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ED McBAIN UNO SPACCIATORE PER L'87° (The Pusher, 1976) Personaggi principali: PETER BYRNES capo della Squadra Investigativa dell'87° Distretto STEVE CARELL, BERT KLING, MEYER MEYER, ROGER HAVILLAND e HAL WILLIS della Squadra Investigativa dell'87° Distretto DICK GENERO agente di pattuglia MARIA HERNANDEZ prostituta DANNY GIMP informatore GONZO spacciatore di droga ERNEST HEMINGWAY tossicomane DOLORES FAURED affittacamere TEDDY moglie di Steve Carell HARRIET moglie di Peter Byrnes LARRY figlio di Peter Byrnes CLAIRE TOWNSEND la ragazza di Bert Kling 1 L'inverno arrivò con l'irruenza di un attentatore anarchico. Violento, urlante, ansimante, avvolse la città nel freddo, gelo i corpi e gelò i cuori. Il vento fischiava sotto le grondaie e spazzava gli angoli delle case, facendo volare i cappelli e sollevare le gonne, accarezzando con dita gelide le cosce calde. La gente si soffiò sulle mani e rialzò i baveri e strinse le sciarpe Si erano lasciati ingannare dal lungo letargo autunnale, e adesso l'inverno li aveva colti di sorpresa battendo loro sui denti con nocche di ghiaccio. La gente rideva nel vento, ma il vento non era di buon umore Il vento urlava e muggiva, e la neve sprizzata dal cielo copri la città di bianco e poi, sporca e infangata, si arrese al vento e al freddo e si trasformò in ghiaccio traditore. La gente disertò le strade Cercava stufe panciute e caloriferi sibilanti Beveva whisky da poco prezzo o scotch costoso Si infilava sotto le coperte, in solitudine, o ci trovava il calore di un altro corpo nell'antico rito dell'amore, mentre fuori il vento ululava.
L'inverno sarebbe stato un brutt'affare, quell'anno. L'agente di pattuglia si chiamava Dick Genero, e aveva freddo. L'inverno non gli piaceva, ecco tutto. Se anche qualcuno gli avesse offerto gli svaghi del pattinaggio e dello sci e del bob e tanti punch al rum e tutte le altre piacevolezze di una spensierata stagione invernale, lui l'avrebbe mandato all'inferno. La stagione di Genero era l'estate. Lui era fatto così, ecco tutto. A lui piaceva la sabbia calda e il sole che brucia e il cielo azzurro senza nubi, e gli piacevano anche i temporali estivi con tanti lampi, e gli piacevano i fiori sbocciati e le bibite dissetanti, e se qualcuno avesse preso tutti gli inverni del mondo, li avesse ficcati in un vecchio bidone e li avesse buttati nel River Dix, allora Genero sarebbe stato veramente felice. Aveva le orecchie gelate. La madre di Genero usava dire: "Se hai le orecchie fredde, hai freddo dappertutto", e la madre di Genero era un pozzo di scienza in fatto di condizioni atmosferiche. Genero stava facendo il suo giro e pensava a sua madre, poi, senza nessuna relazione, pensò a sua moglie e desiderò essere a casa con lei, a letto. Erano le due del mattino e nessun uomo in possesso delle sue facoltà mentali cammina per le strade alle due del mattino con una temperatura di dieci sotto zero e una bella donna in casa, a letto. Il vento tormentò il suo cappotto, penetrò la pesante stoffa blu, sfiorò la camicia invernale. Il freddo arrivò alla biancheria e Genero rabbrividì e pensò alle orecchie. Si ricordò che non doveva toccarle perché se uno si tocca le orecchie quando sono fredde, quelle possono staccarsi. Sua madre gli aveva detto anche questo. Parecchie volte lui aveva avuto la tentazione di toccarsi le orecchie quando erano gelate proprio per vedere se si sarebbero staccate. In realtà aveva paura che questo non sarebbe successo, e allora lui avrebbe perso la fiducia in sua madre. Quindi tenne ubbidientemente le mani guantate lontano dalla testa, si insaccò nelle spalle per proteggersi dal vento, pensò a Rosalie a casa, a letto, pensò alla Florida, a Portorico, alle isole Vergini, all'Africa, e continuò il suo viaggio verso sud finché si rese conto improvvisamente di aver raggiunto il Polo Sud dove continuava a far freddo. Fa caldo, si disse. Ma su, non senti che fa caldo? Guarda tutte quelle bellezze che fanno il bagno vestite quasi di niente. Gesù, se scotta la sabbia, oggi! Ascolta il rumore dell'oceano. Oh, ringraziamo il cielo per quest'aria fresca. In una giornata soffocante come oggi un po' d'aria fresca la si sente volentieri, te lo dico io. E... Scommetto che se mi tocco le orecchie, questa volta si staccano davvero.
Le strade erano deserte. Be', il conto tornava. Soltanto gli idioti e i poliziotti erano in giro, quella notte. Si avvicinò al bar pasticceria e toccò macchinalmente la maniglia, imprecando contro il proprietario che non teneva aperto il locale in modo che un poliziotto con le orecchie sul punto di staccarsi potesse entrare e bere una tazza di caffè. Ingrati, tutti ingrati. A casa a dormire mentre io controllo questa stupida maniglia. Chi mai tenterebbe di svaligiare un negozio in una notte come questa? Gli si congelerebbero le dita sugli arnesi da scasso esattamente come su nell'Artico si congelano le dita al contatto del metallo. Un bel pensiero allegro. Cristo, se ho freddo! Guardò lungo la strada. Probabilmente il bar di Lenny era ancora aperto. Si sarebbe fermato al bar per vedere che non ci fosse in corso un pestaggio, e magari per togliersi di dosso un po' di freddo avrebbe bevuto un goccio vietato dal regolamento. Non ci vedeva niente di male a bere un goccio. Ci si può anche mettere in testa di essere soltanto un po' infreddoliti, vero, ma quando la propria biancheria rivela di aver acquisito la proprietà dì stare ritta per conto proprio, senza nessun sostegno, nel bel mezzo della strada, è ora di piantarla con la storia dell'infreddolimento e rendersi conto che il pericolo di congelare non era uno scherzo. Genero batté le mani guantate una contro l'altra e alzò la testa. Vide la luce. Veniva da un punto poco più avanti. La strada era tutta buia, a parte quella luce. Genero si fermò e strizzò gli occhi per proteggerli dal vento. La bottega del sarto, pensò subito. Quello stupido di Cohen è lì di nuovo che stira fino al mattino. Gliel'avrebbe detto. Gli avrebbe detto: "Senti, Max, tu sei un gran brav'uomo, ma quando hai intenzione di fermarti a stirare fino a tardi, dacci un colpo di telefono e avverti questi poveri cani di poliziotti, eh?". Allora Max avrebbe fatto segno di sì con la testa, avrebbe sorriso e gli avrebbe dato un bicchiere di quell'ottimo vino che lui teneva dietro il banco. Tutto a un tratto, Max non gli parve più tanto stupido. Max era il benefattore di tutti i poliziotti in servizio di ronda. La luce di Max era un faro luminosissimo, la sua bottega era un rifugio per le navi strette dai ghiacci. Tira fuori la bottiglia, Max, pensò Genero, sto arrivando. Puntò verso la bottega del sarto e la luce. Quel bicchiere di vino l'avrebbe bevuto davvero volentieri, questo era certo. La luce non veniva dal negozio del sarto. La luce veniva da più lontano. Sgorgava dal fondo della breve scala che
portava al seminterrato di un edificio. Se non si trattava di Max... Genero affrettò il passo. Quasi inconsciamente si levò il guanto destro e tolse la rivoltella dal fodero. Le facciate delle case erano avvolte nel sonno. Soltanto quella luce forava il buio e lui si avvicinò alla luce cautamente, fermandosi davanti ai gradini che iniziavano dopo la catena sospesa e scendevano nelle viscere dell'edificio. In fondo ai gradini di mattoni c'era una porta in ombra, e di fianco alla porta, alta nella facciata di mattoni, una finestra. I vetri erano coperti da una patina sudicia, ma la finestra brillava ugualmente, simile all'occhio di un guardiano orbo. Cautamente, Genero scavalcò la catena e scese i gradini. Uno stretto passaggio andava dritto come una freccia al cortile posteriore. I bidoni della spazzatura accatastati in qualche modo nel passaggio spandevano il loro fetore nella fredda aria di dicembre. Genero diede una rapida occhiata lungo il passaggio e poi andò in fretta alla porta. Si fermò, in ascolto. Nessun rumore da dietro il battente. Tenne la rivoltella pronta nella destra e con la sinistra fece girare la maniglia. Stranamente la porta si spalancò. Genero indietreggiò di colpo. Stava sudando. Le orecchie erano ancora fredde, ma lui stava sudando. Ascoltò il proprio respiro, ascoltò per sentire altri rumori nel silenzio della città addormentata, ascoltò, aspettandosi uno scalpiccio cauto, un suono qualsiasi. Ascoltò a lungo, poi entrò nel seminterrato. La luce veniva da una lampadina appesa, senza paralume, a un grosso filo. Pendeva assolutamente immobile. Non ondeggiava, non ruotava, non compiva il minimo movimento, come se il filo si fosse tramutato per il freddo in un sottile cavo d'acciaio. Sul pavimento, sotto la lampadina, c'era una cassetta d'arance. Sulla cassetta capovolta, quattro turaccioli. Genero tolse di tasca la torcia elettrica e proiettò il fascio di luce tutt'intorno per il locale. Su una parete c'erano fotografie di ragazze nude, appiccicate l'una all'altra, seni contro natiche, compresse nello spazio. La parete opposta era spoglia. In fondo al locale c'era una branda e sopra, nella parete, una finestra con le sbarre. Genero spostò il fascio di luce un po' a sinistra e poi, con un sussulto, indietreggiò e la 38 scattò in su con un movimento inconsulto. Sulla branda c'era seduto un ragazzo. La faccia del ragazzo era blu. Stava proteso in avanti. Stava proteso in avanti con un'inclinazione innaturale, e quando si fu ripreso dal trauma
della scoperta, Genero si chiese come faceva quel ragazzo a non cadere sul pavimento. Fu allora che vide la corda. Un'estremità della corda era fissata a una sbarra della finestra. L'altra annodata attorno al collo del ragazzo. Il ragazzo stava li proteso in avanti come se fosse sul punto di alzarsi di scatto dalla branda e mettersi a correre. Gli occhi erano spalancati, la bocca era aperta, e nel suo corpo pareva esserci vita compressa pronta a erompere e a catapultarlo in piedi. Soltanto il colore della faccia e la posizione delle braccia rivelavano che era morto. La faccia blu era brutta da vedere, le braccia gli ciondolavano pesantemente ai fianchi, le mani avevano i palmi rivolti in avanti. A una decina di centimetri da una mano c'era una siringa ipodermica vuota. Esitando, un poco spaventato un poco vergognoso per la sua paura superstiziosa di fronte a un cadavere, Genero fece un passo avanti e osservò alla luce della torcia elettrica la faccia bluastra del ragazzo. Per dimostrare a se stesso che non aveva affatto paura, rimase a guardare gli occhi spenti un paio di secondi più a lungo di quanto era ragionevolmente necessario. Poi uscì in fretta, tremando, e si diresse al telefono più vicino. 2 La notizia si era sparsa molto prima che Kling e Carell arrivassero. La morte aveva invaso silenziosamente la notte, e la morte aveva, come Macbeth, ucciso il sonno, e adesso c'erano tante finestre illuminate, e la gente si sporgeva dai davanzali nel gelo dell'inverno, a guardare i cinque poliziotti in divisa raggruppati sul marciapiede con aria impacciata e quasi colpevole. Anche in strada c'era gente. Parlavano a voce bassa, i cappotti infilati sopra il pigiama. La berlina girò l'angolo, simile a qualsiasi altra macchina da diporto, solo che aveva una corta antenna radio che spuntava dal tetto. La targa portava il contrassegno dei medici, ma i due uomini che ne smontarono non erano dottori in medicina: erano agenti investigativi. Carell si avvicinò in fretta ai cinque agenti di pattuglia. Era alto e indossava un completo di gabardine e un cappotto marrone scuro. Era a testa nuda e i capelli erano tagliati corti, e camminava con l'andatura sciolta di un atleta. Dava una sensazione di forza controllata, di pelle tesa su muscoli solidi. Gli zigomi alti gli conferivano un'aria da orientale. «Chi ha fatto la segnalazione?» chiese al poliziotto più vicino. «Dick» rispose il poliziotto. «Dov'è?»
«Là sotto col cadavere.» «Andiamo, Bert» disse Carell girando un po' la testa, e Kling lo seguì in silenzio. I poliziotti in divisa osservarono Kling con finta indifferenza senza riuscire a nascondere la loro invidia. Kling era un nuovo agente investigativo, un ragazzo di ventiquattro anni venuto su dalla bassa forza. "Venuto su." Sarebbe stato meglio dire "saltato su". Anzi, la definizione più esatta era "sputato su". Kling aveva risolto un caso d'omicidio, e gli altri agenti di pattuglia la chiamavano fortuna sfacciata, ma l'alto-commissario la chiamava "perspicacia non comune e tenacia", e dal momento che l'opinione dell'alto-commissario era tenuta in maggior rispetto dell'opinione dei poliziotti che fanno la ronda, un agente di pattuglia era stato promosso agente investigativo di terzo grado in minor tempo di quanto ce ne vuole a dire la qualifica. Così gli agenti di pattuglia sorrisero debolmente a Kling mentre lui scavalcava la catena dietro Carell, e il colore verdognolo delle loro facce non era dovuto al freddo. «Che cosa diavolo gli succede?» mormorò uno dei poliziotti. «Adesso non dice più nemmeno ciao?» Se Kling lo sentì, non lo diede a vedere. Il nuovo agente investigativo seguì Carell nel seminterrato. Dick Genero, in piedi sotto la lampadina pendente dal soffitto, si mordeva le labbra. «Salve, Dick» salutò Carell. «Salve, Steve. Bert» Genero sembrava estremamente a disagio. «Salute, Dick...» rispose Bert. «Quando l'hai trovato?» domandò Carell. «Pochi minuti prima di telefonare. È là in fondo» disse Genero e non si voltò a guardare il cadavere. «Hai toccato qualcosa?» «Ah, no!» «Bene. Non c'era nessuno quando sei arrivato?» «No. No, c'era soltanto lui. Senti, Steve, hai niente in contrario che salga a prendere un po' d'aria? Fa un po'... fa un po' soffoco qui dentro.» «Un momento solo» disse Carell. «La luce era accesa?» «Cosa? Ah, la luce. Sì, era accesa.» Una pausa. «È per questo che sono sceso a vedere. Ho pensato che potesse esserci un ladro. Sono venuto giù e là c'era lui.» Genero diede una rapida occhiata verso il cadavere seduto sulla branda. Carell si avvicinò al ragazzo fissato nella sua curiosa posizione dalla
corda legata al collo. «Quanti anni avrà?» chiese senza rivolgersi a nessuno. «Sedici? Diciassette?» Nessuno rispose. «Pare... pare che si sia impiccato, vero?» disse Genero. Evitava accuratamente di guardare il cadavere. «Così pare» disse Carell. Non si rendeva conto che stava scuotendo la testa e che la sua faccia aveva un'espressione di pena. Sospirò e si rivolse a Kling. «Sarà meglio aspettare che arrivino quelli della Omicidi. Farebbero un casino se non lasciassimo la precedenza a loro. Che ore sono, Bert?» Kling guardò l'orologio. «Le due e undici» disse. «Dick, vuoi cominciare a prendere nota?» «Certo» disse Genero. Tolse un libretto d'appunti da un taschino della giacca e si mise a scrivere. Carell lo guardò. «Risaliamo a prendere un po' di quell'aria di cui parlavi» disse. I suicidi non si rendono conto di quante noie sono causa. Si tagliano le vene, o aprono la chiavetta del gas, o si sparano, o si scavano un solco nella testa con una scure, o si buttano dalla finestra più vicina, o a volte mangiano un po' di cianuro o, come sembrava essere il caso del ragazzo sulla branda, si impiccano. Ma non si preoccupano minimamente delle noie che procurano ai tutori della legge. Il fatto è che nella fase iniziale un caso di suicidio viene trattato esattamente come un caso di omicidio. E in un caso di omicidio si devono informare un bel po' di persone collegate con la difesa della legge. Queste persone sono: 1 - L'alto-commissario di Polizia. 2 - Il capo degli agenti investigativi. 3 - Il comandante di Distretto della Investigativa. 4 - La Squadra Omicidi Nord o Sud a seconda di dove è stato trovato il cadavere. 5 - I comandanti del Distretto e della Squadra Investigativa del quartiere in cui il cadavere è stato trovato. 6 - Il medico legale. 7 - Il procuratore distrettuale. 8 - Il Centro comunicazioni (telefono, telegrafo e telescrivente) della Centrale di Polizia. 9 - Il laboratorio della Polizia. 10 - Gli stenografi della Polizia. 11 - I fotografi della Polizia.
Certo non tutte queste persone calano contemporaneamente sulla scena del suicidio. Alcune di loro non hanno nessun motivo serio per tirarsi fuori dal letto a un'ora scomoda, altri, molto semplicemente, lasciano il lavoro a subordinati pagati meno ma ottimamente addestrati. Comunque si può sempre contare su un tenace contingente di uccelli notturni, gruppo nel quale sono compresi un paio di poliziotti della Omicidi, un fotografo, un assistente del medico legale, quattro o cinque agenti di pattuglia, due o più poliziotti del Distretto interessato, e alcuni tecnici del laboratorio. A volte può presentarsi sulla scena anche uno stenografo, ma non sempre. Alle 2,11 del mattino o pressappoco nessuno ha molta voglia di lavorare. Sì, certo, un cadavere rompe la noiosa monotonia delle ore notturne, ed è piacevole rinfrescare i rapporti con i vecchi amici della Omicidi Sud, e può darsi che il fotografo abbia un paio di cartoline pornografiche francesi da far circolare, ma anche considerato tutto questo, nessuno si sente estasiato da un suicidio alle 2,11 del mattino. Soprattutto quando fa freddo. E che facesse freddo non c'era dubbio. I poliziotti della Omicidi Sud avevano l'aria di essere stati tirati fuori da una cella frigorifera un paio di minuti prima. Arrivarono camminando con le gambe rigide, le mani affondate nelle tasche del cappotto, la testa china, il cappello floscio calzato basso sulla fronte. Uno alzò la testa il tempo necessario per dire ciao a Carell, poi tutti e due seguirono lui e Kling nello scantinato. «Qua giù è un po' meglio» disse il primo poliziotto. Si fregò le mani, diede un'occhiata al cadavere, poi disse: «Immagino che nessuno di voi abbia una fiaschetta, vero?» Guardò gli altri a uno a uno. «No. Non ce l'ha nessuno» disse cupo. «L'agente Dick Genero ha scoperto il cadavere verso le due e quattro» disse Carell. «La luce era accesa, e non è stato toccato niente.» Il primo poliziotto della Omicidi emise un brontolio e sospirò. «Sarà bene mettersi al lavoro, eh?» disse con scarso entusiasmo. Il secondo poliziotto della Omicidi guardò il cadavere. «Stupido» borbottò. «Non poteva aspettare che facesse giorno?» Guardò Kling. «Tu chi sei?» chiese. «Bert Kling» disse Kling. Come se il pensiero avesse cominciato a roderlo nell'attimo in cui aveva visto il cadavere, disse: «Credevo che il corpo di uno che si è impiccato dovesse penzolare nel vuoto.» Il poliziotto della Omicidi lo guardò fisso, poi si rivolse a Carell. «Questo qui è un poliziotto?» chiese.
«Certo» disse Carell. «Pensavo che avessi portato con te un tuo parente per fargli provare un po' d'emozione.» Tornò a rivolgersi a Kling. «No, ragazzo» disse. «Non è detto che il cadavere debba penzolare. Ne vuoi una prova?» Indicò la branda. «Là c'è uno che si è impiccato, e il cadavere non penzola nel vuoto, ti pare?» «Be'... no, infatti.» «Sei un genio» disse Carell. Non stava sorridendo. Agganciò lo sguardo di quello della Omicidi e non lo mollò. «Sono passabile» disse quello della Omicidi. «Non appartengo ai fuoriclasse dell'Ottantasettesimo, però sono nella polizia da ventidue anni ormai e nella mia carriera ho risolto un bel po' di rebus.» Nessuna ironia né sarcasmo nella voce di Carell quando rispose. Lo fece in tono impassibile, apparentemente serio. «Uomini come te fanno onore alla polizia» disse. Il poliziotto della Omicidi guardò Carell con sospetto. «Cercavo soltanto di spiegare...» «Certo» disse Carell. «Questo stupido ragazzo non capisce che il cadavere non deve necessariamente penzolare nel vuoto. Vedi, Bert, abbiamo trovato corpi di suicidi in piedi, seduti e sdraiati.» Si rivolse a quello della Omicidi. «Non è così?» «Certo. Se ne trovano in tutte le posizioni.» «Certo» confermò Carell. «Un suicida non è tenuto a sembrare tale.» Nella sua voce era affiorata una certa durezza. Kling aggrottò la fronte e guardò con apprensione quelli della Omicidi. «Cosa ne pensi del colore?» domandò Carell. Il poliziotto che si era vantato della sua capacità si accostò al nuovo argomento con cautela. «Come hai detto?» chiese. «Il colore blu. Interessante, no?» «Impedisci a uno di respirare e avrai un bel cadavere di colore blu» disse quello della Omicidi. «Chiaro e semplice.» «Certo» disse Carell. La durezza del suo tono era più marcata adesso. «Molto semplice. Parla al ragazzo dei nodi laterali.» «Cosa?» «Il nodo della corda. Preme di lato sul collo del cadavere.» Quello della Omicidi si avvicinò alla branda e guardò il corpo. «E con questo?» disse. «Credevo che un esperto come te in morti impiccati l'avesse notato» dis-
se Carell, con durezza ormai totalmente palese. «Certo che l'ho notato. E allora?» «Credevo che tu volessi spiegare a un agente investigativo inesperto come questo ragazzo le varie colorazioni che si riscontrano negli impiccati.» «Senti, Carell...» cominciò l'altro poliziotto della Omicidi. «Lascia parlare il tuo amico, Fred» interruppe Carell. «Non vogliamo perdere il parere di un esperto.» «Di che cosa diavolo stai parlando?» «Joe, ti sta prendendo in giro» disse Fred. Joe si voltò a guardare Carell. «Mi stai prendendo in giro?» «Non vedo il perché» disse Carell. «Spiega la faccenda dei nodi, esperto.» Joe sbatté le palpebre. «Nodi, nodi... Di che cosa parli?» «Ecco. Certamente saprai» disse Carell quasi con dolcezza «che un nodo laterale comprime totalmente le arterie e le vene soltanto su un lato del collo.» «Certo che lo so» disse Joe. «E saprai, naturalmente, che quando il nodo della corda si trova su un lato del collo di solito la faccia diventa di colore rosso, mentre abbiamo una faccia pallida se il nodo è stretto sulla nuca. Questo lo sai, vero?» «Certo che lo so» disse Joe in tono arrogante. «E si può riscontrare una colorazione blu tanto nei casi di nodo laterale quanto in quelli di nodo sulla nuca, perciò cosa vieni a raccontarmi? Ho avuto almeno una decina di casi di strangolamento con colorazione blu.» «Quanti casi di colorazione blu per avvelenamento da cianuro hai avuto?» «Eh?» «Come fai a sapere che la causa della morte è stata l'asfissia?» «Eh?» «Li hai visti quei turaccioli bruciacchiati sulla cassetta d'arance? L'hai vista la siringa vicino alla mano del ragazzo?» «Certo che li ho visti.» «Secondo te era un tossicomane?» «Immagino di sì. Secondo me lo era» disse Joe. Fece una pausa e si sforzò di immettere sarcasmo nella sua voce. «E qual è il parere delle menti superiori dell'Ottantasettesimo?» «A giudicare dai segni sulle braccia direi che era un tossicomane» disse
Carell. «Anch'io ho visto le sue braccia» disse Joe. Cercò nei meandri ristretti della sua intelligenza qualcos'altro da dire, ma non trovò niente. «Ritieni che il ragazzo si sia iniettato una dose prima di impiccarsi?» domandò Carell in tono soave. «Potrebbe averlo fatto» rispose Joe, cauto. «Se l'ha fatto, è tutto un po' strano, no?» disse Carell. «In che senso?» chiese Joe, precipitandosi incautamente nella trappola. «Se si era appena fatto un'iniezione avrebbe dovuto essere felice. Mi chiedo allora perché si è ucciso.» «A volte i drogati diventano tristi» disse Fred. «Senti Carell, lascia perdere. Si può sapere che cosa vuoi dimostrare?» «Soltanto questo: i cervelloni dell'Ottantasettesimo non gridano al suicidio finché non hanno visto il rapporto dell'autopsia, e forse nemmeno allora. Che cosa te ne pare, Joe? O tutti i cadaveri con colorazione blu indicano automaticamente morte per strangolamento?» «Bisogna vagliare i fatti» disse Joe «e bisogna riunirli tutti in un unico quadro.» «Ecco un'acuta osservazione sull'arte dell'indagare, caro Bert» disse Carell. «Stampatela bene in mente.» «Ma dove diavolo sono i fotografi» disse Fred. «Vorrei cominciare a lavorare sul cadavere. Scoprire almeno chi diavolo è il ragazzo.» «Lui non ha nessuna fretta» disse Carell. 3 Il nome del ragazzo morto era Anìbal Hernandez. I ragazzi che non erano portoricani lo chiamavano Annabelle. Sua madre lo chiamava Anìbal e pronunciava il suo nome con una sorta di magniloquenza spagnola, ma adesso la magniloquenza era resa povera dal dolore. Carell e Kling avevano scalato le rampe di gradini fino all'ultimo piano della casa e avevano bussato alla porta dell'appartamento numero 55. Lei aveva aperto immediatamente quasi che fosse stata là dietro in attesa, sapendo che ci sarebbero state visite. Era robusta, con seno ampio e capelli neri lisci. Indossava un abito modesto, non aveva trucco sulla faccia e le guance erano rigate di lacrime. «Polizia?» chiese. «Si» disse Carell.
«Entrate, "por favor". Prego, entrate.» L'appartamento era estremamente quieto. Niente interrompeva il silenzio, nemmeno i suoni sordi del sonno. In cucina era accesa una piccola lampadina. «Accomodatevi in salotto» disse la signora Hernandez. La seguirono, e lei accese la lampada a stelo del piccolo tinello. C'era molta pulizia nella casa, ma l'intonaco del soffitto, pieno di crepe, pareva sul punto di cadere a pezzi, e una perdita d'acqua del calorifero aveva causato un grosso rigonfiamento nel linoleum consunto che copriva il pavimento. I due agenti investigativi si sedettero di fronte alla signora Hernandez. «Si tratta di vostro figlio...» si decise a dire Carell. «Si» disse la signora Hernandez. «Anìbal non si sarebbe mai ucciso.» «Signora Hernandez...» «Qualsiasi cosa gli altri dicano, so che non si sarebbe mai ucciso. Ne sono sicura. Di questo sono sicura. Allibai, no. Mio figlio non si sarebbe mai tolto la vita.» «Perché ne siete tanto sicura, signora?» «Perché lo so. Io lo so.» «Da che cosa vi viene questa certezza?» «Perché conosco mio figlio. Era un ragazzo troppo felice per... Lo è sempre stato. Anche a Portorico. Era sempre felice. La gente felice non si uccide.» «Da quanto siete in questa città, signora Hernandez?» «Io ci sono da quattro anni. Prima è venuto qui mio marito e poi ha fatto venire me e mia figlia. Ci ha fatto venire quando tutto era a posto, capite. Dopo aver trovato un lavoro. Ho lasciato Anìbal a Catano con mia madre. Conoscete Catano?» «No» disse Carell. «È di fronte a San Juan, dall'altra parte della baia. Da Catano si vede tutta la città. Si vede perfino La Perla. Noi abitavamo a La Perla prima di andare a Catano.» «Che cos'è La Perla?» «Un "fanguito". Come dite voi?, il getto?» «Ghetto.» «Ecco, sì, un ghetto.» Una pausa. «Anche là, anche quando giocava nel fango, anche quando era affamato, mio figlio era felice. Lo si capisce quando uno è felice, "señor". Lo si capisce. Poi a Catano stavamo meglio,
ma non bene come qui. Mio marito ha fatto venire qui me e Maria. Maria è mia figlia. Ha ventun'anni. Noi siamo arrivate quattro anni fa. Poi abbiamo fatto venire Anìbal.» «Quando?» «Sei mesi fa.» La signora Hernandez chiuse gli occhi. «Siamo andati a prenderlo a Idlewild. Lui aveva portato la sua chitarra. Era molto bravo a suonare la chitarra.» «Sapevate che vostro figlio era un tossicomane?» chiese Carell. La signora Hernandez tacque a lungo prima di rispondere. Poi disse: «Sì» e si serrò le mani in grembo. «Da quanto tempo si drogava?» chiese Kling dopo aver guardato Carell con esitazione. «Da tanto.» «Quanto?» «Quattro mesi, credo.» «Ed era in città soltanto da sei mesi?» disse Carell. «Ha cominciato a Portorico?» «No, no. No» disse la signora Hernandez scuotendo la testa. «"Señor", non c'è niente di questa roba sull'isola. Quelli che si drogano hanno bisogno di molto denaro, no? Portorico è povera. No. Mio figlio ha imparato a drogarsi qui, in città.» «Sapete come ha cominciato?» «Si» disse la signora Hernandez. Sospirò, e quel sospiro fu una resa disperata a un problema troppo complesso per lei. Era nata e cresciuta in un'isola piena di sole, e suo padre aveva tagliato canna da zucchero, e pescato durante la morta stagione, e tante volte lei se n'era andata in giro scalza e affamata, ma c'erano il sole e la ricca vegetazione tropicale. Quando si era sposata, il marito l'aveva portata a San Juan, lontano dal piccolo centro di Comerio. San Juan era stata la sua prima città di una certa importanza, e lei era stata presa dal nuovo ritmo della vita. Il sole splendeva anche lì, ma lei non era più l'adolescente scalza che entrava nell'emporio del villaggio a scherzare con Miguel, il proprietario. La prima figlia, Maria, era nata quando la signora Hernandez aveva diciotto anni. Sfortunatamente pressappoco nello stesso periodo il marito aveva perso il lavoro, e loro si erano spostati a La Perla, un antico ghetto raccolto ai piedi del castello Morro. La Perla... Al quartiere il nome gliel'avevano dato gli abitanti, vessati dalla miseria ma ricchi di umorismo, perché quella gente la potete privare di ogni loro avere, toglierle persino la camicia, buttarla nuda nel-
le sbilenche baracche di legno che sorgono nel fango sotto le mura arroganti del fortino spagnolo, ma non potrete mai derubarla della loro vena umoristica. La Perla, e una figlia di nome Maria, e due aborti susseguenti, e poi un'altra figlia che era stata chiamata Juanita, e poi il trasferimento a Catano quando il marito della signora Hernandez aveva trovato lavoro in una piccola ditta di confezioni del piccolo centro. Una domenica, mentre la signora Hernandez era incinta di Anìbal, tutta la famiglia era andata a El Yunque nel Bosque Nacional del Caribe, la Foresta delle Piogge, e là, intanto che il padre stava facendo una fotografia alla moglie e alla figlia più grande, Juanita, che non aveva ancora due anni, si era trascinata carponi fino all'orlo di uno strapiombo di venti metri. La bambina non aveva fatto rumore, non aveva nemmeno gridato, ma la caduta l'aveva uccisa sul colpo, e quel giorno loro erano tornati dal parco nazionale con un cadavere. La signora Hernandez aveva anche temuto di perdere il bambino che portava in grembo. Ma non era stato così. Anìbal era nato, e un battesimo aveva seguito di poco un funerale. Poi la fabbrica di Catano aveva chiuso, e il signor Hernandez, perso il lavoro, aveva riportato la famiglia a La Perla dove Anìbal aveva passato i primi anni della sua infanzia. La madre aveva allora ventitré anni. Il sole splendeva ancora, ma non era stato il sole ad accentuare i segni agli angoli degli occhi, quei segni che una volta sottolineavano le risate. La signora Hernandez stava arrivando ai ferri corti con la vita. La vita e la fortuna si erano combinate per trovare altro lavoro al signor Hernandez. La famiglia era tornata a Catano con le sue povere cose convinta che questa volta il trasferimento sarebbe stato per il meglio. Era sembrato un lavoro definitivo. Per molti anni era durato, le cose avevano l'aria di andare bene, e la signora Hernandez aveva ripreso a ridere e il marito le diceva che lei era ancora la donna più bella che lui conoscesse e lei accettava il suo amore con tutta la passione del suo sangue caldo, e i figli, Maria e Anìbal, crescevano. Quando lui aveva perso il lavoro che era sembrato permanente, la signora Hernandez aveva consigliato di lasciare l'isola e trasferirsi sul continente, in città. Denaro, ne avevano per un biglietto d'aereo. Lei gli aveva incartato un pezzo di pollo da mangiare in viaggio, e lui aveva indossato un vecchio cappotto dell'Esercito perché aveva sentito dire che in città faceva molto freddo, che non era affatto come a Portorico, che non c'era sempre il sole come li.
Col tempo, era riuscito a trovare un lavoro come scaricatore al porto. Allora aveva fatto venire la signora Hernandez e uno dei figli. Lei aveva portato con sé Maria perché non è bene per una ragazza stare senza la madre. Anìbal l'aveva lasciato con la nonna. Il ragazzo si era riunito al resto della famiglia dopo tre anni e mezzo. Dopo quattro anni sarebbe finito apparentemente suicida nello scantinato di una casa di città. Mentre la signora Hernandez ripensava alla sua vita, le lacrime cominciarono a scorrere silenziose sulla sua faccia, e lei sospirò ancora, un sospiro triste e profondo come una tomba vuota, e i due poliziotti stavano seduti là a guardarla, e Kling aveva un unico desiderio: uscire da quell'appartamento, via da quell'atmosfera di morte. «Maria...» disse la donna singhiozzando «è stata Maria a farlo cominciare.» «Vostra figlia?» domandò Kling, incredulo. «Si, mia figlia. Mia figlia. I miei due figli, tutti e due drogati. Loro...» S'interruppe. Le lacrime le impedivano di parlare. I due poliziotti aspettarono. «Non so come sia potuto succedere» disse lei alla fine. «Mio marito è un brav'uomo. Ha sempre lavorato. Anche adesso, in questo momento, sta lavorando. E io non sono stata una brava donna? Ho forse sbagliato con i miei figli? Ho insegnato loro a onorare Dio, ho insegnato loro ad andare in chiesa, ho insegnato loro a rispettare i genitori.» Con orgoglio, disse: «I miei figli parlano l'inglese meglio di chiunque altro nel "barrio". Volevo che fossero americani. Americani.» Scosse la testa. «La città ci ha dato molto. Un lavoro per mio marito e una casa fuori dal fango. Ma la città con una mano ci ha dato e con l'altra ci ha tolto. E vi giuro, "señores", che non avrei scambiato con niente, non con la lucida vasca del bagno, con la televisione del salotto, con niente, avrei scambiato la vista dei miei bambini intenti a giocare felici all'ombra del fortino. Felici. Felici...» Si morse le labbra. Le morse con forza, e Carell si aspettò di vederle sanguinare, sorpreso, poi, che non uscisse sangue. La donna smise di tormentarsi le labbra e si raddrizzò sulla poltrona. «La città» disse lentamente «ci ha accolti. Su un piano di eguaglianza? No, questo no. Ma posso capirlo. Siamo cittadini nuovi, siamo forestieri. Succede sempre cosi con i nuovi, vero? Non importa se è brava gente: siccome sono nuovi, sono gente cattiva. Ma questo si può sopportarlo. Lo si può sopportare perché in città ci sono amici e parenti, e il sabato sera è
come essere di nuovo sull'isola, con le chitarre che suonano, e le risate. E la domenica si va in chiesa, e per la strada si salutano i vicini, e ci si sente bene, "señores", ci si sente molto bene e si riesce a perdonare quasi tutto. Però non si può essere grati per quello che la città ha fatto ai nostri figli. Non si può avere gratitudine per la droga. Si ricordano tante cose. Si ricorda... Si ricorda nostra figlia, con le gambe nude, i seni piccoli, e gli occhi felici fino al giorno in cui quei "bastardos", quei "chulos" me l'hanno portata via. E adesso mio figlio. Morto... morto. Morto, morto, morto.» «Signora Hernandez» disse Carell, e avrebbe voluto allungare un braccio e stringerle le mani «noi...» «Avrà importanza il fatto che siamo portoricani?» chiese lei di colpo. «Cercherete lo stesso chi l'ha ucciso?» «Se è stato ucciso, troveremo l'assassino» promise Carell. «"Muchas gracias"» disse la signora Hernandez. «Grazie. Io... io so che cosa pensate. I miei figli tutti e due drogati, mia figlia che fa la prostituta, ma credetemi, noi...» «Vostra figlia...» «Sì! Sì. Per potersi pagare quel vizio.» Tutto a un tratto la sua faccia si sgretolò. Fino a un attimo prima era stata una bella faccia, e poi, improvvisamente, si sgretolò, e lei tirò un respiro lunghissimo reprimendo un lungo singhiozzo tormentoso e poi lo lasciò sgorgare, un singhiozzo strappato all'animo. Il singhiozzo ferì Carell che sentì una morsa allo stomaco, che sentì la faccia irrigidirsi nella pena impotente. La signora Hernandez parve sospesa all'orlo di un baratro. Rimase attaccata là disperatamente, a lungo, poi sospirò e tornò a guardare i due poliziotti. «"Perdoneme"» mormorò. «Possiamo parlare con vostra figlia?» domandò Carell. «"Por favor! ". Sì, vi prego, fatelo. Lei potrà aiutarvi. La troverete a "El Centro". Conoscete il locale?» «Sì» disse Carell. «La troverete là. Lei... lei può aiutarvi. Se accetta di parlare con voi.» «Ci proveremo» disse Carell. Si alzò. Contemporaneamente si alzò anche Kling. La donna voltò la testa a guardare la finestra. «Guardate» disse «è quasi mattino. Sta arrivando il sole.» Uscirono. In silenzio, i due uomini scesero in strada. Carell aveva la sensazione che il sole non avrebbe mai più avuto splendore per la madre di Anìbal Hernandez.
4 La zona di competenza dell'87° Distretto era delimitata a nord dal River Harb e dalla grande arteria stradale che ne seguiva il corso tortuoso. Di là, scendendo a sud, e percorrendo il quartiere di Isola strada dopo strada, si incontrava Silvermine Road con le sue eleganti case d'abitazione che s'affacciavano sul fiume da una parte e su Silvermine Park dall'altra. Proseguendo sempre verso sud si attraversava lo Stem, poi Ainsley Avenue, poi Culver Avenue, e poi la corta Mason Street che i portoricani chiamavano "La Via de Putas". Nonostante l'attività di Maria Hernandez, "El Centro" non era in Mason Street. Il locale era seminascosto in una stradina laterale, in uno dei trentacinque isolati che, disposti parallelamente, formavano la zona est e quella ovest del distretto. Entro la giurisdizione dell'87° vivevano italiani ed ebrei e moltissimi irlandesi, ma "El Centro" era in una strada abitata esclusivamente da portoricani. In città esistevano numerosi posti dove sì poteva trovare di tutto, da un rifornimento di cocaina a un rifornimento di donne, qualsiasi cosa contemplata dal dizionario. "El Centro" era uno di quei posti. Il proprietario del locale viveva nello Stato confinante, oltre il fiume. Era molto raro che si facesse vedere a "El Centro". Preferiva lasciare tutto affidato all'abilità manageriale di Terry Donohue, un grosso irlandese dai pugni solidi. Come irlandese, Donohue era un tipo alquanto insolito: i portoricani gli erano simpatici. E non che gli piacessero unicamente se erano di sesso femminile. Certo le portoricane gli piacevano, ma neh"87°Distretto c'erano parecchi americani che detestavano i forestieri, però ammiravano in segreto l'ondeggiare morbido dei fianchi di una donna forestiera. A Terry piacevano indiscriminatamente, uomini e donne. Inoltre gli piaceva dirigere "El Centro". Aveva lavorato in taverne sparse dappertutto, e affermava con orgoglio che "El Centro" era la peggiore, però gli piaceva lo stesso. Il fatto è che a Terry Donohue piaceva quasi tutto. Ma considerate le caratteristiche del locale che dirigeva c'era da stupirsi che trovasse qualcosa di piacevole in un poliziotto, eppure Steve Carell gli piaceva, e quando il poliziotto fece la sua comparsa nel locale, qualche ora più tardi, lui lo salutò calorosamente. «Ehi, razza di mascalzone d'un oriundo!» gridò. «Ho saputo che ti sei
sposato!» «Infatti» disse Carell con un sorriso un po' stupido. «Quella povera ragazza deve essere matta» disse Terry scuotendo la grossa testa. «Le manderò un mazzo di condoglianze.» «La povera ragazza è del tutto sana di mente» ribatté Carell. «Ha scelto lo scapolo più in gamba della città.» «Senti, senti, senti!» gridò Terry. «Come si chiama, ragazzo mio?» «Teddy.» «Terry?» chiese Terry con aria incredula. «Hai detto Terry?» «Teddy. Diminutivo di Theodora.» «Theodora e poi?» «Franklin.» Terry piegò la testa di lato. «Irlandese, per caso?» «L'hai trovato quello che sposa un'irlandese» disse Carell ridendo. «Un bufalo come te se la sognerebbe una dolce ragazza irlandese» disse Terry. «È scozzese» disse Carell. «Magnifico!» urlò Terry. «Io sono irlandese per quattro quinti con l'aggiunta di un quinto di buon scozzese.» «Pfff» fece Carell. Terry si grattò la testa. «A questa battuta di solito i poliziotti ridono. Che cosa bevi, Steve?» «Niente. Sono qui per lavoro.» «Un goccio d'alcool non ha mai compromesso nessun lavoro.» «Hai visto Maria Hernandez?» «Andiamo, Steve!» disse Terry. «A casa hai una dolce ragazza scozzese, e cerchi...» «Ho detto lavoro» disse Carell. «Va bene, va bene» disse Terry. «Un uomo coerente in una città fatta di inconsistenze.» «Incoerenze» corresse Carell. «Comunque, oggi Maria non si è ancora fatta vedere. È per suo fratello?» «Si.» «Anche lui tossicomane, eh?» «Sì.» «Se c'è una cosa che mi fa andare in bestia sono i narcotici» disse Terry. «Hai mai visto uno spacciatore qui dentro, Steve?»
«No» disse Carell. «Ma ne ho visti parecchi fuori, sul marciapiede.» «Certo, perché il cliente ha sempre ragione e prende quello che vuole. Ma non hai mai visto uno di quegli schifosi bastardi dentro il mio locale, e non ce ne vedrai mai, questo è certo.» «Quando ti aspetti che arrivi?» «Prima delle due non compare, ammesso che si faccia vedere. Lo sai come sono i tossicomani, Steve. Sempre presi a far conti, calcoli, progetti. Sono pronto a scommettere che il presidente della General Motors ha meno impegni di un tossicomane.» Carell guardò l'orologio. Erano le 12,27. «Tornerò più tardi» disse. «Adesso tenterò di mangiare qualcosa.» «Mi stai offendendo!» disse Terry. «Perché?» «Non hai mai letto la mia insegna? Bar e Tavola calda, c'è scritto. Lo vedi quel banco là in fondo? Qui si fanno le migliori colazioni di tutta la città.» «Ah, sì?» «Oggi c'è "arroz" con pollo. Specialità della casa. Abbiamo una bella ragazza che fa da mangiare.» Terry sorrise. «Fa la cuoca di giorno e la puttana di notte. Però il suo "arroz" con pollo è la fine del mondo, ragazzo mio.» «Com'è la ragazza?» Terry si mise a ridere. «Non te lo so dire. Io l'ho provata soltanto come cuoca.» «Mi sono fatto avvelenare in posti peggiori» disse Carell. «Proviamo questa cucina.» Maria Hernandez arrivò a "El Centro" soltanto alle tre del pomeriggio. Un ingenuo arrivato lì dal centro città in cerca di emozioni sentimentali probabilmente l'avrebbe scambiata per una dolce timida studentessa. Per quanto sia parere diffuso che le prostitute indossino tutte gonne attillatissime con spacchi che arrivano all'ombelico, non è affatto così. Di regola, le prostitute dell'87° Distretto quasi tutte erano vestite meglio e con maggior eleganza delle altre donne. Ben vestite, ben truccate e ben pettinate, spesso educate e cortesi, le prostitute della zona venivano considerate da parecchie ragazze, sempre della zona, come la crema della società. Paragonabili alle pubblicazioni pornografiche che viaggiano per posta avvolte in classica carta da pacchi, non era possibile dire che cosa ci fosse dietro l'aspetto
di quelle professioniste, a meno di non conoscerle. Carell non conosceva Maria Hernandez. Quando lei entrò nel bar, Carell alzò la testa e vide una ragazza snella che non dimostrava più di diciotto anni. Aveva i capelli neri e gli occhi scuri, e indossava un cappotto verde sopra un maglioncino bianco e una semplice gonna nera. Come una qualsiasi casalinga, portava calze di nylon e scarpe a tacco basso. «Eccola» disse Terry, e Carell fece segno d'aver capito. Maria andò a sedersi su uno sgabello all'estremità del banco, salutò Terry con un cenno, diede una rapida occhiata a Carell per accertare se si trattava o no di un probabile cliente, e poi si mise a fissare la strada attraverso i cristalli della vetrina. Carell le si avvicinò. «La signorina Hernandez?» disse. Lei fece ruotare lo sgabello. «Sì?» disse in tono riservato. «Sono Maria.» «Sono della polizia» disse Carell, per metterla sull'avviso prima che la ragazza sprecasse tempo e fatica. «Non so perché mio fratello si sia ucciso» disse Maria, in tutt'altro tono, adesso. «Altre domande?» «Un paio. Possiamo andarci a sedere in uno scomparto?» «Mi piace stare qui» disse Maria. «A me no. O in uno scomparto o al posto di polizia. Scegliete voi.» «Un tipo con le idee chiare, eh?» «Ci provo.» Maria scivolò giù dallo sgabello. Insieme si avviarono a uno scomparto di fronte al banco della tavola calda. Lei si tolse il cappotto e si infilò dietro il tavolino, di fronte a Carell. «Vi ascolto» disse. «Da quanto tempo vi drogate?» «Cosa c'entra questo con mio fratello?» «Da quanto tempo?» «Tre anni circa.» «Perché l'avete spinto a cominciare?» «È stato lui a chiederlo.» «Non vi credo.» «Perché dovrei mentire? Una sera è entrato in bagno mentre io mi stavo facendo un'iniezione. Quello sciocco moccioso non ha nemmeno bussato. Ha voluto sapere che cosa stavo facendo e io gli ho dato un assaggio.» «E poi?» «Gli è piaciuto e ne ha voluto ancora. Sapete com'è.»
«No, non lo so. Ditemelo voi.» «Dopo un paio di settimane c'era dentro in pieno. Fine della storia.» «Quando avete cominciato a battere?» «Ehi, sentite...» cominciò Maria. «Posso scoprirlo abbastanza facilmente.» «Qualche tempo dopo aver preso il vizio. Dovevo pure procurarmi il denaro in qualche modo, no?» «Già. Chi vi rifornisce?» «Andiamo, poliziotto! Non potete essere tanto ingenuo!» «Chi riforniva vostro fratello?» Maria non rispose. «Vostro fratello è morto, lo sapete?» disse Carell in tono aspro. «Sì, lo so» rispose Maria. «Cosa volete che faccia? Era uno stupido moccioso. Se ha deciso di uccidersi...» «Forse non si è ucciso.» Maria sbatté le palpebre, sorpresa. «No?» disse in tono cauto. «No. Allora, chi lo riforniva?» «Che importanza ha questo?» «Può darsi che ne abbia molta.» «In ogni caso, io non lo so.» Una pausa. «Sentite» disse lei «perché non mi lasciate in pace? Li conosco io, i poliziotti.» «Davvero?» «Sì. Siete in cerca di qualcosa da avere gratis, vero? Vi siete messo in testa che spaventandomi sareste...» «Io sto cercando soltanto informazioni su vostro fratello» disse Carell. «Già, sarei pronta a scommetterci!» «Vincereste» disse Carell. Maria lo guardò accigliata. «Conosco poliziotti che...» cominciò. «Conosco puttane con la sifilide» disse Carell secco. «Ehi! Non avete il diritto di...» «Piantatela con queste fesserie» scattò Carell. «Io voglio informazioni e basta.» «Okay» disse Maria. «Okay» ripeté Carell. «Io però continuo a non sapere niente» aggiunse Maria. «Avete detto d'essere stata voi a farlo cominciare.» «L'ho detto.» «Bene. Allora probabilmente l'avete messo in contatto voi con uno spac-
ciatore, una volta che c'è stato dentro. Avanti. Chi è?» «Io non l'ho messo in contatto con nessuno. Si è sempre arrangiato per conto suo.» «Maria...» «Che cosa volete da me?» disse lei, animandosi improvvisamente. «Non so niente di mio fratello. Ho perfino saputo da un estraneo che era morto. È un anno che non metto piede a casa mia, quindi come volete che faccia a sapere chi lo riforniva o chi non lo riforniva, o se si riforniva da solo o dava la roba anche ad altri?» «Faceva lo spacciatore?» «Non so niente. Non lo conoscevo nemmeno più, riuscite a capirlo? Se l'avessi incontrato per strada, non l'avrei riconosciuto. Ecco tutto quello che so di mio fratello.» «Mentite» disse Carell. «Perché dovrei mentire? Non c'è nessuno da proteggere. Lui si è impiccato da solo, perciò...» «Ve l'ho già detto» disse Carell. «Può anche darsi che non si sia impiccato da solo.» «State trasformando la morte di un pidocchioso tossicomane in un caso federale» disse Maria. «Perché vi scaldate tanto?» Per un attimo gli occhi della ragazza si velarono. «Sta meglio da morto, credetemi.» «Davvero?» disse Carell. Un silenzio pesante, poi: «Voi mi nascondete qualcosa, Maria. Di che cosa si tratta?» «Niente.» «Che cosa sapete? Che cos'è, Maria?» «Niente.» I loro occhi si incontrarono. Carell studiò quelli della ragazza e capì che lei non gli avrebbe detto più niente. Gli occhi di Maria erano vuoti, opachi. Quegli occhi le avevano tappato la bocca. «Va bene» disse. Al medico legale non piaceva trattare con gente che non conosceva. Era sempre stato così. Non gli piacevano le facce nuove e non gli piaceva confidare un segreto agli estranei. Il medico legale aveva un grosso segreto, e Bert Kling era un estraneo, quindi il medico legale osservò la faccia del poliziotto e ripassò mentalmente di controvoglia i fatti a sua conoscenza chiedendosi fino a che punto avrebbe dovuto rivelarli. «Come mai hanno mandato voi?» chiese. «Non potevano aspettare il
rapporto ufficiale? Che cos'è tutta questa fretta?» «Carell mi ha chiesto di venire a sentire da voi, dottor Soames» disse Kling. «Il motivo non lo so, però immagino che voglia mettersi a lavorare subito su questo caso e perciò preferisca non aspettare finché arriva il rapporto.» «Non capisco perché non possa aspettare il rapporto» disse Soames. «Tutti gli altri lo aspettano. In tutti gli anni che ho passato qui, tutti hanno sempre aspettato di ricevere il rapporto. Perché dunque non può aspettare anche Carell?» «Vi sarei molto grato se...» «Voi credete di poter piombare qui e avere subito i risultati. Credete che qui dentro non ci sia altro da fare? Lo sapete quanti cadaveri abbiamo qui in attesa di essere esaminati?» «Quanti?» chiese Kling. «Non fate lo spiritoso con me» consigliò Soames. «Sto cercando di spiegarvi che la vostra è una prepotenza. Se non fossi una persona educata vi direi che questa è una colossale rottura di balle.» «Mi dispiace molto di crearvi un fastidio, ma...» «Se vi dispiacesse davvero non me lo creereste. Sentite, non vi passa per la testa che mi piacerebbe infinitamente non dover battere il rapporto? Io scrivo a macchina con due dita, e nessun altro dei miei ragazzi sa fare di meglio. Lo sapete fino a che punto sono scarso di personale? Credete che possa permettermi di dare a ogni caso che si presenta il tipo di attenzione particolare che mi richiedete voi? Dobbiamo procedere con la regolarità di una catena di montaggio. Una interruzione e tutto va a farsi benedire. Quindi, perché non aspettate il rapporto?» «Perché...» «Va bene, va bene!» disse Soames in tono burbero. «Tutto questo cancan per un drogato.» Scosse la testa. «Carell ritiene che si tratti di suicidio?» «Steve è... Credo che lui aspetti di sentire il vostro parere. È per questo che...» «Intendete dire che ha qualche dubbio?» «Ecco, da... da alcuni aspetti, da alcuni indizi... insomma lui non è del tutto convinto che il ragazzo sia morto per... soffocamento.» «E il vostro parere qual è, signor Kling?» «Il mio?» «Sì.» Soames fece una specie di sorriso. «Il vostro.»
«Ecco... io non so che cosa pensare. Questa è la prima volta che... Insomma non avevo mai visto un impiccato.» «Vi intendete di strangolamento?» «No, dottore» disse Kling. «E io sarei tenuto a farvi una lezione di medicina? Sono tenuto per caso a improvvisare corsi di informazione per tutti gli agenti investigativi disinformati che arrivano qui senza invito?» «No, dottore» disse Kling. «Io non intendevo...» «Non stiamo parlando di una impiccagione eseguita con l'esatta tecnica» disse Soames. «Il discorso non è sull'impiccagione fatta da un esperto con un nodo scorsoio che insieme all'improvvisa caduta del corpo nel vuoto provoca la rottura del collo. Qui si tratta di morte per soffocamento, morte per asfissia. Sapete qualcosa sull'asfissia, signor Kling?» «No, dottore. Lo strangolamento è...» «Non stiamo parlando di strangolamento, signor Kling» disse Soames in tono di sufficienza perché l'ignoranza lo seccava quanto gli estranei. «Lo strangolamento, per noi, presuppone l'uso delle mani. Ed è impossibile che uno si ammazzi strangolandosi. La discussione verte sull'asfissia provocata dalla pressione esercitata sulle arterie e sulle vene del collo con corda, filo metallico, fazzoletto, cintura, calza, benda, tovagliolo, sciarpa, reggicalze o cos'altro vi pare. Nel caso di Anìbal Hernandez, a quanto ho capito, per provocare il soffocamento è stata usata una corda.» «Sì» disse Kling. «Sì, una corda.» «In un caso di soffocamento con corda, la pressione della corda stessa sulle arterie del collo...» Soames fece una pausa. «Le arterie del collo, signor Kling, portano il sangue al cervello. Dove vengono compresse il sangue non passa più, e ne consegue un'anemia cerebrale con perdita della coscienza.» «Capisco» disse Kling. «Davvero? La pressione al cervello aumenta e si aggrava perché anche le vene del collo vengono compresse dalla corda che blocca così il flusso sanguigno di ritorno lungo queste vene. Alla fine abbiamo il soffocamento vero e proprio, o asfissia, che causa la morte della persona in stato di incoscienza.» «Già» disse Kling, inghiottendo a vuoto. «L'asfissia, signor Kling, è la conseguenza estrema di una mancanza di ossigeno e un eccesso di anidride carbonica nel sangue.» «È... è molto interessante» disse Kling a disagio.
«Sì, ne sono convinto. La mia cultura in campo medico è costata ai mici genitori qualcosa come ventimila dollari. Le vostre cognizioni nello stesso campo sono molto più a buon mercato. Vi costano soltanto tempo, e tempo mio.» «Mi dispiace di...» «In caso di asfissia la cianosi non è insolita. Comunque...» «Cianosi?...» «Il colore blu della pelle. Comunque, come stavo dicendo, occorrono altri esami per stabilire se la morte è stata causata da asfissia. Bisogna prendere in considerazione lo stato delle mucose nasali, e la gola e... Per brevità diremo che le prove da fare sono tante. Il fenomeno della cianosi è però presente anche in parecchi casi di avvelenamento.» «Oh...» «Già. Considerando le possibilità di un avvelenamento, abbiamo fatto l'esame delle urine, del contenuto dello stomaco, di quello dell'intestino, del sangue, del cervello, del fegato, dei reni, delle ossa, dei polmoni, dei capelli, delle unghie, e dei tessuti muscolari.» Una pausa, poi Soames aggiunse in tono secco: «Ogni tanto abbiamo qualche piccola cosa da fare qui dentro.» «Sì, io...» «Nonostante il concetto errato e diffuso, il nostro interesse principale non è la necrofilia.» «No certo, non lo pensavo affatto» disse Kling, un po' incerto sul significato del termine. «E allora?» disse Soames. «Mettete tutto insieme e che cosa ottenete? Arrivate alla conclusione dell'asfissia?» «E voi?» disse Kling. «Dovreste aspettare il rapporto» disse Soames. «Dovreste veramente aspettare il rapporto. Mi piace scoraggiare le richieste speciali.» «Si tratta di asfissia?» «No. Non è morto per asfissia.» «Allora qual è la causa della morte?» «Avvelenamento da alcaloidi.» «Che cosa sono gli al...» «Per l'esattezza, una dose eccessiva di eroina. Una dose davvero eccessiva. Una dose molto superiore ai fatali due decimi di grammo.» Soames fece una pausa. «Il nostro giovane amico Hernandez ha preso una dose di eroina sufficiente per ammazzare un toro, signor Kling, se mi passate l'e-
spressione.» 5 C'erano almeno un milione di cose da fare. Pareva sempre che ci fossero più cose in attesa di essere portate a termine, di quanto fosse umanamente possibile a un uomo fare, e a volte Peter Byrnes avrebbe voluto avere due teste e quattro mani. Ragionando con fredda logica, lui sapeva che la situazione era sicuramente la stessa in ogni genere di lavoro, ma contemporaneamente pensava che nessun lavoro poteva essere tanto affannosamente balordo come quello del poliziotto. Peter Byrnes era agente investigativo e aveva il grado di tenente, ed era a capo della squadra di tori, cosi erano chiamati gli agenti investigativi, che consideravano l'87° Distretto come casa loro. Il Distretto era davvero, anche se in maniera un po' approssimativa, la loro casa, allo stesso modo in cui un arrugginito battello delle Filippine può diventare la casa per un marinaio di Detroit. In tutta onestà, l'edificio dove aveva sede il Distretto non era un posto molto intimo. Non faceva sfoggio di tende alle finestre, o di tostapane elettrici o di inceneritori per la spazzatura o di comode poltrone o di un cane di nome Rover che piombasse allegramente in salotto portando pipa e pantofole. Aveva una facciata anonima di pietra, che si affacciava su Grover Park, limite sud del territorio dell'87°. Dietro la facciata, appena superato l'ingresso, c'era un locale quadrato con l'impiantito di legno e un banco che pareva quello del giudice di un tribunale. Sul banco, un cartello informava laconicamente che tutti i visitatori dovevano fermarsi li. Così, quando un visitatore si fermava, si trovava di fronte il tenente di servizio, o il sergente di servizio, l'uno e l'altro educati, pieni dì entusiasmo, e disposti a fare di tutto pur di compiacere il pubblico. Al pianterreno dell'edificio erano sistemate le celle, e al piano superiore, dietro finestre protette da grate, e coperte da grate perché i ragazzi del quartiere avevano una simpatica predisposizione a prendere a sassate qualsiasi cosa odorasse anche lievemente di Legge, là dietro c'erano la camera di sicurezza, l'archivio, la sala-agenti, e altri svariati e comodi cubicoli tra cui il gabinetto e l'ufficio del tenente Byrnes. A difesa dell'ufficio del tenente diremo che lì non c'erano orinatoi lungo le pareti. Per lealtà bisogna anche dire che al tenente il suo ufficio piaceva. Ci la-
vorava ormai da un bel po' di anni, ed era arrivato a rispettarlo allo stesso modo in cui si rispetta lo sdrucito guanto destro usato per il giardinaggio. A volte però, cosa vera soprattutto per un Distretto come l'87°, le erbacce del giardino diventavano un po' troppo fitte. Erano questi i momenti in cui Byrnes desiderava ardentemente la testa e le mani supplementari. La festa per il giorno del Ringraziamento non era stata di nessuna utilità e l'avvicinarsi delle vacanze di Natale peggiorava ancora la situazione. Pareva che in prossimità delle feste gli abitanti del quartiere aprissero le barriere alle imprese criminali. Per esempio, gli accoltellamenti in Grover Park erano attività normali e non provocavano certo agitazione all'87°. Però, con l'avvicinarsi delle feste gli abitanti del quartiere si esaltavano nello spirito natalizio e si dedicavano con entusiasmo a decorare le sparse macchie verdi del parco con fiumi di rosso in onore delle festività. Durante l'ultima settimana nel parco si erano avuti sedici accoltellamenti. Anche il commercio di merce rubata che si svolgeva in Culver Avenue era un noto passatempo degli abitanti della zona. Si poteva comprare di tutto, dalla vecchia maschera di uno stregone africano a un frullatore nuovo di zecca. Bastava arrivare al momento giusto con la giusta cifra in contanti. E questo nonostante che la legge giudicasse l'acquisto di merce rubata un reato minore, se il valore della merce non superava i cento dollari, e un crimine se era superiore a una banconota da cento. La legge non turbava i ladri di professione che di giorno asportavano dai negozi e di sera vendevano per la strada. Non turbava nemmeno i tossicomani che rubavano per vendere e avere cosi il denaro per soddisfare il loro vizio. Non turbava nemmeno chi acquistava la merce rubata. Per loro Culver Avenue era il più grande negozio di offerte speciali di tutta la città. La legge disturbava unicamente i poliziotti. E li disturbava soprattutto durante i periodi di feste. Durante quei periodi gioiosi, i grandi magazzini erano superaffollati e i taccheggiatori si avvantaggiavano della protezione offerta loro dalla ressa multicolore. Anche gli acquirenti di merce che scottava erano numerosi dato che c'era da soddisfare le lunghe liste di regali per Natale, e niente sprona di più un ladro a migliori e più grandi imprese quanto un rapido smercio. Quell'anno pareva che tutti fossero ansiosi di fare i loro acquisti di Natale in anticipo, e così Byrnes e i suoi uomini avevano un gran daffare. Avevano un gran daffare anche le prostitute di Mason Street. Byrnes non riusciva a capire che cosa, nel periodo natalizio, spingesse un uomo a cercare un po' di novità. Comunque gli uomini affluivano in periferia, e Ma-
son Street era un ottimo terreno di caccia... e l'apice emotivo di una notte di piacere era molto spesso un'aggressione per rapina in un vicolo. Anche il bere stava assumendo proporzioni eccessive. Eh, che diavolo!, un pover'uomo potrà bene inumidirsi la gola per le feste, no? Certo che può, non c'è una legge che lo proibisca. Ma spesso il bere fa affiorare gli umori cattivi, e gli umori cattivi portano spesso a rivelare crudamente sentimenti primitivi. Eh, che diavolo!, un pover'uomo potrà bene tagliare la gola a qualcuno per le feste, no? Certo, se vuole. Ma quando l'inumidire una gola porta al taglio di un'altra gola, molto spesso viene coinvolta la gola di un poliziotto impegnato a soffiare nel suo fischietto. Tutto quel soffiare nei fischietti faceva venire il mal di testa a Byrnes. Non che il tenente non apprezzasse la musica, solo che lui considerava il fischietto uno strumento particolarmente privo d'immaginazione. Perciò, Peter Byrnes, per quanto devoto credente, era devotamente contento che il Natale venisse una sola volta all'anno. Il Natale serviva unicamente a far affluire nella sala-agenti un gran numero di farabutti, e Dio era testimone che di farabutti ne passavano di lì già abbastanza durante tutto l'anno. A Peter Byrnes i farabutti non piacevano. Byrnes considerava la disonestà un'offesa personale. Lui aveva lavorato per guadagnarsi da vivere fin dall'età di dodici anni, e chiunque decideva che il lavoro era una maniera stupida per guadagnare denaro praticamente definiva Byrnes un cretino. A Byrnes lavorare piaceva. Anche quando il lavoro si accumulava, anche quando gli creava guai e preoccupazioni, anche quando c'era in mezzo al resto il suicidio o l'omicidio o cos'altro fosse di un tossicomane, a Byrnes piaceva lo stesso. Quando il telefono della sua scrivania suonò, Byrnes si irritò per l'interruzione. Sollevò il ricevitore e disse: «Parla Byrnes.» Il sergente di servizio al centralino dietro il banco del pianterreno disse: «È vostra moglie, tenente.» «Passamela» disse Byrnes, in tono seccato. Aspettò. Un paio di secondi, e lungo il filo arrivò la voce di Harriet. «Peter?» «Sì, Harriet» disse lui, e si chiese perché le donne lo chiamassero invariabilmente Peter mentre gli uomini lo chiamavano Pete. «Sei molto occupato?»
«Non ho un attimo di respiro, tesoro» disse lui «ma un momento te lo posso regalare. Che cosa c'è?» «L'arrosto.» «Cos'è successo all'arrosto?» «Non ne avevo ordinato tre chili?» «Mi pare di sì. Perché?» «Li ho ordinati o no? Ti ricordi quando ne abbiamo parlato e abbiamo fatto il calcolo di quanto ce ne sarebbe voluto? Abbiamo deciso per tre chili, no?» «Sì, così mi sembra. Qual è il guaio?» «Il macellaio me ne ha mandato solo due chili.» «Rimandaglielo indietro.» «Non posso. Gli ho già telefonato e lui mi ha detto che ha troppo da fare.» «Troppo da fare?» ripeté Byrnes in tono incredulo. «Il macellaio?» «Sì.» «Ma che cos'altro ha da fare oltre che tagliare pezzi di carne? Non capi...» «Probabilmente mi cambierebbe il pezzo d'arrosto se glielo riportassi io. Lui voleva dire che in questo momento non ha a disposizione un altro ragazzo per le consegne a domicilio.» «E allora riportaglielo tu, Harriet. Non mi pare che sia un problema.» «Non posso uscire di casa adesso, Peter. Sto aspettando il garzone del droghiere.» «Manda Larry» disse Byrnes, in tono paziente. «Non è ancora tornato da scuola.» «Che mi venga un colpo se quel ragazzo non è il più grande studioso che abbiamo mai avuto...» «Peter, lo sai che sta facendo le prove per la recita della scuola» disse Harriet. «Ho una mezza intenzione di telefonare al preside e dirgli...» «Sciocchezze» disse Harriet. «Insomma, a me piace che mio figlio sia a casa per l'ora di cena!» disse Byrnes, furioso. «Peter» disse Harriet «non ho intenzione di impegolarmi in una lunga discussione su Larry e i suoi divertimenti di ragazzo, nessuna intenzione davvero. Volevo semplicemente sapere che cosa devo fare per l'arrosto.» «Aaah! Non lo so. Vuoi che spedisca un'autoradio dal macellaio?»
«Non essere sciocco, Peter.» «E allora che cosa dovrei fare? Fino a questo momento non mi risulta che il macellaio abbia commesso un reato.» «Ha commesso un reato d'omissione» disse Harriet, calma. Involontariamente Byrnes si mise a ridere. «Donna, tu sei troppo furba» disse. «È vero» ammise Harriet. «Allora come faccio per l'arrosto?» «Due chili non sono abbastanza? A me sembra che con due chili si potrebbe nutrire l'Armata Rossa.» «Verrà da noi anche tuo fratello Louis...» «Ah, già!» Byrnes evocò l'immagine del suo mastodontico congiunto. «Hai ragione, ce ne servono tre chili.» Fece una pausa, pensando. «Perché non telefoni al droghiere pregandolo di ritardare la consegna di qualche ora? Cosi potresti scendere dal macellaio e rovesciargli addosso tutti i tuoi diavoli irlandesi. Che te ne pare?» «Mi pare ottimo» disse Harriet. «Sei più intelligente di quello che sembri.» «Alle scuole superiori ho vinto una medaglia di bronzo» disse Byrnes. «Lo so. La porto ancora al collo.» «Allora siamo a posto per l'arrosto?» «Sì. Ti ringrazio.» «Figurati» disse Byrnes. «In quanto a Larry...» «Devo andare di corsa dal macellaio. Tornerai tardi?» «È probabile. Sono davvero in un mare di guai, tesoro.» «Allora non ti faccio perdere altro tempo. Arrivederci, caro.» «Ciao» disse Byrnes, e riattaccò. A volte restava perplesso sul conto di Harriet, donna molto intelligente secondo la normale concezione di intelligenza. Harriet sapeva far quadrare un bilancio con l'abilità di un ragioniere e sapeva ritrovarsi agevolmente in pagine e pagine di contabilità familiare. Si era dimostrata capace di essere la moglie di un poliziotto che passava in casa pochissime ore, ed era riuscita a crescere un figlio quasi sempre da sola. E Larry, nonostante la sua inclinazione per il teatro, completamente estranea alla famiglia Byrnes, era un ragazzo di cui si poteva andare fieri. Sì, Harriet era una donna abile, di buon senso, e soddisfacente a letto. Eppure, a volte, fatti come quello dell'arrosto la mettevano in uno stato di costernata confusione. Donne! Byrnes non sarebbe mai riuscito a capirle. Sospirando, tornò al suo lavoro. Stava leggendo il rapporto di Carell sul
ragazzo trovato morto quando bussarono alla porta dell'ufficio. «Avanti» disse Byrnes. La porta si aprì ed entrò Hal Willis. «Cosa c'è?» chiese Byrnes. «Ecco, si tratta di una faccenda strana» disse Willis. Era piccolo, talmente piccolo che messo a confronto con gli altri agenti investigativi del Distretto sembrava un fantino. Aveva occhi castani sempre ridenti, e la sua faccia mostrava un interesse costante per tutto. Willis aveva anche una certa conoscenza di judo che gli era servita a stendere sulla schiena un buon numero di ladri da strapazzo. «Strana in che senso?» chiese Byrnes. «Il sergente di servizio mi ha passato una telefonata. Io ho risposto ma quello vuol parlare soltanto con te.» «Chi è?» «Ecco, appunto. Non ha voluto dire il suo nome.» «Digli di andare all'inferno» disse Byrnes. «Tenente, quel tale afferma che si tratta del caso Hernandez.» «Ah!» «Già.» Byrnes ci pensò un momento. «Va bene» disse poi. «Passa la telefonata sul mio apparecchio.» 6 Non che Steve Carell fosse a corto di idee. Solo che la situazione era infognata come poche. Anìbal Hernandez era stato trovato cadavere alle due di notte del 18 dicembre. E il diciotto dicembre era un lunedì. Adesso si era a mercoledì pomeriggio, cioè erano passati due giorni, e ancora la situazione era infognata. Il medico legale aveva dichiarato nel suo rapporto che Hernandez era morto in seguito a una dose eccessiva di eroina, modo niente affatto improbabile di finire i propri giorni, per un tossicomane. La siringa trovata accanto alla mano destra di Hernandez era stata esaminata per il rilievo di impronte digitali, e in quel momento si stavano confrontando quelle impronte con quelle rilevate dalle dita irrigidite di Hernandez. Carell era convinto, con assoluta certezza, che le impronte sarebbero risultate diverse. Qualcuno aveva legato la corda attorno al collo di Hernan-
dez quando il ragazzo era già morto, e Carell si sentiva disposto a scommettere che la stessa persona aveva usato la siringa per iniettare la dose fatale di eroina. Stando così le cose, emergevano alcuni problemi. Problemi che, nel loro insieme, ponevano la situazione nel suo stato di atmosfera maleodorante. Perché? Perché, supponendo che qualcuno avesse ucciso Hernandez, supposizione che aveva tutta l'aria di essere più che fondata, e supponendo inoltre che questo qualcuno avesse usato come arma del delitto una siringa riempita con una dose eccessiva di eroina, come mai non aveva pensato a far scomparire l'arma del delitto dalla scena del suddetto? O anche, perché, sempre a questo proposito, il cadavere era stato infilato per così dire in una supposta autotrappola nel tentativo di simulare un suicidio per impiccagione? Erano le difficoltà banali che disturbavano la normale concentrazione di Steve Carell. Naturalmente lui sapeva che potevano esistere un migliaio di motivi per uccidere, nel mondo distorto della droga. Sapeva inoltre che qualcuno con scarsa familiarità con i sistemi della medicina legale poteva pensare ingenuamente di spacciare un avvelenamento per una impiccagione. Ma sapeva anche che negli Stati Uniti adulti e ragazzi andavano a braccetto con il mito delle impronte digitali. Hai commesso un delitto? Allora cancella le impronte digitali, ragazzo mio! Le impronte non erano state cancellate dalla siringa. Le impronte erano là sopra, visibili come un semaforo, in attesa di essere rilevate. Anche la siringa era là, ma se qualcuno avesse voluto simulare una impiccagione, avrebbe lasciato la siringa in bella vista? Possibile che fosse qualcuno tanto stupido da credere che i poliziotti non avrebbero collegato immediatamente la siringa alla possibilità di morte per dose eccessiva di droga? La cosa puzzava. Tutto, puzzava. Carell aveva un naso sensibilissimo, e forse un cervello sensibilissimo. Camminava lungo le strade del quartiere e pensava e si chiedeva da dove doveva cominciare, perché molto spesso un inizio giusto era il miglior congegno salvatempo nel lavoro d'indagine. E per quanto in quel momento lui fosse interessato principalmente nel caso Hernandez, non poteva dimenticare di essere un poliziotto pagato per far rispettare la legge ventiquattr'ore al giorno per trecentosessantacinque giorni all'anno. Quando vide la macchina parcheggiata lungo il marciapiede vicino a
Grover Park, le diede un'occhiata tutt'altro che superficiale. Se fosse stato un semplice cittadino uscito per i quattro passi pomeridiani, l'occhiata superficiale sarebbe stata del tutto normale. Ma essendo un poliziotto tenuto a far rispettare la legge, Carell la guardò attentamente una seconda volta. La seconda occhiata gli permise di accertare che la macchina era una berlina Plymouth del 1939, grigia, con targa numero 42 L-1731. Gli rivelò inoltre che il parafango posteriore destro era ammaccato, e poi gli disse che sul sedile posteriore c'erano due persone entrambe di sesso maschile, entrambe giovani. Due giovani seduti sul sedile posteriore di una macchina lasciavano presupporre l'assenza momentanea del guidatore. Perché quei due ragazzi stavano aspettando seduti in macchina vicino a Grover Park? E chi aspettavano? In quel momento Anìbal Hernandez scomparve del tutto dalla mente di Carell. Con aria indifferente il poliziotto passò accanto alla macchina. I due occupanti della Plymouth non avevano più di vent'anni. Mentre Carell passava, i due ragazzi lo guardarono. E lo guardarono molto attentamente. Carell non si voltò a osservare di nuovo la macchina. Continuò a camminare lungo la strada, poi entrò nella sartoria di Max Cohen. Max, faccia tonda, corona di capelli bianchi che gli cingevano il cranio pelato come un'aureola, alzò la testa quando Carell entrò, e disse: «Salve Steve, che c'è di nuovo?» «Cosa vuoi che ci sia!» disse Carell. Aveva già cominciato a togliersi il cappotto. Max lo osservava con curiosità. «Ti serve che ti dia qualche punto? Oppure hai bisogno di un lavoro di stiratura?» chiese Max. «No. Mi serve un cappotto in prestito. Cosa ne dici di quello marrone appeso là? Credi che mi andrà bene?» «Vuoi che ti presti un...» «Vado di fretta, Max. Te lo riporterò al più presto. Sto tenendo d'occhio un paio di persone.» C'era un tono di urgenza nella voce di Carell. Max lasciò andare l'ago e si affrettò alla lunga sbarra degli abiti finiti. «Non me lo ridurre a uno straccio, per favore» disse. «È già stato stirato.» «Stai tranquillo» lo rassicurò Carell. Prese il cappotto dalle mani di Max, se lo infilò alla svelta e uscì dal negozio. La macchina era ancora ferma accanto al marciapiede lungo il parco. Sul sedile posteriore c'erano ancora i due ragazzi. Carell si fermò sul marciapiede opposto in un punto dove era quasi impossibile vederlo dalla macchina. E si mise ad aspettare,
con pazienza. Il terzo ragazzo comparve dopo una decina di minuti. Uscì dal parco camminando in fretta e puntò direttamente verso la macchina. Carell si mosse immediatamente e attraversò la strada. Il terzo ragazzo non lo vide. Raggiunse la macchina, aprì la portiera dalla parte del volante e salì. Un attimo dopo Carell spalancava la portiera opposta. «Ehi! Cosa...» disse il ragazzo al volante. Carell si protese all'interno della Plymouth. Il cappotto era sbottonato, e la mano destra del poliziotto stava a pochi centimetri dal calcio della rivoltella. «Resta seduto e fermo» disse Carell. I due seduti dietro si scambiarono una rapida occhiata di paura. «Non avete nessun diritto di...» cominciò l'autista. «Stai zitto» disse Carell. «Cosa sei andato a fare nel parco?» «Eh?» «Nel parco. Con chi ti sei incontrato?» «Io? Con nessuno. Ho fatto quattro passi.» «E dove li hai fatti?» «In giro, così...» «Perché?» «Avevo voglia di camminare.» «Come mai i tuoi due amici non sono venuti con te?» «Loro non avevano voglia di camminare.» «Perché rispondi alle mie domande?» buttò lì Carell. «Eh?» «Perché mi rispondi, maledizione? Come fai a sapere che sono un poliziotto?» «Ho... ho immaginato...» «Ti aspettavi guai con la polizia?» «Io? No. lo ero soltanto andato a fa...» «Vuota le tasche!» «Perché?» «Perché io ti dico di farlo!» urlò Carell. «Ci mette nei pasticci» disse uno dei ragazzi seduti dietro. «Stai zitto!» ordinò l'autista senza voltarsi. «Sto aspettando» disse Carell. Il ragazzo al volante infilò una mano in tasca e lentamente, con gesti cauti, tirò fuori un pacchetto di sigarette che depose sul sedile accanto e poi lo coprì in fretta con un pettine, un portafoglio e un mazzo di chiavi.
«Fermo così» disse Carell. Piano piano, con l'indice, spinse di lato il pacchetto di sigarette. Sotto, prima coperta dal pacchetto, c'era una piccola busta. Carell la prese, l'aprì, si fece cadere un po' di polvere bianca sul palmo della mano, e poi l'assaggiò. I ragazzi lo guardavano senza parlare. «Eroina» disse Carell. «Dove l'hai presa?» Il ragazzo al volante non rispose. «L'hai comperata nel parco?» «Ce l'ho trovata» disse il ragazzo. «Ah, sì? Dove l'hai comprata?» «Vi ho detto che l'ho trovata.» «Sentimi bene, che tu l'abbia trovata o che sia piovuta in eredità, l'incriminazione per possesso di droga te la becchi lo stesso. Faresti invece un favore a te stesso se mi dicessi chi è lo spacciatore che te l'ha procurata.» «Lasciateci fuori da questa storia» disse uno dei due seduti dietro. «Noi non abbiamo droga addosso. Perquisiteci. Su, avanti, perquisiteci.» «Intendo incriminare tutti e tre per aver agito di concerto. Allora, chi te l'ha spacciata?» «L'ho trovata» ripeté il ragazzo. «Okay, furbone» disse Carell «l'hai trovata. Hai la patente per guidare la macchina?» «Certo che ce l'ho.» «Allora metti in moto e andiamo.» «Dove?» «Prova a indovinare» disse Carell. S'infilò sul sedile e sbatté lo sportello. Quello che piaceva maggiormente a Roger Havilland era interrogare gli indiziati, soprattutto se poteva interrogarli da solo. Roger Havilland era il toro più grosso dell'87° Distretto e sicuramente il più fetente figlio di puttana di tutto il mondo. In tutta coscienza non si poteva biasimare Havilland per il suo comportamento verso i teppisti in generale. Una volta Havilland aveva tentato di sedare una rissa da strada e ne era uscito con un braccio rotto in quattro punti. Fino a quel momento Havilland era stato un poliziotto d'animo gentile, ma una frattura multipla che dopo essersi rinsaldata aveva dovuto essere spaccata di nuovo e rimessa a posto perché in caso contrario l'osso non si sarebbe riaggiustato nel modo dovuto non gli aveva giovato. Era uscito dall'ospedale col braccio risanato e con una nuova filosofia. Havilland non sarebbe mai più stato colto alla sprovvista. Havilland avrebbe picchiato prima e fatto le domande dopo.
Ecco perché la cosa che gli piaceva di più era interrogare gli indiziati, soprattutto se poteva farlo senza testimoni e senza collaborazione. Sfortunatamente quel mercoledì pomeriggio, 20 dicembre, nella stanza degli interrogatori c'era Carell con lui. Il ragazzo beccato con addosso l'eroina stava seduto su una sedia con la testa alta e un'espressione di sfida negli occhi. I due trovati sul sedile posteriore della macchina venivano interrogati separatamente e da un'altra parte dagli agenti investigativi Meyer e Willis. Lo scopo di quegli interrogatori collegati tra loro ma non congiunti era quello di scoprire da chi i ragazzi avevano comperato la droga. Non c'era gusto ad arrestare un tossicomane. Quello stava male e poi la città doveva sostenere le spese di trenta giorni di disintossicazione senza aiuto di medicinali, che poi significava trenta giorni di carcere. L'uomo importante era lo spacciatore. Se gli agenti investigativi dell'87° avessero voluto sbattere dentro un centinaio di drogati al giorno, tutti con in tasca un tipo o l'altro di droga, non avrebbero dovuto fare altro che mettersi a girare per le strade del loro Distretto. Il possesso non autorizzato di un qualsiasi quantitativo di droga è un'infrazione alla Legge per la Salute Pubblica e quindi un reato minore. Il trasgressore, se arrestato, avrebbe sicuramente passato trenta giorni o anche di più nel carcere di Isola, poi, una volta tornato libero, si sarebbe rimesso in cerca di droga. Lo spacciatore era in una posizione più pericolosa. Secondo la legge dello Stato, il possesso di un certo quantitativo di droga era reato grave. I quantitativi erano: 1 «Sette grammi o più di composti all'uno per cento di eroina, morfina o cocaina.» 2 «Cinquantasette grammi o più di altri narcotici.» Il possesso di questi quantitativi era punibile con il carcere da uno a dieci anni. Inoltre il possesso di un quantitativo ammontante a cinquantasette o più grammi di composti contenenti il tre per cento, o una percentuale maggiore, di eroina, morfina o cocaina, o a quattrocentosessanta grammi di altre droghe, secondo la legge stabiliva irrefutabilmente l'intenzione di vendere. Drogarsi non era considerato un reato, ma la situazione poteva mettersi male se uno possedeva o droga o arnesi per l'uso di droga, il cui possesso era considerato reato. Il ragazzo che aveva fatto il suo acquisto in Grover Park era stato trovato in possesso di un grammo e mezzo circa di eroina che probabilmente gli
era costata cinque dollari. Il ragazzo era un pesce piccolo. Gli agenti investigativi dell'87° erano interessati alla persona che gli aveva venduto la merce. «Come ti chiami?» chiese Havilland al ragazzo. «Ernest» rispose il ragazzo. Era alto e magro, con un gran ciuffo di capelli biondi che adesso gli ricadeva mestamente sulla fronte. «Ernest e poi?» «Hemingway.» Havilland guardò Carell, poi tornò a rivolgersi al ragazzo. «Va bene, campione, ci riproveremo» disse. «Come ti chiami?» «Ernest Hemingway.» «Non ho tempo da perdere con un delinquente che fa lo spiritoso» gridò Havilland. «Che cosa vi succede?» disse il ragazzo. «Voi mi avete chiesto come mi chiamo e io...» «Se non vuoi dover raccogliere i tuoi denti dal pavimento, farai bene a darmi una risposta giusta. Come ti chiami?» «Ernest Hemingway. Sentite, che cosa...» Havilland lo schiaffeggiò con un gesto rapido e quasi senza metterci forza. La testa del ragazzo girò di scatto da un lato, e Havilland alzò la mano per un secondo schiaffo. «Piantala, Rog» disse Carell. «Quello è il suo nome. C'è anche sulla patente.» «Si chiama Ernest Hemingway?» chiese Havilland incredulo. «Che cosa c'è di strano?» disse il ragazzo. «Si può sapere cos'è che vi rode?» «C'è un tale, uno scrittore» disse Carell. «Anche lui si chiama Ernest Hemingway.» «Ah, sì?» disse Hemingway. Fece una pausa, poi con aria pensosa disse: «Non ne ho mai sentito parlare. Posso fargli causa?» «Non credo» disse Carell in tono secco. «Chi ti ha venduto quel grammo e mezzo?» «Il vostro amico scrittore» rispose Hemingway, ridendo soddisfatto. «Questo vuol fare il furbo» disse Havilland. «Mi piace quando sono cosi astuti. Ragazzo, tra non molto desidererai di non essere mai nato.» «Ascoltami bene» disse Carell «in questo modo peggiori soltanto la tua posizione. Puoi beccarti trenta giorni o novanta, dipende da te e dalla collaborazione che ci darai. Può anche darsi che ti diano la condizionale.»
«Me lo promettete?» «Non posso fare promesse. La decisione spetta al giudice. Ma se gli diciamo che ci hai aiutato a prendere uno spacciatore, potrebbe essere disposto a dimostrare indulgenza.» «Ho forse la faccia di un informatore?» «No» rispose Havilland. «Molti informatori sono più belli di te.» «Cosa faceva questo pidocchio prima di diventare poliziotto?» chiese Hemingway. «Il comico alla televisione?» Havilland sorrise, poi schiaffeggiò Hemingway sulla bocca. «Stai fermo con quelle mani» disse Carell. «Non sono tenuto a essere preso in giro da uno stupido tossicomane. Non sono tenuto a...» «Stai fermo con quelle maledette mani!» ripeté Carell, a voce più alta, questa volta. «Se hai bisogno di tenerti in allenamento, vai alla palestra della Centrale.» «Senti, io...» «Allora, ragazzo?» disse Carell a Hemingway. «Chi diavolo credi di essere, Carell?» chiese Havilland. «Chi diavolo credi di essere tu, Havilland?» disse Carell. «Se non vuoi interrogare questo ragazzo nella maniera corretta, togliti di torno. Sono io che l'ho arrestato.» «Cos'è? Hai paura che gli rompa la testa, per caso?» chiese Havilland in tono petulante. «Non voglio dartene l'occasione» disse Carell, e si rivolse a Hemingway. «Allora, figliolo?» «Lasciate perdere la commedia del "figliolo", poliziotto» disse il ragazzo. «Io vi spiffero il nome dello spacciatore e finisco in galera lo stesso.» «Forse ti farebbe piacere che dicessimo di averti trovato con sette grammi invece che con uno e mezzo» suggerì Havilland. «Questo non potete farlo, spaccone» disse Hemingway. «Oggi abbiamo raccolto abbastanza droga da riempire un mercantile» mentì Havilland. «Chi può sapere quanta ne abbiamo trovata addosso a te?» «Voi lo sapete che era soltanto un grammo e mezzo» disse Hemingway, meno baldanzoso, adesso. «Sì, ma chi altro lo sa oltre a noi? Puoi beccarti dieci anni per il possesso di sette grammi, amico. E sopra mettici l'intenzione di vendere la droga ai tuoi amici che ti aspettavano fuori.»
«Chi aveva intenzione di venderla? Cristo! Io l'ho solo comperata. Ed era un grammo e mezzo, non sette grammi!» «Già» disse Havilland. «Ma è un vero peccato che siamo soltanto noi a saperlo, no? Allora, come si chiama lo spacciatore?» Hemingway rimase in silenzio, a pensare. «Possesso di sette grammi di eroina con intenzione di spacciarla» disse Havilland a Carell. «Mettiamolo nel rapporto, Steve.» «Ehi, aspettate un momento» disse Hemingway. «Non vorrete davvero incastrarmi in questa maniera!» «Perché no?» disse Havilland. «Non sei un mio parente.» «Ma... non si potrebbe...» Hemingway s'interruppe. «Non possiamo...» «Il nome dello spacciatore» disse Carell. «Un certo Gonzo.» «È il nome o il cognome?» «Non lo so.» «Come sei entrato in contatto con lui?» «Era la prima volta che sentivo il suo nome» disse Hemingway. «Parlo di oggi. Oggi è stata la-prima volta che mi sono rifornito da lui.» «Certo, certo» disse Havilland. «È vero» disse Hemingway. «Prima comperavo da un altro ragazzo. Ci incontravamo nel parco, vicino alla gabbia del leone. Mi rifornivo lì da quell'altro ragazzo, e così oggi sono andato al solito posto fissato per gli incontri e ci ho trovato questo tipo mai visto. Mi ha detto di chiamarsi Gonzo e che aveva merce buona. E allora ho corso il rischio di comprare porcheria. Poi è comparsa la legge.» «E i due che stavano sul sedile posteriore?» «Due poppanti. Se ci tenete a dimostrarvi intelligenti, lasciateli andare. Questa storia li ha spaventati a morte.» «È la prima volta che vieni arrestato?» domandò Carell. «Sì.» «Da quanto tempo prendi la droga?» «Circa otto anni.» «Con iniezione?» Hemingway alzò gli occhi. «C'è un altro modo?» chiese. «Gonzo, eh?» disse Havilland. «Sì. Sentite, potrò avere presto una dose? Perché... io comincio a sentirmi male. Avete capito?» «Signore, consideratevi guarito» disse Havilland.
«Eh?» «Dove finirai, non si fissano appuntamenti vicino alla gabbia del leone.» «Mi sembrava che aveste detto che potevo avere la condizionale.» «Potresti averla. Ma ti aspetti che ti riforniamo fino al momento della sentenza?» «No, ma credevo... Gesù, ma non c'è un medico qui?» «Da chi ti rifornivi abitualmente?» domandò Carell. «Cosa volete dire?» «Quando andavi alla gabbia del leone. Hai detto che non avevi mai visto Gonzo. Chi era lo spacciatore, prima?» «Ah, sì. Sentite, non potete chiamare un medico che mi dia una dose? Sapete che... voglio dire che mi sentirò male e sporcherò il pavimento e...» «Ti daremo uno straccio per pulire» disse Havilland. «Chi era l'altro spacciatore?» domandò ancora Carell. Hemingway sospirò. «Si chiamava Annabelle.» «Una prostituta?» chiese Havilland. «No, un ragazzo spagnolo. Annabelle. È un nome spagnolo.» «Anìbal?» domandò Carell, tutti i sensi all'erta. «Sì.» «Anìbal e poi?» «Fernandez, Hernandez, Gomez... Come si fa a ricordare i nomi di questi spagnoli? A me sembrano tutti uguali.» «Era Anìbal Hernandez?» «Sì. Mi pare di sì. È un nome che suona giusto come qualsiasi altro. Sentite, non posso avere una dose? Vomiterò, sapete?» «Accomodati pure» disse Havilland. Hemingway sospirò ancora, un sospiro profondo, poi aggrottò la fronte, e poi alzò la testa e chiese: «Esiste davvero uno scrittore che si chiama Ernest Hemingway?» 7 Il rapporto del laboratorio sulla corda e quello dell'Ufficio Identificazione Criminali sulle impronte digitali arrivarono quel pomeriggio, più tardi. Nei due rapporti c'era soltanto un'informazione che sorprese Carell. Non fu sorpreso nello scoprire che l'esame della corda trovata attorno al collo di Hernandez escludeva in maniera assoluta la possibilità che il ragazzo si fosse impiccato. Dovete sapere che una corda possiede caratteristiche sue
proprie, tra cui le fibre che la compongono. Se Hernandez si fosse impiccato da solo, avrebbe sicuramente legato per prima una estremità della corda alla sbarra della finestra, poi si sarebbe legato l'altro capo attorno al collo, e poi avrebbe premuto sulla corda con il peso del corpo privandosi del rifornimento di ossigeno. Le fibre della corda risultavano appiattite in modo tale da indicare che il corpo era stato tirato in su. In altre parole, la corda era stata prima legata al collo di Hernandez, poi l'altra estremità era stata passata attraverso le sbarre e tirata fino a far assumere al corpo la posizione di equilibrio precario sulla branda. La pressione delle fibre della corda con il metallo della sbarra aveva conferito alle fibre una direzione rivelatrice. Hernandez poteva essersi anche iniettato da solo una dose eccessiva di eroina, ma sicuramente non si era appeso alla sbarra della finestra. Le impronte trovate sulla siringa parevano escludere completamente l'ipotesi del suicidio, e anche questo non sorprese Carell. Nessuna delle impronte, e ce n'erano parecchie, tutte della stessa persona, tutte molto chiare, coincideva con quelle di Hernandez. Se il ragazzo aveva usato quella siringa, allora l'aveva ripulita per bene prima di darla a una seconda persona sconosciuta. La presenza di una persona sconosciuta fu l'elemento che sorprese Carell. L'Ufficio Identificazione aveva fatto un lavoro approfondito sulle impronte, e il risultato era stato del tutto negativo. Chiunque avesse maneggiato quella siringa, chiunque avesse, come si supponeva, iniettato l'eroina a Hernandez, non aveva precedenti penali. Non era ancora stato interpellato l'FBI, ma Carell era comunque deluso. In cuor suo aveva sperato che la persona in grado di procurarsi una siringa e la grande quantità di eroina servita a uccidere Hernandez fosse qualcuno con precedenti penali. Stava rimuginando sulla sua delusione, quando il tenente Byrnes si affacciò dal suo ufficio. «Steve» chiamò «posso vederti un momento?» «Sì, tenente» disse Carell. Si alzò e andò nell'ufficio di Byrnes. Il tenente non parlò finché la porta non venne richiusa. «Brutto inizio, eh?» disse poi. «Come?» «Non poter cavare niente da quelle impronte, intendevo.» «Già. Ci contavo proprio.» «Anch'io» disse Byrnes. I due uomini si guardarono in silenzio, pensosi.
«Ce n'è una copia?» chiese poi Byrnes. «Delle impronte?» «Sì.» «Ce l'ho io.» «Posso averla?» «Il controllo è stato già fatto. Noi non potremo certo...» «Lo so, Steve. Solo che ho un'idea e vorrei... vorrei lavorarci.» «Riguardo al caso Hernandez?» «Più o meno.» «Non vuoi dirmi niente?» «No, Steve.» Una pausa. «Non ancora.» «Bene» disse Carell. «Quando te la sentirai, allora.» «Lasciami quelle impronte prima di andartene, eh?» disse Byrnes con un accenno di sorriso. «Certo» disse Carell. «Non ti serve altro?» «Sì, che te ne vada. Probabilmente hai una gran voglia di tornare a casa.» Una pausa. «Come sta tua moglie?» «Bene» rispose Carell. «Ne sono contento. È importante avere...» Byrnes scosse la testa e lasciò la frase a metà. «Bene, vai, Steve, non voglio trattenerti oltre.» Quella sera, quando arrivò a casa, Steve Carell era preoccupato e perplesso. Teddy gli andò incontro alla porta, lo salutò e lui la baciò distrattamente in una maniera niente affatto da sposo novello. Lei lo guardò con espressione curiosa, lo accompagnò in salotto dove lo aspettava un aperitivo e poi, sconcertata dal suo umore poco comunicativo, tornò in cucina a finire di preparare la cena. Anche quando lei servì la cena, Carell non disse niente. Teddy era nata priva di udito e della parola, e così nella piccola cucina il silenzio era totale. Lei lo guardava spesso, chiedendosi se per caso l'avesse offeso in qualche modo, sperando di vedere parole formarsi sulle sue. labbra, parole che lei sapeva leggere e capire. Alla fine Teddy allungò una mano sopra il tavolo e toccò una mano del marito, e i suoi occhi, grandi occhi scuri nell'ovale della faccia, si spalancarono in un'espressione di supplica. «No, non è niente» disse Carell in tono dolce. Ma gli occhi scuri continuarono a interrogare. Teddy piegò la testa di lato, i corti capelli neri stagliati nettissimi contro la parete bianca alle sue
spalle. «Sì, si tratta di questo caso» ammise lui. Lei fece un segno di aver capito, e aspettò il resto, sollevata dal sapere che la causa della sua preoccupazione era il lavoro e non lei. «Perché mai uno lascia tutta una serie di impronte perfette sull'arma del delitto e poi abbandona l'arma in un posto dove qualsiasi poliziotto, anche il più stupido, può trovarla?» Teddy si strinse nelle spalle e poi mosse la testa su e giù. «E perché simulare un suicidio per impiccagione? Cosa credeva l'assassino? Di avere a che fare con un branco di idioti? Oh, Cristo!» Scosse la testa, seccato. Teddy spinse indietro la sedia, girò attorno al tavolo e gli si sedette sulle ginocchia. Poi gli prese una mano e gli guidò il braccio a cingerle la vita, gli si strinse addosso e lo baciò sul collo. «Smettila» le disse lui, e poi, rendendosi conto che Teddy non poteva vedere le sue labbra perché teneva la faccia premuta sotto il suo mento, la prese delicatamente per i capelli e le tirò indietro la testa, e ripeté: «Smettila. Come faccio a pensare al caso se tu ti comporti cosi?» Teddy fece un gran gesto con la testa dicendogli così che lui aveva capito bene le sue intenzioni. «Sei un disastro» disse Carell, sorridendo. «Mi distruggerai. Tu credi che...» Teddy lo baciò sulla bocca. Carell si ritrasse lentamente. «Tu lasceresti...» Lei lo baciò di nuovo, e questa volta lui ritardò un poco a ritrarsi. «... una siringa con le impronte digitali in un... mmmmmmmmm!» La faccia di Teddy era vicinissima alla sua e lui vedeva bene lo splendore degli occhi e la pienezza dolce delle labbra. «Oh, Dio, donna!» disse. Lei si alzò e lo prese per mano, e quando Teddy lo trascinò verso la porta, Carell la fece girare su se stessa e disse: «I piatti. Dobbiamo lavare i piatti» e Teddy con un gesto scherzoso buttò in su la gonna nel gesto delle ballerine di can-can. In salotto lei gli diede un foglio di carta piegato accuratamente a metà. «Non sapevo che volessi sbrigare la corrispondenza» disse Carell. «Credevo che avessi intenzione di sedurmi.» Con un gesto impaziente Teddy indicò il foglio di carta. Carell spiegò il foglio. Sopra c'erano quattro quartine battute a macchina e in alto il titolo della lirica: "Ode per Steve".
«Per me?»chiese lui. Sì, fece lei con la testa. «È questo che fai tutto il giorno invece di sgobbare come una schiava?» Indicando la poesia, lei lo sollecitò a leggere. Ti amo, Steve io t'amo tanto e voglio andare dove tu vai E viceversa nel tempo stesso se tu ritorni sarò con te Così mio caro il mio messaggio ora continua con un versetto: Se vai io vado torni io ritorno restiamo andiamo venivamo insieme. «L'ultimo verso è un po' zoppo» disse Cardi. Teddy fece una smorfia scherzosa di disgusto. «Inoltre mi sembra di avvertire un contenuto di suggestioni sensuali nel concetto espresso» aggiunse Carell. Teddy fece sfarfallare una mano, si strinse nelle spalle con aria ingenua e poi, come una stella del varietà che imita una famosa indossatrice, si avviò verso la camera da letto sculettando con grazia provocante. Carell sorrise, ripiegò il foglio, lo infilò nel portacarte, andò fino alla porta della camera e si appoggiò allo stipite. «Lo sai che non hai bisogno di scrivere poesie» disse. Teddy lo guardò dal fondo della stanza. Lui guardò la moglie, si chiese vagamente perché mai Byrnes avesse voluto una copia delle impronte digitali, e poi disse con voce roca: «Ti basta chiedere.»
Byrnes voleva soltanto chiedere. La menzogna, secondo il suo punto di vista, era composta di due parti, quindi, una volta che lui avesse chiesto, tutto si sarebbe chiarito. Era per questo che se ne stava seduto in macchina ad aspettare. Ma per chiedere qualcosa bisogna trovare la persona a cui chiedere. Una volta trovata la persona la si mette con le spalle al muro e si dice: "Stammi a sentire un momento, tu, è vero che..." Ma era proprio questo il modo? Era questo, dannazione, era questo, e come mai un uomo vissuto sempre onestamente si trovava tutto a un tratto immischiato in una cosa del genere? No! Maledizione, no! Era una bugia. Una stupida bugia. C'era un cadavere e qualcuno stava tentando di... Ma se non fosse stata affatto una bugia? Se la prima parte della bugia fosse stata invece verità, soltanto la prima parte, allora cosa doveva fare? Allora allora... Allora qualcosa bisognava fare. Ma che cosa? Che cosa devo dire se la prima parte della bugia è verità? Come mi muovo? Questa prima parte della bugia, questa prima parte soltanto è sufficiente. Sufficiente a far sospettare a un uomo di essere pazzo, se la prima parte era vera, se questa prima parte era vera, ma no, no, non poteva essere vero! Ma forse invece lo era. Affronta questa possibilità. Affronta la possibilità che la prima parte sia vera e progetta le tue mosse partendo da qui. E se anche l'altra cosa era vera, e risultava vera, quanto male ne sarebbe venuto! Non soltanto a Byrnes, ma anche ad Harriet. Dio!, perché Harriet doveva soffrire, Harriet che non se lo meritava, e il Dipartimento di polizia, quale danno ne sarebbe venuto per il Dipartimento di polizia... Gesù, fai che non sia vero, fai che sia una sporca maledetta bugia... Stava seduto lì in macchina e aspettava sicuro di riconoscerlo subito non appena fosse uscito dall'edificio. L'edificio era nel quartiere di Calm's Point, dove Byrnes abitava, ed era circondato da prati con alberi tutto attorno alle aiuole verdi, alberi nudi adesso che era inverno, con le radici irrigidite nel terreno gelato, la base dei tronchi imbiancata dalla neve. Nell'edificio c'erano le luci accese, e le luci erano di un caldo color ambra nella grigia atmosfera invernale, e Byrnes guardava le luci e pensava. Byrnes era tozzo, con la testa leggermente a pera. Gli occhi erano azzurri e piccoli ma non perdevano un particolare, ed erano incastonati in una faccia olivastra e segnata dalle intemperie e solcata dalle rughe. Il naso
sembrava tagliato nel legno come gli altri lineamenti, e la bocca aveva una linea decisa, col labbro superiore sottile e quello inferiore carnoso. Il mento pareva un pezzo di roccia, e la testa appoggiava bassa sulle spalle, quasi incassata sul collo, in atteggiamento di difesa. Stava seduto in macchina e osservava il proprio respiro uscire in nuvolette bianche dalle labbra. Allungò un braccio per ripulire con la mano guantata il parabrezza appannato e poi vide che dall'edificio cominciava a uscire gente. Erano ragazzi. Ridevano e scherzavano fra loro. Uno si fermò a fare una palla di neve e la buttò addosso a una ragazza che strillò di paura allegra. Il ragazzo la inseguì ridendo, e Byrnes aspettò, cercando una faccia e una figura conosciute. Adesso c'erano molti più ragazzi. Troppi per riconoscere qualcuno da lontano. Byrnes smontò in fretta dalla macchina, e il freddo lo aggredì immediatamente. Inarcò le spalle e andò verso l'edificio. «Salve, signor Byrnes» disse un ragazzo, e Byrnes rispose con un cenno osservando attento le facce dei ragazzi che gli passavano accanto. Poi, di colpo, come inghiottita da una cavità, la marea cessò. Lui si volse a guardare i ragazzi che si allontanavano in fretta, poi respirò a fondo e salì di corsa i gradini passando sotto l'arco che portava scolpite le parole "Scuola Superiore di Calm's Point". Non era più stato nella scuola da quando era andato alla cerimonia di apertura di... quanti anni prima? Byrnes scosse la testa. Un padre dovrebbe seguire di più queste cose, pensò. Dovrebbe preoccuparsene? Ma come avrebbe potuto sospettare, come avrebbe potute prevenire... Harriet. Harriet avrebbe dovuto esercitare una maggiore sorveglianza e stare più attenta, se era vero, se quella cosa era vera. Immaginò che la riunione si tenesse nell'auditorio. Certo era lì che si trovavano. Se dentro c'era ancora qualcuno, li avrebbe trovati nell'auditorio. La scuola era silenziosa, ormai chiusa fino al giorno seguente, e lui poteva sentire l'eco dei suoi passi sul pavimento di marmo. Trovò l'auditorio seguendo l'istinto, e sorridendo penosamente pensò che in fondo non era un cattivo investigatore, ma, Cristo!, che danno avrebbe portato al Dipartimento di polizia quella faccenda? Aprì la porta. In fondo al salone, vicino al pianoforte c'era una donna. Byrnes raddrizzò le spalle e si avviò lungo il passaggio centrale. Nell'enorme salone dal soffitto altissimo c'erano soltanto lui e la donna. Lei alzò gli occhi a guardarlo, aspettando. Era robusta, sui quarantacinque anni, e portava i capelli raccolti sulla nuca. La faccia era gradevole, con grandi occhi scuri e dolci.
«Desiderate?» chiese la donna, testa alta, sopracciglia inarcate, voce forte. «Posso esservi utile?» «Forse sì» disse Byrnes riuscendo a sorridere. «È qui che fate le prove della recita dei grandi?» «Sì» rispose la donna. «Io sono la signorina Kerry. Mi occupo io dello spettacolo.» «Felice di fare la vostra conoscenza» disse Byrnes. Di colpo si sentì a disagio. Alla base della sua missione c'era la segretezza e la discrezione, e lui non era nello stato d'animo di scambiare piacevolezze con una insegnante di scuola. «Ho visto andarsene i ragazzi e le ragazze» disse. «Infatti» disse la signorina Kerry, sorridendo. «Già che mi trovavo da queste parti mi sono fermato pensando di riaccompagnare a casa mio figlio. Lui partecipa allo spettacolo.» Riuscì a fare un altro sorriso. «A casa non fa che parlarne.» «Ah, davvero?» disse la signorina Kerry, compiaciuta. «Eh, si. Però non l'ho visto uscire con gli altri, e allora mi sono chiesto se per caso...» guardò verso il palcoscenico buio «... non l'aveste trattenuto per lavorare...» una pausa e un calo di tono «alle scene o per provare...» «Probabilmente vi è sfuggito» disse la signorina Kerry. «Se ne sono andati tutti qualche minuto fa.» «Tutti quanti?» chiese Byrnes. «Anche Larry?» «Larry?» la signorina Kerry aggrottò la fronte, pensando. «Oh, sì, Larry, certo! Mi dispiace, ma Larry è uscito con gli altri.» Byrnes provò un sollievo immenso. Per lo meno le prove dello spettacolo giustificavano le serate di suo figlio. A questo riguardo Larry non aveva mentito. Il sorriso si allargò sulla sua faccia. «Scusatemi, allora» disse. «Mi dispiace di avervi disturbato.» «Non ditelo nemmeno. Dovrei essere io a scusarmi per non aver ricordato immediatamente il nome di Larry. È l'unico Larry impegnato nella recita ed è anche molto bravo.» «Bene, mi fa piacere» disse Byrnes. «Sì, signor Schwartz» disse la signorina Kerry «dovete essere molto orgoglioso di vostro figlio.» «Infatti, lo sono, e mi fa piacere sentire...» Byrnes s'interruppe. Per un attimo tremendo, lunghissimo, fissò la signorina Kerry in silenzio. Poi disse: «Mio figlio è Larry Byrnes.» La signorina Kerry si accigliò. «Larry Byrnes. Oh, mi dispiace! Volevo
dire... vostro figlio non prende parte allo spettacolo. Vi ha detto che era impegnato nella recita? In realtà lui non... non ha nemmeno chiesto di farne parte.» «Capisco» disse Byrnes, teso. «Spero di non aver... forse il ragazzo aveva un motivo suo per farvi credere di essere... Questi comportamenti non si possono sempre giudicare dall'apparenza, signor Byrnes. Sicuramente il ragazzo aveva dei buoni motivi.» «Sì, certo» disse Byrnes in tono amaro. «Temo proprio che li avesse.» Ringraziò di nuovo la signorina Kerry e se ne andò lasciandola nell'immenso auditorio vuoto. 8 Byrnes era seduto in salotto e ascoltava il ritmico monotono ticchettare della pendola. Quell'orologio gli era sempre stato di consolazione, e aveva desiderato possederne uno fin da quando era un bambino. Non avrebbe saputo dire perché aveva sempre desiderato una pendola sua, però l'aveva sempre desiderata, e un giorno lui e Harriet se n'erano andati in macchina fuori città e si erano fermati in una vecchia baracca ridipinta in rosso e bianco e contrassegnata dalla scritta "Antiquario". Il proprietario del negozio, un tale piccolo e magro dai gesti effeminati, vestito da elegantone di paese, completo di giacca sportiva con martingala e toppe di camoscio ai gomiti, aveva fluttuato tra le sue porcellane rare e i suoi cristalli, svolazzando ansioso attorno ad Harriet ogni volta che lei prendeva in mano un pezzo di vasellame. Finalmente avevano trovato la pendola. Ce n'erano parecchi di orologi di quel tipo. Uno costava 573 dollari, era stato fabbricato in Inghilterra e portava la data di fabbricazione e la firma dell'artigiano che l'aveva costruito. Eterna, bella macchina del tempo, era ancora perfettamente funzionante. Un altro era stato fatto in America, non portava né firma né data, e probabilmente avrebbe avuto bisogno di una buona riparazione, però costava soltanto 200 dollari. Quando si era accorto che l'interesse di Byrnes verteva sull'orologio meno costoso, il proprietario del negozio aveva immediatamente cancellato quei clienti dall'elenco degli intenditori. In tono caustico aveva detto: "Certo che se volete una pendola di tipo dozzinale..." e aveva concluso la pratica dell'acquisto con disprezzo appena appena velato. Byrnes si era portato a casa la pendola di tipo dozzinale. L'orologiaio vicino a casa gli aveva fat-
to pagare 14 dollari per metterla in condizioni di funzionare e da allora l'orologio non aveva mai dato a Byrnes il più piccolo guaio. Adesso la pendola era sistemata nell'atrio e scandiva i minuti con voce bassa e monotona, e le lancette finemente lavorate disegnavano un ampio sorriso sulla bianca faccia rotonda del quadrante, e il sorriso diceva che erano le due meno dieci. Adesso dall'orologio non veniva consolazione, nessuna consolazione veniva dal suo respiro ritmico e regolare. Curioso, ma all'orologio non si collegava nemmeno la sensazione del tempo. Ne veniva invece un senso disperato d'urgenza, con quelle lancette che avanzavano, il meccanismo che ronzava, quasi non in sincrono col passare del tempo, quasi scollegati dall'universo, quasi che all'improvviso, quando le lancette si fossero sovrapposte, l'orologio sarebbe esploso lì nell'atrio lasciando di là Byrnes ad aspettare suo figlio da solo. Scricchiolii nella casa. Non aveva mai notato che nella casa di notte ci fossero tanti scricchiolii. C'erano tanti piccoli rumori tutt'intorno a lui, i rumori delle giunture reumatizzate di un vecchio. Dalla camera da letto al piano superiore veniva il suono profondo del respiro di Harriet addormentata, e il suono di quel respiro regolare si sovrapponeva al drammatico ticchettare dell'orologio e agli scricchiolii irregolari della casa. E poi Byrnes sentì un leggero rumore che per lui fu simile allo schianto assordante di un fulmine, il rumore che per tante ore aveva aspettato di sentire, il rumore di una chiave girata nella serratura della porta d'ingresso. In quel momento tutti gli altri rumori scomparvero. Byrnes rimase seduto immobile nella poltrona, teso e attento, mentre la chiave girava nella toppa, e poi la porta si apriva cigolando un poco e lui poté sentire il sibilo maligno del vento, e poi il battente veniva riaccostato senza far rumore e si incastrava silenziosamente nello stipite, e poi l'impiantito dell'atrio scricchiolava sotto il peso di un passo. «Larry?» chiamò Byrnes. La sua voce usci dal buio del salotto e l'eco stagnò nell'aria vuota della casa. Silenzio assoluto per un paio di secondi, e poi Byrnes fu di nuovo conscio del ticchettare della pendola, la sua pendola dozzinale appoggiata serenamente alla parete a guardar scorrere la vita, simile a un perditempo appoggiato alla vetrina di un bar d'angolo. «Papà?» La voce esprimeva sorpresa. La voce era giovane. E la voce era un tantino ansimante come quella di chi si rifugia in una stanza calda dopo
essere stato colto all'esterno da un freddo improvviso. «Vieni qui, Larry» disse Byrnes, e di nuovo incontrò il silenzio, un silenzio calcolato questa volta, rotto soltanto dalla cronometrica tenacia dell'orologio. «Sì, certo» disse Larry, e Byrnes ascoltò il rumore dei passi che risuonavano nella casa. «Va bene se accendo una luce?» chiese Larry. «Sì, fai pure» disse Byrnes. Larry entrò nella stanza muovendosi nel buio con la sicurezza di chi ha abitato una casa per tanto tempo, andò direttamente a un tavolino in fondo al salotto e accese la lampada posata sul ripiano. Era alto, molto più alto del padre. Aveva i capelli rossi e la faccia lunga, col naso pronunciato del padre e gli occhi grigi come la madre e con la sua stessa espressione ingenua. Byrnes osservò la linea debole del mento che non si sarebbe più rinforzata perché l'adolescenza aveva modellato la faccia del ragazzo e quella faccia avrebbe ormai conservato per sempre le sue caratteristiche. Larry indossava una camicia di flanella, pantaloni e giacca sportiva. Byrnes si chiese se avesse lasciato il cappotto in anticamera. «Sei rimasto alzato a leggere?» chiese Larry. La voce non era più da ragazzo. Usciva piena e profonda dal lungo corpo esile e suonava quasi assurda, ridicola in un ragazzo tanto giovane, un ragazzo che non aveva ancora diciotto anni. «No» disse Byrnes. «Stavo aspettando te.» «Eh?» Byrnes guardava il figlio, ascoltando attento, colpito dall'improvviso allarme espresso in quell'unica parola. «Dove sei stato, Larry?» chiese Byrnes. Guardò il figlio in faccia sperando che Larry non avrebbe mentito, dicendosi che una bugia in quel momento l'avrebbe demolito, distrutto. «A scuola» disse Larry, e Byrnes soppesò la bugia e scoprì di soffrirne meno di quanto si era aspettato, e di colpo dentro di lui qualcosa prese il sopravvento, qualcosa di totalmente estraneo ai rapporti tra padre e figlio, qualcosa che lui aveva sempre riservato per la sala-agenti dell'87°. Gli scattò dal cervello alle labbra con la rapidità di riflessi maturata in anni di esperienza. Nello spazio di tre secondi Peter Byrnes si trasformò nel poliziotto che interroga un indiziato. «La scuola superiore?» «Sì, papà.»
«Intendi la scuola superiore di Calm's Point? È lì che sei stato?» «Non lo sai anche tu?» «Te lo sto chiedendo.» «Sì, la scuola di Calm's Point.» «Torni a casa un po' troppo tardi, non ti pare?» «Si tratta di questo, allora?» «Come mai hai fatto così tardi?» «Lo sai che stiamo facendo le prove.» «Di che cosa?» «Della recita. Mondo cane, papà! Ne avremo parlato cento volte!» «Chi altro fa parte della recita?» «Ci sono un sacco di ragazzi e ragazze.» «Chi dirige lo spettacolo?» «La signorina Kerry.» «A che ora avete cominciato le prove?» «Ehi, ma che ti prende?» «A che ora avete finito?» «Verso l'una, più o meno. Poi ci siamo fermati in tre o quattro a bere un'aranciata.» «Le prove sono finite alle dieci e mezzo» disse Byrnes spiccicando bene le parole. «Tu non c'eri. Tu non prendi parte allo spettacolo, Larry. Non ne hai mai fatto parte. Dove hai passato il tempo fra le tre e mezzo di oggi pomeriggio e le due di questa notte?» «Oh, Cristo!» disse Larry. «Non imprecare in questa casa!» disse Byrnes. «Insomma, mi sembri un pubblico accusatore!» «Dove sei stato, Larry?» «E va bene. Non faccio parte della recita» disse Larry. «Va bene? Non volevo dirlo alla mamma. Mi hanno scartato dopo le prime prove. Evidentemente non sono un buon attore. Credevo...» «Sei un pessimo attore e sei anche peggio come ascoltatore. Tu non hai mai fatto parte dello spettacolo, Larry. Mai. Te l'ho detto proprio pochi secondi fa.» «Ecco...» «Perché hai mentito? Che cosa hai fatto?» «Andiamo! Cosa vuoi che abbia fatto?» disse Larry. «Senti papà, io ho sonno. Se per te è lo stesso, vorrei andare a letto.» Larry stava uscendo dalla stanza quando Byrnes gridò: «Non è lo stesso!
Torna indietro!» Larry si voltò lentamente a fronteggiare il padre. «Qui non sei nella tua sudicia sala-agenti, papà» disse. «Non darmi ordini gridando come a uno dei tuoi tirapiedi.» «Questa casa è la mia sala-agenti da più tempo della stanza dell'Ottantasettesimo» disse Byrnes in tono duro. «E piantala con la tua ironia o ti caccio in strada a pedate.» Larry rimase a bocca aperta. Fissò suo padre per qualche secondo, poi disse: «Senti, papà, io davvero non...» Byrnes si alzò di scatto dalla poltrona, andò a mettersi davanti al figlio e disse: «Vuota le tasche.» «Cosa?» «Ti ho detto di...» «Oh, senti, smettiamola con questa storia, eh?» disse Larry, riscaldandosi. «Cerchiamo di stare calmi, eh? E poi, si può sapere cosa diavolo ti succede? Non ti basta di fare il poliziotto durante la giornata? Devi proprio venire a casa a...» «Piantala, Larry. Ti ho avvertito.» «Piantala, tu, piuttosto! Oh, Cristo! Non sono obbligato a sopportare questa specie di...» Di colpo, con forza, Byrnes schiaffeggiò il figlio. Lo schiaffeggiò a mano aperta, una mano callosa che aveva lavorato da quando lui aveva dodici anni, e quella mano adesso schiaffeggiò il figlio con forza sufficiente a far cadere Larry. «Alzati!» disse Byrnes. «Sarà bene che tu non lo rifaccia» borbottò Larry. «Alzati!» Byrnes si chinò, afferrò il figlio per il davanti della camicia, lo rimise in piedi, poi se lo tirò vicino e disse a denti stretti: «Sei un drogato?» Silenzio nella stanza. Pesante, greve. «Co... Come hai detto?» chiese Larry. «Sei un drogato?» ripeté Byrnes. Lo mormorò appena, ma il mormorio risuonò forte nel silenzio della stanza. L'orologio dell'atrio sottolineò la frase con la sua voce monotona. «Chi... chi te l'ha detto?» disse poi Larry. «Lo sei?» «Io... mi diverto un po'.» «Siediti» disse Byrnes in tono stanco.
«Papà, io...» «Siediti, per favore» disse Byrnes. Larry si sedette sulla poltrona lasciata libera dal padre. Per un po' Byrnes camminò avanti e indietro, poi si fermò davanti al figlio e chiese: «A che stadio?» «Non troppo in là.» «Eroina?» «Sì.» «Da quanto?» «Sono circa quattro mesi.» «La fiuti?» «No, no.» «Iniezioni sottocutanee?» «Papà, io...» «Larry! Per endovena?» «Sì.» «Come hai cominciato?» «A scuola. Un paio di ragazzi portavano sigarette. Marijuana, papà. Noi la chiamiamo...» «Lo so» disse Byrnes. «Ecco. Ho cominciato così. Poi mi sembra che qualcuno mi abbia dato una fiutatina di coca, e poi qualcuno mi ha fatto fiutare un po' di ero, e poi... Insomma ho provato un'iniezione leggera.» «Quanto tempo prima di passare all'endovena?» «Circa due settimane.» «Allora ci sei dentro in pieno» disse Byrnes. «Posso smettere quando voglio» disse Larry in tono di sfida. «Certo. Dove te la procuri?» «Senti, papà...» «Te lo sto chiedendo come padre, non come poliziotto» disse Byrnes in fretta. «Su... a Grover Park.» «Da chi?» «Che importanza ha? Senti, papà... io smetterò, va bene? Parlo sul serio. Lo farò. Ma adesso smettiamola. È alquanto imbarazzante, sai?» «Più imbarazzante di quello che credi. Conosci un certo Anìbal Hernandez?» Larry non rispose.
«Senti, figliolo, tu vai a procurarti la tua roba fino a Isola. La comperi nel mio distretto, in Grover Park. Conosci Anìbal Hernandez?» «Sì» ammise Larry. «Lo conosci bene?» «Ho comperato da lui un paio di volte. Era un mulo, papà. Uno che procura la roba ad altri ragazzi, e per lo più si tratta di uno che si droga anche lui.» «So che cos'è un mulo» disse Byrnes. «Quante volte esattamente hai comperato da lui?» «Te l'ho detto, un paio di volte.» «Vuoi dire due volte?» «Be', un po' di più.» «Tre?» «No.» «Quattro? Per amor del cielo, Larry, quante volte?» «Ecco... insomma per dire la verità, ho comprato quasi sempre da lui. Sai com'è, si comincia con uno spacciatore e se la roba che lui dà è buona non si cambia. Comunque Hernandez era un bravo ragazzo. Qualche volta ci siamo drogati insieme, sai? Gratuitamente, voglio dire. Lui non mi faceva pagare niente. Mi dava la roba gratis. Era un ragazzo a posto.» «Continui a dire "era". Sapevi già che è morto?» «Sì. Ho sentito dire che si è impiccato.» «Adesso ascoltami attentamente, Larry. L'altro giorno ho ricevuto una telefonata. Quello che ha chiamato...» «Da chi?» «Una telefonata anonima. Ho risposto perché la persona che chiamava ha detto che era in relazione alla morte di Hernandez. È stato prima che ricevessimo il rapporto del medico legale.» «E allora?» «La persona al telefono mi ha detto un paio di cose sul tuo conto.» «Di che genere? Che mi drogo?» «Non solo questo.» «Allora che cosa?» «Mi ha detto dove eri e che cosa stavi facendo la notte tra il diciassette e il diciotto dicembre.» «Ah, sì?» «Sì.» «E dove sarei stato secondo la tua telefonata?»
«In un seminterrato con Anìbal Hernandez.» «Ah, sì?» «Così mi ha detto la persona che ha telefonato.» «E con questo?» «È vero?» «Può darsi che lo sia.» «Larry, non rimetterti a fare il furbo! Cerca di aiutarmi! Io...» «Va bene, va bene. Ero con Annabelle.» «Da che ora a che ora sei stato con lui?» «Da... lasciami pensare... saranno state circa le nove. Sì, dalle nove circa a mezzanotte, più o meno. Sì. L'ho lasciato verso mezzanotte.» «Nel pomeriggio eri stato con lui?» «No. L'ho incontrato per la strada verso le nove. Poi siamo andati giù nel seminterrato.» «Dopo averlo lasciato sei venuto direttamente a casa?» «No. Ero intontito. Annabelle si era già appisolato sulla branda, e io non volevo correre il rischio di addormentarmi là. Sono uscito e ho camminato un po'.» «A che ora sei arrivato a casa?» «Non lo so. Molto tardi.» «Cosa significa molto tardi?» «Le tre, le quattro.» «Fino a mezzanotte c'eri tu solo con Hernandez?» «Sì.» «E quando l'hai lasciato lui dormiva?» «Dormicchiava. Sai, quando non si è né svegli, né addormentati.» «Quanta droga si è iniettato Hernandez?» «Ci siamo divisi un grammo e mezzo.» «Ne sei sicuro?» «Sicurissimo. L'ha detto Annabelle quando ha tirato fuori la bustina. Ha detto che era un grammo e mezzo. Voglio dirti una cosa. Sono stato contento di essere con lui. Non mi piace farmi un'iniezione da solo. È una cosa che mi spaventa. Ho sempre paura di una dose eccessiva.» «Hai detto che vi siete fatti l'iniezione insieme. Avete usato tutti e due la medesima siringa?» «No. Annabelle aveva la sua e io la mia.» «E dov'è adesso il tuo armamentario?» «Ce l'ho io. Perché?»
«Hai ancora la tua siringa?» «Certo.» «Dimmi con esattezza quello che è successo.» «Non capisco.» «Dopo che Annabelle ti ha mostrato la bustina, che cos'avete fatto?» «Io ho preso la mia siringa e lui la sua. Poi abbiamo scaldato la droga in alcuni tappi di bottiglia per scioglierla, e...» «I tappi che sono stati trovati sulla cassetta d'arance proprio sotto la lampadina?» «Sì, mi pare. Si. C'era una cassetta d'arance quasi in mezzo al locale.» «Quando ti sei avvicinato alla cassetta hai portato con te la siringa?» «No, non mi pare. Mi sembra che le abbiamo lasciate tutt'e due sulla branda.» «E poi cos'avete fatto?» «Abbiamo fatto sciogliere la droga e siamo tornati alla branda. Annabelle ha preso la sua siringa, io ho preso la mia, le abbiamo caricate e ci siamo fatti l'iniezione.» «È stato Annabelle a prendere la siringa per primo?» «Mi pare di sì.» «Non può darsi che abbia preso quella sbagliata?» «Cioè?» «Non può darsi che abbia usato la tua siringa?» «No, la conosco bene la mia. No, è impossibile. Io mi sono fatto l'iniezione con la mia siringa.» «E quando sei venuto via?» «Non capisco la domanda, papà.» «Non potresti aver lasciato là la tua siringa e aver preso per errore quella di Annabelle?» «Non vedo come avrei potuto sbagliare. Subito dopo esserci fatti l'iniezione, Annabelle... senti, aspetta un momento, mi fai confondere.» «Che cosa è successo esattamente?» «Dunque, ci siamo fatti l'iniezione, e poi probabilmente abbiamo messo giù le siringhe. Ecco, sì. Poi Annabelle visto che stava per partire si è alzato, ha preso la siringa e l'ha messa nella tasca della giacca.» «Tu lo stavi guardando attentamente?» «No. Ricordo soltanto che si stava soffiando il naso... i tossicomani hanno sempre il raffreddore, sai? Poi si è ricordato della siringa, l'ha presa e l'ha messa nella tasca. È stato così che anch'io ho messo via la mia.»
«In quel momento eri già intontito?» «Sì.» «Non potresti aver preso la siringa sbagliata, quella che aveva maneggiato Annabelle? In questo caso avresti lasciato là la tua.» «Potrebbe anche darsi, ma...» «Dov'è adesso la tua siringa?» «Ce l'ho qui.» «Guardala.» Larry infilò una mano in tasca, ne tolse una siringa e la rigirò tra le dita osservandola. «Sembra proprio la mia» disse. «Ma lo è?» «Non è facile dirlo. Ma perché? Io non capisco.» «Ci sono un paio di cose che devi sapere, Larry. Primo, Hernandez non si è impiccato. È morto per una dose eccessiva di eroina.» «Cosa? Cos'hai detto?» «Secondo, nella stanza dove è stato trovato morto c'era unicamente una siringa.» «Be', questo corrisponde. Lui...» «L'uomo che mi ha telefonato ha in mente qualcosa. Non so ancora cosa. Mi ha detto che avrebbe ritelefonato dopo che io avessi parlato con te. Mi ha detto che quel pomeriggio tu ed Hernandez avete litigato. Ha detto di avere un testimonio pronto a giurare che è così. Ha detto che tu sei stato solo con Hernandez tutta la notte. Ha detto...» «Io? Io non ho litigato con Annabelle. Lui mi ha dato una dose senza farmela pagare, no? Questo ti sembra un litigare? Comunque come fa questo tale a sapere tante cose? Papà...» «Larry...» «Chi è quell'uomo?» «Non lo so. Non mi ha detto il suo nome.» «Be', lasciami mettere le mani sul suo testimonio. Io non ho litigato con Annabelle. Eravamo in rapporti molto amichevoli. E poi, dove vuole arrivare? Vuole forse insinuare che sono stato io a iniettare ad Annabelle quella dose? Fagli portare il suo testimonio, su, lasciaglielo portare.» «Non ha bisogno di testimoni, figliolo.» «No? Immagino che un giudice si interesserà...» «L'uomo che ha telefonato mi ha detto che sulla siringa raccolta in quel seminterrato avremmo trovato le tue impronte digitali..»
9 Quel mattino, alle tre, Maria Hernandez era pronta a concludere la giornata. Aveva trentacinque dollari nella borsetta, ed era stanca, e faceva freddo, e se adesso prendeva una dose e andava dritta a letto sarebbe stata bene per tutta la notte. Non c'era niente di meglio del calore di una buona dose prima di infilarsi fra le lenzuola. Per Maria un'iniezione di eroina era una scossa benefica a tutto il corpo. La faceva fremere anche in quei punti che la Squadra del Buoncostume e lei stessa definivano "parti intime". L'uso del termine eufemistico da parte di quelli della Buoncostume era prescritto dalla legge poiché la legge imponeva che un agente investigativo, nella parte del probabile cliente, non potesse operare un arresto per prostituzione finché le "parti intime" della presunta prostituta non fossero state messe in mostra. Il problema da discutere era se Maria aveva assorbito la definizione dai suoi compagni occasionali della Buoncostume, o se si trattava di un'espressione inventata da lei stessa per pudore giovanile. Lei aveva parecchie conoscenze nella Buoncostume. Con qualcuno aveva fatto accordi commerciali, con altri si era messa nei guai. Guai che erano stati sia di natura legal-sessuale sia di natura socio-sessuale. A causa della sua posizione equivocamente anomala la Squadra del Buoncostume era conosciuta tra le prostitute come la Sagra del Malcostume. Anche questo era un delicato eufemismo. Nel mestiere di Maria gli eufemismi erano in grande uso. La ragazza poteva discutere di sesso esattamente come molte altre donne discutono di moda, solo che nella sua discussione Maria si manteneva molto più fredda e distaccata. Ma con donne che operavano nel suo stesso campo Maria poteva discutere di sesso in termini molto chiari, e generalmente lo faceva. Con gli uomini le sue discussioni sul sesso erano diverse. Un uomo che voleva il suo corpo veniva definito un "porco" quando lei ne parlava con le altre prostitute. Ma nelle quattro chiacchiere scambiate educatamente tra maschi e femmine in un elegante locale, quando si riferiva a un cliente, Maria lo definiva invariabilmente "un amico". Quando Maria diceva: "Ho diversi amici molto importanti" non intendeva dire che conosceva qualcuno in posizione da farle annullare una multa per eccesso di velocità. Intendeva semplicemente che parecchi degli uomini che, eufemisticamente, dormivano con lei, erano ricchi e rispettati. Inoltre Maria non si sarebbe mai soffermata a descrivere in termini volgari i servizi prestati. Maria non "dormiva" mai con un uomo. Maria, eu-
femisticamente, "stava con un amico". Qualunque cosa facesse, e con chiunque lo facesse, lo faceva con un curioso distacco. Lei si rendeva conto che esistevano molti altri modi molto più rispettabili per guadagnare. Ma Maria aveva bisogno di circa quarantacinque dollari al giorno per pagarsi la droga, e le ragazze dell'età di Maria, a meno che non fossero attrici cinematografiche, non riuscivano a guadagnare tutto quel denaro. Per lei era provvidenziale essere cresciuta bene equipaggiata con attributi facilmente commerciabili. Seguendo l'antica e sempre valida legge della domanda e dell'offerta, lei si dedicava scrupolosamente a offrire ogni volta che c'era domanda. E per Maria c'era parecchia domanda. Le brave casalinghe di periferia, dedite a stirare e fare la maglia, sicure e tranquille nell'abbraccio dorato della loro fede nuziale, sarebbero state molto sorprese nello scoprire quali punte raggiungeva la domanda per Maria. Ne sarebbero rimaste addirittura traumatizzate. Perché Maria aveva uno stuolo di amici che adoravano la sua aria ingenua da studentessa delle superiori. Stare con Maria era come tornare ragazzi, e anche le brave casalinghe di periferia sanno che ogni uomo è soltanto un ragazzo cresciuto. Gli amici di Maria andavano dai danarosi dirigenti d'azienda ai modesti archivisti, e il suo campo d'azione spaziava dagli eleganti uffici tappezzati di stoffa alle coperte buttate sul pavimento di una fabbrica. Quando agiva entro i confini dell'87° Distretto si serviva di solito di una camera affittata al prezzo di tre dollari a cliente. Le camere venivano affittate dalle persone più svariate, ma per lo più da donne anziane la cui sola fonte di introito era appunto l'affitto di quelle stanze. A Maria non piaceva lavorare in periferia. Nel quartiere, a causa del tipo di clientela, doveva abbassare i prezzi, e questo significava intrattenere un numero superiore di amici per poter raggiungere la cifra necessaria alla sua dose quotidiana di droga. Dire che a Maria l'atto sessuale dava fastidio sarebbe falso. Dire che le piaceva sarebbe ugualmente falso. Non ne gioiva e nemmeno ne era infastidita. Lo tollerava. Faceva parte del suo lavoro, e dal momento che in città c'era un gran numero di lavoratori ai quali il loro lavoro né piaceva né dispiaceva, ma si limitavano a tollerarlo, il suo atteggiamento era del tutto comprensibile. La sua tolleranza trovava un valido aiuto nella particolare caratteristica delle droghe di acquietare i normali appetiti sessuali. Perciò, difesa dalla doppia corazza del sottostimolo dovuto alla droga e dell'indifferenza data dall'esercizio della prostituzione, Maria cacciava la sua preda
e miracolosamente portava la suddetta preda a giudicarla una cacciatrice piena di passione. Mettersi in caccia alle tre del mattino era alquanto debilitante. Maria aveva trentacinque dollari in borsetta e tre grammi di eroina nella sua camera d'albergo, e a quell'ora era anche giusto considerare finita la giornata. Ma trentacinque dollari non erano quaranta, e per il rifornimento del giorno dopo Maria aveva bisogno di quaranta dollari, e così il suo sollievo per la fine della giornata veniva parzialmente offuscato da una certa riluttanza a interrompere l'attività quando mancavano ancora quei cinque dollari. Fu probabilmente questa riluttanza a dare il via a un concatenamento di fatti che la fecero finire all'ospedale. Stava camminando con la testa insaccata nelle spalle per proteggersi dal vento. Aveva scarpe a tacco alto e un impermeabile sfoderato. Sotto l'impermeabile indossava una gonna blu di seta e una camicetta bianca. Si era messa elegante perché quel pomeriggio era stata chiamata in centro da uno dei suoi amici importanti, e aveva sperato di incassare in un sol colpo i famosi quaranta dollari. Ma l'amico importante quel giorno era a corto di contanti e le aveva chiesto se poteva aspettare fino alla prossima volta. Siccome una cosa del genere era già successa altre volte, e sapendo che la volta successiva il pagamento era sempre arrivato puntuale, magari con qualche cosa in più come compenso alla sua pazienza, Maria aveva sorriso, aveva detto certo, la prossima volta, ed era andata in periferia per vedere che cosa poteva ricavarne. Vestita con eleganza, era riuscita a far bene. Ancora vestita con eleganza, adesso si stava dirigendo alla fermata della metropolitana, ansiosa di arrivare a casa per farsi l'iniezione, ansiosa nonostante la sua riluttanza. Si spaventò un poco quando sentì un rumore di passi alle sue spalle. Le rapine non erano cosa insolita in periferia e lei non voleva rimetterci i trentacinque dollari guadagnati con una dura giornata di lavoro. La paura sparì quando una voce dietro di lei mormorò: «Maria.» La ragazza si fermò, e poi si voltò per aspettare, scrutando nel vento. L'uomo andò dritto verso di lei, sorridendo. «Salve, Maria» disse. «Ah, sei tu» disse lei. «Salve.» «Dove stai andando?» «A casa» gli disse lei. «Così presto?» C'era un tono particolare nella voce dell'uomo, e Maria faceva il mestie-
re da troppo tempo per non riconoscerlo, e per quanto non fosse mai stata troppo entusiasta di quell'uomo, per quanto volesse davvero andare a casa dalla sua dose che l'aspettava, prese ugualmente in considerazione i cinque dollari è forse anche più che avrebbe potuto guadagnare alla svelta e, accettato l'invito della voce, rispose con un sorriso professionale. «In realtà non è poi tanto presto» disse, sempre sorridendo, in tono leggermente diverso da prima. «Ma sì che è presto» disse lui. «Be', dipende da quello che vuoi fare del tuo tempo» disse Maria. «Ho in mente un paio di cose da fare» disse lui. «Davvero?» Maria inarcò un sopracciglio con espressione invitante e si inumidì le labbra. «Davvero» disse lui. «Sono un tipo curioso» disse Maria, tessendo la rete con molta cura adesso, perché sapeva che in quel genere di caccia non c'è gusto se la preda non sente di essere cacciata. «Se fosse abbastanza presto, e non sto dicendo che lo sia, ma se lo fosse, che cosa ti piacerebbe fare del tuo tempo?» «Mi piacerebbe fotterti» disse lui. «Oh, come sei volgare» disse Maria. «Venti dollari sono volgari?» chiesi lui, e di colpo Maria non ebbe più voglia di prolungare il gioco. Maria voleva i venti dollari e al diavolo il divertimento. «Va bene» disse in fretta. «Dammi il tempo di trovare una camera.» «Cercala» le disse lui. Maria si avviò, poi si girò di colpo. «Io ho una parola sola» lo avvertì. «Okay» disse lui. «Troverò la camera.» Era molto tardi, se ne rendeva conto, e forse non sarebbe riuscita a trovare una stanza per i soliti tre dollari. Ma con la promessa dei venti dollari poteva permettersi di impegnarne cinque nella stanza, eh, che meraviglia; era molto più di quanto avesse sperato. Salì al primo piano di una casa e bussò a una porta. Non ebbe risposta e bussò ancora, e poi continuò a bussare finché dall'interno una voce gridò: «Basta! Basta!» La ragazza riconobbe la voce di Dolores, e sorrise immaginandosi la vecchia che si alzava dal letto. Poco dopo sentì ciabattare dietro la porta. «"Quién es?"» chiese una voce. «Sono io» rispose. «Maria Hernandez.» La porta si spalancò. «"Puta!"» gridò Dolores. «Perché butti giù la porta
a... "Qué hora es?"» Maria guardò l'orologio. «"Son las tres". Senti Dolores, mi serve...» Dolores stava immobile sulla porta, piccola e magra, in una scolorita camicia da notte, i capelli grigi scompigliati che le cadevano ai lati della faccia, le ossa delle clavicole che spuntavano appuntite dalla scollatura della camicia da notte. La collera le esplose dentro e le contrasse la faccia e poi le scaturì dalla bocca in una sequela di epiteti. «"Puta!"» gridò. «"Hija de la gran puta! Pendega! Cahapera!" Vieni qui alle tre del mattino e...» «Mi serve una stanza» disse in fretta Maria. «Quella al pianterreno se è...» «"Bete para el carago!"» urlò Dolores, e iniziò il gesto di chiudere la porta. «Ti do cinque dollari» disse Maria. «"Me cago en los santos!"» continuò Dolores, poi la porta si fermò. «"Cinco?" Hai detto cinque?» «Sì.» «La camera al pianterreno è libera. Vado a prendere la chiave. Razza di stupida, perché non hai detto subito che erano cinque? Togliti di lì che ti prenderai una polmonite!» Maria entrò nell'appartamento. Dalla cucina poté sentire Dolores aprire e chiudere cassetti alla ricerca della chiave. Pochi secondi e Dolores ricomparve. «I cinque dollari» disse. Maria prese cinque dollari dalla borsetta e glieli diede. Dolores le consegnò la chiave. «Buona notte» disse Dolores, e chiuse la porta. Quando Maria arrivò, lui stava ancora aspettando. «Ho avuto una camera da Dolores» disse lei. «Da chi?» «Dolores Faured, una vecchia che...» S'interruppe e sorrise. «Vieni» disse, e lo guidò a una porta in fondo al cortile. Aprì la porta, accese la luce, e quando lui fu entrato, richiuse. Lui le fu subito addosso, ma lei piroettò via e disse: «Ho sentito parlare di venti dollari.» Lui tolse di tasca il portafoglio sorridendo. Il suo "amico" era grande e grosso con mani grandi, e lei gli guardò le mani e lo guardò contare metodicamente le banconote. Poi lui le tese il denaro, e siccome non voleva sembrare meschina nonostante i cinque dollari già sborsati per la stanza, Maria non lo contò. Mise il denaro nella borsetta e poi si tolse l'impermea-
bile. «L'ultima volta che ti ho visto» disse «mi è sembrato che io non ti interessassi. Eri più interessato alle carte.» «Questo è successo l'ultima volta» disse lui. «Non intendevo lamentarmi» disse lei. «Ti ho cercata per tutta la notte» disse lui. «Davvero?» Maria gli si avvicinò ancheggiando in maniera provocante. Adesso che i venti dollari erano nella borsetta poteva riprendere il gioco. «Be', alla fine mi hai trovata.» «Volevo parlarti.» «Vieni, bello, parleremo in posizione orizzontale» disse lei. «Parlarti di Gonzo» disse lui. «Gonzo?» Maria parve perplessa. «Ogni volta ti sento dire questo stupido nome!» «Mi piace» disse lui. «Parliamo del tuo accordo con Gonzo.» «Non ho nessun accordo con Gonzo» disse lei. Con gesti lenti Maria cominciò a sbottonarsi la camicetta. «Io dico di sì.» «Senti un po', è tutto qui quello che volevi fare? Parlare. Non c'era bisogno di darmi venti dollari per parlare.» Maria si tolse la camicetta e l'appoggiò sulla spalliera di una sedia. La sedia, il letto e un cassettone con specchio erano gli unici mobili della stanza. Lui la osservò a lungo poi disse: «Sei scarsa.» «Non sono Jane Russell» disse lei «ma sono proporzionata. Per venti dollari non puoi avere una diva del cinema.» «Non intendevo lamentarmi.» «Allora che cosa ti trattiene?» «C'è ancora parecchio da dire.» Maria sospirò. «Ma vuoi che mi spogli o no?» «Fra un momento.» «Qui dentro non fa esattamente caldo, sai? Anche se sono scarsi, non voglio farli congelare...» «A proposito di Gonzo» disse lui. «Gonzo, Gonzo! In ogni caso cosa c'entri tu con Gonzo?» «C'entro» disse lui. «Ho chiesto io a Gonzo di fare quell'accordo con te.» «Co...» Lo guardò, sorpresa. «Tu? Tu gli hai chiesto di...»
«Io» disse lui, e adesso sorrideva di nuovo. «Di quale accordo stai parlando?» chiese Maria, a disagio. «L'accordo tra Gonzo e tuo fratello.» «Continua» disse lei. «Spiegati meglio.» «Quello per cui hai promesso a Gonzo che avresti giurato di aver visto tuo fratello litigare con il giovane Byrnes.» «Ah, sì?» disse lei, sospettosa. «Si» rispose lui. «Gonzo lavorava su ordine mio. Ti ha dato venticinque dollari, no?» «Infatti» disse Maria. «E ti ha detto che ce ne sarebbero stati altri se tu avessi giurato di averli sentiti litigare.» «Sì» disse Maria. Rabbrividì. «Ho freddo» disse. «Vado a mettermi sotto le coperte.» Con gesto meccanico sgusciò dalla gonna, poi, in mutandine e reggiseno corse a mettersi a letto e si tirò le coperte fino al mento. «Brrrrr» disse. «Gonzo ti ha detto di che cosa si trattava?» «Mi ha detto soltanto che si trattava di un buon affare e che c'era interessato anche mio fratello.» «E da quando tuo fratello è morto? Gonzo ti ha detto qualcosa a questo proposito?» «Ha detto che mio fratello aveva compromesso l'operazione. Ho freddo. Vieni qui.» «Hai cambiato idea sull'affare da quando tuo fratello è morto?» chiese lui avvicinandosi al letto. Si tolse il cappotto e lo mise ai piedi del letto. «No. Perché avrei dovuto cambiare idea?» disse Maria. «Lui si è ucciso, quindi perché avrei...» L'uomo stava sorridendo. «Bene» disse. «Continua a pensarla così.» «Certo» disse lei sconcertata dal suo sorriso. «Perché dovrei cambiare idea? La morte di Anìbal non c'entra con l'affare.» «No» disse lui. «Ma devi dimenticarti che esisteva un affare, mi hai capito? Tu sai soltanto che tuo fratello e il giovane Byrnes hanno litigato, nient'altro. Hai capito bene? Se ti chiedono qualcosa, poliziotti, giornalisti, chiunque, la tua versione deve essere quella.» «Ma chi è questo giovane Byrnes?» Adesso lui era seduto sul letto. «Non ti spogli?» chiese Maria. «No, resto vestito.» «Be', proprio non...»
«Resto vestito.» «Come vuoi» disse Maria a voce bassa. Gli prese una mano e se la portò sul seno. «Chi è il giovane Byrnes?» «Chi è non ha importanza. Ricordati solo che ha litigato con tuo fratello.» «Sì, va bene, va bene.» Una breve pausa. «Non è poi tanto scarso, vero?» «No» disse lui. «No» ripeté Maria. «Non è scarso proprio per niente, vero?» Tacquero a lungo. Lui stava disteso sul letto e la teneva stretta. «Ricordati» disse ancora. «A chiunque te lo chieda, poliziotti o chiunque altro.» «Ho già parlato con un poliziotto» disse lei. «Con chi?» «Non so come si chiama. Uno piuttosto bello.» «Che cosa gli hai detto?» «Niente.» «Non gli hai detto del litigio?» «No. Gonzo mi aveva detto che avrei dovuto aspettare finché non mi dava il via. Ha detto che fino a quel momento io avrei dovuto stare zitta. Quel poliziotto...» corrugò la fronte. «Sì?» «Lui ha detto... ha detto che probabilmente Anìbal non si era ucciso.» «E tu che cos'hai detto?» Maria si strinse nelle spalle. «Lui si è proprio ucciso.» Una pausa. «Vero?» «Certo» disse l'uomo. La teneva più stretta adesso. «Maria...» «No. No, aspetta. Mio fratello... Anìbal non è morto a causa di quell'affare, vero? L'affare non c'entra niente con... Ti ho detto di aspettare!» «Non voglio aspettare» disse lui. «Anìbal si è ucciso?» chiese lei tentando di tenerlo lontano da sé. «Sì! Sì, maledizione! Si è ucciso.» «Allora perché hai tanto interesse a che io menta ai poliziotti? Mio fratello è stato ucciso? Mio... ah! Fermati, mi fai male!» «Maledetta, non puoi stare zitta?» «Smettila» disse lei. «Smettila, mi fai male...» «Allora piantala di chiedere se è stato ucciso o non è stato ucciso. E in ogni caso non me ne importa un accidente. Ma lo sai fare o no il tuo me-
stiere?» «È stato ucciso, vero?» chiese Maria. Adesso sopportava il peso dell'uomo e non sentiva più dolore. «Chi l'ha ucciso? Sei stato tu?» «No.» «Sei stato tu?» «Piantala! Oh, Cristo, piantala!» «L'hai ucciso tu mio fratello? Se sei stato tu io non mentirò. Se l'hai ucciso per combinare uno dei tuoi affari...» tutto a un tratto Maria sentì qualcosa di caldo sulla guancia, ma non capi cos'era e perciò continuò a parlare «... andrò diritta alla polizia. Lui poteva anche darsi che fosse un buono a niente, ma era mio fratello e io non ho intenzione di mentire per...» La sensazione di caldo sulla faccia era aumentata e adesso sentiva caldo anche sulla gola. Alzò una mano di colpo e poi sollevandola oltre il corpo dell'uomo la guardò, e quando vide il sangue gli occhi le si sbarrarono di terrore. Gesù, pensò, mi ha fatto un taglio. Dio, mi ha tagliato! Lui si ritrasse arcuando il corpo e Maria vide il coltello nella mano destra dell'uomo, e poi lui la colpì al seno e lei rotolò di lato e con tutta la sua forza lo spinse via. Lui l'afferrò per un braccio e con uno strattone la fece tornare vicina a sé e di nuovo alzò il coltello. Maria alzò le mani per proteggersi dal colpo, ma lui colpi e colpì ancora e Maria cominciò a urlare mentre lui continuava a vibrare il coltello tagliandole il palmo delle mani e le dita. Lei corse alla porta annaspando con la chiave, le dita lacerate, annaspando con la serratura, incapace di aprire la porta perché le sue dita non riuscivano a fare quello che lei voleva che facessero. Lui la fece ruotare su se stessa e Maria lo vide tirare indietro il braccio e poi buttarsi in avanti, e sentì la lama lacerarle la pelle proprio sotto le costole e affondare nella carne e squarciarla. Maria crollò contro la porta e lui la pugnalò al collo e alla faccia e poi urlò: «Non dovrai mentire per me, sgualdrina! Non dovrai più dire niente, niente!» La strappò via dalla porta, girò la chiave nella serratura, e poi raccolse il cappotto dal letto, andò davanti a Maria e rimase per un momento a guardarla fissando la grottesca maschera di sangue che fino a pochi minuti prima era una ragazza di nome Maria Hernandez, e poi, con violenza, le immerse a fondo il coltello nel petto solcandole il corpo, sicuro questa volta di aver colpito il cuore. La guardò afflosciarsi sul pavimento, poi uscì di corsa dalla stanza e dalla casa. Maria giaceva immersa nel suo sangue e pensava: ha ucciso mio fratello e adesso ha ucciso anche me. Ha ucciso mio fratello a causa di quell'affare,
e io dovevo mentire, dovevo dire che Byrnes e Anìbal avevano litigato. Me l'ha detto Gonzo, mi ha detto che era un buon affare, mi ha dato venticinque dollari, e doveva darmene ancora, e lui ha ucciso mio fratello. Miracolosamente riuscì a trascinarsi sul pavimento fuori della porta, nuda, lasciandosi dietro una scia ininterrotta di sangue, e si trascinò nell'atrio davanti alla porta, senza gridare perché non aveva più la forza di gridare, si trascinò per il lungo passaggio, lungo tutto lo stretto cortile mentre la vita fluiva lentamente dalle ferite e il sangue tingeva di rosso le pietre e poi il pavimento di legno dell'androne dove c'erano le cassette postali, e poi riuscì a tirarsi su fino alla maniglia della porta e riuscì a stringere la maniglia nelle dita lacerate e riuscì a girarla e poi cadde a faccia in giù sul marciapiede continuando a sanguinare. Un agente di pattuglia di nome Alf Levine la trovò mezz'ora più tardi durante il suo giro di ronda. Il poliziotto chiamò immediatamente un'ambulanza. 10 Nella sala-agenti dell'87° Distretto, la notte in cui Maria Hernandez venne accoltellata, c'erano quattro agenti investigativi. Gli agenti investigativi Meyer e Willis erano seduti a una scrivania" intenti a bere caffè. L'agente investigativo Bongiorno stava battendo a macchina un rapporto da inviare alla Squadra Persone Scomparse. L'agente investigativo Tempie era seduto accanto al telefono, pronto a rispondere alle chiamate. «Il caffè nei bicchieri di cartone non mi piace» disse Meyer a Willis. Meyer era ebreo, e suo padre aveva posseduto un particolare senso dell' umorismo. E siccome venendo al mondo Meyer aveva causato un cambiamento nella vita del padre, cosa che in un certo senso era stato un brutto scherzo per un uomo già anziano, il vecchio aveva deciso di fare a sua volta uno scherzo al figlio. E dato che il cognome era Meyer, non aveva trovato niente di meglio e di più spiritoso che mettere al figlio Meyer anche come nome proprio. A quei tempi i bambini nascevano in casa con l'aiuto di una levatrice, quindi non c'erano state pressioni da parte del personale dell'ospedale per conoscere in anticipo il nome da dare al neonato. Il padre di Meyer aveva mantenuto segreta la sua scelta fino al momento della cerimonia. Aveva fatto l'annuncio proprio nel momento in cui l'officiante stava procedendo alla circoncisione, e per un pelo non si era ritrovato con
un figlio castrato. Per fortuna Meyer Meyer ne era uscito indenne se non esattamente felice. Un nome come Meyer Meyer è un fardello pesante da portare, soprattutto vivendo in un quartiere dove i ragazzi si sentono spinti a tagliare la gola a chiunque abbia soltanto gli occhi azzurri. Fatto notevole, Meyer Meyer era riuscito a sopravvivere considerata la sfavorevole coincidenza di circostanze per cui oltre al doppio nome Meyer aveva anche gli occhi azzurri. Lui attribuiva la sua sopravvivenza a una capacità di sopportazione e pazienza quasi soprannaturale. Meyer Meyer era l'uomo più paziente del mondo. Ma se un uomo porta il fardello di un nome a due canne, e se lo stesso uomo cresce da ebreo in un quartiere dove predominano i pagani, e se sempre lo stesso uomo fa della pazienza il suo modo di vita, allora qualcosa deve rimetterci. Per quanto avesse solo trentasette anni, Meyer Meyer era calvo come una palla da biliardo. «Non sa assolutamente di caffè» disse Meyer Meyer. «No? E di che cosa sa?» chiese Willis, bevendo. «Se proprio vuoi saperlo, sa di cartone. Adesso però non fraintendermi. A me il cartone piace. Mia moglie porta spesso in tavola cartone per cena. Sarah conosce ricette meravigliose per fare il cartone.» «Deve averle avute da mia moglie» gridò Tempie dal suo angolo. «Be', lo sai come sono le mogli» disse Meyer. «Sono sempre li a scambiarsi le ricette. Comunque, non vorrei che vi faceste l'idea che io nutro pregiudizi contro il cartone. Niente affatto. In realtà devo riconoscere onestamente che il gusto di cartone è altamente apprezzato dai grandi cuochi e dagli intenditori di tutto il mondo.» «Allora di che cosa ti lamenti?» chiese Willis sorridendo. «È per via della sorpresa» disse Meyer in tono paziente. «Non ci arrivo» disse Willis. «Hal, quando mia moglie serve il pranzo, o la cena, io mi aspetto il sapore di cartone. Siamo sposati da dodici anni, ormai, che Dio la benedica, e lei non mi ha mai deluso a tavola. Io mi aspetto sapore di cartone, e sapore di cartone ricevo. Ma quando ordino un caffè al nostro bar d'angolo, tutte le mie papille gustative si preparano a godere del sapore forte-amarodolce del caffè. Guardandomi in faccia, si capisce che sto aspettando il caffè.» «E allora?» «E allora, dopo la grande aspettativa, la delusione è quasi insopportabile. Ordino caffè, e sono costretto a bere cartone.»
«Chi ti costringe?» chiese Willis. «A dirti la verità» disse Meyer «comincio a dimenticare che sapore ha il caffè servito in una tazza. Nella mia vita tutto ha il sapore del cartone. È molto triste.» «Io sto già piangendo» disse Tempie. «Ma a tutto c'è una consolazione» disse Meyer. «Quale sarebbe?» chiese Willis, sempre sorridendo. «Un mio amico ha una moglie che ha sviluppato l'abilità di dare a tutto il sapore di segatura.» Willis scoppiò in una risata, Meyer rise con lui, poi si strinse nelle spalle e disse: «Secondo me il cartone è già meglio della segatura.» «Dovreste scambiarvi le mogli, ogni tanto» suggerì Tempie. «Cosi, per rompere la monotonia.» «Dei pasti, vuoi dire?»chiese Meyer. «Di cos'altro, se no?» disse Tempie. «Conoscendo la tua mente tortuosa» cominciò Meyer, e il telefono sulla scrivania di Tempie suonò. Tempie sollevò il ricevitore. «Ottantasettesima Squadra» disse. «Parla l'agente Tempie.» Ascoltò. Nella sala-agenti nessuno parlava adesso. «Ho capito» disse Tempie. «Va bene. Manderò un paio di uomini. D'accordo.» Depose il ricevitore. «Un accoltellamento nella Quattordicesima Strada Sud» disse. «Levine ha già chiamato un'ambulanza. Meyer e Hal, volete occuparvene voi?» Meyer andò all'attaccapanni e si infilò il cappotto. «Mi vuoi spiegare perché quando fuori si gela tu sei sempre di servizio per le chiamate urgenti?» chiese. «In che ospedale?» chiese Willis. «Al Policlinico» rispose Tempie. «Dopo, telefonate. Ha l'aria di essere una faccenda grave.» «In che senso?» chiese Meyer. «Potrebbe saltar fuori che è omicidio.» A Meyer non era mai piaciuto l'odore degli ospedali. Sua madre era morta di cancro in un ospedale, e lui non aveva mai dimenticato la sua faccia contorta dal dolore; e avrebbe ricordato per tutta la vita l'odore del male e della morte, odori d'ospedale che gli avevano impregnato le narici e si erano annidati in lui per sempre. Non gli piacevano nemmeno i medici. Probabilmente la sua antipatia per i medici aveva le radici nel fatto che un medico aveva a suo tempo diagnosticato il cancro maligno di sua madre come una semplice ciste sebacea.
Ma a parte questi suoi punti di vista che sapevano di pregiudizio, Meyer giudicava i medici insopportabilmente sussiegosi e dominati, secondo lui, da una presunzione assolutamente ingiustificata. Meyer non era tipo da disprezzare la cultura. Lui stesso aveva frequentato l'università, e per caso faceva il poliziotto. Un medico era uno che aveva frequentato l'università, e per caso aveva preso la laurea in medicina. Una laurea, secondo Meyer, significava semplicemente altri quattro anni di studio. Questi quattro anni di studio, indispensabili perché uno che avesse studiato medicina potesse cominciare a praticarla, equivalevano agli anni di apprendistato che chiunque doveva affrontare in qualsiasi campo prima di emergere. Perché allora la maggior parte dei medici si riteneva superiore per esempio a un pubblicitario? Meyer non l'avrebbe mai capito. Secondo lui quésto atteggiamento affondava le sue radici nella battaglia per non morire. Un medico in teoria teneva nelle proprie mani la vita degli altri. In ogni caso Meyer aveva l'impressione che i medici avessero inconsciamente ma esattamente etichettato la maggior attività della loro professione con il termine "pratica professionale". Da come la pensava lui tutti i medici non facevano altro che impratichirsi. Quindi, finché non avessero raggiunto la perfezione, lui ne sarebbe stato alla larga. Sfortunatamente, l'interno alle cui mani era affidata la vita di Maria Hernandez non contribuì affatto a migliorare l'opinione di Meyer sui medici in generale. Era un giovanotto biondo con i capelli tagliati cortissimi. Gli occhi erano scuri e i lineamenti molto regolari. Il camice gli donava e gli conferiva un'aria asetticamente igienica. Il giovane aveva anche l'aria spaventata. Forse aveva visto parecchi cadaveri sezionati durante gli anni d'università, ma Maria Hernandez era la prima persona viva che lui vedeva ridotta in quello stato. In piedi in un corridoio dell'ospedale, parlava con Meyer e Willis fumando nervosamente. «Quali sono le sue condizioni?» chiese Willis. «Critiche» rispose il giovane medico. «Critiche fino a che punto? Quanto tempo le resta?» «Ecco... Non è... questo è difficile dirlo. È... i tagli sono molto profondi e le ferite molto gravi. Noi abbiamo... siamo riusciti a fermare il sangue, ma prima di arrivare qui ne aveva perso moltissimo.» Inghiottì a vuoto. «È difficile dirlo.» «Possiamo parlarle, dottor Fredericks?» chiese Meyer. «Io... ecco, non credo.»
«Ma è in condizioni di parlare?» «Non... non lo so.» «Per l'amor del cielo, dottore, cercate di scuotervi!» disse Meyer irritato. «Scusate, come avete detto?» «Se avete la nausea andate in gabinetto, poi tornate e rispondete chiaramente» disse Meyer. «Come?» disse Fredericks. «E va bene. Ascoltatemi» disse Meyer, in tono paziente questa volta. «So che è toccata a voi la responsabilità di questo grande ospedale tutto bello lustro, e con ogni probabilità voi siete il migliore chirurgo del mondo e una semplice ragazza portoricana che vi sta sporcando di sangue i vostri bei pavimenti è soltanto una grossa noia, ma...» «Io non ho detto...» «Ma si dà il caso» continuò Meyer «che qualcuno abbia accoltellato quella ragazza, e noi dobbiamo trovare chi è stato perché il fatto non si ripeta e voi non abbiate altre noie del genere. Una dichiarazione rilasciata in punto di morte ha valore di prova valida. Se la vittima non ha nessuna speranza di cavarsela e noi riusciamo a ottenere una sua dichiarazione, la corte l'accetterà come prova. Ora, questa ragazza vivrà o no?» Fredericks sembrava rintronato. «Vivrà?» ripeté Meyer. «Non credo.» «Allora, possiamo parlarle?» «Dovrei controllare.» «E allora, per favore, per l'amor di tutti i Padreterni, volete controllare?» «Sì. Si, certo. Mi informerò. Dovete capire... la responsabilità non è mia. Io non posso darvi il permesso di interrogare la ragazza senza aver sentito...» «Su, andate» disse Meyer. «Andate a informarvi, svelto!» «Sì» disse Fredericks, e corse via lungo il corridoio, preso da un improvviso attacco di energia. «Sai che domande siamo tenuti a fare perché la dichiarazione venga considerata valida?» disse Willis. «Sì. Almeno così credo. Vuoi che ce le ripassiamo?» «Sarà meglio. Dovremmo far venire anche uno stenografo.» «Dipende da quanto tempo abbiamo. Forse qui all'ospedale c'è qualche segretaria momentaneamente libera. Uno stenografo della polizia ci metterebbe...»
«No, non c'è abbastanza tempo per farlo venire. Chiederemo a Fredericks se c'è qualcuno che sa stenografare. Credi che la ragazza sarà in grado di firmare?» «Non lo so. Pensiamo alle domande?» «Per prima cosa nome e indirizzo» disse Willis. «Sì. Poi: "Credete di essere sul punto di morire?".» «Già» disse Willis. «Cosa viene dopo?» «Gesù, quanto odio queste cose» disse Meyer. «Mi pare che sia: "Sperate di riprendervi...".» «No. No, è così: "Non avete speranza di riprendervi dai danni causati dalle ferite ricevute?".» Meyer scosse la testa. «Come si fa a fare domande del genere?» «Già. Poi c'è la storia del "Volete dichiarare in tutta verità come vi sono state inferte le ferite di cui soffrite?". Non c'è altro, vero?» «Nient'altro» disse Meyer. «Ci pensi a quella ragazza che...» «Già» disse Willis. Tacquero entrambi. Intorno a loro l'aria vibrava dei mille rumori soffocati di un grande ospedale, immenso cuore bianco che pompava sangue. Poco dopo un rumore di passi echeggiò nel corridoio. «Sta tornando Fredericks» disse Willis. Il dottor Fredericks si avvicinò. Era sudato, e il camice adesso era spiegazzato e sporco. «Allora?» disse Meyer. «Avete ottenuto il permesso?» «Non è più necessario» disse Fredericks. «Cioè?» «La ragazza è morta.» 11 Dato che la camera dove Maria Hernandez aveva avuto il suo incontro fatale con una persona o più persone sconosciute era l'ultimo posto in cui si sapeva che l'omicida era stato, la stanza venne sottoposta a particolare esame da parte della polizia. Questo esame fu di natura esclusivamente pratica. I tecnici del laboratorio che calarono sul luogo del delitto non ci andarono per esercitare l'immaginazione. Il loro interesse stava unicamente in eventuali indizi che potessero portare all'identificazione della persona, o delle persone, che aveva o avevano accoltellato ferocemente la giovane Hernandez, ammazzandola. I tecnici cercavano fatti. E così, dopo aver tracciato schizzi della camera e
averla fotografata, si dedicarono al loro lavoro, un lavoro lento e meticoloso. Per prima cosa, la ricerca di possibili tracce casuali. Le tracce casuali sono di tre tipi. 1 - impronte latenti, che sono invisibili. A volte questo tipo di impronte possono venire rilevate a occhio nudo nel caso in cui siano state lasciate su una superficie lucida e nel caso che la luce vi cada sopra obliquamente. 2 - impronte visibili, che sono visibili unicamente perché la persona che le ha lasciate è un pasticcione, ed essendo un pasticcione si è sporcato le dita con sostanze leggermente o fortemente colorate. Di solito il colore è dato da sporcizia o da sangue. 3 - impronte plastiche, che vengono lasciate, come indica la definizione, da qualche materiale di natura plastica, come ad esempio: cera, stucco, gesso, catrame, o la parte interna di una buccia di banana. È chiaro che le impronte plastiche e le impronte visibili sono il genere di impronte più belle da trovare. Per lo meno evitano una buona parte di lavoro: l'impresa di localizzarle. Ma considerata la natura delle tracce casuali, segni cioè lasciati inavvertitamente e inconsapevolmente, chi le lascia non sempre ha tanta considerazione da lasciare quelle di tipo più facile da trovare. Per lo più le tracce casuali sono impronte latenti e le impronte latenti prima di essere fotografate o trasferite su carta devono essere rese visibili tramite l'uso di polveri a grana finissima. È un procedimento che richiede tempo. Quelli del laboratorio avevano un sacco di tempo, e avevano anche un sacco di impronte latenti con cui divertirsi. Dovete sapere che la camera dove era stata accoltellata Maria Hernandez era un posto di grande andirivieni maschile. Lentamente, con pazienza, quelli del laboratorio sparsero e risparsero la loro polvere, e fotografarono e trasferirono, concludendo che dieci uomini diversi avevano sparso per la stanza ottime impronte latenti. Quelli del laboratorio non sapevano che nessuno di quei dieci uomini aveva ucciso Maria Hernandez. Loro non potevano sapere che l'assassino di Maria aveva i guanti e li aveva tenuti anche quando si era sdraiato sul letto. Non lo sapevano, e perciò trasmisero le impronte agli agenti investigativi che fecero un controllo all'Ufficio Identificazione e poi persero tempo in inutili retate di probabili assassini forniti tutti di alibi controllabili, e generalmente autentici. Alcune di quelle impronte erano state lasciate da persone che non avevano mai avuto diverbi con la polizia. L'Ufficio Identificazione non poté naturalmente identificare le loro impronte, e quegli uomini non vennero mai portati al posto di polizia per un interrogatorio.
Data la natura della stanza del delitto, quelli del laboratorio non rimasero sorpresi nel trovare qua e là anche buone impronte lasciate da piedi nudi, per lo più negli angoli polverosi vicino al letto. Sfortunatamente l'Ufficio Identificazione non tiene un archivio anche di orme. Queste impronte vennero accantonate per un successivo eventuale confronto da eseguire su individui sospetti. Una delle orme era stata lasciata da Maria Hernandez. Nella stanza i tecnici del laboratorio non riuscirono a rilevare nessuna impronta utile lasciata da scarpe. Sulle lenzuola insanguinate del letto trovarono parecchi capelli e molti peli. Trovarono anche macchie di sperma. La coperta trovata sul letto fu passata con l'aspirapolvere, e la polvere raccolta nel filtro venne poi esaminata e analizzata con cura. Nella polvere i tecnici non trovarono niente di utile. Nella stanza trovarono un'unica cosa che poteva rivelarsi di valore reale. Una piuma. Ora, il lavoro fatto dai tecnici in quella stanza può sembrare molto semplice e niente affatto faticoso, tanto più considerato che tutto quello che avevano trovato erano: una stupida piuma, una manciata di impronte senza importanza, tre o quattro orme di piedi, un po' di capelli, un po' di sangue e un po' di sperma. E andiamo! Quanto lavoro poteva esserci voluto? Dunque, una macchia di sperma assomiglia a una carta geografica e al tatto sembra che il tessuto sia stato inamidato. Sfortunatamente il solo aspetto non è sufficiente per una identificazione. La macchia sospetta deve essere impacchettata. E impacchettata in maniera da non subire sfregamenti perché le macchie di quel genere sono secche e fragili e possono rompersi in mille frammenti che è facile perdere. Uno sfregamento può anche distruggere lo spermatozoo. In altre parole la macchia non può essere arrotolata e non può essere piegata e non può essere buttata a casaccio in una borsa di stracci. Deve venire confezionata in maniera da non subire attriti di nessun genere, e questo richiede tempo e dà preoccupazioni. Quando la macchia sospetta arriva in laboratorio comincia l'esame vero e proprio. Il primo esame microchimico a cui la macchia venne sottoposta fu la reazione Florence. Una piccola parte della macchia venne fatta sciogliere in una soluzione di un grammo e cinquantasei di ioduro di potassio, due grammi e cinquantaquattro di cristalli di iodio e trenta centigrammi di acqua distillata. L'esperimento dimostrò che nella macchia era probabile la
presenza di liquidò seminale. E lo dimostrò perché al microscopio comparvero cristalli romboidali di colore scuro e di tipo Florence. Ma sfortunatamente cristalli simili compaiono anche in presenza di muco o saliva, quindi il risultato dell'esperimento non era conclusivo. Però la probabilità esisteva, e così si passò al secondo esperimento. La seconda prova fu quella della reazione Puranen. Nel reagente Puranen, soluzione al cinque per cento di 2,4 di nitro, 1 di naftolo, 7 di acido solforico e acido flavinico, venne messa una porzione della macchia sciolta con alcune gocce di soluzione salina. II tutto, porzione di macchia, soluzione salina e reagente fu introdotto in una provetta, e la provetta venne messa per alcune ore in un frigorifero. Passato il tempo necessario, sul fondo della provetta fu possibile vedere un precipitato giallastro. Questo precipitato fu messo sotto il microscopio, e il potente occhio dello strumento rivelò i cristalli a forma di croce caratteristici del liquido seminale. A questo punto segui un ulteriore esame microscopico alla ricerca di spermatozoi, riconoscibili dalla forma e dal colore. Per fortuna la macchia non era stata alterata né da attriti né da un processo di putrefazione. In caso contrario, accertare la presenza di spermatozoi avrebbe richiesto molto più tempo e il risultato non sarebbe stato altrettanto valido. I tecnici del laboratorio dovettero fare tutte queste cose soltanto per una macchia. Ci volle quasi tutto il giorno. E non fu un lavoro gran che entusiasmante. Non dovevano cercare germi sconosciuti di una qualche forma epidemica. Non stavano cercando una cura per i tumori. Tentavano semplicemente di compilare una lista di dati che potessero far risalire all'uccisore di Maria Hernandez, o che servissero, in un secondo tempo, a identificare con certezza un eventuale indiziato. E mentre quegli uomini dedicavano lunghe ore alla morte di una tossicomane, un altro uomo stava dedicando lunghe ore alla vita di un altro tossicomane. Il caso aveva voluto che quel tossicomane fosse suo figlio. Peter Byrnes non avrebbe mai saputo quanto era stato vicino a lavarsi le mani di tutta la faccenda. All'inizio aveva lottato con l'idea che si trattasse di un falso. Mio figlio un drogato?, si era chiesto. Mio figlio? Le impronte di mio figlio sulla presunta arma di un delitto? No, si era detto, è una menzogna, l'avrebbe fatta uscire allo scoperto, l'avrebbe costretta a strisciare nella luce del sole e lì l'avrebbe calpestata. Avrebbe messo il figlio di fronte alla menzogna e insieme l'avrebbero distrutta...
Ma aveva affrontato il figlio, e anche prima di chiedere "Sei un drogato?" aveva capito che suo figlio era davvero un tossicomane, e che una parte della menzogna non era affatto menzogna. Scoprirlo l'aveva traumatizzato e disgustato insieme, per quanto in un certo senso se lo aspettava. Per un uomo meno serio di Byrnes, per un poliziotto meno serio di Byrnes, questa scoperta sarebbe stata forse meno allucinante. Ma Byrnes non tollerava i crimini, e non tollerava i vigliacchi, e aveva scoperto che suo figlio era un debole coinvolto in azioni criminali. Padre e figlio si erano trovati faccia a faccia nel salotto silenzioso, e Byrnes aveva parlato ragionevolmente e con comprensione. Byrnes aveva illustrato al figlio la situazione in tutta la sua pericolosità, senza mai permettere al disgusto di trasformarsi in parole, senza mai gridare contro quel vigliacco criminale che era suo figlio, senza mai pronunciare una parola di condanna. L'istinto gli suggeriva di buttare un individuo simile in mezzo alla strada. Era un istinto alimentato con gli anni, un istinto che era diventato parte integrante del carattere di Byrnes. Ma esisteva un istinto più profondo, un istinto sviluppatosi attorno ai fuochi del paleolitico, quando gli uomini stringevano a sé i figli per proteggerli dai pericoli della notte, e l'istinto si era tramandato alle generazioni seguenti insieme al sangue, e scorreva adesso nelle vene di Peter Byrnes, e Byrnes riusciva a pensare soltanto: è mio figlio. Così aveva parlato tranquillamente e con calma, ed era esploso soltanto un paio di volte ma solo per irritazione, senza permettere al disgusto di travolgergli la mente. Suo figlio era un tossicomane. Irrevocabilmente, irrefutabilmente, suo figlio era un tossicomane. Su questo lo sconosciuto non aveva mentito. E anche la seconda parte della menzogna si era rivelata verità. Byrnes aveva controllato le impronte digitali del figlio con quelle trovate sulla siringa, e le impronte coincidevano. Aveva nascosto questa informazione a tutti, e il suo silenzio gli aveva lasciato un senso di colpevolezza e quasi di complicità. La bugia, dunque, non era stata affatto una bugia. Era cominciata come una doppia falsità, e si era rivelata invece una verità chiara e lampante. Ma il resto? Larry aveva litigato con Hernandez il pomeriggio precedente la morte del ragazzo? E se aveva litigato non se ne traeva forse una deduzione chiarissima? Non era forse logico dedurre che Larry Byrnes aveva
ucciso Anìbal Hernandez? Byrnes non poteva credere a questa deduzione. Suo figlio si era trasformato in un individuo che gli era difficile capire, un individuo che lui forse non aveva mai capito e forse non avrebbe capito mai, ma lui sapeva che suo figlio non era un assassino. E cosi, quel giovedì, 21 dicembre, Peter Byrnes aspettò che lo sconosciuto ritelefonasse come aveva promesso. Aspettò gravato dal peso supplementare di un nuovo omicidio, la morte della sorella di Anìbal. Aspettò tutto il giorno, ma la telefonata non arrivò, e poi andò a casa, incontro a un compito che lo faceva tremare. A Byrnes piaceva che la casa fosse serena, ma adesso non c'era gioia nella sua casa. Harriet lo accolse nell'atrio, gli prese il cappello e poi gli si rifugiò fra le braccia e singhiozzò sulla sua spalla, e lui cercò di ricordare l'ultima volta che lei aveva pianto in quel modo, e gli sembrò che fosse stato tanto tempo prima e riuscì soltanto a ricordare che era stato per qualcosa che aveva avuto a che fare con una festa di studenti e un vestito lungo e i gravissimi problemi di una diciottenne. Harriet non aveva più diciotto anni. Adesso aveva un figlio quasi di diciotto anni, e i problemi di quel figlio non avevano niente in comune con feste da ballo o vestiti lunghi. «Come sta?» chiese Byrnes. «Male» disse Harriet. «Che cos'ha detto Johnny?» «Gli ha dato qualcosa... un palliativo» rispose Harriet. «Ma lui, Peter, è soltanto un medico. Ha detto così. Ha detto che lui è soltanto un medico, e che deve essere il ragazzo a volersi liberare del vizio. Peter, com'è potuto succedere? Per l'amor del cielo, com'è potuto succedere?» «Non lo so» disse Byrnes. «Credevo che succedesse soltanto ai ragazzi dei ghetti. Credevo che succedesse ai ragazzi che hanno i genitori che non vanno d'accordo, ragazzi ai quali manca il calore dell'affetto. Com'è potuto succedere a Larry?» E Byrnes ripeté: «Non lo so» e dentro di sé diede la colpa al lavoro che non gli aveva lasciato più tempo da dedicare al suo unico figlio. Ma era troppo onesto per buttare tutta la colpa sul lavoro, e si disse che altri uomini hanno un lavoro massacrante, con orari non regolari, eppure i loro figli non diventano tossicomani. E così cominciò a salire le scale per raggiungere la camera del figlio, con passo pesante, invecchiato di colpo, e sotto la sensazione della propria colpa premeva il senso di disgusto. Suo figlio era un drogato. La parola gli lampeggiava nel cervello come un'insegna al ne-
on. Drogato. Drogato. Drogato. Drogato. Bussò alla camera del figlio. «Larry?» «Papà? Apri la porta, eh? Per l'amor di Dio aprila.» Byrnes si frugò in tasca e prese il portachiavi. A quanto ricordava, aveva chiuso Larry in camera soltanto una volta. Da bambino, una volta Larry aveva rotto una vetrina con una palla di baseball e aveva rifiutato categoricamente di pagare i danni con i soldi delle sue mance. Allora Byrnes aveva informato il figlio che avrebbe detratto il denaro occorrente dalla spesa per il suo vitto' e che da quell'istante gli sarebbero stati sospesi i pasti. Aveva mandato il bambino in camera sua e aveva chiuso la porta a chiave. Larry aveva capitolato la sera stessa dopo l'ora di cena. L'incidente allora non era sembrato eccessivamente importante. Una semplice forma di punizione, e se Larry avesse insistito nel suo atteggiamento, certo Byrnes gli avrebbe dato da mangiare lo stesso. Quella volta, Byrnes aveva sentito il dovere di insegnare al figlio il rispetto per la roba degli altri, e il rispetto per il denaro. Ma adesso, ripensandoci, si chiese se non avesse sbagliato. Punendolo in quel modo si era alienato l'affetto del figlio? 'Larry era arrivato alla conclusione che in quella casa non lo amavano? Era arrivato alla conclusione che il padre prendeva le parti del negoziante anziché quelle del figlio, carne della sua carne? Ma che cosa doveva fare un povero uomo? Consultare un trattato di psicologia prima di dire o di fare qualsiasi cosa? E quanti altri piccoli incidenti c'erano stati, quanti piccoli incidenti nel corso degli anni, quanti incidenti si erano accumulati, senza importanza presi a sé, ma che avevano acquistato forza e peso sovrapponendosi finché, tutti insieme, avevano spinto un ragazzo a diventare tossicomane? Quanti incidenti? E per quanti di essi un padre andava biasimato? Era stato un cattivo padre? Non amava suo figlio sinceramente e profondamente, e non aveva sempre cercato di fare quello che era meglio per lui, non aveva cercato di farlo crescere come un essere umano degno di rispetto? Che cosa ci si aspetta da un uomo, cosa ci si aspetta? Apri la porta ed entrò nella stanza. Larry stava in piedi davanti al letto, i pugni serrati. «Perché sono tenuto prigioniero?» gridò. «Tu non sei prigioniero» disse Byrnes, calmo. «Ah, no? Allora perché la porta è chiusa a chiave? Sono un criminale, per caso?»
«Secondo la legge, sì.» «Senti, papà, non scherzare con me, oggi. Non sono nello stato d'animo adatto.» «Un ufficiale di polizia ti ha trovato addosso una siringa ipodermica. Questo è un reato. Lo stesso ufficiale di polizia ha anche trovato tre grammi e mezzo di eroina in camera tua, e questo è reato. Quindi, sei praticamente un criminale, e io ti sto aiutando, rendendomi tuo complice, perciò stai zitto, Larry.» «Non dirmi di stare zitto, papà. Che cos'era quella porcheria che mi ha dato il tuo amico?» «Chi?» «Il tuo grande amico. Quel grande dottore amico tuo. Quello che non ha mai visto un tossicomane in vita sua. Perché l'hai messo di mezzo? Come ti è venuto in mente che avessi bisogno di lui? Ti avevo detto che posso smettere di prendere la droga quando voglio, no? Allora perché l'hai chiamato? Io lo odio, quel bastardo.» «È lui che ti ha fatto nascere, Larry.» «E con questo? Cosa dovrei fare? Dargli una medaglia? È stato pagato per l'assistenza al parto, no?» «È un amico, Larry.» «Se è un amico perché ti ha detto di chiudermi in camera?» «Perché non vuole che tu esca di casa. Tu stai male.» «Oh, Cristo! Sto male, sto male! Mi fa star male la maniera in cui tutti si comportano, in questa casa. Ti ho già detto che non sono intossicato. Cosa devo fare per dimostrartelo?» «Tu sei intossicato, Larry» disse Byrnes a voce bassa. «Sono intossicato, sono intossicato, sono intossicato, non sai dire altro? Questo ritornello è l'unica cosa che tu e il tuo amico dottore siete riusciti a escogitare? Ma Cristo, doveva proprio capitarmi per padre un simile quadrato?» «Mi dispiace di averti deluso» disse Byrnes. «Ci siamo arrivati! Adesso arriva la solfa del martirologio paterno. È da quando avevo otto anni che vedo scene simili al cinema. Cambia disco, papà, questo non mi commuove.» «Non sto tentando di commuoverti» disse Byrnes «sto tentando di curarti.» «Come? Con la porcheria che mi ha dato il tuo amico? A proposito, che cos'era?»
«Un farmaco che sostituisce la droga.» «Davvero? Non serve a niente. Io mi sento esattamente come prima. Potevi risparmiare i tuoi quattrini. Senti, vuoi farmi un vero favore? Vuoi curarmi davvero?» «Lo sai.» «Bene. Allora vai a procurarmi un po' di roba. Deve essercene a mucchi giù al posto di polizia. Senti, mi è venuta un'idea migliore. Restituiscimi quei tre grammi che hai trovato nel mio cassetto.» «No.» «Perché? Maledizione, ma se hai appena detto di volermi aiutare? Allora perché non mi aiuti? Non vuoi aiutarmi?» «Io lo voglio, Larry.» «Allora dammi la roba.» «No.» «Razza di bastardo!» disse Larry, e improvvisamente le lacrime gli bagnarono la faccia. «Perché non mi aiuti? Vai fuori di qui! Fuori di qui! Vai fuori, maledetto...» e la frase si perse in una serie di singhiozzi animaleschi. «Larry...» «Vai via» strillò Larry. «Figliolo...» «Non chiamarmi figlio. Non chiamarmi così. Che cosa te ne importa di me? Tu hai soltanto paura di perdere il tuo lavoro perché io sono un drogato, e nient'altro.» «Questo non è vero, Larry.» «È vero! Hai una fifa tremenda all'idea che qualcuno scopra che ho preso il vizio e venga a sapere di quelle impronte sulla siringa. E va bene, razza di bastardo, va bene! Aspetta solo che io arrivi a un telefono!» «Non arriverai a un telefono finché non sarai guarito, Larry.» «Lo credi tu! Quando arriverò a un telefono chiamerò i giornali e racconterò tutta la storia. Cosa te ne pare, eh? Cosa te ne pare, papà? Cosa te ne pare? Mi dai quei tre grammi?» «Non avrai l'eroina, e non arriverai vicino a un telefono. Adesso rilassati, figliolo.» «Non voglio rilassarmi» gridò Larry. «Non posso rilassarmi. Sfammi un po' a sentire, tu. Stammi a sentire.» Era lì di fronte a suo padre, la faccia rigata di lacrime, gli occhi arrossati, l'indice alzato a trinciare l'aria come se fosse una spada... «Sfammi bene a sentire. Io voglio quella roba, mi hai
sentito? Vammi a prendere quella roba, hai sentito?» «Ti ho sentito. Non avrai l'eroina. Se vuoi, richiamerò John.» «Non voglio rivedere quel ficcanaso del tuo dottore!» «John continuerà a curarti finché non sarai guarito.» «Guarito da che cosa? Vuoi ficcarti nel cervello che non sono malato? Cosa dovrebbe curare?» «Se non sei malato, perché vuoi un'iniezione?» «Per farcela, maledetto stupido!» «Farcela a far che?» «A stare bene di nuovo. Maledizione, devo proprio dirti parola per parola? Che cos'hai, sei cretino? Credevo che tu fossi un poliziotto, credevo che i poliziotti fossero tenuti a essere intelligenti.» «Chiamerò Johnny» disse Byrnes. Si voltò e si diresse alla porta. «No!» urlò Larry. «Non lo voglio! Te l'ho detto. Ho deciso così. Non lo voglio.» «Potrebbe diminuire la tua sofferenza.» «Quale sofferenza? Non parlare a me di sofferenza. Che cosa ne sai tu? Hai vissuto tutta la tua stupida vita senza conoscere nemmeno la metà della sofferenza che conosco io. Io ho soltanto diciott'anni, ma conosco più dolore io di quanto ne abbia mai conosciuto tu. Quindi non parlarmi di sofferenza, tu, bastardo!» «Larry, vuoi che ti stenda con un pugno?» chiese Byrnes, pacato. «Cosa? Cos'hai detto? Vorresti picchiarmi? Avanti, fallo! Che cosa diavolo credi di ottenere facendo il gorilla? Riuscirai a farmi uscire da questo, coi pugni?» «Uscire da cosa?» «Uscire da' cosa, uscire da cosa! Non lo so! Aaah, sei un bastardo astuto! Stai cercando di farmi dire che sono malato, vero? Stai cercando di farmi dire che sono intossicato, lo so, lo so! Be', non sono intossicato!» «Non sto cercando di farti dire proprio niente.» «No, eh? Allora che cosa aspetti? Perché non mi prendi a pugni? Perché non ti comporti come se fossi nella tua sala-agenti? Avanti, comincia a usare i pugni, comincia a picchiare. Puoi battermi facilmente, puoi...» S'interruppe di colpo artigliandosi lo stomaco. Si piegò in avanti, le braccia incrociate strette sullo stomaco. Byrnes lo guardava, impotente. «Larry...» «Sssss» mormorò Larry.
«Figliolo, cosa...» «Sssss, sssss.» Si raddrizzò e cominciò a dondolarsi sui tacchi, avanti e indietro, avanti e indietro, stringendosi lo stomaco, e alla fine alzò la testa, e gli occhi erano umidi, e disse: «Papà, sto male. Sto tanto male.» Byrnes si avvicinò al figlio e gli circondò le spalle con un braccio. Cercava qualcosa da dire per confortarlo, ma non gli venivano le parole. «Papà, te lo chiedo per favore. Per favore... per favore, papà, per favore vuoi darmi qualche cosa? Papà, sto molto male, ho bisogno di un'iniezione. Per favore, papà, ti supplico, dammi qualche cosa. Per favore, soltanto un po', appena un po' perché possa farcela. Papà, per favore, non ti chiederò più niente, mai più niente per tutta la vita. Me ne andrò di casa, farò tutto quello che dirai tu, ma per favore dammi qualche cosa. Se mi vuoi bene, dammi qualche cosa.» «Chiamerò Johnny» disse Byrnes. «No, papà, per favore, quella roba che mi dà lui non va bene, non mi serve.» «Ti darà qualcos'altro.» «No, per favore, per favore, per favore...» «Larry, Larry!» «Papà, se mi vuoi bene...» «Ti voglio bene, Larry» disse Byrnes, e strinse più forte le spalle del figlio, e anche sulla sua faccia adesso c'erano lacrime, e Larry fu scosso da un lungo brivido e poi disse: «Devo andare in bagno. Devo... Papà, aiutami, aiutami.» E Byrnes accompagnò il figlio in bagno, fuori sul corridoio, e Larry stette molto male. Ai piedi della scala, Harriet aspettava, torcendosi le mani, e dopo un po' suo marito e suo figlio ripercorsero il corridoio, e poi Byrnes usci dalla camera di Larry e chiuse la porta a chiave, e scese le scale. «Chiama ancora Johnny» disse alla moglie. «Digli che venga subito.» Harriet esitò, gli occhi fissi sulla faccia del marito, e Byrnes disse: «Sta molto male, Harriet. Sta davvero molto male.» Con la sua saggezza di moglie e di madre Harriet capi che lui non voleva dire quello. Fece segno di sì con la testa e andò a telefonare. I leoni erano decisamente irrequieti. Forse sono affamati, pensò Carell. Forse sarebbero contenti di avere per cena un bel poliziotto grasso. Peccato che io non sia un poliziotto grasso, ma forse non sono leoni troppo schizzinosi e magari si accontenterebbero
di un poliziotto magro. Io sono senza dubbio un poliziotto magro. Dalle 2 del pomeriggio sto gironzolando intorno a questa stupida gabbia ad aspettare un tale di nome Gonzo che non ho mai visto in vita mia. Ho gironzolato e gironzolato e gironzolato ancora, e dentro la costruzione i leoni continuano a ruggire, e adesso sono le 4,37 e da queste parti non è ancora comparso né il mio amico Gonzo né una qualsiasi cosa che avesse somiglianza con il mio amico Gonzo. E se anche lui comparisse, potrebbe rivelarsi del tutto senza importanza. A parte il fatto che è uno spacciatore, e mettere le mani su uno spacciatore fa sempre piacere. Ma può darsi che lui non abbia nessuna importanza per il caso Hernandez, anche se pare che abbia ereditato per lo meno due o tre clienti del ragazzo portoricano. Dio santo, quella ragazza! Dio santo come l'hanno massacrata quella povera ragazza! Questo secondo delitto è collegato alla morte del fratello? Perché? Perché? Perché hanno ucciso il ragazzo? Cosa c'è dietro questo goffo suicidio? Aveva tutta l'aria di un omicidio camuffato da suicidio, ma era camuffato in maniera molto equivoca, e chiunque abbia ucciso il ragazzo lo sapeva, chiunque abbia ucciso il ragazzo voleva farci capire che non si trattava di suicidio. Voleva che scavassimo a fondo e arrivassimo alla conclusione che si trattava di omicidio. Ma perché? E quelle impronte sulla siringa? Sono le impronte di quel Gonzo che sto aspettando, quello sporco spacciatore senza precedenti penali? Sono sue le impronte e non appena gli avremo messo sopra le mani scopriremo che cos'è tutto questo pasticcio? Ed è stato lui a massacrare in quel modo la ragazza, o questa è tutta un'altra cosa, è soltanto un incidente successo a una prostituta, a una ragazza che faceva un lavoro pericoloso? Un omicidio che non ha niente a che fare con la precedente morte del fratello della ragazza? Gonzo conoscerà la risposta a tutte queste domande? E se tu conosci le risposte, caro signor Gonzo X o X Gonzo, perché io non so se questo stupido nome è il tuo nome o il tuo cognome, sicuramente ti sei sempre nascosto molto bene, sicuramente ti sei sempre mosso in maniera molto cauta, ma se conosci le risposte, dove diavolo sei in questo momento? Lavoravi nel campo anche prima, Gonzo? Oppure hai ereditato improvvisamente un commercio redditizio la notte in cui hai eliminato Anìbal Hernandez? È per questo che l'hai ucciso?
Ma qual era il giro d'affari del ragazzo, se ne fai un esame approfondito? Kling ha percorso tutta la zona in lungo e in largo, a piedi, e ha messo la fifa addosso a una manciata di ex clienti di Anìbal. Un rifornitore puro e semplice, che rivendeva soltanto a sufficienza per potersi pagare la droga che serviva a lui. Un giro d'affari tanto piccolo è motivo sufficiente per uccidere? La gente uccide per una manciata di spiccioli? Be', si, a volte la gente uccide anche soltanto per una manciata di spiccioli. Ma solitamente si tratta di spiccioli messi in bella vista, e quella vista induce in tentazione. Gli affari di Hernandez non erano denaro tangibile, e poi se il ragazzo è stato ucciso a causa dei suoi affari, perché, Cristo, perché l'assassino si è comportato in quel modo per far capire che si trattava di omicidio? Sicuramente l'assassino sapeva che una morte per dose eccessiva di droga poteva passare tranquillamente per suicidio. Se avesse lasciato il cadavere al suo posto, la siringa accanto al corpo, sulla branda, c'erano molte probabilità che il verdetto fosse di suicidio. Il medico legale avrebbe esaminato il cadavere e avrebbe detto, sì, morte per dose eccessiva di droga, come infatti ha detto. Così, Anìbal Hernandez sarebbe stato cancellato dall'elenco dei vivi come tossicomane disattento. Ma l'assassino ha legato quella corda al collo del ragazzo, e la corda è stata legata alla sbarra della finestra dopo la morte di Anìbal, e sicuramente l'assassino sapeva che questo particolare non sarebbe sfuggito e avrebbe destato sospetti, sicuramente l'assassino lo sapeva. Lui voleva che si sospettasse un omicidio. Perché? E dov'è Gonzo? Carell prese di tasca un sacchetto di noccioline. Indossava pantaloni grigi di fustagno e una giacca grigia di renna. Indossava anche mocassini neri e calze rosse. La scelta delle calze era stato uno sbaglio. Lui se n'era reso conto dopo essere già uscito di casa. Quelle calze spiccavano come lampadine su un albero di Natale, oh Dio santo, che cosa avrebbe regalato a Teddy per Natale? Aveva visto dei bei pigiami da casa ma Teddy l'avrebbe ammazzato se lui avesse speso venticinque dollari per un pigiama da casa. Eppure le sarebbe stato benissimo, tutto faceva un gran bell'effetto addosso a lei, e allora perché un uomo non poteva spendere venticinque dollari per la donna che amava? Lei gli avrebbe detto coi baci che il suo amore era sufficiente, che lui era il più bello e il più importante regalo di Natale che le fosse mai stato fatto, e che nessuna cosa superiore al costo di quindici
dollari poteva essere una stravaganza accettabile per una ragazza che aveva già ricevuto il regalo più bello del mondo. Teddy gli aveva detto cosi e lui l'aveva abbracciata stretta, però, maledizione, quel pigiama da casa continuava a essere molto bello, e lui la immaginava con il pigiama addosso quindi a pensarci bene che cos'erano dieci dollari in più? Tanta gente buttava via dieci dollari tutti i giorni senza nemmeno pensarci. Carell si ficcò in bocca una nocciolina. Dov'è Gonzo? Probabilmente in giro a fare gli acquisti di Natale, pensò Carell. Anche gli spacciatori hanno mogli e madri? Che scoperta. Certo che le hanno. Chiaro che anche loro si scambiano regali di Natale, e celebrano battesimi e matrimoni e funerali esattamente come tutta l'altra gente. Quindi era probabile che Gonzo stesse facendo i suoi acquisti per Natale, l'idea non era affatto assurda. In questo momento vorrei essere io intento agli acquisti di Natale invece di stare qui a masticare noccioline stantie, al freddo, davanti alla gabbia dei leoni. Inoltre non mi piace lavorare fuori dal mio distretto. D'accordo, si tratta di idiosincrasia, e io sono un poliziotto fissato, ma niente può sostituire casa tua, e questo parco si trova nella giurisdizione di due distretti nessuno dei quali è l'87°, e a me piace l'87°, cosa che fa di me un poliziotto ancora più fissato, e mangiati un'altra nocciolina, idiota! Forza, Gonzo, fatti vedere. Sto morendo dalla voglia di fare la tua conoscenza, Gonzo. Ho sentito tanto parlare di te che mi sembra già di conoscerti, e non pare anche a te che la nostra conoscenza sia stata ritardata anche troppo? Deciditi ad arrivare, Gonzo. Mi sto trasformando in una statua di ghiaccio. Mi piacerebbe entrare a dare un'occhiata ai leoni. Come mai sono così tranquilli, adesso? Gli hanno già dato da mangiare? Mi piacerebbe entrare e riscaldarmi tra le loro zampe, piuttosto che restare ancora qui fuori dove le mie calze rosse stanno diventando blu per il freddo. E allora, Gonzo? Forza, concedi una possibilità a un povero poliziotto. Dai a un povero onesto poliziotto una monetina per una tazza di caffè. Gente, quanto mi piacerebbe un buon caffè caldo. Mmmmmm, che buono, sarebbe. Scommetto che in questo preciso istante tu stai bevendo una tazza di caffè in un bel ristorante. E scommetto che non sai nemmeno che io sono qui ad aspettarti. Be', lo spero proprio che tu non sappia che ti sto aspettando. Carell mangiò un'altra nocciolina e poi guardò con aria distratta un ra-
gazzo spuntato da dietro l'angolo della tana dei leoni. Il ragazzo guardò Carell e tirò via. Carell fece finta di ignorarlo, e continuò a masticare allegramente, con aria idiota, le sue noccioline. Quando il ragazzo fu scomparso, lui andò a sedersi su una panchina e riprese ad aspettare. Guardò l'orologio. Mangiò un'altra nocciolina. Guardò ancora l'orologio. Tre minuti dopo il ragazzo ricomparve. Non aveva più di diciannove anni. Camminava con andatura rapida, quasi saltellante. Indossava una giacca sportiva, bavero rialzato a proteggersi dal freddo, e un paio di pantaloni grigi di flanella sformati alle ginocchia. Era a testa nuda e i capelli biondi danzavano nel vento. Guardò ancora Carell, poi andò a mettersi davanti alla gabbia che fronteggiava la piccola costruzione che ospitava i leoni. Carell pareva interessato unicamente a spaccare e mangiare noccioline. Non diede nemmeno un'occhiata al ragazzo ma non lo perse mai di vista. Adesso il ragazzo camminava su e giù. Fece il gesto di guardare l'orologio poi parve ricordarsi che non l'aveva. Fece una smorfia, guardò lungo il sentiero, e poi riprese ad andare su e giù davanti alla gabbia. Carell continuava a mangiare noccioline. Poi, di colpo, il ragazzo smise di camminare, rimase un attimo indeciso, poi si diresse verso la panchina dove stava seduto Carell. «Ehi, signore» disse «sapete che ore sono?» «Un momento» disse Carell. Finì di pulire una nocciolina se la ficcò in bocca, mise il guscio in cima alla montagna di gusci che aveva fatto sulla panchina, si pulì le mani, poi guardò l'orologio. «Le cinque meno un quarto» disse. «Grazie» disse il ragazzo, e guardò ancora lungo il sentiero. Poi si girò a osservare Carell. «Fa un freddo cane, eh?» disse. «Già» disse Carell. «Una nocciolina?» «Cosa? Oh, no, grazie.» «Come volete» disse Carell. «Danno energia. Riscaldano.» «No, grazie» ripeté il ragazzo. Osservò ancora Carell. «Posso sedermi?» chiese. «Il parco è pubblico» disse Carell. Mani in tasca, il ragazzo si sedette. Per qualche secondo guardò Carell mangiare noccioline. «Venite qui per dare da mangiare ai piccioni o per qualcos'altro?»chiese. «Chi? Io? - disse Carell.» «Sì, voi.» Carell si girò a guardare il ragazzo in faccia. «Perché volete saperlo?»
«Così, curiosità» disse il ragazzo. «Sentite» disse Carell «se non avete niente da fare qui vicino alla gabbia dei leoni, andate a fare una passeggiata. Fate troppe domande per i miei gusti.» Il ragazzo pensò a lungo a questa risposta. «Perché? Voi avete da fare, qui?» disse alla fine. «I miei affari riguardano soltanto me» disse Carell. «Non metterti a fare il ficcanaso, ragazzo, o ti ritrovi senza denti.» «Perché ve la prendete così? Io stavo solo cercando di scoprire...» s'interruppe di colpo. «Non cercare di scoprire niente, ragazzo» disse Carell. «Sarà molto meglio per te tenere la bocca chiusa. Se hai qualche affare qui in giro, tientelo per te e basta. Non si sa mai chi può ascoltarti.» «Oh» disse il ragazzo con aria pensosa. «Già, a questo non ci avevo pensato.» Si guardò alle spalle, prima a sinistra, poi a destra. «Però qui attorno non c'è nessuno» disse. «Vero» disse Carell. «Allora voi sapete...» il ragazzo esitò. Carell finse di essere molto interessato alle sue noccioline. «Sentite, noi due siamo qui per lo stesso motivo, vero?» «Dipende dal motivo per cui ci sei tu» disse Carell. «Andiamo che lo sapete benissimo.» «Io sono qui per prendere un po' d'aria e mangiare noccioline» disse Carell. «Sì, certo.» «Tu per che cosa sei qui?» «Rispondete prima voi» disse il ragazzo. «Sei nuovo di queste cose, vero?» domandò Carell. «Come?» «Senti, ragazzo, il mio consiglio è di non parlare di droga con nessuno, nemmeno con me. Come fai a sapere che non sono un madama?» «A questo non ci avevo pensato» disse il ragazzo. «Certo, non ti è mai venuto in mente. Quindi, se io fossi stato un madama avrei potuto incastrarti come niente. Quando si è stati in queste faccende per tanto tempo come me, non ci si fida di nessuno.» Il ragazzo sorrise. «Allora perché vi fidate di me?» chiese. «Perché ho capito che non sei un madama, e ho capito che sei nuovo del giro.»
«Potrei benissimo essere un madama» ribatté il ragazzo. «No. Sei troppo giovane. Quanti anni hai? Diciotto?» «Ne ho quasi venti.» «Quindi come potresti essere un madama?» Carell guardò l'orologio. «Maledizione! A che ora doveva essere l'appuntamento?» «Mi è stato detto alle quattro e mezzo» disse il ragazzo. «Credete che gli sia successo qualcosa?» «Gesù, spero proprio di no» disse Carell in tutta sincerità. Sentiva una certa tensione, adesso, un senso di anticipazione euforica. Aveva appena appurato che per quel giorno era previsto un appuntamento, e che l'appuntamento era stato fissato per le quattro e mezzo. Ormai erano quasi le cinque e questo significava che, escludendo un incidente imprevisto, Gonzo avrebbe fatto la sua comparsa da un momento all'altro. «Voi lo conoscete questo Gonzo?» chiese il ragazzo. «Ssssst! Gesù, non fare mai nomi» disse Carell guardandosi in giro ostentatamente. «Sei proprio un disastro!» «Aaah. Ma non c'è nessuno ad ascoltare» disse il ragazzo in tono di superiorità. «Soltanto un matto se ne starebbe seduto qui con questo freddo. A meno che non dovesse fare rifornimento.» «O fare un arresto» disse Carell con aria consapevole. «Quei maledetti poliziotti riescono a starsene immobili e silenziosi come un sasso se lo vogliono, e tu non sospetteresti mai la loro presenza finché non ti trovi con le manette ai polsi.» «Non c'è nessun poliziotto qui attorno. Ehi, perché non fate un giro per cercarlo?» «È la prima volta che tratto con lui» disse Carell. «Non so nemmeno che faccia ha.» «Anch'io» disse il ragazzo. «Prima trattavate con Annabelle?» «Sì» rispose Carell. «Anch'io. Era un bravo ragazzo, per essere uno spagnolo.» «I portoricani sono gente a posto» disse Carell. Una pausa. «Tu non hai idea di che aspetto abbia questo Gonzo?» «Dovrebbe essere un po' calvo. È tutto quello che so.» «È anziano?» «No, non credo. È soltanto un po' calvo. C'è un sacco di gente calva anche se è ancora giovane, non lo sapete?» «Si, certo» disse Carell. Guardò ancora l'orologio. «Ormai dovrebbe arrivare, non credi?»
«Che ore sono?» «Le cinque passate di poco.» «Arriverà.» Una pausa. «Come mai è solo la prima volta che avete a che fare con Gonzo? Annabelle si è impiccato già da due giorni.» «Già, ma avevo fatto un buon rifornimento da lui prima che tirasse le cuoia. Ne avevo abbastanza per resistere.» «Capisco» disse il ragazzo. «Io invece mi sono arrangiato un po' in giro. Ho trovato roba buona ma ho anche avuto un paio di stangate. Secondo me bisognerebbe sempre trattare con qualcuno di cui ci si possa fidare, non credete?» «Certo. Ma come fai a sapere che ci si può fidare di questo Gonzo?» «Non lo so, infatti. Comunque, che cos'ho da perdere?» «Diavolo! Potrebbe darci porcheria.» «Correrò il rischio. La roba di Annabelle era sempre buona.» «Certo che lo era. Della migliore.» «Annabelle era un bravo ragazzo. Per essere un portoricano.» «Già» disse Carell. «Non fraintendetemi» disse il ragazzo. «Io non ho niente contro i portoricani.» «Ottimo atteggiamento» disse Carell. «Per quanto mi riguarda sono due le cose che non sopporto: i bigotti e i portoricani.» «Eh?» disse il ragazzo. «Perché non vai a fare quattro passi e intanto dai un'occhiata se vedi Gonzo? Forse sta arrivando dal sentiero.» «Ma non lo conosco!» «Nemmeno io. Tu vai a dare un'occhiata adesso, poi, se tra cinque minuti non è ancora qui, ci andrò io.» «Okay» disse il ragazzo. Si alzò e si allontanò dalla panchina dirigendosi verso il punto in cui il sentiero girava attorno alla gabbia dei leoni. Gli avvenimenti successivi si verificarono con rapidità eccezionale e in successione quasi comica. Più tardi, quando Carell ebbe la possibilità di ripensarci con calma, senza l'impaccio del punto di vista soggettivo di chi è coinvolto personalmente in una serie di eventi, riuscì a ricostruirli nella sequenza esatta. Ma mentre accadevano, lui ne rimase soltanto seccato e stordito. Soltanto in seguito giudicò il tutto obiettivamente vedendoci solo una serie di sfortunate coincidenze. Cominciò con Carell che guardava il ragazzo allontanarsi lungo il sentiero, restare un attimo fermo là in mezzo e voltarsi in direzione di Carell
scuotendo la testa per indicare che Gonzo non era in vista. Poi il ragazzo guardò nella direzione opposta e, forse per raggiungere un miglior punto d'osservazione, s'arrampicò su una roccia e avanzò di tre o quattro passi finché non scomparve dietro un angolo della casa dei leoni in corrispondenza del punto in cui il sentiero svoltava. Nell'attimo in cui il ragazzo scomparve, Carell si accorse che dalla parte opposta della gabbia stava arrivando qualcuno. E la persona che si stava avvicinando era un agente di pattuglia. Il poliziotto camminava svelto. Aveva le orecchie coperte da un passamontagna, la faccia parecchio arrossata, e impugnava il manganello come se fosse la clava di un uomo delle caverne. Impossibile equivocare sulla sua destinazione. Avanzava rapido seguendo una linea retta che l'avrebbe portato giusto alla panchina sulla quale stava seduto Carell. Con la coda dell'occhio Carell guardò verso l'angolo del sentiero, dove il ragazzo era scomparso. Il poliziotto affrettò il passo. Camminava con l'aria decisa di chi sa esattamente quello che deve fare. Arrivato alla panchina si fermò e abbassò gli occhi a guardare Carell. Carell sbirciò ancora verso il sentiero. Il ragazzo non era ancora ricomparso. «Che cosa state facendo qui?» chiese il poliziotto. Carell alzò gli occhi. «Io?» disse e imprecò contro il destino che l'aveva spedito in un parco fuori dalla giurisdizione del suo distretto, imprecò contro il destino che gli aveva mandato fra i piedi un poliziotto che lui non conosceva, imprecò contro la stupidità dell'agente di pattuglia e contemporaneamente si rese conto che non avrebbe potuto mostrare i suoi documenti perché il ragazzo poteva tornare da un momento all'altro e ci mancava soltanto che quello vedesse la scena. E se Gonzo fosse arrivato proprio adesso? Oh, Dio, pensa soltanto se Gonzo fosse arrivato proprio adesso! «Già, voi» disse l'agente di pattuglia. «Mi sbaglio o qui ci siamo soltanto noi due?» «Be', cosa faccio, me ne sto seduto.» «È tanto ormai che ve ne state seduto.» «Mi piace stare seduto all'aperto» disse Carell, e soppesò la possibilità di mostrare rapidamente il suo distintivo e la possibilità che l'agente di pattuglia afferrasse subito la situazione e sloggiasse senza aggiungere altro. Ma a far svanire la possibilità capitò che il ragazzo ricomparve improvvisamente all'angolo della gabbia dei leoni poi, vedendo il poliziotto, si fermò di botto e fece un rapido dietrofront. Questa volta però non sparì completamente. Questa volta si appostò dietro l'angolo e rimase a sbirciare da die-
tro il muro di mattoni della costruzione come un soldato in avanscoperta che cerchi di localizzare possibili tiratori scelti. «Fa un po' freddo per starsene seduti qui, mi pare» disse l'agente di pattuglia. Carell alzò gli occhi a guardarlo e dietro il poliziotto vide il ragazzo intento a osservare. A questo punto poteva soltanto cercare di cavarsi dalla situazione imbarazzante senza rivelare la sua identità. E pregare che Gonzo non arrivasse adesso e si spaventasse alla vista dell'uomo in divisa. «C'è qualche legge che impedisce di stare seduti su una panchina a mangiare noccioline?» domandò Carell. «Potrebbe esserci.» «Non sto dando fastidio a nessuno, io.» «Potreste averne l'intenzione. Potreste molestare la prima ragazzina che passa di qui.» «Non ho intenzione di molestare nessuno» disse Carell. «Ho solo l'intenzione di starmene seduto qui a pensare ai fatti miei e a prendere un po' d'aria, nient'altro.» «Potreste essere un vagabondo» disse il poliziotto. «Ho l'aria di un vagabondo?» «Non esattamente.» «Sentite agente...» «Alzatevi» disse il poliziotto. «Perché?» «Devo perquisirvi.» «E perché diavolo dovreste farlo?» disse Carell, furioso, cosciente degli occhi del ragazzo fissi sulla scena, e cosciente inoltre che una perquisizione avrebbe portato alla scoperta della calibro 38 Special infilata nel fodero agganciato alla cintura dei pantaloni e che la presenza dell'arma avrebbe richiesto una spiegazione e che la spiegazione avrebbe portato necessariamente all'esibizione del distintivo e che questo gesto avrebbe rovinato tutto. Il ragazzo avrebbe capito che lui era della polizia e sarebbe scappato, e se Gonzo fosse arrivato in quel momento... «Devo perquisirvi» disse il poliziotto. «Potreste essere uno spacciatore di droga o qualcos'altro del genere.» «Oh, Cristo!» esplose Carell. «Se volete perquisirmi procuratevi un mandato!» «Non ne ho bisogno» disse il poliziotto senza scomporsi. «O vi assoggettate alla perquisizione o vi do una botta in testa e vi trascino al posto di polizia con l'accusa di vagabondaggio. Allora, che cosa decidete?»
Il poliziotto non aspettò la risposta. Cominciò a far scorrere il suo manganello sul corpo di Carell e la prima cosa che il bastone incontrò fu la calibro 38. Il poliziotto strappò in su la giacca di Carell. «Ehi!» gridò. «Questa che cos'è?» Probabilmente la sua voce era arrivata fino alla gabbia dei serpenti all'estremità opposta dello zoo. Sicuramente era arrivata all'angolo della gabbia dei leoni lontana cinque o sei metri, e Carell vide il ragazzo sbarrare gli occhi, e poi il poliziotto si impadronì della rivoltella e l'alzò in aria come se fosse un'accetta con cui troncare un ramo, e il ragazzo la vide, i suoi occhi si strinsero con espressione sospettosa, e poi la sua faccia spari dietro l'angolo. «Che cos'è questa?» urlò ancora il poliziotto, tenendo Carell per un braccio, adesso. Carell tese le orecchie e sentì allontanarsi il rumore dei passi in corsa sul sentiero asfaltato. Il ragazzo se n'era andato, e Gonzo non si era fatto vedere. In ogni caso il lavoro della giornata era andato a farsi benedire. «Sto parlando con voi» gridò il poliziotto. «Avete il porto d'armi per questa rivoltella?» «Mi chiamo Stephen Carell» disse Carell spiccando bene le parole «sono un agente investigativo di secondo grado e dipendo dall'Ottantasettesimo Distretto, e tu mi hai appena messo nell'impossibilità di operare un probabile arresto per spaccio di narcotici.» La faccia rossa del poliziotto impallidì di colpo. Carell lo guardò esasperato e disse: «Forza, spaventati. È il minimo che ti meriti.» 12 Una piuma. Era soltanto una piuma, ma era forse l'indizio più significativo trovato nella stanza dove era stata accoltellata Maria Hernandez. Di piume, dette anche penne, ce ne sono di tutti i generi. Ci sono piume di gallina e piume d'anatra e piume di quaglia. E ci sono penne d'oca e penne di pavone e penne stilografiche e penne a sfera. Le penne, o piume, si dividono in più tipi. Ci sono le penne copritrici, quelle di contorno e le piume volgarmente dette di sotto. Quella trovata nella stanza era una piuma di sotto. Nell'87° Distretto, quando un ragazzo ne tiene un altro in gran conto, lo considera un ragazzo giusto, coraggioso, battagliero, fortunato in amore,
eccetera, parlando di lui dice che è "un gatto di sotto", dove gatto sta per ragazzo e di sotto significa giusto, a posto, fidato. Una penna di sotto comunque non è una penna giusta. Non che con questo si voglia dire che ha qualcosa di sbagliato, però non si vuol dire nemmeno che è coraggiosa, battagliera, fidata, eccetera. La si definisce così unicamente perché proviene da una certa parte del corpo del volatile opposta ad altre parti del corpo, ed è per questo che viene chiamata di sotto invece che di contorno o altro. La penna trovata nella stanza venne immersa in acqua saponata e lasciata lì un bel po' a inzupparsi, poi risciacquata sotto acqua corrente, e poi risciacquata ancora con alcool, e poi infilata sotto un microscopio. La penna aveva lunghe barbe formate da numerose minuscole punte sporgenti. Nell'ordine dei passeracei le barbe sono vicinissime l'una all'altra e di forma conica. Nell'ordine dei trampolieri le barbe sono coniche e molto appuntite, e hanno barbule ispide e dure. Gli uccelli rampicanti hanno barbe eccezionalmente sporgenti e con quattro punte. Gli uccelli acquatici hanno barbe resistenti con la cima arrotondata. I polli e altri volatili dell'ordine dei gallinacei hanno penne con le stesse caratteristiche dei trampolieri. I piccioni... Ecco, i piccioni. Le penne dei piccioni hanno lunghe barbe formate da minuscole punte sporgenti. La penna trovata nella stanza era una penna di piccione. Uno dei guanciali del letto era imbottito con piume d'oca. La penna trovata quindi non proveniva dal guanciale. L'avevano trovata appiccicata a una macchia di sangue, era quindi probabile che fosse stata lasciata dall'assassino e non da qualcun altro passato per quella stanza prima di lui. Quindi, se l'assassino aveva avuto una penna di piccione attaccata ai vestiti c'era la probabilità che fosse un appassionato di piccioni. I poliziotti dovevano semplicemente rintracciare tutti gli appassionati di piccioni esistenti in città. Un lavoro da niente. Venerdì 22 dicembre i grandi magazzini erano un tantino affollati. In tutta onestà Bert Kling non poteva dire che la folla gli dispiacesse, visto
che proprio la folla lo costringeva a stare a stretto contatto con Claire Townsend e che non esisteva ragazza alla quale lui avrebbe preferito stare più vicino. D'altro canto, lo scopo di quella visita ai grandi magazzini era l'acquisto di regali per tipi come lo zio Ed e la zia Sarah, che Kling non aveva mai visto, e più presto sbrigavano quella faccenda più presto lui e Claire avrebbero passato insieme qualche ora tranquilla. In fondo quello era il suo giorno di riposo e a lui non piaceva farsi sballottare per i grandi magazzini nel suo giorno di riposo anche se veniva sballottato insieme a Claire. Però doveva ammettere che di tutti quelli che si sballottavano lui e la ragazza erano la coppia più bella. La ragazza possedeva una sorta di energia infaticabile, un tipo di energia che lui di solito associava ai giocatori di rugby. Solo che dei giocatori di rugby Claire Townsend non possedeva i normali requisiti di muscolatura prominente. Ne aveva soltanto l'energia infaticabile. Per Kling, Claire Townsend era forse la più bella ragazza del mondo. Certamente era la più bella che lui avesse conosciuto. Aveva i capelli neri. Tutti sanno che a proposito di capelli c'è nero e nero. Quelli di Claire erano di un nero totale, puro, assoluto. Gli occhi castani erano messi in risalto dalle ciglia e dalle sopracciglia nere. La carnagione chiara accoppiata agli zigomi alti faceva pensare a una spagnola con sangue indiano. Il naso era dritto, la bocca carnosa, e lei era la più adorabile ragazza del mondo. Che lo fosse davvero o no non aveva importanza. Kling pensava che lo fosse. Pensava inoltre che Claire fosse una dinamo. Si chiese quando la dinamo avrebbe smesso di funzionare, ma quella dinamo continuava a emanare impulsi elettrici e a comperare regali per il cugino Percy e la nonna Eloise, e Kling la seguiva come una scialuppa trainata da uno schooner a vele spiegate e altrettanto metaforicamente rassegnato. «Dovresti vedere che cosa ho comperato per te» gli disse Claire. «Che cos'è?» chiese lui. «Una fondina placcata d'oro per metterci la tua ridicola arma.» «Vuoi dire la mia rivoltella?» chiese lui. «Già. E una scatola di saponette per lavare la tua sudicia mente.» «Scommetto che potrei avere la promozione ad agente investigativo di secondo grado nel giro di dieci minuti solo dedicandomi a pizzicare le taccheggiatrici presenti in questo magazzino.» «Basta che non pizzichi nessuna che sia giovane e bionda.» «Claire...»
«Guarda quei guanti. Costano solo due dollari e novantotto, e sono l'ideale per...» «La cugina Antoinette di Kalamazoo. Claire...» «Non appena avrò comprato quei guanti, tesoro.» «Come fai a sapere che cosa volevo dire?» «Sei stufo di tutte queste sciocchezze e vorresti andare a bere qualcosa, non è così?» «Infatti.» «Esattamente come pensavo» disse Claire. Poi, essendo un tipo allegro ed espansivo, aggiunse: «Dovresti essere felice. Quando saremo sposati dovrai pagarle tu tutte queste stupidaggini.» Era la prima volta che fra loro affiorava l'argomento matrimonio, e da quel rimorchiato che era per poco l'accenno non gli sfuggi. Prima ancora di rendersi pienamente conto della frase miracolosa di Claire i guanti da due e novantotto furono comprati, e lui venne risucchiato verso l'ultimo piano dove c'era il bar. Il locale era affollato di signore anziane cariche di pacchi. «Qui hanno soltanto minuscoli tramezzini» la informò Bert. «Vieni che ti porto in un bar riservato.» Il bar riservato in cui la portò non era affatto tranquillo e riservato. Era un locale in penombra, questo sì, ma la semioscurità non è necessariamente sinonimo di riservatezza. Quando il cameriere si trascinò al loro tavolo, Kling ordinò un whisky con ghiaccio e poi guardò Claire con espressione interrogativa. «Cognac» disse lei, e il cameriere ciabattò via. «Davvero mi sposerai?» domandò Kling. «Ti prego» disse lei. «Se no scoppio. Sono tutta presa dalla gioia del Natale e in questo momento una proposta del genere mi butterebbe a terra.» «Tu però mi ami.» «Te l'ho mai detto?» «No.» «Allora che cosa ti rende così precipitoso?» «La certezza che mi ami.» «La fiducia in se stessi è un'ottima qualità, certo, però...» «Non mi ami?» Claire si fece seria di colpo. «Sì, Bert» disse. «Si, tesoro, ti amo. Ti amo tanto. Tanto tanto.» «Be', allora...» Rimase senza parole. Sorrise un po' stupidamente e le strinse una mano e sbatté le palpebre.
«Ecco, adesso ti ho guastato» disse lei sorridendo. «Ora che lo sai, sarò completamente in tuo potere e tu diventerai insopportabile.» «No, no, non succederà.» «Li conosco i poliziotti» insistette Claire. «Sono tutti crudeli, brutali e...» «No, Claire, davvero, io non...» «Sì, invece. Mi sottoporrai a interrogatori continui e...» «Ma Claire, io ti amo» protestò Bert. «Si» disse lei, e sorrise felice. «Non è meraviglioso? Non siamo fortunati, Bert?» «Sei stato fortunato» disse l'uomo. Gonzo lo guardò cupo. «Ah, sì? Tu credi?» «Avresti potuto farti beccare. Quanta ne avevi?» «Circa mezz'etto. Ma non è questo il punto. Stavo cercando di spiegarti che questa storia comincia a scottare, non lo capisci?» «Noi vogliamo che scotti.» «Senti un po', amico, che una cosa scotti può anche andarmi bene, ma che siano le mie chiappe a bruciare non mi piace.» «Non sei mica rimasto incastrato.» «No, ma solo perché ero casualmente fuori tiro.» Gonzo si accese una sigaretta e sbuffò una nuvola di fumo. «Senti un po', lo capisci quello che sto dicendo?» «Capisco perfettamente.» «Okay. Quel tale era un poliziotto e niente di più sicuro che stesse cercando me. Questo significa che in qualche modo sono sulle mie tracce, e questo poi significa che sanno che cos'è successo con Annabelle.» «Non ha nessuna importanza che lo sappiano.» «Ripeti sempre la stessa cosa. Okay, deciditi allora. Ho continuato a dirti che ormai ci siamo dentro fino al collo, e adesso ti dico che bisogna concludere. Fai la tua telefonata, fai quello che va fatto, e finiamola.» «Telefonerò quando sarò pronto a farlo» disse l'uomo. «Prima voglio salire a dare un'occhiata ai piccioni. Con questo freddo...» «Tu e i tuoi maledetti piccioni!» disse Gonzo. «I piccioni sono buoni» disse l'uomo. «E va bene, vai a guardare i piccioni. Vai a mettergli la maglia di lana, fai quel cavolo che vuoi, ma telefona a Byrnes, d'accordo? Sistemiamo questa storia, d'accordo? Ricordati che io non c'entro con tutta la faccenda,
ma...» «Tu c'entri, e parecchio.» «E invece no. È questo che tentavo di farti capire. Tu mi hai fatto un sacco di promesse ma io non vedo ancora niente. Finora ho visto solo poliziotti che mi davano la caccia. Che fine hanno fatto tutte le tue promesse? Che cos'è successo della tua grande idea? Cristo d'un Cristo, chi è stato a dirti che il giovane Byrnes era un drogato?» «Me l'hai detto tu, Gonzo.» «Okay. E che cos'è successo? Quando si vedrà il frutto delle tue promesse?» «Ti sei preso gli affari di Annabelle, no?» «Briciole!» disse Gonzo con veemenza. «Tu hai parlato di cose in grande. Dove sono? Non ho forse fatto tutto quello che mi hai detto? Non ho rischiato il collo per accordarmi con la Hernandez? Credi che sia stato facile convincerla a mentire?» «Sì, credo che sia stato facilissimo. Credo che tutta la tua fatica sia stata quella di sventolarle sotto il naso i venticinque dollari.» «Ah, si? Be', non è stato facile per niente. Il ragazzo era suo fratello, lo sai bene. E certamente lei non immaginava che Annabelle stava per finire nelle mani del becchino. Comunque, era un bravo ragazzo. È qui che il progetto puzza.» «Era l'unico modo possibile.» «Potevi arrivarci in un sacco di altri modi» disse Gonzo «ma di questo non voglio nemmeno parlare. Io non so niente di omicidi, niente, capisci? Annabelle e sua sorella sono tutti sulle tue spalle. E la Hernandez è un'altra bella cosa, sai? Che bisogno avevi di mass...» «Stai zitto!» «Okay, okay. Voglio dirti soltanto questo. Quel dannato Ottantasettesimo ha in mano qualcosa, e io intendo proteggermi. Non intendo finire dentro né per te né per nessun altro. Se quel poliziotto comincia a procurarmi guai... be', amico, non ho intenzione di accordarmi con lui. Nessuno mi metterà al torchio in una sporca maledetta fottuta sala-agenti.» «Che cosa farai, Gonzo? Cosa farai se un poliziotto tenta di arrestarti?» «Lo ammazzo come un cane» disse Gonzo. «Credevo che non volessi saperne di omicidi.» «Parlavo di quegli inutili stupidi lavori partoriti dal tuo cervello. Con quei pasticci io non ho niente a che fare. Io voglio soltanto quello che mi è stato promesso, e che mi spetta per averti dato la dritta all'inizio e per aver
fatto l'accordo con la Hernandez. Senza di me non avresti mai...» «Tutto quello che ti è stato promesso l'avrai. Sai cosa c'è di sbagliato in te, Gonzo?» «No, dimmelo. Muoio dalla voglia di saperlo.» «Ragioni da un punto di vista limitato. Sei nell'ingranaggio di qualcosa di colossale e continui a ragionare in termini di bidoni della spazzatura.» «Be', il tuo cervello spazia fra le nuvole. Congratulazioni. E scusami se sto attaccato alla spazzatura.» «Comincia ad allargare le tue prospettive, stupido! Non appena avrò spiegato a Byrnes...» «Quando lo farai? Avanti, chiamalo. Affrettiamo i tempi.» «Non appena avrò controllato i miei piccioni.» «Controlla gli appassionati di piccioni» urlò Byrnes nell'interfono. «Se hai degli informatori perché diavolo non te ne servi, Steve?» All'altro capo dell'apparecchio Steve Carell sospirò. Non riusciva a spiegarsi l'irritazione che Byrnes dimostrava da un paio di giorni. «Pete, ho già controllato con i nostri informatori. Nessuno ha mai sentito parlare di un certo Gonzo. Ho appena ricevuto una telefonata da Danny Gimp. Non appena...» «Non posso credere che in questo maledetto distretto nessuno abbia mai sentito parlare di Gonzo!» gridò Byrnes. «Non posso credere che disponendo di una squadra di sedici agenti investigativi io non riesca a individuare e localizzare un miserabile spacciatore quando ho bisogno di trovarlo! Scusami, Steve, ma mi è impossibile crederci.» «Ecco...» «Hai fatto un controllo presso gli altri distretti? Un uomo non spunta improvvisamente dall'aria. Te ne rendi conto, Steve? Se è uno spacciatore sarà schedato.» «Potrebbe essere uno nuovo.» «In questo caso può darsi che abbia precedenti come minorenne.» «No. Ho già controllato anche questo. Pete, forse Gonzo è un soprannome. Forse...» «Per che cosa diavolo li abbiamo gli archivi dei nomi falsi soprannomi nomignoli e tutto il resto?» urlò Byrnes. «Pete, cerca di essere ragionevole. È probabile che non sia un anziano del giro. Può trattarsi di uno di quei giovani balordi che si sono appena messi in affari. In questo caso non risultano precedenti e lui...»
«Un giovane balordo si mette improvvisamente a fare lo spacciatore e tu vieni a dirmi che non è schedato come delinquente minorile?» «Pete, non è detto che debba essere schedato a tutti i costi, nemmeno come delinquente minorile. Può anche darsi che non si sia mai trovato nei guai. Sono centinaia i ragazzi di strada sui quali non esistono precedenti anche se...» «Cosa stai dicendo?» disse Byrnes. «Vuoi insinuare che è impossibile trovarmi un piccolo miserabile spacciatore? Vuoi dire questo? Il nostro Gonzo ha assorbito il giro d'affari di Hernandez, e questo è un probabile movente per l'omicidio, non ti pare?» «Ecco... se si trattava di un grosso giro d'affari, sì, ma, Pete...» «Hai scoperto un movente migliore?» «No. Non ancora.» «Allora trovami Gonzo!» «Oh, Gesù! Pete, mi parli come se...» «Sono ancora io il capo di questa squadra, Carell» disse Byrnes, furioso. «Va bene, va bene. Senti, ieri ho preso contatto con un ragazzo che doveva comprare da Gonzo. Conosco bene la faccia del ragazzo e oggi tenterò di rintracciarlo, okay? Prima però lasciami sentire che cosa ha scoperto Danny Gimp.» «Secondo te il ragazzo conosce Gonzo?» «Ieri mi ha detto di non conoscerlo, e si è terrorizzato quando è comparso un poliziotto. Ma forse nel frattempo è riuscito a mettersi in contatto con lo spacciatore e può darsi che mi metta in grado di trovarlo. Lo cercherò. Danny dovrebbe richiamare tra una mezz'ora.» «Va bene» disse Byrnes. «Non capisco perché te la prenda così calda per questo caso» osò dire Carell. «Finora non ci sono state pressioni da...» «Io me la prendo calda per tutti i casi» disse Byrnes secco, e chiuse la comunicazione. Era seduto alla sua scrivania e guardava la finestra d'angolo, gli occhi fissi sul parco. Era stanco e demoralizzato, e si odiava per gli scatti che aveva con i suoi uomini, e si odiava per aver sottratto prove importanti, prove che avrebbero potuto aiutare le indagini di un buon poliziotto come Carell. Ma continuava a farsi la stessa domanda, e la domanda continuava ad avere lo stesso suono sordo. Cosa ci si aspetta che faccia un uomo? Carell avrebbe capito? O essendo un buon poliziotto, e un poliziotto capace, Carell avrebbe battuto la pista di quelle impronte digitali, le avrebbe
individuate, ci avrebbe lavorato sopra e avrebbe concluso col dare all'assassino il nome di Larry Byrnes? Di che cosa ho paura?, si chiese Byrnes. E messo di fronte alla risposta curvò le spalle sotto il peso di un nuovo motivo di scoramento. Lo sapeva di che cosa aveva paura. Negli ultimi giorni aveva conosciuto un insospettato Larry Byrnes. L'individuo nuovo che aveva la faccia e il corpo di suo figlio non era affatto un individuo piacevole. Ed era un individuo che lui non conosceva per niente. Quell'individuo poteva aver commesso un omicidio. Può essere stato mio figlio Larry a uccidere Anìbal Hernandez, pensò Byrnes. Il telefono suonò. Byrnes lo ascoltò suonare per alcuni secondi, poi fece ruotare la poltroncina girevole e sollevò il ricevitore. «Ottantasettesima Squadra» disse. «Parla il tenente Byrnes.» «Tenente, sono Cassidy, dal centralino.» «Cosa c'è, Mike?» «C'è una telefonata per voi.» «Chi è?» «È questo il punto. L'uomo non vuole dirlo.» Byrnes provò una fitta improvvisa alla nuca. Poi la sensazione dolorosa dilagò e poi perse la sua caratteristica fisica e si trasformò in migliaia di scintille colorate. «Vuole... vuole parlare con me?» chiese Byrnes. «Sì, signore» rispose Cassidy. «Va bene, passamelo.» Byrnes aspettò. Aveva le mani sudate. Il ricevitore diventò scivoloso, e lui si asciugò il palmo della mano sui calzoni. «Pronto?» disse la voce. Era la stessa voce dell'altra volta. Byrnes la riconobbe immediatamente. «Parla il tenente Byrnes» disse. «Oh, buongiorno, tenente» disse la voce. «Come state?» «Bene» disse Byrnes. «Chi parla?» «Be', questa non è una domanda molto intelligente, non vi sembra?» «Che cosa volete?» «Nessuno ascolta per caso su una derivazione, tenente? Non vorrei che qualche vostro collega sentisse le cose riservate che dobbiamo dirci.» «Nessuno ascolta le mie telefonate» disse Byrnes. «Ne siete sicuro, tenente?»
«Non prendetemi per cretino» scattò Byrnes. «Dite quello che dovete dire.» «Avete avuto occasione di fare quattro chiacchiere con vostro figlio, tenente?» «Sì» disse Byrnes. Passò il ricevitore nella sinistra, si asciugò la mano destra, poi cambiò ancora mano. «E lui ha confermato l'accusa che ho fatto l'ultima volta che ci siamo parlati?» «Mio figlio si droga» disse Byrnes. «Questo è vero...» «Un vero peccato, tenente. Un così bravo ragazzo.» Improvvisamente la voce prese un tono ufficiale. «Avete controllato quelle impronte digitali?» «Sì.» «Sono le sue?» «Sì.» «Brutta faccenda, vero, tenente?» «Mio figlio non ha litigato con Hernandez.» «Ho un testimone, tenente.» «Chi è il vostro testimone?» «Sarà una sorpresa per voi saperlo.» «Chi è?» «Maria Hernandez.» «Cosa?» «Già. Questo peggiora ancora la situazione, vero? L'unico testimone a quella lite, e muore così all'improvviso. Questo peggiora di molto le cose, tenente.» «La notte in cui Maria Hernandez è stata uccisa, mio figlio era con me» disse Byrnes. «Una dichiarazione che avrà un effetto meraviglioso sulla giuria, vero tenente?» disse la voce. «Soprattutto quando la giuria saprà che il buon papà ha sottratto prove importanti.» Una pausa. «Oppure avete messo al corrente i vostri colleghi sulla faccenda che le impronte digitali sono di vostro figlio?» «No» disse Byrnes, esitante. «Non... non l'ho detto. Sentite, che cosa volete?» «Adesso ve lo dico. Voi siete un duro, vero tenente?» «Che cosa volete, maledizione!» Una pausa. «Si tratta di quattrini? È così?» «Tenente, mi sottovalutate. Io...»
«Pronto?» disse una voce inserendosi nella comunicazione. «Come?» disse Byrnes. «Chi...» «Oh, Dio! Scusatemi,'tenente» disse Cassidy. «Ho infilato la spina nel foro sbagliato. Volevo chiamare Carell. Ho in linea Danny Gimp per lui.» «Va bene, Cassidy, adesso togliti» disse Byrnes. «Sì, signore.» Byrnes aspettò finché uno scatto non gli disse che Cassidy si era disinserito. «A posto» disse. «Si è tolto.» Nessuna risposta. «Pronto?» disse Byrnes. «Pronto?» Il suo interlocutore se n'era andato. Byrnes sbatté il ricevitore sul supporto e rimase seduto alla scrivania, a pensare. Ragionò con lucidità, chiarezza e decisione, e quando cinque minuti più tardi qualcuno bussò alla porta del suo ufficio, era arrivato a una conclusione e aveva raggiunto una certa tranquillità d'animo. «Avanti» disse. La porta si aprì ed entrò Carell. «Ho appena parlato con Danny Gimp» disse Carell. Scosse la testa. «Niente. Nemmeno lui ha saputo niente di Gonzo.» «Va bene» disse Byrnes in tono stanco. «Adesso andrò a fare un altro tentativo al parco. Forse vedrò ancora quel ragazzo. Se non lo trovo nel parco lo cercherò in giro.» «Ottimo» disse Byrnes. «Fai del tuo meglio.» «D'accordo.» Carell si girò per andarsene. «Steve» disse Byrnes «prima che te ne vada...» «Sì?» «C'è qualcosa che dovresti sapere. Ci sono parecchie cose che devi sapere.» «Di che si tratta, Pete?» «Le impronte digitali su quella siringa...» disse Byrnes, e si preparò a raccontare la lunga storia dolorosa. «Sono di mio figlio.» 13 «Mamma!» Harriet, ferma ai piedi della scala, riascoltò la voce del figlio, una voce supplichevole che penetrava il legno della porta e poi calava tragica giù
per la scala. «Mamma, vieni su! Aprimi la porta! Mamma!» Lei rimase immobile, gli occhi turbati, le mani strette l'una all'altra. «Mamma!» «Cosa c'è, Larry?» chiese lei. «Vieni su! Maledizione, non puoi venire su?» Lui non poteva vederla, ma lei fece lo stesso segno di sì con la testa e poi cominciò a salire. Nella Calm's Point della sua giovinezza Harriet Byrnes veniva considerata molto bella. I suoi occhi erano ancora decisamente verdi, ma il rosso dei capelli era adesso striato di grigio, e si era ingrossata di fianchi più di quanto avrebbe voluto. Le gambe erano ancora belle anche se meno sode di una volta. Harriet sali al piano superiore, si fermò davanti alla camera del figlio, e in tono calmo chiese: «Che cosa c'è, Larry?» «Apri la porta» disse Larry. «Perché?» «Voglio uscire.» «Tuo padre ha detto che non devi uscire dalla camera, Larry. Il dottore...» «Sì, certo, mamma» disse Larry con voce diventata di colpo untuosa «ma questo valeva prima. Adesso sto bene, mamma. Su, apri.» «No» disse Harriet, decisa. «Mamma» riprese Larry, tentando di essere convincente «non ti sembra che adesso stia bene? Davvero, mamma, non tenterei mai di imbrogliarti. Sto bene. Chiuso qua dentro però mi pare di essere in prigione. Mi piacerebbe fare quattro passi, il giro della casa, per sgranchirmi un po' le gambe.» «No.» «Mamma...» «No, Larry.» «Oh, Cristo! Si può sapere perché devo starmene chiuso qui dentro? Volete torturarmi? È questo che volete fare? Ascoltami mamma. Ascoltami bene. Chiama quel pidocchio d'un dottore e digli di darmi alla svelta qualcosa, mi hai sentito?» «Larry...» «Piantala! Sono stufo di sentirmi trattare come se fossi un deficiente. E va bene, sono un drogato! Sono un maledetto drogato e voglio farmi una siringa! E adesso vedi di procurarmi la roba.»
«Se vuoi chiamerò Johnny, ma lui non ti porterà l'eroina.» «Siete proprio uguali voi due, vero? Una bella coppia tu e il vecchio. Identici. La stessa testa. Come Stanlio e Ollio. Apri la porta! Apri questa stupida maledetta porta! Se non apri salto giù dalla finestra. Mi hai sentito? Se non apri la porta mi butto dalla finestra.» «Va bene, Larry» disse Harriet, calma. «Aprirò la porta.» «Finalmente» disse lui. «Era ora!» «Un momento» disse lei. Andò calma ma decisa verso la sua camera da letto in fondo al corridoio. Sentì Larry chiamarla ma non rispose. Entrata in camera andò dritta al cassettone, aprì il primo tiretto e ne tolse una scatola rettangolare, di pelle. Alzò il coperchio della scatola che non era mai stata aperta da quando Peter gliel'aveva regalata, e prese la piccola calibro 22 con l'impugnatura di madreperla e la sollevò dal fondo di velluto rosso. Controllò che la rivoltella fosse carica, poi uscì e ripercorse il corridoio tornando alla camera di Larry, la rivoltella stretta nella mano abbandonata lungo il fianco. «Mamma?» chiamò Larry. «Sì, un momento.» Prese la chiave dalla tasca del grembiule, la infilò nella serratura con la sinistra, la girò, aprì la porta, sollevò la rivoltella e indietreggiò. Larry si precipitò fuori immediatamente, poi vide la rivoltella nella mano della madre e si bloccò di colpo fissandola incredulo. «Che... che cosa...» «Vai indietro» disse Harriet, reggendo la rivoltella con mano ferma. «Cosa...» Harriet entrò nella stanza, e Larry indietreggiò allontanandosi da lei e dall'arma. Harriet chiuse la porta, spostò una sedia, la mise davanti al battente chiuso e poi si sedette. «Per... perché quella rivoltella?» chiese Larry. Negli occhi di sua madre c'era un'espressione che lui ricordava bene. Un'espressione vista tante volte quando era bambino. Un'espressione severa di rimprovero, di fronte alla quale lui non riusciva a discutere. Lo sapeva. Ci aveva provato da bambino. «Hai detto che ti saresti buttato dalla finestra» disse Harriet. «Il salto è di circa quindici metri. Se ti butti, con molta probabilità ti uccidi. Ecco il perché di questa rivoltella.» «Non... non capisco.» «Te lo spiego» disse Harriet. «Tu non uscirai da questa stanza né dalla
porta né dalla finestra. Se fai un solo gesto verso la porta o la finestra, ti sparo.» «Cosa?» disse Larry, incredulo. «Si, Larry» disse Harriet. «Sono una buona tiratrice, sai? Mi ha insegnato tuo padre, e lui era il miglior tiratore dell'accademia di polizia. Adesso siediti. Parleremo un po'.» «Tu...» Larry deglutì. «Tu stai scherzando. Sicuramente stai scherzando.» «Visto che sono io ad avere la rivoltella» disse Harriet «sarebbe un po' stupido da parte tua puntare su questa probabilità.» Larry guardò l'arma e sbatté le palpebre. «Adesso siediti» disse Harriet sorridendo. «Parleremo di un sacco di cose. A proposito, hai già pensato cosa regalare a tuo padre per Natale?» C'è un guaio con l'omicidio. A dire la verità di guai, con un omicidio, ce ne sono parecchi, ma ce n'è uno particolare. Rischia di diventare un'abitudine. Cercate di capire, nessuno intende sostenere che l'omicidio è l'unica forma di abitudine esistente. Sostenerlo sarebbe falso e anche stupido. Lavarsi i denti è un'abitudine. E anche fare il bagno. E anche l'infedeltà. Volendo esasperare il concetto, persino vivere è una specie di abitudine. Ma l'omicidio è indubbiamente una forma d'abitudine, anche se non l'unica. Questo è il peggior guaio dell'omicidio. L'uomo che aveva ucciso Anìbal Hernandez aveva un ottimo motivo, secondo un suo curioso punto di vista, per volere la morte del ragazzo. Ora, avendo intenzione di giustificare un omicidio, bisogna ammettere che se i buoni motivi sono importanti quel tale ne aveva uno molto buono. Il tutto nell'ottica di un assassino, naturalmente. Per qualsiasi cosa esistono motivi buoni e motivi cattivi, e indubbiamente sono molti quelli convinti che per un omicidio non può esistere nessun buon motivo. Ma non ci si mette a discutere con i moralisti. Dunque il motivo di quel tale era ottimo, e dopo che l'omicidio fu commesso il motivo parve ancora migliore perché un fatto compiuto in genere trova in se stesso la propria giustificazione. Anche il motivo per l'uccisione della sorella di Anìbal era sembrato ottimo al momento di commetterlo. La ragazza non aveva forse dimostrato
tutti i sintomi di avere una bocca pronta a cantare? Inoltre una ragazza non deve mettersi a discutere con un uomo nel momento in cui lui... insomma, se l'era meritato. Certo che, a dire la verità, lei non sapeva proprio niente, a parte la faccenda di Gonzo e, be', questo era un motivo sufficiente. Lei avrebbe detto alla polizia che Gonzo le aveva chiesto di mentire, e allora la polizia avrebbe messo le mani su Gonzo e Gonzo avrebbe vuotato il sacco e tutto il resto. Una cosa pericolosa. Adesso, mentre se ne stava nella sua piccionaia sul tetto, si rendeva conto del grosso pericolo se Gonzo veniva beccato. Era ancora un po' innervosito per via dell'interferenza organizzata da Byrnes mentre gli aveva invece assicurato che nessuno stava ascoltando. Questo atteggiamento indicava leggerezza da parte di Byrnes, e non ci si permettono molte leggerezze quando c'è di mezzo il proprio figlio, a meno di non avere un asso nella manica. Che cosa poteva essere questo asso? Che vento, lì sul tetto. Era contento di aver messo il cartone sulla rete metallica della piccionaia. D'accordo, i piccioni sono resistenti tant'è vero che girano allegramente tutto l'inverno in Grover Park, lui però non voleva correre il rischio che uno dei suoi piccioni morisse. Ce n'era uno in particolare, la femmina piccola, con la coda a ventaglio, che non aveva per niente un bell'aspetto. Erano già diversi giorni che non mangiava, e gli occhi, ammesso che sia possibile capire qualcosa dagli occhi di un piccione, erano strani. Meglio starle attento, e magari metterle qualche goccia di qualcosa negli occhi con una pompetta. Gli altri però parevano in ottima salute. Aveva parecchi piccioni dal collare e non si sarebbe mai stancato di guardarli, di ammirare la corona di piume che gli faceva cappuccio tutto attorno alla testa. E il suo piccione tomboliere che razza di salti faceva quando si spostava e come si gonfiava, proprio magnifici uccelli erano, ma cosa nascondeva Byrnes nella manica? In che modo un poliziotto aveva localizzato Gonzo? Possibile che prima di morire la ragazza avesse parlato? No, impossibile. Se lei avesse parlato, la polizia sarebbe arrivata direttamente da lui e alla svelta anche. Non avrebbero certo perso tempo nel tentativo di pizzicare Gonzo. E allora? Che qualcuno avesse visto Gonzo parlare con Maria il pomeriggio precedente la morte di Annabelle? Questo sì era possibile. Come mai tutto si era complicato in quel modo? Era cominciato come un progetto semplicissimo, e adesso pareva invece che non funzionasse affatto. Doveva chiamare ancora Byrnes, dire a Byrnes che sarebbe stato meglio per lui se questa volta nessuno ascoltava,
dirgli tutto quanto, mettere tutte le carte in tavola? Ma chi poteva aver visto Maria Hernandez insieme a Gonzo? Quei due avevano parlato nella stessa stanza in cui Maria l'aveva portato quella notte! La stanza che Maria aveva affittato da una donna che... come si chiamava? Dolores? Non aveva detto così? Sì, il nome era Dolores. Forse Dolores sapeva del colloquio di Maria con Gonzo. Forse aveva riconosciuto Gonzo per averlo già visto altre volte, magari senza saperne il nome ma... No. No. Probabilmente la polizia teneva d'occhio tutti gli spacciatori noti. Gonzo però non era uno spacciatore schedato. Gonzo è un balordo che per caso è venuto a conoscenza di qualcosa di utile e che sempre per caso ha passato l'informazione a qualcuno in grado di capirne l'importanza: io. Gonzo non ha precedenti. Gonzo non è uno spacciatore schedato. Gonzo ha parte in questa storia unicamente perché gli è stata promessa una facile fortuna. E poi non è nemmeno conosciuto in questa zona, per lo meno non sotto il nome di Gonzo. Quindi, non essendo schedato, non essendo conosciuto come Gonzo, e non essendo uno spacciatore noto alla polizia, come mai la polizia ha saputo di lui? La donna! Dolores. Non Maria, dunque, ma qualcuno che quel pomeriggio ha visto Gonzo e Maria parlare insieme, l'ha visto estorcerle la promessa di mentire, ha visto i venticinque dollari passare da una mano all'altra. Qualcuno che forse... Fino a che punto Maria si è confidata con Dolores? Oh, Cristo! Perché mi preoccupo per Gonzo? Che cos'ha detto Maria alla vecchia? Le ha fatto il mio nome? O le ha detto semplicemente: "Ho un amico che vuol dormire con me e mi serve la stanza"? Le ha detto chi era questo amico? Possibile che sia stata tanto stupida? Che cosa sa Dolores? Diede un'ultima occhiata alla colomba dalla coda a ventaglio, poi uscì dalla piccionaia e scese giù in strada. Si avviò. Camminava svelto. Camminava con l'aria decisa di chi ha una sua meta, e la meta dell'uomo era la casa dove lui e Maria avevano occupato una stanza. Raggiunto l'edificio guardò su e giù per la strada, grato all'inverno che spopolava le strade, perché, se fosse stata estate, i gradini dell'ingresso sarebbero stati affollati da vecchie intente a chiacchierare. Trovò la porta e bussò. «"Quién es?"» chiese una voce. «"Un amigo"» disse lui e aspettò.
Sentì un rumore di passi e poi la porta si aprì. La donna era magra e fragile, talmente fragile che volendo lui avrebbe potuto romperla a metà. L'uomo ebbe un'intuizione improvvisa: si rese conto di essersi compromesso. Ormai era lì, e se la vecchia non avesse saputo niente, se Maria non le avesse davvero detto niente, lui cos'avrebbe fatto? Come poteva porle certe domande e poi andarsene senza che lei sospettasse qualcosa? «Chi siete?» chiese la donna. «Posso entrare?» «Che cosa volete?» La vecchia non l'avrebbe lasciato entrare prima di sapere chi era, questo era chiaro. Ma se lui faceva il nome di Maria si sarebbe messo nelle mani di quel rudere tremante. Lei avrebbe certo sospettato. E nel momento in cui le cose si erano complicate in quel modo anche il più debole sospetto avrebbe costituito un pericolo. «Sono della polizia» mentì. «Devo farvi qualche domanda.» «Entrate. Entrate pure» disse Dolores. «Altre domande. Sempre domande.» Lui la seguì nell'appartamento. Era una casa sporca. Puzzava. Quella donna era una sporca vecchia ruffiana, come un filo d'erba. «Cosa volete sapere adesso?» chiese la vecchia. «La notte in cui Maria Hernandez è stata uccisa... lei vi ha detto con chi doveva incontrarsi? Vi ha detto il nome dell'uomo?» Dolores lo stava guardando attenta. «Mi sbaglio o vi conosco?» disse. «Non credo, a meno che non siate stata qualche volta all'Ottantasettesimo Distretto» disse subito lui. «Non vi ho visto qui in giro, per caso?» «Io lavoro in questo quartiere. È probabile che...» «Credevo di conoscerli tutti quelli dell'Ottantasettesimo» disse Dolores. «Mah!» e si strinse nelle spalle. «A proposito di quell'uomo, allora?» «Ma voi poliziotti non vi tenete al corrente?» «Come avete detto?» «Ho già risposto a questa domanda. L'ho detto agli altri. Gli agenti investigativi Meyer e... come si chiamava quell'altro?» «Non ricordo chi era.» «Hengel, ecco» disse Dolores. «Sì. L'agente investigativo Hengel.» «Certo!» disse lui. «Hengel. L'avete già detto a loro?» «Sicuro. Subito il giorno dopo. La stanza al pianterreno era piena di po-
liziotti. Meyer e...» S'interruppe. «Tempie!» disse stringendo un po' gli occhi. L'altro poliziotto si chiamava Tempie. «Già» disse lui. «Che cosa gli avete detto?» «Voi avete detto Hengel.» «Come?» «Hengel. Avete detto che si chiamava Hengel.» «No, vi sbagliate» disse lui. «Io ho detto Tempie.» «Io ho detto Hengel, e voi avete detto sì che era Hengel» insistette Dolores. «Al Distretto c'è anche uno che si chiama Hengel» disse lui, in tono irritato. «Comunque, voi che cosa gli avete detto?» Dolores lo guardò a lungo con aria severa. Poi disse: «Fatemi vedere il distintivo.» Eccoci di nuovo a fare la scena della gabbia dei leoni, pensò Carell. Gente mia, ecco a voi Steve Carell, che torna a voi dai successi del magnifico Hotel Grover per esibirsi nella stupenda stanza dei leoni! Ecco, signore e signori, sento già le prime note dell'orchestra, perciò è probabile che verremo deliziati dalla musica. Trasmettiamo da qui ogni giorno alla stessa ora, sotto il patrocinio della Lega Nazionale per la Polmonite Doppia. Qui abbiamo uno splendido vento, e non esiste vento più splendido di quello che soffia attorno alla gabbia dei leoni. Restate in ascolto, signore e signori, e vi farete quattro risate oltre ad avere un bel paio di sorprese! Le sorprese di oggi comprendono un annuncio diramato dal tenente Peter Byrnes della Squadra Investigativa, mio superiore diretto, il quale desidera mettervi al corrente del fatto che oggi suo figlio Larry è stato nominato il tossicomane dell'anno e fortemente indiziato di omicidio. Dunque, cosa ve ne pare come sorpresa? Vi ha fatto restare senza fiato? Quando l'ho saputo io, Cristo!, per poco non sono rimasto stecchito, quindi voi dovreste come minimo essere rimasti senza fiato. Cosa c'è adesso? Scusatemi ma mi stanno facendo segni dalla regia. Cosa c'è? Hanno interrotto la trasmissione? Per via di quel mio ultimo Cristo? Be', sono i rischi che si corrono. Posso sempre tornare a fare il poliziotto. Aaah, quel poverocristo di Byrnes. Io gli sono affezionato. C'è qualcuno che non lo può soffrire, ma a me piace, e se per caso lo cacciano io non voglio avere un altro comandante. Cosa diavolo starà facendo in questo momento? Ci sarà magari qualche bastardo seduto davanti a lui a fargli dondolare una carota sotto il naso, e lui cosa...
Vide il ragazzo. Era il medesimo ragazzo col quale aveva parlato il giorno prima, questa volta però non si stava dirigendo verso la gabbia dei leoni. Possibile che lo scontro del giorno prima con l'agente di pattuglia avesse spaventato Gonzo tanto da fargli cambiare il luogo dell'appuntamento? Il ragazzo non l'aveva visto ed era probabile che anche vedendolo non l'avrebbe riconosciuto. Carell portava un vecchio feltro con l'ala floscia tutta giù, davanti di fianco e dietro, e indossava un impermeabile sciolto che lo faceva sembrare un sacco informe. Inoltre aveva un paio di baffi finti a causa dei quali si sentiva un po' stupido. L'impermeabile era completamente abbottonato. La calibro 38 era nella tasca destra. Si affrettò a seguire il ragazzo. Pareva che il ragazzo avesse una gran premura. Passò dritto davanti alla gabbia dei leoni, procedette per il sentiero leggermente in salita, ebbe una breve esitazione davanti al cartello con frecce dove c'era scritto "Foche", "Rettili" e "Parco giochi", poi si avviò nella direzione indicata dalla freccia dei rettili. Carell pensò di raggiungerlo e fargli un paio di domande critiche, ma se quello stava correndo per incontrarsi con Gonzo, non sarebbe stato assurdo fermarlo? Lo scopo primo era quello di mettere le mani su uno spacciatore che poteva avere parecchio a che fare con la dipartita di Anìbal Hernandez. Di tossicomani in cerca di droga se ne potevano trovare a montagne. In quella transazione d'affari l'uomo importante era Gonzo, quindi Carell morse il freno e seguì il ragazzo biondo aspettando il grande momento con l'ansia di un mediatore in attesa della fusione tra la Ford e la Chrysler. Adesso pareva che il ragazzo non avesse più tanta fretta. Pareva piuttosto intento a esaminare attentamente ciò che lo zoo offriva. Si fermava a guardare ogni animale. Di tanto in tanto dava un'occhiata dietro di sé. Una volta si fermò a consultare il grande orologio appeso in cima alla gabbia delle scimmie, poi riprese a camminare. Evidentemente era in anticipo. Evidentemente l'appuntamento era stato fissato per... ma che ora era? Carell guardò il suo orologio. Le tre e un quarto. Giusto pensare che l'appuntamento fosse per le tre e mezzo? Era per questo che il suo giovane amico stava ciondolando per tutto il parco? A furia di gironzolare, il biondo alla fine arrivò alle toilette. Carell lo guardò percorrere il sentiero lastricato. Non appena il ragazzo fu scomparso all'interno, Carell fece rapidamente il giro dell'edificio in cerca di una eventuale uscita secondaria. Non ce n'erano. Assicuratosi così che il ragaz-
zo potesse uscire unicamente dalla porta da cui era entrato, Carell andò a sedersi su una panchina disponendosi ad aspettare che venissero esauditi i capricci della natura. Aspettò cinque minuti, in capo ai quali il ragazzo ricomparve e si avviò di buon passo verso le gabbie dei rettili. Carell non era in grado di giudicare se in altre occasioni il ragazzo avesse dimostrato poco buon senso, ma certo che scegliere la fossa dei serpenti come punto d'incontro con uno spacciatore rivelava acume. Carell sorrise fra sé e proseguì verso i serpenti sentendosi improvvisamente di buonumore. Pregustava l'arresto come un buon cane da caccia pregusta il momento in cui afferrerà tra i denti la preda. Quasi a esaltare la sua improvvisa felicità una gran folla comparve come per magia. Come se un regista avesse segnalato un crescendo all'orchestra e poi avesse fatto segno alle migliaia di comparse di affluire sulla scena per raggiungere il massimo effetto drammatico. La folla sbucata all'improvviso non era proprio quello che Carell avrebbe definito migliaia di comparse. Si trattava di una classe di studenti delle medie accompagnati da un insegnante dall'aria leggermente imbarazzata al quale il preside aveva di sicuro fatto notare che i suoi allievi non avevano abbastanza esperienza dal vero. Il preside doveva aver deciso di immettere i ragazzi a diretto contatto con la vita e così con tutta probabilità aveva detto all'insegnante di scienze di portare la classe allo zoo dove gli studenti avrebbero potuto sentire l'odore degli animali. La faccia dell'insegnante aveva la stessa espressione di chi si trova seduto sulla metropolitana di fianco a due ubriachi: la sua bocca pareva pronta a gridare: "questi non sono con me". Ma sfortunatamente i ragazzi erano con lui, ed erano i ragazzi più rumorosi che Carell avesse mai visto e sentito. Ma a lui del rumore non importava niente perché adesso dentro di sé aveva un rumore suo, una eccitazione che aumentava gradatamente mentre lui seguiva la sua preda superando il gruppo di ragazzi e si affrettava lungo il sentiero che portava al padiglione dei serpenti. Alle sue spalle uno dei ragazzi disse: «Qui c'è un serpente che può mangiarsi un maiale intero, lo sapete?» «Non esistono serpenti capaci di mangiarsi un maiale» disse un altro. «No? Questo lo credi tu. Una volta mio padre ha visto in un circo un serpente che si è mangiato un maiale. E qui c'è quel serpente.» «Lo stesso serpente?»
«Non quello del circo, scemo! Un altro serpente come quello.» «Se non è lo stesso, come fai a sapere che anche questo è capace di mangiare un maiale intero?» Carell era concentrato sul ragazzo biondo, fonte del suo prossimo successo. Il biondo stava entrando nel padiglione dei serpenti, e lui non voleva perderlo. Per un attimo ebbe il sospetto grottesco che gli stessero scivolando via i baffi. Si fermò, si toccò sotto il naso, poi, soddisfatto, entrò nel padiglione. Sembrava che il ragazzo sapesse esattamente dove andare. Per quanto i funzionari dello zoo avessero sostenuto spese notevoli per la cattura, il trasporto e la conveniente sistemazione dei rettili, il biondo non si fermò a guardare nessuno dei serpenti a cui passò davanti ma andò dritto verso la spessa parete di vetro dietro cui strisciavano due cobra. Rimase là a guardare i rettili, affascinato, o apparentemente affascinato, e un paio di volte picchiettò sul vetro. Carell si appostò davanti a una piccola gabbia di vetro che conteneva un serpente a sonagli originario delle Montagne Rocciose. Il serpente o dormiva o era morto. Giaceva raggomitolato e dava l'impressione che nemmeno un terremoto sarebbe riuscito a smuoverlo da quella posizione. Carell però non si interessava al serpente. Carell si interessava al colore della gabbia di vetro dentro cui c'era il serpente. La parete posteriore della gabbia era dipinta in verde scuro, e dal punto in cui stava lui la lastra anteriore grazie allo sfondo verde scuro diventava un ottimo specchio. Mentre fingeva di ammirare il serpente a sonagli, morto o no che fosse, Carell poteva tenere d'occhio facilmente il ragazzo fermo dall'altra parte della sala. Indubbiamente il ragazzo aveva una passione per i serpenti. Faceva pss pss e z-z-z- davanti alla gabbia e grattava sul vetro, e sembrava un padre novello che fa la figura dello stupido davanti alla sala-neonati di un ospedale. Il ragazzo non si comportò a lungo come uno stupido e non rimase solo a lungo. Carell non poté sentire niente di quello che venne detto davanti alla gabbia dei cobra perché la classe di studenti irruppe in massa nell'edificio proprio in quel momento e il caos che ne derivò fu un gentile omaggio al sistema scolastico cittadino. Ma il ragazzo biondo non batteva più sui vetri. Un altro ragazzo si era avvicinato alla gabbia dei cobra, un ragazzo con una gran massa di capelli neri arruffati, pantaloni neri attillati, giacca nera di pelle, e scarpe nere. Carell guardò un attimo il nuovo arrivato e subito pensò: Gonzo. Gonzo o no, il nuovo arrivato era la persona attesa dal giovane amico di
Carell. Sempre impossibilitato a sentire per via della classe di scienze, Carell riuscì però a vedere una rapida stretta di mano. Poi i due ragazzi infilarono contemporaneamente la mano in tasca e poi seguì un'altra stretta di mano, e Carell capì che lo scambio fra la droga e il denaro per acquistarla era stato fatto. Adesso il ragazzo biondo non aveva più interesse per Carell. Adesso lui era interessato a quello in giacca di pelle nera. Il biondo sorrise, si voltò e si allontanò. Carell lo lasciò andare. L'altro rialzò il bavero della giacca, esitò un attimo, poi si avviò nella direzione opposta. Grande desiderio di Carell era di beccarlo con addosso un bel quantitativo di droga. Altro suo desiderio era di portarlo in sala agenti e interrogarlo a proposito del fu Anìbal Hernandez. Sfortunatamente quel giorno il sistema scolastico operava ai danni di Carell. Si era appena allontanato dalla gabbia del serpente a sonagli e si stava avviando dietro la giacca nera quando risuonò un urlo da far gelare il sangue. «Eccolo!» strillò una voce adolescente. Se l'urlo fosse risuonato in piena giungla sarebbe stato sufficiente a spedire di corsa un cacciatore anche coraggioso al riparo del più vicino campo base. Lì, nel padiglione, rischiò di far staccare i baffi finti di Carell. Ci volle un attimo a capire il perché dell'agitazione. Il ragazzino aveva visto la gabbia del pitone e si stava precipitando a vedere se quel giorno c'erano maiali sul punto di essere ingoiati tutti interi. Un altro attimo, e Carell si accorse di trovarsi proprio sulla rotta di una mandria galoppante e che se non si fosse tolto di mezzo alla svelta ne sarebbe stato travolto. Si tolse di mezzo alla svelta, e il branco tumultuante gli passò davanti risucchiando nella sua scia il povero pastore frastornato e rosso di vergogna e sempre con quell'espressione di questi non sono con me. Gli strilli e le grida che venivano dalla gabbia del pitone erano quasi inumane. Carell si voltò. La giacca nera era scomparsa. Si affrettò all'uscita maledicendo i presidi e le lezioni di scienze e i pitoni, e appena fuori sentì sulla faccia e sui denti il morso del freddo. Della giacca nera, nessuna traccia. Si mise a correre, cosi, senza una meta, dato che non sapeva quale direzione avesse preso il ragazzo. Continuò a correre finché fu evidente che l'aveva perso. Stava ricominciando a maledire tutti, quando intravide il biondo che aveva pedinato prima.
Non era lui che Carell voleva, ma quando c'è tempesta ogni insenatura è un porto. Il biondo aveva appena fatto rifornimento da Gonzo, no? Dunque, qualcuno doveva pure avergli detto dov'era l'appuntamento e forse lui sapeva addirittura dove trovare Gonzo. In ogni caso non c'era tempo da perdere. Con i sistemi in auge che imperversavano per tutta la città, non si poteva mai sapere se si sarebbe incappati in un asilo infantile o in un gruppo di cacciatori di frodo. Carell si mosse in fretta. Arrivò alle spalle del ragazzo senza far rumore, poi gli si mise a fianco e lo prese per una manica. «Bene, ci siamo» disse, e il ragazzo si girò. Per un attimo la faccia del biondo rimase impassibile. Poi gli occhi del ragazzo cancellarono dalla faccia di Carell i baffi finti, si spalancarono nel riconoscerlo, e poi la consapevolezza del pericolo imminente diede allo sguardo un'espressione allarmante. Immediatamente diede una spinta a Carell facendolo indietreggiare di qualche passo. Forse il ragazzo non era gran che in furberia ma certo correva come una lepre. Prima ancora che Carell ripigliasse fiato, il biondo abbordava la curva del sentiero e filava verso il folto degli alberi. Carell si buttò all'inseguimento. Non riusciva a capire perché mai il ragazzo si stesse mettendo in guai peggiori di quelli che gli sarebbero toccati per un piccolo acquisto di droga, ma non si soffermò a lungo sul problema. Esistono momenti per formulare teorie e momenti per agire, e quello era indubbiamente il momento di usare le gambe e non il cervello. Ci sono anche momenti per usare le armi, ma Carell non se n'era ancora reso conto, e così la 38 Special rimase nella tasca dell'impermeabile. A quanto pareva non si correvano rischi nella semplice impresa di mettere le manette a un tossicomane. Assolutamente inconsapevole di quello che bolliva in pentola per lui, Carell cominciò ad arrampicarsi fuori dal sentiero, tra gli alberi. Vide la testa bionda abbassarsi dietro una roccia. Affrettò il passo, respirando affannosamente, e pensò che non era più giovane come una volta. Adesso era nel folto degli alberi e avanzava scavalcando massi e rocce piccole e grosse, lontano dal sentiero che attraversava il parco. Vedeva muoversi su e giù, in lontananza, la testa bionda, e poi a un tratto non la vide più e temette di aver perso anche il secondo ragazzo. Aggirò un enorme ammasso di rocce e si fermò di colpo. Davanti agli occhi aveva la canna di una calibro 32. «Non ti azzardare ad aprire bocca, poliziotto» disse il ragazzo.
Carell sbatté le palpebre. Non aveva previsto la rivoltella e maledì la propria stupidità cercando contemporaneamente di trovare un modo per uscire da quella situazione. Osservò gli occhi del ragazzo. Non sembrava sotto l'effetto della droga, quindi era forse possibile farlo ragionare. Ma la rivoltella era impugnata saldamente e gli occhi al di sopra della rivoltella non avevano un'espressione ragionevole. «Senti...» cominciò. «Ti ho detto di tenere la bocca chiusa. Intendo spararti, poliziotto.» Le parole furono dette in maniera tanto semplice che la minaccia parve del tutto innocua. Ma non c'era niente di innocuo negli occhi del ragazzo, e Carell guardava attentamente quegli occhi. Non era la prima volta che si trovava di fronte a una rivoltella spianata e aveva la convinzione che un uomo armato segnala la pressione del dito sul grilletto con il breve anticipo della tensione dello sguardo. «Tieni le mani scostate dai fianchi» disse il ragazzo. «Dov'è?» «Che cosa?» «La rivoltella che il poliziotto in divisa ti ha restituito ieri. L'hai ancora attaccata alla cintura?» «Come fai a sapere che sono un poliziotto?» domandò Carell. «Per il fodero. Non mi parlare di intuizioni. Nessuno di quelli che conosco e che girano carichi tiene la rivoltella nel fodero. Prendila e dammela.» La mano di Carell si mosse. «No!» disse il ragazzo. «Dimmi dov'è. La prenderò io.» «Perché vuoi metterti nei guai? Potresti cavartela con una semplice accusa di infrazione alla legge.» «Sì, eh?» «Certo. Metti via la pistola. Dimenticherò di averla vista.» «Cosa ti succede, poliziotto? Hai paura?» «Perché dovrei aver paura» disse Carell guardando gli occhi del ragazzo. «Non penso che tu sia tanto stupido da spararmi qui, nel parco.» «No, eh? Hai idea di quanta gente viene accoppata ogni giorno nel parco?» «Quanta, ragazzo?» domandò Carell, cercando di guadagnare tempo, chiedendosi in che modo poteva mettere la mano sulla 38 e distrarre per un attimo il ragazzo mentre estraeva la pistola e sparava. «Un sacco. Perché mi hai seguito, poliziotto?» «Tu non ci crederesti, ma...» cominciò Durell. «Allora non perdere tempo. Dimmi la verità al primo colpo.»
«Mi interessava il tuo amico.» «Ah, sì? Quale amico? Io ne ho tanti di amici.» «Quello col quale ti sei incontrato davanti alla gabbia del cobra.» «Perché ti interessava lui?» «Volevo fargli un paio di domande.» «A che proposito?» «Questo riguarda me.» «Dov'è la tua rivoltella? Prima rispondi a questo.» Carell esitò. Poi vide gli occhi del ragazzo stringersi impercettibilmente, e disse in fretta: «Nella tasca destra dell'impermeabile.» «Girati» disse il ragazzo. Carell obbedì. «Alza le mani. Ti avverto, poliziotto, non fare trucchi. La senti questa? È la canna della mia rivoltella. Ti resterà puntata alla spina dorsale intanto che ti frugo in tasca. Accenna solo a voltarti, accenna a scappare, accenna perfino a respirare e ti becchi una pallottola in una vertebra. Non ho nessun timore di premere il grilletto perciò non mettermi alla prova. Hai capito?» «Ho capito» disse Carell. Sentì la mano del ragazzo infilarsi nella tasca. Un attimo dopo il peso rassicurante della 38 Special non c'era più. «Va bene» disse il ragazzo. «Girati di nuovo.» Carell si voltò. Fino a quel momento non aveva creduto che la situazione fosse davvero seria. Era già riuscito altre volte a cavarsi da situazioni del genere col ragionamento, e fino a quel momento si era sentito certo di uscirne coi ragionamenti anche questa volta o di riuscire in qualche modo a estrarre la pistola. Ma la pistola non era più nella sua tasca, e gli occhi del ragazzo erano lucidi e duri, e lui aveva adesso la curiosa sensazione di guardare in faccia la morte. «Ti comporteresti da stupido» si sentì dire, ma le parole suonarono false e inutili. «Mi spareresti senza motivo. Te l'ho detto che non ero interessato a te.» «Allora perché ieri mi hai fatto tutte quelle domande? Pensavi di comportarti da furbo, vero? Sondarmi in quel modo sull'appuntamento. E intanto io stavo sondando te. Non è facile sai quando non si sa che faccia hanno quelli che dovrai incontrare. Non è per niente facile. Ti ho lasciato credere che stavo per cadere dritto nella tua rete, ma vedevo i tuoi trucchi a un chilometro di distanza. Poi quel poliziotto ha chiarito tutto definitivamente. Quando ti ha sfilato la rivoltella dai pantaloni ho avuto la certezza
assoluta che eri un madama. Fino a quel momento ne avevo sentito soltanto l'odore.» «Comunque non sono interessato a te» disse Carell, calmo. Si trovavano su uno spiazzo sassoso al riparo dal masso roccioso. Carell soppesò la possibilità di saltare addosso al ragazzo all'improvviso e farlo cadere sulle pietre sparse e strappargli l'arma. Ma era una possibilità estremamente remota. «No, eh? Senti, poliziotto, a me non la fai. Sono cresciuto a una buona scuola. Tu pensi di riuscire a incastrarmi con qualcosa di grosso, vero? Pensi di riuscire a trascinarmi in quel tuo pidocchioso distretto e mettermi al torchio fino a farmi confessare di aver stuprato mia madre. Be', ti sbagli, poliziotto.» «Accidenti a te, cosa vuoi che me ne faccia, di un drogato da due soldi?» disse Carell. «Un drogato io? Non dire fesserie. Questa volta non ci casco, poliziotto. Non cercare di incantarmi con una serie di balle.» «Si può sapere che cosa ti succede?» disse Carell. «Ho già visto drogati presi dal panico, ma tu li batti tutti. Ti spaventa talmente l'idea di farti beccare per uso di droga? Accidenti a te, io volevo solo farti un paio di domande sul tipo col quale ti sei incontrato. Riesci a capirlo sì o no? Io non voglio te, voglio lui.» «Credevo di aver capito che non ti interessassero i drogati da due soldi» disse il ragazzo. «Infatti.» «Allora perché ti occupi di lui? Ha diciotto anni e si droga da quando ne aveva quattordici. Ci va a letto con l'eroina, quello. Sei incoerente, poliziotto.» «È uno spacciatore, no?» domandò Carell, perplesso. «Chi, lui?» il ragazzo si mise a ridere. «Poliziotto, sei un disastro.» «Cosa...» «Ascoltami bene» disse il ragazzo. «Mi stavi addosso ieri e oggi mi hai pedinato. In questo momento ho addosso tanta roba da rendere molto interessante un arresto. Inoltre sto violando la legge anche perché non ho il permesso di girare armato. Poi c'è la storia della resistenza all'arresto, e probabilmente esiste anche una qualche legge per chi porta via la rivoltella a un poliziotto. Mi hai incastrato, poliziotto. Puoi coprirmi di accuse. E se me la cavo oggi, tu mi beccherai domani, e in questo caso sarà la tua parola contro la mia. A chi pensi che crederanno?»
«Senti, vattene. Metti via la rivoltella e vattene» disse Carell. «Non sto cercando un balordo e non cerco guai con te. Te l'ho già detto. Quello che voglio è il tuo amico.» Una pausa. «Io voglio Gonzo.» «Lo so» disse il ragazzo, e i suoi occhi si strinsero. «Sono io Gonzo.» L'unico avvertimento venne dallo stringersi delle pupille del ragazzo. Carell vide gli occhi contrarsi e cercò di buttarsi di lato ma la parola era già alla rivoltella. Non vide l'arma sobbalzare nella mano del ragazzo. Sentì un dolore insopportabile al petto e sentì la dichiarazione scioccante di tre detonazioni e poi cominciò a cadere e sentì un gran caldo e si sentì anche ridicolo lì a barcollare sulle gambe che non riuscivano a reggerlo, ridicolo molto ridicolo, e aveva il petto in fiamme, e il cielo stava calando a congiungersi con la terra e poi la sua faccia urtò il suolo. Non mise avanti le mani per attenuare la caduta perché le braccia non gli funzionavano. La sua faccia piombò sui sassi e il suo corpo si afflosciò e lui ebbe un brivido e sentì sotto di sé un calore appiccicoso e soltanto allora tentò di muoversi e poi si rese conto di giacere immerso in una pozza di sangue, sangue suo, e gli venne voglia di piangere e ridere insieme. Aprì la bocca ma dalle labbra non uscì alcun suono. E poi arrivò l'ondata di incoscienza e lui lottò per respingerla e non si accorse che Gonzo stava scappando tra gli alberi. Era conscio unicamente del buio che lo stava avvolgendo e improvvisamente ebbe la certezza di essere sul punto di morire. Non era presunzione da parte dell'87° Distretto credere di operare più alla svelta degli altri due Distretti che avevano giurisdizione su Grover Park. Carell fu trovato da un agente di pattuglia soltanto mezz'ora più tardi, quando il sangue in cui era immerso sarebbe bastato a riempire una piscina. Quasi nello stesso momento in cui Carell veniva abbattuto a colpi di pistola fuori dal territorio del suo Distretto, nella zona dell'87° era stato commesso un altro atto di violenza, e il risultato venne scoperto meno di dieci minuti dopo il fatto. L'agente di pattuglia che telefonò all'87° disse: «È una vecchia. I vicini mi hanno detto che si chiamava Dolores Faured.» «Com'è successo?» chiese il sergente di servizio. «Ha il collo rotto» disse l'agente dì pattuglia. «O è caduta o l'hanno spinta giù dalla tromba delle scale, dal secondo piano.» 14
Nel cuore della città la gente continuava indaffarata a fare spese. Le vetrine dei negozi brillavano invitanti come vecchie stufe, esortando i cittadini a entrare a scaldarsi un po', a guardarsi un po' in giro, e a fare un po' di acquisti. I vistosi negozi lungo l'elegante Hall Avenue non erano addobbati con elementi legati alla santità del Natale ma splendevano di luminose e sofisticate magie multicolori. La facciata di un grande magazzino era coperta da una serie di angeli azzurri alti dieci metri e i giardini sull'altro lato della strada riprendevano il tema angelico in centinaia di eterei esemplari alati messaggeri del Signore, che guidavano i passanti fino al gigantesco albero di Natale eretto vicino alla pista di pattinaggio a rotelle. L'albero dava la scalata ai cielo, risplendendo di sfere luminose rosse blu e gialle grosse quanto la testa di un uomo, in gara con le rigide forme degli altissimi palazzi per uffici che sorgevano attorno ai giardini. Gli altri negozi erano adornati con pioggia di luci, alberi di Natale fatti tutti con lampadine, grandi ghirlande bianche, vetrine spruzzate di argentea neve artificiale. La gente camminava svelta per le strade, le braccia cariche di pacchi. Dietro le facciate degli edifici le feste organizzate dagli impiegati erano in pieno svolgimento. Archivisti baciavano archiviste dietro le file dei classificatori. I capiufficio scoprivano le gambe delle segretarie e promettevano promozioni, le promesse di aumenti di stipendio si sprecavano come comunicazioni interne, e i fattorini brindavano con i dirigenti usciti dai loro uffici tappezzati in legno pregiato. Dappertutto c'erano macchie di rossetto, e macchie di whisky, e si facevano telefonate urgenti a mogli in attesa e telefonate urgenti a mariti che stavano godendosi la loro festa di Natale dietro le facciate di altri identici palazzi d'uffici. C'era in giro allegria e felicità, perché era venerdì pomeriggio, 22 dicembre, giorno in cui l'attesa di tutto un anno raggiungeva il culmine. E il contabile che aveva sempre posato l'occhio reso discreto dalla fede al dito sulla giovane bionda e bella centralinista adesso poteva salutarla con qualcosa di più di un discreto "Buongiorno". Allungando insieme un bicchiere di whisky alla colonnina dell'acqua, il braccio dell'uomo adesso poteva circondare la vita della ragazza in un gesto amichevolmente natalizio. La testa della ragazza poteva appoggiarsi sulla spalla dell'uomo con cameratesca disinvoltura dovuta alle festività. Lui poteva baciarla sotto il vischio e poteva farlo senza provare il minimo senso di colpa, perché festeggiare il Natale fra colleghi era una tradizione americana accettata universalmente. I mariti andavano alla festa di Natale e le mogli non erano mai invitate. Le mogli non si a-
spettavano nemmeno di essere invitate. Per un giorno all'anno il contratto matrimoniale veniva momentaneamente rescisso. Su quelle feste per Natale si sarebbe poi scherzato in famiglia, così come si può scherzare a proposito di un pugnale sporco di sangue trovato sul tavolino del salotto e del quale non si vuol sapere come sia finito lì. Per le strade camminava la gente intenta agli acquisti. Non c'era più molto tempo e quel poco che restava scorreva via rapido. I pubblicitari che da oltre un mese avevano condizionato il pubblico, adesso erano impegnati a brindare nei loro uffici. Ma il pubblico preso nell'ingranaggio commerciale di una festa, che ormai esulava dal semplice ricordo di una nascita avvenuta a Betlemme, correva e si affannava e si preoccupava. Il regalo per Josephine era sufficientemente costoso? I biglietti d'auguri erano stati imbucati tutti? E l'albero? Non sarebbe stato meglio averlo già comprato? Ma sotto questi aspetti, esteriori, nonostante i complotti messi a punto dai giganti della pubblicità, nonostante la frenetica gara commerciale in cui il Natale si era trasformato, c'era dell'altro. C'era, per qualcuno, un sentimento che nessuno di loro, volendo, sarebbe riuscito a tradurre in parole. Per qualcuno era Natale e basta. Qualcuno riusciva ancora a vedere oltre le invenzioni elettriche e le barbe finte dei Papà Natale allineati lungo tutta Hall Avenue. Qualcuno sentiva in sé qualcosa di diverso da quello che i maghi della pubblicità volevano che sentisse. Qualcuno si sentiva buono e generoso e felice di essere al mondo. A qualcuno il Natale faceva questo effetto. La città sembrava, ed era, ubriaca, la città viveva in un'atmosfera molto simile al panico, e le strade erano affollate di compratori, e la realtà sembrava fredda e arida e lontana, ma quella era ugualmente la città più bella del mondo, e durante le feste di Natale era anche più bella. «Sono Danny Gimp» disse l'uomo al sergente di servizio. «Voglio parlare con l'agente investigativo Carell.» Al sergente di servizio non piaceva parlare con gli informatori. Sapeva che spesse volte Danny Gimp aveva fornito informazioni preziose, ma per lui gli informatori erano qualcosa di sudicio, e si riteneva offeso soltanto a parlare con loro. «L'agente investigativo Carell non c'è» disse il sergente di servizio. «Sapete dove posso trovarlo?» chiese Danny. Danny Gimp faceva l'informatore della polizia da più tempo di quanto riuscisse a ricordare. Sapeva che proprio per questa sua caratteristica di non tenere la bocca chiusa il
mondo della malavita non lo rispettava, ma essere tenuto a distanza non lo offendeva. Danny si guadagnava da vivere facendo l'informatore, e, fatto curioso, aiutare la polizia lo divertiva. Da bambino aveva sofferto di poliomielite, per questo zoppicava leggermente, e per questo l'avevano soprannominato Gimp. Il suo vero cognome infatti era Nelson ma erano in pochi a saperlo, e persino la posta gli veniva indirizzata al nome Danny Gimp. Aveva quarantaquattro anni ed era talmente piccolo e minuto da avere più il fisico di un adolescente che quello di un uomo maturo. La voce era sottile e stridula, e la faccia liscia senza traccia di rughe non rivelava la sua età. In tutta onestà Danny Gimp non poteva affermare di avere simpatia per i poliziotti, però gli piaceva aiutarli. C'era un solo poliziotto al quale era affezionato: Steve Carell. «Perché volete trovarlo?» chiese il sergente di servizio. «Ho un paio di informazioni per lui.» «Che genere di informazioni?» «Da quando siete passato alla Squadra Investigativa?» chiese Danny. «Senti, canarino, se hai intenzione di fare lo spiritoso, puoi anche andare al diavolo e liberare la linea.» «Io ho solo intenzione di parlare con Carell» disse Danny. «Volete dirgli che l'ho cercato?» «Carell non è in grado di ricevere messaggi» disse il sergente. «Che cosa significa?» «Gli hanno sparato. È moribondo.» «Cosa?» «Mi sembra di essere stato chiaro, no?» «Cosa?» ripeté Danny, sbalordito. «Gli hanno... State scherzando.» «Non scherzo affatto.» «Chi gli ha sparato?» «Ci piacerebbe saperlo.» «Dove l'hanno portato?» «Al Policlinico. Non vi disturbate ad andare fin là. È sulla lista degli aggravati e dubito che gli permettano di parlare con gli informatori.» «Non è possibile che stia morendo» disse Danny, quasi per rassicurare se stesso. «Non è che stia morendo davvero, eh?» «L'hanno trovato mezzo congelato e quasi completamente dissanguato. Stanno facendogli trasfusioni, ma ha tre proiettili nel petto e questo non migliora le sue condizioni.» «Sentite» disse Danny «sentite... Oh, Gesù!» Tacque per qualche secon-
do. «Avete finito?» «No. Io... Avete detto il Policlinico?» «Si. Ma vi ho anche detto di non disturbarvi ad andare fin là. C'è già mezza Squadra Investigativa all'ospedale.» «Già» disse Danny, pensoso. «Gesù, che brutta faccenda.» «Era un buon poliziotto» disse semplicemente il sergente di servizio. «Già» disse Danny. Tacque ancora, e poi disse: «Arrivederci.» «Arrivederci» disse il sergente. In considerazione di quello che gli aveva detto il sergente, Danny Gimp andò al Policlinico soltanto la mattina seguente. Ci pensò per tutta la notte, chiedendosi se la sua presenza sarebbe stata gradita, chiedendosi se Carell l'avrebbe riconosciuto. E anche ammesso che Carell fosse in condizione di spiccicare qualche parola Danny non era sicuro che avrebbe avuto piacere di parlare con lui. Fra di loro esistevano contatti per così dire d'affari, ma Danny sapeva benissimo che un informatore non è una persona molto rispettabile. Poteva darsi che Carell lo disprezzasse. Si tormentò su questo problema, e non chiuse occhio tutta notte. Il sabato mattina quando si alzò il problema era ancora presente. Non sapeva perché, ma voleva assolutamente vedere Steve Carell prima che morisse. Voleva vederlo e salutarlo e scambiare con lui una stretta di mano. Forse era effetto del Natale. Comunque, Danny bevve una tazza di caffè con una frittella dolce, poi si vesti con cura scegliendo il vestito buono, una camicia bianca di bucato e una cravatta selezionata attentamente. Voleva avere un'aria rispettabile. Stava andando in un ospedale a trovare una persona degna di rispetto, e tutto a un tratto la scarsa rispettabilità della sua vita gli apparve con estrema chiarezza. Gli sembrava molto importante mostrare il suo interessamento per Steve Carell, e gli sembrava altrettanto importante che Carell lo rispettasse per questo suo sentimento. Lungo la strada comperò una scatola di canditi. L'acquisto gli procurò lunghi dubbi. Con tutta probabilità ci sarebbero stati parecchi poliziotti all'ospedale. Il sergente l'aveva detto, no? Non sarebbe sembrato stupido da parte di un informatore presentarsi con una scatola di canditi? Fu sul punto di buttare via la scatola, ma poi non lo fece. Quando si va a trovare qualcuno all'ospedale si porta sempre qualcosa. È un modo per dire: "Sei ancora fra noi, e tra poco starai di nuovo bene". Danny Gimp stava entrando nell'ambiente della gente rispettabile, quindi doveva rispettare le regole
di quella società. Quel sabato, 23 dicembre, il cielo era grigio piombo. Pareva annunciare una nevicata, e Danny pensò un attimo a tutti quelli che speravano in un Natale bianco, poi preso da una tristezza infinita spinse la porta girevole dell'ospedale ed entrò nel grande atrio bianco. Sulla parete di fronte al banco della ricezione era appesa una enorme ghirlanda natalizia, ma l'atmosfera dell'ospedale non aveva niente di gioioso. La ragazza seduta dietro il banco si stava smaltando le unghie. Su una panca di fronte al banco c'era seduto un uomo anziano che teneva il cappello tra le mani e continuava a dare occhiate ansiose in direzione della sala di pronto soccorso, in fondo al corridoio. Danny si tolse il cappello e si avvicinò al banco. La ragazza non alzò la testa. Si smaltava le unghie con la precisione e l'abilità di un orologiaio svizzero. Danny si schiarì la voce. «Signorina...» disse. «Sì?» disse la ragazza passando il pennellino sull'unghia dell'indice e coprendo l'ovale di smalto rosso fuoco. «Vorrei vedere Steve Carell» disse Danny. «Stephen Carell.» «Come vi chiamate?» chiese la ragazza. «Daniel Nelson» rispose lui. La ragazza depose il pennellino, allargò le dita della mano già smaltata e con l'altra prese un foglio battuto a macchina. Un gesto automatico che la ragazza fece senza nemmeno guardare. Mise il foglio davanti a sé, lo lesse, e disse: «Il vostro nome non è sulla lista, signore.» «Quale lista?» chiese Danny. «Le condizioni del signor Carell sono molto gravi» disse la ragazza. «Diamo il permesso di andare da lui soltanto ai membri della famiglia e ad alcune persone della polizia a causa della natura del suo caso. Mi dispiace, signore.» «Ma va tutto bene?» chiese Danny. La ragazza lo guardò spassionatamente. «Di solito non mettiamo un paziente sulla lista degli aggravati se le sue condizioni non sono tali da essere considerate critiche.» «Quando... quando si potrà sapere qualcosa con precisione?» chiese Danny. «Non lo so proprio. Può darsi che si riprenda ma può anche darsi di no. Purtroppo non dipende da noi.» «Non avete niente in contrario se aspetto?»
«Aspettate pure, signore» disse lei. «Potete sedervi su quella panca. Devo dirvi però che può essere un'attesa lunga.» «Me ne rendo conto» disse Danny. «Grazie.» Si chiese perché mai una delle poche emozioni sincere che lui avesse mai provato dovesse venire frustrata in quel modo da una ragazza insensibile, più interessata alle sue unghie che alla vita o alla morte di una persona. Si strinse nelle spalle criticando fra sé la burocrazia e andò a sedersi sulla panca vicino al vecchio. L'uomo si voltò subito a guardarlo. «Mia figlia si è tagliata una mano» disse. «Eh?» disse Danny. «Stava aprendo una scatoletta e si è tagliata una mano. È pericoloso? Tagliarsi con una scatola di latta voglio dire.» «Non lo so» disse Danny. «Ho sentito dire che può essere grave. Adesso le stanno fasciando la mano. Sanguinava da far paura. Spero che non sia una cosa pericolosa.» «Vedrete che non sarà niente» disse Danny. «Non preoccupatevi.» «Spero proprio che non sia grave. Voi siete venuto a trovare qualcuno?» «Sì» disse Danny. «Un amico?» «Be'...» disse Danny. Si strinse nelle spalle poi si mise a leggere l'elenco degli ingredienti, sulla scatola dei canditi, e si chiese che cosa fosse la lecitina. Poco dopo una ragazza con una mano fasciata uscì dal pronto soccorso. «Stai bene?» le chiese il padre. «Sì» disse la ragazza. «Mi hanno dato una caramella.» Insieme padre e figlia uscirono dall'ospedale. Danny Gimp rimase seduto da solo sulla panca, ad aspettare. Teddy Carell era seduta nella camera vicino al marito e lo guardava. Le tapparelle erano abbassate ma anche nella penombra lei vedeva chiaramente la faccia di Steve, la bocca aperta, gli occhi chiusi. Di fianco al letto il sangue colava da una bottiglia capovolta, passava dentro un tubo trasparente ed entrava nel braccio di Carell. Lui giaceva immobile, le coperte fino alla gola a coprire le ferite slabbrate del petto. Adesso le ferite erano coperte dalle bende, ma ormai il sangue l'avevano lasciato sfuggire, ormai il danno l'avevano fatto, e lui giaceva pallido e immobile quasi che la morte fosse già dentro di lui. No, pensò Teddy, non morirà.
Ti prego, Dio, per favore buon Dio, non permettere che muoia, ti prego. I suoi pensieri scorrevano liberi e Teddy non si rendeva conto che stava pregando perché quei pensieri a lei sembravano soltanto pensieri, semplici pensieri, pensieri normali di una ragazza. Invece stava pregando. Poi ripensò a quando aveva conosciuto Carell, il giorno in cui Steve era entrato nel piccolo ufficio dove lei lavorava perché era stato denunciato un furto. Ricordava esattamente come lui era entrato nella stanza, lui e un altro, un agente investigativo che in seguito era stato trasferito in un altro Distretto, un agente investigativo del quale Teddy non ricordava più la faccia. Quel giorno lei si era interessata unicamente alla faccia di Steve Carell. Era entrato nell'ufficio, era alto, camminava con portamento eretto, e portava i vestiti come se invece di un poliziotto fosse un indossatore d'alta moda. Le aveva mostrato il distintivo e si era presentato, e lei aveva preso un foglio di carta e gli aveva spiegato per iscritto di essere sordomuta, che in quel momento l'impiegata addetta alla ricezione era fuori, che lei era soltanto la dattilografa, ma che il principale l'avrebbe ricevuto subito, non appena lei l'avesse informato che c'era la polizia. La faccia di Steve aveva dimostrato appena una leggera sorpresa. Poi lei si era alzata per andare nell'ufficio del principale e aveva sentito su di sé lo sguardo del poliziotto alto. Non era rimasta affatto sorpresa quando lui le aveva chiesto un appuntamento. Lei aveva notato l'interesse del suo sguardo, perciò non l'aveva sorpresa la richiesta, l'aveva sorpresa piuttosto che lui potesse trovarla interessante. Certo non ignorava che parecchi uomini ci avrebbero provato, così per passatempo. Perché non provarci con una ragazza sordomuta? Poteva essere un'esperienza interessante. All'inizio lei aveva pensato che fosse stato questo a motivare la richiesta di Steve Carell, ma dopo il primo appuntamento aveva capito che non era assolutamente così. Lui non era interessato alla sua mancanza di udito e di parola. Lui era interessato a lei, a Teddy Franklin. Steve gliel'aveva detto infinite volte. Lei aveva impiegato un bel po' di tempo a crederci anche se aveva intuito quasi subito che era vero. Era andata a letto con Steve perché le era sembrato del tutto naturale. Lui le aveva chiesto tante volte di sposarlo, ma lei non aveva mai creduto che la volesse veramente per moglie. E poi un giorno aveva creduto anche a questo, improvvisamente, come per una rivelazione, e si era resa conto che Steve voleva realmente, veramente, sinceramente, che lei diventasse sua moglie. Si erano sposati il 19 agosto. Adesso era il 23 dicembre e lui
giaceva in un letto d'ospedale e poteva morire, era possibile che morisse, i medici le avevano detto che suo marito poteva morire. Teddy Carell non pensava alla slealtà del destino. Era successa una cosa estremamente sleale, non avrebbero dovuto sparare a suo marito, lui non avrebbe dovuto essere lì in un letto d'ospedale a lottare contro la morte. Quella slealtà le urlava dentro ma lei non ci pensava perché ormai quello che era fatto era fatto. Ma Steve era buono, era generoso, ed era il suo uomo, l'unico uomo che esisteva per lei. C'è gente convinta che una persona può sempre trovarne un'altra con cui fare coppia. Se non è questa sarà quella. Ma metti due persone a letto insieme e la faccenda funzionerà da sola. Se perdi un tram ne arriverà un altro. Teddy non la pensava così. Teddy non credeva che esistesse un altro uomo che andasse bene per lei come Steve. Lui le era arrivato quasi miracolosamente, come un dono, un magnifico dono recapitato a domicilio. E non riusciva a credere che le sarebbe stato strappato brutalmente. Non ci credeva. Non poteva crederci. Lei gli aveva detto che cosa voleva per Natale. Voleva lui. Gliel'aveva detto seriamente. Sapeva che lui l'aveva presa come una battuta ma lei l'aveva detto con sincerità e convinzione. E adesso quelle sue parole le erano state ributtate in faccia col vento. Perché, adesso più che mai, lei voleva Steve per Natale, adesso più che mai Steve era l'unica cosa che lei volesse in regalo per Natale. Prima, quando gli aveva chiesto quel regalo, era sicura che l'avrebbe avuto. Ma adesso la sua certezza era svanita, adesso le era rimasto soltanto il desiderio bruciante che il suo uomo vivesse. Per Natale e per sempre lei non desiderava e non avrebbe mai desiderato altro che Steve Carell. E così nella penombra della stanza lei pregava senza nemmeno rendersi conto di pregare, e le parole le passavano e ripassavano nel cervello. Non permettere che mio marito muoia. Ti prego, non permettere che muoia. Il tenente Peter Byrnes scese nell'atrio dell'ospedale alle sei del pomeriggio. Aveva aspettato tutto il giorno nel corridoio, davanti alla camera di Carell, nella speranza di poterlo vedere ancora. L'aveva visto soltanto per pochi secondi prima che Carell riperdesse conoscenza. Carell aveva mormorato una sola parola: «Gonzo.» Ma non aveva potuto dire di più sullo spacciatore, e tutto quello che Byrnes sapeva di Gonzo era la sommaria descrizione fatta dai tre ragazzi
sorpresi da Carell nella macchina ferma vicino al parco. Nessun altro aveva mai sentito parlare di Gonzo, quindi come avrebbe Byrnes potuto arrestarlo? Se Carell moriva... Seduto là fuori nel corridoio, Peter Byrnes aveva sempre scacciato questo pensiero. Ogni mezz'ora aveva telefonato al Distretto. E ogni mezz'ora aveva telefonato a casa. Nessun nuovo indizio sulla morte recente di Dolores Faured. Nessun nuovo indizio sulle precedenti morti di Anìbal e Maria Hernandez. Nessuna traccia di Gonzo. In famiglia le cose non andavano meglio. Larry stava ancora lottando contro il suo male. Il medico era tornato a vederlo ma pareva che le sue visite fossero quanto di più spiacevole esistesse per Larry. Byrnes si chiedeva se sarebbe stato possibile curare il figlio, e si chiedeva se avrebbero mai trovato l'uomo o gli uomini che avevano commesso gli omicidi nel suo Distretto. Mancavano due giorni a Natale, ma quell'anno Natale sarebbe stato un giorno tetro. Alle sei e un quarto lasciò il corridoio e scese nell'atrio. Si fermò al banco della ricezione e chiese alla ragazza se lì vicino c'era un posto dove mangiare qualcosa di decente. La ragazza gli consigliò una tavola calda in Lafayette Street. Stava dirigendosi alla porta girevole quando una voce chiamò: «Tenente!» Byrnes si voltò. Non riconobbe subito l'uomo. Era un tipo piccolo e magro, teneva sotto il braccio una scatola di canditi, e aveva l'aria malandata di tutti quelli che tentano di sembrare vestiti bene. Poi la faccia gli fece scattare una molla nel cervello. «Salve, Danny» disse Byrnes. «Cosa stai facendo qui?» «Sono venuto a trovare Carell» disse Danny, sbattendo le palpebre. «Ah, si?» disse Byrnes distrattamente. «Sì» disse Danny. «Come sta?» «Male» rispose Byrnes. «Scusami, Danny, ma stavo uscendo per mangiare qualcosa. Ho parecchia fretta.» «Sì, certo» disse Danny. Byrnes lo guardò, e forse perché era quasi Natale aggiunse: «Sai com'è, col nostro mestiere. Quel Gonzo che ha sparato a Carell non...» «Chi? Avete detto Gonzo? È lui che ha sparato a Ste... all'agente investigativo Carell?» «Così pare» disse Byrnes. «Ma cosa mi dite? Un balordo da niente come quello? Ha sparato a Ste-
ve Carell.» «Perché?» disse Byrnes. Adesso era pieno di interesse per Danny, ma solo perché Danny aveva parlato di Gonzo come se lo conoscesse. «Cosa significa un balordo da niente?» «Avrà al massimo vent'anni, da quello che ne so.» «Che cosa sai esattamente, Danny?» «Ecco, siccome Ste... insomma, Carell mi aveva chiesto di sentire un po' in giro di questo Gonzo, e io non ero riuscito a sapere niente. Voglio dire che ho tastato in giro perché Stev...» «Oh, Cristo, chiamalo Steve e non farla lunga» disse Byrnes. «Be', certi poliziotti sono molto sensibili a...» «Maledizione, Danny, vuoi dirmi quello che sai?» «Anche a Steve non piace che io lo chiami per nome» disse Danny, e poi notando l'espressione di Byrnes si affrettò ad aggiungere: «Nessuno conosceva questo certo Gonzo, mi capite? Perciò rintracciarlo è diventato per me una specie di problema di matematica. Come mai tre ragazzi che avevano comperato la droga da lui lo conoscevano come Gonzo mentre nessuno del giro lo conosceva? Molto probabilmente allora non era uno del quartiere, giusto?» «Continua» disse Byrnes, pieno d'interesse. «Allora mi sono chiesto, se non è di questo quartiere come mai ha ereditato il giro di clienti di Hernandez? Qualcosa non quadrava. Voglio dire che come minimo doveva conoscere almeno Hernandez, no? E se conosceva Hernandez forse ne conosceva anche la sorella. Ho seguito questo ragionamento sommandoci sopra tutto quello che Steve mi aveva detto.» «E a che conclusione sei arrivato?» «Mi sono trovato quindi in mano un ragazzo che non era del quartiere ma che probabilmente aveva conosciuto gli Hernandez. Allora sono andato dalla madre dei due Hernandez. Le ho parlato cercando di toccare diversi argomenti di tipo familiare perché avevo pensato che Gonzo poteva essere un cugino o un altro tipo di parente, sapete come sono queste famiglie portoricane con una infinità di parenti di tutte le specie.» «Ed è un cugino?» «La signora Hernandez non ha cugini che si chiamino Gonzo. Mi ha parlato sinceramente perché mi conosceva, cioè sapeva che sono del quartiere. Il nome Gonzo non le ricordava niente.» «Questo potevo dirtelo anch'io, Danny. Anche i miei uomini sono andati a interrogare la signora Hernandez.»
«Già. Però lei mi ha detto che suo figlio aveva un amico. Mi ha detto che il figlio frequentava una specie di circolo sportivo giovanile che ha qualcosa a che fare col mare. I ragazzi si ritrovano presso una scuola superiore di Riverhead. Mi sono dato da fare e ho saputo che il circolo si chiama "Junior Navals" e che un paio di ex sottufficiali di marina hanno messo insieme un gruppo di ragazzi ai quali fanno indossare una specie di divisa e una volta alla settimana li fanno marciare e fare esercizi. Solo che Hernandez non andava là per marciare. Lui ci andava per spacciare la droga. Comunque l'amico che aveva conosciuto là si chiama Dickie Collins.» «Come si collega con Gonzo?» «Statemi a sentire» disse Danny. «Ho cominciato a fiutare in giro su questo Collins. Prima abitava da queste parti, si è trasferito da qualche tempo perché il padre ha avuto un lavoro come venditore porta a porta nel quartiere di Riverhead e per risparmiare tempo era meglio che abitasse in zona. Il ragazzo però ha tenuto i contatti con il suo vecchio quartiere, e di tanto in tanto ci torna per trovare alcuni amici fra i quali c'era il fu Allibai Hernandez. Un paio di volte si è anche trovato con la sorella, Maria. Bene. Una sera organizzano una partita a carte. Roba da poco, poste da quattro soldi. È stato un paio di settimane fa, e questo spiega come mai da queste parti nessuno conosca Gonzo eccetto quattro persone, una delle quali adesso è morta. Fortunatamente ho rintracciato uno dei vivi.» «Avanti, sputa» disse Byrnes. «Alla partita hanno partecipato in quattro. Un certo Sam Di Luca, questo Dickie Collins, Maria Hernandez, e un ragazzo anche lui del quartiere e di qualche anno maggiore degli altri.» «Chi era il ragazzo più anziano?» «Sam Di Luca non ricorda il nome, e Maria Hernandez non può più dircelo. Da quello che sono riuscito a capire, quella notte si sono tutti drogati. Il Di Luca ha soltanto sedici anni e così forse la droga ha fatto più effetto a lui che agli altri e gli è partita la memoria. Per spiegare il tipo, questo Sam Di Luca si fa chiamare Batman. È il suo soprannome ufficiale. Hanno tutti quanti dei soprannomi. Forse è per questo che la faccenda del Gonzo ha avuto successo.» «Arriva al punto.» «Okay. A un certo punto, quella notte, mentre tutti e quattro giocavano a carte ed erano su di giri, il ragazzo più anziano dice qualcosa a proposito di un tipo ganzo che sta nel quartiere. E allora salta fuori che Dickie Collins non ha mai sentito il termine ganzo. Infatti è una parola dialettale ormai
usata pochissimo anche qui da noi. Anzi, oggi non la usa quasi più nessuno a parte qualche persona antiquata. Una parola un po' come torpedo. Caduta in disuso. Fuori moda insomma, mi spiego, tenente? Quindi è comprensibile che essendo lui molto giovane non l'avesse mai sentita. Insomma lui dice: "Un gonzo? Che cosa diavolo è?". E questo ha fatto pisciare tutti dal gran ridere. Maria Hernandez è persino rotolata giù dalla sedia. Il ragazzo più anziano si è messo a fare le capriole sul pavimento, e Batman se l'è fatta addosso sul serio.» «Capisco» disse Byrnes, pensoso. «Insomma, per il resto della nottata hanno continuato a chiamarlo Gonzo. O per lo meno cosi mi ha detto Batman. Però erano soltanto loro quattro a sapere di questo soprannome: Batman, Maria, Dickie e il ragazzo più anziano. Adesso, morta Maria, sono rimasti in tre.» «Dunque Dickie Collins è Gonzo» disse Byrnes. «Già. Batman si era dimenticato di quella storia, drogato marcio com'era quella notte. Però quando ho cominciato a parlargli di Gonzo, si è ricordato. Ma il ragazzo più anziano, quello lo sa soltanto Cristo chi è.» «Dickie Collins» ripeté Byrnes. «Già. Adesso abita a Riverhead, in una delle strade più povere. Lo arresterete?» «Ha sparato a Carell, no?» disse Byrnes. Frugò nel portafoglio e ne tolse una banconota da dieci dollari. «Tieni, Danny» disse, porgendo il biglietto. Danny scosse la testa. «No, grazie, tenente.» Byrnes lo guardò sbalordito. «Però c'è una cosa che potete fare per me» disse Danny con un leggero imbarazzo. «Di che cosa si tratta?» «Mi piacerebbe salire a vedere Steve.» Byrnes ebbe un attimo di esitazione. Poi andò al banco e disse: «Sono il tenente Byrnes della Squadra Investigativa. Quest'uomo sta collaborando con noi al caso che sapete. Avrei piacere che potesse salire.» «Sì, signore» disse la ragazza, e poi guardò Danny Gimp. L'informatore stava sorridendo da un orecchio all'altro. 15 Presero Dickie Collins alla vigilia di Natale. Lo presero all'uscita della chiesa dove era andato ad accendere una can-
dela alla memoria della nonna. Lo portarono nella sala-agenti dell'87° Distretto, e lì il ragazzo venne circondato da quattro agenti investigativi. Uno dei quattro era Peter Byrnes. Gli altri erano Havilland, Meyer e Willis. «Come ti chiami?» chiese Willis. «Dickie Collins. Richard Collins.» «Con quali altri nomi sei conosciuto?» chiese Havilland. «Nessuno.» «Mai avuto una rivoltella?» chiese Meyer. «No, mai.» «Conoscevi Anìbal Hernandez?» chiese Byrnes. «Il nome non mi suona nuovo.» «Lo conoscevi o no?» «Sì, mi pare. Conosco un sacco di ragazzi del quartiere.» «Quando hai cambiato quartiere?» «Un paio di mesi fa.» «Perché?» «Il mio vecchio ha trovato un nuovo lavoro. Io vado dove va lui.» «Ti ha fatto piacere trasferirti?» «Mi è stato indifferente. Mi muovo liberamente. Vado dove voglio, indipendentemente dal posto dove abito. Ma perché tutte queste domande?» «Dove sei stato la sera del diciassette dicembre?» «Come faccio a saperlo? E poi quando è stato il diciassette?» «Una settimana fa.» «Non mi ricordo.» «Eri con Hernandez?» «Non mi ricordo.» «Cerca di ricordarti.» «No, non ero con Hernandez. Che cos'era? Una domenica?» «Sì, una domenica sera.» «No, non ero con lui.» «Dov'eri invece?» «In chiesa.» «Cosa?» «Tutte le domeniche sera vado in chiesa. Mi piace andare ad accendere una candela per mia nonna.» «Quanto sei stato in chiesa?» «Circa un'ora. Ho pregato un po'.»
«Da che ora a che ora sei stato in chiesa?» «Da... dalle dieci circa alle undici.» «Poi che cos'hai fatto?» Ho girato un po'. «Chi ti ha visto?» «Nessuno. Perché dovrei aver bisogno di un testimone? State cercando di affibbiarmi l'uccisione di Hernandez?» «Perché pensi che sia stato ucciso?» «Si è impiccato» disse Collins. «Già. Ma tu perché pensi che sia stato ucciso?» «Un suicidio non è un'uccisione?» «Ma perché dovremmo affibbiare a te un suicidio?» «Come faccio io a saperlo? Per che cos'altro mi avete portato qui, allora? Mi fate domande su quella sera, no? Mi avete chiesto se conoscevo Hernandez, no?» «Lo conoscevi, vero?» «Certo che lo conoscevo.» «Da quando stavi nel quartiere o l'hai conosciuto alla scuola di marina?» «Quale scuola di marina?» «Quella di Riverhead.» «Ah, volete dire la Junior Navals. Non è proprio una scuola di marina. Sì certo, la scuola di Riverhead.» «Allora, quando e dove l'hai conosciuto?» «Quando abitavo nel quartiere ci vedevamo. E quando l'ho rivisto alla scuola di Riverhead abbiamo fatto un po' d'amicizia.» «Perché hai detto che pensavi di conoscerlo? Se avevate fatto amicizia, lo conoscevi sicuramente.» «E va bene, lo conoscevo. È un reato?» «Perché frequentavi la Junior Navals?» «Ci andavo ma non la frequentavo. Andavo là per vedere i ragazzi fare esercizi. Mi piace lo sport.» «Di sport ne farai parecchio dove andrai» disse Havilland. «Già! Ma prima mi ci dovrai mandare, poliziotto. Non ho ancora sentito l'accusa. Intendete incriminarmi o ci provate soltanto?» «Sei uno spacciatore, vero, Collins?» «Voi state sognando.» «Abbiamo sotto mano tre ragazzi che hanno comperato la droga da te. Uno di loro è pronto a identificarti.» «Ah, sì? E come si chiama?»
«Hemingway.» «E gli altri due come si chiamano? Sinclair Lewis e William Faulkner?» «Leggi parecchio, eh, Collins?» «Quel tanto che basta.» «Be', il ragazzo che si chiama Hemingway non legge. È un tossicomane. Nel pomeriggio del venti dicembre ha comperato da te un grammo e mezzo di eroina. Uno dei nostri agenti investigativi l'ha beccato subito dopo che aveva comperato la droga.» «Allora è per questo che sono stato pedi...» Collins s'interruppe. «Cosa stavi dicendo?» «Io non ho detto niente. Se il vostro Hemingway si è procurato la droga, non l'ha avuta certo da me.» «Lui dice di sì. Lui dice che la droga gliel'hai procurata tu.» «Non so nemmeno che faccia abbia un grammo e mezzo di eroina.» «Sapevi che Hernandez era un tossicomane?» «Sì.» «Non si è mai drogato insieme a te?» «No.» «Come fai a sapere che si drogava?» «Le voci circolano.» «L'hai mai visto con un tossicomane che si chiama Larry Byrnes?» chiese il tenente Byrnes. «Mai sentito nominare» disse Collins. «Pensaci bene. È mio figlio.» «State scherzando? Non sapevo che i figli dei poliziotti si drogassero.» «Non hai visto per caso mio figlio la sera del diciassette dicembre?» «Non distinguerei vostro figlio da una targa d'ottone.» «E la mattina del diciotto?» «Io non conosco vostro figlio né di notte né di mattina. Come faccio a conoscerlo?» «Lui conosceva Hernandez.» «Un sacco di ragazzi conoscevano Hernandez. Hernandez era uno spacciatore, non lo sapevate? Spacciava anche alla Junior Navals. L'ho visto farlo un paio di volte.» «A chi l'hai visto vendere la droga?» «Non mi ricordo. Credete forse che conosca per nome tutti i drogati del quartiere? Io non mi sono mai mischiato con quella razza.» «Ti sei mischiato con loro il giorno venti, Collins. Due giorni dopo la
morte di Anìbal Hernandez, tu hai avvito a che fare coi drogati. Hemingway era un cliente abituale di Hernandez.» «Ah, si? Allora forse ha comperato quel grammo e mezzo dal fantasma di Hernandez.» «L'ha comperato da te.» «Avrai un bel daffare a dimostrarlo, poliziotto.» «Forse non tanto. Un nostro uomo ti ha pedinato negli ultimi giorni.» «Ah, sì?» «Sì.» «E allora perché non mi ha pizzicato? Mi avete per caso trovato addosso droga quando mi avete fermato? Perché mi avete portato qui? Voglio un avvocato.» «Sei qui perché sei indiziato di omicidio» disse Byrnes. «Volete dire...» Collins s'interruppe di nuovo. «Continua, Collins.» «Niente. Hernandez si è impiccato. Provateci ad accollarmi la sua morte!» «Hernandez è morto per una dose eccessiva di eroina.» «Ah, si? Allora era un tipo distratto.» «Chi gli ha messo la corda attorno al collo, Collins?» «Forse è stato vostro figlio, tenente. Cosa ne dite?» «Come fai a sapere che sono tenente?» «Uno dei vostri madama vi ha chiamato tenente. Cosa ve ne pare di questa?» «Collins, nessuno mi ha chiamato tenente da quando sei qui. Di questa che te ne pare?» «Allora l'ho immaginato. Avete tutta l'aria di uno che comanda, perciò ho immaginato che foste il capo. Vi va bene?» «Larry dice di conoscerti» mentì Byrnes. «Chi è Larry?» «Mio figlio.» «Ah, sì? Un sacco di ragazzi mi conoscono e io non conosco loro. Sono un tipo molto popolare.» «Come mai? Perché sei uno spacciatore?» «L'unica cosa che ho venduto in vita mia è stata la carrozzina di mia sorella. Non insistete su questa strada, poliziotto. Non vi porterà da nessuna parte.» «Proviamo con un'altra, allora. Hai mai giocato a carte?»
«Certo che ho giocato.» «Mai giocato con un certo Batman Di Luca?» «Certo.» «Chi altro c'era nella partita, quella sera in cui avete giocato insieme?» «Ho giocato a carte un sacco di volte con Batman. Quello non ce la fa mai. Vinco sempre io.» «Che cos'è un ganzo, Collins?» Collins sbatté le palpebre. «È uno in gamba, che ci sa fare.» «Bravo. Ripeti la parola.» «Ganzo. Che cos'è? Una lezione di lingua?» «Quando hai scoperto cosa significa ganzo?» «L'ho sempre saputo.» «L'hai imparato quella sera che avete giocato a carte, vero?» «Non è vero. Lo sapevo anche prima.» «Prima di quale sera, Collins?» «Eh?» «Hai appena detto che sapevi che cosa significa ganzo prima di quella sera della partita a carte. Di quale sera stavi parlando?» «Del... dell'ultima volta che abbiamo giocato.» «E quando è stato?» «Mi pare... circa quindici giorni fa.» «E chi ha partecipato alla partita?» «Io, Batman, e un altro.» «Quest'altro chi era?» «Non mi ricordo.» «Batman dice che l'avevi portato tu.» «Io? No, è stato Batman. Credo che fosse un amico di Batman.» «No, non lo era e non lo è. Chi stai proteggendo, Collins?» «Non sto proteggendo nessuno. Non so nemmeno chi fosse quel tale. Sentite, ho il diritto...» «Stai zitto! Che cos'è successo la sera della partita?» «Niente.» «Chi è stato il primo a pronunciare la parola ganzo?» «Io non l'ho sentita pronunciare.» «Allora come mai l'hai pronunciata male?» «Non l'ho pronunciata male.» «L'hai pronunciata esattamente?» «Certo.»
«Come l'hai pronunciata?» «Ganzo.» «Quando è stato?» «La sera che...» Collins s'interruppe. «Tutte le volte che mi capita di pronunciarla.» «Prima hai detto che la sera della partita a carte non è stata pronunciata.» «Ho detto di non averla sentita. Forse qualcuno l'ha pronunciata, come faccio io a saperlo?» «Se quella parola non è stata detta, da dove ti viene il soprannome di Gonzo?» «Gonzo? E chi è soprannominato Gonzo? A me tutti mi chiamano Dickie.» «Tranne i tre ragazzi che hanno comperato la droga da te.» «Oh, ma questo allora spiega tutto. Non sono io il vostro uomo. Voi state cercando qualcuno che viene chiamato Gonzo. Io mi chiamo Dickie. Dickie Collins.» «Va bene, piantiamola con questa commedia» disse Havilland brusco. «Ecco, io...» «Sappiamo benissimo quello che è successo durante quella partita. Sappiamo tutto sulla faccenda del ganzo, e come tu sbagliando a capire abbia detto invece gonzo facendo venire giù la casa dalle risate, e come gli altri abbiano cosi cominciato a chiamarti Gonzo. Secondo noi tu hai usato il soprannome Gonzo quando hai prelevato il commercio di Hernandez perché non ti sembrava ben fatto dare il tuo nome vero alla tua identità di spacciatore. Ecco allora perché quei tre ragazzi cercavano un certo Gonzo, e dopo averlo trovato uno di loro ha comperato da te un grammo e mezzo di roba, e anche lui lo dirà sotto giuramento. Adesso vogliamo parlare del resto?» «Quale resto?» «Cosa ci dici di quando hai sparato al poliziotto?» «Cosa?» «E della corda che hai messo al collo di Hernandez?» «Cosa?» «E dell' accoltellamento di Maria?» «Ehi, sentite, io non...» «E della vecchia che hai buttato giù dalla tromba delle scale?» «Io? Gesù santo, io non ho...» «Quale di questi delitti hai commesso?»
«Nessuno. Ma, per chi mi prendete?» «Tu hai sparato al poliziotto, Gonzo!» «No, non sono stato io.» «Sappiamo che gli hai sparato tu. Ce l'ha detto lui.» «Lui non vi ha detto niente.» «Di chi parli?» «Di quel poliziotto, quello di cui state parlando voi. Non può avervi detto che sono stato io perché io non c'entro con questa storia.» «Tu c'entri e parecchio, Gonzo.» «Piantatela di chiamarmi Gonzo. Io mi chiamo Dickie.» «Okay, Dickie. Perché hai ucciso Hernandez? Per prenderti i suoi affari da quattro soldi?» «Non siate stupido!» «Allora perché?» urlò Byrnes. «Per compromettere mio figlio? Come mai su quella siringa c'erano le impronte di Larry?» «Come faccio a saperlo? Quale siringa?» «La siringa trovata vicino al cadavere di Hernandez.» «Non sapevo che c'era una siringa.» «Perché hai tentato di intrappolare mio figlio?» «Piantatela di rompere con vostro figlio. Per quello che me ne importa vostro figlio può crepare anche subito.» «Chi è l'uomo che mi chiama, Gonzo?» «Non conosco nessuno che vi chiama Gonzo.» «Senti, razza di bastardo...» «Non capisco di che cosa parlate.» «Qualcuno mi ha telefonato per dirmi che mio figlio si droga e per dirmi delle impronte sulla siringa. Questo qualcuno aveva un piano preciso in mente. Era lui quello della partita a carte?» «Non so chi era quello della partita.» «È lo stesso che mi ha telefonato, vero?» «Non so chi vi ha telefonato.» «È lo stesso che ti ha aiutato a uccidere Hernandez, vero? E poi Maria, e la vecchia...» «Io non ho ucciso nessuno!» «Hai ucciso un poliziotto» scattò Willis. «È morto?» domandò Collins. Di colpo ci fu un grande silenzio nella stanza. «E adesso che cosa c'è?» chiese Collins.
«Diccelo tu, amico.» «Voi mi avete detto che avevano sparato a un poliziotto. Non avete detto che era morto.» «Infatti, non l'abbiamo detto.» «E allora come facevo a sapere di quel maledetto agente investigativo? Non avete detto che era morto, avete detto soltanto che gli avevano sparato!» «Non abbiamo nemmeno detto che era un agente investigativo. Abbiamo parlato semplicemente di un poliziotto. Cosa ti fa credere che si tratta di un agente investigativo?» «Non lo so. L'ho pensato. Mi è sembrato da come ne avete parlato.» «Si chiama Steve Carell» disse Willis. «Tu gli hai sparato venerdì, Collins, e lui sta ancora lottando per non morire. Ci ha detto che gli hai sparato tu. Perché non ci racconti tutto?» «Non ho niente da dire. Io sono pulito. Se il vostro poliziotto muore non avrete la minima prova contro di me. Quando mi avete preso non avevo armi, e non avevo addosso nemmeno droga. Non riuscirete a farmi niente.» «Abbiamo intenzione di farti parecchio, amico» disse Havilland. «Tempo tre secondi ti caveremo di bocca tutto quanto.» «Provateci. Staremo a vedere che cosa mi caverete. Io non sono coinvolto in nessuna delle vostre storie. Quel vostro poliziotto è matto. Io non gli ho sparato, e non ho nemmeno ucciso Hernandez. Cos'è? Intendete trasformare un'amicizia da Junior Navals in un caso federale?» «No» disse Willis «ma intendiamo portare una tua impronta come prova in un caso di omicidio, su questo ci puoi giurare.» «Una mia... cosa?» «L'impronta di una scarpa che abbiamo trovato vicino al corpo di Carell» mentì Willis. «La confronteremo con tutte le scarpe che possiedi...» «Eravamo sui sassi!» gridò Collins. E così, era fatta. Il ragazzo sbatté le palpebre nel rendersi conto che ormai era troppo tardi per fare marcia indietro, nel rendersi conto che l'avevano incastrato. «E va bene» disse. «Gli ho sparato, ma l'ho fatto soltanto perché lui voleva portarmi qui. Non voglio venire immischiato nelle altre faccende, io non ho avuto niente a che fare con l'omicidio di Hernandez o quello di sua sorella. Niente. E la vecchia non l'ho mai vista in vita mia!» «Chi li ha uccisi?» chiese Byrnes. Per qualche secondo Collins non parlò.
Poi disse: «Douglas Patt.» Willis stava già andando a prendere il cappotto. «No» disse Byrnes. «A quello ci penso io. L'indirizzo, Collins.» 16 Faceva molto freddo sul tetto, lì faceva forse più freddo che in qualsiasi altro punto della città. Il vento infuriava intorno ai comignoli e gli penetrava fin dentro le ossa. Da lassù si vedeva quasi tutta la città con le scritte luminose che lampeggiavano, una città ricca di segreti, di tanti piccoli segreti. Per un po' rimase fermo là a guardare oltre i tetti e a chiedersi come mai tutto era andato storto. Il piano era ottimo, eppure era fallito. Troppa gente di mezzo, pensò. Sospirò e girò le spalle al vento tagliente che sferzava i vestiti e frustava i vetri sottili delle finestre. Si sentiva stanco e solo. Non avrebbe dovuto andare così. Un piano tanto buono avrebbe dovuto funzionare bene. Deluso, si avviò alla piccionaia. Prese di tasca una chiave e aprì la porta fermandola poi con il catenaccio. Avanzò e i piccioni, spaventati per un attimo, sbatterono le ali e poi, passata la paura, tornarono calmi. Lui vide subito la colomba dalla coda a ventaglio. Giaceva sul pavimento e lui capì immediatamente che era morta. Si chinò e la raccolse, con delicatezza, e la tenne sulle mani aperte fissandola come se il suo sguardo potesse ridarle la vita. E di colpo tutto sembrò troppo pesante da sopportare. Gli sembrò che tutto fosse stato congegnato per portarlo a quell'estrema dolorosa sconfitta: la morte della colomba. Continuò a guardare la bestia morta, e vedeva le sue mani tremare ma non riusciva a fermare il tremito. Allora uscì dalla piccionaia con la colomba in mano. Percorse qualche metro e andò a sedersi con la schiena contro il camino Depose con delicatezza la colomba sul pavimento e poi, quasi che le sue mani fossero mutili così vuote adesso, prese un mattone abbandonato lì accanto e cominciò a rigirarlo tra le dita alla maniera di un vasaio che sta modellando la creta Stava rigirandosi il mattone tra le mani quando l'uomo sbucò sul tetto. L'uomo si guardò in giro, poi andò verso di lui. «Douglas Patt?» chiese l'uomo. «Sì?» disse lui Alzò la testa e guardò l'uomo negli occhi Erano occhi freddi e duri. L'uomo stava con le spalle inarcate a proteggersi dal vento, le
mani infilate in tasca. «Sono il tenente Byrnes» disse l'uomo. «Ah» disse Patt. Si guardarono a lungo in silenzio Patt continuava a rigirare il mattone lentamente. «Come siete arrivato fino a me?» domandò alla fine. «Dickie Collins» rispose Byrnes. «Mmmm» disse Patt Pareva che non gliene importasse molto «Lo sapevo che se foste arrivati a lui si sarebbe rivelato un anello fragile» Scosse la testa «Troppa gente di mezzo» disse Abbassò gli occhi a guardare la colomba. Strinse più forte il mattone nella destra. «Che cosa speravi di ricavarne, Patt?» chiese Byrnes. «Io?» disse Patt Fece il gesto di alzarsi, e Byrnes si mosse rapido, e così quando fu in posizione accosciata, Patt si trovò davanti agli occhi la canna della rivoltella di Byrnes Ma parve quasi non accorgersene Sembrava piuttosto intento a studiare la colomba morta Con una mano spostò il corpo dell'uccello continuando a tenere il mattone nell'altra «Che cosa volevo ricavarne? Una possibilità, tenente Una cosa grossa, tenente.» «Cioè?» «Quel ragazzo Gonzo Sapete di Gonzo, vero? Uno stupido, vero? Ma quasi uno strumento del destino, quel Gonzo. È venuto a dirmi: "Vuoi saperne una? Annabelle mi ha detto che il vecchio di un suo amico drogato comanda l'Ottantasettesimo". Così mi ha detto Gonzo.» Byrnes lo guardò fisso. Patt aveva sollevato lentamente il mattone e adesso lo abbassò quasi con delicatezza o meglio con forza delicata, abbattendolo sul corpo della colomba. Poi risollevò il mattone e poi colpì ancora la colomba. Il mattone era sporco di sangue adesso, di sangue e di penne. Lo risollevò, e poi giù di nuovo, su e giù, e pareva che nemmeno si rendesse conto di quello che stava facendo. «Lì per lì è sembrata una buona occasione, tenente. Ho pensato di incastrare vostro figlio mettendolo in una situazione molto brutta, poi sarei venuto da voi, tenente, avrei messo tutte le carte in tavola e vi avrei detto: "Le cose stanno così, tenente. La storia di vostro figlio finirà sulla prima pagina di tutti i giornali se voi non collaborerete". Avevo incastrato vostro figlio in maniera da farlo accusare d'omicidio. Ero sicuro che voi avreste collaborato.» Continuava a pestare il corpo della colomba, e Byrnes distolse lo sguardo dal corpo massacrato dell'uccello.
«Che tipo di collaborazione ti aspettavi?» «Io spaccio, tenente» disse Patt. «Ma ho paura. Se non avessi tutta quella paura potrei operare in grande. Non volevo farmi beccare. Volevo che voi mi aiutaste. Volevo essere libero di circolare per tutto il quartiere quant'è grande e spacciare la mia droga dappertutto senza la paura di venire beccato. Ecco che cosa volevo.» «Non ci saresti mai arrivato» disse Byrnes. «Non avresti mai avuto una mano né da me né da qualsiasi altro poliziotto.» «Forse non- da voi. Ma era un pensiero consolatore, tenente. Ho venduto al piccolo Annabelle un biglietto della fortuna. Gli ho detto che doveva soltanto procurarmi una siringa con sopra le impronte digitali di vostro figlio. Lui ha agganciato vostro figlio, gli ha offerto una dose gratuita e poi quella sera prima che vostro figlio se ne andasse ha scambiato le siringhe. Io ero fuori ad aspettare. Quando vostro figlio si è allontanato sono sceso da Annabelle. Lui era in pieno viaggio. Ho caricato una siringa con abbastanza eroina da fargli scoppiare la testa. Non si è nemmeno accorto che gli stavo facendo un'iniezione. Poi ho preso dalla tasca di Annabelle la siringa di vostro figlio e l'ho messa vicino ad Annabelle.» «Perché la scena della corda?» chiese Byrnes. Patt continuava a colpire la colomba col mattone, spargendo penne e sangue sul cemento del tetto. «Un'idea che mi è venuta dopo. Mi è venuto in mente... e se pensano che è staro un suicidio? Oppure se pensano che è stato un incidente? Una dose eccessiva presa per errore? Tutto il mio piano sull'omicidio che fine fa?, ho pensato. Allora ho messo la corda attorno al collo di Annabelle. Ho immaginato che quelli della polizia sarebbero stati sufficientemente intelligenti da capire che era stata legata dopo che lui era già morto. Volevo che capissero che si trattava di omicidio perché vostro figlio doveva finire nella trappola. Vostro figlio era la mia merce di baratto, tenente. Era quello che barattavo per avere via libera nel quartiere.» «Via libera» ripeté Byrnes. «Mmmm, già» disse Patt. «Ma non ha funzionato, vero? E poi Maria, e quella vecchia... Perché le cose devono essere tanto complicate?» Smise di muovere il mattone su e giù e rimase immobile a guardare il cemento. La colomba era un ammasso informe di sangue e penne. Il mattone era tutto sporco di sangue, e anche le mani di Patt. Lui guardò i resti della colomba, e poi guardò il mattone, e si guardò le mani come se non le avesse mai viste. E poi, di colpo, si mise a piangere. «Alzati e vieni con me» disse Byrnes.
All'87° Distretto lo incriminarono formalmente per triplice omicidio. E dopo che Douglas Patt fu registrato, Byrnes andò nel suo ufficio e rimase per un po' a guardare il parco, dalla finestra, e poi vide l'orologio sulla torre del parco, e l'orologio gli disse che mancavano cinque minuti a mezzanotte. Cinque minuti a Natale. Andò al telefono e sollevò il ricevitore. «Sì?» disse il sergente di servizio. «Sono il tenente Byrnes» disse lui. «Puoi darmi la linea, per favore?» «Sì, signore.» Aspettò il segnale poi compose il numero di casa sua. Harriet rispose subito. «Ciao, Harriet» disse lui. «Ciao, Peter.» «Come sta?» «Meglio di prima, Peter. Pare che non... Non ha più vomitato e non si è più agitato. Non si comporta più come un pazzo. Credo che fisicamente la crisi sia superata, Peter. Il resto dipende soltanto da lui.» «Sì, certo» disse Byrnes. «È sveglio?» «Sì.» «Posso parlargli?» «Certo, caro.» «Harriet?» «Sì?» «So di essere stato poco a casa, ma volevo che tu... insomma tutta la confusione di questi ultimi giorni...» «Peter» disse lei in tono dolce «ho sposato un poliziotto di mia libera scelta.» «Lo so. E ti sono grato di averlo fatto. Buon Natale, Harriet.» «Vieni a casa appena puoi, caro. Ti chiamo Larry.» Byrnes aspettò. Poco dopo gli arrivò la voce del figlio. «Papà?» «Ciao, Larry. Come ti senti?» «Molto meglio.» «Bene... Bene.» Un lungo silenzio. «Papà?» «Sì?»
«Mi dispiace per quello... per... per quello che ho fatto. Cambierà tutto, vedrai.» «Molte cose cambieranno, Larry» promise Byrnes. «Verrai a casa presto?» «Ecco, avevo intenzione...» S'interruppe. «Sì, Larry. Verrò presto. Voglio soltanto passare un momento dall'ospedale e poi vengo diritto a casa.» «Ti aspetteremo alzati, papà.» «Magnifico. Mi fa piacere.» Una pausa. «Davvero ti senti bene, Larry?» «Be', sono qui» disse Larry, e Byrnes ebbe l'impressione di sentire un sorriso nella voce del figlio. «Bene. Buon Natale, Larry.» «Ti aspettiamo.» Byrnes depose il ricevitore poi si infilò il cappotto. Di colpo tutto si era messo ad andare bene. Avevano preso Collins e avevano preso Patt, e suo figlio sarebbe guarito, era sicuro che suo figlio sarebbe guarito definitivamente, e adesso restava soltanto Carell, e lui era sicuro che anche Carell se la sarebbe cavata. Non sì può sparare a un buon poliziotto e aspettarsi che muoia. Non un poliziotto come Carell. Fece a piedi tutta la strada fino all'ospedale. Il termometro era sceso di un bel po' sotto lo zero ma lui andò lo stesso a piedi, e gridò "Buon Natale" a un paio di ubriachi che gli passarono accanto. Quando arrivò all'ospedale gli pizzicava la faccia e aveva il respiro affannoso, ma era più che mai sicuro che tutto sarebbe andato bene. Salì con l'ascensore fino all'ottavo piano. Le porte si aprirono e lui uscì nel corridoio. Gli ci volle un momento per orientarsi, poi si avviò deciso verso la camera di Carell, e gli ci volle un momento anche per lasciarsi prendere da una nuova sensazione. Lì, nel bianco asettico dell'ospedale, non si sentì più tanto sicuro sulla sorte di Steve Carell. Lì nel corridoio ebbe i suoi primi dubbi, e rallentò il passo. E poi vide Teddy. Dapprima fu soltanto una piccola figura in fondo al corridoio, poi si avvicinò e Byrnes la guardò attento. Teneva le mani serrate insieme, i gomiti piegati, e camminava con la testa china, e guardandola Byrnes provò una fitta dolorosa, una nuova fitta allo stomaco e al cervello. La piccola figura che avanzava dava l'impressione di sconfitta, con le spalle abbandonate, la testa china... Carell!, pensò lui. Oh, Dio, no! Le si affrettò incontro, e lei alzò la testa a guardarlo, e aveva la faccia
bagnata di lacrime, e quando vide le lacrime sulla faccia della moglie di Steve, lui sentì un gelo improvviso e avrebbe voluto scappare, scappare via da lei e dal dolore di quelle lacrime. E poi le vide la bocca. E gli parve inspiegabile, perché la bocca sorrideva. Teddy stava sorridendo e nel vedere quel sorriso lui sbarrò gli occhi. Le lacrime le scorrevano sulla faccia, ma arrivate alla bocca sfioravano un sorriso radioso, e lui la prese per le spalle e spiccicando bene le parole disse: «Steve? Tutto bene?» Lei gli lesse le parole sulle labbra, e poi fece segno di sì, un piccolo segno con la testa, prima, e poi un delirio di sì, sì, sì, e si buttò tra le braccia di Byrnes, e lui la tenne stretta e gli parve di abbracciare una figlia e scoprì di avere la faccia bagnata di lacrime. Fuori suonavano le campane. Era Natale, e tutto andava bene. FINE