C.J. SANSOM L'ENIGMA DEL GALLO NERO (Dissolution, 2003)
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C.J. SANSOM L'ENIGMA DEL GALLO NERO (Dissolution, 2003)
Al gruppo di scrittori: Jan, Luke, Mary, Mike B, Mike H, Roz, William e in special modo a Tony, nostra fonte d'ispirazione. Il crogiolo. E a Caroline Obedenziari anziani (officiali) del monastero di San Donato a Scarnsea, Sussex, 1537 ABATE FABIAN: abate del monastero, eletto a vita dai confratelli. PRIORE MORTIMUS: priore, braccio destro dell'abate Fabian, responsabile della disciplina e del benessere dei monaci, precet-
tore dei novizi. FRATELLO EDWIG: economo, responsabile delle finanze del monastero. FRATELLO GABRIEL: sacrista e maestro del coro, responsabile della conservazione della chiesa monastica, delle opere in essa contenute, nonché della sua musica. FRATELLO GUY: frate infermiere, responsabile della buona salute dei monaci. Autorizzato alla prescrizione di medicine. FRATELLO HUGH: tesoriere, responsabile della gestione domestica del monastero. FRATELLO JUDE: elemosiniere, responsabile dei conti del monastero, delle retribuzioni di monaci e servitori e della distribuzione delle elemosine. Capitolo uno Mi trovavo nel Surrey in missione per conto di Lord Thomas Cromwell, quando arrivò la convocazione. Le terre di un monastero dissolto erano state assegnate a un membro del Parlamento del cui appoggio Lord Cromwell aveva bisogno, e i documenti che sancivano il titolo di proprietà di alcuni terreni boscosi erano spariti. Li avevo rintracciati senza difficoltà, quindi avevo accettato con gioia l'invito del parlamentare a trascorrere qualche giorno presso la sua famiglia. Ora stavo godendomi quel breve riposo, nella quiete di inizio autunno, prima di far ritorno a Londra e all'esercizio della mia professione. Sir Stephen possedeva una deliziosa e recente magione in mattoni dalle gradevoli proporzioni e io mi ero offerto di farne un disegno, ma ero riuscito ad abbozzarne solo pochi schizzi, quando giunse il cavaliere. Il giovane era partito da Whitehall e aveva cavalcato tutta la notte per venire da me all'alba. Riconobbi in lui uno dei messi personali di Lord Cromwell, e fu quindi con un presagio di sventura che ruppi il sigillo ministeriale sulla missiva. Era del segretario Grey, e diceva che Lord Cromwell richiedeva la mia immediata presenza a Westminster.
Un tempo, la prospettiva d'incontrare il mio protettore, di potergli parlare, di vederlo occupare la posizione di grande potere che si era conquistato mi avrebbe estasiato, ma l'ultimo anno aveva fatto crescere in me una grande stanchezza: ero stanco della politica e della legge, stanco degli inganni degli uomini, stanco dei loro intrighi. E mi angustiava che il nome di Lord Cromwell, più ancora di quello del sovrano, fosse ormai diventato ovunque sinonimo di terrore. Si diceva che i mendicanti di Londra si dileguassero solo a sentirlo pronunciare. Questo non era il mondo che noi giovani riformatori avevamo inteso creare durante infinite discussioni notturne. Un tempo avevamo creduto, come Erasmo, che la fede e la carità bastassero ad appianare le divergenze religiose, invece l'inverno del 1537 aveva visto una ribellione, un numero sempre crescente di esecuzioni e l'avida razzia per assicurarsi le terre dei monasteri. Aveva piovuto poco quell'autunno e le strade erano ancora in buono stato, così, seppure la mia infermità m'impedisse di cavalcare veloce, giunsi a Southwark a metà pomeriggio. Dopo un mese trascorso in campagna, il mio buon vecchio destriero Chancery era disturbato, tanto quanto me, dal frastuono e dagli odori della città. Avvicinandomi al London Bridge fui costretto a distogliere lo sguardo poiché sul ponte erano esposte le teste dei condannati per tradimento, infilzate all'estremità di lunghe aste, con i gabbiani che volteggiavano loro attorno beccando, di tanto in tanto, qualche boccone. Sono sempre stato di natura schizzinosa, e non ho mai potuto sopportare neppure i combattimenti fra cani e orsi. Il grande ponte era affollato, come di consueto, e molti dei commercianti erano vestiti di nero in segno di lutto per la regina Jane, morta di febbre puerperale due settimane prima. I bottegai incitavano agli acquisti dai loro negozi, aperti sulla strada in edifici costruiti tanto a ridosso del fiume da dare l'impressione di essere sul punto di precipitare nelle sue acque. Ai piani superiori, le donne ritiravano il bucato perché a ovest le nubi cominciavano a rabbuiare il cielo. Spettegolavano e si chiamavano l'un l'altra, dandomi l'impressione, dato il mio umore melanconico, di essere uno stormo di corvi gracchianti assiepati sui rami di un albero. Sospirai, ricordando i doveri che mi aspettavano. Era grazie alla benevolenza di Lord Cromwell se, all'età di trentacinque anni, potevo contare su una fiorente attività legale e una bella dimora. Inoltre, lavorare per lui significava lavorare per la Riforma, comportamento meritevole agli occhi di Dio (o, almeno, di questo ero ancora convinto in quei giorni). Dietro alla convocazione doveva esserci una questione importante, poiché normal-
mente ero a diretto contatto con Grey e non vedevo il primo segretario ora anche vicario generale - da due anni. Con un colpo alle redini, condussi quindi Chancery attraverso la moltitudine di viaggiatori e commercianti, tagliaborse e aspiranti cortigiani, nel grande calderone di Londra. Oltrepassando Ludgate Hill, scorsi un banco colmo di mele e pere e, sentendo i morsi della fame, smontai da cavallo per comprarne qualcuna. Ne stavo giusto dando una a Chancery, quando, in una viuzza laterale, notai un capannello di circa trenta persone che mormoravano vivacemente davanti a una taverna. Mi chiesi se si trattasse dell'ennesimo predicatore folle con aspirazioni di profeta. In questo caso, meglio per lui se avesse prestato attenzione alla guardia. Al margine di quel drappello notai una coppia di signori benvestiti e riconobbi William Pepper, avvocato della Corte delle Aumentazioni, in compagnia di un giovane dall'appariscente farsetto. Incuriosito, diressi Chancery lungo la via acciottolata e li raggiunsi. Pepper si voltò. «Per tutti i fulmini, Shardlake! È un pezzo che non ti fai vedere. Dov'eri finito?» Volgendo poi lo sguardo al suo compagno, disse: «Permettimi di presentarti Jonathan Mintling, fresco di studi, un felice acquisto delle Aumentazioni. Jonathan, ti presento mastro Matthew Shardlake, il gobbo più scaltro di tutti i fori d'Inghilterra.» Feci un inchino al giovane, sorvolando sullo scortese accenno alla mia deformità. Avevo da poco battuto Pepper in tribunale e, come si sa, le lingue degli avvocati sono sempre pronte a cercar vendetta. «Che cosa succede?» chiesi. Pepper rise. «Una donna sostiene di avere un uccello delle Indie in grado di conversare come un cristiano. Sta per mostrarlo alla folla.» La strada che portava alla taverna era in discesa, così, nonostante la mia scarsa statura, riuscii ad avere una discreta visuale della scena. Una vecchia, grassa e con un abito sudicio, apparve sulla soglia, trasportando un trespolo di ferro a treppiede. In equilibrio su una traversa c'era il volatile più strano che avessi mai visto. Più grosso del più grande dei corvi, aveva un becco corto che terminava in uno spaventevole uncino, e il suo piumaggio rosso e oro era talmente intenso da abbagliare la vista, stagliato com'era sul grigiore del vicolo. La folla si strinse attorno a quella meraviglia. «State indietro», intimò la vecchia con voce stridula. «Vi ho portato Tabitha, ma lei non dirà niente se le state così addosso.»
«Falla parlare!» gridò qualcuno. «Vorrete pure ricompensarmi per il disturbo!» rispose la megera con tracotanza. «Se getterete una moneta, Tabitha parlerà!» «Quale diavoleria avrà mai in mente?» chiese Pepper con aria di scherno, ma come tutti gli altri lanciò una moneta ai piedi del trespolo. La vecchia le raccolse dal fango, poi si rivolse al volatile. «Tabitha», urlò, «di': 'Dio salvi re Enrico! Una messa per la povera regina Jane!'» La creatura parve ignorarla, ciondolando sulle zampe scagliose e fissando la folla con occhio vitreo. Poi, d'improvviso, con voce simile a quella della sua padrona, gridò: «Dio salvi re Enrico! Messa per regina Jane!» Quelli più vicini all'uccello fecero un involontario balzo all'indietro, accomunato a un generale movimento di braccia, mentre tutti si facevano il segno della croce. Pepper fischiò. «Che te ne pare, Shardlake?» «Non saprei. Ci deve essere un trucco.» «Ancora», incitò uno degli spiriti più temerari. «Ancora una volta!» «Tabitha! Di': 'Morte al papa! Morte al vescovo di Roma!'» «Morte al papa! Vescovo di Roma! Dio salvi re Enrico!» La creatura aprì le ali, facendo trasalire la piccola folla per lo spavento - mentre io notavo che erano state crudelmente mozzate, cosicché la bestiola non avrebbe mai più volato - poi affondò il becco uncinato nel petto e prese a lisciarsi le penne. «Venite sulla scalinata di St Paul, domani», disse a gran voce la vecchia rugosa, «e potrete ascoltarla ancora! Dite a tutti che Tabitha, l'uccello parlante delle Indie, sarà là a mezzogiorno. È arrivata dalla terra degli Inca, dove centinaia di suoi simili conversano appollaiati sui rami di un'immensa città-nido costruita sugli alberi!» E con quelle parole, interrotte solo per raccogliere un paio di monete che le erano sfuggite, la vecchia prese il trespolo e scomparve nella taverna, mentre l'uccello sbatteva selvaggiamente le ali tarpate per mantenere l'equilibrio. La folla si disperse, mormorando elettrizzata. Ricondussi Chancery su per il viottolo, con Pepper e il suo amico al mio fianco. La consueta arroganza dell'avvocato si era mitigata. «Ho sentito d'innumerevoli meraviglie provenienti da questa terra che gli spagnoli hanno conquistato. Ho sempre pensato che metà delle storie sulle Indie fossero solo fantasticherie, ma questo... santo cielo!» «È un trucco», dissi. «Non hai notato gli occhi di quell'uccello? Nemmeno un barlume d'intelligenza. E il modo in cui ha smesso di parlare per
lisciarsi le penne, poi.» «Ma ha parlato, signore», disse Mintling. «Lo abbiamo sentito tutti.» «Si può parlare senza comprendere ciò che si dice. E se quel volatile rispondesse alle parole della vecchia ripetendole, come un cane risponde all'ordine del proprio padrone? So di ghiandaie in grado di fare giochetti simili.» Raggiungemmo l'imboccatura della viuzza e ci fermammo. Pepper fece una smorfia. «Be', anche i fedeli in chiesa rispondono alle litanie latine dei preti senza capire una parola.» Mi strinsi nelle spalle. Simili sentimenti nei confronti della messa in latino non erano ancora ortodossi, e l'ultima cosa che desideravo era farmi trascinare in un dibattito religioso. M'inchinai. «Bene, temo proprio di dovermi congedare. Ho appuntamento con Lord Cromwell a Westminster.» Il ragazzo mi guardò, visibilmente impressionato, mentre Pepper cercò di soffocare la propria sorpresa. Montai in groppa a Chancery e mi mescolai alla folla, un sorriso beffardo sulle labbra. Gli avvocati sono i pettegoli più linguacciuti che Dio abbia messo sulla Terra, e di certo la mia reputazione ci avrebbe guadagnato se Pepper avesse diffuso la voce che avevo udienza con il primo segretario di Sua Maestà. Ma il mio piacere non durò a lungo perché, procedendo lungo Fleet Street, grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere sulla strada polverosa, e quando infine raggiunsi Tempie Bar scrosciava a dirotto, con un vento pungente che mi sferzava il viso. Alzai il cappuccio della cappa e me lo strinsi bene sotto il mento, cavalcando sotto l'acquazzone. Giunsi infine al palazzo di Westminster. I rari cavalieri che avevo incontrato procedevano, come me, curvi e avviluppati nei propri mantelli, e a ogni incontro non avevamo mancato di commentare la comune sventura. Il re si era trasferito nella nuova e sfarzosa reggia di Whitehall, così Westminster era diventato sede dei regi tribunali. La Corte delle Aumentazioni di Pepper era una novità creata per gestire i patrimoni delle piccole congregazioni religiose dissolte l'anno precedente. Anche Lord Cromwell e il suo fiorente seguito di funzionari avevano in quella sede i propri gabinetti, cosa che rendeva quel luogo alquanto affollato. Di solito, il cortile brulicava di neri avvocati ricurvi sulle loro pergamene e di funzionari statali immersi in macchinose discussioni negli angoli
più appartati. Oggi, però, la pioggia aveva costretto tutti all'interno del palazzo, lasciando la corte quasi deserta. Al riparo sotto il portone d'ingresso c'erano soltanto pochi individui dalle umili vesti inzaccherate: ex monaci dei conventi dissolti che venivano a reclamare i sussidi di povertà che l'Atto aveva loro promesso. Il funzionario di servizio doveva essersi allontanato, e forse si trattava proprio di mastro Mintling. Un vecchio dal viso fiero vestiva ancora l'abito dei cistercensi, il cappuccio della tonaca zuppo d'acqua. Presentarsi al gabinetto di Lord Cromwell in una simile foggia di certo non lo avrebbe aiutato. Di consuetudine, gli ex monaci avevano l'aria di cani bastonati, ma quelli fissavano con occhi colmi di orrore un gruppo di uomini intenti a scaricare due grossi carri, disponendone il contenuto contro il muro e inveendo contro la pioggia che batteva loro forte sul viso. A prima vista pensai si trattasse della legna per i funzionari, ma quando fermai Chancery mi accorsi che stavano trasportando teche di vetro, statue di legno e gesso, voluminose croci intarsiate e riccamente decorate. Doveva trattarsi delle reliquie e delle effigi prelevate dai monasteri dissolti, dei quali, noi che credevamo nella Riforma, desideravamo cessasse ogni forma di venerazione. Strappati agli originari luoghi di culto per essere ammassati sotto la pioggia, quegli oggetti sacri perdevano, infine, il loro potere. Soffocai un'ondata di compassione e annuii con sguardo severo al piccolo drappello di monaci, prima di condurre Chancery nel cortile interno. Giunto nelle scuderie, cercai di asciugarmi alla bell'e meglio con una salvietta che lo stalliere mi aveva portato, poi entrai a palazzo. Mostrai la lettera di Lord Cromwell alla guardia e questa mi scortò dalla zona aperta al pubblico in un labirinto di corridoi interni, la scintillante lancia dritta verso il cielo. Mi fece strada sino a una grossa porta sorvegliata da altre due sentinelle, oltrepassata la quale mi ritrovai in una sala lunga e stretta, vivacemente illuminata da molte candele. Un tempo sala da banchetto, ora la stanza era stipata, in tutta la sua lunghezza, da file di scrivanie alle quali sedevano impiegati dalle nere vesti, intenti a smistare montagne di corrispondenza. Uno degli anziani, un ometto paffuto con le dita macchiate d'inchiostro, si precipitò ad accogliermi. «Mastro Shardlake? Siete giunto in anticipo.» Mi chiesi come avesse potuto riconoscermi, poi capii che probabilmente gli era stato detto di attendere un gobbo.
«Il tempo è stato clemente... almeno fino a ora.» Abbassai lo sguardo sugli abiti zuppi d'acqua. «Il vicario generale mi ha detto di accompagnarvi da lui non appena foste arrivato.» Mi fece strada attraverso la sala oltre la schiera d'impiegati affaccendati, le candele tremolanti al nostro passaggio. In quel momento mi resi conto di quanto fosse complessa la struttura che il mio padrone aveva creato. I commissari ecclesiastici e la magistratura locale, dotati ciascuno della propria rete d'informatori, avevano l'ordine di riferire qualunque voce di scontento o inganno, ognuna delle quali veniva poi controllata da una legge che ogni anno si faceva sempre più spietata. Le riforme religiose avevano già fatto scoppiare una ribellione, e il ripetersi di un simile evento avrebbe potuto rovesciare la monarchia. L'impiegato si arrestò davanti a un'ampia porta alla fine della sala. Mi fece cenno di fermarmi, bussò ed entrò con un profondo inchino. «Mastro Shardlake, mio signore.» In contrasto con l'anticamera, il gabinetto di Lord Cromwell era buio, con un piccolo candelabro sulla scrivania che si stagliava solitario sul grigiore del pomeriggio. La maggior parte degli uomini nella sua posizione avrebbe adornato le pareti con raffinati arazzi, invece lui le aveva ricoperte di armadi alti fino al soffitto, ciascuno contenente centinaia di cassetti. Tavoli e bauli erano sparsi ovunque, traboccanti di carte e rapporti. Un grosso ceppo di legna crepitava in un ampio focolare. Da principio non lo vidi. Poi scorsi la sua figura tarchiata di fronte a un tavolo dall'altra parte della stanza. Sollevata in mano teneva una teca, e ne esaminava il contenuto con piglio sprezzante, la larga bocca dalle labbra sottili incurvata verso il mento sporgente. La mascella tesa mi ricordava una grande tagliola che, d'improvviso, avrebbe potuto spalancarsi e inghiottire la propria preda in un sol boccone. Si voltò a guardarmi e, con uno dei suoi consueti e incostanti mutamenti di espressione, mi sorrise affabile, alzando una mano in segno di benvenuto. M'inchinai quanto più possibile, nonostante il dolore per la lunga cavalcata. «Matthew, vieni.» La voce, aspra e profonda, era benevola. «Hai fatto un buon lavoro a Croydon, sono lieto che quell'impiccio di Black Grange sia risolto.» «Grazie, mio signore.» Avvicinandomi, notai che sotto la veste bordata di pelliccia portava una camicia nera. Lui si accorse del mio sguardo.
«Hai saputo della morte della regina?» «Sì, mio signore. E me ne dispiaccio.» Sapevo che, dopo l'esecuzione di Anna Bolena, Lord Cromwell aveva legato i propri interessi a quelli della famiglia Seymour. «Il sovrano è turbato», borbottò. Abbassai lo sguardo sul tavolo. Con mia grande sorpresa mi accorsi che era ricoperto di urne di ogni misura. Sembravano tutte d'oro e d'argento, molte tempestate di pietre preziose. Attraverso i loro vetri opacizzati dal tempo, scorsi brandelli di vesti e schegge d'ossa deposte su cuscini di velluto. Osservai quella che Lord Cromwell teneva ancora in mano, e vidi che conteneva il teschio di un fanciullo. Lui l'alzò alla luce, scuotendola in modo da far battere i denti traballanti, poi sorrise sinistro. «Queste di certo desteranno il tuo interesse. Reliquie sottoposte alla mia personale attenzione.» Appoggiò l'urna sul tavolo e indicò un'iscrizione latina sulla parte anteriore. «Guarda.» «Barbara santissima», lessi. Diedi un'occhiata al teschio. Qualche ciocca di capelli ancora resisteva. «Il teschio di santa Barbara», disse Cromwell, colpendo lo scrigno con una mano. «Una giovane vergine uccisa dal padre pagano, ai tempi dell'antica Roma. Proviene dalla prioria cluniacense di Leeds. È una reliquia venerabilissima.» Si chinò e prese un'urna d'argento decorata con quelli che sembravano opali. «E qui abbiamo il teschio di santa Barbara proveniente dal convento di Boxgrove, nel Lancashire.» Scoppiò in un'aspra risata. «Si dice che nelle Indie esistano draghi a due teste. Be', noi abbiamo delle sante a due teste.» «Jesu.» Esaminai attentamente i teschi. «Mi domando di chi fossero.» Il vicario generale scoppiò in un'altra fragorosa risata e mi diede una possente pacca sul braccio. «Ah, ecco il mio Matthew, sempre a caccia di una risposta. Ed è proprio del tuo spirito investigativo che ho bisogno. L'emissario delle Aumentazioni di York mi ha riferito che l'urna d'oro risale ai tempi dell'antica Roma. Ma seguirà la sorte di tutti gli altri scrigni e sarà fusa nella fornace della Torre, mentre le ossa finiranno in un letamaio. Non si dovrebbero adorare delle ossa.» «Sono moltissime.» Guardai fuori della finestra. La pioggia cadeva ancora torrenziale, sferzando gli uomini che continuavano a scaricare. Lord Cromwell attraversò la stanza, raggiungendomi. Sebbene la sua posizione di pari d'Inghilterra gli consentisse d'indossare la porpora, lui portava an-
cora, come il sottoscritto, la toga e il piatto copricapo neri tipici dei funzionari clericali e del foro. Il tocco, però, era di velluto di seta, e la toga bordata di pelliccia di castoro. Notai che i suoi lunghi capelli castani si erano spruzzati di grigio. «Devo far portar dentro quella roba», disse. «Ho bisogno che sia ben asciutta. Quando manderò al rogo il prossimo traditore papista, voglio usare un po' di quella legna.» Si voltò, sorridendomi torvo. «Allora la gente capirà che alimentare le fiamme con le effigi della sua stessa eresia non la risparmierà dal dolore, né tantomeno le assicurerà l'intervento divino.» La sua espressione mutò nuovamente, facendosi ombrosa. «Ora vieni, siedi. Abbiamo del lavoro da sbrigare.» Prese posto alla scrivania, indicando con un brusco gesto della mano la sedia di fronte allo scrittoio. Una fitta di dolore alla schiena mi fece sobbalzare. «Hai l'aria esausta, Matthew.» Mi scrutò con i grandi occhi scuri. Come per il viso, la loro espressione era incostante, e ora si erano fatti freddi come il ghiaccio. «In effetti lo sono. Il viaggio è stato lungo.» Diedi uno sguardo alla scrivania. Era coperta di documenti, su alcuni dei quali il regio sigillo scintillava alla luce delle candele. Due urnette d'oro fungevano ora da fermacarte. «Sei stato in gamba a rintracciare i titoli di proprietà di quei terreni», disse. «Senza quei documenti, la faccenda si sarebbe trascinata per anni.» «Li aveva l'ex economo del monastero. Erano nelle sue mani da quando la casa era stata dissolta. A quanto pare, gli abitanti del villaggio volevano reclamare quei possedimenti come terra comune. Sir Richard sospettava di un rivale del luogo, ma io ho preferito rivolgermi prima all'economo, poiché con tutta probabilità era l'ultima persona a esserne stata in possesso.» «Bene. Molto logico.» «L'ho scovato nella chiesa del villaggio, dov'era diventato pastore. Ha ammesso quasi subito di averli, e me li ha consegnati.» «Gli abitanti del villaggio devono averlo pagato. Lo hai assicurato alla giustizia?» «Non ha ricevuto nessun compenso. Penso intendesse soltanto aiutare quella gente, che è molto povera. Ho ritenuto fosse meglio non creare scompiglio.» L'espressione di Lord Cromwell s'indurì mentre lui si appoggiava allo schienale della poltrona. «Ha commesso un atto criminoso, Matthew. Avresti dovuto farlo arrestare per dare l'esempio. Spero tu non stia diventan-
do di cuore tenero. Ho bisogno di avere al mio fianco uomini duri, Matthew, uomini duri.» D'improvviso, il suo volto si accese di quell'ira che avevo visto in lui al nostro primo incontro, dieci anni prima. «Non viviamo nell'Utopia di Tommaso Moro, in un paese d'innocenti selvaggi in trepida attesa che la parola di Dio renda completa la loro felicita. Il nostro è un reame violento, oppresso dalla corruzione di una Chiesa decadente.» «Lo so.» «I papisti useranno ogni mezzo a loro disposizione per impedirci di creare la Repubblica Cristiana d'Inghilterra, quindi, per il sangue di Nostro Signore, io userò ogni mezzo a mia disposizione per sopraffarli.» «Chiedo perdono, se ho errato nel mio giudizio.» «C'è chi sostiene che tu sia troppo tenero, Matthew», bisbigliò. «Che manchi d'ardore e zelo religioso, forse persino di lealtà.» Lord Cromwell aveva l'abitudine di scrutare i propri interlocutori dritto negli occhi, senza battere ciglio, fino a costringerli ad abbassare lo sguardo. Così feci anch'io, ma quando lo risollevai quei severi occhi scuri erano ancora fissi nei miei. Il cuore mi balzò in gola. Avevo cercato di tenere i miei dubbi e la mia stanchezza per me: di certo non ne avevo fatto parola con anima viva. «Mio signore, le mie idee contro il papato non sono mutate.» Pronunciando quelle parole, non potei fare a meno di pensare a tutti quelli che prima di me dovevano avergli dato quella stessa risposta, interrogati sulla propria lealtà. La paura mi trafisse come una lama di pugnale, e tentai di riprendere il controllo respirando profondamente, nella speranza che lui non se ne accorgesse. Dopo un istante, il vicario abbozzò un assenso. «Ho un compito da affidarti, una mansione degna del tuo talento. Potrebbe andarne del futuro della Riforma.» Si protese in avanti e prese un'urnetta, alzandola alla luce. Al suo interno, al centro di una colonnina d'argento riccamente decorata, era poggiata una fiala di vetro contenente della polvere rossa. «Questo», disse piano, «è il sangue di san Pantaleone, scuoiato vivo dagli infedeli. Arriva da Devon. Si dice che nel giorno di San Pantaleone il sangue si liquefacesse. A centinaia accorrevano ogni anno per assistere al miracolo, strisciando sulle ginocchia e pagando per il privilegio. Ma osserva.» Capovolse l'urna. «Vedi quel forellino sul fondo? C'era un altro buco nel muro, in corrispondenza di questo, attraverso cui un monaco con una pipetta faceva scivolare delle gocce d'acqua colorata all'interno della fiala. E, prodigio, il sangue santo - o meglio sarebbe dire la polvere colorata - si
liquefaceva.» Mi protesi in avanti, cercando il buco con un dito. «Mi è giunta voce di simili inganni.» «Questo è il monachesimo. Inganno, idolatria, avidità e segreta lealtà al vescovo di Roma.» Capovolse nuovamente fra le mani la reliquia, facendone staccare alcuni piccoli fiocchi rossi. «I monasteri sono un cancro nel cuore del reame, e il mio compito è quello di estirparlo.» «Un primo passo è già stato compiuto. Le case minori sono già state chiuse.» «Abbiamo appena scalfito la superficie. Ma quei conventi hanno fruttato abbastanza denaro per destare l'appetito del sovrano, invogliandolo a rivolgere l'attenzione alle maggiori, dov'è la vera ricchezza. Ce ne sono seicento, che detengono un sesto della ricchezza del paese.» «Ammontano davvero a tanto?» Annuì. «Oh, sì. Ma dopo la rivolta dello scorso inverno, quando ventimila ribelli si sono riuniti per reclamare la restituzione dei loro conventi, devo procedere con estrema cautela. Il re non accetterà più rese forzate, e ha ragione. Ciò di cui ho bisogno, Matthew, sono rese volontarie.» «Ma di certo loro non...» Sorrise beffardo. «Esiste più di un modo per uccidere un maiale. Ora ascolta attentamente, questa informazione è segreta.» Si protese in avanti, parlando a voce bassa, ma con grande determinazione. «Quando due anni fa ho condotto un'inchiesta sui monasteri, ho fatto in modo che qualsiasi informazione che poteva danneggiarli fosse accuratamente registrata.» Accennò ai cassetti allineati lungo le pareti. «È tutto lì: sodomia, fornicazione, sermoni sediziosi, beni svenduti in segreto. Ho anche svariati informatori all'interno di ciascuna casa religiosa.» Sorrise sinistro. «Avrei potuto far giustiziare una decina di abati a Tyburn, ma ho atteso un'occasione più propizia, ho mantenuto alta la pressione, ho promulgato nuove, severe ingiunzioni. Insomma, ho fatto sì che il mio nome divenisse per loro sinonimo di terrore.» Sorrise ancora, poi d'improvviso lanciò la reliquia in aria, la riafferrò e la posò nuovamente fra le carte. «Ho persuaso il sovrano a darmi l'autorizzazione di scegliere una decina di case sulle quali esercitare una certa pressione. Nelle due ultime settimane ho inviato degli uomini fidati per offrire agli abati la possibilità di una resa volontaria, con pensioni per tutti i monaci e laute ricompense per gli abati stessi, pena un mandato d'accusa. Lewes, per i suoi sermoni sediziosi; Titchfield, il cui priore ha svelato informazioni di prima scelta sui propri
confratelli; Peterborough. Quando sarò riuscito a persuadere alcuni di questi a una resa volontaria, gli altri comprenderanno che il gioco è finito, e non opporranno resistenza. Ho seguito i negoziati con molta attenzione e ogni cosa stava andando per il verso giusto. Fino a ieri.» Prese una lettera dalla scrivania. «Hai mai sentito parlare del monastero di Scarnsea?» «No, mio signore.» «Non ce ne sarebbe motivo, infatti. È una casa benedettina in un fangoso porto sul Canale, sul confine fra Kent e Sussex. Un luogo di depravazione il cui abate, a detta del giudice di pace, uomo fidato, sta svendendo i terreni per pochi soldi. La settimana scorsa ho inviato laggiù Robin Singleton per vedere di smuovere un po' le acque.» «Lo conosco», dissi. «Ci siamo confrontati in tribunale. È un uomo di grande vigore.» Esitai. «Anche se forse non il migliore degli avvocati.» «No, infatti, ma era il suo vigore che io desideravo. Le prove concrete erano alquanto scarse, e volevo vedere che cosa sarebbe riuscito a estorcere loro. Era accompagnato e assistito da un avvocato di diritto canonico, un vecchio riformatore di Cambridge di nome Lawrence Goodhaps.» Frugò fra le sue carte e mi porse una lettera. «Questa è arrivata da Goodhaps ieri mattina.» La lettera era scarabocchiata con mano tremante su di un pezzo di carta strappato da un libro mastro. Mio signore, Scrivo con premura e invio questa mia tramite un ragazzo del villaggio poiché non oso fidarmi di nessuno in questo luogo. Mastro Singleton è stato barbaramente ucciso nel cuore del monastero, in modo assai cruento. Il suo cadavere decapitato è stato rinvenuto questa mattina nelle cucine, steso in un lago di sangue. Il brutale omicidio dev'essere avvenuto per mano di un grande nemico di Vostra Signoria, ma qui tutti lo negano. La chiesa è stata profanata e la preziosissima reliquia del buon ladrone con i chiodi insanguinati è svanita nel nulla. Ho riferito l'accaduto al giudice di pace, mastro Copynger, e insieme abbiamo implorato l'abate di mantenere il silenzio sulla sciagura. Temiamo ripercussioni, se la notizia dovesse uscire da queste mura. Vi supplico di aiutarmi, mio signore, e dirmi come devo comportarmi. Lawrence Goodhaps
«Un commissario assassinato?» «Così pare. Il vecchio sembra in preda al terrore.» «Ma se la colpa ricadesse su uno dei monaci, la rovina del monastero sarebbe assicurata.» Cromwell annuì. «Lo so. Di certo si tratta di un folle, un pazzo chiuso fra quelle mura, il cui odio nei nostri confronti supera la paura che dovrebbe avere di noi. Ma comprendi che cosa significa tutto questo? Ho bisogno della resa di questi monasteri per creare un precedente. La legge e gli usi inglesi si basano su questo principio.» «E questo è un precedente di natura diversa.» «Esatto. Un colpo mortale per l'autorità del sovrano. Il vecchio Goodhaps ha fatto bene a tenere tutto sotto silenzio. Se la faccenda dovesse diventare di pubblico dominio, chissà quali fantasie potrebbe destare nella mente dei pazzi e dei fanatici di tutte le case religiose nel paese.» «Il sovrano ne è a conoscenza?» Lui mi trafisse nuovamente con lo sguardo. «Se glielo riferissi, sarebbe una catastrofe. Con tutta probabilità deciderebbe d'inviare l'esercito per impiccare l'abate al campanile della sua chiesa. E sarebbe la fine delle mie strategie. Ho bisogno che la faccenda sia risolta in modo rapido e discreto.» Compresi dove voleva arrivare. Mi spostai sulla sedia per alleviare il dolore alla schiena. «Voglio che tu ti rechi laggiù, Matthew, immediatamente. Andrai nella veste di commissario, con i pieni poteri conferiti dalla mia autorità di vicario generale. Potere di impartire ordini e di ottenere accesso illimitato.» «Non sarebbe meglio affidare questo compito a un commissario di maggior esperienza, mio signore? Io non ho mai avuto rapporti ufficiali con i monaci.» «Sei stato educato in una casa religiosa. Conosci le loro abitudini. I miei commissari sono uomini formidabili, ma non brillano certo per tatto, e questa faccenda deve essere trattata con estrema delicatezza. Il giudice Copynger è un uomo fidato. Non l'ho mai incontrato di persona ma abbiamo avuto una fitta corrispondenza. È un riformatore convinto. Nessuno dovrà sapere nulla di questa faccenda. Fortunatamente Singleton non aveva famiglia, quindi non dovremo preoccuparci di parenti seccatori.» Feci un respiro profondo. «Che cosa sappiamo di questo monastero?» Aprì un grosso volume. Riconobbi una copia del Comperta, il rapporto
delle visite condotte nei monasteri due anni prima, delle cui parti più salaci era stata fatta lettura in Parlamento. «Si tratta di un'ampia istituzione normanna, ben provvista di terre e belle costruzioni. Ospita soltanto trenta monaci e almeno una sessantina di servitori che se la cavano egregiamente, da buoni benedettini quali sono. A quanto pare la chiesa ostenta ricchezze scandalose, ed è ricolma di effigi sacre, inoltre pare custodisse, almeno fino a poco tempo fa, quella che si ritiene essere la reliquia del buon ladrone crocifisso con Nostro Signore. Una mano inchiodata a un pezzo di legno, parte stessa della sua croce. Sembra che giungano fedeli da ogni dove per vederla; pare abbia il potere di guarire gli storpi.» Lanciò uno sguardo involontario alla mia schiena ricurva, come sempre accade quando si parla di simili infermità. «Presumibilmente si tratta della reliquia menzionata da Goodhaps.» «Già. Mi è stato riferito che Scarnsea è un covo di sodomiti, cosa frequente in quei sudici letamai. Il precedente priore, il principale accusato, è stato rimosso dal suo incarico. Il fatto che, secondo il nuovo atto, la sodomia sia punibile con la morte gioca a nostro favore. Volevo che Singleton indagasse in quel senso e investigasse sulle vendite dei terreni di cui Copynger mi aveva scritto.» Riflettei un istante. «La questione è davvero complessa.» Lord Cromwell annuì. «Infatti. Per questa ragione ho bisogno di un uomo acuto. Ti ho fatto inviare il mandato a casa, con le parti salienti della Comperta. Voglio che tu parta domattina presto. La lettera è di tre giorni fa, e potresti mettercene altrettanti per giungere a destinazione. Il Weald sarà un pantano in questo periodo dell'anno.» «Finora l'autunno è stato secco. Potrei farcela in due.» «Eccellente. Non portare servitori; non farne parola con nessuno a eccezione di Mark Poer. Vive ancora nella tua casa?» «Sì. Ha seguito i miei affari durante la mia assenza.» «Voglio che ti accompagni. Mi hanno riferito che è un giovane di intelletto vivace, e potrebbe farti comodo avere un paio di braccia robuste al tuo fianco.» «Ma, mio signore, potrebbe essere pericoloso. E, per essere franco, Mark non brilla certo per zelo religioso, non capirà quanto c'è in gioco.» «Non ce n'è alcun bisogno, a patto che si dimostri leale e ubbidisca ai tuoi ordini. E poi, sarebbe l'occasione adatta, per mastro Poer, di riscattarsi dopo quello scandalo.» «Mark si è comportato da sciocco. Avrebbe dovuto capire che uno del
suo rango non poteva compromettere la figlia di un cavaliere.» Sospirai. «Ma è tanto giovane.» Lord Cromwell brontolò. «Se al sovrano fosse giunta voce di quel che aveva fatto, lo avrebbe fatto frustare. E poi ha mostrato poca gratitudine anche nei tuoi confronti, dopo che gli hai trovato un lavoro.» «Si trattava di un debito di famiglia che tenevo molto a saldare, mio signore.» «Se si comporterà bene nel corso di questa missione, potrei chiedere a Rich di restituirgli il suo posto, quello che gli ho trovato dietro tua richiesta», aggiunse pungente. «Grazie, mio signore.» «Ora devo recarmi a Hampton Court; devo persuadere il sovrano a interessarsi a certe faccende. Matthew, bada a non far trapelare neppure una parola, e intercetta tutte le lettere in uscita dal monastero.» Si alzò, girò attorno alla scrivania e, mentre mi alzavo, mi cinse le spalle con un braccio. Un chiaro segno di favore. «Smaschera il colpevole al più presto, ma con discrezione.» Sorrise, poi prese una scatoletta d'oro e me la porse. Al suo interno, c'era un'altra piccola fiala di forma cilindrica, contenente poche gocce di un denso liquido chiaro. «Di che cosa credi si tratti? Riesci a capire come ci siano riusciti? Per me resta un mistero.» «Che cos'è?» «È stato custodito nel convento di Bilston per centinaia di anni. Si dice sia il latte delle Vergine Maria.» Feci un'esclamazione disgustata. Cromwell rise. «Ciò che più mi stupisce è come abbiano potuto immaginare che qualcuno potesse ottenere del latte dalla Vergine Maria. Comunque dev'essere stato sostituito di recente per essere ancora così liquido. Pensavo di trovare un foro come nell'altra reliquia, ma sembra effettivamente sigillato al suo interno. Che cosa ne pensi? Tieni, usa questa.» Mi porse una lente d'ingrandimento da gioielliere e io esaminai la scatola, alla minuziosa ricerca d'un forellino, ma non trovai nulla. Provai a premere nel tentativo di far scattare un meccanismo segreto, poi scossi la testa. «Non riesco a capire. Sembra completamente sigillato.» «Peccato. Volevo mostrarlo al re, lo avrebbe divertito.» Mi accompagnò alla porta e la aprì abbracciandomi ancora, in modo che gli altri funzionari capissero che ero un favorito. Uscendo dal suo gabinetto, tuttavia, lo sguardo mi cadde nuovamente sui due teschi sogghignanti, mentre la luce
delle candele proiettava macabre ombre sulle antiche orbite. Essendo ancora stretto nell'abbraccio del mio padrone, dovetti soffocare un brivido lungo la schiena. Capitolo due Ringraziando il cielo, quando lasciai Westminster la pioggia era cessata. Cavalcai lentamente verso casa, nel tramonto. Le parole di Lord Cromwell mi avevano atterrito. Compresi che mi ero abituato ai suoi favori, e il pensiero di poter perdere il suo appoggio mi aveva fatto gelare il sangue nelle vene; ma più di quello avevo temuto le sue domande sulla mia lealtà. D'ora innanzi avrei dovuto prestare più attenzione a quanto andavo dicendo in tribunale. All'inizio di quell'anno avevo acquistato una nuova dimora in Chancery Lane, l'ampio viale che portava il nome della corte reale, nonché del mio cavallo. Una bella costruzione in pietra con vetrate alle finestre, costata un'ingente somma. Joan Wood, la mia governante, venne ad accogliermi all'ingresso. Vedova dai modi gentili e sempre affaccendata, quella donna era con me ormai da qualche anno e come sempre mi diede un caloroso benvenuto. Le piaceva trattarmi come un figlio, cosa che a me non dispiaceva affatto, sebbene talvolta questo suo atteggiamento la portasse a dimenticare la sua posizione. Ero affamato, e anche se era ancora presto, prima di recarmi in salotto le chiesi di preparare la cena. Andavo molto fiero di quella stanza, e ne avevo fatto dipingere i pannelli in legno che rivestivano le pareti con una classica scena boscosa che mi era costata una discreta somma di denaro. Il fuoco crepitava nel camino, e lì accanto, su uno sgabello, sedeva Mark. Era davvero una visione bizzarra. Si era tolto la camicia e, con il latteo petto muscoloso nudo, era intento a cucire dei bottoni di agata goffrati con un elaborato disegno. Una decina di aghi, da ciascuno dei quali pendeva un filo bianco, erano appuntati sulla sua brachetta, vistosa com'era di moda in quei giorni. Dovetti soffocare una risata. Il giovane mi salutò con il consueto largo sorriso, mostrando i denti sani anche se forse un po' troppo larghi per la sua bocca. «Signore. Ho saputo del vostro arrivo. Un messaggero di Lord Cromwell ha portato un pacco e mi ha avvertito del vostro ritorno. Perdonatemi se non mi alzo, ma non vorrei far cadere tutto.» Sorrideva ancora, ma era anche guardingo; il mio incontro con Lord Cromwell significava, con tutta
probabilità, che il suo sventurato incidente era stato menzionato. Bofonchiai qualcosa in risposta. Notai che si era tagliato i capelli bruni; re Enrico VIII, che si era accorciato la chioma per camuffare l'incipiente calvizie, aveva imposto la stessa acconciatura alla corte intera, creando una nuova moda. La nuova pettinatura donava a Mark, ma io avevo deciso di non seguire i nuovi dettami poiché trovavo che i capelli lunghi stessero meglio con i miei lineamenti spigolosi. «Non può pensarci Joan?» «Aveva da fare per il vostro rientro.» Presi un volume dal tavolo. «Vedo che hai letto il mio Machiavelli.» «Mi avevate detto che potevo, per svagarmi.» Mi lasciai cadere sulla poltrona con un sospiro. «E ti è piaciuto?» «Non troppo. Consiglia al suo principe di praticare crudeltà e inganni.» «Crede che queste cose siano necessarie per governare bene, e che gli inviti alla virtù degli autori classici ignorino le realtà della vita. Sostiene che il governante che vuole agire con onore ma è circondato da uomini privi di scrupoli assisterà ben presto alla propria caduta.» Spezzò un filo con i denti. «Sono parole ciniche.» «Machiavelli era un uomo cinico. Scrisse quest'opera dopo essere stato torturato dal principe Medici, cui il libro è destinato. Ma farai bene a non dire in giro che lo hai letto, se aspiri a rientrare a Westminster. Non è una lettura apprezzata in quei luoghi.» Alzò lo sguardo, cogliendo la mia allusione. «Significa che posso tornare? Lord Cromwell ha...» «Forse. Ne parleremo più approfonditamente a cena. Ora sono stanco e desidero riposarmi un poco.» Mi sollevai dalla poltrona e uscii. Non gli avrebbe fatto male cuocere un po' nel suo brodo. Joan si era data un gran daffare; nella mia stanza scoppiettava un bel fuoco e il letto di piume era stato appena rifatto. Una candela brillava sulla scrivania sopra il bene più prezioso che possedevo al mondo, una copia della Bibbia in inglese, di nuova pubblicazione. Mi piaceva vederla lì, illuminata, il perno della stanza, in tutta evidenza. La aprii e feci correre le dita sui caratteri gotici, la cui superficie patinata scintillava alla luce della candela. Poggiato lì accanto c'era un grosso incartamento. Aprii il sigillo con lo stiletto, spezzando la dura cera purpurea in frammenti che caddero a terra. Al suo interno trovai una lettera scritta dalla vigorosa mano di Cromwell,
un volume rilegato del Comperta e i documenti relativi alla visita di Scarnsea. Rimasi assorto qualche istante, lo sguardo perso oltre la finestra dai vetri diamantini, verso il giardino recintato, così sereno nell'oscurità. Desideravo tanto stare qui, nel tepore della mia accogliente dimora, ora che l'inverno si affacciava alla porta. Sospirai e mi stesi sul letto per un breve riposo, mentre i muscoli spossati della mia schiena si contraevano rilassandosi a poco a poco. L'indomani mattina mi attendeva un'altra lunga cavalcata, un'impresa che, con il passare degli anni, si faceva sempre più dura e dolorosa. La mia infermità aveva iniziato a manifestarsi quando avevo tre anni, allorché cominciai a curvarmi in avanti e verso destra, e nessun apparecchio ortopedico fu in grado di correggere la mia incipiente deformità. All'età di cinque anni ero ormai gobbo, condizione che non mi ha più abbandonato. Ho sempre nutrito una grande gelosia nei confronti dei bambini che vivevano nella nostra fattoria, invidiando la loro libertà di correre e giocare, mentre io non potevo far altro che zoppicare come un gambero ed essere per questo oggetto del loro scherno. Ero addirittura giunto a inveire contro Dio per tanta ingiustizia. Mio padre coltivava un ampio appezzamento di terreno, buon pascolo per le pecore, vicino a Lichfield. Fu per lui un grande dolore che io non potessi lavorare la terra perché ero l'unico figlio che gli era rimasto. E ne soffrivo molto anch'io perché mai una volta mi rinfacciò la mia condizione: si limitava a dire con molta semplicità che un giorno, quando fosse diventato troppo vecchio per stare nei campi, avrebbe assunto un fattore che avrebbe potuto occuparsi della tenuta in vece mia dopo la sua morte. Avevo sedici anni quando il fattore arrivò. Ricordo di aver dovuto soffocare un'ondata di risentimento quando William Poer giunse a casa nostra un giorno d'estate. Era un uomo di grossa corporatura con i capelli scuri, un viso rubicondo e aperto e mani forti che serrarono le mie in una stretta callosa. Mi fu presentata sua moglie, una pallida e graziosa creatura, e Mark, all'epoca un bambinetto robusto dai capelli arruffati sempre attaccato alle gonne di sua madre e con un pollice sudicio in bocca. Allora era già stato deciso che io sarei andato a Londra per studiare alla facoltà di Legge degli Inns of Court. Indirizzare un giovane con un briciolo di cervello verso gli studi legali era l'unica scelta saggia da fare per un padre che desiderasse rendere finanziariamente indipendente suo figlio. Il
mio credeva che in questo modo non solo avrei potuto intraprendere un'attività redditizia, ma avrei anche avuto le conoscenze necessarie per sovrintendere l'operato del nostro fattore. Era convinto che con il tempo avrei fatto ritorno a Lichfield, ma non fu così. Giunsi a Londra nel 1518, l'anno successivo all'affissione, sulla porta del duomo di Wittenberg, della sfida luterana all'autorità papale. Ricordo quanto fu difficile per me da principio abituarmi al rumore, alla folla - e al perenne puzzo - della capitale. Ma all'università e nell'alloggio dove mi ero sistemato non tardai a trovare dei buoni amici. Quelli erano già giorni di dura polemica, giorni in cui gli avvocati protestavano contro il dilagante uso dei tribunali ecclesiastici. Io mi schierai con chi credeva che i regi tribunali fossero stati derubati delle proprie funzioni: che cosa mai aveva a che fare l'arcidiacono con le umane calunnie o le liti sull'interpretazione di un contratto? Non si trattava solo di un cinico senso degli affari: la Chiesa si era trasformata in un enorme polpo che arrivava a intaccare con i propri tentacoli ogni aspetto della vita sociale, al solo proposito di ricavarne un profitto, distorcendo il significato delle Scritture. Lessi Erasmo, e cominciai a considerare i primi segni di schiavitù alla Chiesa della mia giovinezza sotto una nuova luce. Avevo già delle buone ragioni per provare rancore nei confronti dei monaci, e ora mi rendevo conto della loro effettiva validità. Completai gli studi e cominciai a stabilire i primi contatti, procacciandomi del lavoro. Scoprii di avere un dono innato per i dibattimenti forensi, dono che mi rese assai utile ai giudici più onesti. E verso la fine degli anni Venti, proprio quando le tensioni del re con il papa riguardo l'annullamento delle nozze con Caterina d'Aragona cominciavano a diventare di pubblico dominio, fui presentato a Thomas Cromwell, un collega avvocato che si stava facendo un nome al servizio del cardinale Wolsey. Lo conobbi grazie a una società letteraria di riformatori che usava riunirsi in una locanda di Londra, in segreto, poiché molti dei libri che leggevamo erano proibiti. Cromwell cominciò a passarmi un po' di lavoro dei dipartimenti dello Stato. E così la mia strada fu segnata, al fianco di un uomo che, scalzato Wolsey, cominciò la sua scalata, diventando segretario del re, commissario generale e infine vicario generale, sempre celando al sovrano la vera portata del suo radicalismo religioso. Cominciò a richiedere la mia assistenza legale a favore di quelli che godevano del suo patronato - il suo intento era quello di creare un'immensa rete - e io divenni stabilmente uno dei suoi uomini di fiducia. Così, quando
quattro anni fa mio padre mi scrisse domandandomi se avessi potuto trovare un posto al figlio di William Poer in uno dei dipartimenti di Stato in fase di sviluppo controllati dal mio padrone, fui in grado di accontentarlo. Mark decise di raggiungermi nell'aprile del 1533 per assistere all'incoronazione della regina Anna Bolena. Rimase molto colpito dalla fastosa celebrazione organizzata per la donna che più tardi avremmo imparato a considerare una strega e una fornicatrice. A quell'epoca Mark aveva sedici anni, l'età che avevo io quando mi ero trasferito a Londra; non era alto ma di robusta costituzione, con grandi occhi azzurri e un vellutato viso angelico che mi ricordava quello di sua madre e da cui trapelava un'acuta intelligenza. Confesso che quando giunse a casa nostra pensai di allontanarlo il più presto possibile. Non avevo alcun desiderio di agire in loco parentis per un ragazzo che, ne ero certo, ben presto avrebbe cominciato a sbattere le porte e mettere in disordine i miei incartamenti, e il cui viso e l'aspetto risvegliavano in me tutti i rimpianti che associavo alla mia famiglia. Immaginavo mio padre sognare che Mark potesse essere il figlio che io non ero stato. Ma con il tempo il mio desiderio di sbarazzarmi di lui si placò. Mark non era il ragazzotto di campagna che mi aspettavo; al contrario, aveva un contegno tranquillo e rispettoso, e qualche rudimento di buone maniere. Quando faceva qualche errore d'abbigliamento o d'etichetta, come in effetti accadde all'inizio, mostrava di possedere una grande autoironia. Sul lavoro impiegatizio che gli avevo trovato, prima presso la Cancelleria dello Scacchiere e poi alle Aumentazioni, veniva considerato un giovane scrupoloso. Godeva della massima libertà, e se talvolta si recava in una taverna o in un bordello in compagnia dei colleghi di lavoro, non tornava mai a casa schiamazzando per l'ubriachezza. Mio malgrado mi affezionai a lui, e presi a servirmi della sua agile mente come di una cassa di risonanza per sciogliere i nodi più intricati di casi o leggi di cui mi capitava d'occuparmi. L'unica sua pecca, forse, era la pigrizia, ma poche parole pungenti bastavano, di solito, a farlo reagire. Il rancore che provavo pensando al fatto che mio padre l'avrebbe desiderato come figlio si trasformò ben presto nel desiderio che potesse essere il mio. Non avevo più la certezza che un giorno sarei potuto diventare padre, poiché la mia povera Kate era morta di peste durante l'epidemia del 1534. In segno di lutto, portavo ancora un anello a forma di teschio, anche se in realtà non ce n'era motivo perché se fosse sopravvissuta avrebbe sposato un altro.
Un'ora dopo Joan annunciò che la cena era servita. La tavola era imbandita con un bel cappone con contorno di rape e carote. Mark sedeva silenzioso al suo posto, con indosso di nuovo la camicia e un giustacuore marrone di lana pregiata. Notai che anche il farsetto era adornato da bottoni di agata. Resi grazie per il cibo e presi una coscia. «Ebbene», cominciai, «sembra che Lord Cromwell sia disposto a farti rientrare alle Aumentazioni. Ma prima desidera che tu mi assista in un incarico che mi ha appena affidato, dopodiché si vedrà.» Sei mesi prima Mark aveva amoreggiato con una delle dame di corte della regina Jane. La ragazza aveva soltanto sedici anni ed era troppo giovane e insulsa per la posizione che ricopriva, ma era sospinta dall'ambizione della propria famiglia. Un'ambizione malriposta, poiché lei prese l'abitudine di vagabondare per Whitehall e Westminster, finché un giorno si ritrovò nella Westminster Hall, fra impiegati e uomini di legge. Fu proprio lì che la piccola impudica conobbe Mark, e finì con l'offrirgli le proprie grazie in un ufficio vuoto. In seguito si pentì e si confidò con le altre dame di corte, attraverso le cui bocche, a tempo debito, la storia giunse all'orecchio del ciambellano. La ragazza fu rispedita a casa, e Mark, attonito e spaventato, finì dalla padella alla brace, interrogato dagli alti funzionari della casa reale. Sebbene fossi arrabbiato con lui, non potevo fare a meno di sentire comprensione per la sua paura e la sua giovinezza. Supplicai l'intervento di Lord Cromwell, sapendo che, almeno per quel genere di misfatti, aveva di solito un atteggiamento piuttosto indulgente. «Vi ringrazio, signore», disse Mark. «Sono davvero mortificato per quanto è accaduto.» «Devi ritenerti fortunato. La gente del nostro rango non riceve spesso una seconda possibilità. Non dopo una simile leggerezza.» «Lo so. Ma quella giovane è stata... sfrontata, signore.» Abbozzò un sorriso. «In fin dei conti, io sono fatto di carne.» «Era solo una sciocca. Avresti potuto ingravidarla.» «In quel caso l'avrei sposata, se la mia condizione me lo avesse permesso. Sono un uomo d'onore, io.» Morsi un boccone di carne e gli feci cenno con il coltello. Era una controversia di vecchia data, la nostra. «Lo so, ciò non toglie che tu sia uno stupido senza cervello. La differenza di ceto è tutto. Sono ormai quattro anni che lavori alle Aumentazioni, Mark. Sai come funzionano certe cose. Non siamo nobili, e dobbiamo rimanere al nostro posto. Persone di bassa condizione sociale come Cromwell e Rich sono riuscite a raggiungere le
prestigiose posizioni che ricoprono al servizio di Sua Mesta solo grazie alla sua benevolenza. Potrebbe destituirli in qualsiasi momento. Se il ciambellano avesse riferito della tua scempiaggine al sovrano invece che a Lord Cromwell, saresti potuto finire nella Torre, dopo aver ricevuto una frustata che non avresti dimenticato tanto facilmente. L'ho temuto, sai.» In effetti, quella faccenda mi aveva fatto perdere il sonno per parecchie notti, sebbene non gliene avessi mai fatto parola. Era avvilito. Mi sciacquai le mani nella ciotola lavadita. «In ogni modo, questa volta potresti averla scampata», dissi con voce più gentile. «Che cosa mi dici del lavoro? Hai preparato gli atti per la cessione di Fetter Lane?» «Sì, signore.» «Darò loro un'occhiata dopo cena. Ho anche altri documenti da esaminare.» Lo guardai serio. «Domattina partiremo per la costa meridionale.» Gli spiegai la missione che ci attendeva, senza accennare alle sue implicazioni politiche. Mark fece tanto d'occhi quando gli raccontai dell'assassinio; già la spensierata eccitazione tipica della gioventù tornava ad arrossargli le guance. «Potrebbe essere pericoloso», lo misi in guardia. «Non abbiamo idea di che cosa stia accadendo laggiù; dovremo essere pronti a tutto.» «Sembrate preoccupato, signore.» «È una grossa responsabilità. E, francamente, preferirei rimanermene a casa, piuttosto che partire alla volta del Sussex. Oltre il Weald non c'è che desolazione.» Sospirai. «Ma come Isaia, dobbiamo andare laggiù e combattere per Sion.» «Se porterete a termine la missione con successo, Lord Cromwell vi ricompenserà lautamente.» «Già. E resterò nei suoi favori.» A quelle parole Mark alzò lo sguardo, sorpreso, e io decisi che sarebbe stato meglio cambiare discorso. «Non sei mai stato in un monastero, vero?» «No.» «Non hai avuto il dubbio privilegio di studiare in un'istituzione religiosa, tu. La conoscenza del latino che avevano quei monaci quasi non bastava loro a seguire gli antichi tomi dai quali insegnavano. Per mia fortuna sono nato con un briciolo d'intelletto, altrimenti sarei rimasto un analfabeta come Joan.» «I monasteri sono davvero corrotti come si dice?» mi chiese Mark.
«Hai letto del Libro Nero che è stato diffuso, contenente gli estratti delle visite ufficiali.» «Come quasi tutta Londra.» «Già, la gente adora sentire storielle sconce sui monaci.» M'interruppi perché Joan fece il suo ingresso con una coppa di crema. «Però è vero, sono corrotti», continuai quando se ne fu andata. «La regola dei benedettini, che ho letto, impone una vita di devozione, preghiera e lavoro, separata dal mondo, con quanto basta appena alla sopravvivenza. Eppure, molti di questi monaci vivono in dimore sfarzose, serviti e riveriti grazie ai lauti proventi che gli vengono dalle loro terre, e si dedicano a ogni genere di vizio.» «Si dice che i monaci certosini conducessero una vita austera e che intonarono inni gioiosi quando furono presi e portati a Tyburn per essere giustiziati.» «Oh, qualche ordine che vive in modo retto esiste ancora. Ma non dimenticare che i certosini sono morti perché si sono rifiutati di riconoscere l'autorità del sovrano sulla Chiesa. Loro auspicano il ritorno del papa. E ora sembra che uno di loro si sia dato persino all'omicidio.» Sospirai. «Mi spiace che tu debba essere coinvolto in questa faccenda.» «Gli uomini d'onore non devono temere il pericolo.» «Si dovrebbe sempre temere il pericolo, Mark. Prendi ancora lezione di scherma?» «Sì. Mastro Green dice che sto facendo grandi progressi.» «Bene. Le vie più isolate brulicano di mendicanti pericolosi.» Rimase in silenzio per un istante, guardandomi meditabondo. «Signore, sono grato di poter riavere il mio posto alle Aumentazioni, ma vorrei tanto che quel luogo non fosse una simile fogna. Metà delle terre andranno a Richard Rich e ai suoi.» «Esageri. Si tratta di una nuova istituzione, ed è prevedibile che i potenti ricompensino chi ha dimostrato loro la propria lealtà. Queste sono le giuste regole dell'autorità. Mark, tu sogni mondi ideali. E dovresti badare a come parli. Hai letto di nuovo l'Utopia di Tommaso Moro? Cromwell oggi me l'ha citata.» «L'Utopia dà speranza alla condizione umana. Quel vostro italiano, invece, spinge la gente alla disperazione.» Indicai il suo farsetto. «Be', se vuoi essere come gli utopisti, dovresti toglierti quegli abiti raffinati e indossare una semplice camicia di tela di sacco. In ogni modo, che cosa è rappresentato su quei bottoni?»
Se lo sfilò e me lo porse. Ogni bottone portava la minuscola incisione di un uomo con una spada, il braccio attorno alla sua dama e un cervo al loro fianco. Di raffinata fattura. «Li ho comprati per pochi spiccioli al mercato di St Martin. L'agata è falsa.» «Ah, capisco. Ma che cosa significa? Oh, lo so, fedeltà, a causa del cervo.» Gli restituii la giacca. «La moda di tutti questi simboli sui quali devi lambiccarti il cervello davvero mi sfinisce. Il mondo non offre forse abbastanza misteri?» «Ma voi dipingete, signore.» «Quando mi capita d'avere un po' di tempo. Però, con la mia povera arte, cerco di rappresentare la realtà in modo semplice e diretto, come mastro Holbein. L'arte dovrebbe risolvere i misteri della nostra esistenza, non renderli ancora più fitti.» «Ma non nutrivate in cuor vostro simili pensieri, quando eravate più giovane?» «Allora non era di moda. O forse è capitato in un paio di occasioni.» Mi venne alla mente un passo della Bibbia. Lo citai con un pizzico di tristezza: «'Quand'ero fanciullo, pensavo da fanciullo: ma quando sono divenuto uomo ho accantonato le cose infantili.' Be', è ora che vada, ho molto lavoro da sbrigare». Mi alzai rigidamente e Mark mi venne incontro per aiutarmi. «Ce la faccio da solo», dissi irritato, sobbalzando per un doloroso spasmo alla schiena. «Svegliami alle prime luci dell'alba. Di' a Joan di farci trovare pronta una bella colazione.» Presi una candela e mi diressi verso le scale. Disegni più misteriosi di quelli rappresentati sui bottoni di Mark mi attendevano, e avrei avuto bisogno di tutto l'aiuto che l'onesto studio della parola inglese avrebbe potuto offrirmi. Capitolo tre Il giorno successivo partimmo alle prime luci dell'alba. Era il 2 novembre, il Giorno dei Morti. Dopo una serata di lettura, avevo ben riposato e il mio umore s'era fatto più leggero, tanto che cominciai a sentirmi pervaso da un vago senso d'eccitazione. In gioventù avevo studiato dai monaci, ma con il tempo ero diventato nemico di tutto ciò in cui credevano. Ora mi trovavo nella posizione di poter scavare nel cuore dei loro misteri e della loro corruzione.
Mark era ancora mezzo addormentato e dovetti spronarlo per fargli finire in fretta la colazione, poi uscimmo all'aria aperta. Durante la notte il tempo era mutato: ora da oriente soffiava un pungente vento secco che congelava i solchi fangosi delle strade. Ci disponemmo alla partenza con le lacrime agli occhi, tanto era freddo, avvolti nelle nostre pellicce più calde, con spessi guanti e i cappucci dei nostri mantelli stretti attorno al viso. Alla cultura portavo il pugnale che normalmente indossavo come ornamento, ma che quella mattina avevo affilato sulla pietra ad acqua della cucina. Mark aveva la spada, una lama di due piedi d'acciaio londinese affilata come un rasoio, comprata con i propri risparmi per le lezioni di scherma. Il giovane mi aiutò a montare Chancery perché trovavo difficile salire a cavallo da solo, poi salì in groppa a Redshanks, il suo robusto roano, e ci mettemmo in cammino, i destrieri carichi di pesanti panieri gonfi di abiti e documenti. Mark aveva ancora l'aria insonnolita. Abbassò il cappuccio e si passò una mano fra i capelli arruffati, rabbrividendo per il vento che li scompigliava. «Per tutti i santi del paradiso, fa davvero un gran freddo.» «Troppo tempo passato nel tepore di comodi uffici», dissi. «Devi farti un po' di ossa.» «Credete nevicherà, signore?» «Spero di no. Resteremmo bloccati per giorni.» Attraversammo fino al London Bridge una Londra che si era appena destata. Guardando il fiume, oltre la massiccia struttura della Torre, vidi una caracca ormeggiata presso la Isle of Dogs, con la massiccia prua e gli alti alberi che si confondevano nel punto in cui le grigie acque del fiume incontravano il plumbeo cielo. Indicai a Mark il grosso bastimento a vela. «Mi domando da dove arrivi.» «Oggigiorno è possibile raggiungere terre che i nostri padri potevano solo immaginare.» «E riportarne grandi meraviglie.» Pensai allo strano volatile del giorno prima. «Nuove meraviglie e forse nuovi inganni.» Attraversammo il ponte. All'estremità opposta, un teschio fracassato giaceva fra i piloni. Spolpato dagli uccelli, era caduto dalla picca alla quale era stato infilzato, e i suoi resti sarebbero rimasti abbandonati al suolo fino a che dei collezionisti di souvenir o delle streghe in cerca d'ingredienti per i loro incantesimi non li avessero raccolti. Prima le due reliquie di santa Barbara nel gabinetto di Cromwell, e ora questa reliquia della giustizia terrena. Pensai a un presagio di sventura, ma subito mi rimproverai per tanta superstizione.
Percorremmo il primo tratto di strada a sud di Londra senza particolari problemi, attraversando i campi che nutrivano la capitale, ora bruni e spogli. Il cielo si era fatto di un biancore latteo e immobile, e il tempo sembrava reggere. A mezzogiorno ci fermammo a pranzare nei pressi di Eltham, e poco dopo giungemmo sulla sommità dei North Downs e osservammo, distesa ai nostri piedi, l'antica foresta del Weald, con le sue spoglie cime punteggiate qua e là da occasionali chiazze di sempreverdi che si stagliavano sul brumoso orizzonte. La strada si fece quindi più stretta, correndo tra scoscese fiancate tappezzate da foglie cadute e piccoli sentieri che portavano verso remoti villaggi. Incrociammo solo un carrettiere. Nel tardo pomeriggio giungemmo alla cittadina di Tonbridge, sede di mercato, che oltrepassammo per puntare a sud. Tenevamo gli occhi bene aperti per timore dei borseggiatori, ma non incontrammo altro che un branco di cervi in cerca di cibo: non appena ci videro sbucare da dietro un gomito del sentiero, quelle pavide creature scapparono su per la fiancata della montagna e scomparvero nella foresta. Quando udimmo il rintocco della campana di una chiesa fra gli alberi, era già sceso il tramonto. Svoltammo nuovamente e ci ritrovammo nell'unica strada di un villaggio fatto di povere case a graticcio dai tetti di paglia ma dominato da una bella chiesa normanna, accanto alla quale sorgeva una locanda. Le finestre della chiesa rilucevano di candele che diffondevano un intenso bagliore attraverso i vetri colorati. La campana continuava a battere i suoi rintocchi. «Il servizio per la commemorazione dei defunti», osservò Mark. «Già, l'intero villaggio sarà in chiesa a pregare per le anime dei propri morti in purgatorio.» Procedemmo lentamente lungo la via, tenuti d'occhio da sospettosi bimbetti biondi che facevano capolino dagli usci delle case. Pochi gli adulti per strada. Dalle porte aperte della chiesa si levavano i canti dei fedeli. In quei giorni la commemorazione dei defunti era uno degli eventi religiosi più importanti del calendario. In ogni chiesa i parrocchiani s'incontravano per ascoltar messa e recitare preghiere per alleviare i dolori di parenti e amici in purgatorio. Simili cerimonie, tuttavia, erano già state spogliate dell'autorizzazione reale, e ben presto sarebbero state proibite. Alcuni pensavano fosse crudele privare il popolo del conforto religioso e dei ricordi, ma è di gran lunga preferibile sapere che i propri cari sono, secondo
la volontà del Signore, all'inferno o in paradiso, piuttosto che crederli imprigionati per centinaia di anni in purgatorio, luogo d'infiniti dolori e tormenti. Smontammo rigidamente da cavallo di fronte alla locanda, legando i nostri destrieri alla staccionata. L'ampia costruzione somigliava al resto delle abitazioni di quel villaggio: fango e graticcio, intonaco scrostato e un alto tetto di paglia che scendeva fino alle finestre del primo piano. All'interno un fuoco crepitava in un focolare circolare posto al centro della stanza, secondo le antiche usanze, e il fumo che fuggiva attraverso il tondo camino sul tetto era pari a quello che rimaneva a infestare il locale. Nella penombra, alcuni anziani barbuti ci scrutarono con occhio curioso, interrompendo il gioco dei dadi. Un uomo grasso in grembiule ci raggiunse, adocchiando con sguardo avido le nostre costose pellicce. Domandai una stanza e un pasto caldo, che ci vennero offerti per sei centesimi. Comprendendo a fatica il suo forte accento gutturale, riuscii a ottenere un piccolo sconto. Dopo aver chiesto conferma della strada per Scarnsea e ordinato una birra, presi posto vicino al fuoco, mentre Mark andò a controllare le stalle per i cavalli. Fui lieto di vederlo tornare, perché l'atteggiamento scostante e indiscreto di quei vecchi contadini mi aveva alquanto stufato. Li avevo salutati con un cenno del capo, ma in risposta questi avevano subito distolto lo sguardo. «Gente davvero chiusa», sussurrò Mark. «Non sono abituati a incontrare dei viaggiatori. E di certo credono che i gobbi portino sfortuna. Del resto è un'opinione piuttosto diffusa. Non immagini quanta gente si faccia il segno della croce, vendendomi avvicinare, nonostante i miei vestiti costosi.» Ordinammo la cena, un untuoso stufato di montone accompagnato da una birra forte. L'animale che ci era stato servito, si lagnò Mark, doveva essere morto da parecchio. Mentre mangiavamo giunse alla taverna un gruppo di locali con gli abiti della domenica, appena usciti dalla chiesa. Si sedettero insieme, mormorando con voci cupe. Di tanto in tanto, lanciavano qualche occhiata nella nostra direzione, unendosi ai numerosi sguardi indiscreti e ai volti ostili degli altri avventori. Seduti in un angolo dall'altra parte del locale notai un gruppo di tre uomini che, come noi, parevano suscitare la diffidenza generale. Di aspetto minaccioso, vestivano di stracci e avevano la barba incolta. Ci scrutarono anch'essi; non apertamente come i locali, ma con la coda dell'occhio.
«Vedete quello spilungone?» sussurrò Mark. «Giurerei che quelli che ha indosso siano i resti di una tonaca monastica.» Quello più grosso, un orribile gigante dal naso rotto, portava una logora veste di spessa lana nera sulla quale, in effetti, scorsi il cappuccio dei benedettini. Il locandiere, l'unico ad aver dimostrato un comportamento civile nei nostri confronti, venne a riempirci di nuovo i boccali. «Ditemi», chiesi piano. «Chi sono quei tre?» «Avanzi di abbazia», bofonchiò l'uomo. «Vengono dalla prioria dissolta l'anno passato. Saprete di certo come vanno le cose, signore. Il re ha stabilito che le case di preghiera minori devono essere chiuse e i monaci destinati in altri luoghi; i servitori, però, vengono buttati in mezzo alla strada. Quelli hanno trascorso gli ultimi dodici mesi a mendicare da queste parti, ma per loro non c'è lavoro. Vedete quel tipo smilzo? Gli hanno già tagliato le orecchie. Fate attenzione.» Mi voltai e vidi l'uomo di cui parlava, un tale alto e scarnito con una selvaggia chioma bionda che non gli copriva ciò che aveva al posto delle orecchie: due fori circondati da pelle cicatrizzata. Ne dedussi che doveva trattarsi d'un falsario, di quelli che limavano le monete per ricavarne l'oro e farne scadenti imitazioni. «E tu li accogli», dissi. «Non è colpa loro se sono stati buttati in mezzo a una strada. E ce ne sono a centinaia», brontolò. Poi, sentendo forse di aver parlato troppo, si allontanò con passo svelto. «Penso sia giunta l'ora di ritirarci», dissi prendendo una candela dal tavolo. Mark annuì, finimmo le nostre birre e ci dirigemmo verso le scale. Passando davanti agli ex servitori dell'abbazia, sfiorai accidentalmente la tonaca del gigante con il mantello. «Ti porterà sventura, Edwin», uno dei compagni commentò a gran voce. «Dovrai toccare un nano per recuperare la buona sorte.» Scoppiarono tutti in una fragorosa risata. Mark si voltò, ma io lo fermai tenendolo per un braccio. «No», sussurrai. «Non ci badare. Andiamo!» Lo spinsi su per la traballante scala di legno fino a una stanza sotto il tetto infestata da topi che fuggirono al rumore dei nostri passi. I bagagli erano stati poggiati su due alti letti mobili. Ci sedemmo e ci sfilammo gli stivali. Mark era nervoso. «Perché dobbiamo sopportare gli insulti di quei villici?» «Siamo in una terra ostile. La gente del Weald è ancora papista, e con
tutta probabilità ogni domenica il parroco la esorta a pregare per la morte del sovrano e il ritorno del pontefice.» «Credevo non foste mai stato da queste parti prima d'ora.» Mark allungò i piedi fino all'ampia conduttura in ferro del camino che dal centro della stanza saliva fino al soffitto, unica fonte di calore a nostra disposizione. «Attento ai geloni. Io non ci sono mai stato, ma gli uomini di Cromwell hanno stilato rapporti da ogni contea sin dall'inizio delle rivolte. Ne ho delle copie in borsa.» Mark si voltò a guardarmi. «Non lo trovate logorante? Dover sempre misurare le parole con gli estranei, per timore che una frase sbagliata possa portare all'accusa di tradimento. Un tempo non era così.» «Questi sono i momenti più cupi. Le cose miglioreranno.» «Quando i monasteri saranno chiusi?» «Esatto. La Riforma sarà finalmente sicura, e Lord Cromwell avrà abbastanza denaro per difendere il reame dagli invasori e aiutare il popolo. I suoi sono grandi progetti.» «Quando gli uomini delle Aumentazioni si saranno presi la loro parte, resterà denaro a sufficienza anche per comprare dei nuovi mantelli a quei contadini?» «Certo, Mark.» Parlai con ardore. «I monasteri maggiori custodiscono tesori nascosti. E che cosa danno ai poveri, nonostante l'obbligo alla carità sancito dalle loro regole? Da ragazzo a Lichfield ho visto centinaia gli indigenti accalcarsi davanti ai cancelli nei giorni di elemosina, e bambini vestiti di stracci spingere e scalciare per poche monete che venivano loro gettate attraverso le sbarre. Mi vergognavo di entrare a scuola, in quei giorni. Se scuola si può definirla. Be', ora ci saranno scuole appropriate in ogni parrocchia, pagate dalla Cancelleria dello Scacchiere.» Mark non disse nulla, limitandosi ad alzare le sopracciglia con aria interrogativa. «Santo Iddio, Mark», sbottai, improvvisamente irritato dal suo scetticismo. «Togli quei piedi dal camino. Puzzano più del caprone che abbiamo mangiato.» Il giovane si arrampicò sul suo letto e rimase a fissare la volta di paglia del soffitto. «Prego perché abbiate ragione, signore. Ma le Aumentazioni mi hanno portato a dubitare della carità umana.» «Le vie del Signore sono assai misteriose, Mark. Ci vuole pazienza. E Lord Cromwell fa parte di un progetto divino, nonostante l'asprezza dei suoi modi. Abbi fede», aggiunsi in tono gentile. In quell'istante, però,
m'apparve davanti agli occhi il ghigno sinistro di Cromwell quando, agitando l'urna contenente il teschio nel suo gabinetto, aveva affermato di voler mettere un prete al rogo, alimentando le fiamme con le sue stesse sacre immagini. «La fede smuove le montagne?» mi domandò Mark dopo un istante. «Madre Santissima», sbottai. «Ai miei tempi il cinismo era prerogativa dei vecchi. Sono troppo stanco per discutere. Buonanotte.» Cominciai a svestirmi ma esitai, poiché non amavo che la gente vedesse la mia infermità. Mark, tuttavia, con grande sensibilità si voltò di spalle finché non fummo entrambi pronti per la notte. M'infilai faticosamente sotto le coperte e smorzai la candela. Recitai le mie preghiere. Ma rimasi a lungo sveglio nell'oscurità, ascoltando il respiro regolare di Mark e il raspare dei topi sulla paglia mentre con cautela tornavano verso il centro della stanza, dove faceva più caldo. Nonostante fossi ormai abituato alle maldicenze della gente, gli sguardi ostili di quei contadini e il commento del servo dell'abbazia mi avevano ferito, soffocando il mio iniziale entusiasmo. Per tutta la vita avevo cercato di non badare a simili offese, sebbene da ragazzo avessi spesso provato l'istinto di gridare forte la mia rabbia. Avevo visto molti storpi le cui menti si erano contorte come i loro corpi sotto il peso dello scherno, portandoli a guardare il mondo in cagnesco e a giurare vendetta nei confronti dei bambini che si prendevano gioco di loro per strada. Meglio ignorare e cercare di vivere serenamente la vita che Dio ci aveva concesso. Ricordai un episodio, tuttavia, in cui il mio proposito si era rivelato impossibile. Un momento che segnò la mia intera esistenza. Avevo quindici anni e studiavo nella scuola religiosa di Lichfield. In quanto studente anziano, era mio dovere partecipare alla messa e talvolta servire come chierichetto. Attendevo la funzione come un piacevole diversivo, dopo un'interminabile settimana passata sui libri, a lottare con il greco e il latino malamente insegnati da fratello Andrew, un grasso monaco con un debole per il vino. In quelle occasioni solenni la cattedrale era illuminata a giorno, le candele brillavano davanti all'altare, alle statue e al divisorio magnificamente dipinto. I giorni che preferivo erano quelli in cui non dovevo assistere il sacerdote, ma potevo sedere con la congregazione. Oltre il divisorio il prete intonava la messa in un latino che cominciavo appena a comprendere e le sue parole riecheggiavano nella navata, destando la risposta del coro di
fedeli. Ora che la vecchia messa era caduta in disuso parte dell'antico mistero era andato perduto - l'incenso, la cadenza ascendente del latino, il trillo del campanello che segnava il momento dell'Eucaristia, in cui si credeva che il pane e il vino levati davanti agli occhi della comunità si trasformassero nella carne e nel sangue di Gesù Cristo - ma, giunto all'ultimo anno di studi, era cresciuto in me un grande zelo religioso. Per molto tempo avevo osservato i volti quieti e rispettosi della congregazione e avevo imparato a considerare la Chiesa come una grande comunità capace di creare un legame fra vivi e morti e di trasformare le persone, seppur per poche ore, nel gregge obbediente del Sommo Pastore. Mi ero sentito chiamato a servire questo gregge, e ritenevo che nelle vesti di sacerdote avrei potuto essere una guida per i miei fratelli, guadagnando così il loro rispetto. Ma fratello Andrew infranse ben presto le mie speranze. Timoroso per la portata di quanto intendevo dirgli, avevo richiesto un colloquio nel suo studiolo situato dietro le aule scolastiche. La giornata volgeva ormai al termine, e gli occhi di fratello Andrew erano arrossati per il lungo studio di una pergamena che aveva sulla scrivania, mentre l'abito nero era chiazzato di cibo e inchiostro. Esitante, gli confidai che credevo d'aver sentito la vocazione e che desideravo prepararmi all'ordinazione. Mi aspettavo di essere interrogato sulla veridicità della mia fede, invece il frate si limitò a levare la piccola mano tozza, ingiungendomi di tacere. «Ragazzo», disse, «non potrai mai diventare sacerdote. Non lo comprendi? Non dovresti abusare del mio tempo con simili sciocchezze.» Le bianche sopracciglia si unirono in segno di disappunto. Non si era rasato e un principio di barba bianca gli velava le guance paffute come una coltre di brina. «Non capisco, fratello. Perché?» Sospirò, inondandomi con il suo fiato vinoso. «Mastro Shardlake, sai bene che il libro della Genesi dice che Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza, non è forse vero?» «Certo, fratello.» «Per servire la Chiesa è necessario conformarsi a quell'immagine. Chiunque soffra di una visibile deformità - fosse anche solo un arto rattrappito, figuriamoci poi una gobba sporgente come la tua - non potrà mai divenire sacerdote. Come potresti intercedere per l'umanità peccatrice dinanzi alla maestà di Nostro Signore, quando il tuo aspetto è tanto inferiore a quello della gente comune?»
Mi sentii raggelare il sangue nelle vene. «Non può essere vero. È crudele.» Fratello Andrew si era fatto paonazzo in viso per la collera. «Ragazzo», sbraitò, «metti forse in discussione gli insegnamenti di Santa Madre Chiesa, nostra guida sin dall'alba dei tempi? Proprio tu che vieni a domandare di essere ordinato sacerdote? Che genere di sacerdote potresti mai essere? Un eretico lollardo?» Lo osservai, seduto nel sudicio abito chiazzato di cibo, l'accigliato viso grasso e irsuto. «Allora dovrei essere come voi, non è così?» sbottai senza riflettere. Fratello Andrew si alzò con un ruggito, dandomi un sonoro scapaccione su un orecchio. «Tu, piccolo zotico gibboso, sparisci dalla mia vista!» Corsi via, la testa che mi scoppiava. Il religioso era troppo grasso per darsi all'inseguimento (morì di un colpo l'anno seguente) e io fuggii dalla cattedrale, zoppicando nella luce calante della sera, l'animo colmo di sconforto. Giunto nei pressi di casa mi sedetti su uno steccato a osservare il tramonto primaverile, la cui verde fecondità pareva prendersi gioco di me. Se non fossi potuto entrare a far parte della Chiesa, pensai, dove altro sarei potuto andare? Ero solo. E poi, mentre sedevo nel crepuscolo, Cristo mi parlò. È quanto accadde, quindi non c'è altro modo di dirlo. Udii una voce nella mente, una voce che proveniva da dentro ma non era mia. «Non sei solo», mi disse, e subito mi sentii pervaso da un grande tepore, da un senso d'amore e di pace. Non so quanto rimasi là seduto, a respirare profondamente, ma quel momento cambiò per sempre la mia vita. Cristo in persona mi aveva dato conforto dalle parole di quella Chiesa che avrebbe dovuto essere la sua. Non avevo mai sentito quella voce prima di allora e, sebbene abbia pregato quella notte e molte altre negli anni seguenti, inginocchiato davanti al letto, non la udii mai più. Ma forse è una grazia che ci viene concessa una volta nella vita. A molti neppure quella. Partimmo alle prime luci dell'alba, prima che il villaggio aprisse gli occhi su un nuovo giorno. Ero ancora d'umore cupo, e parlammo poco. La brina caduta durante la notte aveva imbiancato alberi e strade, ma, per nostra buona sorte, la neve non era ancora arrivata, e così riprendemmo lo stretto sentiero fra i ripidi fianchi della montagna bordati d'alberi. Cavalcammo fino alle prime ore del pomeriggio, poi il bosco cominciò a diradarsi e giungemmo in aperta campagna, fra campi coltivati; di fronte a
noi si stagliavano le pendici dei South Downs. Seguimmo un sentiero su per la collina, dove incontrammo una pecora dall'aspetto ossuto intenta a pascolare. Giunti in cima scorgemmo il mare, un lento rifluire di grigie onde. Alla nostra destra, un fiume correva fra i bassi poggi prima di gettarsi in mare oltre un vasto acquitrino, sul limitare del quale sorgeva una piccola città. Un miglio più distante, si levava un grosso complesso di costruzioni d'antica pietra gialla, dominate da un'imponente chiesa normanna ampia quasi quanto una cattedrale e circondata da alte mura di cinta. «Il monastero di Scarnsea», dissi. «'Il Signore ci ha condotti alla salvezza, accompagnandoci attraverso le nostre tribolazioni'», citò Mark. «Credo che ce ne attendano ancora parecchie», replicai. Conducemmo i cavalli spossati giù per il fianco della collina, proprio mentre un leggero nevischio cominciava a soffiare dal mare. Capitolo quattro Scendemmo lungo il fianco della collina con molta cautela, fino a imboccare la strada che entrava in città. I cavalli erano nervosi e scrollavano il muso nel tentativo di scuotere via i fiocchi gelati. Fortunatamente, quando arrivammo a destinazione la neve aveva smesso di cadere. «È il caso di far visita al giudice di pace?» chiese Mark. «No, oggi dobbiamo raggiungere il monastero perché se dovesse ricominciare a nevicare saremmo costretti a trascorrere la notte qui.» Proseguimmo lungo la ciottolosa strada principale di Scarnsea, costretti a tenerci tutti da un lato per evitare i contenuti dei vasi da notte gettati dai piani superiori dei palazzi che la bordavano. Notammo che l'intonaco e le travi di molte abitazioni erano in rovina, e le botteghe parevano alquanto spoglie. I pochi passanti ci osservavano con curiosità. Raggiungemmo la piazza principale, cinta anch'essa su tre lati da decrepite costruzioni, mentre il quarto era dominato da un'ampia banchina di pietra. In passato, la piazza doveva affacciarsi sul mare, ma ora al suo posto c'era solo una triste palude punteggiata da scheletrici giunchi, dalla quale si levava un puzzo salmastro. Un canale, largo appena da permettere la navigazione di una piccola barca, era stato scavato nel fango e si snodava come un lungo nastro verso il mare, una linea argentea a un miglio di distanza. In mezzo all'acquitrino scorgemmo una carovana d'asini legati gli uni agli altri, carichi di panieri contenenti pesanti massi che un gruppo di
uomini usavano per rinforzare le sponde del corso d'acqua. Doveva essersi appena concluso un qualche genere di spettacolo, perché dall'altra parte della piazza un capannello di donne conversava presso la gogna del paese, attorno alla quale erano sparpagliate frutta e verdura marce, Seduta su uno sgabello, i piedi infilati nello strumento di tortura, c'era ancora una paffuta donna di mezza età vestita di stracci chiazzati di uova e pere. In testa esibiva un sudicio copricapo triangolare recante la «B» di bisbetica. Accettò con sollievo il boccale di birra che una delle donne le offriva, ma aveva il viso contuso e gli occhi pesti. Nel vederci, levò il bicchiere e abbozzò una smorfia. Un gruppetto di bambini ridacchianti corse in piazza portando dei vecchi cavoli marci, ma una delle comari li scacciò con un gesto della mano. «Andate via», disse nel forte accento gutturale che avevamo udito alla locanda. «Comare Thomas ha imparato la lezione e lascerà suo marito in pace. Verrà liberata fra un'ora. Finitela!» I bambini indietreggiarono, lanciando insulti a debita distanza. «La gente di qui è piuttosto mite», osservò Mark. Annuii. A Londra, in effetti, capitava spesso che venissero scagliate pietre tanto affilate da cavare gli occhi e far cadere i denti. Lasciammo la cittadina, cavalcando verso il monastero. La strada correva lungo le stagnanti pozze bordate dai giunchi. Mi sorpresi nel vedere dei sentieri attraversare un simile nauseabondo acquitrino, ma del resto, se non ce ne fossero stati, gli uomini che avevamo visto posare le pietre non avrebbero avuto modo di trovarsi dov'erano. «Un tempo Scarnsea era un prosperoso porto di mare», osservai. «Ci è voluto pressappoco un secolo perché i depositi di limo e sabbia dessero origine a questa palude. Non c'è da meravigliarsi che la città si sia impoverita: per quel canale ci passa a stento la barca di un pescatore.» «E di che cosa vivono?» «Di pesca e caccia. E contrabbando con la Francia, oserei aggiungere. Le tasse da pagare al monastero per mantenere quel branco di monaci fannulloni non sono diminuite. Il porto di Scarnsea è stato assegnato a uno dei cavalieri di Guglielmo il Conquistatore, il quale l'ha ceduto ai benedettini e ha fatto costruire il monastero. Pagandolo con le tasse inglesi, ovviamente.» Le campane del monastero risuonarono all'orizzonte, squarciando l'aria immota. «Ci hanno visto arrivare», disse Mark ridendo.
«Hanno proprio una vista eccezionale, a meno che non si tratti di uno dei loro miracoli. Madre Santissima, quelle campane fanno un terribile frastuono.» Ci avvicinammo alle mura del convento, accompagnati dallo scampanio che mi rimbombava nel cervello. Ero stanco, e con il passare delle ore il dolore alla schiena si era fatto più intenso, tanto da costringermi a cavalcare accasciato sull'ampio dorso di Chancery. Mi raddrizzai: dovevo dare al monastero un'immagine autoritaria sin dal principio. Solo allora riuscii a notare le reali dimensioni di quel luogo. Le mura, rivestite di felci divenute ormai un tutt'uno con l'intonaco, erano molto alte e correvano dalla strada fino al limitare della palude. Poco più in là, notammo un ampio casotto in stile normanno e un carretto carico di botti tirato da due possenti cavalli, che procedeva rumorosamente sulla strada selciata. Fermammo i destrieri, e quando il mezzo ci passò accanto diretto in città il carrettiere si sfiorò il copricapo in segno di saluto. «Birra», notai. «Botti vuote?» chiese Mark. «No, piene. La produce il monastero, che ha un monopolio sulle vendite. Stabiliscono loro i prezzi. È previsto dalla carta costitutiva.» «Dunque da queste parti si prendono delle sante sbronze?» «Direi proprio di sì. I fondatori normanni tenevano buoni i monaci in cambio delle loro preghiere per la salvezza dell'anima. Così erano tutti soddisfatti, eccezion fatta per chi doveva pagare. Grazie al cielo, quelle campane si sono fermate.» Feci un respiro profondo. «Ma ora basta. Non dire nulla, fai come me.» Cavalcammo fino al casotto, una massiccia costruzione decorata da incisioni araldiche. Le cancellate erano chiuse. Alzai lo sguardo, e scorsi un volto che ci scrutava dalla finestra al primo piano. Subito si ritrasse. Smontai da cavallo e battei a un cancelletto laterale. Dopo qualche secondo questo si aprì per rivelare un uomo grande e grosso, calvo come un uovo, con indosso un grembiule chiazzato di grasso. Questi ci squadrò da capo a piedi, guardandoci in cagnesco. «Che cercate?» «Sono il commissario regio. Vi prego di condurci dall'abate», dissi in tono freddo. L'uomo ci guardò con sospetto. «Non aspettiamo visite. Questo è un monastero di clausura. Avete dei documenti?» Frugai nel mantello e gli ficcai le carte sotto il naso. «Il monastero di
San Donato di Scarnsea è una casa benedettina. Non è un ordine di clausura, la gente può andare e venire a piacimento dell'abate. O forse siamo giunti al convento sbagliato?» domandai sarcastico. Lo zotico mi fulminò con lo sguardo e lanciò un'occhiata ai documenti sebbene fosse evidente che non sapesse leggere - prima di restituirmeli. «Fossi in voi starei attento con le parole, amico. Qual è il vostro nome?» «Bugge», bofonchiò. «Seguitemi signori, vi condurrò dall'abate.» Si spostò di lato ed entrammo con i cavalli sotto il porticato del casotto. «Vi prego di aspettare qui.» Annuii e l'uomo ci lasciò, allontanandosi con passo pesante. Uscii dal colonnato e osservai il cortile. Di fronte a me sorgeva l'imponente chiesa del monastero, un solido edificio di pietra bianca, ingiallita dal tempo. Come le altre costruzioni, anche la chiesa era fatta di pietra calcarea d'origine francese ed era costruita in stile normanno, con ampie finestre, in netto contrasto con lo stile contemporaneo che imponeva arcate e finestre alte e sottili che svettassero verso il cielo. Con i suoi trecento piedi di lunghezza e le due torri gemelle alte almeno un centinaio di piedi, la chiesa dava un'impressione di massiccia potenza, ben radicata al suolo. Alla sua sinistra, lungo il muro opposto, sorgevano i consueti fabbricati annessi: stalle e fucine. La corte brulicava di quel genere d'attività che ben conoscevo dai tempi di Lichfield: commercianti e servitori affaccendati, intenti a discutere con i monaci dalle teste tonsurate e dai neri abiti dell'ordine benedettino. Abiti di lana pregiata, notai, con calzari di morbida pelle. Il cortile era di terra battuta, ricoperto di paglia. Grossi cani bastardi scorrazzavano qua e là, abbaiando e urinando sulle pareti. A prima vista, la corte esterna pareva un mercato più che un rifugio dal mondo. Alla destra della chiesa, il muro interno delimitava gli ambienti monacali, dove i religiosi vivevano e pregavano. All'estremità opposta della corte sorgeva un edificio a un solo piano con un bel giardino, le cui erbe erano accuratamente suddivise. Quella, dedussi, doveva essere l'infermeria. «Bene, Mark», chiesi piano, «che cosa ne pensi?» Il giovane scacciò uno dei cani che si era avvicinato a noi con aria minacciosa. L'animale indietreggiò, abbaiando furiosamente. «Non mi aspettavo un luogo tanto vasto. Potrebbe contenere duecento persone.» «Ben detto. È stato costruito per ospitare un centinaio di monaci e altrettanti servitori. Ma ora tutto questo - edifici, terreni e monopoli locali - è appannaggio di una trentina di religiosi e sessanta servitori - stando a quanto riporta il Comperta - che sfruttano le terre più fertili della zona.»
«Si sono accorti di noi, signore», mormorò Mark. In effetti, l'insistente abbaiare di quel cagnaccio aveva attirato gli sguardi ostili dell'intera corte, suscitando sommessi mormorii. Un monaco alto e allampanato, appoggiato a una stampella presso il muro della chiesa, non ci toglieva gli occhi di dosso. Il suo saio bianco dal lungo scapolare contrastava con il semplice abito nero dei benedettini. «Un certosino, se non vado errato», dissi. «Credevo che i monasteri certosini fossero stati chiusi e che metà dei religiosi fosse stata giustiziata per tradimento.» «Infatti, così è stato. Mi domando che cosa ci faccia lui qui.» Udii un colpo di tosse alle mie spalle. Il guardiano era riapparso in compagnia di un monaco tarchiato sulla quarantina. I capelli castani attorno alla chierica erano spruzzati di grigio e il volto, duro e dai lineamenti marcati, era addolcito soltanto dalla pinguedine dell'opulenza. Sull'abito era cucita una chiave, simbolo d'autorità. Alle sue spalle c'era un ragazzo dai capelli rossi e dall'aria nervosa, con indosso la grigia veste del noviziato. «Va bene, Bugge», disse il nuovo venuto nello spigoloso accento tipico degli scozzesi. «Torna pure al tuo lavoro.» Riluttante, il guardiano ci lasciò. «Sono il priore, fratello Mortimus di Kelso.» «Dov'è l'abate?» «Non è qui in questo momento. Io sono il suo braccio destro, responsabile dell'amministrazione quotidiana del monastero.» Ci trapassò con lo sguardo. «Suppongo siate giunti in risposta al messaggio di mastro Goodhaps. Nessuno ci ha avvisati del vostro arrivo, temo dunque che non ci siano stanze pronte ad accogliervi.» Mentre parlava io arretrai d'un passo, perché il monaco emanava un puzzo intenso. Sapevo bene, dai tempi dei miei studi, con quanta fermezza certi religiosi credessero ancora che lavarsi fosse insalubre, tanto da concedersi un bagno solo cinque o sei volte l'anno. «Siamo emissari di Lord Cromwell. Io sono mastro Matthew Shardlake, commissario incaricato di investigare sugli eventi riportati nella lettera di mastro Goodhaps.» Il religioso fece un inchino. «Vi do il benvenuto al monastero di San Donato. Mi scuso per i modi del guardiano, ma le ingiunzioni c'impongono di tenerci il più possibile separati dal mondo.» «Il nostro è un compito da svolgere con la massima urgenza, signore», dissi brusco. «Vi prego di darci conferma della morte di Robin Singleton.»
Il viso del priore s'indurì, e il religioso si fece il segno della croce. «Sì, signore. Ucciso barbaramente da un misterioso assalitore. Un fatto davvero terribile.» «In questo caso dobbiamo vedere subito l'abate.» «Vi accompagnerò nei suoi alloggi. Dovrebbe essere presto di ritorno. Vi supplico di fare luce su quanto è accaduto fra queste mura. Sangue versato su terra consacrata, e peggio ancora.» Scosse il capo poi, con improvvisa asprezza, si voltò verso il ragazzo che ci fissava con gli occhi sgranati e gli urlò: «Whelplay, i cavalli! Portali nelle stalle!» Pareva poco più di un bambino, magro e di costituzione fragile; poteva avere al massimo sedici anni, non certo i diciotto prescritti per il noviziato. Rimossi il paniere che conteneva i miei documenti, porgendolo a Mark, e il ragazzo condusse via i cavalli. Ma dopo qualche passo scivolò sopra uno sterco di cane, finendo a gambe all'aria con un tonfo. I cavalli s'impennarono spaventati e il cortile si riempì di risate. Il viso del priore Mortimus avvampò di rabbia. Raggiunse il giovane, che si stava rimettendo in piedi, e lo spinse nuovamente a terra, nello sterco, accrescendo le risate. «Santissima misericordia, Whelplay, sei un incapace», sbraitò. «Vuoi che i cavalli del commissario si mettano a galoppare per tutta la corte?» «No, signor priore», rispose il ragazzo con voce tremante. «Chiedo venia.» Mi feci avanti, presi le redini di Chancery con una mano e offrii l'altra al giovane, attento a non toccargli gli abiti imbrattati di sterco. «Tutta questa confusione li spaventa», dissi con tono gentile. «Ma non preoccuparti, ragazzo, poteva capitare a chiunque.» Gli porsi le redini e, lanciando un'occhiata al priore rosso di rabbia, il giovane condusse via gli animali. Mi voltai verso fratello Mortimus. «Ora, signore, se volete farci strada.» Il monaco scozzese mi guardò indignato, il viso contratto dall'ira. «Con tutto il rispetto, signore, io sono responsabile della disciplina di questa casa. Il sovrano ha ordinato molti cambiamenti, e i nostri confratelli più giovani devono imparare l'obbedienza.» «Avete forse difficoltà nel far accettare le nuove ingiunzioni di Lord Cromwell ai vostri confratelli?» «No, signore, niente affatto. A patto che mi sia concesso d'impartire loro la giusta disciplina.» «Tutto questo per essere scivolato su un escremento di cane?» dissi pacato. «Non sarebbe meglio usare un po' di quella disciplina con questi a-
nimali, piuttosto, tenendoli lontani dal cortile?» Il priore fu sul punto di controbattere, poi, d'improvviso, si lasciò andare a un'aspra risata. «Avete ragione, signore, ma l'abate non vuole saperne di rinchiudere i cani. Vuole tenerli in forma per le battute di caccia.» Mentre parlava, il viso tornò al suo rossore naturale. Dedussi che quell'uomo doveva avere un tasso di bile insolitamente elevato. «Battute di caccia. Mi chiedo che cosa ne direbbe san Benedetto.» «L'abate ha le sue regole», rispose il priore con sussiego. Ci condusse, oltre i fabbricati annessi, fino a una bella costruzione su due piani circondata da un roseto, un'elegante residenza degna di Chancery Lane. Oltrepassammo il birrificio e la fucina, il cui infocato bagliore aveva un aspetto assai invitante in quella fredda giornata. Accanto alla fornace c'era un'ampia dipendenza all'interno della quale erano deposti dei blocchi di pietra riccamente ornati, visibili attraverso le porte aperte. Lì davanti era stato montato un tavolo poggiato su cavalletti, ricoperto da carte e progetti, vicino al quale un uomo dalla barba grigia con un grembiule da scalpellino se ne stava a braccia conserte, mentre due monaci discutevano animatamente. «Non si p-può fare, fratello», disse il monaco più anziano con tono risoluto. Era un uomo paffuto e basso di statura, sulla quarantina, con un anello di riccioli neri attorno alla chierica, un viso tondo e pallido e due occhietti severi. Le piccole dita grassocce si agitavano sopra i progetti. «Se usiamo della pietra di Caen d-dilapideremo l'appannaggio dei prossimi tre anni.» «Non si può spendere meno di così», disse lo scalpellino. «Non se volete un lavoro a regola d'arte.» «Deve essere fatto come si deve», sottolineò con enfasi l'altro monaco, che aveva una voce calda e profonda. «In caso contrario l'intera simmetria della chiesa sarà rovinata, e la diversità della facciata salterà subito all'occhio. Se non sei d'accordo, fratello economo, non mi resterà che sottoporre la faccenda all'attenzione dell'abate.» «Fallo pure, tanto non cambierà nulla.» Nel vederci il frate s'interruppe, ci squadrò con i suoi occhietti lucenti come bottoni, e ritornò con lo sguardo ai progetti. L'altro monaco si mise invece a scrutarci. Era alto, robusto e poteva avere poco meno di quarant'anni, un bel viso segnato da rughe profonde e arruffati capelli biondi che circondavano la chierica come fili di paglia. Gli occhi, grandi, erano azzurro chiaro. Indugiò con lo sguardo su
Mark, che gli restituì un'occhiata gelida, poi fece un inchino al priore, che gli rispose con un noncurante cenno del capo. «Interessante», bisbigliai a Mark mentre passavamo oltre. «Si direbbe che nessuna nube minacciosa pesi su questo luogo. Parlano di restaurare la facciata della chiesa come se nulla fosse cambiato.» «Avete notato come mi ha guardato quel monaco?» «Sì. Altrettanto interessante.» Eravamo quasi giunti alla casa, quando una figura vestita di bianco spuntò da dietro un contrafforte, parandosi sul nostro cammino. Era il certosino che avevamo visto nel cortile. Il priore gli balzò dinanzi. «Fratello Jerome», disse con voce aspra, «non è tempo per le tue stramberie! Ritorna alle tue preghiere!» Il certosino girò attorno al priore, degnandolo solo di un rapido sguardo colmo di disprezzo. Trascinava la gamba destra e si muoveva poggiandosi sulla stampella, che teneva saldamente sotto l'ascella destra. Il braccio sinistro ciondolava mollemente lungo il fianco, la mano contratta in una strana posa. Era un uomo asciutto, sulla sessantina, i radi capelli bianchi più del sudicio abito liso. Gli occhi, in contrasto con il pallore del viso, ardevano d'una feroce intensità che pareva in grado di penetrare nell'animo. Mi si avvicinò, muovendosi con sorprendente destrezza per evitare il braccio teso del priore. «Voi siete l'uomo di Lord Cromwell?» La voce era stridula e fioca. «Esatto, signore.» «Allora saprete che chi di spada ferisce di spada è destinato a perire.» «Matteo 26, 52», replicai. «Che cosa intendete? Si tratta forse di una confessione?» L'uomo rise sprezzante. «No, gobbo, è la parola di Dio, ed è pura verità.» Il priore Mortimus afferrò brusco il braccio sano del certosino. L'uomo se ne liberò e si allontanò zoppicando. «Vi prego di non badare a lui.» Questa volta il viso del priore era sbiancato, segnandosi di capillari purpurei. «Ha la mente sconvolta», aggiunse stringendo le labbra. «Chi è? Che cosa ci fa un certosino nel vostro monastero?» «Lo teniamo a pensione per fare un favore a suo cugino, che possiede delle terre nei dintorni. Un atto caritatevole, viste le sue condizioni.» «Da quale casa proviene?» Il priore esitò. «Dalla casa di Londra. È conosciuto come Jerome da
Londra.» Rimasi allibito. «La casa in cui il priore Houghton e metà dei monaci si sono rifiutati di prestare giuramento di fedeltà e sono stati giustiziati?» «Fratello Jerome ha prestato giuramento. Alla fine. Dietro le pressioni di mastro Cromwell.» Mi guardò duramente. «Capite?» «È stato torturato?» «In modo atroce. E l'aver ceduto gli ha fatto perdere il senno. Lo ha meritato, però, considerata la slealtà, non credete? Ed ecco come ci ripaga per la nostra carità. Ma risponderà per le sue azioni.» «Che cosa intendeva dire?» «Lo sa il cielo. Ve l'ho detto, la sua mente è malata.» S'incamminò di nuovo e noi lo seguimmo oltre una cancellata di legno che dava nel giardino dell'abate, dove poche livide rose invernali spiccavano fra gli spinosi rami spogli. Mi voltai, ma il monaco storpio era scomparso. Il ricordo di quegli occhi spiritati mi fece rabbrividire. Capitolo cinque Un uomo grasso con indosso la veste blu dei servitori venne ad aprire la porta del priore. Ci guardò preoccupato. «Visita urgente per sua Signoria, da parte del vicario generale. È in casa?» Il servitore fece un profondo inchino. «Quel terribile omicidio.» Si fece un fervido segno della croce. «Non siamo stati preavvertiti della visita di lor signori. L'abate Fabian non ha ancora fatto ritorno, sebbene potrebbe giungere in qualsiasi momento. Ma vi prego, accomodatevi.» Entrammo in un'ampia anticamera, le cui pareti rivestite di legno erano dipinte con scene di caccia. «Forse gradireste attendere l'abate nel salone», suggerì il priore. «Dov'è mastro Goodhaps?» «Nella sua stanza, al piano di sopra.» «Allora andremo prima da lui.» Il priore fece un cenno con il capo al servitore, che ci accompagnò su per l'ampia scalinata. Il priore si fermò davanti a una porta chiusa e bussò vigorosamente. Dall'interno s'udì uno strillo impaurito, poi il rumore della chiave nella serratura, e la porta si aprì appena. Un viso smunto, dagli arruffati capelli bianchi, ci scrutò con occhi ansiosi. «Priore Mortimus», disse il vecchio con voce stridula. «Perché battete
alla porta con tanta foga? Mi avete spaventato.» Un sorriso sardonico balenò sul viso di Mortimus. «Oh, davvero? Vogliate scusarmi. Ora siete al sicuro, mio buon dottore, Lord Cromwell ha inviato un suo uomo di fiducia, un nuovo commissario.» «Mastro Goodhaps?» intervenni. «Commissario Matthew Shardlake. Sono qui in risposta alla vostra lettera, dietro ordine di Lord Cromwell.» Il vecchio rimase attonito per un istante, poi aprì la porta, facendoci entrare. La camera era ben arredata, con un letto a baldacchino chiuso da una tenda, morbidi cuscini sul pavimento e una finestra che dava sulla corte indaffarata. A terra giaceva una pila di libri, sulla quale era precariamente appoggiato un vassoio con una caraffa di vino e delle ciotole di peltro. Il fuoco crepitava nel camino e Mark e io lo raggiungemmo subito, perché eravamo intirizziti fino alle ossa. Mi voltai verso il priore che ci osservava vigile sulla soglia. «Vi ringrazio, fratello. Potreste farci la cortesia di avvisarci del ritorno dell'abate?» L'uomo s'inchinò e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle. «Chiuda a chiave, nel nome di Nostro Signore», disse il vecchio con voce acuta, torcendosi le mani. Aveva un aspetto patetico, i bianchi capelli arruffati e l'abito clericale nero sporco e sgualcito. Dal fiato, dedussi che doveva aver già assaggiato il vino. «La lettera è giunta, allora? Sia ringraziato il cielo! Temevo sarebbe stata intercettata. Quanti siete?» «Soltanto noi due. Posso sedermi?» chiesi, abbassandomi con cautela sui cuscini. Mi lasciai sprofondare, con una sensazione di grande sollievo alla schiena. Solo in quel momento mastro Goodhaps notò la mia infermità, poi spostò lo sguardo su Mark, intento a slacciare la cinta che reggeva la possente spada. «Il ragazzo sa dare di scherma? È in grado di proteggerci?» «In caso di necessità. Perché? Abbiamo forse bisogno di protezione?» «In questo luogo, signore, dopo quanto è accaduto... siamo circondati da nemici, mastro Shardlake.» Notai il terrore nel suo sguardo, e gli sorrisi rassicurante. Un testimone inquieto, proprio come un cavallo, ha bisogno d'essere ammansito. «Calmatevi, signore. Ora, il viaggio ci ha molto stancato e gradiremmo un sorso di quel vino, mentre voi ci raccontate esattamente quanto è accaduto.» «Oh, signore, se sapeste, Madre Santissima, il sangue...» Levai una mano. «Cominciate dall'inizio, dal giorno del vostro arrivo.»
Ci versò del vino e si sedette sul letto, passandosi una mano nella folta chioma canuta. «Io non volevo venire», sospirò. «Mi sono dato molto da fare a Cambridge, ho lavorato per la Riforma sin dall'inizio, e sono troppo vecchio per un simile incarico. Ma Robin Singleton era stato mio studente, e mi ha domandato d'assisterlo nel tentativo di ottenere la resa di questa casa malefica. Aveva bisogno di un avvocato di diritto canonico, capite. Non potevo ignorare la convocazione del vicario generale», aggiunse risentito. «Sarebbe stato difficile», concordai. «Dunque, siete giunti qui la settimana scorsa?» «Sì, dopo una faticosissima cavalcata.» «Come sono andate le trattative?» «Male, signore, come peraltro io m'aspettavo. Singleton mostrò subito una grande aggressività, urlando che questa era una casa di scellerati peccaminosi, e che i monaci avrebbero fatto bene ad accettare le pensioni che venivano loro offerte e firmare la resa. Ma l'abate Fabian non ne volle sapere. Ama troppo la vita che conduce qui: giocare a fare il nobiluomo di campagna, comandare amministratori e intendenti... È solo il figlio del fornitore navale locale, sapete?» Goodhaps vuotò la sua coppa e la riempì nuovamente. Come biasimare quell'indifeso, vecchio zuccone, rimasto solo nel monastero, se cercava conforto nella bottiglia? «È scaltro, l'abate Fabian. Sapeva che non ci sarebbero più state chiusure forzate, non dopo le ribellioni del Nord. Il commissario mi chiese di trovare qualche cavillo giuridico per spaventarlo. Io gli risposi che era una perdita di tempo, ma Robin Singleton non mi prestò orecchio - non era mai stato un buon discepolo - e scelse d'attaccare. Dio l'abbia in gloria», aggiunse, sebbene da buon riformatore evitò di farsi il segno della croce. «Sono d'accordo con quanto sostenete», concordai. «Ma che mi dite delle violazioni di legge? Si è parlato di sodomia, se non vado errato, e di furto. Peccati capitali.» Goodhaps sospirò. «Questa volta Lord Cromwell si sbaglia. Il giudice di pace locale è un buon riformatore, ma i suoi rapporti sulla svendita dei terreni per pochi spiccioli fanno acqua. Non c'è nessuna prova di manomissione nei conti.» «E per quanto riguarda la condotta peccaminosa di questa casa?» «Nulla. L'abate sostiene di aver attuato tutte le riforme del caso, dall'ultima visita. Il passato priore aveva incoraggiato simili spregevoli pratiche, ma è stato cacciato assieme a un paio dei trasgressori più recidivi. E quel
barbaro scozzese ha occupato il suo posto.» Vuotai la mia coppa, ma preferii non riempirla di nuovo. Le ossa mi dolevano per la stanchezza, e il vino, assieme al tepore del fuoco, m'invitava a stendermi e dormire, mentre invece avevo bisogno di rimanere lucido ancora per qualche ora. «Che opinione vi siete fatto dei confratelli?» Il vecchio si strinse nelle spalle. «Sono tutti uguali. Pigri e soddisfatti di sé. Giocano a carte, vanno a caccia - avrete di certo notato che questo luogo brulica di cani - e sbrigano in fretta le funzioni religiose, ma osservano le nuove ingiunzioni, recitando i sermoni in inglese e non facendo girare donnacce per il monastero. Quel rubicondo priore crede nella disciplina più severa. Si dichiara un convinto sostenitore delle ingiunzioni di Lord Cromwell, ma io non mi fido di nessuno. I monaci anziani sembrano più scaltri e accomodanti, ma sono tutti un branco di eretici. Però non lo danno a vedere. L'unica eccezione è quel certosino zoppo, che comunque non fa parte della comunità.» «Ah, sì. Fratello Jerome. Abbiamo già avuto modo di conoscerlo.» «Sapete chi è?» «No.» «Un parente della regina Jane, che Dio l'abbia in gloria. Ha rifiutato di prestare giuramento, ma farlo giustiziare come i suoi confratelli sarebbe stata fonte di grande imbarazzo. Così lo hanno torturato e poi lo hanno nascosto qui, a pensione. Ed è anche parente di un grosso proprietario terriero dei dintorni. Pensavo che Lord Cromwell fosse stato informato della sua presenza.» Inclinai il capo. «Suppongo che talvolta i documenti vadano persi, anche quelli destinati al suo ufficio.» «Agli altri monaci non piace perché non fa che insultarli, accusandoli di essere deboli e indolenti. Non gli è permesso di lasciare il monastero.» «Di certo il commissario Singleton avrà parlato con molti dei frati, nel tentativo di scoprire qualcosa. Alcuni di quelli coinvolti nello scandalo della sodomia potrebbero essere ancora qui?» «Magari lo spilungone biondo con i capelli arruffati?» s'inserì Mark. Goodhaps si strinse nelle spalle. «Ah, lui. Fratello Gabriel, il sacrista. Sì, lui era uno di quelli. A prima vista sembrerebbe normale, no? Grande e grosso. Talvolta, però, ti guarda con certi occhi... Il commissario Singleton li ha interrogati tutti, ma ovviamente loro hanno sostenuto di essere candidi come gigli. Mi aveva incaricato di parlare con loro, per scoprire i detta-
gli delle loro abitudini, ma io sono uno studioso, non sono capace di fare cose simili.» «Devo dedurne che il commissario Singleton non si sia reso molto popolare? Lo conoscevo. È sempre stato alquanto irruente.» «Già, i suoi modi bruschi non gli hanno mai fatto guadagnare molti amici, ma lui non se ne curava.» «Parlatemi dell'omicidio.» Il vecchio si curvò nelle spalle, facendosi minuscolo. «Aveva rinunciato a esercitare pressioni sui monaci. Mi aveva chiesto di elencare tutte le possibili violazioni del diritto canonico, stavamo toccando il fondo. Passava gran parte del tempo a spulciare i libri mastri e gli archivi. S'era fatto ansioso, doveva assolutamente trovare qualcosa da sottoporre all'attenzione di Lord Cromwell. Negli ultimi due giorni lo vidi di rado, poiché era impegnato a controllare i resoconti dell'economo.» «Che cosa stava cercando?» «Una qualunque imprecisione. Come ho già detto, stava toccando il fondo. Ma aveva un po' di esperienza di questa nuova contabilità italiana, quella in cui si registrano il dare e l'avere.» «Sì, la partita doppia. Be', forse non sapeva un granché di giurisprudenza, ma di certo la contabilità la conosceva piuttosto bene.» «Già», sospirò. «Quella notte cenammo per conto nostro, come di consueto. Singleton pareva essere d'umore più gaio. Disse che si sarebbe ritirato nella sua stanza per esaminare alcuni libri mastri che era riuscito a sottrarre dall'ufficio dell'economo. L'economo era fuori quella notte... la notte in cui...» «L'economo è per caso un ometto grassoccio dagli occhi scuri? Lo abbiamo visto in cortile, intento a discutere di denaro.» «Esatto. Fratello Edwig. Di certo discuteva con il sacrista per i progetti di restauro. Fratello Edwig mi piace, è un uomo pratico. Non ama sperperare il denaro. Ne servirebbero altri del suo stampo. L'amministrazione quotidiana del monastero è appannaggio esclusivo del priore Mortimus e di fratello Edwig, entrambi di manica assai stretta.» Bevve un altro sorso di vino. «Che cosa accadde in seguito?» «Lavorai per un'ora, poi recitai le mie preghiere e andai a letto.» «E dormiste?» «Sì. Ma fui svegliato di soprassalto verso le cinque. Udii dei rumori, poi qualcuno batté fragorosamente alla porta, proprio come ha fatto il priore
poc'anzi.» Rabbrividì. «Era l'abate accompagnato da una decina di monaci. L'abate pareva sconvolto, terrorizzato. Mi disse che il commissario era morto, che qualcuno lo aveva ucciso e che dovevo seguirli immediatamente. «Mi vestii e scesi con loro. Regnava una gran confusione, i monaci farfugliavano di porte chiuse e sangue, e udii qualcuno dire che era stata una punizione divina. Si procurarono delle torce e ci dirigemmo verso le cucine, passando per gli alloggi dei monaci. Faceva terribilmente freddo lungo quell'infinito dedalo di corridoi bui, dove religiosi e servitori si guardavano attorno con occhi sgranati. E poi aprirono quella porta. Buon Dio.» Con mia somma sorpresa, l'uomo abbozzò un rapido segno della croce. «C'era odore di...» rise istericamente, «di macelleria. La stanza era piena di candele, disposte ovunque sulle lunghe tavolate e sulle dispense. Calpestai qualcosa, e il priore mi tirò di lato. Quando sollevai il piede, lo vidi imbrattato di sostanza vischiosa. Sul pavimento c'era una larga pozza di liquido scuro, ma da principio non compresi di che cosa si trattava. «Poi vidi Robin Singleton steso prono al centro della chiazza, la veste macchiata. Compresi subito che qualcosa non andava, ma sul momento i miei occhi non riuscirono a decifrare la scena. Poi mi resi conto che era stato decapitato. Mi guardai attorno e la vidi, la testa, che mi fissava da sotto la zangola. Solo allora capii che la pozza scura era sangue.» Chiuse gli occhi. «Buon Dio, ero terrorizzato.» Li riaprì, vuotò la coppa di vino e fece per prendere di nuovo la caraffa, ma io la coprii con una mano. «Direi che per ora può bastare, mastro Goodhaps», aggiunsi con voce mite. «Proseguite.» Gli occhi gli si riempirono di lacrime. «Pensai che lo avessero ucciso loro, pensai si fosse trattato di un'esecuzione, e che presto sarebbe toccato anche a me. Li guardai in viso, cercando il possibile boia. Avevano tutti un'aria talmente cupa. Poi quel certosino, con un orribile ghigno dipinto sul viso, gridò: 'Mia è la vendetta, disse il Signore'.» «Ha detto proprio così?» «Sì. Al che l'abate lo investì intimandogli di tacere, poi mi raggiunse. 'Mastro Goodhaps', disse. 'Spiegateci come dobbiamo comportarci.' Allora compresi che erano spaventati quanto me.» «Posso dire una cosa?» azzardò Mark. Annuii. «Quel certosino non potrebbe mai mozzare la testa a un uomo. Non ne avrebbe la forza, né l'equilibrio necessario.» «È vero», concordai e mi voltai nuovamente verso il vecchio. «Che cosa
avete detto all'abate?» «Lui voleva che ci rivolgessimo alle autorità civili, ma io sapevo che la prima cosa da fare era avvisare Lord Cromwell. Sapevo che quant'era accaduto avrebbe avuto delle implicazioni politiche. L'abate aggiunse che il guardiano, il vecchio Bugge, aveva riferito d'aver incontrato Singleton qualche ora prima, nel corso della sua ronda notturna, e che lui gli aveva detto d'avere un appuntamento con uno dei monaci.» «A quell'ora? E disse con chi?» «No. A quanto pare Singleton lo congedò in malo modo.» «Capisco. E poi?» «Intimai ai monaci di mantenere il più assoluto silenzio. Ordinai che nessuna missiva lasciasse il monastero senza mia previa autorizzazione, e spedii la mia affidandola al portalettere del villaggio.» «Avete agito bene, mastro Goodhaps, in modo molto assennato.» «Vi ringrazio.» Si asciugò gli occhi con la manica. «Ero spaventato a morte, signore. Tornai nella mia stanza e mi ci chiusi dentro. Sono spiacente, mastro Shardlake, ma ho perduto tutto il mio coraggio. So che avrei dovuto condurre delle indagini, ma... io sono soltanto un povero studioso.» «Be', ora ci siamo noi. Ditemi, chi ha rinvenuto il cadavere?» «Il frate infermiere, fratello Guy. Quel monaco dalla pelle scura.» Rabbrividì. «Ha detto d'essere andato nelle cucine per preparare del latte caldo da portare a un vecchio monaco malato. Lui ha la chiave. Ha aperto la porta esterna e ha attraversato il piccolo ingresso. Quando ha aperto la porta delle cucine, si è ritrovato nella pozza di sangue e ha dato l'allarme.» «Quindi, solitamente, le cucine rimangono chiuse a chiave durante la notte?» Annuì. «Sì, per impedire che monaci e servitori vengano a rimpinzarsi di nascosto. I frati pensano solo a riempirsi la pancia, e vedrete da voi che sono quasi tutti grassi.» «La chiave delle cucine e l'appuntamento di cui il guardiano ha riferito: tutto riconduce a una persona interna al monastero. Ma nella vostra lettera non avete anche parlato della profanazione della chiesa e del furto d'una reliquia?» «Esatto. Ci trovavamo tutti nelle cucine, quando uno dei monaci è venuto ad annunciare che...» deglutì, «che sull'altare della chiesa era stato sacrificato un gallo. In seguito hanno scoperto che la reliquia del buon ladrone era stata rubata. I monaci sostengono sia stata opera d'un intruso che, incappato nel commissario in una delle sue peregrinazioni notturne, lo abbia
ucciso.» «Ma come avrebbe potuto un intruso avere accesso alle cucine?» L'uomo si strinse nelle spalle. «Potrebbe aver pagato uno dei servitori per ottenere una copia della chiave. Questo, almeno, è quanto crede l'abate, sebbene l'unico servitore ad averla sia il cuoco.» «E che cosa mi dite della reliquia? Era di grande valore?» «Quella mostruosità! Una mano inchiodata a un pezzo di legno. Era custodita in una grossa teca d'oro tempestata di pietre preziose: credo si trattasse di smeraldi autentici. Si dice sia in grado di curare le ossa rotte o deformate, ma non è altro che un'impostura per ingannare i creduloni.» Per un istante la sua voce si riempì dell'ardore dei riformisti. «I monaci sono più preoccupati per la reliquia che per l'assassinio di Singleton.» «E voi che cosa ne pensate di tutta la faccenda?» «Non so davvero che cosa dire. I monaci parlano di adoratori del demonio, il cui intento era rubare la reliquia. Ma i frati ci odiano, il loro odio è palpabile. Signore, ora che siete qui, potrei fare ritorno a casa?» «Non ancora. Ma spero di potervi congedare presto.» «Almeno non sarò più solo fra queste mura.» Bussarono alla porta, e un servitore fece capolino dietro l'uscio. «L'abate è ritornato, signore.» «Molto bene. Mark, aiutami ad alzarmi. Sono tutto anchilosato.» Mi rimisi in piedi grazie a lui e diedi una rassettata alle vesti. «Vi ringrazio, mastro Goodhaps, avremo occasione di parlare ancora. In ogni modo, che cosa ne è stato dei libri mastri che il commissario stava esaminando?» «L'economo se li è ripresi.» Il vecchio scosse il capo. «Come siamo potuti giungere a questo punto? Io non desideravo altro che la riforma della Chiesa; com'è possibile che al mondo accadano cose simili? Ribellioni, tradimenti, omicidi. A volte mi domando che senso abbia tutto questo.» «Un senso c'è sempre, almeno nei misteri dell'uomo», dissi con fermezza. «Questo è quanto credo. Forza, Mark. Andiamo a incontrare il buon abate.» Capitolo sei Il servitore ci fece nuovamente strada al piano di sotto e ci fece accomodare in una stanza spaziosa, le cui pareti erano tappezzate di variopinti arazzi fiamminghi, vecchi ma pregiati. Le finestre davano su un vasto cimi-
tero punteggiato d'alberi, dove un paio di servitori stava rastrellando le ultime foglie autunnali. «Il mio signore, l'abate, si sta cambiando d'abito. Vi raggiungerà fra breve.» L'uomo s'inchinò e uscì, lasciandoci al tepore del caminetto. Un'ampia scrivania disseminata di carte e pergamene dominava la stanza, con una sedia imbottita da un lato e qualche sgabello dall'altro. Sopra un vassoio d'ottone troneggiava il massiccio sigillo dell'abbazia, poggiato su un blocco di cera accanto a una caraffa di vino e alcune coppe d'argento. Lungo la parete dietro la scrivania correvano degli scaffali carichi di libri. «Non pensavo che gli abati vivessero in tanto lusso», osservò Mark. «Oh, sì, e godono di alloggi privati. In origine vivevano insieme ai confratelli, ma quando, secoli fa, la Corona ha cominciato a tassare le loro dimore, i religiosi hanno escogitato il trucco di assegnare agli abati delle rendite personali, legalmente distinte. Ora gli abati vivono agiatamente, lasciando gran parte delle proprie incombenze in mano ai priori.» «Perché il re non modifica la legge, in modo che anche gli abati possano essere tassati?» «In passato i sovrani avevano bisogno del loro sostegno nella Camera dei Pari. Ma ben presto il problema non sussisterà più», risposi. «Dunque quel barbaro di uno scozzese ha in mano le redini di questo luogo?» Girai dietro alla scrivania e curiosai fra gli scaffali, che ospitavano anche una raccolta stampata della legislazione inglese. «Piuttosto arrogante, eh? Sembrava godere nel maltrattare quel novizio.» «Quel ragazzo ha l'aria malata.» «Già. E sono proprio curioso di sapere perché mai a un novizio siano state assegnate le umili incombenze destinate alla servitù.» «Pensavo che ai monaci fosse imposto di dedicare parte della loro giornata a lavori manuali.» «Certo, così recita la regola benedettina. Ma sono secoli che i monaci di quest'ordine non si rimboccano le maniche. I servitori fanno tutto il lavoro.» Presi il sigillo e lo esaminai alla luce delle fiamme. Era d'acciaio temperato. Mostrai a Mark l'incisione di san Donato in vesti romane, chino su un uomo disteso su una gerla, il braccio teso in segno di supplica. Era di squisita fattura, il panneggio delle vesti reso sin nei minimi dettagli. «San Donato che resuscita il morto. Ho consultato il libro Vite dei santi
prima di partire.» «Aveva davvero il potere di ridare la vita? Come Cristo con Lazzaro?» «Si dice che un giorno Donato incontrò un drappello di persone che scortavano un morto nella tomba. Un uomo stava infastidendo la vedova per un prestito che il defunto non gli avrebbe restituito. Il beato disse al morto d'alzarsi e regolare i propri conti. Il resuscitato s'alzò e dimostrò di aver già onorato il suo debito. Poi si distese nuovamente, morto. Denaro, denaro... questa gente non sa pensare ad altro.» Udimmo un rumore di passi, la porta si aprì e un uomo sulla cinquantina, alto e robusto, fece il suo ingresso. Sotto l'abito benedettino s'intravedevano delle calzabrache di lana pregiata e scarpe dalle fibbie d'argento. Viso rubicondo, naso aquilino d'impronta romana e lineamenti squadrati sotto i folti capelli castani. La chierica, un minuscolo cerchio rasato, era solo l'indispensabile concessione alla regola. Entrò sorridendo. «Sono l'abate Fabian.» I modi patrizi e il tono vistosamente aristocratico non riuscirono a celare una nota d'agitazione nella sua voce. «Benvenuti a Scarnsea. Pax vobiscum.» «Mastro Matthew Shardlake, commissario del vicario generale.» Non diedi la formale risposta «e con il tuo spirito», poiché non tolleravo tutti quei ridicoli orpelli latini. L'abate annuì grave. I suoi occhi, d'un azzurro intenso, mi squadrarono da capo a piedi come due saette, poi guizzarono di stupore non appena s'accorsero di che cosa tenevo in mano. «Signore, vi prego di fare molta attenzione. Quello è il sigillo ufficiale del monastero. Non è mai uscito da questa stanza. E, in linea teorica, solo io avrei il diritto d'impugnarlo.» «In quanto commissario regio, nulla mi è vietato in questo luogo, mio signore.» «Oh, certamente, signore, certamente.» Mi seguì con lo sguardo mentre riponevo l'oggetto sulla scrivania. «Sarete affamati, dopo un viaggio tanto lungo; volete che faccia preparare qualcosa?» «Più tardi, vi ringrazio.» «Sono davvero dispiaciuto di avervi fatto attendere, ma avevo delle faccende da sbrigare con l'amministratore dei nostri possedimenti di Ryeover. C'è ancora molto da fare con i rendiconti del raccolto. Gradireste del vino, forse?» «Solo un goccio.» Me ne versò una coppa, poi si voltò verso Mark. «Posso chiedere chi è
costui?» «Mark Poer, praticante e mio assistente.» L'uomo levò un sopracciglio. «Mastro Shardlake, abbiamo questioni della massima serietà da discutere. Potrei suggerire di farlo in privato? Il ragazzo potrebbe attendervi negli alloggi che vi ho fatto preparare.» «Non sono d'accordo, mio signore. Il vicario generale in persona ha richiesto la presenza di mastro Poer. Egli deve essere sempre presente, a meno che io non ritenga altrimenti. Desiderate esaminare il mio mandato, ora?» Mark rivolse all'abate un largo sorriso. Questi si fece paonazzo in volto e chinò leggermente il capo. «Come preferite.» Passai il documento nelle sue mani inanellate. «Ho parlato con mastro Goodhaps», dissi mentre rompeva il sigillo. L'espressione del suo viso si contrasse e il naso parve curvarsi in avanti, come se da quel foglio si levasse l'odore di Cromwell in persona. Guardai fuori della finestra affacciata sul giardino, dove alcuni servitori erano intenti a bruciare le foglie secche, levando un esile pennacchio di fumo bianco verso il cielo plumbeo. Calava la sera. L'abate esaminò il documento un istante, poi lo posò sullo scrittoio. Si protese in avanti, congiungendo le mani. «Quest'assassinio è l'evento più terribile che mai sia accaduto in questo luogo, assieme alla profanazione della chiesa. Sono davvero... sconvolto.» Annuii. «Ha sconvolto anche Lord Cromwell. Egli non desidera che la voce di quest'incidente si diffonda. Avete mantenuto l'accaduto sotto il più stretto silenzio?» «Assolutamente, signore. Ai monaci e ai servitori è stato detto che se ne avessero fatto parola con qualcuno, ne avrebbero risposto al vicario generale.» «Bene. Vi prego anche di fare in modo che tutta la corrispondenza in arrivo e in partenza sia sottoposta alla mia attenzione e approvazione. Ora, immagino che la visita del commissario Singleton non sia stata per voi una gradita sorpresa.» L'abate sospirò nuovamente. «Che cosa posso dire? Due settimane fa ho ricevuto dal gabinetto di Lord Cromwell una lettera nella quale s'annunciava l'arrivo di un commissario per discutere di alcune questioni non meglio specificate. Al suo arrivo, il commissario Singleton mi comunicò che desiderava la resa di questo monastero. Io ne rimasi alquanto sbalordito.»
Mi guardò dritto negli occhi, e vidi che dietro l'ansia del suo sguardo si celava una scintilla di disprezzo. «Sottolineò che sperava in una resa volontaria, e pareva fosse disposto a ottenerla a qualsiasi costo, alternando promesse di denaro a vaghe minacce riguardanti presunti illeciti, privi di qualsivoglia fondamento, vorrei aggiungere. Sull'insensato Atto di resa che voleva costringermi a firmare c'era scritto che la nostra vita qui si fondava su una falsa religione, colma di sciocche cerimonie romane», disse in tono offeso. «Le nostre funzioni seguono alla lettera le ingiunzioni del vicario generale, e ogni confratello ha prestato giuramento, rinunciando all'autorità papale.» «Non ne dubito», dissi. «Altrimenti ci sarebbero state gravi ripercussioni.» Notai che ben in vista sull'abito l'abate sfoggiava l'emblema d'un pellegrinaggio; era stato al santuario di Nostra Signora di Walsingham. Del resto, anche il sovrano vi si era recato in passato. L'abate fece un respiro profondo. «Il commissario Singleton e io abbiamo avuto svariate discussioni perché io sostenevo che il vicario generale non avesse alcun diritto legale d'ordinare la resa della casa. Evidenza che mastro Goodhaps, esperto di diritto canonico, non ha potuto contestare.» Non replicai, aveva ragione. «Forse potremmo passare all'esame delle circostanze del delitto», dissi. «Questa, ora, è la questione più urgente.» Il religioso annuì, cupo in viso. «Quattro giorni fa, nel pomeriggio, il commissario Singleton e io abbiamo avuto un'altra lunga e, temo, infruttuosa discussione. Non lo rividi più vivo. Alloggiava in questo edificio, ma lui e mastro Goodhaps avevano preso l'abitudine di cenare da soli. Andai a dormire alla solita ora. Poi, alle cinque del mattino, fui svegliato da fratello Guy, il frate infermiere, che aveva fatto irruzione nella mia stanza. Mi disse che aveva trovato nelle cucine il corpo del commissario Singleton, disteso in una pozza di sangue. Lo avevano decapitato.» Il viso dell'abate si contrasse in una smorfia di ripugnanza. «Lo spargimento di sangue in un luogo sacro è un abominio, signore. E poi c'è stata la scoperta della chiesa, quando i monaci si accingevano al mattutino.» «E che cosa avete trovato?» «Altro sangue. Il sangue di un galletto nero che giaceva, anch'esso decapitato, dinanzi all'altare. Temo abbiamo a che fare con la stregoneria, mastro Shardlake.» «E una reliquia è scomparsa, se non vado errato.» L'abate si morse il labbro. «La santissima reliquia di Scarnsea. Unica e sacra, la mano del buon ladrone crocifisso con Cristo, inchiodata a un
frammento della sua croce. Fratello Gabriel si è accorto della sua sparizione più tardi, quella stessa mattina.» «Mi è stato riferito che era d'inestimabile valore. La teca d'oro in cui era custodita non era tempestata di smeraldi?» «Esatto. Ma è il suo contenuto a starmi più a cuore. Il pensiero che un oggetto tanto sacro possa essere caduto nelle mani di una strega...» «Non è stata la stregoneria a mozzare la testa al commissario regio.» «Alcuni dei confratelli lo pensano. Nelle cucine non ci sono strumenti in grado di decapitare un uomo. Non è un'operazione semplice da eseguire.» Mi protesi in avanti, poggiando una mano sul ginocchio. Una posizione intesa a dare un po' di sollievo alla mia schiena, ma pur sempre d'effetto minaccioso. «I vostri rapporti con il commissario Singleton non erano buoni. Mi avete detto che usava cenare nella sua stanza?» L'abate Fabian spalancò le braccia. «In quanto emissario del vicario generale, è sempre stato trattato con ogni cortesia. È stata una sua scelta non sedere alla mia tavola. Ma vi prego», disse alzando appena il tono della voce, «lasciatemi ripetere che io aborro la sua morte, e la giudico esecrabile. A questo proposito, vorrei dare degna sepoltura ai suoi poveri resti mortali. La loro presenza è di grande angoscia ai confratelli, che temono il fantasma del defunto. Ma mastro Goodhaps ha insistito che il corpo fosse preservato per l'indagine.» «Un consiglio alquanto assennato. Il mio primo compito sarà appunto quello d'esaminarlo.» L'abate mi scrutò guardingo. «Avete intenzione d'investigare su questo delitto da solo, senza il coinvolgimento delle autorità civili?» «Esatto, e intendo farlo in fretta. Ma accetterò ogni vostra forma di collaborazione e assistenza.» Spalancò nuovamente le braccia. «Ma certamente. Tuttavia, per essere franco, non saprei davvero da dove potreste cominciare. Mi pare un compito impossibile per un uomo solo. Soprattutto se, come sono certo, il colpevole si nasconde in paese.» «Che cosa ve lo fa pensare? Mi è stato riferito che il guardiano ha incontrato il commissario Singleton la notte in cui è stato ucciso. Ha affermato che il commissario si stava recando a un appuntamento. E so che la porta delle cucine è sempre chiusa a chiave.» L'abate si protese in avanti con aria grave. «Signore, questa è la casa di Dio, votata all'adorazione di Cristo.» Chinò il capo nel menzionare il nome di Nostro Signore. «Nel corso dei suoi quattrocento anni di vita, non è mai
accaduta una cosa simile. Ma nel peccaminoso mondo che vive oltre queste mura un pazzo o, peggio, un seguace della stregoneria deve aver violato i nostri confini con intenti profanatori. E il saccheggio della chiesa lo rende evidente. Io credo che il commissario Singleton abbia sorpreso l'intruso, o gli intrusi, mentre si recava al suo appuntamento. E per quanto concerne la chiave, il commissario ne aveva una a disposizione. L'aveva richiesta al priore Mortimus quello stesso pomeriggio.» «Capisco. Avete idea di chi volesse incontrare?» «Vorrei tanto saperlo. Ma quell'informazione è morta con lui. Signore, ignoro quali violenti pazzi si aggirino oggigiorno per le strade del paese, ma di certo so che metà degli abitanti di Scarnsea è dedita al contrabbando di lana con la Francia.» «Affronterò la questione domattina, quando m'incontrerò con il giudice di pace locale, mastro Copynger.» «È necessario il suo coinvolgimento?» Era chiaro che la cosa non gli faceva piacere. «Il suo soltanto. Ditemi, da quanto tempo siete l'abate di questo monastero?» «Da quattordici anni. Quattordici anni di totale serenità, fino a ora.» «Ma un paio d'anni fa ci sono stati dei problemi, non è forse vero?» Arrossì. «Sì. Alcuni confratelli... sono caduti nel vizio. Il vecchio priore... ci sono stati alcuni episodi di depravazione, ma incidenti simili possono capitare anche nei luoghi più sacri.» «Depravazione e illeciti.» «Il vecchio priore è stato destituito e sospeso dall'ufficio sacerdotale. Il priore, come sapete, è un mio sottoposto, responsabile del benessere e della disciplina dei confratelli. Ma era un'astuta canaglia, quello, e ha saputo tenere i suoi loschi traffici ben nascosti. Ora, però, con fratello Mortimus abbiamo ristabilito la giusta disciplina. Persino il commissario Singleton ha dovuto riconoscerlo.» Annuii. «Ora, ditemi, ci sono sessanta servitori in questa casa, non è così?» «Il nostro monastero è assai vasto.» «E quanti monaci, una trentina?» «Signore, non posso credere che uno dei miei servitori, e tantomeno un confratello votato al servizio dell'Onnipotente, possa aver perpetrato un simile scempio.» «Per principio nessuno è escluso, mio signore. Dopotutto, il commissa-
rio Singleton era qui per negoziare la resa del monastero. E nonostante le pensioni graziosamente offerte da Sua Maestà siano alquanto generose, immagino che alcuni possano non aver accolto di buon grado la fine della loro vita in questo luogo.» «Ai confratelli non era stata comunicata la ragione della sua visita. Sapevano soltanto che mastro Singleton era un emissario del vicario generale. Avevo chiesto al priore Mortimus di dire loro che c'erano dei problemi con il titolo di proprietà di uno dei nostri possedimenti. Dietro specifica richiesta del commissario Singleton. Solo i miei officiali, gli obedenziari anziani, erano a parte dei suoi propositi.» «Di chi state parlando, per la precisione?» «Oltre al priore Mortimus, si tratta di Gabriel, il sacrista, fratello Edwig, il nostro economo, e fratello Guy, il frate infermiere. Sono i confratelli più anziani della congregazione e vivono in questo monastero da moltissimo tempo, eccezion fatta per fratello Guy, che si è unito a noi soltanto lo scorso anno. Dalla notte del delitto, sono girate molte voci sul reale motivo della visita del commissario, ma io mi sono sempre attenuto alla versione della proprietà contesa.» «Bene. Per il momento dobbiamo aderire a questa versione, sebbene la resa sia un argomento sul quale intendo ritornare.» L'abate rifletté qualche istante, scegliendo con attenzione le parole. «Signore, persino in queste terribili circostanze, io devo insistere sul rispetto dei miei diritti. L'Atto di dissoluzione delle case minori specificava a chiare lettere l'esclusione dei monasteri maggiori. Non esistono le basi legali per esigere una resa, a meno che la casa non venga riconosciuta colpevole di un'evidente violazione delle ingiunzioni, e non è il nostro caso. Non conosco i motivi che spingono il vicario generale a rivendicare la proprietà di questo monastero. Ho saputo che la medesima richiesta è stata rivolta ad altre case, ma devo dirvi, come avevo già riferito a mastro Singleton, che io faccio appello alla protezione che la legge stessa mi offre.» Si appoggiò allo schienale, il viso paonazzo e le labbra serrate, in difficoltà eppure sprezzante. «Vedo che avete una nutrita raccolta di leggi», osservai. «Ho studiato giurisprudenza a Cambridge, molti anni or sono. Voi che siete avvocato, signore, dovreste sapere che l'osservanza della legge è la base della nostra società.» «Lo è sicuramente, ma le leggi mutano. Sono stati promulgati dei nuovi atti, cui ne seguiranno altri.»
Mi guardò inespressivo. Sapeva bene che non ci sarebbero più state chiusure forzate dei monasteri fino a che nel paese fosse perdurata una simile instabilità. Fui io a rompere il silenzio. «Ora, mio signore, vi sarei grato se poteste disporre l'esame del corpo del povero Singleton che, come voi mi dite, attende cristiana sepoltura. Necessiterei anche di qualcuno che mi facesse visitare il monastero, ma forse per questo potremo attendere domattina, visto che ormai sta calando la sera.» «Certamente. Il corpo è stato sistemato in un luogo che, ne converrete, è il più adatto e sicuro: l'infermeria. Vi farò immediatamente accompagnare da fratello Guy. Vi prego di credere che farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per aiutarvi, sebbene tema che ogni vostro sforzo risulterà vano.» «Ve ne sono grato.» «Bene. Ho fatto preparare per voi una delle camere degli ospiti al piano superiore.» «Vi ringrazio, ma preferirei alloggiare vicino all'oggetto delle mie indagini. Avete delle stanze per gli ospiti nell'infermeria?» «Be', sì... ma sono convinto che un rappresentante di Sua Maestà dovrebbe alloggiare vicino all'abate.» «L'infermeria andrà benissimo», dissi con fermezza. «E avrò bisogno di un mazzo di chiavi completo, che apra le porte di tutti gli edifici interni al monastero.» L'abate sorrise incredulo. «Ma... avete idea di quante porte ci siano qui, e quante chiavi?» «Sono sicuro che saranno moltissime. E di certo ci saranno dei mazzi completi.» «Io ne ho uno, come pure il priore e il guardiano. Ma vengono usati di continuo.» «Ne ho assolutamente bisogno, signore. Vi prego di provvedere.» Mi alzai, soffocando un gemito di dolore per uno spasmo alla schiena. Mark si alzò a sua volta. L'abate Fabian ci imitò in preda allo sconforto, lisciandosi le pieghe della veste. «Farò in modo che siate subito accompagnati in infermeria.» Lo seguimmo nell'androne, dove si congedò con un frettoloso inchino. Sospirai. «Credete che vi darà le chiavi?» chiese Mark. «Oh, penso proprio di sì. Teme l'autorità di Cromwell, ma conosce anche la legge. Se le sue origini sono davvero umili come Goodhaps ci ha
raccontato, l'essere divenuto abate di un così vasto monastero deve significare tutto per lui.» «Però il suo accento è aristocratico.» «Gli accenti si apprendono, anche se con grande fatica. Quello di Lord Cromwell, per esempio, ha ancora un po' della cadenza di Putney, mentre il tuo sa un po' di fattoria.» «M'è parso molto seccato del nostro rifiuto di alloggiare qui.» «Infatti, proprio come lo sarà il vecchio Goodhaps. Ma non posso farci niente: non voglio trovarmi rinchiuso qui dentro sotto l'occhio vigile dell'abate, ho bisogno di sentirmi vicino al luogo del delitto.» Qualche minuto dopo fummo raggiunti dal priore Mortimus, che portava una gran quantità di chiavi tenute insieme da un anello di ferro. Ce n'erano più di trenta, alcune delle quali enormi, riccamente decorate, vecchie di secoli. Me le porse con un sorriso forzato. «Vi prego di averne gran cura, signore. È l'unico mazzo di riserva che possediamo.» Lo passai a Mark. «Portale tu, ti spiace? Dunque esisteva un mazzo di riserva?» Evitò di rispondere. «Mi è stato domandato di accompagnarvi in infermeria. Fratello Guy vi sta aspettando.» Uscimmo dalla casa e oltrepassammo le fucine ormai chiuse per la notte. Una gelida notte senza luna. Ero esausto, e il freddo pareva penetrarmi fin nelle ossa come una lama di pugnale. Passammo di fronte alla chiesa, dalla quale si levavano le note delle salmodie. Una splendida ed elaborata polifonia, con un accompagnamento d'organo; niente a che vedere con gli stonati gorgheggi cui ero stato abituato a Lichfield. «Chi è il maestro del coro?» chiesi. «Fratello Gabriel, il sacrista. È un uomo dai molti talenti.» Colsi una nota sardonica nella voce del priore. «Non è un po' tardi per i vespri?» «Un poco. Ieri erano i Morti e i monaci sono rimasti in chiesa tutto il giorno.» Scossi il capo. «Ogni monastero osserva degli orari propri, che sono sempre meno rigidi di quanto disponga la regola di san Benedetto.» Il priore annuì serio. «E Lord Cromwell ha ragione quando dice che i monaci dovrebbero sempre dimostrarsi all'altezza della propria missione. Per quanto è in mio potere, io faccio in modo che sia così.»
Proseguimmo lungo il muro del chiostro che delimitava gli alloggi monacali ed entrammo nel vasto giardino che avevo visto qualche ora prima. Lì accanto, più ampia di quanto mi aspettassi, sorgeva l'infermeria. Il priore aprì la serratura della massiccia porta, e noi lo seguimmo all'interno. Ci ritrovammo in una sala oblunga, con i letti che correvano lungo le pareti, ben distanziati l'uno dall'altro, quasi tutti vuoti. Il numero di benedettini s'era davvero fatto esiguo: soltanto nel momento della loro massima espansione, prima della Grande Pestilenza, avrebbero potuto avere bisogno di un'infermeria tanto grande. Solo tre letti erano occupati, da monaci anziani in tenuta da notte. Nel primo sedeva un frate grasso e rubicondo intento a mangiare frutta secca, che ci osservò incuriosito. L'uomo nel letto accanto non guardò verso di noi, e capii perché quando notai gli occhi lattei, accecati dalle cateratte. Nel terzo un monaco molto anziano, il viso emaciato, ridotto a una maschera di rughe, giaceva in preda al delirio. Una figura con una cuffia bianca e la veste blu dei servitori era china su di lui, e gli asciugava premurosamente la fronte con un panno. Con mia somma sorpresa compresi che si trattava d'una donna. Seduti a un tavolo, accanto a un piccolo altare, cinque o sei monaci giocavano a carte, le braccia fasciate dopo i salassi. Ci osservarono circospetti. La donna si voltò. Era giovane, sulla ventina. Era alta e slanciata, un fisico prosperoso e un viso squadrato dai lineamenti marcati, gli zigomi sporgenti. Non era bella, ma di certo colpiva. Ci raggiunse, osservandoci con intelligenti occhi d'un azzurro intenso che abbassò pudica solo all'ultimo momento. «Il nuovo commissario regio desidera vedere fratello Guy», disse il priore con voce perentoria. «I signori alloggeranno qui, che venga preparata loro una stanza.» Per un istante, i due si scambiarono uno sguardo carico d'antipatia. Poi la giovane annuì con una riverenza. «Sì, fratello.» Si allontanò, scomparendo dietro una porta accanto all'altare. Aveva un portamento composto e sicuro di sé, cosa alquanto insolita per una fanciulla del popolo. «Una donna all'interno del monastero», constatai. «È contrario alle ingiunzioni.» «Abbiamo una dispensa, come molte case religiose, che ci permette di dar loro lavoro in infermeria. Il tocco gentile d'una donna esperta di medicina è assai apprezzato, sebbene dubito si possa ottenere della gentilezza
dalle mani di quella sfrontata. Ha modi insolenti, il frate infermiere non è abbastanza severo con lei.» «Fratello Guy?» «Fratello Guy di Malton - di Malton ma non da Malton, come avrete modo di vedere.» La giovane ritornò. «Se volete seguirmi, signori, vi accompagnerò nel dispensario.» Parlò con accento locale, la voce morbida e insieme roca. «Allora, vi lascio.» Il priore fece un inchino e se ne andò. La fanciulla osservò l'abbigliamento di Mark, che per l'occasione si era messo in ghingheri. Sotto il mantello imbottito di pelliccia portava una casacca blu a coprire una tunica gialla, dalla quale spuntava la brachetta. Gli occhi di lei si spostarono sul suo viso; Mark attirava gli sguardi di molte donne, ma l'espressione della giovane era differente: colsi un'inaspettata tristezza nei suoi occhi. Mark le fece un sorriso accattivante, e lei arrossì. Le feci cenno con una mano. «Vi prego, fateci strada.» La seguimmo in un angusto corridoio buio, lungo il quale si aprivano delle porte. Una era socchiusa, e all'interno intravidi un anziano monaco seduto nel letto. «Alice, sei tu?» chiese l'uomo con voce lamentosa. «Sì, fratello Paul», rispose lei con dolcezza. «Sarò subito da voi.» «Il tremito ritorna.» «Ora vi porto del vino tiepido.» L'uomo sorrise, rassicurato, e la ragazza proseguì, fermandosi di fronte a un'altra porta. «Questo è il dispensario di fratello Guy, signori.» Con un piede sfiorai una brocca di pietra posata sul pavimento fuori della porta. Con mia grande sorpresa mi resi conto che era tiepida, e mi chinai per osservarla meglio. La brocca era colma d'un liquido scuro e vischioso. Annusai e balzai in piedi, lanciando alla fanciulla uno sguardo sgomento. «Che cos'è?» «Sangue, signore. Nient'altro che sangue. Il frate infermiere sta sottoponendo i monaci ai salassi invernali. Il sangue lo conserviamo per le erbe, è un ottimo concime.» «Non ho mai sentito una cosa simile. Pensavo che ai monaci fosse vietato versare del sangue, persino agli infermieri. Dei salassi dovrebbe occuparsene il cerusico.» «Fratello Guy è medico, e per questo ha una dispensa, signore. Sostiene che nel posto da cui viene, conservare il sangue è una pratica assai comune. Vi domanda di pazientare ancora qualche istante. Ha appena comincia-
to a salassare fratello Timothy, e deve assicurarsi che tutto proceda bene.» «D'accordo. Vi ringrazio. Vi chiamate Alice?» «Alice Fewterer, signore.» «Allora dite pure al vostro padrone che lo attenderemo. Non vogliamo certo che il suo paziente muoia dissanguato.» La giovane si congedò con un inchino e si allontanò, il rumore dei tacchi di legno che riecheggiava sul pavimento lastricato. «Una fanciulla davvero ben fatta», osservò Mark. «Hai ragione. Strana occupazione, questa, per una ragazza. Penso proprio che la tua brachetta l'abbia assai divertita.» «Odio i salassi», disse per cambiare argomento. «L'unico che ho fatto mi ha lasciato spossato per giorni. Ma dicono che servano a equilibrare gli umori.» «Be', il Signore Iddio m'ha fatto d'umore melanconico e non credo che un salasso possa cambiarmi. Ora, vediamo che cosa abbiamo qui.» Sganciai il grosso mazzo di chiavi dalla cinta, scrutandole alla fioca luce di una lanterna a muro, fino a che non ne individuai una con la scritta INF. La provai e la porta s'aprì. «Non dovremmo attendere, signore?» chiese Mark. «Non abbiamo tempo per i convenevoli.» Presi la lanterna dalla parete. «È la nostra occasione di scoprire qualcosa sul conto dell'uomo che ha rinvenuto il cadavere.» La stanzetta era imbiancata a calce, assai ordinata, l'aria intrisa d'un intenso odore di spezie. Il lettino per i pazienti era ricoperto da un lindo panno bianco. Accanto ai ferri da chirurgo, dei piccoli fasci d'erbe pendevano appesi ad alcuni ganci. Su una delle pareti c'era una complessa carta astrologica, mentre sul muro opposto spiccava una grossa croce di legno scuro in stile spagnolo, alla quale era crocifisso un Cristo d'alabastro dalle ferite vermiglie. Sotto un'alta finestra era posizionato uno scrittoio, sul quale erano meticolosamente disposte piccole pile di documenti fermati da pietre graziose. L'occhio mi cadde su alcune prescrizioni scritte in inglese e in latino. Mi avvicinai agli scaffali e passai in rassegna vasetti e flaconi, tutti accuratamente etichettati con iscrizioni latine. Sollevai il coperchio di un grosso barattolo e vi trovai delle sanguisughe. Quel luogo era esattamente come ci si aspettava: c'erano calendule essiccate contro la febbre, aceto per le ferite profonde, polveri per il mal d'orecchie. In cima all'ultimo scaffale notai tre libri. Un volume stampato di Galeno
e uno di Paracelso, entrambi in francese. Il terzo, dalla copertina di pelle preziosamente decorata, era un manoscritto redatto in una strana lingua dai riccioli puntuti. «Guarda qua, Mark.» Il giovane guardò da dietro le mie spalle. «Una sorta di codice medico?» «Non saprei.» Pur avendo l'orecchio teso, non udii alcun rumore di passi, e trasalii nel sentire un educato colpo di tosse alle mie spalle. «Vi prego di fare attenzione, signore», mi disse una voce dallo strano accento. «Quel libro ha per me un valore inestimabile. È un trattato di medicina araba, e non figura sulla lista reale di testi proibiti.» Ci voltammo. Un monaco alto, sulla cinquantina, con il viso scavato e austero, ci guardava con occhi placidi e profondi. Con mia grande sorpresa, notai che aveva il volto scuro come legno di quercia. Mi era capitato d'incontrare degli uomini di colore a Londra, nei pressi del porto, ma nessuna di quelle creature mi aveva mai fissato dritto negli occhi. «Vi sarei molto grato se poteste restituirmi quel volume», disse con voce blesa e gentile, rispettosamente ma con grande fermezza. «Fu dato in dono a mio padre dall'ultimo emiro di Granada.» Glielo porsi e lui mi ringraziò con un aggraziato inchino. «Mastro Shardlake e mastro Poer, suppongo?» «Esatto. E voi siete fratello Guy di Malton?» «Sì. Vedo che disponete della chiave del mio studio. Di solito solo la mia assistente Alice ha il permesso di entrarvi in mia assenza, per evitare che si faccia disordine fra le erbe e le pozioni. Assumere una dose sbagliata di queste polveri potrebbe rivelarsi letale, capite?» Il suo sguardo guizzò sugli scaffali. Arrossii mio malgrado. «Ho fatto molta attenzione a non toccare nulla, signore.» Accennò un inchino. «Molto bene. E in che modo posso essere utile al rappresentante di Sua Maestà?» «Gradiremmo poter alloggiare qui. Avete delle stanze per gli ospiti?» «Certo. Alice sta già provvedendo. Tuttavia, quest'ala dell'infermeria è in gran parte occupata dai monaci più anziani. Necessitano spesso d'assistenza notturna, e potrebbero causarvi disturbo. Di solito gli ospiti trovano più confortevole alloggiare nella residenza dell'abate.» «Noi preferiremmo rimanere qui.» «Come desiderate. Posso fare altro per voi?» Parlò con grande rispetto ma, inspiegabilmente, quella domanda mi fece sentire come uno sciocco
paziente cui viene chiesto di elencare i propri sintomi. Nonostante l'aspetto bizzarro, il frate infermiere era di certo un uomo di grande carisma. «Se non ho frainteso, il cadavere del commissario è stato affidato alla vostra custodia?» «Esatto. Giace in una cripta del cimitero secolare.» «Vorremmo esaminarlo.» «Ma certamente. Nel frattempo, forse, gradirete rinfrescarvi e riposare un poco dopo il lungo viaggio. Cenerete in compagnia dell'abate?» «No, penso ci uniremo ai monaci in refettorio. Ma un'ora di riposo ci farà bene. A proposito di quel libro», aggiunsi, «siete saraceno di nascita?» «Sono di Malaga, che ora si trova in Castiglia anche se in passato era parte dell'emirato di Granada. Quando Granada è caduta in mano spagnola, nel 1492, i miei genitori si sono convertiti al cristianesimo, ma hanno incontrato innumerevoli difficoltà. In seguito ci siamo trasferiti in Francia, a Lovanio, città internazionale, e le cose sono un po' migliorate. Ovviamente la loro madrelingua era l'arabo.» Sorrise garbato, ma i suoi occhi neri come il carbone erano vigili. «Avete studiato medicina a Lovanio?» Ero sbalordito, trattandosi dell'istituzione più prestigiosa d'Europa. «Dovreste prestare servizio alla corte di un nobile o di un monarca, non in un remoto monastero.» «Avete ragione; ma essere un saraceno spagnolo ha i suoi svantaggi. Nel corso degli anni sono rimbalzato dalla Francia all'Inghilterra come una delle palline per la pallacorda del vostro re Enrico.» Sorrise ancora. «Sono rimasto a Malton, nello Yorkshire, per cinque anni, e ho mantenuto quel nome quando sono giunto qui. E se quanto si dice risponde a verità, presto sarò di nuovo di partenza.» Ricordai che fratello Guy era uno dei monaci informati delle intenzioni di Singleton. Di fronte al mio silenzio, l'uomo annuì riflessivo. «Dunque, vi accompagnerò nella vostra stanza e tornerò fra un'ora, in modo che possiate esaminare il cadavere del commissario Singleton. Il poveretto merita una sepoltura cristiana.» Si fece il segno della croce, sospirando. «È già un'impresa ardua per l'anima di un uomo assassinato trovare la pace, senza aver avuto la possibilità di confessare i propri peccati e senza aver ricevuto il sacramento dell'estrema unzione.» Capitolo sette Ci fu assegnata una stanza piccola ma confortevole, le pareti rivestite da
pannelli di legno e della paglia fresca e profumata sul pavimento. Il fuoco crepitava nel camino, davanti al quale erano state disposte due sedie. Quando fratello Guy ci fece accomodare, trovammo la giovane Alice intenta a disporre delle salviette accanto a una brocca d'acqua calda. «Pensavo avreste gradito rinfrescarvi, signori», disse la giovane con deferenza. Le sorrisi. «Molto gentile da parte vostra.» «Avevo davvero bisogno di riscaldarmi le ossa», le disse Mark con un largo sorriso. Lei chinò il capo e fratello Guy gli rivolse uno sguardo di rimprovero. «Grazie, Alice», disse. «Puoi andare.» Lei fece un inchino e uscì dalla stanza. «Spero troverete la stanza di vostro gradimento. Ho già fatto sapere all'abate che cenerete in refettorio.» «Perfetto. Vi ringrazio per il disturbo.» «Per qualunque altra cosa, domandate pure ad Alice.» Lanciò a Mark un altro sguardo affilato. «Ma vi prego di tenere a mente che la cura dei monaci malati la tiene sempre molto impegnata. Inoltre, fatta eccezione per qualche cuoca più anziana, è l'unica donna in questo luogo. Ed è sotto la mia personale tutela.» Mark arrossì. Io feci un inchino. «Lo ricorderemo, signore.» «Vi ringrazio, mastro Shardlake. Vi lascio soli.» «Vecchio bisbetico», borbottò Mark quando la porta si chiuse. «L'ho soltanto guardata, e a lei non è dispiaciuto affatto.» «La ragazza è sotto la sua responsabilità.» Mark osservò il nostro giaciglio, un alto letto padronale sotto il quale scivolava, montata su ruote, una branda di legno per il servitore. Estrasse la cuccetta e lanciò un'occhiata sconsolata alla dura asse di legno ricoperta da un sottile materasso di paglia, prima di sfilarsi la giacca e sedercisi sopra. Io mi diressi verso l'anfora e mi detersi il viso con un po' d'acqua tiepida, lasciando che mi gocciolasse sul collo. Ero esausto; la testa mi girava come un caleidoscopio, all'interno del quale si muovevano le facce e le impressioni delle ultime ore. Gemetti. «Grazie a Dio siamo soli.» Mi sedetti sulla seggiola. «Per tutti i fulmini, sono davvero distrutto.» Mark levò lo sguardo, preoccupato. «La schiena vi fa molto male?» Sospirai. «Una notte di riposo mi rimetterà in sesto.» «Siete sicuro, signore?» Esitò. «Abbiamo delle salviette, potremmo pre-
parare un impacco... da applicare sulla schiena.» «No!» sbottai. «Te l'ho già detto, starò benissimo!» Non sopportavo l'idea di mostrare il mio dorso deforme. Lo permettevo solo al mio medico, e soltanto in casi d'estrema necessità. Mi alzai e andai alla finestra, affacciata sulla buia e deserta corte interna. Dopo qualche istante mi voltai. Mark mi guardava, un misto di risentimento e preoccupazione dipinto in volto. Levai una mano in segno di scusa. «Mi dispiace, non avrei dovuto alzare la voce.» «Non era mia intenzione farvi arrabbiare.» «Lo so, lo so. Sono stanco e inquieto, nient'altro.» «Inquieto?» «Lord Cromwell esige rapidi risultati, e io mi domando se sarò all'altezza della sua fiducia. Avevo sperato di... non so, di trovare un monaco fanatico già rinchiuso o, almeno, un chiaro indizio che potesse presto portare alla scoperta del colpevole. Goodhaps non è stato d'alcun aiuto; è tanto terrorizzato da temere la propria ombra. E gli officiali paiono ossi piuttosto duri. Come se non bastasse, ci sono i vaneggiamenti di quel certosino che blatera di stregoneria. Jesu, che pasticcio. L'abate, poi, è ben preparato in materia di giurisprudenza; non stento a credere che Singleton abbia incontrato delle difficoltà.» «Non potete fare miracoli, signore.» «Eppure Lord Cromwell li esige.» Mi distesi sul letto, gli occhi fissi al soffitto. Solitamente essere alle prese con un nuovo caso mi procura un senso di piacevole eccitamento, ma questa volta non riuscivo a trovare il bandolo di quell'intricata matassa. «È un luogo assai tetro, questo», disse Mark. «I corridoi di pietra scura, questi archi. L'assassino potrebbe nascondersi ovunque.» «Già, ricordo quanto mi spaventasse il dedalo di corridoi pieni di echi ai tempi della scuola, quando mi mandavano a fare una commissione. Tutte quelle porte oltre le quali non si poteva andare.» Provai a suonare più incoraggiante. «Ma ora ho un mandato che mi garantisce ogni accesso. Questo è un luogo come qualunque altro, e presto sapremo orientarci.» Non ottenni risposta e, sentendolo respirare sonoramente, compresi che Mark si era addormentato. Chiusi gli occhi anch'io per quel che mi parve un istante, e fui svegliato da qualcuno che bussava forte alla porta. Mark si svegliò di soprassalto, esclamando per lo spavento. Mi alzai subito, sorprendentemente riposato da quel sonno involontario, la mente di nuovo all'erta. Andai ad aprire. Fratello Guy attendeva sull'uscio reggendo
una candela che proiettava ombre bizzarre sullo scuro viso preoccupato. Mi guardò serio. «Siete pronto per esaminare il cadavere, signore?» «Prontissimo.» Presi il mantello. Nel vestibolo dell'infermeria incontrammo Alice, che portò una lampada per il frate infermiere. Fratello Guy si gettò un pesante manto sulle spalle e ci fece strada lungo un cupo corridoio dall'alto soffitto a volte. «Faremo più in fretta passando per il chiostro», disse aprendo una porta che dava sul cortile. La corte era inaspettatamente assai graziosa, illuminata dalle numerose finestre che rilucevano del bagliore delle candele, e tutt'intorno correva un porticato coperto, sostenuto da elaborati archi. Lì, tempo addietro, i monaci studiavano, seduti in piccoli banchetti esposti alle intemperie; ora, in un'epoca dai molli costumi, quello era diventato un luogo ideale per passeggiare conversando. A ridosso di una colonna c'era il lavatorium, un'elaborata vasca di pietra usata per lavarsi le mani, dove una fontanella gorgogliava sommessa. Il delicato bagliore delle finestre della chiesa proiettava variopinti riflessi sul terreno. In quel fascio di luce danzavano insoliti granelli di polvere, ma da principio non compresi che aveva ricominciato a nevicare. Il cortile si era già imbiancato. Fratello Guy ci fece strada. «Siete stato voi a scoprire il cadavere, se non sbaglio.» «Sì. Alice e io ci stavamo occupando di fratello August, che aveva la febbre alta e soffriva molto. Volevo portargli del latte caldo, così mi recai nelle cucine.» «E quella porta è di norma chiusa a chiave?» «Certo. Altrimenti la servitù, e temo anche i miei confratelli, vi entrerebbero in continuazione. Io posseggo una chiave per le necessità urgenti dei miei malati.» «Erano le cinque del mattino?» «Il campanile aveva appena suonato le ore.» «Il mattutino era già iniziato?» «No, noi lo cantiamo piuttosto tardi. Verso le sei.» «La regola di san Benedetto lo vorrebbe a mezzanotte.» L'uomo fece un sorriso gentile. «San Benedetto ha scritto la sua regola per i monaci italiani, signore, non per chi, come noi, è costretto a sopportare i rigidi inverni inglesi. Il servizio viene comunque officiato, e giunge alle orecchie di Dio.»
Il religioso aprì un'altra porta e ci ritrovammo in un'ampia sala dalle pareti riccamente affrescate con scene bibliche. La stanza era punteggiata da sgabelli e sedie imbottite, un lungo tavolo disposto davanti a un fuoco acceso. L'aria calda e stantia era pervasa da un intenso odore di corpi. La stanza ospitava una ventina di monaci. Alcuni chiacchieravano, altri leggevano, e quattro o cinque erano riuniti attorno a un tavolo per una partita a carte. Ogni frate aveva accanto a sé un grazioso bicchierino di cristallo riempito d'un liquido verde, proveniente da una grossa bottiglia di liquore poggiato sulla tavola dei giocatori. Mi guardai attorno in cerca del certosino, ma non notai alcun abito bianco fra tutte quelle vesti nere; anche fratello Gabriel, il sodomita dai capelli incolti, e Mortimus, il priore dallo sguardo tagliente, mancavano. Un giovane monaco dal viso smunto, spruzzato da ciuffi di peluria, doveva aver appena perso una partita, a giudicare dall'espressione infastidita che aveva dipinta in volto. «Ci devi uno scellino, fratello», disse con voce allegra un frate alto e dall'aria cadaverica. «Dovrete attendere. Mi toccherà chiedere un anticipo al tesoriere.» «Niente più anticipi, fratello Athelstan!» Un vecchio paffuto seduto lì accanto, il volto deturpato da un'escrescenza verrucosa su una guancia, agitò un dito nella sua direzione. «Fratello Edwig dice che con tutti gli anticipi che chiedi, spendi la tua paga prima ancora d'essertela guadagnata...» Vedendomi s'interruppe, e i confratelli balzarono in piedi, salutandomi con un inchino. Uno di questi, un giovane tanto obeso che persino la chierica era solcata da pieghe di grasso, fece cadere a terra il proprio bicchiere. «Septimus, sei uno zuccone!» Il suo vicino gli sferrò una potente gomitata, e il grassone si guardò attorno, lo sguardo vacuo tipico dei semplici di mente. Il monaco dal volto deturpato si fece avanti, inchinandosi di nuovo in modo ossequioso. «Sono fratello Jude, signore, l'elemosiniere del monastero.» «Mastro Matthew Shardlake, commissario regio. Vedo che state trascorrendo una piacevole serata.» «Un po' di svago prima del vespro. Gradite un goccio di questo squisito liquore, commissario? Viene dai conventi delle nostre sorelle francesi.» Scossi il capo. «Ho ancora del lavoro da sbrigare», dissi severo. «In origine, i membri del vostro ordine usavano concludere le loro giornate con il silenzio.» Fratello Jude esitò. «Era molto tempo fa, signore, nei giorni precedenti
la Grande Pestilenza. Da allora il mondo ha accelerato la sua corsa precipitosa verso la fine.» «Penso che il mondo inglese stia funzionando assai bene sotto re Enrico.» «No, no...» si precipitò a dire. «Non intendevo...» Il monaco alto che sedeva al tavolo da gioco ci raggiunse. «Perdonate fratello Jude, signore, egli parla senza riflettere. Io sono fratello Hugh, il tesoriere. Sappiamo bene di avere bisogno di correzione, commissario, e l'accetteremo con gioia.» Fulminò il confratello con lo sguardo. «Bene. Questo semplificherà il mio compito. Fratello Guy, andiamo, abbiamo un cadavere da esaminare.» Il giovane monaco obeso si fece avanti con passo incerto. «Perdonate la mia goffaggine, mio buon signore. Questa gamba mi fa molto soffrire, ho un'ulcerazione», disse rivolgendomi uno sguardo afflitto. Fratello Guy gli mise una mano sulla spalla. «Se seguissi la dieta che ti ho prescritto, Septimus, le tue povere gambe non dovrebbero sopportare un simile peso. Non c'è da stupirsi che se ne lamentino.» «Sono debole, fratello, non posso rinunciare alla carne.» «Talvolta rimpiango che il Concilio Lateranense abbia abolito il divieto di consumare carne. Ora scusaci, Septimus, ma abbiamo da fare. Sarai lieto di sapere che il commissario Singleton riceverà presto degna sepoltura.» «Sia lodato il Signore. Temevo di avvicinarmi al cimitero. Un corpo non sepolto, un uomo che non ha confessato i propri peccati...» «Sì, sì. Ora vai, è quasi l'ora del vespro.» Fratello Guy lo scostò gentilmente di lato, e ci fece strada verso un'altra porta, che dava sulla notte. Dinanzi a noi si aprì una distesa di terreno piatto, punteggiato da lapidi e spettrali sagome bianche, che presto compresi essere tombe di famiglia. Fratello Guy alzò il cappuccio per ripararsi dalla neve, che ora cadeva fitta. «Dovete perdonare fratello Septimus», disse. «È una creatura semplice e sventurata.» «Non c'è da stupirsi che le gambe gli dolgano», osservò Mark. «A portare tutto quel peso.» «I monaci trascorrono ogni giorno lunghe ore nel gelo della chiesa, mastro Poer, e un consistente strato di grasso non è poi così malsano. È il rimanere sempre in piedi a provocare ulcerazioni varicose. Non è una vita comoda, la nostra. E il povero Septimus non possiede l'acume necessario per capire che cosa sia meglio per lui.»
Rabbrividii. «Andiamo, non è il clima adatto per le chiacchiere all'aria aperta.» Tenendo alta la lampada, fratello Guy ci fece strada fra le pietre tombali. Gli domandai se, quando era giunto nelle cucine quel mattino, avesse trovato la porta chiusa a chiave. «Sì», rispose. «Sono entrato dalla porta che dà sul chiostro, che di notte è sempre chiusa a chiave, poi ho attraversato il breve ingresso che conduce nelle cucine. La cucina vera e propria non è mai chiusa, poiché l'unico accesso è dato da quel passaggio. Ho aperto la porta e ho messo il piede su di una sostanza scivolosa. Abbassando la lampada, ho visto il corpo decapitato.» «Anche mastro Goodhaps ha detto di essere scivolato. Dunque il sangue era liquido?» Il frate infermiere rifletté un istante. «Sì, non si era ancora rappreso.» «Quindi il delitto era stato appena compiuto?» «Sì, doveva essere accaduto da poco.» «E dirigendovi verso le cucine non avete scorto nessuno?» «No.» Fui soddisfatto di notare che la mia mente era di nuovo lucida e ricettiva. «Chiunque abbia ucciso Singleton dev'essersi sporcato di sangue. Gli abiti, le calzature.» «Io non ho visto nessuno. Ma confesso di non aver pensato a guardarmi attorno, ero sconvolto. In seguito, certo, quando l'intero monastero è stato svegliato, abbiamo trovato impronte insanguinate ovunque, di tutti coloro che erano entrati nelle cucine.» Considerai un istante le sue parole. «In seguito l'assassino potrebbe essersi recato in chiesa, aver profanato l'altare e rubato la reliquia. Nessuno di voi ha notato tracce insanguinate che attraversavano il chiostro fino alla chiesa?» Fratello Guy mi guardò, scuro in viso. «La chiesa era imbrattata di sangue, ma abbiamo creduto fosse quello del gallo sacrificato. Per quanto concerne il chiostro, ha cominciato a piovere prima dell'alba e ha continuato per l'intera giornata. Le tracce saranno state tutte cancellate.» «Che cosa avete fatto dopo aver rinvenuto il cadavere?» «Sono andato subito dall'abate, ovviamente. Eccoci arrivati.» Ci condusse nella più ampia delle cripte, un edificio a un solo piano su una piccola altura, costruito nell'onnipresente pietra calcarea gialla. A chiuderlo una massiccia porta di legno, ampia appena da permettere il pas-
saggio di una bara. Sbattei gli occhi per far cadere i fiocchi di neve che si erano attaccati alle ciglia. «Bene, mettiamoci al lavoro.» Il religioso estrasse una chiave e io feci un respiro profondo, rivolgendo una silenziosa preghiera a Dio affinché rendesse forte il mio stomaco normalmente assai delicato. Dovemmo chinarci per entrare nella camera dal basso soffitto, con le pareti imbiancate a calce. Il freddo era pungente, il vento filtrava come una lama da una piccola finestra sbarrata. Nell'aria c'era il vago odore di morte, comune a tutte le tombe. Alla fioca luce della lampada, vidi che sulle pareti erano allineati dei sarcofagi di pietra, i cui coperchi erano decorati da sculture raffiguranti i defunti, le mani congiunte sul petto in segno di supplica. Gli uomini, in gran parte, indossavano armature di secoli passati. Fratello Guy posò la lampada a terra e si mise a braccia conserte, infilando le mani nelle lunghe maniche della tonaca per riscaldarle un poco. «La cripta Fitzhugh», spiegò. «I membri di questa famiglia sono stati gli originari fondatori del monastero, e sono tutti sepolti qui. L'ultimo discendente ha perso la vita nelle guerre civili del secolo scorso.» Il silenzio di quell'ambiente fu d'improvviso rotto da un fragoroso strepito metallico. Trasalii involontariamente, come pure fece fratello Guy, gli occhi sgranati nel viso scuro. Mi voltai e vidi Mark chinarsi a raccogliere il mazzo di chiavi dell'abate. «Chiedo venia, signore», bofonchiò. «Pensavo fossero ben strette.» «Madre Santissima!» sbottai. «Fai più attenzione!» Le gambe mi tremavano. Al centro della stanza troneggiava un grosso candelabro di metallo completo di candele. Fratello Guy le accese usando la sua lampada, e nel dorato bagliore che inondò la camera funebre ci condusse a un sarcofago dal coperchio senza decorazioni né iscrizione. «Questa tomba è l'unica a non avere un occupante permanente e mai ne avrà uno. L'ultimo erede maschio è deceduto a Bosworth al fianco di re Riccardo III.» Sorrise mestamente. «Sic transit gloria mundi.» «Il corpo di Singleton è deposto lì dentro?» chiesi. Il religioso annuì. «Si trova qui da quattro giorni, ma il freddo dovrebbe averlo ben preservato.» Feci un altro respiro profondo. «Allora togliamo il coperchio. Mark, aiutalo.» Mark e fratello Guy sollevarono faticosamente la pesantissima pietra per
posarla sulla tomba accanto. Da principio la lastra parve resistere ai loro sforzi, poi cedette tutta in una volta. In un istante la stanza fu invasa da un odore nauseante. «Non quanto mi aspettavo», mormorò il frate. Fratello Guy guardò all'interno, facendosi il segno della croce. Io mi avvicinai, appoggiandomi al sarcofago. Il corpo era avvolto in un bianco panno di lana. Soltanto i piedi e i polpacci erano scoperti, candidi come alabastro, le unghie lunghe e giallastre. Dal collo era fuoriuscito un rivolo di sangue acquoso, e da sotto la testa, che era stata posata accanto al corpo, si estendeva una chiazza di sangue più scuro. Osservai il volto di Robin Singleton, cui mi ero contrapposto tempo addietro in tribunale. Era un uomo snello, sulla trentina, con capelli corvini e un lungo naso. Le guance livide erano spruzzate di una nera peluria, corta e ispida, e mi sentii rivoltare lo stomaco alla vista di quel capo posto su una pietra chiazzata di sangue anziché sul collo. Dalla bocca socchiusa si intravedeva il biancore dei denti. Gli occhi di un azzurro intenso erano spalancati nella fissità della morte. Deglutendo, mi voltai e m'avvicinai alla finestrella sbarrata per una boccata di fresca aria notturna. Cercando di soffocare un conato di bile, costrinsi una parte del mio cervello a riordinare ciò che avevo appena visto. Mark mi raggiunse. «State bene, signore?» «Certo.» Voltandomi, vidi fratello Guy a braccia conserte, composto, che mi scrutava meditabondo. Anche Mark era vagamente impallidito, ma ritornò al sarcofago per osservare la spaventosa testa mozzata. «Bene, Mark, che cosa pensi delle modalità del decesso?» domandai. Il giovane scosse il capo. «Come ci aspettavamo, l'uomo è stato decapitato.» «Certo non pensavo fosse morto di malaria. Ma osservando il cadavere, possiamo trarre qualche particolare in più, non credi? Tanto per cominciare, direi che l'aggressore doveva essere per lo meno d'altezza medio-alta.» Fratello Guy mi rivolse uno sguardo incuriosito. «Che cosa ve lo fa pensare?» «Be', prima di tutto, Singleton era molto alto.» «Difficile a dirsi, senza la testa», disse Mark. «Ho avuto occasione di incontrarlo in tribunale. Ricordo d'essere stato costretto a torcermi il collo per poterlo guardare in viso.» Mi costrinsi a raggiungere il cadavere per osservarlo ancora. «Inoltre, vedete come il collo è stato tagliato di netto? Si appoggia perfettamente sulla pietra. Se al
momento dell'aggressione Singleton e il suo assalitore erano entrambi in piedi, il che sembra alquanto probabile, un uomo basso avrebbe dovuto colpire puntando verso l'alto, cioè inclinando l'arma, e il taglio non sarebbe risultato così preciso.» Fratello Guy annuì. «È giusto. Madre Santissima, signore, avete l'occhio d'un medico.» «Vi ringrazio, anche se passare la vita a esaminare simili scempi non è una delle mie massime aspirazioni. In ogni caso, ho già avuto modo d'osservare una testa mozzata. Ne rammento la...» cercai la parola adatta, «meccanica.» Incontrai lo sguardo incuriosito del monaco e affondai le unghie nel palmo della mano, mentre ricordavo il giorno che tanto avrei voluto dimenticare. «E, visto che siamo in argomento, osservate la precisione del colpo sferrato: la testa è stata decapitata di netto, impresa ardua anche quando la vittima è inginocchiata e ha il capo sopra un ceppo.» Mark osservò nuovamente e annuì ancora una volta. «Sì. Le scuri sono difficili da maneggiare. Ho sentito dire che per Tommaso Moro un solo colpo non sia bastato. Ma se Singleton fosse stato chinato? Magari per raccogliere qualcosa da terra? O fosse stato costretto ad abbassarsi?» Riflettei un istante. «Già. Ottima osservazione. In questa evenienza, però, il corpo avrebbe dovuto essere piegato. E fratello Guy se ne ricorderebbe.» Gli rivolsi uno sguardo indagatore. «Era diritto», disse il monaco pensieroso. «Tutti noi abbiamo pensato alla difficoltà di decapitare un uomo a quel modo. Uno strumento di cucina non basterebbe allo scopo, nemmeno un grosso coltello. Per questa ragione alcuni dei miei confratelli temono si sia trattato di stregoneria.» «Ma quale arma sarebbe in grado di mozzare in un sol colpo la testa di un uomo che si trovi in piedi?» chiesi. «Una scure? Non penso, è troppo spessa. Servirebbe una lama sottile e molto affilata, come quella d'una spada. In effetti, credo che soltanto una spada avrebbe potuto procurare un taglio così netto. Che cosa ne pensi, Mark? Sei tu lo spadaccino, qui.» «Penso abbiate ragione.» Rise nervoso. «Soltanto i membri delle famiglie reali e della nobiltà hanno il privilegio di essere giustiziati con la lama d'una spada.» «Proprio perché una spada affilata assicura una rapida fine.» «Come per Anna Bolena?» disse Mark. Fratello Guy si fece il segno della croce. «La regina accusata di stregoneria», disse pacato. «Esattamente a quell'episodio stavo pensando», dissi a voce bassa. «L'u-
nica decapitazione cui abbia mai assistito. Quella di Anna Bolena.» Capitolo otto Uscimmo e aspettammo che fratello Guy chiudesse la cripta. La neve cadeva più fitta ora, un turbinio di grossi fiocchi candidi. Il terreno si era già imbiancato. «Per fortuna durante il viaggio il tempo è stato più clemente», disse Mark. «Se non smette, però, avremo dei problemi per il ritorno. Forse dovremo partire via mare.» Fratello Guy ci raggiunse e ci guardò serio. «Signore, domani vorremmo dare degna sepoltura al povero commissario Singleton. Vorrei tranquillizzare la comunità, e permettere alla sua anima di trovare finalmente la pace.» «Dove avete intenzione di seppellirlo? Qui? Non aveva famiglia.» «Nel cimitero laico. Se voi lo permettete.» Annuii. «Molto bene. Ho visto abbastanza, la sua immagine s'è impressa nella mia mente in modo sin troppo vivido.» «Ne avete dedotto molto, signore.» «Intuizioni puramente accademiche.» Stando accanto a fratello Guy percepii un lieve profumo, simile al legno di sandalo. Aveva sicuramente un odore migliore dei suoi confratelli. «Riferirò all'abate che potremo disporre per il funerale», disse con sollievo. Le campane della chiesa rimbombarono, facendomi trasalire. «Non ho mai udito uno scampanio così fragoroso. L'ho notato anche prima.» «Le campane sono troppo grandi per il campanile, è vero. Ma la loro storia è davvero interessante. Provengono infatti dall'antica cattedrale di Tolosa.» «E come mai sono giunte sin qui?» «Hanno seguito un percorso travagliato. La cattedrale fu distrutta nel corso dell'attacco arabo di ottocento anni fa, e le campane prese come trofeo. Furono ritrovate a Salamanca quando la città venne riconquistata nel nome di Cristo, e donate a Scarnsea per la fondazione del monastero.» «In ogni modo, penso che delle campane più piccole si adatterebbero meglio a questo luogo.» «Ormai noi ci siamo abituati.»
«Dubito che io riuscirò a fare altrettanto.» Abbozzò un rapido sorriso mesto. «Dovete biasimare i miei antenati arabi.» Raggiungemmo il chiostro proprio mentre i monaci stavano uscendo in processione dalla chiesa. Quella vista mi riportò vividamente alla memoria un'immagine di molti anni prima: una trentina di monaci benedettini vestiti di nero, i cappucci sollevati e le mani infilate nelle ampie maniche per proteggersi dalla neve che cadeva silenziosa, procedevano nel bagliore delle vetrate illuminate di una chiesa. Uno spettacolo magnifico che, mio malgrado, mi commosse. Fratello Guy ci ricondusse nella nostra stanza, promettendo di tornare di lì a poco per accompagnarci in refettorio. Ci scrollammo la neve dai mantelli, poi Mark estrasse il suo lettino e si sdraiò. «Come pensate che uno spadaccino possa aver ucciso Singleton, signore? Credete gli abbia teso un agguato e lo abbia colpito alle spalle?» Cominciai a disfare il mio bagaglio, ordinando libri e incartamenti. «È possibile. Ma che cosa ci faceva Singleton nelle cucine alle quattro del mattino?» «Forse era lì che aveva il suo appuntamento.» «Già, pare la spiegazione più plausibile. Qualcuno potrebbe averlo attirato lì con la promessa di un'informazione, per poi ucciderlo. O, per meglio dire, giustiziarlo. Questa faccenda ha il sapore di una vera e propria esecuzione. Accoltellarlo alle spalle sarebbe stato molto più semplice.» «Aveva l'aria di essere un uomo vigoroso», disse Mark. «Anche se vederlo ridotto in quel modo non mi aiuta a immaginarlo bene.» Fece una risata stridula, e compresi che lo scempio aveva impressionato anche lui. «Robin Singleton era un genere d'avvocato che io detesto. Le sue conoscenze in materia legale erano scarse e confuse. In compenso era prepotente e bugiardo, sempre pronto, all'occorrenza, a far scivolare qualche moneta d'oro nella mano giusta. Ma non meritava d'essere ucciso in quel modo orribile.» «Non ricordavo che avete assistito all'esecuzione della regina Anna Bolena, signore.» «Vorrei poterlo dimenticare anch'io.» «Almeno ne avete tratto qualche insegnamento?» Annuii tristemente e gli rivolsi un sorriso amareggiato. «Rammento un docente che ho avuto il primo anno agli Inns of Court, il dottor Hamptons.
Ci insegnò a comprendere che cosa fossero le prove. 'Nel corso di un'indagine', ci domandava sempre, 'quali sono le circostanze più rilevanti? Nessuna', ruggiva in risposta. 'Tutte le circostanze sono rilevanti, e ogni cosa deve essere esaminata da ogni possibile angolazione!'» «Non dite così, signore. Rischieremmo di rimanere bloccati qui per sempre.» Si stiracchiò con un gemito. «Potrei dormire per dodici ore filate, persino su questo vecchio tavolaccio.» «Be', ma non possiamo, non ancora. Voglio incontrare la congregazione al completo in refettorio. Se vogliamo ottenere qualche risultato, dobbiamo imparare a conoscere questa gente. Forza, non c'è riposo per chi viene chiamato al servizio di Lord Cromwell.» Sferrai un calcio all'umile giaciglio, facendo scivolare Mark sotto il mio letto con un grido. Fratello Guy ci condusse in refettorio attraverso un dedalo di bui corridoi, e poi su per una scala. Era un salone impressionante, con l'alto soffitto sostenuto da massicce colonne e ampi archi a volta. Nonostante le dimensioni, gli arazzi alle pareti e la spessa stuoia sul pavimento conferivano alla stanza un aspetto confortevole. In un angolo era sistemato un leggio magnificamente intagliato. Dei candelabri carichi di grosse candele diffondevano una calda luce su due tavoli apparecchiati con preziose stoviglie. Uno, preparato per sei, era posto proprio davanti al fuoco mentre l'altro, molto più lungo, stava più lontano. I servitori si affaccendavano avanti e indietro, portando caraffe di vino e zuppiere d'argento, dalle quali si levavano intensi aromi. Esaminai la posateria del tavolo più vicino al fuoco. «Argento», notai rivolto a fratello Guy. «Come le stoviglie.» «Quella è la tavola degli obedenziari, gli officiali anziani del monastero. Gli altri confratelli usano stoviglie in peltro.» «Per la gente comune c'è il legno», osservai, mentre l'abate Fabian entrava svelto nella sala. I servitori interruppero le loro mansioni per inchinarsi, ricevendo in risposta benevoli cenni del capo. «L'abate, di certo, cenerà in piatti d'oro», mormorai a Mark. L'uomo ci raggiunse, rivolgendoci un sorriso tirato. «Non mi era stato comunicato che desideravate cenare in refettorio. Avevo fatto preparare del roast beef nei miei alloggi.» «Vi ringrazio, ma ceneremo qui.» «Come desiderate.» L'abate sospirò. «Avevo proposto a mastro Goodhaps di unirsi a voi, ma rifiuta categoricamente di lasciare la sua stanza.» «Fratello Guy vi ha riferito che ho dato l'autorizzazione per la sepoltura
del commissario Singleton?» «Sì, lo ha fatto. Darò l'annuncio prima di cena. La lettura di questa sera tocca a me. In inglese, in conformità alle nuove ingiunzioni», aggiunse solenne. «Bene.» Ci fu un po' di trambusto all'ingresso, poi i monaci cominciarono a sfilare all'interno del refettorio. I due officiali che avevamo già conosciuto, fratello Gabriel e fratello Edwig, si diressero assieme verso il loro tavolo, in silenzio. Una strana coppia, davvero: il sacrista alto e biondo, il capo chino, e l'economo bruno, che procedeva con passo alquanto sicuro. A loro si unirono il priore, i due officiali che avevo incontrato nella sala capitolare e fratello Guy. Il resto della comunità prese posto alla tavolata più lunga. Fra loro scorsi il vecchio certosino, che mi lanciò uno sguardo velenoso. L'abate si protese in avanti. «Ho saputo che fratello Jerome vi ha recato offesa. Mi scuso in sua vece. I suoi voti gli impongono il silenzio durante i pasti.» «Se ho ben compreso, è stato ospitato nella vostra casa dietro richiesta di un membro della famiglia Seymour.» «Il nostro vicino, Sir Edward Wentworth. Ma la richiesta è partita dal gabinetto di Lord Cromwell.» Mi guardò di traverso. «Voleva che Jerome fosse sistemato in un luogo tranquillo e appartato. La sua parentela con la regina Jane avrebbe potuto essere fonte d'imbarazzo.» Annuii. «Da quanto tempo si trova qui?» L'abate guardò il viso corrucciato di Jerome. «Diciotto lunghi mesi.» Osservai la tavolata dei monaci, che mi sbirciavano con occhi diffidenti, come fossi una bestia rara. Notai che erano quasi tutti in là con gli anni, con poche facce giovani e soltanto tre novizi. Un monaco anziano, il capo tremante a causa di una paralisi, mi guardò facendosi un frettoloso segno della croce. Poi la mia attenzione fu catturata da una figura che indugiava sulla soglia. Riconobbi il novizio che si era occupato dei cavalli al nostro arrivo. Ciondolava a disagio da un piede all'altro, tenendo qualcosa dietro la schiena. Il priore Mortimus, che aveva già preso posto a tavola, alzò lo sguardo. «Simon Whelplay!» sbottò. «La tua penitenza non è ancora terminata. Niente cena per te questa sera. Vai a metterti nell'angolo.» Il ragazzo chinò la testa e andò a sistemarsi nel cantuccio più lontano dal fuoco. Portò le mani avanti, e vidi che teneva in mano un copricapo appun-
tito marcato dalla lettera «M». Arrossendo, lo indossò. Gli altri monaci lo notarono a stento. «M?» chiesi. «Per maleficium», disse l'abate. «Temo abbia infranto le regole. Ma vi prego, accomodatevi.» Mark e io prendemmo posto accanto a fratello Guy, mentre l'abate si diresse al leggio. Notai che vi era deposta una Bibbia e fui compiaciuto nel constatare che si trattava della versione inglese, e non della Vulgata latina, zeppa d'errori di traduzione e invenzioni. «Fratelli», tuonò l'abate Fabian, «siamo tutti rimasti profondamente scossi da quanto è accaduto di recente. Sono dunque lieto di dare il benvenuto al rappresentante del vicario generale, il commissario Shardlake, venuto qui allo scopo di far luce su questa triste faccenda. Avrà modo di parlare con molti di voi, quindi vi prego sin d'ora di dare all'emissario di Lord Cromwell tutta la collaborazione che merita.» Lo guardai diffidente: quelle parole celavano un doppio senso. «Mastro Shardlake ha autorizzato la sepoltura del commissario Singleton, e il servizio funebre sarà celebrato dopodomani, al termine del mattutino.» Fra i commensali si levò un mormorio di sollievo. «E ora, la lettura di questa sera. Apocalisse, capitolo 7: 'E dopo quelle cose vidi quattro angeli ai quattro angoli della terra...'» Fui sorpreso della sua scelta, perché l'Apocalisse era il testo preferito dai riformisti più ferventi, bramosi di svelare al mondo i suoi violenti misteri. Il passaggio parlava della chiamata dei salvati nel Giorno del Giudizio. Lo interpretai come un affronto, poiché intendeva identificare la comunità di Scarnsea con l'esercito dei giusti. «'Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide con il sangue dell'Agnello'», proseguì, e alla fine esclamò: «Amen», poi chiuse la Bibbia e se ne andò dal refettorio con passo solenne. Di certo il suo roast beef lo stava aspettando in sala da pranzo. Non appena fu uscito si levò fra i monaci un chiacchiericcio sommesso, mentre un gruppetto di servitori fece il suo ingresso per servire la zuppa, un delizioso brodo di verdura, denso e riccamente speziato. Non avevo pranzato e la mia attenzione rimase focalizzata per un minuto buono sulla scodella prima che potessi levare lo sguardo su Whelplay, ancora immobile come una statua nell'ombra. Dalla finestra alle sue spalle vidi che la neve cadeva ancora fitta. Mi voltai verso il priore, che mi sedeva di fronte.
«Il novizio non merita nemmeno un poco di questa magnifica zuppa?» «Non per quattro giorni ancora. Deve rimanere in piedi in quell'angolo durante i pasti come parte della penitenza. Deve imparare. Mi credete troppo severo, signore?» «Quanti anni ha il ragazzo? Non ne dimostra nemmeno diciotto.» «Ne ha quasi venti, sebbene non si direbbe tanto è pelle e ossa. Il suo noviziato è stato prolungato, perché ha avuto difficoltà nell'apprendere il latino, malgrado possieda discrete doti musicali. Assiste fratello Gabriel. Simon Whelplay ha bisogno d'imparare l'obbedienza. È stato punito, fra le altre cose, per aver evitato i servizi in inglese. Quando impartisco una penitenza, cerco sempre di dare una lezione esemplare che resti impressa nella mente del colpevole come in quella di tutti gli altri.» «P-parole sante, fratello priore», disse l'economo, annuendo con vigore. Mi sorrise, un sorriso freddo, un rapido squarcio sul viso paffuto. «Sono fratello Edwig, commissario, l'economo», si presentò mentre appoggiava il cucchiaio d'argento nella scodella, che aveva rapidamente vuotato. «Dunque voi siete il responsabile della gestione dei fondi del monastero?» «Della loro r-riscossione e della loro g-gestione. Devo f-fare attenzione che le spese non superino mai le entrate», aggiunse. La balbuzie non bastava a soffocare l'autocompiacimento nella sua voce. «Credo di avervi intravisto nella corte questo pomeriggio, discutevate di alcune opere di restauro, se non vado errato, con uno dei vostri confratelli.» Spostai lo sguardo sull'alto monaco dai capelli chiari che, in quell'occasione, aveva guardato Mark con occhi lascivi. Ora gli sedeva quasi di fronte, e non faceva che rivolgergli occhiate furtive, evitando, tuttavia, un contatto visivo diretto. Si accorse del mio, però, e si protese in avanti per presentarsi. «Gabriel di Ashford, commissario. Sono sacrista, e anche maestro del coro; mi occupo della chiesa, della biblioteca e della musica. Pochi come siamo, ciascuno di noi ha dovuto assumersi più di un ufficio.» «Un centinaio d'anni fa sareste stati quanti, almeno il doppio? E ho sentito che la chiesa ha bisogno di restauri.» «Proprio così, signore.» Fratello Gabriel si fece ancor più vicino, e quasi rovesciò la zuppa a fratello Guy. «Avete visitato la nostra chiesa?» «Non ancora. Ho in programma di farlo domani.» «Abbiamo la chiesa normanna più bella della costa meridionale. Ha più di quattrocento anni, e non ha nulla da invidiare alle case benedettine di
Normandia. Nel soffitto, però, s'è aperta una brutta crepa. Va assolutamente riparata, ma dobbiamo usare la medesima pietra per farlo, perché si armonizzi con il resto dell'edificio...» «Fratello Gabriel», lo interruppe brusco il priore. «Mastro Shardlake ha questioni ben più importanti cui pensare dell'architettura della nostra chiesa. E forse, per i suoi gusti, è persino troppo ricca», aggiunse eloquente. «Di certo la nuova dottrina non rifiuta la bellezza architettonica, vero?» «Solo quando incoraggia la congregazione a venerare l'edificio anziché Nostro Signore», risposi. «Poiché si tratterebbe d'idolatria.» «Non intendevo nulla del genere», disse il sacrista con voce sincera. «Volevo solo dire che in ogni grande edificio l'occhio dovrebbe soffermarsi sulla giustezza delle proporzioni, sull'armonia delle linee...» Fratello Edwig lo guardò con una smorfia. «Ciò che il mio c-confratello intende dire è che per soddisfare le sue nozioni estetiche il monastero dovrebbe fare b-bancarotta, importando enormi blocchi di pietra c-calcarea dalla Francia. Sarei davvero c-curioso di sapere come intenderebbe farli ttraghettare oltre la palude.» «Il monastero non dispone forse di fondi sufficienti?» chiesi. «Ho letto che le rendite fondiarie ammontano a ottocento sterline l'anno, e che gli affitti sono in continuo aumento, come la povera gente ben sa a proprie spese.» In quel mentre i servitori tornarono, portando abbondanti porzioni di carpa fumante e grosse marmitte di verdura. Fra di loro notai una donna, una vecchia dal naso adunco, e pensai che Alice dovesse sentirsi molto sola, se quella era la sua unica compagnia femminile. Mi rivolsi nuovamente all'economo, che si era scurito in viso. «La t-terra è stata venduta di recente, p-per svariate ragioni. E la somma che fratello Gabriel domanda supera di cinque volte i fondi che ogni anno noi d-destiniamo alle opere di restauro. Assaggiate una di queste magnifiche c-carpe, signore. Sono state pescate nel nostro vivaio giusto questa mattina.» «Ma non potreste ricavare il denaro necessario dalle eccedenze annuali che di certo avrete?» «Vi ringrazio, signore. È precisamente quanto vado sostenendo», disse fratello Gabriel. L'espressione accigliata dell'economo si fece ancora più minacciosa. Posò il cucchiaio, agitando le piccole mani paffute. «Una gestione dei conti p-prudente ci impedisce di aprire un così ingen-
te buco nelle entrate dei p-prossimi anni, signore, poiché i tassi d'interesse le prosciugherebbero in men che non si dica. La politica dell'abate si riflette in un b-b-bilancio...» Si fece paonazzo in viso per l'eccitazione del momento, perdendo il controllo della sua balbuzie. «Equilibrato», concluse il priore con un aspro sorriso. Mi porse una carpa e affondò il coltello nel pesce, aprendolo in due con entusiasmo. Fratello Gabriel lo guardò torvo e bevve un sorso di delizioso vino bianco. Mi strinsi nelle spalle. «In ogni modo, la questione non mi riguarda.» Fratello Edwig posò la propria coppa. «Mi scuso per essermi t-tanto infervorato. È un c-contrasto di vecchia data fra il sacrista e me.» E di nuovo un rapido squarcio gli attraversò il viso, lasciando intravedere dei denti bianchi. Annuii gravemente in segno di comprensione, poi rivolsi lo sguardo alla finestra, oltre la quale la neve continuava a cadere, su un manto ormai spesso. Dalla finestra entrò un refolo di vento e, sebbene fossi seduto proprio di fronte al fuoco, sentii un brivido lungo la schiena. Nel suo angolo, il novizio diede un colpo di tosse. La testa abbassata sotto il cappello appuntito era in ombra, ma notai che le gambe gli tremavano. Il silenzio fu rotto da una voce stridente. «Stolti! Non ci sarà nessuna nuova chiesa. Non avete ancora capito che il mondo sta precipitando verso la fine? L'Anticristo è fra noi!» Il certosino s'era alzato per metà dalla panca. «Mille anni di devozione a Dio, in tutte queste case di preghiera, stanno per volgere al termine. Presto non rimarrà nulla, edifici vuoti e silenzio, silenzio che il diavolo riempirà dei suoi ruggiti!» La voce s'era fatta un grido, mentre gli occhi feroci si posavano su ciascuno dei presenti. I monaci distolsero lo sguardo. Voltandosi sulla panca, fratello Jerome perse l'equilibrio e cadde scompostamente, il volto contorto dal dolore. Il priore Mortimus si alzò e batté una mano sul tavolo. «Per tutti i santi! Fratello Jerome, allontanatevi immediatamente dal refettorio e tornate nella vostra cella finché l'abate non deciderà che cosa fare di voi. Portatelo via!» Il monaco seduto accanto sollevò il certosino prendendolo per le braccia, lo mise in piedi senza tante cerimonie e lo trascinò fuori dal refettorio. Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle, un sospiro di sollievo collettivo riempì l'aria. «Ancora le mie più sentite scuse a nome di tutta la comunità», mi disse il priore. Un mormorio d'assensi attraversò la tavolata. «Vi chiedo di perdonarlo soltanto in considerazione della sua malattia.»
«Chi crede sia l'Anticristo? Io, forse? Lord Cromwell, più probabilmente, o forse Sua Maestà il re?» «No, signore, no.» Un brusio ansioso si levò dalla tavolata degli obedenziari. Il priore Mortimus strinse le labbra. «Fosse per me, Jerome sarebbe messo alla porta domani stesso, a urlare la sua demenza per le strade fino a farsi rinchiudere nella Torre o al manicomio, perché è lì che dovrebbe stare. L'abate lo tiene qui solo perché ha bisogno dei favori di suo cugino. Sapete della parentela di Jerome con la regina defunta?» Annuii. «Ma questo è davvero troppo. Dovrà andarsene.» Levai una mano, scuotendo il capo. «I vaneggiamenti d'un folle non mi impressionano.» Percepii un palpabile senso di sollievo nei commensali. Abbassai nuovamente la voce, in modo che soltanto gli obedenziari potessero sentire. «Vorrei che fratello Jerome fosse fatto rimanere, potrei avere bisogno d'interrogarlo. Ma ditemi, ha riservato a mastro Singleton il medesimo trattamento?» «Sì», rispose franco il priore. «Quando è arrivato, fratello Jerome lo ha avvicinato in cortile e gli ha dato dello spergiuro e del bugiardo. Ma il commissario Singleton gli ha reso pan per focaccia, definendolo un bastardo pagano.» «Spergiuro e bugiardo. Accuse più specifiche degli insulti generici che ha poi rivolto a me. Mi domando che cosa intendesse.» «Dio solo sa che cosa si agita nella mente di un folle.» Fratello Guy si protese verso di me. «Sarà anche folle, commissario, ma non avrebbe mai potuto uccidere il commissario Singleton. L'ho avuto in cura. Il suo braccio sinistro è completamente paralizzato, i legamenti lacerati. Anche la gamba destra è ridotta male e, come avete potuto osservare, non ha più il senso dell'equilibrio. A stento riesce a rimanere in piedi, figuriamoci impugnare un'arma per decapitare un uomo. Ho già avuto modo di curare le conseguenze della tortura, in Francia», aggiunse in tono più pacato, «ma non mi era ancora accaduto in Inghilterra. Ho saputo che si tratta d'una novità.» «La legge la consente in casi d'estrema minaccia allo Stato», risposi, colpito. Sentii su di me gli occhi di Mark e ne compresi la delusione e la tristezza. «Per quanto sia deplorevole», aggiunsi con un sospiro. «Ma ora torniamo al povero Singleton. È probabile che fratello Jerome sia troppo malato per commettere un omicidio, ma potrebbe essere stato un complice.» «No, signore, mai, no», si levò un coro di voci attorno al tavolo. Sui vol-
ti degli officiali lessi la paura di poter essere collegati all'omicidio e al tradimento, e alle loro atroci conseguenze. Ma gli uomini, pensai, sono assai abili nel celare i loro reali pensieri. Fratello Gabriel si protese in avanti ancora una volta, il viso smunto tirato in una maschera d'inquietudine. «Signore, qui nessuno condivide le idee di fratello Jerome e la sua presenza è una grande sventura. Noi desideriamo soltanto vivere in pace la nostra esistenza di preghiere, leali al sovrano e obbedienti alle forme di adorazione che egli ha dettato.» «Questa volta, almeno, il mio confratello parla per tutti», aggiunse sonoramente l'economo. «Dico 'amen' a queste parole.» Un coro di «amen» seguì lungo la tavolata. Annuii in segno di riconoscenza. «Ciò non toglie che il commissario Singleton sia morto. Dunque, ditemi, chi credete possa averlo ucciso? Fratello economo? Fratello priore?» «G-gente di fuori», disse fratello Edwig. «Stava andando al suo appuntamento e d-deve averli sorpresi. Streghe, adoratori di Satana. Hanno fatto irruzione in c-chiesa, l'hanno profanata e hanno rubato la nostra reliquia, poi sono incappati nel p-povero Singleton e lo hanno ucciso. La persona che doveva incontrare, di c-chiunque si trattasse, di certo ha preso p-paura per tutto quel trambusto.» «Mastro Shardlake ha ipotizzato che l'omicida potrebbe essersi servito d'una spada», aggiunse fratello Guy. «E gente simile non si servirebbe mai d'una spada, per timore di essere scoperta.» Mi rivolsi a fratello Gabriel. Sospirò profondamente, facendo correre le dita fra i riccioli selvaggi intorno alla chierica. «Nonostante la perdita della mano del buon ladrone - una vera tragedia, una reliquia tanto preziosa del calvario di Nostro Signore - tremo al pensiero di quel che il profanatore potrebbe farne.» Era teso in viso. Mi ricordava uno di quei teschi che avevo visto nel gabinetto di Lord Cromwell, e riflettei nuovamente sull'immenso potere delle reliquie. «Si sa di qualcuno in particolare che pratichi le arti magiche da queste parti?» chiesi. Il priore scosse il capo. «Un paio di levatrici in paese, ma sono solo vecchie che spacciano innocue pozioni d'erbe.» «Chi può sapere con quali mezzi operi il demonio in questo mondo di peccatori?» sussurrò fratello Gabriel. «La nostra benedetta esistenza ci tiene al riparo dai suoi malefici, ma fuori di queste mura...» Rabbrividì. «E non dimentichiamo i servitori», aggiunsi. «Tutti e sessanta.»
«Soltanto una decina vive nel monastero», disse il priore. «E tutti gli edifici sono chiusi a chiave durante la notte, sorvegliati da mastro Bugge e dal suo secondo, sotto la mia personale supervisione.» «I servitori che vivono nel monastero sono i più anziani e fidati», aggiunse fratello Gabriel. «Quale motivo avrebbero mai potuto avere per uccidere un ospite tanto illustre?» «E che motivo avrebbe avuto un monaco, o un abitante del villaggio? Be', vedremo. Domattina scambierò due parole con alcuni di voi.» Gli sguardi diventarono afflitti. I servitori ritornarono per portare via i piatti e sostituirli con coppe di pudding. La tavolata rimase in silenzio finché non se ne furono andati. L'economo prese una cucchiaiata di dolce. «Ah, che bontà», disse. «Un vero toccasana in una notte tanto fredda.» D'improvviso s'udì uno schianto. Tutti trasalirono e si voltarono verso il novizio, che era svenuto. Fratello Guy s'alzò esclamando indignato, la veste fluttuante mentre si precipitava verso Simon Whelplay che giaceva esanime sulla spessa stuoia. Lo seguii con fratello Gabriel e poi fummo raggiunti dal priore, un'espressione seccata dipinta in volto. Il ragazzo era bianco come un cencio. Mentre fratello Guy gli sollevava delicatamente la testa, il giovane si lamentò e riaprì piano gli occhi. «Va tutto bene», disse fratello Guy con voce gentile. «Hai perso conoscenza. Ti sei fatto male?» «La testa. Ho picchiato la testa. Domando perdono...» D'improvviso gli occhi gli si riempirono di lacrime, il mento sottile prese a tremare e il ragazzo cominciò a singhiozzare in modo penoso. Il priore sbuffò. Fui sorpreso nel vedere gli occhi di fratello Guy colmarsi di rabbia. «Non c'è da sorprendersi che questo poveretto stia piangendo, fratello priore! Quand'è stata l'ultima volta che ha consumato un pasto decente? È ridotto pelle e ossa.» «Ha ricevuto pane e acqua. Sapete benissimo, fratello infermiere, che si tratta di una penitenza prevista dalla regola di san Benedetto...» Fratello Gabriel gli si rivolse, furioso. «Il santo non intendeva certo far morire di fame i servi del Signore! Avete fatto lavorare Simon come uno schiavo nelle stalle, per poi lasciarlo ore fuori al freddo.» Il pianto del novizio si trasformò in un violento attacco di tosse, e il pallido viso avvampò d'improvviso, mentre il giovane cercava disperatamente di respirare. Il frate infermiere auscultò con orecchio esperto il ronzio del suo petto. «I polmoni sono colmi di muco. Voglio che sia immediatamente traspor-
tato in infermeria!» Il priore sbuffò nuovamente. «È forse colpa mia se questo ragazzo è fragile come il vetro? Il lavoro che gli ho assegnato era finalizzato a rafforzarlo. Di questo ha bisogno...» La voce di fratello Gabriel tuonò nel refettorio. «Date a fratello Guy l'autorizzazione di portare Simon in infermeria, o devo rivolgermi direttamente all'abate Fabian?» «Portate via questo incapace!» sbottò il priore. Poi ritornò a tavola. «Mollezza! La mollezza e la mancanza di vigore segneranno la nostra fine!» Scrutò i monaci presenti con occhi minacciosi, mentre fratello Gabriel e il frate infermiere scortavano il novizio in preda a convulsi colpi di tosse fuori dal refettorio. Fratello Edwig si schiarì la voce. «Fratello p-priore, penso che ora potremmo rendere grazie e alzarci. È quasi l'ora della c-compieta.» Il priore Mortimus recitò una frettolosa preghiera e gli officiali si alzarono, mentre il resto della comunità rimase in attesa che questi uscissero, prima di alzarsi da tavola. Passandomi vicino, fratello Edwig mi si rivolse con fare untuoso. «Mastro Shardlake, sono davvero d-desolato che la vostra cena sia stata disturbata per ben d-due volte. Increscioso, davvero increscioso. Vi chiedo p-perdono a nome di tutti i miei confratelli.» «Niente affatto, fratello. Più conosco la vita di Scarnsea, più informazioni ne traggo per le mie investigazioni. A questo proposito, vi sarei grato se poteste rendervi disponibile domani, con i registri contabili più recenti. Ci sono certe questioni, emerse dalle indagini del commissario Singleton, che vorrei discutere con voi.» Confesso che mi divertì osservare lo sconcerto dipinto sul viso dell'economo. Poi il religioso annuì, e io raggiunsi Mark, che guardava fuori della finestra. La neve cadeva ancora, soffocando ogni suono e rendendo indistinte le ricurve figure incappucciate che s'apprestavano ad attraversare il chiostro dirette verso la chiesa per la compieta, l'ultima funzione della giornata. Ancora una volta le campane presero a battere i loro possenti rintocchi. Capitolo nove Rientrati nella nostra stanza, Mark si distese nuovamente sulla sua branda. Ma sebbene io fossi stanco quanto lui, sentii il bisogno di riordinare le impressioni su tutto quel che era accaduto durante la cena. Mi diressi verso
la brocca d'acqua e me ne spruzzai un po' sul viso, poi andai a sedermi vicino al fuoco. Dalla finestra, giungevano deboli le note dei canti. «Ascolta», dissi. «La compieta. I monaci pregano Dio di vegliare sulle loro anime al termine della giornata. Be', che cosa pensi della santa comunità di Scarnsea?» Gemette. «Sono troppo stanco per pensare.» «Forza, è stato il tuo primo giorno in un monastero. Che cosa ne hai tratto?» Riluttante, si levò sui gomiti e assunse un'espressione assorta. I primi lievi segni sulla pelle liscia erano accentuati dalle ombre proiettate dalla candela. Un giorno, pensai, si sarebbero trasformati in rughe profonde, come le mie. «Mi pare un mondo di contraddizioni. Da un lato sembrano vivere in un universo a parte. Le vesti nere, tutte quelle preghiere. Fratello Gabriel sostiene che sono separati dal mondo dei peccatori. Eppure, avete visto come mi ha guardato ancora, quel cane? E poi tutti questi agi. Camini crepitanti, arazzi, un cibo delizioso come non ne avevo mai assaggiato. E il gioco delle carte, nemmeno fossero in una taverna.» «Già. San Benedetto, come pure Lord Cromwell, sarebbero disgustati da tutto questo lusso. L'abate Fabian si dà arie da gran signore... e lo è davvero, visto che, come molti abati, siede nella Camera dei Pari.» «Penso che il priore non nutra una grande simpatia nei suoi confronti.» «Il priore Mortimus si definisce un simpatizzante della Riforma, un oppositore delle agiatezze. Di certo è convinto che sia giusto accanirsi contro i propri subordinati. E pare goderne, direi.» «Mi ricorda un paio dei miei insegnanti.» «Gli insegnanti non infliggono punizioni che portino al collasso. Molti genitori avrebbero avuto da ridire sul trattamento inferto a quel ragazzo. A quanto pare, però, non ci sono tutori per i novizi, le vocazioni scarseggiano, e i ragazzi sono sotto il totale controllo del priore.» «Il frate infermiere si è esposto per aiutare il giovane. Mi è parsa una brava persona, sebbene sembri essere stato arrostito allo spiedo.» Annuii. «Anche fratello Gabriel si è esposto. Ha minacciato di scavalcare il priore. Non riesco proprio a immaginare l'abate Fabian preoccuparsi per il benessere dei suoi novizi, ma se la brutalità del priore dovesse eccedere, sarebbe costretto a prendere provvedimenti per evitare degli scandali. Be', ora li abbiamo conosciuti tutti, i cinque che erano a conoscenza del vero motivo della visita di Singleton. L'abate Fabian, il priore Mortimus,
fratello Gabriel, fratello Guy. E, ovviamente, l'economo...» «F-fratello Edwig», gli fece il verso Mark. Sorrisi. «Inciamperà pure nelle parole, ma il suo potere è grande.» «M'è parso viscido come una serpe.» «Già, non piace neppure a me. Ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze. Il più abile imbroglione ch'io abbia mai incontrato aveva i modi di un vero nobiluomo. E poi, l'economo non era qui la notte dell'omicidio.» «Ma perché mai uno di loro avrebbe dovuto uccidere Singleton? Ora Lord Cromwell ha un motivo in più per esigere la chiusura del monastero.» «Forse il movente era personale. Forse Singleton aveva scoperto qualcosa. È rimasto qui piuttosto a lungo.» «Mastro Goodhaps ha detto che stava esaminando i registri contabili il giorno in cui è stato ucciso.» Annuii. «Già, ecco perché voglio vederli anch'io. Ma non faccio che pensare alle modalità dell'omicidio. Se qualcuno avesse voluto ridurlo al silenzio, una coltellata sarebbe stata sufficiente. Perché profanare la chiesa, poi?» Mark scosse il capo. «Mi chiedo dove l'assassino abbia nascosto la spada, sempre che sia stata usata una spada. E la reliquia. E i suoi abiti, di certo imbrattati di sangue.» «Questo immenso labirinto deve offrire migliaia di nascondigli.» Riflettei un istante. «D'altro canto, gran parte degli edifici è frequentata in continuazione.» «E i fabbricati annessi che abbiamo visto? Le fucine, il birrificio e via discorrendo?» «Quelli in particolare. A mano a mano che impareremo a conoscere il monastero, dovremo tenere gli occhi ben aperti, in modo da individuare i luoghi che possono essere serviti allo scopo.» Mark sospirò. «L'assassino potrebbe aver sotterrato la spada e gli abiti. Ma se la neve non smette di cadere, non saremo mai in grado di scovare cumuli di terra fresca.» «È vero. Be', domattina io comincerò con l'interrogare il sacrista e l'economo, i due nemici fraterni. E vorrei che tu facessi una chiacchierata con quella ragazza, Alice.» «Ma fratello Guy mi ha fatto chiaramente capire che devo starle alla larga.» «Ho detto che devi parlarle. Nient'altro. Non voglio guai con il frate in-
fermiere. Però tu ci sai fare con le donne, e lei mi è sembrata intelligente. Di certo conosce moltissimi segreti.» Mark mi guardò, visibilmente a disagio. «Non vorrei pensasse che... la sto corteggiando, quando cerco soltanto di ottenere delle informazioni.» «Ottenere informazioni è il nostro preciso dovere. Non c'è affatto bisogno di metterle strane idee in testa. Se ci rivelerà qualcosa d'interessante, farò in modo che sia ricompensata. Potrei trovarle un altro lavoro. Una donna come lei non dovrebbe vivere in mezzo a questi monaci.» Mark mi sorrise. «Allora piace anche a voi, signore. Avete notato che begli occhi ha?» «Di certo non è una fanciulla comune», dissi con distacco. «In ogni caso, non mi pare bello cercare di estorcerle delle informazioni.» «Devi farci l'abitudine, Mark, se desideri lavorare al servizio della legge e dello Stato.» «Sì, signore», disse con poca convinzione. «È solo che... non vorrei metterla in pericolo.» «Non lo voglio neanch'io. Ma potremmo esserlo tutti.» Rimase un istante in silenzio. «Pensate che l'abate possa aver ragione sulla stregoneria? Questo, in effetti, spiegherebbe la profanazione della chiesa.» Scossi il capo. «Più ci penso, più mi convinco che l'omicidio sia stato premeditato. La profanazione potrebbe anche essere stata organizzata per sviare le indagini. Ma di certo l'abate preferirebbe di gran lunga che fosse stata perpetrata da un estraneo al monastero.» «Nessun cristiano dissacrerebbe mai una chiesa a quel modo, papista o riformatore che fosse.» «No, l'intera faccenda è un vero abominio.» Sospirai e chiusi gli occhi, sentendo i muscoli del viso cedere alla stanchezza. Ero troppo esausto per pensare. Risollevai le palpebre e vidi Mark che mi scrutava intensamente. «Avete detto che il corpo del commissario Singleton vi ha ricordato la decapitazione della regina Anna Bolena.» Annuii. «Che cosa terribile.» «La rapidità della sua caduta ha lasciato tutti di stucco, l'anno passato. Sebbene non fosse molto amata.» «Già. Il Corvo di Mezzanotte.» «Dicono che la testa mozzata abbia provato a parlare.» Levai una mano. «Non posso dir nulla a proposito, Mark. Ho assistito
all'esecuzione in veste di funzionario statale. Forza, hai ragione tu, è ora di dormire.» Mi guardò deluso ma non aggiunse altro, e andò a mettere qualche ceppo nel camino. Ci infilammo sotto le coperte. Dal mio letto potevo vedere che la neve cadeva ancora, perché i fiocchi si stagliavano davanti a una finestra illuminata. Evidentemente, alcuni dei monaci rimanevano in piedi fino a tardi, e del resto i giorni in cui in inverno i religiosi si ritiravano prima del buio, per poi alzarsi per la preghiera di mezzanotte, erano sepolti ormai da tempo. Nonostante la stanchezza, non riuscivo a prendere sonno, la mente affollata da mille pensieri. Indugiai in modo particolare su Alice. In quel luogo eravamo tutti potenzialmente in pericolo, ma una donna sola corre sempre maggiori rischi. Ero rimasto colpito dalla forza che le brillava negli occhi. Mi ricordava Kate. Così, sebbene fossi esausto, mi scoprii volare indietro di tre anni. Kate Wyndham era la figlia di un mercante di stoffe londinese accusato di falso in bilancio dal proprio socio, un caso portato dinanzi alla corte ecclesiastica perché si sosteneva che un contratto equivalesse a un patto fatto con Dio. In realtà, il socio era imparentato con un influente arcidiacono, ma io riuscii a far trasferire il caso presso il regio tribunale, dove le accuse furono fatte cadere. Per ringraziarmi, il mercante, che era rimasto vedovo, m'invitò a cenare a casa sua, dove conobbi sua figlia. Kate era fortunata: suo padre credeva che le donne meritassero un'educazione che andasse oltre la semplice gestione dei conti domestici, e lei era dotata di una mente alquanto vivace. Aveva anche un viso dolcissimo a forma di cuore, e folti capelli castani che le cadevano sulle spalle. Non avevo mai conosciuto una donna con la quale potessi parlare su una base paritaria, e lei adorava discutere di questioni legali, di tribunali, persino della Chiesa, poiché l'esperienza del padre aveva trasformato entrambi in ferventi riformatori. Le serate trascorse a conversare con lei e suo padre, e più avanti le lunghe passeggiate pomeridiane in campagna con lei, sono stati i giorni più belli della mia vita. Sapevo che per Kate ero solo un buon amico, tuttavia cominciai a domandarmi se il nostro rapporto non sarebbe potuto sfociare in qualcosa di diverso. Ero già stato innamorato prima di allora, ma non mi ero mai dichiarato per timore di essere rifiutato a causa della mia deformità, ed ero risoluto ad attendere d'aver fatto fortuna, in modo da avere qualcosa da of-
frire per compensare la mia totale mancanza di bellezza. Ma a Kate avrei potuto donare altre cose che sapevo avrebbe apprezzato: buona conversazione, senso di cameratismo, una cerchia d'amici piacevoli. Ancora oggi mi domando che cosa sarebbe accaduto se avessi rivelato prima i miei sentimenti, prima che fosse troppo tardi. Una sera giunsi a casa sua senza essere stato invitato, e la trovai in compagnia di Piers Stackville, il figlio di un socio del padre. All'inizio non me ne preoccupai poiché, sebbene Stackville fosse un adone dai modi artificiosamente raffinati, possedeva ben pochi talenti. Poi, però, la vidi arrossire e sorridere leziosa ai suoi grossolani apprezzamenti; la mia Kate s'era d'improvviso trasformata in una frivola sciocchina. Da quel momento in poi, parlò esclusivamente di Piers, di quel che faceva e diceva, con sospiri e sorrisi che mi laceravano il cuore. Alla fine, mi decisi a rivelarle i miei sentimenti, e lo feci in modo stolto e impacciato, balbettando goffamente. Ma mi scontrai con un'espressione d'assoluta sorpresa. «Matthew, pensavo volessi solo la mia amicizia, non ho mai udito una sola parola d'amore uscire dalle tue labbra. Mi hai taciuto molto.» Le chiesi se fosse troppo tardi. «Se me lo avessi domandato anche solo sei mesi fa...» disse tristemente. «So bene che il mio aspetto non può suscitare passione.» «Perché dici questo?» mi chiese con inatteso ardore. «Hai un bel viso e buone maniere, ma pensi troppo alla tua infermità, nemmeno fossi l'unico uomo a soffrirne. Hai troppa commiserazione di te stesso, Matthew, e troppo orgoglio.» «Allora...» Scosse il capo, gli occhi colmi di lacrime. «È troppo tardi. Amo Piers. Sta per chiedere la mia mano.» Le dissi bruscamente che non era abbastanza per lei, che la noia l'avrebbe consumata, ma lei rispose con impeto che avrebbe presto avuto dei figli e una bella casa di cui occuparsi. Non era forse quello il ruolo adatto a una donna, secondo gli insegnamenti del Signore? Con il cuore infranto, mi accomiatai da lei. Non la rividi mai più. Una settimana dopo, una febbre eruttiva s'abbatté sulla città con la forza di un uragano. Centinaia furono le vittime, che morirono in pochi giorni. L'epidemia non badò alle classi sociali, e falciò anche Kate e suo padre. Ricordo il loro funerale, del quale m'ero preso carico in quanto esecutore testamentario del vecchio, ricordo le casse di legno ca-
late lentamente nel terreno. Osservando Piers Stackville chino sulla bara, il viso sconvolto, compresi che il suo amore per Kate non era inferiore al mio. Mi fece un cenno in segno di ringraziamento, e io risposi con un mesto sorriso. Ringraziai Iddio per essermi almeno liberato dalla falsa dottrina secondo la quale le anime dei defunti devono sopportare le pene del purgatorio. Sapevo che lo spirito puro di Kate avrebbe avuto la salvezza, e avrebbe riposato in eterno al fianco di Cristo. Mentre scrivo queste parole, ho ancora gli occhi pieni di lacrime. Proprio come accadde quella prima notte a Scarnsea. Lasciai che mi rigassero silenziosamente le guance, soffocando i singhiozzi che, svegliando Mark, mi avrebbero esposto a un notevole imbarazzo. Alla fine mi sentii purificato, e mi addormentai. Quella notte, tuttavia, l'incubo tornò. Da mesi non sognavo l'uccisione della regina Anna, ma la vista del cadavere di Singleton ne scatenò il ricordo. Mi ritrovai nuovamente a Tower Green in una luminosa mattina di primavera, una folla immensa assiepata attorno al patibolo ricoperto di paglia. Io ero in prima fila: Lord Cromwell aveva ordinato a tutti i suoi sottoposti di prendere parte all'esecuzione, schierandosi pubblicamente per la morte della regina. Lui mi stava accanto. Era salito al potere grazie all'influenza di Anna Bolena, e ora aveva formulato l'accusa d'adulterio che ne avrebbe segnato la fine. Stava immobile, lo sguardo severo e accigliato, l'incarnazione di una rabbiosa giustizia. Il ceppo era circondato da un consistente strato di paglia, e il sinistro boia incappucciato, venuto dalla Francia, attendeva l'ordine, le braccia conserte. Cercai la spada che la regina aveva richiesto per assicurarsi una fine misericordiosa, ma non la vidi. Chinai il capo con deferenza, poiché mi trovavo fra alcuni degli uomini più importanti del paese: il Lord Cancelliere Audley, Sir Richard Rich, il conte di Suffolk. Rimanemmo tutti immobili come statue, in silenzio sebbene dalla folla alle nostre spalle si levasse un lieve brusio. C'è un melo a Tower Green. Era in fiore, e un merlo cinguettava appollaiato su uno dei suoi rami più alti, incurante di quella moltitudine. Lo osservai, invidiando la sua libertà. Il vociare si fece più intenso, e la regina fece la sua apparizione, fra le dame di corte, un ciambellano con la cotta e alcune guardie dalle rosse tuniche. La regina era dimagrita e smunta, le spalle ossute ricurve sotto un bianco mantello, i capelli raccolti in una cuffia. S'avvicinò al ceppo voltandosi continuamente, come attendesse l'arrivo d'un messaggero con l'or-
dine regio di sospensione della pena. Dopo nove anni di vita a corte, avrebbe dovuto sapere che il grande spettacolo ormai messo in moto non si sarebbe fermato. Giunta presso il patibolo, gli immensi occhi castani cerchiati da occhiaie profonde si guardarono attorno con furia selvaggia in cerca, come avevo fatto anch'io, della spada. Nel mio sogno non c'è nessuno dei lunghi preliminari, nessuna infinita preghiera, nessun discorso della regina che implora i presenti di pregare per il re. Nel mio sogno, la sovrana s'inginocchia rivolta alla folla, e comincia a pregare. Odo ancora le sue flebili, stridenti grida: «Jesu, ricevi la mia anima! Signore Iddio abbi pietà di me!» Poi il boia si china e afferra una possente spada, celata sotto la paglia. Ecco dov'era, penso io, poi arretro e lancio un grido mentre la spada fende l'aria con impressionante velocità e la testa della regina viene recisa con un grosso spruzzo di sangue. Mi sento travolto da un'ondata di nausea e chiudo gli occhi nel rumoroso vociare della folla, rotto da qualche occasionale «urrà». Li riapro nell'udire la formula di rito: «Così periscono i nemici di Sua Maestà», quasi incomprensibile nel forte accento francese del boia. La paglia, come pure i suoi abiti, è imbrattata del sangue che ancora zampilla dal cadavere monco, poi l'uomo solleva la testa gocciolante di Anna Bolena. I papisti dicono che in quell'istante le candele nella chiesa di Dover s'accesero spontaneamente, e un gran numero di sciocche leggende simili circolano per il paese, ma io posso attestare che gli occhi della regina si mossero, dopo la decapitazione, errando selvaggi sulla folla, mentre le labbra s'aprirono come per dire qualcosa. Qualcuno strillò alle mie spalle, e udii un sussurro mentre i presenti, tutti agghindati con gli abiti della festa, si facevano il segno della croce. In verità trascorsero in tutto trenta secondi, e non mezz'ora come è stato detto in seguito, prima che il movimento cessasse. Ma nel mio incubo rivivo sempre ciascuno di quei trenta secondi, implorando che quegli occhi spettrali si chiudano. Poi il boia gettò la testa mozzata in una cassa per frecce che fungeva da bara e, nell'istante in cui questa cadde con un tonfo sordo, io mi svegliai con un grido. Qualcuno bussava alla porta. Rimasi disteso, il respiro affannato, mentre il sudore mi si gelava addosso. Bussarono una seconda volta, poi udii la voce di Alice chiamarmi con insistenza. «Mastro Shardlake! Commissario!» Era notte fonda, il fuoco si stava ormai spegnendo e la camera era ghiacciata. Mark borbottò, rigirandosi sul suo pagliericcio.
«Che cosa c'è?» le risposi con voce tremante, mentre l'incubo che avevo avuto mi faceva battere ancora forte il cuore. «Fratello Guy chiede di vedervi, signore.» «Solo un momento!» Mi alzai e accesi una candela dalle braci. Mark fece lo stesso, gli occhi ancora socchiusi, i capelli arruffati. «Che cosa è successo?» «Non lo so. Rimani qui.» Infilai le calzebrache e aprii la porta. La ragazza mi attendeva, un grembiule bianco sopra la veste. «Vi prego di perdonarmi, signore, ma Simon Whelplay è gravemente malato e domanda di parlarvi. Fratello Guy mi ha detto di venire a svegliarvi.» «Molto bene.» La seguii lungo il corridoio gelato fino a una porta aperta. Udii delle voci: fratello Guy parlava a qualcuno in tono concitato. Raggiunta la soglia, vidi il novizio disteso su una branda. Il viso scintillante di sudore, parlava in preda al delirio, il respiro affannoso. Fratello Guy era seduto accanto al letto, e gli tamponava la fronte con un panno bagnato. «Che cosa lo affligge?» non potei celare il mio nervosismo, poiché sapevo che quelli erano i sintomi della febbre eruttiva. Il frate infermiere mi guardò, serio in volto. «Si tratta d'una congestione dei polmoni. Non c'è da stupirsi, esposto a quel freddo senza cibo. Ha la febbre molto alta. Ma non fa che chiedere di voi. E si calmerà solo quando vi avrà parlato.» Mi avvicinai al letto riluttante, per paura di prendere il contagio. Il ragazzo mi fissò con occhi arrossati. «Commissario, signore», gracidò lamentoso. «Siete stato inviato qui per fare giustizia, non è vero?» «Esatto, sono qui per indagare sulla morte del commissario Singleton.» «Non è stato il primo», mormorò a fatica. «Non il primo. Io lo so.» «Che cosa vuoi dire? Chi altri è morto?» Una serie di convulsi colpi di tosse scossero il suo esile corpo, il muco gorgogliante nel petto. Si distese, esausto. Il suo sguardo cadde su Alice. «Poverina, è una ragazza tanto buona. L'avevo messa in guardia del pericolo...» Scoppiò in lacrime, e i suoi spasmodici singhiozzi si trasformarono in un altro attacco di tosse che pareva pronto a dilaniare la sua fragile struttura. Mi volsi verso Alice. «Che cosa intende dire?» chiesi brusco. «Da che cosa vi ha messo in guardia?» L'ombra dello sconcerto le scurì il viso. «Non capisco, signore. Non mi ha mai messo in guardia. Prima di oggi ci eravamo rivolti la parola a sten-
to.» Guardai fratello Guy, che pareva ugualmente perplesso. Scrutò il ragazzo con occhi ansiosi. «È molto malato, commissario. Ha bisogno di riposare.» «No, fratello, devo fargli ancora qualche domanda. Avete idea di che cosa intendesse dire con quelle parole?» «No, signore. Ne so quanto Alice.» Mi feci più vicino al letto e mi chinai sul giovane. «Simon, spiegami. Alice dice di non aver mai ricevuto alcun avvertimento...» «Alice è buona», gracidò. «Dolce e gentile. Deve essere messa in guardia...» Riprese a tossire, e fratello Guy si frappose tra noi con fermezza. «Devo domandarvi di lasciarlo, commissario. Pensavo che parlarvi lo avrebbe calmato, ma è in preda al delirio. Devo somministrargli una pozione per farlo dormire.» «Vi prego, signore», aggiunse Alice. «Per carità. Vedete da voi quanto sia malato.» Mi allontanai dal ragazzo, che pareva essere sprofondato in uno stato d'esausto stordimento. «Le sue condizioni sono tanto gravi?» chiesi. Il frate infermiere serrò le labbra. «Se la febbre non scenderà presto, morirà. Non avrebbero dovuto impartirgli una simile punizione», aggiunse adirato. «Ho riferito dell'incidente all'abate; verrà a visitare il giovane domattina. Questa volta il priore Mortimus si è spinto troppo oltre.» «Devo scoprire che cosa intendeva. Tornerò domani, ma voglio essere avvisato se le sue condizioni dovessero peggiorare.» «Certamente. Ora vi prego di scusarmi, signore, devo andare a preparare un infuso d'erbe...» Annuii, e il frate infermiere uscì dalla stanza. Rivolsi un sorriso ad Alice, cercando d'apparire rassicurante. «Uno strano affare», dissi. «Non avete proprio idea di che cosa volesse dire? Prima ha sostenuto di avervi messa in guardia, poi che avrebbe dovuto farlo.» «A me non ha mai detto nulla, signore. Quando lo abbiamo portato qui ha dormito un poco, poi, quando la febbre è salita, ha cominciato a chiedere di voi.» «Che cosa avrà voluto intendere quando ha detto che Singleton non è stato il primo?» «Sul mio onore, davvero non saprei, signore», disse la fanciulla in tono
ansioso. Mi voltai verso di lei e le parlai con voce gentile. «Vi sentite esposta a qualche genere di pericolo, Alice?» «No, signore.» Arrossì, e io fui sorpreso nel constatare la rabbia e l'oltraggio che le avevano tinto le gote. «Di tanto in tanto sono stata avvicinata da certi monaci, ma li tengo a bada facendo affidamento sulla protezione di fratello Guy e sul mio cervello. È solo un fastidio, non certo un pericolo.» Annuii, colpito nuovamente dalla forza della sua personalità. «Siete infelice qui?» le chiesi pacato. Si strinse nelle spalle. «È un lavoro. E il mio padrone è una persona buona.» «Alice, se posso esservi d'aiuto o se sentite d'avere qualcosa da dirmi, vi prego di non farvi scrupoli. Non amo l'idea di sapervi in pericolo.» «Vi ringrazio, signore», disse in tono prudente. Non aveva motivo di fidarsi di me più di quanto si fidava dei monaci. Ma forse con Mark si sarebbe aperta. Si voltò di nuovo verso il suo paziente, che aveva cominciato ad agitarsi in preda alla febbre, rischiando di scoprirsi. «Allora vi auguro la buona notte, Alice.» La fanciulla, ancora intenta a calmare il novizio, mi rispose senza alzare lo sguardo. «Buona notte, signore.» Ripercorsi il gelido corridoio. Passando davanti a una finestra, mi fermai e guardai fuori. La neve aveva infine smesso di cadere. Il suo spesso manto intonso, che scintillava candido e intatto sotto i raggi della luna, aveva coperto ogni cosa. Osservando quella terra desolata, punteggiata dalle scure sagome di antichi edifici, mi sentii in trappola, come se mi fossi trovato abbandonato sulla luna. Capitolo dieci Quando mi svegliai, da principio non compresi dove mi trovavo. La luce del giorno, più abbagliante di quella a cui ero abituato, inondava una stanza che non conoscevo. Poi tutto affiorò alla mente, e mi misi a sedere nel letto. Mark, che avevo ritrovato addormentato di ritorno dalla visita al novizio, era già in piedi; aveva acceso il fuoco, s'era infilato le calzebrache e si stava rasando davanti a un catino d'acqua fumante. Dalla finestra vidi il manto nevoso punteggiato qua e là dalle impronte degli uccelli. «Buon giorno, signore», mi disse facendo delle smorfie in un vecchio specchio d'ottone.
«Che ore sono?» «Le nove passate. Il frate infermiere c'informa di rivolgerci a lui per la colazione. Vedendoci così stanchi, ci ha lasciati dormire.» Scesi dal letto. «Non abbiamo tempo da sprecare dormendo! Sbrigati, finisci di rasarti e infilati la camicia.» Cominciai a vestirmi. «Non vi rasate?» «Dovranno accettarmi così come sono.» La mole del lavoro che ci attendeva m'invase la mente. «Forza. Voglio visitare questo luogo come si deve, e parlare con gli obedenziari. Tu dovrai trovare il modo di parlare a madamigella Alice. Poi fatti un giro per il monastero, e cerca dei possibili nascondigli per quella spada. Dobbiamo battere tutto il territorio il più velocemente possibile, abbiamo un nuovo problema.» Chiudendo le calzebrache, gli raccontai della mia visita notturna a Whelplay. «Un altro morto? Jesu. Questa matassa s'imbroglia sempre più.» «Lo so. E abbiamo pochissimo tempo per districarla. Andiamo.» Percorremmo il corridoio fino allo studiolo di fratello Guy. Lo trovammo seduto allo scrittoio, intento a consultare il suo testo arabo. «Ah, vi siete svegliati», disse con il suo morbido accento. Chiuse il volume con riluttanza e ci condusse in una stanzetta, dove delle erbe pendevano attaccate a ganci. Invitandoci a prendere posto, ci servì pane, formaggio e una caraffa di birra leggera. «Come sta il vostro paziente?» chiesi. «Questa mattina va un po' meglio, grazie a Dio. La febbre è calata e ora dorme profondamente. L'abate verrà a fargli visita più tardi.» «Ditemi, qual è la storia del novizio Whelplay?» «È figlio d'un piccolo agricoltore che vive dalle parti di Tonbridge», disse fratello Guy con un mesto sorriso. «È di costituzione delicata, la vita dei campi è troppo dura per lui. Simili creature finiscono spesso in luoghi come questo, ai quali Dio, probabilmente, li aveva destinati.» «Un sicuro rifugio dal mondo?» «Quelli come fratello Simon servono il Signore con le preghiere. Non è forse una condizione preferibile al disprezzo e ai maltrattamenti che riceverebbero fuori di qui? In ogni modo, date le circostanze, penso sia discutibile affermare che in questo monastero ha trovato un rifugio.» Lo guardai serio. «È vero, qui ha trovato il medesimo disprezzo e i medesimi maltrattamenti. Terminata la colazione, fratello Guy, gradirei mi accompagnaste dov'è stato rinvenuto il cadavere. Abbiamo già perduto molto tempo, temo.»
«Certamente. Ma non potrò assentarmi a lungo, il mio paziente...» «Mezz'ora sarà sufficiente.» Bevvi un ultimo sorso di birra e mi alzai, gettandomi il mantello sulle spalle. «Mastro Poer rimarrà qui questa mattina, gli ho concesso un po' di riposo. Dopo di voi, fratello.» Attraversammo la camerata dell'infermeria, dove Alice si stava prendendo cura di un vecchio monaco. Era l'uomo più anziano che avessi mai visto, e giaceva respirando lentamente e con grande fatica. Non avrebbe potuto essere più in contrasto con il suo vicino, un frate paffuto che sedeva nel letto facendo un solitario a carte. Il paziente cieco s'era addormentato su una sedia. Il frate infermiere aprì la porta d'ingresso e subito indietreggiò perché quasi un piede di neve, accumulatasi davanti all'uscio, cadde all'interno. «Dovremmo indossare delle soprascarpe, o c'inzupperemo i piedi.» Si scusò e mi lasciò a guardare fuori, il fiato una visibile condensa. Il cielo era d'un azzurro intenso, e l'aria la più immobile e fredda che avessi mai respirato. La neve aveva la soffice leggerezza degli inverni più rigidi, e si prospettava difficile da attraversare. Avevo portato il bastone poiché, dato il mio precario equilibrio, sarei potuto facilmente cadere. Fratello Guy ritornò portando anche per me delle robuste soprascarpe di pelle. «Dovrò farle avere ai monaci che lavorano fuori», disse. Le allacciammo e sprofondammo nella neve fino ai polpacci, lo scuro viso di fratello Guy stagliato su tutto quel biancore. La porta delle cucine era poco distante, e notai che i locali di servizio condividevano una parete con l'infermeria. Chiesi se ci fosse una porta comunicante. «Esisteva un passaggio», disse, «ma è stato chiuso all'epoca della peste bubbonica, per contenere la diffusione del contagio, e non è mai stato riaperto. Una precauzione assai saggia.» «La notte scorsa, quando ho visto quel ragazzo ho temuto che avesse contratto la febbre eruttiva. Ho visto quali sono le sue conseguenze, una cosa terribile. D'altro canto, so che è causata dall'aria insalubre della città.» «Grazie al cielo, ho avuto a che fare con pochi casi d'epidemia. Più che altro, mi trovo a dover affrontare le conseguenze di lunghe ore di preghiera in una gelida chiesa. E quelle dovute all'età, ovviamente.» «Avete un altro paziente, qui, che pare grave. Il vecchio.» «Sì. Fratello Francis. Ha novantaquattro anni. È tanto vecchio da essere ritornato bambino, e ora soffre di polmonite. Penso sia giunto quasi al termine del suo pellegrinaggio.» «E che cos'ha quello grasso, sul fondo?»
«Ulcerazioni varicose, come fratello Septimus, ma più gravi. Gli ho praticato dei salassi, e ora si sta godendo un po' di riposo.» Sorrise gentile. «Temo avrò delle difficoltà a rimetterlo in piedi. I pazienti lasciano l'infermeria con riluttanza. Fratello Andrew è diventato un ospite fisso, la cecità lo ha colpito tardi e ha paura a uscire. Ha perso la sicurezza in se stesso.» «Avete in cura molti monaci anziani?» «Una decina. I miei confratelli tendono a essere piuttosto longevi. Quattro hanno passato l'ottantina.» «Non mi sembra che i religiosi patiscano le fatiche e gli stenti della gente comune.» «O forse la fede rinforza i loro corpi quanto le loro anime. In ogni modo, eccoci arrivati.» Varcammo una massiccia porta di legno di quercia. Come mi aveva descritto la notte precedente, alle cucine e si accedeva passando per un breve corridoio. La porta era aperta e dall'interno mi arrivò un rumore di voci e l'acciottolio delle stoviglie. Avvicinandoci, fui raggiunto da un intenso aroma di pane infornato. Dentro, alcuni servitori erano intenti a preparare il pranzo. La cucina era ampia, all'apparenza pulita e ben organizzata. «Dunque, fratello, quando siete giunto qui quella notte, dove avete trovato il corpo?» Il frate infermiere avanzò qualche passo sotto gli sguardi incuriositi della servitù. «Proprio qui, vicino alla tavola. Il cadavere era prono, le gambe verso la porta. La testa era finita laggiù.» Indicò una tinozza di ferro con l'iscrizione BURRO. Seguii il suo sguardo, come pure fecero i servitori. Uno di loro si fece il segno della croce. «Dunque doveva aver appena varcato la soglia, quand'è stato colpito», riflettei ad alta voce. Nel punto dov'era caduto c'era una grossa credenza; l'aggressore poteva essersi nascosto dietro il mobile, poi, al passaggio di Singleton, doveva essere balzato fuori per colpirlo. Feci qualche passo e roteai il bastone in aria, facendo trasalire un servitore che indietreggiò. «Sì, c'è spazio sufficiente per un ampio movimento del braccio. Suppongo sia andata così.» «Con una lama affilata e un braccio robusto, sì, sarebbe possibile», concordò fratello Guy, pensieroso. «Sempre che si possieda una certa abilità, e che si sia capaci di maneggiare una grossa spada.» Osservai i servitori presenti. «Chi è il capocuo-
co?» Un uomo barbuto, con indosso un grembiule macchiato, si fece avanti con un inchino. «Ralph Spenlay, signore.» «Siete il responsabile delle cucine, mastro Spenlay, possedete una chiave di questi locali?» «Sì, commissario.» «E la porta che dà sul cortile è l'unica via d'accesso?» «Sì, signore.» «La porta vera e propria delle cucine è chiusa?» «Non ce n'è bisogno. Si può entrare solo dal cortile.» «Chi altri ha le chiavi?» «Il frate infermiere, signore, l'abate e il priore. E mastro Bugge il guardiano, ovviamente, per le sue ronde notturne. Nessun altro. Io vivo all'interno del monastero, apro i locali la mattina e li chiudo la sera. Chiunque voglia entrare deve venire da me. Per evitare furti di provviste, capite. Non importa che si tratti del cibo dei monaci. Be', in più di un'occasione, ho visto fratello Gabriel aggirarsi per il corridoio con fare furtivo, come non aspettasse altro che un nostro momento di distrazione per sgraffignare qualcosa. Ed è un officiale...» «Che cosa accade in caso di vostra assenza o malattia, se qualcuno desidera avere accesso a questi locali?» «Dovrebbero domandare il permesso a mastro Bugge o al priore.» Sorrise. «Ma nessuno ama recare disturbo, se non è strettamente necessario.» «Vi ringrazio, mastro Spenlay, mi siete stato di grande aiuto.» Mi diressi verso la porta, e uscendo infilai un dito in una ciotola di crema per assaggiarla. Il cuoco mi guardò seccato. «Davvero deliziosa. Non vi disturberò oltre, fratello Guy. Ora vorrei scambiare due parole con l'economo, se foste tanto gentile da indicarmi la strada.» M'incamminai seguendo le sue indicazioni, la neve che scricchiolava sotto i miei passi. La corte era molto più tranquilla, la folla di gente e cani del giorno precedente era svanita. Più ci pensavo, più mi convincevo che solo un esperto spadaccino poteva possedere la sicurezza necessaria per balzare alle spalle di Singleton e mozzargli la testa. Nessuna delle persone che avevo incontrato m'era parsa in possesso di simili doti. L'abate era di costituzione robusta, come fratello Gabriel, ma l'arte della scherma era privilegio dei gentiluomini, non certo di una congregazione religiosa. Pen-
sando a Gabriel, mi tornarono alla mente le parole del cuoco. Mi avevano lasciato perplesso, il sacrista non mi sembrava il genere d'uomo incline a rubacchiare del cibo dalla cucina. Osservai il cortile innevato. La strada per Londra era impraticabile, quindi io e Mark eravamo probabilmente imprigionati in quel luogo assieme a un assassino. Mi resi conto d'essermi inconsciamente diretto verso il centro della corte, il più possibile lontano dalle zone in ombra. Era strano camminare da solo in quel candido silenzio, sotto quelle alte mura, e non fu senza un senso di sollievo che scorsi Bugge presso il cancello, intento a spalare un sentiero con l'aiuto di un servitore. Nell'udirmi avvicinare, il guardiano alzò lo sguardo, il viso paonazzo per lo sforzo. Il suo compagno, un giovane tarchiato con il volto deturpato da escrescenze verrucose, sorrise nervosamente e fece un inchino. Avevano entrambi lavorato sodo, ed emanavano un odore terribile. «Buon giorno, signore», disse Bugge in tono untuoso. Di certo gli era stato ordinato di trattarmi con rispetto. «Tempo spietato, eh?» «Potete ben dirlo, signore. Anche quest'anno l'inverno è arrivato in anticipo.» «Dato che ci siamo incontrati, vorrei domandarvi delle vostre ronde notturne.» L'uomo annuì, appoggiandosi sul badile. «Perlustriamo l'intero monastero due volte per notte, alle nove e alle tre e mezzo. Io o David, qui presente, facciamo un giro completo e controlliamo tutte le porte.» «E i cancelli? Di notte sono chiusi?» «Li chiudiamo ogni sera alle nove. E li riapriamo alle nove del mattino seguente, dopo la prima. Nemmeno un cane potrebbe entrare di notte.» «E figuriamoci un gatto», aggiunse il ragazzo. Aveva l'aria sveglia: poteva essere brutto, ma di certo non era uno sciocco. «I gatti s'arrampicano», suggerii. «Come le persone.» Un lampo di collera attraversò il volto del guardiano. «Non un muro alto dodici piedi, non è possibile. Lo avete visto anche voi, signore, non ci sono appigli; nessuno potrebbe scalarlo.» «La cinta è sicura lungo tutto il perimetro del monastero?» «Fatta eccezione per il retro. Lì, a tratti, il muro s'è sgretolato, ma dà a picco sulla palude. È impossibile guadarla, soprattutto durante la notte. Chi ci ha provato è scomparso nel fango.» Levò una mano e la lasciò ricadere. «Pluf.»
«Se il posto è inespugnabile, perché montare la guardia?» Mi si avvicinò. Indietreggiai per il puzzo, ma lui non sembrò prendersela a male. «Gli uomini sono peccatori, signore, persino in questo luogo.» I suoi modi divennero confidenziali. «I costumi erano molli al tempo del vecchio priore. Quando il priore Mortimus arrivò al monastero ordinò delle ronde notturne, e chiunque fosse stato trovato fuori della propria stanza sarebbe stato segnalato alla sua attenzione. Ed è quello che faccio. Senza timori né favoritismi.» Sorrise compiaciuto. «E che mi dite dell'omicidio del commissario Singleton? Avete notato nulla che possa indicare un'effrazione?» «No, signore, vi giuro che tutto era come doveva essere fra le tre e trenta e le quattro e trenta. Quel giro di controllo l'ho fatto di persona. Come di consueto, ho controllato la porta delle cucine che dà sulla corte, ed era chiusa. Però ho visto il commissario.» Annuì con aria solenne. «Già, mi è stato riferito. E dove?» «Durante la ronda. Stavo attraversando il chiostro, quando ho visto muoversi qualcosa e ho dato il chi va là. Era mastro Singleton, vestito di tutto punto.» «Che cosa doveva fare a quell'ora?» «Disse d'avere un appuntamento, signore.» Sorrise, compiaciuto di tanta attenzione. «Mi disse che se avessi incontrato uno dei monaci diretto da lui, avrei dovuto lasciarlo andare.» «Dunque stava andando a un appuntamento!» «Direi di sì. Ed era anche piuttosto vicino alle cucine.» «Che ora era?» «Direi un quarto passate le quattro. Avevo quasi terminato il mio giro.» Annuii, guardando alle nostre spalle. «La chiesa è chiusa di notte?» «No, signore, mai. Ma ci sono passato prima di controllare il chiostro, ed era tutto normale. Sono rientrato nel mio alloggio alle quattro e mezzo. Il priore Mortimus m'ha donato un piccolo orologio», disse con orgoglio, «e io controllo sempre l'ora. Ho dormito un po', lasciando David di guardia, poi, alle cinque, sono stato svegliato da quel terribile grido d'allarme.» «Dunque il commissario Singleton stava per incontrarsi con uno dei monaci. A quanto pare, il suo assassino.» L'uomo esitò. «Io ho detto solo che nessuno può essere entrato dall'esterno, nient'altro.» «Non impossibile, ma di certo improbabile, sono d'accordo con voi.» Annuii. «Vi ringrazio, mastro Bugge, mi siete stato di grande aiuto.» Pun-
tai il bastone avanti a me e mi voltai, lasciandoli nuovamente al loro lavoro. Ritornato sui miei passi giunsi alla porta verde che contrassegnava l'ufficio contabile. Entrando senza bussare, mi ritrovai in una stanza che mi ricordava il mondo da cui venivo: pareti imbiancate a calce sulle quali correvano mensole cariche di registri contabili, inframmezzate da porzioni di muro spoglio ricoperte di liste e conti. Due monaci lavoravano seduti ad altrettanti scrittoi. Uno, intento a contare delle monete, era più anziano, gli occhi cisposi. L'altro, chino su un registro, lo sguardo accigliato, era il giovane frate barbuto che aveva perso a carte la notte precedente. Alle loro spalle c'era un forziere chiuso dal più grosso lucchetto che avessi mai visto; doveva trattarsi dei fondi dell'abate. Nel vedermi entrare, i due monaci balzarono in piedi. «Buon giorno», dissi. Il fiato si addensò in una nuvola di condensa perché la stanza non era riscaldata. «Cerco fratello Edwig.» Il giovane monaco indicò con lo sguardo una porta interna. «Fratello Edwig è con l'abate...» «Là dentro? Allora li raggiungo.» Aprii l'uscio, ignorando la sua mano levata in un timido gesto di protesta, e mi ritrovai di fronte a una scala. Portava a un piccolo pianerottolo, dove una finestra s'affacciava sul paesaggio innevato. Di fronte c'era una porta, dietro la quale udivo vociare. Provai a origliare, ma non riuscii a comprendere nulla. Aprii ed entrai. L'abate Fabian si stava rivolgendo a fratello Edwig con voce irritata. «Dovremmo chiedere di più. Non gioverebbe alla nostra condizione cederlo per meno di trecento...» «Ho bisogno di quel d-denaro nei miei forzieri adesso, signor abate. Se è disposto a p-pagare quel terreno in contanti, dovremmo accettare!» Malgrado la balbuzie, l'economo parlava con grande determinazione. L'abate Fabian si voltò, a disagio. «Oh, mastro Shardlake...» «Signore, questa è una c-conversazione riservata», sbottò l'economo, il viso colmo d'ira. «Temo che in mia presenza non esista riservatezza. Se bussassi a ogni porta prima d'entrare, chissà cosa potrei perdermi.» Fratello Edwig si frenò, agitando le mani da meticoloso burocrate qual era. «No, certamente, vogliate p-perdonarmi. Stavamo d-discutendo delle finanze del monastero, di certi terreni che siamo costretti a vendere per far
fronte ai c-costi delle opere di restauro, una que-que...» Il suo viso avvampò nuovamente, mentre lottava con le parole. «Una questione che esula dalle vostre investigazioni», concluse l'abate con un sorriso. «Fratello economo, c'è un problema della massima importanza di cui gradirei discutere con voi.» Mi accomodai a uno scrittoio in legno di quercia fornito di molti cassetti, l'unico mobile in quella stanzetta, eccezion fatta per altri scaffali carichi di registri. «Sono al vostro servizio, signore, ditemi pure.» «Mastro Goodhaps mi ha riferito che il giorno in cui è morto il commissario Singleton stava esaminando un registro avuto dalla vostra contabilità. Registro che in seguito è scomparso.» «Non è s-scomparso, signore. È stato restituito al nostro ufficio.» «Speravo poteste dirmi di quale registro si trattava.» L'uomo rifletté un istante. «Non ricordo. C-credo si trattasse del libro mastro dell'infermeria. Abbiamo registri d-distinti per ciascuno dei nostri uffici - la sacrestia, l'infermeria e via d-discorrendo -, che confluiscono tutti nel rendiconto globale del monastero.» «Suppongo esista una nota dei registri consultati dal commissario Singleton.» «Sono certo d-di sì.» Si accigliò, visibilmente irritato. «Ma in più di un'occasione il c-commissario ha sottratto dei registri senza avvisare né me né il mio assistente, c-costringendoci a passare intere giornate a caccia di ciò che aveva p-prelevato senza permesso.» «Quindi non esiste alcuna registrazione effettiva di ciò che ha esaminato?» L'economo aprì le braccia. «C-come potrebbe, visto che il ccommissario usava servirsi da solo? Sono spiacente...» Annuii. «E ora nell'ufficio contabile è tutto in ordine?» «Grazie al cielo.» Mi alzai. «Molto bene. Vi prego di far recapitare nei miei alloggi i registri contabili degli ultimi dodici mesi. Di tutti gli uffici.» «Tutti quanti?» L'economo non avrebbe potuto essere più sbalordito, nemmeno se gli avessi ordinato di spogliarsi e sfilare nudo nella neve. «Significherebbe il c-caos, il lavoro della contabilità non potrebbe ccontinuare...» «Sarà solo per una notte. Due al massimo.» Parve pronto a ribattere, ma l'abate Fabian prese la parola.
«Dobbiamo cooperare, Edwig. I registri vi saranno recapitati non appena possibile, commissario.» «Molto obbligato. Ora, signor abate, la notte scorsa ho fatto visita al quello sfortunato novizio. Il giovane Whelplay.» Il religioso annuì serio. «Già. Fratello Edwig e io ci recheremo da lui più tardi.» «Ma ho i c-conti mensili delle elemosine da rivedere», protestò l'economo. «Ciononostante, in quanto officiale più anziano dopo il priore Mortimus, sei tenuto ad accompagnarmi.» Sospirò. «Visto che fratello Guy ha denunciato il fatto...» «Una denuncia assai grave», dissi. «Pare che il ragazzo abbia rischiato la vita...» L'abate Fabian levò una mano. «Siate pur certo che andrò a fondo della faccenda.» «Posso domandarvi, mio signore, che cosa ha fatto con esattezza il ragazzo per meritare una simile punizione?» Le spalle dell'abate s'irrigidirono per la tensione. «Francamente, mastro Shardlake...» «Ve ne prego...» «Il ragazzo mal sopporta le innovazioni religiose. La messa in inglese, per esempio. È molto devoto alla funzione in latino, alle salmodie. E teme che anche queste verranno presto tradotte nella nostra lingua...» «Un timore insolito per un ragazzo tanto giovane.» «È musicalmente molto dotato. Assiste fratello Gabriel con i canti delle funzioni. Ha molto talento, ma a volte esprime opinioni che non gli competono. Le ha manifestate apertamente nella sala capitolare, sebbene in quanto novizio gli sarebbe vietato...» «Mi auguro non abbia pronunciato parole sediziose, come fratello Jerome.» «Nessuno dei miei monaci, e ripeto nessuno, farebbe mai una cosa simile, signore», disse l'abate con sincera convinzione. «E fratello Jerome non fa parte della nostra comunità.» «Molto bene. Dunque, a Simon Whelplay è stato imposto di lavorare nelle stalle, ed è stato messo a pane e acqua. Una punizione assai dura.» L'abate arrossì. «Non è stata la sua unica mancanza.» Riflettei un istante. «Assiste fratello Gabriel, avete detto. Se non ho capito male, fratello Gabriel ha dubbi trascorsi.»
L'abate giocherellò nervosamente con la manica della veste. «Simon Whelplay m'ha rivelato in confessione di... certe brame carnali. Nei confronti di fratello Gabriel. Ma si tratta di peccati di pensiero, signore, null'altro. Fratello Gabriel non ne è neppure a conoscenza. È rimasto puro dal... dall'incidente di due anni fa. Il priore Mortimus sorveglia la comunità con occhio vigile, molto vigile.» «Non avete un tutore per i novizi, vero? Il numero delle vocazioni è troppo esiguo?» «Sono andate riducendosi in tutte le case, da generazioni, sin dalla Grande Pestilenza», disse l'abate in tono di cortese ragionevolezza. «Ma con la rinascita della vita religiosa sotto la guida del sovrano, forse i monasteri ne trarranno beneficio, e le vocazioni aumenteranno...» Mi chiesi se davvero credesse a quel che stava dicendo, se fosse davvero tanto cieco. La nota supplichevole nella sua voce mi fece comprendere che era così; pensava davvero che i monasteri potessero sopravvivere. Diedi uno sguardo all'economo; aveva preso una carta dal suo scrittoio e la stava esaminando, estraniandosi dalla conversazione. «Chi mai può dire che cosa porterà l'avvenire?» Mi voltai verso la porta. «Ci sono molto obbligato, signori. La furia degli elementi mi attende, così come la chiesa... e fratello Gabriel.» Lasciai l'abate alle sue ansie e l'economo alle partite doppie. Mentre attraversavo il chiostro, fui colto da un fastidioso dolore che m'impose una visita alle latrine. Fratello Gabriel me le aveva indicate la notte precedente. Esisteva una scorciatoia che passava per il retro dell'infermeria e attraversava il cortile fino alla costruzione che le ospitava. Passai nuovamente per l'infermeria e uscii nella corte cinta su tre lati. Notai che era stato scavato un canaletto di scolo che correva sotto una piccola stanza per il bagno annessa all'infermeria e sotto le latrine, in modo da servire entrambe. Non potei che ammirare l'ingegnosità degli architetti del monastero. Poche case, persino a Londra, disponevano di simili dispositivi, e talvolta pensavo con orrore a che cosa sarebbe accaduto se il pozzo nero che avevo in giardino avesse tracimato. I polli razzolavano con rauche strida nel cortile, dal quale la neve era stata in gran parte spalata. Un paio di maiali facevano capolino dalla recinzione di un porcile di fortuna. Alice stava dando loro da mangiare, versando un secchio di pastone dentro al trogolo. La raggiunsi. I miei bisogni
corporali potevano attendere qualche istante. «Avete un gran daffare, vedo. I maiali oltre ai pazienti.» La giovane sorrise deferente. «Sì, signore. Il lavoro d'una domestica non ha mai fine.» Guardai oltre il recinto, domandandomi se la paglia e il fango del porcile potessero nascondere qualcosa; in quel caso, però, quelle creature dal manto scuro l'avrebbero di certo riportata alla luce. Avrebbero potuto divorare le vesti intrise di sangue, ma non una spada o una reliquia. Osservai il cortile. «Vedo solo galline. Non avete dei galli?» La fanciulla scosse la testa. «No, signore. Il povero Jonas è morto. Ucciso sull'altare. Era un bell'animale, con un incedere tutto impettito che mi faceva molto divertire.» «È vero, sono creature assai comiche. Dei piccoli sovrani che s'aggirano con fare solenne fra i propri sudditi.» Alice sorrise. «Jonas era proprio così. Ogni volta che lo avvicinavo, i suoi occhietti cattivi mi guardavano con aria di sfida. Sbatteva le ali con foga stridendo, ma era tutta scena. Bastava avvicinarsi un passo di più per metterlo in fuga.» Con mia sorpresa, i suoi grandi occhi azzurri s'erano riempiti di lacrime. Evidentemente era una fanciulla di buon cuore, oltre che di grande coraggio. «Quella profanazione è stata davvero un gesto malvagio», dissi. «Povero Jonas.» Scosse la testa e fece un respiro profondo. «Ditemi, Alice, quando vi siete accorta della sua scomparsa?» «La mattina in cui è stato ritrovato il cadavere.» Mi guardai attorno. «Non c'è altro accesso alla corte, tranne l'infermeria e le latrine?» «No, signore.» Annuii. Un altro indizio sfavorevole ai monaci e alla loro servitù. Una fitta agli intestini mi spinse a non indugiare oltre. Con riluttanza, mi scusai e mi diressi a passo svelto verso la latrina. Non ero mai stato in una latrina monastica. Ai tempi della scuola a Lichfield scherzavamo sempre su quello che i monaci facevano in quei luoghi appartati, ma trovai la latrina di Scarnsea piuttosto ordinaria. Le pareti di pietra della stanza oblunga erano spoglie e c'era poca luce, poiché le finestre erano molto alte. Appoggiata a uno dei muri correva una lunga panca con una serie di buchi circolari, e alla sua estremità c'erano tre cabine separate per gli obedenziari. Fu lì che mi diressi, oltrepassando un paio di
monaci seduti sulla panca comune. Uno era il giovane dell'ufficio contabile. Il confratello seduto accanto a lui s'alzò per inchinarsi, guardandomi imbarazzato mentre cercava di sistemarsi l'abito, poi si rivolse al vicino. «Hai intenzione di rimanere qui l'intera giornata, Athelstan?» «Lasciami in pace, ho una colica.» Entrai in una delle cabine, chiusi la porta con il chiavistello e mi sedetti, con grande sollievo. Ripensai ad Alice. Se il monastero fosse stato chiuso, sarebbe rimasta senza lavoro. Mi chiesi che cosa avrei potuto fare per aiutarla; forse avrei potuto trovarle un altro posto in città. Mi rattristava vedere una donna del suo stampo in un luogo simile, ma con tutta probabilità era d'origini molto umili. Come si era intristita per la morte di quel volatile! Scossi il capo di fronte alla mia debolezza, alla luce soprattutto di quanto avevo detto a Mark. Ma qualcosa mi strappò ai miei pensieri. Alzai la testa e trattenni il respiro. Fuori della cabina qualcuno si muoveva piano, ma io avevo udito il suo passo felpato, il rumore del cuoio sulla pietra. Con il cuore in gola, fui grato al senso del pericolo che mi aveva tenuto all'erta. Chiusi le calzebrache e m'alzai in silenzio, allungando la mano verso il pugnale. Appoggiai un orecchio alla porta. Udii respirare: qualcuno, là fuori, era come me appoggiato all'uscio. Mi morsi un labbro. Il giovane monaco se n'era probabilmente già andato; forse ero rimasto solo. Devo confessare che il pensiero che l'assassino di Singleton potesse avermi teso un agguato mi mise in agitazione. La porta della cabina si apriva verso l'esterno. Con estrema cautela sfilai il chiavistello, feci un passo indietro e le sferrai un calcio con tutta la forza che avevo. La porta si spalancò, e un grido di spavento si levò nell'aria. Era fratello Athelstan, che si stava sbracciando nel tentativo di mantenere l'equilibrio. Con mio grande sollievo mi accorsi che aveva le mani vuote. Avanzai con il pugnale levato, mentre il giovane mi guardava con gli occhi sgranati. «Che cosa stavate facendo?» sbottai. «Vi ho sentito muovervi di soppiatto qua fuori!» Deglutì, facendo tremolare il prominente pomo d'Adamo. «Nulla di male, signore! Stavo per bussare, lo giuro!» Era bianco come un cencio. Abbassai la lama. «Perché? Che volevate?» Spostò ansiosamente lo sguardo sulla porta del dormitorio. «Avevo bisogno di parlarvi in segreto, signore. Quando vi ho visto entrare, ho aspettato che fossimo soli.»
«Parlarmi? A che proposito?» «Non qui, ve ne prego», disse incalzante. «Potremmo essere disturbati. Vi prego, signore, potete raggiungermi al birrificio? Si trova accanto alle stalle. A quest'ora del mattino è deserto.» Lo scrutai meglio. Pareva sull'orlo del collasso. «Molto bene. Ma porterò con me il mio assistente.» «Ma certo, signore, come desiderate...» Fratello Athelstan s'interruppe nel vedere l'alta e sottile figura di fratello Jude apparire sulla soglia della latrina, poi si allontanò con passo frettoloso. L'elemosiniere, che con tutta probabilità s'era preso una pausa dal ponderare quali sontuosi pasti spettassero ai confratelli quel giorno, mi lanciò un'occhiata strana. Fece un inchino, entrò in una delle cabine e serrò il chiavistello con violenza. In quell'istante mi resi conto che tremavo come una foglia, dalla testa ai piedi. Capitolo undici Feci qualche respiro profondo per riprendere il controllo e mi precipitai in infermeria. Mark era seduto in sala da pranzo e parlava con Alice, che nel frattempo era tornata e stava lavando le stoviglie. Pareva allegra e a suo agio, e non mostrava alcuna delle riserve che aveva avuto nei miei confronti. Provai una fitta di gelosia. «Ti sono concessi dei giorni di riposo?» le stava chiedendo Mark. «Mezza giornata la settimana. Quando non abbiamo molto da fare, fratello Guy mi lascia anche una giornata intera.» Entrai trafelato e i due giovani si voltarono a guardarmi. «Mark, devo parlarti.» Mi seguì nella nostra stanza, e gli raccontai di fratello Athelstan. «Vieni con me. Porta la spada. Non ha l'aria pericolosa, mi pare più che altro un'astuta serpe, ma non si può mai sapere.» Tornammo alla corte principale, dove Bugge e il suo assistente stavano ancora spalando la neve, e superammo le stalle. Lanciai uno sguardo oltre la porta aperta: un garzone stava ammucchiando il fieno sotto lo sguardo dei cavalli, il cui respiro si condensava nell'aria gelida. Quello non era proprio il lavoro adatto a un ragazzo di salute cagionevole come Whelplay. Aprii la porta del birrificio. L'ambiente era caldo. Da una porta laterale socchiusa s'intravedeva un fuoco crepitante, una scala conduceva all'essiccatoio ubicato al piano di sopra. La sala principale, piena di tini e botti, era
deserta. Con la coda dell'occhio scorsi qualcosa muoversi al piano di sopra e trasalii. Alzai lo sguardo e mi accorsi che erano solo delle galline appollaiate fra i travicelli. «Fratello Athelstan», chiamai con un sonoro bisbiglio. Udimmo un tonfo alle nostre spalle, e Mark mise subito mano alla spada, quando l'esile figura del monaco fece capolino da dietro una botte. S'inchinò. «Commissario. Grazie d'essere venuto.» «Spero sia una questione della massima importanza per essere venuto a disturbarmi in un simile momento. Siamo soli?» «Sì, signore. Il birraio è fuori, aspetta che il luppolo essicchi.» «Quelle galline non rischiano di guastare la birra? Insozzano ovunque.» Sorrise a disagio, gingillandosi con la barbetta. «Il birraio sostiene che diano corposità alla bevanda.» «Dubito che la gente sarebbe della stessa opinione», osservò Mark. Fratello Athelstan s'avvicinò, fissandomi con occhi penetranti. «Signore, conoscete quel passaggio delle ingiunzioni di Lord Cromwell dove si dice che un monaco può presentare una lamentela direttamente agli emissari del vicario generale, senza rivolgersi prima al proprio abate?» «Certo. Avete una lamentela da espormi?» «Direi piuttosto un'informazione.» Fece un respiro profondo. «So che Lord Cromwell è alla ricerca d'irregolarità nella gestione delle case religiose. Ho saputo, signore, che gli informatori ricevono una ricompensa.» «Solo se l'informazione si rivela utile.» Lo studiai. Nel mio lavoro avevo spesso a che fare con gli informatori, e mai come in quegli anni la loro nauseante specie si era moltiplicata. Era possibile che quella notte Singleton dovesse incontrarsi proprio con fratello Athelstan? D'altro canto, avevo la netta sensazione che quel giovane non avesse mai vestito prima i panni della spia. Ambiva alla ricompensa, ma aveva paura. «Ho pensato... ho pensato che ogni informazione sulle malefatte di questo luogo avrebbe potuto aiutarvi a identificare l'assassino del commissario Singleton.» «Che cos'avete da dirmi?» «I monaci più anziani, signore, gli obedenziari. A loro non piacciono le nuove ingiunzioni di Lord Cromwell. I sermoni in inglese, l'irrigidimento delle regole. Li ho uditi discutere, signore, nella sala capitolare. Seduti a bisbigliare fra loro, prima degli incontri con il resto della congregazione.» «E che cosa avete sentito?» «Li ho sentiti dire che chi ha imposto le ingiunzioni non conosce o non
si cura della vita religiosa. L'abate, fratello Guy, fratello Gabriel e il mio superiore, fratello Edwig, la pensano tutti allo stesso modo.» «E il priore Mortimus.» Athelstan si strinse nelle spalle. «Lui si lascia portare dalla marea.» «Non è il solo. Fratello Athelstan, avete mai sentito gli obedenziari esprimersi a favore del papa, contro il divorzio di Sua Maestà o contro lo stesso Lord Cromwell?» Esitò. «No. Ma io... io potrei dire d'averlo sentito, se questo potesse esservi d'aiuto.» Risi. «E pensate che qualcuno vi crederebbe, vedendovi strascicare i piedi con lo sguardo basso? Io non credo proprio.» Si toccò nuovamente la barba. «Se posso rendermi utile in qualunque altro modo, signore», bofonchiò. «Sarei felice di poter servire Lord Cromwell.» «Perché mai, fratello Athelstan? Non siete soddisfatto della vita che conducete qui?» Il suo viso s'adombrò. Un viso debole e infelice. «Lavoro nell'ufficio contabile per fratello Edwig. È un padrone molto duro.» «Perché? Che cosa fa?» «Mi fa sgobbare come uno schiavo. E se i conti non tornano anche di un solo centesimo, mi rende la vita un inferno, costringendomi a ricominciare tutto daccapo. Ho commesso un piccolissimo errore e ora mi fa rimanere nell'ufficio notte e giorno. Adesso non c'è, altrimenti non avrei mai osato allontanarmi tanto a lungo.» «E così», dissi, «perché il vostro padrone punisce le vostre mancanze, voi siete disposto a mettere fratello Gabriel e tutti gli altri nei guai con Lord Cromwell, nella speranza che questi possa rendere più sopportabile la vostra esistenza?» Mi guardò confuso. «Ma lui non desidera forse che i monaci forniscano informazioni, signore? Io volevo solo rendermi utile.» Sospirai. «Sono qui per indagare sulla morte del commissario Singleton, fratello. Se avete delle informazioni da darmi a tale proposito, sono pronto ad ascoltarvi. In caso contrario state perdendo il vostro tempo.» «Sono dolente.» «Andate, ora.» Parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma ci ripensò e lasciò il capanno a passo svelto. Calciai una delle botti, e risi amareggiato. «Dio, che creatura! Be', questo non ci porta a nulla.»
«Informatori. Non valgono il disturbo che creano.» Mark balzò di lato imprecando, perché una delle galline gli aveva chiazzato la veste con i suoi escrementi. «Già, sono come quelle galline, non gli importa dove vanno a cadere i propri escrementi.» Passeggiai su e giù per il locale. «Jesu, quel furfante mi ha davvero spaventato. Pensavo si trattasse dell'assassino.» Mark mi guardò serio. «Confesso che non mi sento sicuro a restare solo qui dentro. Ho paura della mia stessa ombra. Forse dovremmo rimanere insieme, signore.» «No, abbiamo troppo da fare. Torna all'infermeria. Pare che tu e Alice andiate piuttosto d'accordo.» Mi sorrise compiaciuto. «Mi ha raccontato della sua vita.» «Molto bene. Ora devo andare da fratello Gabriel. Forse mi racconterà della sua. Suppongo che tu non abbia ancora avuto il tempo di dare un'occhiata in giro.» «No, signore.» «Be', vedi di trovarlo. Fatti dare un paio di soprascarpe da fratello Guy.» Lo guardai serio. «Ma bada a fare molta attenzione.» Mi fermai di fronte alla chiesa. Nel vedere uno dei garzoni di cucina arrancare faticosamente nella neve, le povere calzebrache di lana zuppe d'acqua, fui grato per le soprascarpe che il frate infermiere mi aveva prestato. Studiai la facciata dell'edificio. La cornice in pietra attorno al maestoso portale di legno, alto una ventina di piedi, era riccamente decorata da mostri e gargoyle intesi a tener lontano gli spiriti maligni. La chiesa del monastero, al pari delle grandi cattedrali, aveva lo scopo d'impressionare. La promessa d'una preghiera per le anime del purgatorio o di una cura miracolosa dispensata da una reliquia avrebbero avuto molto più peso in quel contesto. Aprii il pesante portale e scivolai all'interno, nel riecheggiante silenzio. Tutto intorno, gli ampi archi a volta della navata s'innalzavano per quasi cento piedi, sostenuti da vivaci colonne rosse e nere. Il pavimento era ricoperto di piastrelle gialle e blu. L'occhio veniva subito attratto dall'alta parete divisoria fra la navata e il coro, il jubé, riccamente decorata dalle effigi dei santi. Nella parte più alta, illuminate dalle candele, erano state poste le statue di Giovanni Battista, della Vergine e di Nostro Signore. Una grande finestra al limitare estremo della chiesa, intesa a catturare la luce mattutina
proveniente da oriente, era dipinta con motivi geometrici gialli e arancioni. Inondava la navata con una calda luce ambrata, densa di pace e mistero, mitigando quel caleidoscopio di colori. Chi l'aveva costruita sapeva, senza dubbio, come creare un'atmosfera. Percorsi lentamente la navata. Lungo le pareti correvano delle statue di santi e dei piccoli reliquiari, che custodivano bizzarri oggetti deposti su letti di raso e illuminati dal bagliore delle candele. Un servitore si spostava con passo misurato da un altarino all'altro, sostituendo quelle che s'erano consumate. Mi fermai a osservare le cappelle laterali, ciascuna con la propria statua e le proprie candele. Mi resi conto che quegli antri, con gli altari protetti da inferriate, le statue e i feretri, potevano essere ottimi nascondigli. Molte erano occupate da monaci intenti a intonare messe private. Le classi più abbienti, terrorizzate dalle pene del purgatorio, sottraevano grosse fette delle loro fortune a mogli e figli destinandole ai monaci perché dicessero messe fino al Giorno del Giudizio. Quanti giorni di remissione poteva valere una messa da quelle parti? A volte ne venivano promessi cento, altre mille. Chi non aveva risorse, invece, era lasciato a soffrire fino a quando a Dio fosse piaciuto. Purgatorio spilladanaro, lo chiamavamo noi riformatori. Sentire quelle salmodie in latino suscitò in me un impaziente moto di rabbia. Mi fermai dinanzi al jubé e alzai lo sguardo. Il mio respiro condensato si dissolse nell'aria tinta di giallo. Sul lato opposto una rampa di scale incassata nella parete dava accesso alla parte superiore della parete divisoria. Lassù una stretta balaustra correva lungo tutta la lunghezza della chiesa, e sopra quella ringhiera le pareti s'inarcavano verso l'interno, convergendo nella grande volta del soffitto. A sinistra notai una profonda crepa, chiazzata d'umidità, che correva dal soffitto fin quasi a terra. Le chiese normanne, ricordai, non erano solide quanto apparivano; le pareti potevano anche essere spesse venti piedi, ma erano soggette a letali infiltrazioni. Nel punto in cui l'abscissione correva lungo la parete, i blocchi di pietra, e lo strato di stucco che li univa, erano scoloriti, e sul pavimento sottostante s'era accumulato un mucchietto di polvere. Notai che nella parete sopra il parapetto erano scavate delle nicchie, che contenevano, a intervalli regolari, una serie di statue con la stessa rappresentazione di san Donato chino sul cadavere che avevo visto sul sigillo del monastero. La crepa aveva attraversato anche una delle nicchie, e la statua che vi era ospitata era stata rimossa e ora giaceva, rovinata, sul parapetto. Un'enorme
struttura di funi e pulegge era stata montata, le corde assicurate alla parete dietro la balaustra si lanciavano nel vuoto, scomparendo nell'oscurità dell'alto campanile. Dalle funi pendeva un canestro di legno grande abbastanza da contenere due uomini. Presumibilmente quell'ingegnoso sistema permetteva al canestro di muoversi avanti e indietro, rendendo così possibile la rimozione della statua. Stratagemma brillante ma pericoloso perché per effettuare lavori di restauro adeguati ci sarebbe stato bisogno d'un ponteggio. Ma l'economo aveva ragione nel sostenere che un restauro completo sarebbe stato enormemente costoso. D'altro canto, però, l'erosione del ghiaccio e dell'acqua non avrebbe fatto che ampliare la crepa, finendo, presto o tardi, per minare l'intera struttura. Con gli occhi dell'immaginazione vidi quel maestoso edificio crollare sotto il suo stesso peso. Eccezion fatta per le preghiere sussurrate nelle cappelle laterali, la chiesa era silenziosa. Poi mi giunse all'orecchio un lieve vociare, seguii quel suono e giunsi a una porta socchiusa, dalla quale filtrava la luce delle candele. Riconobbi la voce profonda di fratello Gabriel. «Ho tutti i diritti di chiedere come sta», diceva stizzito. «Se continui ad aggirarti per l'infermeria, la gente riprenderà a malignare», ribatté il priore in tono brusco. Un istante dopo apparve sulla soglia, il viso rubicondo corrucciato. Quando s'accorse di me, trasalì lievemente. «Cercavo il sacrista. Speravo potesse mostrarmi la chiesa.» Il priore m'indicò la porta aperta con un cenno. «Troverete fratello Gabriel lì dentro, signore. Sarà lietissimo di lasciare il tepore del suo studiolo con questo freddo. Buona giornata.» Fece un rapido inchino e se ne andò, e i suoi passi riecheggiarono sonoramente nel silenzio. Il sacrista era seduto a una scrivania cosparsa di spartiti musicali, in uno studiolo zeppo di libri. Una statua della Vergine Maria era appoggiata contro una parete, il naso rotto, conferendo a quella gelida stanza senza finestre un aspetto deprimente. Sopra l'abito nero, fratello Gabriel portava un pesante mantello. Pareva inquieto; aveva un viso duro, lungo e ossuto, ma la bocca tendeva rigidamente verso il basso e gli occhi erano segnati da profonde borse. Nel vedermi entrare si alzò, forzando un sorriso. «Commissario. Mastro Shardlake. In che modo posso esservi d'aiuto?» «Speravo poteste mostrarmi la chiesa, fratello sacrista, e la scena della profanazione.» «Come desiderate, signore.» Il tono della sua voce era riluttante, nondimeno mi raggiunse e mi ricondusse nel corpo centrale dell'edificio.
«Vi occupate della musica, fratello, nonché della manutenzione della chiesa?» «Esatto, e della biblioteca. Posso mostravi anche quella, se lo desiderate.» «Vi ringrazio. Se ho ben compreso, il novizio Whelplay era un vostro assistente.» «Prima d'essere mandato a congelare nelle stalle», disse fratello Gabriel con voce aspra. Soffocando la rabbia, aggiunse in tono più mite: «Ha molto talento, sebbene forse pecchi d'entusiasmo». Mi guardò con occhi ansiosi. «Perdonate la mia domanda, ma voi alloggiate nell'infermeria, vero? Potreste dirmi come sta?» «Fratello Guy lo crede fuori pericolo.» Mostrandomi la chiesa, si fece d'umore più allegro, e mi raccontò in tono vivace la storia di ciascuna statua, spiegandomi anche l'architettura dell'edificio e la lavorazione dei vetri colorati delle finestre. Parlando sembrava dimenticare le sue preoccupazioni e non parve badare al fatto che, in quanto riformatore, io potessi non approvare ciò che andava mostrandomi. L'impressione che di lui m'ero fatta - quella di un uomo ingenuo e spirituale - si rafforzò. Ma simili caratteristiche potevano anche sfociare nel fanatismo, e di nuovo notai la sua robusta costituzione. Aveva lunghe dita delicate, ma polsi massicci e forti, in grado d'impugnare una spada con grande facilità. «Vestite l'abito da molto tempo?» gli domandai. «Ho preso i voti all'età di diciannove anni. Non ho conosciuto altra vita che questa. E non desidero altro.» Si fermò davanti a un'ampia nicchia contenente un piedistallo di pietra, sul quale era disteso un panno nero e nient'altro. Tutt'intorno era appoggiata un'enorme quantità di bastoni, stampelle e altri congegni utilizzati dagli storpi; notai anche uno di quei pesanti sostegni che si fanno portare ai bambini gobbi nella speranza di poterli raddrizzare. Anch'io ne avevo indossato uno, ma nel mio caso non era servito. Fratello Gabriel sospirò. «Qui era custodita la mano del buon ladrone. Una perdita incalcolabile, ha curato molti sfortunati.» Pronunciando quelle parole, come sempre accadeva in quei casi, posò gli occhi sulla mia schiena, poi distolse lo sguardo e indicò la pila di grucce. «Tutti quegli oggetti sono stati portati nel corso degli anni da persone curate dalla reliquia. Non avendone più bisogno le hanno lasciate come ex voto.»
«Per quanto tempo la reliquia è rimasta nella vostra chiesa?» «Giunse dalla Francia con i monaci fondatori del monastero nel 1087. Era rimasta in Francia per secoli, e prima ancora aveva trascorso secoli a Roma.» «Suppongo che la teca che la conteneva fosse d'inestimabile valore. Oro e smeraldi.» «Sapete, la gente era disposta a pagare per poterla toccare. Rimasero tutti molto delusi quando le ingiunzioni vietarono l'esposizione delle reliquie a pagamento.» «Doveva essere piuttosto grossa.» Annuì. «Ne abbiamo un'illustrazione in biblioteca, se desiderate vederla.» «Con molto piacere, vi ringrazio. Ditemi, chi ne ha scoperto la sparizione?» «Sono stato io, come per l'altare profanato.» «Vi prego, raccontatemi che cosa accadde.» Mi appoggiai a un contrafforte sporgente. La schiena andava molto meglio, ma non desideravo rimanere in piedi troppo a lungo. «Mi alzai come sempre verso le cinque, e venni a preparare la chiesa per il notturno. Di notte ci sono solo poche candele accese davanti alle statue, così quando entrai con il mio assistente, fratello Andrew, non ci accorgemmo di nulla. Ci dirigemmo verso il coro. Andrew accese le candele degli stalli e io aprii i corali sulle preghiere di quella mattina. Nell'accendere le candele fratello Andrew vide un rivolo di sangue sul pavimento e mi chiamò. La traccia portava...» sospirò rabbrividendo «...al presbiterio. Là, sul tavolo davanti all'altare maggiore, giaceva un gallo nero con la gola tagliata. Che Dio abbia pietà di noi, delle piume nere imbrattate di sangue erano state deposte proprio sull'altare, con una candela accesa su ciascun lato in segno di beffa satanica.» Si fece nuovamente il segno della croce. «Vi spiacerebbe indicarmi il luogo esatto, fratello?» Esitò. «La chiesa è stata riconsacrata, ma io non credo sia saggio rivivere quegli eventi di fronte all'altare.» «Ciononostante, mi vedo costretto a insistere...» Con passo riluttante mi condusse oltre una porta che dal jubé portava negli stalli del coro. Mi tornò in mente l'osservazione di mastro Goodhaps, secondo il quale i monaci erano rimasti più turbati dalla profanazione che dall'assassinio. Il coro ospitava due file di banchi, anneriti dal tempo e riccamente inta-
gliati, posti gli uni di fronte agli altri sopra un pavimento di piastrelle. Fratello Gabriel indicò per terra. «La chiazza di sangue era lì. La traccia portava qui dentro.» Lo seguii attraverso il presbiterio, dov'era l'altare maggiore, ricoperto da una tovaglia bianca, davanti a un dossale magnificamente intagliato e decorato con lamine d'oro. L'aria era intrisa d'un forte odore d'incenso. Fratello Gabriel indicò due ornati candelabri d'argento poggiati sul tavolo dell'altare, al centro del quale venivano disposti la patena e il calice per la messa. «Era lì.» Io ritengo che la messa dovrebbe essere una cerimonia di grande semplicità, recitata in una lingua che tutti capiscano, in modo da dare alla gente la possibilità di riflettere sul proprio rapporto con Dio, piuttosto che una fonte di distrazione, con i suoi magnifici ornamenti e gli orpelli della lingua latina. Forse per quella ragione, o forse a causa di quanto era accaduto, fatto sta che l'immagine di quell'altare riccamente decorato mi trasmise un non so che di demoniaco, tanto che ne rabbrividii. Non si trattava della sensazione d'un crimine comune, né quella d'un peccatuccio furtivo, ma dell'opera stessa del Maligno. Accanto a me, il sacrista osservava la scena con un'espressione afflitta. «Vesto quest'abito da vent'anni», disse. «Nei giorni invernali più bui e freddi ho guardato quest'altare durante il mattutino, e qualunque peso avessi sul cuore si dissolveva al primo raggio di sole che entrava dalla finestra a oriente. Mi sentivo pervaso da una promessa di luce, dalla promessa di Dio. Ma ora non sarò più in grado di contemplare l'altare senza che quella scena riaffiori alla mia mente. È stata opera del demonio.» «Be', fratello», dissi in tono pacato, «l'esecutore era umano, ed è mio preciso compito trovarlo.» Mi diressi nuovamente nel coro, dove presi posto in uno degli stalli, facendo cenno a fratello Gabriel di sedere accanto a me. «Quando avete scoperto questo abominio, fratello sacrista, che cosa avete fatto?» «Ho detto che dovevamo avvisare il priore. Ma in quell'istante preciso la porta delle scale che conducono al dormitorio s'è aperta di schianto e uno dei confratelli è venuto a comunicarci, pieno di sgomento, che il commissario era stato ucciso. Abbiamo lasciato la chiesa insieme.» «E non vi siete accorti che la reliquia era scomparsa?» «No. Quello è avvenuto in seguito. Pressappoco alle undici, sono passato davanti all'altarino e l'ho trovato vuoto. Ma di certo dev'essere accaduto
nello stesso momento.» «Forse. Anche voi siete entrato dalle scale che collegano il dormitorio alla chiesa. Quella porta viene tenuta chiusa?» «Certo. Sono stato io ad aprirla.» «Così, chiunque abbia profanato la chiesa deve per forza essere entrato dall'ingresso principale, che invece rimane aperto?» «Sì. È nostra convinzione che la servitù e i visitatori, così come i monaci, debbano essere liberi di entrare in chiesa a piacimento.» «E voi siete arrivato poco dopo le cinque. Ne siete certo?» «Seguo la stessa prassi ormai da otto anni.» «Dunque l'intruso ha operato nella semioscurità, spargendo il sangue di quel volatile e, probabilmente, rubando la reliquia. Sia la profanazione sia l'omicidio di Singleton sono stati perpetrati fra le quattro e un quarto, quando Bugge ha incontrato il commissario, e le cinque, quando voi siete giunto in chiesa. Chiunque sia stato, ha agito con gran rapidità. Ciò significa che doveva essere a conoscenza del tracciato della chiesa.» Il religioso mi ascoltò con vivo interesse. «Esatto.» «E la gente del villaggio non va a sentir messa nelle chiese dei monasteri. Inoltre, quando degli estranei prendono parte a particolari processioni o vengono a pregare dinanzi alle reliquie, non è concesso loro di recarsi dietro il jubé, no?» «No. Soltanto i monaci possono recarsi nel coro e di fronte all'altare.» «Dunque, solo un monaco potrebbe conoscere questa prassi nonché il tracciato della chiesa. O uno dei vostri servitori, come quell'uomo che si aggira per la chiesa accendendo le candele.» Mi guardò, serio in volto. «Geoffrey Walters ha settant'anni ed è sordo. I servitori che si occupano della chiesa sono con noi da anni. Li conosco bene, e nessuno di loro potrebbe mai aver compiuto un simile gesto.» «Allora, non ci resta che spostare l'attenzione su uno dei religiosi. L'abate Fabian e il vostro amico economo sono convinti che sia opera d'un intruso. Ma io non la penso così.» «Io invece lo ritengo possibile», disse esitante. «Proseguite.» «Quest'autunno, quando mi svegliavo al mattino, dalla finestra della mia stanza m'è capitato talvolta di notare delle luci fuori nella palude. Penso che le attività di contrabbando siano riprese.» «Anche l'abate ha parlato di contrabbandieri. Io credevo, però, che la palude fosse assai pericolosa.»
«Lo è. Ma i contrabbandieri conoscono delle piste che corrono dall'isoletta che ospita i resti della chiesa dei fondatori fin verso il fiume. In questo modo caricano le loro imbarcazioni di lana di frodo proveniente dalla Francia. Di tanto in tanto l'abate si lagna con le autorità locali, ma queste non paiono interessate. Alcuni dei funzionari probabilmente traggono profitto da simili commerci.» «Dunque una persona a conoscenza di questi sentieri sarebbe potuta entrare e uscire dal monastero quella notte?» «È possibile. Le mura di cinta in quel punto sono in pessime condizioni.» «Avete riferito all'abate di quelle luci?» «No. Come vi ho detto, oramai ha capito che è inutile presentar lamentele. E io ero troppo confuso per pensare in modo lucido, ma ora...» I suoi occhi s'accesero d'una brama ardente. «Forse questa è la risposta. Quegli uomini sono dei fuorilegge, dei peccatori, e un peccato può portarne un altro, fino a giungere persino alla blasfemia...» «L'intera comunità sarebbe ben lieta di far ricadere la colpa altrove, ne sono certo.» Si voltò, fissandomi negli occhi. «Mastro Shardlake, forse voi considerate le nostre preghiere e la nostra devozione per le reliquie dei santi delle insensate cerimonie d'un manipolo d'uomini che conduce un'esistenza privilegiata, sulle spalle di un mondo sofferente.» Inclinai il capo. Lui proseguì con improvvisa determinazione. «La nostra vita di contemplazione e preghiera è intesa ad avvicinarci a Cristo, alla sua luce, allontanandoci dai peccati del mondo. Ogni preghiera, ogni messa è per noi un tentativo d'accostarci a lui; ogni statua, ogni rituale e ogni frammento di vetro colorato è una testimonianza della sua gloria, che ci distoglie dalla malignità della terra.» «Rispetto il vostro credo, fratello.» «So che la nostra esistenza è più agiata di quanto non dovrebbe, e che i nostri abiti caldi e il cibo non sono quelli che san Benedetto intendeva. Ma il nostro proposito è sempre lo stesso.» «Cercare la comunione con Dio?» Si voltò e mi guardò intensamente. «Non è facile. Chi sostiene il contrario ha torto. L'umanità peccatrice è pervasa dagli impulsi malvagi disseminati dal demonio. Non crediate che i monaci ne siano immuni, signore. Talvolta penso che più grande è la nostra aspirazione d'avvicinarci a Dio,
più il diavolo cerca di tentare le nostre menti, spingendole verso il male. E più grande dovrà essere la nostra lotta per respingerlo.» «E vi viene in mente nessuno che possa essere stato indotto a commettere un omicidio?» chiesi pacato. «Ricordatevi che parlo in nome del vicario generale e, tramite lui, in quello del capo supremo della Chiesa, il sovrano.» Mi guardò dritto negli occhi. «Non posso pensare a nessuno, in questa comunità, capace d'un simile gesto. In caso contrario, ne avrei già avvertito l'abate. Ve lo ripeto, io sono convinto che sia stato qualcuno di fuori.» Annuii. «Tuttavia ho sentito parlare di altre profanazioni tombali, mi sbaglio forse? Lo scandalo scoppiato sotto il precedente priore. E piccoli peccati, come voi ben dite, possono condurre a violazioni più gravi.» Avvampò. «C'è una grossa differenza fra quel genere di mancanze e quanto è avvenuto qui la passata settimana. E ciò di cui parlate è accaduto molto tempo fa.» S'alzò d'improvviso e fece qualche passo. Lo raggiunsi. Il viso era teso, la fronte sudata nonostante il freddo. «Non direi sia trascorso poi molto, fratello. L'abate m'ha spiegato che la punizione di Simon Whelplay è stata in parte causata da un certo genere di sentimenti che il giovane prova nei confronti di un altro monaco. Voi.» Si voltò, animato da un'improvvisa foga. «È solo un bambino! Non posso essere ritenuto responsabile per i pensieri peccaminosi della sua debole mente. Finché il giovane non lo ha confessato al priore Mortimus, io non ne ero neppure a conoscenza, altrimenti avrei io stesso posto fine alla questione. E sì, ho giaciuto con altri uomini, se è questo cui alludete, ma mi sono confessato e ho fatto penitenza, senza più ricadere nel peccato. Ecco, commissario, ora sapete tutto di me. So che l'ufficio del vicario generale apprezza molto questo genere di storie.» «Io cerco soltanto la verità. Non turberei mai il vostro animo per puro diletto.» Parve sul punto d'aggiungere qualcosa, ma s'interruppe e fece un respiro profondo. «Desiderate visitare la biblioteca, ora?» «Sì, ve ne sarei grato.» Ripercorremmo la navata. «In ogni modo», dissi dopo qualche istante di silenzio, «ho visto la profonda crepa sulla fiancata della chiesa. Richiederà di certo una grossa mole di lavoro. Il priore approverà le spese?» «No. Fratello Edwig sostiene che qualsiasi programma d'intervento debba rientrare nelle rendite annuali che abbiamo a disposizione. Ma quelle basteranno a malapena a impedire che il danno peggiori.»
«Capisco.» Se così era, pensai, perché mai fratello Edwig e l'abate discutevano del bisogno di capitale ricavabile dalla vendita dei terreni? «Chi si occupa di conti è sempre convinto che meno denaro si spende meglio è», continuai filosoficamente. «E non fa che mettere soldi da parte, finché tutto non gli crolla addosso.» «Per fratello Edwig risparmiare è un dovere sacro», disse pungente. «Né lui né il priore mi son parsi molto inclini alla carità.» Mi lanciò un'occhiata tagliente, ma non aggiunse altro e uscimmo dalla chiesa. Il freddo biancore della luce esterna mi fece lacrimare gli occhi. Il sole brillava ormai alto e luminoso, anche se privo di calore. Altri sentieri erano stati aperti nella neve e tutti parevano essere tornati alle quotidiane incombenze, un andirivieni d'abiti scuri che si stagliavano su quella candida distesa. L'edificio della biblioteca, posto accanto alla chiesa, era sorprendentemente vasto. La luce filtrava dalle alte finestre, illuminando scaffali ricolmi di libri. I tavoli di consultazione erano deserti, fatta eccezione per un novizio che si lambiccava il cervello su un pesante volume, e un vecchio monaco che, seduto in un angolo, copiava alacremente un manoscritto. «Non sono in molti a dedicarsi allo studio», commentai. «La biblioteca è sovente vuota», si rammaricò fratello Gabriel. «Quando si ha bisogno di consultare un libro, generalmente lo si porta nella propria cella.» Raggiunse il monaco anziano. «Come procede, Stephen?» Il vecchio alzò lo sguardo, strizzando gli occhi. «Lentamente, fratello Gabriel.» Diedi un'occhiata al suo lavoro; stava copiando un'antica Bibbia, i caratteri e le illustrazioni traboccanti d'intricati dettagli, i colori ancor vividi sulla spessa pergamena dopo tanti secoli. La copia che il monaco ne aveva fatto, invece, era piuttosto scadente, le lettere disordinate e irregolari, i colori eccessivamente sgargianti. Fratello Gabriel gli diede un colpetto sulla spalla. «Nec aspera terrent, fratello», disse, prima di rivolgersi a me. «Vi mostro l'illustrazione della mano di Barabba.» Il sacrista mi fece strada su per una scala a chiocciola fino al piano superiore, dov'erano stipati altri libri e antichi volumi, ammassati su scaffali ricoperti da uno spesso strato di polvere. «La nostra raccolta. Alcuni dei testi sono riproduzioni di opere greche e romane, realizzate ai tempi in cui la copia era considerata un'arte. Soltanto cinquant'anni fa, i tavoli al piano di sotto sarebbero stati gremiti di fratelli
miniatori. Ma con l'avvento della stampa nessuno più desidera opere illustrate, accontentandosi di povere copie scritte con orribili caratteri squadrati.» «Forse i libri stampati sono meno belli a vedersi, ma ora la parola del Signore può essere portata a un maggior numero di persone.» «Ma può essere compresa da tutti?» rispose il monaco con foga. «Senza l'arte e le illustrazioni che suscitino timore e reverenza?» Prese un vecchio volume da uno scaffale e lo aprì, tossendo per la nuvola di polvere che vi si era levata. Delle creaturine maliziose danzavano dipinte fra le righe d'un testo greco. «Si crede sia una copia dell'opera perduta di Aristotele, Sulla commedia», disse. «Un falso, ovviamente, italiano, del tredicesimo secolo, nondimeno di fattura straordinaria.» La richiuse, volgendo l'attenzione su un enorme volume sul quale erano poggiate delle carte arrotolate. Le prese e io cercai di aiutarlo prendendone una a mia volta. Ma, con mia grande sorpresa, lui me la strappò dalle mani. «No! Non toccate!» Lo guardai perplesso. Il religioso arrossì. «Perdonatemi, signore... io... io non vorrei che vi sporcaste gli abiti di polvere.» «Che cosa sono?» «Vecchie piante del monastero. Lo scalpellino le consulta di tanto in tanto.» Estrasse il volume sottostante. Era molto pesante, e il monaco lo sollevò con grande fatica. Lo poggiò su di un tavolo e lo aprì con estrema cautela. «Questo testo illustra i tesori del monastero. Ha più di duecento anni.» Vidi le illustrazioni a colori delle statue esposte in chiesa e del leggio del refettorio. Ciascuna illustrazione recava le misure dell'oggetto rappresentato e un commento in latino. Le pagine centrali riportavano l'immagine a colori d'una grossa teca quadrata, incastonata di pietre preziose. Oltre un pannello di vetro, su un cuscino color porpora era deposto un frammento di legno scuro. Una mano umana vi era fissata con un grosso chiodo che ne trapassava il palmo, tanto avvizzita dal tempo da mostrare ogni singolo tendine. Dalle misure riportate, il reliquiario doveva avere una superficie di due piedi quadrati per un piede di profondità. «Sono dunque questi gli smeraldi», dissi. «Notevoli. La teca potrebbe essere stata rubata per il suo grande valore?» «Sì. Anche se un cristiano che si abbassasse a compiere un simile gesto
perderebbe la propria anima immortale.» «Ho sempre creduto che i ladri crocifissi con Cristo avessero le mani legate, non inchiodate, in modo da prolungare la loro agonia. Questo mostrano le pitture sacre.» Sospirò. «Nessuno conosce la verità. I vangeli dicono che Nostro Signore sia morto per primo, ma del resto era già stato sottoposto a orribili torture.» «Ecco il potere fuorviante di statue e dipinti», dissi. «Siamo di fronte a un paradosso, non è così?» «Che cosa intendete, signore?» «Quella mano apparteneva a un ladro. E ora la sua reliquia, per vedere la quale la gente era disposta a pagare prima che la pratica fosse condannata come usura, viene rubata a sua volta.» «Sarà pure un paradosso», mi rispose fratello Gabriel pacato, «ma per noi resta una tragedia.» «Un uomo da solo sarebbe stato in grado di trasportarla?» «A Pasqua veniva portata in processione da due uomini. Una persona dotata di grande forza forse avrebbe potuto farlo, ma non sarebbe andata lontano.» «Fino alla palude, forse?» Annuì. «Forse.» «Allora credo sia giunto il momento di andare a dare un'occhiata là fuori, se foste così gentile da indicarmi la via.» «Certamente. C'è un cancello sul retro.» «Vi ringrazio, fratello Gabriel. La vostra biblioteca è davvero affascinante.» Mi accompagnò fuori e indicò il cimitero. «Seguite il sentiero che corre là in mezzo, passate oltre il frutteto e il vivaio e vi troverete al cancello. La neve sarà alta, però.» «Ho le soprascarpe. Be', ci vedremo di certo più tardi a cena. Allora potrete di nuovo incontrare il mio giovane assistente.» Sorrisi allusivo. Il sacrista arrossì e abbassò la testa. «Ah, sì... certo...» «Orbene, fratello, vi ringrazio per l'aiuto e la franchezza. Vi auguro una buona giornata.» Annuii e lo lasciai. Quando mi voltai, lo vidi ritornare lentamente verso la chiesa, il capo chino. Capitolo dodici
Oltrepassai le fucine e svoltai per un cancelletto che dava sul cimitero secolare. Alla luce del giorno pareva più piccolo. Le lapidi della gente del villaggio, che aveva pagato per esservi sepolta, e quelle dei visitatori che erano morti nel monastero giacevano sotto una spessa coltre di neve. C'erano anche tre ampie tombe di famiglia simili a quella dei Fitzhugh che avevamo visitato la notte precedente. Al limitare del camposanto dei filari d'alberi da frutto levavano i propri rami spogli al cielo. Quelle cripte, pensai, sarebbero state dei nascondigli perfetti. Mi feci strada verso la più vicina, sganciando il mazzo di chiavi dell'abate dalla cinta. Le passai in rassegna, le dita irrigidite dal freddo, fino a che ne trovai una della misura giusta. Entrai in ciascuna delle cripte, ma nelle bianche tombe marmoree non c'era nascosto nulla. I pavimenti di pietra erano ricoperti di polvere, inviolata da tempo immemorabile. Una di queste apparteneva a un eminente membro della famiglia Hasting, il cui antico nome era stato spazzato via dalle guerre civili. Tuttavia coloro che riposavano in quel luogo sarebbero stati ricordati, riflettei ripensando alle messe private dette dai monaci. Nomi ricordati in vuote salmodie, giorno dopo giorno. Scossi il capo e m'avviai nuovamente verso il frutteto, dove corvi affamati gracchiavano sugli scheletrici rami degli alberi. Arrancando fra le pietre tombali, fui lieto di avere con me il mio bastone. Oltrepassai il portello che dava accesso al frutteto e mi feci strada fra gli alberi carichi di neve. Tutto era silenzioso e immoto. Lì, all'aria aperta, sentii finalmente di poter pensare. Mi pareva strano, dopo tanti anni, di ritrovarmi in un monastero. Ai tempi di Lichfield non ero altro che un giovane storpio senza importanza. Ora ero investito dei poteri di commissario di Lord Cromwell, e godevo di grande rispetto. E tuttavia, ora come allora, mi sentivo isolato, solo, disprezzato. La sola differenza era il terrore che incutevo fra quelle mura, ma sapevo bene di dover gestire con cautela la mia autorità, perché quando gli uomini hanno paura si chiudono come ricci. La conversazione con fratello Gabriel mi aveva depresso. Il monaco viveva nel passato, in un mondo di libri illustrati, di antiche salmodie, di statue silenti. Suppongo fosse l'universo in cui cercava rifugio dalle continue tentazioni. Rammentai l'espressione d'angoscia che gli aveva attanagliato il volto quando lo avevo costretto a raffrontarsi con la propria storia. Nel corso della mia carriera avevo incontrato molti bugiardi millantatori e ca-
naglie disoneste e, lo confesso, era stato per me un piacere interrogarle e distruggere i loro castelli di bugie, mentre mi guardavano con occhi sgranati e bocche spalancate. Ma estorcere disgustosi peccati da un uomo come fratello Gabriel non era una cosa di cui poter andar fiero. Dopotutto, sapevo fin troppo bene che cosa voleva dire essere emarginato e disprezzato. Ricordai come il continuo scherno dei compagni mi avesse portato a pregare mio padre di ritirarmi da quella scuola di religiosi per educarmi privatamente. Ma aveva risposto che se mi avesse concesso di ritirarmi dal mondo, non avrei più trovato la forza di affrontarlo. Era un uomo severo, poco incline alla compassione, e lo fu ancor meno dopo la morte di mia madre. Forse mio padre aveva ragione, eppure quella mattina mi trovai a domandarmi se, al successo materiale, non avrei preferito una vita di ritirata contemplazione. In tutta risposta non ottenni altro che far riaffiorare brutti ricordi. Superai una fila di colombaie, oltre le quali era visibile un largo stagno cinto da un canneto. C'era un vivaio ittico nel quale sfociava un fiumiciattolo prima di riversarsi in un piccolo canale di scolo che passava sotto le mura posteriori, a poca distanza. Lì accanto si ergeva un massiccio cancello di legno. I monasteri, ricordai, venivano sempre costruiti accanto a corsi d'acqua, che portassero con sé i rifiuti della casa. I primi monaci s'intendevano d'idraulica e di certo avevano ideato un qualche meccanismo in grado di deviare gli scarichi per evitare d'insudiciare il vivaio. Rimasi a osservare quel luogo, appoggiandomi al bastone e rimproverandomi per i miei cupi pensieri. Ero in missione per indagare su un omicidio, non per rievocare passati dolori. Avevo fatto dei progressi, ma davvero esigui. Dei cinque officiali anziani a conoscenza della missione di Singleton, nessuno m'aveva dato l'impressione di covare nel cuore un odio tanto selvaggio da spingerlo a commettere un simile delitto, esponendo l'avvenire del monastero a un pericolo persino maggiore. Tuttavia l'animo di quegli uomini era difficile da penetrare, e in Gabriel almeno avevo letto grande tormento e disperazione. Accantonai l'idea che Singleton fosse stato ucciso per aver scoperto qualcosa di compromettente sul conto di uno dei monaci. Pareva l'ipotesi più plausibile, eppure non mi sembrava quadrare con l'efferatezza del suo omicidio. Sospirai. Forse sarei stato costretto a interrogare ogni monaco e ogni servitore del monastero, e mi depressi al pensiero di quanto tempo ci sarebbe voluto. Prima fossi riuscito ad allontanarmi da quello sventurato mausoleo, meglio sarebbe stato; e Lord Cromwell premeva perché trovassi
una soluzione. Ma come Mark aveva detto, non potevo fare miracoli. Da buon uomo di legge, avrei dovuto perseverare. E come prima cosa avrei dovuto verificare se la palude poteva fornire una via d'accesso al monastero. «I dettagli», mormorai mentre affondavo nella neve. «Ogni più piccolo dettaglio.» Raggiunsi il vivaio ittico e mi chinai a osservarlo. Era ricoperto da un sottile strato di ghiaccio, ma il sole ormai alto mi permise di distinguere le scure sagome delle carpe che guizzavano nell'acqua invasa dalle canne. Rialzandomi, la mia attenzione fu attratta da un fievole baluginio giallastro sul fondo. Meravigliato, mi protesi nuovamente in avanti. Da principio non riuscii più a scorgere ciò che avevo intravisto fra le canne e credetti d'aver preso un abbaglio, ma poi lo rividi. M'inginocchiai nella neve, rabbrividendo per il gran freddo, e scrutai in profondità. C'era qualcosa, una chiazza gialla sul fondo. La teca era d'oro, e le else di molte spade preziose sono decorate con inserti dorati. Valeva la pena andare a fondo della questione. Non m'allettava l'idea di affrontare subito quelle gelide acque, quindi decisi che sarei ritornato più tardi con Mark. Mi alzai, scrollai la neve dalle vesti, mi avvolsi nuovamente nella cappa e mi diressi al cancello. Nel muro di cinta diroccato notai qualche rabberciatura alla buona. Sganciai il mazzo di chiavi dalla cinta e trovai quella che s'adattava all'antica e massiccia serratura. Il cancello s'aprì cigolando su uno stretto sentiero che correva lungo il muro, mentre il terreno degradava verso la palude. Non mi ero reso conto che fosse tanto vicino all'acquitrino. In alcuni punti il sentiero era stato ingoiato dal pantano che era arrivato a lambire il muro di cinta, erodendolo e forzandone la ricostruzione, ancora più raffazzonata. Un uomo dotato di una certa agilità avrebbe potuto, in effetti, arrampicarsi su quella superficie irregolare. «Dannazione», borbottai, non potendo più eliminare nemmeno quella possibilità. Osservai la palude. Ricoperta dalla neve e spezzata qua e là da fitti canneti e pozze d'acqua ghiacciata, s'estendeva per mezzo miglio fino all'ampio letto del fiume, il cielo azzurro riflesso nelle sue acque gelate. Oltre il fiume, il terreno tornava a salire gradualmente fino a perdersi nel boscoso orizzonte. Tutto era immobile, con due uccelli marini come unico segno di vita. L'istante in cui li guardai, questi spiccarono il volo levando tristi richiami nel freddo cielo. A metà strada fra il fiume e dove mi trovavo s'ergeva un vasto poggio,
un'isola nella palude. Sulla sua sommità, un cumulo di basse rovine. Doveva trattarsi del luogo menzionato da fratello Gabriel, il primo insediamento monacale. Incuriosito, il bastone ben saldo in pugno, feci un passo fuori del sentiero. Con mia sorpresa il terreno sotto la neve era fermo. Posai anche l'altra gamba e mossi un passo. Ancora una volta, la terra mi parve compatta. Ma era solo una zolla d'erba ghiacciata e d'improvviso il piede la infranse, sguazzando nella soffice poltiglia. Lanciai un grido e lasciai cadere il bastone. Sentii la gamba affondare lentamente nel fango denso, la melma mischiata all'acqua gelida filtrò nelle soprascarpe, inzuppandomi i piedi. Agitai le braccia spasmodicamente cercando di mantenere l'equilibrio, e per un attimo temetti di finire con la faccia nel fango. La gamba sinistra era ancora sulla terra ferma, così mi ritrassi con forza, terrorizzato all'idea che anche questa potesse infrangere uno strato di fango ghiacciato, facendomi precipitare in un baratro ignoto. Ma il terreno resse e fui in grado, sudando per lo sforzo e la paura, di estrarre lentamente l'altra gamba, imbrattata di fango nero. Dall'acquitrino si levò un gorgoglio di risucchio accompagnato da un odore nauseabondo. Mi ritrassi e mi lasciai cadere al suolo con un tonfo, il cuore in gola. Il bastone giaceva nella palude dov'era caduto, ma non cercai di recuperarlo. Osservando la gamba ricoperta di fango puzzolente, mi maledissi per la mia stupidità. Mi sarebbe piaciuto vedere la faccia di Lord Cromwell se lo avessero informato che il suo commissario scelto aveva sfidato i misteri di Scarnsea solo per finire annegato in una fetida palude. «Sei un idiota», dissi a voce alta. Udii un rumore alle mie spalle e mi voltai di scatto. Il cancello nel muro di cinta era aperto e fratello Edwig mi fissava stupito, un caldo mantello sopra la veste. «Mastro Shardlake, state b-bene?» Si guardò attorno nel brullo paesaggio e comprese che stavo parlando da solo. «Sì, fratello Edwig.» Mi alzai faticosamente in piedi, rendendomi conto d'aver fatto una pessima figura, inzaccherato di fango com'ero. «Solo un piccolo incidente. Ho rischiato di cadere nella palude.» Il monaco scosse il capo. «Non d-dovreste avventurarvi per questi luoghi, signore. Sono assai p-pericolosi.» «Me ne sono accorto. Ma che cosa ci fate voi qui, fratello? Non c'è lavoro per il vostro ufficio contabile quest'oggi?» «Ho accompagnato l'abate in visita al giovane novizio. Volevo schiarir-
mi le idee. Talvolta vengo qui a fare una p-passeggiata.» Lo guardai incuriosito. Non mi pareva il genere d'uomo a cui piacesse vagare per frutteti innevati. «Amo venire qui e osservare il fiume. È c-così rilassante.» «A patto che si badi a dove si mettono i piedi.» «Ehm... già. Volete che vi accompagni al m-monastero, signore? Siete tutto sporco di fango.» Cominciavo a tremare. «No, ce la faccio. Ma avete ragione, è tempo di rientrare.» Oltrepassammo di nuovo il cancello e ci facemmo faticosamente strada verso il convento. Cercai di procedere più svelto che potevo, la gamba inzuppata ormai ridotta a un blocco di ghiaccio. «Come sta il novizio?» Il religioso scosse il capo. «Pare sia sulla via della guarigione, ma non si può mai sapere con queste febbri polmonari. L'inverno p-passato l'ho avuta anch'io; ho dovuto interrompere il lavoro per d-due intere settimane.» «E che opinione vi siete fatto sul modo in cui il priore ha trattato Simon Whelplay?» Scosse di nuovo il capo, irrequieto. «È d-difficile a dirsi. La disciplina è necessaria.» «Allora dovremmo forse mandare il vento secondo i panni?» «La gente ha bisogno di certezze, ha b-bisogno di sapere che se ccommetterà un errore sarà p-punita.» Mi guardò. «Voi non c-credete, signore?» «Alcuni apprendono con più difficoltà di altri. M'era stato detto di non addentrarmi in questo acquitrino, e io l'ho fatto lo stesso.» «Ma il vostro è stato uno sbaglio, signore, non un p-peccato. E se alcuni imparano con difficoltà, motivo in più per dar loro una b-bella lezione. Quel ragazzo, poi, è di salute cagionevole. Avrebbe c-comunque finito con l'ammalarsi, presto o tardi.» Parlò con voce austera. Alzai un sopracciglio. «Pare che voi vediate il mondo in bianco e nero, fratello.» Sembrò sorpreso. «Ma certo, signore. Bianco e nero. Peccato e virtù. Dio e demonio. Le leggi sono chiare, sta a noi rispettarle.» «Ma ora le leggi vengono dal sovrano, non più dal papa.» Fratello Edwig mi guardò serio. «Sì, signore, e d-dobbiamo seguirle.» Le sue parole, notai, non concordavano con quanto fratello Athelstan sosteneva di avergli sentito dire. «M'è stato riferito, fratello economo, che
voi non eravate al monastero la notte in cui il commissario Singleton è stato ucciso.» «Esatto. Possediamo dei t-terreni a Winchelsea. Non ero convinto dei conti dell'amministratore, e ho c-cavalcato fin là per accertarmene di persona. Mi sono assentato per tre notti.» «E che cosa avete scoperto?» «Ero convinto che ci stesse imbrogliando. Ma si trattava solo d'un bbanale errore di calcolo. Tuttavia l'ho cacciato. Chi non sa fare di c-conto non può essermi d'aiuto.» «Siete partito solo?» «Ho portato c-con me uno dei miei assistenti, il vecchio fratello William, c-che avete incontrato nel nostro ufficio.» Mi rivolse uno sguardo eloquente. «E mi trovavo a casa dell'amministratore la notte in cui il ccommissario Singleton è stato ucciso. Che D-Dio l'abbia in gloria», aggiunse ipocritamente. «Avete molte incombenze», dissi. «Ma perlomeno potete contare sulla collaborazione dei vostri assistenti. Il vecchio e il ragazzo.» Il monaco mi guardò con occhi taglienti. «Già, sebbene il ragazzo sia più d'incomodo c-che altro.» «Davvero?» «Non ha testa per i c-conti, niente affatto. Gli ho ordinato di raccogliere i registri c-che m'avete domandato, dovrebbero esservi recapitati al più ppresto.» Rischiò di scivolare, e lo afferrai per un braccio. «Vi ringrazio, signore. Madre Santissima, questa neve!» Per il resto del tragitto, fratello Edwig fece molta attenzione a dove metteva i piedi, e raggiungemmo il monastero senza quasi proferire parola. Giunti nella corte, ci separammo; lui fece ritorno al suo lavoro e io mi diressi all'infermeria. Avevo bisogno di mangiare qualcosa. Pensai all'economo: un piccolo burocrate presuntuoso ossessionato dalle responsabilità finanziarie. Nondimeno un uomo fedele al monastero. Sarebbe stato pronto ad appoggiare la disonestà per difenderlo, o per lui avrebbe significato oltrepassare la linea di confine fra bianco e nero? Era decisamente antipatico, ma, come avevo detto a Mark la notte precedente, l'antipatia non bastava a farne un assassino più di quanto la simpatia per fratello Gabriel non potesse assicurargli l'innocenza. Sospirai. Era difficile essere obiettivo con quella gente. Aprii la porta dell'infermeria, dove tutto pareva tranquillo. La stanza era
deserta. Il vecchio malato giaceva silenzioso nel suo giaciglio, il monaco cieco dormicchiava sulla sedia e il letto del religioso grasso era vuoto; forse fratello Guy era riuscito a fargli accettare l'idea che fosse giunto per lui il momento d'andarsene. Il fuoco crepitava nel camino, diffondendo un piacevole tepore, e io ne approfittai per andare a riscaldarmi qualche istante. Me ne stavo immobile, osservando il vapore levarsi dai miei calzoni bagnati, quando udii dei rumori. Rumori confusi, rotti, urla, grida, l'infrangersi di stoviglie. I suoni si fecero più vicini. Con stupore vidi spalancarsi la porta che dava sulle stanze dei malati e scaturirne un groviglio di figure affannate: Alice, Mark, fratello Guy e, al centro, un'esile figura con indosso una camicia da notte bianca che si liberò dalla loro presa e s'allontanò barcollando. Riconobbi Simon Whelplay, ma era molto diverso dallo spettro moribondo che avevo visto la notte precedente. Il viso rubizzo, gli occhi fissi e sgranati, la schiuma alla bocca. Sembrava voler dire qualcosa ma riusciva solo ad ansimare, sopraffatto da conati di vomito. «Per tutti i santi del paradiso, che sta accadendo?» gridai rivolto a Mark. «Ha perso il senno, signore!» «Inseguitelo! Acciuffatelo!» intimava fratello Guy a gran voce. Con grande determinazione fece un cenno ad Alice che si scostò di lato, aprendo le braccia. Mark e fratello Guy seguirono il suo esempio accerchiando il novizio, che s'era fermato e si guardava attorno con occhi selvaggi. Il monaco cieco s'era svegliato e voltava la testa a destra e a sinistra con fare ansioso, la bocca spalancata. «Che cosa c'è?» chiese con voce tremante. «Fratello Guy?» Allora accadde una cosa spaventosa. Whelplay si accorse di me e d'improvviso si curvò, imitando la mia distorta andatura. Non solo, tese le braccia e cominciò ad agitarle avanti e indietro, dimenando le dita in segno di scherno. Un atteggiamento che adotto quando sono particolarmente agitato, così almeno mi ha riferito chi mi ha visto in tribunale. Ma come poteva Whelplay conoscere un simile particolare? Mi trovai a tornare con la mente ai giorni della scuola e confesso che osservando quel ragazzo barcollare chino e gesticolante mi si drizzarono i capelli sulla testa. Mark gridò, facendomi tornare in me. «Aiutateci! Prendetelo, signore, per pietà, o riuscirà a uscire!» Sussultai e aprii le braccia, avvicinandomi al novizio. Accostandomi lo guardai negli occhi, degli occhi terribili, le folli pupille dilatate che mi fissavano senza riconoscermi, persino mentre eseguiva la sua derisoria imitazione. Ripensai a quanto fratello Gabriel aveva
detto sull'intervento di forze sataniche, e pensai con orrore che il ragazzo fosse posseduto. Ci stringemmo tutti e quattro attorno al giovane, ma questi, con un improvviso scarto di lato, riuscì a dileguarsi attraverso una porta socchiusa. «È andato nella stanza da bagno!» gridò fratello Guy. «Non ha via d'uscita. Fate attenzione, il pavimento è scivoloso.» Si precipitò al suo inseguimento, Alice alle sue spalle. Mark e io ci guardammo, poi ci affrettammo a raggiungerli. La stanza era buia, tranne un pallido raggio di lattea luce che filtrava da un'alta finestra per metà ostruita dalla neve. Era una stanzetta quadrata con il pavimento di piastrelle e una vasca interrata al centro. Spazzole e raschiatoi erano appoggiati in un angolo, l'aria intrisa d'uno stagnante odore muffito di pelle non lavata. Udii rumore d'acqua corrente e, abbassando lo sguardo, vidi che il fiumiciattolo finiva effettivamente in un canale di scolo in fondo alla stanza. Simon Whelplay era là, tremante, rannicchiato in un angolo. Rimasi sulla soglia mentre fratello Guy lo avvicinava da un lato, Mark e Alice dall'altro. Alice tese un braccio verso il giovane. «Vieni, Simon, sono Alice. Non vogliamo farti del male.» Non potei fare a meno d'ammirare il suo coraggio. Poche donne si sarebbero accostate a una simile apparizione con altrettanta fermezza. Il novizio si voltò, il viso deformato in un'espressione di sofferenza. Per un istante la fissò senza vederla, poi il suo sguardo si posò su Mark, che le stava accanto. Puntò un dito ossuto e gridò con una voce fessa e roca, quasi irriconoscibile: «Stai lontano! Tu, un emissario del demonio, celato dietro quelle preziose vesti! Ora li vedo, i diavoli che turbinano nell'aria come granelli di polvere. Sono ovunque, persino qui!» Si coprì gli occhi con le mani, poi vacillò e d'improvviso cadde in avanti nella vasca. Sentii le ossa del braccio spezzarsi, quando colpì il pavimento di piastrelle. Poi rimase immobile, disteso sopra il canale di scolo, mentre l'acqua ghiacciata gli gorgogliava attorno. Fratello Guy si chinò. Rimanemmo in attesa sul bordo, mentre il religioso voltava il corpo del ragazzo. Aveva gli occhi rovesciati, in macabro contrasto con il pallore livido del volto. Il frate infermiere gli tastò il collo e sospirò. Levò lo sguardo su di noi. «È morto.» Si alzò e fece il segno della croce. Alice si lasciò sfuggire un gemito, poi s'accasciò fra le braccia di Mark, scoppiando in frenetici singhiozzi. Capitolo tredici
Mark e fratello Guy estrassero con cautela il corpo di Simon dalla vasca e lo riportarono in infermeria. Fratello Guy lo prese per le braccia, mentre Mark, pallido come un cencio, sollevò le gambe cerulee. Li seguii assieme ad Alice che, dopo il breve sfogo, s'era ripresa e aveva assunto il solito fare composto. «Che cosa sta accadendo?» Il monaco cieco s'era alzato in piedi, agitando le mani dinanzi a sé, pietoso nel suo terrore. «Fratello Guy? Alice?» «È tutto a posto, fratello», disse Alice in tono rassicurante. «C'è stato un incidente, ma ora è passato.» Il cadavere fu disteso nel gabinetto di fratello Guy, sotto il crocifisso spagnolo. Il religioso lo coprì con un lenzuolo, il viso teso. Feci un respiro profondo. La mia mente ancora vacillava, non solo per la sconvolgente morte del novizio. Quello che era accaduto m'aveva scosso nel profondo. Gli echi dei miei infantili tormenti esercitavano su di me un grande potere anche quando non venivano scatenati da eventi tanto orribili e strani. «Fratello Guy», dissi, «prima di ieri non avevo mai incontrato il ragazzo, eppure quando m'ha visto m'è parso che... che si stesse prendendo gioco di me, imitando la mia postura ricurva e alcuni gesti che talvolta faccio in tribunale, agitando le mani. M'è parso di percepire il tocco del d-demonio.» Furioso con me stesso, mi ritrovai a balbettare come l'economo. Il religioso mi guardò a lungo con occhi indagatori. «Credo d'avere una spiegazione per quanto è accaduto, ma spero di sbagliare.» «Che cosa intendete? Siate chiaro», sbottai, mio malgrado, in tono irritato. «Ho bisogno di riflettere», mi rispose altrettanto bruscamente. «Ma prima, commissario, dobbiamo avvisare l'abate Fabian.» «Molto bene.» M'aggrappai allo spigolo della scrivania, perché le gambe avevano preso a tremarmi in modo incontrollabile. «Attenderemo il vostro ritorno in cucina.» Alice ci accompagnò nella stanzetta dove avevamo fatto colazione. «State bene, signore?» chiese Mark ansioso. «Tremate.» «Sì, sì.» «Ho un infuso d'erbe in grado di calmare il corpo dopo una violenta emozione», disse Alice. «Valeriana e aconito. Se volete ve ne preparo una tazza.» «Vi ringrazio.» La giovane non si scompose, ma tutt'a un tratto illividì.
Forzai un sorriso. «Vedo che quanto è accaduto ha colpito anche voi. Più che comprensibile. Pareva che quella povera creatura fosse posseduta dal demonio.» Fui sorpreso del moto di stizza che le avvampò il viso. «Non temo i demoni, signore, a meno che non siano come i mostri umani che hanno tormentato quel povero ragazzo. La sua vita è stata spezzata prima ancora di cominciare, e questo dolore non ci abbandonerà mai.» S'interruppe, rendendosi conto di essersi spinta troppo oltre. «Vado subito a prepararvi la tisana», disse in fretta, e corse via. Guardai Mark stupito. «Che schiettezza.» «Conduce un'esistenza molto dura.» Giocherellai con l'anello del lutto che portavo al dito. «Non è la sola in questa valle di lacrime.» Lo guardai. È innamorato, pensai. «Le ho parlato, come m'avete chiesto.» «Dimmi», lo incoraggiai. Avevo bisogno di cancellare il ricordo di quanto era appena avvenuto. «È giunta al monastero diciotto mesi fa. Viene da Scarnsea, suo padre è morto giovane e lei è stata allevata dalla madre, una levatrice, esperta d'erbe.» «Dalla madre, perciò, le viene la sua competenza.» «Stava per sposarsi quando il suo promesso, un boscaiolo, è morto in un incidente. Non c'è molto lavoro in paese, ma lei è riuscita a trovare un posto come assistente di uno speziale a Esher, un conoscente della madre.» «Dunque ha viaggiato. Ero sicuro che non fosse una contadina.» «Conosce bene le campagne circostanti. Le ho parlato della palude. Mi ha detto che ci sono sentieri che l'attraversano, se si sa dove cercarli. Le ho chiesto se poteva mostrarceli e mi ha detto di sì.» «Potrebbe esserci d'aiuto.» Gli dissi ciò che fratello Gabriel mi aveva raccontato dei contrabbandieri, della mia perlustrazione e dell'incidente. Gli mostrai la gamba sporca di fango. «Se esistono dei sentieri, è bene servirsi d'una guida attenta. Dio, che giornata spaventosa.» La mano che avevo posato sul tavolo stava tremando, e io non riuscivo a fermarla. Anche Mark stentava a riprendere colore. Rimanemmo in silenzio per un istante, silenzio che sentii improvvisamente di dover colmare. «Pare che voi due abbiate fatto una lunga chiacchierata. Com'è che Alice è finita qui?» «Quando lo speziale è morto - era molto anziano - lei ha fatto ritorno a Scarnsea, ma poco dopo ha perso anche la madre. La casa dove viveva si
trovava su un terreno in concessione feudale, e il proprietario se l'è ripreso. Così Alice si è ritrovata sola. Non sapeva che fare, poi qualcuno le ha detto che il monaco infermiere stava cercando un assistente laico. Nessuno in paese voleva lavorare per lui - lo chiamano il gigante nero - ma lei non aveva scelta.» «Ho l'impressione che non nutra molta ammirazione per i nostri pii confratelli.» «Dice che alcuni di loro sono uomini lascivi, che cercano sempre di approfittarsi di lei. Lo stesso priore pare le abbia causato delle noie.» «Dio, se parla con franchezza», commentai. «È arrabbiata, signore. Il priore l'ha molestata sin dal suo arrivo.» «Già, ho notato quanto lo disprezzi. Che vergogna, quell'uomo è un vero ipocrita: condanna i peccati altrui, e poi corre dietro alle gonne delle domestiche. L'abate ne è a conoscenza?» «Lei lo ha detto a fratello Guy, che è riuscito a farlo smettere. L'abate interviene di rado in queste faccende; apprezza la rigida disciplina imposta dal priore e gli lascia carta bianca. Pare che tutti i monaci lo temano, e quelli accusati di sodomia sono troppo terrorizzati per farsi avanti.» «E i risultati della sua disciplina sono sotto gli occhi di tutti.» Mark si passò una mano sulla fronte. «Già», concordò cupamente. Riflettei un istante. «È stato poco leale da parte di madamigella Alice parlare a questo modo con l'assistente del commissario. È di fede riformista?» «Non credo. Ma non vede motivo per coprire le malefatte di quelli che l'hanno importunata. È molto schietta, ma di buon cuore. Ha speso parole di grande ammirazione per fratello Guy. Le ha insegnato molto, dice, e l'ha protetta da chi intendeva crearle delle noie. Ed è anche molto legata ai vecchi di cui si prende cura.» Lo guardai meditabondo. «Non affezionarti troppo alla ragazza», dissi pacato. «Lord Cromwell esige la resa del monastero, e noi potremmo essere quelli che la butteranno di nuovo in mezzo a una strada.» Mark si accigliò. «Sarebbe molto crudele. E poi non è una ragazza. Ha ventidue anni, è una donna. Non c'è nulla che si possa fare per lei?» «Potrei tentare.» Meditai un istante. «Dunque il fratello infermiere la protegge. Mi chiedo se lei sarebbe disposta a fare altrettanto.» «Intendete dire che fratello Guy potrebbe voler celare dei segreti?» «Non saprei.» Mi alzai e raggiunsi la finestra. «Mi sento girare la testa.» «Avete detto d'aver avuto l'impressione che il novizio v'imitasse», esitò
Mark. «A te non è parso?» «Non vedo come avrebbe potuto sapere...» Deglutii. «...Come gesticolo quando faccio le mie arringhe in tribunale? Non me lo spiego neppure io.» Rimasi a guardare fuori della finestra, mordicchiandomi l'unghia del pollice, fino a che non vidi apparire in cortile fratello Guy in compagnia dell'abate e del priore. Le tre figure passarono rapide sotto la finestra, levando piccole nubi di neve. Qualche istante più tardi, udimmo vociare nella stanza in cui era stato deposto il cadavere. Sentimmo rumore di passi, e i tre monaci entrarono in cucina. Mi sedetti, scrutandoli in viso, uno dopo l'altro. Il volto bruno di fratello Guy era inespressivo. Quello del priore Mortimus era rubizzo, colmo di rabbia e di paura. L'abate pareva essersi chiuso in se stesso; sembrava essersi fatto più piccolo, più grigio. «Commissario», disse pacato, «sono mortificato che abbiate dovuto assistere a una scena tanto orribile.» Feci un respiro profondo. Avrei pagato per non dover esercitare la mia autorità su quei miserabili, ma non avevo scelta. «Già», dissi. «Ho scelto d'alloggiare nell'infermeria alla ricerca di un po' di pace e tranquillità durante lo svolgimento delle mie indagini, e mi sono imbattuto in un giovane intirizzito e affamato, che ha perso il senno e ha trovato la morte.» «Era posseduto!» Il priore parlò con voce dura e aspra, senza più un velo di sarcasmo. «Ha lasciato che la sua mente s'offuscasse al punto tale da renderla facile preda del diavolo, nelle ore di maggior debolezza. Ho ricevuto la sua confessione, gli ho inflitto una penitenza per mortificarlo, ma ho agito troppo tardi. Questo è il potere del demonio.» Strinse le labbra e mi fissò negli occhi. «È ovunque, e tutte queste spaccature fra cristiano e cristiano ci distolgono dal vederlo!» «Il ragazzo ha detto d'aver visto i demoni turbinare nell'aria come granelli di polvere», dissi. «Lo ritenete possibile?» «Suvvia, signore, persino il più fervente dei riformisti non può negare il fatto che il mondo pulluli degli emissari del Maligno. Non si dice forse che Lutero stesso abbia scagliato una Bibbia contro un demone nella sua stanza?» «Talvolta, però, simili visioni possono essere generate da un'encefalite.» Guardai fratello Guy, che annuì. «È vero», concordò l'abate. «La Chiesa ne è a conoscenza da centinaia di
anni. Dobbiamo indagare a fondo la questione.» «Ah, non c'è nulla su cui indagare», sbottò il priore con rabbia. «Simon Whelplay ha aperto l'anima al diavolo, un demone lo ha preso e lo ha spinto a gettarsi nella vasca, uccidendosi come i maiali di Gadareni che si sono gettati dal dirupo. La sua anima ora è all'inferno, per quanto io abbia tentato di salvarla.» «Non credo sia morto per la caduta», disse fratello Guy. Lo guardammo tutti con sorpresa. «Come puoi dirlo?» chiese il priore sprezzante. «Perché non ha battuto la testa», rispose il frate infermiere pacato. «Allora come...» «Ancora non lo so.» «In ogni modo», dissi trapassando il priore con lo sguardo, «pare sia stato gravemente indebolito da un eccesso di disciplina.» Il priore rispose al mio sguardo con baldanza. «Signore, il vicario generale intende riportare l'ordine nei monasteri. E ne ha ben donde. Le passate negligenze hanno esposto le anime di noi tutti a gravi pericoli. Se ho fallito con Simon Whelplay è perché non sono stato abbastanza severo; o forse il suo cuore era già infetto. Ma concordo pienamente con Lord Cromwell quando afferma che solo tramite una rigida disciplina otterremo la riforma degli ordini religiosi. Non rimpiango ciò che ho fatto.» «Che cosa ne pensate, signor abate?» «È possibile che in questo caso la tua severità sia andata troppo oltre, Mortimus. Fratello Guy, tu e il priore v'incontrerete per discutere della faccenda. Istituiremo un comitato d'investigazione. Sì, un comitato.» Il suono di quella parola parve rassicurarlo. Fratello Guy sospirò sonoramente. «Prima voglio esaminare i suoi poveri resti.» «D'accordo», disse l'abate. «Procedi pure.» Sembrò riacquistare la propria fiducia, e si rivolse a me. «Mastro Shardlake, fratello Gabriel è venuto a parlarmi. Ricorda d'aver intravisto delle luci nella palude, durante le notti precedenti l'uccisione del commissario Singleton. Credo che i contrabbandieri del luogo potrebbero essere i responsabili del delitto. Gente senzadio: quando si è abituati a infrangere i comandamenti delle leggi, infrangere quelli del Signore non è difficile.» «Già, sono stato alla palude. Affronterò la questione domani con il giudice; è una delle piste che intendo seguire.» «Credo che troverete lì la soluzione.»
Non risposi. L'abate proseguì. «Per il momento, ritengo sia meglio dire ai confratelli che Simon è morto a causa della malattia. Se voi siete d'accordo, commissario.» Riflettei un istante. Non desideravo diffondere altro panico. «Molto bene.» «Dovrò scrivere alla sua famiglia. Comunicherò loro la stessa cosa...» «Già, è di certo preferibile all'idea che il figlio stia bruciando all'inferno, come ha suggerito il priore», sbottai, improvvisamente disgustato da entrambi. Il priore Mortimus fece per ribattere, ma l'abate lo precedette. «Su, Mortimus, andiamo. Dobbiamo dare disposizioni perché venga scavata un'altra fossa.» S'inchinò congedandosi, seguito dal priore che mi lanciò un ultimo sguardo di sfida. «Fratello Guy», chiese Mark. «Che cosa credete abbia ucciso il ragazzo?» «Lo scoprirò presto. Ma dovrò sezionarlo.» Alzò le spalle. «Non è un compito semplice quando si conosceva la vittima. Ma dev'essere fatto subito, prima che subentri il rigor mortis.» Chinò il capo e chiuse gli occhi un momento, in preghiera, poi fece un respiro profondo. «Vogliate scusarmi.» Annuii e il frate infermiere uscì, poi i suoi passi riecheggiarono lenti verso il dispensario. Mark e io ci sedemmo, rimanendo in silenzio per qualche istante. Le sue guance cominciavano a riprendere colore, ma era ancora pallido come non lo avevo mai visto. Io sentivo ancora un senso di stordimento, sebbene il tremore almeno fosse cessato. Alice ci raggiunse portando una tazza fumante. «Ecco l'infuso, signore.» «Vi ringrazio.» «E sono arrivati per voi due contabili carichi di registri.» «Che? Ah, già. Mark, puoi assicurarti che siano portati nel nostro alloggio?» «Sì, signore.» Aprì la porta per andare, e mi giunse alle orecchie il rumore d'una sega proveniente dal dispensario. La porta si richiuse, e io abbassai lo sguardo sollevato. Bevvi un sorso della tisana di Alice. Aveva un sapore intenso, muschiato. «È ottimo per i traumi, signore, riequilibra gli umori.» «È molto gradevole. Vi ringrazio.» Rimase in piedi davanti a me, le mani giunte in grembo. «Signore, volevo scusarmi quanto ho detto poc'anzi. Ho parlato a sproposito.»
«Non ha importanza. Eravamo tutti molto scossi.» Esitò. «Di certo penserete che io sia strana, signore, perché ho detto che non temo l'opera dei demoni, dopo tutto ciò che abbiamo visto.» «Al contrario. Troppe sono le persone disposte a vedere lo zampino del demonio in qualunque cosa non riescano a comprendere. Io stesso ho reagito a quel modo, ma penso che fratello Guy abbia un'altra spiegazione in mente. Sta esaminando il cadavere.» La giovane si fece il segno della croce. «Sebbene», proseguii, «non dobbiamo dimostrarci ciechi di fronte all'operato di Satana.» «Io credo...» S'interruppe. «Continuate. Sentitevi pure libera di confidarvi. Sedete, vi prego.» «Vi ringrazio.» Si sedette, fissandomi con i suoi occhi azzurri perspicaci e guardinghi. Notai la sana compattezza della sua carnagione chiara. «Io credo che il demonio operi nel mondo attraverso la cattiveria degli uomini, la loro avidità, la crudeltà e l'ambizione, non possedendoli o facendoli impazzire.» Annuii. «Lo credo anch'io, Alice. In tribunale ho avuto modo di vedere molte delle brutture che avete menzionato. Non solo fra gli accusati. E vi assicuro che chi le esibiva non era certo pazzo.» Il viso di Lord Cromwell m'apparve d'improvviso davanti agli occhi, con impressionante vividezza. Alice annuì tristemente. «Quel genere di male è ovunque. Talvolta mi pare che la bramosia del denaro e del potere possa trasformare gli uomini in leoni famelici, a caccia d'una preda da divorare.» «Ben detto. Ma in quale luogo una fanciulla tanto giovane può aver incontrato simili nefandezze?» chiesi gentile. «Qui, forse?» «Io osservo il mondo, e rifletto su ciò che vedo.» Si strinse nelle spalle. «Più di quanto sia consono a una donna, forse.» «No, no. Dio ha concesso la ragione alle donne come agli uomini.» Sorrise amaramente. «Pochi qui condividerebbero le vostre opinioni, signore.» Bevvi un altro sorso della calda pozione, che rilassava i miei muscoli stanchi. «È davvero buona. Mastro Poer mi decantava poc'anzi la vostra abilità nell'arte della guarigione.» «Vi ringrazio. Come ho detto, mia madre era una levatrice.» Il suo viso s'adombrò un istante. «Per alcuni in paese questo significa occuparsi di magia nera, invece lei non ha fatto altro che raccogliere conoscenza. Una conoscenza trasmessale da sua madre, che l'aveva ricevuta dalla sua. Lo
speziale domandava spesso il suo consiglio.» «E voi ne siete diventata l'assistente.» «Sì. Mi ha insegnato molto. Ma poi è morto e io ho fatto ritorno a casa.» «Casa che avete perso.» «Già. Il proprietario l'ha fatta demolire, trasformando il nostro piccolo appezzamento in pascolo per le pecore.» «Che peccato. Queste recinzioni a favore dei proprietari terrieri sono la rovina delle nostre campagne. Lord Cromwell intende occuparsene.» Mi guardò incuriosita. «Lo conoscete? Lord Cromwell?» Annuii. «Sì. Si può dire che sia al suo servizio da molti anni.» Mi scrutò a lungo, incuriosita, poi abbassò lo sguardo e rimase in silenzio, le mani in grembo. Mani irruvidite dal lavoro, ma che non avevano perduto la loro grazia. «Così alla fine siete approdata qui.» Levò il capo. «Sì. Fratello Guy è una brava persona, signore. Io... io spero che voi non pensiate male di lui a causa del suo strano aspetto, signore. Alcuni lo fanno.» Scossi il capo. «Devo guardare molto più a fondo, se voglio sperare d'essere un buon investigatore. Sebbene debba confessare d'essere rimasto sbalordito quando l'ho visto per la prima volta.» Rise inaspettatamente, lasciando intravedere per un istante i denti bianchi e regolari. «Per me è stato lo stesso, signore. Ho creduto che il suo viso fosse stato intagliato nel legno, e che poi gli fosse stata data la vita. Mi ci sono volute settimane prima di riuscire a considerarlo un uomo come tutti gli altri. Mi ha insegnato davvero molto.» «Forse un giorno potrete mettere a frutto tutta questa conoscenza per voi stessa. So di speziali donne a Londra. Ma sono perlopiù vedove, e di certo voi prenderete marito.» Si strinse nelle spalle. «Forse, un giorno.» «Mark m'ha detto del vostro promesso. Mi rincresce.» «Già», bisbigliò. I suoi occhi s'erano fatti di nuovo guardinghi. «Pare che mastro Poer vi abbia raccontato tutto di me.» «Noi... be', abbiamo bisogno di sapere quanto più possibile sugli abitanti del monastero, come voi di certo comprenderete.» Le feci quel che speravo fosse un sorriso rassicurante. S'alzò di nuovo e s'avvicinò alla finestra. Quando si voltò parve tesa, come se avesse preso una decisione. «Signore, se io mi decidessi a darvi delle informazioni, mi garantireste
massima discrezione? Non posso permettermi di perdere il mio lavoro...» «Certo, Alice, avete la mia parola.» «I contabili di fratello Edwig vi hanno detto d'avervi portato tutti i registri contabili, vero?» «Esatto.» «Ma non è vero, signore. Non vi hanno portato il registro che il commissario Singleton stava esaminando il giorno della sua morte.» «Come lo sapete?» «Perché tutti i libri che hanno portato sono marroni. Quello che aveva il commissario aveva la copertina blu.» «Dite davvero? Come fate a saperlo?» Esitò. «Mi promettete davvero di non farne parola con nessuno?» «Certo, ve lo prometto. Vorrei che riusciste a fidarvi di me, Alice.» Fece un respiro profondo. «Il pomeriggio della morte del commissario Singleton io ero andata in paese per alcune commissioni. Sulla via del ritorno incontrai il giovane assistente dell'economo, fratello Athelstan, e il commissario di fronte all'ingresso dell'ufficio contabile.» «Fratello Athelstan?» «Esatto. Il commissario Singleton stringeva fra le mani un voluminoso registro blu, e stava rimproverando fratello Athelstan. Non si preoccupò d'abbassare la voce vedendomi passare.» Fece un sorrisino sardonico. «Dopotutto, sono solo una domestica.» «E che cosa diceva?» «'L'economo pensava forse di tenermelo nascosto, infilato in uno dei suoi cassetti?' Ricordo le sue esatte parole. Fratello Athelstan balbettò qualche scusa, dicendo che non gli era permesso rovistare nel gabinetto privato dell'economo in sua assenza, e il commissario replicò che lui aveva il diritto di andare ovunque, e che quel registro avrebbe gettato nuova luce sul bilancio annuale.» «Che cosa rispose fratello Athelstan?» «Nulla. Era spaventato a morte, pareva un cane bastonato. Il commissario Singleton disse che avrebbe esaminato il registro, e se ne andò. Ricordo ancora l'espressione trionfante che aveva dipinta in viso. Fratello Athelstan rimase attonito qualche istante. Poi si accorse della mia presenza. Mi guardò infuriato, entrò nell'ufficio e sbatté la porta.» «E non avete più sentito nulla in proposito?» «No, signore. Era quasi sera quand'è successo, e poi ho saputo che il commissario era morto.»
«Vi ringrazio, Alice», dissi. «Ci siete stata di grande aiuto.» M'interruppi, scrutandola in viso. «In ogni modo, mastro Poer mi ha riferito che avete avuto delle noie con il priore.» Il suo viso s'accese di nuova fierezza. «All'inizio ha cercato di approfittare della mia posizione. Ma ora è tutto risolto.» Annuii. «Siete molto schietta, Alice, e per questo vi ammiro. Vi prego di venire subito da me, se pensate di sapere qualcosa che possa aiutare le mie indagini. E se doveste aver bisogno di protezione, io ve la darò. Cercherò di rintracciare questo registro, ma vi assicuro che non farò il vostro nome.» «Vi ringrazio, signore. E ora, con il vostro permesso, devo raggiungere fratello Guy.» «Macabro compito davvero per una fanciulla.» Si strinse nelle spalle. «È parte dei miei doveri, e comunque sono abituata alla vista della carne morta. Mia madre componeva i corpi dei morti, giù in paese.» «Il vostro stomaco è più forte del mio, Alice.» «Già, la vita m'ha lasciato ben poche delle qualità di una fanciulla», commentò con improvvisa amarezza. «Non intendevo dir questo.» Levai una mano in segno di protesta. Così facendo, sfiorai la tazza con il gomito, rischiando di versarla. Ma Alice, che era ritornata al tavolo ed era in piedi di fronte a me, l'afferrò con grande prontezza. «Vi ringrazio. Cielo, che mano lesta.» «Fratello Guy fa cadere sempre tutto in infermeria. E ora, signore, con il vostro permesso.» «Ma certo. E grazie ancora per avermi parlato dell'economo.» Sorrisi. «So bene che un commissario regio incute un certo timore.» «No, signore. Voi siete diverso.» Mi guardò seria per un istante, poi si voltò svelta e lasciò la stanza. Sorseggiai l'infuso, che piano piano mi riscaldò. Anche il pensiero che Alice pareva fidarsi di me mi pervase di piacevole tepore. Se l'avessi conosciuta in un contesto differente, se non fosse stata una domestica... Pensai a quanto m'aveva detto prima d'andarsene. In che modo ero «diverso»? Singleton, supposi, doveva averle dato l'impressione che tutti i commissari regi fossero baldanzosi tiranni, ma c'era forse dell'altro? Non potevo davvero immaginare che lei fosse attratta da me come io m'ero scoperto attratto da lei. Mi resi conto d'averle rivelato che Mark m'aveva rife-
rito ogni sua parola. Questo, forse, avrebbe minato la sua fiducia nel mio giovane assistente, pensiero che, compresi non senza inquietudine, mi dava un certo piacere. Mi accigliai, poiché la gelosia era un peccato mortale, e rivolsi la mente a quello che la fanciulla m'aveva detto sul registro contabile. Una pista davvero interessante. Dopo qualche minuto Mark riapparve. Mentre riapriva la porta, fui sollevato nel constatare che il rumore della sega era cessato. «Ho controllato i registri, signore. Diciotto voluminosi tomi. Gli uomini dell'economo si sono molto lamentati, dicendo che abbiamo gettato il loro lavoro nello scompiglio.» «Al diavolo il loro lavoro. Hai chiuso a chiave la stanza?» «Sì, signore.» «Hai per caso notato se fra i registri ce n'è uno rilegato in blu?» «Sono tutti marroni, signore.» Annuii. «Penso di sapere perché fratello Edwig abbia dato del filo da torcere al giovane Athelstan. C'è qualcosa che ha evitato di dirci. Dovremo fare un'altra chiacchierata con il nostro buon amico, potrebbe essere importante...» M'interruppi, vedendo arrivare fratello Guy tirato in viso. Sotto il braccio portava un grembiule macchiato di sangue che gettò dentro una cesta in un angolo. «Commissario, posso scambiare due parole con voi in privato?» «Certamente.» Mi alzai e lo seguii. Temevo mi avrebbe mostrato il corpo del povero Whelplay, ma con mio grande sollievo mi condusse all'esterno. Il sole cominciava a tramontare, proiettando un roseo bagliore sull'orto imbiancato. Fratello Guy si fece strada fra le piante, finché giunse davanti a un grosso cespuglio. «So che cosa ha ucciso il povero Simon. Non s'è trattato di possessione demoniaca. La postura distorta e il convulso movimento delle mani non avevano nulla a che vedere con voi. Gli spasmi sono caratteristici. Come pure la perdita della voce e le visioni.» «Caratteristici di che cosa?» «Veleno estratto dalle bacche di quest'arbusto.» Scrollò dalla neve i rami, dai quali pendeva ancora qualche annerita foglia morta. «Belladonna. La letale ombra della notte, come viene chiamata da queste parti.» «È stato avvelenato?» «La belladonna non ha un odore intenso, ma è molto caratteristico. L'ho usata per anni, la conosco bene. Ne ho trovate tracce nell'intestino del po-
vero Simon. E nei sedimenti ritrovati nella tazza d'idromele caldo che aveva accanto al letto.» «Come è potuto accadere? Quando?» «Questa mattina, senza alcun dubbio. I sintomi iniziali sono molto rapidi. È colpa mia. Se io o Alice non lo avessimo lasciato solo...» Si passò una mano sulla fronte. «Non potevate prevedere una simile evenienza. Chi altri è rimasto solo con lui?» «Fratello Gabriel è venuto a fargli visita ieri sera tardi, dopo che voi vi eravate ritirato, e ancora questa mattina. Pareva molto turbato, gli ho dato il permesso di pregare per il ragazzo. Poi sono venuti l'abate e l'economo.» «Già. Sapevo della loro visita.» «E questa mattina, quando sono andato a controllarlo, ho trovato il priore Mortimus.» «Il priore?» «Era in piedi accanto al letto, e guardava il ragazzo con occhi inquieti. Ho pensato temesse le conseguenze della sua spietata punizione.» Serrò le labbra. «Il succo di belladonna è dolce, e l'odore è troppo lieve perché lo si noti nell'idromele.» «Viene usata anche come medicinale, non è vero?» «In piccole dosi dà sollievo in caso di costipazione, e ha svariati altri utilizzi. Ne ho una modica quantità in infermeria, la prescrivo spesso. Molti dei monaci ne fanno uso. Le sue proprietà sono ben note.» Riflettei un istante. «La notte scorsa Simon aveva cominciato a dirmi qualcosa sul fatto che la morte del commissario Singleton non era stata la prima. Era mia intenzione interrogarlo ancora questa mattina, al suo risveglio.» Esitai. «Voi o Alice avete forse riferito a qualcuno quanto aveva detto?» «Io no, e di certo neppure Alice. Ma potrebbe essere stato lo stesso Simon a uno dei suoi visitatori, in preda al delirio.» «Qualcuno voleva farlo tacere per sempre.» Il religioso si morse un labbro e annuì gravemente. «Povero ragazzo», dissi. «E io credevo che si stesse prendendo gioco di me.» «Di rado le cose sono come appaiono.» «In questo luogo meno che mai. Ditemi, fratello, perché m'avete raccontato tutto questo invece di riferirlo direttamente all'abate?» Mi guardò tetro. «Perché l'abate era fra i visitatori. Voi siete l'autorità,
mastro Shardlake, e sono convinto che vogliate scoprire che cos'è accaduto, per quanto sospetti che le nostre idee in materia di religione differiscano parecchio.» Annuii. «Per il momento vi ordino di non rivelare ad alcuno quanto mi avete appena detto. Devo valutare con estrema cautela come procedere.» Guardai fratello Guy per vedere come avrebbe reagito a un mio comando, ma il religioso si limitò a fare un debole cenno con il capo. Poi abbassò lo sguardo sulla mia gamba, incrostata di fango. «Avete avuto un incidente?» mi chiese. «Sono caduto nella palude, ma ne sono venuto fuori.» «Il terreno è molto pericoloso laggiù.» «Non credo che qui sia molto meglio. Venite, rientriamo o ci buscheremo una polmonite.» Lo precedetti. «È strano che la paura suscitata in me dai suoi bizzarri gesti abbia condotto a una simile scoperta.» «Almeno il priore Mortimus non potrà più dire che Simon brucia all'inferno.» «Già. Penso che ne rimarrà deluso.» A patto che non sia lui stesso l'assassino, pensai. Digrignai i denti. Se non mi fossi fatto persuadere da Alice e fratello Guy a rimandare la mia conversazione con Simon la notte precedente, non solo avrei avuto la sua versione completa e sarei giunto a scoprire l'identità dell'assassino, ma il ragazzo sarebbe sopravvissuto. Ora avevo due omicidi sui quali investigare. E se, come il giovane novizio mi aveva rivelato in preda al delirio, la morte di Singleton non era stata la prima, allora erano tre. Capitolo quattordici Avevo sperato di recarmi a Scarnsea quel pomeriggio, ma s'era fatto troppo tardi. Nell'ultimo bagliore del tramonto m'incamminai nuovamente verso la dimora dell'abate per parlare a Goodhaps. Trovai il vecchio che attingeva generosamente alla caraffa di vino. Non gli dissi che il novizio era stato assassinato, ma solo che aveva ceduto alla malattia. Goodhaps non parve interessato. Gli chiesi che cosa sapesse del registro che Singleton stava esaminando poco prima di morire. Singleton, disse, gli aveva riferito solo d'aver messo le mani su un nuovo libro contabile che sperava gli sarebbe potuto tornare utile. Il vecchio bofonchiò in tono irritato che Robin Singleton non lo metteva mai a parte di nulla, sfruttandolo solo per spulciare testi giuridici. Lo lasciai al suo vino.
Mi diressi verso l'infermeria, camminando nel vento freddo e pungente che mi penetrava come un pugnale. Le campane ripresero il loro fracasso per i vespri, e io pensai che chiunque possedesse delle informazioni era a rischio: il vecchio Goodhaps, Mark, io stesso. Forse avevamo a che fare con un fanatico, ma di certo non era guidato solo dall'impulso. E se avesse avuto in mente d'avvelenarmi la cena, o cercato d'alleggerirmi del peso della testa come aveva fatto con Singleton? Rabbrividii e strinsi il mantello attorno al collo. Il pavimento della nostra stanza era disseminato di libri. Mark era seduto vicino al camino, lo sguardo perso fra le fiamme. Non aveva ancora acceso le candele, ma il bagliore del fuoco danzava sul suo viso turbato. Mi sedetti di fronte a lui, gustando la possibilità di riposare le mie povere ossa davanti al tepore delle fiamme. «Mark», dissi, «abbiamo un nuovo mistero da svelare.» Gli raccontai ciò che fratello Guy m'aveva rivelato. «Ho trascorso la vita a decifrare misteri, ma in questo luogo sembrano moltiplicarsi, e farsi sempre più orribili.» Mi passai una mano sulla fronte. «E biasimo me stesso per la morte di quel giovane. Se solo avessi insistito a parlargli, la notte scorsa, se avessi cercato di sapere. E là, in infermeria, quando ha cominciato a contorcere il povero corpo agitando in aria le mani, ho pensato solo che si stesse prendendo gioco di me.» Ero travolto da un improvviso senso di colpa. «Non potevate sapere che cosa sarebbe accaduto, signore», disse Mark esitante. «Ero stanco, e mi sono lasciato persuadere a rimandare il colloquio. Lord Cromwell mi ha detto di badare alla sostanza. Ed eccoci qui, quattro giorni dopo, senza risposte e con un'altra morte sulle spalle.» Mark si alzò e accese le candele dal fuoco del camino. Mi sentii d'improvviso travolto da un'ondata di rabbia per la mia debolezza, ma la morte del novizio m'aveva devastato. Speravo che la sua anima avesse trovato la pace eterna al cospetto di Dio. Se avessi creduto che le preghiere potevano aiutare i defunti, avrei pregato per il suo spirito. «Non dovete cedere, signore», disse Mark imbarazzato, mentre sistemava le candele sul tavolo. «Abbiamo la nuova pista dell'economo da seguire. Potremmo fare qualche passo in avanti.» «La notte dell'omicidio l'economo non era al monastero. Ma no», forzai un sorriso, «non cederò. Non oserei anche volendo, sono in missione per conto di Lord Cromwell.»
«Mentre eravate in chiesa, ho colto l'occasione per andare a dare un'occhiata ai fabbricati annessi. Avevate ragione, sono molto trafficati. Le stalle, la fucina e la dispensa sono tutte frequentate di continuo. Non posso davvero immaginare che siano servite da nascondigli per oggetti tanto voluminosi.» «Le cappelle laterali della chiesa, invece, meriterebbero una seconda ispezione. E sulla strada verso la palude mi sono imbattuto in qualcosa d'interessante.» Gli raccontai del bagliore dorato sul fondo del vivaio ittico. «Quello sarebbe un bel posto per nascondere delle prove.» «Allora dobbiamo accertarcene, signore. Vedete, abbiamo delle tracce da seguire. La verità verrà a galla.» Risi cupamente. «Oh, Mark, si vede che non sei un assiduo frequentatore della corte di Sua Maestà. Ma fai bene a incoraggiarmi.» Giocherellai con un filo che pendeva dalla fodera della sedia. «Sto cedendo alla tristezza. Da mesi le mie condizioni di spirito sono pessime, ma qui sono peggiorate. Sono d'umore altalenante. Troppa bile nera inquina i miei organi. Forse dovrei consultare fratello Guy.» «Questo luogo di certo non stimola il buon umore.» «No. E ti confesso che temo sia anche pericoloso. Ci stavo giusto pensando fuori, in cortile. Un rumore di passi, il fruscio di una lama che fende l'aria...» Alzai lo sguardo su di lui. I suoi tratti infantili erano turbati dall'inquietudine, e io ero consapevole del peso che la nostra missione aveva caricato sulle sue spalle. «Lo so. Questo luogo così silenzioso, non fosse per il frastuono di quelle campane che fanno ghiacciare il sangue nelle vene.» «Be', stare sul chi vive non ci farà certo male. Sono lieto di sentirti pronto ad ammettere le tue paure. È una cosa positiva, da vero uomo, di gran lunga preferibile alle spacconerie giovanili. Dal canto mio, dovrò scrollarmi di dosso questa tetraggine. Stanotte pregherò Dio perché mi doni la forza di andare avanti.» Lo guardai con improvvisa curiosità. «E tu, per cosa pregherai?» Si strinse nelle spalle. «Ho perso l'abitudine di pregare prima di coricarmi.» «Non dovrebbe essere una semplice abitudine, Mark. Ma non temere, non intendo farti la predica.» Mi alzai faticosamente. Ero stanco, e la schiena era tornata a dolermi. «Forza, al lavoro, abbiamo tutti quei registri da controllare. Dopo cena affronteremo fratello Edwig.» Accesi altre candele, e disponemmo i registri sul tavolo. Aprii il primo,
pagine fitte di numeri e illeggibili scarabocchi. Mark mi guardava con occhi seri. «Signore, credete che Alice possa essere in pericolo per quanto ci ha detto? Se Simon Whelplay è stato ucciso perché c'era il rischio che rivelasse un segreto, a lei potrebbe capitare lo stesso.» «Lo so. Prima chiederò spiegazioni all'economo circa il registro scomparso, meglio sarà. Ho promesso ad Alice che non l'avrei esposta in alcun modo.» «È una donna coraggiosa.» «E di grande fascino, eh?» Arrossì e s'affrettò a cambiare argomento. «Fratello Guy ha detto che il novizio ha ricevuto quattro visite?» «Esatto, le visite dei quattro officiali anziani, tutti al corrente della missione di Singleton. Le loro e quelle di fratello Guy.» «Ma è stato proprio fratello Guy a dirvi che Simon era stato avvelenato.» «Ciò nonostante, devo essere cauto, non posso concedergli la mia totale fiducia. Be', ora diamoci ai conti. Il tuo lavoro alle Aumentazioni dovrebbe averti abituato ai libri contabili dei monasteri.» «Certamente, m'è capitato spesso di doverli verificare.» «Bene. Allora controlla questi, e dimmi se trovi qualcosa che non va. Qualunque voce di spesa che sembri troppo alta, o che non torni. Prima, però, chiudi la porta a chiave. Buon Dio, la paranoia di Goodhaps dev'essere contagiosa.» Ci mettemmo al lavoro. Era un compito noioso. Le partite doppie sono assai complesse, se non si è esperti contabili, ma a quanto pareva non c'era nulla d'anomalo in quei registri. I proventi del monastero derivanti dalle vendite dei terreni e dal monopolio sulla produzione della birra erano consistenti; le spese contenute per le paghe dei monaci e le elemosine erano bilanciate da esosi esborsi soprattutto per la dimora dell'abate. Risultava un avanzo di circa cinquecento sterline, una somma ingente ma non inconsueta per le case religiose, aumentata dalle recenti vendite di alcune terre. Lavorammo fino a che le campane squarciarono l'aria ghiacciata, annunciando la cena. Mi alzai e presi a fare avanti e indietro per la stanza, strofinandomi gli occhi affaticati. Mark si stirò le braccia con uno sbadiglio. «Non sembra esserci nulla di strano. Un monastero florido, molto più ricco delle case minori che controllavo di solito.» «Già. C'è molto oro dietro questi conti. Che cosa può aver mai scoperto
Singleton in quel registro? Forse i bilanci sono sin troppo in ordine; forse queste cifre sono state create ad hoc per i revisori, mentre quello scomparso mostra i dati reali. Se l'economo sta frodando l'Erario, la sua colpa sarebbe alquanto grave.» Chiusi il libro contabile che stavo consultando con un tonfo. «Per ora basta così, è meglio raggiungere i nostri santi confratelli.» Lo guardai serio. «E assicurati che il nostro cibo provenga solo dal piatto di portata.» Attraversammo il chiostro fino al refettorio, i monaci che s'inchinavano al nostro passaggio. Nel compiere questo gesto, uno di loro perse l'equilibrio e cadde, scivolando sulla neve e aprendo un sentiero con il proprio corpo. La cena fu assai mesta. Fratello Jerome era assente, presumibilmente rinchiuso da qualche parte, dietro ordine del priore. L'abate Fabian aveva solennemente annunciato dal pulpito che il novizio Whelplay era deceduto per la malattia, scatenando un fiume d'esclamazioni turbate e di appelli alla pietà di Dio. Il priore, notai, fu il bersaglio di occhiate colme di livore, in modo particolare da parte dei tre novizi, che sedevano assieme all'estremità più lontana del tavolo comune. Udii uno dei monaci, un tale grasso con tristi occhi cisposi, maledire borbottando gli uomini privi di carità, non distogliendo mai lo sguardo dal priore Mortimus, che sedeva guardando dritto davanti a sé con sguardo severo. L'abate intonò una lunga preghiera funebre in latino, cui la congregazione rispose con fervore. Per l'occasione cenò al tavolo degli obedenziari, dove era stato servito un abbondante quarto di manzo. Ci furono smorzati tentativi di conversazione, e l'abate commentò che non aveva mai visto tanta neve in novembre. Fratello Jude, l'elemosiniere, e fratello Hugh, il tesoriere con il viso butterato di cisti che avevo incontrato nella sala capitolare, si chiedevano senza grande entusiasmo se la legge accollasse alle autorità locali il dovere di ripulire dalla neve la strada che portava al monastero. Solo fratello Edwig s'animò parlando con preoccupazione delle tubature della latrina che stavano congelando e del costo della loro riparazione quando, al giungere della bella stagione, sarebbero scoppiate per il caldo. Presto, pensai, ti darò io qualcosa di cui preoccuparti. Fui sorpreso dalla foga del mio sentimento, e me ne rimproverai perché non è opportuno lasciare che l'antipatia nei confronti di un sospettato ottenebri la mente. Ma qualcun altro, quella sera, era in preda a emozioni persino più forti della mia. Fratello Gabriel aveva a stento toccato cibo. Apparve devastato
dalla notizia della morte di Simon, e rimasi profondamente scosso quando, levato il capo d'improvviso, rivolse a Mark uno sguardo di desiderio così intenso, di passione tanto bruciante da farmi rabbrividire. Mi rallegrai del fatto che Mark stesse prestando attenzione al proprio piatto e non se ne potesse accorgere. Fu un sollievo quando, finalmente, fu recitata la preghiera di ringraziamento e tutti sfilarono fuori della sala. S'era alzato il vento, che ci sollevava contro piccole onde di neve. Feci cenno a Mark di attendere sulla soglia, mentre i monaci alzavano i loro cappucci e uscivano con passo frettoloso nella notte. «Andiamo a fare due chiacchiere con l'economo. Hai con te la spada?» Annuì. «Bene. Tienici una mano sopra, mentre gli parlo, rammentagli chi comanda. Ma dove si sarà cacciato?» Attendemmo qualche istante, ma fratello Edwig non si fece vedere. Rientrammo nel refettorio. Udii il suo farfugliare, e lo trovai chino sul tavolo dei monaci, dove fratello Athelstan sedeva con aria affranta. L'economo indicava con foga un documento. «Questo c-conto è sbagliato», diceva. «Hai alterato le cifre dei pagamenti per il luppolo.» Agitò rabbiosamente in aria una ricevuta, poi, accorgendosi della nostra presenza, s'inchinò e ci rivolse il solito falso sorriso. «Commissario, buona sera. Spero non abbiate rinvenuto irregolarità nei miei r-registri.» «Non in quelli che mi avete consegnato. Posso scambiare due parole con voi, per favore?» «Ma certo. Vi prego di d-darmi soltanto un istante.» Tornò a rivolgersi al suo assistente. «Athelstan, è più che evidente che hai alterato una cifra nella c-colonna di sinistra per celare il fatto che i tuoi conti non tornavano.» Notai che quando era arrabbiato, il suo difetto di pronuncia svaniva quasi completamente. «Solo di un centesimo, fratello economo.» «Un centesimo è un centesimo. Controllerai tutte le entrate finché non l'avrai rintracciato. Tutte e duecento. Non accetterò altro c-che un bilancio veritiero. Ora vai.» Levò un braccio e il giovane monaco ci passò accanto con passo frettoloso. «Perdonatemi, c-commissario, ma ho a che fare con delle teste di legno.» Feci cenno a Mark di sorvegliare l'ingresso, e lui obbedì, mano alla spa-
da. L'economo lo guardò perplesso. «Fratello Edwig», dissi in tono severo. «Mi trovo costretto ad accusarvi dell'occultamento di un registro contabile, un registro dalla copertina blu, che avete tentato di celare all'attenzione del precedente commissario regio, del quale siete rientrato in possesso dopo la sua morte e la cui esistenza avete taciuto anche a me. Che cosa avete da dire a riguardo?» Rise. Non era raro che l'accusato d'un crimine tanto grave ridesse per disorientare il proprio accusatore. «Per tutti i santi del paradiso, signore», tuonai. «Vi state forse prendendo gioco di me?» Alzò le mani per muovere un'obiezione. «No, signore, vi domando perdono, ma... vi sbagliate, si tratta d'un malinteso. È stata forse quella Fewterer a riferirvi una c-cosa simile? Ma certo, fratello Athelstan m'ha detto che quella piccola vipera lo aveva visto discutere con il c-commissario Singleton.» Lo maledissi mentalmente. «Come sono venuto a saperlo non vi riguarda. Sto ancora aspettando la vostra risposta.» «Ma c-c-certo.» «Ed evitate di tartagliare e incespicare sulle parole per guadagnar tempo e inventare una delle vostre bugie.» Sospirò e giunse le mani. «C'è stato un malinteso con il commissario Singleton, che riposi in pace. Aveva domandato di vedere i nostri libri c-cc...» «Libri contabili, sì.» «...come avete fatto voi, signore, e io glieli ho c-consegnati come li ho consegnati a voi. Ma, come v'ho già detto, lui aveva l'abitudine d'entrare spesso nel mio ufficio di sua iniziativa, quand'era chiuso, nel tentativo di scoprire c-chissà che. Non nego affatto il suo diritto, signore, è solo che così facendo ha creato molta confusione. Il giorno precedente la sua uccisione, s'avvicinò ad Athelstan mentre stava c-chiudendo l'ufficio, agitando in aria un registro, come di certo la ragazza vi ha riferito. Lo aveva p-preso dall'ufficio.» Aprì le braccia. «Ma, signore, non si trattava d'un registro ufficiale. Conteneva solo qualche appunto, p-previsioni d'entrata che avevo calcolate qualche tempo fa, come di certo anche Singleton si sarà avveduto, esaminandolo. Posso mostrarvelo, se lo desiderate.» «Lo avete prelevato dalla dimora dell'abate dopo la sua morte, senza farne parola ad anima viva.» «No, signore, non è così. I d-domestici dell'abate lo hanno trovato nella
sua stanza, quando l'hanno vuotata, hanno riconosciuto la mia c-calligrafia e me lo hanno restituito.» «Ma nel corso della nostra precedente conversazione, m'avete detto che non eravate sicuro di quale registro il commissario Singleton avesse preso.» «Lo avevo d-dimenticato. Quel registro non ha la benché minima importanza. Posso farvelo avere, signore, cosicché p-possiate sincerarvene voi stesso.» «No. Verremo con voi a prenderlo.» Esitò. «Ebbene?» «Ma certo.» Lo seguimmo attraverso il chiostro, mentre Mark illuminava il cammino con un lume. Fratello Edwig aprì la porta del suo ufficio, e c'inerpicammo su per le scale fino al gabinetto privato. Aprì un cassetto della scrivania e ne trasse un libro dalla copertina blu. «Eccolo, signore. Guardate pure.» Diedi un'occhiata. In effetti, il registro non era suddiviso in ordinate colonne come gli altri che avevo visto, ma conteneva soltanto scarabocchi e qualche computo aritmetico. «Per ora lo prendo io.» «Ma certamente. P-posso comunque domandarvi, essendo questo un ufficio privato, di avvisarmi prima di p-prendere altri registri? Per evitare ulteriore confusione.» Ignorai la sua richiesta. «Vedo registrato qui che il monastero gode di un'ingente eccedenza, ben più cospicua di quella dell'anno passato. Le vendite dei terreni hanno portato nei vostri forzieri nuovo capitale. Perché dunque respingere la proposta di restauro della chiesa avanzata da fratello Gabriel?» Mi guardò serio. «Fratello Gabriel spenderebbe fino all'ultimo ccentesimo in opere di restauro. Lascerebbe andare t-tutto il resto in rovina. L'abate gli darà il denaro che chiede, ma d-dobbiamo mercanteggiare, o si prenderà tutto quanto. Questione di trattative.» La sua versione era plausibile. «Molto bene», dissi. «È tutto, per ora. Ah, un'ultima cosa. Avete menzionato Alice Fewterer. La fanciulla gode della mia particolare protezione, e se qualcosa di male dovesse accaderle, voi verrete all'istante posto agli arresti e portato a Londra per risponderne dinanzi a un tribunale.» Mi voltai e uscii dalla stanza.
«Questione di trattative, certo», dissi mentre rientravamo in infermeria. «È infido come una serpe.» «Ma non può aver ucciso Singleton. Non era al monastero. E un ingordo grassone come lui non avrebbe mai avuto la forza di mozzargli la testa.» «Però potrebbe aver ucciso Simon Whelplay. Forse più di un monaco è coinvolto in questa faccenda.» Di nuovo nella nostra stanza, esaminammo il nuovo registro. Come l'economo ci aveva annunciato, non pareva contenere altro che scarabocchi e annotazioni sparse, tutte scritte nella sua ordinata calligrafia, che risalivano a molti anni addietro, a giudicare dall'inchiostro sbiadito delle prime pagine. Lo gettai di lato, strofinandomi gli occhi affaticati. «Forse il commissario Singleton s'era convinto d'aver scoperto qualcosa che in realtà non esisteva.» «No. Non credo. Stando a quanto Alice ci ha detto, le sue accuse erano alquanto specifiche. Ha affermato che il registro avrebbe gettato nuova luce sul bilancio annuale del monastero.» Inveii contro me stesso, battendo un pugno nel palmo: «Ma dove ho il cervello? E se l'economo possedesse più d'un registro dalla copertina blu? Questo potrebbe essere quello sbagliato!» «Potremmo tornare subito nel suo ufficio e metterlo a soqquadro.» «No. Sono esausto. Ci penseremo domani. Ora riposiamo, ci attende una giornata densa d'impegni. Dobbiamo prendere parte al funerale di Singleton, e poi ci recheremo a Scarnsea, in visita al giudice di pace Copynger. Voglio anche parlare con Jerome, e dare un'occhiata al vivaio.» Mark gemette. «Non esiste riposo per gli emissari di Lord Cromwell. Almeno, però, tutti questi impegni terranno lontana la paura.» «Con un po' di fortuna. E ora me ne andrò a dormire. Prega perché si faccia qualche progresso domani.» L'indomani mattina ci svegliammo di buon'ora, alle prime luci dell'alba. Mi alzai e mi diressi alla finestra per grattare via il sottile strato di ghiaccio che s'era formato all'interno del vetro. Il sole levante proiettava le proprie rosee dita di luce sulla neve bianca. Una scena di notevole bellezza, ma d'altrettanta sterilità. «Nessun segno di disgelo.» Mi voltai e vidi che Mark s'era diretto verso il camino, scarmigliato, una scarpa in mano, e si guardava attorno con espressione perplessa.
«Che cosa è stato? M'è parso di sentire un rumore.» «Io non ho sentito nulla.» «Come dei passi. Sono certo d'averlo udito.» Scuro in viso, Mark aprì con foga la porta. Non c'era nessuno. Mi sedetti di nuovo sul letto; la schiena indolenzita mi doleva. «Cominci a immaginarti le cose. Questo luogo ti turba. E muoviti a vestirti, qualcuno potrebbe arrivare.» «Signore, vi assicuro che ho sentito qualcosa. M'è parso venisse da fuori.» Rifletté un istante, poi raggiunse la credenza che fungeva da armadio. Spalancò le ante, ma al suo interno trovò solo polvere e sterco di topo. Non appena ci sedemmo per la colazione, ricevemmo la visita dell'abate, avvolto in una pelliccia per ripararsi dal freddo, le guance rubiconde. Era in compagnia di mastro Goodhaps, che si guardava attorno con inquieti occhi cisposi, il naso gocciolante. «Porto tristi notizie», esordì l'abate Fabian con il consueto tono altisonante. «Dobbiamo rinviare l'inumazione del commissario.» «E come mai?» «I domestici non sono ancora riusciti a scavare una fossa sufficientemente profonda. Il terreno è duro come il ferro, e ora c'è da scavare anche la tomba del povero Simon, nel cimitero dei religiosi. Siamo dunque costretti a celebrare entrambe le funzioni domani.» «Non c'è altra scelta. I due funerali saranno officiati insieme?» L'uomo esitò. «Simon era un religioso, dovremo celebrare una funzione distinta. Le ingiunzioni lo consentono...» «Non ho obiezioni.» «Mi domandavo, signore, come procedono le vostre indagini. Il fratello economo ha urgente bisogno di rientrare in possesso dei suoi registri, temo...» «Dovrà attendere, non ho ancora terminato di esaminarli. E questa mattina sono diretto in paese, per incontrarmi con il giudice.» L'abate annuì vigorosamente. «Benissimo. Sono certo, signore, che troverete l'omicida del povero commissario Singleton in città, fra contrabbandieri e furfanti.» «Quando tornerò, gradirei conferire con fratello Jerome. Dove si trova? Non ho più visto il suo viso allegro.» «È in isolamento, come penitenza per la sua condotta. Devo mettervi in guardia, commissario, che se gli parlerete non riceverete altro che insulti.
Non ha freni.» «Li tollererò in considerazione della sua follia. Intendo vederlo non appena sarò rientrato da Scarnsea.» «I vostri cavalli potrebbero incontrare delle difficoltà. Il vento della scorsa notte ha alzato grossi cumuli di neve. Uno dei nostri carri ha dovuto far marcia indietro.» «Vuol dire che andremo a piedi.» «Anche questo potrebbe rivelarsi difficile. È quanto ho provato a spiegare a mastro Goodhaps...» Il vecchio fece udire la voce. «Signor commissario, sono venuto a domandarvi se domani, dopo il funerale, potrò fare ritorno a casa. Di certo non c'è altro ch'io possa fare qui. Se mi fosse permesso di raggiungere il paese, potrei trovar posto in una diligenza, altrimenti potrei prendere una stanza in una locanda, in attesa che le strade siano di nuovo agibili.» Annuii. «Molto bene, mastro Goodhaps, ma temo dovrete sostare a Scarnsea fino a che il tempo non migliorerà.» «Andrà benone, signore, vi ringrazio!» Il vecchio sorrise radioso. «Fate pure ritorno a Cambridge, ma non lasciatevi scappare una sillaba di quanto è accaduto qui.» «Non chiedo di meglio che poter dimenticare.» «E ora, Mark, mettiamoci in cammino. Signor abate, durante la nostra assenza gradirei che voi mi procuraste altri documenti. Gli atti di cessione di tutte le terre vendute negli ultimi cinque anni...» «Tutti? Dovremo andarli a cercare...» «Esatto, tutti quanti. Voglio poter dare la mia parola di aver ricevuto da voi gli atti di ciascuna vendita...» «Provvederò immediatamente, signore, se questo è il vostro desiderio.» «Bene.» Mi alzai. «E ora mettiamoci in marcia.» L'abate s'inchinò e uscì dalla stanza, seguito a passo svelto dal vecchio Goodhaps. «M'è parso preoccupato.» «Per le vendite dei terreni?» «Già. Se esistono delle irregolarità nei bilanci, queste possono derivare solo dall'aver occultato le entrate di quelle vendite. Solo in questo modo possono aver raccolto somme di denaro tanto ingenti. Stiamo a vedere con cosa se ne uscirà.» Uscimmo dalla cucina. Passammo davanti al dispensario di fratello Guy, e lanciammo un'occhiata all'interno. Mark mi afferrò per un braccio.
«Guardate! Che cosa gli è accaduto?» Fratello Guy giaceva a faccia in giù sul pavimento sotto il grosso crocifisso, le braccia tese in avanti. I raggi del sole scintillavano sulla chierica bruna. Per un attimo fui colto dal panico, poi udii il mormorio di preghiere latine, lievi ma colme di zelo. Passammo oltre, e ancora una volta mi dissi che dovevo riporre con cautela la fiducia in quel moro spagnolo. Lui si fidava di me, ed era di certo la persona più gradevole che avessi incontrato in quel luogo. Ma vederlo disteso prono sul pavimento a rivolgere ardenti suppliche a un pezzo di legno mi fece capire che anche lui, come i suoi confratelli, era imbrigliato nella rete di antiche eresie e superstizioni contro le quali io combattevo. Capitolo quindici Il freddo era di nuovo pungente e il cielo terso. Durante la notte il vento aveva spazzato via grossi cumuli di neve, sgombrando quasi interamente alcune parti del cortile. Oltrepassammo il cancello. Voltato l'angolo, scorsi Bugge, il guardiano, affacciato fra le sbarre, ma quando si accorse della mia presenza ritirò subito la testa. Tirai un sospiro di sollievo. «Grazie a Dio ci siamo sottratti a tutti quegli sguardi indiscreti.» Osservai la strada sulla quale, come nella corte, il vento aveva disegnato onde di neve. L'intero paesaggio, persino l'acquitrino, era d'un candore accecante, spezzato qua e là da scheletri d'alberi, dai giunchi della palude e, all'orizzonte, dal grigiore del mare. Fratello Guy m'aveva procurato un nuovo bastone, al quale mi appoggiai con presa salda. Arrancammo per un'ora attraverso quell'arido paesaggio prima che scorgessimo Scarnsea. Il paese era pressoché deserto, e alla luce del sole notai, come il giorno del mio arrivo, che gran parte degli edifici era in rovina. «Cerchiamo Westgate Street», dissi appena entrammo nella piazza. Nel porticciolo una barca era stata tirata in secca, e un funzionario vestito di nero era intento a controllare le balle di tessuto bianco che questa trasportava, mentre due uomini del luogo se ne stavano lì a battere i piedi per il freddo. In mare aperto, presso la bocca del fiume che attraversava la palude, si stagliava la sagoma d'una grossa imbarcazione. «Il doganiere», osservò Mark. «Probabilmente intendono portare i tessuti in Francia.» Svoltammo in una strada di case nuove e ben costruite. Sulla soglia di quella più grande era scolpito lo stemma della cittadina. Bussai, e la dome-
stica benvestita che venne ad aprirmi confermò che eravamo giunti alla casa del giudice Copynger. Fummo condotti in un grazioso salotto con sedie di legno imbottite e una credenza che ostentava una gran quantità di stoviglie decorate in oro. «Se la passa bene», osservò Mark. «Puoi ben dirlo.» Attraversai la stanza per osservare da vicino il ritratto d'un uomo dall'aria severa, con i capelli chiari e una barba appuntita. «Molto bello. Dipinto in questa stessa stanza, a giudicare dallo sfondo.» «Allora dev'essere ricco...» Vedendo aprirsi la porta Mark s'interruppe, e l'originale del ritratto, un uomo alto di costituzione robusta, sulla quarantina, fece la sua apparizione. Era avvolto in una veste marrone bordata di zibellino, lo sguardo severo. Mi strinse la mano con fermezza. «Mastro Shardlake, quale onore. Sono Gilbert Copynger, giudice di pace del paese e fedelissimo servitore di Lord Cromwell. Conoscevo il povero commissario Singleton; ringrazio il Signore per la vostra venuta. Quel monastero è un covo di eretici corrotti.» «Qualcosa non va in quel luogo, questo è certo.» Indicai Mark. «Il mio assistente.» Fece un breve cenno del capo. «Venite nel mio studio. Gradirete sicuramente qualcosa da bere. Il diavolo in persona deve averci inflitto questo tempaccio. Avete sofferto il freddo nel monastero?» «I monaci hanno focolari in ogni stanza.» «Oh, non ne dubito, signore. Non ne dubito.» Ci condusse in una stanza accogliente che dava sulla strada, e sgombrò i seggiolini di fronte al fuoco, disseminati di documenti. «Lasciate che vi versi una coppa di vino. Perdonate il disordine, ma le carte che ricevo da Londra... la legge dei poveri... la paga per le prestazioni...» sospirò. «Ed è mio dovere redigere rapporti su qualunque pettegolezzo sedizioso. Grazie al cielo, non se ne sentono molti qui a Scarnsea, ma talvolta i miei informatori se li inventano, e io mi vedo costretto a indagare su parole che non sono mai state pronunciate. In ogni modo, questo significa che la gente comprende di dover agire con cautela.» «I sonni di Lord Cromwell saranno più tranquilli, sapendo che esistono uomini fidati come voi nelle contee.» Copynger annuì grave al complimento. Bevvi un sorso di vino. «Eccellente, signore, vi ringrazio. Ora, il tempo stringe. Ci sono questioni sulle quali gradirei avere dei chiarimenti.» «Farò tutto il possibile. L'assassinio di mastro Singleton è stato un insul-
to all'autorità del sovrano. Grida vendetta.» Avrebbe dovuto essermi di sollievo poter parlare con un riformista come me, ma confesso che Copynger non mi suscitava grande simpatia. Era vero che i giudici di pace erano oberati di un'ingente mole di lavoro proveniente da Londra, che andava a sommarsi ai loro doveri giudiziari, ma di certo ne traevano grandi vantaggi, come l'agiatezza di Copynger dimostrava. A parer mio, una simile ostentazione stonava con i suoi modi pii e seriosi. Ma quello era il genere d'uomo nuovo che l'Inghilterra stava forgiando. «Ditemi», chiesi, «che opinione ha la gente dei monaci?» «Li disprezza per quelle sanguisughe che sono. Non fanno nulla per Scarnsea, scendono in città solo se ne hanno bisogno e sono sprezzanti come il demonio. Distribuiscono la carità con eccessiva parsimonia, e per avere quel poco che sono disposti a dare i poveri devono andare a piedi fino al monastero in giorni stabiliti. Il pesante fardello del sostentamento degli indigenti, dunque, ricade quasi tutto sulle spalle dei cittadini.» «Non hanno un monopolio sulla produzione della birra?» «E fanno prezzi da strozzini. Oltretutto la loro birra è di pessima qualità, e il birrificio una sorta di pollaio, zeppo d'escrementi di gallina.» «Già, me ne sono accorto. Deve essere davvero orribile.» «Ma nessun altro ha il permesso di venderla.» Spalancò le braccia. «E poi spremono le loro terre fino all'ultima goccia. Non venite a dirmi che i monaci sono proprietari terrieri di buon cuore. Le cose sono addirittura peggiorate da quando fratello Edwig è diventato economo; scuoierebbe una pulce, per succhiarle quel poco grasso che ha addosso.» «Già, ne sono convinto. Parlando delle finanze del monastero, avete riportato a Lord Cromwell che alcune delle terre in loro possesso sono state svendute.» Mi guardò con aria mortificata. «Temo di non avere dettagli più precisi. Mi sono giunte all'orecchio delle voci, ma ora che s'è diffusa la notizia delle indagini, i grandi proprietari fanno molta attenzione a tenermi all'oscuro dei loro affari.» Annuii. «E di chi si tratta?» «Sir Edward Wentworth, imparentato con i Seymour, è il più potente dei dintorni. Ed è in stretti rapporti con l'abate. Vanno a caccia insieme. Fra gli affittuari s'è sparsa voce che il monastero avrebbe venduto in segreto le sue terre proprio a Lord Wentworth, e che ora l'amministratore dell'abate riscuota gli affitti per suo conto, ma io non ho modo di verificarlo, perché la faccenda esula dalla mia autorità.» Si scurì in viso. «E i possedimenti del
monastero sono ovunque, persino fuori della contea. Sono dolente, commissario. Se i miei poteri fossero più ampi...» Riflettei un momento. «È probabile che io stia forzando un po' i limiti del mio mandato, ma visto che ho l'autorità d'investigare su tutte le questioni concernenti il monastero, penso potrei estenderla a comprendere anche le vendite dei loro terreni. Che cosa accadrebbe se riavviaste la vostra inchiesta su queste basi, invocando il nome di Lord Cromwell?» Sorrise. «Un'indagine in suo nome li farebbe scappare a gambe levate. Vedrò che cosa posso fare.» «Vi ringrazio. Potrebbe essere molto importante. In ogni modo, mi pare d'aver inteso che Sir Edward sia il cugino di fratello Jerome, il vecchio certosino che vive nel monastero.» «Esatto, Wentworth è un papista di vecchia data. M'è giunta voce che il certosino parli apertamente di tradimento. Fosse per me lo avrei già fatto impiccare al campanile.» Riflettei un istante. «Ditemi, se voi doveste davvero far impiccare fratello Jerome, come reagirebbe la gente qui in paese?» «Farebbe i salti di gioia. Come ho già detto, i monaci non sono ben visti. Questa è una cittadina povera e loro non fanno che peggiorare le già misere condizioni della popolazione. Il porto s'è talmente interrato da non poter essere attraversato neppure da una barca a remi.» «Me ne sono accorto. Ho sentito che alcuni si sono dati al contrabbando. A parere dei monaci, sfruttano le paludi dietro il monastero per raggiungere il fiume. L'abate Fabian mi ha detto di aver sporto varie lamentele, ma pare che le autorità cittadine non le abbiano prese in considerazione.» D'improvviso gli occhi di Copynger s'accesero d'una luce guardinga. «L'abate direbbe qualunque cosa pur di creare scompiglio. È una questione di risorse, signore: non disponiamo che d'un funzionario di dogana, e non può certo perlustrare quelle paludi ogni notte.» «A detta di uno dei monaci, di recente c'è stata una certa attività. L'abate ha suggerito che dei contrabbandieri potrebbero essersi intrufolati nel monastero e aver ucciso Singleton.» «Sta cercando di depistare le indagini, signore. C'è una lunga tradizione di contrabbando in questi luoghi, contrabbando di tessuti verso la Francia, su pescherecci che guadano le paludi. Ma perché mai un contrabbandiere avrebbe dovuto desiderare la morte d'un emissario di Sua Maestà? Non era certo qui per investigare su quei traffici, no?» Colsi una scintilla di preoccupazione nei suoi occhi.
«No, nient'affatto. Come non lo sono io, a meno che quel genere d'attività non risulti rilevante nell'uccisione di mastro Singleton. Io credo che l'assassino sia qualcuno interno al monastero.» Parve sollevato nell'udire quelle parole. «Se ai proprietari terrieri fosse concesso di recintare più terre per il pascolo delle pecore, il paese ne trarrebbe gran giovamento, e la gente non si vedrebbe costretta a darsi al contrabbando. Sono troppi i piccoli fattori che si dedicano alla tessitura.» «Contrabbando a parte, la città è fedele? Niente frange estremistiche, diciamo, nessun atto di stregoneria nei dintorni? Vi è giunta voce della profanazione del monastero?» Scosse il capo. «Nulla. Lo saprei, pago ben cinque informatori. Molta gente non ama le nuove disposizioni, ma non protesta. Le maggiori lamentele riguardano l'abolizione delle feste dei santi, ma solo perché in quei giorni non si lavorava. E non ho mai sentito di riti di magia nera nei dintorni.» «Nessun predicatore folle? Nessuno che legga nella Bibbia misteriose profezie delle quali si sente portavoce?» «Come quegli anabattisti tedeschi che eliminerebbero i ricchi per gestirne i beni in comune? Dovrebbero essere messi tutti al rogo. Ma qui non esiste nulla del genere. L'anno passato c'è stato l'apprendista di un mastro ferraio che predicava l'avvento del Giorno del Giudizio, ma lo abbiamo messo alla gogna, e poi lo abbiamo scacciato. È finito in prigione, dove merita d'essere. Predicare in inglese è una cosa, ma permettere che la Bibbia ottenebri la mente di servitori e contadini porterà solo danni all'Inghilterra.» Sollevai un sopracciglio. «Siete fra coloro che consentirebbero la lettura della Bibbia soltanto alle classi agiate?» «Una teoria che offre molti spunti di riflessione, signore.» «Be', i papisti non la consentirebbero a nessuno. Ma torniamo a parlare del monastero. Ho letto che quel luogo ha una lunghissima lista di misfatti. Atti peccaminosi fra i monaci.» Copynger sbuffò con disprezzo. «Sono certo che continuino ancora. Il sacrista, fratello Gabriel, era uno di loro, ed è ancora lì.» «Nessuno del paese vi è stato coinvolto?» «No. Ma quel luogo pullula di fornicatori e sodomiti. Le domestiche di Scarnsea hanno dovuto subire i loro sudici approcci. Nessuna donna sotto la trentina è mai riuscita a lavorare al monastero, non fino a quella giovane scomparsa.»
«Davvero?» «Già. Si trattava di un'orfana dell'ospizio per i poveri andata a lavorare per il frate infermiere. Due anni or sono. Tornava ogni tanto in paese in visita, poi improvvisamente non l'abbiamo più vista. Furono fatte delle indagini, e il priore Mortimus affermò che la giovane aveva rubato delle coppe d'oro ed era fuggita. Joan Stumpe, che gestisce l'ospizio, era convinta che le fosse accaduto qualcosa. Del resto, quella donna è una vecchia pettegola, e non siamo riusciti a trovare alcuna prova.» «Lavorava per il frate infermiere?» s'inserì Mark, una nota d'inquietudine nella sua voce. «Sì. Il gigante nero, lo chiamiamo. Verrebbe da pensare che tutti gli inglesi abbiano un'occupazione, per dar lavoro a un uomo di quel genere.» Riflettei un istante. «Sarebbe possibile parlare a comare Stumpe?» «Dovrete prendere le sue parole con le dovute riserve. Ma la troverete all'ospizio. Domani è giorno d'elemosina al monastero, e di certo lei si sta preparando.» «Allora dobbiamo sbrigarci», dissi alzandomi. Copynger chiamò un domestico perché ci portasse i mantelli. «Signore», disse Mark al magistrato mentre attendevamo le cappe. «Anche ora c'è una ragazza che lavora per il frate infermiere, una certa Alice Fewterer.» «Oh, già, ricordo.» «Ho saputo che ha dovuto cercarsi un'occupazione perché la terra della sua famiglia le è stata sottratta per metterla a pascolo. So che i giudici di pace hanno potere di supervisione sulle norme che disciplinano l'appropriazione privata delle terre comuni, e mi domandavo se tutto fosse stato fatto a dovere. Non si può fare nulla per lei?» Copynger inarcò un sopracciglio. «So per certo che è stato fatto tutto in modo assolutamente legale, giovanotto, perché la terra è mia e sono stato io a reclamarla. La famiglia della ragazza godeva di un vecchio diritto d'uso, decaduto con la morte della madre. Avevo bisogno di abbattere quella casa e trasformare la terra in pascolo, perché mi fruttasse qualcosa.» Lanciai a Mark uno sguardo allarmato. «Sono certo che abbiate fatto tutto nel migliore dei modi, signore», dissi lusinghiero. «La cosa che porterebbe maggior profitto a questa città», disse Copynger, gelando Mark con lo sguardo, «sarebbe chiudere il monastero, scacciare quella combriccola e abbattere tutti quegli edifici traboccanti d'idoli. E se la città si troverà a dover sostenere il fardello d'un mucchio di
fannulloni disoccupati, sono certo che mastro Cromwell concorderà sulla giustezza di affidare parte delle terre del monastero ai cittadini più eminenti.» «A proposito di Lord Cromwell, ha sottolineato l'importanza di non divulgare quanto è accaduto.» «Non ne ho fatto parola con anima viva, signore, e nessuno dei monaci è sceso in città.» «Bene. All'abate è stato detto lo stesso. Ma alcuni dei servitori del monastero avranno delle conoscenze qui a Scarnsea.» L'uomo scosse il capo. «Non direi. Stanno sempre fra di loro e la gente di qui disprezza quegli zotici tanto quanto i monaci.» «Ma presto o tardi la notizia verrà a galla. È nella natura delle cose.» «Sono certo che risolverete questa faccenda molto presto», disse. Poi sorrise, arrossendo. «Devo confessarvi che è per me un vero onore incontrare qualcuno che conosca Lord Cromwell. Raccontatemi, signore, com'è di persona? Si dice sia un uomo di polso, nonostante le sue umili origini.» «Potete ben dirlo, giudice, un uomo di polso nelle parole e nelle azioni. Ah, ecco i nostri mantelli.» E con queste parole chiusi il discorso. Ero stanco dei suoi modi servili. L'ospizio dei poveri sorgeva al limitare del paese, un lungo edificio in rovina. Sulla strada incontrammo un piccolo drappello di uomini intenti a spazzare la neve sotto l'occhio vigile d'un sorvegliante. Indossavano vesti grigie, sulle quali era ricamato lo stemma della città, troppo leggere per il rigore dell'inverno. Nel vedere Copynger inchinarono il capo. «Sono mendicanti», osservò il giudice. «Il sorvegliante del reparto maschile dell'ospizio è assai bravo a trovar loro delle occupazioni oneste.» Entrammo nell'edificio, non riscaldato e tanto umido da far squamare l'intonaco delle pareti. Nella sala sedevano alcune donne impegnate a cucire o filare, mentre in un angolo una matrona paffuta di mezz'età era intenta a riordinare un grosso mucchio di stracci, aiutata da un gruppetto di bambini pelle e ossa. Copynger la raggiunse, le parlò e questa ci condusse in un cantuccio accogliente dove si presentò come Joan Stumpe, la sorvegliante dei bambini. «Come posso aiutarvi, signori?» Aveva un viso rugoso e gentile, ma gli occhi castani erano scaltri. «Mastro Shardlake ha ricevuto incarico d'indagare su alcune questioni riguardanti il monastero», le disse Copynger. «Vorrebbe sapere che cosa
ne è stato della giovane Stonegarden.» La donna sospirò. «Povera orfana.» «La conoscevate?» le chiesi. «L'ho cresciuta. Fu abbandonata nella corte di questo stesso edificio diciannove anni or sono. Ancora in fasce.» «Qual era il suo nome?» «Orphan era il suo nome, signore. Non abbiamo mai scoperto l'identità dei genitori, così il sorvegliante degli uomini le ha dato come cognome Stonegarden, giardino di pietra, poiché era stata trovata in cortile.» «Capisco. Ed è cresciuta sotto la vostra protezione?» «Io sono responsabile di tutti i bambini. Molti muoiono in tenera età, ma Orphan era forte, e cresceva robusta. Mi aiutava con le faccende, era sempre allegra e molto volenterosa...» D'improvviso la vecchia distolse lo sguardo. «Su, proseguite», disse Copynger spazientito. «Ho già avuto modo di dirvi che siete troppo tenera con questi bambini.» «Spesso è concessa loro solo una breve sosta su questa terra», rispose la donna con foga. «Perché non dovrebbero trarne qualche beneficio?» «Meglio andare in pezzi in paradiso che tutti interi all'inferno», disse Copynger brutalmente. «Gran parte di quelli che sopravvivono finiscono per diventare ladri o mendicanti. Proseguite.» «Al compimento dei sedici anni, è stato deciso che lei dovesse trovarsi un lavoro fuori dell'ospizio. Un gran peccato, poiché aveva un pretendente, il figlio del mugnaio, e se fosse stato dato loro tempo sufficiente, di certo si sarebbero sposati.» «Era una bella ragazza?» «Sì, signore. Esile, capelli biondi e un visetto dolce e gentile. Uno dei volti più graziosi che io abbia mai visto. Ma il sorvegliante degli uomini ha un fratello che lavora nel monastero; ci disse che il monaco infermiere cercava un assistente, così gli fu mandata lei.» «E tutto questo quando è accaduto, comare Stumpe?» «Due anni fa. Il giorno di riposo tornava sempre in visita, ogni venerdì, immancabilmente. Mi era molto affezionata, come io lo ero a lei. Non le piaceva stare al monastero, signore.» «Perché no?» «Non voleva dirmelo. Io insegno ai bambini a non criticare mai i padroni perché non ne viene mai nulla di buono. Ma vedevo che era spaventata.» «Di che cosa?»
«Non lo so. Ho provato a scoprirlo, ma lei non s'è mai aperta. Da principio lavorava con il vecchio fratello Alexander e poi, alla sua morte, è arrivato fratello Guy. Lei lo temeva, temeva il suo strano aspetto. Il fatto è che smise di vedere Adam, il figlio del mugnaio. Lui venne persino a trovarla, ma lei mi chiese di mandarlo via.» Mi guardò con occhi taglienti. «E quando una cosa simile accade, sovente significa che una donna è stata vittima d'un abuso.» «Avete mai notato lividi o escoriazioni?» «No, ma ogni volta che veniva a trovarmi, pareva sempre più depressa. Poi, un giorno, pressappoco sei mesi dopo che aveva cominciato a lavorare al monastero, saltò un venerdì di visita, e quello successivo.» «Vi sarete preoccupata?» «Certo. Decisi di recarmi al monastero e scoprire che cosa le fosse accaduto.» Annuii. Non era difficile immaginarla marciare con passo risoluto fino al cancello del monastero e pretendere udienza. «Da principio non vollero farmi entrare, mai io rimasi lì a far baccano, finché andarono a chiamare il priore Mortimus. Quel barbaro. Mi disse che Orphan aveva rubato due calici d'oro dalla chiesa ed era scomparsa.» Copynger inclinò il capo. «Potrebbe anche essere vero, sono cose che succedono spesso con questi bambini.» «Non Orphan, signore, era una buona cristiana.» Comare Stumpe si rivolse a me. «Ho domandato al priore perché non ne fossi stata avvisata, e lui mi rispose che lui non sapeva nulla dei contatti che la giovane aveva in paese. Minacciò persino di sporgere denuncia nei suoi confronti, se non me ne fossi andata. Io l'ho riferito a mastro Copynger, ma lui mi ha spiegato che senza una prova del misfatto non c'era nulla che potesse fare.» Il magistrato si strinse nelle spalle. «Non ce n'erano. E se i monaci avessero sporto denuncia ufficiale, avrebbero avuto un vantaggio nei confronti della città.» «Che cosa credete sia potuto accadere alla ragazza, comare Stumpe?» La donna mi guardò dritto negli occhi. «Non lo so, signore, ma temo il peggio.» Annuii lentamente. «Tuttavia il giudice Copynger non ha torto: senza prove ha le mani legate.» «Lo so, ma la conoscevo bene. Non era da lei rubare e darsi alla fuga.» «Nemmeno se fosse stata in preda alla disperazione...» «In quel caso sarebbe venuta da me, piuttosto che rischiare il collo per
un furto. E invece negli ultimi diciotto mesi non abbiamo saputo più nulla di lei. Nulla.» «Molto bene. Vi ringrazio, comare Stumpe, per il tempo che mi avete dedicato.» Sospirai. Un altro sospetto senza prove concrete. La vecchia ci accompagnò nell'atrio, dove i bambini intenti a smistare stracci ci guardarono con pallidi visini avvizziti. Il puzzo malsano che si levava dai quei vecchi cenci impregnava l'intero salone. «Che cosa stanno facendo i vostri protetti?» le chiesi. «Frugano fra gli stracci che la gente ci ha donato in cerca di qualcosa da indossare domani. È giorno d'elemosina al monastero. Sarà una dura camminata con questo tempo.» Annuii. «Già, avete ragione. Vi ringrazio ancora, comare Stumpe.» Giunto sulla soglia mi voltai; la donna aveva già fatto ritorno fra i bambini, aiutandoli a spulciare quei mucchi fetidi. Il giudice Copynger ci invitò a pranzo, ma io rifiutai dicendo che dovevamo far ritorno al monastero. Ci mettemmo in cammino, la neve che scricchiolava sotto i nostri passi. «Non siamo più in tempo per pranzare al monastero», disse Mark dopo un poco. «Già. Cerchiamo una taverna.» Ne trovammo una dall'aria decorosa proprio dietro la piazza. L'oste ci fece strada verso un tavolo che dava sul molo, e io ebbi modo d'osservare ancora la barca vista in precedenza che, carica di balle di stoffa, remava lentamente lungo il canale, verso un bastimento che l'attendeva. «Per tutti i fulmini», disse Mark. «Muoio di fame.» «Già, anch'io. Ma dovremo fare a meno della birra. Sapevi che la regola originale di san Benedetto prevedeva un solo pasto durante l'inverno? Solo la cena. La regola era stata creata per il clima italiano, ma all'inizio fu mantenuta tale e quale anche in Inghilterra. Te lo immagini, dover pregare per ore e ore ogni giorno, in inverno, con un solo pasto sullo stomaco! Ma ovviamente, con il passare degli anni i monasteri si sono arricchiti, e i pasti sono diventati due, e poi tre, con carne e vino...» In quel mentre, l'oste ci portò due porzioni di pasticcio di coniglio, e per un po' mangiammo in silenzio. «Che cosa credete sia accaduto a quella ragazza?» mi chiese Mark dopo qualche minuto. Sospirai. «Jesu solo lo sa. Le piste da seguire sono così tante, non fanno
che moltiplicarsi. Avevo sperato che Copynger potesse dirci qualcosa di più. Be', ora sappiamo che delle donne sono state molestate al monastero. E da chi? Dal priore Mortimus che ha importunato anche Alice? Da altri? Per quanto concerne quella Orphan, Copynger ha ragione. Non ci sono prove che non sia veramente fuggita in seguito a un furto, e l'affetto che la vecchia nutre nei suoi confronti potrebbe aver falsato il suo giudizio. Non abbiamo nulla cui appigliarci.» «Che cosa pensate del giudice Copynger?» «È un riformatore. Credo che ci aiuterà.» «Parla di vera religione, di monaci sfruttatori, eppure conduce una vita agiata, privando la gente comune della propria terra.» «Non piace nemmeno a me. Tuttavia non avresti dovuto domandargli di Alice. Devi saper rimanere al tuo posto. Lui è la nostra unica fonte attendibile d'informazioni, e non voglio irritarlo. Abbiamo già fatto qualche passo avanti, anche se speravo di ottenere più informazioni sulle vendite dei terreni che potessero essere ricollegate ai registri dell'economo.» «M'è parso che il giudice Copynger sapesse più di quanto non ci abbia detto sui traffici clandestini.» «È ovvio. Riceve compensi sottobanco. Ma non è questo il motivo della nostra visita. Concordo con lui su un punto: l'assassino è interno al convento, non viene da Scarnsea. I cinque obedenziari anziani sono tutti sufficientemente alti e robusti per riuscire a sbarazzarsi di Singleton, tranne fratello Edwig. E chiunque fra loro potrebbe aver ucciso il novizio. Questo, ovviamente, se quanto fratello Guy ci ha raccontato della belladonna risponde a verità.» «Perché mai dovrebbe mentire?» Di nuovo m'apparve davanti agli occhi il volto di Simon Whelplay, quando estraemmo il suo cadavere dalla vasca. Il pensiero che fosse stato avvelenato per impedirgli di parlare continuava a riaffacciarsi insistente, tormentandomi per il senso di colpa. «Non so», risposi. «Ma non posso fidarmi di niente e di nessuno. Avrebbero tutti da perdere dalla chiusura del monastero. Chi mai darebbe lavoro a fratello Guy, con la faccia che si ritrova? L'abate è troppo attaccato alla sua posizione. E fratello Edwig? Forse sta nascondendo del denaro in previsione della chiusura della casa, sebbene avrebbe bisogno del sigillo dell'abate sui documenti di vendita dei terreni.» «E il priore Mortimus?» «C'è poco da stare allegri con lui. E per quanto riguarda fratello Gabriel,
sono certo che l'antica serpe della tentazione lo visiti ancora. Da quando siamo arrivati, non ti ha mai tolto gli occhi di dosso. Suppongo abbia stretto dei legami con alcuni dei monaci, anche se non con il povero Whelplay, ma poi sei arrivato tu, un giovane di bell'aspetto dalle ricche vesti, e lui ha avuto occhi solo per te.» Mark allontanò il piatto, corrucciato. «Potreste trascurare i dettagli, signore?» «Per gli uomini di legge i dettagli sono fondamentali, per quanto sordidi possano essere. Dietro una maschera di gentilezza Gabriel nasconde un cuore tormentato, e gli uomini tormentati si comportano in modo folle e irrazionale. Se i recenti atti di sodomia di cui è stato accusato si rivelassero veritieri, rischierebbe la forca. I rudi interrogatori di Singleton potrebbero averlo gettato nel panico, soprattutto se intende proteggere qualcuno. E poi c'è Jerome. Voglio proprio sapere che cos'ha da dire. M'incuriosisce il fatto che abbia definito Singleton bugiardo e spergiuro.» Mark non rispose. Teneva ancora il broncio. «Oh, sveglia!» sbottai irritato. «Che importanza vuoi che abbia se il sacrista brama il tuo deretano? È molto poco probabile che riuscirà ad averlo.» Una scintilla di rabbia gli accese lo sguardo. «Non pensavo a me, signore, ma ad Alice. La ragazza scomparsa lavorava per fratello Guy.» «Ci ho pensato anch'io, non credi?» Si protese in avanti sul tavolo. «Non sarebbe meglio, o almeno più sicuro, arrestare gli obedenziari e Jerome per sospetto omicidio? Potremmo portarli a Londra e farli parlare.» «Su quali basi? E con quali mezzi, la tortura? Credevo disapprovassi simili metodi.» «Certo che li disapprovo. Ma sottoporli soltanto a un duro interrogatorio?» «E che cosa accadrebbe se ci sbagliassimo, e l'assassino non fosse affatto uno di loro? Come potremmo tener segreto un simile arresto di massa?» «Ma il tempo stringe, e di certo il pericolo è più che mai in agguato.» «Pensi forse non lo sappia?» sbottai, colto da un'ira improvvisa. «Però comportarci da tiranni non ci farà giungere alla verità. Singleton ci ha provato e guarda com'è finito. I nodi si sbrogliano un poco alla volta, non tirando con foga, e credimi, il nodo che abbiamo fra le mani è intricato come pochi. Ma lo districheremo. Ne sono certo.» «Mi spiace, signore. Non intendevo mettere in dubbio...» «Oh, dubita pure, Mark», dissi irritato. «Ma dubita con senno.» La rab-
bia mi aveva animato, così mi alzai, gettando qualche spicciolo sulla tavola. «Forza, andiamo. Stiamo sprecando il pomeriggio, e io devo scambiare quattro chiacchiere con un vecchio certosino folle.» Capitolo sedici Ritornammo verso il monastero quasi senza parlare, sotto un cielo che ancora una volta si stava rapidamente rannuvolando. Ero adirato con me stesso per il mio sfogo, ma avevo i nervi a fior di pelle e l'ingenuità di Mark m'aveva irritato. Tuttavia mi ero scoperto acceso da un nuovo sentimento di ferma risoluzione, e avevo preso a camminare con passo svelto finché non inciampai in un cumulo di neve e Mark dovette sostenermi, gesto che fece aumentare ancor più la mia ira. Avvicinandoci alle mura del monastero si levò un vento pungente che alzò nuove, fitte cortine di neve. Bussai alla porta di Bugge senza troppe cerimonie; l'uomo apparve pulendosi la bocca con la manica sudicia. «Vorrei parlare con fratello Jerome. Immediatamente, per favore.» «Fratello Jerome è sotto la custodia del priore, che è in chiesa per la sesta.» Fece un cenno in direzione dell'edificio da cui si levava il flebile suono d'un canto liturgico. «Allora andatelo a chiamare!» replicai brusco. Il villano s'allontanò borbottando, e noi rimanemmo in attesa, avvolgendoci nelle cappe già imbiancate di neve. Poco dopo Bugge riapparve, accompagnato dal priore Mortimus, un'espressione d'ira dipinta sul volto paonazzo. «Desiderate vedere Jerome, commissario? È forse accaduto qualcosa di grave che possa giustificare l'interruzione delle mie preghiere?» «È solo che non ho tempo da perdere. Dove si trova?» «A causa degli insulti che vi ha rivolto è stato rinchiuso nella sua cella, nel dormitorio.» «In questo caso, vi prego di condurci da lui. Desidero interrogarlo.» Ci fece strada verso il chiostro. «Tremo al pensiero di quel che potrà dire, andandolo a istigare nella sua stessa tana. Se avete intenzione d'accusarlo di alto tradimento, ci farete un grande favore.» «Davvero? Allora non ha proprio nessun amico in questo luogo?» «Direi proprio di no.» «Sono in molti a non avere amici qui. Il novizio Whelplay, per esempio.»
Il priore mi guardò freddo. «Ho provato a insegnare a Simon Whelplay la contrizione dello spirito.» «Meglio in pezzi in paradiso che tutti interi all'inferno», mormorò Mark. «Che cosa?» «Una frase che il magistrato ci ha detto questa mattina. In ogni modo, ho saputo che ieri avete fatto visita a Simon.» Arrossì. «Sono andato a pregare per la sua anima. Non volevo morisse, soltanto che si liberasse da ciò che lo possedeva.» «Persino a costo della vita?» Si fermò a guardarmi con un'espressione infastidita. «Non volevo morisse! Non è stata colpa mia, era posseduto. Posseduto. La sua morte non è dipesa da me, e non me ne assumerò la responsabilità!» Lo scrutai in volto. Era forse andato a pregare al capezzale del novizio mosso da un senso di colpa? No, conclusi, il priore Mortimus non era tipo da mettere in discussione la giustezza dei propri atti. Era strano, ma la brutale sicurezza che ostentava mi ricordava il radicalismo di certi luterani che avevo conosciuto. E senza dubbio doveva aver escogitato una sorta di sofisma intellettuale che gli permetteva di molestare le giovani domestiche senza causare turbamenti alla propria coscienza. «Fa freddo», dissi. «Fateci strada.» Senza aggiungere altro, ci condusse nel dormitorio, un lungo edificio a due piani che fronteggiava il chiostro. Dei pennacchi di fumo si levavano dai numerosi camini. Non ero mai entrato nel dormitorio di un monastero prima d'allora. Sapevo, per averlo letto nel Comperta, che le ampie camerate comuni dei primi benedettini erano state da tempo suddivise in confortevoli celle singole, e ne ebbi conferma in questo luogo. Attraversammo un lungo corridoio con molte porte. Alcune erano aperte, e potei intravedere al loro interno caldi fuochi e comodi letti. Il tepore era assai piacevole. Il priore Mortimus si fermò davanti a una porta socchiusa. «Normalmente è chiusa a chiave, per essere sicuri che lui non se ne vada a zonzo per il monastero.» Aprì la porta, spingendola. «Jerome, il commissario è venuto per vederti.» L'austerità della cella di fratello Jerome non aveva nulla a che fare con l'agio di quelle che avevo intravisto passando. Nessun fuoco crepitante nello spoglio focolare e, fatta eccezione per un crocifisso sopra il letto, le pareti imbiancate a calce erano nude. Il vecchio certosino sedeva sul letto, in calzebrache; il torso scheletrico era curvo e ritorto attorno alle spalle, an-
nodato e gibboso come il mio, ma riportava i segni della tortura, non della deformità. Fratello Guy era chino su di lui con un panno, intento a lavare le innumerevoli minuscole piaghe che gli deturpavano la pelle. Alcune erano arrossate, altre gialle di pus. Da una brocca d'acqua si levava un intenso odore di lavanda. «Fratello Guy», dissi. «Mi dispiace interrompere le vostre medicazioni.» «Ho quasi terminato. Ecco, fratello, questo dovrebbe lenire le ferite più infette.» Il certosino mi guardò in cagnesco, prima di rivolgersi al frate infermiere. «La mia camicia pulita, per favore.» Fratello Guy sospirò. «Questa camicia ti ha molto indebolito. Potresti almeno inumidirne i crini, per renderla più morbida.» Gli porse un cilicio grigio intessuto di crine, i cui peli neri, cuciti sul lato interno della stoffa, spuntavano rigidi. Fratello Jerome se la infilò, poi indossò a fatica l'abito bianco. Fratello Guy raccolse la brocca, ci fece un inchino e uscì. Fratello Jerome e il priore si scambiarono uno sguardo carico di disprezzo. «Di nuovo a mortificarti il corpo, Jerome?» «Per i miei peccati. Ma non traggo alcun piacere dalla mortificazione altrui, fratello priore, a differenza di qualcuno.» Il priore Mortimus lo guardò con ripugnanza, poi mi porse la sua chiave. «Quando avrete finito, consegnate la chiave a Bugge», disse, poi si voltò e uscì rapido, sbattendo la porta alle sue spalle. Mi resi improvvisamente conto che eravamo confinati in uno spazio chiuso con un uomo i cui occhi sprizzavano odio, stagliati su un viso pallido ed emaciato. Mi guardai attorno, in cerca di un posto su cui sedermi, ma non c'era altro che il letto, così rimasi in piedi, appoggiandomi sul bastone. «Ti duole la schiena, gobbo?» mi chiese d'improvviso. «Un lieve fastidio. Abbiamo fatto una lunga camminata nella neve.» «Conoscete il detto secondo il quale toccare un nano porti fortuna e toccare un gobbo sventura? Sei uno scherzo della natura, commissario, e lo sei due volte, poiché la tua anima è contorta e infetta come quella di tutti gli uomini di Cromwell.» Mark si fece avanti. «Per tutti i santi del paradiso, signore, avete la lingua avvelenata.» Gli feci cenno di tacere e rimasi immobile a fissare Jerome negli occhi. «Perché m'insultate, Jerome da Londra? Dicono siate pazzo. È vero? La follia sarebbe la vostra arma di difesa, dovessi trascinarvi in catene alla Torre con l'accusa di tradimento?»
«Non mi difenderei affatto, gobbo. Sarei lieto di diventare ciò che avrei dovuto già essere da tempo, un martire della Chiesa di Dio. Sputo sul nome di re Enrico e sulla sua usurpazione dell'autorità papale.» Rise amareggiato. «Persino Lutero ripudia re Enrico, lo sapevi? Dice che Junker Heinz finirà con il mettersi al posto di Dio.» Mark rimase senza fiato. Quelle parole sarebbero bastate a firmare la sua condanna a morte. «Allora il vostro spirito sarà dilaniato dalla vergogna per aver prestato giuramento, riconoscendo la supremazia del sovrano», dissi pacato. Jerome prese la stampella e s'alzò dolorosamente dal letto. Sistemò la gruccia sotto il braccio e prese a camminare piano avanti e indietro per la cella. Quando parlò di nuovo, il tono della sua voce s'era fatto più quieto, ma duro come il ferro. «Esatto, gobbo. Vergogna e paura per la mia anima eterna. Conosci il nome della mia famiglia? Te lo hanno riferito?» «So che siete imparentato con la regina Jane, riposi in pace.» «Non riposerà affatto in pace. Brucerà all'inferno per aver sposato un re scismatico.» S'avvicinò nuovamente e mi affrontò. «Vuoi che ti racconti come sono finito qui? Vuoi che ti esponga il mio caso, mastro avvocato?» «Sì, ditemi. Vi ascolterò.» Presi posto sul duro giaciglio. Mark rimase in piedi, mano alla spada, mentre Jerome si trascinava lentamente su e giù per la stanza. «Ho abbandonato le frivolezze del mondo all'età di vent'anni. La mia cugina di secondo grado, ora defunta, non era ancora nata e non l'ho mai conosciuta. Ho vissuto per più di trent'anni nella pace della Certosa di Londra; un luogo santo, non come questa casa, frivola e corrotta. Era un rifugio, un luogo consacrato a Dio nel cuore della città profana.» «Luogo in cui indossare il cilicio era imposto dalla regola.» «Per non dimenticare mai che la carne è fonte di peccato e corruzione. Tommaso Moro visse con noi per quattro anni. Da quel momento in poi indossò sempre il cilicio, persino sotto la toga, quando divenne Lord Cancelliere. Lo aiutò a rimanere umile e fermo di fronte alla morte, quando s'oppose al matrimonio del sovrano.» «E prima ancora, quando sempre nelle vesti di Lord Cancelliere metteva al rogo ogni eretico sul quale riusciva a mettere mano. Ma voi avete perso la vostra, di fermezza, fratello Jerome.» S'irrigidì, e quando si voltò ero pronto a un nuovo sfogo. Ma la sua voce rimase calma.
«Quando il re impose il giuramento a tutti i membri delle case religiose perché riconoscessero la sua supremazia a capo della Chiesa, soltanto noi certosini rifiutammo, sebbene sapessimo a che cosa andavamo incontro.» Mi scrutò con penetranti occhi di brace. «Già. Tutte le case hanno prestato il giuramento, tranne la vostra.» «Eravamo quaranta, e ci vennero a prendere uno per uno. Il priore Houghton rifiutò per primo, e fu interrogato da Cromwell in persona. Sapevi, commissario, che quando padre Houghton gli disse che sant'Agostino aveva posto l'autorità della Chiesa al di sopra delle Scritture, Cromwell gli rispose che non si curava affatto della Chiesa, e che Agostino poteva dire quel che voleva?» «Aveva ragione. L'autorità delle Scritture è superiore a quella di qualunque dottrina.» «E l'opinione del figlio di un taverniere è superiore a quella di sant'Agostino?» Jerome rise amaramente. «Quando fu chiaro che non si sarebbe sottomesso, il nostro venerabile priore fu dichiarato colpevole di tradimento e giustiziato a Tyburn. Io c'ero; vidi squarciare il suo corpo per mano del boia quand'era ancora vivo. Ma non si trattò della solita sagra dell'impiccagione, quel giorno la folla lo guardò morire in silenzio.» Lanciai un'occhiata a Mark, che teneva gli occhi fissi su Jerome, il viso turbato. Il certosino proseguì. «Il tuo padrone non ha avuto miglior fortuna con il successore del priore Houghton. Il vicario Middlemore e gli obendenziari anziani ancora s'opponevano al giuramento, così anche loro vennero condotti a Tyburn. Questa volta dalla folla si levarono grida di protesta contro il re. Cromwell non voleva certo rischiare di scatenare una rivolta, quindi cercò di far pressione sul resto di noi perché prestassimo giuramento. Affidò ad alcuni dei suoi stessi uomini la gestione della casa, sui cui cancelli furono inchiodate le braccia decomposte del priore Houghton. Ci affamarono, dileggiarono le nostre funzioni religiose, stracciarono i nostri libri, c'insultarono. Uno dopo l'altro isolarono quelli fra noi che potevano creare loro noie e li destinarono a una casa più remissiva, o li fecero più semplicemente sparire.» S'interruppe e posò per un istante il braccio buono sul letto. Lo guardai. «Ho sentito di simili storie», dissi. «Banali dicerie.» L'uomo m'ignorò e riprese a camminare. «Dopo la ribellione al Nord della scorsa primavera, il re perse la pazienza con noi. Ai confratelli sopravvissuti fu imposto di giurare, pena il trasferimento a Newgate dove sa-
rebbero stati lasciati morire di fame. Dieci vi furono deportati, furono incatenati in una sudicia cella e lasciati senza cibo. Alcuni sopravvissero per settimane...» S'interruppe d'improvviso. Si coprì il viso con le mani, e rimase in piedi a dondolare da una gamba all'altra, singhiozzando in silenzio. «Ho saputo di queste voci», Mark sussurrò. «Si dice siano menzogne...» Gli feci cenno di tacere. «Anche se fosse vero, fratello Jerome, voi non potevate trovarvi con loro. Eravate già qui.» Si voltò dandomi le spalle, si asciugò il viso con la manica e si mise a guardare fuori della finestra, appoggiandosi con tutto il peso sulla gruccia. Dal cielo turbinava un mare di candidi fiocchi che parevano dover seppellire il mondo. «Sì, gobbo, io sono stato fra quelli portati via di nascosto. Avevo visto arrestare i miei superiori, sapevo com'erano morti, ma nonostante le nostre quotidiane umiliazioni, noi confratelli ci davamo continuo sostegno. All'epoca ero vigoroso, mi gloriavo della mia forza.» Rise, un suono rotto e isterico. «Un mattino, i soldati vennero a cercarmi, e mi portarono alla Torre. Era metà maggio, l'anno scorso, Anna Bolena era stata condannata a morte ed era cominciata la costruzione di un enorme patibolo. Lo vidi. Fu allora che la paura s'impossessò di me. Mentre le guardie mi trascinavano nelle segrete, capii che la mia fermezza avrebbe potuto abbandonarmi. «Mi portarono in un'ampia stanza sotterranea, dove mi legarono a una sedia. In un angolo vidi la ruota, le corde, due corpulente guardie in attesa dell'ordine di mettere in funzione gli ingranaggi. C'erano altre due persone nella stanza, che mi guardavano da dietro uno scrittoio. Uno era Kingston, il guardiano della Torre. L'altro, lo sguardo torvo e ripugnante, era il tuo padrone, Cromwell.» «Il vicario generale in persona? Non vi credo.» «Lascia che ti riporti ciò che mi disse. 'Fratello Jerome Wentworth, non farmi perdere tempo. Dimmi senza giri di parole se hai intenzione di riconoscere la supremazia regia.' «Dissi che non avrei giurato. Ma il cuore mi martellava nel petto come se volesse uscire da me, seduto davanti a quell'uomo, con gli occhi fiammeggianti come l'inferno, poiché il diavolo stesso mi guardava tramite loro. Come puoi guardarlo in viso, commissario, conoscendo la sua natura?» «Basta così. Proseguite.» «Il tuo padrone, il consigliere dall'immensa saggezza, fece un cenno ri-
volto alla ruota. 'Vedremo', disse. 'Fra poche settimane Jane Seymour diventerà regina d'Inghilterra. Il re non può tollerare che suo cugino rifiuti di prestare giuramento. Né può vedere il tuo nome fra quelli dei giustiziati per tradimento. In entrambi i casi, creeresti grande imbarazzo, fratello Jerome. Dunque, non ti resta che giurare di tua sponte, o ci costringerai a forzarti.' Accennò nuovamente alla ruota. «Ripetei che non avrei prestato giuramento, ma la voce mi tremava. Lui mi scrutò un istante e sorrise. 'Invece penso che lo farai', affermò. 'Mastro Kingston, ho poco tempo. Preparatelo.' «Kingston fece un cenno alle due guardie, queste mi presero e mi spinsero brutalmente sulla ruota, facendomi mancare il respiro. Mi legarono mani e piedi, le braccia sopra la testa.» La voce di Jerome si fece un sussurro. «Accadde tutto molto in fretta. Nessuna delle due guardie proferì parola. «Udii uno scricchiolio quando misero in moto la ruota, e dopo fui lacerato da un dolore alle braccia intenso come non ne avevo mai provato. Mi logorava dentro.» S'interruppe, massaggiandosi delicatamente la spalla straziata, gli occhi vuoti. Perso nel ricordo della propria agonia, pareva essersi dimenticato della nostra presenza. Accanto a me, Mark accennò un imbarazzato movimento. «Gridavo. Ma non me ne accorsi, da principio. Poi la ruota s'arrestò. Ero ancora in preda al tormento ma la marea...» fece fluttuare le braccia in su e in giù, «la marea s'era abbassata. Alzai lo sguardo e vidi Cromwell sopra di me, che mi fissava negli occhi. «'Giura adesso, fratello', disse. 'Vedo che il tuo spirito è debole. E il dolore non cesserà fino a quando non avrai giurato. Questi sono uomini capaci, non ti lasceranno morire, e il tuo corpo già straziato presto sarà così distrutto da far sì che il dolore di questo momento non ti abbandoni mai più. Non c'è vergogna nel prestare giuramento quando si è portati a farlo per questa strada.'» «State mentendo», dissi al certosino. Ma ancora una volta lui m'ignorò. «Gridai che avrei sopportato il dolore, come Cristo sulla croce. Lui si strinse nelle spalle e fece un cenno agli aguzzini, che questa volta azionarono entrambe le ruote. I muscoli delle gambe si strapparono e quando sentii il femore dislocarsi lentamente urlai che avrei giurato.» «Un giuramento estorto con la violenza di certo non è valido agli occhi della legge», disse Mark. «Per amor di Dio, taci!» sbottai. Jerome trasalì, si ricompose e poi sorri-
se. «È stato un giuramento fatto davanti a Dio, uno spergiuro, e io sono perduto. Sembri un giovane di buon cuore. Non dovresti accompagnarti a questo gobbo eretico.» Lo fissai intensamente negli occhi. In verità, il vigore della sua storia mi aveva scosso; ma dovevo tenere la situazione in pugno. Mi alzai, mi misi a braccia conserte e lo affrontai. «Fratello Jerome, sono stanco dei vostri insulti e delle vostre fandonie. Sono venuto qui per discutere dell'orribile assassinio di Robin Singleton. Lo avete definito uno spergiuro e un bugiardo, ho dei testimoni. Vorrei conoscere il motivo delle vostre parole.» La bocca di Jerome si contorse in una sorta di ghigno. «Hai idea di che cosa sia la tortura, eretico?» «E voi sapete che cosa sia l'omicidio, monaco? E da te non voglio più sentire una parola, Mark Poer», aggiunsi. «Mark», ripeté Jerome con un cupo sorriso. «Di nuovo quel nome. Be', il tuo assistente somiglia all'altro Mark.» «Quale altro Mark? Di che cosa andate blaterando ora?» «Te lo devo dire? Mi hai ordinato di smetterla di raccontar fandonie, ma sono certo che questa t'interesserà. Posso sedermi? Sento molto dolore.» «Non voglio più sentire un solo insulto, né parole sediziose.» «Niente offese, te lo prometto, né parole di tradimento. Solo la verità.» Annuii, e il vecchio si sedette nuovamente sul letto, aiutandosi con la gruccia. Si grattò il petto, sussultando sotto il cilicio. «Ho notato che il racconto della ruota ti ha turbato, avvocato, ma quello che stai per udire sarà ancora peggio. L'altro ragazzo di nome Mark era un certo Mark Smeaton. Lo hai già sentito nominare?» «Ma certo. È il musico che ha confessato l'adulterio con la regina Anna, e per questo è stato giustiziato.» «Già, confessò», annuì Jerome. «Per lo stesso motivo per cui io ho prestato giuramento.» «Come potete affermarlo?» «Te lo racconterò. Dopo ch'ebbi prestato giuramento in quell'orribile segreta, il guardiano mi disse che sarei stato fatto alloggiare per qualche tempo nella Torre, in modo da potermi riprendere. Intanto mia cugina avrebbe fatto in modo che venissi accettato a Scarnsea come pensionante. A Jane Seymour sarebbe stato detto che avevo giurato. Lord Cromwell, nel frattempo, aveva perduto interesse per me; il mio giuramento era andato ad
aumentare la pila delle sue carte. «Fui trasportato a braccia in una cella sotterranea in un corridoio buio e umido. Mi depositarono su un vecchio pagliericcio sul pavimento e mi lasciarono solo. La mia mente era totalmente sconvolta per quello che avevo appena fatto. L'odore d'umidità che si levava da quel materasso marcio mi dava il voltastomaco, così in qualche modo riuscii a mettermi in piedi e mi avvicinai alla porta, nella quale si apriva una finestrella a sbarre. Mi ci appoggiai per respirare l'aria più fresca del corridoio, e pregai implorando il perdono per le mie azioni. «Poi udii un rumore di passi, dei singhiozzi, qualcuno che piangeva. Apparvero altre guardie che trascinavano un giovane, proprio dell'età del tuo assistente, con un bel visino come il suo o addirittura più dolce, rigato dalle lacrime. I suoi abiti raffinati erano laceri, e i suoi grandi occhi spaventati guizzavano selvaggiamente tutto intorno. Mi guardò con espressione implorante, poi fu condotto via, e udii aprirsi la porta della cella accanto. «'Datevi un contegno, mastro Smeaton', disse una delle sentinelle. 'Questa notte la passerete qui, e domani sarà tutto finito, non sentirete nulla', aggiunse in tono quasi compassionevole.» Jerome rise nuovamente, mostrando i grigi denti guasti. Quella risata mi diede i brividi. Il suo viso si distorse per un istante, poi l'uomo proseguì il suo racconto. «La porta della cella si chiuse con un tonfo e il rumore di passi s'allontanò. Allora udii una voce. «'Padre! Padre! Siete un prete?' «'Sono un monaco certosino', risposi. 'Siete il musico accusato d'adulterio con la regina?' «Il giovane cominciò a singhiozzare. 'Fratello, io non ho fatto nulla! Mi hanno accusato di aver giaciuto con lei, ma non è vero.' «'Dicono che avete reso piena confessione', replicai. «'Fratello, mi hanno condotto nella casa di Lord Cromwell e mi hanno detto che se non avessi confessato mi avrebbero legato una corda attorno al collo e l'avrebbero stretta fino a farmi uscire gli occhi dalle orbite!' Parlava con voce delirante, quasi gridando. 'Lord Cromwell, invece, ha ordinato loro di mettermi alla ruota perché non restassero segni. Padre, sto soffrendo dolori atroci, ma voglio vivere. Mi giustizieranno domani!' S'interruppe, e lo udii singhiozzare.» Jerome rimase seduto in silenzio, lo sguardo distante. «Il dolore alla gamba e alle spalle stava peggiorando, e non avevo la for-
za di muovermi. Mi sostenni con il braccio buono alle sbarre e mi appoggiai, quasi privo di sensi, alla porta, prestando orecchio ai singhiozzi di Smeaton. Un poco alla volta il giovane si calmò e mi chiamò nuovamente, la voce tremante. «'Fratello, ho firmato una falsa confessione che segnerà la fine per la regina. Andrò all'inferno?' «'Se ti è stata estorta con la tortura, Dio non ti condannerà. Una falsa confessione non è un giuramento fatto davanti a Dio', aggiunsi amareggiato. «'Fratello, temo per la mia anima. Ho commesso peccato con molte donne, mi è stato facile.' «'Se sei intimamente pentito, il Signore ti accorderà il perdono.' «'Ma io non mi pento, fratello.' Rise con voce isterica. 'È stato un grande piacere. Non voglio morire e non conoscere più una simile delizia.' «'Devi pensare alla tua anima', lo esortai. 'Devi pentirti realmente, o sarai condannato alle fiamme eterne.' «'Ad attendermi ci sarà il purgatorio.' Riprese a singhiozzare, ma io fui colto da una forte vertigine. Ero troppo debole per parlare oltre, così mi trascinai di nuovo verso il pagliericcio maleodorante. Non sapevo che ora fosse; non entrava luce in quella cella, tranne quella delle torce lungo il corridoio. Dormii per un poco. Due volte fui svegliato dal rumore delle guardie che portavano dei visitatori nella cella di Smeaton.» Gli occhi di Jerome guizzarono a incontrare i miei per un istante, poi scivolarono via. «Entrambe le volte lo sentii piangere in modo straziante. Poi, più tardi, mi svegliai, vidi una sentinella passare assieme a un prete e udii prolungati mormorii, sebbene non saprei dire se Smeaton abbia confessato sinceramente i propri peccati, salvando la propria anima. M'abbandonai nuovamente al sonno e, con mio grande dolore, mi risvegliai in un totale silenzio. Anche senza finestre capii che era mattina, quindi quel giovane non c'era più, era morto.» Mi trafisse ancora una volta con il suo sguardo. «Sappi, allora, che il tuo padrone ha estorto una falsa confessione da un innocente, per poi ucciderlo. È un sanguinario.» «Avete raccontato questa storia a qualcun altro?» chiesi. Fece uno strano sorriso, quasi una smorfia. «No. Perché avrei dovuto?» «Che cosa intendete dire?» «Non ha importanza.» «Sbagliate, ha molta importanza, dal momento che io sono convinto che tutta questa storia sia un ordito di menzogne.»
Non fece altro che stringersi nelle spalle. «Molto bene. Ma Robin Singleton? Perché lo avete chiamato spergiuro e traditore?» Ancora una volta fece quello strano sorriso selvaggio. «Perché era la verità. Era uno strumento di quel mostro, Cromwell, proprio come lo sei tu. Siete tutti spergiuri, e tradite l'obbedienza che dovreste al pontefice.» Feci un respiro profondo. «Jerome da Londra, un solo uomo, a parer mio, avrebbe potuto odiare il commissario, o l'ufficio che rappresentava, tanto da ordire una congiura per ucciderlo, e quell'uomo siete voi. La vostra infermità vi ha impedito di perpetrare l'odioso atto di vostro pugno, ma sareste di certo in grado d'indurre qualcuno con l'inganno a farlo per voi. Sappiate che vi ritengo responsabile della sua morte.» Il certosino raggiunse la gruccia e di nuovo di levò a fatica. Appoggiò la mano destra sul cuore; tremava lievemente. Mi guardò dritto negli occhi, il sorriso ancora sulle labbra, un sorriso misterioso che mi dava i brividi. «Il commissario Singleton era un uomo crudele, un eretico, e io sono lieto che sia morto e che la sua morte possa turbare i sonni di Lord Cromwell. Ma giuro sulla mia anima, dinanzi a Dio e di mia sponte, che non ho avuto parte nell'uccisione di Robin Singleton, e giuro altresì che non conosco nessuno in questa casa di deboli stolti che possa aver avuto lo stomaco di farlo. Ecco, ho risposto alle tue accuse. E ora sono stanco, voglio dormire.» Si sedette sul letto e si mise disteso. «Molto bene, Jerome da Londra. Ma non finisce qui.» Feci cenno a Mark di dirigersi verso la porta. Uscimmo, chiusi a chiave e c'incamminammo nuovamente lungo il corridoio sotto lo sguardo dei monaci, appena rientrati dalla sesta, che ci scrutavano dalle celle aperte. Stavamo per raggiungere la porta che dava sul chiostro, quando questa fu aperta di schianto da fratello Athelstan, l'abito ricoperto di una bianca coltre. Vedendoci, il monaco trasalì. «Dunque, fratello, ho scoperto la ragione dei vostri screzi con fratello Edwig. Avete lasciato incustodito il suo gabinetto privato.» Il religioso prese a ciondolare da un piede all'altro, mentre dalla barba rada alcune gocce di neve disciolta cadevano sulla stuoia. «È vero, signore.» «Quest'informazione mi sarebbe stata più utile delle vostre storie di segrete congiure. Che cosa è accaduto?» Il giovane mi guardò, spaventato. «Nulla d'importante, signore. Entrai in ufficio per sbrigare del lavoro e trovai il commissario Singleton al piano di
sopra, nel gabinetto di fratello Edwig, intento a esaminare un registro. Lo implorai di non prenderlo, o almeno di permettermi di registrarne l'uscita, perché sapevo che fratello Edwig si sarebbe adirato con me, ma lui non mi badò. Quando fratello Edwig tornò lo informai dell'accaduto, e lui mi rimproverò dicendo che avrei dovuto badare con più attenzione ai movimenti del commissario.» «Dunque era arrabbiato.» «Molto, signore.» Abbassò il capo. «Sapevate che cosa conteneva il registro preso dal commissario?» «No, signore, io mi occupo solo dei libri mastri che sono in ufficio. Non so quali registri fratello Edwig custodisca nel suo gabinetto.» «Perché non me ne avete parlato?» Ciondolò nuovamente da un piede all'altro. «Avevo paura, signore. Paura che se voi aveste domandato spiegazioni a fratello Edwig, lui avrebbe capito che avevo parlato. È un uomo molto duro, signore.» «E voi siete molto stupido. Lasciate che vi dia un consiglio, fratello Athelstan. Un buon informatore deve essere pronto a rivelare ciò di cui è a conoscenza, persino a rischio della propria vita. Altrimenti nessuno si fiderà mai di lui. E ora sparite dalla mia vista.» Il giovane svanì lungo il corridoio con passo svelto. Mark e io ci avvolgemmo nelle nostre cappe e uscimmo nella bufera. Osservai il chiostro imbiancato. «Misericordia, che tempo da lupi! Volevo andare a dare un'occhiata al vivaio ittico, ma ora è impossibile. Forza, rientriamo in infermeria.» C'incamminammo a fatica verso il nostro alloggio, Mark era cupo e meditabondo. Nella cucina dell'infermeria trovammo Alice, intenta a bollire delle erbe. «Avete l'aria infreddolita, signori. Gradireste una bella coppa di vino caldo?» «Vi ringrazio, Alice», dissi. «Ci farebbe davvero piacere.» Di nuovo nella nostra stanza, Mark prese un cuscino e si sedette davanti al fuoco. Io mi distesi sul letto. «Jerome sa qualcosa», dissi placido. «Non è coinvolto nell'omicidio, o non avrebbe giurato, ma sa sicuramente qualcosa. L'ho capito dal suo strano sorriso.» «Le torture gli hanno sconvolto la mente, non credo sappia ciò che dice.» «No. È consumato dalla rabbia e dalla vergogna, ma non ha perduto il
senno.» Mark fissò il fuoco con occhi vaghi. «Allora è vero ciò che ha detto sul conto di Mark Smeaton? Che Lord Cromwell lo ha torturato, costringendolo a rendere una falsa confessione?» «No.» Mi morsi un labbro. «Io non lo credo.» «Voi non volete credere», obiettò Mark con voce pacata. «No! E non credo neppure che Lord Cromwell abbia assistito alle torture di Jerome. È una menzogna. L'ho incontrato nei giorni che precedettero l'esecuzione di Anna Bolena. Era sempre al fianco del sovrano, non avrebbe avuto il tempo di recarsi alla Torre. E non si sarebbe mai comportato a quella maniera, mai. Jerome se lo è inventato.» Mi resi conto d'aver chiuso i pugni. Mark mi guardò. «Signore, non vi è parso evidente, dal tono del suo racconto, che stesse dicendo la verità?» Esitai. Le parole del certosino erano, in effetti, cariche di una terribile sincerità. Era stato torturato, non c'erano dubbi in proposito. Ma poteva davvero essere stato costretto a giurare da Lord Cromwell in persona? Non potevo credere una cosa simile del mio padrone, come non potevo credere alla storia del suo coinvolgimento nelle torture di Mark Smeaton. Presunte torture, pensai fra me e me. Mi passai una mano fra i capelli. «Ci sono persone abilissime nel far sembrare vere delle falsità. Ricordo un uomo affrontato in tribunale che si spacciava per un orafo iscritto alla gilda. Era riuscito a ingannare persino la corporazione...» «Ma non è lo stesso, signore...» «Non posso credere che Lord Cromwell abbia potuto creare delle prove false contro Anna Bolena. Dimentichi che lo conosco da anni, Mark; è arrivato al potere proprio grazie alle simpatie riformiste della defunta regina. È stata la sua mecenate. Perché mai avrebbe dovuto costruire prove false per distruggerla?» «Forse perché quello era il volere del re, e Lord Cromwell sarebbe disposto a tutto pur di non perdere il proprio potere. Questo si vocifera alle Aumentazioni.» «No», ripetei con fermezza. «Quel monaco maligno ci ha raccontato una storia sediziosa. Storia che farai meglio a non far uscire da questa stanza.» Mi guardò con occhi duri. Per la prima volta, il suo sguardo mi mise a disagio. Alice entrò con due coppe di vino fumante. Me ne porse una con un sorriso, poi lanciò a Mark un'occhiata che mi parve carica d'un differente significato. Provai una fitta di gelosia.
«Vi ringrazio, Alice», dissi. «Proprio quel che ci voleva. Abbiamo appena terminato di parlare con fratello Jerome, e avevamo bisogno di tirarci un po' su.» «Davvero, signore?» Non parve granché interessata. «Io l'ho visto solo un paio di volte. Dicono sia pazzo.» Fece una riverenza e uscì. Mi voltai verso Mark, che sedeva con lo sguardo perso fra le fiamme. «Signore», disse esitante. «C'è una cosa di cui desidero parlarvi.» «Sì? Dimmi.» «Quando faremo ritorno a Londra - se mai riusciremo a lasciare questo luogo - io non voglio più rientrare alle Aumentazioni. Ho deciso. Non riesco più a sopportarlo.» «Sopportare che cosa? Spiegati.» «La corruzione, l'avidità. Le persone che non fanno che assillarci per sapere quali monasteri stiano per chiudere. Scrivono lettere di supplica, giungono fino alla nostra porta vantando legami con Lord Rich, promettendo di servire fedelmente Rich o Cromwell in cambio di terre.» «Lord Cromwell, Mark...» «E gli alti funzionari non fanno che speculare su chi sarà il prossimo gentiluomo a finire sulla forca, e a chi saranno ceduti i suoi averi. Odio tutto questo, signore.» «Che cosa ti ha suscitato simili pensieri? Sono state le parole di Jerome? Temi di subire la stessa sorte di Mark Smeaton?» Mi guardò dritto negli occhi. «No, signore. Ho tentato più volte di spiegarvi ciò che provo per questo lavoro.» «Mark, ascoltami. Anch'io non apprezzo alcune delle cose che stanno accadendo. Ma... tutto ha uno scopo. Il nostro è di ottenere un reame nuovo, più pulito.» Mi alzai e lo raggiunsi, aprendo le braccia. «Prendi le terre dei monasteri, per esempio. Hai visto che genere di posto è questo: monaci grassi come maiali, dediti a ogni genere d'eresia, che vivono alle spalle d'una povera cittadina, tutti devozione e preghiera in apparenza, ma pronti a pugnalarsi l'un l'altro alla prima occasione, e farebbero lo stesso con la giovane Alice o con te. Ben presto, però, tutto questo cesserà, com'è giusto che sia. È una vergogna.» «Alcuni di loro non sono malvagi. Fratello Guy...» «È l'istituzione a essere marcia. Ascolta: se Lord Cromwell riuscirà a mettere quelle terre nelle mani del sovrano allora, certo, alcune verranno assegnate ai suoi sostenitori. È insito nella natura stessa del mecenatismo, nei meccanismi della nostra società, è inevitabile. Ma i guadagni sarebbero
ingenti, e consentirebbero al sovrano di rendersi indipendente dal Parlamento. Ascolta, tu hai molto a cuore le condizioni della povera gente, non è così?» «Certo, signore. È una vergogna. Persone come Alice private della propria terra in ogni angolo del paese, uomini senza più padrone costretti a mendicare per le strade...» «Esatto. È una vergogna. L'anno passato Lord Cromwell ha proposto al Parlamento un disegno di legge inteso a dare un aiuto concreto alla povera gente, progetto che prevedeva la costruzione di ricoveri per gli invalidi e la realizzazione di grandi opere pubbliche come strade e canali per dare lavoro agli indigenti. Il Parlamento ha bocciato la sua proposta, perché la piccola nobiltà non era disposta a pagare le imposte sul reddito necessarie al suo finanziamento. Ma con le ricchezze di questi monaci nei forzieri reali il sovrano non avrà più bisogno del Parlamento. Potrà così costruire scuole, e fare in modo che ogni chiesa abbia una copia della Bibbia in inglese. Immagina: lavoro per tutti, la parola di Dio diffusa in ogni luogo. Per questo le Aumentazioni sono di vitale importanza!» Mark sorrise mesto. «Voi non credete, come mastro Copynger, che la lettura della Bibbia dovrebbe essere concessa solo alle classi più agiate? Ho sentito che Lord Rich pensa lo stesso. Mio padre non è ricco, non gli sarebbe permesso leggerla. E nemmeno a me.» «Un giorno lo sarai. In ogni modo, no, non sono d'accordo con Copynger. E Rich è una canaglia. Cromwell ha bisogno di lui, ma farà in modo che non acquisti maggior potere. Le cose si aggiusteranno.» «Lo credete davvero, signore?» «Per forza. Per forza. Hai bisogno di riflettere, Mark, e hai bisogno di pregare. Io non posso... non posso dubitare, non adesso. La posta in gioco è troppo alta.» Mark ritornò al caminetto. «Sono dolente d'avervi turbato, signore.» «Allora credi alle mie parole.» Rimanemmo a lungo in silenzio, mentre il sole tramontava. Ma non era una quiete serena, la nostra. Ero lieto d'aver parlato a Mark con tanto ardore, e credevo in tutto ciò che avevo detto sull'avvenire ch'ero convinto stavamo costruendo. Tuttavia, seduto in quella stanza, le parole di Jerome mi tornarono alla mente, assieme al suo volto, e il mio istinto d'avvocato mi disse che non aveva mentito. Ma se tutto ciò che m'aveva raccontato era vero, allora stavamo costruendo la Riforma su un ordito di menzogne e atroci brutalità. E io vi avevo contribuito. Rimasi inorridito. Poi un pensiero
venne a confortarmi. Se la pazzia di Jerome fosse stata reale, allora poteva essere giunto a credere nel frutto della sua malata fantasia. Avevo già udito di simili casi. Cercai di convincermi che quella fosse l'unica risposta possibile. E poi dovevo smettere di torturarmi a quel modo, avevo bisogno di riposare e liberare la mente per la giornata che mi attendeva. È questo il modo in cui gli uomini di coscienza trovano conforto dai propri dubbi. Capitolo diciassette Mark mi svegliò, scuotendomi; dovevo essermi addormentato. «Signore, c'è fratello Guy.» Il frate infermiere era vicino al letto e mi guardava. Mi sollevai con premura. «Porto un messaggio, commissario. L'abate ha rintracciato gli atti di vendita dei terreni che gli avete richiesto, e ha della corrispondenza che vorrebbe spedire. Sta arrivando.» «Vi ringrazio, fratello.» Il religioso mi fissava intensamente, giocherellando con la corda che gli cingeva la veste. «Sto per recarmi alla funzione notturna per Simon Whelplay. Commissario, sento che dovrei informare l'abate dei miei sospetti d'avvelenamento.» «Non ancora. Il suo assassino non sa che sospettiamo, e questo mi dà un vantaggio.» «Ma che cosa dovrò dire riguardo alla sua morte? L'abate vorrà di certo delle spiegazioni.» «Ditegli che non siete sicuro.» Si passò una mano sulla tonsura. Quando riprese a parlare, la voce s'era fatta inquieta. «Ma, signore, la conoscenza delle cause del suo decesso dovrebbe guidare le nostre preghiere. Dovremmo chiedere al Signore di ricevere l'anima di un uomo ucciso, non di uno malato. Inoltre, è morto senza confessare i propri peccati, questo solo basterebbe a mettere in pericolo il suo spirito.» «Dio vede tutto. Se il ragazzo sarà accettato in paradiso oppure no dipenderà solo dalla Sua volontà.» Il frate infermiere parve pronto a ribattere, ma proprio in quel momento l'abate fece il suo ingresso. Il suo anziano servitore lo seguiva portando una grossa borsa a tracolla. L'abate Fabian, grigio e stanco, ci scrutò con occhi affaticati. Fratello Guy fece un inchino al superiore e ci lasciò.
«Commissario, vi ho portato gli atti dei quattro terreni venduti l'anno scorso. E della corrispondenza, lettere che riguardano la gestione del monastero e alcune missive personali dei monaci. Avevate domandato d'esaminare tutta la posta in uscita.» «Vi ringrazio. Appoggiate pure la sacca sul tavolo.» L'uomo esitò, stringendosi nervosamente le mani. «Posso chiedere come sono andate le cose in città? Avete fatto progressi? I contrabbandieri...» «Qualche progresso, sì. Le piste da seguire sembrano moltiplicarsi, signor abate. Questo pomeriggio ho anche incontrato fratello Jerome.» «Voglio sperare che non sia stato...» «Oh, m'ha insultato di nuovo, naturalmente. Penso che per ora sia meglio tenerlo rinchiuso.» L'abate diede un colpo di tosse. «Ho ricevuto anch'io una missiva», disse esitante. «L'ho messa assieme alle altre; è di un vecchio amico, monaco a Bisham. Egli ha delle conoscenze alla prioria di Lewes. Dicono che siano stati negoziati i termini di resa con il vicario generale.» Sorrisi sarcastico. «I monaci d'Inghilterra dispongono di canali di comunicazione privati, è sempre stato così. Ebbene, mio signore, penso di poter affermare che Scarnsea non sia l'unica casa dal torbido passato che Lord Cromwell desideri chiudere.» «La nostra non è una casa peccaminosa, signore.» Un lieve tremore minò la sua profonda voce. «Le cose andavano bene prima dell'arrivo del commissario Singleton!» Lo fissai con occhi colmi di sdegno. Lui si morse un labbro e deglutì sonoramente. Mi resi conto che era un uomo terrorizzato, sull'orlo della disperazione. Percepii il suo confuso senso d'umiliazione nel vedere che tutto il suo mondo rischiava di crollare attorno a lui. Levò una mano. «Mi spiace, mastro Shardlake, perdonatemi. Per me questi sono momenti difficili.» «Ciò nonostante, mio signore, dovreste badare a quel che dite.» «Mi scuso ancora.» «Molto bene.» L'uomo si ricompose. «Mastro Goodhaps partirà domattina, signore, dopo i funerali del commissario Singleton. La funzione notturna comincerà fra un'ora, e sarà seguita dalla veglia. Vi unirete a noi?» «Veglierete su entrambi i defunti? Il commissario e Simon Whelplay?» «No, poiché uno di loro era laico e l'altro religioso. Officeremo due funzioni distinte. I confratelli si divideranno fra le due veglie.» «E veglieranno per tutta la notte, alla luce di candele benedette, per
scacciare gli spiriti maligni?» Esitò. «È la tradizione.» «Una tradizione disapprovata dal sovrano nei Dieci articoli sulla religione. L'uso delle candele è concesso per i defunti solo a ricordo della grazia di Nostro Signore. Il commissario Singleton non avrebbe voluto che alle candele del proprio funerale venissero attribuiti superstiziosi poteri.» «Rammenterò il provvedimento ai confratelli.» «E per quanto concerne le voci giunte da Lewes, tenetele per voi.» Gli feci cenno di andare, e lui obbedì. Lo guardai uscire, meditabondo. «Credo di avergli fatto capire chi comanda», dissi a Mark. Fui percorso da un brivido freddo. «Misericordia, sono distrutto.» «Mi ha fatto pena», disse Mark. «Credi che sia stato troppo duro? Ricordi con quale arroganza ci ha accolti quando siamo arrivati qui? Devo imporre la mia autorità; potrà non essere piacevole, ma è necessario.» «Quando gli rivelerete le vere cause della morte del novizio Whelplay?» «Domani intendo perlustrare il vivaio, in seguito valuterò il da farsi. Potremmo anche andare a dare un'occhiata a quelle cappelle laterali. Forza, ora dobbiamo esaminare le lettere e gli atti di vendita. Poi prenderemo parte alla veglia per il povero Singleton.» «Non ho mai assistito a una funzione notturna.» Raggiunsi la scrivania, aprii la borsa e rovesciai sul tavolo una gran quantità di lettere e documenti. «Dovremmo dimostrarci rispettosi, ma non ho alcuna intenzione di partecipare a una nottata di vaneggiamenti sul purgatorio. Vedrai di che stranezza si tratta.» Non c'era nulla di compromettente in quelle lettere; le missive riguardanti il monastero erano d'ordinaria amministrazione, acquisto di luppolo per il birrificio e questioni simili. Le poche lettere personali dei monaci alle proprie famiglie menzionavano la morte di un novizio a causa d'una polmonite contratta per la rigidità dell'inverno, la stessa spiegazione che dava l'abate nella comunicazione formalmente melliflua indirizzata ai genitori del ragazzo. Di nuovo mi sentii trafitto dal senso di colpa per la morte di Simon. Esaminammo gli atti dei terreni. I prezzi parevano adeguati per degli appezzamenti arabili, e non c'erano prove di lotti svenduti per ingraziarsi i favori dei signori dei dintorni. Ne avrei parlato con Copynger, ma ebbi ancora la netta sensazione che fosse stata presa molta cura per far sì che i
conti del monastero risultassero in ordine, almeno in superficie. Passai le dita sui rossi sigilli in calce a ogni atto, con impressa l'immagine di san Donato che resuscita il defunto. «Solo l'abate può imprimere il sigillo sui documenti», meditai a bassa voce. «Chiunque altro verrebbe accusato di contraffazione», osservò Mark. «Ricordi che abbiamo visto il sigillo sul suo scrittoio, il giorno del nostro arrivo? Sarebbe stato più sicuro tenerlo chiuso da qualche parte, ma suppongo che l'abate ami metterlo ben in mostra, come simbolo della sua autorità. 'Vanità delle vanità, tutto è vanità.'» Stirai le braccia. «Non credo che ceneremo in refettorio questa sera, sono troppo stanco. Se vuoi puoi farti dare qualcosa dal frate infermiere. Per me del pane e formaggio sarà più che sufficiente.» «Va bene.» Uscì dalla stanza, e io rimasi seduto a riflettere. Dal nostro battibecco alla taverna, percepivo nella voce di Mark un nuovo riserbo, una certa distanza. Presto o tardi avrei dovuto sollevare nuovamente la questione del suo avvenire. Avevo l'obbligo d'impedirgli di gettare al vento la possibilità d'una sicura carriera; un obbligo contratto non solo nei confronti di Mark ma anche in quelli di suo padre, e del mio. Non vedendolo tornare dopo dieci minuti cominciai a spazientirmi; ero più affamato di quanto pensassi. Mi alzai dal letto e andai a cercarlo. Dalla porta socchiusa della cucina vidi una luce, e un suono lieve e indistinto mi giunse all'orecchio. Una donna singhiozzava. Spalancai la porta. Alice sedeva al tavolo, la testa fra le mani. I folti capelli castani scompigliati le coprivano il viso. Piangeva piano, un mesto e accorato lamento. Si accorse della mia presenza e alzò lo sguardo. Il viso era gonfio e arrossato, la marcata regolarità dei suoi lineamenti s'era come dissolta. Fece per alzarsi, asciugandosi le lacrime con una manica, ma io la fermai con un cenno della mano. «No, no, state pure, Alice. Vi prego, che cosa vi tormenta?» «Non è nulla, signore.» «Qualcuno vi ha forse turbata? Raccontatemi, ve ne prego. È forse colpa di fratello Edwig?» «No, signore.» Mi guardò con occhi perplessi. «Perché dovrebbe?» Le raccontai della mia conversazione con l'economo, e di come avesse intuito la fonte delle mie informazioni. «Ma non temete, Alice, gli ho detto chiaramente che siete sotto la mia personale tutela.»
«Non è questo, signore. È solo che...» chinò il capo, «mi sento sola, signore. Sola al mondo. Non potete capire che cosa si provi.» «Invece penso di sì. Sono anni che non vedo la mia famiglia. Abitano fuori Londra. Ho solo mastro Poer con me. So di godere d'una posizione di prestigio, ma anch'io talvolta mi sento solo.» Le sorrisi tristemente. «Ma voi non avete proprio nessuno? Nessun amico a Scarnsea che potete andare a trovare?» Si accigliò, giocherellando con un filo che le pendeva dalla manica. «Mia madre è stata l'ultima della famiglia. I Fewterer non erano molto amati in città, la gente diffida sempre delle guaritrici.» Il tono della sua voce si fece amaro. «Si servono tutti di persone come mia madre e mia nonna per curare i propri malanni, ma non provano nessuna gratitudine. Una volta, quando il giudice Copynger era giovane, si rivolse a mia nonna per delle coliche allo stomaco di cui non riusciva a liberarsi. Lei lo curò, ma lui non si degnò neppure di salutarla incontrandola per strada, dopo il fatto. E l'aiuto ricevuto non gli ha neppure impedito di prendersi la nostra casa, alla morte di mia madre. Sono stata costretta a vendere tutto il nostro mobilio, in mezzo al quale ero cresciuta, perché non avevo dove depositarlo.» «Mi dispiace davvero. Simili soprusi dovrebbero finire.» «Dunque non vado più a Scarnsea. Nei giorni di riposo rimango qui, a guardare i libri di fratello Guy. Mi sta insegnando a leggere.» «Bene, allora vuol dire che un amico lo avete.» La giovane annuì. «Sì, è un uomo di buon cuore.» «Ditemi, Alice, avete mai sentito parlare di una ragazza che ha lavorato qui prima di voi, una certa Orphan?» «Ho sentito dire che ha rubato delle coppe d'oro ed è fuggita. Ma non la biasimo.» Decisi di non dirle nulla dei sospetti di comare Stumpe, non volevo turbarla oltre. Fui travolto dall'irresistibile desiderio d'alzarmi e stringerla al petto per placare il dolore della nostra comune solitudine, ma lo soffocai. «Forse anche voi potreste andarvene», suggerii timidamente. «Lo avete già fatto una volta, quando siete andata a bottega dallo speziale a... Esher, dico bene?» «Lo farei volentieri, se solo potessi, ancor più dopo quanto è accaduto in questi ultimi dieci giorni. Qui non ci sono altro che vecchi aridi, senza un briciolo d'amore per questa vita di contemplazione. E ancora mi domando contro che cosa il povero Simon intendesse mettermi in guardia.» «Già, me lo domando anch'io.» Mi avvicinai a lei. «Forse potrei fare
qualcosa per voi. Ho delle conoscenze in città e a Londra.» Mi guardò incuriosita. «Sono sinceramente rammaricato per la vostra situazione, e vorrei potervi aiutare. Non dovreste sentirvi...» mi sentii arrossire «in... in debito nei miei confronti, ma se voleste accettare l'aiuto di un vecchio e brutto gobbo, sarei felice di potervelo offrire.» La curiosità nei suoi occhi si fece più intensa. Poi si scurì in viso. «Perché vi definite vecchio e brutto, signore?» Mi strinsi nelle spalle. «Sono vicino ai quaranta, Alice, e il mio aspetto... be', tutti mi hanno sempre definito tale.» «Non è così, signore», disse con foga. «Giusto ieri fratello Guy notava come i vostri lineamenti posseggano una rara combinazione di raffinatezza e malinconia.» Sollevai un sopracciglio, sorpreso. «Spero che fratello Guy non abbia le medesime inclinazioni di Gabriel», dissi ironico. «No, niente affatto», disse Alice con subitaneo ardore. «E voi non dovreste disprezzarvi a questo modo, signore. Non ci sono già sufficienti sofferenze al mondo?» «Mi spiace.» Risi nervosamente. Fui sopraffatto da un piacevole imbarazzo nell'udire quelle parole. Alice si sedette, guardandomi con occhi tristi, e mio malgrado mi ritrovai ad allungare una mano per sfiorare la sua. Poi le campane presero a suonare i loro rintocchi fragorosi, facendo sobbalzare entrambi. Lasciai cadere la mano e ridemmo tutti e due imbarazzati. In quel momento la porta s'aprì e Mark entrò in cucina. Alice s'alzò di scatto e raggiunse una delle credenze; intuii che non volesse mostrargli il viso bagnato di lacrime. «Sono spiacente di averci messo tanto, signore», disse tenendo lo sguardo fisso sulla schiena di Alice. «Sono andato al bagno e poi mi sono fermato nella camerata dell'infermeria. Fratello Guy si sta occupando del vecchio monaco, pare sia peggiorato.» «Fratello Francis?» Alice si voltò immediatamente. «Allora vogliate scusarmi, signori, ma devo raggiungerlo.» S'allontanò svelta, mentre l'eco dei suoi passi moriva lungo il corridoio. Mark sembrava preoccupato. «Stava piangendo, signore? Che cosa le è capitato?» Sospirai. «Solitudine, Mark, solo solitudine. Ora vieni, quelle infernali campane annunciano la veglia.» Attraversando la camerata dell'infermeria, vedemmo Alice e fratello Guy chini sul capezzale del vecchio religioso. Fratello Andrew, il monaco
cieco, era come sempre seduto sulla sua sedia, e muoveva la testa a destra e a sinistra, nel tentativo di cogliere i movimenti di Alice e del frate infermiere. Sentendoci avvicinare, fratello Guy levò lo sguardo. «Sta deperendo», disse piano. «Pare che presto dovrò perderne un altro.» «È la sua ora.» Ci voltammo tutti nell'udire le parole del monaco cieco. «Povero Francis, ha vissuto quasi cent'anni e ha visto il mondo avvicinarsi sempre più alla sua fine. Ha assistito alla venuta dell'Anticristo, come predetto dalle Scritture. Lutero, e Cromwell, il suo agente.» Compresi che non si era accorto della mia presenza. Fratello Guy s'alzò di scatto per raggiungerlo, ma io lo fermai posandogli una mano sul braccio. «No, fratello, lasciatemi ascoltare.» «Ci sono visite?» chiese il monaco cieco, girando gli occhi lattei su di me. «Conoscevate fratello Francis, signore?» «No, fratello. Io sono un... visitatore.» «La sua consacrazione risale ancora all'epoca della guerra fra York e Lancaster, pensate un po'. Mi ha raccontato che allora c'era un monaco, qui a Scarnsea, vecchio come lo è lui adesso, che aveva conosciuto i religiosi che avevano abitato questo monastero ai tempi della Grande Pestilenza.» Sorrise dolcemente. «Quelli devono essere stati giorni gloriosi. Il monastero ospitava più di cento fratelli, una folla di giovani aspirava a vestire l'abito. Questo vecchio raccontò a Francis che la pestilenza sterminò metà della congregazione in una sola settimana. Suddivisero il refettorio, perché i sopravvissuti non sopportavano più la vista dei tavoli vuoti. Il mondo intero ne fu colpito, e mosse un altro passo verso la sua distruzione.» Scosse la testa. «Ora che la fine è vicina, tutto è vanità e corruzione. Presto Cristo verrà per giudicare i vivi e i morti.» «Calmati, fratello», mormorò Guy con voce ansiosa. «Calma.» Guardai Alice, ma lei abbassò lo sguardo. Scrutai il monaco malato, che giaceva ormai quasi privo di conoscenza, un'espressione placida sul viso rugoso. «Vieni, Mark», dissi piano. «È ora di andare.» C'infagottammo e uscimmo. La gelida notte era serena, e le vetrate della chiesa brillavano del fioco bagliore delle candele. Di notte l'edificio aveva un aspetto misterioso. Sembrava un'immensa caverna, il tetto perso nell'echeggiante oscurità. La luce delle candele punteggiava le effigi dei santi lungo le pareti, mentre due più vaste oasi sfavillanti brillavano da dietro il jubé nel coro e in una delle cappelle laterali. Fu
là che condussi Mark, intuendo che a Singleton fosse stato riservata una collocazione meno appariscente. La bara aperta era posata su un tavolo, circondata da una decina di monaci, ciascuno con una grossa candela in mano. Una scena strana a vedersi, con quelle figure incappucciate nell'oscurità, i volti illuminati dal basso. Avvicinandomi scorsi fratello Athelstan, che abbassò prontamente il capo. Fratello Jude e fratello Hugh si scostarono per farci posto. La testa di Singleton era stata posta sulle spalle, fermata da un ceppo di legno posto fra questa e l'estremità della bara. Gli occhi e la bocca erano stati chiusi e, non fosse stato per la linea rossa attorno al collo, poteva quasi sembrare che fosse deceduto per cause naturali. Feci per abbassarmi, ma mi scostai immediatamente perché dal cadavere si levava un puzzo nauseante, che si mescolava all'odore stantio dei monaci. Singleton era morto da una settimana, e fuori della cripta la carne s'era decomposta in fretta. Annuii gravemente ai religiosi, e indietreggiai di qualche passo. «Me ne vado a dormire», dissi a Mark. «Tu puoi rimanere, se lo desideri.» «Vengo con voi. È uno spettacolo assai triste.» «Gradirei rivolgere i miei ossequi al cadavere di Simon Whelplay. Ma in quanto laici dubito che saremmo i benvenuti.» Mark annuì e ci voltammo per andarcene. Da dietro il jubé si levava il cantilenare d'un salmo latino, il 94, mi parve di riconoscere. Quello che chiedeva al Signore di mostrarsi e fare giustizia. Per quanto fossi esausto, non riuscii a riposare. La schiena mi torturava e non potei che assopirmi fra fitte e spasmi. Anche Mark non trovava pace, gemendo e borbottando in sogno. Solo alle prime luci dell'alba riuscii finalmente a cadere in un sonno profondo, ma un'ora più tardi Mark venne a svegliarmi, già vestito di tutto punto. «Che Dio abbia misericordia», brontolai. «È ormai giorno fatto?» «Sì, signore.» C'era ancora una nota di distacco nella sua voce. Alzandomi con fatica, fui percorso da una fitta alla schiena. Non ne potevo più. «Niente rumori questa mattina?» chiesi. Non intendevo prendermi gioco di lui, ma cominciavo a essere infastidito dal modo in cui le mie parole parevano scivolargli addosso, come l'acqua sulle penne di un'anatra. «A dire il vero, penso d'aver sentito qualcosa poco fa», disse freddamente. «Ma ora è cessato.»
«Ho riflettuto su quanto ci ha detto ieri Jerome. Sai bene che è pazzo. È possibile che sia giunto a credere realmente alle storie che racconta, e questo le fa sembrare... plausibili.» Mark incontrò il mio sguardo. «Io non sono affatto sicuro che sia pazzo, signore. La sua anima è in grande agonia.» Avevo sperato che Mark accettasse la mia spiegazione. Sebbene allora non lo capissi, avevo bisogno di essere rassicurato. «Be', in ogni modo», dissi pungente, «ciò che ha raccontato non ha alcuna attinenza con la morte di Singleton. Poteva anche trattarsi d'un sotterfugio per celare quello che sa. Dobbiamo sbrigarci.» «Sì, signore.» Mi rasai e mi vestii, e nel frattempo Mark scese a fare colazione. Raggiungendolo in cucina, lo udii parlare con Alice. «Non dovrebbe farvi lavorare tanto», le stava dicendo. «Il lavoro mi rafforza», rispose Alice con una nota di spensieratezza nella voce che non le avevo mai sentito. «Un giorno avrò le braccia robuste come le tue.» «Ma questo non si addice a una signora.» Colto da una fitta di gelosia, tossii ed entrai. Mark era seduto a tavola, e guardava Alice sorridente, mentre questa era intenta a disporre l'una accanto all'altra delle giare di pietra. Sembravano davvero molto pesanti. «Buongiorno. Mark, porteresti queste lettere all'abate? Digli che per il momento terrò gli atti di vendita con me.» «Certamente.» Mi lasciò con Alice, che portò a tavola pane e formaggio. Quella mattina sembrava d'umore più sereno, e non fece alcun riferimento alla conversazione della notte precedente, chiedendomi soltanto se avevo riposato bene. Fui un po' deluso dalla formalità della sua domanda, poiché le parole che m'aveva rivolto la sera prima mi avevano fatto battere il cuore, sebbene fossi lieto d'aver ritratto la mano; la situazione era già abbastanza complicata. Fratello Guy entrò. «Il vecchio fratello August ha bisogno della sua tazza, Alice.» «Subito.» Fece un inchino e ci lasciò. Le campane ripresero a suonare rumorosamente, rimbombandomi nel cervello. «Il funerale del commissario Singleton avrà inizio fra mezz'ora.» «Fratello Guy», dissi, improvvisamente imbarazzato. «Posso domandarvi un parere medico?» «Certamente. Farò tutto ciò che è in mio potere.»
«La schiena mi sta dando delle noie. La lunga cavalcata per arrivare sin qui deve avermi fatto male, e la schiena mi duole dove... dove sporge.» «Desiderate che vi visiti?» Feci un respiro profondo. Non sopportavo il pensiero che un estraneo vedesse la mia deformità, ma il dolore non accennava a placarsi, e cominciavo a temere d'essermi causato un danno irreversibile. «Sì», ammisi e presi a sfilarmi il farsetto. Fratello Guy si posizionò alle mie spalle e mi posò le sue dita fredde sulla schiena per tastare i muscoli rattrappiti. Brontolò. «Ebbene?» chiesi ansioso. «I vostri muscoli sono contratti dagli spasmi. Sono molto contratti. Ma non ci sono danni alla spina dorsale. Con il tempo, e molto riposo, il dolore dovrebbe cessare.» Venne a mettersi di fronte a me, e mi scrutò con uno sguardo freddo e professionale mentre mi rivestivo. «La schiena vi procura spesso forti dolori?» «A volte», dissi brevemente sedendomi di fronte a lui. «Ma non c'è molto che si possa fare.» «Siete sottoposto a una grande tensione. Questo certo non aiuta.» Brontolai. «Da quando sono giunto qui non riposo bene. Ma non c'è da sorprendersene, vero?» I suoi grandi occhi castani studiavano il mio viso. «Prima stavate bene?» «Sono d'umore assai malinconico. In questi ultimi mesi la malinconia è aumentata, temo che l'equilibrio dei miei umori si stia incrinando.» Annuì. «Penso che abbiate affaticato troppo la mente. È comprensibile, dopo tutto ciò cui avete assistito qui al monastero.» Rimasi in silenzio un istante. «Non posso fare a meno di sentirmi responsabile per la morte di quel ragazzo.» Non era mia intenzione confidarmi con lui, ma fratello Guy era molto abile nel persuadere la gente a parlare. «Se qualcuno deve essere ritenuto responsabile per quanto è accaduto, quello sono io. È stato avvelenato mentre era sotto la mia tutela.» «Quel che è accaduto vi ha spaventato?» gli chiesi. Si strinse nelle spalle. «Chi potrebbe mai volermi fare del male? Sono soltanto un vecchio moro.» Si zittì per un attimo. «Venite in infermeria. Ho un infuso che vi darà un po' di sollievo. Semi di finocchio, luppolo e un paio d'altri ingredienti.» «Vi ringrazio.» Lo seguii nel suo studio, e andai a sedermi sul tavolo, mentre lui selezionava le erbe e metteva l'acqua a bollire sul fuoco. Notai
la croce spagnola appesa sulla parete di fronte, e mi ricordai di come lo avevo visto il giorno prima, disteso ai suoi piedi. «È un ricordo della vostra terra?» «Sì, mi ha accompagnato in tutti i miei viaggi.» Dosò le erbe e le mise nell'acqua. «Quando sarà pronta bevetene un sorso, non di più, altrimenti dormirete l'intera giornata.» S'interruppe. «Sono onorato che vi fidiate delle mie prescrizioni.» «Mi fido di voi in quanto medico, fratello Guy.» M'interruppi. «Penso che non abbiate gradito quando ho detto ieri riguardo la veglia funebre.» Chinò lievemente il capo. «Ho compreso il vostro ragionamento. Voi credete che Dio sia indifferente a qualsiasi forma di preghiera.» «Io credo che la salvezza giunga attraverso la grazia del Signore. Non siete forse d'accordo? Suvvia, dimentichiamo la mia posizione di ufficiale per un istante e parliamo liberamente, da studiosi.» «Studiosi e nient'altro? Ho la vostra parola?» «Sì, vi do la mia parola. Per tutti i santi del paradiso, quell'intruglio ha un odore nauseante.» «Ha bisogno di qualche minuto d'infusione.» Si mise a braccia conserte. «Comprendo bene perché l'Inghilterra abbia sentito il bisogno d'innovazioni religiose. La Chiesa s'è molto corrotta. Ma sarebbe bastata una riforma simile a quella spagnola. Oggi migliaia di frati spagnoli sono all'opera per convertire gli infedeli delle Indie, patendo terribili privazioni.» «Non riesco davvero a immaginare i frati inglesi fare altrettanto.» «Neppure io. Ma la Spagna ha dimostrato che riformare è possibile.» «E come ricompensa ha ottenuto dal papa d'avere una propria Inquisizione.» «Temo che la Chiesa inglese non verrà riformata, ma distrutta.» «Ma che cosa verrà distrutto? L'autorità papale, la falsa dottrina del purgatorio?» «Gli Articoli sulla religione promulgati dal sovrano ammettono l'esistenza del purgatorio.» «È una chiave di lettura. Io credo, invece, che il purgatorio sia un'invenzione. Quando si muore, la salvezza ci giunge soltanto attraverso la grazia di Dio. Le preghiere dei vivi non hanno la benché minima influenza.» Il religioso scosse il capo. «Martin Lutero sostiene che la salvezza non dipende dalla fede, perché la predeterminazione divina stabilisce, prima ancora che un'anima venga al mondo, se questa sarà salvata o condannata alla dannazione eterna. A me pare una dottrina assai crudele.»
«È vero, questa è l'interpretazione luterana di san Paolo. Io, e molti altri, sosteniamo che sia in errore.» «Ma se ognuno fosse libero di dare la propria interpretazione della Bibbia, non si rischierebbe di diffondere crudeli teorie come questa in tutto il mondo? Non si giungerebbe a una nuova Babele, al caos?» «Dio ci guiderà.» Mi fissò in silenzio. I suoi occhi scuri erano velati da... tristezza? Disperazione? Era difficile leggere nell'animo di fratello Guy. «Allora voi eliminereste ogni cosa?» Annuii. «Sì, esatto. Ditemi, fratello, credete anche voi, come il vecchio fratello Paul, che il mondo stia scivolando verso la propria fine, verso il Giorno del Giudizio?» «Questo è il fulcro della dottrina della Chiesa sin dall'alba dei tempi.» Mi protesi in avanti. «Ma dev'esserlo per forza? Il mondo non potrebbe invece trasformarsi per divenire come Dio lo vuole?» Fratello Guy giunse le mani. «La Chiesa cattolica è stata spesso l'unico barlume di civilizzazione in questo mondo. Le sue dottrine e i suoi rituali hanno spinto gli uomini alla fratellanza con i propri simili sofferenti e con tutti i defunti cristiani. E li spronano verso la carità: Jesu sa bene di quante sollecitazioni abbiamo bisogno. La vostra dottrina, invece, insegna a ogni uomo a cercare la propria salvezza individuale attraverso la preghiera e la Bibbia. Ma, così facendo, la carità e la fratellanza vanno perdute.» Rammentai la mia giovinezza, il grasso prete ubriacone che mi aveva detto che non avrei mai potuto prendere i voti. «La Chiesa ha dimostrato ben poca carità nei miei confronti, quand'ero ragazzo», dissi amareggiato. «Io cerco Dio nel mio cuore.» «E riuscite a trovarlo?» «Una volta sì, mi ha visitato.» Il frate infermiere sorrise mesto. «Sapete, fino a oggi un uomo di Granada o di qualsiasi altra parte d'Europa poteva entrare in una chiesa inglese e sentirsi subito a casa, udire le medesime preghiere latine, trovare conforto. Ma una volta scomparsa quella fratellanza internazionale, chi mai potrà tenere a freno le liti fra sovrani? Che cosa ne sarà di uomini come me, abbandonati a loro stessi in una terra ostile? M'è capitato, scendendo a Scarnsea, che i bambini del villaggio mi gettassero addosso della spazzatura. Che cosa scaglieranno, quando non ci sarà più il monastero a proteggermi?» «Avete un'opinione alquanto mediocre dell'Inghilterra», commentai.
«Un'opinione realistica dell'umanità, direi. Oh, conosco bene la vostra visione delle cose. Voi riformatori rinnegate il purgatorio, le messe per i defunti, le reliquie, tutto ciò che i monasteri, al contrario, incarnano. Dunque i monasteri debbono essere distrutti, me ne rendo conto.» «E voi vorreste impedirlo?» gli rivolsi uno sguardo pungente. «Come potrei? È già stato deciso. Ma temo che senza la Chiesa universale a unirci, verrà il giorno, su questa terra, in cui persino la fede in Dio sarà scomparsa. Il denaro soltanto verrà venerato, e lo Stato, ovviamente.» «È forse sbagliato essere fedeli alla propria nazione e al proprio sovrano?» Prese la pozione, disse una rapida preghiera e versò l'infuso in una boccetta di vetro. Poi mi rivolse uno sguardo severo. «Nell'adorare la propria appartenenza nazionale, gli uomini adorano loro stessi a scapito del prossimo, e questa non è una cosa buona.» «Non avete compreso i nostri intenti. Noi perseguiamo l'idea d'una comunanza cristiana.» «Vi credo, ma temo che le cose prenderanno una strada diversa.» Mi porse la boccetta e un cucchiaio. «Questa è la mia opinione di studioso. E ricordate: solo un cucchiaio.» Ingoiai con una smorfia; il sapore era amaro come l'odore lasciava presagire. Il lento scampanio che aveva fatto da sottofondo alla nostra conversazione si fece più intenso. Il campanile suonava le otto. «È ora d'andare», disse fratello Guy. «La funzione sta per cominciare.» Presi la boccetta e lo seguii lungo il corridoio. Osservando i lanosi riccioli neri che gli coronavano la testa, mi trovai a concordare con lui su un punto: se i monasteri fossero stati dissolti, lui non avrebbe più avuto un rifugio sicuro in Inghilterra. Non gli sarebbe rimasto altro da fare che sperare nell'autorizzazione d'andare all'estero, in un monastero spagnolo o francese. E avrebbe potuto non ottenerla, visto che quei paesi ora erano nostri nemici. Se il monastero fosse caduto, fratello Guy avrebbe avuto da perdere più di chiunque altro. Capitolo diciotto I monaci sfilarono in chiesa, preceduti dall'abate. Fratello Guy mi lasciò per raggiungere i confratelli. Fra gli ultimi arrivati scorsi il priore Mortimus e fratello Edwig affrettarsi attraverso il cortile del chiostro dall'ufficio della contabilità. Mi ricordai di quello che Goodhaps aveva detto: erano lo-
ro a comandare nel monastero. Eppure non avevo visto segni d'amicizia fra i due religiosi. Il priore calciava la neve marciando svelto, mentre il piccolo economo gli trotterellava dietro, cercando di stare al passo. Mark mi raggiunse con il vecchio Goodhaps al suo fianco. «Buon giorno, mastro Shardlake. Pensate nevicherà?» mi chiese ansioso lanciando occhiate al cielo che s'era di nuovo rannuvolato. «Vorrei mettermi in marcia non appena terminata la funzione.» «La strada per Scarnsea è transitabile. Ora venite, o faremo tardi.» Li precedetti verso la chiesa. I monaci in fila avevano raggiunto gli stalli del coro dietro il jubé, e li sentivo tossire e rumoreggiare. Dal nostro lato, la bara di Singleton, ancora aperta, era stata posata su alcune sedie. Poco più in là, la seconda bara giaceva circondata dalle candele. L'abate s'accostò alla bara di Singleton, ma non troppo; il puzzo di carne in decomposizione era insostenibile. «Se voleste prendere posto accanto alla bara durante il canto funebre», ci disse solenne, «al termine della funzione potreste aiutare a trasportarla fino al cimitero. Il priore Mortimus si è offerto come quarto portatore. Sempre che, ehm...» lanciò una veloce occhiata alla mia gobba, «che siate in grado di reggere il peso.» «Non sono un invalido», dissi pungente, sebbene il solo pensiero di fare da necroforo mi desse i brividi. «Io non posso», se ne uscì mastro Goodhaps a gran voce. «Soffro d'artrite alle spalle, rimarrei costretto a letto per una settimana...» «Molto bene, mastro Goodhaps», disse l'abate stancamente. «Troverò un monaco che vi sostituisca.» Per la prima e ultima volta, scambiai uno sguardo complice con l'abate dietro le spalle del vecchio. Poi lui s'inchinò e si diresse verso il jubé, mentre noi prendemmo posto dietro la bara di Singleton. Goodhaps tossì e affondò il naso in un fazzoletto. La funzione ebbe inizio. Quella mattina, per quanto mi trovassi seduto dietro la maleodorante cassa d'un uomo ucciso, fui cullato dal magnifico canto polifonico dei monaci. I salmi e le letture in latino estratte dal libro di Giobbe mi commossero nel profondo. E tu dici: «Che cosa sa Dio? Può giudicare attraverso la caligine? Fitte nubi gli fanno velo e non vede E sulla volta dei cieli passeggia».
Nubi fittissime, pensai, ero ancora immerso nella nebbia. No, così non andava proprio, dov'era finita la mia determinazione? E poi mi venne in mente un particolare che non avevo considerato in precedenza. Mark e Goodhaps mi sedevano accanto, il vecchio ancora con il fazzoletto al naso, mentre Mark guardava dritto davanti a sé, perso nei suoi pensieri. Gli diedi un colpetto per richiamare la sua attenzione. «Alice sarà in infermeria questa mattina?» sussurrai. «Suppongo di sì.» «Bene.» Mi voltai verso Goodhaps. «Vorrei ci foste anche voi, prima di partire.» L'uomo mi guardò con occhi smarriti. Rivolsi nuovamente l'attenzione al servizio funebre. La salmodia procedette con cadenza altalenante, fino a scemare in un silenzio conclusivo. I monaci sfilarono fuori del coro e un servo, che aveva atteso in chiesa, si precipitò a chiudere il coperchio della bara. Guardai per l'ultima volta il duro viso di Singleton e d'improvviso lo rividi in tribunale, le parole di fuoco, gli impetuosi movimenti del braccio, l'ardore dell'arringa. Poi il coperchio fu abbassato e il suo volto scomparve nelle tenebre eterne. Il priore e un robusto monaco di mezza età ci raggiunsero, e insieme sostenemmo il peso della cassa. Nel sollevarla sentii qualcosa muoversi al suo interno. Mark si voltò verso di me, gli occhi sgranati. «La testa», sussurrai. «Dev'essere scivolata.» Portammo la bara fuori dalla chiesa, con l'orribile consapevolezza della testa e del ciocco di legno che si muovevano liberi al suo interno, seguiti dai monaci in processione. Camminando lungo la navata, vidi fratello Gabriel chino in fervente preghiera sulla cassa del novizio Whelplay. Quando gli passammo accanto, levò lo sguardo e ci osservò con occhi persi e colmi di disperazione. Le campane a morto squarciavano l'aria, e noi procedemmo nella neve fino al cimitero secolare, dov'era stata scavata la fossa, una spaccatura bruna nel candore di quel paesaggio. Diedi uno sguardo al priore Mortimus accanto a me; i duri lineamenti erano tesi da un'inconsueta ansietà. I servitori attendevano, vanghe alla mano; presero la bara e la calarono nella fossa. Leggeri fiocchi di neve presero a cadere silenziosi nel grigiore del mattino, impolverando la terra smossa, mentre venivano recitate le ultime preghiere e l'acqua santa veniva spruzzata sulla cassa. Quando i servitori cominciarono a gettare le prime zolle sulla bara, i monaci sfilarono di nuovo verso la chiesa. Li seguii, e il priore mi raggiunse.
«Non vedono l'ora di togliersi da questo freddo. Se, come me, avessero dovuto montare la guardia durante l'inverno...» Scosse il capo. «Davvero?» chiesi con interesse. «Eravate soldato?» «Vi sembro tanto rude? No, mastro Shardlake, un tempo ero assistente dello sceriffo a Tonbridge. Lo aiutavo ad arrestare i malfattori, e di notte ero di ronda a caccia di ladri. Durante il giorno, invece, insegnavo in una scuola. Vi sorprende il fatto che sia stato uno studioso?» Inclinai il capo. «Un poco, ma solo perché coltivate modi alquanto duri.» «Non li coltivo, ci sono nato.» Sorrise sardonico. «Vengo dalla Scozia, e noi scozzesi non abbiamo la grazia degli inglesi. Eccezion fatta per le battaglie non abbiamo granché, a dire il vero, almeno non nella città di confine in cui sono nato. Lassù la vita è una continua lotta, signori che fanno razzie di bestiame combattendo fra loro e contro voi inglesi.» «Che cosa vi ha portato in Inghilterra?» «I miei genitori furono uccisi che io ero ancora un ragazzo. La nostra fattoria fu depredata... oh, da uno scozzese, non da un inglese.» «Mi dispiace.» «All'epoca studiavo alla scuola dell'abbazia di Kelso. Volevo andarmene via, lontano, e i religiosi mi pagarono gli studi in un istituto inglese. Devo tutto alla Chiesa.» I suoi occhi beffardi s'erano fatti stranamente seri. «Gli ordini religiosi si trovano fra il mondo e lo spietato caos, commissario.» Un altro rifugiato, pensai, un altro beneficiario della comunità internazionale di fratello Guy. «Che cosa vi ha spinto a prendere i voti?» «Ero stanco del mondo, commissario, della gente. Il mondo è popolato di malfattori. Criminali stolti e avidi. Per ognuno di loro che riuscivo ad arrestare e a mandare sulla forca, una dozzina era ancora a piede libero. Ah, l'uomo è una creatura scellerata, lontana dalla grazia, cui è difficile imporre la disciplina più che a una muta di cani. Ma in un monastero, almeno, la disciplina del Signore può essere fatta rispettare.» «E questa è la vostra vocazione sulla terra? Imporre la disciplina agli uomini?» «Non è forse anche la vostra? Non vi sentite anche voi oltraggiato dall'assassinio di un essere umano? Non siete forse qui per trovare e punire il suo uccisore?» «La morte del commissario vi ha oltraggiato?» Si fermò, guardandomi fisso negli occhi. «È un ulteriore passo verso il
caos. Voi pensate sia un uomo spietato, ma credetemi, la mano del demonio è assai lunga, e persino all'interno della Chiesa c'è bisogno di uomini al par mio che la tengano a bada. Come le leggi del sovrano aspirano a mantenere l'ordine nel mondo secolare.» «Che cosa accade quando le leggi del mondo e quelle della Chiesa entrano in conflitto», gli chiesi, «come sta di recente accadendo?» «In questo caso, mastro Shardlake, prego perché venga trovata una soluzione, in modo che la Chiesa e il principe possano tornare a collaborare in armonia, poiché la loro lotta presta il fianco al demonio.» «Allora fate che la Chiesa non sfidi il volere del principe. Bene, devo andare all'infermeria. Vi lascio, dovrete sicuramente tornare in chiesa. Per il funerale del povero novizio Whelplay», aggiunsi in tono allusivo. L'uomo rispose al mio sguardo. «Pregherò perché a quel povero ragazzo s'aprano le porte del paradiso, malgrado tutti i suoi peccati.» Allontanandomi dal priore mi misi a osservare Goodhaps, che procedeva vacillando al braccio di Mark. Mi chiesi se sarebbe stato in grado d'arrivare fino in città e mettere in atto la sua fuga. Nella camerata dell'infermeria, Alice si stava ancora prendendo amorevole cura del vecchio monaco morente. L'uomo aveva ripreso conoscenza, e la fanciulla gli stava facendo mangiare qualche cucchiaio di semolino. Accudire quell'anziano aveva donato al suo viso una nuova, gentile delicatezza. Le domandai di venire con noi nella piccola cucina dell'ospedale. Dissi loro di attendere, e andai a prendere il registro che l'economo m'aveva dato. Quando tornai e lo mostrai davanti ai loro occhi, mi guardarono tutti con grande curiosità. «A detta dell'economo, questo è il registro sul quale il povero Singleton aveva messo le mani la notte stessa del suo omicidio. Ora, mastro Goodhaps e Alice Fewterer, desidero che lo esaminiate entrambi e che mi diciate se lo avete mai visto prima d'ora. Noterete una grossa macchia di vino rosso sulla copertina. In chiesa m'è venuto in mente che chiunque abbia già visto questo registro dovrebbe ricordare anche la macchia.» Goodhaps mi raggiunse e prese il libro mastro, rigirandolo fra le mani. «Ricordo che il commissario stava esaminando un registro dalla copertina blu. Potrebbe trattarsi proprio di questo. Ma non saprei, non ricordo con precisione.» «Permettete?» Alice s'avvicinò e prese il libro a sua volta. Studiò la copertina, rigirò il volume fra le mani, e poi disse in tono deciso: «Non è
questo». Ebbi un tuffo al cuore. «Ne siete certa?» «Il registro che fratello Edwig diede al commissario non era macchiato. Lo avrei notato: l'economo è un grande amante dell'ordine e della pulizia.» «Sareste disposta a giurarlo in un'aula di tribunale?» «Certo, signore.» Parlò con voce pacata ma seria. «Allora ho la certezza che l'economo abbia tentato di depistarmi.» Annuii gravemente. «Molto bene. Vi ringrazio ancora, Alice. Prego tutti voi di non rivelare nulla di quanto è stato detto ora.» «Io non sarò neppure qui», disse Goodhaps con aria compiaciuta. Guardai fuori della finestra, la neve aveva smesso di cadere. «Già, mastro Goodhaps, penso sia arrivato il momento che vi mettiate in marcia. Mark, forse potresti accompagnare il dottore in città?» Il vecchio s'animò. «Vi ringrazio, signore. Un braccio cui appoggiarmi è il benvenuto, e ho diversi bagagli presso la dimora dell'abate. C'è anche il mio cavallo, se potesse essere ricondotto a Londra quando il tempo lo permetterà...» «Certo, certo. Mark, mi raccomando, fai più in fretta che puoi. Abbiamo del lavoro da sbrigare.» Mark aiutò il vecchio a rimettersi in piedi. «Addio, commissario», disse Goodhaps. «Spero sarete al sicuro in questo luogo malefico.» E sulla scia di quel benaugurante commiato se ne andò. Feci ritorno alla mia stanza e nascosi il registro sotto le coperte. Ero soddisfatto. Avevo fatto un passo avanti. Come prossima mossa, sarei andato a ispezionare la chiesa e il vivaio ittico. Mi chiesi quanto ci avrebbe messo Mark a ritornare da Scarnsea; da solo, poco più di un'ora, ma con il vecchio... Forse stavo rammollendomi, ma non mi piaceva l'idea di Goodhaps che arrancava nella neve, solo e carico di bagagli. Decisi di andare nelle stalle; i cavalli non venivano portati all'aperto da parecchi giorni. Uscii nuovamente e mi feci strada verso le scuderie, dove un giovane stalliere, intento a spazzare, mi assicurò che gli animali erano in buone condizioni. In effetti, sia Chancery sia Redshanks avevano un bell'aspetto e furono lieti di vedermi, dopo tanto tempo trascorso al coperto. Accarezzai il lungo muso latteo di Chancery. «Ti piacerebbe fare un giro, vecchio mio?» dissi affettuosamente. «No, meglio annoiarsi qui dentro che vagare là fuori. Ci sono cose peggiori che stare chiuso in una stalla.» Il giovane mi passò accanto, guardandomi incuriosito.
«Non parli mai ai tuoi cavalli?» gli chiesi. Il ragazzo bofonchiò qualcosa d'incomprensibile e ritornò alle sue mansioni. Salutai gli animali e mi diressi lentamente verso l'infermeria. Uscito, notai che una parte della corte era stata ripulita dalla neve. Sul terreno spazzato erano stati tracciati con il gesso quadrati di diverse misure, e alcuni monaci erano impegnati in un gioco che consisteva nel saltellare qua e là secondo il lancio d'un dado. Bugge li stava osservando, appoggiato alla vanga. Nel vedermi arrivare, i monaci interruppero lo svago e si spostarono da un lato, ma io feci loro cenno di proseguire. Conoscevo quel gioco dai tempi di Lichfield, un'elaborata combinazione di campana e tiro dei dadi comune a tutte le case benedettine. Mentre ero fermo a osservarli, fratello Septimus, l'ingenuo monaco obeso che fratello Guy rimproverava per la dieta sconsiderata, apparve barcollante, sbuffando e arrancando nella neve. «Vieni a giocare con noi, Septimus», lo chiamò uno dei confratelli, suscitando un'ondata di risa. «Oh, no, no, non posso, finirei per cadere.» «Vieni, questa è la versione semplice. Un bicchier d'acqua anche per uno zuccone come te.» «Oh, no... no.» Uno dei monaci lo afferrò per il braccio e lo trascinò, nonostante le proteste, nel bel mezzo del campo di gioco, dove i confratelli gli avevano già fatto spazio. Ridacchiavano tutti, persino Bugge. Non passò neppure un minuto che Septimus scivolò su uno strato di ghiaccio e cadde, atterrando sul fondoschiena con un lamento. I confratelli esplosero in una sonora risata. «Aiutatemi», gemette fratello Septimus. «Sembra uno scarafaggio a gambe all'aria! Forza, scarafaggio, rimettiti in piedi!» «Tiriamogli delle palle di neve!» gridò qualcuno. «Vedrete se non si alza!» I monaci cominciarono a bersagliare il disgraziato confratello che, fra il peso e i suoi problemi di salute, non riusciva a rialzarsi. Iniziò allora a urlare e a contorcersi come una tartaruga arenata. «Fermatevi!» gridai. «Fratelli, vi prego, smettete!» I religiosi continuarono a colpirlo, incuranti di me. Il loro non era certo uno scherzo di buon cuore. Mi domandai se fosse il caso d'intervenire con più fermezza.
«Fratelli! Ora basta!» I monaci lasciarono cadere le palle di neve, vedendo l'imponente figura di fratello Gabriel farsi avanti, cupo in viso. «È forse questo un esempio di fratellanza cristiana? Dovreste vergognarvi di voi stessi! Aiutatelo ad alzarsi!» Due dei monaci più giovani s'affrettarono ad andare in soccorso al povero Septimus, ansante e scosso. «In chiesa! Tutti quanti! La prima inizia fra dieci minuti!» Il sacrista rimase stupito nel notarmi fra gli spettatori. Mentre i religiosi si disperdevano, mi raggiunse. «Sono dolente, commissario. Talvolta i monaci possono essere indisciplinati come scolaretti.» «Me ne sono accorto.» Ricordai la conversazione avuta con fratello Guy. «Nemmeno un briciolo di fratellanza cristiana nel loro gesto.» Guardai Gabriel con occhi nuovi, comprendendo che la sua nomina fra gli officiali del monastero aveva la sua ragion d'essere: era capacissimo di esercitare autorità e forza morale, quand'era necessario. Poi, proprio sotto i miei occhi, questo potere parve dissolversi dal suo viso, che fu travolto dalla tristezza. «Cercare vittime e capri espiatori pare essere una regola universale, non credete? Specialmente in tempi di difficoltà e tensione. Come ho già avuto modo di dire, signore, persino i monaci non sono immuni alle astuzie del demonio.» Fece un rapido inchino e seguì i confratelli in chiesa. Io ripresi la strada verso l'infermeria, passando di nuovo attraverso la camerata. Ero affamato e feci una sosta in cucina per prendere una mela. Ma qualcosa attirò il mio sguardo fuori della finestra. Un vistoso spruzzo scarlatto sulla candida neve. Raggiunsi la finestra, e le gambe mi ressero a stento. Alice giaceva supina nel giardino, un vaso rotto al suo fianco. Il sangue sotto di lei emanava ancora un tiepido vapore. Capitolo diciannove Mugolai, portando un pugno alla bocca. Simon Whelplay era morto per avermi parlato; non poteva essere toccata la stessa sorte anche ad Alice. Mi precipitai nella corte, implorando con tutte le mie forze - sebbene solitamente mi facessi scherno dei miracoli - che i miei occhi potessero essersi ingannati. La ragazza giaceva scompostamente, faccia a terra, accanto al sentiero.
Il sangue tutt'intorno era così abbondante che per un terribile istante pensai fosse stata decapitata come Singleton. Mi costrinsi a guardare più da vicino; era intera. Evitando i cocci del vaso m'inginocchiai accanto a lei. Le posai una mano sul collo per sentire le pulsazioni, e lanciai un'esclamazione di sollievo nell'udire che il cuore le batteva forte in petto. Al tocco della mia mano, Alice si mosse, lamentandosi. Spalancò gli occhi, il cui intenso azzurro si stagliava sul viso imbrattato di sangue. «Alice! Oh, grazie al cielo, siete viva. È un miracolo!» Mi chinai e la presi fra le braccia, singhiozzando per la gioia, sentendo in lei il calore della vita e il battito del suo cuore. La fanciulla mi premette le braccia sul petto. «Signore, che cosa fate, no...» la lasciai, e lei si mise seduta, vacillando. «Perdonatemi, Alice», dissi, confuso e imbarazzato. «È stato un gesto dettato dal sollievo, vi credevo morta. Però non muovetevi, siete gravemente ferita. Ma dove?» Lei abbassò lo sguardo sull'abito imbrattato di vermiglio, osservandosi con stupore, poi portò una mano alla testa. Il suo viso s'addolcì e, con mia somma sorpresa, si mise a ridere. «Non sono ferita, signore, solo un po' frastornata. Sono scivolata sulla neve e sono caduta.» «Ma..» «Trasportavo una brocca piena di sangue. I salassi, ricordate? Non è il mio.» «Oh!» M'appoggiai al muro dell'infermeria, quasi stordito per il sollievo. «Di solito andiamo a rovesciarlo in giardino, ma fratello Guy ha detto d'attendere il disgelo, così stavo andando a portarlo nella rimessa.» «Sì, sì, comprendo.» Risi mesto. «Ho fatto la figura dell'idiota.» Abbassai lo sguardo sul mio farsetto macchiato di sangue. «E mi sono rovinato il vestito.» «Ve lo pulirò io, signore.» «Mi spiace di... ehm... avervi stretta a quel modo. Non avevo cattive intenzioni.» «Lo so, signore», disse lei imbarazzata. «A me spiace d'avervi tanto allarmato. Non ero mai scivolata prima, ma i sentieri si sono ghiacciati. Vi ringrazio per le vostre premure.» Chinò il capo. M'accorsi che si era come rannicchiata in se stessa, e ne dedussi, con grande delusione, che il mio abbraccio non era stato gradito. «Rientriamo», dissi. «Dovreste stendervi un poco, dopo una così brutta
caduta. Vi sentite stordita?» «No, sto bene.» Non prese il braccio che le offrivo. «Penso che dovremo cambiarci entrambi.» S'alzò, gocciolante di neve insanguinata, e la seguii all'interno. Poi lei tornò in cucina e io nella mia stanza. Mi cambiai, lasciando gli abiti macchiati sul pavimento. Andai a sedermi sul letto, in attesa del ritorno di Mark. Sarei potuto andare da Alice per domandarle che i miei vestiti fossero lavati, ma mi sentivo imbarazzato e riluttante. L'attesa mi sembrò eterna. Udii nuovamente le campane a morto, lontano; ora i funerali di Simon Whelplay erano terminati. Mi maledissi per non aver lasciato partire Goodhaps da solo. Volevo andare al vivaio, e avevo ideato un piano per incastrare fratello Edwig. Udii delle voci. Insospettito, andai ad aprire la porta. Dei mormorii giungevano dalla cucina. Mark e Alice stavano parlando. M'incamminai lungo il corridoio. La veste di Alice giaceva sul lavatoio, dov'era stata pulita. Lei indossava soltanto una bianca sottoveste, ed era fra le braccia di Mark. Non stavano ridendo, il viso di lei contro il suo collo era colmo di tristezza, e anche Mark aveva un'espressione seria, come se il suo fosse solo un abbraccio di conforto. Mi videro e si separarono di scatto, allarmati. Scorsi il movimento dei suoi seni pieni e sodi sotto la veste, i turgidi capezzoli contro la stoffa, e distolsi lo sguardo. «Mark Poer», dissi pungente, «ti ho domandato di far presto. Abbiamo del lavoro da sbrigare.» Il giovane arrossì. «Mi spiace, signore, io...» «E voi, Alice, è questo che chiamate pudore?» «Non ho abiti di ricambio», mi rispose con disprezzo. «E questo è l'unico posto in cui posso lavarlo.» «Allora avreste dovuto chiudervi a chiave. Mark, andiamo.» Inclinai il capo e lui mi seguì lungo il corridoio. Giunti nella nostra stanza, lo affrontai. «T'ho già detto che non devi amoreggiare con lei. Ma mi pare ovvio che le vostre conversazioni siano andate ben oltre quel che immaginavo!» «In questi giorni ci siamo incontrati ogni volta che c'è stato possibile.» Mi affrontò con audacia. «Sapevo che non avreste approvato. Ma al cuore non si comanda.» «Proprio com'è accaduto con la dama di corte della regina. Questa storia avrà la stessa conclusione?» Mark arrossì. «È molto diverso», sbottò. «I miei sentimenti per madami-
gella Fewterer sono più che onorevoli! Provo per lei quello che non ho mai provato per nessuna donna. Dite pure quel che volete, ma è così. Non abbiamo fatto nulla di male, ci siamo solo abbracciati e baciati, come voi avete ben visto. La caduta l'aveva turbata.» «Madamigella Fewterer? Dimentichi che Alice non è una madamigella, è una domestica.» «Questo non ha impedito a voi di stringerla fra le braccia, quand'è caduta. Ho visto come la guardate, signore. L'ammirate anche voi!» Mosse un passo verso di me, il viso contratto da -un'improvvisa rabbia. «Voi siete geloso!» «Per l'amor del cielo!» gridai. «Sono stato troppo tenero con te. Dovrei cacciarti all'istante e spedirti dritto a Lichfield, a zappare la terra!» Non disse nulla. Mi sforzai di placare la mia ira. «Dunque, tu credi che io sia un povero storpio folle di gelosia. Sì, Alice è una fanciulla attraente, lo ammetto. Ma noi siamo qui perché abbiamo un compito serio da svolgere. Che cosa penserebbe Lord Cromwell se sapesse che passi il tuo tempo ad amoreggiare con una servetta, eh?» «Nella vita non esiste soltanto Lord Cromwell», mormorò. «Ah, davvero? Perché non vai a dirglielo? E non è tutto. Che cosa intenderesti fare, portare Alice a Londra con te? Dici di non voler tornare alle Aumentazioni, è dunque un'esistenza da servitore quella cui aspiri?» «No.» Esitò, abbassando lo sguardo. «Ebbene?» «Pensavo che forse voi mi avreste voluto come assistente, signore, come praticante. Vi ho già assistito in passato, e voi vi eravate detto contento di me...» «Uno scribacchino?» dissi incredulo. «Lo scribacchino d'un avvocato? È questo il massimo delle tue ambizioni?» «Non è un buon momento per chiedervelo, lo so», disse imbronciato. «Misericordia, non esiste un buon momento per una simile richiesta! Mi disonoreresti con tuo padre, e disonoreresti anche te stesso per la mancanza di un'onesta ambizione. No, Mark, non farò mai di te il mio assistente.» Mi rispose con improvviso ardore. «Per uno che non fa che parlare di comunione cristiana e del benessere degli indigenti, avete una scarsa considerazione della povera gente!» «Il mondo ha bisogno d'una gerarchia sociale. Non siamo tutti allo stesso livello, e Dio non ha mai disposto altrimenti.» «L'abate sarebbe d'accordo con voi. Come pure il giudice Copynger.»
«Basta, stai andando troppo oltre!» gridai. Rimase a guardarmi in silenzio, celandosi dietro la sua tipica maschera d'impassibile furia. Lo additai con fare perentorio. «Fai bene attenzione. Sono appena riuscito a ottenere un po' della fiducia di fratello Guy. Mi ha rivelato che cosa è accaduto a Simon Whelplay. Pensi si sarebbe comportato allo stesso modo se lui, invece del sottoscritto, avesse assistito alla scena di poco fa? Quella ragazza è sotto la sua protezione.» Rimase ancora in silenzio. «Le tue civetterie con Alice devono finire all'istante. Mi hai capito? E ti consiglio di riflettere con molta attenzione sul tuo avvenire.» «Sì, signore», bofonchiò freddamente. Avrei avuto voglia di schiaffeggiarlo. «Prendi il mantello. Andiamo a esaminare il vivaio. Di ritorno, passeremo per le cappelle laterali.» «È come cercare un ago in un pagliaio», disse Mark scontroso. «Le prove potrebbero essere state sepolte.» «Non ci vorrà più di un'oretta. Forza. E spero per te che tu sia abituato all'acqua gelata», aggiunsi maligno. «Sarà molto più freddo dell'abbraccio di quella fanciulla.» C'incamminammo in silenzio. Ero furioso; furioso per la scapestrata insolenza di Mark e furioso con me stesso, perché ciò che aveva detto sulla mia gelosia era vero. Vederlo stringere Alice fra le braccia, dopo che io ero stato appena respinto, mi aveva ferito. Lo guardai di traverso. Prima Jerome, ora Alice. Come riusciva questo ragazzo testardo e autoindulgente a farmi sentire sempre in torto? Passando di fronte alla chiesa, vedemmo i monaci entrarvi nuovamente, in fila per due. Simon era stato sepolto nel cimitero religioso, ma evidentemente un altro servizio sarebbe stato officiato per lui, sebbene non ce ne fossero stati per Singleton. Pensai amaramente che Simon sarebbe stato grato di ricevere un decimo di quanto il Signore aveva donato a Mark con tanta generosità. Arrivati al cimitero secolare, lui si fermò d'improvviso. «Guardate», disse. «È strano.» Indicò la tomba di Singleton, con la bruna terra che si stagliava sul candore del paesaggio. La neve appena caduta aveva steso la sua polverosa coltre tutt'intorno tranne che sulla tomba. La raggiungemmo e osservammo disgustati. Sulla sepoltura era stato
versato un liquido viscoso, scintillante al pallido sole. Mi chinai, vi intinsi un dito e lo portai al naso. Sbuffai irritato. «Sapone! Qualcuno ha coperto la tomba di sapone. Per impedire all'erba di crescere. La neve s'è sciolta.» «Per quale ragione?» «Non sai che l'erba non cresce sulla tomba dei peccatori? Quand'ero ragazzo, una donna venne impiccata con l'accusa d'infanticidio. La famiglia di suo marito ricoprì di nascosto la tomba con del sapone in modo che nulla potesse crescervi, proprio come hanno fatto qui. Un atto di vera infamia.» «Chi può essere stato?» «Come posso saperlo? Madre mia, ordinerò all'abate Fabian di portarli tutti qui perché la ripuliscano sotto la mia personale supervisione... anzi, sotto la tua: sarà per loro un'umiliazione più grande.» Procedemmo poi faticosamente attraverso il cimitero e oltre il frutteto, sprofondati in quasi un piede di neve. Un sole acquoso si rifletteva nel fiume e sul vivaio. Mi feci strada fra i giunchi gelati. Il ghiaccio s'era ispessito, ed era stato coperto da un leggero strato di neve fresca. Chinandomi e aguzzando bene la vista, tuttavia, potevo ancora scorgere un oggetto che brillava fioco nello stagno. «Mark, vedi quel mucchio di pietre dove il muro è stato rabberciato? Prendine una grossa e rompi il ghiaccio.» Sospirò, ma il mio sguardo severo lo convinse a fare quanto gli avevo chiesto. Mi allontanai. Mark sollevò un masso e lo gettò al centro del laghetto. Udimmo un terribile frastuono che non mancò di darmi una certa soddisfazione, e dovetti scansarmi per evitare un grosso spruzzo d'acqua misto a schegge di ghiaccio. Lasciai che l'acqua si fermasse, poi mi avvicinai con cautela alla riva, mi misi carponi e scrutai verso il fondo. I pesci, disturbati, nuotavano frenetici tutto intorno. «Ecco... ecco, proprio là, riesci a vedere? Un barlume dorato?» «Mi pare di sì», concordò Mark. «Si, c'è qualcosa. Volete che provi a recuperarlo? Se prendo il vostro bastone e voi mi reggete per l'altro braccio, potrei riuscire a ripescarlo.» Scossi il capo. «No. Voglio che tu ci entri.» Mi guardò incredulo. «L'acqua è quasi ghiacciata.» «L'assassino di Singleton potrebbe aver gettato là dentro anche le sue vesti insanguinate. Forza, non sarà profondo più di due o tre piedi. So-
pravviverai.» Per un attimo pensai si sarebbe rifiutato, ma poi serrò le labbra e si chinò per sfilarsi il mantello, le soprascarpe e infine gli stivali. Alle costose calzature di pelle un bagno non avrebbe certo fatto bene. Si fermò un momento, tremante, i piedi e le gambe quasi dello stesso candore della neve. Poi fece un respiro profondo ed entrò nell'acqua, gridando per la sua temperatura gelida. Pensavo gli sarebbe arrivata al massimo fino alle cosce, invece, dopo appena qualche passo, lo vidi sprofondare con un urlo fino al petto. Delle grosse bolle di gas maleodorante cominciarono a eruttare tutto intorno, talmente stomachevoli che, mio malgrado, dovetti arretrare d'un passo. Mark rimase nell'acqua, annaspando, finché il puzzo si dissolse. «C'è almeno un piede di fango... puah!» disse senza fiato. «Già», risposi. «Certo. Il limo del fiume finisce sul fondo. Vedi niente? Ci arrivi?» Il giovane mi fulminò con lo sguardo, poi, brontolando, si chinò facendo sparire il braccio sott'acqua. Cercò a tentoni. «Sì... c'è qualcosa... è affilata...» Il braccio riapparve. In pugno stringeva una massiccia spada, l'impugnatura decorata in oro. La gettò sulla riva, e io ebbi un tuffo al cuore. «Ben fatto!» sussurrai. «Ora... vedi se riesci a trovare dell'altro.» Si chinò nuovamente, immergendosi fino alla spalla e formando lente onde concentriche che andavano a morire sulla sponda ghiacciata. «Jesu, com'è fredda. Aspettate... sì, c'è qualcos'altro... qualcosa di morbido... della stoffa, credo.» «Gli abiti dell'assassino!» S'alzò, tirando con tutte le forze, poi perse l'equilibrio e gridando finì sotto la superficie, mentre un'altra figura balzò fuori dell'acqua. Una figura umana, vestita con una tunica. Rimasi impietrito. Il torso parve fluttuare nell'aria per un istante, i capelli avviluppati attorno al viso, per poi ricadere con uno spruzzo fra i giunchi. Mark riaffiorò, e prese a gridare per il grande spavento, annaspando verso la riva. Issandosi sulla sponda, crollò sulla neve, mentre le grida scemarono in singhiozzi, gli occhi sgranati quanto i miei alla vista di quella figura nel canneto. Era il corpo d'una donna, grigio e decomposto, vestito con abiti da domestica. Le orbite erano vuote e una bocca senza labbra si apriva su scuri denti serrati. Delle ciocche di capelli, simili a code di ratto, le venavano il viso. Mark si mise in piedi, tremante. Si fece il segno della croce, una, due
volte, e si mise a pregare in latino. «È tutto finito», dissi rassicurante, la rabbia svanita. «È tutto finito.» Gli misi una mano sulla spalla, tremava come una foglia. «Doveva giacere sotto il limo. Si sono sviluppati dei gas, e tu li hai smossi. Ma sei al sicuro, quella povera creatura non può farci del male.» Eppure persino la mia voce tremava di fronte a quello spaventoso spettacolo. «Vieni, o ti buscherai una polmonite. Su, infilati gli stivali.» Obbedì, e parve calmarsi un poco. Ma qualcos'altro era emerso dal fondo dello stagno; un grosso pezzo di stoffa marrone, gonfiato dai gas. Lo raggiunsi con il bastone, temendo un secondo cadavere, invece era solo l'abito di un monaco. Lo trascinai a riva e lo distesi sulla sponda. Era imbrattato di macchie scure, forse di sangue congelato. D'improvviso mi tornò alla mente la grossa carpa che avevamo mangiato a cena la sera del nostro arrivo, e rabbrividii. Mark fissava ancora il cadavere, gli occhi colmi d'orrore. «Chi è?» balbettò. Feci un respiro profondo. «Temo che abbiamo ritrovato Orphan Stonegarden.» Osservai la spaventosa testa, un teschio rivestito di pelle ingrigita. «'Un visetto dolce e gentile', ha detto comare Stumpe. 'Uno dei volti più graziosi ch'abbia mai visto.' Dunque questo intendeva Simon Whelplay, quando ha cercato di mettere in guardia Alice. Lui sapeva.» «Quindi i morti salgono a tre.» «Prego il Signore perché questo sia l'ultimo.» Mi costrinsi a raccogliere la tunica. La voltai e rimasi allibito nel vedere una piccola arpa cucita sulla stoffa. L'avevo già vista, era l'emblema del sacrista. «È di fratello Gabriel», dissi con voce strozzata. Capitolo venti Dissi a Mark di correre ad avvertire l'abate, più veloce del vento in modo da riscaldarsi il sangue nelle vene. Lo osservai farsi faticosamente strada nella neve, poi mi voltai di nuovo verso lo stagno. Delle bolle fangose si levavano ancora a muoverne la superficie. Mi domandai se anche la reliquia potesse trovarsi là sotto, forse assieme ai calici che la ragazza era stata accusata d'aver rubato. Mi costrinsi ad avvicinarmi al cadavere. Legata al collo portava una sottile catenina d'argento, e dopo un istante d'esitazione mi chinai e la presi spezzandone facilmente le maglie fra le dita. Dalla catena pendeva un pic-
colo ciondolo con la grezza immagine d'un uomo, con un pesante fardello sulle spalle. La infilai in tasca e presi la spada. Era un'arma preziosa, la spada d'un nobiluomo. Sulla lama era stampigliato il marchio del fabbro che l'aveva forgiata: J.S.1507, e sotto c'era l'effigie d'una costruzione squadrata con quattro torri puntute. Andai a sedermi sul cumulo di pietre accanto al muro. Il freddo e lo spavento mi fecero però ben presto gelare le dita di mani e piedi, dunque m'alzai e mi misi ad agitare le braccia e a battere i piedi per riattivare la circolazione. Feci avanti e indietro, mentre la neve scricchiolava sotto i miei passi, riflettendo sui possibili significati di quelle scoperte finché nella mia mente le tessere di quell'intricato mosaico presero a ordinarsi. Poco dopo, udii delle voci provenire dal frutteto, e vidi Mark avvicinarsi a passo svelto, accompagnato da due scure figure incappucciate, l'abate e il priore. Il priore Mortimus portava un grosso lenzuolo. L'abate Fabian s'avvicinò a osservare la macabra scoperta con occhi colmi d'orrore. Si fece il segno della croce e mormorò una preghiera. Il priore raggiunse il cadavere e lo osservò con disgusto. Poi il suo sguardo si posò sulla spada. «La donna è stata uccisa con quella?» sussurrò. «Non credo. Però presumo che questa sia la spada che ha ucciso Singleton. Il vivaio è stato usato come nascondiglio in più di un'occasione.» «Di chi è il cadavere?» chiese l'abate, con voce inquieta. Lo guardai senza scompormi. «Ho saputo di una precedente assistente del frate infermiere scomparsa un paio d'anni or sono. Una fanciulla di nome Orphan Stonegarden.» Il priore guardò nuovamente il cadavere. «No», lo udii mormorare. Nella sua voce percepii rabbia, dolore e sconcerto. «Lei... lei è scappata», disse. «Era una ladra...» Ci voltammo, udendo delle voci alle nostre spalle. Fummo raggiunti da quattro servitori che portavano una barella. L'abate fece un cenno al priore Mortimus, e questi gettò il lenzuolo sul corpo. L'abate si avvicinò. «Il monastero è in subbuglio. Mastro Poer è stato visto arrivare di corsa alla mia abitazione, poi io ho mandato i miei servitori a prendere una barella... Ma, vi prego, non diffondiamo la notizia, diciamo soltanto che si tratta di una persona affogata nel vivaio, non di quella ragazza...» «Per il momento», concordai. Prima che i servitori ci raggiungessero, nascosi la spada nel saio. Gli uomini esitarono, facendosi il segno della croce. «Mark, aiutali», dissi. Notai che s'era tolto i vestiti zuppi d'acqua e
ora, sotto il mantello, portava la veste blu dei domestici. Li aiutò a distendere la figura avvolta nel lenzuolo sulla lettiga e i quattro la sollevarono senza fatica; era leggera come una piuma. «Portate la barella in infermeria», dissi. Seguimmo i servitori in processione. Lanciai un paio di occhiate verso il priore, ma lui distolse lo sguardo. Dal corpo cadevano gocce d'acqua sporca che chiazzavano la neve. Nel frutteto una piccola folla di monaci e servitori ronzava agitandosi qua e là come uno sciame d'api. Il priore gridò loro rabbiosamente di tornare alle proprie occupazioni, e questi si dispersero lanciando occhiate alla barella ricoperta dal lenzuolo. Fratello Guy ci raggiunse. «Di chi si tratta? Ho sentito che qualcuno è affogato nel vivaio.» Mi rivolsi ai servitori. «Portate il cadavere in infermeria perché fratello Guy possa esaminarlo. Mark, accompagnali. E prendi questo, mettilo nella nostra stanza.» Gli porsi l'abito fradicio. «Attento alla spada», mormorai. «È molto affilata.» «Dovrò dire qualcosa ai confratelli», disse il priore. «Dite soltanto che nello stagno è stato rinvenuto un cadavere. Ora, signor abate, vorrei scambiare due parole con voi.» Feci un cenno in direzione dei suoi appartamenti. Ancora una volta, l'uomo andò a sedersi dietro la scrivania ricoperta da un'infinità di documenti, il sigillo dell'abbazia appoggiato sul blocco di cera rossa. Il suo viso pareva essere invecchiato di secoli nell'arco di pochi giorni, mentre il piglio sicuro aveva lasciato posto alla grigia spossatezza della paura. Appoggiai la spada sullo scrittoio. Lui la guardò con disgusto. Poi presi la catenina e gliela mostrai. «La riconoscete, signore?» Si protese in avanti e la osservò. «No, non l'ho mai vista prima d'ora. Era forse sul... sul...» «Sul cadavere? Sì. E la spada?» Scosse il capo. «Non abbiamo spade qui.» «Non vi chiederò se riconoscete il cadavere, sarebbe impossibile. Dunque, non mi resta che domandare a comare Stumpe se conosce il medaglione.» L'uomo mi guardò con orrore. «La donna che si occupa dell'ospizio? Deve essere coinvolta? Non nutre una grande simpatia nei nostri confronti.»
«E ne avrà ancora meno se verrà fuori che la sua protetta è stata uccisa e gettata nel vostro vivaio. M'ha riferito che la ragazza era scontenta del suo lavoro qui. Che cosa potete dirmi a questo proposito?» Per tutta risposta, l'uomo affondò il viso fra le mani. Pensai si sarebbe messo a singhiozzare, ma non lo fece. Sollevò la faccia e mi fissò. «Non è buona norma permettere a delle fanciulle di lavorare nelle case monastiche. In questo concordo con Lord Cromwell. Ma fratello Alexander, il predecessore di fratello Guy, stava invecchiando e aveva bisogno di assistenza. Ci fu mandata quella giovane, ed egli volle prenderla con sé.» «Forse gradiva il suo aspetto, ho saputo che era molto graziosa.» L'abate tossicchiò. «Non fratello Alexander. Invero, pensai fosse più sicuro così che se avesse avuto un assistente maschio. A quell'epoca le visite non erano ancora cominciate, e... ehm...» «Capisco. Un'epoca in cui i ragazzi dovevano guardarsi il fondoschiena. Ma fratello Guy era già qui, quando la fanciulla è scomparsa, non è forse vero?» «Sì. Fratello Alexander fu denunciato nella visita del vescovo. Ne rimase distrutto, e morì d'un attacco di lì a poco. Quindi, fratello Guy prese il suo posto.» «Dunque, chi può aver molestato la fanciulla? Qualcuno dev'essere pur stato.» L'abate scosse il capo. «Commissario, avere una giovane in giro per il monastero è una tentazione assai forte. Le donne sono tentatrici, basti pesare ad Adamo ed Eva. E i monaci sono fatti di carne...» «Per quanto ne so, la fanciulla non ha tentato nessuno ma è stata, invece, vittima di fastidi e molestie. Quindi vi domando ancora una volta, che cosa sapete?» Il religioso lasciò cadere le spalle. «Fratello Alexander si lamentò più volte. Disse che un giovane monaco di nome Luke, che lavora in lavanderia, aveva... molestato la giovane.» «Intendete dire che la prese con la forza?» «No, no, no. Non osò tanto. Convocai fratello Luke e gli vietai di vedere la giovane. Ma questi ebbe nuovamente modo di molestarla, dunque gli dissi che se non avesse smesso all'istante, sarei stato costretto a cacciarlo.» «Nessun altro? Fra gli obedenziari, per esempio?» Mi guardò con occhi colmi di terrore. «Ci furono delle accuse nei confronti di fratello Edwig e del priore Mortimus. Per... aver fatto degli apprezzamenti pesanti. E anche in quel caso io... io li misi in guardia.»
«Fratello Edwig?» «Sì.» «E i vostri avvertimenti hanno sortito l'effetto desiderato?» «Io sono l'abate, signore», disse con un velo della sua vecchia boria. Esitò. «Non può essere che la giovane si sia affogata di sua sponte, in preda alla... disperazione?» «Però è corsa la voce che avesse rubato due calici e si fosse data alla fuga.» «È quanto abbiamo pensato quando le coppe sono sparite dalla chiesa in coincidenza con la sua scomparsa. Ma... non potrebbe essersi pentita del suo gesto, averle gettate nello stagno e poi essersi affogata?» «Voglio che il vivaio sia dragato, ma l'eventuale rinvenimento dei due calici non proverà nulla. Il suo assassino potrebbe averli presi e gettati nel laghetto assieme al cadavere per depistare le indagini. La faccenda dovrà essere investigata a fondo, signore. Forse dovremo coinvolgere le autorità locali, nella persona del giudice Copynger.» Il religioso chinò il capo e rimase seduto in silenzio per un istante. «È tutto finito, non è così?» disse d'improvviso con voce sommessa. «Che cosa intendete?» «La nostra vita qui. La vita monastica in Inghilterra. Non ho fatto che illudermi, vero? La legge non ci salverà. Anche se scopriremo che l'assassino del commissario Singleton è qualcuno del paese.» Non risposi. L'abate prese una carta dalla scrivania, la mano che gli tremava appena. «Poc'anzi ho avuto modo di riesaminare la bozza dell'Atto di resa che il commissario Singleton m'aveva sottoposto.» Citò: «'Siamo convinti che gli usi e costumi che noi e altri seguaci della nostra falsa dottrina abbiamo lungamente praticato consistono d'ottuse cerimonie e di taluni riti di retaggio romano e d'altri potentati.' Da principio pensai che Lord Cromwell aspirasse ai nostri beni e alle nostre ricchezze, e che questo paragrafo fosse a puro appannaggio dei riformatori.» Alzò lo sguardo. «Ma da quanto ho saputo dalla prioria di Lewes... si tratta d'una clausola ordinaria, non è così? Tutte le case sono destinate a soccombere. E quanto è accaduto qui ha segnato la fine di Scarnsea.» «Tre persone sono andate incontro a una morte orribile», dissi. «Eppure sembrate preoccuparvi solo della vostra sopravvivenza.» Mi guardò colmo di stupore. «Tre? No, signore, solo due. Una soltanto, se la ragazza si fosse suicidata...»
«Fratello Guy è convinto che Simon Whelplay sia stato avvelenato.» L'abate si scurì in viso. «Allora, avrebbe dovuto parlarmene. Sono un suo superiore.» «Gli avevo domandato io di non farne parola con nessuno per un po'.» Mi fissò dritto negli occhi. Quando parlò nuovamente, la sua voce s'era fatta un flebile sussurro. «Avreste dovuto vedere questa casa soltanto cinque anni fa, prima del divorzio del sovrano. Una vita regolata, sicura. Preghiera e devozione, lo scorrere delle stagioni immutabile da tempi immemorabili. I benedettini mi hanno donato una vita che il mondo mi avrebbe negato; il figlio d'un commerciante navale che diviene abate...» Abbozzò un debole sorriso. «Non piango solo per me stesso, commissario; ma per la tradizione, per la vita. Sono già due anni che l'ordine ha cominciato a mostrare segni di cedimento. Prima condividevamo le medesime credenze, i medesimi pensieri, ma le riforme hanno portato dissidi e discordia. E ora anche l'omicidio. La dissoluzione», sussurrò. «La dissoluzione.» Due grosse lacrime gli si formarono agli angoli degli occhi. «Firmerò l'Atto di resa», disse pacato. «Del resto non ho alternative, non è così?» Scossi il capo lentamente. «Otterrò la pensione che il commissario Singleton m'aveva promesso?» «Sì, signore, avrete la vostra pensione. Mi domandavo quando saremmo arrivati a questo momento.» «Prima, però, dovrò ottenere il consenso formale dei miei confratelli. Sono l'amministratore fiduciario di tutti i loro beni, capite?» «Aspettate ancora. Vi dirò io quando potrete dare la comunicazione.» Annuì, interdetto, chinando nuovamente il capo per nascondere le lacrime. Lo guardai. Il premio che Singleton aveva cercato di ottenere con tanto zelo mi era caduto fra le mani, gli omicidi avevano fatto crollare l'abate. E ora credevo di sapere chi fosse l'assassino, chi li avesse uccisi tutti. Trovai fratello Guy nel dispensario. Mark gli stava seduto accanto su uno sgabello, con le vesti da servitore ancora addosso. Il frate infermiere stava pulendo delle lame ricoperte di chiazze verdastre in una ciotola d'acqua. Il cadavere giaceva sul tavolo, coperto dal lenzuolo, cosa di cui fui grato. Mark era pallido, e persino gli scuri tratti del frate infermiere mostravano un diffuso lividore, come se avesse della cenere sotto la pelle. «Ho esaminato il corpo», disse pacato. «Non ne ho la certezza assoluta,
ma dall'altezza, dal colore dei capelli e dalla struttura ossea direi che potrebbe trattarsi della giovane Orphan. Comunque posso dirvi com'è morta. Ha il collo spezzato.» Scostò il lenzuolo, esponendo l'orribile cranio. Lo fece ruotare lentamente, permettendomi di vedere che le vertebre che lo univano alle spalle erano dislocate. Soffocai un conato di vomito. «Allora è stata uccisa.» «Se fosse caduta nel laghetto non si sarebbe mai procurata una simile frattura. Mastro Poer mi ha detto che il fondo del vivaio è rivestito di uno spesso strato di fango.» Annuii. «Vi ringrazio, fratello. Mark, quegli altri oggetti che abbiamo rinvenuto sono nella nostra stanza? Abbiamo una visita da fare. Ti sei portato un cambio d'abiti?» «Sì, signore.» «Vai a metterli. Non dovresti andartene in giro vestito come un domestico.» Mark ci lasciò, e io presi il suo posto sullo sgabello. Il frate infermiere chinò il capo. «Prima Simon Whelplay avvelenato sotto il mio naso, ora sembra che anche la mia povera assistente sia stata uccisa. E io che la credevo una ladra.» «Per quanto tempo è rimasta con voi?» «Non a lungo, qualche mese appena. Si dava parecchio da fare, ma era molto riservata, sempre cupa in viso. Penso avesse fiducia in fratello Alexander e in nessun altro. All'epoca, mi dedicavo anima e corpo alla riorganizzazione dell'infermeria, fratello Alexander l'aveva lasciata in un pessimo stato. Le ho prestato meno attenzione di quanto avrei dovuto.» «Non vi ha mai parlato delle indesiderate attenzioni che i monaci le riservavano?» I suoi lineamenti si contrassero. «No. Ma un giorno la trovai che si divincolava dalla presa di uno dei confratelli, nel corridoio di fronte alla sua porta. Occupava quella che ora è la stanza di Alice, alla fine del vestibolo. Il monaco tentava d'abbracciarla, rivolgendole pesanti apprezzamenti.» «Di chi si trattava?» «Fratello Luke, l'assistente del lavandaio. Lo scacciai e riferii dell'incidente all'abate, sebbene Orphan non volesse alzare un vespaio. L'abate Fabian disse che avrebbe parlato con Luke. Mi confidò che non era la prima volta. Dopo quell'episodio, la ragazza diventò più socievole, nonostante fosse ancora molto silenziosa. Ma poco dopo scomparve.»
«Nessun altro l'aveva molestata, che voi sappiate?» «Io non vidi nessuno. Ma, come vi ho detto, lei non aveva molta fiducia in me.» Sorrise mesto. «Penso non riuscisse ad abituarsi allo strano colore della mia pelle. Ma non c'è da sorprendersi, trattandosi d'una giovane di campagna.» «Dopodiché, Alice prese il suo posto.» «Sì, e io decisi di guadagnarmi la sua fiducia sin dal primo giorno. E credo di esserci riuscito.» «Voi vi occupate anche di fratello Jerome. Quale credete sia il suo stato mentale?» Mi scrutò guardingo. «Quello d'un uomo che, nel bene o nel male, ha consacrato la propria esistenza a perseguire alti ideali, vivendo una vita di privazioni, e che è stato torturato con l'accusa d'averli traditi. La sua mente è gravemente disturbata, ma lui non è folle, se è questo che intendete.» «Be', a me pare una follia tormentare un corpo già devastato indossando un cilicio. Ditemi, parla mai della sua prigionia nella Torre?» «No. Mai. Ma è stato deplorevolmente torturato. Questo ve lo posso assicurare.» «Me ne ha parlato, ma io credo si sia inventato tutto solo per irritarmi.» Fratello Guy non mi rispose. Mi alzai, ma in quel momento uno spasmo lancinante mi attanagliò la schiena. Sussultai, aggrappandomi al tavolo. «Che cosa avete?» Respirai profondamente. «Devo essermi storto qualcosa alzandomi. Il dolore impiegherà giorni a svanire.» Sorrisi amaramente. «Voi e io sappiamo bene che cosa significa essere considerati dei diversi, eh, fratello? Ma almeno il vostro aspetto è un fenomeno naturale, non vi causa sofferenza fisica. Ed esiste un luogo dov'è considerato normale.» Mark s'era cambiato la camicia e il farsetto e sedeva sul mio letto. «Stai bene?» gli chiesi con voce burbera vedendolo contratto. Annuì. «Sì, signore. Quella povera creatura...» «Lo so. Mi spiace averti coinvolto in una simile situazione. È stato un brutto colpo, davvero. Non avevo idea...» «No. Nessuno poteva sapere...» «Mark, dobbiamo accantonare le nostre divergenze. Abbiamo un fine comune da perseguire: trovare il crudele assassino che si nasconde qui dentro.» Mi fissò intensamente. «Certo, signore. Come potete dubitarne?»
«Non ne dubito, no. Ascolta, ho riflettuto. L'unica ragione per cui la tonaca di Gabriel può essere stata gettata nel vivaio è perché era imbrattata di sangue. L'assassino deve averla indossata per uccidere Singleton, e poi se n'è sbarazzato assieme alla spada.» «Già. Ma... fratello Gabriel, un assassino?» Scosse il capo. «Perché no? Non potrebbe esserlo? Pensavo lo disprezzassi per la sua pederastia!» «Infatti, è così.» Rifletté un istante. «Eppure non posso credere che sia un assassino. Pare un uomo mosso da forti passioni, se così si possono definire, ma non lo credo capace di fare del male a qualcuno intenzionalmente. E non lo credo animato dall'audacia necessaria per sferrare un simile colpo.» «Oh, quando vuole sa diventare audace eccome. E le passioni che lo muovono sono forti davvero. Violente oserei dire. E dove ci sono amori violenti, possono nascere anche violenti odi.» Mark scosse il capo. «Non può essere. Vi prego di credermi, signore, non pensate male di me, ma io sono davvero convinto che fratello Gabriel non sia un assassino.» «Ho provato compassione per quell'uomo, persino simpatia. Ma non possiamo giudicare sulla base delle nostre sensazioni. Dobbiamo seguire una logica ferrea. Come possiamo essere certi che un uomo sia o non sia capace d'omicidio, conoscendolo appena? In questo posto, poi, dove tutti i nostri sensi sono inquieti e distorti dal pericolo?» «Comunque, lui sembra d'indole tanto... gentile.» «Potremmo anche accusare fratello Edwig, spinti dal disprezzo verso la sua natura calcolatrice e disumana. Anche lui è un lussurioso, a quanto pare. Ma questo non basta per accusarlo d'omicidio. No, dobbiamo accantonare le nostre emozioni.» «Come vorreste che io facessi con Alice?» «Non è il momento d'affrontare questo discorso. Ora, vuoi accompagnarmi da fratello Gabriel?» «Certamente. Voglio che l'assassino venga assicurato alla giustizia, signore.» «Bene. Allora prendi la spada. La tua, non quella che abbiamo rinvenuto nello stagno. Però porta la tonaca. Strizzala nel catino, prima. Vediamo di risolvere questa faccenda.» Capitolo ventuno
Il cuore mi martellava nel petto, ma la mente era lucida. Mezzogiorno era passato da un pezzo, e il sole basso pareva aggrapparsi a un cielo fosco. Era un grande sole rosso d'inverno, di quelli che si possono guardare senza coprirsi gli occhi come se fosse stato privato di tutto il suo fuoco. Fratello Gabriel era in chiesa. Sedeva nella navata, in compagnia del vecchio monaco miniatore che avevo incontrato in biblioteca, intento a esaminare una grossa pila di antichi volumi. Sentendoci avvicinare, i due alzarono il capo, e lo sguardo inquieto di Gabriel si posò ora su di me ora su Mark. «Altri antichi tomi, fratello?» chiesi. «Sono i libri per le funzioni, signore, con le annotazioni musicali. Nessuno li stampa, quindi dobbiamo copiarli quando iniziano a sbiadire.» Ne presi uno. Le pagine erano di pergamena; le parole latine erano contrassegnate foneticamente, inframmezzate da annotazioni musicali scritte in rosso, con salmi e preghiere differenti per ogni giorno del calendario, l'inchiostro sbiadito da lunghi anni d'utilizzo. Lo lasciai cadere sulla panca. «Ho qualche domanda da farvi, fratello.» Mi rivolsi al monaco anziano. «Potreste lasciarci soli?» Il vecchio annuì e s'allontanò con passo svelto. «Qualcosa non va?» chiese il sacrista, con voce tremante. «Allora, non avete saputo? Parlo del corpo rinvenuto nel vivaio.» L'uomo sgranò gli occhi. «Ho avuto molto da fare. Torno ora dalla biblioteca, dove sono andato a chiamare fratello Stephen. Un corpo, avete detto?» «Crediamo sia della ragazza scomparsa due anni or sono. Una certa Orphan Stonegarden.» L'uomo rimase a bocca aperta. Fece per alzarsi, ma si dovette risedere. «Aveva il collo spezzato. Pare sia stata uccisa e poi gettata nel laghetto. Abbiamo trovato anche una spada, probabilmente quella che ha ucciso il commissario Singleton. E poi questo.» Feci un cenno a Mark, che mi passò l'abito. Gli mostrai l'emblema. «La vostra tonaca, fratello Gabriel.» Rimase seduto, attonito. «È vostra, no?» «Sì, sì, è la mia. Deve trattarsi di... di quella che mi è stata rubata.» «Rubata?» «Due settimane fa ho mandato la tonaca in lavanderia, ma non mi è mai stata restituita. Ho chiesto spiegazioni, ma mi hanno detto che era andata
persa. Capita, di tanto in tanto, che i servitori rubino le nostre tonache. Le vesti invernali sono di lana pregiata. Però, vi prego, signore, non crederete certo che...» Mi protesi verso di lui. «Gabriel di Ashford, io credo che voi abbiate ucciso il commissario Singleton. Lui conosceva il vostro passato, e deve aver scoperto una vostra recente malefatta per la quale sareste potuto finire sulla forca. Per questo lo avete ucciso.» «No.» Scosse il capo. «No!» «Avete nascosto la spada e la vostra veste insanguinata gettandole nel vivaio, che sapevate essere un buon nascondiglio, perché lo avevate già usato per occultare il cadavere di quella povera ragazza. Ma perché uccidere Singleton in modo tanto teatrale, fratello Gabriel? E perché uccidere anche la fanciulla? Eravate geloso della simpatia che nutriva per lei fratello Alexander? Il vostro compare sodomita? E anche il novizio Whelplay, l'altro vostro amichetto. Lui sapeva che cos'era capitato alla giovane, non è così? Ma non vi avrebbe tradito, lui. Non fino alla fine, quando ha cominciato a delirare nella malattia, così voi lo avete avvelenato. Da allora sembrate turbato come foste in lotta con la vostra coscienza. Non è forse così, fratello?» Il religioso s'alzò e mi affrontò, aggrappandosi allo schienale del suo sedile mentre prendeva un profondo respiro. Lo sguardo di Mark si posò sulla spada. «Siete un commissario regio», disse con voce tremante, «ma le vostre arringhe sembrano quelle d'un avvocato da quattro soldi. Io non ho ucciso nessuno.» Prese a urlare. «Nessuno! Sono un peccatore, ma non ho infranto nessuna delle leggi del nostro sovrano in questi ultimi due anni! Potete domandare a chiunque al monastero e anche in paese. Non troverete nulla! Nulla!» La voce riecheggiò nella chiesa. «Calmatevi, fratello», dissi in tono misurato. «E rispondetemi in modo cortese.» «Fratello Alexander non era un amico né un nemico; era un vecchio sciocco e indolente. Per quanto concerne il povero Simon», fece un sospiro che pareva un gemito, «sì, aveva stretto amicizia con la giovane all'inizio del suo noviziato, penso si sentissero entrambi perduti e minacciati qui dentro. Gli dissi che non avrebbe dovuto mescolarsi alla servitù, che non ne sarebbe venuto nulla di buono. Ma lui mi confidò che la ragazza gli aveva confessato d'essere stata molestata...» «Da chi?»
«Non volle dirmelo, lei gli aveva fatto giurare che avrebbe mantenuto il silenzio. Almeno una mezza dozzina di monaci avrebbero potuto essere colpevoli. Gli dissi che non doveva farsi immischiare in simili faccende e che avrebbe dovuto convincere la fanciulla a confidarsi con fratello Guy, che era stato appena nominato frate infermiere, alla morte di fratello Alexander. Morto di vergogna», aggiunse amareggiato. «E poi la ragazza scomparve.» Uno spasmo gli contrasse il viso. «Come tutti, credevo fosse scappata.» Mi guardò con occhi freddi, e proseguì con una nuova intonazione, gelida e misurata. «Bene, commissario, vedo che avete creato un'ipotesi che vi fornisce una soluzione. Dunque, forse ora qualcuno verrà pagato per dire falsa testimonianza e mandarmi alla forca. Pare sia una prassi comune, oggigiorno. So bene che cosa è accaduto a Tommaso Moro.» «No, fratello Gabriel, non ci saranno false testimonianze. Scoprirò io stesso le prove di cui avrò bisogno.» Mi avvicinai. «Ma fate attenzione, siete il sospettato numero uno.» «Io sono innocente.» Lo guardai dritto negli occhi per un istante, poi arretrai. «Non vi farò arrestare subito, ma non dovrete lasciare il monastero. Se cercherete di fuggire, considererò il vostro gesto un'ammissione di colpa. M'avete capito?» «Non fuggirò.» «Vi prego di restare a mia completa disposizione, potrei aver bisogno di interrogarvi ancora. Andiamo, Mark.» Mi alzai e mi diressi verso l'ingresso, lasciando fratello Gabriel ai suoi libri. Appena fuori della chiesa feci un gesto di stizza. «Pensavo d'averlo in pugno.» «Lo ritenete ancora colpevole?» «Non so. Credevo che se lo avessi affrontato apertamente e lui fosse stato colpevole, sarebbe crollato. In ogni caso», scossi il capo, «nasconde qualcosa, ne sono certo. Mi ha dato dell'avvocato da quattro soldi, e forse lo sono, ma se vent'anni di tribunale m'hanno insegnato qualcosa, è proprio a capire quando un uomo sta nascondendo la verità. Vieni.» «Dove?» «In lavanderia. Possiamo verificare la sua storia e incontrare questo Luke, due piccioni con una fava.» La lavanderia era ubicata in un ampio annesso, accanto alla dispensa. Dalle grate di ventilazione si levava un denso vapore, e c'era un viavai di
servitori carichi di ceste di biancheria. Aprii la massiccia porta di legno ed entrai. Mark se la richiuse alle spalle. All'interno faceva molto caldo, e c'era buio. Da principio non vidi altro che un vasto ambiente lastricato di pietra, disseminato di cesti e catini. Poi Mark esclamò: «Jesu!» Fu allora che li vidi. La stanza pullulava di cani, tutti i bastardi che avevo visto gironzolare per la corte il giorno del nostro arrivo, prima che cominciasse a nevicare. L'intero ambiente era impregnato dell'odore acre del loro piscio. Gli animali si levarono lentamente sulle zampe, e due di loro s'avvicinarono ringhiando, il pelo irto, i gialli denti digrignati. Mark sfoderò piano la spada, e io strinsi forte in pugno il bastone. Da dietro una porta interna si levavano dei rumori, e io pensai di gridare, ma essendo cresciuto in campagna sapevo bene che così facendo avrei aizzato quelle bestie, spingendole ad attaccare. Serrai i denti, eravamo nei guai. Strinsi il braccio di Mark con la mano libera. Lo avevo spinto verso l'orrore dello stagno, e ora questo. Udimmo uno scricchiolio e la porta alle nostre spalle s'aprì; ci voltammo e scorgemmo fratello Hugh sulla soglia, una ciotola di frattaglie nelle mani paffute. Vedendoci, rimase a bocca aperta. Lo guardammo disperati, quindi l'uomo si riebbe dalla sorpresa e s'affrettò a chiamare i cani. «Brutus, Augustus! Qui! Subito!» Gettò le interiora sul pavimento di pietra. I cani lo guardarono, poi guardarono noi, e alla fine, uno dopo l'altro, si diressero verso il cibo. Il capobranco rimase immobile, ringhiando per qualche istante ancora, poi si voltò e raggiunse gli altri. Tirai un sospiro di sollievo. Fratello Hugh ci fece cenno d'affrettarci. «Qui dentro, signori, vi prego. In fretta, ora che stanno mangiando.» Aggirando le belve affamate, lo seguimmo nella stanza accanto. Lui chiuse la porta e tirò il chiavistello. Ci ritrovammo in una lavanderia piena di vapore. Sotto la supervisione di due monaci, dei servitori erano intenti a lavorare chini su calderoni di biancheria che bolliva al fuoco o a strizzare il bucato con delle presse. Ci levammo i mantelli sotto i loro sguardi incuriositi. Ero completamente madido di sudore, come pure Mark che, aggrappato allo spigolo d'un tavolo, respirava a fatica; era pallido e temevo sarebbe svenuto, ma dopo un attimo le guance ripresero colore. Mi voltai tremante verso fratello Hugh, che ciondolava agitato da un piede all'altro, torcendo le mani. «Oh, signori, commissario, ringrazio Iddio di essere arrivato al momento giusto.» Pronunciando il nome di Nostro Signore chinò la testa, imitato da
tutti i presenti. «Ve ne siamo grati, fratello. Però quei cani non dovrebbero trovarsi qui, potrebbero sbranare qualcuno.» «Ma signore, conoscono tutti quanti; si sono comportati a quel modo solo perché per loro siete degli estranei. L'abate ha detto di tenerli qui finché il tempo non cambia.» Mi asciugai il sudore dalla fronte. «Molto bene, fratello tesoriere. Siete voi il responsabile della lavanderia?» «Sissignore. Come posso esservi d'aiuto? L'abate ha detto di fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per assistervi. Ho saputo che qualcuno è affogato nel vivaio.» Gli occhi arrossati brillavano di curiosità. «Il priore farà un annuncio al proposito. Io sono qui per farvi una domanda, fratello. C'è un tavolo?» L'uomo ci condusse in un angolo della stanza, lontano dagli altri. Feci cenno a Mark di stendere la veste di fratello Gabriel, e indicai l'emblema cucito sul petto. «Fratello Gabriel mi ha riferito di aver perso questa tonaca un paio di settimane fa. Ve ne ricordate?» Confesso che sperai in una smentita, ma il religioso si affrettò ad annuire. «Sì, signore. L'abbiamo cercata ovunque. Il fratello economo non sopporta che le cose spariscano, per questa ragione io tengo un registro.» Scomparve nel vapore, ritornando con un libro mastro. «Vedete, signore, ho segnato l'arrivo dell'abito, e qui c'è la nota che ne certifica la scomparsa.» Esaminai la data. Tre giorni prima dell'uccisione di Singleton. «Dov'è stata ritrovata, mio signore?» chiese. «Non ha importanza. Chi avrebbe potuto avere l'opportunità di rubarla?» «Durante il giorno siamo pieni di lavoro, signore. E di notte questi locali sono chiusi a chiave, ma...» «Ebbene?» «Le chiavi dei locali sono andate perse. Può essere stata... be', una leggerezza del mio assistente.» Sorrise nervosamente, facendo correre una mano sulle cisti che aveva in viso. «Fratello Luke, vieni subito qui!» Mark e io ci guardammo, mentre un monaco alto e molto robusto sulla trentina ci raggiunse. Aveva i capelli rossi, lineamenti marcati e un'espressione burbera. «Sì, fratello?» «Da quando lavori qui hai già perso due mazzi di chiavi, non è così, Luke?»
«Mi sono scivolate di tasca», rispose imbronciato. «Cose che accadono agli sventati», concordai. «Quand'è stata l'ultima volta che avete perso una chiave?» «La passata estate.» «E prima d'allora? Da quanto tempo lavorate nella lavanderia?» «Quattro anni, signore. L'altra volta è stata un paio d'anni fa.» «Vi ringrazio, fratello Hugh. Vorrei scambiare due parole con fratello Luke in privato. Dove possiamo andare?» Fratello Luke si guardò attorno, ansioso, mentre il tesoriere, piuttosto seccato, ci condusse in un'anticamera dove i panni erano stesi ad asciugare. Quando il suo superiore si fu allontanato affrontai il giovane con voce severa. «Sapete che cos'è stato ritrovato nello stagno?» «Ho sentito parlare di un cadavere, signore.» «Il cadavere di una donna che noi riteniamo sia Orphan. Ci è stato riferito che voi la importunavate.» I suoi occhi si colmarono d'orrore, poi si gettò improvvisamente in ginocchio, afferrando l'orlo della mia veste con grosse dita arrossate. «Non sono stato io, signore. Mi sono soltanto divertito un po' con lei, nient'altro! E non sono stato il solo! Quella ragazza era una svergognata, mi tentava!» «Lasciatemi andare! E guardatemi negli occhi.» Il giovane sollevò lo sguardo, stando ancora in ginocchio. Mi chinai verso di lui. «Voglio la verità. Sulla vostra vita. È stata lei a tentarvi, o siete stato voi a molestarla?» «Lei... era una donna, signore. Il solo vederla era una tentazione! La sua immagine mi riempiva la testa, non facevo che pensare a lei. Satana l'ha messa sul mio cammino per tentarmi, ma mi sono confessato. Ho confessato i miei peccati!» «Non m'importa nulla delle vostre confessioni. L'avete molestata anche dopo che l'abate vi aveva messo in guardia, non è così? Fratello Guy ha dovuto lamentarsi di voi una seconda volta!» «Ma dopo quell'episodio non ho più fatto nulla! L'abate aveva minacciato di cacciarmi! Per il sangue di Nostro Signore, da quel momento l'ho lasciata in pace! Ve lo giuro!» «L'abate non ha passato la faccenda nelle mani del priore?» «No, il priore...»
«Ebbene? Forza, parlate.» «Lui... condivideva la mia stessa colpa, come pure fratello Edwig.» «Ah, sì? E ce n'erano altri? Chi ha reso la vita di quella ragazza tanto miserevole, poco prima della sua fine?» «Non lo so, signore. Lo giuro, lo giuro, dopo la minaccia dell'abate non mi sono più avvicinato all'infermeria. Madre Santissima...» «Madre Santissima!» sbottai. «Dubito che persino Lei sarebbe al sicuro dalle vostre grinfie, dovesse fare ritorno sulla terra. E ora andatevene, sparite dalla mia vista!» Il monaco balzò in piedi e fuggì nella lavanderia, sotto il mio sguardo torvo. «Lo avete spaventato a morte», disse Mark con un ghigno sardonico. «Non è difficile con quel genere di codardi. Il priore e l'economo, eh? Guarda, lì c'è una porta, possiamo uscire evitando i cani.» Tornati fuori, sentii delle voci alle mie spalle e mi voltai. «Per l'amor di Dio, che cosa c'è adesso?» Un piccolo drappello s'era assiepato a guardare una processione diretta verso la cancellata. Due monaci stavano portando una statua di san Donato in vesti romane, le mani giunte dinanzi a sé, un'espressione pia dipinta in volto. L'allampanata figura di fratello Jude, l'elemosiniere, la seguiva, portando una borsa di pelle. A chiudere la processione l'economo in persona, l'abito coperto da un manto invernale, le mani inguantate. Si dirigevano allo spiazzo sottostante la guardiola, dove Bugge era pronto ad aprire i cancelli. «Giorno d'elemosina», disse Mark. Raggiungemmo la cancellata che Bugge aveva già aperto. Al di fuori, la folla osservava immobile la statua trasportata dai monaci. Fratello Jude prese la borsa e parlò. «Osservate! L'immagine del nostro patrono, il pio e santissimo Donato, sacrificatosi agli infedeli! Nel nome della sua infinita benevolenza, vi viene fatto dono di questa elemosina. Pregate il santo per la remissione dei vostri peccati!» Assiepati nella neve c'era una cinquantina d'adulti, vecchie vedove, mendicanti e storpi, alcuni vestiti solo di poveri stracci, il volto violaceo per il freddo. Attorno alla paffuta figura di comare Stumpe, invece, erano raccolti dei bambini dal viso smunto. Malgrado il freddo, l'odore che si levava da quella moltitudine era spaventoso. Alle parole del religioso, quel
mare di miserabili, faticosamente giunto dal paese a un miglio di distanza, si chinò facendosi un segno della croce. Non appena giunsi al suo fianco, il monaco si zittì improvvisamente. «Che cosa state facendo?» sbottai. «Sto solo... solo distribuendo le elemosine, signore.» «Voi state domandando a queste povere anime di adorare un pezzo di legno.» Fratello Edwig ci raggiunse a passo svelto. «Soltanto in ricordo della bbontà del santo, commissario.» «Ha intimato loro esplicitamente di pregare quella statua! L'ho sentito con queste orecchie! Portatela via, subito!» I monaci abbassarono la statua e s'affrettarono a ricondurla in chiesa. Fratello Jude, profondamente scosso, fece segno perché fossero portate le ceste, suscitando l'ilarità dei presenti. L'elemosiniere parlò di nuovo, con voce agitata. «Venite avanti, ecco le vostre elemosine e qualcosa da mangiare.» «Non spingete», gridò Bugge mentre i bisognosi cominciavano a sfilare. A ciascuno venne data una monetina d'argento, la più misera del reame, e qualcosa presa dalle ceste: mele, pagnotte e sottilissime fette di pancetta. Fratello Edwig si mise al mio fianco. «Non vo-volevamo far nulla di male c-con la statua, signore. È un'antica cerimonia, non abbiamo ppensato alle sue implicazioni. Faremo subito ammenda.» «Sarà meglio per voi.» «D-distribuiamo le elemosine ogni mese. La regola lo p-prevede. È l'unico modo che questa gente ha di mangiare un po' di c-carne.» «Viste le vostre laute entrate, pensavo che i fondi per i poveri fossero più cospicui.» Un accesso d'improvvisa rabbia scurì il volto di fratello Edwig. «Quando Lord Cromwell vorrebbe accaparrarsi tutti i nostri beni per distribuirli fra i suoi sostenitori? Questa voi la chiamate carità?» Sputò quelle parole senza la minima esitazione, poi si voltò e si allontanò a passo svelto. La folla mi guardò incuriosita, mentre i monaci proseguivano a distribuire le loro miserie e la borsa dell'elemosiniere tintinnava, vuotandosi lentamente. Sospirai. La rabbia alla vista di quello spettacolo aveva fatto emergere il meglio di me, e ora tutti sapevano che c'era un commissario regio al monastero. Quello sfogo m'aveva prosciugato di tutte le energie, tuttavia raggiunsi comare Stumpe, ferma in attesa che si esaurisse la fila degli adulti. Nel vedermi, fece un inchino.
«Buon giorno, signore.» «Un momento, signora, ve ne prego.» Ci distanziammo dai bambini. Lei mi guardò incuriosita. «Vorrei mostravi questo, ditemi se lo riconoscete.» Di spalle alla folla, estrassi la catenina d'argento che il cadavere portava al collo. La donna l'afferrò con un grido. «Il ciondolo di san Cristoforo! L'ho regalato a Orphan quando è venuta qui! Allora l'avete trovata...» Vedendo la mia espressione, le parole le morirono sulle labbra. «Mi spiace», dissi con gentilezza. «Il suo cadavere è stato rinvenuto nel vivaio del monastero questa mattina.» Pensavo avrebbe pianto, e invece la vecchia si limitò a serrare i pugni. «Com'è morta?» «Aveva il collo spezzato. Mi rincresce.» «Avete trovato il responsabile? Chi è stato?» La voce rotta si fece un flebile stridio. I bambini si guardavano attorno, ansiosi. «Non qui, signora, vi supplico. La notizia non deve ancora trapelare. Troverò il colpevole, ve lo giuro.» «Vendicatela, in nome di Dio, vendicatela.» Con un nodo in gola, comare Stumpe cominciò a singhiozzare piano. Le posai una mano sulla spalla, gentilmente. «Non dite nulla, ancora. La notizia verrà annunciata dal giudice Copynger. Guardate, gli adulti hanno terminato. Fatevi forza.» L'ultima elemosina destinata agli adulti era stata data, e la gente s'era già messa in cammino per fare ritorno in città, una nera fila di figure cenciose, come corvi stagliati sulla neve. Comare Stumpe annuì, fece un respiro profondo e accompagnò i bambini al cancello. Ritornai alla guardiola, dove Mark m'attendeva. Temevo che la donna sarebbe potuta crollare, invece incoraggiò i bambini a farsi avanti con voce ferma. Fratello Edwig era scomparso. Capitolo ventidue Entrai nella chiesa buia con passo leggero, chiudendo piano il portone alle mie spalle. Il jubé era illuminato dalla luce delle candele, e alle orecchie mi giungevano le voci salmodianti dei monaci che intonavano un inno. La funzione serale dei vespri. Dopo aver lasciato comare Stumpe, avevo detto a Mark di andare dall'a-
bate a ordinargli di assicurarsi che fratello Gabriel non lasciasse il monastero e che venisse organizzata la pulizia della tomba di Singleton. Avevo anche disposto il dragaggio del vivaio per l'indomani mattina. Mark s'era mostrato riluttante a impartire ordini all'abate Fabian, ma io gli avevo detto che se intendeva farsi strada nel mondo, avrebbe dovuto abituarsi ad affrontare anche i potenti. Era uscito senza ulteriori commenti, i modi di nuovo distanti. Io ero rimasto in camera, avevo bisogno di riflettere in solitudine. Presi posto davanti al fuoco mentre fuori calava la sera. Stanco com'ero, però, mi sarei di certo addormentato al tepore crepitante delle fiamme, così mi alzai e andai a sciacquarmi il viso. La conferma del lavandaio che la tonaca di fratello Gabriel fosse stata rubata era stata per me una cocente delusione. Comunque, ero ancora convinto che il religioso nascondesse qualcosa. Le parole di Mark mi riaffiorarono alla mente: Gabriel non aveva nulla del brutale, barbaro assassino che avrebbe dovuto essere per commettere quegli omicidi. Barbaro, pensai; dove avevo già sentito quel termine? Ricordai; con quella parola comare Stumpe aveva etichettato il priore Mortimus. Le campane squarciarono l'aria con il loro fragore; i monaci sarebbero rimasti in chiesa per un'ora. Questo, pensai, mi dava l'opportunità di imitare i passi di Singleton, cosa che avrei dovuto fare già da tempo: perquisire l'ufficio contabile mentre fratello Edwig era assente. Nonostante la spossatezza e il peso dell'inquietudine, mi resi conto di sentirmi meglio, la mente più attiva. Presi un'altra dose della pozione di fratello Guy. Mi feci lentamente strada lungo la buia navata, invisibile ai religiosi che pregavano dietro il jubé. Accostai il viso a una delle finestrelle aperte nella pietra, create in modo da dare ai laici della congregazione uno squarcio sul fascinoso mistero della messa officiata dall'altro lato. Fratello Gabriel dirigeva il coro, apparentemente assorto nella musica. Non potei che ammirare la maestria con la quale accompagnava il canto dei confratelli, in un'altalenante e armonica melodia, mentre gli occhi si spostavano ora sulle mani del primo cantore, ora sugli spartiti posati sui leggii. L'abate era presente, il viso cupo alla luce delle candele. Rammentai il suo ultimo disperato sospiro: «Dissoluzione». Fra i monaci scorsi fratello Guy e, con mia grande sorpresa, Jerome al suo fianco, il candido abito certosino stagliato sulle nere vesti dei benedettini. Con tutta probabilità gli permettevano di seguire le funzioni religiose. Mentre li osservavo, fratello Guy si chinò sul leggio e voltò una pagina per
il certosino storpio. Gli sorrise, e fratello Jerome lo ringraziò con un cenno del capo. Mi resi conto che fratello Guy, con la sua devota austerità, poteva essere uno dei pochi a Scarnsea a godere dell'approvazione di Jerome. Erano forse amici? Non mi era parso quando avevo assistito alla medicazione delle sue ferite. Posai lo sguardo sul priore Mortimus, e notai che non stava cantando, lo sguardo fisso davanti a sé. Ricordai che la vista del cadavere della povera fanciulla lo aveva colmato d'orrore e di rabbia. Fratello Edwig, al contrario, cantava a pieni polmoni, affiancato da fratello Athelstan e dall'altro vecchio assistente. «Quale di loro?» sussurrai fra me e me. «Quale di loro? Signore, guida la mia povera mente.» Non percepii alcuna ispirata risposta. Talvolta, in quei giorni di disperazione, mi sembrava che Dio non ascoltasse le mie preghiere. «Ti prego, fa' che non si compiano altri delitti», supplicai a bassa voce prima di uscire. Il cortile del chiostro era deserto. Infilai la chiave contrassegnata dalla dicitura TESORERIA nella serratura dell'ufficio contabile. Il freddo umido di quel locale mi diede i brividi, tanto che mi strinsi nel mantello. Tutto pareva in ordine: le scrivanie, gli scaffali lungo le pareti, il forziere appoggiato contro il muro di fronte. Una candela era accesa sul tavolo, la presi e mi diressi verso il baule. Ne cercai la chiave e lo aprii. L'interno era suddiviso in scomparti pieni di borse, ciascuna con il taglio delle monete contenute e il loro ammontare riportato su cartellini. Presi la sacca contenente le monete d'oro, angeli, mezzi angeli e i noble. Ne aprii un paio a caso e ne contai le monete, verificando il totale segnato sulla targhetta. Tutto tornava, e le cifre registrate nel forziere coincidevano con il totale dei conteggi. Richiusi il baule. Una somma ingente, pari a quanto avrei trovato in qualsiasi ufficio contabile d'Inghilterra, ma assai più sicura, perché penetrare in un monastero era più difficile che forzare la camera blindata d'una bottega. Presi la candela e aprii la porta che dava sulle scale. Giunto in cima, mi fermai. L'ufficio contabile era un po' più alto degli altri edifici, e durante il giorno dalla finestra sulle scale era possibile vedere il chiostro, il vivaio ittico e oltre, fino alla palude. Mi chiesi se la mano del buon ladrone potesse giacere sul fondo dello stagno; lo avrei scoperto l'indomani mattina. Entrai del sancta sanctorum dell'economo. Posai la candela sullo scrittoio e cominciai a spulciare alcuni dei libri mastri accatastati lungo le pareti di quella claustrofobica stanza priva di finestre; erano resoconti di gestione
ordinaria, risalenti a molti anni addietro. La scrivania era ordinarissima, carte e calamai disposti con geometrico rigore. Fratello Edwig pareva ossessionato da una maniacale precisione. Lo scrittoio aveva due capienti cassetti. Provai chiave dopo chiave, finché trovai quella che li apriva. Il primo conteneva un paio di testi latini. Li presi: la Summa contra gentiles e la Stimma theologiae di Tommaso d'Aquino. Li osservai con disgusto; dunque fratello Edwig aveva un debole per l'antica scolastica ormai screditata del santo italiano. Come se fosse possibile provare l'esistenza di Dio con la logica, quando solo nella fede si trovano le risposte. Ma capivo bene come la sua mente arida potesse sentirsi attratta dagli sterili sillogismi dell'aquinate. Riposi i libri e aprii il secondo cassetto, che ospitava una pila di libri mastri. Sorrisi sardonico: tutti con la copertina blu. «Grazie, Alice», mormorai. Tre dei quattro registri erano come quello che l'economo mi aveva dato, zeppi di conti e annotazioni degli anni passati. Avevano tutti la copertina macchiata di vino, e con mia somma delusione contenevano solo altri scarabocchi. Ne rigirai uno tra le mani, guardando le macchie. Fratello Edwig doveva aver bevuto del vino quel giorno, rovesciandolo sui testi. Chissà quale disappunto nel vedere gli intonsi frutti del suo operato ridotti a quel modo. L'ultimo dei libri mastri, quello dalla copertina immacolata, conteneva le registrazioni delle vendite dei terreni fatte negli ultimi cinque anni. Il cuore prese a battermi forte in petto, il corpo carico d'un improvviso eccitamento. Lo posai sulla scrivania e presi la candela con mano tremante, dando un colpo di tosse per il fumo che si era sollevato dallo stoppino. Dettagli degli appezzamenti venduti, nomi dei compratori, prezzi e date. Esaminai il più recente. A quanto pareva l'anno precedente si erano concluse quattro grosse vendite che non erano state registrate sui registri contabili del monastero. Ammontavano a un totale di quasi mille sterline, una somma enorme. Una di queste transazioni, la più cospicua, era stata fatta con un parente di Jerome. Ecco in che cosa doveva essere incappato Singleton, pensai con soddisfazione. Riflettei un istante, poi presi carta e calamaio e copiai rapidamente l'ammontare delle entrate. Copynger avrebbe potuto confermarmi la reale conclusione delle vendite. Non avrei più accettato le fandonie e i temporeggiamenti di fratello Edwig; questa volta lo avrei messo spalle al muro. Riposi i libri e feci silenziosamente avanti e indietro per la stanza, riflettendo. Il priore - ma anche l'abate, in quanto custode del sigillo monacale che autenticava gli atti di compravendita - erano forse coinvolti entrambi
in atti fraudolenti? Sapevano di certo che se il monastero avesse accettato la resa e fossero giunti gli ufficiali delle Aumentazioni, i loro misfatti sarebbero stati smascherati. O forse fratello Edwig era riuscito a mettere le mani sul sigillo all'insaputa dell'abate? Sarebbe stato facile. E dov'era finito il denaro? I proventi di quelle vendite costituivano un'altra miniera d'oro. Rimasi a guardare le coste dei vecchi registri allineati lungo le pareti, meditabondo. Poi qualcosa attrasse il mio sguardo. La fiamma della candela vacillava. Mi resi conto che c'era corrente nella stanza; la porta alle mie spalle era stata aperta. Mi voltai lentamente. Fratello Edwig era sulla soglia, e mi fissava. Lanciò una rapida occhiata allo scrittoio, che ero lieto d'avere richiuso. Poi giunse le mani e parlò. «Non avevo idea che foste qui, c-commissario. Mi avete messo paura.» «Sono sorpreso che non abbiate urlato.» «Lo stupore è stato t-troppo grande.» «La mia carica mi garantisce accesso illimitato, lo sapete. Ho deciso di venire a controllare alcuni dei vostri registri. M'ero appena messo all'opera.» M'aveva forse visto alla scrivania? No, altrimenti mi sarei accorto prima della corrente d'aria. «Temo stiate solo p-perdendo il vostro tempo con vecchi resoconti.» «Me ne sono accorto.» «Sono felice d'avervi incontrato, signore», disse con il consueto sorrisetto privo d'allegria. «Volevo domandarvi p-perdono per il mio sfogo di questa mattina. Mi sono irritato per l'interruzione della cerimonia. Spero sinceramente che non vorrete tener c-conto di parole dette in un momento di rabbia sconsiderata.» Riposi il registro, inclinando il capo di lato. «So che molti la pensano come voi, anche se non osano ammetterlo. Ma siete in torto. Il denaro che entra nelle casse dello Scacchiere viene usato dal sovrano a beneficio della comunità.» «Davvero, signore?» «Ne dubitate forse?» «In quest'epoca consumata dall'avidità? Non si dice forse che la ccupidigia non è mai stata tanto combattuta, né tanto potente? Gli amici del sovrano premeranno per la sua b-benevolenza. E chi può fare i conti in tasca a un re?» «Dio. Dio ha posto le ricchezze della sua gente nelle mani del sovrano.» «Ma i sovrani hanno altre p-priorità», disse fratello Edwig. «Vi prego di
non fraintendermi, non è mia intenzione c-criticare re Enrico.» «Non sarebbe affatto saggio.» «Parlo in generale. Molti di loro amano sperperare d-denaro. Ho visto con questi miei occhi quanto ne viene sprecato per gli eserciti, p-per esempio.» Gli occhi del religioso brillavano d'una luce insolita per lui, un'urgenza a parlare che lo rendeva più umano. «Davvero?» lo incoraggiai. «Quand'è accaduto, fratello?» «Mio padre era ufficiale p-pagatore, signore. Ho trascorso l'infanzia al seguito dell'esercito, e ne ho imparato l'arte. Vent'anni fa ho c-combattuto contro la Francia nell'esercito di re Enrico.» «Quando gli spagnoli lo hanno ingannato, promettendo di sostenerlo per poi abbandonarlo a se stesso?» Annuì. «Tutto in nome della g-gloria e della conquista. Ho visto gli eserciti razziare la Francia, ho p-passato l'infanzia in mezzo a file di soldati morti, corpi in putrefazione, prigionieri impiccati. Ho anche preso p-parte all'assedio di Therouanne, signore.» «La guerra è una cosa terribile», concordai. «Per quanto molti la ritengano una nobile arte.» Annuì con vigore. «E i preti erano sempre in mezzo ai feriti, impartendo l'estrema unzione e cercando di ricucire ciò che l'uomo aveva d-dilaniato. Fu allora che decisi di p-prendere i voti, per mettere il mestiere che avevo appreso da mio padre a servizio della Chiesa.» Mi fece un altro sorriso, un sorriso nel quale intravidi un barlume di vita, ma che era anche colmo di sarcasmo. «Ho la fama di essere un uomo malvagio, non è c-così?» Mi strinsi nelle spalle. «A parer mio, ogni moneta assicurata alla C-Chiesa è una moneta data a Dio, invece che al mondo dei peccatori. Riuscite a comprendere? Serve a sostenere la p-preghiera e la carità. I poveri non p-posseggono nulla, fuorché le nostre elemosine. Dobbiamo distribuirle, ce lo impone la nostra fede.» «Mentre per i re è una scelta, scelta che possono decidere di non prendere?» «Esatto. Come il compenso che riceviamo per recitare le messe per i ddefunti, signore. È una cosa buona agli occhi di Dio, aiuta le anime del purgatorio e dà merito a chi le ha d-domandate.» «Ancora il purgatorio. Ma ci credete davvero?» Annuì vigorosamente. «Esiste eccome, signore, e negandolo ci esponia-
mo al rischio di infinite sofferenze. E non ha forse senso, che Dio soppesi i nostri meriti e i nostri peccati, proprio come io faccio con i miei conti?» «Dunque il Signore Iddio sarebbe un capace contabile?» Annuì. «Il più capace. Il purgatorio esiste davvero, si trova sotto i nostri piedi. Non avete dunque sentito parlare dei grandi vulcani in Italia, dove le fiamme del purgatorio eruttano fin sulla terra?» «E voi lo temete?» Annuì con un lento cenno del capo. «Credo che dovremmo temerlo tutti.» Si fermò, ricomponendosi e scrutandomi in viso. «Perdonatemi, ma i Dieci articoli non negano l'esistenza del p-purgatorio.» «No, infatti. Ciò che avete detto non è proibito. Ed è assai interessante. Ma non stavate anche suggerendo che il comportamento del sovrano, in quanto capo della Chiesa, fosse irresponsabile?» «Ve l'ho detto, signore, io p-parlavo in generale, e ho parlato della Chiesa, non del papa. Con il dovuto rispetto, le mie v-vedute non sono eretiche.» «Avete ragione. E ora ditemi: data la vostra esperienza nell'esercito, sapreste usare una spada?» «Com'è stato fatto per uccidere il commissario Singleton?» Sollevai un sopracciglio. «L'ho dedotto da quanto ho sentito sull'aspetto del c-cadavere, di ritorno dal mio viaggio. Ho visto molti uomini decapitati da ragazzo. Ma ho rinnegato quel mondo, una volta d-diventato adulto. Ho visto spargere fin troppo sangue in vita mia.» «La vita d'un monaco ha i suoi aspetti negativi, però, non è così? Il voto di castità, per esempio, deve essere assai duro da rispettare.» La sua compostezza vacillò. «C-che cosa intendete?» «Oltre all'omicidio del commissario, mi trovo a dover indagare sulla morte d'una giovane fanciulla.» Gli dissi del cadavere rinvenuto nello stagno. «È stato fatto il vostro nome, fra quelli dei suoi molestatori.» Il religioso si sedette allo scrittoio, chinando il capo in modo da nascondere l'espressione del volto. «La castità è assai dura», disse pacato. «Non p-pensiate ch'io goda degli istinti che mi pervadono, come fanno altri. Odio quelle demoniache passioni. Intaccano l'edificio di un'esistenza cconsacrata a Dio, costruita al prezzo d'innumerevoli sforzi. Lo ammetto, signore, ho d-desiderato quella ragazza. Ma sono un uomo timido: ogni volta che lei mi respingeva con d-dure parole io me ne andavo. Ma tornavo sempre. Lei pareva tentarmi, come la b-bramosia della gloria tenta gli uo-
mini alla guerra.» «È stata lei a tentare voi?» «Non poteva fare altrimenti. Era una donna, e che cosa fanno le d-donne se non tentare gli uomini?» Fece un respiro profondo. «Si è tolta la vita?» «No. Qualcuno le ha spezzato il collo.» L'uomo scosse il capo. «Non sarebbe mai d-dovuta venire qui. Le donne sono strumenti del d-demonio.» «Fratello Edwig», dissi pacato. «Voi potete pure definirvi timido, ma io credo che siate l'uomo più spietato del monastero. E ora vi lascio, avrete di certo del lavoro da sbrigare.» Rimasi un istante sul pianerottolo, per riordinare i miei pensieri. Mi ero convinto che Gabriel fosse l'assassino e che avesse ucciso in preda a violente passioni. Ma se il registro che avevo trovato era quello scoperto da Singleton, allora fratello Edwig aveva un valido movente per desiderare la morte del mio predecessore. Però, pur restando colpevole di frode, la notte dell'omicidio non si trovava al monastero. Feci per scendere al piano di sotto, quando una luce proveniente dalla palude attirò il mio sguardo. Due bagliori gialli, lontani, all'orizzonte. Improvvisamente ricordai d'aver incontrato fratello Edwig il giorno in cui avevo ispezionato l'acquitrino. E se si desiderava portar via del denaro, a chi rivolgersi se non a degli esperti contrabbandieri? Ripresi fiato e mi precipitai in infermeria. Alice sedeva nella cucina, intenta a pulire delle erbe. Mi guardò per un istante con freddezza, poi si costrinse a sorridermi. «State preparando una delle pozioni di fratello Guy?» «Sì, signore.» «Mastro Poer ha fatto ritorno?» «È nella vostra stanza, signore.» La distaccata ostilità dei suoi modi mi rattristò. Mark, dunque, doveva averle riferito ciò che gli avevo detto. «Sono stato nell'ufficio contabile. Ho scorto delle luci nella palude da una finestra sulle scale. Mi domandavo se i contrabbandieri potessero essersi rimessi all'opera.» «Non saprei, signore.» «Avete detto a mastro Mark che ci avreste mostrato i sentieri attraverso l'acquitrino.»
«Certo, signore», disse con voce cauta. «Sono molto ansioso di vederli. Potreste accompagnarmici domani?» Esitò. «Ho delle faccende da sbrigare per conto di fratello Guy, signore.» «E se gli parlassi io?» «Come desiderate.» «E... ci sono un paio di questioni di cui vorrei discutere con voi, Alice. Io vorrei esservi amico, lo sapete, no?» Distolse lo sguardo. «Se fratello Guy dirà che devo accompagnarvi, lo farò.» «Allora andrò a domandarglielo», risposi con la stessa freddezza. Ritornai nella mia stanza, ferito e arrabbiato. Entrai, e vi trovai Mark che guardava tristemente fuori della finestra. «Ho chiesto ad Alice di mostrarmi le piste attraverso la palude», dissi senza preliminari. «Ho appena intravisto delle luci all'orizzonte. Deduco dal suo comportamento che tu le abbia riferito il mio ordine di lasciarla in pace.» «Le ho riferito che trovate sconveniente che ci frequentiamo.» Tolsi il mantello e mi lasciai cadere sulla sedia. «Infatti, è così», confermai. «Hai impartito i miei ordini all'abate?» «La tomba del commissario Singleton sarà ripulita domattina, e il vivaio verrà prosciugato.» «Vorrei che seguissi tu queste operazioni. Io andrò alla palude con Alice, da solo. E prima che tu dica qualcosa di cui potresti pentirti, le ho domandato di accompagnarmi perché penso che quei contrabbandieri possano avere a che fare con le nostre investigazioni. In seguito andrò in città, da Copynger.» Gli raccontai quanto avevo scoperto nel gabinetto di fratello Edwig. «Desidererei tanto trovarmi fra gente normale», disse evitando il mio sguardo. «Qui dentro non incontriamo altro che ladri e canaglie.» «Hai riflettuto su quanto ci siamo detti circa il tuo avvenire a Londra?» «No, signore.» Si strinse nelle spalle. «Anche là è pieno di ladri e canaglie.» «Allora potresti andare a vivere sopra un albero, fra gli uccelli, così non verresti contaminato dal mondo che ti circonda», dissi brusco. «Prenderò un'altra dose della pozione di fratello Guy e farò un sonnellino fino all'ora di cena. È stata la giornata più lunga e faticosa della mia vita.»
Capitolo ventitré In refettorio, quella sera, regnava un'atmosfera alquanto mesta. L'abate aveva chiesto d'osservare il silenzio durante il pasto, invitando la congregazione a pregare per l'anima della sconosciuta il cui corpo era stato rinvenuto nel vivaio. I monaci parevano tesi e preoccupati, e mi rivolgevano occhiate colme di paura. Era come se la dissoluzione menzionata dall'abate avesse già cominciato a permeare l'intero monastero. Mark e io tornammo in infermeria in silenzio. Da quando gli avevo vietato di corteggiare Alice, i modi del mio giovane assistente erano tornati a farsi distaccati. Giunti nella nostra stanza, mi lasciai cadere sulla poltrona, mentre Mark andò a mettere nuova legna nel camino. Gli avevo raccontato del mio incontro con fratello Edwig, e continuavo a ripensarci. «Se Copynger prenderà a indagare subito sulla faccenda, avremo una risposta per dopodomani. Se anche solo una di quelle vendite sarà confermata, potremo formalmente accusare fratello Edwig di frode. Un movente molto valido per un omicidio.» Mark si sedette sui cuscini di fronte al mio sedile, il volto acceso d'interesse. Nonostante i nostri disaccordi, era bramoso quanto me di mettere le mani sul colpevole. Volli ancora una volta servirmi della sua mente vivace per riordinare le idee, e fui lieto di sentirlo parlare con ritrovato entusiasmo. «Torniamo sempre al fatto che fratello Edwig non si trovava al monastero quella notte, signore. E non c'era neppure quando Singleton riuscì a sottrarre il registro dal suo ufficio.» «Lo so. Solo Athelstan ne era a conoscenza e, a quanto pare, non ne ha fatto parola ad anima viva.» «L'omicida potrebbe essere, allora, proprio Athelstan?» «Quel ragazzo ti sembra capace di mozzare la testa di un uomo, anzi, di un commissario regio? No. Ricordi con quanto terrore mi ha avvicinato per offrirmi i suoi servigi? Non avrebbe il coraggio di far del male a una mosca.» «Non potrebbe trattarsi di una reazione emotiva scaturita proprio dalla sua personalità?» commentò Mark con una nota di sarcasmo. «Va bene. Forse con fratello Gabriel mi sono lasciato trascinare. Eppure tutto pareva combaciare alla perfezione. Tuttavia, nel formulare un giudizio dobbiamo anche tenere conto del carattere di una persona, e Athelstan è visibilmente debole.»
«Comunque, perché dovrebbe importargli se fratello Edwig finisce sulla forca o se il monastero chiude? Non mi sembra animato da una grande devozione.» «Già. E poi c'è il problema della spada. Vorrei tanto capire da dove viene. A Londra potrei facilmente risalire al fabbro che l'ha forgiata, grazie al marchio sulla lama. Potrei rivolgermi alla gilda dei fabbri ferrai. Ma la neve ci ha intrappolati in questo luogo sperduto.» «Signore, e se Singleton avesse raccontato a qualcuno della sua scoperta, e questi avesse deciso di ucciderlo? L'abate, forse. Del resto, quei documenti avevano il suo sigillo.» «Già. Sigillo che però lui lascia incustodito sulla scrivania, dove chiunque potrebbe prenderlo in sua assenza.» «Il priore Mortimus, allora? È un uomo abbastanza spietato per poter commettere un omicidio, no? E non ci è stato forse detto che il monastero è nelle sue mani e in quelle di fratello Edwig?» «Quei due complici in un atto criminoso? Chissà. Devo avere la risposta di Copynger.» Sospirai. «Quant'è che siamo partiti da Londra? Una settimana? Mi sembra una vita.» «Soltanto sei giorni.» «Vorrei tanto poter tornare. Ma con questa neve ci vorrebbero giorni anche solo per inviare un messaggio. Maledizione, dovrà pur smettere, presto o tardi.» «Speriamo.» Poco dopo, Mark si sistemò sulla sua branda. Io rimasi seduto a fissare la legna ardente. Attraverso le finestre che si stavano nuovamente ricoprendo d'un sottile strato di ghiaccio, udii le campane annunciare la compieta. Nonostante tutto quel che era accaduto, nonostante l'incubo che incombeva sul monastero, le funzioni venivano ancora officiate regolarmente. Pensai a Lord Cromwell che a Londra attendeva una mia risposta. Avrei dovuto cercare di inviargli un messaggio il più presto possibile, fosse anche solo per comunicargli che non avevo ancora delle risposte ma due omicidi in più sui quali indagare. Davanti agli occhi mi apparve il suo viso incollerito, nelle orecchie le sue imprecazioni, il suo interrogarsi sulla mia lealtà. Ma se Copynger avesse confermato le vendite dei terreni, avrei potuto far arrestare fratello Edwig per frode. Già mi vedevo interrogarlo nella prigione di Scarnsea, ammanettato in una cella buia, e trovai quel pensiero
piacevole. Però subito ne fui disturbato, comprendendo come il disprezzo che provavo nei suoi confronti e la prospettiva di poter esercitare la mia autorità su di lui avessero evocato nella mia mente cattivi pensieri. Fui pervaso dal senso di colpa e mi ritrovai a riflettere su Mark e Alice. Quanta sincerità c'era nelle mie motivazioni riguardo ai due giovani? Tutto ciò che avevo detto a Mark circa la differenza di classe e l'obbligo nei confronti della sua famiglia d'impegnarsi per raggiungere una posizione di successo nella vita era vero. Eppure sapevo che il tarlo della gelosia si era insinuato nella mia mente. Li rividi abbracciati in cucina e chiusi subito gli occhi, quando un'altra visione si fece strada prepotente: Alice che abbracciava me al posto di Mark. L'indomani mattina mi svegliai più riposato di quanto non fossi mai stato nel corso di quella settimana. La prescrizione di fratello Guy mi aveva dato un gran sollievo. Dopo colazione scrissi una lettera al giudice Copynger e la consegnai a Mark. «Portala a Scarnsea immediatamente, con la richiesta di rispondermi entro domani.» «Credevo voleste incontrare il giudice di persona.» «Voglio andare alla palude, finché il tempo regge.» Alzai lo sguardo al cielo, che si era nuovamente rannuvolato. «Comunica all'abate che la pulizia della tomba di Singleton potrà iniziare al tuo ritorno. È stato organizzato lo svuotamento del vivaio ittico?» «È possibile deviare il fiume in un canale di scolo. A quanto pare i monaci rimuovono il fango dal laghetto ogni dieci anni.» «Quand'è stata l'ultima volta?» «Tre anni fa.» «Dunque il cadavere sarebbe potuto rimanere là sotto per molti anni ancora. Ma non per sempre.» «Forse l'assassino ha dovuto sbarazzarsene in fretta.» «Già. E, comunque, aspettiamo di vedere il vivaio, prima di fare altre considerazioni. Una giornata densa d'impegni la tua», aggiunsi nel tentativo di rompere il ghiaccio. Quel tentativo, però, parve farlo chiudere ancor più in se stesso. «Sì, signore», disse pacato, e uscì dalla stanza. Diedi una scorsa all'ennesimo fascio di corrispondenza che l'abate mi aveva recapitato, poi andai a cercare Alice. Mi sentivo nervoso ed eccitato al pensiero di vederla, proprio come un ragazzino. Fratello Guy mi disse
che era in lavanderia a stendere il bucato, e nell'attesa uscii in cortile per vedere com'era il tempo. Le nubi erano alte, e mi fecero sperare in una tregua. Fui strappato dalla contemplazione del cielo da alcune voci concitate. Vicino alla guardiola due persone stavano lottando. Una era vestita di nero, l'altra in bianco. Mi precipitai verso di loro. Jerome era in balia del priore Mortimus, che lo stringeva con presa sicura, mentre tentava di afferrare una carta che il vecchio certosino stringeva in mano. Nonostante la sua infermità, Jerome si difendeva con ardore. Lì accanto, Bugge teneva un bimbetto scalpitante per il collo della camicia. «Dammelo, bastardo!» ringhiò il priore. Jerome cercò di ficcarsi il foglio in bocca ma l'altro gli fece uno sgambetto che lo fece cadere di schiena nella neve. Il religioso si chinò, gli strappò la carta di mano e si rialzò, il respiro affannato. «Che cosa sta succedendo?» tuonai. Prima che il priore potesse rispondere, Jerome si rimise faticosamente in piedi e gli sputò addosso. Il priore fece un verso disgustato e gli sferrò un improvviso calcio. Il vecchio cadde con un lamento, e s'accasciò dolorante nella neve smossa. Il priore Mortimus agitò nell'aria una lettera. «Guardate, commissario, stava cercando di spedire questa di nascosto!» Presi la missiva e ne lessi l'intestazione. «È indirizzata a Sir Thomas Seymour!» «Non è forse un membro del consiglio regio?» «Esatto, ed è il fratello della defunta regina.» Lanciai uno sguardo a Jerome che, ancora a terra, ci guardava con occhi colmi di disprezzo, come una belva catturata. Poi aprii la lettera. Quel che vi lessi mi fece accapponare la pelle. Si rivolgeva a Seymour chiamandolo cugino, si definiva prigioniero in una casa di corruzione nella quale un commissario regio era stato ucciso, e diceva di doverlo informare circa alcune malefatte perpetrate da Lord Cromwell. Poi raccontava nuovamente del suo incontro in prigione con Mark Smeaton e delle torture che Cromwell aveva inflitto al giovane musico. Mi trovo ora confinato qui da un altro dei commissari di Cromwell, un gobbo dallo sguardo bieco. Vi scrivo questa lettera nella speranza che potrete usarla contro Cromwell, il braccio destro del demonio. Il popolo lo odia e lo odierà ancor più quando questa storia sarà resa pubblica.
Strinsi il foglio in pugno. «Come ha fatto a uscire dalla sua stanza?» «È scomparso dopo la prima, e sono venuto a cercarlo. Nel frattempo il buon vecchio Bugge ha ricevuto la visita di questo ragazzino dell'ospizio, che gli ha detto di dover ritirare qualcosa da uno dei monaci. Bugge si è subito insospettito e non gli ha permesso d'entrare.» Il guardiano annuì soddisfatto, sempre bloccando il bambino con presa sicura. Il piccolo aveva rinunciato alla lotta, e fissava Jerome, disteso nella neve, con occhi colmi di terrore. «Chi ti ha mandato?» gli chiesi. «È venuto un servitore con un biglietto», disse con voce tremula. «C'era scritto che dovevo venire a prendere una lettera da spedire a Londra.» «Addosso gli ho trovato questo», disse Bugge. Aprì la mano libera e mostrò un anello d'oro. «È vostro?» chiesi a Jerome. L'uomo voltò il capo. «Quale servitore, ragazzo? Rispondi, ti sei già cacciato in guai seri.» «Il signor Grindstaff, eccellenza, che lavora in cucina. L'anello serviva per pagare me e la diligenza postale.» «Grindstaff!» sbottò il priore. «Porta i pasti a Jerome, e si è sempre opposto alle nuove ingiunzioni. Lo caccerò questa sera stessa... a meno che voi non vogliate applicare misure più severe, commissario.» Scossi il capo. «Assicuratevi che fratello Jerome rimanga chiuso nella sua cella. Non dovreste permettergli di uscire nemmeno per le funzioni, avete visto che cosa ha combinato!» Mi rivolsi a Bugge. «Lasciate andare il ragazzo.» Bugge lo spinse al cancello e lo buttò in strada con una spinta. «Alzati, tu», gridò il priore a Jerome. Il vecchio provò a rimettersi in piedi, ma perse l'equilibrio e cadde nuovamente. «Non ci riesco, barbaro incivile.» «Aiutatelo», ordinai a Bugge. «Rinchiudetelo nella sua cella.» Il guardiano alzò Jerome di forza e lo trascinò via in malo modo. «Cromwell ha molti nemici!» mi gridò Jerome mentre veniva allontanato. «Giustizia sarà fatta!» Mi rivolsi al priore. «C'è un posto dove possiamo parlare?» Mi condusse attraverso il chiostro interno, fino a una stanza riscaldata dal crepitante tepore delle fiamme. Una caraffa di vino era posata su uno scrittoio disseminato di carte, e il priore ne versò due coppe. «È la prima volta che Jerome trova modo di scomparire dopo una fun-
zione?» «Sì. È sempre sotto stretta sorveglianza.» «Esiste la possibilità che sia riuscito a inviare una lettera prima d'oggi?» «Non da quando è stato confinato, il giorno del vostro arrivo. Ma prima d'allora... potrebbe averlo fatto.» Annuii, mordicchiandomi un'unghia. «D'ora in avanti, la sorveglianza dovrà essere rafforzata. Questa lettera costituisce un fatto grave. Lord Cromwell dovrebbe esserne avvisato all'istante.» Mi guardò con occhi calcolatori. «Non potreste riferire anche a Lord Cromwell che un monaco fedele al sovrano ha impedito la spedizione della missiva?» «Vedremo», risposi freddamente. «C'è un'altra questione di cui vorrei discutere con voi. Orphan Stonegarden.» Annuì lento. «Già, ho saputo che vi siete informato sul suo conto.» «Ebbene? È stato fatto il vostro nome.» Si strinse nelle spalle. «Anche i vecchi celibatari sono fatti di carne. Era una bella ragazza, e ho provato a sedurla. Non lo nego.» «Voi siete il responsabile della disciplina di questa casa, e giusto ieri mi avete detto che la disciplina è l'unico mezzo che il mondo possiede per non soccombere al caos.» L'uomo si spostò sulla sedia, nervoso. «Un piccolo incidente con una servetta non è paragonabile alle passioni innaturali che contaminano i rapporti fra monaci», commentò pungente. «Non sono perfetto, nessuno lo è a eccezione dei santi, e anche fra loro ci sono delle eccezioni.» «Alcuni vi crederebbero un ipocrita, priore Mortimus.» «Oh, suvvia, commissario, non lo sono forse tutti gli uomini? Non intendevo farle del male e lei, comunque, mi ha subito rifiutato, ma quel pederasta di fratello Alexander non ha esitato a fare rapporto all'abate. Mi è spiaciuto per lei, in seguito», aggiunse in tono più pacato. «Vagava per il monastero come un fantasma. Io non le ho più rivolto la parola.» «Sapete se qualcuno l'ha posseduta con la forza? Comare Stumpe pare esserne convinta.» «No.» Il suo viso s'adombrò. «Non lo avrei mai tollerato.» Sospirò sonoramente. «È stato orribile vederla ieri. L'ho riconosciuta all'istante.» «Anche comare Stumpe.» Mi misi a braccia conserte. «Fratello priore, i vostri nobili sentimenti mi stupiscono alquanto. Soprattutto ora che vi ho visto prendere a calci uno storpio.» «Le responsabilità che gli uomini hanno sulla terra sono assai gravose, e
quelle d'un monaco lo sono ancor di più. I religiosi hanno degli obblighi verso Dio e tentazioni cui resistere.» «Anche Alice è stata oggetto delle vostre attenzioni, ho saputo.» Rimase in silenzio un istante. «Non sono stato rude con lei, sapete? Orphan, intendo. Quando mi ha respinto, io non ho insistito.» «Altri lo hanno fatto, però. Fratello Luke, per esempio.» M'interruppi. «E fratello Edwig.» «Già. Fratello Alexander fece rapporto anche a loro, mentre la natura dei suoi peccati, ben più gravi dei nostri, non era ancora stata scoperta», aggiunse maligno. «L'abate parlò con fratello Luke e fratello Edwig, e ordinò loro di lasciare in pace la ragazza. Come fece con me. Non capita spesso che mi dia degli ordini, ma in quell'occasione lo fece.» «Mi è stato riferito, in effetti, che la direzione di questo luogo è posta interamente nelle vostre mani e in quelle di fratello Edwig.» «Qualcuno deve pur occuparsene, visto che l'abate Fabian pare più interessato alle battute di caccia con la nobiltà locale. Noi ci occupiamo delle noiose incombenze necessarie al buon funzionamento del monastero.» Mi domandai se fosse il caso di accennare alle vendite dei terreni per vedere come avrebbe reagito. Ma no, pensai, non avrei dovuto mettere loro la pulce nell'orecchio finché non fossi stato in possesso di prove certe. «Non ho mai creduto che avesse rubato quelle coppe e fosse fuggita, sapete?» disse in tono pacato. «Ma è quanto avete detto a comare Stumpe.» «L'abate Fabian c'impose di attenerci a quella versione, fu molto fermo in proposito. Spero troverete chi l'ha gettata là sotto», aggiunse tetro. «E quando l'avrete trovato, non mi spiacerebbe passare cinque minuti solo con lui.» Lo fissai in viso, un viso colmo di giusta indignazione. «Ne sono certo», dissi freddo. «E ora vogliate scusarmi, sono atteso e s'è fatto tardi.» Alice mi attendeva nella cucina dell'infermeria, un paio di grosse soprascarpe ai piedi e una vecchia mantella di lana sul tavolo. «Avrete bisogno di qualcosa di più caldo», dissi. «Farà un gran freddo là fuori.» «Basterà», mi rispose avvolgendosela attorno alle spalle. «Era di mia madre, e l'ha riscaldata per trenta lunghi inverni.» Ci dirigemmo al cancello sul retro del monastero, seguendo il sentiero che Mark e io avevamo percorso il giorno avanti. Non lo avevo notato prima, ma lei era di un buon pollice più alta di me. Molti uomini lo erano,
a causa della mia schiena ricurva, ma ero abituato a guardare una donna negli occhi. Cercai di capire che cosa, in Alice, potesse aver attratto sia Mark sia me, perché la sua non era certo una bellezza convenzionale, così pallida e schiva. Del resto le bellezze bionde e svampite non mi avevano mai attratto; era il luccichio nello sguardo d'uno spirito forte che aspiravo a trovare. Nel comprenderlo, il cuore prese a battermi forte in petto. Passammo oltre la tomba di Singleton, che ancora si stagliava bruna sulla candida neve. Alice era silenziosa e distante proprio come lo era stato Mark. Trovarmi nuovamente di fronte a una simile taciturna insolenza m'irritò, poi riflettei che, del resto, i modi di esprimere scontento nei confronti di chi detiene il potere sono limitati. Attraversando il frutteto, dove uno stormo di corvi affamati gracchiava appollaiato sugli alberi spogli, provai a intavolare una conversazione. Le chiesi com'era stato per lei trascorrere l'infanzia nella palude. «Nella casa accanto alla nostra vivevano due bambini. Due fratelli, Noel e James. Giocavamo insieme. La loro era una famiglia di pescatori da generazioni; conoscevano tutti i sentieri nella palude, tutti gli appigli per restare saldamente con i piedi per terra. Il padre era anche un contrabbandiere. Ora sono tutti morti, la loro barca è scomparsa in una terribile tempesta cinque anni or sono.» «Mi spiace.» «Chi vive di pesca mette in conto simili evenienze.» Si voltò, animata da un improvviso ardore. «Se la gente di qui contrabbanda stoffa con la Francia in cambio di vino, è solo perché è molto povera.» «Non mi interessa perseguire i contrabbandieri, Alice. Mi stavo solo domandando se fosse possibile che del denaro di dubbia provenienza, e magari la stessa reliquia rubata, potessero aver preso questa strada.» Arrivammo dal lato opposto del vivaio. Poco più in là, alcuni servitori, sotto la supervisione di uno dei monaci, stavano lavorando a una piccola chiusa nel fiume, e notai che il livello dell'acqua nel laghetto era già calato. «Fratello Guy mi ha raccontato di quella povera ragazza», disse Alice stringendosi nella mantella. «Ha detto che occupava il mio posto.» «È vero. Ma quella povera creatura non aveva amici, fatta eccezione per Simon Whelplay. Voi, invece, avete chi vi protegge.» Colsi una certa inquietudine nel suo sguardo, e sorrisi rassicurante. «Ebbene, ecco il cancello. Ho la chiave.» Lo attraversammo, e di nuovo mi ritrovai a spaziare con lo sguardo sull'immacolata distesa della palude, il fiume all'orizzonte e, nel mezzo, l'i-
solotto con gli edifici in rovina. «La prima volta che sono venuto qui, ho rischiato di cadere nell'acquitrino», osservai. «Siete certa che esista una pista sicura? Come riuscite a orientarvi con tutta questa neve?» «Vedete quegli alti canneti?» li indicò con un dito. «È solo questione di trovare quelli giusti, e tenersi sempre a debita distanza. Non è tutta palude qui attorno, ci sono delle zone di terraferma, e i giunchi sono una sorta di segnale.» Uscì dal sentiero e saggiò la compattezza del terreno. «Di certo ci sono croste di ghiaccio; dovrete fare attenzione a evitarle.» «L'ho imparato a mie spese.» Mossi un passo esitante e sorrisi nervoso. «Avete la vita di un commissario regio nelle vostre mani.» «Saprò prendermene cura, signore.» Fece avanti e indietro lungo il sentiero, valutando dove fosse meglio attraversare e poi, avvertendomi di seguire esattamente i suoi passi, s'inoltrò nella palude. Procedeva con passo sicuro, ma lento, fermandosi spesso per verificare i punti di riferimento. Ammetto che all'inizio ero piuttosto nervoso, mi voltavo continuamente, consapevole della crescente distanza che ci separava dal monastero e dell'impossibilità di ricevere soccorsi, nel caso in cui uno di noi fosse caduto. Ma Alice pareva molto sicura di sé. Talvolta, il terreno era ben fermo, in altre occasioni dell'untuosa acqua scura saliva a riempire le depressioni dei nostri passi. La marcia mi sembrò lenta, e fu con grande stupore che, alzando lo sguardo, scoprii che eravamo quasi giunti all'isolotto, le rovine a poco più di cinquanta piedi di distanza. Alice si fermò. «Dobbiamo arrivare là sopra, da dove parte un altro sentiero che porta giù al fiume. Però quella pista è più pericolosa.» «Be', cominciamo a raggiungere l'isolotto.» Poco dopo mettemmo piede sulla terraferma. L'isolotto emergeva soltanto di qualche piede dalla palude, ma bastava per avere una chiara visuale del monastero alle nostre spalle e del fiume, placido e grigio. All'orizzonte s'intravedeva il mare, e un vento pungente trasportava l'odore di salsedine. «Dunque i contrabbandieri sfruttano questa pista?» «Sì, signore. Alcuni anni fa, dei funzionari doganali di Rye ne braccarono qualcuno fin qui, ma persero la strada. Due di loro sprofondarono nella palude, scomparendo senza lasciare traccia.» Seguii il suo sguardo sulla bianca distesa e rabbrividii, poi perlustrai il poggio. Era più piccolo di quanto m'aspettassi, gli edifici in rovina poco più d'un cumulo di macerie. Uno di questi, pur essendo senza tetto, manteneva quasi intatte le pareti, e al suo interno notai i resti d'un fuoco, un pezzetto di terra ricoperto di ce-
nere dove la neve s'era sciolta. «Di recente qualcuno è stato qui», dissi smuovendo le ceneri con la vaga speranza di ritrovare la reliquia o dell'oro nascosto, ma non c'era nulla. Alice mi osservava silenziosa. La raggiunsi e mi guardai attorno. «I primi monaci insediati devono aver condotto un'esistenza dura. Mi chiedo perché abbiano scelto proprio questo luogo; forse perché era sicuro.» «Si dice che la palude si sia espansa gradualmente, a mano a mano che la bocca del fiume si riempiva di sedimenti.» Non pareva granché interessata. «Questo panorama sarebbe perfetto per un quadro. Io dipingo, sapete, quando trovo un po' di tempo.» «Gli unici dipinti che ho visto io sono quelli sui vetri della chiesa. I colori sono belli, ma le figure hanno sempre un che d'irreale.» Annuii. «Questo perché non c'è proporzione né senso della distanza, mancano di prospettiva. Ma i pittori contemporanei provano a mostrare le cose come stanno, e nelle loro opere intendono raffigurare la realtà.» «Davvero, signore?» La sua voce era ancora fredda e distante. Tolsi la neve dalla rovina d'un antico muro e mi sedetti. «Alice, vorrei parlarvi. Di mastro Poer.» Lei mi guardò inespressiva. «So che si è molto affezionato a voi, e credo che il suo sentimento sia onesto.» Nell'udire queste parole, la giovane si rianimò. «Allora, signore, perché gli impedite di vedermi?» «Il padre di Mark è il fattore delle terre di mio padre. Non che mio padre sia ricco, ma io ho avuto la fortuna di farmi strada grazie agli studi di giurisprudenza, fino al gabinetto di Lord Cromwell.» Pensai si sarebbe impressionata, ma la sua espressione non mutò. «Mio padre ha dato la propria parola a quello di Mark che, sotto la mia guida, il giovane si sarebbe fatto una posizione a Londra. Io ho compiuto il mio dovere; ma non è stato tutto merito mio, la sua mente vivace e i modi garbati hanno giocato un ruolo importante.» Diedi un colpetto di tosse. «Sfortunatamente, ci sono stati dei problemi. Mark si è visto costretto a lasciare il proprio posto...» «So tutto della dama di corte, signore. Mark me lo ha raccontato.» «Oh, davvero? Allora non capite che questa missione rappresenta per lui l'ultima possibilità di riconquistare ciò che ha perso? Se saprà coglierla,
potrà fare una dignitosa carriera e garantirsi un avvenire sicuro e prospero, il che significa che dovrà trovarsi una moglie di rango. Alice, voi siete una giovane deliziosa. Foste stata figlia d'un mercante londinese, le cose sarebbero state diverse. Be', se così fosse stato, avreste avuto anche me come pretendente.» Non intendevo dirle quelle parole, ma non potei farne a meno. Lei si accigliò, confusa. Feci un profondo respiro. «In ogni modo, Mark deve pensare al proprio avvenire. Non può mettersi a corteggiare una domestica. È dura, lo so, ma queste sono le regole che la società c'impone.» «Allora la società è malvagia», disse lei con un freddo moto di rabbia. «L'ho capito ormai da tempo.» Mi alzai. «È il mondo che Dio ha voluto per noi e, nella buona o nella cattiva sorte, a noi sta accettarlo. Volete tarpargli le ali, volete che Mark rinunci al proprio avvenire? Perché se lo incoraggerete, è questo che accadrà.» «Non farei mai nulla per ostacolarlo», ribatté con foga. «Non farei nulla contro i suoi desideri.» «Ma forse ciò che lui desidera finirebbe per danneggiarlo.» «Sta a lui deciderlo. Sebbene, visto che non ci è permesso parlarci, Mark non possa dirmi nulla.» «Siete dunque disposta a mettere a repentaglio il suo futuro? Davvero?» Mi scrutò in viso tanto intensamente da mettermi a disagio come mai nessuna donna in vita mia. Dopo qualche istante sospirò. «A volte mi pare che tutti quelli che amo debbano essermi strappati. Ma forse questo è il destino d'una serva», aggiunse amareggiata. «Mark m'ha detto che avevate uno spasimante, un taglialegna che è morto in un incidente.» «Se non fosse morto ora vivrei una vita sicura a Scarnsea, visto che oggigiorno i proprietari terrieri non pensano ad altro che a far abbattere gli alberi. E invece mi ritrovo qui.» Gli occhi le si riempirono di lacrime, che asciugò con rabbia. Avrei desiderato stringerla fra le braccia e consolarla, ma sapevo bene che non era il mio abbraccio quello che lei voleva. «Mi spiace. È nella natura delle cose che si perdano coloro che amiamo. Alice, è probabile che il monastero avrà vita breve. Io potrei forse trovarvi un lavoro in città, attraverso il giudice Copynger. Con tutta probabilità lo incontrerò domattina. Non dovreste restare in questo luogo pericoloso.» Lei si asciugò le lacrime e mi guardò con occhi strani, carichi di sentimento. «Già, questo luogo mi ha mostrato quanto sia radicata la violenza
nel cuore degli uomini. È davvero spaventoso.» Ho ancora quello sguardo davanti agli occhi, mentre scrivo queste righe, e rabbrividisco al ricordo di quanto accadde in seguito. «Lasciate che vi aiuti a lasciarlo.» «Forse, signore, ma sarà difficile rispettare quell'uomo. D'altronde, ormai il monastero mi fa orrore.» «Già. Per me è lo stesso.» «Signore, fratello Guy mi ha riferito che nel vivaio sono state rinvenute altre cose assieme al cadavere di quella ragazza. Posso domandarvi di che cosa si tratta?» «Solo una tonaca, indizio che non si è rivelato utile come avevo sperato, e una spada. Ho ordinato di dragare lo stagno, per vedere se c'è dell'altro.» «Una spada?» «Sì. Credo sia l'arma che ha ucciso il commissario Singleton. Ha il marchio di chi l'ha forgiata, ma dovrei tornare a Londra per rintracciarlo.» «Non partite, signore, ve ne prego», disse con inatteso ardore. «Non lasciateci. Signore, imploro il vostro perdono per la mia impertinenza, ma vi scongiuro di non andare. La mia sicurezza dipende dalla vostra presenza al monastero.» «Temo stiate sopravvalutando i miei poteri», dissi cupo. «Non sono riuscito a salvare Simon Whelplay. E in ogni modo non vedo proprio come potrei partire con questa neve. C'impiegherei almeno una settimana, e non ho tutto questo tempo.» Il suo viso si colmò di sollievo. Mi arrischiai ad avvicinarmi e le diedi un buffetto sulla mano. «Sono commosso nel vedere quanta fiducia riponiate in me.» Lei sottrasse il braccio, ma sorrise. «Forse siete voi ad averne troppo poca in voi stesso, signore. Forse in altre circostanze, senza Mark...» Lasciò la frase in sospeso, chinando la testa con fare pudico. Confesso di aver avuto il cuore in gola. Rimanemmo sull'isolotto in silenzio per qualche istante. «Penso sia meglio rientrare», dissi, «piuttosto che tentare di raggiungere il fiume. Attendo un messaggio dal giudice. E, Alice, vi prometto che riuscirò a fare qualcosa per voi. Comunque... grazie per le vostre parole.» «Grazie a voi per il vostro aiuto.» Mi rivolse un rapido sorriso, poi si voltò e mi fece nuovamente strada attraverso la palude. Il viaggio di ritorno fu più semplice, non dovendo far altro che seguire le orme lasciate all'andata. Camminai alle sue spalle guardandole la nuca, e fui quasi sul
punto d'allungare una mano e sfiorarla. Non soltanto i monaci sapevano rendersi ridicoli e comportarsi da ipocriti, pensai. Giunti in infermeria, Alice mi lasciò dicendo di avere delle faccende da sbrigare. Fratello Guy era intento a fasciare la gamba del monaco obeso. Alzò lo sguardo. «Siete tornato. Avete l'aria infreddolita.» «È così. Alice mi è stata di grandissimo aiuto.» «Dormite meglio?» «Molto meglio, grazie alla vostra ottima pozione. Avete visto Mark?» «Ci siamo incrociati giusto un attimo fa. Si stava dirigendo nella vostra stanza. Prendete la pozione ancora per qualche giorno», mi disse mentre mi allontanavo, non sapendo se riferire a Mark la mia conversazione con Alice. Giunsi alla stanza e aprii la porta. «Mark, sono stato...» m'interruppi, guardandomi attorno. La stanza era deserta. Poi udii una voce che pareva scaturire dal nulla. «Signore, aiutatemi!» Capitolo ventiquattro «Aiuto!» Percepii il terrore della voce smorzata di Mark. Mi guardai intorno, disorientato, poi notai che la credenza era stata leggermente spostata. Sbirciai dietro e vidi una porta aprirsi nei pannelli di legno. Con difficoltà riuscii a spostare ancora un po' il mobile. «Mark! Sei lì dentro?» «Sono bloccato! Aprite, signore! In fretta, potrebbe tornare!» Girai la vecchia maniglia rugginosa. La serratura scattò e la porta s'aprì, rilasciando una zaffata d'aria stantia. Mark balzò fuori dall'oscurità, gli abiti impolverati e in disordine. Scrutai un istante nel buio, poi lo guardai. «Per tutti i santi del paradiso, che cosa è successo? Chi potrebbe tornare?» Mark fece qualche profondo respiro affannoso. «Quando sono entrato mi sono chiuso la porta alle spalle, ma poi ho scoperto che non poteva essere riaperta dall'interno. Ero in trappola. Nel pannello è stato scavato un buco; qualcuno ci stava davvero spiando. Vi ho visto entrare da quel forellino e ho chiamato aiuto.» «Dimmi che cosa è successo, dall'inizio.» Almeno, pensai, quello spa-
vento lo aveva strappato al suo malumore. Mark si sedette sul letto. «Dopo che siete uscito, sono andato a discutere con il priore Mortimus dello stagno. Lo stanno prosciugando proprio in questo momento.» «Già, l'ho notato.» «Sono rientrato a prendere le soprascarpe. Le stavo giusto infilando, quando ho sentito nuovamente dei rumori.» Mi guardò con occhi sfrontati. «Sapevo di avere ragione.» «Le tue orecchie sono più acute del tuo ingegno, visto come ti sei chiuso là dentro. Prosegui.» «Mi sembrava che quei rumori provenissero dalla credenza, così ho pensato di spostarla e ho scoperto questa porta. Sono entrato con una candela. C'è un passaggio, e io intendevo scoprire dove conducesse. Ho chiuso la porta, nel caso in cui fosse entrato qualcuno, ma la corrente ha spento la candela, lasciandomi al buio. Ho dato una spallata, ma non è servito.» Arrossì. «Mi vergogno, ma non avevo neppure la spada. Poi, nell'oscurità, ho scorto un puntino luminoso e ho scovato un forellino scavato nel pannello.» Indicò un buchino sul mobile. Mi alzai e andai a esaminarlo: guardando l'armadio lo si sarebbe scambiato per il foro di un chiodo. «Per quanto sei rimasto chiuso là dentro?» «Non molto. Ringraziando il cielo voi siete giunto dopo pochi minuti. Siete andato alla palude?» «Sì. Ho trovato i resti di un accampamento di contrabbandieri e le ceneri d'un fuoco. Ho anche parlato con Alice, ti spiegherò più tardi.» Accesi due candele dal fuoco del caminetto e gliene porsi una. «Bene, vogliamo ritentarci?» Il giovane fece un profondo respiro. «Sì, signore.» Chiusi la porta della stanza, onde evitare visite sgradite, poi scivolammo dietro il mobile e aprimmo la porta. Dietro si snodava un lungo e stretto corridoio. «Fratello Guy ci ha detto che un tempo c'era un passaggio che collegava l'infermeria alla cucina», dissi ricordando le parole del religioso. «Chiuso all'epoca della pestilenza.» «Ma questo è stato usato molto più di recente.» «Già.» Dall'interno scorsi il puntino luminoso scavato nel legno. «Di qui si gode di una perfetta visione della stanza. Pare essere stato aperto di recente.» «Fratello Guy ha scelto per noi questa stanza.» «Già. Stanza in cui chiunque poteva spiarci e origliare le nostre conver-
sazioni.» Mi voltai verso la porta. Quel tipo di serratura poteva essere aperto solo dall'esterno. «Facciamo le cose per bene, questa volta.» Socchiusi la porta e infilai un fazzoletto fra questa e il muro, in modo che non potesse richiudersi. C'incamminammo lungo il passaggio angusto, che correva parallelo al muro dell'infermeria. Una parete era costituita dai pannelli in legno dell'infermeria, l'altra dalla pietra degli edifici claustrali, punteggiata a intervalli regolari dai resti di bracci portalampada. A un certo punto il corridoio fece una svolta a destra e sfociò in una stanza. Entrammo e ci guardammo attorno, alla luce delle candele. Ci trovavamo in una segreta, di forma quadrata e senza finestre. Degli antichi ferri erano fissati alle pareti, e un cencio sopra una tavola di legno in un angolo segnava i resti d'un giaciglio. Illuminai i muri. Nella pietra erano state incise delle parole. Lessi una frase scavata in profondità. Frater Petrus tristissimus. 1339. «Fratello Pietro. Mi chiedo cos'abbia commesso.» «C'è un'uscita», disse Mark, raggiungendo una massiccia porta. Mi chinai a guardare nella serratura, ma vidi solo oscurità. Appoggiai l'orecchio sul legno, ma non udii nulla. Girai lentamente la maniglia e scoprii che i cardini erano stati oliati da poco. Ci trovammo dietro un altro mobile che era stato allontanato dalla parete quanto bastava per far passare una persona. L'armadio dava su un corridoio lastricato di pietra. Poco distante c'era una porta, socchiusa, da cui trapelavano un vociare sommesso e il tintinnio delle stoviglie. «È il passaggio per le cucine», sussurrai. «Torniamo dentro, presto, prima che qualcuno ci veda.» Scivolai dietro l'armadio dopo Mark e mi chinai per chiudere la porta, dando un lieve colpo di tosse per l'umidità. D'improvviso, una mano mi serrò la bocca e l'altra mi si posò sulla schiena ricurva. Le candele si spensero. Poi Mark mi sussurrò all'orecchio: «Fate silenzio, signore. Sta arrivando qualcuno!» Annuii, e Mark mi liberò dalla sua presa. Non sentivo nulla, quel ragazzo aveva davvero l'udito d'un pipistrello. Un attimo più tardi, il bagliore di una candela apparve da dietro l'angolo, illuminando una figura incappucciata che si guardava attorno nella cella, il volto magro e scuro. Entrammo nel fascio di luce della candela di fratello Guy, e il monaco trasalì. «Jesu, signori, che cosa ci fate qui?» «Potremmo farvi la stessa domanda, fratello. Come siete entrato? La nostra porta era chiusa a chiave.»
«E io l'ho aperta. Ho ricevuto la notizia che lo stagno è stato prosciugato ed ero venuto ad avvisarvi, ma non ho ricevuto risposta. Per quanto ne sapevo potevate essere morti entrambi, così sono entrato usando la mia chiave e ho visto quella porta aperta.» «In questi giorni mastro Poer non ha fatto che udire dei rumori provenire dalla parete, e ha scoperto questa porta. Siamo stati spiati, fratello. Ci avete assegnato una stanza con un passaggio segreto. Perché?» Parlai in tono duro. Mio malgrado avevo cominciato a considerare fratello Guy come un amico. Mi maledissi per la debolezza che avevo dimostrato nell'avvicinarmi tanto a uno dei sospettati. Il monaco s'irrigidì. La fiamma della candela vacillò, creando bizzarri effetti di luce sul lungo naso e sugli scuri, affilati lineamenti. «Avevo dimenticato che quella porta si trovasse nella vostra stanza. Signore, questo passaggio non viene più usato da quasi duecento anni.» «È stato usato questa mattina! E voi ci avete assegnato una stanza nella quale è stato aperto un foro per spiarci!» «Non è la sola», disse placido. Lo sguardo calmo, ora teneva la candela saldamente in mano. «Non avete notato? Questo passaggio corre dietro i pannelli di legno che rivestono le pareti dell'infermeria, dietro tutte le stanze che danno su quel corridoio.» «Ma il buco è stato scavato solo dietro la nostra. I visitatori sono ospitati in questa camera, di solito?» «Quelli che non alloggiano nella dimora dell'abate. Di solito si tratta di messi, o degli officiali delle nostre terre che vengono a fare rapporto.» Indicai la celletta umida con un gesto della mano. «E, in nome di Dio, potreste spiegarmi che cos'è quest'orribile luogo?» Il monaco sospirò. «Questa è l'antica prigione del monastero. Quasi tutte le case religiose ne sono dotate; in passato gli abati le usavano per imprigionare i confratelli che avevano commesso peccati gravissimi. Il diritto canonico riconosce ancora loro questo potere, ma nessuno vi fa più ricorso.» «No, certo, non in quest'epoca dai costumi tanto molli.» «Qualche mese fa il priore Mortimus ha domandato se la vecchia segreta esistesse ancora; intendeva riportarla in uso. Io gli dissi che, per quanto ne sapevo, la prigione c'era ancora. L'ultima volta che sono entrato qui è stato quando ho preso servizio al monastero, e un vecchio servitore me l'ha mostrata. Pensavo però che la porta fosse stata sigillata.» «Be', non lo era. Dunque il priore vi ha interrogato sull'esistenza di que-
sto luogo, eh?» «Esatto», mi rispose con voce aspra. «Pensavo avreste approvato, il vicario generale pare intenzionato a rendere la nostra esistenza la più dura e crudele possibile.» Lasciai che fra noi cadesse un istante di silenzio. «Fate attenzione a ciò che dite in presenza di testimoni, fratello.» «Già. Viviamo in un mondo pieno di nuove meraviglie, in cui il sovrano d'Inghilterra manda un uomo alla forca solo per aver espresso un'opinione.» Si sforzò di riprendere il controllo di sé. «Sono dolente. Tuttavia, mastro Shardlake, nonostante la nostra chiacchierata teologica sulle nuove ingiunzioni, tutti qui sentono l'enorme peso dell'ansia e della paura. Io voglio soltanto vivere in pace, commissario. Lo desideriamo tutti.» «Non tutti, fratello. Qualcuno potrebbe aver usato questo passaggio per intrufolarsi nelle cucine e uccidere il commissario Singleton. Il che significa che non avrebbe avuto bisogno di una chiave.» «Alice è stata a vegliare fratello James per tutta la notte. Nessuno potrebbe essere passato di qui senza che noi ce ne accorgessimo.» Presi la sua candela e l'alzai a illuminargli il volto. «Ma voi avreste potuto, fratello.» «Vi giuro sul sangue di Nostro Signore Gesù Cristo che non sono stato io», si difese con ardore. «Sapete che io sono un medico, il mio giuramento m'impone di proteggere la vita, non di distruggerla.» «Chi altri era a conoscenza di questo passaggio? Avete appena detto che il priore lo ha menzionato. Quando?» Il religioso si passò una mano sulla fronte. «Ha portato la questione davanti al consiglio degli obedenziari: io, l'abate, il priore Mortimus, fratello Edwig e fratello Gabriel. C'erano anche fratello Jude, l'elemosiniere, e fratello Hugh, il tesoriere. Il priore Mortimus, come sempre, aveva sollevato la questione della disciplina, che a parer suo andava rafforzata. Disse che aveva sentito parlare di una vecchia cella, da qualche parte dietro l'infermeria. Suppongo non parlasse sul serio.» «Chi altri potrebbe esserne a conoscenza?» «Ai novizi appena arrivati al monastero viene detto che esiste una vecchia cella nascosta, per spaventarli, ma credo che nessuno conoscesse la sua esatta ubicazione. E io me n'ero scordato, finché voi non l'avete menzionata il giorno del vostro arrivo. Ve l'ho detto, credevo fosse stata sbarrata!» «Dunque tutti sapevano della sua esistenza. Che cosa mi dite del vostro
amico, fratello Jerome?» L'uomo aprì le braccia. «Che cosa intendete? Non è mio amico.» «Ieri vi ho visto aiutarlo con il messale, durante la funzione.» Fratello Guy sospirò. «È un fratello in Cristo, nonché un povero storpio. Siamo giunti al punto in cui aiutare uno zoppo a voltare le pagine d'un libro basta per essere accusati? Non vi credevo quel genere d'uomo, mastro Shardlake.» «Io cerco un omicida», dissi brusco. «Tutti gli obedenziari sono sotto la mia personale sorveglianza, voi incluso. Dunque, chiunque abbia preso parte al consiglio può aver ricordato questo luogo e deciso di scovare il passaggio.» «Suppongo di sì.» Mi guardai nuovamente attorno in quell'umida cella. «Andiamo. Questo posto è malsano per le mie povere ossa.» Ripercorremmo il passaggio in silenzio, con fratello Guy che ci precedeva. Arrivati alla porta, mi chinai per recuperare il fazzoletto. Nel farlo, scorsi un fioco scintillio reso visibile dal bagliore della candela. Grattai appena la superficie del pavimento di pietra con un'unghia. «Che cosa c'è?» chiese Mark. Avvicinai il dito agli occhi. «Che Dio abbia misericordia, allora di questo si trattava», bisbigliai. «Sì, ma certo, la biblioteca.» «Che cosa succede?» «Più tardi.» Mi pulii la mano sulla veste. «Andiamo, o finirò congelato.» Raggiunta la nostra stanza, congedai fratello Guy e andai a scaldarmi le mani davanti al fuoco. «Maledizione, quel posto era gelido.» «Mi ha sorpreso udire fratello Guy criticare il vicario generale.» «Ha criticato la politica del sovrano, ma per commettere tradimento avrebbe dovuto opporsi alla sua autorità religiosa. Nell'impeto del momento, ha detto quello che tutti pensano in questo luogo.» Sospirai. «No, in quel passaggio ho trovato una traccia, ma conduce a qualcun altro.» «A chi?» Lo guardai, lieto di notare che il suo malumore pareva essersi dileguato. «Più tardi. Andiamo, dobbiamo raggiungere in fretta il vivaio. Abbiamo bisogno di vedere se quelle acque celano altri segreti.» Lasciammo la stanza e ci dirigemmo ancora una volta verso il frutteto, dove un piccolo drappello di servitori stava attorno allo stagno, delle lunghe pertiche in mano. Con loro c'era il priore Mortimus, che vedendoci ar-
rivare disse: «Abbiamo deviato il corso del fiume, commissario, e l'acqua è stata drenata. Ma dovremo far presto, o inonderà il terreno presso il canale di scolo». Annuii. Lo stagno era vuoto, il grigio fondo fangoso incrostato da frammenti di ghiaccio. Mi rivolsi ai servitori. «Uno scellino a chiunque ritrovi qualcosa là sotto!» Due servitori si fecero avanti e si calarono esitanti nel limo, sondando il terreno con i pali. Dopo qualche tempo uno dei due mi chiamò, mostrandomi ciò che aveva trovato. Due calici d'oro. Avevo sperato nel ritrovamento della reliquia, ma le ricerche non ci fruttarono altro che un vecchio sandalo. Alla fine i servitori si arrampicarono fuori del bacino, e l'uomo che aveva ritrovato le coppe venne a portarmele. Gli diedi il suo compenso e mi voltai verso il priore, che aveva lo sguardo fisso sui due calici. «Sono proprio loro, non c'è alcun dubbio.» Sospirò sonoramente. «Commissario, ricordate, se doveste trovare l'uomo che ha ucciso quella povera ragazza, concedetemi di rimanere solo con lui.» Si voltò e andò via. Guardai Mark sollevando un sopracciglio. «Gli dispiace davvero tanto per la morte di quella ragazza?» mi chiese. «Non c'è fine alle bizzarrie che regnano nelle profondità dell'animo umano. Forza, ora tocca alla chiesa.» Capitolo venticinque C'incamminammo faticosamente verso il monastero e quando raggiungemmo la corte fui costretto a fermarmi per riprendere fiato. «La traccia trovata in quel passaggio ci riconduce a fratello Gabriel. Pare che, in fin dei conti, non ci abbia raccontato tutto. Andiamo a cercarlo, dovrebbe essere in chiesa. Quando gli parlerò, voglio che tu stia lontano. Non chiedermi nulla, ho i miei motivi.» «Come desiderate, signore.» Capii subito che quel mistero lo aveva offeso di nuovo, ma la segretezza era parte integrante del piano che avevo elaborato. Ero rimasto stupito della scoperta fatta nel passaggio, ma non potei fare a meno di provare un senso di soddisfazione nel pensare che i miei sospetti su Gabriel non fossero poi così infondati. La giornata era ancora nuvolosa, la chiesa buia. Nessuna preghiera sussurrata si levava dalle cappelle laterali, per i monaci doveva essere l'ora di svago. Distinsi la figura di fratello Gabriel al centro della navata. Stava su-
pervisionando il lavoro d'un servitore, intento a lucidare una grossa placca di metallo incassata nel pavimento. «Il verderame sta venendo via.» La sua profonda voce riecheggiò nell'aria. Lo raggiungemmo. «La formula di Guy funziona.» «Fratello Gabriel», lo interruppi. «Sono dolente di dover allontanare in continuazione i vostri servitori, ma temo di dovervi parlare ancora.» Il religioso sospirò e fece cenno all'uomo di lasciarci. Lessi l'iscrizione latina incisa sulla placca. «Dunque il primo abate è sepolto qui?» «Si. La lavorazione di questa placca è raffinata.» Lanciò un'occhiata a Mark, che se ne stava in disparte come io gli avevo ordinato, poi si rivolse nuovamente a me. «Sfortunatamente, si tratta di una lega di rame, ma fratello Guy ha inventato una pozione che riesce a pulirla.» Parlava rapidamente, in modo nervoso. «Avete delle giornate davvero dense d'impegni, fratello. Responsabile della musica e delle opere d'arte della chiesa.» Alzai lo sguardo alla passerella e vidi la statua di san Donato ai cui piedi erano stati deposti degli attrezzi, e la cesta degli operai assicurata alle funi che correvano fin dentro il campanile. «I lavori non proseguono. State ancora discutendo con fratello Edwig?» «Sì. Ma di certo non è questo il motivo della vostra visita», rispose con voce spazientita. «No, fratello. Ieri vi ho esposto il mio pensiero, il pensiero di un avvocato da quattro soldi, come l'avete definito voi.» «Io non sono un assassino», ribadì. «Se c'è una cosa che noi avvocati da quattro soldi impariamo ad affinare, tuttavia, è l'istinto di scovare le verità tenute nascoste.» Il religioso non ribatté nulla, limitandosi a fissarmi negli occhi. «Lasciate che vi esponga un altro pensiero, allora, una serie di supposizioni, e se sbaglio voi sarete libero d'interrompermi in qualsiasi momento. Siete d'accordo?» «Non so che trucco abbiate in mente.» «Nessun trucco, ve lo prometto. Permettetemi di partire da un consiglio degli obedenziari di qualche mese fa. Il priore Mortimus menziona la vecchia segreta del monastero, e un passaggio che conduce dall'infermeria alle cucine.» «Sì... sì, lo ricordo.» Il respiro s'era fatto più rapido. «La proposta non ebbe alcun seguito, ma accese una scintilla nella vo-
stra mente. Io credo che vi siate recato in biblioteca e abbiate trovato le vecchie piantine del monastero. Le ho viste quando mi avete mostrato quei locali; ricordo che non avete voluto che io le toccassi. Penso abbiate trovato quel passaggio, fratello, e penso che abbiate aperto un forellino nella parete di quella che ora è la nostra stanza. Il cuoco ha affermato di avervi trovato ad aggirarvi furtivo attorno alle cucine, dove ora so essere l'imboccatura di quel passaggio.» Il monaco s'inumidì le labbra secche. «Non mi contraddite, fratello?» «Io... io non so di che cosa stiate parlando.» «Davvero? Mark ha udito dei rumori nella nostra stanza, e io l'ho preso in giro dicendo che doveva essere un topolino. Oggi, però, Mark ha ispezionato la nostra stanza e ha scoperto la porta e il forellino nella parete. Mi sono domandato chi potesse averci spiato da lì, ho persino sospettato del frate infermiere, ma poi ho scoperto qualcosa a terra, proprio sotto il buco nel muro. Qualcosa che luccicava. E ho compreso che l'uomo che ci aveva osservati non intendeva spiare le nostre mosse. Aveva un altro interesse.» Fratello Gabriel emise un gemito che parve scaturirgli dalle profondità delle viscere. Si accasciò su se stesso come una marionetta cui avessero tagliato i fili. «Nutrite una vera passione per i giovani, fratello Gabriel. Passione che pare avervi consumato, se vi ha spinto al punto di spiare Mark Poer quando si veste la mattina.» Vacillò, tanto che credetti sarebbe svenuto. Appoggiò una mano contro il muro per riprendere l'equilibrio. Quando mi guardò, il suo volto cadaverico si accese d'un cupo rossore. «È vero», sussurrò. «Jesu, perdonami.» «Mio Dio, dev'essere stato davvero strano trovarsi nell'oscurità di quella triste, antica cella, in preda all'eccitazione.» «Vi prego... vi prego», disse levando una mano. «Non diteglielo, non ditelo al ragazzo.» Mi avvicinai a lui. «Allora fate il nome di chi avete cercato di proteggere. Quel corridoio è un passaggio segreto per le cucine, dove il mio predecessore è stato assassinato.» «Non ho mai voluto che le cose andassero in questo modo», sibilò con improvviso ardore. «La bellezza maschile mi attrae ormai da tempo immemorabile, sin da quando ho posato per la prima volta lo sguardo sull'effigie di san Sebastiano che avevamo nella nostra chiesa. Diventò per me
un'ossessione come quella che gli altri ragazzi sviluppavano per il seno della statua di sant'Agata. Ma loro potevano sposarsi, mentre io sono rimasto solo con... questo. Mi sono rifugiato qui dentro per rifuggire le tentazioni.» «In un monastero?» chiesi incredulo. «Già.» Rise desolato. «Oggigiorno i giovani più vigorosi non prendono più i voti, così i monasteri ospitano povere creature, come Simon, che non sono in grado d'affrontare il mondo. Non provavo alcun desiderio per lui, e neppure per il vecchio Alexander. Ho peccato con altri uomini, ma soltanto poche volte in questi ultimi anni, e mai più dopo la visita. Grazie alla preghiera e al lavoro ho imparato a dominare i miei istinti. Ma qui al monastero capitano ogni tanto dei visitatori: i sovrintendenti delle nostre proprietà nella contea, dei messi... Così, talvolta mi capita di... di vedere qualche giovane tanto bello da infiammarmi il cuore, e allora non sono più padrone delle mie azioni.» «E di solito i visitatori occupano la nostra stanza?» Chinò il capo. «Quando il priore ha menzionato il passaggio, mi sono chiesto se corresse dietro la stanza degli ospiti. Avete ragione, ho consultato le vecchie piantine. Che Dio abbia pietà di me, ho aperto il foro nella parete per poter spiare le loro nudità.» Rivolse nuovamente lo sguardo a Mark, ma questa volta con l'espressione adirata d'un animale braccato. «Poi siete arrivato voi, con lui. Dovevo vederlo, è talmente bello, è la risposta a... alla mia ricerca. Ha una bellezza ideale.» Prese a parlare in fretta, quasi farfugliando. «Mi sono introdotto nel passaggio quando pensavo vi sareste svegliati. Che Dio m'aiuti, ero lì ieri, e il giorno in cui il povero Simon è stato sepolto. E ci sono ritornato stamattina, non ho saputo resistere. Oh, che cosa sono diventato? Può un uomo umiliarsi più di così agli occhi di Dio?» Chiuse il pugno e se lo portò alla bocca, mordendolo con tanta forza da farlo sanguinare. Mi venne in mente che, così facendo, Gabriel aveva visto anche la mia schiena deforme, dalla quale Mark, mostrando grande delicatezza, aveva sempre distolto lo sguardo. Non fu un pensiero piacevole. Mi protesi in avanti. «Ascoltate, fratello. Mark non sa ancora nulla. Ma voi dovete confessare tutto ciò che sapete sugli omicidi, tutto ciò che sinora mi avete taciuto.» Abbassò il pugno sanguinante e mi guardò allibito. «Ma, commissario, non ho altro da dirvi. Il mio segreto era la vergogna. Tutto ciò che vi ho raccontato è vero, non so nient'altro. L'unica ragione
per cui ho usato quel passaggio era...» Fece un respiro profondo. «Volevo solo guardare.» «Nient'altro?» «Nient'altro, lo giuro. Potessi fare qualcosa per aiutarvi a svelare questi orribili misteri, Dio m'è testimone, lo farei.» Si appoggiò nuovamente al muro, oppresso dall'insostenibile peso dell'onta. Fui colto da un moto di rabbia al pensiero che, ancora una volta, avevo seguito una traccia che conduceva a un punto morto. Scossi il capo, sbuffando incollerito. «Diamine, fratello Gabriel, mi avete reso la vita difficile. Vi credevo l'assassino.» «Signore, so che ordinerete la chiusura del monastero. Ma vi prego, non servitevi di quanto sapete sul mio conto. Non usate i miei peccati per segnare la fine di Scarnsea.» «Signore Iddio, state ingigantendo la portata dei vostri peccati. Se questa casa verrà chiusa, sarà per ben altre ragioni. Mi dispiace soltanto che un uomo debba sprecare la propria esistenza per una simile forma d'idolatria. Siete la creatura più sciocca della terra.» Il religioso chiuse gli occhi imbarazzato, poi li riaprì e lo vidi mormorare una preghiera. D'un tratto spalancò la bocca, e gli occhi, ancora levati al cielo, sembrarono uscirgli dalle orbite. Sconcertato, feci per avvicinarmi a lui. Ma, senza lasciarmi neppure il tempo di muovere un passo, Gabriel si voltò e, con un grido, si lanciò verso di me a braccia spalancate. Ciò che accadde in seguito è scolpito nella mia memoria con tanta potenza, che la mano mi trema mentre scrivo. Mi diede un violento spintone, scagliandomi sul pavimento con un tonfo che mi tolse il respiro. Per un attimo pensai che fosse impazzito e che intendesse uccidermi. Poi vidi qualcosa precipitare dall'alto in una nuvola di polvere, e una grossa figura di pietra si abbatté nel punto esatto in cui mi trovavo poco prima, travolgendo il povero Gabriel. L'ho ancora nelle orecchie, il frastuono della pietra che si schianta al suolo e il raccapricciante scricchiolio delle sue ossa rotte. Mi levai sui gomiti e rimasi a terra come istupidito, la bocca spalancata, a fissare i resti della statua di san Donato sopra il sacrista, il cui braccio sporgeva in una pozza di sangue. La testa della statua si era staccata ed era rotolata ai miei piedi, guardandomi con un'espressione di compassionevole cordoglio, candide lacrime dipinte sotto gli occhi. Poi udii la voce di Mark lanciare un grido raggelante. «Spostatevi di lì!»
Alzai lo sguardo. Il basamento sul quale era posata la statua vacillava in bilico sulla balaustra, a cinquanta piedi d'altezza. Mi allontanai arrancando appena un attimo prima che il piedistallo si schiantasse al suolo. Mark mi afferrò per un braccio e mi aiutò a rialzarmi, il viso d'un cadaverico pallore. «Lassù!» gridò poi. Seguii il suo sguardo. Una nera figura percorreva la balaustra, diretta verso il presbiterio. «Mi ha salvato.» Non riuscivo a distogliere gli occhi dai poveri resti del sacrista. «Mi ha salvato!» «Signore», mormorò Mark agitato. «Lo abbiamo in pugno. L'unica via di fuga sono le scale ai lati del jubé.» Cercai di riprendermi dallo spavento, e osservai gli scalini di pietra. «Sì, hai ragione. Hai capito chi era?» «No. Ho visto solo una tonaca con il cappuccio alzato. Si è diretto verso l'abside. Se lo seguiamo su per le scale, uno da ciascun lato, potremo sbarrargli la strada. Lo prenderemo, non può scappare. Ce la fate, signore?» «Sì. Dammi solo una mano ad alzarmi.» Mark mi aiutò a rimettermi in piedi. Sfoderò la spada e io afferrai il bastone, respirando profondamente per cercare di placare il battito del mio cuore atterrito. «Procederemo in parallelo, così da non perderci mai di vista.» Mark annuì e corse rapido verso la scala di destra. Distolsi lo sguardo dal cadavere di Gabriel, e presi quella a sinistra. Salii lentamente. Il cuore mi martellava tanto in petto da farmi pulsare la gola, mentre bianche scintille mi balenavano davanti agli occhi. Tolsi il pesante mantello e lo posai sui gradini. Il freddo mi gelava le ossa, ma senza la cappa avevo maggiore libertà di movimento. Le scale portavano sulla stretta piattaforma di maglie metalliche che correva tutt'intorno alla chiesa. Guardando in basso, scorsi il baluginio delle candele sull'altare e davanti alle cappelle dei santi, e il cumulo di pietra sotto il quale si allargava la grossa chiazza di sangue. La piattaforma non era larga più di tre piedi, solo una ringhiera di ferro a proteggere dal salto. Poco più avanti gli attrezzi dello scalpellino giacevano disordinati accanto al groviglio di funi, assicurate alla cesta che ciondolava nel vuoto da un sistema di rivetti piantati nel muro. Mi guardai attorno, maledicendo l'oscurità. Tutte le finestre si trovavano sotto la balaustra, dalla quale giungeva soltanto un fioco chiarore. Non vedevo bene, ma scorsi una figura nell'om-
bra, ne ero certo. Procedetti con cautela lungo la passerella, chinandomi per passare sotto le funi. Qualche passo più avanti la passerella si congiungeva all'estremità del jubé. Questo attraversava la navata in tutta la sua larghezza di sette piedi, e reggeva le statue che poco prima avevo osservato da terra. Da laggiù m'erano parse alquanto piccole, ma ora, scorgendo le loro sagome nell'oscurità, capii che erano a grandezza naturale. Prestando attenzione a mantenermi sempre saldamente attaccato alla ringhiera, oltrepassai il jubé. La passerella scricchiolava traballando sotto i miei passi. Mi dissi che lo scalpellino e i suoi operai la usavano in tutta sicurezza, ma non potei fare a meno di chiedermi se la caduta della statua avesse potuto indebolirla. Dall'altra parte della navata scorsi Mark che procedeva lentamente in parallelo. Alzò la spada, e io gli feci cenno con il bastone. L'assassino doveva essere ormai in trappola. Strinsi forte il bastone. Le gambe avevano preso a tremare in modo fastidioso. Proseguii, lo sguardo fisso nell'oscurità. Nulla. Nemmeno un suono. Avvicinandosi all'abside, la passerella curvava a semicerchio, e pochi istanti dopo Mark e io ci ritrovammo a faccia a faccia, a cinquanta piedi di distanza, alle due estremità opposte del presbiterio. E fra noi il nulla. Il giovane mi guardò incredulo. «È passato di qui, l'ho visto», gridò. «E allora dov'è finito? Qui non c'è nessuno. Devi esserti sbagliato, probabilmente è sceso dall'altra parte, verso la porta.» Mi voltai a scrutare la via che avevo appena percorso, dove la passerella si perdeva nel buio. «Vi giuro sulla mia vita che l'ho visto venire per di qua. Lo giuro.» «Va bene.» Feci un profondo respiro. «Manteniamo la calma. Se è andato dall'altra parte, è ancora in mano nostra. Nessuno è sceso per le scale, lo avremmo sentito. Facciamo il giro.» «Forse dovremmo scendere. Uno di noi potrebbe andare a chiamare aiuto.» «No, è impossibile tenere d'occhio entrambe le scale da soli. Questo posto è troppo grande.» Ripercorremmo la passerella, diretti verso l'estremità opposta della chiesa. Scrutare in quell'oscurità mi aveva affaticato gli occhi. Oltrepassai il jubé con le sue statue e notai qualcosa d'insolito, ma da principio non ci feci caso. Poi ebbi un lampo: fra le tre statue di san Giovanni Battista, di Nostro Signore e della Vergine Maria, ce n'era una quarta.
Mi voltai a controllare, sentii fendere l'aria e qualcosa colpì la parete accanto a me. Un pugnale cadde tintinnando ai miei piedi. Allora capii che quello che avevo scambiato per una statua era un uomo in carne e ossa. Riuscii a scorgere la sua sagoma nel buio, mentre procedeva lungo la passerella aggrappandosi alla ringhiera. Lo rincorsi, ma inciampai in una delle maglie metalliche e caddi. Per un istante mi ritrovai in bilico a guardare nel vuoto, poi riuscii faticosamente a rimettermi in piedi. La figura era svanita. Udii dei passi scendere precipitosamente le scale. «Mark!» gridai. «Da questa parte! Sta fuggendo!» Mark però era troppo lontano, e quando raggiunse di corsa la scala all'estremità opposta della chiesa, il monaco era già sceso. Udii scalpicciare in lontananza e mi affrettai giù per le scale, ma quando vidi Mark apparire dall'altro lato sentii la porta della chiesa chiudersi con un tonfo che riecheggiò nella navata. «Era sul jubé, in mezzo alle statue!» gridai. «Hai visto chi era? È stato veloce come un fulmine.» «No, signore, quando vi ho raggiunto era già sceso.» Osservò il jubé. «Dev'essersi arrampicato mentre salivamo le scale. Per tutti i fulmini, c'è voluto un gran coraggio a stare lassù senza ringhiera né appigli.» «Puntava sul fatto che, in quanto riformatori, non avremmo fatto caso alle statue. È riuscito a farla franca.» Osservai il pugnale che avevo raccolto sul ballatoio. Un'affilata lama senza decorazioni. Nessun indizio. Pestai un pugno contro la parete, provocandomi una dolorosa fitta che risalì lungo il braccio. «E Gabriel, signore? Non lo credevate l'assassino? Che cosa avete trovato in quel passaggio segreto?» Esitai. «Mi sbagliavo. Non nascondeva nessun segreto. E ora ho un altro cadavere sulla coscienza», aggiunsi alzando lo sguardo adirato al soffitto della chiesa. «Ma giuro che questo sarà l'ultimo.» Capitolo ventisei Feci chiamare i quattro obedenziari sopravvissuti in chiesa. L'abate Fabian, il priore Mortimus, fratello Edwig e fratello Guy ci raggiunsero nella navata, mentre dei servitori rimuovevano i grossi frammenti di pietra dal cadavere di Gabriel. Stranamente, scoprii di poter sopportare quell'orribile vista, grazie a una sensazione di ovattato trauma che aveva pervaso la mia mente. Osservai le reazioni degli officiali anziani: fratello Guy e il priore
Mortimus mostrarono un contegno impassibile, fratello Edwig fece delle smorfie di disgusto, l'abate Fabian si allontanò colto da un conato di vomito. Ordinai loro di accompagnarmi nello studiolo di fratello Gabriel, dove pile di libri da copiare erano accatastate sul pavimento. Chiesi loro dove si trovassero i monaci al momento della disgrazia. «Ovunque», rispose il priore Mortimus. «È l'ora di svago. Ma pochi saranno usciti con questo tempo, probabilmente sono tutti nelle loro celle.» «E Jerome? È al sicuro?» «Rinchiuso nella sua cella da ieri.» «E voi quattro, dove eravate?» Fratello Guy rispose che lui era nel dispensario a studiare, da solo; il priore Mortimus era nel suo ufficio, solo anch'esso. Fratello Edwig mi assicurò che i suoi due assistenti avrebbero potuto confermare la sua presenza in contabilità, mentre l'abate Fabian riferì che stava discutendo con i suoi amministratori. Mi sedetti, osservandoli a uno a uno: non potevo fidarmi neppure di coloro che avevano un alibi, perché chi glielo aveva fornito poteva esservi stato costretto con la forza. Lo stesso valeva per gli alibi che i monaci si fornivano vicendevolmente. Avrei potuto interrogare ogni religioso e ogni servitore della casa, ma quanto ci avrei impiegato, e a che cosa sarebbe servito? D'improvviso fui pervaso da un senso d'impotenza. «Dunque Gabriel vi ha salvato la vita?» chiese il priore, rompendo il silenzio. «Esatto.» «Ma perché?» chiese ancora. «Con il dovuto rispetto, signore, perché avrebbe dovuto sacrificare la sua vita per voi?» «Non credo ci sia da stupirsi. Io penso fosse stato portato a credere che la sua vita avesse ben poco valore.» Fissai il priore con disprezzo. «Allora spero che questa sua generosità possa aiutarlo nel momento del giudizio. Molti erano i peccati che gli pesavano sulla coscienza.» «Forse agli occhi di Dio non avevano poi tanta importanza.» Qualcuno bussò alla porta, con esitazione, e il viso spaventato di un monaco fece capolino. «Chiedo venia, è giunta una missiva del giudice Copynger per il commissario. Il messo dice che si tratta di questione urgente.» «Molto bene. Signori, vi prego di aspettarmi qui. Mark, vieni con me.»
Attraversando nuovamente la navata, notammo che il corpo di Gabriel era stato rimosso. Due servitori erano intenti a ripulire il pavimento di pietra e dall'acqua bollente si levavano pennacchi di vapore, mentre i due uomini lavavano le chiazze di sangue. Quando aprimmo le porte della chiesa, ci trovammo di fronte un mare di facce, monaci e servitori, che mormoravano ansiosi. Grigie nuvole di fiato fuoriuscivano da almeno una cinquantina di bocche. Scorsi fratello Athelstan che si guardava attorno con attonito stupore, e fratello Septimus che si torceva le mani. Nel vederci, fratello Jude disse agli astanti di fare largo. Attraversammo la folla, preceduti dal frate che era venuto ad avvisarci. Davanti alla guardiola, Bugge ci attendeva con una lettera in mano, gli occhietti pungenti colmi di curiosità. «Il messo ha riferito che era questione della massima urgenza, commissario, spero perdonerete l'interruzione. È vero che fratello Gabriel ha perso la vita in un incidente avvenuto in chiesa?» «No, mastro Bugge, nessun incidente. È morto per salvarmi da un assassino.» Presi la lettera e mi allontanai, fermandomi al centro della corte. Solo allora sentii di essere a distanza di sicurezza da pareti e finestre. «La notizia farà il giro del monastero in meno di un'ora», disse Mark. «Benone. Non è più tempo di segreti.» Ruppi il sigillo e lessi le poche righe. Mi morsi un labbro, ansioso. «Copynger ha cominciato la sua indagine. Ha convocato Sir Edward e un altro proprietario terriero della zona nominato in quel registro. Questi gli hanno risposto che erano bloccati nelle loro tenute dalla neve, ma se un messo ha potuto raggiungerli quella era per forza una scusa. Così Copynger li ha mandati di nuovo a chiamare. Mezzucci per guadagnare tempo. Di certo nascondono qualcosa.» «Ora potremo interrogare fratello Edwig.» «Non voglio che quella viscida anguilla mi venga ancora a parlare di conti e scarabocchi. Voglio affrontarlo con le prove in mano. Ma per questo dovremo aspettare domani, o il giorno dopo ancora.» Ripiegai la missiva. «Mark, chi poteva sapere che questa mattina avevamo in progetto di andare in chiesa? Io te l'ho detto al vivaio. Ricordi?» «Con noi c'era anche il priore Mortimus, ma se ne stava andando.» «Forse ha l'udito fino come il tuo. Il punto è che nessun altro ne era al corrente. Supponiamo, per esempio, che qualcuno si sia arrampicato lassù per tendermi un agguato.» Mark rifletté un istante. «Ma come poteva sapere che voi sareste passato proprio sotto quei blocchi di pietra?»
«Hai ragione. Oh, Dio, ho la mente confusa.» Mi massaggiai la fronte. «Va bene. E se il nostro assassino si fosse trovato lassù per un altro motivo? Potrebbe aver colto l'occasione di liberare il mondo della mia presenza vedendomi passare di lì, non credi?» «Ma perché arrampicarsi fin lassù? Non ci sono nemmeno lavori in corso.» «Chi altri era a conoscenza dei progetti di restauro, a parte fratello Gabriel?» «Il priore Mortimus è responsabile della gestione quotidiana del monastero.» «Penso dovremo scambiare quattro chiacchiere con lui.» M'interruppi, e infilai la lettera nella busta. «Prima, però, c'è qualcosa che debbo dirti.» «Sì, signore.» Lo guardai serio. «Ricordi la lettera che hai portato a Copynger circa le vendite dei terreni? Gli ho anche domandato d'informarsi se ci sono imbarcazioni in partenza per Londra. Con questa neve ci vorrebbe almeno una settimana per attraversare il Weald, ma in seguito all'incidente di Jerome ho davvero bisogno di parlare con Cromwell. Ho pensato che forse era possibile partire via mare, e avevo ragione; un bastimento salperà questo pomeriggio con un carico di luppolo. Dovrebbe raggiungere Londra in due giorni, per rientrare subito dopo aver scaricato. Se il tempo regge, starò via solo quattro giorni. Non posso perdere questa occasione. E voglio che tu sia presente qui.» «Ma dovrete partire immediatamente.» Feci avanti e indietro per il cortile. «Non ho altra scelta. Il sovrano non sa nulla di quanto è accaduto in questo luogo. Se Jerome fosse riuscito a far uscire dell'altra corrispondenza, e questa fosse giunta nelle mani del re, Cromwell potrebbe trovarsi in serie difficoltà. Non vorrei partire, ma devo. E c'è dell'altro. Si tratta della spada.» «Quella rinvenuta nel vivaio?» «Sì. Reca impresso il marchio del fabbro. Spade di quel genere vengono fatte solo su ordinazione. Se riesco a rintracciare il fabbro ferraio che l'ha forgiata, dovrei riuscire a scoprire a chi era destinata. Per il momento è l'unica pista che abbiamo.» «Oltre a quella di fratello Edwig, quando avremo le prove delle vendite.» «Già. Però non riesco davvero a immaginare fratello Edwig con un complice. È troppo indipendente.»
Mark esitò. «Fratello Guy potrebbe aver ucciso Singleton. È magro, ma ha un fisico prestante, ed è molto alto.» «Potrebbe anche essere, ma perché proprio lui?» «Il passaggio segreto, signore. Quella notte potrebbe essere scivolato di nascosto dietro al mobile per raggiungere le cucine. Non avrebbe avuto bisogno della chiave.» Mi massaggiai nuovamente la fronte. «Ognuno di loro potrebbe essere colpevole. Le prove che abbiamo si prestano a svariate ipotesi. Mi serve qualcosa di più concreto e prego Iddio di riuscire a trovarlo a Londra. Ma ho bisogno che tu rimanga qui. Voglio che ti trasferisca negli alloggi dell'abate. Controlla la corrispondenza, e tieni gli occhi ben aperti.» Mi lanciò un'occhiata diffidente. «Volete che stia lontano da Alice.» «Ti voglio lontano dalle parti comuni, come il vecchio Goodhaps. Prendi la sua stanza, è un luogo raffinato per un giovane della tua età.» Sospirai. «E sì, preferirei saperti lontano da Alice. Le ho parlato, le ho spiegato che il suo interesse per te potrebbe danneggiare il tuo avvenire.» «Non ne avevate alcun diritto, signore», disse con improvvisa veemenza. «Io solo posso decidere della mia vita.» «No, Mark, ti sbagli. Hai degli obblighi verso la tua famiglia e verso il tuo stesso futuro. Ti ordino di trasferirti negli alloggi dell'abate.» Gli occhi che avevano ammaliato il povero Gabriel si fecero di ghiaccio. «Ho visto bene gli sguardi bramosi che anche voi le avete rivolto», mi disse con disprezzo. «Io so domare le mie passioni.» Mi squadrò da capo a piedi. «Voi non avete scelta.» Lo guardai in cagnesco. «Dovrei mandarti via a calci per la tua insolenza. Vorrei non dover aver bisogno della tua presenza qui, mentre sono via, ma non ho scelta. Ebbene, farai come ti ho detto?» «Farò tutto ciò che posso per aiutarvi a catturare l'uomo che ha ucciso tutte queste persone. Si merita di finire sulla forca. Ma non posso farvi promesse per l'avvenire, nemmeno a rischio di farmi cacciare.» Prese fiato. «Ho intenzione di domandare la mano di Alice.» «In questo caso, potrei vedermi costretto ad allontanarti», risposi placido. «Maledizione, non dipende da me, ma come posso chiedere a Lord Cromwell di riprendere a servizio un uomo sposato con una domestica? Sarebbe impossibile.» Il giovane non rispose. In cuor mio sapevo che, nella più malaugurata delle ipotesi, anche dopo quel che mi aveva detto lo avrei accettato come
assistente, e avrei trovato per lui e Alice una stanza a Londra. Ma non volevo rendergli le cose troppo facili. Risposi al suo sguardo con altrettanta freddezza. «Prepara i miei bagagli», ordinai brusco. «E sella Chancery. Penso che la strada sia abbastanza buona per giungere in paese a cavallo. Andrò subito dal priore, poi partirò per Londra.» Mi allontanai. Avrei gradito la sua compagnia con il priore, ma dopo quanto era accaduto credetti fosse meglio stare lontani. Gli obedenziari erano ancora nello studio di fratello Gabriel, scoraggiati come non mai. Fui sorpreso di notare quanta freddezza regnasse fra loro: l'abate nella sua fragile boriosità, fratello Guy nell'austera solitudine, il priore e l'economo, alle cui mani era affidato il buon funzionamento della casa, per nulla amici. Un povero esempio di fratellanza spirituale, davvero. «Vi comunico, fratelli, che sono diretto a Londra. Ho bisogno di fare relazione a Lord Cromwell sull'accaduto. Sarò di ritorno fra pressappoco cinque giorni, e in mia assenza Mark Poer agirà in mia vece.» «Come pensate di riuscire a star via soltanto cinque giorni?» chiese il priore. «Si dice che la neve sia giunta fino a Bristol.» «Viaggerò via mare.» «Di che cosa dovete discutere con Lord Cromwell?» domandò l'abate nervoso. «Faccende private. Ora, ho dato notizia della morte di fratello Gabriel. E ho deciso che il cadavere di Orphan Stonegarden debba venire consegnato a comare Stumpe per la sepoltura. Vi prego di provvedere.» «Ma in questo modo in città tutti sapranno che la giovane è morta qui.» L'abate era accigliato come se trovasse difficile comprendere quel che stava accadendo. «Esatto. Le cose sono andate troppo oltre per mantenere il riserbo.» L'uomo sollevò il capo e mi guardò con una scintilla della passata arroganza. «Devo protestare, mastro Shardlake. Credo che per prendere una simile decisione, di portata tanto estesa intendo, si sarebbe dovuta chiedere la mia opinione, in quanto abate di questa casa.» «Quei giorni sono morti per sempre, signore», dissi brusco. «E ora potete andare, tutti tranne voi, priore.» Gli officiali sfilarono fuori dello studiolo, e l'abate mi lanciò un ultimo sguardo d'assente perplessità. Mi misi a braccia conserte e affrontai il prio-
re, attingendo alle mie ultime energie mentali. «Riflettevo, fratello, su chi poteva essere a conoscenza della mia intenzione di andare in chiesa. Voi eravate allo stagno, quando l'ho comunicato al mio assistente.» L'uomo rise, incredulo. «Vi avevo già lasciato.» Lo scrutai in viso, ma non vi lessi altro che rabbioso stupore. «Già, è vero. Allora la persona che ha spinto la statua non stava attendendo me, ma era animata da un'intenzione diversa. Chi poteva avere motivo di arrampicarsi lassù?» «Nessun altro, almeno fino all'approvazione dei lavori di restauro.» «Gradirei che mi accompagnaste sul ballatoio per dare un'altra occhiata.» Avevo in mente la reliquia scomparsa e l'oro che doveva essere nascosto da qualche parte, se non mi ero sbagliato circa la vendita di quei terreni. Potevano essere stati nascosti lassù? Era forse questa la ragione per la quale l'assassino si trovava sulla balaustrata? «Come desiderate, commissario.» Feci strada fino alle scale e salii. Quando giungemmo sulla passerella, il cuore prese a battermi forte in petto. Sotto di noi, i servitori pulivano ancora, strizzando stracci vermigli in secchi pieni d'acqua. Di questo erano capaci gli uomini. Fui colto da un improvviso senso di nausea e mi aggrappai alla ringhiera. «State bene?» mi chiese il priore, qualche passo più indietro. Mi resi conto d'essere solo con un uomo più forte di me: avrei dovuto chiedere a Mark di accompagnarmi. Lo tenni lontano con un cenno. «Sì, sì. Procediamo.» Osservai il mucchietto di utensili posati ai piedi della statua caduta, e la cesta degli operai sospesa nel vuoto. «Quand'è stato fatto l'ultimo lavoro?» «Le funi e la cesta sono state issate due mesi or sono, in modo che gli operai potessero raggiungere la statua, che si trovava in una posizione pericolosa, rimuoverla e valutare l'entità della crepa. Quella cesta sospesa mossa da corde è un sistema davvero ingegnoso; è stata ideata dallo scalpellino. I lavori erano appena iniziati, quando fratello Edwig ne ordinò la sospensione. E non aveva torto: Gabriel non avrebbe mai dovuto cominciare prima che i progetti fossero approvati. E fratello Edwig ha voluto dargli una lezione.» Osservai le funi. «Un compito davvero pericoloso.» Il priore si strinse nelle spalle. «Un ponteggio sarebbe stato più sicuro,
ma v'immaginate l'economo approvare una simile spesa?» «Fratello Edwig non vi piace», azzardai noncurante. «È un furetto grassoccio che racimola ogni moneta che riesce a trovare.» «Chiede spesso la vostra opinione sulla gestione delle finanze del monastero?» Lo scrutai attentamente, ma lui si strinse nelle spalle. «L'unica opinione che domanda è quella dell'abate, nonostante ci faccia sprecare una gran quantità di tempo facendoci registrare ogni nonnulla.» «Capisco.» Mi voltai e alzai lo sguardo al campanile. «Come si arriva alle campane?» «Dalla chiesa parte un'altra scala che vi sale direttamente. Vi ci posso portare, se lo desiderate. Dubito che i lavori riprenderanno, per il momento. Facendosi uccidere, Gabriel non l'ha avuta vinta.» Alzai un sopracciglio. «Priore Mortimus, come spiegate tanta commozione per la morte di quella fanciulla e nessun dolore per la perdita di un confratello con il quale avete lavorato tanti anni?» «Ve l'ho già spiegato, gli obblighi d'un monaco in questa vita sono diversi da quelli di una donna.» Mi trafisse con uno sguardo affilato. «E uno di questi impone di non essere un pervertito.» «Sono lieto che non siate un giudice dei regi tribunali, fratello priore.» Scendemmo nuovamente nella navata e il priore mi condusse, oltre una porta, a una lunga scala a chiocciola che portava fino alle campane. Fu una lunga salita, e giunsi senza fiato al piccolo pianerottolo sul quale si apriva un'altra porta. Da una finestra senza vetri si godeva una vertiginosa vista sul monastero e oltre, i campi innevati e la foresta da un lato, le grigie acque del mare dall'altro. Doveva essere il punto più alto della zona. Un vento ghiacciato soffiava lamentoso, scompigliando i capelli. «È laggiù.» Varcammo una soglia e ci ritrovammo in una stanza nuda, con il pavimento di legno, dove alcune grosse funi pendevano fino a terra. Alzai lo sguardo e intravidi le scure sagome delle campane attraverso un buco circolare che si apriva al centro del soffitto, cinto da una ringhiera. Affacciandomi, vidi il pavimento della chiesa sottostante: eravamo talmente in alto che i servitori ci apparvero come minuscole formiche. La cesta ciondolava venti piedi sotto di noi, gli attrezzi e i secchi appena visibili, sotto un largo panno bianco. Le funi attraversavano il foro aperto nel legno, assicurate a rivetti ancora più grossi di quelli che avevo visto in precedenza. «Non fosse per questa barriera, il suono delle campane assorderebbe i
campanari», osservò il priore. «Devono tapparsi le orecchie.» «Lo immagino, riescono quasi ad assordare da terra.» Notai una rampa di scale di legno. «Quelle conducono in cima al campanile?» «Sì, vengono usate dai servitori per le pulizie.» «Saliamo. Dopo di voi.» Giungemmo nella stanza sovrastante, quella delle campane. Erano davvero enormi, ciascuna più larga d'un uomo, fissate al tetto con massicci anelli. Ma quella camera non riservava ulteriori sorprese. Mi avvicinai alle campane, facendo attenzione a non sporgermi troppo perché la ringhiera sottostante era assai bassa. Quella più vicina era decorata da incisioni che ne ricoprivano l'intera superficie, e mostrava una grossa placca, scritta in una lingua strana. «Arrancado de la barriga del infiel, año 1059», lessi a voce alta. «Strappata dal ventre dell'infedele», tradusse il priore. Trasalii; non m'ero accorto che si fosse avvicinato tanto. «Commissario», disse. «Vorrei domandarvi una cosa. Avete visto l'abate, poco fa?» «Sì.» «È un uomo distrutto, non più all'altezza della carica che ricopre. Quando giungerà il momento di sostituirlo, Lord Cromwell avrà bisogno di un uomo duro, fedele. So che è alla ricerca di sostenitori all'interno dei monasteri.» Mi lanciò uno sguardo eloquente. Scossi il capo, sorpreso. «Priore Mortimus, siete davvero convinto che questa casa continuerà a esistere? Dopo tutto quel che è successo?» Mi guardò sbalordito. «Ma certo... la nostra vita qui... non può finire davvero. Non ci sono leggi che possano costringerci alla resa. C'è chi sostiene che i monasteri saranno chiusi, ma di sicuro non sarà permesso. No di certo.» Mosse un altro passo verso di me, facendomi retrocedere contro la ringhiera e travolgendomi con il suo disgustoso puzzo stantio. Il cuore prese a battermi all'impazzata. «Priore Mortimus», dissi. «Vi prego di allontanarvi.» L'uomo mi fissò dritto negli occhi, poi arretrò. «Commissario», disse con ardore. «Io potrei salvare questa casa.» «L'avvenire del monastero è una questione che devo discutere con Lord Cromwell e nessun altro.» Avevo la bocca asciutta. Per un terribile istante avevo temuto che intendesse spingermi nel vuoto. «Ho visto abbastanza. Non è stato nascosto niente qui dentro. Andiamo.» Scendemmo in silenzio. Mai come in quel momento fui lieto di trovarmi
con i piedi per terra. «Ora vi metterete in viaggio?» chiese il priore. «Sì. Ma Mark Poer farà le mie veci.» «Quando parlerete a Lord Cromwell, gli riferirete quanto vi ho detto, signore? Ve ne prego. Io potrei essere l'uomo che fa al caso suo.» «Ho molte questioni di cui discutere con lui», dissi bruscamente. «E ora, vogliate scusarmi.» Mi voltai e mi diressi a passo svelto verso l'infermeria. Il trauma della morte di Gabriel mi aveva infine attanagliato; la testa mi girava e quando entrai nella mia stanza avevo le gambe tremanti. Mark non c'era, ma aveva preparato un paniere con i miei documenti, del cibo e una camicia di ricambio. Lo spinsi di lato e mi sedetti sul letto, lasciandomi andare a un tremito che mi avvinse dalla testa ai piedi. D'un tratto mi ritrovai a singhiozzare in modo irrefrenabile, e non soffocai le lacrime. Piansi per Gabriel, per Orphan, per Simon, persino per Singleton. E per il mio terrore. Mi calmai e andai a sciacquarmi il viso con un po' d'acqua, quando udii bussare alla porta. Speravo fosse Mark, venuto a salutarmi, invece era Alice, che fissò incuriosita il mio volto arrossato. «Signore, il vostro cavallo è pronto. È ora di scendere in paese, se non vorrete perdere il bastimento.» «Vi ringrazio.» Presi il paniere e mi alzai. Lei s'avvicinò. «Signore, vorrei non doveste partire.» «Alice, non ho scelta. A Londra potrei trovare alcune risposte in grado di far cessare quest'orrore.» «La spada?» «Sì, la spada.» Feci un respiro profondo. «Mentre sarò via, evitate d'uscire a meno che non sia strettamente necessario. Restate qui.» Non rispose. Mi affrettai ad andarmene per paura che, se fossi rimasto ancora un istante, avrei potuto dire qualcosa di cui mi sarei pentito. Lei mi guardò con occhi impenetrabili. All'ingresso, il garzone di stalla mi attendeva con Chancery, che vedendomi nitrì, muovendo la coda lattea. Lo carezzai, lieto che almeno lui mi salutasse con affetto. Montai in sella con la consueta difficoltà e mi diressi al cancello, che Bugge mi aveva aperto. Mi fermai e mi voltai a guardare il cortile imbiancato senza sapere il perché. Poi feci un cenno a Bugge e m'incamminai sulla strada per Scarnsea. Capitolo ventisette
Il viaggio verso Londra fu tranquillo. Il vento era favorevole e il piccolo cargo, un'imbarcazione a due alberi, risalì il canale sfruttando una forte corrente. In mare aperto il freddo era ancora più intenso, fra onde plumbee e un cielo grigio. Rimasi per tutto il tempo nella mia piccola cabina, avventurandomi fuori solo quando il puzzo di luppolo diventava insopportabile. Il barcaiolo era un uomo burbero di poche parole, e il suo aiuto un giovane pelle e ossa; entrambi soffocarono i miei tentativi di conversazione sulla vita a Scarnsea. Sospettavo che il barcaiolo fosse un papista perché, salendo sul ponte, una volta lo avevo sorpreso a mormorare preghiere sgranando un rosario, che subito si era ficcato in tasca. Passammo due notti in mare aperto e io dormii bene, avvolto nelle coperte e nel mantello. La pozione di fratello Guy mi aveva enormemente aiutato, ma trovandomi lontano dal monastero avevo compreso quanto fosse oppressiva quell'atmosfera di trambusto e costante paura. Trovai piuttosto normale che, in simili condizioni, io e Mark avessimo litigato; forse, quando tutto fosse finito avremmo potuto sanare i nostri dissapori. Pensai a Mark, che di certo si era già stabilito nella dimora dell'abate. Di sicuro avrebbe ignorato i miei ordini di non vedere Alice. Ero preoccupato per la loro incolumità, ma mi dissi che se Mark fosse rimasto dall'abate, pur con qualche visita in infermeria, e Alice si fosse occupata dei propri doveri, nessuno avrebbe avuto ragione di far loro del male. Giungemmo a Billingsgate nel pomeriggio del terzo giorno di viaggio, dopo una breve sosta nell'estuario del Tamigi per aspettare che cambiasse la marea. Le sponde del fiume erano ricoperte di neve, ma la coltre non era alta come a Scarnsea. Dal ponte distinsi un poltiglioso strato di ghiaccio sull'estremità della proda. Seguendo il mio sguardo, il barcaiolo mi parlò quasi per la prima volta da quando eravamo salpati. «Può essere che il Tamigi geli ancora, come successe l'inverno scorso.» «È probabile.» «Ricordo bene l'anno passato, signore, quando il re e la corte cavalcarono sulle sue acque ghiacciate. Lo avete visto?» «No, ero in tribunale. Io sono avvocato.» Ricordavo, tuttavia, il racconto che Mark me ne aveva fatto. Lavorava alle Aumentazioni, all'epoca, quando giunse voce che il sovrano intendeva attraversare il fiume ghiacciato con la corte al gran completo, da Whitehall fino al Greenwich Palace, per le celebrazioni natalizie e voleva che gli impiegati di Westminster si unissero alla processione. Pura strategia politica, ovviamente: era stata firmata una tregua con i ribelli del Nord e il loro ca-
po, Robert Aske, era a Londra per parlamentare con il monarca grazie a un salvacondotto. Il re voleva mostrare ai londinesi che la ribellione non avrebbe interferito con le sue celebrazioni. Mark non si stancava mai di raccontare di come tutti gli impiegati fossero stati costretti a recarsi sulle sponde del fiume, quasi con i documenti di lavoro ancora in mano, forzando i cavalli riluttanti a sfilare sul ghiaccio. Il suo destriero tentò di sbalzarlo di sella al passaggio del sovrano, un uomo massiccio che montava un possente cavallo da guerra, la minuta regina Jane accanto a lui sul suo palafreno, seguiti dalle dame e dai nobiluomini di corte, e a chiudere dai servitori di palazzo. Mark e gli altri funzionari furono costretti a unirsi alla lunga carovana che procedeva sul ghiaccio fra grida d'incitamento, cavalli e carrozze malsicuri sulla scivolosa superficie, sotto lo sguardo di mezza Londra. I funzionari erano stati convocati solo per contribuire allo spettacolo, e furono fatti tornare attraverso il London Bridge quella notte stessa. Rammentai d'averne discusso con Mark mesi dopo, in seguito all'arresto di Aske per alto tradimento. «Si dice sarà giustiziato a York», Mark mi aveva detto. «Era un ribelle.» «Ma gli era stato assicurato un salvacondotto; era persino stato invitato a corte per le celebrazioni natalizie.» «'Circa regna tonat'», dissi, citando Wyatt. «Attorno ai troni si scatena la tempesta.» Il cargo rollò improvvisamente, la marea stava cambiando. Il barcaiolo virò, portandosi al centro del fiume, e presto apparvero l'imponente guglia di St. Paul e la candida distesa di diecimila tetti innevati. Avendo lasciato Chancery a Scarnsea, una volta sbarcato mi diressi a piedi verso casa nell'incipiente tramonto. La spada rinvenuta nello stagno mi batteva fastidiosamente contro la gamba. L'avevo messa nella guaina di Mark, che era troppo piccola, e inoltre io non ero abituato a portare armi. Questa volta ritrovarmi nel trambusto di Londra fu per me un gran sollievo; ero un gentiluomo come tanti, invece del bersaglio di odi e paure. La vista della mia abitazione mi rasserenò il cuore dolente, come pure il benvenuto di Joan. Non ero atteso, e per cena la donna poté servirmi soltanto della povera carne di pollo e una vecchia pecora bollita, ma non ci badai, tanta era la contentezza di sedere nuovamente alla mia tavola. Dopo mangiato andai subito a dormire, poiché avevo a disposizione solo una giornata a Londra e mille cose da fare.
La mattina seguente uscii di casa presto, prima ancora della pallida alba invernale, a cavallo d'un vecchio ronzino che andava d'ambio. Al mio arrivo, gli uffici di Cromwell a Westminster erano già un brulicare d'attività a lume di candela. Comunicai al capoufficio Grey che dovevo parlare con urgenza al vicario. L'uomo increspò le labbra, lanciando un'occhiata al santuario di Cromwell. «È in compagnia del duca di Norfolk.» Alzai un sopracciglio. Il duca era il capo della fazione antiriformista, un acerrimo nemico di Cromwell nonché un borioso aristocratico; fui dunque sorpreso che si degnasse di fargli visita nel suo gabinetto privato. «La mia è una questione della massima importanza, Grey. Vi prego di riferirgli che ho assoluto bisogno di incontrarlo oggi stesso.» Il funzionario mi guardò incuriosito. «State bene, mastro Shardlake? Avete l'aria stanca.» «Sto benone. Ma ho bisogno di vedere Lord Cromwell. Ditegli che attenderò di essere convocato a suo comodo.» Grey sapeva che non avrei mai disturbato il suo padrone senza un valido motivo. Bussò nervosamente alla porta ed entrò, riapparendo qualche minuto dopo per dirmi che Lord Cromwell mi attendeva alle undici nella sua dimora di Stepney. Mi sarebbe piaciuto fare una capatina in tribunale per sentire le ultime novità dai miei colleghi e respirare una boccata d'aria familiare, ma altre questioni meritavano la mia attenzione. Sistemai la spada e cavalcai fino alla Torre di Londra. Da principio avevo pensato di rivolgermi alla gilda dei fabbri ferrai, ma sapevo bene che le corporazioni vivevano in un burocratico mare di carte, la cui segretezza era tanto gelosamente preservata che mi ci sarebbe potuta volere l'intera giornata per ottenere delle informazioni. Poi avevo ricordato che qualche mese prima, nel corso di una funzione, avevo incontrato l'armiere della Torre, un tale di nome Oldknoll, che aveva la fama di essere il miglior esperto d'armi di tutta l'Inghilterra. Anche lui era un uomo di Cromwell. Il mandato di commissario mi assicurò l'accesso alla Torre, e fu così che mi ritrovai ad attraversarne i cancelli, sotto le mura incombenti. Attraversai il ponte ricoperto di ghiaccio che dava sul fossato ed entrai nell'immensa fortezza, dove la White Tower svettava sugli edifici minori che le sorgevano attorno. Non mi era mai piaciuto quel luogo; il mio pensiero anda-
va sempre ai molti che vi erano entrati senza uscirne vivi. I leoni nel regal serraglio ruggivano in attesa del pasto, e un paio di sentinelle dalle cotte oro e vermiglie si precipitarono portando grossi panieri traboccanti di frattaglie. Quello spettacolo mi fece rabbrividire, rievocando alla memoria l'incontro con i cani del monastero. Lasciai il ronzino nelle stalle e percorsi la scalinata fino alla White Tower. All'interno, nel viavai di soldati e funzionari scorsi due sentinelle che trascinavano con fare brusco un vecchio dallo sguardo folle e dalla camicia stracciata verso le scale che scendevano alle segrete. Mostrai il mio mandato e fui condotto da Oldknoll. L'armiere era un soldato dal viso burbero. Levò lo sguardo da un fascio di documenti che stava esaminando e mi fece cenno d'accomodarmi. «Per tutti i fulmini, mastro Shardlake, in che mare di carta navighiamo oggigiorno. Spero non siate qui per portarmene dell'altra.» «No, mastro Oldknoll, sono venuto per sfruttare la vostra competenza, se vorrete assistermi. Sono in missione per conto di Lord Cromwell.» L'uomo mi prestò la massima attenzione. «Allora farò quanto è in mio potere per aiutarvi. Sembrate alquanto affaticato, signore, se posso permettermi.» «Già, me lo dicono tutti. E avete ragione. In ogni modo, ho bisogno di sapere chi ha forgiato questa.» Sfoderai la spada, porgendogliela con cautela. L'uomo si chinò a esaminare il marchio, mi lanciò un'occhiata sbigottita, poi guardò ancora, con maggior attenzione. «Dove l'avete trovata?» «Nel vivaio ittico di un monastero.» L'armiere raggiunse la porta e la chiuse piano, prima di posare la spada sul tavolo. «Sapete chi l'ha fatta?» chiesi. «Oh, certamente.» «È ancora vivo?» «È morto diciotto mesi fa.» «Ho bisogno di sapere tutto quanto è possibile su quest'arma. Tanto per cominciare, che cosa significano quelle lettere e quel simbolo?» L'uomo tirò un respiro profondo. «Vedete il piccolo castello impresso qui? Indica che il fabbro ha appreso la sua arte a Toledo, in Spagna.» Sgranai gli occhi. «Dunque il proprietario potrebbe essere spagnolo?» Scosse la testa. «Non necessariamente. Molti stranieri vanno a Toledo per imparare l'arte della fabbricazione delle armi.»
«Anche gli inglesi?» «Fino all'introduzione delle innovazioni religiose. Ora gli inglesi non sono più i benvenuti in quella terra. Ma per tornare a noi, chi studia a Toledo prende l'Alcazar, la fortezza moresca, come simbolo da imprimere sulla spada che presenta alla gilda. Ed è proprio ciò che ha fatto quest'uomo. Quelle sono le sue iniziali.» «J.S.» «Esatto.» Mi guardò lungamente. «John Smeaton.» «Che Dio abbia misericordia! Un parente di Mark Smeaton, l'amante della regina Anna?» «Suo padre. Questa spada deve essere quella che ha forgiato per guadagnarsi l'ingresso nella corporazione. Nel 1507, pressappoco.» «Non sapevo che il padre di Smeaton fosse un fabbro.» «È così che ha cominciato. Ed era molto abile. Ma qualche anno fa ebbe un incidente e perse due dita. Non avendo più la forza necessaria per lavorare il ferro, divenne falegname. Aveva una piccola bottega dalle parti di Whitechapel.» «Ed è morto?» «Il suo cuore non ha retto, è morto due giorni dopo l'esecuzione del figlio. Ricordo che si parlò della bottega, poiché non aveva nessuno cui lasciare l'attività. Suppongo sia stata chiusa.» «Ma doveva avere dei parenti. Questa spada è preziosa, doveva far parte della sua eredità.» «Già.» Respirai profondamente. «Dunque, la morte di Singleton è collegata a Mark Smeaton. Ma certo, Jerome doveva saperlo. Per questo mi ha raccontato quella storia», riflettei a voce alta. «Non vi seguo, signore.» «Devo scoprire a chi è andata la spada dopo la morte di John Smeaton.» «Potreste recarvi a casa sua. Come molti artigiani, viveva sopra la bottega. I nuovi proprietari l'avranno acquistata dagli esecutori testamentari.» «Vi ringrazio, mastro Oldknoll, mi siete stato d'enorme aiuto.» Presi la spada e la infilai nella guaina. «Ora devo andare, sono atteso alla dimora di Lord Cromwell.» «Lieto d'esservi stato utile. E, mastro Shardlake, se vedete Lord Cromwell...» Era sempre così, quando la gente sapeva che ero diretto da Cromwell mi domandava immancabilmente qualche favore.
«Solo... se ne avrete l'occasione, potreste domandargli, se possibile, d'inviarmi meno documenti? Ho dovuto trascorrere ogni notte di quest'ultima settimana a stilare infiniti rendiconti sulle armi, e so per certo che ai suoi uffici dispongono già di queste informazioni.» Sorrisi. «Vedrò quel che posso fare. Ma pare essere la tendenza dei nostri tempi, ed è difficile andare contro corrente.» «Finiremo con l'affogare in questo mare di cartacce», disse afflitto. La dimora di Lord Cromwell a Stepney era un'imponente magione di mattoni rossi, che lui stesso s'era fatta costruire qualche anno addietro. Oltre alla moglie e al figlio, la casa ospitava anche una decina dei giovani figli dei suoi clienti, della cui educazione s'era fatto carico. Vi ero già stato in precedenza, era come una corte in miniatura con servitori, precettori, funzionari e un costante flusso di ospiti. Un vecchio cieco, scalzo nella neve, chiedeva la carità a mani tese. Sapevo che Lord Cromwell aveva disposto che i servitori distribuissero delle elemosine sul retro della proprietà, nel tentativo di guadagnarsi le simpatie degli indigenti di Londra. Quello spettacolo rievocò in me lo spiacevole ricordo della distribuzione delle elemosine al monastero. Portai il cavallo nelle stalle e fui accompagnato in casa da Blitheman, il maggiordomo, un uomo di grande affabilità. Lord Cromwell era in leggero ritardo, mi disse offrendomi una coppa di vino. «Vi ringrazio molto.» «Ditemi, signore, gradireste vedere il leopardo di Lord Cromwell? Il mio signore ama mostrarlo agli ospiti. È chiuso in una gabbia nel giardino sul retro.» «Ho saputo del suo recente acquisto. Vi ringrazio.» Blitheman mi fece strada attraverso l'affaccendata magione, fino a un cortile che si apriva sul retro della casa. Non avevo mai visto un leopardo, nonostante avessi sentito parlare di quelle magnifiche creature maculate che correvano più veloci del vento. Uscimmo, Blitheman sorrideva compiaciuto. D'un tratto le mie narici furono invase da un puzzo orribile, e mi ritrovai a guardare fra le sbarre metalliche in una gabbia di pressappoco venti piedi quadrati, con il pavimento di pietra punteggiato da bocconi di carne. Al suo interno, un grosso gatto si muoveva furtivo avanti e indietro. La pelliccia dorata era maculata da chiazze nere, e tutto, nell'agile struttura muscolosa di quell'animale, trasudava selvaggia potenza. Non appena si accorse di noi, la belva si voltò con un ruggito, mostrando enormi zanne
gialle. «Una bestia davvero impressionante», commentai. «Al mio signore è costata quindici sterline.» Il leopardo si accovacciò, osservandoci con qualche occasionale ruggito. «Come si chiama?» chiesi. «Oh, non ha nome, Dio non vorrebbe mai che si desse un nome cristiano a un simile mostro.» «Povera creatura, deve sentire un gran freddo.» Un giovane in livrea apparve sulla soglia e mormorò qualche parola all'orecchio di Blitheman. «Lord Cromwell è arrivato», mi comunicò. «Venite, vi attende nel suo studio.» Lanciando un'ultima occhiata al feroce leopardo, seguii Blitheman all'interno. Pensai che, come lui, anche il mio padrone aveva la fama di essere una belva, e mi chiesi se, acquistando una simile creatura, non avesse inteso lanciare un deliberato messaggio. Lo studio di Lord Cromwell era la versione in miniatura del gabinetto di Westminster, disseminato di tavoli sommersi da carte. Di norma era piuttosto buio, ma quel giorno la luce del sole, riflessa dalla neve in giardino, proiettava un bianco lucore sulle linee del suo volto, seduto com'era dietro la scrivania. Quando fui annunciato, mi guardò con occhi ostili, la bocca tesa, il mento sporgente per la rabbia. «Pensavo di ricevere prima tue notizie», disse freddamente. «Nove giorni. E la faccenda non è neppure risolta, lo capisco dal tuo sguardo.» Notò la spada. «Misericordia, osi portare un'arma in mia presenza?» «No, mio signore», dissi, affrettandomi a sganciarla dalla cinta. «È una delle prove, dovevo portarla.» La deposi su un tavolo, accanto a una copia illustrata della Bibbia, aperta sull'immagine di Sodoma e Gomorra arse dalle fiamme. Gli raccontai quant'era accaduto: la morte di Simon e Gabriel, la scoperta del cadavere di Orphan Stonegarden, l'offerta di resa dell'abate, i miei sospetti sulle vendite dei terreni e, infine, la lettera di Jerome, che gli mostrai. Mi ascoltò senza battere ciglio, come di consueto, poi abbassò lo sguardo sulla missiva. Al termine del mio racconto, si lasciò sfuggire un verso carico di disprezzo. «Per tutti i santi del paradiso, è peggio d'un manicomio. Spero che quando tornerai laggiù troverai ancora vivo quel ragazzino che ti porti appresso. Ho speso non poche energie per persuadere Rich a riprenderselo; voglio
sperare che non andranno sprecate.» «Pensavo di dover far rapporto direttamente a voi, mio signore. In particolar modo, alla luce del contenuto di quella lettera.» Lui grugnì il suo disappunto. «Avrebbero dovuto ricordarmi la presenza di quel certosino. Grey mi sentirà. Fratello Jerome avrà quel che merita. Ma le lettere che scrive a Edward Seymour non mi riguardano. L'intera famiglia Seymour sta cercando d'ingraziarsi i miei favori, ora che la regina è morta.» Si protese in avanti. «Queste morti irrisolte, tuttavia, mi preoccupano. Non bisogna farne parola con nessuno, non voglio che i negoziati con le altre case religiose possano esserne danneggiati. La prioria di Lewes è sul punto di arrendersi.» «Stanno cedendo?» «Ne ho avuto notizia ieri, la resa sarà firmata questa settimana. Per questo motivo mi sono incontrato con Norfolk, stavamo prendendo accordi sulla spartizione delle terre. Il sovrano pare essere d'accordo.» «Deve trattarsi d'un bottino cospicuo.» «Infatti. I possedimenti nel Sussex andranno a me, e quelli del Norfolk al duca. La prospettiva di ottenere delle terre porta sempre i nemici a sedere al tavolo delle trattative.» Scoppiò in una feroce risata. «Sistemerò mio figlio Gregory nella raffinata dimora dell'abate, e farò di lui un ricco possidente.» S'interruppe, e i suoi occhi tornarono a farsi di ghiaccio. «Cerchi di distrarmi, Matthew, di mettermi di buon umore?» «No, signore. So di aver proceduto con molta lentezza, ma questa faccenda è il mistero più intricato e pericoloso che mai mi sia trovato ad affrontare...» «Qual è l'importanza di quella spada?» Gli raccontai del suo rinvenimento e della conversazione che avevo avuto con Oldknoll. Si accigliò. «Mark Smeaton. Non lo credevo capace di creare problemi anche dalla tomba.» Lord Cromwell girò attorno allo scrittoio e prese la spada. «Che arma pregiata, avrei voluto averne una simile quando sono partito soldato per l'Italia, in gioventù.» «Dev'esserci un legame fra Smeaton e le uccisioni.» «Uno c'è», disse. «Fra Smeaton e la morte di Singleton, almeno. La vendetta.» Rifletté un istante, poi si voltò con uno sguardo gelido. «Quanto sto per dirti non dovrà uscire da questa stanza.» «Sul mio onore.» Ripose la spada e cominciò a fare avanti e indietro per lo studio, le mani
chiuse dietro la schiena, la nera veste fluttuante fra le gambe. «Quando l'anno scorso il sovrano ha deciso di mettersi contro Anna Bolena, io ho dovuto agire in fretta. La mia reputazione era sempre stata legata alla sua figura, la fazione papista avrebbe fatto qualunque cosa perché la sua caduta fosse anche la mia, e il re stava cominciando a prestare loro orecchio. Così compresi che avrei dovuto essere io a liberare il re della sua scomoda presenza. Mi segui?» «Sì, sì, certo.» «Decisi di dirgli che era un'adultera, il che significava che poteva essere giustiziata per tradimento, senza addentrarsi in scomode questioni religiose. Ma avevo bisogno di prove, e di un processo pubblico.» Rimasi a guardarlo in silenzio. «Chiamai a raccolta un manipolo di uomini fidati, e assegnai a ciascuno di loro uno degli amici della sovrana di mia scelta: Norris, Weston, Brereton, Rochford, il fratello della sovrana... e Smeaton. Il loro compito era di estorcere loro una confessione, o almeno di trovare qualcosa che potesse sembrare una prova del loro adulterio. A Singleton affidai l'indagine su Smeaton.» «Montò un caso contro di lui?» «Smeaton pareva essere il soggetto più semplice da plagiare; era solo un ragazzo. E così fu. Confessò l'adulterio dopo una sola seduta di tortura alla Torre. Era la stessa ruota usata per quel certosino, che deve di certo averlo incontrato, perché tutto ciò che dice d'aver sentito da Smeaton corrisponde a verità.» Il tono della sua voce si fece più riflessivo. «E uno dei visitatori che il certosino dice d'aver visto giungere nella cella quella notte dev'essere stato Singleton in persona. Doveva assicurarsi che nel suo discorso sul patibolo - una tradizione di cui ci si dovrebbe liberare - il ragazzo non ritrattasse. Gli fu ricordato che se avesse dimenticato anche una sola parola, suo padre ne avrebbe pagato le conseguenze.» Fissai il mio signore negli occhi. «Dunque quanto dice la gente è vero? La regina Anna e gli uomini accusati con lei erano innocenti?» Cromwell si voltò verso di me. La livida luce del sole gli illuminò il volto e parve privare il suo sguardo d'espressione, mentre mi osservava accigliato. «Ma certo che erano innocenti. Nessuno può dirlo con certezza, ma tutti lo sanno. Anche i giurati al processo sapevano. Persino il sovrano sospettava, sebbene non potesse ammetterlo neppure a se stesso, per timore d'irritare la propria coscienza. Maledizione, Matthew, sei proprio ingenuo per
essere un avvocato. Hai l'innocenza dei riformatori, ma sei privo del loro fuoco. È preferibile l'ardore senza l'innocenza, come per me.» «Credevo che le accuse fossero fondate. Quante volte l'ho sostenuto...» «Meglio fare come hanno fatto tutti e tenere la bocca chiusa sull'intera faccenda.» «Forse sapevo, nel profondo», sussurrai. «In un remoto angolo del mio cuore che Dio non ha raggiunto.» Cromwell mi guardò spazientito. «Dunque Singleton è stato ucciso per vendetta», dissi dopo un istante. «Qualcuno lo ha ucciso nello stesso modo in cui è stata giustiziata Anna Bolena. Ma chi?» Un'idea mi balenò alla mente. «Chi è stato il secondo visitatore di Smeaton? Jerome mi ha parlato d'un prete e di altre due persone.» «Mi farò portare la documentazione raccolta da Singleton, per vedere che cosa aveva scoperto sulla famiglia di Smeaton. Te la farò consegnare a casa fra due ore. Nel frattempo, tanto per cominciare, vai a casa di Smeaton. Domani tornerai a Scarnsea?» «Sì, il cargo parte prima dell'alba.» «Dovessi scoprire qualcosa prima della tua partenza, fammelo sapere. E, Matthew...» «Sì, mio signore?» Aveva gli occhi nuovamente colmi d'una feroce, possente rabbia. «Fai in modo di trovare l'assassino. Ho taciuto questa faccenda al sovrano troppo a lungo. Quando lo informerò, dovrò avere il nome del colpevole. E fai anche in modo che l'abate apponga il sigillo sull'Atto di resa. Voglio sperare che almeno su quel fronte tu abbia ottenuto dei risultati.» «Sì, mio signore.» Esitai. «Quando avremo in mano la resa, che cosa ne sarà del monastero?» Lord Cromwell sorrise tetro. «Ciò che è successo a tutte le altre case. All'abate e ai monaci saranno concesse delle pensioni. I servitori avranno quel che meritano e poi dovranno cavarsela da soli, manica di avidi zotici. Quanto al monastero, ti confiderò che ho intenzione d'inviare un ingegnere per la demolizione; gli farò radere al suolo la chiesa e tutti gli edifici claustrali. E quando tutte le terre dei monasteri saranno nelle mani del sovrano e saremo liberi di darle in affitto, inserirò una clausola nei contratti che imporrà ai nuovi locatari l'obbligo di abbattere ogni edificio monastico. Anche se si limiteranno a togliere il piombo dai tetti e permetteranno ai locali di sfruttare le pietre per farne altre costruzioni, il risultato sarà lo stes-
so. Delle loro secolari buffonate non rimarrà più alcuna traccia, fatta eccezione per qualche cumulo di rovine, come monito del potere regio.» «Ma ci sono anche alcune pregevoli costruzioni.» «Un nobiluomo non può certo andare ad abitare in una chiesa», disse Cromwell spazientito. Poi strinse gli occhi. «Non starai passando alla causa papista, vero, Matthew Shardlake?» «Mai», risposi. «Allora va'. E non deludermi questa volta. Ricorda che come ti ho creato posso distruggerti.» Mi fissò nuovamente con occhi crudeli. «Non vi deluderò, mio signore.» Presi la spada e me ne andai. Capitolo ventotto Lasciai Westminster in preda a una grande confusione. Scorsi mentalmente i nomi di tutti i religiosi del monastero, a caccia di un possibile collegamento con la famiglia Smeaton. Poteva John Smeaton aver conosciuto fratello Guy in Spagna trent'anni prima? Se all'epoca studiava da apprendista, allora lui e il frate infermiere dovevano avere la stessa età. Mentre facevo questi ragionamenti, a un tratto una plumbea afflizione mi calò sul cuore. Avevo creduto Thomas Cromwell incapace di compiere le spietate efferatezze che gli erano state attribuite dopo la morte di Anna Bolena. E ora con tutta tranquillità lui ammetteva che erano fondate. Ma non era stato Cromwell a spingermi verso queste false credenze. Era solo colpa mia. Il cavallo procedeva lentamente lungo la strada, evitando le pozze ghiacciate che la punteggiavano, ma giunto a metà di Fleet Street si fermò e prese a scrollare il muso, ansioso. Poco più avanti una piccola folla bloccava il cammino. Guardando sopra le teste, scorsi due uomini del conestabile lottare con un giovane apprendista. Il ragazzo opponeva una feroce resistenza, inveendo contro i propri assalitori. «Voi siete le forze di Babilonia, arrestate i figli eletti del Signore! I giusti prevarranno, i potenti saranno distrutti!» Le guardie gli legarono le braccia dietro la schiena e lo trascinarono via, recalcitrante. «Sta' pur certo, fratello! Gli eletti del Signore trionferanno!» Fui raggiunto da un altro cavaliere e quando mi voltai riconobbi i tratti sardonici di Pepper, il collega incontrato il giorno in cui mi era stata affi-
data la missione a Scarnsea. «Ehilà, Shardlake!» mi salutò amabile. «Hanno catturato l'ennesimo predicatore folle, eh? Un anabattista, a quanto pare. Vorrebbero accaparrarsi tutti i nostri beni, sai?» «C'è stata un'altra retata di predicatori eretici? Mi sono assentato per qualche giorno.» «Si parla di anabattisti, e il re ha ordinato di arrestare tutti i sospetti. Ne manderà anche qualcuno al rogo. Sono più pericolosi dei papisti.» «Oggigiorno non si può più stare sicuri.» «Cromwell ha colto l'occasione per organizzare una retata generale. Tagliaborse, truffatori, predicatori eretici. Con un tempo simile si saranno rifugiati tutti nelle loro topaie, e lui li sta stanando a uno a uno. E ne ha ben donde. Ricordi la vecchia con quel volatile parlante?» «Certo. Mi pare passato un secolo.» «Avevi ragione, sai? È venuto fuori che l'uccello si limita a ripetere le parole che gli vengono insegnate. Sono giunti un paio di bastimenti carichi di quelle creature, l'ultima moda in città. Sembra che vadano a ruba. La vecchia è stata accusata di frode, probabilmente si guadagnerà qualche frustata. Ma dove sei stato, al calduccio davanti al fuoco, con un tempaccio simile?» «No, Pepper, sono stato in missione per conto di Lord Cromwell.» «Ho sentito che starebbe già cercando una nuova consorte per il sovrano», mi disse, a caccia di pettegolezzi. «Si parla di un matrimonio con i reali tedeschi, gli Hesse o i Cleves. Una simile mossa ci legherebbe ai luterani.» «Io non so nulla a riguardo. Come ti ho detto, ho avuto molto da fare.» L'uomo mi guardò con invidia. «Ti tiene molto impegnato, eh? Credi che avrà qualche lavoretto anche per me?» Sorrisi sarcastico. «Sì, Pepper, credo proprio di sì.» Giunto a casa, smistai la corrispondenza che la notte prima avevo solo degnato d'un rapido sguardo, esausto com'ero. Alcune missive erano di clienti che aspettavano ansiosi risposte sui loro pendenti. C'era anche una lettera di mio padre. Quell'anno il raccolto era stato scarso, i profitti sarebbero stati esigui, e lui stava pensando di destinare una maggior quantità di terreno a pascolo. Sperava che i miei affari prosperassero e che Mark si stesse facendo onore alle Aumentazioni - non gli avevo menzionato il disgraziato incidente. Aggiunse che nelle campagne sarebbero stati chiusi al-
tri monasteri. Il padre di Mark ne era lieto, perché questo avrebbe significato più lavoro per il figlio. Posai la lettera e rimasi seduto a fissare il fuoco. Pensai alle torture subite da Mark Smeaton, al fatto che non aveva commesso alcun crimine. E a Jerome, cui era toccata la stessa sorte. Non ci si poteva stupire del suo odio verso l'autorità che io incarnavo. Dunque, tutto ciò che mi aveva raccontato era vero. Di certo doveva sapere del legame che univa Singleton e Smeaton, altrimenti perché riferirmi quella storia? Eppure si era detto convinto che nessuno nel monastero fosse responsabile dell'omicidio di Singleton. Provai a ricordare le sue esatte parole, ma ero troppo stanco. All'improvviso i miei pensieri furono interrotti. Qualcuno stava bussando alla porta. Era Joan. «È appena giunta una lettera, signore. Da Lord Cromwell.» «Grazie, Joan.» Presi il grosso plico e lo voltai. Era contrassegnato dalla dicitura «Massima segretezza». «Signore», Joan mi si rivolse esitante. «Posso domandarvi una cosa?» «Certamente.» Le sorrisi, vedendo l'ansia dipinta sul suo viso paffuto. «Mi stavo chiedendo, signore, se state bene. Sembrate turbato. E mastro Mark... è al sicuro laggiù, sulla costa?» «Lo spero vivamente», dissi. «Non so dire che cosa sarà di lui, però; mi ha confidato di non voler ritornare alle Aumentazioni.» La donna annuì. «Non mi sorprende.» «Davvero, Joan? Io sono rimasto alquanto stupito.» «Mi ero accorta che non era felice. Se mi consentite, ho sentito che è un luogo orribile, traboccante di avidità.» «Forse. Ma non è l'unico. Se ci rinchiudessimo tutti in casa davanti al fuoco, ci trasformeremmo presto in un popolo di mendicanti, non ho forse ragione?» «Mastro Mark è diverso, signore», obiettò lei. «Diverso in che senso? Suvvia, Joan, ti ha forse ammaliata, come fa con tutte le donne?» «No, signore», disse. «Ma forse i miei occhi lo vedono meglio dei vostri. La sua indole è di una gentilezza rara in giovani di tanta bellezza, l'ingiustizia lo fa soffrire. Mi chiedo se non abbia volutamente cercato di causare la propria disgrazia con quella ragazza, per fuggire da Westminster. È mosso da altissimi ideali, signore, e a volte credo siano persino troppi, per riuscire a sopravvivere in questo mondo spietato.» Sorrisi tristemente. «E pensare che credevo di essere io quello con i no-
bili ideali. 'E il velo mi fu tolto dagli occhi.'» «Che cosa, signore?» «Niente, niente. Oh, Joan... grazie per l'interessamento.» Ritornai alla busta con un sospiro. Conteneva degli appunti scritti da Singleton e delle lettere indirizzate a Cromwell, nelle quali il commissario illustrava i progressi delle sue indagini su Mark Smeaton. Si evinceva chiaramente che era stato elaborato un piano spietato per intrappolare il giovane musico con delle false prove, in modo da poterlo giustiziare. Asserire che la regina avesse giaciuto con qualcuno di origini tanto umili avrebbe fatto grande scalpore, affermava Singleton, dunque era importante farlo cadere nella rete. Parlava di Smeaton con disprezzo, definendolo una creatura sciocca, un agnellino da portare al macello. Pregai perché la sua anima fosse salva in paradiso. Trovai una nota di Singleton sulla famiglia del giovane. La madre era morta, e gli era rimasto soltanto il padre; nessun altro parente maschio in famiglia. John Smeaton aveva una sorella maggiore che viveva da qualche parte in campagna, ma avevano litigato e non si vedevano da anni. Singleton aveva riferito a Cromwell che la mancanza di parenti influenti permetteva loro di gestire il ragazzo a piacimento. Riposi la lettera. Ricordai il funerale di Singleton, la vista della bara che si chiudeva, e confesso che ora ne ero lieto. Chiesi che mi fosse preparato un cavallo. Era tempo di andare a Whitechapel. Ero felice di uscire nuovamente, di avere un proposito da perseguire. Avevo bisogno di schiarirmi le idee. Capitolo ventinove Fu una lunga cavalcata quella fino a Whitechapel, ben oltre le mura di Londra. Era un'area che si stava sviluppando in fretta, zeppa di poveri cannicci ricoperti d'argilla e fango. Nell'aria immobile flebili pennacchi di fumo si levavano da centinaia di camini. Qui la rigidità dell'inverno era ben più di una seccatura; osservando i volti smagriti e affamati della gente, pensai che per alcuni quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. I loro pozzi alla buona erano di certo gelati, come dedussi vedendo molte donne portare catini d'acqua dal fiume. Mi ero cambiato d'abito, indossando quanto di più umile possedessi, perché in quei luoghi i gentiluomini non erano benvisti.
Smeaton aveva aperto la sua attività in una delle vie migliori della zona, sede di svariate altre botteghe. Le carte di Singleton dicevano che aveva vissuto in una costruzione a due piani accanto a una fucina, che non ebbi difficoltà a rintracciare. Non era più la bottega d'un falegname; lo scuro che ne chiudeva l'ingresso era stato inchiodato e dipinto. Legai il ronzino a un palo e picchiai alla fragile porta. Venne ad aprirmi un giovane vestito di stracci, con arruffati capelli corvini a incorniciare un viso pallido ed emaciato. Mi chiese che cosa volessi senza particolare interesse, ma quando gli rivelai di essere un commissario di Lord Cromwell, si scostò subito di lato, scuotendo il capo. «Non abbiamo fatto niente, signore. Non c'è niente qui che possa interessare Lord Cromwell.» «E infatti non siete accusato di nulla», dissi bonariamente. «Ho delle domande da farvi, tutto qui. Riguardo al precedente proprietario di questa bottega, John Smeaton. Ci sarà una ricompensa per coloro che mi aiuteranno.» Mi guardava ancora con occhi dubbiosi, ma m'invitò a entrare. «Scusate le condizioni di questo posto, signore», bofonchiò. «Ma non ho lavoro.» In effetti si trattava di un ambiente misero. Le tracce del suo recente passato di laboratorio erano ben visibili: il locale consisteva di un'unica, lunga stanza dal soffitto basso, le pareti di mattoni annerite da anni di fuliggine. Il banco di un falegname ora serviva da tavola. Faceva freddo; il focolare era alimentato da qualche pezzetto di carbone pietroso che emanava tanto fumo quanto calore. A eccezione del banco, in quella stanza c'erano solo un paio di sedie malandate e un povero pagliericcio sul pavimento. Attorno al flebile fuoco tre bambini sedevano stretti alla propria madre, che cullava un neonato in preda alla tosse. Mi rivolsero tutti espressioni imbronciate e indifferenti. La stanza era buia perché la sola fonte di luce era una finestra che si apriva sul retro, ora che l'ingresso della bottega era stato chiuso con le assi. L'aria era intrisa dell'odore di fumo e urina, e il cuore mi si riempì di gelida tristezza. «Vivete qui da molto?» chiesi all'uomo. «Diciotto mesi, dalla morte del proprietario. L'uomo che ha acquistato la bottega ci ha affittato questa stanza. Al piano di sopra vive un'altra famiglia. Il padrone è mastro Placid, signore, vive nello Strand.» «Sapete chi era il figlio del vecchio proprietario?» «Sì, signore. Mark Smeaton, l'amante della regina puttana.» «Suppongo siano stati gli eredi di Smeaton a vendere la bottega a mastro
Placid. Sapete di chi si tratti, per caso?» «Una donna anziana. Quando ci siamo trasferiti qui, abbiamo trovato un mucchio con gli averi di mastro Smeaton: alcuni abiti, una coppa d'argento e una spada...» «Una spada?» «Sì, signore. Era tutto accatastato laggiù.» Indicò un angolo della stanza. «L'uomo di mastro Placid ci disse che la sorella di John Smeaton sarebbe venuta a prenderli. Ci intimò di non toccare nulla o saremmo stati buttati fuori.» «E noi non lo facemmo», aggiunse la donna accanto al focolare. Il bambino diede un violento colpo di tosse e lei se lo strinse al petto. «Buono, Timordidio.» Soffocai un moto di entusiasmo. «E la vecchia, è arrivata?» «Sì, signore, qualche settimana dopo. Veniva dalla campagna, pareva a disagio in città. Era accompagnata dal proprio avvocato.» «Ne ricordate il nome?» lo incalzai. «O da dove veniva? Forse da un luogo chiamato Scarnsea?» L'uomo scosse la testa. «Mi spiace, signore, ma non ricordo. Era piccola di statura, passata la cinquantina, i capelli grigi. Ci rivolse solo poche parole. Presero gli averi del fratello e se ne andarono.» «Ricordate il nome dell'avvocato?» «No, signore. Aiutò la donna portandole la spada. Lei disse che avrebbe desiderato avere un figlio maschio cui poterla donare.» «Molto bene. Vorrei che osservaste la mia spada - no, non temete, voglio solo mostrarvela - e mi diceste se potrebbe trattarsi di quella presa dalla vecchia.» La deposi sul banco. Il giovane la guardò, raggiunto dalla moglie con il piccolo in braccio. «Sembra proprio quella», disse lei. Mi guardò con occhi indagatori. «L'abbiamo tolta dal fodero, signore, ma solo per vedere com'era fatta, non l'abbiamo rovinata. Riconosco l'elsa dorata, e quei segni sull'impugnatura.» «Una bella spada davvero», aggiunse l'uomo. Inguainai l'arma. «Vi ringrazio entrambi, le vostre informazioni mi sono state molto utili. Mi spiace che vostro figlio sia malato.» Feci per dargli una carezza, ma la donna alzò una mano a fermarmi. «Non toccatelo, signore, è pieno di pidocchi. Non smette mai di tossire. Fa freddo, e ne abbiamo già perduto uno. Buono, Timordidio.» «Un nome inconsueto.» «Il nostro parroco è un fervente riformatore, signore, e ha battezzato lui
tutti i nostri figli. Dice che ci aiuterà avere figli con nomi così. Su, bambini, venite qui.» Gli altri tre si alzarono sulle deboli gambine, rivelando pance gonfie infestate dai vermi, mentre il padre li indicava a uno a uno. «Zelo, Perseveranza e Dovere.» Annuii. «Si meritano sei centesimi ciascuno, e qui ci sono tre scellini per il vostro disturbo.» Contai le monete che avevo in borsa. I bambini le afferrarono avidi; il padre e la madre quasi non credevano a tanta fortuna. Travolto da un'improvvisa emozione, mi voltai e uscii in fretta, montai a cavallo e m'allontanai. L'immagine pietosa di quella famiglia mi ossessionava, e fu un gran sollievo rivolgere il pensiero a quello che avevo scoperto. Non capivo. La persona che aveva ereditato la spada, la sola ad avere un movente per la vendetta, era una donna anziana? Non c'erano donne sopra la cinquantina al monastero, tranne un paio di vecchie domestiche, delle megere alte e allampanate che non corrispondevano per nulla alle parole del giovane. L'unica a somigliare a quella descrizione era comare Stumpe. E nessuna vecchina bassa avrebbe mai potuto sferrare un simile colpo a Singleton. Tuttavia le carte che lui aveva redatto erano chiare in proposito: non c'erano parenti maschi. Perso nei miei ansiosi pensieri, non mi ero reso conto che il cavallo stava proseguendo a casaccio, dirigendosi verso il fiume. Non mi sentivo di tornare a casa, e lasciai che il ronzino si avvicinasse alla riva. Annusai l'aria. Era la mia immaginazione o il gelo stava finalmente allentando la sua morsa? Oltrepassai un accampamento montato su un appezzamento nevoso di terra incolta. Era un gruppo di mendicanti che probabilmente sperava di trovare del lavoro occasionale sulle banchine. Avevano costruito un capanno con dei pezzi di legno trasportati dalla corrente, e delle tele di sacco erano state ammucchiate attorno a un fuoco. Al mio passaggio mi guardarono con occhi ostili, e uno scarno cane randagio dal pelo chiaro mi corse incontro abbaiando. Il cavallo scrollò il muso e nitrì, e uno degli uomini richiamò l'animale. Mi allontanai in fretta, accarezzando il ronzino per tranquillizzarlo. Giungemmo sulla riva; le barche venivano tirate in secca per scaricarne il contenuto. Un paio di marinai erano scuri come fratello Guy. Fermai il cavallo. Una grossa caracca oceanica era giunta al molo, la prua squadrata decorata da una sirena nuda parecchio volgare. Degli uomini portavano ce-
ste e casse fuori dalla stiva, e mi chiesi da quale remoto angolo del globo provenissero. Levando lo sguardo sugli imponenti alberi e sul reticolo del sartiame, fui sorpreso nel notare dei filamenti di nebbia avviluppati alla cima dell'albero maestro. Delle volute di bruma risalivano il fiume, e l'aria si era fatta più tiepida. Il ronzino mostrava ancora segni di nervosismo, così mi voltai e mi accinsi a ritornare, percorrendo una via di magazzini. Poi mi fermai. Da una di quelle costruzioni di legno si levava una gran confusione, urla e grida in lingue misteriose. Fu strano udire quei suoni esotici riempire l'aria brumosa. Incuriosito, scesi da cavallo, lo legai e mi diressi al deposito, dal quale fuoriusciva un puzzo intenso. Oltre la porta aperta, una scena spaventosa mi si parò davanti. Il magazzino era zeppo di uccelli imprigionati in tre enormi gabbie di ferro, ciascuna alta come un uomo. I volatili erano simili a quello esibito dalla vecchia che Pepper mi aveva ricordato. Ce n'erano a centinaia, di ogni misura e colore: rosso e verde, oro, blu e giallo. Versavano tutti in condizioni pietose: le ali erano state malamente mozzate, alcune fino all'osso, e le estremità mutilate erano ricoperte di pus; molti erano malati, le piume rade, i corpi incrostati. Per uno che si attaccava con le zampe alle sbarre della gabbia, un altro giaceva morto fra cumuli di escrementi secchi. Ma la cosa più straziante era il loro stridio. Alcune di quelle povere bestie lanciavano flebili gridi pietosi, come a chiedere di porre fine alle loro sofferenze, mentre altre gridavano a pieni polmoni in una gran varietà di lingue. Latino, inglese e idiomi che non comprendevo. Due di loro, appesi alle sbarre a testa in giù, non facevano che urlare: «Un buon vento», mentre un terzo rispondeva: «Maria, mater dolorosa» nel tipico accento di Devon. Rimasi impietrito a quell'orrido spettacolo, poi una ruvida mano sulla spalla mi riscosse dal torpore nel quale ero sprofondato. Mi voltai e vidi un marinaio dal farsetto chiazzato di grasso, lo sguardo sospettoso. «Che ci fate qui?» chiese brusco. «Se siete venuto per comprare dovete rivolgervi all'ufficio di mastro Fold.» «No... no, ero solo di passaggio, ho sentito dei rumori e mi sono domandato da dove provenissero.» Il marinaio mi sorrise con una smorfia. «La Torre di Babele, eh, quando Dio confuse la lingua degli uomini? Nah, nient'altro che questi volatili, il nuovo trastullo dei gentiluomini di Londra.» «Sono in condizioni davvero pietose.» «Ce ne sono a migliaia dove li abbiamo presi. Alcuni muoiono durante il
viaggio. Altri moriranno per il freddo, sono bestie delicate. Però sono belle, eh?» «Dove li avete presi?» «Nell'isola di Madeira. Laggiù c'è un mercante portoghese che ne ha compreso il valore. Dovreste vedere alcuni degli articoli che tratta, signore; pensate che carica interi bastimenti di schiavi negri dell'Africa da vendere ai coloni brasiliani.» Rise mostrando dei denti d'oro. Fui colto dalla disperata urgenza di fuggire dalla fredda aria puzzolente di quel magazzino. Mi congedai e mi allontanai in fretta. Gli stridii di quei volatili, i loro soprannaturali simulacri delle voci umane, mi seguirono lungo la strada fangosa. Attraversai nuovamente le mura della City ed entrai a Londra, che d'improvviso si era fatta grigia e nebbiosa, mentre il ghiaccio che andava sciogliendosi gocciolava da ogni grondaia. Fermai il ronzino sotto una chiesa. In genere ascoltavo messa almeno una volta la settimana, ma erano ormai trascorsi più di dieci giorni dalla mia ultima visita. Avevo bisogno di un conforto spirituale; smontai di sella, legai il cavallo ed entrai. Era una di quelle ricche chiese della City frequentate dai mercanti. Molti commercianti londinesi avevano abbracciato la fede riformista, e non c'erano candele a illuminare quell'ambiente. Le effigi dei santi dipinte sul jubé erano state cancellate, e sostituite dai versi biblici. La chiesa era vuota. Passai dietro il jubé. L'altare era stato spogliato delle sue decorazioni, la patena e il calice deposti su un tavolo disadorno. Una copia della nuova Bibbia era incatenata al leggio. Presi posto in uno stallo, rassicurato da quell'ambiente a me tanto familiare, così diverso da quello del monastero di Scarnsea. Poi mi accorsi che non tutti i passati arredi erano stati tolti. Da dove sedevo, scorsi una tomba del secolo precedente. Ospitava due feretri di pietra, posti l'uno sopra l'altro. Su quello superiore era scolpita l'effigie d'un ricco mercante lussuosamente vestito, ben pasciuto e con una folta barba. Quello inferiore, invece, rappresentava un cadavere essiccato, le preziose vesti nient'altro che cenci divorati dal tempo. Quest'ultima immagine recava il motto: «Così sono ora; così sono stato. Così sono ora, così tu sarai». Osservando il cadavere di pietra fui colto dall'improvvisa visione del corpo putrefatto della povera Orphan che emergeva dalle acque del vivaio, seguita da quella dei gracili bambini nell'ex bottega di Smeaton. Ebbi la nauseante sensazione che la nostra riforma non avrebbe ottenuto altro ri-
sultato che cambiare i nomi di bambini affamati, da quelli dei santi a Timordidio e Zelo. Ricordai con quanta naturalezza Cromwell mi aveva rivelato la falsificazione delle prove per condannare a morte degli innocenti, e le parole di Mark quando mi aveva raccontato degli avidi seguaci di Cromwell che frequentavano le Aumentazioni per accaparrarsi le terre monacali. Il nuovo mondo che andavamo creando non era la comunanza cristiana che avevamo sognato, e non lo sarebbe mai stata. Non era per nulla migliore di quello che l'aveva preceduto, dominato dal potere e dalla vanità. Ricordai i variopinti uccelli mutilati che stridevano furiosamente gli uni contro gli altri, e mi parve di vedere la corte del sovrano, dove papisti e riformatori ciarlavano agitandosi e lottando per il predominio. Nella mia ostinata cecità, mi ero rifiutato di comprendere quanto avevo davanti agli occhi. Quanto noi uomini temiamo il caos del mondo e l'immensità della vita eterna. Così formuliamo congetture che possano spiegarne i terribili misteri, convincendoci di porci al sicuro in questo mondo e nell'altro. E poi compresi che un altro ottenebrato ragionamento mi aveva impedito di scorgere la verità su quanto era accaduto a Scarnsea. Mi ero imbrogliato nella matassa di supposizioni sul presunto funzionamento delle cose del mondo, ma sopprimerne anche una sola equivaleva a sostituire uno specchio perfetto con uno dall'immagine deformante. Rimasi a bocca aperta. Avevo capito chi aveva ucciso Singleton e perché, e a quel punto tutto fu chiaro. Compresi d'avere poco tempo. Per qualche istante ancora rimasi seduto, in preda a un attonito stupore, il respiro affannoso. Poi mi alzai, uscii a precipizio dalla chiesa, recuperai il ronzino e cavalcai più veloce del vento per ritornare nel luogo in cui, se avevo ragione, si trovava l'ultima tessera di quell'intricato mosaico: la Torre. Era ormai buio, quando attraversai nuovamente il fossato, gli edifici illuminati dalla luce delle torce. Mi precipitai da Oldknoll. Lo trovai ancora nella sua stanza, intento a copiare informazioni da un documento all'altro. «Mastro Shardlake! Spero che la vostra giornata sia stata proficua. Più della mia, almeno.» «Devo parlare con il carceriere responsabile delle segrete. Potreste condurmici subito? Non ho tempo da perdere.» L'uomo capì che si trattava di una questione della massima importanza. «Vi ci porterò immediatamente.» Raccolse un grosso mazzo di chiavi e mi fece strada, prendendo la torcia a una sentinella di passaggio. Mi domandò
se fossi mai stato nelle segrete prima d'allora. «Mai, sono lieto di dire.» «Sono luoghi tetri. E non le ho mai viste trafficate tanto quanto in questo periodo.» «Già. Mi domando dove arriveremo.» «A un paese pieno di criminali senzadio, ecco dove. Papisti e predicatori folli. Dovrebbero finire tutti sulla forca.» Scendemmo una stretta scala a chiocciola. L'aria lì era umida e pungente. Sulle pareti crescevano verdi escrescenze, imperlate da grosse gocce d'acqua simili al sudore. Ci trovavamo ora sotto il livello del fiume. In fondo alle scale giungemmo a un cancello di ferro, attraverso il quale intravidi una stanza cieca illuminata dalle fiamme d'una torcia, nella quale un manipolo di uomini sedeva attorno a un tavolo disseminato di carte. Una sentinella con addosso la livrea della Torre ci raggiunse e Oldknoll le parlò attraverso le sbarre. «Questo è un commissario del vicario generale. Ha immediato bisogno d'incontrare il carceriere capo Hodges.» La guardia aprì il cancello. «Per di qua, signore. È molto impegnato; oggi abbiamo imprigionato un gran numero di anabattisti sospetti.» Ci condusse al tavolo, dove un uomo alto e sottile controllava dei documenti assieme a un'altra sentinella. Su entrambi i lati della stanza c'erano massicce porte di legno con finestrelle a sbarre. Da una di queste si levava una voce tonante, che recitava versetti della Bibbia. «'Badate io sono contro di loro, dice il Signore degli eserciti, e brucerò i carri e la spada divorerà i giovani leoni...'» Il carceriere alzò la testa. «Chiudi quella bocca! Vuoi essere frustato?» La voce ammutolì e l'uomo si rivolse a me: «Perdonate, signore, sto cercando di smistare le delazioni di questi nuovi prigionieri. Alcuni saranno interrogati da Lord Cromwell domani, e non vorrei presentargli quelli sbagliati». «Ho bisogno di avere delle informazioni circa un prigioniero che è stato qui diciotto mesi fa», dissi. «Ricordate Mark Smeaton?» L'uomo alzò un sopracciglio. «Non è facile dimenticare quell'episodio, signore. La regina d'Inghilterra nella Torre.» S'interruppe, perso nei ricordi. «Sì, Smeaton si trovava quaggiù la notte precedente la sua esecuzione. Avevamo ricevuto istruzioni di separarlo dagli altri prigionieri, perché doveva ricevere delle visite.» Annuii. «Robin Singleton venne per assicurarsi che non ritrattasse la
confessione. Ma ci furono altri visitatori. I loro nomi sono stati registrati?» Il carceriere scambiò un'occhiata complice con Oldknoll e rise. «Oh, sì, signore. Oggigiorno tutto viene registrato, non è così, Thomas?» «Almeno due volte.» Il carceriere diede un ordine a uno dei suoi uomini, che qualche minuto più tardi tornò con un voluminoso registro. Il carceriere lo aprì. «Il 16 maggio 1536.» Fece correre il dito lungo la pagina. «Sì, Smeaton era nella cella ora occupata da quel folle.» Fece un cenno verso la porta dalla quale erano giunte le declamazioni bibliche. «I suoi visitatori?» chiesi spazientito, raggiungendolo e sbirciando da dietro le spalle. Lui si scostò quasi impercettibilmente, mentre controllava ancora una volta il libro. Forse in passato un gobbo gli aveva portato sfortuna. «Vedete, ecco Singleton, giunto alle sei. Un altro visitatore segnato come 'parente' alle sette e 'il prete' alle otto. Si tratta del cappellano della Torre, fratello Martin. Venne a confessarlo prima dell'esecuzione. Accidenti a quel Fletcher, non faccio che ripetergli di scrivere sempre i nomi.» Feci correre un dito lungo la pagina, leggendo i nomi degli altri prigionieri. «Jerome Wentworth detto Jerome da Londra, monaco della certosa di Londra. Già, c'era anche lui. Ma ho bisogno di sapere del parente, mastro Hodges, con la massima urgenza. Chi è Fletcher, una delle vostre guardie?» «Esatto, e non ama la burocrazia. Non è molto bravo a scrivere.» «È di servizio oggi?» «No, signore, è in licenza per il funerale del padre, su nell'Essex. Non tornerà fino a domani pomeriggio.» «Riprenderà servizio domani?» «All'una.» Mi morsi il pugno chiuso. «Sarò già per mare a quell'ora. Datemi della carta e un pennino.» Scribacchiai due biglietti e li porsi a Hodges. «In questo chiedo a Fletcher di riferire tutto ciò che ricorda di quel visitatore, ogni più piccolo dettaglio. Sottolineategli che questa informazione è di vitale importanza, e che domandi aiuto se non è in grado di scrivere. Quando avrà fatto, voglio che la risposta venga immediatamente recapitata agli uffici di Lord Cromwell, accompagnata da quest'altra lettera. In questa domando a Lord Cromwell di fornire il suo messo più veloce, perché la risposta di Fletcher mi sia consegnata a Scarnsea. Le strade saranno disastrose con il disgelo,
ma un buon cavaliere potrà arrivare a destinazione assieme alla mia nave.» «La porterò da Lord Cromwell io stesso, mastro Shardlake», disse Oldknoll. «Mi farà bene cambiare un po' aria.» «Mi scuso per Fletcher», disse Hodges. «Ma oggigiorno navighiamo in un mare di carte, e talvolta il lavoro non viene eseguito a dovere.» «Assicuratevi solo che io riceva la risposta che cerco, mastro Hodges.» Mi voltai e Oldknoll mi condusse fuori delle segrete. Salendo le scale, udimmo l'uomo nella cella di Smeaton gridare nuovamente la sua litania d'ingarbugliate citazioni bibliche, che furono presto interrotte da un colpo secco e un grido. Capitolo trenta Fui fortunato, perché nel viaggio di ritorno avemmo il vento a favore. Una volta in mare aperto, la nebbia si diradò e l'imbarcazione fu sospinta lungo il Canale da una leggera brezza di sud-est. La temperatura s'era alzata di alcuni gradi e, dopo il freddo pungente dell'ultima settimana, il tempo pareva quasi tiepido. Il barcaiolo trasportava un carico di stoffa lavorata e attrezzi di ferro, ed era di umore più allegro. Avvicinandoci a terra, la sera del secondo giorno, la fascia costiera mi apparve avvolta da una leggera bruma. Il cuore prese a martellarmi in petto. Avevo trascorso gran parte del viaggio perso nelle mie riflessioni. Ora quel che avrei fatto dipendeva dal messaggero che avrebbe dovuto raggiungermi da Londra. Ed era giunto il momento di fare un'altra chiacchierata con Jerome. Un pensiero che avevo cercato di soffocare negli ultimi due giorni si affacciò prepotente: Mark e Alice erano sani e salvi? La nebbia nascondeva ogni cosa, mentre navigavamo attraverso la palude per raggiungere il molo di Scarnsea. Il barcaiolo mi domandò con voce esitante se non fosse troppo disturbo per me prendere il raffio e spingere la barca lontano dalla banchina, in caso ci fossimo avvicinati troppo, e io accettai. Un paio di volte rischiammo di rimanere bloccati nel denso fango, attraverso il quale scorrevano rigagnoli di neve disciolta. Fui lieto di raggiungere il molo. Il barcaiolo mi aiutò a scendere sulla terraferma, ringraziandomi per l'assistenza, e forse finì con il pensare bene di almeno un eretico riformatore. M'incamminai verso la casa di Copynger. L'uomo si era appena messo a tavola per cena con la moglie e i figli, e m'invitò a unirmi a loro, ma io de-
clinai, dicendo che dovevo tornare subito al monastero. Allora mi condusse nel suo accogliente studiolo. «È accaduto qualcosa al monastero in mia assenza?» domandai non appena il magistrato si chiuse la porta alle spalle. «No, signore.» «Sono tutti sani e salvi?» «Sì, per quanto ne so. Però ho delle notizie da darvi sulla vendita di quei terreni.» Frugò in un cassetto della scrivania e prese un atto di cessione scritto su una pergamena. Esaminai l'arzigogolata calligrafia e il sigillo monacale di cera rossa, ben impresso in calce. L'atto cedeva un considerevole appezzamento di terra arabile sull'altro lato dei Downs a Sir Edward Wentworth per una somma di cento sterline. «Un prezzo troppo basso», disse Copynger, «per un appezzamento di quelle dimensioni.» «E che non è stato registrato nelle entrate ufficiali del monastero.» «Avete dunque trovato la vostra canaglia, signore.» Sorrise soddisfatto. «Alla fine sono andato di persona da Sir Edward, in compagnia del conestabile. L'uomo si è spaventato perché ha compreso che avevo la facoltà d'arrestarlo, nonostante tutta la sua boria. M'ha consegnato l'atto di cessione in mezz'ora, continuando a lagnarsi che aveva acquistato quelle terre in assoluta buona fede.» «Con chi aveva trattato la vendita?» «Credo che il suo amministratore abbia trattato con l'economo. Sapete, fratello Edwig ha il controllo assoluto di tutte le finanze del monastero.» «Ma l'abate doveva apporre il sigillo sull'atto. O lo ha fatto qualcun altro al suo posto?» «Esatto. Inoltre l'accordo sanciva che la vendita dovesse rimanere segreta per qualche tempo, e intanto gli affittuari avrebbero come sempre pagato le pigioni al monastero, poi fratello Edwig le avrebbe passate a Sir Edward.» «Gli atti di cessione segreti non sono di per sé illegali. Ma nascondere una transazione ai funzionari del sovrano lo è.» Arrotolai la pergamena e la infilai nella borsa a tracolla. «Avete fatto un ottimo lavoro. Ve ne sono grato. Proseguite con le vostre indagini e continuate a non farne parola con nessuno.» «Ho ordinato a Wentworth di mantenere il silenzio sulla mia visita, minacciandolo di denunciarlo agli uffici di Lord Cromwell. Terrà la bocca chiusa.»
«Bene. Io procederò non appena avrò ricevuto una lettera che attendo da Londra.» Copynger tossì. «Visto che siete qui, signore, comare Stumpe ha domandato di voi. Le ho detto che sareste stato di ritorno questo pomeriggio, e lei si è accampata nella mia cucina. Non se ne andrà finché non vi avrà parlato.» «Molto bene, posso concederle qualche minuto. Un'altra cosa, di quanti uomini disponete?» «Il conestabile, il suo assistente e i miei tre informatori. Ma ci sono buoni riformatori in città, sui quali posso contare in caso di bisogno.» Mi guardò con occhi indagatori. «Prevedete guai?» «Spero di no. Ma ho intenzione di procedere presto a degli arresti. Potreste disporre perché i vostri uomini si rendano disponibili? E che la prigione del paese sia pronta ad accogliere nuovi ospiti?» L'uomo annuì, sorridente. «Sarò lieto di accogliere degli ospiti religiosi. E, signore», aggiunse con un'occhiata eloquente, «quando questa faccenda sarà conclusa, riferirete a Lord Cromwell del mio operato? Ho un figlio che ha quasi l'età per recarsi a Londra.» Sorrisi, amareggiato. «Credo che una mia raccomandazione avrebbe ben poco peso in questo momento.» «Oh.» Parve assai deluso. «E ora è il momento di parlare con comare Stumpe.» «Non vi spiace incontrarla in cucina? Non voglio che m'insudici il tappeto con le sue scarpe sporche.» Mi condusse in cucina, dove scacciò un paio di domestiche curiose e mi lasciò solo con la donna. La vecchia giunse dritta al sodo. «Mi spiace di rubarvi del tempo, signore, ma ho un favore da domandarvi. Abbiamo sepolto Orphan nel cimitero della chiesa due giorni fa.» «Sono lieto che il suo povero corpo abbia finalmente trovato pace.» «Ho provvisto al funerale di persona, ma non ho più soldi per la lapide. Ho notato, signore, che vi siete sinceramente interessato a lei, e mi domandavo se... se poteste regalarmi uno scellino per una lapide economica.» «E per una più costosa?» «Due, signore. Vi farò mandare una ricevuta.» Contai due scellini. «Questa missione mi sta trasformando in un elemosiniere, ma la fanciulla deve avere una pietra tombale come si deve. Però non darò un centesimo perché vengano recitate delle messe.»
La donna sbuffò. «Orphan non ha bisogno di messe, quelle non servono a niente. La mia piccola è già al sicuro al fianco di Nostro Signore.» «Parlate da riformatrice, comare.» «Lo sono, signore, e ne vado fiera.» «In ogni modo», aggiunsi noncurante, «siete mai stata a Londra?» La donna mi guardò perplessa. «No, signore. Non sono mai andata più in là di Winchelsea.» «E non avete parenti nella capitale?» «Tutta la mia famiglia vive nei dintorni.» Annuii. «Come pensavo. Non preoccupatevi, comare.» La congedai e passai a dare un rapido saluto a Copynger, che si era fatto un po' più freddo dopo aver saputo che non godevo più dei favori di Cromwell. Lo stalliere mi portò Chancery e mi avviai lungo la strada che conduceva al monastero. Mi parve che la temperatura si fosse alzata ancora, mentre procedevo lentamente nel buio, il terreno scivoloso per la neve che si stava sciogliendo. Tutt'intorno a me udivo il gorgogliante gocciolare dell'acqua che correva a gettarsi nella palude. Dopo un po' dovetti smontare di sella e condurre il cavallo a piedi, tirandolo per le briglie: l'idea che Chancery procedesse in quell'oscuro pantano non mi piaceva affatto. Infine, le mura del monastero e le finestre illuminate della guardiola di Bugge baluginarono nella nebbia. Il guardiano mi venne subito incontro, portando una torcia. «Siete tornato, signore. È pericoloso cavalcare là fuori di notte.» «Non avevo tempo da perdere.» Condussi Chancery attraverso il cancello. «È forse giunto un messo con una lettera per me, Bugge?» «No, signore, non è arrivato nessuno.» «Dannazione. Attendo un uomo da Londra. Non appena arriva avvertitemi subito, giorno o notte che sia.» «Sì, signore. Non mancherò.» «E fino a mio nuovo ordine, nessuno, e ripeto nessuno, deve lasciare le mura del monastero. Chiaro? Se qualcuno vi domanda di uscire, mandatelo da me.» Il guardiano mi guardò incuriosito. «Se questi sono i vostri ordini, commissario.» «Lo sono.» Feci un respiro profondo. «È accaduto qualcosa in questi giorni, Bugge? Stanno tutti bene? Mastro Poer?» «È tutto tranquillo, signore. Mastro Poer si trova negli alloggi dell'aba-
te.» Mi guardò in modo penetrante, gli occhi che brillavano alla luce della torcia. «Ma gli altri si sono dati daffare.» «Che cosa intendete dire? Parlate chiaramente.» «Fratello Jerome. Ieri è uscito dalla sua cella. È scomparso.» «Volete dire che è fuggito?» Bugge rise maligno. «Non potrebbe fare molta strada, e dal mio cancello non è passato di certo. No, è nascosto da qualche parte dentro le mura. Il priore lo stanerà presto.» «Buon Dio, avevo insistito tanto che fosse tenuto sotto stretta sorveglianza!» Digrignai i denti. Ora non potevo più interrogarlo sul visitatore di Mark Smeaton; tutto dipendeva ormai dall'arrivo del messo. «Lo so, signore, ma non viene più fatto nulla a dovere. Il servitore responsabile ha dimenticato di chiudere la sua porta a chiave. Sapete, signore, hanno tutti paura, l'uccisione di fratello Gabriel è stata l'ultima goccia. E si dice che il monastero presto sarà chiuso.» «Davvero?» «Be', non ci sarebbe da stupirsi, no? Dopo tutti questi omicidi e le voci di altri conventi finiti nelle mani del sovrano. Che cosa ne pensate voi, signore?» «Maledizione, Bugge, credete davvero che abbia tempo di discutere di politica con voi?» L'uomo mi guardò desolato. «Scusate, signore. Non intendevo essere impertinente. Ma...» S'interruppe. «Ebbene?» «Si dice che con la chiusura dei conventi i monaci riceveranno delle pensioni, ma i servitori saranno buttati in mezzo alla strada. Io ho quasi sessant'anni, signore, non ho famiglia né altre occupazioni. E a Scarnsea non c'è lavoro.» «Non posso fare molto, Bugge», risposi in tono più gentile. «Ditemi, il vostro assistente è qui?» «David, signore? Sì.» «Fategli portare Chancery nelle stalle, vi spiace? Io vado subito negli alloggi dell'abate.» Osservai il ragazzo condurre Chancery attraverso la corte, procedendo con attenzione nella fanghiglia nevosa. Ricordai la conversazione avuta con Cromwell. Bugge e tutti gli altri sarebbero stati cacciati, costretti a chiedere il sussidio di povertà nel caso non avessero trovato un altro lavoro. Mi venne in mente il giorno in cui ero stato all'ospizio, davanti al quale
dei mendicanti erano intenti a spalare la neve. Per quanto poco mi piacesse Bugge, non mi piaceva nemmeno l'idea di vederlo costretto a un simile lavoro, il suo adorato scampolo di potere svanito per sempre. Ne sarebbe morto di sicuro. All'improvviso sentii un rumore e mi voltai, brandendo la spada di John Smeaton. Scorsi una figura nella nebbia, appena visibile contro un muro. «Chi va là?» gridai brusco. Fratello Guy si fece avanti, il cappuccio alzato sul volto scuro. «Mastro Shardlake», disse con il suo inconfondibile accento. «Dunque siete ritornato?» «Che cosa ci fate qui fuori al buio, fratello?» «Avevo bisogno d'una boccata d'aria. Ho trascorso l'intera giornata con il vecchio fratello Paul. È morto un'ora fa.» Si fece il segno della croce. «Mi dispiace.» «Era arrivata la sua ora. Alla fine sembrava tornato fanciullo. Parlava delle guerre civili del secolo passato, di York e di Lancaster. Ha assistito alla restaurazione di re Enrico VI.» «Ora abbiamo un sovrano forte.» «Nessuno lo può negare.» «Ho saputo che Jerome è fuggito.» «Sì, il suo guardiano ha dimenticato di chiudere a chiave la porta. Ma lo troveranno, persino in un luogo tanto vasto. Non è in condizioni di rimanere nascosto. Pover'uomo, è più debole di quanto non sembri, e una notte passata all'addiaccio minerà ancora di più la sua fragile salute.» «Alice sta bene?» «Sì, è al sicuro. Abbiamo lavorato sodo. Ora che il tempo va cambiando, si ammalano tutti per quelle orribili esalazioni palustri.» «Ditemi, fratello, siete mai stato a Toledo?» Lui si strinse nelle spalle. «Quand'ero bambino la mia famiglia non faceva che spostarsi da una città all'altra. Siamo giunti nella sicura terra di Francia che io avevo dodici anni. Sì, ricordo che siamo stati a Toledo per un po'. Ricordo il grande castello, il rumore del ferro battuto in quelle che sembravano migliaia di fucine.» «Non avete mai conosciuto degli inglesi laggiù?» «Inglesi? Non ricordo. Ma non sarebbe stato strano. All'epoca c'erano molti inglesi in Spagna. Ora, ovviamente, non ne è rimasto neppure uno.» «Già, la Spagna è diventata nostra nemica.» Mi avvicinai, scrutando l'uomo dritto negli occhi castani. Occhi, tuttavia, che trovai impenetrabili. Mi strinsi nel mantello. «Devo lasciarvi, fratello.»
«Volete che vi faccia preparare la stanza in infermeria?» «Vedremo. In ogni modo, fatela riscaldare. Buona notte.» Lo lasciai e mi diressi verso l'abitazione dell'abate. Oltrepassai i fabbricati annessi, guardandomi attorno nervoso, in cerca del bianco riverbero della veste del certosino. Che cosa aveva in mente di fare Jerome? Il vecchio servitore dell'abate venne ad aprirmi. Mi disse che il suo padrone era in casa, in riunione con il priore, e che mastro Mark era nella sua stanza. Mi condusse al piano superiore, in quella che era stata la camera di Goodhaps, ora liberata dal vino e dall'odore di uomo vecchio e poco pulito. Mark lavorava seduto a un tavolo, sul quale erano disseminate una gran quantità di lettere. Notai che i suoi capelli si erano fatti lunghi; avrebbe dovuto far visita al barbiere, una volta tornato a Londra, se intendeva essere di nuovo alla moda. Mi rivolse un rapido saluto, gli occhi freddi e guardinghi. Ero certo che avesse trascorso quanto più tempo possibile in compagnia di Alice, durante la mia assenza. «Stai controllando la corrispondenza dell'abate?» «Sì, signore, pare tutto in ordine.» Mi guardò circospetto. «Come sono andate le cose a Londra? Avete scoperto qualcosa sulla spada?» «Ho trovato alcuni indizi. Ho condotto altre indagini e sono in attesa d'un messo da Londra. Per fortuna Lord Cromwell non è parso preoccuparsi della lettera di Jerome. Ma ho saputo che è fuggito.» «Il priore lo ha cercato in lungo e in largo assieme a due giovani monaci. Ieri li ho aiutati per un po', ma del certosino nemmeno l'ombra. Il priore è su tutte le furie.» «Lo immagino. E che mi dici delle voci che circolano sulla chiusura dei monasteri?» «A quanto pare un tale di Lewes di passaggio alla locanda ha rivelato che la prioria si è arresa al sovrano.» «Cromwell m'aveva detto che ormai era questione di ore. Probabilmente ha inviato alcuni agenti a diffondere la notizia nelle campagne, in modo da spaventare le altre case. Ma questo genere d'informazioni sono l'ultima cosa di cui ho bisogno qui. Cercherò di rassicurare l'abate, di convincerlo che per Scarnsea potrebbe esserci ancora una speranza.» La freddezza del suo sguardo si fece più intensa; odiava le menzogne. Rammentai le parole di Joan sui suoi nobilissimi ideali. «Ho ricevuto una lettera da mio padre», gli dissi. «Il raccolto è stato
scarso, ahimè. Il tuo spera nella chiusura di tutti i monasteri, perché ci sarà più lavoro per le Aumentazioni.» Mark non commentò, ma incontrò il mio sguardo con occhi gelidi e mesti. «Vado a far visita all'abate», gli dissi. «Per il momento, tu resta qui.» L'abate Fabian era seduto alla scrivania con il priore. Pareva si trovassero lì già da un pezzo: il viso dell'abate era più stravolto che mai e quello del priore Mortimus era una paonazza maschera di collera. Vedendomi entrare, si alzarono entrambi. «Mastro Shardlake, signore, ben tornato», disse l'abate. «Spero che il vostro viaggio sia stato proficuo.» «Per il momento Lord Cromwell non pare preoccuparsi della lettera di Jerome. Ma mi è giunta voce che quella canaglia è fuggita dalla sua cella.» «Ho messo il monastero a soqquadro per stanare quel vecchio balordo», disse il priore. «Non so dove si sia ficcato, ma di certo non può aver scavalcato le mura o essere sfuggito alla sorveglianza di Bugge. Dev'essere qui da qualche parte.» «Animato da chissà quali intenzioni.» L'abate sospirò. «Appunto di questo stavamo discutendo, signore. Forse aspetta l'occasione buona per fuggire. Fratello Guy è convinto che il suo stato di salute non gli permetterà di resistere a lungo in questo freddo, senza cibo.» «O magari attende di giocare un brutto tiro a qualcuno. Al sottoscritto, per esempio.» «Prego perché così non sia», disse l'abate. «Ho ordinato a Bugge di vietare a tutti l'uscita dal monastero per i prossimi giorni. Provvedete perché la comunità ne sia informata.» «E per quale ragione, signore, se è lecito?» «Precauzione. Ora, ho saputo che circolano voci sulla prioria di Lewes, e che tutti si dicono convinti che anche questa sia prossima alla caduta.» «Me lo avete detto voi stesso», disse l'abate sospirando di nuovo. Inclinai il capo. «Lord Cromwell mi ha riferito che non ci sono certezze per il momento. Sono stato precipitoso.» Nel mentire, mi sentii avvinto dalla morsa del senso di colpa. Ma era necessario. C'era una persona in particolare che non desideravo agisse in modo precipitoso. Il viso dell'abate Fabian si rianimò, e una scintilla di speranza accese gli occhi del priore. «Allora il monastero non sarà chiuso?» chiese l'abate. «Abbiamo una
speranza?» «Diciamo che parlare di dissoluzione è ancora prematuro, e deve essere scoraggiato.» L'abate si protese in avanti. «Forse potrei darne comunicazione ai fratelli in refettorio. Si cena fra una mezz'ora. Potrei dire loro... che la chiusura della nostra casa non è stata ancora decisa.» «Buona idea.» «Farete bene a preparare un discorso», gli suggerì il priore. «Già, certo.» L'abate prese carta e calamaio. Posai lo sguardo sul sigillo monacale, al suo solito posto sullo scrittoio. «Ditemi, signore, la porta di questa stanza viene lasciata aperta di solito?» Lui alzò lo sguardo. «Sì.» «E trovate sia saggio? Chiunque potrebbe entrare di nascosto e apporre il sigillo del monastero su qualsivoglia genere di documento.» L'abate mi guardò, confuso. «Ma ci sono sempre dei domestici di servizio. A nessuno è permesso entrare qui.» «A nessuno?» «Tranne gli obedenziari.» «Certamente. Bene, ora vi lascio. Ci rivedremo a cena.» Ancora una volta osservai i monaci sfilare in refettorio. Ripensai alla sera del mio arrivo: Simon Whelplay con il cappello puntuto in testa tremava nell'angolo della finestra, mentre fuori la neve cadeva fitta. Ora, invece, attraverso quella stessa finestra vedevo l'acqua gocciolare dalle stalattiti di ghiaccio che pendevano all'esterno, mentre fra la neve caduta si aprivano scure chiazze di terra. I monaci parevano tesi, curvi nelle loro vesti, e mi rivolgevano sguardi d'ansiosa ostilità. Vedendo Mark passarmi di fronte diretto al suo posto, lo afferrai per un braccio. «L'abate sta per fare l'annuncio che questo monastero non sarà confiscato dal sovrano, per ora», sussurrai. «È importante. Fra i monaci c'è un uccellino che non voglio far scappare dal nido; non ancora.» «Sono stanco di tutto questo, signore.» Si sciolse dalla mia presa e andò a sedersi. La sua palese maleducazione mi fece avvampare d'ira. L'abate Fabian riordinò i propri appunti poi, le guance rubiconde accese di nuova luce, comunicò ai confratelli che le voci sulla chiusura di tutti i monasteri erano infondate. Lord Cromwell in persona aveva detto che non c'era l'in-
tento di perseguire la resa di San Donato al momento, nonostante gli efferati omicidi che, ovviamente, erano ancora oggetto di severe investigazioni. Aggiunse che, appunto per quella ragione, nessuno doveva lasciare le mura del monastero. Le reazioni dei confratelli furono diverse. Alcuni, specialmente i più anziani, tirarono un sospiro di sollievo. Altri parevano più dubbiosi. Lanciai un'occhiata alla tavola degli obedenziari. Quelli più giovani - fratello Jude e fratello Hugh - sembravano sollevati, e lessi della speranza negli occhi del priore Mortimus. Fratello Guy, invece, scosse appena la testa e fratello Edwig si limitò ad accigliarsi. I domestici servirono la cena: una densa zuppa di verdure, seguita da stufato di montone alle erbe. Feci molta attenzione a essere servito dal piatto di portata comune, e che nessuno si avvicinasse alle pietanze mentre mi venivano portate in tavola. Avevamo da poco cominciato a cenare, quando il priore Mortimus, che si era già concesso due coppe di vino, si rivolse all'abate. «Ora che siamo al sicuro, signore, dovremmo procedere alla nomina d'un nuovo sacrista.» «Vergogna, Mortimus, il povero Gabriel è stato sepolto appena tre giorni fa.» «Ma dobbiamo. Qualcuno dovrà pur occuparsi di discutere del restauro della chiesa con l'economo, eh, fratello Edwig?» Levò la coppa d'argento al confratello, ancora cupo in viso. «A p-patto che venga nominato qualcuno di più ragionevole, che comprenda che le nostre c-casse non possono permettersi spese ingenti.» Il priore Mortimus si rivolse a me: «Quando si tratta di soldi, il nostro economo è l'uomo più accorto d'Inghilterra. È per questo che non ho ancora capito perché eri tanto contrario all'utilizzo di un ponteggio, Edwig. Non si può sperare di ottenere buoni risultati usando solo funi e pulegge». L'economo arrossì, ritrovandosi al centro dell'attenzione. «Va bene. Approverò l'utilizzo d'un p-ponteggio.» L'abate scoppiò in una sonora risata. «Be', fratello, hai discusso su questo punto con Gabriel per mesi interi. Persino quando ti ha detto che qualcuno poteva rimetterci la vita, non hai battuto ciglio. Che cosa t'è capitato?» «Era una q-questione di trattative.» L'economo abbassò lo sguardo, fissando con cipiglio il proprio piatto. Fratello Mortimus prese un'altra coppa di quel forte vino e si rivolse a me, rubizzo in viso.
«Conoscete la storia di fratello Edwig e i sanguinacci, commissario?» Il priore parlò a gran voce, suscitando l'ilarità dell'intero refettorio. Il viso scoraggiato dell'economo avvampò. «Suvvia, fratello Mortimus», disse l'abate con indulgenza. «Dov'è finita la tua carità fraterna?» «Ma questa è, per l'appunto, una storia di carità! Due anni or sono, il giorno fissato per le elemosine, non avevamo carne da distribuire ai poveri. Avremmo dovuto sgozzare un maiale, ma fratello Edwig non voleva nemmeno sentirne parlare. All'epoca fratello Guy era appena arrivato fra noi. Praticava salassi ai confratelli, e ne conservava il sangue per concimare il suo giardino. Leggenda vuole che Edwig suggerì di mescolare quel sangue alla farina, per farne dei sanguinacci da dare ai poveri; quei disgraziati non si sarebbero mai accorti che non era sangue di maiale. E tutto per risparmiare!» Scoppiò in una chiassosa risata. «Questa storia è falsa», disse fratello Guy. «L'ho detto un'infinità di volte.» Osservai fratello Edwig. Aveva smesso di mangiare e se ne stava ricurvo sul piatto, il cucchiaio stretto in mano. D'improvviso lo gettò sulla tavola e si alzò, gli occhi scuri accesi di collera. «Stolti!» gridò. «Pazzi blasfemi! Il solo sangue di cui dovrebbe importarvi è quello del Nostro Salvatore, Gesù Cristo, che beviamo durante la Comunione, quando il vino si trasforma! L'unico sangue che tiene insieme il mondo!» Strinse i pugni paffuti, il viso rosso d'ira, la balbuzie svanita. «Stolti, non ci saranno più messe. Perché vi attaccate a dei fili d'erba? Come potete credere alla bugia che il monastero sarà risparmiato, quando avete saputo quello che sta accadendo in tutto il paese? Pazzi! Pazzi! Il re vi distruggerà tutti!» Picchiò i pugni sul tavolo, poi si voltò e uscì dal refettorio. Sbatté la porta, lasciandoci in preda a un gelido silenzio. Feci un respiro profondo. «Priore Mortimus, io questo lo chiamo tradimento. Vi prego di dar ordine che fratello Edwig venga posto sotto custodia.» Il priore mi guardò atterrito. «Ma, signore, non ha detto nulla contro la supremazia del sovrano.» Mark si protese verso di me, inquieto. «Signore, di certo quelle non erano parole sediziose.» «Vi chiedo di fare come vi ho ordinato.» Fissai l'abate Fabian negli occhi. «Provvedi subito, Mortimus, per l'amor del cielo.»
Il priore serrò le labbra, ma si alzò da tavola e uscì con passo fermo. Rimasi seduto un istante a riflettere, il capo chino, consapevole di tutti gli sguardi puntati su di me. Poi mi alzai, facendo cenno a Mark di seguirmi. Raggiunsi la porta del refettorio giusto in tempo per scorgere il priore che si dirigeva verso l'ufficio contabile, seguito da un gruppo di servitori muniti di torce. D'improvviso, mi sentii posare una mano sul braccio. Mi voltai. Era Bugge, sul viso l'immagine stessa della solerzia. «Signore, il messaggero è giunto.» «Che cosa?» «Il cavaliere da Londra è qui. Non ho mai visto un uomo così imbrattato di fango.» Rimasi immobile un istante a osservare il priore Mortimus che bussava alla porta della contabilità. Non riuscivo a decidere se raggiungerlo o andare dal messo. Fui colto da un senso di vertigine e la vista mi si offuscò. Feci un respiro profondo e mi voltai verso Bugge, che mi guardava perplesso. «Andiamo», dissi e lo precedetti verso la guardiola. Capitolo trentuno Il messo era seduto davanti al fuoco nel casotto di Bugge. Nonostante fosse inzaccherato dalla testa ai piedi, riconobbi un giovane portalettere che avevo visto negli uffici di Cromwell. Il vicario generale era già a conoscenza del contenuto di quella lettera, dunque. Il messo si alzò tremante, esausto com'era, e mi fece un inchino. «Mastro Shardlake?» Annuii, troppo agitato per parlare. «Ho il compito di consegnarvi questa missiva personalmente.» Mi porse un foglio sul quale era impresso il sigillo della Torre. Mi voltai di spalle, ruppi il sigillo e lessi le tre righe che questa conteneva. Era come avevo supposto. Mi sforzai di darmi un contegno e mi rivolsi a Bugge, che mi guardava traboccante di curiosità. Il messo era tornato a sedersi. «Mastro guardiano», dissi. «Quest'uomo ha affrontato un viaggio lungo e faticoso. Fate in modo che gli venga dato qualcosa da mangiare e una stanza calda per la notte.» Poi mi rivolsi al messo. «Come vi chiamate?» «Hanfold, signore.» «Domattina potrei avere una risposta da portare a Londra, Hanfold. Buona notte. Avete fatto un buon lavoro.»
Lasciai la guardiola, infilando il foglio in tasca, e mi diressi a passo svelto verso il cortile esterno. Ora che sapevo che cosa dovevo fare, ero attanagliato dall'angoscia. Mi fermai. C'era qualcosa. Un'ombra in movimento colta con la coda dell'occhio. Mi voltai con un impeto tale che rischiai di scivolare nel fango. Era stato accanto alla fucina del fabbro, ne ero certo, ma ora non vedevo nulla. «Chi va là?» gridai brusco. Non ebbi risposta, nemmeno un suono, tranne il ritmico gocciolio della neve disciolta che cadeva dai tetti. La nebbia era ancora più fitta. Avviluppava gli edifici, dissolvendone i contorni e creando aloni d'un giallo cupo attorno alle finestre illuminate. Con l'orecchio teso, mi diressi in infermeria. Il letto di fratello Paul era stato disfatto, il religioso cieco sedeva lì accanto, a testa china. Quello più grasso dormiva. Non si vedeva nessun altro nella camerata. Anche il dispensario di fratello Guy era vuoto; dovevano essere ancora tutti in refettorio. L'arresto di Edwig doveva aver causato un grande scompiglio. Percorsi il vestibolo, oltrepassai quella che era stata la mia stanza e mi diressi verso la camera di Alice. Da sotto la porta filtrava una striscia di luce. Bussai e aprii. La trovai seduta su di una branda nella stanzetta priva di finestre, intenta a riempire di vestiti un grosso paniere di cuoio. Quando levò lo sguardo, lessi la paura nei suoi grandi occhi azzurri. Il duro viso squadrato era afflitto. Percepii una profonda disperazione. «Avete intenzione di partire?» dissi sorprendendomi della normalità della mia voce. Lei non rispose, ma rimase seduta, stringendo i manici della borsa. «Ebbene, Alice?» Ora la voce mi tremava. «Alice Fewterer, la cui madre da ragazza si chiamava Smeaton?» La giovane arrossì, ma ancora non proferì parola. «Oh, Alice, darei il mio braccio destro perché tutto questo non fosse vero.» Feci un respiro profondo. «Alice Fewterer, vi dichiaro in arresto nel nome di Sua Maestà per l'efferato omicidio del commissario Robin Singleton.» Allora parlò, la voce rotta dall'emozione. «Non omicidio. Giustizia. Ho fatto giustizia.» «Ai vostri occhi, forse. Dunque ho ragione, Mark Smeaton era vostro
cugino?» La fanciulla alzò lo sguardo. Strinse gli occhi come se stesse calcolando qualcosa. Poi parlò con una tale pacata ferocia che spero di non udire mai più dalla bocca d'una donna. «Più di un cugino. Eravamo amanti.» «Che cosa?» «Suo padre, il fratello di mia madre, partì alla volta di Londra per cercare fortuna che era solo un ragazzo. Mia madre non lo perdonò mai per aver abbandonato la famiglia, ma quando l'uomo che dovevo sposare morì decisi di raggiungerlo a Londra, per quanto mia madre cercasse d'impedirmelo. Qui non c'era lavoro.» «E vi prese in casa sua?» «John Smeaton e sua moglie erano delle brave persone. Brave persone. Mi accolsero e mi trovarono da lavorare nella bottega d'uno speziale. Questo è accaduto quattro anni fa, Mark era già un musico di corte all'epoca. Ringrazio Dio che mia zia sia morta di febbre eruttiva, almeno le fu risparmiato ciò che successe dopo.» Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma lei li asciugò e poi li puntò sul mio viso. Intravidi di nuovo una scintilla calcolatrice accenderle lo sguardo, sguardo che non riuscivo a penetrare. «Ma voi di certo lo saprete già, commissario...» Non avevo mai udito tanto disprezzo concentrato in una sola parola. «Altrimenti non sareste qui.» «Fino a mezz'ora fa non avevo nessuna certezza. La spada mi ha condotto a John Smeaton - ora capisco perché insistevate tanto che non andassi a Londra, quel pomeriggio al vivaio - ma all'inizio non feci il collegamento. Ero rimasto sorpreso dalla notizia che John Smeaton non aveva alcun parente di sesso maschile, e che tutti i suoi averi erano andati a una vecchia signora... vostra madre?» «Sì.» «Ho passato in rassegna il nome di tutti gli abitanti di questa casa, chiedendomi chi potesse avere avuto la forza e la destrezza necessarie per decapitare un uomo, ma anche a Londra non ho fatto alcun progresso. Poi mi sono domandato: e se John Smeaton avesse avuto un'altra parente, donna? Per tutto questo tempo ho sempre supposto che l'assassino fosse un uomo, ma poi ho capito che non c'era ragione per escludere una giovane donna robusta. E questo mi ha condotto a voi», conclusi tristemente. «Il messaggio che ho appena ricevuto mi ha dato la conferma che una giovane donna ha fatto visita a Mark Smeaton la notte prima che fosse giustiziato. E la
descrizione corrisponde a voi.» La guardai e scossi il capo. «Avete commesso un peccato molto grave, mia cara.» Ancora una volta mi parlò in tono calmo, nonostante la sua voce trasudasse amarezza. «Davvero? Peggiore di quello che ha commesso lui?» Mi meravigliai di tanto autocontrollo, di tanta freddezza. «Ho saputo che cosa è stato fatto a Mark Smeaton», dissi. «Jerome me l'ha accennato. Ho saputo a Londra il resto della storia.» «Jerome? Che c'entra lui?» «Jerome era prigioniero nella cella accanto a quella di vostro cugino, la notte della vostra visita. Quand'è venuto qui, deve avervi riconosciuta. Come pure Singleton. Per questo Jerome lo ha chiamato bugiardo e spergiuro. E, ovviamente, quando mi ha detto che nessun uomo in questo luogo poteva aver fatto una cosa simile, intendeva sfidarmi con la sua contorta ironia.» «Non mi ha mai detto nulla», disse pensierosa. «Avrebbe dovuto. Sono così pochi quelli che conoscono la verità. Che conoscono il male fatto da gente come voi.» «Non conoscevo la verità sul conto di Mark Smeaton, Alice, e neppure sulla regina. Avete ragione. Ciò che è accaduto è stato orribile e crudele.» Gli occhi le si accesero di speranza. «Allora lasciatemi andare, signore. Da quando vi conosco non avete fatto che sorprendermi. Non siete il bruto che mi aspettavo. Io ho soltanto fatto giustizia. Vi prego, lasciatemi andare.» «Non posso», dissi con tristezza. «Avete pur sempre commesso un omicidio. Devo prendervi in custodia.» Mi guardò supplichevole. «Signore, se tenete un poco a me, vi prego, ascoltatemi.» Sospettavo che intendesse guadagnare tempo, ma non la interruppi. Mi stava offrendo la risposta che avevo tanto cercato. «Mark Smeaton veniva a trovare i genitori ogni volta che gli era possibile. Era passato dal coro del cardinale Wolsey alla dimora di Anna Bolena, diventando il suo musico privato. Povero Mark, si vergognava delle proprie origini, lo splendore della corte gli aveva fatto girare la testa. Lo aveva sedotto, come voi vorreste che seducesse Mark Poer.» «Non accadrà mai. Dovete già saperlo.» «Mark mi portò a vedere i maestosi palazzi di Greenwich e Whitehall, ma non volle mai farmici entrare nemmeno dopo che diventammo amanti. Mi disse che potevamo incontrarci solo in segreto. Ma io ero felice. E poi,
un giorno, tornai dal mio lavoro alla bottega dello speziale e trovai Robin Singleton scortato da una truppa di soldati a casa di mio zio, ormai rimasto vedovo. Singleton gridava, cercando di estorcergli la confessione che il figlio aveva giaciuto con la regina. Quando capii che cosa stava accadendo corsi da Singleton e lo colpii, e i soldati dovettero allontanarmi con la forza.» Mi guardò scura in viso. «Quella fu la prima volta in cui compresi quanta rabbia custodissi nel cuore. Capii anche che John Smeaton non aveva detto loro della relazione che avevo con suo figlio, né che ero sua cugina, altrimenti di sicuro avrebbero arrestato anche me per costringermi al silenzio. «Il mio povero zio morì due giorni dopo l'esecuzione di Mark. Io assistetti al processo, e vidi il terrore che attanagliava la giuria. Non ci furono mai dubbi sul verdetto. Provai ad andare in visita a Mark alla Torre, ma non mi permisero di vederlo fino a che uno dei carcerieri ebbe pietà di me, la notte precedente l'esecuzione. Lo tenevano in catene in quel luogo orribile, i suoi preziosi vestiti ridotti a nient'altro che stracci.» «Lo so. Jerome me lo ha detto.» «Quando Mark fu arrestato, Singleton disse che se avesse confessato d'aver giaciuto con la regina avrebbe ottenuto la grazia del sovrano. Mi rivelò che era convinto che la legge lo avrebbe protetto, visto che non aveva fatto nulla di male. Che ingenuo!» Rise amaramente. «La legge inglese viene fatta applicare con la gogna e nelle segrete! Lo torturarono fino a che il suo mondo non fu altro che dolore. Così confessò, e loro gli concessero due settimane di vita da storpio per il processo, prima di tagliargli la testa. Io c'ero, ero fra la folla. Gli avevo promesso che il mio viso sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto.» Chiuse gli occhi. «Ci fu tanto sangue. Un fiume che spruzzò nell'aria. C'è sempre tanto sangue.» «Sì, avete ragione.» Ricordai Jerome dire che Smeaton aveva confessato di essere andato con molte donne: l'immagine che Alice aveva di lui era idealizzata, ma non potevo certo dirle la verità. «E poi Singleton è apparso qui.» «Già. Potete immaginare come mi sono sentita il giorno in cui l'ho incontrato nella corte assieme all'assistente dell'economo? Sapevo della visita d'un commissario, ma non potevo immaginare che fosse lui...» «E allora avete deciso d'ucciderlo.» «Avevo sognato di uccidere quell'uomo malvagio così tante volte... Dovevo farlo, nient'altro. Giustizia doveva essere fatta.» «La giustizia è rara in questo mondo.»
Il suo viso s'indurì. «Questa volta è stata fatta», ribadì. «E Singleton non vi riconobbe?» Lei rise. «No. Vide in me solo una domestica che trasportava un sacco, sempre ammesso che mi abbia notata. Ero arrivata da più di un anno, da quando lo speziale di Londra mi aveva licenziata perché ero imparentata con gli Smeaton. Mia madre aveva ricevuto la lettera d'un avvocato ed era andata a Londra a ritirare i pochi beni che erano appartenuti a mio zio. Io ero rimasta qualche, tempo con lei prima di entrare qui dentro, ma poi lei era morta - il cuore non aveva retto, come per mio zio - e Copynger mi aveva sfrattata.» «Ma la gente del paese non sapeva dei vostri legami con gli Smeaton?» «Mio zio se n'era andato trent'anni prima, e mia madre aveva cambiato nome dopo sposata. Quel cognome fu dimenticato, e io non l'ho mai voluto ricordare. In paese raccontai la storia dello speziale di Esher.» «Avete tenuto la spada, però.» «Un ricordo. Nelle lunghe sere d'inverno mio zio amava mostrarci alcune mosse di scherma. Imparai qualche nozione sull'equilibrio, sui passi, sugli angoli di forza. Quando vidi Singleton capii subito che l'avrei usata.» «Mio Dio, signora, siete dotata d'un temibile coraggio.» «Fu facile. Non avevo le chiavi d'accesso alle cucine, ma ricordavo la storia del vecchio passaggio.» «E lo trovaste.» «Sì, cercando con cura in ogni stanza. Allora scrissi un biglietto anonimo a Singleton, facendomi passare per un informatore e chiedendogli un incontro segreto nel cuore della notte. Gli dissi d'avere un grande segreto da rivelargli.» Allora sorrise, d'un sorriso che mi diede i brividi. «Lui avrebbe sicuramente pensato che si trattasse d'un monaco.» Il sorriso svanì. «Sapevo che si sarebbe sparso molto sangue, così andai in lavanderia e rubai una tonaca. Avevo trovato una chiave per quei locali nel cassetto del tavolo della mia stanza, quand'ero arrivata.» «La chiave che fratello Luke aveva perduto mentre molestava Orphan Stonegarden. Evidentemente la giovane doveva averla conservata.» «Povera ragazza. Fareste meglio a cercare il suo assassino, invece di quello di Singleton.» Mi fissò dritto negli occhi. «Fratello Guy e io ci stavamo prendendo cura dei monaci anziani; gli dissi che avevo bisogno di riposare un po'. Poi indossai l'abito, presi la spada e percorsi il passaggio segreto fino alle cucine. Fu talmente facile. Mi nascosi accanto alla credenza e quando vidi entrare il commissario lo colpii.» Sorrise con spaven-
toso compiacimento. «Avevo affilato la spada, e bastò un colpo solo.» «Proprio come la regina Anna Bolena.» «Proprio come Mark», puntualizzò, scurendosi in volto. «Così tanto sangue. Avevo sperato che il suo sangue avrebbe potuto lavare la mia rabbia, e invece... In sogno, il viso di mio cugino mi appare ancora.» Allora gli occhi le si accesero e tirò un gran sospiro di sollievo, mentre qualcuno da dietro mi afferrò il polso, facendo cadere a terra il mio pugnale. Abbassai lo sguardo e vidi uno stiletto puntato alla gola. «Jerome?» chiesi con voce roca. «No, signore», mi rispose la voce di Mark. «Non gridate.» Il coltello premeva sulla carne. «Andate a sedervi su quel letto. Muovetevi lentamente.» Attraversai piano la stanza e raggiunsi la branda. Alice si alzò e si avvicinò a Mark, cingendolo con un braccio. «Pensavo non saresti più tornato. Ma sono riuscita a trattenerlo.» Mark chiuse la porta, poi rimase a fissarmi, il pugnale sempre puntato contro di me; gli sarebbe bastato un attimo per balzare in avanti e aprirmi uno squarcio in gola. Il gelo nel suo sguardo era svanito, ma aveva gli occhi pieni di determinazione. Lo guardai. «Eri tu in cortile un attimo fa? Mi hai seguito?» «Sì. Chi altri sa la verità, signore?» Mi chiamava ancora signore. Mi venne quasi da ridere. «Il messo era uno dei servitori di Lord Cromwell, dunque Cromwell sa già tutto. Ma tu sai che cosa ha fatto Alice?» «Me lo ha detto il primo giorno che abbiamo giaciuto insieme, quando voi siete partito per Londra. Le dissi che voi siete astuto, così avevamo stabilito di partire questa sera. Se foste arrivato solo poche ore più tardi, non ci avreste più trovati. Come vorrei fosse andata così.» «Non c'è via di fuga, ora. Non in Inghilterra.» «Ma noi non rimarremo in Inghilterra. Una barca ci aspetta sul fiume per portarci in Francia.» «I contrabbandieri?» «Esatto», disse Alice in tono pratico. «Vi ho mentito. I miei amici d'infanzia non sono affogati, e ci aiuteranno volentieri. C'è un bastimento francese in mare aperto che attende un cargo dal monastero per domani, ma ci hanno mandato una barca a prenderci stasera stessa.» Rimasi sbalordito. «Dal monastero? Sapete chi lo manda, o di che cosa si tratti?»
«Non m'importa.» «Mark, tu sai che cosa trasporta il cargo?» «No.» Si morse un labbro. «Mi spiace, signore, ma ora per me contano solo Alice e la nostra fuga.» «Sei un traditore», gli dissi. «Hai ingannato il tuo sovrano e hai ingannato me. E io che ti consideravo un figlio.» Mi guardò quasi compatendomi. «Non sono vostro figlio, signore. E non ho mai sposato la vostra religione. Lo avreste compreso se aveste ascoltato ciò che dicevo, invece di trattarmi come una cassa di risonanza per le vostre opinioni.» «Non meritavo questo da parte tua. E neppure da parte vostra, Alice.» «Chi può mai sapere che cosa meritiamo?» disse Mark con improvvisa furia. «Non c'è giustizia né ordine in questo mondo, e ve ne accorgereste anche voi, se non foste tanto cieco. Dopo quanto Alice mi ha raccontato, ne ho la certezza. Io partirò con lei, l'ho deciso quattro giorni fa.» Eppure, mentre parlava scorsi in lui un lampo di vergogna, segno che l'affetto che lo legava a me non era del tutto svanito. «Partirai con una donna capace di profanare una chiesa? Perché siete stata voi, Alice, non è vero? Avete messo il gallo sgozzato sull'altare dopo l'omicidio di Singleton per confondere le acque?» «Sì», disse. «Sono stata io. Ma se ci credete papisti sbagliate di grosso. Siete tutti uguali, riformatori e papisti; modellate pensieri da imporre alla povera gente, pena la morte, mentre lottate per il potere, le terre e il denaro, le sole cose che v'interessano davvero.» «A me non interessano.» «Forse no. Voi avete un cuore gentile e non vi ho mentito volentieri. Ma quando si tratta di vedere quello che sta accadendo in Inghilterra, siete cieco come un gattino appena nato.» La pietà si mescolava alla rabbia nella sua voce. «Dovreste vedere il mondo con gli occhi della gente comune, ma quelli del vostro stampo non lo faranno mai. Pensate davvero che potrebbe importarmi della Chiesa dopo quanto ho visto? Ho provato più dolore nel sacrificare quel gallo che nel profanare l'altare.» «E ora, che cosa accadrà?» domandai. «Dovrò morire?» Mark deglutì. «No, a meno che non ci costringiate.» Poi il giovane si rivolse ad Alice. «Possiamo legarlo, imbavagliarlo e metterlo nell'armadio. Lo cercheranno, ma non penseranno mai di guardare qui dentro. Fratello Guy quando si accorgerà della tua scomparsa?» «Gli ho detto che mi sarei coricata presto. Non lo noterà fino a domatti-
na alle sette. Ma per quell'ora noi saremo già in mare aperto.» Mi sforzai di riflettere. «Mark, ti prego, ascoltami. Stai dimenticando fratello Gabriel, Simon Whelplay e Orphan Stonegarden.» «Non c'entro nulla con la loro morte!» disse Alice con foga. «Lo so. Avevo pensato che gli omicidi potessero essere stati commessi da due complici, ma mai avrei immaginato due assassini distinti. Mark, pensa a quello che hai visto. Il cadavere di Orphan Stonegarden rinvenuto nello stagno, Gabriel schiacciato come un insetto, Simon spinto alla pazzia dal veleno. Mi hai aiutato, mi sei sempre rimasto al fianco. Permetterai dunque all'assassino di farla franca?» «Avevamo intenzione di lasciarvi un biglietto per spiegarvi che Alice aveva ucciso Singleton.» «Ti prego d'ascoltarmi. Fratello Edwig è stato arrestato?» Mark scosse il capo. «No. Vi ho seguito fino alla porta del refettorio, e ho udito Bugge dire che c'era un messaggio. Quindi vi ho seguito alla guardiola, e vi ho visto ritornare all'infermeria. Poi il priore Mortimus è venuto a dirmi che fratello Edwig non si trovava in contabilità, e neppure nella sua cella. Pare si sia dato alla fuga. Ecco perché ci ho messo tanto, Alice.» «Non deve scappare», dissi con ardore. «Ha venduto delle terre senza l'autorizzazione dell'abate, sospetto, e ha un migliaio di sterline nascoste da qualche parte. Quella barca è per la sua fuga. Certo, ha cercato di guadagnar tempo fino al suo arrivo. Per questa ragione ha ucciso il novizio Whelplay, perché temeva che il giovane avrebbe raccontato all'abate di Orphan Stonegarden, e che questi lo avrebbe fatto mettere agli arresti.» Mark abbassò il pugnale, gli occhi colmi di sorpresa. Avevo catturato la sua attenzione. «È stato fratello Edwig a uccidere la ragazza?» «Sì! Poi ha provato a uccidere anche me in chiesa. Con questa neve, ci sarebbero voluti giorni o settimane, prima che giungesse un mio sostituto, e lui avrebbe avuto tutto il tempo di fuggire. Dividerete quella barca con un assassino.» «Ne siete certo?» chiese Mark. «Sì. Sul conto di fratello Gabriel mi ero sbagliato, ma questa volta è vero. Pensa a ciò che mi hai detto sul cargo in partenza dal monastero. Edwig è un assassino e un abile truffatore. In tutta coscienza, non puoi permettere che scappi.» Per un istante lo vidi vacillare.
«Siete assolutamente certo che fratello Edwig abbia ucciso la ragazza?» s'intromise Alice. «Certissimo. Doveva trattarsi di uno degli obedenziari che avevano fatto visita a Simon Whelplay. Il priore Mortimus e fratello Edwig avevano già alle spalle un passato di molestatori; Mortimus ha infastidito anche voi, invece fratello Edwig no... perché temeva di perdere il controllo come aveva fatto con Orphan.» Mark si morse un labbro. «Alice, non possiamo permettere che la passi liscia.» Lei mi guardò disperata. «M'impiccheranno o, più probabilmente, mi manderanno al rogo. Mi accuseranno di stregoneria, per quel che ho fatto al gallo.» «Ascolta», disse Mark. «Quando raggiungeremo la nave, diremo loro di non attendere oltre e di salpare questa notte stessa. Così fratello Edwig non riuscirà a fuggire con il suo malefico oro, e i contrabbandieri non rimarranno in attesa d'un feroce assassino.» «Sì», disse lei con ardore. «Possiamo fare così.» «Ma lui sarà ancora a piede libero», dissi io. Mark fece un respiro profondo. «Sta a voi catturarlo, signore. Sono dolente.» «Dobbiamo andare», disse Alice con urgenza. «La marea cambierà presto.» «È ancora presto. L'orologio dell'abbazia segna le otto, ci vorrà ancora mezz'ora prima che la marea si alzi. Abbiamo tutto il tempo di guadare la palude.» «Guadare la palude?» chiesi sconcertato. «Certo», disse Alice. «Fino all'estuario.» «Ma non potete!» urlai. «Non avete visto il tempo? La neve si è quasi completamente sciolta, la palude sarà un'immensa distesa di fango. Ho risalito il canale questo pomeriggio, so quel che dico! Non ce la farete mai, dovete credermi!» «Conosco bene quei sentieri», si ostinò Alice. «Troverò di sicuro la strada.» Dai suoi occhi, però, traspariva un velo d'incertezza. «Mark, in nome di Dio, credimi, firmerete la vostra condanna a morte!» Il ragazzo fece un respiro profondo. «Alice conosce bene la palude. E non ci aspetta comunque la morte, se rimaniamo qui?» Sospirai. «Lasciala andare. Lascia che scappi e si assuma i suoi rischi. Non dirò nulla del tuo coinvolgimento, lo giuro. Maledizione, ti sto dicen-
do che sono disposto a diventare vostro complice, a mettere la mia vita in pericolo per entrambi! Ma non attraversare la palude!» Alice lo guardò disperata. «Mark, non lasciarmi. So che possiamo farcela.» «Ti dico che è impossibile! Non avete idea di che cosa sia divenuta la palude!» Mark fissava ora uno ora l'altra, il volto attanagliato dall'agonia dell'indecisione. Ripensandoci oggi, comprendo quanto fosse giovane, troppo giovane per decidere del suo destino e di quello di Alice in un solo istante. Poi il suo viso s'irrigidì, e mi sentii mancare il cuore. «Ora dobbiamo legarvi, signore. Cercherò di non farvi male. Alice, dov'è la tua veste da notte?» Lei sfilò l'indumento da sotto il cuscino e Mark lo tagliò in lunghe strisce con il pugnale. «Stendetevi prono, signore.» «Mark, per l'amor del cielo...» Il giovane mi afferrò per la spalla e mi legò le braccia dietro la schiena, poi le gambe, prima di voltarmi sul dorso. «Mark, non andare...» Furono le ultime parole che gli dissi, poiché poi lui mi chiuse la bocca con un pezzo di stoffa, facendomi quasi soffocare. Alice spalancò le ante dell'armadio e mi depositarono al suo interno. Mentre Mark lo chiudeva, si fermò a guardarmi. «Aspetta. La schiena potrebbe fargli male.» Alice lo osservò impaziente, ma lui prese un cuscino dal letto e me lo sistemò dietro le spalle. «Mi spiace», sussurrò. Poi si voltò e chiuse l'anta, lasciandomi nell'oscurità. Un istante più tardi, udii la porta esterna chiudersi piano. Soffocai un conato di vomito, sapendo che avrei rischiato di morire. Mi appoggiai al cuscino, respirando profondamente dal naso. Alice aveva detto che fratello Guy non l'aspettava nel dispensario fino alle sette del mattino dopo. Mi aspettavano ancora undici ore chiuso là dentro. Capitolo trentadue Due volte nel corso di quella lunga notte mi parve d'udire delle grida lontane. Dovevano essere i monaci che stavano cercando Mark, me e fratello Edwig. A un certo punto dovevo essere riuscito ad addormentarmi,
poiché sognai Jerome che, chino su di me imprigionato, rideva follemente. Mi svegliai di soprassalto nella fitta oscurità della credenza, i polsi legati sempre più doloranti. Rimasi sveglio ancora per qualche ora prima di sentire dei passi nella stanza. Raccolsi le poche energie che mi erano rimaste e calciai l'anta dell'armadio. Poco dopo questo si aprì. L'improvvisa luce del mattino mi ferì gli occhi, e scorsi fratello Guy che mi fissava con la bocca stretta in un «oh» di meraviglia. In maniera assai poco pertinente, pensai fosse fortunato a essere arrivato alla sua età con una simile dentatura. Poi il monaco mi slegò e mi aiutò a rimettermi in piedi, dicendomi di muovermi piano per non danneggiare la schiena indolenzita con movimenti troppo bruschi. Mi condusse nella mia stanza, dove fui lieto di potermi sedere davanti al fuoco, perché morivo di freddo. Gli raccontai tutto, e quando apprese che Alice era l'assassina di Singleton si lasciò cadere sul letto con un gemito. «E dire che sono stato io a parlarle del passaggio, quand'è arrivata qui. Cercavo d'intavolare una conversazione, mi sembrava tanto sola e sperduta.» «Edwig non è stato ancora trovato?» «No, è svanito nel nulla, come Jerome. Potrebbe essere fuggito. Bugge ha lasciato per un po' la guardiola incustodita ieri notte, quando c'è stata tutta quella baraonda. O forse è uscito dal retro, verso la palude. Però non ho ancora capito perché abbiate tanto insistito nel volerlo arrestare. Avete sentito parole ben peggiori delle sue da quando siete giunto al monastero.» «Ha ucciso Gabriel, Simon e forse anche Orphan. E ha rubato un'ingente quantità d'oro.» Fratello Guy rimase sbalordito, poi si prese la testa fra le mani. «Jesu, che cosa è mai diventata questa casa, per aver alimentato tanta violenza?» «In un'epoca diversa Alice non sarebbe stata considerata un'assassina. Ed Edwig non sarebbe mai riuscito a perpetrare le sue frodi, se la situazione fosse stata più stabile. La domanda che vi siete posto potrebbe tranquillamente essere estesa all'intera Inghilterra. E io ho contribuito a tutto questo.» Mi fissò con attenzione. «L'abate Fabian ha avuto un crollo ieri notte. Dopo che avete ordinato l'arresto di fratello Edwig. Pare non riesca più a muoversi né a parlare; se ne sta seduto nel suo studio, lo sguardo perso nel vuoto.» Sospirai. «Non è mai stato in grado di affrontare questa situazione. Fra-
tello Edwig si è impossessato del suo sigillo e lo ha apposto sugli atti di vendita di quei terreni. Ha imposto massima segretezza ai compratori, e loro devono averne dedotto che l'abate fosse d'accordo.» Mi alzai a fatica. «Fratello Guy, dovete aiutarmi. Ho bisogno di raggiungere la palude. Devo capire se Mark e Alice sono riusciti a raggiungere la barca.» Lui tentò di convincermi che non ero in condizione di spostarmi, ma io insistei e allora mi aiutò a rimettermi in piedi. Presi il bastone e uscimmo. Sul monastero incombeva un cielo denso di nuvole, l'aria mite e umida. La corte era punteggiata di pozzanghere e mucchi di fango, la neve ormai sciolta. I passanti indaffarati si fermarono nel vedermi procedere zoppicando. Il priore Mortimus mi corse incontro. «Commissario! Vi credevamo morto, come Singleton. Dov'è il vostro assistente?» Raccontai succintamente quant'era accaduto, circondato da una folla sbalordita di monaci e servitori. Ordinai al priore Mortimus di mandare a chiamare Copynger: se Edwig era fuggito, avremmo dovuto setacciare la campagna circostante per ritrovarlo. Non so come, riuscii ad attraversare il frutteto. La schiena era un'agonia, mi sentivo mancare. Infine, però, raggiungemmo le mura posteriori. Aprii il cancello e lo attraversammo. Mi ritrovai a scrutare un lago ampio mezzo miglio. L'intera palude era ricoperta d'acqua, il fiume una rapida corrente che scivolava al centro d'una distesa che arrivava quasi a lambire i nostri piedi. Lo specchio d'acqua era poco profondo, non più di un piede sopra il fango, a giudicare dai giunchi, ma il morbido terreno paludoso doveva essersi saturato. «Guardate!» disse fratello Guy, indicando delle impronte impresse nel fango presso il cancello, due più grandi e le altre più piccole. Scendevano fin sulla sponda e svanivano nell'acqua. «Jesu. L'hanno attraversata.» «Non possono aver percorso più d'un centinaio di iarde», sussurrai. «Con la nebbia, l'oscurità e tutta quest'acqua.» «Che cos'è? Laggiù?» Fratello Guy indicò un oggetto che galleggiava poco distante. «È una lampada! Uno dei piccoli candelieri dell'infermeria. Devono averlo portato con loro. Oh, Dio.» Mi afferrai al frate infermiere per sostenermi, al pensiero che Mark e Alice fossero sprofondati da qualche parte in quel pantano inondato. Fratello Guy mi fece premurosamente sedere sulla riva, e io respirai a fondo per ritornare in me. Alzai di nuovo lo sguardo e vidi il religioso sussurrare una preghiera in latino, le mani giunte, gli occhi
fissi sulla lampada che galleggiava leggera sulla superficie dell'acqua. Non appena mi fui ripreso, mi ricondusse in infermeria. Lì insisté perché mi riposassi e mangiassi qualcosa, facendomi sedere in cucina e servendomi di persona. Il cibo mi rinvigorì il corpo, sebbene sentissi il cuore pesante come un macigno. Non riuscivo a togliermi Mark dalla testa; lo rivedevo scherzare allegro nel corso del viaggio che ci aveva condotti lì; litigare con me nella nostra stanza; stringere Alice fra le braccia in cucina. Mi sarebbe mancato immensamente. «C'erano solo due serie d'impronte che attraversavano il cancello», osservò fratello Guy dopo un po'. «Non sembra che Edwig sia passato di là.» «Non lui», risposi amaramente. «Lui dev'essere fuggito dal cancello, approfittando dell'assenza di Bugge.» Serrai i pugni. «Ma lo scoverò, dovesse essere l'ultima cosa che faccio.» Bussarono alla porta, e il priore Mortimus apparve, il viso tetro. «Avete mandato a chiamare Copynger?» chiesi. «Sì, dovrebbe raggiungerci presto. Ma, commissario, abbiamo trovato...» «Edwig?» «No. Jerome. È in chiesa. Dovreste venire a vedere.» «Siete ancora troppo debole», disse fratello Guy, ma io respinsi la sua mano e afferrai il bastone. Seguii il priore nella chiesa, davanti alla quale si era assiepata una piccola folla. L'elemosiniere stava di guardia, vietando a chiunque di entrare. Il priore si fece strada fra la gente. All'interno non udii altro che il rumore d'acqua gocciolante e un lieve singhiozzo, un lamento. Seguii il priore Mortimus lungo l'ampia navata deserta, le nicchie illuminate nell'eco dei nostri passi, finché giungemmo alla cappelletta che ospitava la reliquia del buon ladrone. Le grucce e i bastoni deposti alla base del piedistallo erano sparpagliati sul pavimento. In quel momento notai che il plinto era cavo, e racchiudeva spazio sufficiente per nascondere un uomo. Rannicchiato al suo interno c'era Jerome, un oggetto stretto in mano. L'abito bianco era sudicio e stracciato e dal suo corpo si levava un puzzo nauseante. L'uomo piangeva pietosamente. «L'ho trovato mezz'ora fa», disse il priore. «Si era nascosto lì sotto, dietro alle stampelle. Lo stavo cercando in chiesa, quando mi sono ricordato di quel nascondiglio.» «Che cos'ha lì? È forse?...» Il priore annuì. «La reliquia. La mano del buon ladrone.» M'inginocchiai dinanzi a Jerome, percorso da dolorosissime fitte alla
schiena. Il religioso stringeva fra le mani una grossa teca quadrata, tempestata di pietre preziose che scintillavano alla luce delle candele. Al suo interno, appena visibile, una sagoma scura. «Fratello», dissi in tono gentile. «Siete stato voi a prendere la reliquia?» Per la prima volta da quando ci conoscevamo, Jerome mi parlò con voce pacata. «Sì. È tanto importante per noi, per la Chiesa. Ha curato moltissime persone.» «Dunque, l'avete presa approfittando del trambusto seguito alla morte di Singleton.» «L'ho nascosta qui sotto per salvarla, per salvarla.» La strinse più forte. «So che cosa vorrebbe fare Cromwell. Distruggere quest'oggetto sacro che Dio ci ha donato come segno del suo perdono. Quando mi hanno rinchiuso, ho capito che avreste potuto trovarla, e io dovevo proteggerla. Ora è perduta, perduta. Non posso resistere oltre, sono così stanco», concluse con voce mesta ma determinata. Scosse il capo e fissò il vuoto. Il priore Mortimus si avvicinò e gli mise una mano sulle spalle. «Forza, Jerome, è tutto finito. Dammi la reliquia e vieni via con me.» Con mia grande sorpresa il certosino non oppose alcuna resistenza. Uscì faticosamente dalla nicchia, prendendo la propria stampella, e baciò il reliquiario prima di posarlo con grande cautela sul pavimento. «Lo riporterò nella sua cella», disse il priore. Annuii. «Sì, è meglio.» Osservai il certosino allontanarsi con passo strascicato. Se Jerome m'avesse detto d'aver visto Alice in visita a Mark Smeaton il giorno del suo interrogatorio, invece di fare tanti misteri, avrei potuto arrestarla subito, e risolto quell'omicidio avrei potuto smascherare quelli di fratello Edwig. In questo modo Mark non sarebbe morto, e neppure Gabriel. Eppure non provavo rabbia nei suoi confronti; mi sentivo come prosciugato d'ogni emozione. M'inginocchiai nuovamente e scrutai la reliquia sul pavimento. La teca era d'oro finemente lavorato, e le pietre incastonate erano gli smeraldi più grossi che avessi mai visto. Attraverso il vetro distinsi la sagoma di una mano, fermata su un pezzo di legno nero da un grosso chiodo, disposta sopra un cuscino di velluto purpureo. Malgrado fosse brunita e avvizzita dal tempo, la sua forma era ancora riconoscibile, al punto che si vedevano alcune formazioni callose sulle dita. Poteva davvero trattarsi della mano del ladro che era morto sulla croce al fianco di Cristo? Picchiettai sul vetro, e
per un folle istante sperai che tutti i dolori che mi affliggevano il corpo potessero svanire, che la mia gobba potesse sciogliersi e la mia schiena diventare normale come quella del povero Mark, che tanto avevo invidiato. Ma nulla di tutto ciò accadde, e udii solo il rumore del dito contro il reliquiario. E poi, con la coda dell'occhio, distinsi un lieve bagliore dorato piovere dal cielo. Qualcosa colpì tintinnando il pavimento, girò su se stessa e poi si fermò. La osservai. Era una moneta d'oro, un noble con l'effigie di re Enrico. Alzai lo sguardo. Mi trovavo sotto il campanile, quindi sulla mia testa c'era l'intrico di funi e pulegge su cui si era scherzato durante la cena la sera precedente. Ma qualcosa era cambiato. Il cesto degli operai non c'era più. Era stato issato fino alle campane. «È lassù!» sussurrai. Dunque era lì che aveva nascosto l'oro, in quella cesta. Avrei dovuto ispezionarla con più attenzione, quando ero salito assieme al priore Mortimus. Un nascondiglio astuto. Ecco spiegata la ragione dell'interruzione dei lavori. La prima volta che ero salito là sopra avevo provato una gran paura, ma ora mi sentii animato da una furia selvaggia e determinata, e bruciai le scale senza badare alle fitte di protesta che il mio corpo mi lanciava. Le emozioni non erano dunque morte in me, s'erano solo assopite. Ero sostenuto da una rabbia mai provata prima. Raggiunsi il pianerottolo che ospitava le funi delle campane. Lì trovai la cesta, vuota e rovesciata, e qualche altra moneta sparsa sul pavimento. Fissai i gradini che conducevano alle campane, disseminati anch'essi di monete d'oro. Pensai che chiunque si nascondesse in quella stanza doveva essere salito al piano di sopra, udendomi arrivare. Lo avrei scovato lassù? Salii i gradini con molta cautela, stringendo il bastone in pugno. Girai la maniglia della porta e mossi rapido un passo indietro, aprendola con il legno. Fui previdente, perché in quello stesso istante una figura calò una torcia spenta proprio dove avrei dovuto trovarmi io. La clava improvvisata colpì il bastone e io intravidi il viso dell'economo, paonazzo e furioso, gli occhi fissi e sgranati. «Vi ho scoperto, fratello Edwig», gridai. «So del vostro cargo per la Francia! Vi dichiaro in arresto nel nome di Sua Maestà per furto e omicidio!» L'uomo sparì dalla mia vista e udii i suoi passi correre sulle tavole di legno, insieme a un tintinnio metallico.
«È tutto finito», urlai nuovamente. «Non avete via di scampo!» Salii gli ultimi gradini e guardai dentro, nel tentativo di scorgerlo, ma da dove mi trovavo vedevo solo il pavimento e le immense campane oltre la ringhiera. Delle altre monete si rovesciarono al suolo. Ci trovavamo in un'impasse; lui non avrebbe potuto fuggire, ma anch'io ero intrappolato. Se avessi deciso di ritirarmi e scendere, mi sarei esposto a un attacco dall'alto, e l'uomo che avevo sempre considerato un impiegatuccio spilorcio s'era ormai rivelato capace di qualsiasi gesto. Entrai dunque nella stanza, agitando il bastone a casaccio. Fratello Edwig si trovava all'altro capo del locale, dietro le campane. Si fece avanti, due grossi panieri di cuoio legati attorno al collo. Mosse un passo e questi tintinnarono. Aveva il respiro affannoso, la torcia stretta nella mano destra, le nocche bianche e tese. «Qual era il vostro piano, fratello?» lo provocai. «Prendere il denaro delle vendite e fuggire in Francia per cominciare una vita nuova?» Mi avvicinai cercando di distrarlo, ma l'uomo era guardingo più d'un gatto e agitò la torcia con fare minaccioso. «No!» Se ne rimase immobile, gridando con la furia d'un bambino ingiustamente accusato. «No! Questa è la mia chiave d'accesso al paradiso!» «Che cosa?» «Lei non faceva che rifiutarmi, e poi il demonio m'ha riempito l'animo di rabbia e io l'ho uccisa! Avete idea di quanto sia facile uccidere qualcuno, commissario?» Rise selvaggiamente. «Ho assistito a troppe morti da bambino, morti che hanno aperto il mio cuore a Satana, che da sempre riempie i miei sogni di sangue!» Era paonazzo in viso, le vene del collo sporgenti nel delirio. Aveva perso il controllo; se fossi riuscito a coglierlo di sorpresa, ad avvicinarmi quanto bastava alle campane... La balbuzie era svanita mentre urlava. «Il papa, l'unico vicario di Nostro Signore sulla terra, consente l'acquisto delle indulgenze per la remissione dei peccati! Ve l'ho già detto, Dio stila un bilancio delle nostre anime, crediti e debiti! E io gli porterò un dono tale ch'Egli non potrà far altro che accogliermi alla sua destra! Porto quasi mille sterline alla Chiesa di Francia, mille sterline strappate al vostro sovrano eretico! È un'opera meritoria agli occhi di Dio!» «Quel denaro vi comprerà anche il perdono per quel che avete fatto a Simon e a Gabriel?» Mi puntò contro la torcia. «Whelplay aveva intuito ciò che avevo fatto
alla ragazza, e ve lo avrebbe spifferato. Doveva morire, dovevo completare la mia opera! E voi sareste dovuto morire al posto di Gabriel, uccello del malaugurio, il Signore ne terrà conto!» «Siete pazzo!» gridai. «Vi farò rinchiudere in manicomio, come monito di quel che la religione perversa può fare agli uomini!» Improvvisamente il monaco afferrò la torcia con entrambe le mani e mi si avventò contro. I pesanti panieri rallentarono la sua corsa, altrimenti m'avrebbe di certo raggiunto prima che io mi scostassi di lato. Poi si voltò e attaccò ancora. Io mi difesi alzando il bastone, ma lui riuscì a farlo volar via con la torcia. Ora Edwig era fra me e la porta. Avanzò lentamente, agitando la clava, e io arretrai contro la bassa ringhiera che mi separava dalle campane e dal salto nel vuoto. Il monaco aveva ripreso il controllo di sé; vidi quei malvagi occhi neri calcolare la distanza fra noi e la balaustra. «Dov'è il vostro ragazzo?» mi domandò con un ghigno malefico. «Non è con voi a proteggervi, oggi?» Poi mi si scagliò contro e mi sferrò un colpo sul braccio che avevo alzato per difendermi. La spinta mi scaraventò all'indietro, sulla bassa ringhiera. Rivivo ancora quella caduta nei miei sogni, la sensazione di contorcermi nel vuoto cercando appigli inesistenti. Ho ancora nelle orecchie il grido trionfante di fratello Edwig. Ma alla fine colpii con le braccia una delle campane e istintivamente mi ci aggrappai, reggendomi con la forza della disperazione ai suoi decori metallici. Avevo temporaneamente interrotto la caduta, ma avevo le mani sudate, e presto mi sentii scivolare. Poi trovai un appiglio con il piede. Mi appiattii contro la campana, abbracciandone la sommità. Mi ci attaccai con tutte le forze, ma i miei movimenti la fecero oscillare. Colpì la compagna e un frastuono assordante riecheggiò per il campanile, mentre l'impatto metallico minacciava di farmi perdere la presa. Mentre la campana oscillava all'indietro, io riuscii a mantenermi attaccato come un'ostrica. Scorsi allora fratello Edwig posare i panieri al suolo per raccogliere le monete che aveva perso, il malevolo sguardo sempre su di me. Sapeva che la mia resistenza era agli sgoccioli. A quel punto dalla chiesa si levò un flebile vociare: i monaci dovevano essere accorsi, sentendo l'inatteso scampanio. Non osai abbassare lo sguardo. La campana oscillò ancora, provocando un rintocco completo che quasi mi assordò. La vibrazione dell'impatto rischiò di farmi scivolare. Poi compii un gesto disperato, sapendo che l'alternativa era una morte certa. Con un solo movimento lasciai la presa, mi voltai nell'aria e puntai il piede sulla campana per proiettarmi verso la ringhiera, raccomandando l'a-
nima a Dio in quel che pensavo sarebbe stato il mio ultimo pensiero sulla terra. Colpii il parapetto con il diaframma, e mi sentii mancare il respiro. L'impatto mi scosse nel profondo, ma riuscii lo stesso ad afferrare la balaustra per issarmi poi sul pianerottolo. In che modo, non lo saprei spiegare. Fatto sta che mi ritrovai steso a terra, la schiena e le braccia doloranti, mentre dall'altra parte della stanza Edwig raccoglieva inginocchiato una manciata di monete, fissandomi con furiosa perplessità. Il fragore delle campane che ci risuonava nelle orecchie faceva vibrare le tavole del pavimento. Infilate le monete in uno dei panieri, il monaco si alzò con un balzo, precipitandosi verso la porta. Mi scagliai su di lui, puntando dritto agli occhi. Il religioso si liberò dalla mia presa, ma il peso dell'oro lo sbilanciò. Barcollò verso la ringhiera, come avevo fatto io poco prima. Colpendo la ringhiera si chinò e i panieri scivolarono via nel vuoto. Con un grido, Edwig si protese e afferrò la corda che li legava assieme. Riuscì ad arrestare la caduta, ma al prezzo del proprio equilibrio. Per un istante rimase contro la ringhiera, le braccia spalancate, e se avesse lasciato le borse avrebbe potuto salvarsi, ma non lo fece. Poi il peso dei panieri lo trascinò giù e lui cadde, sbattendo contro la campana e scomparendo nel vuoto con un grido di furioso terrore, come se nell'ultimo istante di vita si fosse reso conto che si sarebbe presentato al Creatore senza il suo prezioso dono. Mi precipitai verso il parapetto e lo vidi volare, la veste fluttuante in una pioggia di monete luccicanti. La folla sottostante si allontanò impaurita, e fratello Edwig colpì il suolo in un'esplosione di sangue e oro. Mi sporsi oltre la ringhiera, ansante e sudato, per osservare la gente che lenta circondava il corpo. Alcuni guardavano i poveri resti dell'economo, altri levavano lo sguardo a dove mi trovavo io. Con mio sommo disgusto, vidi anche monaci e servitori mettersi carponi per afferrare con avidità quante più monete possibile. Epilogo Febbraio 1538, tre mesi dopo Entrando nella corte del monastero, vidi le grandi campane che erano state sganciate dal campanile e ora giacevano in attesa d'essere fuse. Erano a pezzi, enormi schegge di metallo decorato accatastate le une sulle altre.
Gli anelli che le reggevano dovevano essere stati segati, e le campane lasciate cadere sul pavimento della chiesa. Dovevano aver provocato un frastuono inimmaginabile. Poco distante, accanto a un grosso mucchio di carbone, era stata costruita una fornace di mattoni; una squadra di uomini sul tetto della chiesa gettava al suolo grossi pezzi di piombo che altri raccoglievano e gettavano fra le fiamme. Cromwell non s'era sbagliato; il pugno di rese ottenute all'inizio di quell'inverno aveva persuaso le altre case monastiche dell'inutilità della resistenza, e ora non passava giorno senza che un monastero venisse dissolto. Presto non ne sarebbero più rimasti. In tutta l'Inghilterra gli abati ottenevano laute pensioni, mentre i confratelli incassavano laici sussidi di povertà o si ritiravano vivendo delle proprie misere prebende. La confusione era totale. Alla locanda di Scarnsea avevo saputo che quando i monaci avevano lasciato il monastero, tre mesi prima, un gruppetto di quelli troppo vecchi o malati per spostarsi si era stabilito lì, rifiutandosi d'andarsene una volta rimasti senza denaro. Il conestabile e i suoi uomini erano stati costretti a buttarli in mezzo alla strada. Fra loro c'erano il giovane monaco obeso con la gamba ulcerata e il povero, stupido Septimus. Quando re Enrico VIII fu messo a conoscenza di quant'era accaduto a San Donato, ordinò che il monastero fosse raso al suolo. Portinari, l'ingegnere italiano di Cromwell, stava terminando proprio in quei giorni la demolizione della prioria di Lewes, dopodiché si sarebbe occupato di Scarnsea. M'era giunta voce che fosse assai capace. A Lewes era riuscito a erodere le fondamenta in modo da far crollare l'intera struttura della chiesa in un sol colpo, svanita in un'enorme nube di polvere. A Scarnsea si diceva fosse stata una vista magnifica e spaventosa al tempo stesso, e tutti aspettavano con ansia che lo spettacolo fosse ripetuto. Era stato un inverno duro, e intanto i funzionari delle Aumentazioni avevano preceduto la squadra di demolizione per prelevare tutti gli oggetti di valore, compresi il piombo nei tetti e il bronzo delle campane. Fu proprio un uomo delle Aumentazioni che mi fermò al cancello e controllò il mio mandato. Bugge e gli altri servitori erano già stati cacciati da tempo. Mi ero stupito nel ricevere da Cromwell il mandato di sovrintendere i lavori a Scarnsea. Ci eravamo sentiti poco dalla mia breve visita di rapporto a Westminster il passato dicembre. Mi aveva detto che il sovrano si era molto adirato quando aveva saputo che i crimini e gli omicidi commessi in
una casa religiosa gli erano stati taciuti per settimane, e che l'assistente del nuovo commissario era fuggito con un'assassina. Forse il sovrano aveva fatto la ramanzina al suo primo ministro, come avevo saputo essere sua consuetudine; sta di fatto che Cromwell m'aveva trattato con fare brusco, congedandomi senza neppure un ringraziamento. Evidentemente, avevo perso il suo favore. Sebbene mantenessi il titolo formale di commissario, non c'era più bisogno di me alle Aumentazioni, e io mi domandai se Cromwell non avesse pensato di farmi tornare sulla scena di quegli orribili crimini come punizione. Non me ne sarei affatto stupito. Il giudice Copynger, ora amministratore regio delle terre sottratte al monastero, se ne stava poco distante, in compagnia di uno degli uomini, intento a consultare dei progetti. Mi avvicinai a lui, oltrepassando un paio di funzionari che ammucchiavano in cortile pile di libri presi dalla biblioteca, pronti ad accendere un rogo. Copynger mi strinse calorosamente la mano. «Commissario, come state? Il tempo è migliorato dall'ultima volta che siete stato qui.» «Lo vedo, lo vedo. La primavera è alle porte, sebbene dal mare spiri ancora un vento decisamente freddo. Come vi trovate nella dimora dell'abate?» «Proprio a meraviglia. L'abate Fabian l'ha mantenuta in ottimo stato. Quando avremo abbattuto il monastero, godrò di una magnifica vista sul Canale.» Indicò il cimitero religioso, dove degli uomini erano impegnati a estirpare le lapidi. «Vedete, laggiù farò costruire un recinto per i miei cavalli; ho comperato le stalle dei monaci a un buon prezzo.» «Spero non stiate usando per quel lavoro gli uomini delle Aumentazioni, Sir Gilbert», dissi con un sorriso. Il titolo gli era stato conferito a Natale, Copynger era stato sfiorato sulla spalla dalla spada del sovrano in persona; Cromwell aveva bisogno di uomini leali nelle contee, ora più che mai. «No, no, quelli sono i miei uomini, pagati dal sottoscritto.» Mi lanciò un'occhiata altezzosa. «Mi è spiaciuto che non abbiate accettato di essere mio ospite durante il vostro soggiorno.» «Questo luogo è troppo pieno di spiacevoli ricordi per me. Mi trovo meglio in città, spero comprenderete.» «Ma certo, signore, comprendo.» Annuì con condiscendenza. «Ma più tardi voglio sperare che cenerete in mia compagnia. Vorrei mostrarvi i progetti del mio architetto. Una volta che gli edifici principali saranno stati demoliti, trasformeremo alcuni dei fabbricati annessi in ovili. Sarà un bello
spettacolo, eh? Ormai mancano solo pochi giorni.» «Lo sarà certamente. Se volete scusarmi.» M'inchinai e lo lasciai, avvolgendomi nel mantello per ripararmi dal vento. Entrai negli edifici claustrali. All'interno, il portico del chiostro era sporco e fangoso, a causa del passaggio di tutti quegli operai. Il supervisore delle Aumentazioni si era stabilito nel refettorio, dove degli uomini portavano alla sua attenzione un fiume di stoviglie e statue dorate, preziosi crocifissi e arazzi, piviali e albe, persino la biancheria e le coperte da letto dei monaci - tutto quello che poteva essere venduto all'asta che si sarebbe tenuta di lì a due giorni. Mastro William Glench sedeva in un refettorio spogliato del proprio mobilio ma zeppo di casse e bauli, un fuoco crepitante alle spalle, intento a discutere ogni entrata nel suo enorme registro con un notaio. Era un uomo alto e magro, occhialuto e pignolo; durante l'inverno le Aumentazioni avevano assunto un esercito di funzionari simili a lui. Mi presentai e Glench si alzò per fare un inchino, dopo aver preso attenta nota sul suo grosso registro. «Sembrate aver organizzato ogni cosa alla perfezione», dissi. L'uomo annuì vigorosamente. «Ogni cosa, signore, fino al pentolame delle cucine.» I suoi modi mi fecero per un istante pensare a Edwig; soffocai un brivido. «Vedo che vi state preparando a bruciare i libri. È davvero necessario? Non potrebbero esservene di valore?» Il funzionario scosse il capo con fermezza. «No, signore. Tutti i libri devono essere distrutti, sono strumenti del culto papale. Non ce n'è uno scritto nell'onesta lingua inglese.» Mi voltai e aprii un baule a caso. Conteneva arredi sacri. Presi un calice d'oro preziosamente intarsiato. Era uno di quelli che Edwig aveva gettato nel vivaio assieme al corpo di Orphan, per far credere alla fuga d'una ladra. Lo guardai con attenzione. «Quelli non saranno venduti», disse Glench. «Tutto l'oro e l'argento sarà portato alla Torre per essere fuso. Sir Gilbert ha cercato di acquistarne qualche pezzo. Sostiene che siano finemente decorati, il che può anche essere vero, ma restano pur sempre ninnoli delle cerimonie papiste. E lui dovrebbe ben saperlo.» «Già», dissi. «Dovrebbe.» Riposi il calice nel baule. Due uomini entrarono con una grossa cesta di vimini e il notaio prese a vuotarla degli abiti che conteneva. «Questi dovranno essere puliti», disse
irritato. «Frutteranno di più.» Percepii l'impazienza di Glench di tornare al lavoro. «Vi lascio alle vostre incombenze, ora. Assicuratevi di non dimenticare nulla», aggiunsi, godendo per un istante dell'espressione oltraggiata del suo volto. Attraversai il chiostro fino alla chiesa, tenendo sott'occhio gli uomini che lavoravano sul tetto; la corte era già punteggiata di tegole cadute. All'interno della chiesa, la luce filtrava ancora dalle preziose finestre di vetro colorato, creando il solito caleidoscopio di caldi colori sul pavimento della navata. Ma le mura e le cappelle laterali erano ormai spoglie. Il rumore dei martelli e delle voci degli operai riecheggiava dal tetto. All'inizio della navata il pavimento era ridotto a un cumulo di piastrelle in frantumi. Era il punto in cui fratello Edwig era precipitato e dov'erano poi state fatte cadere le campane sganciate dal tetto. Alzai lo sguardo all'immenso spazio vuoto nel campanile, e ricordai. Recandomi oltre il jubé, scoprii che i leggii, e persino il grosso organo, erano stati rimossi. Scossi il capo e feci per andarmene, quando scorsi una figura incappucciata che stava di spalle accanto agli stalli del coro. Per un attimo fui percorso dallo spaventoso brivido della superstizione, e immaginai Gabriel ritornato per piangere sulle macerie del suo operato. Poi la figura si voltò e io dovetti soffocare un grido, perché, da principio, non riuscii a scorgerne il viso sotto il cappuccio. Solo dopo distinsi le macilente fattezze brune di fratello Guy. Lui si alzò e fece un inchino. «Fratello infermiere», dissi. «Per un attimo vi ho creduto un fantasma.» L'uomo sorrise mesto. «In un certo senso lo sono.» Mi avvicinai e mi sedetti, facendogli cenno di raggiungermi. «Sono lieto di vedervi», mi disse. «Volevo ringraziarvi per la pensione che ho ricevuto, mastro Shardlake. Immagino siate stato voi a provvedere che mi fosse concessa una rendita più cospicua.» «Siete stato nominato abate quando l'abate Fabian è stato dichiarato incapace di svolgere le proprie mansioni. È la pensione che vi spetta, anche se siete rimasto in carica solo per poche settimane.» «Il priore Mortimus non ha molto apprezzato la scelta dei miei confratelli. È tornato all'insegnamento, sapete? A Devon.» «Che Dio abbia misericordia dei suoi studenti.» «Mi sono chiesto se fosse giusto accettare una somma così elevata, quando i miei confratelli devono vivere con cinque sterline l'anno. Ma se avessi rifiutato, loro non ne avrebbero tratto comunque alcun vantaggio. E il colore della mia pelle non mi renderà la vita facile, d'ora innanzi. Penso
di mantenere il nome monastico di Guy di Malton piuttosto che tornare al cognome secolare di Elakbar. Credete mi sarà concesso, anche se non potrò più essere chiamato 'fratello'?» «Ma certo.» «Toglietevi quell'espressione imbarazzata dal viso, amico mio... perché voi siete mio amico, vero?» «Sì, senza dubbio. Credetemi, essere stato mandato di nuovo qui non è piacevole per me. Non desidero più essere commissario.» Rabbrividii. «Fa freddo.» Guy annuì. «Già. Sono rimasto qui troppo a lungo. Ho pensato ai monaci che si sono seduti in questi stalli ogni giorno per quattrocento anni, cantando e pregando. I venali, gli indolenti, i devoti, coloro che incarnavano tutte queste caratteristiche. Ma...» indicò il tetto dal quale scendeva un gran frastuono «...è difficile concentrarsi.» Mentre guardavamo in alto, udimmo una portentosa martellata, seguita da una pioggia di polvere. Dei pezzetti d'intonaco caddero infrangendosi al suolo, e d'improvviso il sole filtrò da un foro, uno strale di luce che inondò il pavimento. «Abbiamo fatto, ragazzi», riecheggiò una voce dall'alto. «Attenti laggiù!» Guy emise uno strano suono, una sorta di lamentoso sospiro. Gli appoggiai una mano sul braccio. «Dovremmo andare. Potrebbe essere pericoloso.» Uscimmo in cortile, il suo viso era desolato, ma composto. Copynger gli rivolse un freddo cenno del capo, e ci dirigemmo verso la dimora dell'abate. «Quando i monaci se ne sono andati alla fine di novembre, Sir Gilbert mi ha domandato di rimanere con lui», mi spiegò Guy. «Aveva ricevuto incarico di sorvegliare il monastero fino all'arrivo di Portinari, e ha chiesto il mio aiuto. Il vivaio ittico è traboccato in gennaio, sapete? L'ho aiutato a drenarlo.» «Dev'essere stata dura rimanere qui da solo.» «Non eccessivamente, almeno fino all'arrivo degli uomini delle Aumentazioni, questa settimana. Nel corso dell'inverno m'è quasi parso che la casa attendesse semplicemente il ritorno dei suoi monaci.» Guy sobbalzò, un grosso pezzo di piombo era stato lasciato cadere alle nostre spalle. «Speravate in una sospensione del procedimento?» Si strinse nelle spalle. «La speranza è sempre l'ultima a morire. E poi, non avevo altro posto dove andare. Ho atteso tutto l'inverno di sapere se mi
sarebbe stata concessa l'autorizzazione di partire per la Francia.» «Potrei esservi sicuramente d'aiuto in questo senso, se ci sono dei ritardi.» L'uomo scosse il capo. «No. L'ho saputo la settimana scorsa. Il permesso mi è stato negato. Corre voce di una nuova alleanza fra francesi e spagnoli a danno dell'Inghilterra. Farò bene a vedere se potrò scambiare l'abito con un farsetto e un paio di calzebrache. Mi sembrerà strano dopo tutti questi anni. E dovrò farmi crescere i capelli!» Abbassò la testa per passarsi una mano sulla bruna chierica. Notai che i capelli attorno alla tonsura si erano spruzzati di bianco. «Che cosa farete?» «Intendo partire fra qualche giorno. Non potrei sopportare di assistere alla demolizione degli edifici. L'intera città si riunirà qui per l'evento; lo stanno trasformando in una sorta di fiera. Quanto debbono averci odiato.» Sospirò. «Potrei andare a Londra, dove i volti esotici non sono poi tanto rari.» «Potreste forse diventare medico? Dopotutto vi siete laureato a Lovanio.» «Ma credete che il Collegio dei Medici mi accetterebbe? O la Gilda degli Speziali, forse? Un ex monaco con la pelle color del fango?» Alzò un sopracciglio e sorrise tristemente. «Uno dei miei clienti è medico. Potrei esporgli la vostra situazione.» Il religioso esitò, poi sorrise. «Vi ringrazio. Ve ne sarei davvero grato.» «E potrei aiutarvi a trovare una sistemazione. Vi darò il mio indirizzo, prima che partiate. Verrete, ho la vostra parola?» «Non sarà rischioso per voi compromettervi con uno come me?» «Non ho più intenzione di lavorare per Cromwell. Mi dedicherò esclusivamente all'attività privata. Vivrò una vita serena, e forse avrò più tempo per i miei dipinti.» «Fate attenzione, Matthew.» Guy si guardò alle spalle. «Non sono nemmeno sicuro che sia saggio per voi farvi vedere da Sir Gilbert in mia compagnia.» «Che vada al diavolo! Ho acquisito sufficiente esperienza per sapere che non sto infrangendo alcuna legge. E nonostante non sia più il riformatore di un tempo, non sono neppure diventato papista.» «Ma questo non basta a garantire sicurezza, oggigiorno.» «Forse no. Ma rischio per rischio, tanto vale non essere sicuri a casa propria, badando ai propri affari.»
Raggiungemmo la dimora dell'abate, ora di Copynger. Un giardiniere si stava prendendo amorevole cura del roseto, cospargendo letame di cavallo. «Copynger ha preso in locazione molte terre?» domandai. «Oh, sì, e a prezzi veramente bassi.» «È stato fortunato.» «E voi non avete ricevuto alcuna ricompensa?» «No. Ho consegnato a Cromwell il suo assassino, l'oro rubato e la resa di questo monastero; ma non abbastanza in fretta.» M'interruppi, ricordando i morti che avevo sulla coscienza. «Non abbastanza in fretta.» «Avete fatto tutto quello che era in vostro potere.» «Forse. Sapete, penso spesso che avrei potuto scoprire prima la vera natura di Edwig se non lo avessi disprezzato tanto, cercando di essere nei suoi confronti doppiamente obiettivo. Persino ora trovo difficile comprendere come un uomo tanto preciso e ordinato in superficie, potesse celare un animo così turbato. Mi chiedo se non usasse quell'ordine, quell'ossessione per le cifre e il denaro come mezzo per reprimere i propri istinti. Mi chiedo se avesse paura dei suoi incubi sanguinari.» «Prego Iddio perché sia stato così.» «Ma alla fine l'ossessione per i numeri non ha fatto che alimentare la sua follia.» Sospirai. «Svelare verità tanto contorte non è mai semplice.» «Ci vogliono pazienza, coraggio e impegno. Se la verità è ciò che si desidera trovare.» «Sapete già della morte di Jerome?» «No. Non ho più avuto sue notizie da quando è stato portato via lo scorso novembre.» «Cromwell lo ha fatto rinchiudere nella prigione di Newgate, dove i suoi confratelli sono stati lasciati morire di fame. È spirato poco dopo.» «Che la sua anima tormentata possa riposare in pace.» Fratello Guy s'interruppe, guardandomi esitante. «Sapete che cosa ne è stato della mano del buon ladrone? È stata portata via assieme a Jerome.» «No. Suppongo che abbiano preso le pietre preziose e fuso la teca. Con tutta probabilità la mano sarà stata bruciata, ormai.» «Era davvero la mano del ladrone, sapete? Ci sono prove concrete che lo sostengono.» «Credete ancora che potesse compiere miracoli?» L'uomo non rispose e camminammo in silenzio per qualche istante, fin nel cimitero religioso, dove una squadra d'operai stava rimuovendo le pesanti lastre tombali. Vidi che nel cimitero secolare le cripte di famiglia e-
rano già state ridotte a cumuli di macerie. «Ditemi», chiesi dopo un po'. «Che cosa ne è stato dell'abate Fabian? So che non gli è stata concessa la pensione, perché non ha accettato di firmare la resa.» Guy scosse il capo, tristemente. «È andato a vivere con la sorella, che fa la sarta in provincia. Le sue condizioni non sono migliorate. Talvolta sostiene ancora di doversi preparare per le battute di caccia o andare in visita ai suoi amministratori, e la donna deve impedirgli di montare sul loro vecchio ronzino, e girare per il paese con i poveri stracci che gli sono rimasti.» «Più si sale, più la caduta è rovinosa», commentai. Compresi che inconsciamente mi ero diretto verso il frutteto, le mura posteriori del monastero che si snodavano dinanzi a noi. Mi fermai, sentendomi contorcere lo stomaco. «Desiderate tornare?» chiese Guy con delicatezza. «No. Proseguiamo.» Giungemmo al cancello che dava sulla palude. Avevo con me un mazzo di chiavi, e lo usai per aprirlo. Lo attraversammo e rimanemmo a guardare il brullo paesaggio. La piena di novembre si era già asciugata da tempo, e la palude si estendeva davanti ai nostri occhi scura e silenziosa, mentre i giunchi si muovevano alla leggera brezza, riflettendo la propria immagine negli specchi d'acqua stagnante. Il fiume era in piena; degli uccelli marini volteggiavano nel cielo, le piume arruffate dal vento che spirava dal mare. Parlai piano. «Li rivedo nei miei sogni, Mark e Alice. Li vedo lottare tra i flutti, li vedo annegare gridando aiuto. Talvolta mi sveglio urlando.» La voce mi si ruppe. «In modi differenti, li ho amati entrambi.» Fratello Guy mi guardò a lungo, poi tirò fuori qualcosa dalla tasca. Mi porse uno stropicciato foglio ripiegato. «Ho pensato a lungo se mostrarvelo o no. Forse vi avrebbe fatto soffrire meno non sapere.» «Che cos'è?» «L'ho trovato sulla scrivania del dispensario un mese fa, di ritorno dalle mie mansioni quotidiane. Penso che un contrabbandiere abbia pagato uno degli uomini di Copynger perché me lo facesse recapitare. È da parte di Alice, ma lo ha scritto lui.» Aprii la lettera e lessi quelle righe scritte nella nitida calligrafia tondeggiante di Mark Poer: Fratello Guy,
Ho domandato a Mark di scrivere questa per me, poiché lui è più abile in questo genere di cose. Ve l'ho fatta recapitare tramite un abitante del villaggio che talvolta viene in Francia. È meglio che voi non sappiate di chi si tratta. Vi prego di perdonarmi per avervi scritto. Mark e io siamo sani e salvi in Francia, non vi dirò dove. Non so come riuscimmo ad attraversare la palude quella notte. Mark cadde e io dovetti strapparlo alle sabbie mobili. Ma raggiungemmo la barca. Ci siamo sposati il mese scorso. Mark parla un po' di francese e fa progressi tanto rapidi che speriamo riuscirà a ottenere un posto d'impiegato nella cittadina dove viviamo. Siamo felici, e io ho cominciato a ritrovare una pace che avevo perso dalla morte di mio cugino, sebbene non sia certa che il mondo in cui viviamo oggigiorno ci permetterà mai di vivere in pace. Forse non ve ne importa nulla, ma volevo farvi sapere che è stato molto difficile per me dovervi mentire, voi che mi avete protetta e mi avete insegnato tanto. Lo rimpiango, sebbene non rimpianga d'aver ucciso quell'uomo; meritava di morire. Non so che cosa sarà di voi, ma ovunque deciderete d'andare, prego il Signore Iddio perché vi protegga sempre. Alice Poer 25 gennaio 1538 Ripiegai la lettera e rimasi con lo sguardo fisso sull'estuario del fiume. «Non mi hanno neppure nominato.» «La lettera era di Alice. Non potevano sapere che vi avrei rivisto.» «Dunque sono sani e salvi, che Dio li maledica. Ora, forse, i miei incubi finiranno. Posso comunicarlo al padre di Mark? La notizia della sua morte lo ha distrutto. Gli dirò soltanto che è vivo e sta bene.» «Ma certo.» «Alice ha ragione, oggigiorno non c'è luogo al mondo che sia sicuro, non c'è più alcuna certezza. Talvolta mi capita di pensare a fratello Edwig e alla sua follia, a come credeva di potersi guadagnare il perdono di Dio per aver commesso quegli omicidi, offrendogli due panieri colmi di denaro rubato. Forse siamo tutti un po' folli. La Bibbia dice che Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza, ma io credo che noi lo abbiamo trasformato, di volta in volta, in qualunque immagine si adattasse ai nostri volubili bi-
sogni. Mi domando se Lui sappia e se se ne curi. Tutto si dissolve, fratello Guy, tutto è dissoluzione.» Rimanemmo in silenzio a guardare gli uccelli volteggiare sul fiume, mentre alle nostre spalle riecheggiavano i suoni lontani della distruzione. Nota storica La dissoluzione dei monasteri inglesi perpetrata dal 1536 al 1540 è stata guidata da Thomas Cromwell, nelle vesti di vicereggente e vicario generale. Dopo aver condotto un'ispezione dei monasteri, durante la quale fu raccolta una notevole quantità di materiale compromettente, nel 1536 Cromwell presentò una legge che prevedeva la dissoluzione delle case minori. Il tentativo di applicazione della suddetta legge da parte dei suoi emissari sfociò nel «Pellegrinaggio di grazia», una massiccia ribellione armata scoppiata nel Nord dell'Inghilterra. Enrico VIII e Cromwell riuscirono a soffocarla ingannando i rivoltosi con falsi negoziati, mirati alla costituzione di un esercito in grado di sconfiggerli. L'assalto ai monasteri maggiori avvenne l'anno successivo facendo pressione, come descritto nel romanzo, sulle case più vaste e vulnerabili affinché si decidessero alla resa volontaria. L'intimidazione alla resa della prioria di Lewes nel novembre del 1537 fu di cruciale importanza e, nel corso dei tre anni seguenti, uno dopo l'altro tutti i monasteri maggiori si arresero al sovrano. Il 1540 segnò la dissoluzione definitiva delle case religiose; gli edifici furono lasciati cadere in rovina, dopo che gli uomini delle Aumentazioni ebbero spogliato i tetti del piombo. Ai monaci furono concesse delle pensioni. Per chi rifiutava di prestare obbedienza, come alcuni fecero, erano previste disumane torture. La paura che gli abati e gli officiali dei monasteri nutrivano nei confronti dei commissari, uomini di grande crudeltà, era certo più grande di quella che i monaci di Scarnsea nutrono nei confronti di mastro Shardlake. Del resto, Scarnsea non è un monastero comune, come non comune è il commissario che si occuperà delle indagini. È opinione comune che le accuse d'adulterio nei confronti della regina Anna Bolena siano state montate da Cromwell stesso per favorire Enrico VIII, che si era stancato di lei. Mark Smeaton è stato l'unico dei presunti amanti della sovrana ad aver reso piena confessione, con tutta probabilità sotto tortura. Suo padre era falegname; la precedente occupazione di fabbro ferraio è frutto della mia immaginazione.
La Riforma inglese rimane a tutt'oggi una questione controversa. La teoria classica, secondo la quale la Chiesa cattolica aveva raggiunto un grado di corruzione tale da rendere necessaria, se non inevitabile, una qualche sorta di radicale riforma, è stata di recente attaccata da numerosi autori, quali C. Haigh, English Reformations (Oxford University Press, 1993) ed E. Duffy, The Strippitig of the Altars (Yale University Press, 1992), affresco di una florida Chiesa popolare. Penso che la visione della vita ecclesiastica medievale dipinta in queste opere - in quella di Duffy in modo particolare - pecchi di romanticismo. È interessante notare come tutti questi studiosi dedichino alla dissoluzione solo rapidi accenni. L'ultimo approfondito studio fatto su questo argomento risale alla fine degli anni Cinquanta, a opera di David Knowles in The Religious Orders in England: The Tudor Age (Cambridge University Press, 1959). In quest'opera straordinaria il professor Knowles, lui stesso monaco cattolico, riconosce che lo stile di vita agiata che caratterizzava gran parte dei monasteri maggiori fosse un vero scandalo. Pur deplorandone la fine coercitiva, il professor Knowles ammette che l'immensa lontananza che separava le case religiose dell'epoca da quelli che ne erano stati i princìpi fondatori le aveva rese immeritevoli di sopravvivenza in quella forma. Nessuno sa realmente quale opinione avesse della Riforma la popolazione inglese. A Londra e in alcune zone sud-orientali del paese si costituirono radicati movimenti protestanti; mentre a nord-ovest la popolazione rimase saldamente legata alla tradizione cattolica. Ma le terre di mezzo, che raccoglievano gran parte della popolazione, restano a tutt'oggi terra incognita. È mia personale opinione che la gente comune vivesse i successivi mutamenti imposti dalle autorità proprio come Mark e Alice: agli ordini delle classi dirigenti, che imponevano loro pensieri e comportamenti, com'era sempre stato. I cambiamenti che si susseguirono furono così numerosi - da principio verso un protestantesimo radicale, seguito da un ritorno al cattolicesimo, sotto Maria Tudor, per sfociare ancora nel protestantesimo con Elisabetta I - da sviluppare nel popolo un comprensibile cinismo. Cinismo, però, che non emerse mai poiché, ovviamente, nessuno era interessato alle opinioni popolari. Chi trasse i maggiori vantaggi dalla Riforma furono «gli uomini nuovi», i capitalisti emergenti e le classi di burocrati, uomini di grandi mezzi ma di poveri natali. Penso che nell'Inghilterra dei Tudor siano stati molti i Copynger; la Riforma mirava soprattutto a un cambiamento della struttura
classista. Oggi questa teoria è desueta e non va più di moda parlare di classi sociali discutendo di storia. Ma le mode cambiano, e cambieranno ancora. FINE