto formatosi in un ambito, quello monastico, dove la circolazione delle merci in rapporto alla domanda e alle sedi produttive non risulta immediatamente confrontabile con quanto avviene nei contesti laici. Tuttavia, al di là dei singoli processi di acquisizione dei corredi dotali, che possono, non marginalmente, aver influenzato il record archeologico, è anche opportuno sottolineare come le fonti scritte relative al monastero (e prime tra tutte le liste di monache finalesi del XVII secolo), indichino proprio in questa località il centro demico che principalmente contribuì alla formazione della numerosa comunità mo-nastica. Questo fatto si riproduce in effetti sulla natura delle merci ceramiche presenti che, al di là delle tipologie (che discuteremo), sembrano nella quasi totalità provenire dalla manifatture locali, sia nel caso di prodotti generici, sia, e a maggior ragione, nel caso di prodotti appositamente commissionati. Con l'eccezione, infatti, di poche ceramiche certamente di area veneto-
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lombarda e romagnola, il quadro complessivo delle produzioni rimanda ai tipi correnti (ingobbiati monocromi e dipinti, graffiti a punta) che le botteghe finalesi dovevano produrre almeno da circa un centinaio di anni (se facciamo iniziare la produzione locale con le “graffite rinascimentali”: vd. GELICHI 1987a, p. 26, fig. 15.1). Purtroppo le conoscenze sulle produzioni finalesi del XVI, ma anche XVII-XVIII secolo, sono connesse ad un quadro di studi abbastanza modesto e datato (REGGI 1973) e questo fatto ci priva di un immediato riscontro con seriazioni crono tipologiche di manufatti che meglio avrebbero indicato peculiarità o diversità con le restituzioni del monastero. Un primo elemento che emerge dal ritrovamento analizzato è la percentuale, veramente consistente, di prodotti ingobbiati (monocromi e dipinti), fatto questo che non trova confronto neppure con gli altri materiali rinvenuti nei vari recuperi nel monastero (vd. 2.2). Questo aspetto può soltanto in parte discendere da una diversa connotazione cronologica di questi ultimi che, come avremo modo di discutere più avanti, non è supportata da alcun elemento di natura contestuale. Tuttavia se ci riferiamo ad una valutazione più generale dei consumi ceramici all’incirca coevi della regione (GELICHI, LIBRENTI 1997), ci rendiamo anche conto come il quadro del pozzo di S. Chiara trovi una sua plausibilità e congruità. Il resto delle ceramiche documenta una scarsa percentuale di maioliche, due delle quali oltretutto commissionate; non si ha dunque l’impressione di una eccessiva disponibilità economica o comunque di un particolare investimento verso l’acquisizione di prodotti qualitativamente migliori, e dunque di più alto costo. Questo dato non sembra peraltro in distonia con gli altri ritrovamenti del monastero, nei quali la maiolica del XVII secolo è, sebbene leggermente superiore, ancora intorno a valori piuttosto contenuti. Un altro aspetto significativo del contesto, sempre da un punto di vista ceramologico, è l’assenza di servizi numerosi, sia marcati con sigle di proprietà sia contrassegnati da stemmi di famiglia: evidentemente, oltre a problemi connessi con la formazione del deposito, si potrebbe ricollegare alla ridotta dimensione dei corredi dotali che, normalmente, trapela dalla documentazione scritta, con l’eccezione dei casi di grandi e ricchi monasteri urbani (vd. par. 3). Il complesso delle ceramiche sembra riflette una realtà complessivamente di tenore medio, in sintonia con lo stato sociale delle famiglie che più avevano contribuito alla formazione della comunità monastica di questo centro rurale. Il resto dei materiali non fornisce indicazioni particolari da un punto di vista sia cronologico che socio-economico (la presenza di un grano di rosario d’oro deve essere interpretata come del tutto casuale) ed inoltre, anche considerando l’incidenza di altri manufatti che in genere compaiono negli inventari monastici di questo periodo, sembra evidente come non sia attraverso la ceramica né gli oggetti quotidiani finiti nel pozzo che poteva esprimersi la ricchezza di una monaca. Per quanto concerne la formazione del deposito, sia in termini di cronologia relativa che assoluta, è abbastanza difficile formulare un parere fondato in assenza di più precise e puntuali osservazioni al momento della scoperta. Tuttavia ci sembra che i materiali rinvenuti possano collocarsi, senza difficoltà, intorno al primo terzo del XVII secolo (anche se non siamo in grado di rilevare la durata della formazione del deposito): questa cronologia si basa principalmente sull’analisi tipologica delle ceramiche. Nel contempo, tuttavia, non sembra sia neppure da sottovalutare il fatto che a nessuna delle monache documentate nel registro del 1641 possano essere riferite le ceramiche rinvenute nel pozzo (almeno quelle in cui sono presenti non i generici stemmi familiari, ma le iniziali o i nomi completi). 82
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2.2. Gli altri ritrovamenti (S.G.-M.L.) Come già indicato in precedenza, i recuperi effettuati nel corso dei lavori condotti in alcune aree del convento hanno fornito una serie di ulteriori indicazioni sulle ceramiche presenti nel monastero. Sebbene si tratti di raccolte condotte con metodologie non verificabili, un’analisi anche non esaustiva può risultare di un qualche interesse per rilevare la circolazione dei tipi ceramici al di fuori del contesto precedentemente analizzato. Innanzitutto occorre precisare che siamo in presenza di rinvenimenti riferibili ad un arco cronologico più ampio rispetto a quello del pozzo, che dovrebbero giungere, in alcuni casi, sino allo scorcio del Settecento. In questa nuova situazione pare da ridimensionare la scarsa varietà delle soluzioni tipologiche e decorative osservata nel pozzo, a cominciare dall'incidenza massiccia delle ingobbiate dipinte, a tutto vantaggio delle graffite e dei tipi finiti in monocromia. Vorremmo poi segnalare il rilievo che assumono da un lato, le finiture di carattere marcatamente laico, dall’altro la presenza di una grande varietà di materiali siglati a cotto ed, in buon numero, a crudo. Un dato appare comunque incontrovertibile: i caratteri peculiari della ceramica seicentesca finalese, almeno quelli risultanti dagli scarti di fornace recuperati nei precedenti sterri cittadini (REGGI 1973), paiono documentati solo in maniera contenuta nelle produzioni acquisite dal monastero. Non si deve comunque sottovalutare il dato fornito dai materiali decorati a graffito a svantaggio di quelli dipinti. I pezzi in monocromia, e numerosi sono verosimilmente quelli siglati dal monastero o dalle suore non più riconoscibili, rappresentano una porzione veramente notevole, che permette di pensare ad una scelta preferenziale per alcune acquisizioni comunitarie e doti. Rimarchevole, in effetti, la concentrazione di sigle dotali a crudo di tre o quattro lettere su piatti, scodelle e boccali, ma anche la serie S. C. (Tav. 24, 7-14) che non dovrebbe rappresentare una semplice serie personalizzata, ma di pertinenza comune (Fig. 40 e elenco sigle). Le siglature si associano a volte a motivi decorativi con sequenze circolari vegetali e, in un caso, vegetali a tutto campo (Tav. 24,1). Sono presenti anche pezzi con trigramma bernardiniano finiti in giallo (Fig. 41), mai personalizzati. Le ingobbiate dipinte (Fig. 39) sebbene in numero decisamente contenuto rispetto all’incidenza che mostravano all’interno del pozzo, testimoniano comunque una serie di decori maggiormente ricca e complessa di quella osservata in precedenza, in particolare tra quelle in bleu. I motivi a cerchi concentrici in policromia risultano applicati anche all'interno di alcune scodelle. Le graffite a punta policrome (Fig. 42) sono documentate in buona parte da pezzi senza specifici caratteri religiosi, ma esiste una separazione netta tra le forme aperte e quelle chiuse al riguardo. Piatti, scodelle e ciotole sono decorati in genere con motivi vegetali o geometrizzanti, raramente con putti alati o ritratti. Si tratta di ceramiche riconducibili in parte anche alle produzioni locali, altrimenti acquisiti dal mercato, tutte caratterizzate da un impianto decorativo marcatamente di area sub-regionale. Su questo gruppo si concentra uno dei nuclei più consistenti di graffiti a cotto (vd. Tavv. 26-27 e elenco sigle). Le forme chiuse, per contro, rappresentano un piccolo nucleo ricchissimo, però, di sigle dotali tracciate a crudo entro un apposito cartiglio, unica decorazione incisa. I pezzi mostrano in genere una inconsueta finitura in bleu prevalente e giallo, riscontrata anche su alcuni sottocoppa. Le graffite a fondo risparmiato (Figg. 41, 43), sia monocrome che policrome, sono interessate anch’esse da una sorta di discriminante decorativa che separa forme chiuse e aperte. Queste ultime non presentano alcun carat-
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tere di peculiarità monastica, se non in un caso (Tav. 25,60) e non sono quindi decorate con sigle di proprietà a crudo, ma solo graffiti a cotto. Sono però presenti diversi stemmi famigliari di monache. Le forme chiuse forniscono un quadro interamente sovvertito. I tipi sono finiti sia in policromia che in monocromia e mostrano una concentrazione altissima di sigle dotali a crudo entro cartigli del tutto simili a quelli presenti sulle graffite a punta, nonché alcune finlture inconsuete, come la monocromia bleu. Tra i pezzi raccolti è presente un piccolo nucleo di oggetti sicuramente importati dall’ambito extra-regionale (Fig. 46), contraddistinti da decorazioni graffite tipiche dell’area veneta associate ad una morfologia inconsueta, che prevede l’uso del piede ad anello. Si tratta di recipienti privi di motivi religiosi, se non generici come la testa di putto alato, frequentemente finiti in tricromia su
soggetti vegetali o geometrici (Terraferma, p. 156-157; SIVIERO 1975, pp. 84-85). Fig. 39 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Ceramica dipinta in bleu o in policromia.
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Fig. 40 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Graffite a punta o a punta a stecca in monocromia verde.
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Fig. 41 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Graffite a punta o a fondo risparmiato in monocromia gialla.
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Fig. 42 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Graffite a punta policrome.
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Fig. 43 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Graffite a fondo risparmiato
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Fig. 44 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Ceramica smaltata.
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Fig. 45 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Ceramica smaltata a soggetto erotico.
Tra le ceramiche sicuramente importate vanno naturalmente annoverati i recipienti smaltati (Fig. 44), tra i quali un piatto con decorazione a paesaggi su fondo blu (di provenienza veneta) e altri esemplari di maioliche di “stile compendiarlo”. I motivi e le forme di queste ultime riprendono sostanzialmente quelli noti dal ritrovamento del pozzo, con l’eccezione di un fondo di un ampio recipiente decorato con una inconsueta scena di carattere erotico (Fig. 45)
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Fig. 46 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Da altri rinvenimenti all’interno del convento. Ceramica di area veneta.
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Fig. 47 - Bologna. Monastero di S. Giovanni in Monte. Ceramica smaltata.
Fig. 48 - Bologna. Monastero di S. Giovanni in Monte. Ceramica smaltata e ingobbiata.
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Fig. 49 - Bologna. Monastero di S. Cristina della Fondazza. Ceramica smaltata.
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Fig. 50 - Bologna. Monastero di S. Cristina della Fondazza. Ceramica smaltata.
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Fig. 5I - Bologna. Monastero di S. Cristina della Fondazza. Ceramica smaltata.
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Fig. 52 - Bologna. Monastero di S. Cristina della Fondazza. Scarto di cottura di graffita probabilmente a soggetto erotico.
2.2.1. Tipologie, motivi religiosi e centri di approvvigionamento La precedente disamina permette di rilevare come le sigle di proprietà graffite all’atto dell’esecuzione sui pezzi dei corredi dotali non sono necessariamente tipiche di tipologie particolarmente semplificate, come nel caso delle ingobbiate monocrome verdi, ma abbondano parimenti su alcune soluzioni tipo-morfologiche ben distinte, come i boccali dipinti in policromia bleugialla e quelli graffiti a fondo risparmiato in monocromia. Si tratta di un insieme di rinvenimenti che suggeriscono, almeno in questo caso, tipologie preferenziali per la siglatura dotale: le ingobbiate verdi aperte, esempio, e graffite chiuse a punta o a fondo risparmiato, quasi mai le ingobbiate e graffite gialle o le forme a fondo risparmiato aperte. Le graffite decorate a stemmi familiari, tipiche dell’ultimo venticinquennio del XVI secolo, trovano una consistente e logica applicazione all’interno di questi contesti: i simboli nobiliari rappresentano un elemento di identificazione perfettamente consono al clima dell’ambito monastico, sebbene bisognoso a volte di graffiti a cotto di personalizzazione. Esiste comunque un problema sul quale vorremmo soffermarci a questo proposito, sebbene appaia difficile avanzare risposte certe alla luce delle 96 © 1998 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
conoscenze attuali. Una serie di verifiche condotte sui materiali scartati in cottura dalle fornaci finalesi raccolti numerosi anni fa, sui quali ci siamo già soffermati, non ha fornito nessun riscontro circa l’esistenza di una produzione locale a fondo risparmiato con girali di fogliami. Si tratta di un dettaglio che potrebbe essere ascrivibile ad un semplice caso fortuito, motivato dalla casualità del recupero ricordato, che contempla però in abbondanza oggetti finiti con altri moduli decorativi. La somiglianza con materiali carpigiani lascia quindi un margine di incertezza sulla provenienza di questo nucleo di oggetti, anche perché a Carpi risultano testimoniati alcuni cartigli con date e iscrizioni al centro del pezzo, cartigli per altro abbastanza simili, almeno in un caso, ai nostri (REGGI 1981, n. 61). Lungo questa linea di lettura, potremmo anche osservare i legami politici ed economici che legano i potenti Grillenzoni a Carpi (ibid., p. 9), oltre che al convento di S. Chiara dove sono monache alcune donne della famiglia. Si tratta però di uno scenario francamente sconcertante, che prefigura la completa incapacità delle manifatture finalesi di produrre beni di qualche pregio ed una notevole attenzione ai prodotti del vicino centro da parte di numerose clarisse locali, in quanto le sigle segnate sui cartigli sono raramente compatibili con un solo gruppo gentilizio. Vorremmo quindi ipotizzare che si tratti di oggetti eseguiti in loco adottando modelli decorativi ampiamente diffusi in area emiliana ed eseguiti su richiesta al momento della monacazione, fatto questo che giustificherebbe l’assenza di finiture simili tra gli scarti raccolti. 2.2.2. Catalogo delle siglature a crudo (Tavv. 24-25) 1. Scodella ad orlo estroflesso su piede a ventosa graffita a punta e finita in mono cromia verde. 2. Ciotola apoda in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 3. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 4. Scodella a tesa in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 5. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 6. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 7. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 8. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 9. Scodella a tesa obliqua e piede a ventosa in ceramica ingobbiata finita in monocro mia verde. 10. Tesa di piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 11. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 12. Ciotola apoda in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 13. Ciotola o scodella su piede a ventosa in ceramica ingobbiata finita in monocro mia verde. 14. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 15. Sottocoppa in ceramica ingobbiata a maculazione verde. 16. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 17. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 18. Ciotola o scodella apoda in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 19. Piatto in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 20. Piede di scodella, graffito a punta con motivi vegetali e dipinto in policromia giallo verde.
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Tav. 24 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Catalogo delle sigle di proprietà presenti nei materiali raccolti in altri interventi all’interno del convento. Graffite a crudo: 1-38.
21. Tesa di piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 22. Piatto a tesa in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 23. Ciotola apoda a tesa obliqua, in ceramica graffita a punta con sequenze a steli ricurvi sulla tesa, dipinta in policromia verde bleu. 24. Sottocoppa in ceramica ingobbiata dipinta a maculazione verde su fondo giallo. 25. Scodella con piede a ventosa in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 26. Ciotola apoda in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 27. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 28. Piatto di graffita a fondo risparmiato decorato con motivi a fiore gotico e dipinto in policromia giallo verde e bleu. 29. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 30. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 31. Piatto di maiolica policroma in stile compendiario 32. Scodella a tesa su piede a ventosa in graffita fondo risparmiato con fasce di motivi vegetali e finita in monocromia gialla. 33. Piatto troncoconico in ceramica graffita a punta e finita in monocromia verde. 34. Scodella apoda a tesa in graffita a punta e stecca, decorata con fascia a graticcio e fogliami sulla tesa. Finita in monocromia verde. 35. Scodella su piede a ventosa in ceramica graffita a punta e finita in monocromia verde. 36. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 37. Scodella su piede a ventosa in ceramica graffita a punta decorata con medaglione circondato da motivi vegetali sinuosi e finita in monocromia verde. 38. Frammenti di tesa di piatto in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 39. Scodella in ceramica graffita a punta e finita in monocromia verde. 40. Scodella su piede a ventosa. Ceramica graffita a punta e fondo risparmiato con figura di S. Chiara, con dipinture in bleu. 41. Piatto troncoconico con piede a disco. Ceramica ingobbiata graffita a punta e a fondo risparmiato, decorata con trigramma bernardiniano di ossa stilizzate circondato da fascia a nastro spezzato nel cavetto e presso l’orlo. Dipinto in policromia gialla verde e bleu. 42. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia gialla. 43. Parete di boccale in ceramica ingobbiata dipinta in policromia giallo bleu. 44. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia verde. 45. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia verde. 46. Boccale trilobato in ceramica ingobbiata dipinto in policromia giallo bleu. 47. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia gialla. 48. Parete di boccale di ceramica ingobbiata graffita a punta con motivo a squame e dipinto in policromia giallo verde. 49. Parete di boccale in ceramica ingobbiata dipinta in policromia giallo bleu. 50. Boccale trilobato in ceramica ingobbiata dipinto in policromia giallo bleu. 51. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia gialla. 52. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia gialla.
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Tav. 25 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Catalogo delle sigle di proprietà presenti nei materiali raccolti in altri interventi all’interno del convento. Graffite a crudo: 39-62.
53. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia verde. 54. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finito in monocromia verde. 55. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finito in monocromia verde. 56. Boccale trilobato in ceramica ingobbiata dipinto in policromia giallo bleu. 57. Parete di boccale, probabile scarto di seconda cottura 58. Parete di boccale in ceramica ingobbiata finito in monocromia verde. 59. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e dipinto in policromia. 60. Scodella su piede a ventosa, graffita a fondo risparmiato con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo vede bleu. 61. Parete di boccale graffito a fondo risparmiato con motivi vegetali e finito in monocromia verde. 62. Parete di boccale in ceramica ingobbiata dipinto in policromia giallo bleu.
2.2.3. Catalogo delle siglature a cotto (Tavv. 26-27) 1. Scodella con piede a ventosa. Ceramica graffita a fondo risparmiato decorata con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo verde. 2. Fondo di piatto o scodella. Ceramica graffita a fondo risparmiato decorata con motivo centrale geometrico. Dipinture in giallo. 3. Parete di scodella graffita a punta e dipinta in policromia verde giallo. 4. Piede di ceramica invetriata da fuoco. 5. Ciotola a tesa di graffita a fondo risparmiato con sequenza a racemi presso l’orlo e dipinta in policromia giallo verde e bleu. 6. Piatto troncoconico in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 7. Scodella a tesa su piede a ventosa. Ceramica ingobbiata dipinta a maculazione bleu. 8. Ciotola apoda. Ceramica ingobbiata monocroma verde. 9. Scodella con piede a ventosa. Ceramica graffita a fondo risparmiato decorato con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo verde bleu. 10. Piatto troncoconico con piede a ventosa in graffita a fondo risparmiato con motivi vegetali dipinta in policromia giallo verde e bleu. 11. Ciotola apoda. Ceramica graffita a punta decorata con stella a otto punte ombreggiate a tratteggio e dipinta in policromia giallo verde bleu. 12. Sottocoppa con bordo a torciglione di ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 13. Scodella su piede a ventosa. Ceramica invetriata decorata ad ingobbio con motivo a girandola entro cornice circolare decorata ad onde. 14. Fondo di tegame da cucina invetriato decorato ad ingobbio con cerchi concentrici. 15. Scodella o ciotola in ceramica ingobbiata graffita a punta con steli ricurvi e dipinta in policromia giallo verde e bleu. 16. Piattello troncoconico su piede a disco. Ceramica graffita a fondo risparmiato con trigramma bernardiniano I H S nel cavetto e sequenze a nastro spezzato sulla tesa. 17. Piatto troncoconico apodo. Ceramica graffita a punta e stecca decorata con motivo geometrico polilobato e monticelli nel cavetto e sequenza a foglie simmetriche nella tesa. Finito in policromia giallo verde. 18. Scodella apoda a tesa in graffita policroma a punta e stecca decorata con volatile centrale ed embricature sulla tesa. Dipinta in policromia giallo verde.
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Tav. 26 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Catalogo delle sigle di proprietà presenti nei materiali raccolti in altri interventi all’interno del convento. Graffite a cotto: 1-39.
19. Scodella a tesa con piede a disco in ceramica graffita a fondo risparmiato con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo verde e bleu. 20. Scodella apoda a tesa in ceramica ingobbiata e graffita a punta e stecca, decorata con motivo vegetale polilobato centrale. Dipinta in policromia giallo verde. 21. Scodella su piede a ventosa in ceramica ingobbiata marmorizzata, molto consunta 22. Pentola o boccale in ceramica invetriata. 23. Piatto troncoconico con piede a ventosa. Ceramica graffita a stecca con motivi geometrizzanti in monocromia verde. 24. Scodella con piede a ventosa. Ceramica graffita a punta decorata con motivi vegetali e dipinta in policromia verde giallo. 25. Piede di boccale ingobbiate. 26. Piede di ciotola o scodella. Ceramica graffita a fondo risparmiato con girali di fogliami dipinta in policromia giallo verde. 27. Piatto graffito a fondo risparmiato con racemi vegetali e dipinto in policromia giallo verde e bleu 28. Piatto troncoconico su piede a ventosa, in ceramica marmorizzata di colore bianco verde rosso. 29. Scodella con piede a ventosa in graffita a punta decorata con motivo vegetale centrale e dipinta in policromia verde giallo. 30. Piatto in ceramica graffita a steli spiraliformi e dipinta in giallo e verde. 31. Scodella su piede a ventosa. Ceramica graffita a punta dipinta in policromia giallo verde. 32. Scodella con piede a ventosa in ceramica graffita a fondo risparmiato con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo e bleu. 33. Scodella con piede a disco in ceramica graffita a fondo risparmiato decorata con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo verde e bleu. 34. Scodella con piede a disco, graffita policroma a fondo risparmiato con motivi vegetali dipinta in policromia giallo verde e bleu. 35. Scodella con piede a ventosa in ceramica marmorizzata bianca-verde e rossa. 36. Scodella con piede a ventosa. Ceramica ingobbiata dipinta a motivi vegetali bleu sotto vetrina azzurra. 37. Ciotola apoda. Ceramica ingobbiata dipinta in policromia giallo verde. 38. Piatto troncoconico su piede a ventosa in graffita a fondo risparmiato dipinta in policromia giallo verde bleu. 39. Scodella a tesa obliqua su piede a ventosa. Ceramica graffita a punta decorata con sequenza a “fiore gotico” sulla tesa e profilo di uomo con cappello nel cavetto. Dipinta in policromia giallo verde. 40. Scodella con piede a disco, ceramica graffita policroma a fondo risparmiato con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo verde e bleu. 41. Scodella a tesa su piede a ventosa in ceramica invetriata a maculazione puntiforme nera. 42. Scodella su piede a ventosa. Ceramica graffita a stecca decorata con motivi geometrizzanti e finita in monocromia verde. 43. Scodella con piede a ventosa in ceramica graffita a punta e stecca con motivi vegetali ombreggiati e dipinta in policromia verde e giallo. 44. Ciotola apoda a tesa in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 45. Catino emisferico con piede a ventosa in graffita a punta con motivi vegetali dipinta in policromia giallo verde. 46. Boccale su piedistallo in ceramica ingobbiata monocroma verde. 47. Piattello con piede a ventosa in graffita finita in monocromia verde. Decorato con volto di profilo entro racemi.
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Tav. 27 - Finale Emilia (MO). Convento di S. Chiara. Catalogo delle sigle di proprietà presenti nei materiali raccolti in altri interventi all’interno del convento. Graffite a cotto: 40-68.
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Tav. 28 - Ferrara. S. Guglielmo. Catalogo delle sigle di proprietà presenti nei materiali raccolti all’interno di una fossa di scarico pertinenti al monastero ferrarese delle Clarisse. Scavi SUFER 1991. Graffite a cotto.
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48. Scodella a tesa su piede a ventosa, graffita a punta con motivo geometrico vegetale - fiore a raggi - e dipinto in policromia giallo verde. 49. Scodella a tesa su piede a ventosa. Ceramica graffita a punta e stecca con motivo vegetale centrale sequenza a “fiore gotico” sulla tesa. Dipinta in policromia giallo verde e bleu. 50. Scodella a tesa su piede a ventosa. Ceramica graffita a fondo risparmiato decorata con fiore a raggi e foglie lanceolate nel cavetto e sequenza a fogliami sulla tesa. Finito in policromia giallo verde e bleu. 51. Porzione di boccale in graffita a fondo risparmiato decorata a girali di fogliami e finita in monocromia verde. 52. Sottocoppa in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 53. Piede di ciotola in graffita a fondo risparmiato finita in monocromia gialla. 54. Scodellina a tesa su piede a ventosa in ceramica ingobbiata finito in monocromia verde. 55. Pentola globulare con ansa a sezione circolare in ceramica invetriata da fuoco con decorazione a filettature di ingobbio. 56. Pentola invetriata da cucina. 57. Pentola invetriata da cucina. 58. Ciotola apoda a tesa obliqua in ceramica ingobbiata finita in monocromia verde. 59. Scodella su piede concavo in ceramica invetriata a maculazione puntiforme nera. 60. Scodella a tesa su piede a ventosa. Ceramica graffita a punta con nastri vegetali a foglie lanceolate nel cavetto e motivi ad onda sulla tesa. Dipinta in policromia verde giallo e bleu. 61. Scodella su piede ad anello in ceramica invetriata a maculazione puntiforme nera. 62. Scodella apoda a tesa in ceramica graffita a fondo risparmiato con girali nel cavetto e sequenza a foglie polilobate sulla tesa. 63. Tegame troncoconico con orlo sagomato e presa cilindrica, ceramica invetriata da cucina dipinta ad ingobbio. 64. Scodella apoda a tesa. Ceramica graffita a punta con motivo vegetale e dipinta in policromia giallo verde e bleu. 65. Scodella su piede a disco. Ceramica graffita a punta con lo stemma della famiglia Grillenzoni e dipinto in policromia verde e bleu. 66. Catino emisferico su piede a disco con cavetto. Ceramica graffita a punta con volatile stilizzato e sequenza a corona di foglie simmetriche, dipinto in policromia giallo verde. 67. Scodella su piede a disco di ceramica marmorizzata nei colori bianco verde rosso e nero. 68. Scodella a tesa su piede a disco. Ceramica graffita a fondo risparmiato decorata con motivi vegetali e dipinta in policromia giallo verde bleu.
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3. La “cultura materiale” e i monasteri femminili tra XVI e XVII secolo
3.1. Ceramica nei conventi e ceramica conventuale (S.G.) Nella letteratura archeologica, e ceramologica, sono comparse da tempo le definizioni di ceramica conventuale o monastica (più raramente, e in forma meno caratterizzata, quella di ceramica religiosa: FERRARI 1960, p. 46). Che queste ceramiche, per componenti formali o decorative o per collocazione di ritrovamento, abbiano spesso a che fare con conventi e monasteri è fuor di dubbio. Tuttavia l’uso di tali definizioni risulta di frequente vago, quando non impreciso, e comunque applicato a caratterizzare categorie di prodotti talora molto diverse tra di loro. Sarà dunque opportuno cercare di fare chiarezza su che cosa si è inteso con questo termine, se gli usi siano o meno impropri, quando e in che circostanza potrebbe essere ancora utile parlare di ceramica conventuale. Un primo impiego del termine si tende ad applicare a recipienti che documentano, tra i motivi, soggetti di carattere religioso. La presenza di decori che si rifanno ai temi della Passione o a raffigurazioni di Santi e Beati non sembrano tuttavia connotare specifici ambiti sociali neppure dal ‘500 in poi, periodo in cui si assiste ad una generalizzata slaicizzazione dei motivi sulla maiolica e sulla graffita (NEPOTI 1991, p. 139). Peraltro non sempre e non ovunque ceramica acquistata dai monasteri e dai conventi sembra contrassegnata da decori di soggetto religioso (vd. ad esempio il caso della Novalesa: GALLESIO, PANTÒ 1988), come del resto neppure è da escludere un uso laico di recipienti con motivi di carattere ecclesiastico. Dunque la componente iconografica, per quanto importante, non sembra da sola caratterizzare una categoria di prodotti in termini sociali di consumo. Un secondo utilizzo della definizione si riferisce al luogo di ritrovamento: la provenienza, e spesso una certa “omogeneità” (FARRIS 1968, p. 267), dunque, li contraddistinguerebbe come conventuali. Si può ben capire, tuttavia, come in questo caso si tratti di un uso banale o alquanto generico del termine, del tutto ininfluente comunque a caratterizzare tali recipienti sotto nessun punto di vista. Se intendiamo invece riferirci, come sembrano suggerire Soave e Siviero, alla committenza (cioè recipienti appositamente prodotti per un monastero: SOAVE, SIVIERO 1982, p. 115), allora bisogna rilevare come questo fenomeno non sia estraneo agli ambienti laici e viceversa come non sia sempre documentabile in quelli ecclesiastici (ad esempio nel caso, non infrequente, di quegli oggetti privi di particolari contrassegni di possesso o di appartenenza, come sigle o stemmi: vd. infra). Un terzo utilizzo si riferisce invece ad una specifica classe di prodotti. È un uso ripreso da Tiziano Mannoni (1975, tipi 71-72, pp. 96-97) per una categoria di graffite, in precedenza chiamate pavesi (MANNONI 1968) che, per le loro particolarità decorative (ancora una volta la maggioranza dei soggetti è di carattere religioso), e, naturalmente, una consistente diffusione (proprio
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per quei motivi) in ambito monastico, sono state ribattezzate con questo termine. Qui, tuttavia, non è richiamabile neppure una unitarietà di provenienza o di distribuzione, né una omogeneità stilistica dei pezzi: si tratta infatti di una classe prodotta e diffusa ampiamente a Pavia (Torre Civica, pp. 185-188) e più in generale in Lombardia (ibid. p. 188) e Liguria (MANNONI 1975, pp. 96-97; S. Silvestro, pp. 53-54; CARDINI, BENENTE 1994), dove non si è certi se debba essere considerata solo importata. Non vi è dubbio, dunque, che la categoria “ceramica conventuale”, in qualunque accezione la si consideri, non definisca in maniera univoca una omogenea categoria di prodotti: dunque ci pare di scarso utilizzo, neppure nella forma cristallizzata a definire una classe molto specifica di ceramiche, come quella delle graffite pavesi. Vediamo, allora, se può essere più costruttivo tentare di seguire i percorsi che nel tempo hanno caratterizzato gli approvvigionamenti monastici: forse perderemmo un termine al quale eravamo affezionati, ma avremmo cercato di ricomporre un fenomeno tutt’altro che semplice e lineare. Le caratteristiche dei cenobi, è ovvio, impongono modelli di approvvigionamento diversificati rispetto ai contesti laici; non fosse altro che per il numero, nel momento in cui si passa dall’uso diffuso di recipienti individuali in legno a quelli in ceramica, la quantità degli acquisti dovette risultare, abbastanza presto, elevata. Ma quando questo avvenne, non siamo in grado di determinarlo ancora con precisione. Verso la metà del XIV secolo, ad esempio, scodelle in ceramica sono ancora poco ricordate nei registri di acquisto di un importante convento bolognese, quello di San Domenico (mentre ancora risultano consistenti le scodelle di legno) (GELICHI 1996) e scarse sono le forme aperte nel ritrovamento del Cimitero di Faenza (LIVERANI 1960), databile verso il terzo venticinquennio del '300 e riferibile sicuramente ad una comunità monastica. Nello stesso periodo un altro convento, certo non meno votato, per la Regola, ad una vita di povertà (quello di San Francesco ad Assisi), attesta, secondo il medesimo tipo di fonti, dati certamente più confortanti in merito alla acquisizione di recipienti individuali di ceramica (BLAKE 1981, pp. 30-31). Dunque altri fattori (di natura culturale o di maggiore facilità di approvvigionamento piuttosto che di carattere religioso) dovettero guidare nelle scelte di adozione di modelli comportamentali, appannaggio preferenziale, in una fase così precoce, delle comunità laiche. Sembra tuttavia che, solo dall’ultimo quarto del XIV secolo, i recipienti individuali in ceramica fossero divenuti abbastanza diffusi anche nei conventi, come indicano tra l’altro le restituzioni del convento di S. Domenico (GELICHI 1987c). Le ceramiche rinvenute nei complessi monastici o conventuali di XIV e buona parte di XV secolo non sembrano contraddistinte da particolari scelte di carattere formale o figurativo; il consumo di prodotti rivestiti di buona qualità (invetriate, smaltate ed ingobbiate) pare attingere dunque ai mercati delle comunità laiche, con un’unica differenza che si riflette sul piano quantitativo e spesso anche su quello seriale. E ovvio: nel momento in cui si decide l’adozione di scodelle in ceramica si impongono di conseguenza acquisti su larga scala di prodotti morfologicamente e dimensionalmente molto simili. Si può parlare, in qualche caso, di commissioni? Non abbiamo gli elementi per poterlo provare e, se anche fosse, il problema ci sembra abbastanza marginale, dal momento che non incide minimamente sulle connotazioni tipologiche dei manufatti. Sarebbe interessante, invece, al di là delle tipologie acquistate, che variano a seconda delle aree geografiche e dunque dei mercati di riferimento, valutare l’aspetto dell’incidenza dei tipi e della loro serialità, confron-
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tando serie cronologicamente omogenee di restituzioni conventuali. Gli archeologi (MANNONI 1975) sono in accordo nell’indicare nella seconda metà del XV secolo l’origine di quelle graffite a punta pavesi, che prendono il nome di graffite conventuali: serialità di prodotti, austerità e semplicità di decori, talora connotati anche in senso religioso, sono gli elementi che sembrano indicare una specifica utenza. Abbiamo già criticato di questo fenomeno una lettura eccessivamente restrittiva; ma è certo che si affaccia, con queste ceramiche, un gusto nuovo, che interagisce principalmente con le esigenze delle comunità religiose. Qualche anno prima, tuttavia, avevamo assistito già a precoci esempi di segni di proprietà incisi a cotto sotto il piede e partite omogenee di recipienti con la sigla del convento di appartenenza: ci riferiamo ai corredi del monastero di S. Marta a Siena, dove le ceramiche con queste caratteristiche compaiono già verso la prima metà del XV secolo (FRANCOVICH 1982, pp. 276322, passim). Ma non è forse un caso che si tratti di un monastero femminile. Da questo momento in poi cominciano a diventare sempre più frequenti non solo recipienti con simboli religiosi ed emblemi del convento di appartenenza, ma anche prodotti con sigle di proprietà, stemmi familiari, in numerosi casi anche nomi per esteso. La diffusione di prodotti personalizzati, e dunque certamente commissionati, non elimina approvvigionamenti, per così dire, più anonimi, che vengono però, anche loro, marcati o siglati (come indicano ad esempio le numerose sigle di proprietà incise a cotto su recipienti generici tra tardo XVI e XVII secolo alla Crypta Balbi a Roma: Crypta Balbi 1984; ABELA 1994 e 1997, per ceramiche da conventi pisani e lucchesi; MAZZUCATO 1965; SOAVE, SIVIERO 1992; BANZATO, MUNARINI 1995, per il grande servito conventuale conservato al Museo Civico di Padova). Questo fenomeno va tuttavia meglio analizzato, ma non nel senso di dovervi necessariamente individuare o riconoscere, come è anche lecito, il frutto di profondi mutamenti ideologici e religiosi che si riflettono anche su più marginali aspetti della “cultura materiale” del tempo. Dunque non è solo l’eventuale “conventualità” di certe ceramiche che deve interessarci, quanto piuttosto capire se esistono meccanismi diversificati nella formazione dei corredi delle comunità: e il primo banale confronto dovrà essere istituito tra quelle maschili e femminili. Ci si accorgerà allora come forse il fenomeno prenda strade diverse, perché anche connesso anche con i processi più laici dei meccanismi dotali. Ma di questo problema parleremo in un prossimo capitolo (par. 3.3).
3.2. Monasteri, “cultura materiale” e fonti scritte (M.L.) 3.2.1. I corredi dotali nei monasteri femminili tra XVI e XVII secolo Una delle basi fondamentali della vita economica del monastero e del suo rapporto con la comunità era rappresentato dall'istituto dotale, cioè dal versamento in denaro o in beni equivalenti che la famiglia o altri privati dovevano al convento al fine di coprire le spese per la sussistenza della novizia e futura monaca. Si trattava di un costo decisamente modesto, che rappresentava solo una frazione rispetto a quanto richiesto per un matrimonio, ragione per cui divenne una scelta conveniente, e convenzionale, per i padri che non intendevano accettare di frazionare il patrimonio familiare con lo sposalizio delle figlie (ZARRI 1986). La perversità di questo meccanismo venne riconosciuta a più riprese dalle stesse autorità religiose ed andò estremizzandosi nei
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suoi aspetti umani tra tardo Medioevo e Cinquecento, quando l’inserimento nei conventi era naturale anche per bambine al seguito di parenti adulte già monacate. Le doti contemplavano emolumenti di varia natura per il mantenimento della donna che andava monaca ed in aggiunta al denaro era previsto il corredo di “mobili” forniti dalla famiglia, che poteva variare in maniera consistente nelle sue dimensioni. Nel corso del XVI secolo, anche per effetto della ristrutturazione economica conseguente alle norme tridentine contro la mendicità delle suore e la volontà di rendere autosufficienti economicamente i monasteri, le quote dotali subirono un accrescimento notevole, tale da rendere problematico l’accesso alla vita monastica per chi non avesse redditi cospicui. In alcuni dei monasteri bolognesi, a partire dalla metà del Cinquecento, le doti salgono dalle cinquecento/mille libre alle quattromila/seimila libre alla metà del Seicento1. Le donne accolte nei conventi con vari gradi di inserimento provenivano da famiglie di estrazione sociale diversa, ma in quelli urbani di maggior prestigio si inserivano in genere ai livelli più alti le famiglie di maggior ricchezza, con una disponibilità economica che si rifletteva spesso nella quantità impressionante degli “apparati” che comprendevano quanto poteva loro servire nella vita quotidiana, spesso sfarzosa. Sebbene, sotto l’influsso tridentino, le prescrizioni del tardo Cinquecento prevedessero un numero veramente minimo di oggetti, con attenzione quasi esclusiva a biancheria e indumenti per motivi di igiene, e tutto ciò che ne esulava - denaro, regali e frutti del lavoro - fosse posto in comune, con l’eccezione delle “cose necessarie per la cella” (Vedi Allegato I, doc. 1), la realtà che trapela dalle liste dotali è spesso di tutt’altro tenore. Anche se l’espressione “cose necessarie” resta abbastanza vaga, le infrazioni sono chiaramente consistenti e capillari. Questa definizione contempla, oltre a quadri ed altri oggetti di devozione, mobilio ed attrezzature per attività lavorative, in particolare tessuti ed il necessario per il cucito che risulta essere un’attività estremamente comune tra le monache. Tutt’altro che essenziali, invece, sono gli abiti raffinati ed i gioielli di varia foggia, le posate in metalli nobili e persino alcune “stravaganze”, forse non innocenti (Figg. 45, 52). Difficile valutare, comunque, il valore reale degli elenchi dotali, ed in particolare di quelli numerosissimi della prima metà del XVII secolo, quali fonti per una comprensione complessiva di questi patrimoni in quanto sembrano mancare rilevamenti generalizzati delle proprietà delle suore all’interno dei conventi, seppure con alcune interessanti eccezioni. Quando, per esempio, in uno dei pochi consuntivi complessivi all’interno delle comunità monastiche, si censiscono nel 1570 i beni di tutte le monache del convento dedicato ai S.S. Ludovico ed Alessio di Bologna2, le quali rinunciano alla proprietà dei medesimi ma ne richiedono l’uso per le loro necessità, appare evidente come i materiali che esse detengono consistano prevalentemente nello stretto indispensabile per vivere in modo decoroso, salvo i pochi casi di manifesta ricchezza. Esse dispongono tutte di abbigliamento, biancheria, mobilio, pentolame metallico per cuocere il cibo e per lavarsi i panni, lucerne, rosari e libri sacri, solo raramente quadri o oggetti di pregio, mentre mai sono anno1
Si veda per esempio Archivio di Stato di Bologna (d’ora in avanti citato A.S.B.), Demaniale, 63/3069 Gesù e Maria; 55/5645 S. Agnese; 28/3270 SS. Leonardo e Orsola; 27/ 3176, 28/3177 S. Vitale. 2 A.S.B., Demaniale, 31/3368, SS. Ludovico e Alessio. Rinunzie delle Monache A. 1570.
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tati pezzi del servizio da tavola o da cucina. Si tratta di una situazione che sembra concordare solo parzialmente con altri casi documentati - che non contemplano, però, mai letture così estese dei patrimoni - in particolare riguardo alla povertà, o alla scarsa considerazione, attribuita alla servizio da tavola. Si tratta di un dato da attribuire probabilmente alla precocità della fonte vista in precedenza, redatta negli anni di immediato impulso conciliare, e neppure sono da ignorare le differenziazioni esistenti tra i vari conventi, che attirano donne appartenenti a fasce di censo molto diverso. Nella seconda metà del Seicento anche le suore del Corpus Domini di Bologna, clarisse, sembrano presentare una economia interna ridotta al minimo, con debiti contratti solo col battirame, il lanternaro, il calderaro ed il fornaciaio da olle3, per restare ad alcune delle spese non alimentari, facendo trapelare una immagine di essenzialità probabilmente falsata dai metodi di acquisizione di alcuni materiali, inclusa la ceramica. Nello stesso periodo, però, il Priore delle Domenicane di Bologna redarguisce le suore dell’ordine che hanno disperso una parte - che si direbbe consistente - delle maioliche del convento facendone prestito al di fuori e le diffida da acquisirne ulteriormente, ingiungendo loro di sistemare il peltro che già detengono e, se necessario, integrarne il numero con i proventi delle doti4 . Il consumo di peltro, in effetti, è documentato con continuità nei corredi monastici anche maschili (SERVADEI 1995, p. 53) ed all’interno dei beni dotali nei dati d’archivio da noi reperiti a partire dal Cinquecento e sebbene appaia del tutto improprio riconoscerne nell’uso un significato precisamente monastico, ma bensì il riflesso di un impiego generalizzato in ogni strato sociale, possiamo rilevare come venisse comunque segnalato a volte quale soluzione più consona nella sua modestia rispetto alla dispendiosa maiolica. Si tratta di oggetti che venivano rifusi con frequenza quando erano giunti ad un deterioramento eccessivo, ragione per la quale sono totalmente assenti nei rinvenimenti archeologici, ma attestati da altre fonti, come la pittura, già dal XIV secolo5 . Una memoria conservata tra le carte di S. Omobono, relativa alle spese di un convento maschile nel secondo decennio del Settecento, riporta per quei pochi anni più notizie di rifusioni, anche “in forma moderna”, di pezzi decorati con lo stemma del monastero ed il “millesimo”, mentre si procede a nuove acquisizioni in metallo e ceramica (Vedi Allegato I, doc. 4). Si tratta comunque di un panorama caratterizzato da profonde differenziazioni, assolutamente non omogeneizzabile in una lettura che veda i consumi frutto di regole univoche, sebbene nel XVII secolo l’amministrazione di queste comunità preveda in genere una supervisione alla spesa da parte dei “sindaci” o di preposti, cioè di amministratori professionisti. Dall’inventario datato 1630 della “procurarla” di S. Agostino di Bologna, che fornisce uno spaccato estremamente significativo di quelle che dovevano essere le dotazioni di un convento (Vedi Allegato I, doc. 2), possiamo desumere che, nel caso specifico, il servizio da tavola fosse composto in prevalenza da ceramiche, alcune delle quali con impressi simboli del convento o le sigle di alcune suore, frutto evidentemente di doti. Vi compaiono oltre un migliaio di pezzi, che si possono ritenere in prevalenza ingobbiati, in minor numero smaltati, e sono quasi tutti riconducibili alla dote di alcune suore,
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A.S.B., Demaniale, 142/1267 Corpus Domini. A.S.B., Demaniale, 45/2019 S. Pietro, mazzo 14. 5 Si veda per esempio l’affresco trecentesco di Pomposa raffigurante le nozze di Cana, in DI FRANCESCO s.d. 4
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che ben difficilmente avrebbero potuto utilizzarli tutti per sé. La stessa Suor Maria Floridia Gessi, poi, responsabile per le spese del convento, in un nuovo armadio fa porre oggetti eterogenei, da cucina e da mensa, tra i quali alcune scodelle di Suor Apollonia, rifatte a sue spese. Anche ammettendo l’ipotesi che possa, in quest’ultimo caso, trattarsi di peltro, la fonte apre una serie di questioni sui sistemi di approvvigionamento di mense e cucine conventuali. Se la nostra lettura non risulta fuorviante, ci sembra possibile ritenere che un gran numero di oggetti siano stati ceduti al monastero da alcune suore come parte integrante del servito monastico, pezzi contraddistinti dalle sigle personali. Sebbene si tratti di un confronto solo in parte pertinente, si tenga presente che per alcune proprietà, incluse le celle, poteva esserne contemplata la realizzazione a comodo di alcune monache a patto che dopo la loro morte passassero al convento (EVANGELISTI 1995). Non a caso tra gli inventari di S. Maria Maddalena di Ferrara (Vd. Allegato II, doc. 1.) si ricordano con precisione alcuni recipienti, nella grande quantità di materiali presenti, come provenienti dalle doti di suore morte. D’altro lato si tratta solo di dei canali di acquisizione riguardo alla formazione dei servizi monastici, tutt’altro che una prassi che accomuna tutti i monasteri femminili. Gran parte delle fonti indica invece come la presenza del singolo possa essere ben meno influente nella formazione dei contesti - per la presenza di peltro, per esempio - o modesta, con materiali dotali siglati ma in numero adeguato alla singola monaca.
Allegato I. Le fonti bolognesi (M.L.) I monasteri femminili bolognesi hanno rappresentato, fino agli anni della devoluzione napoleonica, una realtà di tutto rispetto, non solo nell’ambito della religiosità cittadina, ma anche della proprietà immobiliare urbana, al punto che prima della loro scomparsa i loro stabilimenti includevano un sesto del terreno compreso dalle mura dell’ultima cerchia, la metà del quale spettava alle monache di clausura (ZARRI 1973, p. 145). Si tratta di una estensione enorme, motivata dallo sviluppo che fece confluire all’interno della religiosità femminile spinte di diversa natura, che andavano dalla fede spontanea alla monacazione forzata in età moderna, senza escludere la frequente funzione di ammortizzatore socio-economico svolto da queste istituzioni in particolari momenti di crisi (ZARRI 1973). Se le dimensioni sociali del fenomeno sono state alla base di una recente serie di studi esaustivi sull’argomento, la chiara coscienza del retrostante contesto fu all’origine dei numerosi interventi sul problema della riforma dei monasteri svoltosi attorno alla metà del '500, con testimonianze di particolare valore. Un dato di fatto, almeno in base ai dati acquisiti, sembra costituito dalla frequenza inconsueta con la quale si compilavano nei monasteri cittadini gli elenchi dotali, indice di un controllo costante sulle proprietà personali, che risultavano comunque mediamente poco consone ad una religiosa. Si tratta di uno degli aspetti della preoccupazione censoria che pervade tutta una serie di iniziative, a partire dalla compilazione degli “Abusi delle Suore” in età conciliare fino a diluirsi nella critica spicciola di atteggiamenti e malcostume, in grado di fornire, però, una serie consistente di dati sulla cultura materiale monastica dei secoli pre-napoleonici (ZARRI 1986). Per altro, Bologna è tra le città ove si sviluppa con precocità il dibattito sul problema della segregazione forzata imposta ad una quota consistente di donne per pure ragioni economiche. L’analisi che Giovanni Boccadiferro fa della situazione nel 1550, caldeggiando un mantenimento dell’ordinamento vigente nei conventi, definiti «ridotto di quelle che maritar non puonsi», contro la clausura annunciata, è certamente ben lontana da ogni sensibilità religiosa (ibid., p. 361), ma preoccupata unicamente per la funzione sociale svolta da queste istituzioni. Si tratta di un approccio disincantato, ma prag-
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matico, ove l’autore concepisce plausibile una vita monastica improntata al minimo di sofferenza possibile. Non a caso, in questo periodo, le cronache bolognesi sulla vita delle monache si riempiono di avvenimenti tanto barocchi quanto stravaganti. Guardare un uomo sulla soglia del convento poteva costare ad una monaca un furioso mal di denti, mentre si lasciava tranquillamente un cesto di burro senza controllo per correre alla funzione, guardato a vista da un gatto disinteressatol. Si poteva morire di polmonite perché non ci si copriva volontariamente a sufficienza ed a volte i cani ululavano nell’occasione per misterioso istinto. Se la funzione agiografica di questi scritti è certamente palese e neppure originale, essa tradisce comunque un chiaro intento didascalico rispetto alle prescrizioni conciliari e trapela dalle parole un affanno pedagogico verso un soprannaturale immediato ed inevitabile, che si inquadra pienamente con la nuova impostazione teologica.
I, 1) A.A.B., Miscellanee Vecchie, 807, f. 19 Modo di viver a Comune per le Monache Della conceptione Per levar alle monache il sospetto, che la Priora non sia partiale Che tutti i denari se pongano in una Cassa con tre chiavi, una ne tenga la madre Vicaria, e due discrete ellette dalle monache ne tengano una per ciacheduna, e la cassa stia presso la madre Priora. Per assicurarle che ugualmente, e con ordine sarà provisto a tutte, senza accettatione di persona Quando bisognerà spendere, o per il Monasterio, o per Monaca particolare, non spenda la Priora se non con conseglio delle sodette. e in compagnia loro pigliando denari di cassa, farà apparire al Libro della Camerlinga elletta dalle Monache , et in detto libro se scriveranno tutti i denari che si peneranno in cassa. Perché pari, e discrete siano le fatiche, come le provisioni, e distributioni Tutte le Monache per la sua portata, e con discretione lavoraranno in comune, secondo le sarà ministrato dalla Maestra di Lavoro, quale alla porta piglierà, e restituirài lavorieri, e il guadagno ponerà in cassa con presenza delle deputate, e ricordo come di sopra. Perché a’ nausa, e mal stomaco non le sia l’haver, e portar panni l’una dell’altra, e per permetterle tenghino a suo uso quella necessità, che vuole il Concilio di Trento A ciascheduna Monacha se permetterà che tenghi a’ suo uso presso 1 Breve descrittione della virtù di molte religiose Madri del Monastero di S. Maria Nuova di Bologna, dell’ordine dei predicatori, Bologna 1645.
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di se’ le infrascritte cose, rinovandole quando sarano consumnate, o non più buone Lenzuola para 2 Camise n° 5 Acconci di Capo, n° 5 Veli neri n° 2 Veli bianchi da spalle n° 5 Grembiali, n° 5 Facioletti, n° 5 Panicelli, n° 4 Mute per il dosso di lana, e saglia n° 2 Con le cose necessarie per la Cella Per levarle la proprietà, e solecitudine delle cose, e disegno di tornar al vivere conventuale Tutti gli altri panni di lino, e di lana saranno posti presso le vestiarie ellette dalle monache, che n’abbino buona cura, e le tenghino nette, e rassettate, e secondo i bisogni siano dispensati e distribuiti dalla Priora in compagnia della Vicaria, e discrete Perchè meglio poste danno la libertà del spirito, e che ogni cosa sia comune a’ bisogni di chi occorrerà. L'altre cose superflue, et entrate, acquisti, e limosine saranno poste a comune utilitade, provedendo il Monasterio al vivere, e vestire de tutte, con ogni caritade, discretione, e pace.
I, 2) A.S.B., Demaniale, 41/4884 convento di S. Agostino Lista di tutto quello che si trova nella procuraria di S.to Agostino del 1630 piatti di terra bianchi n° 60 piatti di terra lavorati n° 96 piatti di terra con il nome di s. Paula n° 88 piatti agiuri picolli di s. Apolonia n° 80 scodelle agiure picole di s. Apolonia n° 64 scodelle agiure più grandi di s. Apolonia n° 66 piateline agiure di s. Apolonia n° 100 piateline agiure e bianche della m. s. Beatrice n° 120 piateline che parano di porcelana con il piedi n° 95 piatti picoli novi di s. Biancha n° 100 scodelle da guazette nove di s. Biancha n° 100 piateline picole nove di s. Biancha n° 100 piateline di maiolicha di s. Biancha n° 100 piateline da insalata nove di s. Ponpiglia n° 90 scodelle vechie da guazette n° 80 uno armario pieno di robe di più sorte mastelle 3 adoprate ed 2 nove 4 cadine grande et 3 picole 6 cadini di terra picoli ed una taza di maiolicha
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nel armario novo fora fatto da me S. Maria Florida scodelle di varii colori con le orechie piatti picoli suoi compagni piatti grandi da tavola ogni cosa compagni piateline da insalata suoi compagni piateline da carne dala medesima fatta piateline ordinarie ogni cosa compagni una mescola di ottone granda 2 mescole di ottone picole 1 mescoline di ottone più picole 1 mescola forata granda di ottone da sciumare
n° n° n° n° n° n° n° n° n° n°
80 80 80 80 80 80 1 2 1 1
Segita (sic!) le robe che sone nel armario di fori mescole nove tra grande e picole n° 16 cuciari picoli di legne n° 100 cuciari grandi di legne n° 6 una padella nova, un cadino picolo di rame n° 1 5 mastelle 2 picole e 3 grande n° 5 una batela nova picola n° 1 due busele una da pevaro et una da canella fatto di novo la scaffa, un mortale, teglie da ove n° 80 fatto di novo il bancono ove si minestra fatto lusio che va in refetorio, un salarolo novo fatte tutte le fenestre nove cioè quella del pozo et quella sotto la fugha refatto le scodelle di suor Apolonia a mia spesa fatto 70 piateline di peltere con S. Agostine refatto di nove 3 cardaroni, fatte due caldarine nove tutte robe fatte da me suor Maria Florida Gessi il rame che si ritrova in procuraria 2 caldare dala carne con i suoi coperti 2 cadini grandi stagnati 2 cadini picoli stagnati per cavare la carne 2 cadini grandi distagnati 4 calceldri 2 grande et 2 picoli 2 cadini picoli distagnati 3 caldaroni e un picolo che fano otti con li 3 sopra detti 9 caldarine tra grandi e picole 4 basic da portare in tavola 2 teglie da torte bianche grande 2 teglie da torte bianche picole 2 teglie da guazette grande seguita 2 giottele da roste grande 6 rolle da torte 5 grande et una picola 7 padelle 3 grande et 4 picola 5 para di moglie 3 grande et due picole 6 tripiedi 2 grandi et 4 picoli 2 pistadure una granda ed una picola 7 mescole da padella tutte nove 6 mescole forate 2 mescole di ottone grande 4 mescole picole di ottone 3 paroli grandi 4 mescole da ollio 4 gratuse due grande et due picole
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6 spedi grandi et 3 picoli una forsina da parcotto 4 spediere 3 grande et una picola 6 cortelli da partire et una forsina 2 gradelle una granda et una piccola 1 tripiedi da fare il grasso 1 ramine, una stadiera 2 sedazi una da farina un da culare il grasso 2 valitti da pesse un nove et un vechio 2 vaselli un dala saba et uno dal agresto 2 corchi da scodelle 1 mescola forata granda di ottone
I, 3) A.S.B., Demaniale, 41/4884, convento di S. Agostino Adi 17 di ottobre del 1627 Inventario delle robe che si sono trovate nella cella di suor (spazio bianco) In prima una ancona con una Nostra Dona con il Sig.re in brazio e una ancona con una Nonziata un S.to Carlo una S.ta Caterina da Siena Un Christo Crucifiso Un par di angeleti Un palio di borchadelo——————ogni cosa in capitolo Una letiera di noce Uno paliarizo Uno leto di pena di ocha dui tamarazi di lana una coperta da inverno dui pani da inverno con un paramento di filendente [...] un chiopia di cusini di lana (si sono donati a Nicola) un paramento biancho con 3 coperti i paramenti con li coperti ogni cosa amezato comicia (sic!) la succe un par di chase con una pichola un quadreto di noce uno par di banzole con la poggia solo una: l’altra si è donata a suor Nicola uno senza poggia un tripiedi di nuce e un scaldino da piedi si comincia la biancharia lenzoli n° 4 le camise n° 19 facioleti n° 12 due paniceli tovalioli novi n° 12 tovalioli amezati n° 10 (si sono dati all offici) bavaroli n° 7 con un copertine grembiali n° 4 veliceli n° 6 tonache straciate n° 3, due mezi paniceli tonacha bona n° 1 con la pacencia un patino di pano biancho una rassa biancha tre pacienze n° 3 (date sgorare i candelieri)
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pano bianche braza n° 1 e mezo, cioè di orlina un mantelo nero una chiopa di breviari per tutto l’ano un santtuario, un libro dei sermoni del padre S.to Agostino, un libro delle Vergine una scelta di orationi tre candelier di ottone una tazza vechia un bacilo di maiolicha (ogni cosa in convento) un cusino di ganzante una stravaganza di maioliche di Urbino un anelo di oro un anelo di oro verdo la preda Stimato ogni cosa sono L. 207
I, 4) A.S.B., Demaniale 93/6752, S. Omobono. Memorie (Luglio 1711)
[...] Si sono rifatti i peltri di cucina col peltro vecchio di casa e per farne di nuovi si è comperata la verga e peltro e si sono fatti n 6 tondi, n 14 pietanze, n 16 piatanzine, e n 16 scudellini novi (Novembre 1711) [...] Si è andato repplicatamente ad incontrare con carrozze il R.mo Nro venuto qui di governo, e si sono provveduti piatti, e tondini di maiolica, bicchieri, caraffine ed’altro (Febbraio 1714) [...] Si sono provveduti piatti e tondi di maiolica, caraffine, bicchieri, catini di maiolica per lavar le mani, [...] (Marzo 1716) [...] Si sono fatti n 22 tondini nuovi di peltro a servizio del refettorio con l’arma del monastero. Se ne sono fatti altri n. 10 più grandi a servizio della tavola del P. Rev.mo. Si sono comprati n 40 tondini di maiolica fina; n. 4 cattini da mano simili, oltre molte brocche da acqua, e tondini di meza maiolica l’une e l’altri; pestoni di vetro, bicchieri, mastelli, urinarii di vetro e molte altre cose [...] (Ottobre 1716) Si comprarono n 12 tondini di maiolica bianca fina, ed una scutella simile per la tavola del P. Abate (Dicembre 1716) Si provviddero due sottocoppe grandi di maiolica fine bianca, una caffetiera con molte chiccare e tondini, ed altri tondini grandi per il zuccaro, tovagliolo ed’altro, tutto di maiolica di Savona per il P. Abate. (Aprile 1719) Si sono disfatti li 12 piatti grandi di peltro antichi, e con gionta di 1 20 di stagno fino se ne sono fatti n. 12 in forma moderna della stessa grandezza, e gli si è fatta intagliare l’arma del mon.ro col millesimo. I, 5) A.S.B., Deman iale, 127/3133, mon astero d i Gesù e Maria Probabilmente databile alla I metà del XVII secolo lesù -! - Maria Lista delle robbe che à portate dal seculo suor Maria Apolonia Nobili di S (spazio bianco) una coperta da state biancha lenzoli n° 9 camise use n° 18
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tovaglioli n° 22 grimbiali n° 19 camise nove parte cucite e parte da cucire n° 17 petenatori n° 2 novi e uno uso che sono n° 3 calcetti para n° 14 nove e para n° 6 usi che sono n° 20 panicelli n° 7 fatioletti n° 15 bavari n° 25 parte novi e’ parti usi che sono n° 25 bende parte nove e parte use n° 30 endime para n° 2 buratioli n° 4 cosali para n° 1 busti n° 2 una camisola agochia vecchia un drappo di filatine sotile tela nova di lino sotile per fare fatioletti braccia n° 17 filatine sotile braccia n° 6 e mezzo Panni di dosso una vesta leonata di lustro ordito di bavella e tesuta di stame con le sue maniche un vestito a busto basso di bufiro morello con due para di maniche un paro di maniche di teletta di seta un vestito a busto basso di canovetto giallo trinzato guarnito con argento una rubba di raso bianco trinzato un vestito vecchio a busto basso di teletta di seta giallo e morello una rubba di canevetto persichino trinzato guarnita di seta un gippone con le maniche guarnito con cordelina d’oro una rubba di damasco nero una sotana di teletta nera una rubba di frisa nera dal pelo longo con maniche alla ducale una rubba di rasa fina morella un vestito a busto basso di panno morello con maniche una rubba di teletta alleonata ordita di filo e tesuta stame due manti uno di tafetà e uno di velo dui para di calcette un paro di seta e l’altro di bavella una coperta di damasco morello antico due manicie vecchie una di zebelino e l’altra di lupo cervero un paro di maniche —————————————— un cochiaro et un (sic!) d’argento due rosarii et una corona segnati d’argento una busula da pevare d’allabastro un reliquiario d’avorio una corona di cristallo azuro una colana di iavazzi neri segnata di perle una verspara di rosette e perle due croce d’argento due anelli d’argento uno di quali dorato due anconine d’argento un reliquiario di S.to Ignatio legato in argento et nero —————————————— un quadretto della B.V con altri S.ti —————————————— gomiselli di varie sorte ll. 6 e mezo stoppa di garzole filata ll. 6 e mezo lino vernito disfilato ll. 9 e mezo garzole petinato disfilato ll. 25 lino stiolo solamente spadolato ll. 5
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casse di noce n° 3 due banzole quattro scranne un petine e 2 pettille da lino peltro pezzi n° 22 pesa ll. 23 1/2 in circa un frescatoglio in rame ll. 16 un catino d’ottone ll. 8 un culcedro con la mescola ll. 20 una caldarina grande et una picola ll. 7 dui bigonzi et una salvaina dui cenerandoli una tovaglia di filindente tovagliole n° 15 tovaglioli alla levantina n° 14 tovaglioli a spina pesse n° 10 burazzi novi n° 15 burazzi usi n° 6 coperte da state n° 3 bavella ll. 3 1/2 una cariega nova di corame dui setazzi un valetto di corame et uno di ferro sache n° 6 sachitti n° 5 una batola una manara et due biette di ferro un martello et un paro di tanaglie un ferro da potar le cede una ola da bucata una ola per l’oglio catine di terra n° 3 candelieri d’ottone n° 4 mocolatori n° 4 due d’ottone e due di ferro —————————————— denaro in contanti L. 677 crediti e prima per due instrumenti L. 700 per un scritto L. 80 Dal Sig.r Cristofaro L. 46 Da Girolamo L. 30 (soma L. 856) I, 6) A.S.B., Deman iale, 127/3133, mon astero d i Gesù e Maria Probabilmente databile alla I metà del XVII secolo Lista della biancheria di s. Maria Colomba da secolare camiscie n° 1 grembiali n° 2 panicelli n° 2 faccioletti 2 endime calcette a gochia di bambace para n° (spazio bianco) calcette di filo para n° 1 calcette para n° 12 baranzoli da volto n° 2 una immagine della B. V da S. Luca ligata in argento L 20 tovaglioli n° 6 una cassa di noce Per il presente solito vetri per n° 12 finestre L 48
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Allegato II. Le fonti ferraresi (A.F.) Cenni sulla cultura materiale dei monasteri femminili ferraresi Nei secoli XVI-XVII non esistevano nel Ferrarese comunità religiose femminili al di fuori della città, neppure nei centri maggiori e in quelli confrontabili con Finale Emilia. Ciò derivava da una serie di cause, tra le quali è opportuno ai nostri fini evidenziare le seguenti: innanzitutto il monastero femminile era un’istituzione urbana, in quanto, nel periodo considerato, esso aveva la finalità di assorbire il surplus di donne che non potevano accedere al mercato matrimoniale perché le loro famiglie non erano in grado di fornire loro una dote adeguata al proprio ceto. Ciò fece sì che fin dalle proprie origini tali istituti fossero in stretta relazione con i gruppi sociali più elevati, che contribuivano in maniera determinante, sotto il profilo economico, al loro mantenimento. Di conseguenza in luoghi ove simili gruppi erano assenti, come appunto nel Ferrarese, venivano a mancare i presupposti per la nascita dei conventi femminili. La riprova di tutto ciò, nel caso specifico del nostro territorio, è fornita dallo scarso numero di comunità maschili, che per vari aspetti richiedevano per sorgere le stesse condizioni di quelli femminili: i pochi esistenti si trovavano quasi tutti in centri esterni alla diocesi cittadina (come ad esempio Argenta, Cento, Portomaggiore) e che godevano di una relativa maggior prosperità rispetto al territorio circostante proprio perché orbitanti, in certa misura, su altre aree. Infatti anche per questi modesti cenobi, per lo più appartenenti ai cosiddetti ordini mendicanti (agostiniani, carmelitani, domenicani, francescani), l’esistenza non era facile: dovevano mantenersi in buona parte con le elemosine dei fedeli e le questue e perciò, stanti la depressione economica e lo scarso popolamento di vaste aree circostanti, il Ferrarese non poteva accoglierne più di un certo numero. Emblematiche di questa situazione sono le vicende del convento francescano di Portomaggiore, fondato nel 1582-83 e faticosamente consolidatosi nei decenni successivi e la stentatissima esistenza (sebbene non legata soltanto a motivi economici) dei carmelitani insediatisi a Bondeno nel 16941. Un simile contesto era ancor più sfavorevole per le monache, in quanto per entrare in convento era necessaria non solo una dote, ma soprattutto un vitalizio, che di solito era costituito dalle rendite di proprietà immobiliari2 . In altre parole occorreva che le famiglie delle aspiranti religiose fossero in grado di privarsi di una parte, non del tutto trascurabile, del loro patrimonio. Che ciò non fosse alla portata né di tutte le singole famiglie né di intere comunità è dimostrato dal caso della città di Comacchio, che nonostante i reiterati tentativi, non riuscì mai a fondare un convento femminile, sebbene si fosse rivolta a uno degli ordini più austeri, quello delle carmelitane riformate scalze, «qual religione si stima proporcionata al vivere di detta città, solita al cibo di pesci»3. Invece a quella che secondo i più recenti criteri storiografici potremmo definire la non-città di Argenta occorsero quasi due secoli per coronare i propri sforzi: «Sino dal 1590 gli argentani avevano mostrato desiderare la erezione di un convento di monache, per cui alcuni legati furono in appresso fatti da varie persone. Fu cominciato sul principiare del secolo XVII il convento, che dall’annessavi chiesa fu detto di S. Catarina Martire. Siccome però nel 1656 l’amministrazione dei legati fu spogliata, per ragioni di fidecommesso, de’ beni lasciati da un individuo della famiglia Bevilacqua che ne costituivano la miglior par-
Abbreviazioni (???) = indica una o più parole non decifrate (?) = segue a parola d’incerta lettura 1
F AORO 1994 e 1996. Doc. 3 : «e il livello conforme alla sua possibilità» 3 PALIOTTO 1993 p. 129. 2
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te, così non si poté più oltre continuare la fabbrica, di modo che nel 1690 il cardinale Altieri, arcivescovo di Ravenna, la incorporò negli effetti della mensa, riducendola a granai dopo di averne fatte atterrare le celle. Ciò spiacque agli argentani, ma per allora fu sospesa ogni ulterior opera. Soltanto nel 1742 ricorsero a monsignor Guiccioli, amministratore della chiesa ravennate, onde riassumere l’affare. Finalmente nel 1773, con beneplacito apostolico e sotto l’arcivescovado di monsignor Antonio Cantoni, essendosi già nuovamente adattata quella fabbrica, vi si radunarono sotto il titolo suddetto di S. Catarina le oblate salesiane, che professarono poi con atto legale di Francesco Diotti nel dì 8 decembre 1775»4. Quando passiamo a osservare i numerosi monasteri femminili ( a fine Settecento erano una ventina) all’interno delle mura di Ferrara, scorgiamo subito le loro profonde differenze, legate non soltanto alle varie regole seguite. In effetti non solo i diversi ordini reclutavano i loro membri per lo più in specifiche classi sociali (come ad esempio i benedettini quasi esclusivamente fra i nobili), ma per giunta la stratificazione sociale si rifletteva spesso anche fra i monasteri di uno stesso ordine. Prendiamo ad esempio quelli delle clarisse: il Corpus Domini accoglieva soltanto figlie dell’aristocrazia, S. Bernardino era meno prestigioso e S. Guglielmo aveva una connotazione decisamente borghese5. Per non parlare di S. Maria Maddalena, riservato alle prostitute che intendevano redimersi (e per questo detto delle convertite) e che dalla fondazione, nel 1537, seguì una regola propria, finché nel XVIII secolo fu incorporato nel terzo ordine regolare francescano. Infine all’interno di ogni ente vigeva la distinzione fra monache coriste, cioè dedite unicamente agli uffici divini e converse, che invece espletavano tutte le mansioni pratiche. Per quanto riguarda queste ultime incombenze, che fossero alquanto gravose (soprattutto sul piano fisico) viene dimostrato da una certa tendenza a evitarle. Così a metà Seicento una candidata per S. Guglielmo concluse un accordo con il monastero, impegnando i propri familiari a versare una somma, finché ella fosse vissuta, a favore del cenobio e ottenendo in cambio da quest’ultimo l’esenzione da «uffici ed esercizi», cioè da tutti i lavori manuali6. Ancora, nel 1756 una conversa di S. Silvestro, dopo aver sperimentato di non poter sopportare le fatiche connesse al suo status, convinse il padre a versarle un supplemento di dote che le consentisse di passare alla condizione di corista7. Non di meno, poiché la dote richiesta per le converse era di gran lunga inferiore a quella per le coriste, tale condizione, in pratica di serva, rappresentava l’unica possibilità per le meno abbienti di accedere al chiostro8. Quanto finora evidenziato si rispecchia nella cultura materiale dei conventi e quindi noi cercheremo di focalizzarne alcuni aspetti, cioè nello specifico quelli dell’organizzazione dello spazio e quelli legati al consumo del cibo, in quanto è nota la loro pregnanza di significati simbolici e sociali9. Purtroppo la scarsità dei materiali emersi dalle ricerche d’archivio non ci consente una trattazione sistematica e di con-
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CITTADELLA 1847, p. 52 nota 1. Il convento fu soppresso appena una trentina d’anni più tardi in seguito alle vicende rivoluzionarie di fine secolo e oggi non ne rimane traccia. 5 Per questi conventi si veda, con cautela, LOMBARDI 1974, vol. IV. 6 Archivio Storico Diocesano di Ferrara (d’ora in avanti ASDFe), Corporazioni Soppresse, S. Guglielmo 1/1 n. 26. 7 Archivio Storico Comunale di Ferrara (d'ora in avanti ASFe), not. Ferraguti Francesco, matr. 1618 pacco 1, 25 agosto 1756. 8 Per queste problematiche è fondamentale ZARRI 1986, ma si vedano anche ROSA 1991, specifico per il periodo di nostro interesse e SCHULTE VAN KESSEL 1995 per rimandi in generale alla situazione europea., tutti con ampia bibliografia. 9 Ad esempio per lo spazio si veda EVANGELISTI 1995 pp. 97 e 99 - 100: «Per capire bene il significato della trasmissione delle celle, che traduce in termini materiali le tante e diverse relazioni personali che si intrecciano all’interno del gruppo, è difficile prescindere dalla loro natura. Ad un’osservazione accurata, queste si caratterizzano principalmente come relazioni di potere. Le lunghe liti in cui le monache si lasciano coinvolgere consistono quindi in conflitti di potere (...) Lo spazio privato assume un forte significato simbolico. Costituisce un elemento di distinzione che rivela la ricchezza e il prestigio raggiunto da una monaca o dalla sua cerchia di amiche e alleate, ma rappresenta soprattutto la sua posizione all’interno delle relazioni di potere che attraversano il gruppo».
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seguenza dovremo limitarci ad alcuni cenni che permettano d’introdurre per sommi capi i problemi accennati10. Per quanto concerne il primo punto, è risaputo che, abbandonata l’originaria comunanza di vita, nel Rinascimento e nei secoli successivi le monache, quanto più agiate, tanto in maggior misura disponevano di appartamenti personali all’interno del cenobio e che di consueto li lasciavano in eredità a una loro consorella. Nel caso di Ferrara abbiamo rintracciato soltanto una breve serie di carte da cui traspaiono gli scontri affrontati dalla nobilissima suor Montecuccoli per detenere gli appartamenti fatti edificare da suor Eleonora d’Este (1515-1575) nel Corpus Domini e di cui ella si era insignorita11. Un’ulteriore traccia del tramontato spirito comunitario si ricava dalla lista dei beni necessari per accedere all’aristocraticissimo monastero benedettino di S. Antonio in Polesine: oltre all’intrinseca, alta qualità degli oggetti, sono le chiare indicazioni «per suo adoperare» apposte a vari di essi, a rivelarne l’uso privato e quindi anche lo stile di vita delle religiose (12). Inoltre le medesime specificazioni, i quantitativi richiesti per certi oggetti ( ad esempio «gromballi n. 24», cioè 24 grembiuli) del tutto eccedenti per una sola persona e altri accenni («mantilli per il refetorio braza n. 120», ovvero decine di metri di tovaglia) rivelano le modalità con cui il monastero si approvvigionava di alcuni generi. Preziosa in tal senso la richiesta di «dodeci piati di peltro conforme la mostra», cioè uguali a un modello evidentemente conosciuto da chi redigeva la lista e che fa pensare ai ‘servizi conventuali’ più noti nelle versioni in ceramica, formate da pezzi tutti uguali, contraddistinti da simboli religiosi e/o del convento e/o dal nome di chi li utilizzava3. Si veda a questo proposito la menzione di «piadenele dicisette tutte a un modo de una stampa de suor morte, item scudelle con l’ordello largo n. otto de suor morte», che tra l’altro ricorda la consuetudine allo “spoglio”, come veniva definito, delle religiose scomparse, cioè al passaggio obbligatorio a favore del convento di certe sostanze delle defunte14. Emergono poi tratti spesso insospettati. Non sfuggirà in effetti, scorrendo l’inventario degli «officii» (ovvero degli ambienti in qualche modo d’uso comune) di S. Maria Maddalena la netta prevalenza degli oggetti metallici per la cucina e la mensa rispetto a quelli in ceramica e ancor più a quelli in vetro. Al contrario negli scavi, com’è risaputo, si recuperano quasi soltanto i secondi, perché a differenza dei primi e dei terzi non potevano essere riciclati tramite la fusione. Tuttavia anche i manufatti ceramici, sebbene di costo infimo, venivano riutilizzati per quanto possibile, provvedendo alla loro riparazione: ne abbiamo traccia nelle carte d’archivio e nei reperti con fori eseguiti per ricomporli tramite grappe di metallo. Tramite le prime si può constatare come di frequente la riparazione costasse poco meno o uguale all’oggetto nuovo: evidentemente la facevano preferire a un nuovo acquisto sia le consuetudini di approvvigionamento accennate poco fa, sia una mentalità incline ad utilizzare l’oggetto finché esso conservava una pur minima funzionalità15. Dell’uso contemporaneo di manufatti sia in ceramica che in metallo e i relativi vantaggi e svantaggi abbiamo una vivida testimonianza attraverso una singolare vicenda accaduta nel 1698 nel monastero di S. Antonio in Polesine16. Suor Margherita Violante Botticini, che aveva avu10
Abbiamo sondato i fondi di S. Antonio in Polesine (benedettine), S. Bernardino, S. Caterina da Siena (terziarie regolari domenicane), Corpus Domini, S. Gabriele (carmelitane), S. Guglielmo, Immacolata concezione di Maria detto S. Maria di Ca’ Bianca (servite), S. Maria Maddalena. 11 ASDFe, Corporazioni Soppresse, Corpus Domini 2/24 (anni Trenta del Seicento). Si veda la nota 9. 12 Doc. 3. 13 Si osservi la contrapposizione con la voce che nell’elenco segue a quella riportata: «piati di peltro per suo adoperare (cioè per uso personale della monaca) n. 24». 14 Al riguardo segnaliamo che a favore del monastero di S. Maria Maddalena andava lo spoglio delle prostitute morte (ASFe, not. Vacchi Lorenzo matr. 1027, anni ’60 e ’70 del Seicento), ma ignoriamo se le religiose incamerassero direttamente i (di solito poveri) beni oppure il ricavato della loro vendita. 15 Doc. 2. Per i prezzi si confronti con il doc. 5. 16 Per l’intera vicenda si vedano: F. TERZI, Ferrarien. praetensi veneficii pro moniale domina Margherita Violante Botticina professa in monasterio S. Antonii Abbatis contra fiscum,
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to parecchi attriti con varie monache e quindi ottimi moventi, fu accusata di aver avvelenato tre consorelle, mettendo dell’arsenico (era figlia di un farmacista e del resto quel veleno si utilizzava abitualmente contro i topi) nelle loro lasagne. Nonostante gli indizi a carico a chi oggi rilegge lo svolgimento della vicenda paiano schiaccianti, l’istruttoria si concluse con un non luogo a procedere contro la religiosa. Ella infatti si difese sostenendo che le suore erano state vittime del fatto che la teglia di rame in cui ella aveva riscaldato le lasagne («le tramutò dal tegame di pietra in un suoletto di rame») aveva perduto la protezione interna in stagno e quindi aveva reso tossico il cibo. Per parte sua il difensore non mancò di far notare che simili vivande, in piena estate (i fatti si svolsero fra il 30 e il 31 luglio), erano state conservate dopo la cottura in due armadi, poi riscaldate e che quindi potevano con ogni verosimiglianza essersi avariate per cause naturali. Stante l’impossibilità per la scienza medica del tempo di accertare con sicurezza l’avvelenamento o meno e la probabile volontà da parte del tribunale ecclesiastico di tacitare al più presto una brutta storia che aveva fatto scandalo in città, venne accettata la tesi della padella fatale e la monaca scagionata17. Ad ogni buon conto suor Botticini venne trasferita ad altro convento, quello di S. Gabriele, dove pare non abbia perso le vecchie abitudini, poiché 27 anni più tardi venne incarcerata, questa volta a quanto sembra con prove inconfutabili, per aver avvelenato una religiosa18. Tornando problema dell’approvvigionamento, colpisce l’assenza in tutti i fondi archivistici consultati di documenti che provino l’acquisto di ceramiche, mentre al contrario gli scavi in siti conventuali ne hanno restituite numerose19. Accantonata l’ipotesi che ciò dipenda dalle modalità di formazione dei fondi stessi, cioè la mancanza in origine di ricevute di pagamento o il loro scarto, giacché nei medesimi fondi troviamo documentate spese men che infime e perché appare poco verosimile che possano essere state scartate in tutti i fondi solo le ricevute per la ceramica, bisognerà proporre una diversa soluzione. A questo riguardo potranno esserci d’aiuto alcune carte del convento maschile di S. Maria in Vado, in quanto per esso si può escludere qualsiasi eventualità di lacune documentarie o di scarto, poiché tutte le ricevute dal 1679 al 1745 ci sono giunte, conservate con cura maniacale, contraddistinte ciascuna con un numero progressivo e composte in filze sigillate, a costituire una filza per il triennio di ogni priore. Nonostante ciò, una serie così imponente (36 unità archivistiche che lo scrivente ha consultato in maniera analitica) ha restituito appena 7 attestazioni di acquisti di ceramica, comprese tra il 1688 e il 170820. Analizzando tali carte notiamo gli ampi intervalli tra un acquisto e l’altro, probabilmente perché i quantitativi erano piuttosto grandi e dunque sufficienti per lunghi periodi. In effetti dal 1685 al 1695 i frati comprarono vetri e ceramiche in media ogni tre anni, ma in seguito a un acquisto straordinario effettuato nel 1697 in occasione del capitolo generale dell’ordine tenutosi nel loro monastero, procedettero al successivo rifornimento nel 1703-1705, ovvero 6-8 anni più tardi. Per giunta anche quest’ultimo fu in un certo senso straordinario, perché limitato a pochi pezzi di «maiolica fina» fatti arrivare da Faenza e non a caso nel 1706 ebbe luogo un nuovo acquisto simile a quelli dal 1685 al 1695. Infine, a regolare distanza di tre anni, fu compiuto un analogo approvvigionamento. In secondo luogo osserviamo che le compere (che avvenivano in genere in aprile, forse per via di qualche consuetudine legata alla regola) riguardavano di norma ingenti quantitativi di oggetti di qualità corrente (ad esempio «cento tondi di meza maiolica») e manufatti di pregio in numero assai più ridotto («4 goti di christallo»): ciò suggerisce che il Roma 1698; G. SCUTELLARI, La monaca innocente. Discorso criminale in materia di supposto veneficio, Ferrara 1700; L’inganno smascherato overo sia la menzogna convinta dalla verità. Discorso medico-legale in materia di supposto veneficio del Solitario tra silvani contro La monaca innocente descritta in un suo discorso criminale dal dottore Giuseppe Scutellari ferrarese, s. n. t. 1701; N. BARUFFALDI, Annali di Ferrara, BCAFe, ms. Antonelli 594, t. I p. 229, 5 novembre 1700. 17 Per l’insufficienza della tossicologia dell’epoca si veda FAORO 1988, pp. 435 - 439.. 18 G. BARUFFALDI, Annali di Ferrara, BCAFe, ms. Antonelli 351, p. 82, 8 marzo 1725. 19 GUARNIERI, LIBRENTI 1997. 20
Doc. 5.
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convento offrisse a tutti i suoi membri una dotazione di minima, riservando però a quelli più prestigiosi (priore, vicario, anziani ecc.) un trattamento privilegiato e lasciasse a ciascuno la possibilità di procurarsi a proprie spese prodotti di alto livello21. In effetti è quanto accadeva anche con le forniture degli alimenti. Da un’inchiesta sul vitto delle monache, promossa nel 1702 dal vescovo, apprendiamo che spesso il convento passava ben poco alle sue ospiti: «la sera per cena un ovo» (S. Guglielmo), «la sera non si da mai cosa alcuna, ma tocca alle monache a ripartirsi le provvigioni» (S.Caterina da Siena)22. Quest’ultima testimonianza, proveniente da un monastero assai esclusivo, rivela perché negli archivi conventuali manchino le tracce di alimenti e oggetti che invece, sicuramente, venivano utilizzati. Non a caso, se riflettiamo ad esempio, sul pregio del raffinato calice di vetro veneziano emerso dai recenti scavi in S. Antonio in Polesine, dobbiamo riconoscere che la spesa per dotarne tutte le religiose sarebbe stata esorbitante e che forse non tutte (benché il prestigiosissimo monastero di fondazione estense raccogliesse i più bei nomi della città) avrebbero potuto permetterselo anche con i loro fondi personali23. In effetti i manufatti di solito acquistati dai cenobi, come provano ancora una volta le ricevute di S. Maria in Vado, erano di prezzo molto contenuto e quindi viene da credere, almeno in parte, di produzione locale: il loro fornitore, Filippo Munari, aveva la sua bottega «vicino il portone del ghetto» (cioè ad una delle estremità dell’odierna Via Mazzini) e per lunghi anni godette l’esclusiva di realizzare il vetro in città24. Non abbiamo purtroppo notizie circa il luogo di produzione delle ceramiche da lui smerciate. Resta a questo punto da chiarire perché da un certo momento anche fra i documenti di S. Maria in Vado non si rintraccino più attestazioni di spese per vasellame ceramico. Una risposta plausibile potrebbe venire dalla consuetudine da parte dei religiosi di offrire al convento, con i propri fondi personali, alcune suppellettili d’uso comune. Ne abbiamo testimonianza, ad esempio, dal diario di un carmelitano di S. Paolo: «1747. Alii 14 di gennaro morì frate Antonio Bellati figlio di questo convento. Pregò il superiore avanti di morire di una grazia e il superiore gliela concesse. Gli consegnò il suo orologio d’oro e lo pregò di venderlo e del ricavato di fare tante lucerne d’ottone per servizio in refettorio alle tavole de’ religiosi in tempo di cena e sono quelle che si adoprano ancor oggi che trascrivo queste memorie in quest’anno 1779»25. In tale prospettiva l’indagine analitica su ciascun convento potrà presumibilmente far individuare abitudini e costumi peculiari che rendano ragione delle specificità tanto nei rinvenimenti archeologici che in quelli archivistici. Frattanto possiamo concludere che sia negli uni sia negli altri si riflette il dato saliente della vita monastica di quei secoli, l’intreccio di rapporti che rendevano delle istituzioni come i monasteri femminili, in teoria votate ad ‘autoemarginarsi’ dalla società, ad esserne invece degli strumenti del tutto organici, funzionali e finalizzati a scopi ben diversi da quelli previsti dai loro istitutori. 21 È quanto ci è dato di verificare anche nel caso del convento olivetano maschile di S. Bortolo in Rovigo: «Procedendo a campione nei giornali d’uscita sembrerebbe difficile trovare una corrispondenza tra i pezzi di maiolica presenti nella seconda metà del XVII secolo e gli acquisti effettuati nei medesimi anni. A questo proposito, nel supporre che i pezzi più importanti non venissero immediatamente pagati, ma fossero registrati nei libri dei debiti e crediti, si è brevemente indagato su alcuni di questi, scelti sempre a campione, senza ottenere tuttavia alcun risultato» (S ERVADEI 1995, p. 54). La studiosa non si è accorta che i registri di spese citano soltanto i manufatti acquistati per uso del convento e quindi per lo più di qualità corrente, proprio perché quelli di pregio (in un inventario del 1667 il catino di maiolica è presente in appena 10 delle 32 celle) venivano acquistati a proprie spese da quei monaci che potevano permetterselo. 22 ASDFe, Documenti episcopali, b. 82. 23 Per il reperto si veda G UARNIERI , L IBRENTI 1997, p. 291. 24 Per la localizzazione della bottega ASDFe, Atti giudiziari, Libro delle contravvenzioni 1711, c. 36v (1715 luglio 21); per l’esclusiva sul vetro si veda ASCFe, catastro HH, cc. 92v98r (dal 1684 al 1691); catastro PP, cc. 54v-61v (dal 1697 al 1704); catastro RR, cc. 88r-97v (dal 1704 al 1713). 25 G. M AFFEI , Libro di memorie, Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara (d’ora in avanti BCAFe), ms. Antonelli 484, p. 45. Si rilevi il lungo periodo di utilizzazione dei manufatti (32 anni).
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Documenti 1) S.Maria Maddalena (Le Convertite) (Monache che seguirono una propria regola fino al XVIII secolo, quando furono comprese nel terzo ordine regolare francescano) ASDFe Congregazioni religiose soppresse, monastero di S.Maria Maddalena detto delle Convertite I/E Inventano delli off ici del venerabile monastero delle Convertite 1586 Inventario delle camere della madre priora c.3v. (...) - in ditta camara v’è un usso di pezze fornito di tutto punto, con chiave, chiavadura e merleta e s’apressa (?) con una finestra di pezze fornita al bisogno, con una vedriata a ditta finestra che guarda su il ditto saletino, con una finestrella sopra alla granda pure vidriata - item camino fornito di cadena da fuocho di paleta e zampino - item dua forcieri rossi con chiave e chiavadure e due casse fornite de chiavi e chiavadure, una biancha et una rossa, con drapamenti dentro del convento - item casse dua, verde una , l’altra negra e verde, non molto grandi - item in la cassa verde e negra gli è pezzi di peltro in tutti, tra grandi e picoli n. 108, qualli sono gli sottoscritti, del suo esser nominati: item dieci piati grandi belissimi e piati dieci mancho grandi, piati sedeci mancho grandi (item piatti sette mancho grandi rossi e tondi disnove belli de una stampa: depennato), item tondi ventisette (grandi de una stampa et altri quatro de un altra stampa: depennato), item piadenele dicisette (tredeci: depennato) tutte a un modo de una stampa de suor morte, item scudelle con l’ordello largo n. otto de suore morte, item scudelle con urdello picolo belle n. vinti e scudelini n. sei, item e ditto peltro fu pesato instantemente tutto insieme e pesò pesi 5 1. 13 - item un tovolino di nogara con i suoi tirafori di nogara - item una tella al camino et un scano di pezze dipinto in rosso et (spazio bianco) - item in ditta camara gli è un uso che va sotto la scalla nova e egli va sotto i rivolti a una gradicella che guarda in chiesia - item un paro de piadenelle di maiolica bertina grande e più de un paro de piadenelle manco grandi di detta maiolica - un tazonzino turchino di maiolica - quatro scudele di maiolica (turchi: depennato) bertina fina, de quali (spazio bianco) item in la camara de drieto di essa madre priora che guarda nel cortile e orto (...) c.4r. item una letiera di noce granda e grossa, con 4 colone tonde con le sue stampe e ferri conformi, con paiarizo bono de penne con il suo capezale de penna, con dua cussini di pena con le liste rosse atorno con un paro de fodrete adoperate lavorate di seda negra (...) item quadri tre, uno di tella cornisato (di noce dipinto: depennato) cola Madona (San loseffo ???: depennato) et uno colla Madonna (San Gioseffo: depennato; Madalena colora: aggiunto in interlinea) dipinto in legno (con le cornise adorate: depennato) et uno quadreto piculo d’asse cole colonelle adoratte et uno di carta (???) (??? della Madonna: depennato) con la Madalena c. 4v. - item una cassa bella di noce, piena di panni di lino per il commune - item una cassa grande, bella e forte di nogara, con un secretto dentro, con chiavi e chiavadura, per il deposito del convento - item un armario grande di pezze dipinto di verde, con le sue scaffe dentro, con chiavi e chiavadura, per tenir dentro libri et scritture del convento
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- itera una cassetta di pezze con chiavi e chiavadura, fatta verde con profilli zalli, per tenir (denari e : depennato) memorie et altre cose della madre priora - item banchete tre, dua di nogara (una grande et una picula) e l’altra di peze - item una stadiera picula per pesar seda etc. - item tovaiolli sei mezani per bisogno de ditta camara - scudelle di maiolica da l’ordello largo et una da salsa con il coperto et una di vetro da salsa, un vasetino di vetro rotto da salsa - item in la sudetta camara gli è un usso di pezze con merleta, staffetta e chiave e chiavadura che va in un camarino sotto i volti che guarda in chiesia et sotto gl’inclaustro - item nel detto camaro gli è uno armario grande, posto nel muro della chiesia con feriami e chiavadura, con schaffe dentro et uno forciero con chiave e chiavadura; entro pano a sparaviero grande de noce - item un sechio de rame (un bariletto rotto: depennato), tazzoni de maiolica otto (e di terra n. sei: depennato), sei sbecati e piatti otto, un lavezzo mezano de preda, una orletta de preda per confetture, una padelina di ramo, un tagliere da pasta (un vassello da burro: depennato) e due testi da brazadelle e torta, un grande e un piculo - item uno servicialle con il suo bastone con la stopa, uno drapetto bianco - (quatro: depennato) tre tazzoni di vetro grandi, uno fatto a foiami et due schieti, uno turchino de ramo fatto a stellete d’oro. Inventario de tuto quello che si trova nello hoficio della sagrestia 1587 (...) c.7r. - item una piadenina de peltro - item bucatine da mesa para n. sei, (quatro: depennato) cinque para di vedro e uno par di latesine bianche con (quatro: depennato) sei piadenine di peltro e latesine - item doi sigelli da aqua santa, uno di latesine e uno di maiolicha - item (duo schudelotti: depennato) uno scodelotto di maiolica (lavorato: depennato) bianco turchino da lavare le mane a quello che zelebra la mesa, uno grando de preda - item bichieri da purifichare le suore n. (quatro: depennato) cinque con tre buchalini di vedro da fiori, computato un bocalino di vetro (...) c.7v. - item una ampella con doi zesendeli di vedri e doi tondi di maiolicha (...) - item 3 lampade di vetro Inventario di tute le robe ch’è nella speciaria 1586 c.llr. - item quatri sedazi, 2 da cose dolce, 2 d’amare - item diece scatole mezane e picole per diverse cose - item (bocete: depennato; bozzole: aggiunto a margine) verde e turchine da aqua n. diece - item ingistare da infusione n. vinte e doi, picole che son - item albareli tra boni e vegi di diverse sorte n. 79 - item bocali da siropo e da olio di diversi colori n. 40 - item mezete da olio di maiolica n. vintedoi - item (diorne: depennato; orne: aggiunto nell’interlinea) da aqua e da infusione n. ondeci - item buchali da aqua a chapel n. 3 - item buchali mezani da meter l’olio al sole n. diece - item 2 mortalini di (dioton: depennato; ottone: aggiunto nell’interlinea) con il suo pilonzino de hoton - item uno mortalino d’alabastro da (stanparare: depennato; stemprare: aggiunto nell’interlinea) le medicine con il suo pilon di legno - item 4 mortali, uno di bronce e il pilon di ferro, tre di malmore, uno grande con il pilon e doi picolini - item 4 mescole di oton picole et computate una forata - item 2 spatole di hoton e 2 gugiare
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- item 3 mescole (di rame: aggiunto nell’interlinea), due grande e una picola da far i siropi, con doi coperti di rame e dua padeline di rame - una mescola di fero foradta - item schudeloti n. sei (di pietra: aggiunto nell’interlinea) computati col (coladur: depennato; un coladore: aggiunto nell’interlinea), ma son di preda - item piateli di preda n.o 5 computati uno grando bianco - item doi piadene di legne apuntate - item chadinelle n. 4 - item 2 sedazi da colar le medicine - item schafe di ase n. 5 - item una fornasella con 17 lambichi di vedro con la bocha di fero, il fero da serare dita bocha, doi feri, uno da tirar la zenere e uno da chavar fora le erbe, con 4 ase d’intorno con 17 buchaline di vedro - item una parleta uno supieto - item una bancheta bianca con uno schano con una rasarolla (e una ruscharolla: depennato) - item una schaleta - item un par di ballanze con il marco, uno par di forbice c.llv. - item un torgello con il baston di fero - item doi furzieri pinti a nogara - item uno bancho con dodece chasete da tenere diverse cose - item sei sugamani - item 3 libri che insegna della speciaria - item item una fogara con doi tripié - item uno contadore con una luneta di maiolicha - item do taieri di legno - item uno parolo da metere la infusione con una stagnadina da metere la infusione di (???) - item una stagnà mezana - item una corbela da erbe con una fenestra vegia da meter su erbe - item sachi da erbe tra grandi e picollli n. 17 - item una stora da metere su li erbe - item uno segio vegio con la corda in muieta - item una cherdenza vegia con uno armario pinto a nogara, dove li sta diversi busili - item uno mortaro con doi pistoni da far l'impiastro - item dua chasete bianche, una da carbon con il sacho da carbon e le muiete - item con doi usi con chadenazi e giavadure - item una stadiera - item uno toliero vegio Lista della infermaria (l’intero elenco è depennato e zeppo di espunzioni e riscritture) c.13r. - item tovalioli n.20 - item buraceti da parechiar la bancheta n.6 - item grombiali da tener denante n.5 - item drapi n. 18 - item cenerandoli (?) da salasare n.10 - item rincolli della communioni n. 1 - item fasse da infasar il stomacho n.6 - item (fasse da salasare n. 2: depennato) - item cenerandoli da servicialli n.5 - item (endimelli: ripetuto e depennato) n.3 - item pece da adoperar alle amalate n. 11 - item tavolote da parechiar ale amallate n. 12 - (item bichieri da urinare: depennato; e più bicchieri da bere n.4 : aggiunto nell’interlinea)
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- (item un bichiere da bevere con una bucalina dal pipio e dua: depennato; boccalini dal pipio 2: aggiunto nell’interlinea) - (item ??? e dua cezendia da impicar alla Madonna: depennato; e più due cesendelli: aggiunto nell’interlinea) - item piatelite de maiolicha n.3 - item una scudella de maiolicha con la chuchiara 2 - item buchalli da tenir l’aqua cota n. 2 - item lavezote tre con dua tacchine n. 5 - item chogomi da far l’aqua cotta n. 2 - item stagnate per fare la deta aqua cota n.2 - item uno coverchio de fer e uno sechiello de otone e uno de preda n.2 - item una bacileta de ottone con dua servicialli n. 3 - item una piadena de legnio con uno pilon n. 2 - item dua cadinelle nete dua stomagose n. 4 - item tre scudelote nete e dua sporche n. 5 - item dua scaldaleto con (dua: depennato; una: aggiunto nell’interlinea) padelle n. 3 - item uno sedacino con quatro mescole de legnio n. 3 - item uno lenternino con una lumme n. 2 - item cusino de curarne n. 7 - item uno cusino de penna con tri de palia n.3 - item taliero da fare i fumenti con li filtri e le (sponghe che sono in tuto n. 12: depennato; n. 2: aggiunto nell’interlinea) - item pegniate tra grande e pichole n. 17 - item uno armario con dua casette n. 3 - item dua forcier con una caseta da carbone e uno altarino che sono in tuto n. 4 c. 13v. - item banchete grande e pichole n. 3 - item una cesta da pani e una con quatro ventoze e dua rasure n. 2 - item uno scudeloto da spudare con dua piadenine n. 3 - item bucalini da siropo n. 9 - e più due mastellette con un tripiedi et un togliero Inventario della cucina c.15r. - item piati di preda grandi in tutto, piati n. 19 - item piati mezani de preda, piati n. 19 - (item piadene di preda in tutto: depennato) piadene (n. 8: depennato) - item sechi di ramo in tutto, sechi n.4 - item bacilli grandi di ramo, bacilli n. 2 - item colatori forati di ramo, colatori n.2 - item tellie di ramo per il rosto, tellie n. 2 - item mescule di ottone forate, mescole n. 3 - item mescole di rame forate, mescole n. 2 - item coperti de ramo tra grandi e piculi, coperti n. 90 - item padeline de rame tra grandi e picule, padeline n. 1 - item padelle da frigier con le sue mescule, padelle n. 3 - stagnadoni per carne e minestre, stagnadoni n.4 - item stagnadine di rame tra grandette e picule, stagnadine n. 3 - item coperti di ferro per stagnada, coperchi n. 2 - item cavedoni (grandi: depennato) per la ditta (et cadene de ferro, cadene: depennato) n. 2 - item catene per il camino in tutto, catene n.3 - item forche di ferro per pergotare l’arosto, forche n. 2 - item una moieta, una paletta, un zampino n. 3 - item talieri d’asse per far spolie, talier n. 2 - item tavoli grandi con i suoi trespedi, cioè un paro, tavoli n. 2 - item mastello uno, masteline tre, n. 4 - item taglier uno per lavar, taglier n. 1
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- item gradelle una grandi et una picula, gradelle n. 2 - item tavoline d’asse da portar in tavola, tavoline n. 7 - item asse da padelle, asse n.l - item asse per mettar le robe, asse n. 1 - item una cassa et un forciero n. 2 - item mortalli di malmore grandi con suoi pistoni, mortali n. 2 c.15v. - item un scano da tener su pignate grande, scano n. 1 - item un asse per meter su le scudelle quando son lavate, asse n. 1 - item una ruscarolla con la rasurolla n.2 - item mantiletti da parechiare, tovaie n. 2 - item (sache da portar carne, sache n.9: depennato) - item (sachete picule per pesse: depennato; sache tra vecchie et nuove, n.9: aggiunto nell’interlinea) - (item grombialeti per le cusiniere, grumbialeti n. 1: depennato) - (item manigheti di tella per le dette para due: depennato) - item cadinelle di terra due, cadinelle n.2 - item p iateletti da po rtar in tavola (dod eci: d epen nato; sedeci: agg iunto nell’interlinea), piateleti n. 16 - item 4 pignatelle, computa un pignatino per tenir sale, pignatine n. 4 - item una pistarolla da lardo fornita, pistarolla n. 1 - item una falcinella per taiar la legna, falcinella n. 1 - item taglieri nove de legno tra grandi e piculi, taieri n. 8 - item spedi tra grandi e piculi forniti con piedi, spedi n. 3 - item un bachalaro de legno con dua lume, baccalare n. 3 - item gratuse dua, bussoli da tortelli de busso dua, n. 4 - item dua burazzi per far zenerata alle gonne, burazzi n. 2 - item un salarollo da sale et una rassarolla n. 2 - item stanghe dua per mastelli, stanghe n. 2 - e più un sacco per l’erbe, sacco n. 1 - e più in tre cesnaduri (?) n. 3 - e più una piadenella per il formaggio, piade, n. 1 - (nove sachette et un sacco grande: depennato) - sachette dieci - una sacca della carne - (un sacco: depennato) Lista della dispensa c.17r. - item piatti di pelltro grandi, piatti n.6 - item piatti mezzani, piatti n.6 - item tondi di pelltro, tondi n. 5 - item piadenine di peltro, piadenine n. 4 - item scudelle di pelltro, scudelle n. 8 - item scudeglini di pelltro, scudellini n.6 - item scudelle di maiolica, scudelle n. (spazio bianco) - item piatti di maiolica bertina, piatti n.4 - item piatti di maiolica di più sorte, piatti n. 8 - (item piadene di maiolica, piadene n. 3: depennato) - item piatti di maiolica con teste dentro, piatti n. 2 - item tazoni di maiolica di varie sorte, tazoni n. 14 - item piatelini di maiolica con una piadenina, piatelini n. 3 - item piateli di preda di più sorte, piateli n. 11 - item piadene di preta, piadene n. 3 - item catinelle di preta, catinelle n. 1 - item scudelloti tra grandi e picoli, scudelloti n. 5 - item pigniatte tra grande e picolle, pigniate n. 3 - item mescolle di legnio tra grandi e picolle, mescolle n. 4
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- item bocali da ollio, bocalli n.2 - item mezzette una da gresto e una da sappa, mezete n. 2 - item una orna, uno albarello che fa n. 2 - item lavezi con una mora (?), lavezi n. 4 - (item feroli (?) tra grandi e picoli, feroli n.5: depennato, come tutte le righe successive fino a item due credenze) - item bacili d’otone con 2 padelle di pelltro, bacili e padelle n. 4 - item mantileti paresini e uno di tella, mantili n.4 - item burracetti da sugare, borracetti n. 9 - item sugamani di tella, sugamani n. 6 - item gremballeti, gremballeti n. 4 - item manicheti di tella, manicheti n. 2 - item asse da taliare in tavolla, asse n. 2 - item due credenze, credenze n. 2 - item corteli tra grandi e picoli, corteli n. 4 - item cugiare d’otone, cugiare n. 4 - item una misura da olio, misura n. 1 c.17v. - item una banca, banca n. 1 - item tielle, tielle n. 2 - item due bance, bance n. 2 - item sedazo da farina, sedazo n. 1 - e più pitellini (sic!) di terra n. 8 - e più tre piatelletti di maiolica n. 3 - e più due piadeneline con un tondino n. 4 - e più una bussola da tenere n. 1 Inventario della chredenza di refetorio c.19r. - item bacilli d’otono grandi, bacili n. 3 - item bronzini d’otono, bronzini n. 3 - item candelieri d’otone grandi, candelieri n. 3 - item uno sechiello d’otone grande, sechiello n. 1 - item tacioline d’otone, tacioline n. 6 - item cuchiare d’otone, cuchiare (n. 15: depennato) - item piatti di preda mezani, piati n. 5 - item tondi di pelltro, tondi n. 5 - item sallarini di pelltro piccoli, sallarini n. 10 - item sallarini di maiolica, sallarini n. 7 - item miollare da metere i bicchieri, miollare n. 2 - item sechio di rame da aqua, sechio n. 1 - item banchete di peze, banchete n. 2 - item lume grandi da due stopini li latta buone n. 3 - item una lume picolla per servirsene, lume n. 1 - item masteline da lavare i bicchieri, masteline n. 2 - item catinelle di preda una grande e una picolla, catinelle n. 2 - item una tavolla di peze con li soi trespidi, n. 3 - item due para di moiete d’otono da candelier, n. 2 - item tovalie d’aparechiar la chredenza, tovalie n. 2 - item una ruscarolla e rastelino da tender le tovalie strazate da sciuare le mani n. 2 Inventario dello oficio della biancaria c.20r. (...) item uno orzzio da lesia, orzo n. 1 (preceduto da mastelli, caldaie, il tutto per il bucato) (...) c.20v. due cadinelle
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Inventario della caneva c.37r. (...) - item due fiaschi di vedro, uno copperto de vinci, l’altro è pieno d’aceto rossato (...) - item uno scano da 4 pieti di pezze per tenergli sopra i bochali - item bochali da vino tra grandi e piculi 15, cioé 4 grandi et 11 piculi - item cadinelle da tenir sotto le botte n. 10 et una grande che fanno 11 - item tavolini di preda da tener sotto le mezette n. 13 (...) - item un orzo da aqua con una ruscarolla et una schafetta per tenerli sopra i bochali e mezette per la ditta c. 37v. - item una chadina da lavar le boze Inventario della dispensa della madre vicaria e del suo dispensino sopra il grano c.39r. - item tondi de più colori sparti n. 9 - item tondi di magnolica ravignana sparti n. 3 - item piati tonti (sic!) bianchi una (sic!) e sei di più sorte - item tondi di magnolica ravegnana n.o nove - item piateletti tra grandi e piculi n.o 16 - item tazoni di maiolica fina tra grandi e piculi n.o 5 - item cadinelle quattro grande et una picula biancha - item pistarolle tre di ferro per pistar carni per i salami - item cortelli quattro, dua grandi e dua piculi, chavechi 4 da salami - item lavezzi due e una stagnada di rame e taierini 5 - item una mescula di rame con un coverto e un schatulone - item vaseleti dua, uno da agresto et uno a sabba con suoi (???) - item lume tre, un salarino di vedro, pignate n. (spazio bianco) Inventario della dispensa di sotto di essa madre vicaria c.39v. (...) - item orle da dibeghido (?) n.o tre et orle dua, una da olio, l’altra da savon negro - item pignate grande per la becharia n.o tre (...) - item scudelotti dua di terra mezani e una asse per meterli su robba - item una tavola da far brazzadelle con gli suoi trespedi (...) Inventario del oficio del padre confessore c.40r. (...) - item piati di peltro grandi cavati n. 2 - item piati di maiolicha di più sorte n. 17 (...) - item tazze di vedro da bere di più sorte n. 5 - item inghistare di vedro n. 3 (...) - (item tondini di peltro et di maiolica n.o dieci: depennato) (...) - item una mezetina di maiolicha bianca e uno salarino.
2) Immacolata Concezione di Maria detta S.Maria di Ca’ Bianca (Monache dell’ordine dei Servi di Maria) ASDFe Congregazioni religiose soppresse, convento di S.Maria di Ca’ Bianca 5/A n. 63 17 giugno 1685 Elenco dei lavori effettuati dal fabbro Fabiano Vivi
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(...) per aver pontato cinque testi e dato diversi ponti, valle s.-.20 per aver pontato un schodelotto e dato diversi ponti, valle s.-.2 per aver pontato delli testi e una pignata e dato quranta ponti, valle s.-.20 (...) per aver pontato un orzo chon del fillo di fero groso e dato nove ponti, valle s.-.12 (...) per aver pontato due testi, due sotochope e una pigniata, valle s.-.10 ripara inoltre lavezzi di rame, botti, catene e svariati oggetti metallici.
3) S.Antonio In Polesine (Monache dell’ordine di S.Benedetto) ASDFe Congregazioni religiose soppresse, monastero di S.Antonio in Polesine 4/4 (non datato, ma sulla base della grafia risalente al XVII secolo) Lista de’ mobili che si danno alle monache di Santo Antonio quando pigliano l'habito e prima per elemosina dotalle scudi n. 500 due torze per la chiesa di quatro libbre l’una n.2 una lettiera di nogara, un paiazzo, due tamarazi, un capezale, quatro cosini due sparavieri, uno per l’estate e l’altro per l’inverno n.2 lenzolli para n.6 due copertine, una per l’estate e l’altra per l’inverno n. 2 due coltre e una manta per l’inverno n.3 tella doppia per la trabacha del dormitorio braze n. 60 tella sotila doppia per endimelle braza n.60 cordelle per fornire dette endinelle braza n. 60 una pezza di tella doppia da lenzolli per la infermaria n. 1 una peza di tella dall’olmo et una cruda di braza 60 l’una mantilli per il refettorio braza n. 120 mantilli per suo adoperare n. 12 tovagliolli parigini n. 24 e altri 24 d’ordinari n. 48 drapi n. 24, dodeci di renso e dodeci di tella n.24 tovaglie parigine n. 24 una pezza di renso per suo adoperare n. 1 gromballi n.24, dodeci di renso e 12 di tellina sotilla n. 24 due gromballi torchini n.2 una pezza di tellina sodila per fazzoletti di braza n.60 una peza di bambasino n.l dodeci camise per l’anno di noviziato n.12 filladino per bavari braza n. 60 filladino per drapicelli da copa braza n. 60 binde brazza n. 60 giunte brazza n. 120 una pezza di vello bianco alto n. 1 spaghetto bianco brazza n. 100 scotino nero per vestirlla braza n. 60 dodeci piati di peltro conforme la mostra n. 2 piati di peltro per suo adoperare n. 24 due casse di nogara, due scani, due carieghe, due tamburini, due scarane et un tavolino panno nero basso brazza n. 6 una cotta di pano fino n. 1 una pelizza n. 1 un busto di panno fino con sue maniche n. 1 seda nera da zipare onze 6, seda sodila onze 6 una libbra di reno nero, una di bianco e una di crudo due para di scoffoni d’inverno e due d’estate n. 4 due para di pianelle e due di scarpette n. 2 una cesta da lavorare con suo cosino, guaina e didalo d’argento e cendalo
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una posada d’argento n. 1 un breviario, un diurno, un messale, un officio della Madona, un martirologio, due Flos Sanctorum, uno de’ santi estravaganti e l’altro de’ santi ordinari e tutte le prediche del Bittonto e un Vileyas un badile di ramo e una cochoma di ramo un candeliero d’ottone, un scaldaleto da letto, un scaldetino e un sechio una manezza n. 1 per gli alimenti dell’anno del noviciato scudi n. 50 Per la professione due torze per la chiesa di quatro libbre l’una n.2 una pezza di scotino nero n.l una pezza di scoto alto per la cucula n. 1 una pezza di scotino bianco per far camise n. 1 zambeloto per maniche di tonacha braza n. 24 panno alto per saglia e cucula braza n. 6 una pezza di velo nero alto n. 1 un quadro bello n. 1 un annelo per spossarla n. 1 e il livelo conforme alla sua possibilità.
4) La monaca innocente. Discorso criminale in materia di supposto veneficio del dottore Giuseppe Scutellari ferrarese, Ferrara 1700 pp. 5-6
II mercordì penultimo di luglio anno passato 1698 queste monache del monastero di S.Antonio Abbate di Ferrara hebbero per piattanza fogliata di pasta, che noi chiamiamo lasagne. Le reverende donne Anna Catherina Paioli, Ottavia Celeste Corradi, Sigismonda Isabella Carpi e Violante Margherita Botticini erano tutte quattro deputate alla ruota e per poter assistere al loro ufficio venivano dispensate dal refettorio commune ed esse quattro mangiavano assieme, in luogo separato, vicino a detta ruota. A dette quattro ruotare quel mercordì toccorono quattro piattanze di dette lasagne, una per cadauna, conforme alle altre monache; due di dette piattanze mangiarono assieme quella mattina da pranzo, una la sera da cena e l’altra piattanza serbarono per la cena del giovedì susseguente e questa restò in custodia della Botticini, come quella era di settimana a servire le altre tre ruotare. La conservò nel solito armadio delle ruotare fin al giovedì dopo pranzo e circa le 22 hore le portò ad un altro armadio vicino al refettorio per aggiungervi del butiro, le trasmutò dal tegame di pietra in un suoletto di rame perché più facilmente ribollissero, essa le portò in cucina e dopo l’Ave Maria della sera, in tavola alle compagne. Alle signore Corradi, Carpi e Paiola, che ne mangiarono quella sera da cena, poco dopo sopraggiunsero perniziosi sintomi di vomito, uscita, siccità, tormini (sic!), inquietudini, smanie e nel settimo giorno dopo la signora Carpi morì. E perché in quella sera dette tre monache non avevano mangiato altro che dette lasagne e dubitarono che in quelle fosse stato aggiunto del tossico dalla Botticini, perché essa in quella sera non ne mangiò. Il processo si conclude con un non luogo a procedere contro la Botticini.
5) S.Maria in Vado (Canonici regolari del SS. Salvatore) ASDFe Congregazioni religiose soppresse, convento di S.Maria in Vado 2/5, n. 284 Adì 22 febraro 1688. Nota di più piati di mezza maiolica dati alli reverendi padri di S.Maria del Vado, prima - 36 tondi e tacete s.-.84 - 4 piati grandi s.-.36 s.1.20
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Io Filippo Monari 2/7, n. 108 Decembre 1692. Spesi per la cocina in quatro dozine di piatti da tavola, a ragione di ventiquatro baiocchi la dozina, fano in tute s.-.96. 2/8, n. 88 Adì 8 aprile 1695. Nota della roba avuta dalla botega del signor Felippo Peverati. 150 tondi a paoli 19 (?) s. 2.85 8 tazete fine a soldi 4 s.-.32 un cadino di maiolica s.-.30 6 orinali di maiolica fina s.-.66 7 orinali torchini, n.7 a 3, s.-.21 2 orinali di terra s.-.4 6 saliere di maiolica fina a s.4, s.-.24 7 broche a soldi 4, s.-.28 un lampedino con soi fornimenti s.-.4 un orinale di vetro s.-.4 2 cadini di terra s.-.6 due pignate grandi s.-.24 due altre mezane s.-.16 tre altre pignate più picole s.-.12 2 pignate base s.-.10 4 pignatine picole s.-.5 4 pignatini picoli s.-.4 24 teglie per ovva s.-.24 2 cadini da sechiaro s.-.10 4 piati di terra s.-,8 4 goti di christalo s. -.16 10 coperchi di terra s.-.8 una cadinella grande s.-.15 un bichiere di christa (sic!) s.-.5 8 piloni dopi a sol, 8, s.-.64 6 bichierine di vetro s.-.12 12 bichieri di vetro col piede s.-.2.8 scudelle n. 18 s.-.34 tondi n. 50 s.-.60 sei carafe di vetro per l’aceto s.-.12 sei bozete di christalo per vino s.-.24 Io sotoscrito o receuto il pagamento dela suddeta lista per saldo di tuto per li 13 magio 1695. Filippo Monari. Parimente per mano di fra Petroni mi chiamo sodisfato. 2/9, n. 7 Adì 26 maggio 1697. (Ha servito per il capitolo) Notta di robba della mia botega data alli reverendi padri di S. Maria del Vado e prima 100 tondi di meza maiolica d’acordo s.1.50 9 goti di costalo s.-.36 10 goti con il pié di vetro s.-.23 7 orinali di tera s.-.14 4 orinali di meza maiolica s.-.24 2 pignate da 2 chaponi l’una, s.-.16 1 pignatone s.-.12 4 salini di maiolica fina d’acordo s.-.16 4 broche di tera s.-.16 4 piati di tera s.-.6 2 chadini mezani di tera s.-.8 2 pignate da capone s.-.8
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2 piloni da un bochale dopi s.-.48 soma s.3.77 Filippo Monari (viene pagato il 31 maggio) 2/11 (1703-1705) n. 293 Io sottoscritto attesto qualmente haver comprato quatro piatti imperiali di maiolica e quattro reali con dodici tondi da tovagliolo, il tutto di maiolica fina et li ho pagati scudi tre e baiocchi vinti con la portatura da Faenza sino a (???) e questi per servitio del convento di Santa Maria dal Vado di Ferrara e per comisione del padre procuratore don Bernardino Minutoli. In fede dico s. 3.20. Io Gioseffo Morcelli affermo quanto sopra 2/12 n. 16 Adì 17 aprile 1706 Li reverendi padri di S.Maria in Vado deve per robba di mio negozio datta per servitio del monastero e prima 2 piloni da un boccale doppi s. -.16 2 bichiere vetro doppie s.-.4 1 carafine cristallo s.-.4 8 orinali 1/2 misura s.-.40 4 orinali terra s.-.10 2 broche terra s.-.8 4 cadini terra s.-.12 2 mezette grandi terra s.-.16 2 gotti cristallo s.-.8 s.1.18 Adì 8 maggio 1706 Ho riceputo il suddetto pagamento. Filippo Monari 2/13 n. 7 Adì 4 aprile 1709 Nota di roba data per servicio delli reverendi monici di Santa Maria del Vado dateli in più volte, prima per 2 piloni da un bocalo dopi s.-.20 5 bichieri dal piede s.-.15 6 tege picole s.-.6 8 broche da aqua s.-.40 4 orinali mezza maiolica s.-.32 100 tondi e tacete mezza maiolica s.2 3 cadini mezza maiolica s.-.54 4 cadini di terra grandi s.-.20 4 orinali di tera s.-.12 4 orinali di mezza amiolica s.-.32 4 zuche di vetro grandi s.-.16 4 piloni da un bocalo dopi s.-.40 11 goti di vetro con il piede s.-.33 5 goti di cristallo s.-.25 2 sporte grande s.-.3 2 piloni da un mezzo dopi s.-.12 2 piloni da una folieta sempi s.-.5 2 pignatine picole s.-.3 1 pignata mezzana s.-.3 Io sotoscrito ho receuto il pagamento dela sudeta lista. Filippo Monari.
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3.3. Monasteri, “cultura materiale” e archeologia: alcune linee di ricerca (S.G.-M.L.) L’approccio archeologico ai contesti conventuali, sia maschili che femminili, ci pone notevoli problemi di integrazione e confronto con il quadro, sicuramente più articolato, che emerge dalle fonti d’archivio. Queste, come è ovvio che sia, riferiscono di significati specifici per determinati oggetti e nel contempo descrivono la presenza di intere categorie di manufatti che, per motivi di conservazione, raramente o affatto entrano del record archeologico (come ad es. il caso del peltro). La disamina degli oggetti che testimoniano i comportamenti della comunità nei confronti dei consumi e delle proprietà individuali che componevano il quadro della “cultura materiale”, così ricco dalle fonti scritte, deve essere circoscritto alle sole ceramiche. Sono questi gli unici manufatti presenti con continuità e in quantità significativa all’interno dei depositi archeologici, la cui rappresentatività, dunque, ci permette di ricomporre gli andamenti all’interno di una singola comunità e, nel contempo, di cominciare a porli a confronto con i materiali di altri contesti (regionali e non). E’ da rilevare, tuttavia, da questo punto di vista, come pochi siano ancora i nuclei conventuali di cui si dispongano sequenze complesse e durature, con la disamina e la discussione dei valori quantitativi delle produzioni. In genere la ceramica conventuale, quando non fraintesa (vd. supra 3.1), finisce per essere analizzata esclusivamente sul piano tipologico, con un approccio legittimo ma ininfluente per la comprensione dei meccanismi di formazione dei contesti in relazione a specifici nuclei sociali. In poche parole si riproduce e si amplifica in questo frangente un approccio sociale alla storia della produzione del consumo della ceramica post classica che in genere ha caratterizzato, in senso negativo, il nostro orizzonte di studi. Al fine di formulare una ipotesi sulla formazione di questi nuclei ceramici, sarà opportuno riprendere alcune considerazioni formulate in precedenza a proposito della ceramica presenti nei conventi, per identificare quelle categorie di prodotti che qualificano gli approvvigionamenti nel corso del tempo e in rapporto ad altri contesti sociali: a) ceramiche indifferenziate, di uso corrente anche nei contesti laici. Le uniche presenti fino alla metà del XV secolo, continuano a ricorrere in numero consistente anche in età moderna. b) ceramiche con soggetto religioso di carattere simbolico o iconografico generico, come la croce, i simboli della passione, l’agnello, il calice, il trigramma bernardiniano, ecc. Si tratta di oggetti osservati con continuità nei contesti monastici, in area padana, tra XV e XIX secolo. Con i medesimi caratteri sono presenti a volte anche in contesti laici. e) ceramiche con sigle relative al monastero o ritratti di santi specifici. I rinvenimenti sono in questo caso concentrati tra XV e XVI secolo. d) ceramiche con caratteri indifferenziati, tipiche anche dei contesti laici, caratterizzate da sigle graffite sul pezzo dopo il suo acquisto. e) ceramiche prodotte ad personam, con sigle, nomi, stemmi famigliari con sigle o date. Si tratta di un fenomeno che sembra svilupparsi prevalentemente nel Seicento. f) ceramiche con sigle relative alla loro pertinenza di collocazione - cantina, cucina, refettorio, infermeria - o di utilizzo sulla tavola - zuppa, insalata, etc., alcune delle quali, tuttavia, non sono esclusive dei contesti religiosi.
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Gli esempi editi di contesti monastici, ed altri osservati dagli scriventi, permettono di ritenere che i monasteri maschili facessero un uso pressoché esclusivo di materiali dei gruppi a), b) e c). Oltre ai tipi di ceramica correnti, lo scavo a S. Domenico di Bologna, per esempio, ha fornito unicamente frammenti con la sigla S. D., col trigramma IHS e con date in associazione a simboli (MINGUZZI 1987); una situazione, questa, che ben poco si discosta da quella osservata per S. Giorgio in Poggiale (NEPOTI 1987), che ha restituito piatti e boccali con la sigla S.S.G. ed una M coronata. Ancora una conferma ci proviene da un altro recupero bolognese, quello di S. Giovanni in Monte (Figg. 47-48), dove i soli materiali distintivi sono costituiti da un grande servizio in maiolica con lo stemma del monastero: il calice con le lettere I. e O. - o raramente S. IO. - ai due lati. Si tratta di forme prevalentemente aperte, con simbolo centrale contornato da motivi alla porcellana. L’esame macroscopico dei pezzi permette di ipotizzare che si tratta di oggetti frutto in buona parte di un’unica manifattura, se non di una sola acquisizione, alla quale si affiancano alcuni arrivi di diversa provenienza. Nel caso dei conventi femminili, invece, le categorie sopra enumerate sono tutte presenti. L’elemento di maggiore peculiarità riguarda la personalizzazione dei recipienti, sia che si tratti di sigle graffite sul pezzo già cotto, sia di manufatti appositamente commissionati con sigle di identità. Sebbene lo stato delle conoscenze su questi contesti sia solo agli inizi, alcuni rinvenimenti meritano comunque particolare attenzione. Un contesto recuperato nel convento delle clarisse di S. Guglielmo di Ferrara (Tav. 28) per esempio, permette di comprendere come buona parte dei materiali rinvenuti sia frutto di acquisizioni effettuate nel tardo Cinquecento, anche in partite consistenti, come nel caso delle maioliche policrome decorate “a ciuffi e spirale”, sui quali è eseguita in seguito l’incisione grossolana delle sigle sul retro dei pezzi (GELICHI, LIBRENTI 1997, pp. 206-211). Esulano in questo caso dalla prassi - che riguarda non solo le smaltate, ma anche le ingobbiate ed alcune invetriate da fuoco - solo alcuni pezzi facilmente riconoscibili ed alcuni con caratteri indistinti. Si tratta di una situazione che coincide in più punti con i risultati delle indagini sui materiali del giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa di Roma (Crypta Balbi 1985). La proliferazione dei graffiti a cotto sui pezzi, innanzitutto, è da porre in relazione allo stesso arco cronologico, che va dal pieno Cinquecento agli inizi del secolo successivo, con un addensamento su oggetti di serie. Se i due casi visti in precedenza si inquadrano facilmente nel nostro gruppo d) (materiali personalizzati), il rinvenimento di S. Cristina di Bologna pone una serie di questioni più complesse (Figg. 49-51). Sebbene sia composto da un numero decisamente scarso di pezzi che possano ritenersi significativi per la nostra indagine, essi risultano comunque databili in base alla bibliografia corrente attorno alla metà del Cinquecento. Occorre rilevare innanzitutto la ripetitività con cui compare almeno un nome, (quello di S. Costanza da Lor[?] (Fig. 50). Altri oggetti mostrano sigle di ulteriori suore, sigle del convento, stemmi con uccelli che bevono dalla coppa, ritratti della santa protettrice. L’impressione che se ne ricava è che, sebbene si tratti di una campionatura casuale dei contesti, alcune monache disponessero di una quantità di oggetti personalizzati che eccedevano in alcuni casi le loro esigenze, a conferma di quanto già notato per l’elenco del procuraria di S. Agostino quasi un secolo dopo (vedi supra, Allegato I). La realizzazione di pezzi firmati, singoli o predisposti in grandi nuclei, sembra quindi vedere la luce entro il venticinquennio nel quale prende avvio
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il Concilio di Trento. Se da un lato la prassi potrebbe essere letta come il risultato di sollecitazioni molto diverse, in quanto un certo livello di personalizzazione è già leggibile nel tardo Quattrocento, si può tenere verosimilmente conto anche del sentore delle proposte che si stavano discutendo. Cercando di riassumere, il quadro delle restituzioni dei conventi femminili risulta, dopo la metà del XVI secolo, certo più articolato. Tale articolazione è, a nostro giudizio, palesemente da riconnettere con i diversi modi di approvvigionamento dei materiali e in particolare che l’incidenza dell’istituto dotale dovette giocare anche in questo specifico settore. Dall’esame delle fonti scritte appare ad esempio frequente l’indicazione, da parte delle comunità monastiche maschili, di acquisti frequenti di piccoli lotti di ceramiche. Tali indicazioni non compaiono, invece, almeno con la stessa frequenza, nel caso di istituti femminili, nei quali è altresì diffusa la pratica del lascito alla comunità di notevoli quantità di oggetti in funzione che eccedono le necessità del singolo. Questi lasciti consistenti di materiali ad opera delle «sore morte» (vd. supra Allegato II) forniscono periodicamente alla comunità quantitativi consistente di beni mobili ed immobili, tali da colmare verosimilmente una parte notevole dei bisogni della comunità stessa. Tra questi lasciti non è infrequente trovare menzionata anche la presenza di ceramiche. Gli acquisti comunitari di recipienti dovevano dunque essere modeste in relazione al fatto che i bisogni dei conventi femminili erano soddisfatti già in buona parte dai corredi dotali. Non solo ceramiche personalizzate per un uso privato (prima e dopo l’acquisito), ma anche probabilmente ceramiche personalizzate d’uso comunitario entrate a far parte della dotazione conventuale insieme alla novizia. Sebbene di questo fenomeno si abbia ancora una scarsa evidenza archeologica (ma potrebbe rientrare in questa casistica il citato esempio del monastero di S. Cristina), esistono documenti, come abbiamo visto, che attestano l’acquisizione di quantitativi consistenti di ceramiche personalizzate, portate in dote al monastero da singole suore e, naturalmente troppo numerose per essere considerati d’uso strettamente personale. Nel momento in cui le riformate dottrine religiose tendono a ricondurre a vita comunitaria quello che era l’articolato panorama sociale all’interno dei conventi, si assiste ad un opposto processo verso l’individualità della dotazione personale, e questo esclusivamente nelle comunità femminili, dove può essere interpretato come sotterranea risposta sia delle famiglie (che evidentemente avevano interesse a mantenere le distinzioni anche all’interno del monastero) sia delle stesse suore (che di tali interessi e privilegi dovevano farsi ancora portatoci). Se i dati archeologici sono stati interpretati correttamente si tratta di un fenomeno che pare prendere avvio già durante lo svolgimento del Concilio e forse non possiamo escludere ai primi esiti pratici del movimento di Riforma agli inizi del Cinquecento. Se le trasformazioni che intervengono, in maniera così radicale, nelle ceramiche a partire dalla metà circa del XVI secolo trovano anche nei nuovi fermenti religiosi una ulteriore loro motivazione (provocando per la prima volta quel fenomeno di slaicizzazione dei motivi di cui abbiamo parlato), nel contempo gli stessi elementi ideologici e sociali sono quelli che spingono verso la personalizzazione delle ceramiche fino ad individuarle, cosa avvenuta di rado prima, con il nome del proprietario.
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