TERRY BROOKS L'UNICORNO NERO Ciclo di Landover Volume secondo Traduzione di Lidia Perria ARNOLDO MONDADORI EDITORE 1987 ...
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TERRY BROOKS L'UNICORNO NERO Ciclo di Landover Volume secondo Traduzione di Lidia Perria ARNOLDO MONDADORI EDITORE 1987 Terry Brooks This translation published by arrangement with Ballantine Book, A Division of Random House, Inc. Titolo originale dell'opera: The Black Unicorn I edizione Bestsellers Oscar Mondadori febbraio 1994 Questo volume è stato stampato presso Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Stabilimento Nuova Stampa - Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in Italy Il nostro indirizzo internet è: http://www.mondadori.com/libri L'UNICORNO NERO Ad Amanda che vede unicorni a me nascosti -Come sai che lei è un unicorno?-chiese Molly.-E per quale motivo avevi paura di lasciarti toccare da lei? Ti ho visto, avevi paura. -Dubito che me la sentirò di parlarne ancora per molto- rispose il gatto senza rancore.-Se fossi in te, non perderei tempo in sciocchezze. Quanto alla prima domanda, nessun gatto che non sia più di primo pelo si lascia ingannare dalle apparenze, a differenza degli esseri umani, che le apprezzano. Riguardo alla seconda...-A quel punto esitò, e tutt'a un tratto si mostrò molto interessato alla sua pulizia personale; non volle parlare prima di essersi leccato il mantello fino ad arruffarlo e averlo poi lisciato di nuovo. Anche allora non volle guardare Molly, ma si esaminò gli unghioli. -Se mi avesse toccato-disse in un soffio-sarei stato suo, e non più padrone di me stesso, per sempre. Peter S. Beagle, L'ultimo unicorno PROLOGO L'unicorno nero sbucò dalle nebbie mattutine, quasi fosse nato da esse, e volse lo sguardo sul regno di Landover. L'alba si librava sul filo dell'orizzonte a oriente, come un'intrusa che sbirciasse dal suo nascondiglio per spiare la frettolosa partenza della notte. All'apparire dell'unicorno, il silenzio parve diventare più profondo, come se quel piccolo avvenimento in quel minuscolo lembo di terra fosse percepìto in modo arcano da tutta la valle. Ovunque, il sonno cedette il posto alla veglia, i sogni alla realtà, e in quell'attimo di transizione il tempo fu più vicino a fermarsi di quanto fosse mai accaduto. L'unicorno si fermò presso la sommità della cresta settentrionale della valle, lassù fra i Monti Melchor, vicino al confine del mondo magico. Landover si stendeva ai suoi piedi, con i pendii boscosi e le nude pareti di roccia che scendevano a precipizio
verso colline e praterie, fiumi e laghi, foreste e boscaglie. Castelli, città e case erano vaghe sagome irregolari sullo sfondo della simmetria naturale, creature che se ne stavano accucciate a riposare e spiravano fumo da braci morenti. Gli occhi di fuoco verde che contemplavano la valle da un capo all'altro, risplendendo di nuova vita, si riempirono di lacrime. Era passato tanto tempo! Un ruscello scorreva verso il basso e si raccoglieva in un bacino di roccia a una decina di metri dall'unicorno: Una minuscola congrega di creature della foresta era accovacciata ai bordi dello specchio d'acqua, e fissava con reverenza il prodigio che si era materializzato davanti a loro: un coniglio, un tasso, alcuni scoiattoli e topi campagnoli, un opossum con i piccoli, un rospo solitario. Un orco delle caverne arretrò, mimetizzandosi di nuovo fra le ombre. Un fantasma delle paludi tornò ad acquattarsi nella tana. Gli uccelli rimasero immobili sui rami degli alberi. Erano ammutoliti tutti. L'unico suono era il chioccolio del ruscello sulla roccia della montagna. L'unicorno nero abbassò la testa, accettando l'omaggio. Il corpo di ebano splendeva alla luce tenue, mentre la criniera e la barbetta ondeggiavano come seta smossa dal vento. Gli zoccoli caprini si spostarono e la coda leonina sventagliò l'aria, movimenti irrequieti sullo sfondo del mondo immobile come una natura morta. Il corno tortile fendeva tagliente l'oscurità, splendendo lievemente per magia. In tutto il creato non era mai esistito un essere di tale grazia e bellezza come l'unicorno, e non sarebbe esistito mai più. L'alba irruppe bruscamente sulla valle di Landover, e cominciò il nuovo giorno. L'unicorno nero sentì il calore del sole sul muso e sollevò la testa per salutarlo, ma catene invisibili lo tenevano ancora prigioniero, e il gelo della loro presenza persistente dissolse quasi all'istante quel momentaneo calore. L'unicorno rabbrividì. Era immortale, e non avrebbe mai potuto essere ucciso da esseri mortali, ma la vita poteva essergli sottratta lo stesso. Il tempo era alleato del nemico che lo aveva imprigionato. E il tempo aveva ricominciato a scorrere in avanti. L'unicorno nero sgusciò fra le ombre e la luce come argento vivo, in cerca della libertà. CAPITOLO 1 Sogni... -Stanotte ho fatto un sogno-annunciò Ben Holiday agli amici, quella mattina a colazione. Tanto valeva che annunciasse un bollettino meteorologico. Il mago Questor Thews parve non sentirlo affatto, con il viso affilato da gufo corrugato nello sforzo di riflettere e lo sguardo fisso verso un punto invisibile nello spazio, all'incirca sei metri più in alto del tavolo della colazione. I coboldi Bunion e Parsnip si limitarono ad alzare gli occhi dal piatto. Lo scrivano Abernathy riuscì a esprimere una cortese curiosità, ma per un cane dal pelo raso la cui espressione abituale era di cortese curiosità non era un'impresa particolarmente difficile.
Soltanto la silfide Willow, appena entrata nella sala da pranzo del castello di Sterling Silver per sedersi accanto a lui, mostrò un autentico interesse, un cambiamento improvviso di espressione, stranamente inquietante. -Ho sognato casa mia-continuò lui, deciso a insistere sull'argomento.-Ho sognato il vecchio mondo. -Prego?-Ora Questor lo stava guardando, evidentemente tornato dal pianeta dove si trovava fino a poco tempo prima.-Chiedo scusa, ma mi è sembrato di sentire che dicesse qualcosa su... -Che cosa esattamente ha sognato del vecchio mondo, Alto Signore?-lo interruppe spazientito Abernathy, mentre la sua cortese curiosità si tramutava in lieve disapprovazione. Guardò con intenzione Ben di sopra l'orlo degli occhiali. Lo guardava sempre così, quando Ben accennava al vecchio mondo. Ben continuò.-Ho sognato Miles Bennett. Ricordate che vi ho parlato di Miles, il mio vecchio socio nello studio legale? Be', l'ho sognato. Ho sognato che era nei guai. Non è stato un sogno completo; non c'era un vero principio o una vera fine. Era come se fossi arrivato a metà della storia. Miles era nel suo ufficio, occupato a lavorare, a esaminare dei documenti. C'erano telefonate in arrivo, messaggi che venivano consegnati, persone nell'ombra, dove non potevo scorgerle con chiarezza. Ma potevo vedere che Miles era letteralmente frenetico . Aveva un aspetto orribile. Non faceva che chiedere di me, non faceva che chiedere dov'ero, perché non ero li. Io lo chiamavo, ma lui non mi sentiva. Poi c'è stata una specie di distorsione, un oscuramento, una deformazione della scena che guardavo. Miles continuava a chiamare, chiedendo di me, poi qualcosa si è frapposto fra noi, e mi sono svegliato. Lanciò una rapida occhiata alle facce attorno a lui. Ormai lo ascoltavano tutti.-Ma questo non è proprio tutto-si affrettò ad aggiungere.-Si sentiva... qualche disastro imminente, in agguato dietro tutta quella serie di immagini. Si avvertiva un'intensità spaventosa. Era così... reale. -Certi sogni sono così, Alto Signore-osservò Abernathy, scrollando le spalle. Spinse indietro gli occhiali sul naso e incrociò con sussiego le zampe anteriori sul petto ricoperto dal panciotto. Era un cane inappuntabile.-I sogni sono spesso manifestazioni delle nostre paure inconscie, ho letto. -Questo no-insistette Ben.-Questo era qualcosa di più del solito sogno del tipo coltivato in serra. Somigliava a una premonizione. Abernathy tirò su col naso.-E immagino che ora mi dirà che sull'onda di questo sogno inquietante sul piano emotivo, ma infondato alla luce della ragione, si sente in dovere di tornare al suo vecchio mondo.-Lo scrivano ormai non faceva nessuno sforzo per nascondere il suo turbamento, vedendo i suoi più gravi timori sul punto di realizzarsi. Ben esitò. Era trascorso più di un anno da quando era passato attraverso le nebbie del mondo fatato nel cuore delle foreste dei monti Blue Ridge, 35 chilometri a sudovest di Waynesboro, in Virginia, per entrare nel regno di Landover. Per quel privilegio aveva pagato un milione di dollari, rispondendo a un annuncio nel catalogo di un grande magazzino, spinto più dalla disperazione che dalla ragione. Era arrivato a Landover come re, ma farsi accettare dagli abitanti del paese non era stato tanto facile. Gli attacchi alla sua rivendicazione del trono erano piovuti da ogni parte. Era
stato quasi distrutto da creature la cui stessa esistenza, un tempo, avrebbe ritenuto impossibile. La magia, il potere che governava tutto in quel mondo stranamente affascinante, era la spada a doppio taglio che era stato costretto a impugnare per poter sopravvivere. La realtà aveva ricevuto un nuovo assetto per lui, da quando aveva preso la decisione di entrare nelle nebbie, e la vita che aveva condotto come avvocato a Chicago, nell'Illinois, sembrava estremamente lontana dalla sua esistenza attuale. Tuttavia quella vita di un tempo non era del tutto dimenticata, e di tanto in tanto lui pensava di tornare indietro. I suoi occhi incontrarono quelli dello scrivano. Non sapeva che risposta dare.Ammetto di essere preoccupato per Miles-disse alla fine. Nella sala da pranzo regnava un silenzio assoluto. I coboldi avevano smesso di mangiare, con le facce da scimmia immobilizzate in quel loro mezzo sogghigno terrificante che scopriva tutta la rispettabile dentatura. Abernathy si era irrigidito sulla sedia. Willow era impallidita, ed era evidente che stava per parlare. Ma fu Questor a prendere la parola per primo.-Un momento, Alto Signore-suggerì con aria pensierosa, portandosi alle labbra un dito ossuto. Si alzò da tavola, allontanò dalla sala i servitori che stavano in piedi ai lati senza farsi notare, e chiuse bene le porte dietro di loro. I sei amici erano soli nella sala da pranzo, grande come un antro, ma evidentemente a Questor non bastava. La grande entrata ad arco in fondo alla sala si apriva su un corridoio che dava sul resto del castello. Questor si avvicinò in silenzio all'arco per sbirciare all'esterno. Ben osservava incuriosito, chiedendosi perché mai Questor fosse così diffidente. Era vero, non era come ai vecchi tempi, quando erano soltanto in sei a vivere a Sterling Silver. Ormai c'era un numeroso seguito di persone di ogni età e rango, soldati e guardie, messaggeri e ambasciatori, scudieri e altri servitori assortiti che formavano la sua corte, inciampando in continuazione l'uno nell'altro e intromettendosi nella sua vita privata nei momenti meno opportuni. Ma non era la prima volta che l'argomento del suo ritorno al vecchio mondo veniva discusso apertamente, e in pratica da tutti. Non si poteva dire che il popolo ignorasse ancora che lui non era nativo di Landover. Sorrise con malinconia. Ah, be'... non c'era niente di male ad essere cauti. Si stirò, sciogliendo i muscoli ancora irrigiditi dal sonno. Era un uomo dall'aspetto normale, di statura e corporatura media, con il peso ben distribuito. I suoi movimenti erano agili e precisi: da giovane era stato pugile e conservava ancora gran parte dell'abilità di un tempo. Aveva il viso scurito dal sole e dal vento, con gli zigomi e la fronte alti, il naso aquilino, leggermente stempiato. I segni dell'età cominciavano ad apparire all'angolo degli occhi, ma gli occhi erano di un azzurro limpido e luminoso. Il suo sguardo si spostò verso il soffitto. Il sole del mattino entrava a fiotti dalle vetrate alte e danzava sul legno lucido e sulla pietra. Il calore del castello s'insinuò in lui: lo sentì agitarsi irrequieto. Sterling Silver era sempre in ascolto. Lui sapeva che aveva sentito il racconto del sogno e che reagiva con un certo scontento. Era come una madre in ansia per il figlio cagionevole e sventato. Era come una madre che cercava sempre di tenere il figlio al sicuro accanto a sé. Era scontento quando lui parlava di andarsene.
Lanciò un'occhiata di sottecchi agli amici: Questor Thews, il mago la cui magia faceva spesso cilecca, uno spaventapasseri lacero dalle vesti ornate di toppe multicolori e dai gesti ingarbugliati; Abernathy, lo scrivano di corte trasformato in un terrier dal pelo raso per un incantesimo di Questor e rimasto tale perché non si era trovato l'incantesimo per farlo tornare uomo, un cane in vesti da gentleman; Willow, la bellissima silfide che era metà donna e metà albero, una creatura del mondo delle fate, con una magia tutta sua; e infine Bunion e Parsnip, i coboldi che sembravano scimmie dalle grandi orecchie in calzoni corti, l'uno messaggero e l'altro cuoco. Al principio li aveva trovati tutti così strani. Un anno dopo, li trovava consolanti e rassicuranti e si sentiva tranquillo in loro compagnia. Scosse la testa. Viveva in un mondo di draghi e di streghe, di gnomi, di orchi e di altre creature strane, di castelli viventi e di magia delle fate. Viveva in un mondo di fantasia di cui era il re, era quello che un tempo aveva sognato di essere. Il vecchio mondo era ormai relegato nel dimenticatoio, la vecchia vita era finita. Strano, quindi, che pensasse ancora così spesso a quel mondo e a quella vita, a Miles Bennett e a Chicago, allo studio legale, alle responsabilità e agli obblighi che si era lasciato alle spalle. I fili dell'arazzo del sogno della notte precedente s'intrecciavano con i ricordi e lo tormentavano senza tregua. Non riusciva a dimenticare facilmente, a quanto pareva, quello che aveva occupato tanti anni della sua vita. Questor Thews si schiarì la gola. -Stanotte ho fatto un sogno anch'io, Alto Signore-dichiarò il mago, di ritorno dal suo giro di ricognizione. Ben alzò gli occhi di scatto. La figura alta, avvolta nella lunga veste, s'incurvò sulla sedia dallo schienale alto, gli occhi verdi limpidi e distanti. Le dita ossute di una mano tormentavano il mento barbuto, e la voce era un sibilo guardingo.-Il mio sogno riguardava i libri di magia scomparsi! Ora Ben capiva la prudenza dell'altro. Pochi, a Landover, erano al corrente dei libri magici. I libri erano appartenuti al fratellastro di Questor, il precedente mago di corte di Landover, un individuo che Ben aveva conosciuto nel vecchio mondo sotto il nome di Meeks. Era stato Meeks, in combutta con uno scontento erede al trono che aveva venduto a Ben il regno di Landover per un milione di dollari, certo che Ben sarebbe caduto vittima di una delle innumerevoli trappole preparate per distruggerlo, certo che quando Ben fosse stato finalmente eliminato il regno sarebbe tornato a lui per essere rivenduto. Meeks aveva pensato di farsi alleato Questor, servendosi della promessa di conoscenza rappresentata dai libri di magia nascosti come di una carota per guadagnare il fratellastro alla sua causa. Invece Questor e Ben erano diventati alleati, sfuggendo a tutte le trappole predisposte da Meeks e recidendo per sempre i legami del vecchio mago con Landover. Ben fissò Questor negli occhi. Si, Meeks se n'era andato, ma i libri di magia erano ancora nascosti in qualche punto della valle. -Ha sentito che cosa ho detto, Alto Signore?-Gli occhi di Questor scintillarono di eccitazione.-I libri scomparsi... la magia spigolata dai maghi di Landover fino dall'alba della creazione! Credo di sapere dove sono! Ho visto in sogno dov'erano!Gli occhi danzavano. La voce si ridusse a un bisbiglio.-Sono nascosti nelle segrete della fortezza in rovina di Mirwouk, lassù fra i monti Melchor! Nel sogno, seguivo
una torcia che non era portata da nessuna mano, la seguivo nel buio, attraverso tunnel e scale, fino a una porta istoriata con cartigli e rune. La porta si è aperta: c'era un pavimento di blocchi di pietra, e uno era contrassegnato con un segno speciale. Ha ceduto al tocco della mia mano, e i libri erano là! Ricordo tutto... come se fosse accaduto davvero! Ora fu il turno di Ben di mostrarsi dubbioso. Cominciò a dire qualcosa in risposta, ma s'interruppe, non sapendo che cosa dire. Sentì Willow agitarsi irrequieta, vicino a lui. -Non sapevo se parlare del sogno o no, in tutta franchezza-confidò il mago, incespicando nelle parole.-Pensavo che forse avrei dovuto aspettare finché fossi riuscito a scoprire se il sogno era vero o falso, prima di dire qualcosa. Ma poi lei ha parlato del suo sogno, e io...-Esitò.-Il mio sogno somigliava al suo, Alto Signore. Non era tanto un sogno quanto una premonizione. Era stranamente intenso, convincente per la sua nitidezza. Non era spaventoso come il suo era... esaltante! Abernathy, almeno, non si lasciò impressionare.-Tutto questo potrebbe essere effetto di qualcosa che hai mangiato, mago-suggerì con una certa scortesia. Questor parve non udirlo.-Vi rendete conto di quello che significherebbe avere in mio possesso i libri magici?-chiese con ansia, il viso da rapace acceso dall'interesse.Avete idea della magia che potrei padroneggiare? -A me sembra che ne padroneggi già fin troppa!-scattò Abernathy.-Vorrei rammentarti che è stato il tuo dominio della magia, o meglio il tuo scarso dominio, che mi ha ridotto nello stato attuale, qualche anno fa! Chi può dire quali danni potresti causare, se i tuoi poteri aumentassero ancora? -Danni? E che cosa mi dici del bene che potrei realizzare?-Questor si girò di scatto verso l'altro, protendendosi verso di lui.-E se trovassi il modo per farti ridiventare quello che eri? Abernathy rimase immobile. Un conto era mostrarsi scettici, un altro esserlo a proprio danno. Non c'era cosa al mondo che desiderasse di più che ridiventare un essere umano. -Questor, ne sei sicuro?-chiese infine Ben. -Sicuro quanto lei, Alto Signore-rispose il mago. Esitò.-Strano, però, che in una sola notte abbiamo fatto due sogni... -Tre-disse all'improvviso Willow. La fissarono tutti: Questor, lasciando la frase in sospeso; Ben, tentando ancora di afferrare il senso della rivelazione di Questor; Abernathy e i coboldi senza parole. Aveva detto...? -Tre-ripeté la silfide.-Ho fatto un sogno anch'io, ed è stato strano e inquietante e forse più vivido dei vostri. Ben vide di nuovo l'espressione inquieta, più accentuata, più intensa. Prima era preoccupato e non aveva prestato molta attenzione, ma Willow non era solita esagerare. Qualcosa l'aveva scossa, e lui vide nei suoi occhi un'ansia che confinava con la paura. -Che cos'è che hai sognato?-le domandò. Lei non rispose subito. Sembrava in preda ai ricordi.-Ero in viaggio attraverso terre che mi erano familiari e al tempo stesso sconosciute. Ero a Landover, e tuttavia ero in
un altro luogo. Cercavo qualcosa. La mia gente era là, ombre indistinte che mi bisbigliavano parole incalzanti. Era necessario far presto, ma non capivo perché. Andavo semplicemente avanti, cercando. Fece una pausa.-Poi il giorno cedeva il passo all'oscurità, e il chiaro di luna inondava un bosco che s'innalzava tutt'intorno a me come un muro. Ormai ero sola. Ero tanto spaventata da non riuscire a invocare aiuto, anche se sentivo di doverlo fare. C'era una nebbia leggera, in continuo movimento. Le ombre si affollavano così vicino a me da minacciare di soffocarmi.-La sua mano scivolò su quella di Ben e la strinse. Avevo bisogno di te, Ben. Ne avevo tanto bisogno da non poter sopportare l'idea che tu non ci fossi. Una voce dentro di me sembrava mormorare che se non avessi concluso il viaggio in fretta, ti avrei perduto. Per sempre. Qualcosa nel modo in cui Willow pronunciò quelle parole gelò Ben Holiday fino alle ossa. -Poi all'improvviso apparve di fronte a me una creatura, uno spettro sbucato dalla caligine notturna che precede l'alba.-Gli occhi verdi della silfide scintillarono.-Era un unicorno, Ben, così scuro che sembrava assorbire la luce bianca della luna come una spugna avrebbe assorbito l'acqua. Era un unicorno, ma anche qualcos'altro. Non era bianco come gli unicorni del passato, ma nero. Mi sbarrava il passaggio, con il corno abbassato e gli zoccoli che scalfivano il terreno. Mi sembrò che il suo corpo snello si torcesse, cambiando forma, e vidi che era più demone che unicorno, più diavolo che fata. Era cieco come i grandi butali delle paludi, e mostrava la loro stessa furia. Mi caricò, e io fuggii. Sapevo, in qualche modo, che non dovevo lasciarmi sfiorare, che se mi avesse toccato sarei stata perduta. Ero veloce, ma l'unicorno nero m'inseguiva da vicino. Mi voleva. Era deciso ad avermi. Il suo respiro era affrettato, il corpo snello teso per le emozioni che lo agitavano. La sala era immersa in un silenzio di morte.-E poi mi accorgevo di tenere fra le mani delle briglie d'oro, autentici fili d'oro, filati e intrecciati dalle fate di un tempo. Non sapevo in che modo fossi entrata in possesso di quelle briglie, sapevo soltanto che non dovevo perderle. Sapevo che erano l'unica cosa al mondo che potesse domare l'unicorno nero. La sua mano strinse ancor più la presa.-Correvo in cerca di Ben. Le briglie dovevano essere portate a lui, lo sentivo, e se non lo avessi raggiunto in fretta, l'unicorno nero mi avrebbe catturato e io sarei diventata... La sua voce si spense, mentre teneva gli occhi fissi in quelli di Ben. Per un attimo lui dimenticò tutto quello che gli aveva appena detto, perduto in quegli occhi, nel tocco della sua mano. Per un attimo Willow fu la donna incredibilmente bella che aveva sorpreso a fare il bagno nuda nelle acque dell'Irrylyn quasi un anno prima, sirena e insieme figlia delle fate. Quella visione non lo aveva mai abbandonato. La ritrovava ogni volta che vedeva Willow, e il ricordo riviveva. Ci fu un silenzio imbarazzato. Abernathy si schiarì la gola. -Pare che sia stata una notte fatta per i sogni-osservò in tono acido.-In questa sala, sembra che abbiano sognato tutti tranne me. E tu, Bunion? Hai sognato amici in pericolo o libri magici oppure unicorni? Parsnip?
I coboldi fischiarono leggermente e scossero la testa all'unisono. Ma nei loro occhi acuti c'era un'espressione guardinga, che lasciava capire che non intendevano prendere alla leggera la questione dei sogni come faceva Abernathy. -C'era un'altra cosa-aggiunse Willow, continuando a guardare solo Ben.-Mi sono svegliata mentre fuggivo dalla creatura che mi dava la caccia, unicorno nero o demone. Mi sono svegliata, ma ero sicura che il sogno non fosse finito, che ci fosse ancora qualcosa in serbo per me. Ben annuì lentamente, riscuotendosi dal sogno a occhi aperti.-A volte facciamo lo stesso sogno più di una volta. -No, Ben-sussurrò lei, con voce insistente. La sua mano lasciò quella di Ben.-Questo sogno era come il tuo: più una premonizione che un sogno. Ho ricevuto un avvertimento, Alto Signore. Una creatura delle fate è più vicina degli altri alla verità. Mi è stato mostrato qualcosa che ero destinata a sapere, ma non mi è stato svelato ancora tutto. -Nella storia di Landover esistono racconti di apparizioni di un unicorno nerointervenne all'improvviso Questor Thews.-Ricordo di averli letti, una volta o due. Sono avvenute molto tempo fa, e i rapporti erano vaghi e non confermati. Si diceva che l'unicorno fosse una progenie dei demoni, una creatura così malvagia che il solo guardarla significava essere perduti. I cibi e le bevande della colazione rimasero a raffreddarsi nei piatti e nelle coppe davanti a loro, dimenticati. La sala da pranzo era silenziosa e vuota, ma Ben sentiva occhi e orecchie dappertutto. Era una sensazione spiacevole. Lanciò una rapida occhiata al viso tetro di Questor e poi ancora a Willow. Se avesse sentito raccontare il sogno della silfide, e forse anche quello di Questor, senza avere sperimentato il suo, forse sarebbe stato incline a trascurarli. Non aveva mai attribuito grande importanza ai sogni. Ma il ricordo di Miles Bennett in quell'ufficio buio, quasi impazzito per l'ansia perché Ben non era li quando ne aveva bisogno, incombeva su di lui come una nube. Era reale come la sua stessa vita. Riconosceva la stessa urgenza nel racconto dei sogni dei suoi amici, e la loro insistenza non faceva che rafforzare la convinzione assillante che sogni vividi e inquietanti come i loro non si potevano liquidare come effetti secondari della cena della sera prima o collages di reazioni eccessive del subconscio. -Perché facciamo questi sogni?-si chiese a voce alta. -Questa è una terra costruita sui sogni, Alto Signore-rispose Questor Thews.-Questa è una terra in cui i sogni del mondo fatato e del mondo mortale s'incontrano e confluiscono gli uni negli altri. La realtà dell'uno è la fantasia dell'altro... tranne che qui, dove s'incontrano.-Si alzò, spettrale nelle vesti multicolori.-Vi sono già stati esempi di sogni del genere, spesso in serie che ne contano fino a mezza dozzina. Re, maghi e uomini potenti hanno fatto sogni come questi in tutto il corso della storia di Landover. -Sogni che sono rivelazioni, o addirittura ammonimenti? -Sogni che sono inviti ad agire, Alto Signore. Ben si mordicchiò le labbra.-Intendi agire in base al tuo, Questor? Intendi andare in cerca dei libri di magia scomparsi, proprio come ha suggerito il tuo sogno?
Questor esitò, con la fronte corrugata nello sforzo di riflettere. -E Willow dovrebbe andare in cerca delle briglie d'oro del suo sogno? Io dovrei tornare a Chicago a controllare come sta Miles Bennett? -Alto Signore, per favore, un momento!-Abernathy era in piedi, con un'espressione decisamente angustiata.-Potrebbe essere saggio riflettere un po' meglio su questa faccenda. Potrebbe essere un grave errore che tutti voi andiate alla ventura in cerca di... di quello che potrebbe benissimo rivelarsi un mucchio di falsità di origine gastrica! Affrontò Ben con decisione.-Alto Signore, lei deve ricordare che il mago Meeks è ancora il suo peggiore nemico. Non può raggiungerla finché lei resta a Landover, ma sono certo che vive solo in attesa del giorno in cui lei sarà tanto sciocco da avventurarsi ancora nel mondo in cui lo ha lasciato intrappolato! E se scoprisse che lei è tornato? E se il pericolo che minaccia il suo amico fosse proprio Meeks? -La possibilità esiste-ammise Ben. -Sì, certo che esiste!-Abernathy spinse in alto gli occhiali con fermezza, una volta dimostrato il punto. Poi lanciò un'occhiata a Questor.-E tu dovresti essere abbastanza saggio da valutare i rischi impliciti in qualunque tentativo di imbrigliare il potere dei libri di magia scomparsi, potere che è stato lo strumento di maghi come Meeks. Molto tempo prima che tu e io venissimo al mondo, correva voce che i libri di magia fossero forgiati nel ferro dei demoni e destinati a scopi malvagi. Come puoi essere certo che un simile potere non ti consumerà con la stessa rapidità con cui il fuoco consuma un pezzo di pergamena inaridita? Una simile magia è pericolosa, Questor Thews! -Quanto a te...-si rivolse in fretta a Willow, tagliando corto ai tentativi di protesta di Questor-il tuo sogno è quello che mi spaventa di più. La leggenda di un unicorno nero è una leggenda del male, perfino il sogno te lo dice! Questor Thews ha tralasciato di spiegare, nel riferire le storie di Landover, che tutti quelli che sostenevano di aver visto questa creatura sono andati incontro a una fine improvvisa e spiacevole. Se esiste un unicorno nero, è probabile che sia un demone fuggito da Abaddon, ed è meglio lasciarlo stare! Concluse il discorso con uno scatto delle mascelle, irrigidite dalla forza della sua convinzione. Gli amici lo fissarono. -Stiamo soltanto facendo delle ipotesi-disse Ben, tentando di calmare lo scrivano agitato.-Stiamo solo considerando le alternative possibili... Sentì la mano di Willow stringere di nuovo la sua.-No, Ben. L'istinto di Abernathy è giusto. Abbiamo già superato la riflessione sulle alternative. Ben tacque. Aveva ragione lei, lo sapeva. Nessuno dei tre lo aveva detto, ma la decisione era stata presa ugualmente. Sarebbero partiti ciascuno per proprio conto per svolgere le loro ricerche separate. Erano decisi a mettere alla prova la veridicità dei sogni. -Almeno uno di voi è onesto!-sbuffò Abernathy.-Onesto nel voler andare, anche se non nel riconoscerne i rischi! -Ci sono sempre dei rischi...-cominciò Questor.
-Sì, sì, mago!-Abernathy tagliò corto per concentrare la sua attenzione su Ben.-Ha dimenticato i progetti attualmente in corso, Alto Signore?-domandò.-Che fare del lavoro che richiede la sua presenza per essere completato? Il consiglio della magistratura si riunirà fra una settimana per esaminare la procedura da lei proposta per le udienze dei giudici di pace. I lavori di irrigazione e costruzione di strade ai confini orientali del Prato Verde devono cominciare non appena lei avrà controllato i rilevamenti. L'esazione delle imposte richiede un rendiconto immediato. E i Signori del Prato Verde devono arrivare in visita ufficiale fra tre giorni! Non può piantare in asso tutto questo! Ben distolse lo sguardo, annuendo con aria assente. Tutt'a un tratto, stava pensando a qualcos'altro. In quale preciso momento aveva deciso di partire? Non riusciva a ricordare di aver preso quella decisione. Era come se in qualche modo la decisione fosse stata presa per lui. Scosse la testa. Non era possibile. I suoi occhi tornarono verso Abernathy.-Non preoccuparti. Non starò via a lungo. -Ma questo non può saperlo!-insistette lo scrivano. Ben fece una pausa, poi gli rivolse un sorriso del tutto inatteso.-Abernathy, certe cose devono avere la precedenza sulle altre. Gli affari di Landover dovranno aspettare per quei pochi giorni che mi occorreranno per passare nel vecchio mondo e tornare indietro.-Si alzò e si avvicinò all'amico.-Non posso lasciar correre. Non posso fingere che il sogno non sia avvenuto e che non sia preoccupato per Miles. Prima o poi, dovrei tornare in ogni caso. Ho lasciato troppe questioni in sospeso, e troppo a lungo. -Questioni del genere possono aspettare più di quanto sarebbe possibile per gli affari del regno, nel caso che lei non dovesse tornare, Alto Signore-brontolò preoccupato lo scrivano. Il sorriso di Ben si allargò.-Prometto di essere prudente. Tengo quanto te al benessere di Landover e del suo popolo. -Inoltre, io potrò benissimo badare agli affari di stato durante la sua assenza, Alto Signore-aggiunse Questor. Abernathy gemette.-Chissà perché, non mi sento affatto rassicurato da una prospettiva del genere. Ben interruppe la replica di Questor con un gesto di ammonimento.-Per favore, niente discussioni. Abbiamo bisogno del sostegno reciproco.-Si rivolse a Willow.-Sei altrettanto decisa? Willow gettò all'indietro i capelli lunghi fino alla vita e gli lanciò uno sguardo serio, quasi severo.-Conosci già la risposta a questa domanda. Lui annuì.-Credo di sì. Da dove vuoi cominciare? -Dalla regione dei laghi. Laggiù c'è qualcuno che potrebbe essere in grado di aiutarmi. -Prenderesti in considerazione l'idea di aspettare fino al mio ritorno, in modo che possa accompagnarti? Gli occhi verde mare erano fermi.-E tu aspetteresti me, invece? Lui le strinse gentilmente la mano in risposta.-No, immagino di no. Ciò nonostante, sei affidata alle mie cure, e non desidero che tu vada sola. Anzi, non voglio che né tu né Questor andiate da soli. Potrebbe rivelarsi necessario un minimo di protezione.
Bunion andrà con uno di voi, e Parsnip con l'altro. No, non discutete-si affrettò a continuare, vedendo parole di protesta salire alle labbra della silfide e del mago.-I vostri viaggi potrebbero rivelarsi pericolosi. -Anche il suo, Alto Signore-gli fece notare Questor. Ben annuì.-Sì, me ne rendo conto, ma le circostanze sono diverse. Non posso portare nessuno con me da questo mondo nell'altro... almeno, non senza suscitare troppe occhiate curiose... ed è nell'altro mondo che si annida qualunque pericolo possa minacciarmi. In questa impresa dovrò badare da solo a me stesso. Inoltre il medaglione che portava al collo era una protezione sufficiente, pensò. Lasciò vagare le dita sulla tunica, verso il profilo duro del medaglione. Ironia della sorte, era stato Meeks a dargli il medaglione quando gli aveva venduto il regno, la chiave della magia che ormai era sua. Soltanto chi lo portava era riconosciuto come re. Soltanto chi lo portava poteva attraversare le nebbie magiche da Landover fino al mondo esterno e viceversa. E soltanto chi lo portava poteva invocare e ottenere i servigi dell'invincibile campione chiuso nell'armatura, noto come il Paladino. Rievocò l'immagine del cavaliere errante che usciva dai cancelli di Sterling Silver per cavalcare incontro al sole nascente. Il segreto del Paladino era soltanto suo. Nemmeno Meeks aveva mai compreso appieno la misura del potere del medaglione o il suo legame con il Paladino. Ebbe un sorriso tirato. Meeks si era creduto tanto astuto che aveva usato il medaglione per passare nel mondo di Ben, e poi vi era rimasto intrappolato. Che cosa non avrebbe dato il vecchio mago, adesso, per riavere quel medaglione! Il sorriso svanì. Ma non sarebbe mai accaduto, naturalmente. Nessuno, se non chi lo portava, poteva prendere il medaglione una volta che era al suo posto... e Ben non se lo toglieva mai. Meeks non rappresentava più una minaccia per lui. Eppure, in un angolino in fondo alla sua mente, quasi sepolto nel muro di determinazione che proteggeva tutto ciò che Ben si era impegnato a difendere, un minuscolo residuo di dubbio continuava a lanciargli il suo avvertimento. -Bene, a quanto pare, niente di quanto dico può farvi cambiare idea-dichiarò Abernathy rivolto alla sala in generale, attirando di nuovo l'attenzione di Ben. Il cane lo scrutò al di sopra delle lenti, spinse in alto sul naso gli occhiali e assunse l'atteggiamento di un profeta ignorato.-Così sia. Quando partirà, Alto Signore? Seguì un silenzio carico di imbarazzo. Ben si schiarì la gola. -Prima partirò, prima potrò tornare. Willow si alzò e andò a fermarsi vicino a lui. Gli passò le braccia intorno alla vita, attirandolo a sé. Rimasero abbracciati per un attimo sotto gli occhi degli altri. Ben sentiva qualcosa agitarsi nel corpo snello della silfide, una sorta di brivido che parlava in sordina di timori inespressi. -Immagino che sarebbe meglio se ci dessimo tutti da fare-disse piano Questor Thews. Nessuno rispose. Il silenzio era sufficiente. L'alba si stava già tramutando in mattina e tutti condividevano l'esigenza di fare buon uso della giornata che cominciava. -Torna sano e salvo da me, Ben Holiday-disse Willow col viso affondato nella sua spalla.
Abernathy udì l'ammonimento e distolse lo sguardo.-Che torni sano e salvo da tutti noi-aggiunse. Ben non perse troppo tempo in preparativi. Appena uscito dalla sala da pranzo, si ritirò nella sua camera e riempì la sacca di tela che aveva portato con sé dal vecchio mondo con i pochi oggetti di sua proprietà di cui sentiva di avere bisogno. Si cambiò, indossando la tuta blu da ginnastica e le Nike che aveva portato un tempo. Gli abiti e le scarpe gli davano una sensazione strana, dopo l'abbigliamento in uso a Landover, ma erano comodi e familiari in modo rassicurante. Stava tornando, pensò mentre si cambiava. Stava per farlo, finalmente. Scese dalla camera da letto attraverso una scala di servizio e una serie di locali privati fino a un piccolo cortile poco lontano dall'entrata principale, dove gli altri erano riuniti in attesa. Il sole mattutino splendeva dal cielo azzurro e limpido sulla pietra bianca del castello, suscitando barbagli accecanti nei punti in cui colpiva il rivestimento d'argento. Il calore emanava dal terreno dell'isoletta sulla quale sorgeva Sterling Silver e dava alla giornata un languore piacevole. Ben aspirò l'aria pura e sentì il castello fremere in risposta sotto i suoi piedi. Strinse la mano con energia ai coboldi Bunion e Parsnip, ricambiò l'inchino rigido e formale di Abernathy, abbracciò Questor e baciò Willow con una passione riservata di solito alla notte più fonda. Non parlarono molto. Tutte le parole erano state già pronunciate. Abernathy lo mise di nuovo in guardia contro Meeks, e stavolta anche Questor lo ammonì. -Sia prudente, Alto Signore-suggerì il mago, stringendo una spalla di Ben con la mano come per trattenerlo.-Benché relegato in un mondo estraneo, il mio fratellastro non è del tutto privato della sua magia. E' ancora un nemico pericoloso. Stia in guardia da lui. Ben promise di farlo. Superò insieme a loro il cancello, oltrepassando le sentinelle che durante il giorno montavano la guardia sulla riva. Sulla sponda opposta lo aspettava il suo cavallo, un castrato baio che aveva chiamato Giurisdizione. Era una sorta di scherzo privato, per Ben, dire che, dovunque viaggiasse a dorso di cavallo, aveva sempre Giurisdizione. Nessun altro tranne lui capiva di che cosa stesse parlando. Lo attendeva anche uno squadrone di soldati a cavallo. Abernathy aveva insistito perché, almeno entro i confini del regno, il re di Landover non viaggiasse senza una scorta adeguata. -Ben.-Willow gli si accostò per l'ultima volta, mettendogli fra le mani qualcosa.-Porta questa con te. Lui abbassò gli occhi senza farsi notare. Gli aveva dato una pietra liscia, color latte, coperta di un intrico di rune. Willow richiuse in fretta le mani sulla pietra.-Tienila nascosta. E' un talismano che la mia gente porta spesso con sé. Se un pericolo ti minaccerà, la pietra si scalderà e diventerà color cremisi. In quel modo sarai avvertito. Fece una pausa, e sollevò una mano per accarezzargli dolcemente la guancia. Ricorda che ti amo. Ti amerò sempre.
Lui sorrise in modo rassicurante, ma come sempre quelle parole lo turbarono. Non voleva che lei lo amasse, non in modo così totale, così assoluto. Era spaventato da quello che comportava. Così lo aveva amato Annie, sua moglie, Annie, ormai morta, che faceva parte della sua vecchia vita, del suo vecchio mondo, uccisa in quell'incidente d'auto che a volte sembrava risalire a mille anni addietro, ma più spesso sembrava accaduto soltanto un giorno prima. Non era disposto a correre il rischio di accogliere quel genere di amore per poi perderlo una seconda volta. Non poteva. La prospettiva lo terrorizzava. Fu assalito all'improvviso da una fitta di tristezza. Era strano, ma finché non aveva conosciuto Willow, non aveva mai sognato di poter provare di nuovo i sentimenti che aveva diviso con Annie. Diede un rapido bacio a Willow e infilò la pietra in fondo alla tasca. Il tocco della sua mano continuò ad aleggiargli sul viso mentre si allontanava. Questor lo portò sull'imbarcazione fino alla riva opposta del lago e attese che montasse a cavallo.-Felice ritorno, Alto Signore-gli augurò il mago. Ben salutò tutti con la mano, lanciò ancora un'occhiata alle torrette di Sterling Silver, voltò Giurisdizione e si allontanò al galoppo, seguito dallo squadrone di soldati. Il mattino si tramutò in mezzogiorno e il mezzogiorno in pomeriggio, mentre Ben cavalcava a occidente verso il limite della valle e le nebbie che segnavano i confini del mondo fatato. I colori dell'autunno tappezzavano di riquadri vivaci la campagna attraverso la quale passava. I prati erano folti di erbe verde tenero, azzurro e rosa, e di trifoglio bianco punteggiato di rosso vivo. La vegetazione della foresta conservava ancora gran parte dei nuovi germogli. Un po' dappertutto crescevano a gruppi i Bonnie Blu, gli alberi che con la loro offerta di cibo e di bevande costituivano uno dei pilastri della vita nella valle: una specie di piccole querce di montagna di colore azzurro vivo, sullo sfondo delle varie tonalità di verde della foresta. Due delle otto lune di Landover splendevano basse sull'orizzonte settentrionale, visibili anche alla luce del giorno, una color pesca, l'altra di un pallido malva. Nei campi delle piccole fattorie sparse per la campagna era in corso il raccolto. Mancava ancora un mese al riposo settimanale dell'inverno. Ben sorbiva avidamente l'odore, il gusto, la vista e il contatto della valle, come se assaggiasse un buon vino. Erano ormai scomparse le brume e la fioca luce invernale che marchiavano la terra quando lui era venuto per la prima volta e la magia era sul punto di estinguersi. La magia ora prosperava, e la terra era integra. La valle e il suo popolo erano in pace. Ben no. Durante il viaggio mantenne un'andatura costante, ma non veloce. La necessità di affrettarsi che aveva provato poco prima aveva ceduto il passo a una strana ansietà al pensiero di partire davvero. Quella sarebbe stata la sua prima uscita da Landover da quando era arrivato e, sebbene prima di allora l'idea di partire non lo avesse mai turbato, in quel momento cominciava a inquietarlo. Un'ansia assillante era in agguato in fondo alla sua mente: l'ansia che, una volta lasciata Landover, non sarebbe più riuscito a tornare. Era ridicolo, naturalmente, e tentò coraggiosamente di respingerla, convincendosi che stava provando lo stesso pessimismo che qualunque viaggiatore sperimentava
all'inizio di un viaggio che lo avrebbe portato lontano da casa. Obiettò che era vittima dei ripetuti ammonimenti degli amici e si mise a canticchiare Brigadoon per migliorare il suo umore. Non servì a niente, però, e alla fine si diede per vinto. C'erano stati d'animo che bisognava semplicemente rassegnarsi ad accettare, finché non mollavano la presa. Era metà pomeriggio, quando la compagnia raggiunse le prime pendici della cresta occidentale della valle. Lasciò lì i soldati con i cavalli, dando loro istruzioni di accamparsi e attendere il suo ritorno. Poteva restare lontano anche una settimana, li avvertì. Se per allora non fosse tornato, dovevano rientrare a Sterling Silver e avvertire Questor. Il capitano dello squadrone gli rivolse un'occhiata curiosa, ma accettò gli ordini senza discutere. Era abituato al fatto che il re se ne andava in giro a compiere strane missioni senza scorta, anche se di solito aveva al suo seguito uno dei coboldi oppure il mago. Ben attese il saluto del capitano, poi si mise in spalla la sacca di tela e cominciò a risalire il pendio della valle. Il sole stava per tramontare quando lui raggiunse la sommità e tagliò verso l'orlo nebbioso della foresta che segnava i confini del mondo fatato. Il calore del giorno si stava stemperando in fretta nella frescura serale, e la sua ombra allungata si trascinava dietro di lui come una silhouette grottesca. Nell'aria regnava un silenzio profondo, che pervadeva ogni cosa, e Ben avvertì la presenza di qualcosa di nascosto. La sua mano si spostò verso il medaglione che portava appeso al collo, e le dita strinsero saldamente la presa su di esso. Questor gli aveva detto che cosa doveva aspettarsi. Il mondo fatato era dovunque, e nello stesso tempo in nessun luogo, e vi si aprivano tutte le numerose porte che davano su altri mondi. La via del ritorno poteva essere uno qualsiasi dei passaggi che lui decideva di prendere e poteva trovarsi in qualunque luogo dove lui decidesse di entrare. Non doveva fare altro che fissarsi bene in mente la destinazione, e il medaglione avrebbe fatto in modo che trovasse il passaggio giusto. Quella era la teoria, almeno. Questor non aveva mai avuto l'opportunità di metterla in pratica La nebbia turbinava e ondeggiava fra i grandi alberi della foresta, con lunghe spirali che si snodavano come serpenti. La nebbia aveva l'aspetto di qualcosa di vivo. "Che pensiero allegro" si rimproverò Ben. Si fermò davanti alla nebbia, la scrutò con diffidenza, trasse un respiro profondo per calmarsi e vi si addentrò. La nebbia si chiuse all'istante su di lui, e la via per tornare indietro divenne indistinta come quella per avanzare. Un attimo dopo, si aprì davanti a lui un tunnel, lo stesso enorme antro nero e vuoto che lo aveva portato lì dal vecchio mondo un anno prima. Si apriva fra la nebbia e gli alberi e si perdeva nel nulla. Nella galleria si sentivano suoni, distanti e incerti, e ombre che danzavano ai margini. Ben rallentò il passo. Ricordava com'era andata l'ultima volta che era passato da quel tunnel. Il demone noto come il Marchio e il suo nero destriero alato si erano avventati su Ben sbucando dal nulla; prima che decidesse che erano reali, lo avevano quasi finito. Poi era praticamente inciampato in quel drago addormentato... Ombre tenui saettarono ai margini dell'oscurità fra gli alberi e la nebbia. Fate.
Ben smise di ricordare e s'impose di camminare più in fretta. Le fate lo avevano già aiutato una volta, e avrebbe dovuto sentirsi a suo agio in mezzo a loro. Ma non era così. Si sentiva estraneo e solo. Fra la nebbia si materializzarono e svanirono di nuovo delle facce, affinate, con gli occhi acuti, con i capelli simili a muschio. Delle voci bisbigliavano, ma le loro parole erano indistinte. Ben sudava. Odiava stare nel tunnel, voleva uscire di lì. Più avanti, incombeva l'oscurità. Le dita di Ben stringevano ancora il medaglione in una presa mortale, e lui pensò d'improvviso al Paladino. Poi l'oscurità davanti a lui si schiarì in un grigio lattiginoso, e la lunghezza del tunnel si ridusse a meno di cinquanta metri. Sagome indefinibili ondeggiavano irregolari nella penombra, un intrico di ragnatele e pali storti. Voci e movimenti sulle pareti della galleria cedettero il posto a un sibilo acuto. Un vento improvviso si levò, ululando con violenza. Ben aguzzò lo sguardo in avanti, nella semioscurità. Il vento lo sferzava dai bordi dell'uscita della galleria e gli schiaffeggiava il viso sibilando con raffiche umide, pungenti. E c'era qualcos'altro... Uscì dal riparo della galleria sotto un temporale accecante, e si trovò faccia a faccia con Meeks. CAPITOLO 2 ...e ricordi Ben Holiday rimase paralizzato. I fulmini saettavano da un cielo plumbeo e gonfio di nuvole basse che rovesciavano pioggia a torrenti. Il tuono rimbombava, riecheggiando nello spazio vuoto, scuotendo la terra in basso con la violenza del suo passaggio. Querce massicce sorgevano tutt'intorno come le mura fortificate di una fortezza enorme, con i tronchi e i rami nudi che luccicavano neri di pioggia. Pini e larici più bassi si affollavano a gruppi nei varchi lasciati dalle sorelle più alte, e le pendici irregolari dei monti Blue Ridge s'innalzavano scure contro l'orizzonte quasi invisibile. La figura spettrale di Meeks pareva inchiodata su quello sfondo. Se ne stava immobile, alto, curvo e vecchio, con i capelli bianchi scarmigliati, la faccia rugosa dura come il ferro. Non assomigliava quasi per nulla all'uomo che Ben ricordava. Quello era stato umano; questo aveva l'aspetto di una belva feroce. Erano ormai scomparsi i pantaloni di lana ben stirati, la giacca di velluto e i mocassini, contrassegni della civiltà che avevano dato il tocco finale al rappresentante cortese, seppure burbero, di un grande magazzino dalla solida reputazione. Quegli abiti da lavoro familiari e rassicuranti erano stati rimpiazzati da una lunga veste di un colore grigioazzurro canna di fucile, che si gonfiava come una vela e sembrava assorbire la luce. Un colletto alto s'innalzava dalle spalle a incorniciare il volto spettrale e butterato, stravolto da un furore che sconfinava nella follia. La manica destra, vuota, pendeva ancora molle. Il guanto di pelle nera che gli copriva la mano sinistra era ancora un artiglio. Ma l'una e l'altro erano in qualche modo più vistosi, come se ciascuno fosse una cicatrice lasciata scoperta per essere vista.
Ben si sentì serrare la gola. Il vecchio emanava una tensione inconfondibile, la tensione di un aggressore pronto a colpire. "Mio Dio, mi stava aspettando" pensò Ben sbigottito. "Sapeva che stavo arrivando!" In quel momento Meeks si avventò su di lui. Ben fece un passo indietro, stringendo freneticamente il medaglione con la destra. Meeks era quasi su di lui. Il vento cambiò, e i suoni della tempesta echeggiarono fra le montagne con rinnovata violenza. La pioggia gli sferzò il viso, costringendolo a battere le ciglia. Quando guardò di nuovo, Meeks era scomparso. Ben rimase con gli occhi sbarrati. Meeks si era volatilizzato, come se fosse uno spettro. Pioggia e oscurità ammantavano tutta la foresta circostante in un sudario di grigia umidità. Ben si affrettò a guardarsi attorno, col viso contratto dall'incredulità. Non si vedeva nessuna traccia di Meeks. Ben impiegò solo un istante a riordinare le idee confuse. Scorse il vago contorno di un sentiero proprio davanti a sé, e si avviò in quella direzione. Avanzava in fretta fra gli alberi, seguendo la curva del sentiero che si snodava scendendo lungo il fianco della montagna e allontanandosi dal varco temporale che lo aveva riportato da Landover al suo vecchio mondo. Ed era tornato davvero: di quello almeno era certo. Era di nuovo sui monti Blue Ridge, in Virginia, nel cuore della George Washington National Forest. Quello era lo stesso sentiero che lo aveva portato a Landover più di un anno prima. Se lo avesse seguito abbastanza a lungo, lo avrebbe portato giù dalle montagne fino alla Skyline Drive, a una piazzola di sosta con il numero 13 scritto in nero su un cartello verde, a una pensilina e - quel che era più importante - a un telefono pubblico. Nel giro di pochi secondi era fradicio di pioggia, ma continuò ad avanzare ad andatura regolare, con la sacca di tela stretta sotto un braccio. La sua mente lavorava in fretta. Quello che aveva visto non era Meeks, non somigliava neppure al vecchio Meeks, era quasi irriconoscibile, in nome del cielo! Inoltre, Meeks non sarebbe scomparso così semplicemente, se fosse stato lui, no? Il dubbio assillava la sua mente. Si era semplicemente immaginato tutto, allora? Era stata una specie di miraggio? Troppo tardi, pensò alla pietra runica che gli aveva dato Willow. Rallentando, frugò in fondo alla tasca della giacca fino a trovare la pietra e a portarla alla luce. Era ancora di colore latteo e non emanava calore. Ciò significava che nessuna magia lo minacciava, ma che cosa gli rivelava sulla visione spettrale di Meeks? Riprese la marcia, scivolando sul terreno umido e fradicio di pioggia, mentre rami di pino gli schiaffeggiavano il viso e le mani. Si rese conto all'improvviso di quanto facesse freddo su quelle montagne, mentre il gelo s'insinuava in lui con dita di ghiaccio. Aveva dimenticato che il tardo autunno poteva essere sgradevole, anche nella Virginia occidentale. L'Illinois poteva essere rigido. A Chicago poteva addirittura nevicare. Si sentì un nodo alla gola. Ombre si muovevano fra la nebbia e la pioggia, saettando e scomparendo alla vista. Ogni volta, lui vedeva Meeks. Ogni volta, sentiva la mano guantata del mago tendersi verso di lui. "Continua a muoverti" si disse. "Raggiungi quel telefono."
Gli sembrò di impiegarci molto di più, ma raggiunse il telefono pubblico una mezz'ora dopo, scendendo dalla foresta e attraversando la strada a due corsie del parco fino alla pensilina che lo riparava. Era inzuppato fino alle ossa e intirizzito, ma non se ne rendeva neppure conto. Tutta la sua concentrazione era fissa sulla cabina di metallo nero e argento chiusa dal plexiglas. "Ti prego, fa' che funzioni" pregò. Funzionava. La pioggia batteva sul tetto della pensilina con un tamburellio costante, e nebbia e oscurità l'assediavano. Gli sembrò di udire dei passi. Frugò nella sacca in cerca delle monete e della carta di credito che teneva ancora nel portafogli, chiamò il servizio informazioni chiedendo il nome di un servizio di autonoleggio di Waynesboro, e telefonò perché venissero a prenderlo con una macchina. Nel giro di pochi minuti fu tutto sistemato. Poi si sedette ad aspettare sulla panca di legno fissata alla parete della tettoia. Fu sorpreso di scoprire che gli tremavano le mani. Quando la limousine lo raggiunse e lui fu al sicuro a bordo, aveva ormai ritrovato il sangue freddo quanto bastava per riflettere su quello che gli era accaduto. Non pensava più di aver immaginato l'apparizione di Meeks. Quello che aveva visto era stato abbastanza reale. Ma non era Meeks quello che aveva visto; era stata una immagine di Meeks. L'immagine era stata evocata dal suo passaggio nel tunnel temporale. Tutto era stato predisposto in modo che lui vedesse l'immagine. Era stata posta lì, all'uscita del tunnel, in modo che lui la vedesse. La domanda era, perché? Si rannicchiò sul divano posteriore della limousine che sfrecciava sulla strada panoramica verso Waynesboro e considerò le varie possibilità. Doveva presumere che il responsabile fosse Meeks. Non c'erano altre spiegazioni plausibili. Allora che cosa cercava di ottenere Meeks? Tentava di scoraggiare Ben, di respingerlo indietro nel passaggio temporale? Non aveva senso. Be', no, l'ammonimento ne aveva. Meeks era arrogante quanto bastava per voler informare Ben di essere al corrente del suo ritorno, ma c'era dell'altro. L'immagine doveva essere stata posta lì per raggiungere anche qualche altro scopo. Trovò quasi subito la risposta. L'immagine non aveva soltanto avvertito Ben della presenza di Meeks, ma anche Meeks dell'arrivo di Ben! Era un trucco che serviva ad avvertire il mago che Ben era tornato da Landover! Era perfettamente plausibile. Era più che logico che Meeks impiegasse qualche espediente - magico o altro - che lo avvertiva quando i mancati re di Landover tornavano nel loro vecchio mondo con il medaglione. Una volta messo sull'avviso, Meeks poteva dare loro la caccia. O, in quel caso, dare la caccia a lui. Era quasi sera quando l'autista lo depositò all'ingresso di un Holiday Inn alla periferia di Waynesboro, e la pioggia continuava a cadere, la luce del giorno era quasi del tutto scomparsa. Ben disse all'uomo che era in vacanza e aveva percorso la strada del parco facendo l'autostop verso nord da Staunton, fin quando il maltempo lo aveva costretto ad abbandonare il progetto e a chiedere aiuto. L'autista lo guardò come se fosse pazzo. Il tempo era così da oltre una settimana, scattò. Ben scrollò le spalle, lo pagò in contanti e si affrettò a entrare.
Mentre si dirigeva verso il banco, si soffermò quanto bastava per controllare la data su un giornale che qualcuno aveva abbandonato su un tavolo nella hall. Indicava il venerdì 9 dicembre. Erano passati un anno e dieci giorni dalla prima volta che era passato attraverso il tunnel temporale dai monti Blue Ridge della Virginia a Landover. Il tempo scorreva in perfetta sincronia nei due mondi. Prenotò una stanza per la notte, mandò i vestiti a pulire asciugare, fece una doccia bollente per scaldarsi e ordinò la cena in camera. Mentre aspettava la cena e i vestiti, chiamò l'aeroporto per prenotare un volo per Chicago. Non ce n'erano fino al mattino dopo. Doveva andare a Washington, poi cambiare per Chicago. Fissò la prenotazione, la fece addebitare sulla sua carta di credito e attaccò. Fu solo mentre cenava che gli venne in mente che usare una carta di credito per pagare il viaggio in aereo non era esattamente la cosa più intelligente che avrebbe potuto fare. Era seduto sulla sponda del letto di fronte alla TV, con il vassoio in equilibrio sulle ginocchia, avvolto in un asciugamano dell'Holiday Inn, e la temperatura della stanza si aggirava intorno ai trenta gradi. I suoi vestiti erano ancora in lavanderia. Tom Brokaw stava leggendo le notizie, e d'improvviso Ben fu colpito dall'idea che, in un mondo di comunicazioni sofisticate, rintracciare una carta di credito computerizzata era una faccenda relativamente semplice. Se Meeks si era preso il disturbo di sistemare quell'immagine all'imbocco del passaggio temporale per essere avvertito del ritorno di Ben, quasi certamente avrebbe fatto un altro passo avanti. Doveva sapere che Ben avrebbe tentato di visitare Chicago. Doveva sapere che Ben probabilmente avrebbe scelto l'aereo. Rintracciando la carta di credito avrebbe saputo il volo della compagnia aerea, la data del viaggio e la destinazione. Poteva trovarsi lì ad aspettare Ben quando scendeva dall'aereo. Quella possibilità gli rovinò quanto restava della cena. Ben mise da parte il vassoio, spense il televisore e cominciò a meditare più attentamente sull'avversario che aveva di fronte. Abernathy aveva visto giusto. Quella storia si stava rivelando più pericolosa di quanto avesse immaginato. Ma non aveva davvero scelta. Doveva tornare a Chicago e vedere Miles quanto bastava per scoprire se c'era qualcosa di vero nel sogno. Probabilmente Meeks sarebbe stato in agguato a un certo punto del percorso. Il trucco stava nell'evitare di sbattere il naso contro di lui. Si concesse un sorrisetto. Non era un problema. Gli riportarono i vestiti alle nove, e alle dieci dormiva già. Si svegliò presto, fece colazione, si mise la sacca in spalla e prese un taxi fino all'aeroporto. Raggiunse in volo Washington usando la prenotazione della sera prima, poi annullò il saldo del biglietto, si spostò al banco di un'altra linea aerea, prenotò sotto falso nome un posto per Chicago in lista d'attesa, pagò il biglietto in contanti e si ritrovò in volo prima di mezzogiorno. "Vediamo come se la cava Meeks, adesso" pensò fra sé. A occhi chiusi, si rilassò sul sedile e rifletté sulla strana catena di circostanze che lo aveva portato dalla sua casa di Chicago all'Isola-che-nonc'è. I ricordi gli fecero scuotere la testa in segno di rimprovero. Forse anche lui, come Peter Pan, non era mai cresciuto. Allora era un avvocato, e straordinariamente in gamba, per giunta, uno da cui i veterani del mestiere si aspettavano grandi cose. Aveva uno studio insieme con
il vecchio amico e socio Miles Bennett, una società alla pari in cui i due si completavano a vicenda come vecchie scarpe e jeans stinti: Ben l'audace avvocato dalla lingua tagliente, Miles il solido praticante conservatore. Spesso Miles aveva deplorato i criteri di Ben nell'accettare i clienti, ma Ben cadeva sempre in piedi, nonostante le altezze dalle quali si ostinava a lanciarsi. Aveva vinto più scontri in aula della media, scontri in cui i suoi avversari avevano creduto di seppellirlo sotto una valanga di retorica e scartoffie sorrette dal denaro, cavilli legali, rinvii e giochetti di ogni sorta. Miles era rimasto tanto sorpreso dalla sua vittoria nella causa Dodge City Express, che lo aveva soprannominato Doc Holiday, il pistolero delle aule giudiziarie. Sorrise. Quelli erano stati bei tempi, ricchi di soddisfazioni. Ma i bei tempi erano tramontati con la morte di Annie e la soddisfazione si era dileguata come tante goccioline di mercurio. La moglie era morta in un incidente stradale mentre era incinta di tre mesi, e da allora gli era sembrato di avere perduto tutto. Era diventato un misantropo, evitava tutti tranne Miles. Era sempre stato piuttosto solitario, e a volte pensava che la morte della moglie e del bambino non avessero fatto altro che rafforzare una tendenza che era sempre stata presente. Aveva cominciato a lasciarsi andare, mentre i giorni scorrevano e gli avvenimenti si confondevano in modo inestricabile. Intuiva che stava lentamente perdendo i contatti con se stesso. Era difficile dire che cosa sarebbe potuto accadere, se non si fosse imbattuto nella bizzarra offerta del catalogo "Speciale Natalizio" dei grandi magazzini Rosen's per l'acquisto del trono del regno di Landover. Da principio gli era sembrata ridicola, un regno fantastico con maghi e streghe, draghi e damigelle, cavalieri e furfanti, in vendita per un milione di dollari. Chi sarebbe stato tanto idiota da crederci? Ma la disperata scontentezza che provava nei confronti della sua vita lo aveva indotto a giocare d'azzardo sulla possibilità che qualcosa in quella impossibile fantasticheria fosse reale. Valeva la pena di correre qualunque rischio, se fosse valso a riportarlo in sé. Aveva accantonato i dubbi, preparato i bagagli e raggiunto in aereo la sede di Rosen's a New York per vedere di che cosa si trattava. Gli era stato chiesto di sottoporsi a un colloquio per perfezionare la vendita, e a condurre il colloquio era stato Meeks. Gli balenò subito alla mente l'immagine familiare di Meeks, il vecchio alto con la voce sommessa e gli occhi spenti, un veterano di guerre che Ben poteva soltanto immaginare. Il colloquio era stato l'unico momento in cui si erano trovati faccia a faccia. Meeks lo aveva ritenuto un candidato accettabile come re di Landover, con le attitudini giuste non per riuscire, come aveva creduto Ben, ma per fallire. Meeks lo aveva convinto all'acquisto, lo aveva affascinato come fa un serpente con la sua preda. Meeks lo aveva anche sottovalutato. Ben lasciò che i suoi occhi si riaprissero e sussurrò:-Esatto, Ben Holiday, ti ha proprio sottovalutato. Ora stai attento tu a non sottovalutare lui. L'aereo atterrò all'aeroporto O'Hare di Chicago poco dopo le tre, e Ben prese un taxi fino in città. Il tassista parlò per tutto il tragitto, per lo più di sport: la stagione magra
dei Cubs, le speranze dei Bulls per il playoff con Jordan, i problemi di infortuni dei Blackhawks, i Bears quotati a 13 e 1. I Chicago Bears? Ben ascoltava, rispondendo a tratti, mentre una vocina in fondo alla mente lo avvertiva che c'era qualcosa di strano in quella conversazione. Era quasi arrivato in città quando capì di che cosa si trattava. Era la lingua. Lui la capiva, anche se non la sentiva e non la parlava da oltre un anno. A Landover udiva, parlava, scriveva e pensava nella lingua di Landover. Glielo permetteva la magia. Eppure eccolo lì, tornato nel suo vecchio mondo, nella cara vecchia Chicago, ad ascoltare quel tassista parlare in inglese - o almeno in una ragionevole imitazione come se fosse la cosa più naturale del mondo. Be', forse era proprio così, pensò con un sorriso. Si fece lasciare dal tassista al Drake, non volendo tornare nel suo vecchio appartamento all'attico né mettersi in contatto con amici o conoscenti, per il momento. Ormai si comportava con prudenza. Pensava a Meeks. Si fece registrare sotto falso nome, pagò in contanti e in anticipo per una notte e si fece guidare dal fattorino verso la sua stanza. Era sempre più soddisfatto di avere deciso per precauzione di portare con sé parecchie migliaia di dollari in contanti, quando si era trasferito a Landover un anno prima. La decisione era stata quasi un ripensamento, ma si stava rivelando valida. I contanti gli risparmiavano di usare la carta di credito. Lasciando la stanza con i contanti e il portafogli in una tasca della tuta sportiva, scese con l'ascensore, uscì dall'albergo e percorse a piedi alcuni isolati fino alla Water Tower Place. Fece acquisti, comprando giacca e pantaloni sportivi, camicie, una cravatta, calze e biancheria, più un paio di mocassini scuri, pagò in contanti e tornò indietro. Non aveva senso farsi notare, e una tuta da ginnastica con le Nike nel cuore del centro commerciale di Chicago era fin troppo vistosa. Lui non era semplicemente il tipo. A volte l'apparenza era tutto, specie a breve termine. Era esattamente per quella ragione che non aveva portato con sé nessuno dei suoi amici. Un cane parlante, un paio di scimmie sogghignanti, una ragazza che si trasformava in albero e un mago i cui incantesimi spesso facevano cilecca, non sarebbero certo passati inosservati in Michigan Avenue. Si pentì quasi subito di aver caratterizzato i suoi amici in modo così superficiale. Era stato cinico senza motivo. Per quanto strani fossero, erano amici sinceri. Si erano schierati al suo fianco nel momento cruciale, quando era pericoloso farlo, e quando la loro stessa vita era minacciata. Era molto più di quanto si potesse dire della maggior parte degli amici. Chinò la testa per resistere a una raffica di vento improvvisa, accigliandosi. Inoltre, lui non era strano quanto loro? Non era forse il Paladino? Respinse con ira il pensiero negli angoli più oscuri della mente e si affrettò per approfittare del semaforo verde. Nell'atrio dell'albergo acquistò vari quotidiani e riviste e si ritirò nella sua stanza. Ordinò il servizio in camera e ingannò il tempo in attesa della cena scorrendo la stampa per aggiornarsi su quello che era accaduto nel mondo durante la sua assenza. S'interruppe quanto bastava per assistere a un'ora di notiziari locali e internazionali, e
a quel punto arrivò la cena. Continuò a leggere durante la cena. Ormai si avvicinavano le sette di sera, e decise di chiamare Ed Samuelson. C'erano due ragioni per il ritorno di Ben a Chicago. La prima era far visita a Miles e scoprire se il sogno che riguardava il suo amico era stato esatto. La seconda era sistemare definitivamente i suoi affari. Aveva già deciso che la prima questione avrebbe dovuto attendere fino al mattino dopo, ma non c'era motivo per rimandare la seconda. Ciò comportava una telefonata a Ed. Ed Samuelson era il suo commercialista, socio anziano dello studio Haines, Samuelson & Roper, Inc. Ben aveva affidato a Ed l'amministrazione del suo patrimonio - un patrimonio di dimensioni considerevoli - prima di partire per Landover. Ed Samuelson era esattamente il genere di persona che ci si augura di avere come commercialista: discreto, fidato e coscienzioso. C'erano state occasioni in cui aveva chiaramente giudicato Ben un pazzo in materia finanziaria, ma aveva rispettato il fatto che era con il denaro di Ben che aveva a che fare. Una di quelle occasioni si era presentata quando Ben aveva deciso di acquistare il regno di Landover. Ed aveva liquidato le proprietà necessarie per realizzare il milione di dollari in contanti del prezzo d'acquisto e aveva ricevuto la procura per amministrare le proprietà di Ben mentre lui era lontano. Aveva fatto tutto ciò senza avere la minima idea di quello che Ben stava combinando. Ben non glielo aveva detto allora e non aveva intenzione di farlo adesso, ma sapeva che Ed lo avrebbe accettato. Chiamare Ed Samuelson comportava un certo rischio. Doveva presumere che Meeks sapesse che Ed era il suo commercialista e che prima o poi lo avrebbe contattato. Prevedendo quel contatto, Meeks poteva aver messo sotto controllo il telefono del commercialista. Quella forse era una presunzione vagamente paranoica, ma Meeks non era tipo con cui scherzare. Ben sperava soltanto che, se Meeks aveva deciso per un controllo telefonico avesse optato per l'ufficio di Ed Samuelson e non per la sua abitazione privata. Telefonò a Ed, lo trovò che aveva appena finito di cenare e trascorse i dieci minuti seguenti a convincerlo che all'apparecchio c'era davvero Ben Holiday. Una volta risolto quel problema, avvertì Ed che nessuno - e ciò significava assolutamente nessuno - doveva sapere della telefonata. Ed doveva fingere di non averla mai ricevuta. Ed gli rivolse la stessa domanda che faceva sempre quando Ben presentava una delle sue bizzarre richieste: era in qualche guaio? No, gli assicurò lui, non era così. Semplicemente, per il momento non era opportuno che qualcuno sapesse che era in città. Non intendeva vedere Miles, assicurò a Ed. Non pensava che avrebbe avuto tempo di vedere nessun altro. Ed sembrò soddisfatto. Ascoltò con pazienza mentre Ben gli spiegava che cosa voleva da lui. Ben promise che sarebbe passato dal suo ufficio l'indomani verso l'una per firmare i documenti necessari se Ed poteva fare in modo di trovarsi li. Ed sospirò stoicamente e disse che andava bene. Ben gli augurò la buona notte e posò subito il ricevitore sulla forcella.
Venti minuti sotto la doccia lo aiutarono a lavarsi di dosso la tensione e la crescente stanchezza. Uscì dal bagno e s'infilò a letto, con alcune riviste e giornali vicino. Cominciò a leggere, ci rinunciò, lasciò vagare i pensieri e chiuse gli occhi. Pochi istanti dopo, era addormentato. Quella notte sognò il Paladino. Dapprima era solo, in piedi su un'altura riparata dagli abeti che guardava in basso verso la valle velata di nebbia di Landover. Azzurro e verde si fondevano nel punto in cui cielo e terra s'incontravano, ed era come se allungando la mano potesse toccarli. Respirò a pieni polmoni, e l'aria era pura e frizzante. La nitidezza di quel momento fu sorprendente. Poi le ombre s'incupirono e si chiusero su di lui come le tenebre della notte. Grida e mormorii filtrarono fra i pini. Lui poteva sentire la forma del medaglione premuto contro il palmo mentre lo stringeva, assalito da un presagio. Ne aveva bisogno ancora una volta, intuì, e ne fu lieto. L'essere che teneva intrappolato dentro poteva essere liberato di nuovo! Da un lato ci fu un movimento saettante, e una mostruosa sagoma nera si avventò verso di lui. Era un unicorno, con gli occhi e l'alito di fuoco, ma si trasformò quasi subito. Divenne un demone. Poi si trasformò di nuovo. Era Meeks. Il mago gli fece un cenno, una sagoma alta, curva, minacciosa, col viso squamoso come una lucertola. Veniva incontro a Ben, aumentando di dimensioni a ogni passo, trasformandosi in qualcosa di irriconoscibile. Nelle narici di Ben s'insinuò l'odore della paura, l'odore della morte. Ma lui era il Paladino, il cavaliere errante la cui anima inquieta aveva trovato ospitalità nel suo corpo, il campione del re che non aveva mai perso una battaglia, e niente poteva tenergli testa. Riportò alla vita quell'altro se stesso con un moto terrificante di esultanza. L'armatura si chiuse intorno a lui, e l'odore di paura e di morte cedette il posto agli odori acri di ferro, cuoio e olio. Non era più Ben Holiday, ma una creatura di un altro tempo e di un altro luogo, che non aveva altri ricordi se non di battaglia, di duello e di vittoria, di combattimento e di morte. Nella sua mente infuriavano guerre, e s'intravedevano giganti in lotta racchiusi entro corazze di ferro, che si affrontavano senza posa in una nebbia rossastra. Si udivano clangori metallici e voci che sbuffavano e grugnivano per il furore. Corpi cadevano nella morte, feriti e spezzati. Si sentiva rallegrato! Oh, Dio, si sentiva rinascere! L'oscurità intorno a lui s'infranse, mentre ombre si avventavano e allungavano gli artigli, e lui le affrontò in preda al furore. Il destriero bianco che montava lo portò in avanti come un motore a vapore spinto da fiamme che non avrebbe saputo come controllare. I pini scivolarono ai lati in una massa confusa, e il terreno scomparve. Meeks divenne uno spettro che lui non riuscì a toccare. Corse in avanti, volando giù dall'orlo del precipizio nel nulla. La sensazione di esultanza svanì. Da un punto indefinito della notte si levò un grido spaventoso. Mentre cadeva, si rese conto che il grido era suo.
Dopo di allora, i sogni lo lasciarono in pace, ma dormì male per il resto della notte. Si alzò poco dopo l'alba, fece la doccia, si fece servire la colazione in camera, mangiò, indossò gli abiti che aveva comprato il giorno prima e poco dopo le nove prese un taxi all'uscita dell'albergo. Portava con sé la sacca di tela. Non prevedeva di tornare. Il taxi lo portò a sud sulla Michigan Avenue. Era sabato, ma le strade cominciavano già a essere intasate da acquirenti natalizi ansiosi di evitare la ressa del weekend. Ben sedeva rilassato sul sedile, nel relativo isolamento del taxi, e li ignorava. Non c'era nulla di più lontano dalla sua mente dei piaceri del prossimo weekend. Tracce del sogno della notte prima gli mormoravano ancora all'orecchio pensieri cupi. Era stato terribilmente spaventato da quel sogno e dalle verità che conteneva. Il Paladino era una realtà con la quale non era venuto a patti del tutto. Si era trasformato nel cavaliere in armatura una sola volta, e anche allora più per caso che per intenzione. Era stato necessario trasformarsi nel Paladino per sopravvivere, e perciò aveva fatto quanto era necessario. Ma la metamorfosi era stata un processo terrificante, come spogliarsi della propria pelle per infilarsi in quella di qualcun altro... di qualcuno o di qualcosa. I pensieri di quell'altro essere erano duri e brutali, pensieri da guerriero, da gladiatore. In quei pensieri c'erano sangue e morte, un'intera storia di sopravvivenza che Ben comprendeva soltanto in minima parte. Francamente, lo terrorizzava. Lui non poteva controllare la natura dell'altro essere, lo intuiva, almeno non del tutto. Poteva soltanto diventare ciò che era e accettare ciò che comportava. Non era sicuro di poterlo fare ancora. Non aveva tentato e non desiderava tentare. E tuttavia una parte di lui lo desiderava, proprio come nel sogno. E una parte di lui desiderava che un giorno o l'altro fosse necessario. Si fece portare in taxi agli uffici dello studio Holiday & Bennett, Ltd. Il sabato gli uffici erano chiusi, ma lui sapeva che Miles ci sarebbe stato lo stesso. Il sabato Miles era sempre lì, a lavorare fino a mezzogiorno, per rimettersi in pari con tutta la dettatura e il lavoro di ricerca che non era riuscito a sbrigare durante la settimana, approfittando dell'assenza di quelle noiose interruzioni che sembravano perseguitarlo durante il normale orario di lavoro. Ben si fece lasciare dal tassista in fondo all'isolato, sul marciapiede opposto rispetto alla sua meta, poi entrò in fretta nel portone di un altro edificio. I pedoni lo superavano, indifferenti al suo comportamento, presi dai loro affari. Il traffico scorreva rapido. C'erano delle auto parcheggiate sulla strada, ma apparentemente nessuno che fosse di guardia a bordo. -Un po' di prudenza non guasta-insistette fra sé. Uscì dal portone, attraversò la strada al semaforo, risalì l'isolato e spinse i battenti di vetro antiproiettile entrando nell'atrio dell'edificio. Non vide niente fuori posto niente di strano. Si affrettò a raggiungere un ascensore aperto, entrò, premette il pulsante del quindicesimo piano e guardò le porte chiudersi. L'ascensore partì. Solo qualche momento ancora, pensò. E se Miles non c'era, per una ragione o per l'altra, lo avrebbe semplicemente rintracciato a casa sua.
Ma sperava di non doverlo fare. Aveva l'impressione che forse non ne avrebbe avuto il tempo. Forse era il sogno, forse soltanto le circostanze della sua presenza lì, ma c'era qualcosa di decisamente stonato. L'ascensore rallentò e si fermò. Le porte si aprirono, e lui uscì nel corridoio. Il respiro gli si bloccò in gola. Ancora una volta, si trovava faccia a faccia con Meeks. Questor Thews spazzò via con un gesto il drappo di ragnatele sospeso sulla stretta imboccatura dell'ingresso di pietra della torre diroccata del castello, e si spinse all'interno. Sternutì quando la polvere gli ostruì le narici e brontolò infastidito per l'umidità e il buio. Avrebbe dovuto avere il buon senso di portare una torcia. Una scintilla si accese accanto a lui, e la fiamma sprizzò da un tizzone. Bunion passò l'impugnatura della torcia a Questor. -Stavo appunto per usare la magia per farlo da solo!- scattò irritato il mago, ma il coboldo si limitò a sogghignare. Si trovavano fra le mura in rovina di Mirwouk, l'antica fortezza che Questor aveva visto nel sogno sui libri di magia scomparsi. Erano molto più a nord di Sterling Silver, nel cuore dei Monti Melchior, e il vento sferzava la pietra consunta ululando lungo corridoi vuoti, mentre il gelo s'insediava nell'aria stantia come all'arrivo dell'inverno. Il mago e il coboldo avevano impiegato quasi tre giorni per arrivare laggiù, e ave vano viaggiato in fretta. Il castello li aveva accolti con cancelli spalancati e finestre vuote. Stanze e saloni erano abbandonati. Questor si spinse avanti, in cerca di qualcosa che avesse un'aria familiare. Il tardo pomeriggio calava su di loro, e lui non aveva nessuna voglia di aggirarsi in quel sepolcro spettrale di notte. Era un mago, avvertiva la presenza di cose nascoste agli altri, e quel posto aveva un sentore malefico. Cercò a caso per qualche tempo, poi gli sembrò di riconoscere il passaggio da cui era entrato. Ne seguì curve e giravolte, aguzzando lo sguardo nell'oscurità. Altre ragnatele e polvere ostacolavano la sua avanzata, e c'erano ragni grossi come ratti e ratti grossi come cani. Correvano e strisciavano, e lui doveva tenere gli occhi aperti a ogni passo. Era un compito decisamente seccante. Fu tentato di usare la magia per trasformarli tutti in nidi di polvere e farli spazzare via dal vento. Il passaggio descriveva una svolta in discesa, e la forma delle pareti cambiava nettamente. Questor rallentò, scrutando la muratura. Si raddrizzò di colpo. -Lo riconosco!-esclamò in un sussurro agitato.-Questo è il tunnel che ho visto in sogno! Bunion gli prese di mano la torcia senza commenti e fece strada verso il basso. Questor era troppo eccitato per obiettare e lo seguì in fretta. Il passaggio si allargava e diventava più sgombro, libero da ragnatele, polvere, roditori e insetti. Fra la pietre aleggiava un odore nuovo, una specie di muschio dall'aroma nauseante. Bunion teneva un'andatura rapida, e a volte l'unica cosa che Questor riusciva a vedere davanti a sé era l'alone della torcia. Tutto era proprio come nel sogno!
Il tunnel proseguiva, addentrandosi nella montagna, un budello di corridoi scavati nella roccia e scale ricurve. Bunion rimase in testa, aguzzando gli occhi, mentre Questor gli respirava praticamente sul collo. Poi il tunnel finì, di fronte a una porta di pietra contrassegnata con cartigli e rune. Ormai Questor tremava per l'eccitazione. Tastò i segni e le sue mani sembravano sapere esattamente dove andare. Sfiorò qualcosa, e la porta si aprì con un lieve stridore. La stanza oltre la porta era imponente, con il pavimento fatto di blocchi di granito levigati. Adesso era Questor a fare strada, seguendo la visione nella sua mente, il ricordo del sogno. Si diresse al centro della camera, con Bunion al fianco, mentre il suono dei loro passi destava un'eco sorda. Si fermarono di fronte a un blocco di granito del pavimento sul quale era stato inciso l'emblema di un unicorno. Questor Thews rimase attonito. Un unicorno? Una mano salì incerta a tirare la barba sul mento. Li c'era qualcosa che non andava. Non ricordava niente a proposito di un unicorno nel sogno. C'era stato un disegno inciso nella pietra, si, ma era un unicorno? Sembrava una coincidenza piuttosto improbabile. Per un solo istante, meditò di tornare indietro, ripercorrendo la strada da cui era venuto, e di rinunciare a tutto il progetto. Una vocina dentro di lui sussurrava che avrebbe dovuto farlo. C'era un pericolo nascosto lì; poteva sentirlo, intuirlo, e lo spaventava. Ma l'attrattiva dei libri scomparsi era troppo forte. Abbassò la mano, e le sue dita seguirono i solchi del corno della creatura... ancora una volta come dotate di volontà propria. Il blocco si mosse e scivolò di lato, incuneandosi in una botola. Questor Thews scrutò in basso nella cavità rimasta. Là dentro c'era qualcosa. Il calar della notte ammantò la regione dei laghi di ombre e di nebbia, e la luce delle lune colorate e delle stelle non era più che un lieve baluginio quando arrivava a riflettersi nella superficie immota dell'Irrylyn. Willow era sola in riva a una minuscola insenatura contornata di pioppi e cedri, con l'acqua del lago che le lambiva i piedi. Era nuda, con i vestiti ripiegati ordinatamente sull'erba dietro di lei. Una brezza soffiava lieve sulla sua pelle verde pallido, s'insinuava capricciosa fra i capelli color smeraldo lunghi fino alla vita, arricciati e legati da un nastro, e arruffava la peluria che le cresceva lungo i polpacci e gli avambracci. Lei rabbrividiva a quel tocco. Era una creatura di incredibile bellezza, per metà essere umano, per metà fata, e sarebbe potuta essere una discendente delle sirene del mito, che avevano affascinato gli uomini per farli naufragare sugli scogli dei mari dell'antichità. Gli uccelli notturni lanciarono richiami striduli dalla riva opposta del lago, suscitando echi nel silenzio. Rispose loro il fischio di Willow. Alzò la testa e fiutò l'aria come avrebbe potuto fare un animale. Parsnip l'aspettava paziente nell'accampamento, una cinquantina di metri più indietro, con la luce del fuoco da campo schermata dagli alberi. Lei era venuta da sola sull'Irrylyn per fare il bagno e ricordare.
Entrò cautamente nell'acqua, mentre il liquido tiepido le faceva correre nel corpo un formicolio delizioso. Era stato lì che aveva conosciuto Ben Holiday, che si erano visti per la prima volta, mentre facevano il bagno nudi, liberi da ogni finzione. Era lì che aveva capito che Ben era destinato a lei. Il suo sorriso si accentuò quando ripensò a com'era stato, alla meraviglia di quel momento. Gli aveva detto che cosa sarebbe accaduto, e mentre lui ne aveva dubitato ne dubitava ancora, per la verità - lei non aveva mai vacillato nella sua certezza. Il destino della sua nascita, indicato alla maniera delle fate dall'intreccio dei fiori sul letto nuziale dei suoi genitori, non poteva mentire. Oh, come amava il forestiero Ben Holiday! Il suo viso di bambina s'illuminò e poi si rannuvolò. Sentiva la mancanza di Ben, era preoccupata per lui. Qualcosa nel sogno che avevano condiviso la turbava in un modo che lei non riusciva a spiegare. Dietro quei sogni c'era un enigma che parlava sottovoce di pericolo. Lei non aveva detto niente di tutto ciò a Ben perché, quando le aveva parlato del sogno, aveva intuito dalla sua voce che aveva già deciso di partire. Aveva capito in quel momento che non sarebbe riuscita a distoglierlo dal suo proposito e che non doveva tentare. Lui comprendeva i rischi e li accettava. L'urgenza dell'ansia di lei impallidiva di fronte alla determinazione di Ben. Forse era stato per quella ragione che nel parlargli del suo sogno non gli aveva detto tutto. Nel suo sogno c'era qualche cosa di diverso da quello di lui, o di Questor Thews. Era una differenza sottile e difficile da spiegare, pur tuttavia c'era. Lei si rannicchiò nell'acqua bassa, con i capelli di smeraldo che si allargavano sulle sue spalle come uno scialle. Tracciò col dito dei disegni sulla superficie calma, e il ricordo del sogno riaffiorò. La sensazione sbagliata era nella grana del sogno, pensò. Era nel modo in cui destava echi nella sua mente. Le visioni erano state nitide, gli avvenimenti chiari, ma il messaggio era falso, in qualche modo, come se fossero tutte cose che potevano accadere in un sogno, ma non in stato di veglia. Era come se il ricordo fosse una maschera che nascondeva un volto. Lei smise di tracciare segni e si alzò. Che faccia era, si domandò, quella nascosta sotto la maschera? L'espressione accigliata che le rannuvolava il volto si accentuò, e all'improvviso lei rimpianse di essere stata così remissiva di fronte alla decisione di Ben. Avrebbe dovuto opporsi alla sua partenza, dopo tutto, o insistere perché la portasse con sé. -No, starà bene-sussurrò in tono incalzante. Sollevò gli occhi verso il cielo e si lasciò scaldare dal chiaro di luna. L'indomani avrebbe chiesto consiglio a sua madre, la cui vita era così vicina a quella delle fate che vivevano fra le nebbie. Sua madre doveva sapere dell'unicorno nero e delle briglie di fili d'oro, e l'avrebbe guidata; presto lei sarebbe stata di nuovo insieme a Ben. Avanzò nel lago buio, lasciò che la acque si chiudessero intorno a lei e galleggiò in pace. CAPITOLO 3 Ombre...
La seconda apparizione di Meeks non suscitò in Ben Holiday lo stesso panico della prima. Non rimase agghiacciato, non provò lo stesso senso di confusione. Era sorpreso, ma non sbigottito. Dopo tutto, stavolta aveva un'idea più chiara di quello che doveva aspettarsi. Non era che un'altra apparizione del mago in esilio: alto, curvo, ammantato nelle vesti color canna di fucile, i capelli bianchi scarmigliati, la faccia pallida e piena di rughe, il guanto di pelle nera levato in alto come un artiglio, ma pur sempre un'apparizione. O no? Meeks si lanciò su di lui, e tutt'a un tratto Ben non ne fu tanto sicuro. Gli occhi azzurro chiaro ardevano di odio, e i lineamenti duri sembravano stravolti, tramutati in qualcosa di non del tutto umano. Meeks si avventò su di lui, scivolando senza fare rumore nel corridoio deserto illuminato dalla luce al neon, diventando sempre più enorme nel silenzio. Ben rimase immobile non senza difficoltà, cercando con una mano la sagoma rassicurante del medaglione sotto la camicia. Ma quale protezione gli offriva il medaglione in quel luogo? La sua mente rifletteva freneticamente. La pietra runica, pensò all'improvviso. La pietra gli avrebbe rivelato se era minacciato! Con la mano libera frugò disperatamente nella tasca dei pantaloni, cercando la pietra mentre la figura avvolta nella tunica si avvicinava. Malgrado la sua risolutezza, Ben fece un rapido passo indietro. Non riusciva a trovare la pietra! Meeks era proprio di fronte a lui, scuro e minaccioso. Ben si ritrasse mentre il mago oscurava la luce... E poi alzò gli occhi e si ritrovò solo nel corridoio deserto, a guardare nel vuoto, ad ascoltare il silenzio. Meeks era scomparso... un'altra apparizione inconsistente. Ben aveva trovato la pietra runica, finita nell'angolo della tasca dei pantaloni, e la tirò fuori alla luce. Era rossa come il sangue e scottava. -Dannazione!-borbottò lui, infuriato e spaventato al tempo stesso. Impiegò un attimo a ricuperare il sangue freddo, scrutando in fretta il corridoio per essere sicuro di non essersi lasciato sfuggire niente. Poi, scoprendo di essere rannicchiato in posizione difensiva, si raddrizzò e si allontanò dalla porta dell'ascensore. Intorno a lui non si muoveva nulla. Pareva che fosse davvero solo. Ma qual era la causa di quella seconda visione? Era un altro avvertimento? Era un avvertimento da Meeks o per Meeks? Che cosa stava succedendo? Esitò solo un attimo prima di svoltare bruscamente a sinistra verso la porta a vetri che dava accesso agli uffici dello studio Holiday & Bennett, Ltd. Qualunque cosa stesse accadendo, gli sembrava saggio restare in movimento. Meeks doveva sapere che prima o poi lui sarebbe andato da Miles. Ciò non significava che Meeks fosse lì, o anche solo nelle vicinanze. L'apparizione poteva essere solo un altro segnale per avvertirlo dell'arrivo di Ben. Se Ben faceva abbastanza in fretta, poteva andarsene prima che Meeks riuscisse a prendere qualche iniziativa. Le luci nell'atrio dello studio erano spente. Lui tentò la maniglia della porta d'ingresso e la trovò chiusa a chiave. Era normale. Miles non apriva mai la porta principale e non accendeva le luci, quando lavorava da solo. Ben era venuto preparato. Tirò fuori
la sua chiave dello studio e la inserì nella serratura. La serratura scattò facilmente e la porta si aprì. Ben entrò, s'infilò la chiave in tasca e lasciò che la porta si richiudesse dietro di lui. Una radio stava suonando piano nel silenzio: Willie Nelson, il genere di musica preferito da Miles. Ben guardò lungo il corridoio interno e vide una luce accesa filtrare dalla porta dell'ufficio di Miles. Sorrise. Il vecchio amico era in casa. Forse. Si sentì sopraffare da una nuova ondata di dubbio e di sfiducia, e il sorriso svanì. Meglio prevenire che pentirsi, ammonì se stesso, ripetendo quel vecchio adagio come se fosse un incantesimo per scacciare gli spiriti maligni. Scosse la testa. Avrebbe voluto che esistesse un sistema per essere sicuri sul conto di Meeks. Sgattaiolò in silenzio lungo il corridoio per fermarsi di fronte alla soglia illuminata. Miles Bennett era seduto da solo alla scrivania, curvo sui libri di diritto, con un blocco giallo pieno di appunti aperto davanti. Era venuto a lavorare in giacca e cravatta, ma aveva allentato il nodo della cravatta e si era tolto la giacca, restando in maniche di camicia arrotolate con il colletto slacciato. Alzò gli occhi avvertendo la presenza di Ben, e spalancò gli occhi. -Santo cielo!-Fece per alzarsi in piedi, poi ripiombò sulla sedia.-Doc... sei proprio tu? Ben sorrise.-Certo che sono io. Come te la passi, amico? -Come me la passo? Come me la passo io?-Miles era incredulo.-Che razza di domanda è? Te la fili a Shangri-La o dove diavolo è, resti lontano più di un anno, nessuno riceve tue notizie, poi un giorno ti ripresenti piovendo dal cielo e vuoi sapere come sto io? Che faccia tosta, Doc! Ben annuì, a corto di parole, e cercò qualcosa da dire. Miles lo lasciò soffrire per un attimo, poi rise e si alzò in piedi, un grosso orsacchiotto malconcio in completo scuro. -Be', entra pure, Doc! Non startene là fuori in corridoio come il figliol prodigo... anche se è proprio quello che sei. Entra, mettiti a sedere, raccontami tutto. Diamine, non riesco a credere che sei davvero tu! Si affrettò a fare il giro della scrivania, con la grossa mano tesa prese quella di Ben e la strinse con decisione.-Ci avevo quasi messo una pietra sopra, lo sai? Stavo proprio per rassegnarmi. Quando non ho più ricevuto tue notizie, ho pensato proprio che ti fosse successo qualcosa. Sai come il cervello fa gli straordinari, in questo mestiere. Ho cominciato a immaginare ogni sorta di cose. Ho pensato perfino di chiamare la polizia o qualcun altro, ma non ce l'ho fatta a raccontare che il mio socio era partito per dare la caccia a gnomi e draghi! Stava ridendo di nuovo, così forte da avere le lacrime agli occhi, e Ben si unì a lui.Probabilmente ricevono in continuazione chiamate del genere. -Sicuro, è questo che fa di Chicago quella grande città che è!-Miles si asciugò gli occhi. Portava una camicia azzurra spiegazzata e i pantaloni di un completo. Somigliava un po' a un puffo gigante.-Ehi, Doc! E' bello rivederti. -Anche per me, Miles.-Si guardò attorno.-Mi pare che non sia cambiato niente, da quando me ne sono andato. -No, conserviamo questo posto come un mausoleo alla tua memoria.-Miles si guardò attorno insieme a lui, poi scrollò le spalle.-In ogni caso non saprei da dove cominciare, questo posto è un esempio così monumentale di Art Déco.-Sorrise, attese
per un istante che Ben dicesse qualcosa e, quando Ben non lo fece, si schiarì la gola nervosamente.-E così, eccoti qua, eh? Ti dispiace dirmi che cosa è successo laggiù nel paese delle fate, Doc? Se non è troppo penoso parlarne, naturalmente. Non dobbiamo discuterne, se preferisci... -Possiamo discuterne. -No, non è necessario. Scusa se te l'ho chiesto. Dimentica tutto.-Miles era insistente, adesso, imbarazzato.-E' solo che è stata una tale sorpresa vederti entrare tutto disinvolto... Ehi, aspetta, ho una cosa per te! L'ho tenuto da parte per quando ci saremmo ritrovati. Aspetta, dev'essere proprio qui nel cassetto.-Tornò in fretta dietro la scrivania e frugò rapidamente nell'ultimo cassetto.-Sì eccoci qua! Tirò fuori una bottiglia di Glenlivet, ancora sigillata, e la posò sulla scrivania. Seguirono due bicchieri. Ben scosse la testa e sorrise di piacere. Il suo scotch preferito.-E' passato molto tempo, Miles-ammise. Miles ruppe il sigillo, stappò la bottiglia e ne versò due dita in ogni bicchiere. Ne spinse uno sulla scrivania verso Ben, poi sollevò il suo bicchiere in un brindisi.-Al crimine e alle altre forme di svago-disse. Ben toccò il bicchiere con il suo, e bevvero. Il Glenlivet era liscio e caldo mentre scendeva in gola. I due vecchi amici si sedettero ai lati della scrivania. Willie Nelson continuava a cantare nel silenzio momentaneo. -Allora, vuoi dirmelo o no?-chiese infine Miles, cambiando di nuovo idea. -Non so. -Perché no? Non devi essere timido con me, sai. Non devi sentirti in imbarazzo, se questa faccenda non è andata come ti aspettavi. La mente di Ben fu inondata dai ricordi. No, non era andata davvero come si era aspettato, ma non era quello il problema. Il problema stava nel decidere quanto doveva dire a Miles. Landover non era qualcosa che fosse facile spiegare. Era un po' come quando eri piccolo e i tuoi genitori volevano sapere di Susie al ballo della scuola. Era come dire loro che Babbo Natale esisteva davvero. -Basterebbe se ti dicessi che ho trovato quello che cercavo?-chiese a Miles dopo un attimo di riflessione. Miles rimase in silenzio per un momento.-Sì, se è il meglio che puoi fare-rispose alla fine. Esitò.-E' davvero il meglio che puoi fare, Doc? Ben annuì.-In questo momento sì. -Capisco. Be', che ne diresti di più tardi? Più tardi potrebbe andare meglio? Detesto pensare che questa sia la fine e che io non ne saprò mai di più. Perché non credo che potrei sopportarlo. Tu sei partito da qui in cerca di draghi e damigelle in ambasce, e io ti ho detto che eri pazzo. Tu credevi a tutta quel la favola su un regno dove la magia era reale e vivevano creature da racconto di fiabe, e io ti dicevo che era impossibile. Vedi, Doc, ho bisogno di sapere chi dei due aveva ragione. Ho bisogno di sapere se i sogni come i tuoi sono ancora possibili Devo saperlo. Il suo viso rotondetto rifletteva la delusione. Ben si sentì dispiaciuto per il suo vecchio amico. Ben era stato coinvolto in quella storia fin dal principio. Era l'unico a
sapere che Ben aveva speso un milione di dollari per acquistare un regno di fantasia che secondo gli uomini sani di mente non poteva esistere. Era l'unico a sapere che Ben se n'era andato in cerca di quel regno. Sapeva com'era cominciata la storia, ma non sapeva come finiva. E questo lo rodeva. Ma occorreva tener conto di qualcosa di più dell'imbarazzante curiosità di Miles. Era la sua incolumità. A volte sapere era pericoloso. Ben non sapeva ancora quanto grave fosse la minaccia rappresentata da Meeks, per tutti e due. Non sapeva ancora quanta verità ci fosse nel suo sogno. Miles sembrava stare bene, ma... -Miles, ti prometto che un giorno ti racconterò tutto-rispose, tentando di sembrare rassicurante.-Non posso dirti esattamente quando, ma prometto che saprai. E' un argomento di cui è difficile parlare, un po' come lo era per Annie. Non sono mai riuscito a parlare di lei senza... preoccuparmi di quello che dicevo. Ricordi, non è vero? Miles annuì.-Ricordo, Doc.-Sorrise.-Ti sei finalmente riconciliato con il suo fantasma? -Sì. Finalmente. Ma ci è voluto molto tempo, e sono molto cambiato.-Fece una pausa, ricordando il momento in cui era rimasto solo fra la nebbia del mondo fatato e si era trovato faccia a faccia con i timori che nutriva nel profondo dell'anima riguardo al fatto che in qualche modo aveva deluso la moglie morta.-Immagino che parlare di dove sono stato e di quello che vi ho trovato richiederà un po' di tempo e anche di aiuto. Devo ancora chiarire alcuni punti. Lasciò la frase in sospeso, rigirando fra le dita il bicchiere di scotch sulla scrivania davanti a sé. -Va bene, Doc-si affrettò a dire Miles, scrollando le spalle.-Mi basta riaverti qui e sapere che stai bene. Il resto verrà col tempo, lo so... Ben fissò per un attimo lo scotch, poi alzò gli occhi su Miles. -Sono qui solo per poco, amico. Non posso restare. Miles sembrò incerto, poi abbozzò un sorriso forzato.-Ehi, ma che stai dicendo? Sei tornato per una ragione, no? E qual era? Ti sei perso la disfatta dei Bulls dell'inverno scorso, il crollo dei Cubs di questa primavera, la maratona, le elezioni, tutto il resto della stagione mondana di Chicago. vuoi rifarti con una partita dei Bears? I fenomeni da baraccone sono quotati a 13 e 1, sai. E ai chioschi servono ancora Budweiser e nachos. Che ne dici? Ben scoppiò a ridere suo malgrado.-Dico che suona proprio bene. Ma non è stato questo a riportarmi indietro. Sono tornato perché ero preoccupato per te. Miles lo fissò attonito.-Che cosa? -Ero preoccupato per te. Non farlo sembrare un evento straordinario, accidenti a te. Volevo soltanto essere sicuro che stessi bene. Miles bevve una lunga sorsata di scotch, poi si appoggiò lentamente allo schienale imbottito della poltrona.-Per quale motivo non dovrei stare bene? Ben scrollò le spalle.-Non lo so.-Fece per continuare poi si trattenne.-Oh, che diavolo... mi credi già pazzo, quindi che importanza ha qualche stranezza in più? Ho fatto un sogno. Ho sognato che tu eri in guai seri e avevi bisogno di me. Non sapevo
di che guai si trattava, solo che era colpa mia se ti ci trovavi in mezzo. Così sono tornato per scoprire se il sogno era vero. Miles lo studiò per un attimo alla maniera in cui uno psichiatra potrebbe studiare un paziente molto interessante, poi si scolò il resto dello scotch e si spostò di nuovo in avanti sulla poltrona.-Tu sei matto da legare, Doc, lo sai? -Lo so. -Il fatto è che la tua coscienza deve fare gli straordinari. -Tu credi? -Proprio così. Ti senti semplicemente in colpa perché mi hai piantato in asso nel bel mezzo della bagarre della sessione prenatalizia, e io sono rimasto con tutti quei dannati casi sulle braccia! Be', ho una notizia per te. Mi sono occupato di quei casi, e la routine dello studio non ha mai perso un colpo!- S'interruppe, poi sorrise.-Be', forse mezzo colpo. Fiero di me, Doc? -Sì, certo, Miles.-Ben si accigliò.-Quindi non ci sono problemi in ufficio, niente che non vada per te, niente che richieda il mio ritorno? Miles si alzò, prese il Glenlivet e ne versò un altro dito per ciascuno. Aveva un largo sorriso stampato sulle labbra. -Doc, mi spiace dovertelo dire, ma le cose non potrebbero andare meglio di così. E fu proprio in quel momento che Ben Holiday cominciò a sentire puzza di bruciato. Un quarto d'ora dopo era di nuovo in strada. Si era trattenuto da Miles appena quanto bastava per non dare l'impressione che ci fosse qualcosa di grave. Era rimasto anche quando tutto dentro di lui gli gridava di fuggire per salvarsi la vita. I taxi erano rari come la manna, il sabato mattina, quindi prese un autobus per raggiungere l'ufficio di Samuelson nella zona sud per l'appuntamento di mezzogiorno. Si sedette da solo a due posti dal fondo, tenne stretta la sacca di tela come un bambino stringe la sua coperta, e tentò di liberarsi dall'impressione che ci fossero dovunque occhi che lo scrutavano. Se ne rimase ingobbito nel completo scuro e attese che il gelo abbandonasse il suo corpo. "Pensa da avvocato" si ammonì. "Ragiona!" Il sogno era stato una menzogna. Miles Bennett non era nei guai e non aveva nessun bisogno della sua assistenza. Forse il sogno era nato solo dal suo senso di colpa per aver lasciato il vecchio amico alle prese con una mole di lavoro enorme. Forse era una pura coincidenza che Questor e Willow avessero fatto sogni simili quella stessa notte. Lui non lo credeva. Era stato qualcosa a mandare quei sogni... qualcosa o qualcuno. Meeks. Ma che cosa aveva in mente il suo nemico? Scese dall'autobus a Madison e percorse alcuni isolati a piedi fino alla sede dello studio di Ed Samuelson. Gli occhi lo seguirono. S'incontrò con il suo commercialista e firmò varie procure e atti di fidecommisso che gli avrebbero consentito di continuare ad amministrare gli affari di Ben in sua assenza ancora per parecchi anni. Lui non prevedeva di restare lontano tanto a lungo, ma non
si poteva mai sapere. Strinse la mano a Ed, scambiò i saluti con lui e uscì a mezzogiorno e trentacinque. Stavolta aspettò di trovare un taxi. Si fece condurre direttamente all'aeroporto e prese il volo dell'una e mezza della Delta per Washington. Alle cinque del pomeriggio si trovava nella capitale e un'ora dopo prendeva l'ultimo volo dell'Allegheny in partenza per Waynesboro quella sera. Per tutto il tempo tenne gli occhi aperti in cerca di Meeks. Un uomo in trench non fece che guardarlo per tutto il volo da Chicago. Una vecchia che vendeva fiori lo fermò nel terminal principale del National. Un marinaio con una sacca lo urtò quando si allontanò troppo bruscamente dal banco della biglietteria Allegheny. Ma non si vedeva nessuna traccia di Meeks. Controllò due volte la pietra runica durante il volo da Washington a Waynesboro. La prima volta la controllò quasi per un ripensamento, e in seguito controvoglia. Entrambe le volte, la pietra brillava di un color rosso sangue e scottava. Quella sera non proseguì il viaggio. Aveva un'ansia disperata di continuare - l'istinto di affrettarsi era così forte che riusciva a stento a dominarlo - ma la ragione controllava la sensazione di urgenza. O forse era paura. Non gli sorrideva l'idea di avventurarsi sui Blue Ridge al buio. Era troppo facile perdersi o avere un incidente, ed era probabile che Meeks lo aspettasse all'ingresso del passaggio temporale. Dormì male, si svegliò all'alba, si vestì con la tuta da ginnastica e le Nike, mangiò qualcosa - in seguito non riuscì a ricordare di che cosa si trattasse - e si fece venire a prendere dal servizio di autonoleggio. Rimase ad aspettare nell'atrio con la sacca in mano, spiando imbarazzato fuori della porta a vetri. Un attimo dopo, uscì. La giornata era fredda, grigia e ostile; il fatto che fosse asciutta offriva l'unico motivo di conforto. L'aria aveva un cattivo odore e un gusto ancora peggiore, e gli bruciavano gli occhi. Tutto aveva un aspetto e un senso di estraneità. Ricontrollò la pietra runica una mezza dozzina di volte. Ardeva sempre di un rosso sangue. La limousine arrivò poco dopo per cominciare il viaggio. A metà della mattinata stava risalendo a piedi le pendici boscose del George Washington National Park, lasciandosi alle spalle Chicago, Washington, Waynesboro, Miles Bennett, Ed Samuelson, e tutto e tutti gli altri in quel mondo in cui ormai si sentiva uno straniero e un fuggiasco. Trovò senza incidenti la nebbia e le querce che contrassegnavano l'ingresso al passaggio temporale. Non si vedeva traccia di Meeks, né in carne e ossa, né come apparizione. La foresta era silenziosa e deserta; la via del ritorno era sgombra. Ben Holiday si mise quasi a correre per raggiungere l'entrata del tunnel. Arrivato dall'altra parte, smise di correre. Il sole splendeva dal cielo appena nuvoloso riscaldando la terra con il suo tocco. Prati e frutteti dai colori vivaci si stendevano sui declivi della valle come una trapunta a riquadri colorati. Il paesaggio era punteggiato di fiori, gli uccelli volavano in sprazzi di seta color arcobaleno, gli odori erano puri e freschi. Ben inspirò a fondo, allontanando le chiazze scure che gli ballavano davanti agli occhi, aspettando il ritorno delle forze che erano state prosciugate dal volo di ritorno. Oh, sì, aveva corso. Aveva volato! Lo spaventava l'idea di essersi lasciato prendere
dal panico fino a quel punto. Respirava in modo profondo e lento, rifiutandosi di guardare di nuovo indietro, verso i boschi cupi e nebbiosi che si levavano alle sue spalle come una muraglia. Era al sicuro, ormai. Era a casa. Quelle parole erano una litania che lo calmava. Lasciò che i suoi occhi si levassero verso il cielo e si abbassassero di nuovo in lungo e in largo su Landover, confortato dall'inatteso senso di familiarità che provava. Che strano provare quella sensazione, si stupì. Il suo ritorno somigliava al passaggio dalla lenta morte dell'inverno alla vita della primavera. Ora gli sembrava la cosa più logica del mondo. Si avvicinava mezzogiorno. Scese dall'orlo della valle fino all'accampamento dove aveva lasciato la scorta. Lo stavano aspettando e accolsero il suo ritorno senza stupirsi. Il capitano lo ricevette con un saluto, gli portò Giurisdizione, fece montare in sella gli uomini e si misero in marcia. Da un mondo di aerei a reazione e limousine a un mondo di stivali e cavalli: Ben si sorprese a sorridere di come sembrava naturale quel passaggio. Ma il sorriso fu di breve durata. I suoi pensieri tornarono ai sogni che Questor, Willow e lui avevano fatto e all'assillante certezza che quei sogni avevano qualcosa di sbagliato. Il suo era stato una menzogna bella e buona. Anche quelli di Questor e Willow erano falsi? Il suo era legato in qualche modo a Meeks ne era quasi certo. Anche quelli di Questor e Willow erano legati a Meeks? C'erano troppe domande e nessuna risposta. Doveva tornare in fretta a Sterling Silver per trovare gli amici. Raggiunse il castello prima di sera, forzando l'andatura per tutto il tragitto. Smontò di sella a precipizio, rivolse alla scorta un ringraziamento frettoloso, chiamò a sé l'imbarcazione del lago e traghettò in fretta fino alla casa sull'isola. Guglie argentee e mura di un bianco scintillante lo guardarono dall'alto, raggianti, e il calore della casamadre si protese per avvilupparlo nella sua stretta. Ma il gelo interiore persisteva. Abernathy gli andò incontro nel vestibolo, maestoso in tunica, brache e calze di seta rossa, stivali e guanti bianchi lucidissimi, occhiali con la montatura d'argento e agenda degli appuntamenti. La sua voce era piena di irritazione.-Non sarà mai troppo presto per tornare, Alto Signore. Ho passato tutto il giorno a lisciare le penne arruffate a certi membri del consiglio della magistratura che erano venuti espressamente per vedere lei. Nella riunione della settimana scorsa è sorto un gran numero di problemi. Il sistema di irrigazione dei campi a sud di Waymark ha accusato delle perdite. Domani arriveranno i Signori del Prato Verde, e non abbiamo neppure esaminato la lista di lagnanze che ci hanno inviato. Una mezza dozzina di altri rappresentanti è accampata... -Anche per me è un piacere rivederti, Abernathy-disse Ben interrompendolo nel bel mezzo di una frase.-Questor o Willow sono già tornati? -Ehm, no, Alto Signore.-Abernathy sembrò per un attimo a corto di parole. Lo seguì in silenzio mentre Ben proseguiva, diretto verso la sala da pranzo.-Il viaggio è riuscito bene?-chiese alla fine. -Non molto. Sei sicuro che nessuno dei due sia tornato? -Sì, Alto Signore, sono sicuro. Lei è stato il primo a tornare. -Nessun messaggio?
-Nessun messaggio, Alto Signore.-Abernathy si avvicinò.-C'è qualcosa che non va? Ben non rallentò.-No, va tutto bene. Abernathy parve incerto.-Sì, bene, è un sollievo saperlo.-Esitò un attimo, poi si schiarì la gola.-A proposito dei rappresentanti del consiglio della magistratura, Alto Signore... Ben scosse la testa con fermezza.-Non oggi. Li riceverò domani.-Si avviò verso la sala da pranzo e lasciò Abernathy sulla porta.-Fammi sapere all'istante quando tornano Questor o Willow, qualunque cosa stiano facendo. Abernathy spinse in alto gli occhiali sul lungo naso e scomparve in fondo al corridoio senza fare commenti. Ben mangiò qualcosa in fretta e salì le scale della torre che ospitava l'Osservatorio. L'Osservatorio faceva parte della magia di Sterling Silver, un congegno che gli consentiva di osservare in poco tempo gli avvenimenti di Landover dandogli l'impressione di sorvolare la valle da un capo all'altro. Era una piattaforma circolare con una ringhiera d'argento che guardava dalla torre attraverso un'apertura nel muro che andava dal soffitto al pavimento. Al centro della balaustra era fissato un leggio, sul quale era fissata un'antica mappa del regno su pergamena. Ben salì sulla piattaforma, afferrò saldamente la ringhiera con tutt'e due le mani, fissò gli occhi sulla mappa e con la volontà si spinse verso nord. Un attimo dopo, il castello intorno a lui era scomparso, e lui veleggiava nello spazio con il solo sostegno della ringhiera d'argento e del leggio. Sfrecciò lontano a nord fino ai Monti Melchor, perlustrò le loro vette e ridiscese. Si spinse rapido a sud verso la regione dei laghi ed Elderew, la patria del popolo del Signore del Fiume. Attraversò foreste e colline da un capo all'altro della regione dei laghi. Non trovò né Questor Thews né Willow. Un'ora dopo, si diede per vinto. Aveva il corpo madido di sudore per lo sforzo, e i crampi alle mani per essere rimasto aggrappato alla ringhiera. Lasciò la torre dell'Osservatorio stanco e deluso. Tentò di lavarsi di dosso la delusione e la stanchezza nelle acque di un bagno bollente, ma non riuscì a sentirsi del tutto pulito. Era ossessionato da immagini di Meeks. Il mago lo aveva indotto a tornare indietro con quel sogno su Miles; Ben ne era certo, ed era altrettanto certo che il mago aveva in mente qualche piano per vendicarsi dell'esilio. Quello di cui Ben non era sicuro era quale parte avessero i sogni dei suoi amici in tutto ciò, e in quale pericolo potessero trovarsi adesso per quella ragione. Scese l'oscurità, e Ben si ritirò nello studio. Aveva già deciso di mandare delle pattuglie in cerca di entrambi gli amici scomparsi, la mattina dopo. Tutto il resto avrebbe dovuto attendere finché non avesse risolto il mistero dei sogni. Si convinceva sempre più che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato e che stava per esaurire il tempo concessogli per rimediare. La sera s'incupì. Era immerso nel compito di rimettersi in pari con le scartoffie che si erano accumulate durante la sua assenza, quando la porta dello studio si spalancò, una folata improvvisa sparpagliò le pile di documenti che aveva disposto con cura sul tavolo da lavoro di fronte a sé, e la figura allampanata di Questor Thews emerse dall'oscurità avanzando verso la luce.
-Li ho trovati, Alto Signore!-esclamò Questor con un gesto elaborato del braccio, stringendosi al petto con l'altro un involto di tela. Si avvicinò a Ben e depositò il fagotto sul tavolo con un tonfo sonoro.-Ecco qua! Ben rimase attonito. Alle spalle di Questor si trascinò nella stanza un Bunion piuttosto malconcio, con gli abiti lacerati e infangati. Comparve anche Abernathy, con la camicia da notte stazzonata e il berretto da notte di traverso. Inforcò gli occhiali e sbatté le palpebre. -Era tutto come aveva promesso il sogno, per filo e per segno-spiegò in fretta Questor, lavorando con le mani sull'involto di tela.-Be', non esattamente. C'è stata la faccenda del demonietto nascosto sotto la pietra. Una brutta sorpresa, glielo posso garantire. Ma Bunion è stato all'altezza della situazione. Lo ha preso per la gola e lo ha strozzato. Ma il resto era proprio come nel sogno. Abbiamo trovato i passaggi nel Mirwouk e li abbiamo seguiti fino alla porta. La porta si è aperta e la stanza al di là era coperta di pietre lavorate. Una delle pietre portava i segni speciali. Ha ceduto al tocco, io ho allungato la mano dentro e... -Questor, hai trovato i libri scomparsi?-chiese Ben incredulo, interrompendolo. Il mago si fermò, lo fissò a sua volta e corrugò la fronte -Certo che ho trovato i libri, Alto Signore. Che cosa crede che stia dicendo?-Sembrava avvilito.-In ogni modo, per continuare, stavo per raggiungerli... riuscivo a vederli nell'ombra... quando Bunion mi ha tirato indietro. Aveva visto il movimento del demone. C'è stata una terribile lotta fra loro... Ah eccoci! L'ultimo strato di tela si sciolse. Fra le pieghe era annidato un paio di massicci libri antichi. Ognuno di essi era rilegato con una copertina di cuoio su cui erano impressi caratteri runici e disegni, con la doratura che un tempo aveva sottolineato ogni incisione ridotta a frammenti e tracce sbiadite. Ogni libro aveva gli angoli e le coste rinforzati in ottone, ed enormi fermagli tenevano sigillati i piatti della copertina. Ben abbassò la mano per toccare la copertina del libro in alto, ma Questor gliela trattenne subito.-Un attimo, Alto Signore, per favore.-Il mago indicò la serratura del libro. -Vede che cosa è successo al fermaglio? Ben guardò meglio. Il fermaglio era scomparso, il metallo intorno sembrava bruciato. Controllò il fermaglio sul secondo libro. Era ancora saldamente al suo posto. Sì, non c'erano dubbi in proposito. Qualcosa era stato fatto al primo libro per forzare la serratura che lo sigillava. Guardò di nuovo Questor. -Non ne ho idea, Alto Signore-disse il mago rispondendo alla domanda inespressa.Le ho portato i libri esattamente come li ho trovati. Non li ho manomessi; non ho tentato di aprirli. Dai segni sulle copertine capisco che sono i libri magici scomparsi. A parte questo, non ne so più di lei.-Si schiarì la gola solennemente.-Io... ho ritenuto opportuno che lei fosse presente all'apertura. -Lo hai ritenuto opportuno, eh?-ringhiò Abernathy, mostrando il muso peloso. Con il berretto da notte, aveva un'aria ridicola.-vuoi dire che lo hai ritenuto più sicuro! Volevi avere a portata di mano il potere del medaglione, nel caso questa magia si rivelasse troppo potente per te! Questor s'irrigidì.-Dispongo di una considerevole magia personale, Abernathy, e ti assicuro che...
-Non badarci, Questor-lo interruppe Ben.-Hai preso la decisione giusta. Puoi aprire i libri? A quel punto Questor era irrigidito dall'indignazione. -Certo che posso aprire i libri! Ecco! Avanzò, tenendo le mani sospese sul primo dei venerandi volumi. Ben indietreggiò, stringendo le mani sul medaglione. Era assurdo correre dei rischi con quel genere di... Questor sfiorò i fermagli, e dal metallo si sprigionò di colpo un fuoco verde. Tutti balzarono subito indietro. -Si direbbe che hai sottovalutato ancora una volta i rischi della situazione!-scattò Abernathy. Questor arrossì e il suo viso si contrasse. Le sue mani si alzarono di scatto, emisero scintille, poi sprizzarono anch'esse fuoco, un fuoco rosso vivo. Lui accostò lentamente quel fuoco ai fermagli di metallo, poi ve lo tenne accostato mentre divorava lentamente il fuoco verde. Poi si sfregò le mani con vivacità, e tutt'e due i fuochi svanirono. Rivolse un'occhiata sprezzante ad Abernathy.-Un rischio piuttosto insignificante, non trovi? Allungò nuovamente la mano verso i fermagli e liberò il gancio metallico. Lentamente, aprì il libro alla prima pagina. Si trovò di fronte un'antica pergamena ingiallita. Non c'era scritto niente. Ben, Abernathy e Bunion fecero capannello intorno a lui scrutando in basso attraverso le ombre e la luce fioca. La pagina restava vuota. Questor passò alla seconda pagina. Era vuota anche quella. Sfogliò la terza. Vuota. Anche la quarta pagina era bianca, ma il centro era leggermente bruciacchiato, come se fosse stato accostato troppo a una fiamma. -Mi pare che sia stato tu a usare la parola insignificante, vero, mago?-lo schernì Abernathy. Questor non replicò. Il suo viso aveva un'espressione sbigottita. Cominciò a sfogliare lentamente tutto il libro, voltando una pagina bianca dopo l'altra, trovando ogni foglio di pergamena ingiallita vuoto, ma sempre più bruciato. Alla fine le pagine cominciarono a sembrare bruciate del tutto. Lui arrivò impulsivamente al centro stesso del libro, e lì si fermò. -Alto Signore-disse piano. Ben abbassò lo sguardo sul disastro che aveva davanti a sé. Il centro del libro era stato ridotto in cenere da un fuoco, ma il fuoco, chissà come, pareva fosse divampato dall'interno. Alto Signore e il mago si guardarono.-Vai avanti-incalzò Ben. Questor sfogliò in fretta il resto del libro senza trovare niente. Ogni foglio di pergamena era identico agli altri: bianco, tranne dove il fuoco misterioso lo aveva bruciato o carbonizzato. -Non capisco che cosa significa, Alto Signore-ammise finalmente Questor Thews. Abernathy fece per intervenire, poi cambiò idea.-Forse le risposte sono nell'altro libro-suggerì in tono stanco.
Ben fece segno a Questor di procedere. Il mago chiuse il primo libro e lo mise da parte, si rivestì le mani di guanti di fuoco rosso, le abbassò cautamente e neutralizzò il fuoco verde che proteggeva la serratura del secondo libro. Stavolta ci volle qualche momento in più per completare l'opera, perché la serratura era ancora intatta. Poi, spente le fiamme, fece scattare il fermaglio e aprì con cautela il libro. Si trovò davanti agli occhi il profilo di un unicorno. L'unicorno era disegnato su una pergamena che non era né ingiallita né bruciata, ma di un bianco immacolato. L'unicorno era immobile, la silhouette perfettamente disegnata da linee scure. Questor voltò la pagina. Sulla seconda c'era un secondo unicorno, stavolta in movimento, ma tracciato allo stesso modo. La terza pagina rivelò un altro unicorno, la quarta un altro ancora, e così via. Questor sfogliò in fretta tutto il libro e poi tornò indietro. Tutte le pagine del libro apparivano intatte. Tutte contenevano un unicorno, ciascuno raffigurato in una posa diversa. Non c'erano scritte o segni di altro genere, a parte i disegni degli unicorni. -Ancora non capisco che cosa significa-sospirò Questor, con la frustrazione incisa sul viso scarno. -Significa che questi non sono i libri di magia che credevi-ribatté brusco Abernathy. Ma Questor scosse la testa.-No, i libri sono questi. Lo diceva il sogno, lo dicono i segni sulle rilegature, e hanno l'aspetto descritto nelle vecchie storie. Sono questi i libri scomparsi, non c'è dubbio. Rimasero in silenzio per un momento. Ben fissò pensieroso i libri, poi si guardò attorno finché i suoi occhi trovarono la figura indistinta di Bunion che sbirciava alle spalle di Questor. Il coboldo sogghignava in modo sinistro. Ben guardò di nuovo i libri.-Quello che abbiamo in mano-disse alla fine-è un libro con unicorni disegnati su tutte le pagine e un altro libro senza nessun unicorno, ma con il centro bruciato. Questo deve significare qualcosa, per san Pietro! Questor, e il sogno di Willow su un unicorno nero? Questi unicorni possono avere qualcosa a che fare con quello? Questor esaminò per un attimo quella possibilità.-Non vedo alcun nesso possibile, Alto Signore. L'unicorno nero è essenzialmente un mito. Gli unicorni disegnati qui non sono inchiostrati in nero, ma tracciati deliberatamente in bianco. Vede come le linee definiscono i tratti?-Sfogliò alcune pagine del secondo libro per dimostrare il punto.-Un unicorno nero sarebbe ombreggiato o disegnato in qualche modo che indichi il suo colore... S'interruppe, corrugando strettamente le sopracciglia nello sforzo di riflettere.-Per quale motivo questa serratura è stata forzata e l'altra lasciata intatta?-chiese a bassa voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare. -Nella valle non sono mai esistiti degli unicorni, secondo le storie dei re di Landoverintervenne all'improvviso Abernathy.-Ma una volta c'erano... un branco intero. Esiste una leggenda su questo argomento, per la verità. Ora fatemi pensare... Sì, ricordo. Aspettate solo un momento, per favore. Uscì a precipizio dalla stanza, con le unghie che ticchettavano sul pavimento, trascinandosi dietro la camicia da notte. Qualche istante dopo fu di ritorno, con un
libro di storia del regno di Landover stretto fra le braccia. Il libro era molto vecchio e la copertina era logora. -Sì, è questo-annunciò lo scriba. Lo posò vicino ai libri di magia, lo sfogliò in fretta e poi si fermò.-Sì, proprio qui.-S'interruppe per leggere.-Accadde centinaia di anni fa, molto vicino all'epoca della creazione della valle. Le fate mandarono dalle nebbie nella nostra valle un grande spiegamento di unicorni. Li mandarono qui per una ragione molto precisa. Pare che fossero preoccupate per la crescente incredulità nei confronti della magia in molti dei mondi confinanti... mondi come il suo, Alto Signore. -Lo scriba lo gratificò di un'occhiata di disapprovazione.-E volevano dare a quei mondi un segno che la magia esisteva ancora.-Fece una pausa, accigliandosi mentre aguzzava lo sguardo per leggere l'antica scrittura.-Credo di aver capito bene. E' difficile leggere chiaramente perché la lingua è molto antica. -Forse sono i tuoi occhi a essere antichi-insinuò Questor, senza troppa gentilezza, e tese la mano verso il libro. Abernathy glielo sottrasse di scatto, irritato.-I miei occhi valgono il doppio dei tuoi, mago!-ribatté. Si schiarì la gola e proseguì.-Pare, Alto Signore, che le fate avessero mandato gli unicorni come prova ai mondi increduli che la magia era ancora reale. Un unicorno doveva recarsi in ciascuno di questi mondi uscendo da Landover attraverso i passaggi temporali.-Fece ancora una pausa, lesse ancora un po', poi richiuse il libro con un tonfo.-Ma naturalmente questo non è mai accaduto. Ben si accigliò.-Perché no? -Perché tutti gli unicorni scomparvero, Alto Signore. Nessuno li ha più rivisti. -Scomparvero? -Ricordo quella storia-dichiarò Questor.-Francamente, mi è sempre sembrata una storia strana. Ben si accigliò ancor più.-Quindi le fate mandano a Landover un branco di unicorni bianchi che scompaiono tutti. E questa è la fine degli unicorni, fatta eccezione per un unicorno nero che potrebbe essere reale oppure no, e che appare solo occasionalmente Dio sa da dove. Solo che ora abbiamo anche i libri di magia scomparsi che non contengono niente sulla magia, soltanto molti disegni di unicorni e alcune pagine bruciacchiate. -Una serratura forzata e una ancora intatta-aggiunse Questor. -Niente sul conto di Meeks-rifletté Ben. -Niente sul sistema per ritrasformare i cani in uomini sbuffò Abernathy. Si guardarono in silenzio. I libri erano aperti sul tavolo davanti a loro: due libri di magia che non sembravano affatto magici e uno di storia che non diceva niente di utile storicamente. L'inquietudine di Ben cresceva. Più seguivano il filo di quei sogni, più la storia s'ingarbugliava. Il suo sogno era stato una menzogna; quello di Questor era stato vero. La fonte dei loro sogni era diversa... In apparenza. Ma forse no. Ormai non era più sicuro di niente. Si stava facendo tardi. Il viaggio di ritorno era stato lungo lui era stanco e la fatica gli ottenebrava la mente. Non c'era tempo sufficiente, e lui non aveva abbastanza energie per riflettervi quella sera. L'indomani avrebbe fatto ancora in tempo. Al levar del giorno, sarebbero partiti in
cerca di Willow; una volta trovata lei, avrebbero indagato sulla questione dei sogni fino a capire esattamente che cosa stava succedendo. -Chiudi i libri, Questor. Ce ne andiamo a letto-annunciò. Ci fu un mormorio di consenso da parte di tutti. Bunion filò in cucina a ripulirsi e a mangiare. Abernathy andò con lui, portando con sé il vetusto libro di storia. Questor raccolse i libri magici e se li portò via senza dire una parola. Ben li guardò uscire, restando solo fra le ombre e la luce fioca. Rimpianse di non avere chiesto loro di restare mentre s'imponeva di riflettere ancora un po' su quel rompicapo. Ma era una sciocchezza. Poteva aspettare fino all'indomani. Controvoglia, se ne andò a letto. CAPITOLO 4 ...e incubi In seguito, Ben Holiday avrebbe ricordato com'era stato infelice il consiglio che aveva dato a se stesso quella notte. Poteva aspettare fino all'indomani. L'indomani avrebbe fatto sempre in tempo. Avrebbe ricordato quelle parole, mentre era costretto a rimangiarsele. Avrebbe riflettuto amaramente sulla sconsiderata sicurezza che si era concesso di ricavarne. Era quello il bello del senno di poi, naturalmente. Vedeva sempre tutto chiaro. I guai cominciarono quasi subito. Si ritirò direttamente dallo studio in camera da letto, si mise una camicia da notte e s'infilò sotto le lenzuola. Era esausto, ma il sonno non voleva saperne di arrivare. Era teso per gli avvenimenti della giornata, e il mistero dei sogni si agitava nella sua mente come un topo braccato. Lui dava la caccia al topo, ma non riusciva a catturarlo. Era un'ombra che gli sfuggiva senza fatica. Lui poteva vederne i contorni, ma non afferrarne la forma. I suoi occhi brillavano di un rosso vivo nell'oscurità. Lui batté le palpebre e si sollevò, appoggiandosi ai gomiti. La pietra runica che Willow gli aveva dato ardeva di fuoco rosso sul comodino dove l'aveva posata lui. Batté le ciglia, accorgendosi all'improvviso che doveva essere quasi addormentato quando la luce lo aveva svegliato. Il colore della pietra segnalava un pericolo che incombeva su di lui, proprio come aveva fatto per tutto il viaggio di ritorno. Ma dov'era il pericolo, dannazione? Si alzò e si aggirò per la stanza come una creatura in cerca di preda. Non c'era niente. I suoi vestiti erano ancora posati sulla sedia dove li aveva gettati; la sacca occupava lo stesso posto sul pavimento vicino allo spogliatoio. Si fermò per un attimo al centro della stanza e lasciò che il calore della vita del castello giungesse fino a lui. Sterling Silver rispose con un profondo ardore interno, che lo avviluppò dalla testa ai piedi. Era indisturbato. Lui corrugò la fronte. Forse la pietra era in errore. Era una fonte di distrazione, in ogni caso, quindi la coprì con un panno e si rimise a letto. Attese un momento, chiuse gli occhi, li riaprì, li richiuse per la seconda volta. L'oscurità lo avvolse senza turbamenti. Il topo era scomparso. Domande e risposte si fondevano e svanivano nella notte. Cominciò a sonnecchiare.
Forse allora sognò per qualche tempo. Vi furono immagini di unicorni, alcuni neri, altri bianchi, e le facce affilate e senza tempo delle fate. Vi furono immagini dei suoi amici, passati e presenti, e dei sogni che aveva cullato per il regno e per la sua vita. Scorrevano nel suo subconscio, e il loro movimento fluido lo cullava come il rollio di un mare infinito. Poi nella sua mente si accese improvviso un fuoco, che interruppe quel flusso. Delle mani si protesero dal nulla, e delle dita afferrarono la catena che portava al collo: le sue mani, le sue dita. Che cosa stavano facendo? E d'un tratto apparve un'immagine di Meeks! Da una foschia nera emerse l'immagine del mago, una sagoma alta e scheletrica, con un mantello color canna di fucile e il viso rude e duro come ferro scabro. Incombeva su Ben come se fosse la morte venuta a prendere in consegna la sua ultima vittima, una manica vuota, l'altra simile a un artiglio nero che si avvicinava, si avvicinava... Ben si scostò di scatto, respingendo con un calcio le coperte, spazzando alla cieca il buio con una mano. Batté le palpebre e aguzzò lo sguardo. In un angolo della stanza era accesa la fiamma di una candela, un puntino solitario di bianco dorato sullo sfondo del baluginio di fuoco cremisi emesso dalla pietra runica di Willow che splendeva sul comodino lanciando un monito frenetico , senza più il panno che l'aveva coperta. Ben avvertiva la presenza del pericolo segnalato dalla pietra. Il respiro gli sfuggiva in ansiti secchi, ed era come se una mano gigantesca gli schiacciasse il torace. Lottò per respingerla, ma i muscoli non volevano obbedirgli. Il suo corpo sembrava immobilizzato. Nel buio si mosse qualcosa... qualcosa di enorme. Ben tentò di gridare, ma il suono che gli sfuggì era poco più che un sussurro. Si materializzò una figura, coperta di luce scarlatta come sangue. La figura rimase immobile e, con una voce che aveva il suono di chiodi che stridevano su una lavagna, bisbigliò: -C'incontriamo di nuovo, signor Holiday. Era Meeks. Ben non riusciva a parlare. Poteva soltanto guardare. Era come se l'immagine che lo aveva ossessionato durante la sua visita nel vecchio mondo fosse riuscita in qualche modo a seguirlo in questo. Solo che non era un'immagine. Lo capì all'istante. Quella era reale! Meeks accennò un sorrisetto. Adesso aveva un aspetto del tutto umano, l'espressione da predatore era svanità.-Come, nemmeno una parola di saluto, nessuna sfida coraggiosa, nemmeno una minaccia? Non è da lei, signor Holiday. Che succede? Il gatto le ha mangiato la lingua? I muscoli della gola e del viso di Ben s'irrigidirono mentre lui tentava di riprendere il controllo di sé. Era paralizzato. Gli occhi piatti e terrificanti di Meeks lo tenevano avvinto con legami che non poteva spezzare. -Sì, sì, la volontà c'è, non è vero, signor Holiday? Ma la strada è così oscura! Conosco bene quella sensazione. Ricorda com'è andata, l'ultima volta che mi ha lasciato? Ricorda? Lei mi ha attirato nel cristallo della visione... il mio unico legame con questo mondo... e poi lo ha infranto! Ha distrutto i miei occhi, signor Holiday, e
mi ha lasciato cieco!-La sua voce divenne un sibilo di furore.-Oh, sì, so che cosa si prova a essere paralizzato e solo! Avanzò ancora di un passo e si fermò, con il viso scavato e rugoso proteso verso la luce cremisi della pietra runica. Sembrava incredibilmente grande.-Lei è un idiota, refantoccio, lo sa? Pensava di poter giocare con me, e non si è neppure curato di capire che ero io a creare tutte le regole. Io ero il padrone del gioco, ometto, e lei non è che un novellino! Io l'ho fatta re di questa terra; io le ho dato tutto quello che offriva. Lei lo ha preso come se ne avesse il diritto. Lo ha preso come se le appartenesse! Stava tremando di collera, con le dita della mano guantata strette davanti al petto in un pugno che terminava ad artiglio. Ben non era mai stato tanto terrorizzato in vita sua. Avrebbe voluto ritirarsi in se stesso, strisciare di nuovo sotto le coperte. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa, che gli permettesse di sfuggire a quel vecchio terribile. Poi Meeks si raddrizzò e bruscamente sul suo volto la collera fu sostituita da una fredda indifferenza. Distolse lo sguardo. -Be', ormai conta poco. Il gioco è finito. Lei ha perduto, signor Holiday. Il sudore scorreva lungo la schiena rigida di Ben. Come poteva essere successo tutto questo? Meeks era rimasto intrappolato nel vecchio mondo; finché Ben era in possesso del medaglione, ogni possibile accesso a Landover gli era negato. -Le piacerebbe sapere come sono arrivato qui, signor Holiday?-Meeks pareva avergli letto nel pensiero. Il mago si girò lentamente verso di lui.-E' stato semplice, per la verità. Mi sono fatto portare da lei.-Vide l'espressione negli occhi di Ben e scoppiò a ridere.-Sì, signor Holiday, è così. Lei è responsabile di avermi riportato qui. Che gliene pare? Avanzò fino a fermarsi vicino al letto. Il suo viso pieno di rughe si piegò verso il basso. Ben poté sentire il suo fetore.-I sogni erano miei, signor Holiday. Ve li ho mandati io... a lei, al mio fratellastro e alla silfide. Li ho mandati io. Non tutti i miei poteri sono andati perduti con la distruzione del cristallo! Potevo ancora raggiungervi, signor Holiday. Nel sonno! Potevo attraversare il ponte fra i due mondi attraverso il vostro subconscio! Il mio stupido fratellastro ha dimenticato di pensarci, quando l'ha ammonita contro di me. I sogni erano l'unico strumento che mi era necessario per riprendere il controllo di voi. Come può essere vivida l'immaginazione! Ha trovato avvincente il sogno che le ho mandato, signor Holiday? Sì, certo. Il suo sogno aveva lo scopo di portarla da me, e da me l'ha portata! Sapevo che sarebbe venuto, se avesse pensato che il suo amico Bennett aveva bisogno di lei. Sapevo che doveva venire. Dopo di che è stato semplice, signor Holiday. L'immagine in fondo al passaggio temporale era un incantesimo che mi ha avvertito del suo ritorno e mi ha permesso di seguire i suoi movimenti. Si è stabilita in lei, e da allora lei non si è più liberato di me! Ben si sentì sprofondare. Avrebbe dovuto sapere che Meeks avrebbe usato la magia per rintracciarlo in un modo o nell'altro. Avrebbe dovuto sapere che il mago non avrebbe lasciato niente al caso. Era stato un idiota. Meeks stava sorridendo come il Gatto del Cheshire.-La seconda immagine era un trucco ancor più interessante. L'ha distolta dal mio vero scopo. Oh, sì, ero lì con lei
signor Holiday! Ero dietro di lei! Mentre lei si preoccupava della mia immagine, io mi sono insinuato nei suoi vestiti, una creatura non più grossa di un insetto minuscolo. Mi sono nascosto su di lei e ho lasciato che lei mi riportasse a Landover. Il medaglione consente soltanto il suo passaggio, signor Holiday, ma se io sono una parte di lei, consente anche il mio! "Era nascosto nei miei vestiti" pensò Ben disperato "era con me per tutto il viaggio di ritorno, e non me ne sono mai accorto. Ecco perché la pietra runica splendeva in segno di avvertimento. La minaccia era sempre presente, ma io non potevo vederla!" -Che ironia, non è vero, signor Holiday, che lei mi abbia riportato indietro così?L'intensità del sorriso tese all'indietro la pelle di Meeks sulle guance e sulla fronte, e il suo viso divenne simile a un teschio.-Dovevo tornare indietro, sa. Dovevo tornare indietro subito a causa delle sue continue, maledette interferenze! Ha idea dei guai che mi ha procurato? No, no, certo che no. Lei non ne ha nessuna idea. Non sa nemmeno di che cosa parlo. Lei non capisce niente! E nella sua ignoranza ha quasi distrutto quello che aveva richiesto anni per essere creato! Ha rovinato tutto, lei e la sua campagna per diventare re di Landover! Si era infuriato di nuovo, e fu solo con un grande sforzo che riuscì a controllarsi di nuovo. Anche così, le parole gli sfuggirono come schizzi di bile.-Non importa, signor Holiday, non importa. Tutto questo non significa niente per lei, quindi non serve a niente rimuginarci sopra. Ormai ho i libri, e lei non può fare più alcun danno. Ho quello che mi occorre. Il suo sogno mi ha assicurato il controllo su di lei, il sogno del mio fratellastro mi ha assicurato il possesso dei libri, e il sogno della silfide mi darà... S'interruppe di colpo, come se avesse parlato troppo. Negli occhi chiari e duri apparve un curioso disagio. Lui batté le palpebre, e sparì. Una mano spazzò il vuoto in un gesto di congedo.-Tutto. I sogni mi daranno tutto-concluse. "Il medaglione" pensò Ben freneticamente. "Se solo riuscissi a mettere le mani sul medaglione..." Meeks rise con asprezza.-Senza dubbio ci sono molte cose che vorrebbe dirmi, non è vero, signor Holiday? E senz'altro molte cose che vorrebbe fare!-Il viso rugoso si spinse ancora una volta vicino al suo. Gli occhi duri lo fissarono penetranti. -Bene, le concederò una possibilità, re-fantoccio. Darò a lei l'opportunità che è stato così pronto a negare a me quando ha infranto il cristallo e mi ha esiliato dalla mia patria! Un dito ossuto si piegò davanti agli occhi paralizzati di Ben. -Ma prima devo mostrarle una cosa. Ce l'ho proprio qui, appesa saldamente al collo.-La sua mano s'immerse sotto le vesti.-Guardi bene, signor Holiday. Lo vede? Ritirò lentamente la mano. Teneva stretta saldamente fra le dita una catena. All'estremità era appeso il medaglione di Ben. Meeks sorrise trionfante nel vedere l'espressione disperata che riempì gli occhi di Ben.-Si, signor Holiday! Si, re-fantoccio! Si, povero idiota! E' proprio il suo prezioso medaglione. La chiave di Landover, e ora appartiene a me!-Lo fece penzolare lentamente davanti a Ben, lasciando che roteasse per riflettere la luce mista della pietra runica incandescente e della fiamma della candela. Socchiuse gli occhi.-Vuole sapere che cosa è stato a separarla dal medaglione? E' stato lei a darmelo in un sogno che le ho mandato, Signor Holiday. Si è tolto il medaglione e me lo ha offerto. Mi ha
dato il medaglione di sua spontanea volontà. Non potevo prenderlo con la forza, ma lei me lo ha dato! Meeks sembrava un gigante che minacciava di schiacciare Ben: alto, oscuro, uscito dall'ombra. Il suo respiro sibilava. -Penso che non ci sia niente che possa dirle che lei non sappia già, vero, signor Holiday? Fece un rapido gesto con la mano, e le catene invisibili che tenevano paralizzato Ben caddero. Poteva di nuovo muoversi e parlare. Tuttavia non fece né l'una né l'altra cosa. Si limitò ad aspettare. -Infili la mano sotto la camicia da notte, signor Holiday- sussurrò il mago. Ben obbedì. Le sue dita si chiusero su un medaglione assicurato in fondo a una catena. Lo ritirò lentamente. Il medaglione aveva la stessa forma e misura di quello che aveva portato un tempo, quello che adesso era nelle mani di Meeks. Ma l'incisione sulla faccia era cambiata. Erano spariti il Paladino, Sterling Silver e il sole nascente. Era sparita la patina lucida dell'argento. Quel medaglione era di un nero brunito come la fuliggine, e recava incisa la figura di Meeks avvolto nel mantello. Ben fissò il medaglione con orrore, lo toccò incredulo, poi se lo lasciò sfuggire dalle dita come se scottasse. Meeks annuì soddisfatto.-Io sono il suo padrone, signor Holiday. Lei è mio e posso farne ciò che voglio. Potrei semplicemente distruggerla, naturalmente... ma non lo farò. Sarebbe una fine troppo facile per lei, dopo tutti i guai che mi ha causato!-Fece una pausa, mentre riaffiorava il sorriso duro, ironico.-Invece, signor Holiday, penso che la lascerò libero. Indietreggiò di alcuni passi, in attesa. Ben esitò, poi si alzò dal letto, con la mente che turbinava frenetica in cerca di una via di scampo da quell'incubo. Non c'erano armi a portata di mano. Meeks era piantato fra lui e la porta della camera da letto. Fece un passo avanti. -Oh, una cosa ancora.-La voce di Meeks lo fermò con la stessa efficacia di un muro di mattoni. Il viso vecchio e duro era una massa di crepacci e gole scavate dal tempo.Lei è libero, ma dovrà lasciare il castello. Subito. Vede, signor Holiday, questo non è più il suo posto. Lei non è più il re. Anzi, non è più neppure se stesso. Una mano si sollevò. Ci fu un breve lampo luminoso e la camicia da notte di Ben scomparve. Era vestito da bracciante pantaloni e tunica di rozza lana, un mantello di lana e stivali logori. Aveva addosso uno strato di sudiciume e puzzo di animali. Meeks lo guardò con occhio spassionato.-Un uomo del popolo, signor Holiday, ecco che cosa sarà da oggi in poi. Lavori sodo, e forse troverà un modo per fare strada. Esistono delle opportunità, in questa terra, per gente come lei. Non sarà mai più re, certo, ma forse troverà qualche altra occupazione adeguata. Lo spero. Non vorrei immaginarla privo di mezzi. Sarei molto dispiaciuto se lei dovesse subire delle traversie. La vita è lunga, sa. Il suo sguardo si spostò sulla pietra runica.-A proposito, di quella non avrà più bisogno, vero?-Alzò la mano, e la pietra runica volò dal comodino nel suo palmo. Le sue dita si chiusero, e la pietra si ridusse in cenere, in brace ardente che si spense di colpo.
Guardò di nuovo Ben, con il suo sorriso freddo e duro. -Dunque, dov'eravamo? Oh, sì, stavamo discutendo la questione del suo futuro. Le assicuro che lo seguirò con grande interesse. Il medaglione che le ho fornito mi dirà tutto quello che avrò bisogno di sapere. Stia bene attento a non tentare di togliersi quel medaglione. Una certa magia protegge da simili atti sconsiderati... una magia che accorcerebbe la sua esistenza in modo considerevole, se venisse sfidata. E io non voglio che lei muoia, signor Holiday, per molto, molto tempo ancora. Ben fissò incredulo l'altro. Che razza di gioco era quello? Misurò in fretta la distanza fino alla porta della camera da letto. Poteva di nuovo muoversi e parlare; era libero dalla forza che lo aveva paralizzato, qualunque fosse. Doveva tentare la fuga. Allora vide Meeks che lo osservava, lo studiava come un gatto potrebbe fare con un topo in trappola, e la paura cedette il posto all'ira e alla vergogna.-Non funzionerà, Meeks-disse con voce pacata, cercando di nascondere il nervosismo. -Nessuno lo accetterà. -No?-Meeks mantenne inalterato il sorriso.-E perché mai, signor Holiday? Ben tirò un respiro profondo e fece due passi avanti per buona misura,-Perché questi vecchi abiti che mi ha schiaffato addosso non inganneranno nessuno! E, medaglione o no, io sono sempre io e lei è sempre lei! Meeks inarcò le sopracciglia con aria costernata.-Ne è sicuro, signor Holiday? Ne è proprio sicuro? Una fitta di dubbio attanagliò la mente di Ben, ma lui la respinse dai suoi occhi. Guardò di sottecchi lo specchio a tutta altezza per vedersi e fu sollevato di scoprire che, almeno fisicamente, era ancora la stessa persona di sempre. Ma Meeks sembrava tanto sicuro. Il mago lo aveva trasformato in qualche modo che lui non riusciva a vedere? -Non funzionerà - ripeté, avvicinandosi alla porta mentre parlava, tentando di capire che cos'era che Meeks sapeva e lui no, perché c'era senz'altro qualcosa. La risata di Meeks fu brusca e aspra.-Perché non vediamo che cosa funziona e che cosa no, signor Holiday? La mano guantata si levò ad arco, con le dita tese, e dai polpastrelli si sprigionò un fuoco verde. Ben si lanciò in avanti con un balzo, ruzzolando oltre la sagoma scura del mago, rotolandosi alla cieca per schivare il fuoco e rimettersi in piedi. Raggiunse con un tuffo la porta chiusa, e aveva già le dita sulla maniglia quando la magia lo raggiunse. Tentò di gridare, ma non ci riuscì. Le ombre lo avvolsero, lo soffocarono, e il sonno che prima non era voluto venire non si lasciò respingere. Ben Holiday rabbrividì in modo irrefrenabile e scivolò lentamente nell'oscurità. CAPITOLO 5 Lo sconosciuto Ben si risvegliò fra l'ombra e la luce fioca, socchiudendo gli occhi per orientarsi in un vortice di immagini che ondeggiavano come i rottami di un naufragio gettati dalle acque dell'oceano sulla spiaggia di un promontorio. Era steso su una specie di pagliericcio, con il viso a contatto dell'imbottitura di cuoio fresca e liscia. Il suo primo pensiero fu che era ancora vivo. Il secondo fu domandarsi perché.
Batté le palpebre, aspettando che le immagini smettessero di muoversi e assumessero una forma definita. Il ricordo di quello che gli era accaduto si riaccese con un'intensità dolorosa. Sperimentò ancora una volta la collera, la frustrazione e la disperazione. Meeks era tornato a Landover, lo aveva colto alla sprovvista, aveva schiacciato la pietra runica regalatagli da Willow, gli aveva sottratto i vestiti, aveva usato contro di lui la magia nera finché non aveva perso i sensi, e... "Oh, mio Dio!" Le sue dita tastarono il davanti della tunica, s'infilarono sotto e ritirarono il medaglione appeso alla catena che portava al collo. Freneticamente, lo tenne sollevato alla luce, con gli ammonimenti che già echeggiavano incalzanti nella sua mente, mentre la certezza di ciò che avrebbe trovato già prendeva forma nei suoi pensieri. La faccia metallica del medaglione pareva tremolare. Per un attimo, gli parve di vedere la figura familiare del Paladino che usciva a cavallo da Sterling Silver incontro al sole nascente. Poi il Paladino, il castello e il sole svanirono, e rimase solo la sagoma avvolta nel mantello di Meeks, nera su una superficie brunita dall'incuria. Ben inghiottì per attenuare l'aridità che sentì in gola, vedendo realizzati i suoi peggiori timori. Meeks gli aveva rubato il medaglione dei re di Landover. Si sentì sommergere da un'ondata di disperazione, e tentò di rimettersi in piedi. Per un attimo ci riuscì, un piccolo fiotto di adrenalina gli assicurò una rinnovata forza. Rimase in piedi, mentre il vortice di immagini si placava quanto bastava per fargli riconoscere in parte l'ambiente. Era ancora a Sterling Silver. Riconobbe nella stanza un salottino situato sul davanti del castello, una camera riservata agli ospiti in attesa. Riconobbe la panca sulla quale era stato disteso, con il cuoio color ruggine e le zampe di legno scolpito. Sapeva dove si trovava, ma non sapeva perché, così come non sapeva perché era ancora vivo. Poi le forze gli vennero meno, le gambe si piegarono e lui ricadde lungo disteso sulla panca. Il legno grattò e il cuoio cigolò, suoni di avvertimento per chiunque fosse in attesa fuori. La porta si aprì verso l'interno. Occhi a succhiello lo fissarono scintillanti da un viso scimmiesco al quale erano appese delle grosse orecchie. Era Bunion! Bunion si avvicinò e lo sbirciò dall'alto. Ben non era mai stato tanto felice di vedere qualcuno in vita sua. Avrebbe abbracciato il piccolo coboldo, se fosse riuscito a trovarne la forza. Stando così le cose, restò semplicemente disteso, sorridendo con aria ebete e tentando di far funzionare la bocca. Bunion lo aiutò a ridistendersi sulla panca e attese che riuscisse a parlare. -Trova Questor-riuscì finalmente a dire Ben. Deglutì ancora per combattere l'aridità, con l'interno della bocca che sembrava di gesso.-Portalo qui. Non far sapere a nessuno quello che fai. E sii prudente. Meeks è qui nel castello! Bunion continuò a fissarlo per un attimo, con un'espressione quasi perplessa sul viso avvizzito, poi si voltò e scivolò fuori della stanza senza parlare. Ben ricadde disteso, esausto. Buon vecchio Bunion. Non sapeva che cosa stesse facendo lì il coboldo - e nemmeno che cosa ci stesse facendo lui, se era per quello - ma era esattamente il colpo di fortuna di cui aveva bisogno. Se fosse riuscito a trovare Questor abbastanza
presto, avrebbe potuto radunare la guardia e porre fine alla minaccia rappresentata da Meeks. Meeks era un mago potente, ma non poteva tener testa a tanti. Ben avrebbe riconquistato il medaglione rubato, e Meeks avrebbe rimpianto il giorno in cui aveva anche solo pensato di tornare con l'inganno a Landover! Chiuse gli occhi per un attimo, facendo appello a tutte le sue risorse interiori, poi si rimise in piedi. Perlustrò con gli occhi la stanza. Era vuota. La luce delle candele che proveniva da un lampadario a muro e da un candelabro scacciavano le ombre. La luce esterna penetrava dalla fessura sotto la porta chiusa. Lui rimase in piedi, appoggiando la parte posteriore delle gambe alla panca per sostenersi. Era ancora vestito con i panni da contadino di cui l'aveva rivestito Meeks. Aveva le mani nere di sudiciume. "Bel trucchetto" pensò Ben "ma non funzionerà. Sono sempre io." Respirò a fondo una decina di volte, sentendo schiarirsi la vista e tornare le forze. Attraverso i logori stivali da lavoro poteva sentire il calore del castello che si espandeva dal pavimento, le vibrazioni della sua vita. Nel suo contatto c'era una sensazione di urgenza quasi fastidiosa. Pareva che il castello avvertisse il pericolo che vi si annidava. "Non preoccuparti; andrà tutto a posto" lo rassicurò Ben in silenzio. Si sentirono avvicinarsi dei passi e la porta si aprì. Questor Thews era fermo sulla soglia insieme a Bunion. Esitò, poi entrò nella stanza senza parlare. Il coboldo lo seguì, chiudendo la porta dietro di loro. -Questor, grazie a Dio sei qui!-proruppe Ben. Si slanciò in avanti, con le mani tese in un gesto di saluto.-Dobbiamo agire in fretta. Meeks è tornato. E' qui, ora, da qualche parte del castello. Non so come ha fatto, ma ha rubato il medaglione. Dobbiamo mettere all'erta le guardie e trovarlo prima... Si fermò di colpo a un paio di metri dall'amico, mentre le sue parole si spegnevano nel silenzio. Le mani del mago erano ancora abbandonate lungo i fianchi, non protese a ricevere le sue. Il viso da gufo era duro, e le sopracciglia cespugliose erano aggrottate. Questor Thews stava guardando Ben come se non avesse mai visto il suo re prima di allora. Ben s'irrigidì.-Questor, che cosa c'è? Il mago continuò a fissarlo.-Chi è lei? -Chi sono io? Che vuol dire, chi sono? Sono io, Ben! -Ben? Lei si chiama Ben? -Certo che mi chiamo Ben! In quale altro modo dovrei chiamarmi? E' il mio nome, no? -Evidentemente, lei ne è convinto. -Questor, di che cosa stai parlando? Ne sono convinto perché è così! Questor Thews si accigliò. Le rughe sulla sua fronte si approfondirono ancor più.-Lei è Ben Holiday? Lei è il sovrano di Landover? Ben lo guardò a sua volta, senza parole. L'incredulità nella voce dell'altro era inconfondibile.-Non mi riconosci, è così?-azzardò. Il mago scosse la testa.-No.
Ben sentì una brusca stretta alla bocca dello stomaco. -Senti, ma sono soltanto i vestiti e lo sporco, per amor del cielo! Guardami! E' stato Meeks a fare questo... mi ha cambiato i vestiti, mi ha conciato un po'. Ma sono sempre io! -E lei è Ben Holiday? -Sì, maledizione! Questor lo studiò per un attimo, poi trasse un respiro profondo.-Forse lei crede di essere Ben Holiday. Forse crede anche di essere il sovrano di Landover, ma non lo è. Lo so perché ho appena lasciato il re, e non era lei! Lei è un intruso in questo castello. E' una spia e probabilmente anche peggio. E' entrato senza essere invitato, ha origliato conversazioni private, ha aggredito l'Alto Signore nella sua camera da letto, e ora sostiene di essere qualcuno che chiaramente non è. Se la scelta fosse mia, la farei imprigionare subito! E' solo perché l'Alto Signore ha ordinato il suo rilascio che ora lei è libero. Le suggerisco di andarsene alla svelta. Cerchi aiuto per la sua afflizione qualunque essa sia, e stia alla larga, bene alla larga da qui! Ben era stordito. Non riusciva a pensare che cosa fare. Si sentì dire a Meeks: "Medaglione o no, io sono sempre io e lei è sempre lei!" Sentì Meeks replicare: "Ne è sicuro?" Che cosa gli era stato fatto? Si girò in fretta verso Bunion, sperando di cogliere un barlume di riconoscimento negli occhi acuti del coboldo. Non ne vide. Passò accanto ai due, dirigendosi verso uno specchio appeso alla parete vicino alla porta. Sbirciò nella luce fioca l'immagine riflessa nel vetro. Era il suo viso! Lui era esattamente lo stesso di sempre. Come mai Questor e Bunion non lo vedevano? -Ascoltatemi!-Si girò di scatto verso di loro, frenetico . -Meeks è tornato dal vecchio mondo, ha rubato il medaglione e in qualche modo ha nascosto la mia identità agli occhi di tutti tranne che ai miei! Io sembro sempre lo stesso a me, ma non a voi! Questor incrociò le braccia sul petto.-Lei sembra diverso a tutti tranne che a se stesso? Suonava così ridicolo che per un attimo Ben rimase attonito a fissarlo.-Sì-rispose alla fine.-E ha fatto in modo da far sembrare se stesso uguale a me! Chissà in che modo, mi ha sottratto la mia identità. Non sono stato io ad aggredirlo in camera da letto, è stato lui ad aggredirmi nella mia!-Avanzò di un passo, con lo sguardo che saettava da un viso all'altro. -Ha mandato lui i sogni, non capite? Ha predisposto tutto questo! Non so perché, ma lo ha fatto. Questo rientra nella sua vendetta per quello che gli abbiamo fatto. Negli occhi di Questor c'era irritazione, in quelli di Bunion indifferenza. Ben sentì che la situazione gli sfuggiva di mano. -Non potete permettergli di fare questo, dannazione. Non potete lasciargliela passare liscia!-La sua mente turbinava. -Sentite, se non sono chi dico di essere, come faccio a sapere tutto quello che so? Come faccio a sapere dei sogni, il mio su Miles Bennett, il tuo sui libri di magia scomparsi, quello di Willow sull'unicorno nero? Per amor di Dio, e Willow? Qualcuno deve avvertirla! Dammi ascolto, dannazione! Come posso sapere dei libri che hai portato al castello ieri sera, quelli con gli unicorni? Io lo so. So del medaglione, del... Chiedimi qualcosa! Avanti, fammi qualsiasi domanda! Mettimi alla prova.
Questor scosse la testa con aria solenne.-Non ho tempo per questi giochetti, chiunque lei sia. Lei sa quello che sa perché è una spia e ha appreso questi fatti spiando. Ha ascoltato le nostre conversazioni e le ha adattate ai suoi scopi. Dimentica di aver già confessato tutto questo all'Alto Signore quando è stato sorpreso da lui a intrufolarsi nella sua camera da letto. Sotto pressione ha ammesso tutto. E' una fortuna che non sia stato eliminato dalla guardia quando ha tentato di fuggire. E' una fortuna... -Non sono fuggito affatto!-gridò Ben in preda al furore. Tentò di allungare la mano verso Questor, ma Bunion si frappose subito e lo tenne a bada.-Ascoltami! Sono io Ben Holiday! Sono il sovrano di Landover! Io... Le porte si aprirono e comparvero le guardie, allarmate dalla sua voce frenetica. Questor fece un cenno, e loro lo afferrarono per le braccia. -Non farlo!-urlò.-Concedimi una possibilità... -Quella possibilità le è stata offerta-ribatté Questor Thews in tono gelido.-Ne approfitti e se ne vada! Ben fu trascinato fuori della stanza mentre si dibatteva, ancora gridando la sua identità, ancora protestando per quello che gli era stato fatto, mentre la sua mente vacillava per la collera e la frustrazione. Intravide per un attimo una figura alta vestita di scuro, ferma in lontananza, che lo osservava. Meeks! Gridò più forte, tentando di liberarsi. Una delle guardie lo colpì e lui vide le stelle. La testa gli ricadde ciondoloni e la sua voce si affievolì. Doveva fare qualche cosa! Ma che cosa? Che cosa? La figura avvolta nel mantello scomparve. Questor e Bunion rimasero indietro. Ben fu trascinato oltre l'ingresso fino alle porte del castello e fuori delle mura. Il ponte che aveva ricostruito dopo aver assunto il potere era illuminato dalle torce. Fu trascinato su di esso. Quando raggiunse il lato opposto, fu gettato a terra. -Buona notte, Sua Maestà-lo schernì una delle guardie. -Venga presto a trovarci di nuovo-disse un'altra. Si allontanarono ridendo.-La prossima volta gli taglieremo le orecchie-disse uno. Ben rimase steso a terra per un attimo, con la testa che gli girava. Si raddrizzò lentamente e guardò indietro oltre il ponte, verso le luci del castello. Fissò le torri e i bastioni che splendevano argentei alla luce delle otto lune di Landover e ascoltò le voci che svanivano in lontananza e il tonfo pesante del cancello che veniva chiuso. Poi tutto fu silenzio. Non riusciva ancora a credere che stesse succedendo a lui. -Madre!-sussurrò Willow, e nella sua voce si sentivano eccitazione e nostalgia. Il chiaro di luna rivestiva le grandi foreste della regione dei laghi di tutti i colori dell'arcobaleno, la sua fresca luminosità era un faro che disperdeva le ombre. Parsnip era accampato più indietro fra quelle ombre, aspettando paziente il suo ritorno. Elderew era lontana, la città del Signore del Fiume avvolta nel silenzio, con gli abitanti addormentati. Elderew era la patria di Willow e il Signore del Fiume era suo padre, ma non era né la sua casa né suo padre che lei era venuta a vedere quella notte. Era la ninfa del bosco che danzava davanti a lei come una visione scaturita dal mondo delle fate.
Willow s'inginocchiò ai margini di una radura circondata da vecchi pini e osservò dispiegarsi la magia. Sua madre volteggiava e saltava nel silenzio della sera, leggera ed effimera, nata dall'aria e portata dal vento. Era una creatura minuscola, poco più di uno scricciolo. Era vestita di mussola bianca, trasparente ed eterea, e la pelle verde pallido del corpo di sua figlia luceva sotto quel velo. Capelli d'argento lunghi fino alla vita s'increspavano e scintillavano a ogni suo movimento, una traccia di fuoco bianco sullo sfondo dell'oscurità notturna. La sospingeva una musica che lei sola poteva udire. Willow la guardava rapita. Sua madre era una creatura selvaggia, così selvaggia che non poteva vivere fra gli esseri umani, nemmeno il popolo della regione dei laghi, che discendeva dalle fate. Si era unita per breve tempo al padre di Willow, ma era stato molto tempo prima. Si erano congiunti una sola volta, col padre reso quasi folle dal desiderio per la ninfa del bosco che non poteva avere, e poi sua madre era scomparsa di nuovo tra le foreste. Non era più tornata. Willow era il frutto di quella breve unione, il ricordo costante per suo padre della fata che desiderava sempre e non avrebbe mai potuto avere. Quel desiderio impossibile suscitava in lui amore e odio al tempo stesso. I suoi sentimenti per Willow erano sempre stati ambivalenti. Willow capiva. Era una silfide, un essere elementare. Era figlia di entrambi i genitori: il padre, un elfo dal carattere costante, la madre, una ninfa dei boschi dal temperamento instabile. L'istinto domestico del padre le assicurava stabilità, ma lei condivideva anche lo spirito selvaggio della madre. Era una creatura piena di contraddizioni. Multiforme, era insieme carne e pianta. Era umana per la maggior parte del ciclo lunare e pianta per un breve tempo all'apice del ciclo, una sola notte ogni ventun giorni. Ben era rimasto sconvolto nell'assistere alla sua metamorfosi, quella prima notte. Lei si era trasformata da essere umano in albero in quella stessa radura, alimentandosi dell'energia trasfusa dalla madre nel terreno sul quale danzava. Ben era rimasto scosso, ma lei era quello che era, e lui era riuscito ad accettarlo. Un giorno l'avrebbe perfino amata per quello, lei ne era convinta. Non era così con il padre. Il suo affetto era condizionato e lo sarebbe sempre stato. Lui era ancora prigioniero del desiderio insaziabile che la madre di Willow suscitava in lui. Willow sembrava soltanto enfatizzare il peso delle catene che lo tenevano legato. Così, nello sforzo di capire il sogno dell'unicorno nero, Willow non si era rivolta al padre. Era venuta invece dalla madre. La madre volteggiò avvicinandosi, piroettando e torcendosi con una grazia che trascendeva ogni comprensione. Benché selvaggia e prigioniera a modo suo di desideri a cui non sapeva resistere, sua madre l'amava ugualmente in modo incondizionato, smisurato. Veniva quando Willow aveva bisogno di lei, e il legame che le univa era tanto forte che spesso potevano sentire l'una i pensieri dell'altra. Ora parlavano nel silenzio della mente, scambiandosi immagini d'amore e di bisogno reciproco. Il legame divenne più forte, un intreccio che dilatava i pensieri in parole. -Madre-sussurrò Willow per la seconda volta. Si accorse di sognare. Sua madre danzava, e lei vide nei movimenti frenetici del suo balletto la visione che l'aveva portata lì. Apparve ancora una volta l'unicorno nero, una creatura di straordinaria, terribile bellezza. Si fermò davanti a lei nel bosco
oscuro di cui aveva sognato la prima volta, con la sagoma snella che tremolava fra chiaro di luna e ombre, alla maniera di uno spettro. Willow tremò nel vederlo così. Un momento sembrava una creatura fatata, un momento dopo un demone di Abaddon. Il suo corno tortile splendeva e gli zoccoli colpivano il suolo della foresta. A testa bassa, fintò con un rapido assalto, poi indietreggiò cautamente. Sembrava bloccato dall'indecisione. "Che cosa lo turba tanto?" si chiese Willow sorpresa. Abbassò gli occhi all'improvviso, e la risposta era fra le sue mani. Lei stringeva di nuovo le briglie intessute d'oro. Erano le briglie che tenevano a bada l'unicorno; lo capì istintivamente. Lei le sfiorò e sentì l'ordito e la trama dei fili lisci sotto le dita. Si sentì attraversare da una strana corrente di emozioni. Quanto potere offrivano le briglie! Avrebbero fatto diventare suo l'unicorno, intuì. Non erano rimasti più unicorni al mondo, se non nel mondo delle fate, dove lei non poteva più tornare, nessun altro che questo, e poteva essere suo se lo voleva. Non doveva fare altro che tendere la mano. Ma no, ammonì bruscamente, se avesse toccato quella creatura anche per un solo brevissimo istante, sarebbe stata perduta per sempre. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Doveva portare le briglie a Ben, perché appartenevano a lui. E in quel momento l'unicorno sollevò la testa, tutto grazia e bellezza. Il muso scuro era perfettamente simmetrico, la lunga criniera ondeggiava come seta al mormorio del vento. Nei suoi occhi c'era paura, paura di qualcos'altro che non era la silfide con le briglie di fili d'oro, paura di qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione. Willow rimase paralizzata dal suo orrore. Gli occhi dell'unicorno nero minacciarono di inghiottirla. Il sogno si chiuse intorno a lei. Lei batté in fretta le palpebre per spezzare l'incantesimo e per un attimo sorprese negli occhi della creatura qualcosa di diverso dalla paura. Vi lesse un'inconfondibile richiesta di aiuto. Le sue mani si sollevarono, quasi spontaneamente, e lei tenne le briglie davanti a sé come un talismano. L'unicorno nero sbuffò, un suono indelicato, spaventato, e le ombre della foresta parvero fremere in risposta. All'improvviso, il sogno svanì e l'unicorno scomparve. La madre di Willow danzava di nuovo sola nella radura protetta dai pini. La ninfa dei boschi piroettò per l'ultima volta, una scheggia di chiaro di luna nel buio, rallentò la piroetta e volteggiò senza rumore verso il punto in cui la figlia era inginocchiata. Willow si abbandonò sui talloni esausta, svuotata di ogni energia dallo sforzo che aveva sostenuto nel sogno.-Oh, madre-mormorò afferrando le snelle mani color verde pallido. -Che cosa mi è stato mostrato?-Poi sorrise gentilmente, e le lacrime le riempirono gli occhi scorrendo sulle guance. -Ma non ha senso chiederlo a te, vero? Tu ne sai quanto me. Danzi soltanto ciò che senti, non ciò che sai. I delicati lineamenti della madre cambiarono in modo appena percettibile... un abbassarsi degli occhi, un lieve incresparsi della bocca. Lei comprendeva, ma non poteva aiutarla. La sua danza era un canale della conoscenza, ma non la sua fonte. Così agiva la magia negli esseri elementari. -Madre.-Willow strinse ancor più le mani pallide, attingendo forza da esse.-Devo conoscere la ragione di questi sogni sull'unicorno e sulle briglie d'oro. Devo sapere
per quale motivo mi appare qualcosa che mi attira e mi spaventa insieme, come questo. A quale delle due visioni devo credere? La piccole mani si strinsero di rimando sulle sue, e la madre rispose con un breve verso da uccello che echeggiò nella foresta notturna. La figura snella di Willow si chinò più vicino, e qualcosa di simile a un senso di gelo la fece rabbrividire.-C'è qualcuno nella regione dei laghi che può aiutarmi a capire?domandò piano.-C'è qualcuno che potrebbe sapere?-Il suo viso divenne intenso.Madre, devo andare da lui. Stanotte! Ancora una volta sua madre rispose, rapida, irreale. Si alzò e volteggiò in fretta nella radura, poi tornò indietro. Le sue mani accennarono frenetiche. "Domani" dicevano. "Questa notte è segnata. E' il tuo tempo." Willow sollevò il viso.-Sì, madre-mormorò obbediente. Comprendeva. Poteva desiderare che fosse diverso - e in realtà lo aveva desiderato già più di una volta in passato - ma non poteva rinnegare la realtà. Il ciclo di ventun giorni era alla fine; su di lei incombeva il cambiamento. L'esigenza era già così forte che riusciva a controllarsi a stento. Rabbrividì nuovamente. Doveva far presto. Pensò d'improvviso a Ben e desiderò che fosse lì con lei. Si alzò e si diresse al centro della radura. Le sue braccia si levarono al cielo come per assorbire la luce colorata delle lune. Fu avvolta da una luminosità, e poté sentire l'essenza della madre emanata dal terreno sul quale aveva danzato. Cominciò a nutrirsene. -Restami vicino, madre-pregò mentre il suo corpo ondeggiava indistinto. I suoi piedi si arcuarono e si divisero in radici che s'immersero serpeggiando nel terreno scuro, le mani e le braccia si allungarono in rami, e la trasmutazione cominciò. Pochi istanti dopo era finita. Willow era scomparsa. Era diventata l'albero di cui portava il nome, il salice, e sarebbe rimasta così fino all'alba. La madre si lasciò cadere a terra vicino a lei, uno spettro di fanciulla emerso dalle ombre. Sedette immobile per qualche tempo. Poi le braccia snelle e pallide abbracciarono il tronco ruvido che racchiudeva la vita di sua figlia e lo tennero stretto. Si avvicinava l'alba. Le lune di Landover impallidivano, una dopo l'altra, e le ombre della notte perdevano terreno di fronte a un chiarore dorato che si allargava sempre più affacciandosi lentamente all'orizzonte orientale. Questor Thews percorreva a lunghi passi le sale di Sterling Silver, una figura scheletrica di straccione avvolto nella veste grigia dai nastri colorati, con l'espressione di chi ha perso il suo migliore amico. Svoltò un angolo vicino all'atrio principale e andò a urtare contro Abernathy. -Fai una passeggiatina salutare di buon'ora?-s'informò arcigno lo scriba. Questor grugnì e le rughe che gli segnavano la fronte si approfondirono.-Ho scoperto che non riesco a dormire, e non riesco a capire per quale motivo. Ci sono ragioni sufficienti per essere stanchi, il cielo lo sa. Il muso coperto di peli ruvidi di Abernathy non rivelava niente di ciò che pensava. Si strinse nelle spalle e s'incamminò a fianco del mago.-Mi risulta che stanotte qualcuno
è stato sorpreso a introdursi nella camera da letto dell'Alto Signore, qualcuno che sosteneva di essere il re. Questor grugnì per la seconda volta.-Un pazzo. E' stato fortunato a essere rilasciato. Ma lo ha ordinato l'Alto Signore. "Rimandatelo sulla terraferma" ha detto. Se la decisione fosse spettata a me, non sarei stato tanto clemente, te lo assicuro. Proseguirono per un breve tratto.-Strano che l'Alto Signore lo abbia semplicemente rilasciato-osservò alla fine Abernathy. Il naso gli fremeva.-Di solito trova un impiego migliore per i suoi nemici. -Hmmmmm.-Questor parve non udirlo. Stava scrollando la testa per qualche ragione.-Mi preoccupa il fatto che l'uomo sapesse tante cose sui sogni. Sapeva dei libri di magia, del ritorno dell'Alto Signore, dell'unicorno...-S'interruppe per un attimo.-Pareva che sapesse tutto. Sembrava tanto sicuro di sé. Per qualche tempo, nessuno dei due parlò. Questor fece strada verso una scala che portava a un camminamento che sovrastava i parapetti esterni sulla facciata del castello. In basso, il ponte che collegava l'isola alla terraferma si stendeva sul lago, velato dalla nebbia e deserto. Questor aguzzò lo sguardo verso la penombra che si stava diradando sulla sponda opposta, scrutando la riva. Il suo viso da gufo si serrò come un nodo. -Pare che lo sconosciuto se ne sia andato-disse infine. Abernathy gli lanciò un'occhiata curiosa.-Ti aspettavi qualcos'altro? Attese invano una risposta alla domanda. Questor continuò a fissare la riva opposta del lago, senza dire niente. CAPITOLO 6 Edgewood Dirk Il nuovo giorno non trovò Ben Holiday fermo davanti al portone di Sterling Silver con il naso schiacciato contro le assi di legno, come ci si sarebbe potuti aspettare. Lo trovò in cammino verso il sud e la regione dei laghi. Camminava con andatura rapida e decisa. Quando il sole superò la cresta della valle a oriente, al di sopra della linea delle nebbie e degli alberi, lui aveva già percorso una decina di chilometri ed era deciso a coprirne almeno il doppio prima che la giornata finisse. La decisione di andarsene non era stata facile. Aveva impiegato molto a prenderla. Nella prima mezz'ora era rimasto seduto lì al buio e al freddo, guardando indietro verso le luci del castello e chiedendosi che cosa lo avesse colpito, talmente stordito da non riuscire nemmeno a muoversi; non aveva potuto fare altro che starsene li seduto. Le sue emozioni percorrevano tutta la gamma dallo choc alla paura alla collera e viceversa. Sembrava un brutto sogno al quale si è certi di sfuggire, anche quando il momento della fuga è passato da tempo. Aveva ripercorso infinite volte dentro di sé gli avvenimenti della notte precedente, tentando di costruire una spiegazione razionale per la loro esistenza, di scoprire uno scopo nella loro successione. Non ci era riuscito. Tutto portava sempre alla stessa conclusione: Meeks era dentro e lui era fuori. Era stato con un senso di disperazione che aveva finalmente riconosciuto che quanto gli era accaduto era reale. Per venire a Landover aveva rinunciato a una vita e a un
mondo familiari e sicuri; aveva rischiato di perdere tutto ciò che aveva puntando sulla possibilità di trovare qualcosa di meglio. Aveva incontrato ostacoli a ogni svolta, ma li aveva superati. Aveva conquistato nella realtà ciò che la maggior parte degli uomini trovava soltanto in sogno. E ora, proprio quando cominciava a sentirsi a suo agio con quello che aveva, proprio quando sembrava che il peggio fosse passato, tutto ciò per cui aveva lottato tanto duramente gli era stato strappato, e si trovava di fronte alla prospettiva concreta di perdere tutto. Non era possibile. Non era giusto. Ma era una realtà, e lui non sarebbe stato per tanti anni un avvocato di successo nel suo vecchio mondo se avesse rifiutato di accettare la realtà dei fatti. Così aveva ingoiato la disperazione, aveva superato lo stordimento che gli impediva di muoversi, aveva respinto la collera e la paura e si era imposto di affrontare la situazione. Le ripetute ricostruzioni di quello che gli era accaduto non gli avevano fornito le informazioni che avrebbe desiderato. Meeks lo aveva giocato, inducendolo a tornare nel vecchio mondo, e lui aveva riportato il mago con sé a Landover. Meeks ci era riuscito inviandogli un sogno falso che riguardava Miles. Ma Meeks aveva mandato anche i sogni sui libri di magia scomparsi e sull'unicorno nero a Questor Thews e a Willow. Perché lo aveva fatto? Ci doveva essere una ragione. I sogni erano tutti collegati in qualche modo; Ben ne era certo. Era altrettanto certo che qualcosa aveva spinto Meeks a scegliere quel particolare momento per tornare a Landover. Il suo sproloquio nella camera da letto lo aveva messo in chiaro. In qualche modo Ben aveva interferito con i suoi piani, ed era qualcosa di più grave dell'aver mandato a monte la vendita del trono di Landover da parte del mago o dell'averlo esiliato dalla sua terra natale. Era qualcos'altro, qualcosa di molto più importante per Meeks. La collera del mago nei confronti di Ben era alimentata da eventi e circostanze che Ben non aveva ancora scoperto. Questi avevano costretto Meeks a tornare, quasi per disperazione. Ma Ben non aveva idea del motivo. Sapeva però che, nonostante una provocazione più che adeguata, Meeks non lo aveva ucciso quando avrebbe dovuto farlo. Era un fatto sconcertante. Era evidente che Meeks lo odiava al punto da desiderare che soffrisse per un certo tempo come un paria, ma non era un tantino rischioso lasciargli libertà di movimento? Prima o poi qualcuno avrebbe visto oltre l'inganno e avrebbe riconosciuto la realtà delle cose. Meeks non poteva assumere la sua identità e Ben restare uno sconosciuto agli occhi di tutti a tempo indefinito. Doveva esistere un modo per neutralizzare la magia di quell'odioso amuleto che Meeks gli aveva imposto, e certamente prima o poi l'avrebbe scoperto. D'altra parte, forse quello che avrebbe fatto a lunga scadenza non contava. Forse il tempo era qualcosa che non aveva. Forse per lui il gioco sarebbe finito prima che comprendesse tutte le regole. Quella possibilità lo atterriva. Significava che doveva agire in fretta, se non voleva correre il rischio di perdere ogni possibilità di azione. Ma che cosa doveva fare? Aveva guardato indietro verso la sagoma scura del castello, oltre il lago, e aveva cercato di ragionare. Stava sprecando il suo tempo lì, dove era uno sconosciuto per tutti, perfino per i suoi amici più intimi. Se né Questor né Bunion lo avevano
riconosciuto, c'erano ben poche probabilità che lo facesse qualcun altro a Sterling Silver. Per il momento, Meeks era re di Landover; quello almeno glielo doveva concedere. L'idea lo faceva soffrire come sabbia stregata sulla carne viva, ma non c'era niente da fare. Meeks era Ben, e Ben era un individuo che si era intrufolato nel castello senza essere invitato e aveva tentato di creare guai. Se avesse cercato di entrare una seconda volta, ne sarebbe uscito senza dubbio in condizioni peggiori. Forse era quello che Meeks sperava. Forse se lo aspettava. Ben non voleva correre quel rischio. Inoltre, c'erano alternative migliori fra le quali scegliere. Chiaramente non sapeva con esattezza che cosa stava architettando Meeks, ma sapeva abbastanza bene in che modo causare problemi al mago, se riusciva ad agire abbastanza in fretta. Meeks aveva mandato tre sogni, e due di essi erano già serviti al loro scopo. Meeks aveva ottenuto di rientrare a Landover attraverso Ben, e si era servito di Questor per avere i libri di magia scomparsi. "Non illuderti" si ammonì Ben... adesso quei libri li aveva Meeks, quant'era vero che il sole sorgeva a oriente. Restava da realizzare solo il terzo sogno, quello dell'unicorno nero mandato a Willow. Meeks si aspettava qualcosa anche da quel terzo sogno; trascinato dall'ira, si era lasciato sfuggire un accenno. Cercava le briglie d'oro che avrebbero domato l'unicorno nero e si aspettava che Willow gliele portasse. E perché mai non avrebbe dovuto farlo, dopo tutto? Il sogno l'aveva ammonita che l'unicorno era una minaccia per lei, che le briglie erano l'unica cosa che l'avrebbe protetta, e che doveva portare le briglie a Ben. Era esattamente quello che avrebbe creduto di fare, naturalmente, una volta trovate le briglie, solo che ad accoglierla sarebbe stato Meeks trasformato in Ben. Se lui fosse riuscito a trovare la silfide per primo, però, avrebbe potuto impedirlo. Poteva mettere in guardia Willow, e forse loro due sarebbero riusciti a scoprire l'importanza delle briglie e dell'unicorno per il mago e a mettere i bastoni fra le ruote ai suoi piani. Così Ben, una volta presa la difficile decisione, si era messo in cammino, diretto a sud. Significava trascurare le sue responsabilità di re di Landover e lasciarle a Meeks. Significava abbandonare i problemi del consiglio della magistratura, dell'irrigazione dei campi a sud di Waymark, dei Signori del Prato Verde sempre impazienti, dell'esazione fiscale, e tutti gli altri che ancora attendevano udienza dall'Alto Signore di Landover. Meeks poteva agire impunemente al suo posto nei giorni a venire, oppure non agire, come poteva darsi che accadesse. Significava abbandonare Sterling Silver e lasciare i suoi amici, Questor, Abernathy e i coboldi. Si sentiva un traditore e un codardo ad andarsene così. Una parte di lui pretendeva di restare e battersi, ma Willow veniva al primo posto. Doveva trovarla per metterla in guardia. Una volta fatto questo, avrebbe puntato la sua attenzione a smascherare Meeks e rimettere le cose a posto. Purtroppo, trovare Willow non sarebbe stato facile. Si stava addentrando nella regione dei laghi perché era là che Willow aveva detto che sarebbe andata per cominciare la ricerca dell'unicorno e delle briglie d'oro. Ma Willow era partita quasi da una settimana, e quella ricerca poteva averla condotta in qualsiasi luogo, ormai. Ben sarebbe stato uno sconosciuto agli occhi di tutti, e quindi non poteva contare sulla posizione di re di Landover per chiedere aiuto. Poteva darsi che lo ignorassero
del tutto, oppure che non lo lasciassero neppure entrare nella regione dei laghi. In tal caso, si sarebbe trovato nei guai. D'altra parte, era difficile immaginare di finire in guai peggiori di quelli in cui si trovava già. Camminò per tutto il giorno, sentendosi meglio man mano che procedeva, se non altro perché stava facendo qualcosa di concreto invece di restarsene con le mani in mano. Si diresse verso sud, uscendo dal territorio collinoso ricoperto da foreste rade che circondava la sua casa sull'isola per entrare nei boschi più fitti che comprendevano il dominio del Signore del Fiume. Le colline si addolcirono in terreni da pascolo, poi si coprirono di boschi saturi di umidità e fitti di ombre. La campagna cominciava a essere punteggiata di laghi, alcuni non più grandi di stagni, altri così vasti da stendersi a perdita d'occhio nella nebbia. Gli alberi formavano un baldacchino e si chiudevano in alto, e l'odore di umidità permeava la penombra. Un silenzio profondo scese sulla terra all'avvicinarsi del crepuscolo, poi cominciò a riempirsi lentamente di suoni notturni. Ben trovò una radura vicino a un torrente che scorreva dalle colline lontane e si accampò per la notte. Era un ben misero campo. Non aveva né coperte né cibo, quindi dovette accontentarsi delle foglie e dei rami di un boschetto di Bonnie Blu e di acqua sorgiva. Il pasto fu nutriente, ma poco gustoso. Lui continuava a pensare che qualcosa si muovesse nell'ombra, osservandolo. La gente della regione dei laghi lo aveva forse scoperto? Ma non si fece vedere nessuno. Era completamente solo. Essere così solo minava la sua sicurezza. Era quasi impotente, se si andava a veder bene. Aveva perduto il castello, i cavalieri, la sua identità, l'autorità, il titolo e gli amici. Peggio di tutto, aveva perduto il medaglione. Senza il medaglione, non aveva più la protezione del Paladino. Gli era rimasto solo se stesso su cui contare, ed era ben poco contro i pericoli rappresentati dagli abitanti di Landover e dalle loro molteplici forme di magia. Era stato fortunato a sopravvivere al suo arrivo a Landover, quando aveva goduto dei benefici della protezione del medaglione. Che cosa avrebbe fatto, adesso che ne era privo? Teneva lo sguardo fisso nel buio, trovando le risposte altrettanto sfuggenti delle ombre notturne. Quello che lo turbava di più era il fatto che aveva perduto il medaglione cedendolo a Meeks. Non riusciva davvero a immaginare in che modo poteva essere successo. In teoria, nessuno avrebbe potuto sottrargli il medaglione. Ciò significava che doveva averglielo dato di sua spontanea volontà. Ma in che modo Meeks lo aveva costretto a fare un gesto tanto stupido? Finì il suo magro pasto, e stava ancora meditando sulla serie di avvenimenti che lo avevano ridotto in quello stato infelice, quando vide il gatto. Il gatto era accovacciato ai margini della radura, a tre o quattro metri da lui, e lo guardava. Ben non sapeva da quanto tempo fosse lì. Fino a quel momento non lo aveva visto, ma il gatto era assolutamente immobile, quindi forse occupava lo stesso punto da qualche tempo. Gli occhi del gatto brillavano come smeraldi al chiaro di luna. Il mantello era grigio argenteo tranne le zampe, il muso e la coda, che erano neri. Era una creatura snella e delicata, apparentemente fuori posto nella foresta selvaggia. Aveva l'aria di un animale domestico smarrito.
-Salve, gatto-azzardò Ben con un sorrisetto. -Salve a lei-rispose il gatto. Ben sgranò gli occhi, convinto di aver sentito male. Il gatto aveva davvero parlato? Si raddrizzò.-Hai detto qualcosa?-chiese cautamente. Gli occhi scintillanti del gatto si chiusero una volta sola e poi tornarono a fissarlo, ma il gatto non disse niente. Ben attese alcuni istanti, poi si appoggiò di nuovo all'indietro sui gomiti. Non era tanto sorprendente immaginare che il gatto potesse aver detto qualcosa, si disse. Dopo tutto, il drago Strabo parlava; e se poteva parlare un drago, perché non un gatto? -Peccato che tu non possa parlare-mormorò, pensando che sarebbe stato piacevole dividere la sua infelicità con qualcuno. La notte portò con sé il freddo, e lui rabbrividì per un attimo nei ruvidi abiti da lavoro. Rimpianse di non avere una coperta o un fuoco che lo aiutassero a difendersi dall'umidità; o meglio ancora, di non trovarsi di nuovo nel suo letto al castello. Guardò di nuovo il gatto. Non si era mosso. Si limitava a starsene lì, ricambiando il suo sguardo. Ben si accigliò. Lo sguardo fisso del gatto era un po' snervante. E poi, che cosa ci faceva un gatto come quello laggiù nei boschi da solo? Non aveva una casa? Gli occhi di smeraldo del gatto splendevano luminosi. Erano acuti e insistenti. Ben spostò lo sguardo sui boschi in ombra. Si domandò ancora una volta come avrebbe fatto a trovare Willow. Avrebbe avuto bisogno dell'aiuto del Signore del Fiume, ma non aveva la minima idea di come convincerlo della sua vera identità. Le sue dita strofinarono il medaglione brunito per gli pendeva al collo, seguendo il profilo di Meeks. Di certo il medaglione non gli sarebbe stato di alcun aiuto. -Forse la magia del Signore del Fiume la aiuterà a riconoscermi-rifletté a voce alta. -Fossi in lei, non ci conterei-rispose qualcuno. Lui sussultò e guardò subito nella direzione della voce. Non c'era nessun altri che il gatto. Ben socchiuse gli occhi.-Stavolta ti ho sentito!-scattò, tanto irritato da non curarsi di quanto appariva sciocco.-Tu puoi parlare, non è vero? Il gatto batté le palpebre e rispose:-Parlo quando ne ho voglia. Ben si sforzò di riacquistare il controllo.-Capisco. Be', potresti almeno avere la cortesia di dichiararlo, invece di prenderti gioco degli altri. -La cortesia non c'entra, Alto Signore Ben Holiday. Prendersi gioco degli altri è uno stile di vita per noi gatti. Stuzzichiamo, provochiamo e facciamo esattamente come ci pare, non come vorrebbero gli altri. Giocare fa parte integrante della nostra personalità. Quelli che vogliono avere un qualsiasi rapporto con noi devono aspettarselo. Devono capire che partecipare ai nostri giochi è necessario, se desiderano comunicare a un qualsiasi livello. Ben fissò il gatto con gli occhi sgranati.-Come fai a sapere chi sono?-chiese alla fine. -Chi altri vorrebbe essere, a parte se stesso?-replicò il gatto. Ben dovette fermarsi a riflettere per un minuto.-Be', nessuno-rispose alla fine.-Ma come mai tu puoi riconoscermi quando nessun altro ci riesce? Non ti sembro qualcun altro?
Il gatto sollevò una zampa delicata e se la leccò con gusto. -Per me conta poco chi sembra-rispose.-L'apparenza inganna, e lei potrebbe non essere veramente chi sembra. Io non mi fido mai delle apparenze. I gatti possono assumere l'aspetto che vogliono. Sono maestri nell'inganno, e i maestri di un'arte non si lasciano ingannare da nessuno. Io la vedo per quello che è realmente, non per quello che sembra. Non ho idea se l'aspetto che ha adesso è quello che ha realmente. -Ebbene, non è così. -Come vuole. Io so soltanto che qualunque aspetto lei possa avere, in ogni caso è Ben Holiday, Alto Signore di Landover. Ben rimase un attimo in silenzio, tentando di decidere con che cosa aveva a che fare, chiedendosi da quale parte della terra provenisse quella creatura. -E così tu sai chi sono nonostante la magia che mi rende irriconoscibile?-concluse.-La magia non ti trae in inganno? Il gatto lo studiò per un attimo, poi piegò la testa di lato, riflettendo:-La magia non ingannerebbe neanche lei, se non glielo permettesse. Ben corrugò la fronte.-Che cosa vuoi dire con questo? -Tutto e niente. L'inganno è soprattutto un gioco che facciamo con noi stessi. La conversazione stava diventando un tantino involuta. Ben si sedette di nuovo, esausto.-Chi sei, signor Gatto?-domandò. Il gatto si alzò e venne avanti di alcuni passi, poi si accovacciò di nuovo, lustro e fiero.-Io sono un'infinità di cose, mio caro Alto Signore. Sono quello che vede e quello che non vede. Sono reale e immaginario. Provengo in parte dalla vita che ha conosciuto e in parte da sogni della vita che non ha ancora goduto. Sono una vera anomalia, in effetti. -Molto illuminante-grugnì Ben.-Potresti magari essere un po' più preciso? Il gatto batté le palpebre.-Certo. Stia a vedere. Il gatto scintillò improvvisamente nel buio, risplendendo come se fosse radioattivo, e il suo corpo snello parve mutare forma. Ben strizzò gli occhi fino a chiuderli, poi li riaprì. Il gatto era cresciuto. Aveva delle dimensioni che erano il quadruplo di prima, e non era più un gatto. Aveva assunto un viso vagamente umano sotto le orecchie, i baffi, il naso e la pelliccia, e le zampe erano diventate dita. Agitava la coda con aria di aspettativa, continuando a fissarlo. Ben stava per fare una mezza dozzina di domande, ma ci rinunciò.-Devi essere una creatura fatata-disse infine. Il gatto sogghignò in modo quasi umano.-Esatto! Molto ben pensato, Alto Signore! -Grazie tante. Ti dispiacerebbe terribilmente dirmi che genere di creatura fatata sei? -Che genere? Be', uhm... hmmmmmm. Sono un gatto prismatico. -E che cosa sarebbe? Il sogghigno svanì.-Oh, credo che non potrei spiegarlo neanche se lo volessi, e in realtà non voglio. In ogni caso non le servirebbe a niente saperlo, Alto Signore. Essendo umano, non capirebbe. Le dirò una cosa. Sono un tipo di gatto molto antico e molto raro. Sono uno dei pochissimi che ancora rimangono. Siamo sempre stati una razza selezionata e non abbiamo propagato la nostra specie alla maniera dei comuni animali. E' così che accade alle creature fatate... glielo hanno detto, non è vero? No?
Be', è così. I gatti prismatici sono rari. Dobbiamo riprodurci in misura molto limitata per raggiungere i nostri scopi. -E qual è lo scopo che stai cercando di raggiungere qui?- chiese Ben, cercando ancora di ricavare un senso da tutto quel gran parlare. Il gatto sferzò pigramente l'aria con la coda.-Dipende. -Dipende da che cosa? -Da lei. Dal suo... valore intrinseco. Ben fissò il gatto senza parole. La situazione stava diventando un po' troppo complessa perché lui continuasse quella conversazione. Era stato aggredito in casa sua e scacciato come un estraneo. Aveva perduto la sua identità. Aveva perduto gli amici. Aveva freddo e fame. Aveva l'impressione che qualunque valore intrinseco potesse possedere si aggirasse intorno allo zero. Il gatto si agitò leggermente.-Devo decidere se sarò il suo compagno per un certo tempo oppure no-annunciò l'animale. Ben accennò un sogghigno.-Il mio compagno? -Si. Gliene serve senz'altro uno. Lei non vede se stesso per quello che è in realtà. E a quanto pare non lo vede nessun altro, tranne me. Questo m'incuriosisce. Potrei decidere di restare con lei quanto basta per vedere come va a finire. Ben non credeva alle sue orecchie.-Bene, devo dire una cosa a tuo credito. Sei un tipo speciale, che tu sia gatto, uomo, fata o altro. Ma forse faresti meglio a pensarci due volte prima di metterti al mio fianco. Forse ti troverai di fronte a ostacoli superiori alle tue capacità. -Oh, ne dubito-rispose il gatto.-Di questi tempi m'imbatto di rado in qualcosa di difficile. -Ah, davvero?-La pazienza di Ben diminuì di una tacca. Quel gatto era insopportabile! Si accovacciò vicino a quella creatura piena di sussiego.-Bene, vediamo se questo ti basta, signor Gatto. E se ti dicessi che esiste un umano di nome Meeks che mi ha sottratto la mia identità, il trono e la vita, e mi ha destinato all'esilio nella mia stessa terra? E se ti dicessi che ho intenzione di riprendergli tutto, ma che per farlo ho bisogno di trovare una silfide che a sua volta è in cerca di un unicorno nero? E se ti dicessi che con ogni probabilità io e chiunque sia tanto sconsiderato da offrirsi di aiutarmi in questa impresa, se saremo scoperti, verremo eliminati nel più sgradevole dei modi? Il gatto non replicò. Se ne rimase li, quasi a meditare. Ben si rilassò, soddisfatto e nello stesso tempo disgustato di sé. Certo, poteva congratularsi con se stesso per aver messo tutte le carte in tavola e avere zittito il gatto. Ma aveva anche distrutto l'unica possibilità che aveva di trovare qualcuno che lo aiutasse. "Non puoi avere tutto" si ammonì. Il gatto però sembrava imperturbabile.-I gatti non si lasciano scoraggiare facilmente quando hanno preso una decisione, sa? I gatti sono molto indipendenti nel loro comportamento e non si lasciano né incantare né spaventare. Non riesco a capire perché si prende la briga di tentare certe tattiche con me, Alto Signore. Ben sospirò.-Chiedo scusa. Pensavo soltanto che dovessi sapere come stanno le cose.
Il gatto si alzò e inarcò la schiena.-Io so esattamente come stanno le cose. E' lei che s'inganna. Ma basta riconoscere l'inganno perché svanisca. Lei ha questo in comune con l'unicorno nero, credo. Ancora una volta Ben fu sorpreso. Si accigliò.-Sai dell'unicorno nero? Esiste davvero una creatura del genere? Il gatto sembrò disgustato.-Lei lo cerca no? -Cerco la silfide più che l'unicorno-si affrettò a rispondere Ben.-Lei ha sognato quella creatura e delle briglie di fili d'oro che dovrebbero domarlo: è partita per cercare l'una e le altre.-Esitò, poi si lanciò a capofitto.-Il sogno dell'unicorno era stato mandato dal mago. Lui ha mandato anche altri sogni, a me e a Questor Thews, un altro mago, suo fratellastro. Penso che in qualche modo i sogni siano tutti collegati fra loro. Ho paura che Willow, la silfide, sia in pericolo. Se riuscissi a raggiungerla prima del mago Meeks... -Certo, certo-lo interruppe il gatto in modo piuttosto brusco. Aveva un'espressione piuttosto annoiata. Si accovacciò di nuovo.-A quanto sembra, farei bene a venire con lei. Maghi e unicorni neri non sono soggetti con cui scherzare. -Sono d'accordo-disse Ben.-Ma non mi sembri molto più dotato di me per fare quello che va fatto. Inoltre, questo non è un problema tuo. E' mio. Non credo che mi sentirei la coscienza tranquilla mettendo a repentaglio la tua vita oltre che la mia. Il gatto starnutì.-Che nobile espressione di sollecitudine!-Ben avrebbe giurato di cogliere un'ombra di sarcasmo, ma il muso del gatto non rivelava niente. Il gatto girò su se stesso e si accovacciò di nuovo.-Quale gatto non è più dotato di qualsiasi essere umano per fare qualsiasi cosa ci sia da fare? Inoltre, perché mai insiste a volermi considerare un semplice gatto? Ben si strinse nelle spalle.-Sei qualcosa di più? Il gatto lo guardò a lungo, poi cominciò a lavarsi. Si leccò e si occupò del proprio pelo finché non lo ebbe lustrato a suo piacimento. Nel frattempo, Ben restò seduto a guardare. Quando fu finalmente soddisfatto, il gatto lo guardò di nuovo. -Lei non mi ascolta, Alto Signore. Non c'è da stupirsi che abbia perduto se stesso o che sia diventato qualcuno diverso da quello che desidera essere. Non c'è da stupirsi se nessuno la può riconoscere tranne me. Comincio a chiedermi se vale la pena di sprecare il mio tempo. Ben si sentì bruciare le orecchie per il rabbuffo, ma non disse niente. Il gatto socchiuse gli occhi.-Fa freddo, qui in mezzo ai boschi; l'aria è gelida. Io preferisco il conforto di un bel fuoco acceso nel focolare. Le piacerebbe un bel fuoco, Alto Signore? Ben annuì.-Ne sarei felicissimo, ma non ho i mezzi. Il gatto si alzò e si stirò.-Proprio così. Io invece sì, vede. Stia a guardare. Il gatto cominciò di nuovo a risplendere, come aveva fatto poco prima, e la sua forma all'interno del bagliore divenne indistinta. Poi d'un tratto si vide uno scintmio cristallino, e la creatura di carne e sangue di un attimo prima scomparve del tutto, sostituita da qualcosa che somigliava a una grande statuetta di vetro. La figurina conservava ancora l'aspetto di un gatto dalle sembianze umane, ma si muoveva come
se fosse liquida. Gli occhi di smeraldo scintillavano da un corpo trasparente in cui la luce lunare si rifletteva e si rifrangeva su minuscole superfici a specchio che si spostavano come dischi di vetro. Poi la luce parve concentrarsi negli occhi smeraldini per essere proiettata all'esterno come un raggio laser. Colpì un mucchietto di legna secca a poco più di tre metri di distanza e gli appiccò il fuoco in un attimo, trasformandolo in un falò ardente. Ben si riparò gli occhi, poi rimase a guardare mentre il fuoco diminuiva d'intensità fino a diventare sopportabile, assumendo le dimensioni di un fuoco da campo. Gli occhi di smeraldo si attenuarono. Il gatto scintillò e riacquistò la forma iniziale. Si accovacciò lentamente e guardò Ben con aria solenne. -Ora si ricorderà, forse, che cosa le ho detto di essere? -Un gatto prismatico-rispose subito Ben, ricordando. -Esatto. Posso catturare la luce proveniente da qualsiasi fonte, anche una fonte lontana come le otto lune della Terra. E poi posso trasformare quella luce in energia. Fisica elementare, in effetti. In ogni caso, ho capacità un po' più progredite delle sue. Lei non ha visto che una piccola dimostrazione di quelle capacità. Ben annuì lentamente, sentendosi un po' a disagio, adesso. -Ti prendo in parola. Il gatto si avvicinò un po' al fuoco e si accovacciò di nuovo. I rumori notturni si erano smorzati nel silenzio. Nell'aria si avvertiva una tensione improvvisa.-Ho visto luoghi che altri sognano soltanto e ho visto le cose che vi sono nascoste. Conosco molti segreti.-La voce del gatto divenne un sussurro. -Si avvicini al fuoco, Alto Signore Ben Holiday. Senta il calore.-Ben obbedì, sotto lo sguardo del gatto. Gli occhi di smeraldo parvero ardere di nuovo.-So di maghi e libri di magia scomparsi. So di unicorni neri e bianchi, alcuni perduti, altri ritrovati. So perfino qualcosa degli inganni che fanno sembrare alcuni esseri diversi da quello che sono.-Ben fece per interromperlo, ma il gatto sibilò un ammonimento:-No, Alto Signore, ascolti soltanto! Non sempre sono disposto a parlare tanto liberamente, quindi le converrebbe lasciarmi finire! Noi gatti abbiamo di rado qualcosa da dire, ma sappiamo sempre tante cose. Come in questo caso. Io so molte cose che a lei sono nascoste. Una parte di ciò che so potrebbe essere utile, un'altra no. Si tratta di selezionare. Ma selezionare richiede tempo, e il tempo richiede impegno. Io m'impegno soltanto di rado. Lei, però, come ho detto, mi incuriosisce. Sto pensando di fare un'eccezione. Lei che cosa ne pensa? Ben non era sicuro di ciò che pensava. Come faceva quel gatto a sapere di unicorni neri e bianchi? Come poteva sapere dei libri di magia scomparsi? Quanto di quello che diceva era solo un discorso generico e quanto invece specifico per lui? Avrebbe voluto chiedere, ma sapeva con assoluta certezza che il gatto non era disposto a rispondergli. Sentiva le domande affollarglisi tutte insieme nella gola. -Allora verrài con me?-chiese alla fine. Il gatto socchiuse gli occhi.-Ci sto pensando. Ben annuì lentamente.-Hai un nome? Il gatto socchiuse ancora una volta gli occhi.-Ho molti nomi, così come sono molte cose. Il nome che preferisco in questo momento è Edgewood Dirk. Ma può chiamarmi Dirk.
-Sono lieto di fare la tua conoscenza, Dirk-disse Ben. -Vedremo-rispose Edgewood Dirk in tono vago. Si voltò e si avvicinò al fuoco di un passo o due.-La notte mi stanca, preferisco il giorno. Penso che ora dormirò.-Girò su se stesso parecchie volte su un tratto di terreno erboso, poi si sistemò arrotolandosi in una palla di pelo. Per un attimo fu avvolto dai bagliore, e ridiventò di nuovo tutto gatto.-Buona notte, Alto Signore. -Buona notte-rispose Ben meccanicamente. Era ancora teso per le emozioni che Dirk aveva suscitato in lui. Rimuginò su quello che il gatto aveva detto, cercando di decidere quanto sapeva realmente e quanto stava generalizzando. Il fuoco scoppiettava e crepitava nell'oscurità, e lui si avvicinò per goderne il calore. In ogni caso, Edgewood Dirk aveva la sua utilità, rifletté stendendo le mani verso la fiamma. Se solo quella strana creatura non fosse stata così imprevedibile... E di colpo gli balenò alla mente una possibilità inaspettata. -Dirk, sei venuto a cercarmi?-domandò. -Ah!-rispose piano il gatto. -Lo hai fatto? Mi hai cercato di proposito? Attese, ma Edgewood Dirk non disse altro. Il silenzio di pochi istanti prima tornò a riempirsi di rumori notturni. La tensione dentro di lui si sciolse. Le fiamme attaccavano la legna secca e respingevano le ombre della foresta. Ben guardò il gatto addormentato e provò uno strano senso di serenità. Non si sentiva più tanto solo. Respirò più profondamente l'aria notturna e sospirò. Non più solo? Chi pensava di prendere in giro? Stava ancora tentando di decidere, quando finalmente si addormentò. CAPITOLO 7 L'elfo guaritore Ben Holiday si svegliò all'alba e non riuscì a capire dove fosse. Il suo disorientamento era così completo che per qualche secondo non riuscì a ricordare niente degli avvenimenti delle ultime trentasei ore. Era disteso sull'erba umida di rugiada mattutina in una radura nella foresta e si chiedeva come mai non era nel suo letto a Sterling Silver. Abbassò gli occhi sul proprio corpo e si domandò perché mai portava vestiti così sciatti. Guardò in lontananza verso gli alberi velati dalla nebbia e si chiese che diavolo stava succedendo. Poi scorse Edgewood Dirk appollaiato su un tronco abbattuto tutto liscio e lustro, che gongolava leccandosi con cura studiata, ignorando di proposito il compagno umano. A Ben tornò di colpo alla mente la sua situazione, in un fiotto di ricordi sgradevoli, e si sorprese a desiderare con una certa malinconia di continuare a ignorarli. Si alzò, si spazzolò i vestiti con le mani, bevve un sorso di acqua sorgiva e mangiò un tralcio staccato dai Bonnie Blu. Il gusto era dolce e gradevole, ma la sua fame di un cibo più sostanzioso doveva restare insoddisfatta ancora per un altro pasto. Lanciò un'occhiata o due nella direzione di Dirk, ma il gatto continuò a lavarsi senza notarlo. Evidentemente certe faccende avevano la precedenza sulle altre. Quando ebbe finalmente finito, Dirk si alzò dalla sua posizione, si stirò e annunciò:Ho deciso di venire con lei. Ben si trattenne dal rispondere quello che era tentato di dire e si limitò ad annuire.
-Almeno per un po'-aggiunse Dirk in tono pungente. Ben annuì per la seconda volta. -Sai dove intendo andare?-domandò. Dirk gli lanciò una delle sue tipiche occhiate da "Dev'essere proprio tanto idiota?" e rispose:-Perché' Lei non lo sa? Lasciarono l'accampamento e camminarono in silenzio nelle prime ore del mattino. Il cielo era grigio e opprimente. Il sole, oscurato dalle nuvole, si levò a fatica sopra la linea degli alberi, con una luce velata sufficiente appena a formare piccole chiazze di argento opaco che scacciavano le ombre e punteggiavano il sentiero davanti a loro come pietre per guadare uno stagno. Ben procedeva in testa, Dirk avanzava con cautela un metro o due più indietro. Non c'erano rumori che tenessero loro compagnia nella foresta; i boschi sembravano privi di vita. Raggiunsero l'Irrylyn a metà della mattinata e seguirono la riva meridionale lungo un sentiero stretto che serpeggiava fra alberi della foresta e detriti. Come i boschi, anche il lago sembrava senza vita. Le nuvole erano basse sulle acque, e non c'era vento. I pensieri di Ben vagavano. Si sorprese a rievocare il suo primo incontro con Willow. Era venuto nella regione dei laghi a cercare l'appoggio del Signore del Fiume nella sua rivendicazione del trono di Landover. Willow e Ben si erano imbattuti per caso l'uno nell'altra mentre facevano il bagno nudi di notte nelle acque tiepide di quel lago, alimentato da una sorgente. Ben non aveva mai visto una creatura bella come la silfide. Lei aveva fatto rivivere in lui sentimenti che aveva creduto morti e sepolti. Scosse la testa. L'immagine lo lasciò stranamente triste, come se fosse un ricordo sgradevole di qualcosa che era perduto per sempre. Rimase a fissare la superficie grigia e piatta dell'Irrylyn e tentò di catturare di nuovo quell'istante, ma non trovò altro che spettri vaganti nella nebbia. Si allontanarono dal lago all'estremità meridionale e tornarono ad addentrarsi nella foresta. Cominciava a piovigginare. Le piccole chiazze di luce grigiastra scomparvero e le ombre si chiusero su di loro. Il carattere dei boschi subì un cambiamento netto e improvviso. Gli alberi divennero contorti e umidi sentinelle mostruose di guardia a un mondo surreale di spettri immaginari che fluttuavano come fumo in mezzo alla nebbia che avvolgeva tutto come un sudario. I suoni tornarono, ma erano più ossessivi che consolanti, frammenti di vita che punteggiavano la penombra di squarci di ciò che vi era nascosto. Ben rallentò, battendo le ciglia, asciugandosi l'acqua dal viso. Aveva fatto più volte il viaggio nella regione dei laghi dopo quel primo incontro con Willow, ma era stato sempre in compagnia della silfide o di Questor Thews, e uno del popolo delle fate gli era sempre venuto incontro. Fino all'Irrylyn sapeva trovare la strada da solo, ma più in là non era in grado di farlo. Se voleva trovare il Signore del Fiume e il suo popolo, doveva procurarsi aiuto, e non era detto che lo ottenesse. Il popolo della regione dei laghi viveva a Elderew, la città nascosta chissà dove in quelle foreste. Nessuno poteva raggiungere Elderew senza aiuto. Il Signore del Fiume poteva farti entrare o lasciarti fuori: la scelta era sua. Prosegì per un breve tratto, vide il sentiero davanti a lui sparire del tutto e si fermò. Non c'era nessuna indicazione sulla via da prendere, non c'era traccia di una guida. La foresta intorno a lui era una muraglia imbronciata di umidità e di penombra.
-C'è qualche problema? Edgewood Dirk comparve vicino a lui e si accovacciò con aria schizzinosa, fremendo quando la pioggia lo colpiva. Per un attimo, Ben aveva dimenticato il gatto.-Non sono sicuro della direzione da prendere-ammise a malincuore. -Oh?-Dirk lo guardò, e avrebbe giurato che il gatto scrollasse le spalle.-Be', suggerisco di affidarci all'istinto. Il gatto si drizzò in piedi e avanzò in silenzio, puntando leggermente a sinistra nella nebbia. Ben seguì la bestia con gli occhi per un attimo, poi le andò dietro. Chissà, forse valeva la pena di affidarsi all'istinto del gatto, pensò. Certamente non poteva essere peggiore del suo. Procedettero lentamente, sgusciando fra gli alberi imponenti, abbassandosi per passare sotto i rami bassi frangiati di muschio, scavalcando tronchi marci e aggirando tratti acquitrinosi di umori nerastri. La pioggia s'intensificò, e Ben sentì i vestiti bagnarsi e appesantirsi. La foresta e la nebbia s'infittirono e lo avvolsero come un mantello; oltre un raggio di tre metri, tutto scomparve. Ben sentiva dei movimenti tutt'intorno a lui, ma non vedeva niente. Dirk continuava a zampettare a passo costante, apparentemente senza badargli. Poi, bruscamente, un'ombra si staccò dalla semioscurità e li fece fermare. Era un elfo del bosco, magro e forzuto, piccolo come un bambino, con la pelle scurita e granulosa, i capelli folti e scuri, che ricadevano come una criniera sulla schiena e sulle braccia. Vestito con abiti neutri, color terra, sembrava far parte della foresta quanto gli alberi e, se lo avesse voluto, sarebbe sparito con la stessa prontezza con cui era apparso. Non disse niente, guardando prima Ben, poi Dirk. Esitò nello scorgere il gatto, parve riflettere su qualcosa, poi fece segno loro di procedere. Ben sospirò. Era a metà del viaggio, pensò. Proseguirono in silenzio, seguendo una stretta pista che serpeggiava tortuosa attraverso vaste distese paludose deserte. La nebbia si attorcigliava a spirali sulla superficie immobile dell'acqua, in banchi di un grigio impenetrabile. La pioggia continuava a cadere come una sottile cortina grigia. Ombre saettavano e scivolavano come spettri nella semioscurità, alcune con volti quasi umani, altre con l'aspetto di creature della foresta. Occhi battevano le ciglia e lo sbirciavano, poi sparivano: elfi, ninfe, silfi, naiadi, folletti, esseri elementari di tutte le forme. Prendeva vita all'improvviso il mondo delle fate di decine di fiabe infantili, un misto impossibile di realtà e fantasia. Come sempre, lasciò Ben colmo di stupore e leggermente spaventato. Il sentiero che seguiva non gli era familiare. Era così ogni volta che veniva a Elderew; il Signore del Fiume lo faceva passare ogni volta da una via diversa. A volte passava attraverso l'acqua che gli arrivava alla cintola; a volta attraversava un terreno melmoso che gli risucchiava avido gli stivali. Dovunque passasse, la palude era sempre poco lontana, e sapeva che deviare da uno qualsiasi dei sentieri lo avrebbe portato a una rapida fine. Lo turbava sempre il fatto che non solo non riusciva a trovare la via per entrare, ma non riusciva neppure a trovare la via d'uscita. Ciò significava che era intrappolato li, se il Signore del Fiume non decideva di lasciarlo andare. In passato non sarebbe stato motivo di preoccupazione. In fondo, era il re di
Landover e possedeva il potere del medaglione. Ma ormai tutto era cambiato. Aveva perduto nello stesso tempo la propria identità e il medaglione. Era un semplice sconosciuto. Il Signore del Fiume poteva fare ciò che voleva di uno sconosciuto. Stava ancora pensando al suo dilemma quando entrarono in mezzo a un folto di cipressi, scostarono cortine di barbe di muschio umido, aggirarono massicce radici contorte, e sbucarono finalmente fuori della palude. I piedi di Ben trovarono un terreno più solido, e attaccò una breve salita in leggera pendenza. La nebbia e l'oscurità si diradarono, i cipressi cedettero il posto a querce e olmi, gli odori fetidi si dissiparono e nell'aria mattutina si diffuse l'aroma più puro dei boschi. Riapparvero i colori, con le ghirlande di fiori inzuppati di pioggia appese alle siepi e intrecciate ai pali che fiancheggiavano il sentiero. Ben sentì un'ombra di sollievo. Il cammino da lì in avanti era di nuovo familiare. Affrettò il passo, ansioso di porre fine al viaggio. Poi il pendio raggiunse la sommità, gli alberi si diradarono in fondo al sentiero, ed eccolo arrivato. Davanti a lui si stendeva Elderew, la città delle fate della regione dei laghi. Il grande anfiteatro all'aperto dove il popolo teneva le sue feste sorgeva in primo piano, grigio e deserto sotto la pioggia. Le mura erano costituite da alberi imponenti, con i rami più bassi collegati da ceppi tagliati in modo da formare sedili, l'intero anello formato da un'arena di erba e fiori selvatici. I rami s'intrecciavano in alto per creare un tetto fronzuto, con la pioggia che sgocciolava dalle grondaie in un rivoletto costante. Più in là, alberi grandi il doppio delle sequoie giganti della California s'innalzavano al di sopra dell'anfiteatro sullo sfondo dell'orizzonte nuvoloso e cullavano sui rami la città vera e propria, un largo agglomerato di case e botteghe collegate da una rete intricata di sentieri e scalette arboree che portavano dal terreno della foresta alla cima e viceversa. Ben si fermò, con gli occhi sgranati, e battendo le ciglia respinse l'acqua piovana che gli scorreva dalla fronte negli occhi. Si rese conto all'improvviso che era rimasto a bocca aperta come un ragazzo di campagna venuto in città per la prima volta. Ciò gli rammentava fino a che punto era davvero uno straniero in quella terra, anche dopo che ci era vissuto per oltre un anno, anche se ne era il re. Sottolineava con energia la precarietà della sua situazione. Aveva perduto anche quel poco di credito che aveva in passato. Era uno sconosciuto, privo di amici e di mezzi, quasi del tutto alla mercé della carità altrui. Il Signore del Fiume sbucò da un boschetto di fianco al sentiero, affiancato da una mezza dozzina di guardie. Alto e snello, con la strana pelle coperta di scaglie che scintillava di un lucore argenteo nei punti in cui traspariva dalla veste verde bosco, il signore delle fate della regione dei laghi avanzava con passo deciso. Il suo viso duro e ben cesellato non lasciava trasparire una grande disponibilità. Il suo comportamento, di solito calmo e imperturbabile, sembrava brusco. Disse qualcosa alla guida in un dialetto che Ben non riconobbe, ma non era possibile fraintendere il tono. La guida si affrettò a indietreggiare, con il piccolo corpo irrigidito, distogliendo lo sguardo. Il Signore del Fiume fronteggiò Ben. Il diadema d'argento sulla sua fronte splendeva opaco di acqua piovana quando alzò la testa. Peli neri e ispidi gli crescevano sulla
nuca e sulle braccia. Non ci sarebbero stati preliminari.-Chi è lei?-domandò.-Che cosa fa qui? Ben aveva previsto una certa resistenza, ma niente di simile. Si era aspettato che il Signore del Fiume non lo riconoscesse, ed era abbastanza chiaro che non lo aveva riconosciuto. Ma ciò non spiegava per quale motivo il sovrano di un popolo che un tempo era fatato si comportasse in modo così deliberatamente ostile. Il Signore del Fiume era circondato da guardie, che erano armate. Aveva lasciato indietro i membri della famiglia, mentre prima li aveva sempre riuniti intorno a sé per ricevere le visite. Non aveva atteso che Ben raggiungesse l'anfiteatro, il tradizionale luogo di ricevimento dei visitatori. E la sua voce rifletteva apertamente collera e sospetto. C'era qualcosa di terribilmente sbagliato. Ben inspirò a fondo.-Signore del Fiume, sono io, Ben Holiday-dichiarò, e attese. Negli occhi scuri dell'altro non vi fu nessun lampo di riconoscimento. Lui s'impose di proseguire. -So che non sembro io, ma è perché mi è stato fatto qualcosa. E' stata usata una magia per cambiare il mio aspetto. Il mago che serviva il figlio del vecchio re, quello che aveva abbandonato Landover... nel mio paese si chiama Meeks... è tornato e mi ha privato della mia identità e del trono. E' una storia lunga. Ciò che importa è che ho bisogno del suo aiuto. Devo trovare Willow. Il Signore del Fiume lo fissò, chiaramente sorpreso.-Lei è Ben Holiday? Ben annuì in fretta.-Si, anche se non sembra. Cercherò di spiegarmi. Sono tornato... -No!-il Signore del Fiume lo interruppe con un gesto irritato della mano.-C'è una sola spiegazione che desidero sentire da lei, chiunque sia. Desidero sapere perché ha portato il gatto. Ora toccò a Ben sgranare gli occhi. L'acqua piovana gli scorreva sul viso a rivoletti, e lui la respinse dagli occhi battendo le ciglia.-Il gatto? -Sì, il gatto! Il gatto prismatico, la creatura fatata che è accovacciata vicino a lei... perché l'ha portato qui?-Il Signore del Fiume era un elfo e aveva delle aperture per le branchie proprio sotto il mento, ai lati della gola. In quel momento era tanto agitato che gli opercoli fremevano in modo incontrollabile. Sorpreso, Ben lanciò un'occhiata a Dirk, che era accovacciato a circa tre metri di distanza e si leccava le zampe, ostentando un assoluto disinteresse per la conversazione in corso. -Non capisco-rispose alla fine, guardando di nuovo il Signore del Fiume.-Che problema c'è con... -Mi sto spiegando in modo chiaro?-lo interruppe ancora una volta il Signore del Fiume, ormai irrigidito dalla collera. -Be', no, non... -Il gatto, le ho chiesto: che cosa fa qui il gatto? Ben rinunciò al tentativo di essere diplomatico.-Ora mi stia a sentire, il gatto non l'ho portato io; ha deciso lui di venire. Abbiamo un buon accordo di lavoro: io non gli dico dove andare o che cosa fare, e lui non lo dice a me. Quindi perché non la pianta di fare il difficile e mi dice che cosa sta succedendo? L'unica cosa che so dei gatti prismatici è che sanno accendere fuochi da campo e cambiare forma. Evidentemente lei ne sa di più.
Il viso del Signore del Fiume s'irrigidì.-Si. E direi che anche il sovrano di Landover dovrebbe preoccuparsi di sapere!-Avanzò di un passo.-Lei sostiene ancora di essere l'Alto Signore, non è vero? -Senza il minimo dubbio. -Anche se non somiglia affatto a Ben Holiday, se indossa abiti da contadino e viaggia senza scorta né stendardo? -Ho spiegato tutto quello che... -Si, si, si!-Il Signore del Fiume scosse la testa.-Se non altro ha la sfrontatezza dell'Alto Signore. Parve riflettere un attimo sulla questione, senza dire niente. Le guardie intorno a lui e la guida rimproverata sembravano statue. Ben attendeva con impazienza. Una manciata di facce apparve dietro i tronchi degli alberi circostanti, materializzandosi fra la pioggia e la penombra. Il popolo del Signore del Fiume cominciava a incuriosirsi. Alla fine, il Signore del Fiume si schiarì la gola.-Molto bene. Non accetto che lei sia l'Alto Signore di Landover, ma chiunque sia, mi permetta di spiegarle alcune cose sulla creatura con la quale viaggia. Primo, i gatti prismatici sono creature fatate, autentiche creature fatate, non esuli ed emigranti come il popolo della regione dei laghi. I gatti prismatici non si vedono quasi mai al di fuori della zona delle nebbie. Secondo, di solito non si accompagnano agli esseri umani. Terzo, sono assolutamente imprevedibili, nessuno pretende di capire del tutto quello che hanno in mente. E quarto, ogni volta che si mettono in viaggio, portano guai. E' stato fortunato a entrare a Elderew in compagnia di un gatto prismatico. Se avessi saputo che viaggiava con uno di loro, quasi certamente l'avrei tenuta fuori. Ben sospirò stancamente, poi annuì. A quanto pareva, le superstizioni nei confronti dei gatti non erano limitate al suo mondo.-D'accordo, prometto di tenerlo a mente per il futuro-rispose, sforzandosi di cancellare l'irritazione dal suo tono.-Ma resta il fatto che lei non ha tenuto fuori me o il gatto, quindi siamo qui e che lei creda o no che io sono l'Alto Signore di Landover non conta un accidente. Ho ancora bisogno del suo aiuto se... Una raffica improvvisa di vento lo investì in faccia, e lui non riuscì a dire quello che voleva. S'interruppe, rabbrividendo nei vestiti freddi e umidi.-Pensa che potremmo continuare la discussione in un posto asciutto?-chiese piano. L'altro lo studiò in silenzio, senza cambiare espressione. -Signore del Fiume, sua figlia potrebbe essere in grave pericolo-sussurrò Ben.-La prego! Il Signore del Fiume continuò a osservarlo ancora per un istante, poi gli fece segno di seguirlo. Con un gesto della mano congedò la guida. Le facce degli abitanti che spiavano scomparvero con altrettanta rapidità. Percorsero un breve tratto fra gli alberi fino a un riparo simile a un gazebo formato da abeti rossi potati, mentre le guardie li seguivano attenti. Un paio di panchine erano disposte l'una di fronte all'altra all'interno del gazebo, intorno a un largo ceppo cavo trasformato in un vaso da fiori. Il Signore del Fiume sedette su una panca, e Ben prese posto sull'altra. La pioggia
continuava a cadere intorno a loro, un lieve tamburellio costante sugli alberi e sul terreno della foresta, ma dentro il riparo si stava all'asciutto. Dirk apparve, saltò sulla panca accanto a Ben, si accovacciò con tutt'e quattro le zampe nascoste e chiuse gli occhi come insonnolito. Il Signore del Fiume guardò il gatto con rinnovata irritazione, poi squadrò ancora una volta Ben.-Dica quello che vuole-lo invitò. Ben gli raccontò tutta la storia. Sentiva che non aveva niente da perdere a farlo. Gli parlò dei sogni, dei viaggi intrapresi da Questor, da Willow e da lui, della scoperta dei libri di magia scomparsi, dell'apparizione inattesa di Meeks, del furto della sua identità e del medaglione, e del suo esilio da Sterling Silver. Il Signore del Fiume ascoltò senza fare commenti. Stava seduto lì come se fosse una statua di pietra, immobile, gli occhi fissi in quelli di Ben. Ben finì il racconto, e il signore del popolo della regione dei laghi rimase indifferente come una statua. -Non so che altro dirle-concluse Ben. Il Signore del Fiume rispose con un cenno del capo quasi impercettibile, ma continuò a tacere. -Mi ascolti-lo pregò Ben.-Devo trovare Willow e avvertirla che il sogno dell'unicorno nero è stato mandato da Meeks, e non penso di poterlo fare senza il suo aiuto.-Fece una pausa, si rammentò all'improvviso di una verità che trovava ancora difficile ammettere, anche con se steso.-Willow significa molto per me, Signore del Fiume. Io le voglio bene; lei deve saperlo. Ora mi dica: è stata qui? Il Signore del Fiume si strinse addosso il mantello verde bosco. L'espressione dei suoi occhi era distante.-Penso che forse lei è quello che sostiene di essere-disse a bassa voce. -Penso che forse è l'Alto Signore. Forse. Si alzò, lanciò un'occhiata dal gazebo alle guardie che li circondavano, fece segno a tutti tranne uno di allontanarsi e si avvicinò a Ben. Si chinò, con lo strano viso simile al legno vicinissimo a quello di Ben.-Alto Signore o impostore, ora mi dica la verità: come si è trovato a viaggiare insieme a questo gatto? Ben s'impose di restare calmo.-E' stato un puro caso. Ieri notte il gatto mi ha incontrato ai margini della regione dei laghi e mi ha suggerito che la sua compagnia poteva essermi utile. Sto ancora aspettando di scoprire se è vero. Abbassò gli occhi per un attimo su Dirk, quasi aspettandosi che il gatto confermasse quello che lui aveva detto. Ma Dirk se ne stava lì accovacciato con gli occhi chiusi e non disse niente. D'improvviso Ben si rese conto che il gatto non aveva pronunciato una parola da quando erano arrivati a Elderew. Si chiese perché. -Mi dia la mano-disse all'improvviso il Signore del Fiume. Abbassò la sua e strinse forte quella di Ben.-C'è un solo modo per mettere alla prova la sincerità della sua rivendicazione. Ricorda la prima volta che è venuto a Elderew e abbiamo camminato da soli per il villaggio e parlato della magia del popolo della regione dei laghi?-Ben annuì.-Si ricorda che cosa le ho mostrato di magico? La pressione della stretta sembrava quella di una sbarra di ferro. Ben fece una smorfia, ma non tentò di sottrarsi.-Lei ha toccato un cespuglio colpito dalla ruggine e lo ha guarito- rispose, tenendo gli occhi fissi in quelli dell'altro.-Stava cercando di dimostrarmi per quale motivo il popolo della regione dei laghi poteva cavarsela da
solo. Dopo di che, ha rifiutato di giurare obbedienza al trono.-Fece una pausa deliberata. -Ma poi l'ha giurata, Signore del Fiume, e l'ha giurata a me. Il Signore del Fiume lo studiò per un momento, poi lo rimise in piedi senza sforzo.Ho detto che lei potrebbe essere Ben Holiday-sussurrò, con il viso duro chino verso di lui.-Lo ritengo possibile.-Mise entrambe le mani di Ben nelle sue. -Non so in che modo il suo aspetto sia stato alterato, ma se la magia l'ha trasformato in quello che è adesso, allora si può usare la magia per ritrasformarla. Io possiedo il potere di risanare quasi tutto ciò che è malato e turbato. Userò quel potere per aiutarla, se posso.-Le mani squamose strinsero più forte quelle di Ben.-Resti dov'è e non si muova. Ben inspirò in fretta. La stretta del Signore del Fiume lo scaldava, e il viso scolpito nel legno si chinò nella penombra. Ben attese. Il respiro dell'altro rallentò e un calore improvviso si diffuse nel corpo di Ben. Lui rabbrividì a quella sensazione ma rimase immobile. Infine il Signore del Fiume indietreggiò. Nei suoi occhi scuri c'era una punta di confusione.-Mi dispiace, ma non posso aiutarla-disse infine.-E' vero che è stata usata la magia per alterare il suo aspetto, ma la magia non è opera di un altro, è opera sua. Ben rimase sbalordito.-Che cosa? -Lei ha fatto di se stesso quello che è ora-rispose l'altro. -Dev'essere lei a operare di nuovo la trasformazione. -Ma questo non ha senso!-proruppe Ben.-Io non ho fatto niente per cambiare il mio aspetto... è stato Meeks! L'ho visto io. Ha rubato il medaglione dei re di Landover e mi ha dato... questo! Estrasse di scatto dalla tunica l'immagine brunita di Meeks e la tese con un gesto d'ira, quasi per staccarla dalla catena. Il Signore del Fiume la esaminò per un attimo, la toccò a titolo di esperimento, poi scosse la testa.-L'immagine incisa qui è offuscata allo stesso modo del suo aspetto. La magia in atto è ancora una volta opera sua. Ben irrigidì le mascelle, e si riprese di scatto il medaglione. Il Signore del Fiume parlava per enigmi. Qualunque magia fosse in atto, non era davvero opera di Ben. Il Signore del Fiume era in errore o si lasciava trarre in inganno... oppure cercava di confondere Ben di proposito, perché non si fidava ancora di lui. Il Signore del Fiume parve leggergli nel pensiero. Si strinse nelle spalle.-Mi creda oppure no, la scelta è sua. Ciò che le dico è ciò che vedo.-Fece una pausa.-Se questo nuovo medaglione che porta le è stato dato dal suo nemico, forse dovrebbe liberarsene. C'è qualche ragione per tenerlo? Ben sospirò.-Meeks mi ha detto che il medaglione serviva a tenerlo informato di quello che facevo. Mi ha ammonito che una certa magia impedisce di toglierlo, una magia che potrebbe uccidermi. -Ma è proprio vero?-chiese l'altro.-Forse il mago ha mentito. Ben esitò prima di rispondere. Aveva già preso in considerazione quella possibilità. Dopo tutto, perché doveva credere a tutto quello che Meeks gli aveva detto? Il problema era che non esisteva un modo di mettere alla prova la verità senza rischiare la vita. Sollevò davanti a sé il medaglione, con aria incerta.-Ci ho riflettuto...-cominciò.
In quel momento, con la coda dell'occhio, vide Edgewood Dirk stirarsi. Il gatto alzò la testa, e gli occhi verdi si aprirono di colpo. Era quasi come se il gatto si fosse riscosso dal suo stato semicomatoso al preciso scopo di vedere quello che Ben avrebbe fatto. Gli strani occhi erano fissi e intenti. Ben esitò, poi fece scivolare di nuovo il medaglione sotto la tunica, lentamente.-Penso che forse dovrei pensarci ancora un po'- concluse. Gli occhi di Dirk si richiusero, il muso nero si abbassò. La pioggia scrosciò insistente nel silenzio momentaneo, e un lungo rombo di tuono echeggiò sulla regione dei laghi da un punto lontano a oriente. Ben provò uno strano misto di frustrazione e di collera. Che razza di gioco stava facendo il gatto, adesso? Il Signore del Fiume tornò verso l'altra panca e rimase in piedi.-A quanto pare non posso aiutarla, dopo tutto-osservò.-Penso che fareste meglio ad andarvene, lei e il gatto. Ben si vide sfuggire ogni possibilità di aiuto. Si affrettò ad alzarsi.-Mi dica almeno dove posso trovare Willow-implorò.-Mi ha detto che sarebbe venuta qui nella regione dei laghi per scoprire il significato del sogno. Certamente sarà venuta a chiedere aiuto a lei. Il Signore del Fiume lo studiò in silenzio per un attimo, meditando dentro di sé verità nascoste a Ben, poi scosse lentamente la testa.-No, Alto Signore o impostore, chiunque lei sia. Non sarebbe venuta da me. Fece per girare di nuovo intorno al ceppo, poi si fermò. Il vento gli gonfiò il mantello, e lui se lo strinse addosso per tenere lontano il gelo della pioggia.-Io sono il padre, ma non è a me che chiederebbe aiuto in caso di necessità. Non è mai stato così. Io ho avuto molti figli, da molte mogli. Ad alcuni sono più vicino che ad altri. Willow non mi è mai stata vicina. Somiglia troppo alla madre, una creatura selvaggia che cerca soltanto di spezzare i legami, non di stringerli. Nessuna delle due cerca la mia compagnia; nessuna delle due lo ha mai fatto. La madre venne a me una volta sola, poi scomparve di nuovo nella foresta... Lasciò la frase in sospeso, turbato.-Non ho mai conosciuto il suo nome-riprese dopo un attimo.-Una ninfa dei boschi, nient'altro che un soffio di seta e di luce, mi abbagliò al punto che i nomi non ebbero alcuna importanza per quell'unica notte. L'ho perduta senza averla mai avuta veramente. Ho perduto Willow, credo, a causa dell'effetto che questo ha avuto su di me. Nutrivo rancore verso la madre per la sua libertà, e Willow è stata costretta a vivere con la mia collera e il mio risentimento. Questo l'ha allontanata pian piano da me, e non c'è stato rimedio. Amavo tanto sua madre che non riuscivo né a perdonare né a dimenticare quello che mi aveva fatto. Quando ho dato a Willow il permesso di vivere a Sterling Silver, ho reciso l'unico legame che ancora ci univa. Lei è diventata per sempre padrona di se stessa, e ha cessato di essere mia figlia. Ora mi considera un uomo che ha più figli di quanti possa amare di affetto paterno. Ha deciso di non essere una di loro. Volse la testa, perso forse nei ricordi. La sua confessione era strana, pensò Ben, espressa in modo semplice e franco, ma senza traccia di emozione. Non c'era stata nessuna inflessione nella voce del Signore del Fiume, nessuna espressione sul suo viso. Willow significava molto per lui, eppure non riusciva a dimostrarlo: sapeva
soltanto esporre i fatti. Questo indusse Ben a interrogarsi sui propri sentimenti per la silfide e a chiedersi quali fossero. Il Signore del Fiume guardò la pioggia per qualche istante, immobile, silenzioso, poi scrollò le spalle.-Sono riuscito a guarire tanti mali, ma non quello-disse piano.-Non sapevo come.-All'improvviso guardò di nuovo Ben, e fu come se lo vedesse per la prima volta.-Perché mai racconto questo a lei?-sussurrò sorpreso. Ben non ne aveva idea. Rimase in silenzio mentre il Signore del Fiume lo fissava come se fosse sconcertato dalla sua stessa presenza. Poi il signore del popolo della regione dei laghi parve liquidare semplicemente la questione. La sua voce divenne piatta e fredda.-Spreca il suo tempo con me. Willow andrà dalla madre. Andrà ai vecchi pini e danzerà. -Allora la cercherò laggiù-disse Ben. Si alzò in piedi. Il Signore del Fiume lo guardò in silenzio. Ben esitò.-Non c'è bisogno che mandi una guida con me. Conosco la strada. Il Signore del Fiume annuì, sempre in silenzio. Ben si avviò, percorse una dozzina di passi fuori del riparo, si fermò e si voltò. L'unica guardia rimasta era scomparsa fra gli alberi. I due uomini erano soli.-Vuole venire con me?-chiese d'impulso Ben. Ma il Signore del Fiume fissava di nuovo la pioggia, perso nel suo opaco lucore argenteo, perso nel suo tamburellio. Le branchie sul suo collo rallentarono fino a pulsare in modo quasi impercettibile. Il viso duro e scolpito sembrava privo di vita. -Non la sente-disse all'improvviso Edgewood Dirk. Ben guardò in basso, sorpreso, e trovò il gatto ai suoi piedi.-E' entrato in se stesso per scoprire dov'è stato. A volte accade, dopo che si è rivelato un segreto gelosamente custodito per tanto tempo. Ben si accigliò.-Gelosamente custodito? Ti riferisci a quello che ha detto di Willow? Di sua madre?-L'espressione accigliata si accentuò mentre s'inginocchiava vicino al gatto. -Dirk, perché mi ha confidato tutto questo? Non è neppure sicuro della mia identità. Dirk lo guardò dal basso.-A questo mondo esistono molte forme di magia, Alto Signore. Alcune si manifestano su larga scala, altre su scala ridotta. Alcune agiscono sul fuoco, sulla forza fisica e sul cuore... e altre agiscono sulla rivelazione. -Sì, ma perché? -Mi ascolti, Alto Signore. Mi ascolti!-La voce di Dirk era un sibilo.-Sono così pochi gli esseri umani che ascoltano ciò che un gatto ha da dire. Quasi tutti ci parlano e basta. Ci parlano perché siamo dei buoni ascoltatori, vede. Trovano conforto nella nostra presenza. Noi non mettiamo in dubbio e non giudichiamo, ascoltiamo semplicemente. Loro parlano, e noi ascoltiamo. Ci dicono tutto! Ci rivelano i loro pensieri e sogni più segreti, cose che non direbbero a nessun altro. A volte, Alto Signore, fanno tutto questo senza nemmeno capire perché! Tacque di nuovo, e d'un tratto Ben si rese conto che Dirk non parlava in termini generali, ma molto definiti. Non parlava di tutti, ma di una persona ben precisa. I suoi occhi si sollevarono, posandosi sulla figura solitaria del Signore del Fiume. E allora pensò di colpo a se stesso. -Dirk, che cosa...?
-Shhh!-Il gatto lo zittì.-Rispetti il silenzio, Alto Signore. Non lo disturbi. Ascolti la sua voce, se ne è capace, ma lo rispetti. Il gatto si allontanò lentamente fra gli alberi, scegliendo il percorso con cautela sul terreno della foresta umido e imbevuto d'acqua. La pioggia cadeva in una cortina fitta dal cielo rannuvolato da un orizzonte all'altro, un soffitto grigio sostenuto dagli alberi come un baldacchino. Il silenzio riempiva i vuoti lasciati dal suono della pioggia, avvolgendo la città di Elderew, le case e i sentieri di alberi, i passaggi e i parchi, e il vasto anfiteatro deserto che si profilava dietro la figura ancora immobile del Signore del Fiume. Ben ascoltò, come gli aveva suggerito Dirk, e gli parve quasi di sentir parlare il silenzio. Ma che cosa gli stava dicendo? Che cos'era che lui avrebbe dovuto imparare? Scosse la testa, disperato. Non lo sapeva. Dirk era scomparso nella foschia davanti a lui, un'ombra grigio pallido. Rinunciando allo sforzo di ascoltare meglio Ben si affrettò a seguirlo. CAPITOLO 8 La danza Che ci fosse qualcosa di straordinariamente insolito in Edgewood Dirk, non era più oggetto di dubbio per Ben Holiday. Si poteva obiettare che tutti i gatti avevano qualcosa di speciale e quindi non doveva essere una sorpresa che un gatto uscito dal mondo delle fate si rivelasse ancor più speciale del felino medio, ma Ben non era d'accordo. Il genere di particolarità sfoggiato da Dirk andava molto al di là di qualsiasi altra che s'incontrasse in... oh, diciamo, Alice nel Paese delle Meraviglie oppure Dick Whittington. Dirk conferiva a quella parola tutto un significato nuovo, e l'aspetto più preoccupante era il fatto che, per quanto Ben tentasse, non riusciva a decifrare quello che la bestia aveva in mente! In breve, chi era quel gatto, e che cosa faceva insieme a Ben? Lui avrebbe gradito molto trovare risposte immediate alle sue domande, ma il tempo non lo permetteva. Ancora una volta era il gatto a guidare il cammino - da quella bestia presuntuosa che era - e lui era costretto ancora una volta ad affrettarsi per tenergli dietro. La pioggia gli sferzava il viso con un temporale sempre più intenso, e il vento soffiava a raffiche gelide. La sera si stava avvicinando e il tempo peggiorava sempre più. Ben era fradicio, infreddolito, affamato e scoraggiato, nonostante la decisione di proseguire, e si ritrovò a desiderare ardentemente un letto caldo e vestiti asciutti. Ma era improbabile che trovasse l'uno o gli altri, in quel momento. Già il Signore del Fiume tollerava appena la sua presenza, e lui doveva sfruttare il tempo che gli restava per tentare di trovare Willow. Attraversò la città di Elderew, a testa china per ripararsi, una delle tante ombre senza volto del crepuscolo, poi si addentrò nella foresta che si stendeva al di là. Le luci delle case scomparvero alle sue spalle e l'oscurità si chiuse intorno a lui in una cortina umida, fradicia di pioggia. Bioccoli di nebbia fluttuavano accanto a lui come code di aquiloni staccatisi dal corpo alato, sfiorandolo e strofinandosi contro di lui, addensandosi in banchi sempre più fitti. Ben ignorò tutto e continuò a marciare. Era andato tanto spesso fino ai vecchi pini da saper ritrovare la strada anche con gli occhi bendati.
Qualche istante dopo arrivò nella radura, alcuni passi indietro rispetto a Edgewood Dirk. Si guardò attorno in attesa, ma non c'era niente da vedere. La radura era deserta, circondata da un anello di vecchi pini, antiche sentinelle della foresta, umidi e freddi come il resto della regione. Si guardò attorno per un attimo in cerca di impronte o altri segni del passaggio di Willow, ma non c'era niente che indicasse se la silfide era stata li oppure no. Edgewood Dirk fece una volta il giro della radura, fiutando il terreno, poi si ritirò al riparo dei rami allargati di un pino e si accovacciò con aria schizzinosa.-E' stata qui due notti fa, Alto Signore-dichiarò.-E' rimasta seduta vicino al punto in cui si trova lei adesso mentre sua madre danzava, poi ha lasciato che avvenisse il cambiamento. Se n'è andata all'alba. Ben fissò sbalordito il gatto.-Come fai a sapere tutto questo? -Un buon fiuto-rispose Dirk in tono sdegnoso.-Dovrebbe affinarlo. Può dirle ogni sorta di cose che altrimenti le sfuggirebbero. Il mio naso mi dice sempre quello che gli occhi non sanno dire a lei. Ben si avvicinò e andò ad accovacciarsi davanti al gatto, ignorando l'acqua che sgocciolava dai rami del pino e gli scorreva sul viso a rivoletti.-Il naso ti dice dov'è andata adesso? -No-rispose il gatto. -No? -Mi fa l'eco senza motivo-sbuffò Dirk. -Ma se il naso ti ha detto tutto il resto, come mai non può dirti questo?-chiese Ben.-Il tuo naso è sempre così selettivo? -Il sarcasmo non le si addice, Alto Signore-lo ammonì Dirk, inclinando leggermente la testa.-Inoltre, merito di meglio. Dopo tutto, sono il suo unico compagno e sostegno in questa impresa. -Il che richiede qualche spiegazione, potrei sottolineare- lo interruppe Ben.-Tu insisti a stuzzicarmi con quello che sai, poi mi dici soltanto quello che ti pare. Mi rendo conto che, essendo un gatto, hai una scusa perfettamente valida per questo comportamento, ma spero di riuscire a farti capire quanto questo sia esasperante per me!-Stava per perdere la calma, e cominciava ad alzare la voce.-Ti ho chiesto semplicemente come hai potuto stabilire che Willow è stata qui, che sua madre ha danzato per lei, che si è trasformata, mentre non sei in grado di dirmi dove... -Non lo so. -...potrebbe essere andata dopo aver lasciato... Cosa? Non lo sai? Non sai che cosa? -Non so perché non lo so. Ben rimase ancora una volta esterrefatto. -Dovrei essere in grado di leggere il suo passaggio nella radura, ma non ci riescoconcluse Dirk con calma.-E' come se fosse stato cancellato di proposito. Ben dedicò un momento a meditare su quella nuova informazione, poi scosse la testa.-Ma perché avrebbe dovuto nascondere dove andava? Dirk non rispose. Invece, sibilò piano in segno di avvertimento e si alzò di nuovo. Ben si alzò insieme a lui e si voltò. La figura scura del Signore del Fiume riemerse
dalla nebbia, attraversando a lunghe falcate la radura fino al punto in cui Ben attendeva. Era solo. -Willow è stata qui?-chiese bruscamente. Ben esitò, poi annuì.-E' venuta e se n'è andata. Il gatto dice che la madre ha danzato per lei due notti fa. Un lampo di collera si riflesse negli occhi dell'elfo, ma lui la dominò in fretta.-Era naturale che si mostrasse alla figlia- mormorò.-Hanno quel legame in comune. La danza doveva rivelare la verità alla maniera delle fate, mostrare ciò si cercava...Lasciò la frase in sospeso, come se pensasse a qualcos'altro, poi si raddrizzò.-Ha accertato dov'è andata, Alto Signore? Ben esitò di nuovo, stavolta per la sorpresa oltre che per prudenza. Il Signore del Fiume lo aveva chiamato Alto Signore. Aveva forse deciso di accettare la rivendicazione di Ben? Ben incontrò il suo sguardo fermo.-La sua pista ci è stata nascosta-rispose.-Nascosta di proposito, dice il gatto. Il Signore del Fiume lanciò una rapida occhiata a Dirk, accigliandosi.-Forse.-Il suo viso ben cesellato si rivolse bruscamente a Ben.-Ma a mia figlia manca la malizia e a sua madre mancano i mezzi. L'occultamento, ammesso che ci sia proviene da un'altra fonte. C'è chi è disposto ad aiutarla senza dirmelo. C'è qualcuno.-L'ira avvampò nei suoi occhi, poi scomparve. -Comunque, importa poco. In ogni caso ho i mezzi per trovarla, e per trovare qualunque altra cosa desideri. Si volse di scatto, brontolando.-Il tempo vola. La pioggia e il buio ostacoleranno già i miei sforzi. Devo agire in fretta, se voglio ottenere dei risultati.-Nella sua voce c'era un tono di urgenza e di decisione.-Non permetterò che si facciano questi giochi alle mie spalle. Scoprirò il significato del sogno dell'unicorno nero e delle briglie d'oro, e lo scoprirò che Willow e sua madre lo vogliano o no! Scomparve di nuovo nella foresta in un lampo, senza curarsi di vedere se Ben lo seguiva. Non avrebbe dovuto preoccuparsene. Ben era alle sue calcagna. Edgewood Dirk rimase indietro sotto i rami del pino e li guardò allontanarsi. Un attimo dopo, cominciò a leccarsi. Il Signore del Fiume aveva subito una trasformazione così totale che Ben riusciva a stento a riconoscerlo. Un momento prima non provava il minimo interesse per la faccenda della figlia e dell'unicorno nero, un momento dopo era ansioso di scoprire la verità al più presto. Riattraversò la foresta fino ai margini della città, chiamando le guardie mentre procedeva. Membri del suo seguito comparivano da ogni dove, fermandosi per un attimo al suo fianco per ricevere istruzioni, poi tornavano a dileguarsi nella notte. Come ombre, arrivavano e scomparivano di nuovo, un susseguirsi di elfi, silfidi, naiadi e altri, appendici temporanee e mute della figura cupa del loro sovrano. Il Signore del Fiume parlava in modo rapido e conciso, poi si allontanava da ognuno di loro, senza mai rallentare il passo. Costeggiò quasi furtivamente i confini della vera e propria Elderew per addentrarsi di nuovo nella foresta. Ben lo seguiva, quasi dimenticato. I minuti volarono mentre si addentravano fra gli alberi della foresta, ormai a est e a nord della città. L'oscurità della notte si era chiusa su di loro così strettamente che non si vedeva niente oltre una decina di metri. La pioggia li investiva a scrosci, un
diluvio incessante che non accennava a diminuire. Il tuono risuonava dal cielo in lunghi rombi, e i fulmini squarciavano le nuvole in lontananza. Il temporale non aveva ancora raggiunto l'apice, il peggio doveva ancora venire. Il Signore del Fiume pareva indifferente. La sua concentrazione era assoluta. Ben cominciava a chiedersi che cosa stava succedendo e a sentirsi a disagio. Poi sbucarono dagli alberi in un'ampia radura in discesa, che si stendeva in basso fino a un enorme lago alimentato da un paio di fiumi all'estremità opposta. I fiumi, gonfi di acqua piovana, si gettavano attraverso gole rocciose formando cascate che precipitavano da alti massi ancorati da massicci gruppi di quegli alberi simili a sequoie giganti. Il lago era agitato da quel pompaggio, e il bagliore di ogni nuovo fulmine danzava e scintillava mescolandosi alla luce delle torce sospese a staffe disposte per tutta la lunghezza e la larghezza delle colline in archi sempre più ampi, che illuminavano tutto il pendio. Ben rallentò il passo e scrutò l'oscurità. Pareva che tutto il popolo della regione dei laghi fosse presente: o erano solo in pochi, in mezzo all'enorme numero di torce? Il vento gli sferzava gli occhi con la pioggia, e lui non avrebbe saputo decidere. Il Signore del Fiume si volse, vide che lui era ancora lì, e gli fece segno di avanzare fino a una cornice di roccia che sporgeva dal fianco della collina sovrastando i fiumi, il lago e le file ricurve di torce. La furia del temporale si abbatté su di loro mentre stavano in piedi sulla piattaforma priva di riparo, schiacciati l'uno contro l'altro, e le loro parole si perdevano quasi nell'ululato del vento. -Mi ascolti, ora, Alto Signore!-gridò il Signore del Fiume, col suo strano viso scolpito a pochi centimetri da quello di Ben.-Non posso ordinare alla madre di Willow di danzare per me come ha fatto per sua figlia, ma posso ordinarlo alle sue simili! Scoprirò i segreti che mi vengono celati! Ben annuì in silenzio. Negli occhi dell'altro c'era una frenesia che non aveva mai visto prima, una frenesia che sapeva di passione. Il Signore del Fiume fece un segnale, e dall'oscurità emerse un essere scheletrico, una creatura così sparuta che sembrava fatta di ramoscelli secchi. Una veste di lana ruvida gli pendeva sul corpo, sferzata dal vento, e capelli verdi come barbe di granturco scendevano dalla sommità della testa fino alla nuca, simili ai peli che gli correvano lungo la spina dorsale e il dorso delle braccia e delle gambe. Il suo viso sembrava formato da una serie di fessure incise nel legno del viso. Teneva in mano un flauto di canna. -Suona!-ordinò il Signore del Fiume, abbracciando con un gesto della mano il pendio della valle.-Chiamale! La creatura scheletrica si accosciò sul terreno inzuppato d'acqua, si accoccolò con le gambe incrociate sotto il corpo e portò il flauto alle labbra. La musica cominciò in sordina, una cadenza dolce e cantilenante che s'insinuava nei cavi di momentaneo silenzio lasciati dagli intervalli di tregua nell'ululato profondo del vento. Si mescolava e si fondeva con i suoni della tempesta, aprendosi la strada nel suo ordito come un filo intessuto a mano. Aveva la consistenza della seta, liscia e fluida, e avviluppava gli ascoltatori come una coperta. Fluttuava in basso lungo il pendio, e nell'aria si avvertì qualcosa che cambiava.
-Sente?-disse il Signore del Fiume all'orecchio di Ben, esultante. Il suonatore di flauto aumentò gradualmente il timbro, e il suono si levò più alto nella furia del temporale. Pian piano trascese il buio, l'umidità e il gelo, e tutto ciò che li circondava cominciò a cambiare. L'ululato del vento diminuì come se fosse smorzato da una coltre, il gelo cedette il posto al calore, e la notte si rischiarò come se fosse già arrivata l'alba. Ben si sentì sollevare come su un cuscino d'aria. Batté le palpebre, incredulo. Tutto intorno a lui stava cambiando: forma, sostanza, tempo, tutto. Nella musica c'era una magia più grande di quante ne aveva incontrate fino ad allora, un potere che alterava perfino la grande forza della natura. La luce delle torce si ravvivò come se le fiamme avessero ricevuto nuova vita, e il pendio fu illuminato dal loro bagliore. Ma c'era anche un bagliore nuovo, un bagliore che restava sospeso nell'aria notturna come una luminescenza. S'irradiava sul pendio e in basso fino alle acque del lago. Le acque si erano placate, il loro moto disordinato si era appianato come la mano di una madre liscerebbe i capelli arruffati di un bambino addormentato. Il bagliore danzava ai margini dell'acqua, come un essere vivente. -Laggiù, Alto Signore, guardi!-incalzò il Signore del Fiume. Ben guardò. Frammenti e sprazzi del bagliore avevano cominciato a prendere forma. Danzando, piroettando, sollevandosi alla luce delle torce, avevano cominciato ad assumere la forma di creature fatate. Esseri lievi e aerei, traevano forza dalla luminosità e dalla musica del flauto per prendere vita. Ben le riconobbe all'istante. Erano ninfe dei boschi, proprio come la madre di Willow... creature simili a bimbi, inconsistenti come fumo. Gambe e braccia scure come noci balenavano e scintillavano, capelli ricadevano lunghi fino alla cintola, volti minuscoli si levavano verso l'alto. Ne apparvero a dozzine, come spuntate dal nulla, e danzarono e volteggiarono sulle rive del lago di specchio come in un caleidoscopio di movimenti. La musica s'intensificò. Il bagliore irradiava il calore di un giorno estivo, e nella sua luminosità cominciarono ad apparire dei colori, tinte dell'arcobaleno che si mescolavano e si spandevano come pennellate di un pittore sulla tela. Sagoma e forma si alterarono, e Ben si sentì trasportare in un altro tempo e in un altro luogo. Era di nuovo giovane, e il mondo era tutto nuovo. La sensazione di librarsi che aveva provato poco prima si accentuò, e lui cominciò a fluttuare libero dalla terra, libero dalla forza di gravità. Il Signore del Fiume e il suonatore di flauto fluttuavano insieme a lui, simili a uccelli, sull'onda di suono e di colore. Le ninfe dei boschi danzavano ancora sotto di lui, volteggiando con un nuovo entusiasmo nel chiarore, nell'aria. Si allontanavano piroettando dalla riva verso il largo, sfiorando senza peso le acque del lago immobile, con le figure minuscole che toccavano appena la superfici di specchio. Pian piano si raccolsero al centro del lago, formarono schemi intricati unendosi e separandosi di nuovo, unendosi e separandosi. Sopra di loro, cominciò a prendere forma nell'aria un'immagine. -Ecco che arriva!-sussurrò il Signore del Fiume da un punto così distante che Ben riuscì a udirlo a stento. L'immagine divenne chiara, ed era Willow. Era sola in riva a un lago - quello stesso lago - e teneva in mano le briglie d'oro che aveva visto in sogno. Era vestita di seta
bianca e la sua bellezza era tanto radiosa da eclissare perfino quella creata dalla musica del suonatore e dalla danza delle ninfe dei boschi. Radioso di vita, il suo viso si levò sullo sfondo dei colori che le turbinavano attorno, e le lunghe trecce verdi si sciolsero al mormorio del vento. Teneva le briglie protese in avanti, come se fossero un dono, e aspettava. Attento! ammonì d'improvviso una voce, una voce così flebile da andare quasi perduta nel turbinio della visione. Ben staccò per un attimo gli occhi da Willow. Da una distanza apparentemente impossibile, laggiù in basso, Edgewood Dirk lo stava fissando. -Cosa c'è che non va?-riuscì a chiedere Ben. Ma la domanda andò perduta in modo irreparabile in quello che accadde subito dopo. La musica aveva raggiunto un culmine febbrile, così intenso da escludere tutto il resto. Il mondo era scomparso. Esistevano soltanto il lago, il turbinio delle ninfe dei boschi e la visione di Willow. La vista di Ben era sopraffatta da colori dalle sfumature incredibilmente intense, e aveva le lacrime agli occhi. Non aveva mai conosciuto tanta felicità. Aveva l'impressione di essere sul punto di disintegrarsi e di rinascere. In quel momento accadde qualcosa di nuovo in riva al lago, oltre le ninfe e la visione di Willow, qualcosa di incredibilmente bello e al tempo stesso terrificante. Ben udì il grido sommesso del Signore del Fiume. Era un grido di trionfo. Il vortice di suoni e di colori scintillò e si piegò come un tessuto teso, e l'intrusione dall'esterno s'inserì passo a passo nella sua trama. Era l'unicorno nero. Ben rimase senza fiato. Provò un bruciore agli occhi e una sensazione improvvisa, incredibile, di desiderio. Non aveva mai visto niente di così bello come l'unicorno. Perfino Willow nella visione delle ninfe dei boschi non era che una pallida ombra rispetto alla creatura fatata. Il suo corpo delicato sembrava ondeggiare al ritmo della musica e della danza mentre avanzava dal buio nel vortice di colore, e il corno risplendeva bianco per magia. Allora l'avvertimento di Dirk si ripeté, stavolta non più che un ricordo. Attento! -Che cosa sta accadendo?-sussurrò Ben. Il Signore del Fiume si voltò allora verso di lui, girando la testa con un movimento lento. Il viso duro era animato da sentimenti che danzavano sulla superficie cesellata in onde di luce e di colore. Parlò, ma le parole sembravano provenire non dalla sua bocca, bensì dalla mente.-Sarà mio, Alto Signore! Avrò per me la sua magia, e diventerà parte della mia terra e del mio popolo! Deve appartenere a me! Deve! E Ben vide all'improvviso, oltre la cortina di sensazioni piacevoli, oltre la musica e la danza, la verità di quanto il Signore del Fiume affermava. Il Signore del Fiume non aveva convocato il suonatore e le ninfe dei boschi per scoprire qualcosa sulla sorte di Willow o di sua madre. La sua ambizione era molto più grande. Aveva convocato suonatore e ninfe perché gli portassero l'unicorno nero. Aveva usato la musica e la danza per creare l'illusione di sua figlia e delle sue briglie di fili d'oro per attirare l'unicorno sulla riva del lago, dove poteva essere catturato. Il Signore del Fiume aveva sì creduto alla storia di Ben, ma aveva deciso che l'unicorno nero sarebbe
servito ai suoi scopi meglio che a quelli di un re detronizzato e privo di potere. Aveva preso il sogno di Willow per farlo suo. Tutto quell'apparato era una elaborata messinscena di cui il suonatore e le ninfe dei boschi erano gli strumenti. E aveva funzionato, mio Dio! L'unicorno nero era venuto! Ben ora guardava l'unicorno come affascinato, incapace di staccarsene, sapendo che doveva fare qualcosa per impedire ciò che stava per accadere, ma paralizzato dalla bellezza e dall'intensità della visione. L'unicorno splendeva come una scheggia di notte impenetrabile in mezzo al turbinio di colori che lo aveva attirato. Curvò la testa snella al richiamo della musica e lanciò un grido alla vista della fanciulla con le briglie d'oro. Era un'immagine di fiaba tradotta in realtà, e la sua bellezza era irresistibile. Gli zoccoli caprini scalpitarono, la coda leonina si agitò, e l'unicorno avanzò avvicinandosi alla trappola. "Devo fermarlo" provò l'impulso di gridare Ben. E poi il tessuto attraverso il quale l'unicorno nero era passato tanto facilmente parve squarciarsi al centro, più in alto della visione e delle ninfe dei boschi, e s'impose alla vista un incubo scaturito da altre menti e da altre necessità. Era un essere immondo, una creatura fatta di squame e di aculei, di denti e di artigli, alata e ricoperta di un umore nero che emetteva fumo al calore dell'aria. Un incrocio fra serpente e volpe, passò a forza fra la notte e la tempesta e si avventò sul lago, lanciando un grido. Ben si sentì gelare. Aveva già visto quell'essere. Era un demone uscito dal mondo infero di Abaddon, gemello del mostro un tempo montato in battaglia dal Marchio di Ferro. Li assalì come una furia, poi deviò bruscamente scorgendo l'unicorno nero. L'unicorno vide il demone nello stesso istante e lanciò un grido terrificante, acutissimo. Il corno tortile divenne per magia di un bianco incandescente, e l'unicorno balzò di lato mentre il demone gli passava accanto saettando, artigliando l'aria con le unghie. Poi l'unicorno scomparve, fuggendo di nuovo nella notte, con la stessa repentinità con cui era arrivato. Il Signore del Fiume lanciò un urlo di angoscia e di furore. Il demone tornò indietro ed emise fuoco dalle fauci spalancate. Le fiamme avvolsero il suonatore e incenerirono la figura di stecchi. Suoni e colori si dissolsero nella nebbia, e tornò a regnare la notte. L'oscurità tornò a occupare il suo posto mentre la visione di Willow e delle briglie d'oro si dissolveva. Ben si ritrovò sulla sporgenza di roccia accanto al Signore del Fiume, e la furia del temporale li investì di nuovo con tutta la sua forza. Ma le ninfe dei boschi continuarono a piroettare, ancora prese dalla frenesia della danza. Era come se non potessero fermarsi. Tutt'intorno alle rive del lago volteggiavano, minuscole scintille di luce nel buio e nella pioggia. Le torce sfrigolarono e si oscurarono, spente dalla pioggia e dal vento, e rimase soltanto la luce delle ninfe dei boschi sullo sfondo della notte. La luce attirò il demone come un cacciatore verso la preda. Il mostro volteggiava avanti e indietro, spazzando il lago da un capo all'altro, emettendo fiamme dalla gola e riducendo in cenere le danzatrici indifese. Le loro urla mentre morivano erano flebili strilli che mancavano di vera sostanza, e scomparivano come candele spente. Il Signore del Fiume ululava per la
disperazione, ma non poteva salvarle. Morirono una ad una, bruciate vive dal demone che sfrecciava avanti e indietro nella notte come l'ombra della morte. Ben era fuori di sé. Non poteva tollerare quella distruzione, ma non poteva impedirla. Alla fine agì perché l'orrore era troppo intollerabile. Agì senza riflettere, estraendo di scatto dalla tunica il medaglione brunito come avrebbe fatto ai vecchi tempi, brandendolo contro la notte, gridando il suo furore contro il demone alato. Aveva dimenticato per un attimo quale medaglione portava. Il demone si volse e volò verso di lui. Ben si accorse all'improvviso di avere Dirk ai suoi piedi, immobile vicino a lui. Ormai era conscio anche del fatto che attirando l'attenzione su di sé aveva appena firmato la propria condanna a morte. Poi balenò un fulmine, e il demone vide chiaramente il medaglione, Ben Holiday e Edgewood Dirk. La bestia sibilò con la furia del vapore che scaturisce da una spaccatura della terra, e si allontanò bruscamente. Volò via nella notte e scomparve. Ben tremava. Non sapeva che cosa fosse accaduto, sapeva soltanto che per qualche ragione inesplicabile era ancora vivo. In basso, le ultime ninfe dei boschi avevano smesso finalmente di danzare ed erano scomparse di nuovo nella foresta, e l'eclisse di luce della loro fuga aveva fatto ripiombare nel buio tutto il lago e le colline. Vento e pioggia sferzavano il deserto che era rimasto. Ben riuscì a dominare il tremito alle mani. Lentamente, rimise il medaglione sotto la tunica. Bruciava contro la sua pelle. Il Signore del Fiume aveva posato un ginocchio a terra e teneva gli occhi fissi su Ben.-Quella creatura la conosceva!- gridò incollerito. -No, non avrebbe potuto...-cominciò Ben. -Il medaglione!-lo interruppe l'altro.-Conosceva il medaglione! Fra voi c'è un legame che lei non può giustificare!-Si alzò in piedi, con il respiro ridotto a un sibilo aspro. Lei mi ha fatto perdere tutto! Mi è costato l'unicorno! Ha causato la distruzione del mio suonatore e delle ninfe dei boschi. Lei e il suo gatto! L'avevo messa in guardia contro quel gatto! Dovunque compare un gatto prismatico sono guai! Guardi che cosa ha fatto! Guardi che disastro ha provocato! Ben arretrò.-Io non ho... Ma il Signore del Fiume lo interruppe ancora una volta. -Voglio che se ne vada! Non sono più sicuro della sua identità e non me ne importa più. Voglio che se ne vada subito dal mio territorio, e anche il gatto! Se domattina vi trovo ancora qui, vi lascerò nella palude in un posto da cui non riuscirete mai a fuggire! Ora andate! Il furore nella sua voce impediva ogni discussione. Il Signore del Fiume era stato defraudato di qualcosa che desiderava con tutto se stesso e aveva deciso dentro di sé che la colpa era di Ben. Non faceva differenza che le sue esigenze fossero egoistiche o che fosse stato privato di qualcosa a cui non aveva diritto. Non aveva importanza che si fosse servito di Ben per i suoi scopi. Non riusciva a vedere altro che la perdita subita. Ben sentiva dentro di sé un gran vuoto. Si era aspettato di meglio dal Signore del Fiume. Si voltò senza una parola e si allontanò nella notte. CAPITOLO 9
La Madre Terra La pioggia e il freddo trasformarono Ben Holiday in un relitto umano fradicio e scarmigliato mentre tornava faticosamente indietro attraverso la foresta, lasciando il pendio deserto e il Signore del Fiume in collera, e il suo aspetto divenne un riflesso eloquente del suo umore. Il complesso di emozioni che aveva provato grazie alla musica del flauto, alla danza delle ninfe dei boschi, alla visione di Willow e a quello che era seguito, lo lacerava ancora con tutta la crudeltà e la tenacia di un branco di lupi. Sentiva ancora un'eco dell'estasi e della libertà interiore scaturite dalla musica e dalla danza, ma le sensazioni dominanti erano sgomento e orrore. Nella buia solitudine della sua mente sfilavano immagini: il Signore del Fiume, ansioso di catturare l'unicorno nero in modo che la magia potesse essere soltanto sua; quel demone alato, che inceneriva le fragili ninfe dei boschi mentre volteggiavano indifese in riva al lago; se stesso, che istintivamente brandiva l'immagine brunita di Meeks come se fosse un talismano riconoscibile in qualche modo... E forse era stato riconosciuto. Dannazione, che cosa era successo laggiù? Che cosa significava ciò che era accaduto? La creatura alata si era avventata su di lui per distruggerlo, poi era tornata indietro come se avesse urtato contro un muro. Era stato il medaglione, Ben, Edgewood Dirk o forse qualcosa del tutto diverso? Il Signore del Fiume pensava chiaramente che fosse il medaglione. Era convinto che Ben fosse unito al demone - e a Meeks - da qualche sordido legame che proteggeva tutti e tre. Ben rabbrividì. Doveva ammettere quella possibilità. L'immagine di Meeks sarebbe potuta bastare a respingere il demone. Si fermò. Ciò equivaleva a presumere che il demone fosse stato inviato da Meeks, naturalmente. Ma non era forse quella l'unica possibilità plausibile? Non era stato forse Meeks a evocare per primo i demoni di Abaddon, quando il vecchio re era morto? Ben riprese a camminare. Si, doveva essere stato Meeks. Doveva aver mandato il demone perché sapeva che il Signore del Fiume era sul punto di catturare l'unicorno nero, e lui voleva l'unicorno per sé, qualunque fosse la ragione. Ma ciò significava che doveva avere un mezzo per sapere che il Signore del Fiume stava per catturare l'unicorno, e ciò significava a sua volta che il medaglione di Ben avrebbe potuto costituire quel mezzo. Meeks lo aveva ammonito che il medaglione lo avrebbe informato degli spostamenti di Ben. Il medaglione poteva aver fatto esattamente quello. In effetti Ben poteva essere stato il responsabile della distruzione delle ninfe dei boschi. Le urla delle creature fatate morenti echeggiavano ancora negli angoli oscuri della sua mente, come un monito crudele. Finché non erano morte, lui non le aveva nemmeno considerate reali, ma soltanto frammenti di luce con immagini umane sovrimpresse sulla luminosità; snelle, liriche figurine che se fossero cadute si sarebbero infrante come cristalli. L'intera scena si rimescolò nella sua mente, tormentandolo finché alla fine lui respinse tutti i frammenti con violenza. Le domande generavano altre domande, e pareva che non vi fossero risposte per nessuna. La pioggia scendeva con un ritmo
cadenzato, tamburellando, formando pozzanghere tra il fango e l'erba, e correndo lungo il sentiero lui seguiva il corso dei rigagnoli. Si sentiva incalzare dal freddo e dall'oscurità e anelava in modo confuso a un momento di calore, a una scintilla di luce. Camminava, e tuttavia non sapeva bene dove stesse andando. Via, decise. Via dal Signore del Fiume e dalla regione dei laghi, via dall'unica probabilità che aveva di trovare Willow prima di Meeks. I suoi stivali sciaguattavano nel fango e nell'umido. Ma dove poteva andare? All'improvviso si guardò attorno cercando Edgewood Dirk. Dov'era quel dannato gatto? Era sempre lì quando non ne aveva bisogno; dov'era adesso che gli serviva? Dirk pareva sapere sempre da che parte andare. Il gatto pareva sapere sempre tutto. Dirk aveva capito anche che cosa stava cercando di fare il Signore del Fiume con la musica del flauto e la danza delle ninfe dei boschi, pensò Ben mentre rifletteva sugli avvenimenti che si erano appena svolti. "Attento" aveva ammonito il gatto. Comodo. I suoi pensieri presero un'altra strada, e si ritrovò a pensare di nuovo al medaglione. Aveva davvero respinto il demone? Era stata davvero quella la causa della distruzione delle ninfe dei boschi e del suonatore? Lui non poteva vivere con quella convinzione. Forse doveva semplicemente liberarsi di quell'oggetto. E se avesse operato davvero a vantaggio del mago finché Ben lo teneva addosso? Forse era esattamente quello che Meeks voleva. L'ammonimento a non tentare di toglierlo poteva essere una finta. Se lo toglieva, forse si sarebbe liberato del mago. Si fermò di nuovo e infilò la mano sotto la tunica. Strinse le dita intorno alla catena dalla quale pendeva il medaglione e lo estrasse lentamente. Fissandolo nel buio, vedendo l'immagine offuscata da una patina scura brillare ai brevi lampi che intersecavano il cielo della foresta, provò un impulso incredibilmente forte di scagliare lontano da sé quel pezzo di metallo che aveva il potere di turbarlo. Se lo faceva, forse si sarebbe liberato, forse si sarebbe riscattato almeno in parte della distruzione delle ninfe dei boschi. Avrebbe potuto ricominciare da capo. -Ah, mio caro Alto Signore, eccola qui, a vagare nel buio come un opossum cieco. Credevo di averla perduta del tutto. Edgewood Dirk sbucò dagli alberi con il suo passo elegante, il mantello impeccabile lucente di acqua piovana, i baffi leggermente appesantiti dall'umidità. Si diresse verso un tronco caduto e si accovacciò con cura studiata sulla corteccia umida. -Dove sei stato tu?-scattò Ben irritato. Esitò, poi lasciò ricadere il medaglione sotto la tunica. -A cercare lei, naturalmente-rispose con calma Dirk. -Pare che abbia un gran bisogno di attenzioni. -Ah, davvero?-Ben perse le staffe. Era stanco, spaventato, disgustato, e una decina di altri stati d'animo spiacevoli, ma più di ogni altra cosa era stufo di essere trattato come un fantoccio sperduto da quel dannato gatto.-Be', se è mai esistito qualcuno adatto a prendersi cura degli altri, sei tu, non è vero? Edgewood Dirk, custode di anime smarrite. Chi altri possiede un così prodigioso intuito per capire il carattere
umano? Chi altri discerne la verità con tanta ammirevole coerenza? Dimmelo ancora, Dirk, com'è che sai tante cose? Avanti, dimmelo! Come hai fatto a capire prima di me quello che il Signore del Fiume stava architettando? Come facevi a sapere che stava evocando l'unicorno? Per quale motivo hai lasciato che restassi li a partecipare? Probabilmente quelle ninfe dei boschi sono morte per colpa mia! Per quale motivo hai lasciato che accadesse? Il gatto lo fissò intensamente per un attimo, poi cominciò a leccarsi. Ben attese. Dirk sembrava indifferente alla sua presenza. -Ebbene?-disse alla fine Ben. Il gatto alzò gli occhi.-Certo che ha molte domande, non è vero, Alto Signore?-La lingua rosa spuntò dal muso.-Perché continua a rivolgersi a me per le risposte? -Perché sembra che tu le abbia, dannazione! -Quello che sembra e quello che in realtà è sono due cose del tutto diverse, Alto Signore, una lezione che lei deve ancora imparare. Io ho istinto e buon senso; a volte riesco a discernere le cose più facilmente degli esseri umani. Non sono però una riserva infinita di risposte alle domande. C'è differenza.- Starnutì.-Inoltre, lei fraintende ancora una volta la natura dei nostri rapporti. Io sono un gatto e non sono tenuto a dirle niente. Sono il suo compagno in questa avventura, non il suo tutore. Sono qui a mie spese e posso andarmene quando voglio. Non devo rispondere a nessuno, meno che mai a lei. Se desidera risposte alle sue domande, le suggerisco di trovarsele da solo. Le risposte sono tutte li, ammesso che si decida a fare lo sforzo necessario per cercarle. -Avresti potuto mettermi in guardia! -Avrebbe potuto farlo da sé, solo che non se n'è curato. Dovrebbe essermi grato che abbia deciso di intervenire. -Ma le ninfe dei boschi... -Per quale motivo-lo interruppe il gatto-continua a insistere nel chiedere risposte alle quali non ha diritto? Non sono il suo deus ex machina! Ben ingoiò la replica che stava per dare e sgranò gli occhi. Deus ex machina!-Parli il latino?-chiese incredulo. -E leggo il greco-rispose Dirk. Ben assentì, desiderando di poter risolvere almeno in minima parte il mistero del gatto.-Sapevi già che le ninfe dei boschi sarebbero state incenerite?-chiese infine. Il gatto prese tempo prima di rispondere.-Sapevo che il demone non avrebbe distrutto lei. -Perché? -Perché lei è l'Alto Signore. -Un Alto Signore che nessuno riconosce, però. -Un Alto Signore che non riconosce se stesso. Ben esitò. Avrebbe voluto dire: "Si, ma il mio aspetto è stato cambiato e sono stato derubato del medaglione, eccetera eccetera." Ma non lo fece perché era una strada che avevano già percorso. Si limitò a dire:-Se il demone non è riuscito a riconoscermi come sapevi che non mi avrebbe distrutto? Dirk parve scrollare le spalle.-Il medaglione.
Ben annuì.-Allora penso che dovrei liberarmi del medaglione. Penso che sia stato il medaglione a causare quello che è successo laggiù: l'apparizione del demone, la distruzione delle ninfe dei boschi, tutto quanto. Penso che dovrei scagliarlo il più lontano possibile, Dirk. Il gatto si alzò e si stirò.-Io penso che prima dovrebbe vedere che cosa vuole il pupazzo di fango. Il suo sguardo si spostò e quello di Ben lo seguì. Pioggia e oscurità quasi nascondevano la piccola sagoma scura accovacciata a una decina di metri su un tappeto di aghi di pino. Era una strana creatura, che assomigliava vagamente a un castoro dalle lunghe orecchie. Ricambiò il suo sguardo con occhi che splendevano di un giallo intenso nel buio. -Che cos'è?-chiese a Dirk. -Una creatura che si ciba di rifiuti e ripulisce dopo il passaggio delle altre creature, una specie di governante a quattro zampe. -Che cosa vuole? Dirk riuscì a mostrarsi offeso.-Perché lo chiede a me? Perché non chiederlo al pupazzo di fango? Ben sospirò. Già, perché no?-Posso fare qualche cosa per te?-chiese alla sagoma immobile. Il pupazzo di fango ricadde sulle quattro zampe e si avviò, si voltò indietro per un attimo, ripartì e si voltò di nuovo. -Non dirmelo-suggerì Ben a Dirk.-Vuole che lo seguiamo. -Benissimo, non glielo dirò-promise Dirk. Seguirono il pupazzo di fango nella foresta, deviando ancora una volta a nord, lontano dalla città di Elderew e dal popolo della regione dei laghi. La pioggia si ridusse a un'acquerugiola pigra e le nuvole cominciarono a diradarsi, lasciando filtrare nella foresta un po' di luce. Il freddo continuava ad aleggiare nell'aria, ma Ben era già tanto intirizzito da non notarlo più. Si trascinava in silenzio dietro il pupazzo di fango, chiedendosi vagamente come mai la creatura avesse ricevuto quel nome, chiedendosi dove stavano andando e perché, che cosa doveva fare del medaglione e soprattutto che cosa doveva fare con Dirk. Il gatto lo seguiva, procedendo con passi cauti e salti aggraziati, evitando il fango e le pozzanghere e facendo di tutto per restare pulito. Proprio il tipico gatto, pensava Ben. Solo che Edgewood Dirk era tutt'altro che un tipico gatto, ovviamente, e non aveva importanza quanto a lungo o con quanta insistenza sostenesse il contrario. Il vero interrogativo era: che cosa doveva fare Ben con lui? Viaggiare con Dirk era come viaggiare con quella persona anziana che ti faceva sempre sentire un bambino e seguitava a dirti di non fare il bambino. Dirk era lì per una ragione, ovviamente ma Ben cominciava a domandarsi se fosse una ragione che aveva uno scopo utile. Gli alberi di sequoia della foresta di alta quota cominciavano a cedere il passo alla palude quando si avvicinarono all'estremo confine settentrionale di Elderew. Il terreno cominciava a scendere e la nebbia a formare lunghe scie ondeggianti.
L'oscurità s'infittì e l'umidità gelida si trasformò in una calura appiccicosa. Ben non si sentì confortato. Il pupazzo di fango proseguì senza rallentare. -Queste creature fanno spesso questo genere di cose?- sussurrò infine Ben a Dirk.Chiederti di seguirle, voglio dire? -Mai-rispose Dirk, con uno starnuto. Ben fissò il gatto con espressione corrucciata. "Spero che ti prenda la polmonite" pensò incupito. Scendevano sempre più in basso nella penombra, fra gruppi di cipressi e salici e tratti di vegetazione palustre che sfidavano ogni descrizione o identificazione. Il fango gli risucchiava gli stivali e l'acqua trasudava nelle impronte che lasciavano. La pioggia cessò del tutto, e scese un silenzio imbronciato. Ben si domandava che cosa si provasse a essere asciutti. I vestiti gli sembravano appesantiti col piombo. La nebbia ormai era molto fitta, e la visuale si era ridotta a una distanza di non più di qualche passo. "Forse siamo stati portati qui a morire" decise. "Forse è per questo." Ma non era per quello o per qualsiasi altra cosa che richiedesse una preoccupazione immediata; era semplicemente una marcia estenuante attraverso la palude che si concluse in un enorme buco di fango. Il pupazzo di fango portò Ben e Dirk fino al buco di fango, attese che fossero sull'orlo, e poi scomparve nel buio. Il buco di fango si estendeva in lontananza nella nebbia e nell'oscurità per oltre una quindicina di metri, una vasta foiba placida, che di tanto in tanto eruttava bolle d'aria e per il resto non presentava altri motivi d'interesse. Ben guardò il buco di fango, abbassò gli occhi su Dirk e si domandò che cosa doveva succedere ancora. Un attimo dopo lo scoprì. Il buco di fango sembrò sollevarsi al centro, e dalle sue profondità una donna si levò per emergere in superficie. -Buon giorno, Alto Signore-lo salutò. Era nuda, pareva, anche se era difficile esserne certi perché era ricoperta dalla testa ai piedi di fango, che le aderiva come una patina. Un barlume di luce proveniva dagli occhi fissi su di lui; ma, a parte gli occhi, c'era soltanto la sua sagoma sotto il fango. Era sospesa sulla superficie della foiba come se fosse senza peso, rilassata e del tutto a suo agio. -Buon giorno-rispose lui in tono incerto. -Vedo che ha un gatto prismatico come compagno di viaggio-disse lei, con una voce stranamente atona e sonora. -Un vero colpo di fortuna. Un gatto prismatico può essere un compagno molto prezioso. Ben non era sicuro di condividere quell'apprezzamento, ma si morse la lingua. Dirk non disse niente. -Io sono conosciuta come la Madre Terra, Alto Signore- continuò la donna.-Il nome mi è stato dato alcuni secoli fa dal popolo della regione dei laghi. Come loro, sono una creatura fatata legata a questo mondo. A differenza di loro, la decisione di venire è stata mia, ed è stata presa al tempo del principio del mondo, quando c'era bisogno di me. Io sono l'anima e lo spirito della terra. Sono il giardiniere di Landover, si potrebbe dire. Veglio sul suo suolo e sulle piante che vi crescono. La responsabilità della protezione e della cura del terreno non è solo mia, perché quelli che vivono
sulla sua superficie devono addossarsi la responsabilità della sua cura, ma sono parte integrante del processo. Io offro la possibilità dal sottosuolo, e gli altri mettono a profitto quella possibilità.-Fece una pausa.-Comprende, Alto Signore? Ben annuì.-Penso di sì. -Bene, un po' di comprensione è necessaria. La terra e io siamo inseparabili; essa fa parte della mia composizione, e io sono tutt'uno con lei. Poiché siamo unite, gran parte di ciò che avviene a Landover mi è noto. So di lei, in particolare, perché anche la sua magia è parte di me. Esiste un legame inscindibile fra l'Alto Signore di Landover e la terra. Comprende anche questo, non è vero? Ben annuì di nuovo.-Ho appreso anche questo. E' per questo che mi riconosce adesso, anche con un aspetto alterato? -Io la riconosco allo stesso modo in cui la riconosce il gatto prismatico, Alto Signore; non mi baso mai sulle apparenze.- Si udì un vaghissimo accenno di risata, per nulla scortese. -L'ho osservata arrivare a Landover e da allora l'ho tenuta d'occhio. Lei possiede coraggio e forza di volontà; le manca soltanto la conoscenza, ma verrà col tempo. Questa non è una terra facile da capire. -In questo momento sono un po' frastornato-ammise Ben. La Madre Terra gli piaceva già molto di più di Edgewood Dirk. -Frastornato, sì. Ma meno di quanto crede.-La donna si spostò leggermente nel turbine di nebbia, con la sagoma opaca informe e immutabile. I suoi occhi scintillarono umidi.-L'ho fatta portare qui dal pupazzo di fango per poterle dare informazioni su Willow. -L'ha vista?-domandò Ben. -Sì. L'ha portata da me sua madre. La madre e io siamo vicine come tutte le autentiche creature fatate e la terra. Condividiamo la magia. Sua madre non è compresa dal Signore del Fiume, che pensa solo a possederla e non ad accettarla per quello che è. Il Signore del Fiume cerca il dominio alla maniera degli esseri umani, Alto Signore, un grave sbaglio che spero riconoscerà in tempo. Non è lecito possedere la terra e i suoi doni. La terra è un bene fiduciario, da dividere fra tutti i mortali e non da sfruttare per uso privato. Ma non è mai stato così, né a Landover, né in tutti gli altri mondi. Gli ordini superiori cercano di dominare quelli inferiori, e tutti cercano di dominare la terra. Spesso la Madre Terra si sente spezzare il cuore per questo. Fece una pausa.-Il Signore del Fiume tenta, ed è migliore di altri. Comunque, anche lui cerca il dominio in altri modi, meno evidenti. Vuole usare la magia per purificare la terra, senza capire che la sua visione non è necessariamente vera. Risanare è necessario, Alto Signore, ma non è consigliabile risanare tutto. A volte il processo della morte e della rigenerazione è intrinseco allo sviluppo. Un alternarsi di cicli vitali fa parte della natura. Nessuno può prevedere l'intero ciclo, e interferire con una fase qualsiasi può essere dannoso. Il Signore del Fiume non se ne accorge, proprio come non vede il motivo per cui la madre di Willow non può appartenergli. Vede solo i bisogni immediati. -Come il suo bisogno dell'unicorno nero?-intervenne Ben impulsivamente.
La Madre Terra lo studiò con attenzione.-Sì, Alto Signore, l'unicorno nero. Ecco un bisogno al quale nessuno sa resistere... nemmeno lei, forse.-Restò in silenzio per un attimo. -Sto divagando. L'ho fatta portare qui per parlarle di Willow. L'ho sentità insieme a lei, ed è una sensazione buona. Fra voi esiste un legame speciale che promette qualcosa che aspettavo da tempo. Desidero fare tutto il possibile per proteggere questo legame. Sollevò un braccio scuro.-Ascolti, allora, Alto Signore. La madre di Willow l'ha portata da me due giorni fa, all'alba. Willow non voleva rivolgersi al padre per ottenere aiuto, e la madre non poteva darle quello che le occorreva. Sperava che potessi farlo io. Willow ormai ha sognato due volte l'unicorno nero, una volta mentre era con lei, una volta dopo. I sogni sono un misto di verità e di menzogne, e lei non riesce a distinguere l'una dalle altre. Io non ho potuto aiutarla in questo: i sogni non sono dominio della terra, i sogni vivono nell'aria e nella mente. Allora mi ha chiesto se sapevo se l'unicorno nero fosse una creatura buona o malvagia. Le ho detto che sarebbe stata l'uno e l'altro finché la sua verità non fosse stata capita chiaramente. Mi ha chiesto se potevo mostrarle io quella verità. Le ho risposto che quella verità non spettava a me mostrarla. Mi ha chiesto allora se sapevo di certe briglie d'oro. Le ho risposto di sì, e lei è andata a cercarle. -Dove?-chiese subito Ben. La Madre Terra rimase di nuovo in silenzio per un attimo, come se dibattesse qualcosa con se stessa.-Alto Signore, mi deve fare una promessa-disse infine.-So che lei è turbato. So che ha paura. Forse si sentirà anche disperato. La strada che segue adesso è difficile. Ma deve promettermi che qualsiasi cosa le accada e per quanto soverchianti diventino le sue emozioni per questo motivo, la sua prima preoccupazione sarà sempre per Willow. Deve promettere che farà tutto ciò che sarà in suo potere per salvarla. Ben esitò un attimo prima di rispondere, perplesso.-Non capisco. Perché me lo chiede? La Madre Terra incrociò le braccia sul petto.-Perché devo, Alto Signore. Perché sono quello che sono. Questo le dovrà bastare come risposta. Ben corrugò la fronte.-E se non potessi mantenere la promessa? E se decidessi di non mantenerla? -Una volta fatta, la promessa dev'essere mantenuta. Lei la manterrà perché non avrà scelta.-La Madre Terra batté ancora una volta le palpebre.-La fa a me, ricordi, e una promessa fatta a me non si può violare. La magia ci lega in questo modo. Ben soppesò attentamente la questione per lunghi istanti, indeciso. Non era tanto l'idea di legarsi a Willow con un impegno a turbarlo, quanto la promessa in sé. Significava escludere a priori tutte le altre opzioni prima ancora di sapere quali potevano essere, un voto dato alla cieca che mancava di lungimiranza. Ma del resto, ancora una volta, era così che andava la vita. Le occasioni non ti si presentavano sempre con un preavviso. -Lo prometto-disse, e l'avvocato che era in lui fece una smorfia. -Willow è andata al nord-disse la Madre Terra. -Probabilmente nel Pozzo Infido.
Ben s'irrigidì.-Il Pozzo Infido? Probabilmente? -Le briglie d'oro erano una magia fatata, intessuta tanto, tanto tempo fa dai maghi del paese. Nel corso degli anni sono passate per molte mani e sono state quasi dimenticate. Nel recente passato, erano di proprietà della Strega del Crepuscolo. La strega le aveva rubate e le teneva insieme agli altri suoi tesori. Lei fa incetta degli oggetti che trova belli e li tira fuori per guardarli quando lo desidera. Ma la Strega del Crepuscolo si è fatta rubare parecchie volte le briglie dal drago Strabo, che ricerca anche lui tesori del genere. Il furto delle briglie è diventato una specie di gara fra loro due. L'ultima volta erano in possesso della strega. Una folla di ricordi spiacevoli si affacciarono alla mente di Ben sentendo nominare la Strega del Crepuscolo e il Pozzo Infido. Nel regno di Landover c'erano parecchi posti che Ben non desiderava visitare di nuovo nel prossimo futuro, e la casa della strega era proprio in cima alla lista. Ma d'altra parte la Strega del Crepuscolo se n'era andata nel mondo fatato... non era così? -Willow è partita appena le ho parlato delle briglie d'oro, Alto Signore-disse la Madre Terra interrompendo le sue riflessioni.-E' stato due giorni fa. Deve affrettarsi, se vuole raggiungerla. Ben annuì distrattamente, notando già lo schiarirsi del cielo dietro la penombra immutabile della palude. L'alba era quasi su di loro. -Le auguro ogni bene, Alto Signore-esclamò la Madre Terra. Aveva cominciato a immergersi nuovamente nella palude, cambiando rapidamente forma mentre scendeva.-Trovi Willow e l'aiuti. Ricordi la promessa. Ben cominciò a chiamarla, sentendo affiorare sulle labbra una decina di domande senza risposta, ma lei sparì quasi subito. Si limitò a sprofondare di nuovo nel buco di fango e scomparve. Ben rimase a fissare la superficie vuota e placida. -Bene, almeno sappiamo da che parte è andata Willow- disse a se stesso.-Ora non devo fare altro che trovare la strada per uscire da questa palude. Come per magia, il pupazzo di fango ricomparve, sgusciando da dietro un riparo di fronde. Lo fissò con aria solenne, si mise in marcia, si voltò di nuovo e attese. Ben sospirò. Peccato che non tutti i suoi desideri fossero esauditi così prontamente. Lanciò un'occhiata a Dirk. Il gatto lo fissò di rimando. -Hai voglia di fare una passeggiata al nord?-gli domandò. Il gatto, com'era prevedibile, non rispose. CAPITOLO 10 La caccia Erano a quattro giorni di cammino da Elderew, a est e poco più a sud di Rhyndweir, nel cuore del Prato Verde, quando s'imbatterono nel cacciatore. -Nero, era, come il carbone estratto dalle miniere del nord, come un'ombra che non ha mai visto la luce del giorno. Madre mia! Mi è passato proprio vicino, così vicino che allungando la mano mi sembrava di poterlo toccare. Era tutto grazia e bellezza, si librava in aria come se la terra non potesse trattenerlo, sfrecciando davanti a tutti noi come un soffio di vento che puoi sentire e a volte vedere, ma mai toccare. Oh, non che volessi toccarlo, badi bene. Non volevo toccare qualcosa di così... puro. Era come
guardare il fuoco: è puro, ma se ti avvicini troppo scotta. Io non volevo avvicinarmi troppo. La voce del cacciatore era rapida e arrochita dalle emozioni che si agitavano vicine alla superficie. Sedeva insieme a Ben e a Dirk, nelle prime ore della sera, intorno a un piccolo falò al riparo di un piccolo querceto e di una cresta montuosa. Il tramonto tingeva di rosso e di viola l'orizzonte a ovest, e il crepuscolo grigioazzurro aleggiava a oriente. La serata era calda e tranquilla, le nubi di pioggia di quattro notti prima erano soltanto un ricordo. Gli uccelli intonavano sugli alberi il loro canto serale, e nell'aria aleggiava il profumo dei fiori. Ben osservava con attenzione il cacciatore. Era un uomo alto e ossuto, con la pelle abbronzata dal sole e segnata dalle intemperie e con le mani callose. Indossava panni da boscaiolo, con alti stivali di cuoio ammorbiditi a mano per renderli più comodi e silenziosi, e portava una balestra con i dardi, un lungo arco con le frecce, un laccio appesantito alle estremità e un coltello da caccia. Aveva un viso lungo dagli zigomi alti, una maschera di angoli e superfici piatte, con la pelle tesa sulle ossa e i lineamenti stravolti dalla tensione. Aveva l'aspetto di un uomo pericoloso; in altri momenti, lo sarebbe stato. Ma non quella sera. Quella sera era qualcosa di diverso. -Sto correndo troppo-mormorò l'uomo a un tratto, un ammonimento quanto una dichiarazione. Si terse la fronte dal sudore con la mano massiccia e si chinò, avvicinandosi ancor più alle fiamme del falò come per attingere al loro calore. -Per poco non sono mancato, sa. Stavo per andare sui Monti Melchor a caccia di bisonti. Avevo già preparato tutta la mia roba ed ero pronto, quando Dain mi ha trovato. Mi ha raggiunto al crocevia, correndo come se la sua donna avesse scoperto il peggio, chiamandomi come un pazzo. Io ho rallentato per aspettarlo, e così mi sono comportato da idiota. "Hanno organizzato una caccia" mi ha detto. "E' stato il re in persona. I suoi uomini sono dappertutto, a convocare i migliori e i più svelti per intrappolare una bestia che non t'immagini nemmeno. Un unicorno nero! Sì, è così" fa lui. "Un unicorno nero che dev'essere preso, a costo di impiegarci tutto il mese, e di dare la caccia a quella bestia da un capo all'altro della valle. Devi venire" mi dice. "Danno a ogni uomo venti pezzi al giorno più il vitto e, se sarai tu a snidarlo, altri cinquemila!". Il cacciatore rise controvoglia.-Cinquemila pezzi. Mi è sembrata l'occasione migliore che mi potesse capitare in vita mia... più denaro di quanto ne vedrei in dieci anni con qualsiasi altro lavoro. Ho guardato Dain e gli ho chiesto se era uscito di senno, poi ho visto come gli luccicavano gli occhi e ho capito che era tutto vero, che c'era una caccia, che c'era una ricompensa di cinquemila pezzi per la cattura, che qualche idiota... il re o un altro... era convinto che in giro c'era un unicorno nero da catturare. Ben lanciò una rapida occhiata a Dirk. Il gatto era accovacciato a pochi passi da lui, con gli occhi fissi intensamente sulla persona che parlava, le zampe ripiegate sotto il corpo in modo che non si vedevano. Non si muoveva e non parlava da quando il cacciatore si era imbattuto nel minuscolo accampamento e aveva chiesto se poteva dividere la cena con loro. A tutti gli effetti Dirk era un gatto qualsiasi, ma Ben non poteva fare a meno di chiedersi che cosa stesse pensando.
-Così siamo andati, Dain e io, noi e altri duemila della stessa risma. Siamo andati a Rhyndweir, dove doveva cominciare la caccia. L'intera pianura in mezzo alla biforcazione dei fiumi era affollata di cacciatori accampati in attesa. C'erano battitori e capicaccia, c'era Lord Kallenbor e tutti gli altri potenti proprietari terrieri con tutti i loro cavalieri in armatura e i fanti. C'erano cavalli e muli, carri carichi di provviste, portatori e servi, un autentico mare di oggetti e suoni in movimento che avrebbero messo in fuga qualsiasi altra preda nel raggio di quindici chilometri. Madre mia, era un caos! Sono rimasto lo stesso, pensando ancora al denaro, ma pensando anche a un'altra cosa... pensando a quell'unicorno nero. Non esisteva nessuna creatura del genere, lo sapevo... ma se fosse esistita? Se fosse stata là fuori? Potevo non catturarla, ma, Signore, vederla almeno! "Quella sera stessa ci hanno convocati tutti alle porte del castello. Il re non c'era; c'era il suo mago, quello che chiamano Questor Thews. Era uno spettacolo! Una veste a toppe e nastri colorati lo faceva sembrare uno spaventapasseri! E insieme a lui c'era un cane vestito come lei e me, che camminava sulle zampe posteriori. Alcuni dicevano che sapeva parlare, ma io non l'ho mai sentito. Se ne stavano lì in piedi insieme a Lord Kallenbor e gli bisbigliavano cose che nessun altro ha potuto udire. Il mago aveva una faccia color gesso, sembrava spaventato a morte. Non Kallenbor, però, lui no. Sembra che non abbia mai paura di niente, quello. E' sicuro di sé come un demonio e sempre pronto a trinciare giudizi. Ci ha rivolto la parola con quella voce sonora e potente che si sente a un chilometro di distanza, su quelle pianure. Ci ha chiamati e ha detto che quell'unicorno era una bestia viva e vera e che si poteva seguire e catturare come qualsiasi altro animale. Che eravamo in numero sufficiente e che lo avremmo preso o peggio per noi. Ci ha indicato i nostri posti e la linea di avanzamento e ci ha mandati a dormire. La caccia doveva cominciare all'alba." Il cacciatore fece una pausa, ricordando. Gli occhi guardarono oltre Ben, nell'oscurità sempre più fitta, verso un punto distante nel tempo e nello spazio da quello dove si trovavano allora.-E' stato eccitante, sa. Tutti quegli uomini riuniti in quel modo: la caccia più grande di cui abbia mai sentito parlare. Dovevano partecipare gli orchi a nord lungo i Monti Melchor e un certo numero di popoli fatati a sud, intorno alla regione dei laghi. Sembravano convinti che l'unicorno non potesse trovarsi a sud di quella regione, non so perché. Il piano era di partire dalla frontiera orientale e procedere verso ovest, chiudendo le estremità a nord e a sud come una enorme rete. I battitori e gli uomini a cavallo avrebbero lavorato da est; i cacciatori e gli uomini con le trappole si sarebbero disposti a ovest, formando delle sacche in movimento. Era un buon piano. Ebbe un lieve sorriso.-Cominciò in perfetto orario. La linea a est cominciò a spostarsi verso occidente, stanando tutti gli animali sul suo cammino. I cacciatori come me cominciarono dal terreno collinoso, dove potevamo vedere tutto ciò che si muoveva nelle praterie e oltre. Alcuni cavalcavano lungo il fronte e le estremità, facendo alzare tutto ciò che vi era nascosto. Pareva che la valle intera fosse impegnata in quell'enorme caccia. Pareva che ci fosse il mondo intero. La linea avanzò verso ovest per tutto il giorno dalle terre desertiche fino a Rhyndweir e oltre, battitori e cacciatori, cavalieri e fanti, carri di provviste che andavano avanti e indietro da castelli e città.
Non so come avessero organizzato tutto così in fretta e riuscissero a farlo funzionare, ma ci riuscivano. Non ho mai visto niente, però. Quella notte ci siamo accampati su una linea che si stendeva dai Monti Melchor fino a Sterling Silver. I fuochi da campo ardevano da nord a sud come un grosso serpente acciambellato. Potevamo vederli dalle colline, dove Dain e io eravamo accampati con gli altri cacciatori. Ci tenevamo lontani dai grossi accampamenti. In ogni caso ci troviamo meglio quassù: ci si vede bene di notte come di giorno, e dovevamo fare la guardia in modo che non ci sfuggisse nessun movimento nel buio. "Il secondo giorno è andata allo stesso modo. Abbiamo raggiunto le pendici occidentali delle colline ai margini delle praterie, ma non abbiamo visto niente. Ci siamo accampati di nuovo ad aspettare. Abbiamo fatto la guardia tutta la notte." Ben stava pensando al tempo che aveva sprecato da quando aveva lasciato Elderew solo per arrivare così a nord. Quattro giorni. Il maltempo aveva rallentato il suo cammino nella regione dei laghi, ed era stato costretto ad aggirare a est Sterling Silver per evitare un incontro con le guardie - le sue guardie perché potevano riconoscere in lui lo sconosciuto che il re aveva scacciato dal paese. Era stato costretto a viaggiare per tutto il tragitto a piedi, perché non aveva soldi per i cavalli e non si era ancora ridotto a rubare. Cominciava a chiedersi quanto gli fosse costato quel ritardo. Il cacciatore si schiarì la gola e continuò.-Ormai c'era del malcontento fra gli uominiosservò in tono solenne. -Qualcuno era del parere che fosse una perdita di tempo. Venti pezzi al giorno o no, nessuno vuole essere coinvolto in una faccenda idiota. Anche i Signori avevano da ridire, sostenendo che non facevamo la nostra parte, che non montavamo la guardia con la loro stessa attenzione, che qualcosa poteva essere sgusciato in mezzo a noi. Sapevamo che non era così, ma era un argomento che non volevano ascoltare. Così abbiamo detto che ci avremmo messo più impegno, che stessero a vedere. Ma ci chiedevamo angosciati se fuori ci fosse qualcosa da cercare. "Il terzo giorno abbiamo chiuso la linea a ovest verso le montagne, ed è stato allora che lo abbiamo trovato.-Gli occhi del cacciatore si erano ravvivati all'improvviso, illuminati dall'eccitazione alla luce del fuoco.-Era il tardo pomeriggio, con il sole coperto dalle montagne e dalla nebbia, e gli squarci di foresta che stavamo battendo in quella regione collinare erano fitti di ombre. Era quell'ora del giorno in cui tutto sembra un po' vago, in cui si vedono movimenti dove non ce ne sono. Stavamo frugando un fitto boschetto di querce circondato da sequoie e zeppo di cespugli e di rovi. Eravamo in sei, credo, e se ne sentivano altre decine tutt'intorno, e le file di battitori che gridavano e lanciavano richiami proprio da est, dove la linea si stava chiudendo. Sulle colline faceva caldo, strano per quell'ora. Ma eravamo tutti esausti e stanchi di dare la caccia ai fantasmi. Si era diffusa la sensazione che quella caccia si sarebbe risolta in un fallimento. Sudore e insetti rendevano ormai sgradevole il lavoro; dolori e fitte ai muscoli rallentavano i nostri movimenti. Avevamo bandito dalla mente l'idea dell'unicorno fino a quando la caccia fosse finita e saremmo tornati a casa. Tutta la faccenda era stata una farsa." Fece una pausa.-Poi all'improvviso ci fu un movimento fra i pini... appena un'ombra, nient'altro. Ricordo di aver pensato che gli occhi mi facevano per l'ennesima volta
uno scherzo. Volevo dire qualcosa a Dain, che stava lavorando poco lontano alla mia sinistra, ma tenni a freno la lingua, troppo stanco, forse, per voler dire qualcosa. Smisi, per così dire, di fare quello che stavo facendo fra i cespugli e il caldo, e guardai in direzione del movimento per vedere se si sarebbe ripetuto. Trasse un respiro profondo, e la mascella s'irrigidì.-Fu come se quel poco di luce rimasta s'incupisse, come se le nubi l'avessero oscurata per un attimo. Ricordo la sensazione che provai. L'aria era calda e ferma; il vento era cessato del tutto. Stavo guardando, e in quel momento gli arbusti si separarono ed eccolo là l'unicorno, tutto nero e fluido come acqua. Sembrava così minuscolo. Rimase fermo lì a fissarmi, non so per quanto tempo. Potevo vedere gli zoccoli caprini, la coda da leone, la criniera che scendeva lungo il collo e il dorso, la barbetta, il corno a tortiglione. Era proprio come lo descrivevano le storie antiche, ma più bello di quanto l'avessero mai disegnato. Madre mia, era splendido! Anche gli altri lo videro, alcuni, almeno. Dain lo intravide; altri due dissero di averlo visto da vicino. Ma non quanto me, Signore! No, io ero proprio vicino, mi pare! Io ero proprio lì! "Poi scattò. No, non scattò, non fu una fuga. Balzò in alto e parve volare oltre di me; tutto grazia e movimento, come l'ombra di un uccello in volo proiettata sulla terra dal passaggio del sole. Mi passò vicino in un batter d'occhio, un soffio, e sparì. Io restai lì a seguirlo con gli occhi, chiedendomi se lo avevo visto davvero, sapendo che era così, pensando a come era stato splendido, pensando che era proprio vero..." Incespicò nelle parole che si accavallavano l'una sull'altra sgorgandogli dalla gola in un fiotto di emozione inconsueta. Teneva le mani sollevate davanti a sé, intrecciandole nell'intensità del racconto. Ben smise per un attimo di respirare, intimorito da ciò che vedeva, desideroso di non spezzare l'incantesimo. Poi gli occhi del cacciatore si abbassarono, e le sue mani li imitarono.-Ho sentito in seguito che era piombato nel cuore stesso della battuta di caccia. Ho sentito che è passato in tutto quell'inferno come attraverso una foresta di alberi radicati al suolo. Lo hanno visto decine di uomini. C'era una possibilità di fermarlo, forse, ma ne dubito. E' passato proprio sulle reti. C'è stato un inseguimento, ma... ma sa una cosa?Gli occhi si alzarono di nuovo.-L'unicorno si è trovato di fronte proprio il Signore del Prato Verde e gli uomini del re, proprio di fronte, madre mia! E il mago, proprio quello che aveva organizzato tutto questo, ha combinato un pasticcio con gli incantesimi e sono piovuti dappertutto fiori e farfalle. La caccia si è conclusa nel caos e l'unicorno è fuggito in un batter d'occhio!-Sorrise all'improvviso.-Fiori e farfalle: riesce a immaginarselo? Ben sorrise insieme a lui. Ci riusciva benissimo. Il cacciatore avvicinò le ginocchia al corpo e le circondò con le braccia. Il sorriso scomparve.-E' finita così. Non è successo altro. La caccia era finita. Tutti si sono congedati, per così dire, e se ne sono andati. Si è parlato di continuare, di riportare tutta la linea di cacciatori a oriente, ma non se n'è fatto niente. Nessuno voleva partecipare. Era come se non ci mettessero più il cuore. Era come se tutti fossero contenti che l'unicorno fosse riuscito a fuggire. O forse era solo che nessuno pensava che lo si potesse catturare comunque.
Gli occhi duri si sollevarono.-Strani tempi, quelli in cui viviamo. Il re ha scacciato il mago e il cane, ho sentito dire. Li ha buttati fuori appena ha sentito quello che era successo. Li ha cacciati per via di quello che il mago aveva fatto, o di quello che lui pensava avesse fatto. Comunque, non credo che il mago avrebbe potuto fare granché in un modo o nell'altro. Non con quella creatura, no. Nessuno avrebbe potuto. Aveva troppo dello spettro per qualsiasi essere mortale, troppo del sogno. Negli occhi del cacciatore affiorarono d'improvviso le lacrime.-Penso di averlo toccato, sa, quando mi è passato vicino. Penso di averlo toccato. Madre mia, mi pare ancora di sentire la seta della sua pelle che mi sfiora, come fuoco, come... il tocco di una donna, forse. Ho avuto una donna che mi ha toccato così, una volta, tanto tempo fa. L'unicorno mi ha dato quella sensazione. Ora non riesco a dimenticarlo. Cerco di pensare ad altro, cerco di ragionare su tutto quello che è successo, ma la sensazione rimane.-Indurì di nuovo il viso per resistere alle proprie emozioni.-Da quando me ne sono andato lo cerco per conto mio, pensando che forse un uomo solo potrebbe avere più fortuna di un'intera battuta di caccia. Non voglio proprio catturarlo, non credo che potrei. Voglio soltanto rivederlo. Forse voglio toccarlo ancora una volta, una volta sola, per un attimo... S'interruppe di nuovo. Il fuoco scintillò improvvisamente nel silenzio, con un crepitio secco. Nessuno si muoveva. Il buio era sceso sulla valle, e l'ultima luce era scomparsa alla vista. Erano sorte stelle e lune, con la loro luce fioca e distante i colori smorzati. Ben abbassò lo sguardo su Edgewood Dirk. Il gatto aveva gli occhi chiusi. -Voglio solo toccarlo ancora una volta-ripeté piano il cacciatore.-Soltanto per un attimo. Fissò Ben con occhi vuoti. L'ombra dell'uomo che era stato fu inghiottita dal silenzio che seguì. Quella stessa notte, Willow sognò di nuovo l'unicorno nero. Dormiva rannicchiata vicino al fedele Parsnip in un folto di pini sull'orlo del Pozzo Infido, nascosta sotto un manto di rami e di ombre. Il viaggio verso nord da Elderew durava da cinque giorni. Ormai aveva solo poche ore di vantaggio su Ben Holiday. La caccia all'unicorno nero l'aveva trattenuta per quasi un giorno, investendo la regione collinare a ovest del Prato Verde e costringendola a deviare a est. Non aveva idea dello scopo della caccia. Non aveva idea che Ben la cercasse. Il sogno venne a mezzanotte, insinuandosi nel sonno come una madre nella stanza della figlia addormentata, una presenza calda e consolante. Stavolta non c'era paura, soltanto tristezza. Willow si muoveva attraverso foreste e spazi erbosi, e l'unicorno nero la osservava, come uno spettro venuto dagli inferi a seguire i viventi. Appariva e spariva come il sole dietro una nuvola, ora all'ombra di un vecchio acero imponente, ora nel cuore di un bosco di pini. Non era mai visibile del tutto, ma solo in parte. Era nero e privo di tratti riconoscibili, tranne gli occhi, e nei suoi occhi si rispecchiava tutta la tristezza che era mai esistita e sarebbe mai esistita al mondo. Gli occhi facevano piangere Willow, e le lacrime le rigavano le guance nel sonno. Gli occhi erano angosciati, pieni di un dolore che lei poteva soltanto immaginare, ossessionati più di quanto lei avesse mai creduto possibile. L'unicorno nero di quel
sogno non era una progenie infernale; era una creatura delicata, meravigliosa, di cui chissà come si era abusato in modo terribile. Lei si svegliò di soprassalto, con l'immagine dell'unicorno nitida nella mente, con gli occhi fissi e sbarrati. Parsnip dormiva accanto a lei, indisturbato. Mancava ancora qualche ora all'alba, e lei rabbrividì al gelo notturno. Il suo corpo snello tremava al sussurro delle parole del sogno nella memoria, e lei sentiva la magia della loro presenza con la sua natura fatata. Quel sogno era reale, si rese conto all'improvviso. Quel sogno era la verità. Si raddrizzò addossandosi al tronco ruvido del pino, deglutì per cancellare l'aridità della gola e s'impose di meditare su ciò che il sogno le aveva mostrato. Qualcosa lo esigeva, gli occhi dell'unicorno, forse. Le chiedevano qualcosa. Non era più sufficiente pensare semplicemente di recuperare le briglie d'oro e portarle a Ben. Quello era l'ordine del primo sogno, il sogno che l'aveva spinta a quella ricerca, ma la veridicità di quel sogno era ormai incerta. L'unicorno di quel sogno era del tutto diverso dall'unicorno di questo. Uno era un demone, l'altro una vittima. L'uno era un inseguitore, l'altro... braccato? Pensava che forse era così. Negli occhi dell'unicorno c'era una richiesta di aiuto. Era quasi come se chiedesse a lei quell'aiuto. E lei capì che doveva darglielo. Rabbrividì con violenza. Che cosa stava pensando? Se mai si fosse avvicinata all'unicorno, sarebbe stata perduta. Doveva dimenticare quella follia! Doveva andare da Ben... Lasciò che quel pensiero incompiuto si spegnesse, si rannicchiò per proteggersi dalla notte e dal silenzio e lottò con la propria indecisione. Avrebbe voluto che la madre fosse lì per consolarla, o chiedere di nuovo consiglio alla Madre Terra. Più di ogni altra cosa, desiderava Ben. Ma nessuno di loro era là. A parte Parsnip, era sola. I momenti scivolavano via. Di scatto si alzò, un'ombra silenziosa, lasciò Parsnip addormentato nel folto di pini e disparve in silenzio nel Pozzo Infido. Era guidata non dalla ragione, ma dall'istinto, senza dubbi né paure, ma con la certezza che tutto sarebbe andato bene e che sarebbe stata al sicuro. All'alba, era tornata. Non aveva in suo possesso le briglie d'oro, ma ormai sapeva dov'erano. I suoi sensi di creatura fatata le avevano rivelato ciò che neppure la Madre Terra aveva potuto dirle. Le briglie erano state rubate per l'ennesima volta. Svegliò Parsnip, raccolse le sue poche cose, lanciò una rapida occhiata all'indietro verso la coppa scura dell'abisso e si avviò verso oriente. CAPITOLO 11 Ladri La mattina dopo, quando Ben Holiday e Edgewood Dirk si svegliarono, il cacciatore era scomparso. Nessuno dei due lo aveva sentito andarsene. Era partito senza salutare, scomparendo in modo assoluto, come se non fosse mai stato lì. Perfino il suo viso era solo un vago ricordo per Ben. Era soltanto il suo racconto della caccia all'unicorno nero che aleggiava nell'aria, ancora vivido, ancora ossessionante. La colazione fu poco allegra.-Spero che trovi quello che sta cercando-borbottò Ben a un certo punto.
-E' impossibile-rispose piano Dirk.-Non esiste. Ben cominciava a domandarselo. L'unicorno nero sembrava elusivo come il fumo e altrettanto inconsistente. L'unicorno si faceva vedere, ma mai per più di pochi istanti, e mai più di un'ombra fuggevole. Era una leggenda che aveva assunto pochi attributi della realtà, ma che a tutti gli effetti restava poco più che una visione. Era possibilissimo che non fosse altro che una visione, una sorta di magia che prendeva forma ma non corpo. A Landover, non si poteva mai sapere. Pensò di chiedere a Dirk, ma poi decise di no. Dirk non gli avrebbe dato una risposta chiara, ammesso che la conoscesse, e lui era stanco di giocare agli indovinelli con il gatto. Decise di cambiare argomento. -Dirk, ho riflettuto un po' su quello che la Madre Terra ci ha detto a proposito delle briglie d'oro-disse appena finita la colazione.-Lei ha detto a Willow che l'ultima volta erano in possesso della Strega del Crepuscolo, ma non ha detto niente su quello che è stato della strega dopo che io l'ho mandata fra le nebbie fatate.-Fece una pausa.Sapevi che l'ho fatto, no? Che ho mandato la Strega del Crepuscolo fra le nebbie? Dirk, accovacciato su un vecchio tronco, spostò le zampe anteriori a titolo di esperimento.-Lo sapevo. -Lei aveva mandato i miei amici ad Abaddon, e io decisi di farle assaggiare la sua stessa medicina-proseguì Ben a mo' di spiegazione.-Le fate mi avevano dato la Polvere IO, una polvere che, se respirata, ti rendeva soggetto agli ordini di colui che ti aveva somministrato la polvere. In seguito l'ho usata anche sul drago Strabo, in effetti. In ogni caso, l'ho usata prima sulla Strega del Crepuscolo, e questo l'ha costretta a trasformarsi in un corvo e a volare via fra le nebbie.-Fece un'altra pausa.Ma non ho mai saputo che cosa le è successo dopo. -Questa ricapitolazione alquanto noiosa ci porterà da qualche parte, confido?-sbuffò Dirk. Ben avvampò.-Mi domandavo se la Strega del Crepuscolo avesse trovato o no la strada per uscire dalle nebbie e tornare nel Pozzo Infido. Potrebbe essere utile se lo sapessimo, prima di piombare lì alla cieca. Dirk si prese un lungo momento per lavarsi il muso, facendo ribollire ancor più Ben per l'impazienza. Finalmente il gatto rialzò la testa.-E' molto tempo che non scendo nel Pozzo Infido, Alto Signore. Ma mi risulta che la Strega del Crepuscolo dovrebbe essere tornata da tempo. Ben impiegò un attimo per assimilare la notizia. L'ultima cosa che desiderava in quel momento era un incontro con la Strega del Crepuscolo. Non aveva più il medaglione a proteggerlo, ammesso che potesse proteggerlo da una creatura maligna come la strega. Se lo riconosceva, lui era morto. Anche in caso contrario, era ben difficile che lo accogliesse a braccia aperte. Ed era improbabile che accogliesse a braccia aperte anche Willow, soprattutto dopo aver saputo che cosa la silfide stava cercando. Non era disposta a cedere le briglie dorate, per quanto convincenti fossero gli argomenti esposti da Willow. Probabilmente avrebbe trasformato Willow in una rana... e lui in un ranocchio. Pensò con nostalgia alla Polvere IO e rimpianse di non averne almeno una manciata. Quello avrebbe riequilibrato le sorti in modo considerevole.
Fissò intensamente Dirk.-Che ne pensi di fare un rapido viaggetto nel mondo fatato?chiese a bruciapelo.-Io l'ho fatto una volta, potrei farlo di nuovo. Le fate mi riconoscerebbero, magia o non magia. Forse potrebbero aiutarmi a tornare me stesso. Come minimo, potrebbero darmi un altro baccello di Polvere IO da usare con la Strega del Crepuscolo. Dopo tutto, ho promesso alla Madre Terra che avrei fatto del mio meglio per proteggere Willow, e non posso proteggerla se non so proteggere me stesso. Dirk lo studiò per un attimo.-Il suo non è un problema che gli altri possano aiutarla a risolvere, meno di tutti le fate. -Perché no?-scattò Ben, irritato dall'insopportabile autocompiacimento del gatto. -Perché, in primo luogo, la magia che l'ha cambiata è opera sua, come le è stato detto ormai almeno cinque o sei volte. E in secondo luogo, le fate non l'aiuteranno necessariamente solo perché glielo chiede. Le fate intervengono nella vita degli esseri umani solo quando e dove decidono loro e non altrimenti.-Arricciò il muso con sussiego, infastidito.-Lo sapeva già prima di porre la domanda, Alto Signore. Ben ribolliva in silenzio. Il gatto aveva ragione, naturalmente... lo sapeva già. Le fate non avevano interferito nei problemi di Landover quando lui era arrivato nella valle e la Ruggine e il Marchio di Ferro la minacciavano, ed era improbabile che lo facessero adesso. Lui era il re, e i problemi che doveva affrontare erano suoi. E allora come li avrebbe risolti? -Andiamo- ordinò all'improvviso, balzando in piedi. -Ho un'idea che potrebbe funzionare.-Si tirò su gli stivali, si rassettò i vestiti e aspettò che Dirk gli chiedesse che idea era. Il gatto non lo fece. Alla fine, lui disse:-Non vuoi conoscere i dettagli? Il gatto si stirò e saltò giù dal suo piedistallo per fermarsi vicino a lui.-No. Ben digrignò i denti e giurò in silenzio che, bene, allora, sarebbe stato un giorno maledettamente freddo all'inferno, prima che lui dicesse un'altra parola in proposito! Nelle prime ore della mattina procedettero verso nord, costeggiando le praterie del Prato Verde, deviando leggermente a est verso le pendici delle colline che sorgevano sotto i Monti Melchor. Ben guidava il cammino, ma come al solito Dirk sembrava sapere comunque dove stavano andando e spesso seguiva un percorso parallelo, scegliendo il proprio itinerario in mezzo all'erba alta, apparentemente indifferente a quello che Ben aveva in mente. Dirk continuava a essere un mistero insoluto, ma Ben s'impose di concentrarsi sul compito immediato invece di scervellarsi su Dirk, perché scervellarsi su Dirk lo faceva letteralmente impazzire. Era più facile accettare il gatto così come si accettavano i cambiamenti del tempo. Le praterie erano ancora segnate dal passaggio della caccia. Piedi calzati di stivali avevano appiattito tratti di erba alta e spezzato i cespugli. I detriti dei carri di provviste imbrattavano la pianura, e le ceneri di enormi fuochi da campo sfregiavano i prati multicolori. Il Prato Verde aveva l'aspetto di un gigantesco terreno da picnic alla fine del Quattro Luglio. Ben arricciò il naso per il disgusto. Meeks stava già abusando della terra in modo egoistico. C'erano anche altre tracce di abuso. Sulle piante e sugli alberi erano ricomparsi i segni della Ruggine che aveva segnato la valle nei primi giorni che lui aveva trascorso a Landover, segni che potevano essere causati soltanto da un indebolimento
della magia del re. Quando a Landover non c'era un re, la terra perdeva forza; lo aveva imparato nella sua prima visita. Meeks non era il vero re, malgrado ogni apparenza esteriore, e Landover cominciava a mostrarne gli effetti. I segni erano ancora quasi impercettibili, ma sarebbero peggiorati. Alla fine, la Ruggine sarebbe tornata a Sterling Silver e tutta la valle avrebbe cominciato ad ammalarsi. Ben aumentò l'andatura, come se in qualche modo la velocità potesse servire. Una carovana di mercanti diretti a nord verso i Monti Melchor per ottenere attrezzi di metallo e armi dagli orchi delle rupi attraversò il loro cammino verso mezzogiorno, e consumarono insieme il pranzo. I discorsi vertevano tutti sulla caccia all'unicorno nero e sugli strani avvenimenti degli ultimi giorni. Il re si era chiuso in isolamento, rifiutandosi di vedere chiunque, perfino i Signori del Prato Verde. I progetti di opere pubbliche erano stati sospesi, le assemblee dei magistrati e i tribunali di pace erano stati sciolti, i messi erano stati rimandati a casa da Sterling Silver, e in generale tutto si era fermato. Nessuno sapeva che cosa stesse accadendo. Si parlava di demoni che volavano nel cielo notturno, di esseri mostruosi che rapivano capi di bestiame e bambini sperduti come un tempo avevano fatto i draghi. Correva perfino voce che ne fosse responsabile il re stesso, che aveva concluso una sorta di patto diabolico di lasciare via libera ai demoni di Abaddon a Landover se a loro volta gli avessero portato l'unicorno. Tutto sembrava ruotare intorno all'unicorno. Il re aveva fatto sapere senza mezzi termini che intendeva impadronirsi di quella creatura, e chi gliel'avesse portata sarebbe stato ricompensato lautamente. -Se riesci ad acchiappare il fumo, sei un uomo ricco- scherzò uno dei mercanti, e tutti gli altri risero. Ben non rise. Si congedò in fretta e proseguì verso nord a un passo ancor più veloce. Le cose gli stavano sfuggendo di mano, e in gran parte era chiaramente colpa sua. A metà pomeriggio, si trovava nel paese degli gnomi Va' Via. Gli gnomi Va' Via erano un popolo sotterraneo di cui aveva fatto la conoscenza nei primi giorni del suo regno su Landover. Erano creaturine pelose e sudicie che somigliavano un po' a talpe troppo cresciute. Erano sciacalli e ladri, e di loro non ci si poteva fidare più di quanto ci si fidasse a lasciare l'arrosto serale affidato al proprio cagnolino. Anzi, non gli si poteva affidare neanche il cagnolino, dato che consideravano cani, gatti e altri animali domestici una vera leccornia. Abernathy considerava gli gnomi Va' Via dei cannibali. Questor Thews li considerava un guaio. Tutti li consideravano una seccatura. L'appellativo di "gnomi Va' Via" derivava dalla richiesta quasi universalmente espressa da tutti coloro che avevano la sfortuna di venire a contatto con loro: "Va' via, gnomo!" Due di quegli gnomi, Fillip e Sot, si erano recati in pellegrinaggio a Sterling Silver a chiedere l'aiuto di Ben per liberare una parte del loro popolo dagli orchi delle rupi, dopo che gli orchi si erano portati via gli sventurati perché avevano rubato e divorato un certo numero dei loro orsetti domestici. Ben aveva rischiato la vita in quella impresa, ma gli gnomi Va' Via si erano rivelati fra i suoi sudditi più leali, se non i più corretti. E una volta Fillip e Sot gli avevano confidato che conoscevano il Pozzo Infido come le loro tasche
-E' esattamente il tipo di aiuto che ci serve-disse Ben a Dirk, nonostante il giuramento di non dire più niente al gatto. -La Strega del Crepuscolo non si lascerà mai persuadere a cedere le briglie spontaneamente. Anche Willow deve saperlo, ma questo non le impedirà di tentare. Probabilmente prenderà la via diretta invece di usare circospezione; è troppo onesta per il suo bene. Comunque sia, se è scesa nel Pozzo Infido, sarà probabilmente nei guai. Avrà bisogno di aiuto. Fillip e Sot possono farcelo sapere. Possono sgattaiolare giù senza farsi vedere. Se Willow o la Strega del Crepuscolo sono là, potranno dircelo. Se le briglie sono là, forse potranno rubarle per noi. Non capisci? Possono andare dove noi non possiamo. -Parli per sé-ribatté Dirk. -Hai un piano migliore?-scattò subito Ben di rimando. Dirk era indifferente alla sua collera.-Non ho nessun piano-rispose.-E' un problema suo, non mio. -Grazie tante. Ne deduco che non prenderesti in considerazione l'idea di guadagnarti la mia gratitudine e rubarle tu stesso? -Nient'affatto. Sono il suo compagno, non il suo lacchè. -Sei una peste, Dirk. -Sono un gatto, Alto Signore. Ben chiuse la discussione con un fiero cipiglio e si allontanò a grandi passi verso la comunità sotterranea. Gli gnomi Va' Via vivevano in città simili a quelle dei cani della prateria, e le sentinelle segnalarono il suo arrivo molto tempo prima che lui potesse vedere qualcosa. Quando raggiunse la città, non si vedeva in giro nessuno gnomo Va' Via, solo una quantità di buchi apparentemente vuoti. Ben si diresse verso il centro della città, sedette su un ceppo e attese. Era stato lì molte volte da quando era diventato re, e conosceva le regole del gioco. Pochi minuti dopo, Dirk lo raggiunse. Il gatto si acciambellò vicino a lui senza dire una parola e chiuse gli occhi per ripararli dall'ultimo sole del pomeriggio. Poco dopo, un viso coperto di pelo si affacciò da una delle tane. Gli occhi si socchiusero debolmente alla luce, e un naso grinzoso annusò l'aria incerto. -Buon giorno, signore-disse lo gnomo, rivolto a Ben, e si tolse il malandato berretto di cuoio con una piuma rossa. -Buon giorno-rispose Ben. -E' uscito a passeggio, eh, signore? -A prendere una sana dose di aria pura e di sole. Fa bene per tutti i disturbi. -Sì, oh sì, davvero, fa bene per tutto. Bisogna stare attenti al freddo che si installa nella gola e nel petto durante il passaggio dell'autunno. -Certo. I raffreddori possono essere insidiosi.-Stavano camminando sulle uova, e Ben suonava a orecchio. Gli gnomi Va' Via erano così con gli estranei: spaventati a morte. Ti mettevano sempre alla prova. Se non rappresentavi una minaccia venivano fuori gli altri. Se si avvertiva una minaccia, non vedevi mai nessun altro.-Spero che la sua famiglia stia bene-proseguì Ben, cercando di mostrarsi disinvolto.-E la sua comunità? -Oh, benissimo, grazie, signore. Tutto bene. -Fa piacere sentirlo.
-Sì, fa bene sentirlo.-Lo gnomo si guardò attorno con aria furtiva, cercando di capire se Ben era solo, cercando di vedere se nascondeva qualcosa.-Lei deve avere percorso una buona distanza a nord del Prato Verde, signore. E' un artigiano? -Non esattamente. -Un mercante? Ben esitò un momento e poi annuì.-All'occasione, lo sono. -Ah sì?-L'espressione incerta dello gnomo parve accentuarsi.-Ma non mi sembra che abbia delle merci con sé in questo viaggio, signore. -Ah! Be', qualche volta l'apparenza inganna. Alcune merci possono essere molto piccole, sa.-Si batté la mano sulla tunica.-Tanto da entrare in una tasca. Gli incisivi dello gnomo balenarono in un sorriso nervoso sul viso sudicio.-Sì, certo, dev'essere così. Potrebbe darsi che lei sia interessato a commerciare qui, signore? -Potrebbe darsi.-Ben gettò l'amo e attese. Lo gnomo non lo deluse.-Con qualcuno in particolare? Ben scrollò le spalle.-In passato ho fatto qualche affare con due membri della vostra comunità: Fillip e Sot. Li conosce? Lo gnomo batté le palpebre.-Sì. Fillip e Sot vivono qui. Ben gli rivolse il suo sorriso più disarmante.-Sono da queste parti? Lo gnomo sorrise di rimando. -Forse. Sì, forse. Vuole aspettare un momento, per favore? Un momento solo? Si rimpiattò nella tana e scomparve. Ben aspettò. I minuti passavano e non si vedeva nessuno. Ben rimase al suo posto sul ceppo e tentò di assumere l'espressione di chi si diverte. Si sentiva osservato da mille occhi. I dubbi cominciavano a insinuarsi nella sua mente. E se Fillip e Sot gli davano un'occhiata e decidevano che era uno che non avevano mai visto? Dopo tutto, non era più il Ben Holiday che conoscevano. Era uno sconosciuto, e non troppo ben vestito, per giunta. Si guardò i vestiti, si ricordò della sua condizione infelice. Sembrava un mercante piuttosto male in arnese, pensò con malinconia. Fillip e Sot potevano decidere che non valeva il disturbo. Potevano decidere di restare dov'erano. E se non poteva avvicinarsi quanto bastava per parlare con loro, non sarebbe riuscito a ottenere il loro aiuto. Le ombre pomeridiane si allungarono. La pazienza di Ben sfrigolava come acqua bollente su un fuoco acceso. Lanciò un'occhiata stizzita a Edgewood Dirk. Da quella parte, nessun aiuto. Occhi chiusi, zampe ripiegate sotto il corpo, respiro rallentato quasi a zero, il gatto poteva essere benissimo addormentato o addirittura impagliato. I fori delle tane continuavano a fissarlo sbadigliando, con aperto disinteresse. Il sole continuava a calare verso le colline a ovest. Non si vedeva nessuno. Ben aveva appena deciso di gettare la spugna, quando una faccia pelosa e rigata di sudiciume fece capolino all'improvviso dall'apertura di una tana a una decina di metri di distanza, seguita subito dopo da un'altra, proprio accanto. Due musi fiutarono con diffidenza l'aria del tardo pomeriggio. Due paia di occhi deboli sbirciarono cautamente in giro. Ben si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Erano Fillip e Sot. Gli occhi socchiusi si fermarono su di lui. -Buon giorno, signore-disse Fillip.
-Buon giorno, signore-fece eco Sot. -Buon giorno, davvero-rispose Ben raggiante, drizzandosi a sedere sul ceppo. -Desidera commerciare, signore?-chiese Fillip. -Desidera commerciare con noi?-aggiunse Sot. -Sì. Sì, senza il minimo dubbio.-Ben fece una pausa. -A lor signori spiacarebbe venire qui? Così potrò avere la certezza che vi rendete conto dell'articolo che tratto. Gli gnomi Va' Via si scambiarono un'occhiata, poi sbucarono fuori alla luce del tramonto. I corpi robusti e pelosi erano coperti da abiti che sembravano scarti dell'Esercito della Salvezza. Facce barbute da furetto con occhi minuscoli strizzati e nasi arricciati fiutavano l'aria come banderuole orientate dal vento. Erano coperti dalla testa ai piedi di terriccio e sudiciume. Fillip e Sot, senza alcun dubbio. Ben attese che si fermassero a pochi passi da lui, li invitò ad avvicinarsi ancora, poi disse:-Voglio che mi ascoltiate con molta attenzione, capite? Ascoltatemi e basta. Io sono Ben Holiday, Alto Signore di Landover. E' stata usata una magia per modificare il mio aspetto, ma è soltanto temporanea. Prima o poi ritornerò al mio vero aspetto, e allora mi ricorderò di chi mi ha aiutato e di chi non lo ha fatto. E in questo momento ho bisogno del vostro aiuto. Spostò lo sguardo da una faccia pelosa all'altra. Gli gnomi lo fissavano senza parole, strizzando gli occhi e dilatando le narici. Si guardarono per un momento, poi fissarono di nuovo Ben. -Lei non è l'Alto Signore-disse Fillip. -No, non lo è-convenne Sot. -Sì che lo sono-insistette Ben. -L'Alto Signore non verrebbe qui da solo-obiettò Fillip. -L'Alto Signore verrebbe con i suoi amici, il mago, il cane parlante, i coboldi e la ragazza Willow, la bella silfide-disse Sot. -L'Alto Signore verrebbe con le guardie e il seguito-aggiunse Fillip. -L'Alto Signore verrebbe con le insegne della sua carica- precisò Sot. -Lei non è l'Alto Signore-concluse Fillip. -No, non lo è-confermò Sot. Ben inspirò a fondo.-Tutto questo mi è stato sottratto da un mago malvagio, il mago che mi ha portato a Landover per la prima volta, il mago che abbiamo visto nel cristallo dopo che ci siamo liberati dagli orchi delle rupi... ricordate? Siete stati voi a venire a Sterling Silver per primi a chiedere il mio aiuto. Io sono venuto con voi per aiutarvi a liberare dagli orchi la vostra gente, gli stessi gnomi che avevano mangiato gli orsetti pelosi che erano gli animali domestici preferiti degli orchi. Ora, se non fossi l'Alto Signore, come farei a sapere tutto questo? Fillip e Sot si guardarono di nuovo. Stavolta sembravano un po' incerti. -Non lo sappiamo-ammise Fillip. -No, non ne abbiamo idea-riconobbe Sot. -Ma lei non è l'Alto Signore-insistette Fillip. -No-convenne Sot.
Ben trasse un altro respiro profondo.-Io ho infranto il cristallo contro le rocce dopo che abbiamo scoperto il suo scopo. Questor Thews ha ammesso la parte che aveva avuto nel suo uso. C'eravate voi, c'erano Abernathy e Willow, i coboldi Bunion e Parsnip. Poi siamo scesi nel Pozzo Infido. Voi avete guidato Willow e me. Ricordate? Abbiamo usato la Polvere IO per trasformare di nuovo la Strega del Crepuscolo in un corvo e farla volare nelle nebbie fatate. Poi siamo andati in cerca del drago Strabo. Vi ricordate? Come potrei saperlo se non fossi l'Alto Signore? Gli gnomi spostavano i piedi avanti e indietro come se le formiche rosse fossero entrate nei loro stivali malconci. -Non lo sappiamo-disse di nuovo Fillip. -No-convenne Sot. -Ciò nonostante, lei non è l'Alto Signore-ripeté Fillip. -No, non lo è-fece eco Sot. La pazienza di Ben diminuì di parecchi gradi, nonostante la sua forza di volontà.-E come fate a sapere che non sono l'Alto Signore?-chiese con voce tesa. Fillip e Sot si dimenarono, innervositi. Si torcevano le mani piccole e spostavano gli occhi qua e là e poi di nuovo qua. -Non ha il suo odore-rispose infine Fillip. -No, lei odora come noi-confermò Sot. Ben rimase attonito, poi arrossì, infine perse quel poco di autocontrollo che era riuscito a esercitare fino a quel momento.-Ora ascoltatemi bene! Io sono l'Alto Signore, sono Ben Holiday, sono esattamente quello che ho detto di essere, e sarà meglio che lo accettiate subito, oppure vi troverete nel guaio peggiore di tutta la vostra vita, più grande perfino di quando avete rubato e mangiato il cagnolino al banchetto di festeggiamento dopo la sconfitta del Marchio di Ferro! Vi farò appendere a seccare, dannazione! Guardatemi!-Estrasse di scatto il medaglione dalla tunica, coprendo il viso e l'immagine di Meeks con il palmo, e lo spinse in avanti come un'arma.-Volete vedere che cosa so fare con questo? Fillip e Sot caddero bocconi a terra, con i corpi minuscoli che tremavano da capo a piedi. Si gettarono a terra così in fretta che parve quasi che qualcuno gli avesse fatto lo sgambetto. -Grande Alto Signore!-esclamò Fillip. -Possente Alto Signore!-gemette Sot. -Le nostre vite sono sue!-singhiozzò Fillip. -Sue!-fece eco Sot. "Ora va molto meglio" pensò Ben, non poco sbalordito dal rapido voltafaccia. Con gli gnomi Va' Via, un po' di intimidazione sembrava molto più efficace di una spiegazione ragionevole. Si vergognava un po' di essere dovuto ricorrere a certe tattiche, ma era più disperato che mai. -Alzatevi-ordinò loro. Si rimisero in piedi e rimasero a guardarlo con aria spaventata.-Va tutto bene-li rassicurò con dolcezza.-Capisco perché tutto questo vi confonde, quindi lasciamoci ogni cosa alle spalle. D'accordo?-Due facce da furetto annuirono all'unisono.-Bene. Ora abbiamo un problema. Willow, la graziosa silfide, forse si trova in un mare di guai, e dobbiamo aiutarla così come ci ha aiutato lei
quando gli orchi delle rupi ci tenevano in catene. Ricordate?- Usava spesso la parola "ricordate", ma avere a che fare con gli gnomi era come avere a che fare con dei bambini piccoli.-E' scesa nel Pozzo Infido a cercare qualcosa, e dobbiamo trovarla per essere certi che stia bene. -A me non piace il Pozzo Infido, Alto Signore-protestò Fillip incerto. -Neppure a me-fu d'accordo Sot. -Lo so-ammise Ben.-Non piace neanche a me. Ma voi due mi avete detto una volta che sapete scendere laggiù senza farvi vedere. Io non so farlo. Voglio soltanto che scendiate laggiù quanto basta per guardarvi attorno e vedere se Willow è là, e cerchiate qualcosa di cui ho bisogno che è nascosto laggiù. Va bene? Solo guardarvi attorno. Nessuno deve sapere che siete là. -La Strega del Crepuscolo è tornata nel Pozzo Infido, Alto Signore-annunciò Fillip a voce bassa, confermando i peggiori timori di Ben. -L'abbiamo vista, Alto Signore-convenne Sot. -Adesso odia tutto-aggiunse Fillip. -Ma più di tutti lei-concluse Sot. Seguì un breve silenzio. Ben tentò di immaginare per un attimo la misura dell'odio della Strega del Crepuscolo per lui senza riuscirci. Probabilmente era meglio così. Si chinò verso gli gnomi.-Siete tornati nel Pozzo Infido, allora?-Fillip e Sot annuirono con aria infelice.-E non vi ha visti, vero?-Ancora quel cenno.-Allora potete farmi questo favore, no? Potete farlo per me e per Willow. E' un favore che non dimenticherò, ve lo assicuro. Seguì un altro lungo istante di silenzio mentre Fillip e Sot lo guardavano, poi si scambiavano un'occhiata. Accostarono le teste e bisbigliarono fra loro. Il loro nervosismo si era trasformato in agitazione. Infine guardarono di nuovo lui, con occhi scintillanti. -Se facciamo questo, Alto Signore, possiamo avere il gatto?-chiese Fillip. -Sì, possiamo avere il gatto?-fece eco Sot. Ben rimase sbigottito. Per un attimo aveva dimenticato Dirk. Abbassò gli occhi sul gatto, e poi di nuovo sugli gnomi. -Non ci pensate neppure-consigliò loro.-Questo gatto non è quello che sembra. Fillip e Sot annuirono a malincuore, ma continuarono a fissare Dirk. -Vi avverto-disse Ben con decisione. Ancora una volta gli gnomi annuirono, ma Ben ebbe la netta sensazione di rivolgersi a un muro di mattoni. Scosse la testa, esasperato.-D'accordo. Per stanotte dormiremo qui e all'alba partiremo.-Dedicò un momento in più ad attirare la loro attenzione.-Cercate di ricordarvi quello che ho appena detto del gatto. D'accordo? Gli gnomi annuirono per la terza volta. Ma i loro occhi non lasciarono Dirk. Ben consumò un altro pasto spartano a base di Bonnie Blu, bevve acqua di fonte e guardò il sole tramontare all'orizzonte e la notte calare sulla valle. Pensò al vecchio mondo e alla sua vecchia vita e, per la prima volta da molto tempo, si domandò se non avrebbe fatto meglio a rimanere dov'era invece di venire quaggiù. Poi respinse
quei pensieri esasperanti, si avvolse nel mantello da viaggio e si sistemò alla base del ceppo per trascorrere una notte scomoda. Dirk non si era mosso dalla cima del ceppo. Sembrava morto. A un certo punto della notte si udì un urlo così spaventoso e così prolungato da far balzare Ben in piedi di scatto. Sembrava che provenisse da un punto sopra di lui; ma quando finalmente si orizzontò e scrutò l'accampamento con gli occhi insonnoliti tutto quello che vide fu Dirk accovacciato in cima al ceppo con i peli ritti e una sorta di vapore che si levava dalla schiena. In lontananza, qualcosa, o qualcuno, piagnucolava. -Quegli gnomi sono tanto insistenti da essere stupidi- commentò sottovoce Dirk prima di rimettersi a riposare, con gli occhi lucenti nel buio come un fuoco smeraldino. Il piagnucolio svanì e anche Ben tornò a stendersi. Ecco a che cosa erano serviti i consigli benintenzionati a Fillip e a Sot. Certe lezioni si dovevano imparare con le cattive. Quella stessa notte vide svolgersi una scena ben diversa alcuni chilometri a sud di Rhyndweir, in un vecchio deposito abbandonato con un recinto per il bestiame, in cima a una cresta rocciosa che sovrastava la distesa orientale del Prato Verde. Un tetto pericolante e finestre senza imposte facevano del deposito un autentico rudere, e il recinto per il bestiame aveva delle assi mancanti in cinque o sei punti. Le ombre avvolgevano il tutto in una ragnatela di pizzo nero. Uno spaventapasseri con la barba bianca e un cane dal pelo ispido, entrambi decisamente trascurati, erano seduti ai lati di un fuoco vivace acceso a una dozzina di metri dal deposito e si scambiavano accuse con una violenza che sembrava smentire che fossero mai stati ottimi amici. Una creatura sparuta con la faccia da scimmia, le orecchie da elefante e grossi denti assisteva alla disputa in un silenzio sconcertato. -Non cercare di chiedermi comprensione per quello che hai fatto!-stava dicendo il cane dal pelo ruvido allo spaventapasseri.-Ti ritengo direttamente responsabile della nostra situazione e non sono affatto incline all'indulgenza! -La tua mancanza di compassione è pari soltanto alla tua mancanza di carattereribatté lo spaventapasseri.-Un altro uomo, o perfino un cane, sarebbe più caritatevole, ne sono sicuro! -Ah ah! Un altro uomo, o perfino un cane, ti avrebbe detto addio molto tempo fa! Un altro uomo, o perfino un cane, si sarebbe trovato una compagnia decente con cui dividere l'esilio! -Capisco. Be', non è troppo tardi per trovare un'altra compagnia, decente o no, se è questo che desideri! -Ci sto appunto pensando, stanne certo! I due si guardarono con occhi fiammeggianti oltre il bagliore rosso del fuoco, covando pensieri neri come le ceneri della legna arsa. Lo spettatore dal muso scimmiesco rimase muto. La notte pendeva su tutti e tre come il velo di un partecipante a un funerale, e la cresta montuosa era spettrale e silenziosa. Abernathy si spinse indietro gli occhiali sul naso e riprese ancora una volta la discussione, in tono un po' più pacato. -Quello che mi riesce difficile capire è per
quale motivo hai lasciato fuggire l'unicorno, mago. Avevi quella creatura davanti a te, conoscevi le parole che l'avrebbero addomesticata, e che cosa hai fatto? Hai fatto piovere un diluvio di farfalle e fiori. Che specie di idiozia è stata? Questor Thews serrò le mascelle con aria di sfida.-Una specie di idiozia che proprio tu, fra tutti, dovresti capire. -Sono incline a ritenere che ti sei semplicemente lasciato prendere dal panico. Sono costretto a pensare che non sei riuscito a padroneggiare la magia quando ne avevi bisogno. E che cosa vuole dire, "una specie di idiozia che io dovrei capire"? -Voglio dire, la specie di idiozia che dà a tutte le creature la possibilità di essere quello che dovrebbero essere, a dispetto di ciò che gli altri ritengono meglio per loro! Lo scrivano corrugò la fronte.-Un momento. Mi stai dicendo che hai lasciato fuggire l'unicorno di proposito? Che le farfalle e i fiori non sono stati un incidente? Il mago si tirò il pizzetto con aria irritata.-Congratulazioni per aver afferrato, sia pure in ritardo, ciò che era ovvio! E' esattamente quello che ti sto dicendo! Seguì un lungo silenzio fra loro, mentre si studiavano. Viaggiavano insieme dall'alba, ribollendo dentro di sé per la svolta degli eventi che li aveva portati a quella conclusione, esteriormente distanziati l'uno dall'altro dalla collera. Quella era la prima volta che veniva affrontato apertamente l'argomento della fuga dell'unicorno. Il momento del confronto passò. Questor distolse lo sguardo per primo, sospirò e si strinse addosso la veste costellata di toppe colorate per tenere a bada il gelo notturno che si accentuava. Aveva il viso segnato e rugoso per l'ansia, gli abiti impolverati e strappati. Abernathy non aveva un aspetto migliore. Erano stati spogliati di tutto. La loro cacciata era venuta subito dopo che l'Alto Signore aveva appreso della mancata cattura dell'unicorno nero. L'Alto Signore non aveva concesso la possibilità di spiegare le loro azioni e non aveva offerto nessuna spiegazione per le proprie. Al ritorno a Sterling Silver si erano visti venire incontro un messaggero, che aveva consegnato un conciso ordine scritto a mano. Erano sollevati dalla loro posizione. Da quel momento potevano andare dove volevano, ma non dovevano mai più tornare a corte. Bunion, apparentemente lasciato libero di decidere, era andato con loro. Non aveva offerto nessuna spiegazione. -Quando abbiamo cominciato la caccia non era mia intenzione lasciar fuggire l'unicorno-riprese Questor a bassa voce.-Era mia intenzione che fosse catturato e consegnato all'Alto Signore come lui aveva ordinato. La ritenevo un'impresa pericolosa, perché si diceva da molto tempo che l'unicorno nero fosse una creatura che portava sfortuna. Ma del resto, l'Alto Signore ha mostrato una straordinaria capacità di volgere le sventure a proprio vantaggio.-S'interruppe.-Devo ammettere di essere rimasto turbato dalla sua insistenza sulla cattura immediata dell'unicorno e sul rifiuto di spiegarci quell'insistenza. Tuttavia intendevo lo stesso che l'unicorno fosse preso.-Trasse un respiro profondo.-Ma quando me lo sono visto davanti in quel bosco, fermo lì, quando ho visto che cos'era... non ho potuto permettere che fosse catturato. Non so perché, non ho proprio potuto. No, non è vero. So il perché. Non era giusto. Dentro di me ho sentito che non era giusto. Non lo hai sentito anche tu, Abernathy? L'unicorno non era destinato ad appartenere all'Alto Signore. Non era
destinato ad appartenere a nessuno.-Alzò gli occhi di nuovo, con aria incerta.-Così ho usato la magia per evitare che accadesse. L'ho lasciato fuggire. Abernathy scattò contro qualcosa che gli svolazzava davanti, poi si raddrizzò sul naso gli occhiali incrostati di polvere e starnutì.-Be', avresti potuto dirlo subito, mago, invece di farmi credere che la magia ti avesse giocato ancora una volta. Questo, almeno, posso capirlo. -Davvero?-Questor scosse la testa dubbioso.-Vorrei riuscirci io. Ho agito contro i desideri dell'Alto Signore quando ho giurato di servirlo, e l'unica ragione che posso addurre è che in questo caso servirlo mi sembrava sbagliato. Ha avuto ragione a scacciarmi dalla corte. -E anche me, immagino? -No, non avrebbe dovuto scacciare te. Tu non hai avuto nessuna parte in quello che è successo. -Il punto è che ha avuto torto a scacciare tutti e due! Questor si strinse nelle spalle, impotente.-E' l'Alto Signore. Chi siamo noi per mettere in discussione il suo giudizio? -Humpf!-sbuffò Abernathy con derisione.-La caccia è stata una iniziativa malaccorta, se mai ne ho vista una. Lui conosceva la storia dell'unicorno nero. Gli avevamo raccontato che la bestia non poteva essere catturata in una caccia, e lui ci ha ignorati del tutto. Non lo aveva mai fatto prima, mago. E' ossessionato da questa bestia, te lo dico io, non pensa ad altro. Ha parlato una sola volta di Willow, e che tirata sul fatto che non era tornata da lui con le briglie d'oro. Ignora i suoi doveri, se ne sta chiuso nelle sue stanze e non si confida con nessuno. Non ha fatto un solo accenno ai libri di magia da quando glieli hai riportati. Avevo sperato che l'Alto Signore dedicasse loro almeno un po' di attenzione per cercare un modo di usarli per riportarmi alla mia forma originaria. Una volta, l'Alto Signore lo avrebbe fatto senza nemmeno pensarci. Lo scrivano s'interruppe imbarazzato, fissando corrucciato le fiamme del fuocherello.-Be', non importa. Il punto è che in questi giorni non è più lui, Questor Thews. Non è lui. Il viso da gufo del mago si contrasse pensieroso.-No.- Lanciò una rapida occhiata a Bunion e fu sorpreso di vedere il coboldo che annuiva in segno di consenso.-No, non è proprio lui. -Non lo è da quando... -Da quando abbiamo scoperto quell'impostore nella sua camera da letto? -Da allora, sì. Da quella notte. Rimasero di nuovo in silenzio per un istante. Poi i loro occhi s'incontrarono, e furono sorpresi da quello che vi trovarono rispecchiato.-E' possibile che...-cominciò Abernathy in tono incerto. -Che l'impostore fosse davvero l'Alto Signore?-finì Questor per lui. Il suo cipiglio si accentuò.-Prima non lo avrei pensato, ma adesso... -Non abbiamo nessun modo per accertarcene, naturalmente-si affrettò a interromperlo Abernathy. -No, nessun modo-ammise Questor.
Il fuoco crepitava e sfrigolava, il fumo soffiava verso di loro a ogni cambiamento del vento, e le scintille danzavano nelle ceneri. Da un punto in lontananza, un uccello notturno lanciò un richiamo lungo e luttuoso che fece correre un brivido lungo la schiena di Questor. Scambiò rapide occhiate con Abernathy e Bunion. -Detesto dormire all'addiaccio- brontolò Abernathy. -Odio le pulci e le cimici e tutti gli esseri striscianti che cercano di intrufolarsi nel mio pelo. -Ho un piano-annunciò all'improvviso Questor. Abernathy gli rivolse una lunga occhiata dura, del tipo che lanciava sempre quando si trovava di fronte a una dichiarazione della quale avrebbe fatto volentieri a meno.-Ho quasi paura di chiederti qual è, mago-rispose alla fine. -Andremo dal drago. Andremo da Strabo. I denti di Bunion scintillarono in un sorriso spaventoso.-E questo sarebbe un piano?domandò Abernathy, inorridito. Questor si protese in avanti con impazienza.-Ma è perfettamente ragionevole andare da Strabo. Chi ne sa di più dei draghi sul conto degli unicorni? Una volta erano i peggiori nemici, i più antichi avversari nel mondo fatato. Ora l'unicorno nero è l'ultimo della sua specie, e Strabo della sua. Hanno una causa in comune, un'affinità naturale. Certamente potremo scoprire qualcosa dell'unicorno dal drago, forse quanto basta per dipanare il mistero e scoprire lo scopo della sua venuta a Landover! Abernathy lo fissò incredulo.-Ma il drago ci detesta, Questor Thews! Te ne sei dimenticato? Ci arrostirà per merenda!-Fece una pausa.-Inoltre, a che ci servirà scoprire qualcos'altro sull'unicorno? Quella bestia ci ha già causato abbastanza guai. -Ma se comprendiamo il suo scopo, potremmo scoprire una ragione per l'ossessione dell'Alto Signore-fu pronto a ribattere Questor.-Potremmo perfino trovare un modo per insediarci di nuovo a corte. Non è inconcepibile. E il drago non ci farà del male. Sarà felice della nostra visita, una volta che avrà saputo lo scopo della nostra venuta. Non dimenticare, Abernathy, che anche draghi e maghi hanno un'origine comune. La natura e la durata dei nostri rapporti professionali ha sempre ispirato un certo grado di rispetto reciproco. Abernathy arricciò il labbro.-Quante sciocchezze! Questor parve quasi non udirlo. Nei suoi occhi c'era uno sguardo distante.-Ai vecchi tempi, fra maghi e draghi si svolgevano giochi che avrebbero messo alla prova i deboli di cuore, te lo assicuro. Giochi di magia e giochi di abilità.-Piegò leggermente la testa di lato.-Forse potrebbe essere necessario un gioco o due, se Strabo decidesse di mostrarsi ostinato. Il furto di informazioni è un'arte che ho imparato a dominare bene, e sarebbe divertente mettermi alla prova di nuovo... -Tu sei pazzo!-Abernathy era atterrito. Ma l'entusiasmo di Questor non si lasciò smontare. Si alzò in piedi, girando intorno al fuoco con gli occhi lucenti di eccitazione.-Bene, non importa. Quel che è necessario va fatto. Ho preso la mia decisione. Andrò dal drago.-Fece una pausa.-Bunion verrà con me, non è vero, Bunion?-Il coboldo annuì, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Il mago fece svolazzare le mani in aria.-Ecco, è deciso. Io vado, Bunion viene. E tu devi venire con noi, Abernathy.-Si fermò, abbassando le mani,
con la figura alta leggermente curva come per il peso dell'espressione di colpo accigliata. -Dobbiamo andare, lo sai. Dopo tutto, che altro ci resta da fare? Fissò lo scrivano con aria interrogativa. Abernathy ricambiò lo sguardo, fissandolo negli occhi. Ci fu un lungo silenzio mentre dubbio e incertezza combattevano una guerra silenziosa con la stima di sé negli occhi del vecchio amico. Aleggiavano nell'aria le ombre di tempi in cui avevano creduto che il passato tornasse a ossessionare il presente, e sentivano quelle ombre chiudersi inesorabili su di loro. Non potevano permetterlo. Qualunque cosa era meglio che attendere un'oscurità così soffocante. La cresta montuosa era di nuovo immersa nel silenzio, una spina dorsale scura contro un cielo di stelle e di lune che sembrava freddo e distante. Il deposito abbandonato e il recinto per il bestiame erano l'ossatura di una terra anziana. -Benissimo-accettò Abernathy, con il più greve dei sospiri.-Faremo una bella compagnia di idioti. Nessuno prese la parola per contraddirlo. CAPITOLO 12 La maschera Il sorgere del sole trovò Fillip e Sot presenti e disponibili come promesso. Quando Ben si svegliò erano a venti metri buoni, una coppia di ombre immobili e tozze nel buio che si diradava con gli zaini da viaggio in spalla, i berrettucci con la piuma rossa ben piantati al loro posto. A prima vista sembravano cespugli; ma dopo che Ben si alzò per stirarsi i muscoli intorpiditi dal freddo e dal terreno duro, avanzarono incerti di alcuni passi e lo salutarono in tono ansioso. Sembravano più nervosi del solito e seguitavano a lanciare occhiate alle sue spalle, come se si aspettassero da un momento all'altro un attacco degli orchi delle rupi. Ben impiegò un momento a capire che non stavano in guardia contro gli orchi, bensì contro Edgewood Dirk. Dirk, da parte sua, li ignorava. Quando Ben pensò a guardarlo, era accovacciato sul ceppo d'albero a lavarsi, con il manto serico liscio e lucente come di goccioline di rugiada mattutina. Non alzò gli occhi e non rispose al buongiorno di Ben. Continuò a occuparsi delle sue pulizie finché il lavoro non fu completato a dovere, poi si accostò al contenuto di una ciotola di acqua di fonte che Ben gli aveva procurato. Ben non ci aveva mai riflettuto prima, ma Dirk non sembrava mangiare granché. Di che cosa vivesse era una sorta di mistero, ma era un mistero che Ben decise di lasciare insoluto. Aveva già abbastanza enigmi da risolvere senza aggiungerne un altro. Partirono poco dopo la sveglia. Ben e Dirk al comando, a seconda di come s'intende la parola "comando", perché ancora una volta Dirk pareva sapere dove Ben stava andando prima ancora di lui. Gli gnomi li seguivano. Fillip e Sot evidentemente non volevano avere a che fare con Edgewood Dirk. Se ne stavano alla larga dal gatto e lo guardavano come si guarderebbe un serpente. Fillip zoppicava in modo vistoso e Sot aveva una buona porzione di pelo bruciacchiato sui polsi e sul dorso delle mani. Nessuno dei due aveva niente da dire sulle proprie ferite, e Ben li lasciò stare. Viaggiarono per tutta la mattina ad andatura regolare, con il sole che brillava luminoso dal cielo sereno, e l'aria profumata dai fiori selvatici e dagli alberi da frutto.
Erano piccoli ma davano nell'occhio, e Ben ripensò a Meeks col suo aspetto, ai demoni tornati da Abaddon ai suoi ordini, alla diminuzione della magia nella terra e alla vita che gli era stata sottratta. C'era un rinnovato senso di urgenza a incalzarlo, la sensazione che il tempo gli sfuggisse tra le mani troppo in fretta. Non si era avvicinato affatto alla scoperta di ciò che gli era stato fatto. Non aveva ancora idea del motivo per cui l'unicorno nero era tornato a Landover o della sua importanza per Meeks. Sapeva soltanto che esisteva un nesso che collegava tutto ciò che era accaduto e che doveva scoprirlo, se mai intendeva rimettere ordine in quel pasticcio. Quell'idea lo riportò ancora una volta al pensiero di Edgewood Dirk. Continuava a scottargli il fatto che il gatto volesse restare un tale enigma quando evidentemente sapeva spiegarsi benissimo. Ben ormai era abbastanza sicuro che Dirk non si fosse imbattuto in lui per caso, quella prima notte nella regione dei laghi, ma lo avesse cercato di proposito. Solo che Dirk non aveva intenzione di svelarsi a Ben finché non ne aveva voglia; e data la singolare natura propria del gatto, era probabile che quella spiegazione sarebbe arrivata il giorno del mai. Comunque, a Ben sembrava assurdo accettare semplicemente la presenza della bestia senza fare qualche altro sforzo per scoprire qualcosa sui motivi che lo avevano portato da lui. Mentre la mattina si prolungava nel meriggio e cominciava ad essere visibile l'oscurità del Pozzo Infido, decise di fare un altro tentativo con il gatto. Durante la marcia era stato impegnato a rimuginare sulla possibilità di un legame comune fra i vari unicorni in cui si era imbattuto dal momento del sogno. Erano piuttosto numerosi, dopo tutto. C'era l'unicorno nero. C'erano gli unicorni disegnati contenuti nei libri di magia scomparsi, o meglio, in uno dei libri di magia scomparsi; l'altro era un guscio bruciato dall'interno. E c'erano gli unicorni fatati che erano scomparsi secoli prima nel viaggio attraverso Landover fino ai mondi mortali. In quel momento, quella che lo preoccupava era la leggenda degli unicorni fatati. Aveva sempre pensato che dovesse esistere un legame fra l'unicorno nero e i disegni contenuti nei libri magici. Altrimenti, perché Meeks avrebbe mandato sogni che riguardavano gli uni e gli altri? Perché li avrebbe desiderati con tanta intensità? Il vero problema era se avessero anche qualche nesso con gli unicorni fatati scomparsi. Si rendeva conto che sarebbe stata una coincidenza significativa se ci fosse stato davvero un nesso fra i tre, ma cominciava a chiedersi se non sarebbe stata una coincidenza ancor più significativa il fatto che non ce ne fosse. La magia li legava tutti e tre in un unico vincolo, e lui avrebbe scommesso la testa che l'obiettivo di Meeks era una specie di controllo sulla magia. Per ora aveva meditato abbastanza. Forse la soluzione di uno dei piccoli enigmi avrebbe contribuito alla soluzione di quello grande. E forse, ma solo forse, Edgewood Dirk sarebbe stato meno restio ad aiutarlo. -Dirk, tu sei stato in molti luoghi e hai visto tante cose.- Aprì la conversazione con tutta la disinvoltura che gli era possibile, senza lasciarsi la possibilità di indugiare ancora.-Che cosa pensi della leggenda degli unicorni fatati scomparsi? Il gatto non lo guardò neppure.-Non ci penso affatto. -No? Ebbene, se ci pensassi? La prima volta che ci siamo incontrati, hai detto che sapevi qualcosa degli unicorni bianchi scomparsi, non è vero?
-E' vero. -Degli unicorni che le fate hanno mandato negli altri mondi? Quelli che chissà come sono scomparsi? -Proprio quelli.-Dirk sembrava annoiato. -E cosa pensi che ne sia stato di loro? Come sono scomparsi? -Come?-Il gatto sbuffò.-Sono stati rubati, naturalmente. Ben rimase così sbalordito di avere ottenuto una risposta chiara che non riuscì a restare al passo.-Ma... rubati da chi?-mormorò infine. -Da qualcuno che li voleva, Alto Signore... chi altri? Da qualcuno che aveva l'abilità e i mezzi per catturarli e tenerseli stretti. -E chi sarebbe stato? Dirk sembrava irritato.-E chi pensa che sarà stato? Ben esitò, riflettendo.-Un mago? -Non un mago, tanti maghi! Ne esistevano molti a quei tempi, non semplicemente uno o due come adesso. Avevano la loro corporazione, la loro associazione: non rigida, ma efficace quando decideva di esserlo. Allora la magia era più forte a Landover, e i maghi prestavano le proprie capacità a chi ne aveva più bisogno e poteva permetterselo. Furono uomini potenti per un certo tempo, finché decisero di sfidare il re stesso. -Che cosa accadde? -Il re convocò il Paladino, e il Paladino li distrusse. Dopo di che, fu ammessa l'esistenza di un solo vero mago, e al servizio del re. Ben si accigliò.-Ma se gli unicorni erano stati rubati dai maghi, che cosa accadde loro dopo che i maghi furono... sistemati? Perché non furono liberati? -Nessuno sapeva dov'erano. -Ma qualcuno non avrebbe dovuto cercarli? Non avrebbero dovuto trovarli? -La risposta a tutt'e due le domande è sì. -Allora come mai non è accaduto? Dirk rallentò, si fermò e batté le palpebre con aria languida. -La domanda che nessuno ha posto allora è la stessa che lei non pone adesso, Alto Signore. Per quale motivo furono rubati gli unicorni, in primo luogo? Anche Ben si fermò, rifletté un momento e scrollò le spalle. -Erano creature bellissime. I maghi le volevano per sé, immagino. -Sì, sì, sì! Non sa immaginare di meglio? -Be', ehm...-Fece un'altra pausa, sentendosi un perfetto idiota.-Perché non me lo spieghi semplicemente, dannazione?-sbottò esasperato. Dirk lo guardò con fermezza.-Perché non voglio-rispose piano.-Perché deve imparare di nuovo a vedere le cose con chiarezza. Ben lo fissò per un attimo, guardò indietro verso gli gnomi Va' Via che stavano a guardare a distanza di sicurezza e incrociò le braccia sul petto in un gesto stanco. Non sapeva di che cosa stesse parlando Dirk, ma discutere con il gatto non serviva a niente. -E va bene-disse infine.-Lasciami riprovare. I maghi scoprirono che le fate volevano mandare gli unicorni attraverso Landover nei mondi mortali. Rubarono gli unicorni
per tenerli per sé. Li rubarono perché...-S'interruppe, ricordando all'improvviso i libri scomparsi e i disegni.-Rubarono gli unicorni perché volevano la loro magia! Ecco che cosa significano i disegni in quel libro! Hanno qualcosa a che fare con gli unicorni scomparsi! Edgewood Dirk piegò la testa di lato.-Lo pensa davvero, Alto Signore? Era così genuinamente curioso che Ben non sapeva che cosa pensare. Si era aspettato che il gatto fosse d'accordo con lui, ma il gatto sembrava sorpreso quanto lui. -Si, lo penso davvero-dichiarò alla fine, continuando però a domandarselo.-Penso che gli unicorni scomparsi e i libri scomparsi siano collegati e che l'unicorno nero abbia a che fare con entrambi. -Questo è plausibile-ammise Dirk. -Ma in che modo furono rubati gli unicorni? E in che modo potevano i maghi rubare la loro magia? Gli unicorni non erano potenti come i maghi? -Mi è stato detto di sì-convenne ancora una volta Dirk. -Allora che cosa ne è stato? Dove sono nascosti? -Forse portano delle maschere. -Maschere?-Ben era confuso. -Come la sua. Forse portano una maschera, e noi non possiamo vederli. -Come la mia? -Le dispiacerebbe non ripetere tutto quello che dico? -Ma di che cosa stai parlando, in nome del cielo? Dirk gli lanciò un'occhiata del genere "Perché domandarmelo?" e annusò l'aria del tardo mattino come se le risposte che cercava si potessero trovare lì. La coda nera si agitò.-Mi accorgo di essere assetato, Alto Signore. Le va di unirsi a me per bere? Senza aspettare la risposta, si alzò e si allontanò trotterellando fra gli alberi da una parte. Ben lo seguì con gli occhi per un attimo, poi gli andò dietro. Camminarono per un breve tratto fino a una pozza alimentata da piccole rapide e si chinarono a bere. Ben bevve in fretta, più assetato di quanto avesse immaginato. Dirk se la prese comoda, schizzinoso al punto da essere irritante, leccando con calma, facendo frequenti pause, tenendo accuratamente le zampe lontane dall'acqua. Ben si accorse della presenza sullo sfondo di Fillip e Sot che guardavano, ma non prestò loro attenzione. La sua attenzione era tutta rivolta al gatto e a quello che Dirk avrebbe detto, perché avrebbe detto senz'altro qualcosa, o Ben si sbagliava come non si era mai sbagliato in vita sua! Non si sbagliava. Un attimo dopo, Dirk si accovacciò sulle zampe posteriori e gli lanciò un'occhiata.-Si guardi nell'acqua, Alto Signore-ordinò. Ben obbedì e vide una versione malconcia di se stesso, ma pur sempre se stesso.-Ora si guardi bene nell'acqua-continuò Dirk. Ben lo fece e vide abiti laceri e stivali logorati, polvere e sudiciume, un corpo non rasato, trascurato, non lavato. Non riuscì a vedere il viso. Ora si guardi nell'acqua di nuovo, guardi attentamente. Ben obbedì, e stavolta vide l'immagine di se stesso tremolare e trasformarsi nell'immagine di qualcuno che non riconobbe, un estraneo i cui vestiti erano gli stessi che portava lui.
Alzò la testa di scatto.-Non sembro più io, nemmeno a me stesso!-Nella sua voce c'era una nota di paura che non riuscì a dissimulare, per quanto tentasse. -E questo, mio caro Alto Signore, è perché sta cominciando a perdere se stesso-disse piano Edgewood Dirk.-La maschera che porta sta diventando lei.-Il muso nero si avvicinò.-Ritrovi se stesso, Ben Holiday, prima che ciò accada. Si tolga la maschera, e forse allora potrà trovare un modo per smascherare anche gli unicorni. Ben si affrettò a guardare di nuovo nella pozza d'acqua e con sollievo ritrovò il suo viso di un tempo nel riflesso delle acque. Ma il contorno dei lineamenti sembrava vago. Era come se stesse sbiadendo. Alzò di nuovo gli occhi verso Dirk, ma il gatto stava già trotterellando via, disperdendo gli gnomi spaventati.-Meglio affrettarsi, Alto Signore-esclamò all'indietro.-Il Pozzo Infido non è un posto in cui sia salutare trovarsi dopo il calar della sera! Ben si rimise lentamente in piedi, non solo più confuso che mai, ma anche spaventato.-Perché mai chiedo qualcosa a quel dannato gatto?-borbottò frustrato. Ma conosceva già la risposta a quella domanda, naturalmente. Scosse la testa sulla realtà in generale e si affrettò. A metà del pomeriggio avevano raggiunto il Pozzo Infido. Era immutato e immutabile: una macchia scura e impenetrabile in un tratto di foresta per il resto illuminato dal sole, rannicchiato sul terreno alla maniera di una creatura nascosta, tesa per fuggire o per colpire. Ombre e nebbia giocavano a nascondino nei suoi immensi abissi, strisciando con movimenti lenti e irregolari su alberi, palude e penombra. Non si riusciva a vedere nient'altro. Le forme di vita che vi si annidavano restavano in attesa, pedine di un gioco di sopravvivenza duro e crudele che premiava soltanto gli svelti e i forti. I suoni erano attutiti e i colori velati di grigio. Soltanto la morte era di casa nel Pozzo Infido, e soltanto la morte era immutabile. Ben e i suoi compagni intuivano quella verità. Ritti sull'orlo della cavità, guardavano in giù nel buio e nei loro pensieri personali. -Bene, tanto vale mettersi all'opera-mormorò alla fine Ben. Ricordava l'ultima volta che era sceso nel Pozzo Infido e le terrificanti illusioni che la Strega del Crepuscolo aveva creato per respingerlo: le illusioni di una palude sterminata, di lucertole e peggio. Stava pensando all'incontro con la strega, un incontro che per poco non gli era costato la vita. Non era ansioso di ripetere quella prova. -Bene-ripeté, lasciando che la parola si spegnesse nel silenzio. Nessuno gli prestava la minima attenzione. Dirk era accovacciato vicino a lui, con gli occhi socchiusi e insonnoliti mentre si crogiolava in una piccola chiazza di sole e seguiva i movimenti delle nebbie nel Pozzo Infido. Fillip e Sot erano fermi una buona decina di metri più indietro, ben lontano dal gatto e dall'abisso. Bisbigliavano con vocette ansiose. Lui scosse la testa.-Fillip. Sot. Gli gnomi Va' Via si ritrassero, fingendo di non sentirlo. -Venite qui!-scattò lui irritato, sul punto di perdere la pazienza con gli gnomi e i gatti in genere.
Gli gnomi si mossero con aria mite, esitante, avvicinandosi con occhiate ansiose a Dirk, che come al solito li ignorava. Quando furono vicini quanto erano disposti ad arrivare senza essere trascinati, Ben s'inginocchiò per guardarli in faccia, scrutandoli negli occhi. -Siete sicuri che la Strega del Crepuscolo è laggiù?- chiese piano. -Sì, Alto Signore. -E' lì, Alto Signore. Ben annuì.-Allora voglio che siate prudenti-disse loro a bassa voce. Quello non era il momento per mostrare impazienza o ira, e lui represse entrambe.-Voglio che siate molto prudenti, va bene? Non voglio che facciate niente che vi metta in serio pericolo. Andate semplicemente laggiù a dare un'occhiata in giro. Ho bisogno di sapere se Willow è là, o anche se ci è stata in passato. Questa è la prima cosa. Scopritelo in qualsiasi modo possibile. Fece una pausa, e i grandi occhi scuri degli gnomi si agitarono, a disagio. Attese un istante, li catturò di nuovo con lo sguardo.-Ci sono delle briglie fatte di fili d'orocontinuò. -La Strega del Crepuscolo le tiene nascoste laggiù da qualche parte. Ho bisogno di quelle briglie. Voglio che vediate se riuscite a trovarle. Se ci riuscite, voglio che le rubiate. Gli occhi scuri si dilatarono di scatto fino alle dimensioni di piattini.-No, va tutto bene, non abbiate paura-si affrettò a calmarli Ben.-Non dovete rubarle se la strega è nei paraggi... soltanto se lei non c'è oppure se potete prenderle senza che lo sappia. Fate solo quello che potete. Io vi proteggerò. Quella era probabilmente la peggiore bugia che avesse mai detto in tutta la sua vita; in realtà non aveva nessun mezzo per proteggerli. Ma doveva fare qualcosa per rassicurarli, o sarebbero semplicemente fuggiti alla prima occasione. Potevano farlo comunque, ma lui sperava che la maestà della sua carica li tenesse in soggezione quanto bastava per svolgere quella missione. -Alto Signore, la strega ci farà del male!-dichiarò Fillip. -Molto male!-rincarò la dose Sot. - No-insistette Ben.-Se sarete prudenti, non si accorgerà nemmeno che siete laggiù. Ci siete già stati, non è vero?-Due teste annuirono insieme.-Lei non vi ha visti, vero?Due teste annuirono di nuovo.-Allora non c'è motivo per cui vi debba vedere questa volta, no? Fate soltanto come vi ho detto e siate prudenti. Fillip e Sot si scambiarono un'occhiata lunga e insistente. Nei loro occhi c'erano dubbi sufficienti ad affondare una flotta intera. Alla fine, guardarono di nuovo Ben. -Scenderemo una volta sola-disse Fillip. -Una volta sola-fece eco Sot. -D'accordo, d'accordo, una volta sola-accettò Ben, lanciando un'occhiata ansiosa al sole calante del pomeriggio. -Ma fate presto, va bene? Gli gnomi s'immersero malvolentieri nell'oscurità del pozzo. Ben li guardò finché non scomparvero, poi si sedette ad aspettare. Mentre aspettava, si ritrovò a pensare alle ripetute allusioni di Edgewood Dirk alle maschere. Lui portava una maschera. Gli unicorni scomparsi portavano la maschera. Era quello che il gatto aveva detto, ma che cosa intendeva in realtà? Si appoggiò alla
base di un tronco d'albero a una decina di metri dal punto in cui Dirk si crogiolava al sole, e tentò di procedere oltre col ragionamento. Dopo tutto, era ora che ragionasse su qualcosa. Si supponeva che gli avvocati fossero in grado di farlo; era intrinseco alla loro professione. Re di Landover o meno, lui era pur sempre un avvocato con abitudini da avvocato e mentalità da avvocato. "Allora pensa!'' si esortò. "Pensa!" Pensò. Non ottenne niente. Le maschere erano portate da attori e banditi. Si portavano per travestirsi. Le mettevi e poi le toglievi quando avevi finito col travestimento. Ma che avevano a che fare con lui? O con gli unicorni? "Nessuno di noi sta cercando di travestirsi" pensò. "E' Meeks che cerca di travestire me. Chi cerca di travestire gli unicorni?" I maghi che li hanno catturati, ecco chi. La risposta gli venne all'istante. Si raddrizzò di scatto. I maghi avevano rubato gli unicorni e poi li avevano nascosti travestendoli. Annuì. Era sensato. E in che modo li avevano travestiti? Con le maschere? Che cosa, li avevano trasformati in mucche o alberi o simili? No. Corrugò la fronte. "Ritenta. I maghi hanno preso gli unicorni... come hanno fatto?... in modo da rubare loro la magia. I maghi volevano la magia per sé. Ma che cosa ne hanno fatto? A che scopo la volevano? Dov'è ora la magia?" Spalancò gli occhi. Non c'erano più maghi autentici, a parte Meeks. La fonte del suo potere era nei libri scomparsi ma ora ritrovati, i libri che teoricamente erano una compilazione della magia acquisita dai maghi nel corso degli anni... i libri con i disegni degli unicorni! Certo, gli unicorni nei libri - o nel libro, almeno - erano disegni degli unicorni scomparsi! Ma perché fare disegni? "Oppure sono gli unicorni stessi?" -Sì!-sussurrò sorpreso. Era così impossibile che non se n'era accorto prima, ma impossibile solo nel suo mondo, non a Landover dove la magia era la regola. Gli unicorni scomparsi, gli unicorni che nessuno vedeva da secoli, con la loro magia intatta, erano intrappolati nei libri di magia! E la ragione per cui nei libri non c'erano altro che i disegni degli unicorni era che la magia dei libri era tutta nella magia degli unicorni, magia che i maghi avevano rubato! E imbrigliato a loro uso personale? Non lo sapeva. Fece per dire qualcosa a Dirk, poi ci ripensò. Non aveva senso chiedere al gatto se aveva ragione; Dirk avrebbe semplicemente trovato un modo per confonderlo di nuovo daccapo. "Immagini da sé!" lo aveva ammonito. Gli unicorni erano stati trasformati dai maghi nei disegni dei libri scomparsi... il che avrebbe spiegato la scomparsa degli unicorni per tutti quegli anni, il motivo per cui Meeks aveva inviato a Questor il sogno dei libri, e il bisogno che Meeks aveva di quei libri. Avrebbe spiegato anche l'accenno di Dirk alle maschere. Oppure adesso stava stiracchiando la spiegazione? Fece una pausa. C'erano ancora dei fatti privi di spiegazione, si rese conto. E l'unicorno nero? Era semplicemente un unicorno bianco che era sfuggito dai libri... dal primo libro, forse, quello con il nucleo centrale carbonizzato? Per quale motivo adesso era nero, se prima era stato bianco? Cenere o fuliggine? Ridicolo! Perché era
apparso e poi scomparso di nuovo in altre occasioni nel corso degli anni, se era prigioniero nei libri dei maghi? Per quale motivo Meeks ora lo voleva così disperatamente? Si torse furiosamente le mani. Se un unicorno era riuscito a liberarsi, perché gli altri no? La sua confusione cominciò ad aumentare. Meeks aveva alluso al fatto che Ben aveva fatto qualcosa per rovinare i suoi piani, ma non aveva detto che cosa. Se era così, doveva avere a che fare con gli unicorni, bianchi e neri. Ma Ben non aveva la più pallida idea di che cosa fosse. Rimase seduto a meditare senza successo mentre il pomeriggio si prolungava nella sera e il sole tramontava a ovest. Le ombre si allungarono in modo quasi impercettibile sulla foresta. Lentamente, l'oscurità e la nebbia del Pozzo Infido strisciarono fuori dal loro rifugio diurno per allacciarsi a quelle ombre e chiudersi su Ben e Dirk. Il calore del giorno svanì nel gelo della sera. Ben abbandonò le sue riflessioni e si concentrò sul pendio dell'abisso. Dov'erano Fillip e Sot? A quell'ora non avrebbero dovuto tornare? Si alzò in piedi e si avvicinò all'orlo del pozzo. Non si vedeva niente. Camminò lungo il bordo per alcune centinaia di metri in tutt'e due le direzioni, attraverso tratti di cespugli e sterpaglia, scrutando nella penombra. Niente. Un crescente disagio s'impadronì di lui. Non aveva creduto realmente che gli gnomi fossero in pericolo, altrimenti non li avrebbe mandati giù da soli. Forse si era sbagliato. Forse era così che gli faceva comodo vedere la situazione, e non com'era realmente. Tornò al punto di partenza e rimase in piedi a fissare impotente la macchia del Pozzo Infido. Stava diventando sempre più scura. I pericoli dell'abisso non avevano mai impensierito gli gnomi prima di allora. Era cambiato qualcosa? Dannazione, sarebbe dovuto andare con loro! Lanciò un'occhiata a Dirk. Sembrava addormentato. Ben attese ancora un po' perché non aveva molta scelta. I minuti si trascinavano interminabili. Si stava facendo sempre più buio. Diventava difficile distinguere le cose chiaramente, con l'infittirsi del crepuscolo. Poi all'improvviso ci fu un movimento all'orlo del pozzo. Ben si raddrizzò, avanzò di un passo e si fermò. Una massa di cespugli si divise, e Fillip e Sot avanzarono in vista. -Grazie al cielo siete sa...-cominciò Ben, ma s'interruppe. Gli gnomi Va' Via erano irrigiditi dal terrore. Paralizzati. I loro visi pelosi erano stravolti in maschere di premonizione, con gli occhi lucidi e fissi. Non guardavano né a destra né a sinistra, e nemmeno verso Ben, guardavano dritto in avanti senza vedere niente. Stavano con la schiena addossata alla massa di cespugli e si tenevano per mano come bambini piccoli. Ben si precipitò in avanti, ormai spaventato. C'era qualcosa di terribilmente sbagliato.-Fillip! Sot!-S'inginocchiò davanti a loro, tentando di rompere l'incantesimo che li teneva legati, qualunque fosse.-Guardatemi. Che cos'è stato? -Sono stata io, re-fantoccio!-sussurrò una voce sgradevolmente familiare.
Ben alzò gli occhi, oltre gli gnomi irrigiditi, verso la sagoma alta e nera che si materializzò alle loro spalle come per magia, e si trovò faccia a faccia con la Strega del Crepuscolo. CAPITOLO 13 Strega e drago, drago e strega Ben ammutolì fissando i freddi occhi verdi della strega e, se ci fosse stato un posto dove fuggire, sarebbe già arrivato a metà strada. Ma non c'era modo di sfuggire alla Strega del Crepuscolo. Lei lo teneva prigioniero semplicemente con la forza della sua presenza. Era un muro che lui non poteva né scalare né aggirare. Era la sua prigione. La sua voce era un sussurro.-Non avrei mai creduto che fosse tanto idiota da tornare qui. Davvero idiota, ammise lui dentro di sé. S'impose di tendere la mano verso gli gnomi terrorizzati e di attirarli a sé, lontano dalla strega. Gli caddero addosso come bambole di pezza, tremando di sollievo, affondando le facce pelose nella sua tunica. -Per favore, ci aiuti, Alto Signore!-fu tutto quello che riuscì a dire Fillip, con la voce ridotta a un bisbiglio. -Sì, per favore!-fece eco Sot. -Va tutto bene-mentì Ben. La Strega del Crepuscolo rise sommessamente. Era proprio come Ben la ricordava: alta, con il viso aguzzo, la pelle chiara e liscia come il marmo, i capelli di un nero corvino, a parte una sola ciocca bianca al centro, la figura snella e angolosa tutta ammantata di nero. Era bella, a suo modo, senza età, una creatura che in qualche modo era venuta a patti con la mortalità. Tuttavia il suo viso non rifletteva le emozioni che l'avrebbero resa completa. Gli occhi erano vuoti e senza fondo, parevano pronti a inghiottirlo. "Bene, sono stato io a cercarmelo" pensò lui. La risata della Strega del Crepuscolo si spense, e nei suoi occhi affiorò un'ombra di incertezza. Avanzò di un passo, scrutandolo.-Che cos'è questo?-chiese piano.-Lei non è lo stesso...-S'interruppe, confusa.-Ma deve esserlo; gli gnomi l'hanno chiamata Alto Signore... Qua, mi lasci vedere il viso alla luce. Protese la mano. Ben non fu in grado di resistere. Dita fredde come ghiaccioli si chiusero sul suo mento e gli sollevarono la testa verso il chiaro di luna. Lo tenne così per un attimo, mormorando.-E' diverso, ma è anche lo stesso. Che cosa le hanno fatto, re-fantoccio? Oppure è un nuovo giochetto che vuol fare con me? Non è Holiday?Ben sentiva Fillip e Sot rabbrividire contro il suo corpo, con le dita minuscole affondate nella sua carne.-Ah, qui c'è una magia all'opera-sussurrò la Strega del Crepuscolo con voce roca, lasciandogli libero il viso con una torsione delle dita.-Di chi è la magia? Me lo dica subito, presto! Ben lottò contro l'impulso di gridare, lottò per mantenere la voce ferma.-Meeks. E' tornato. Si è tramutato in re e mi ha trasformato in... questo. -Meeks?-Gli occhi verdi si socchiusero.-Quel patetico ciarlatano? Come ha scoperto una magia sufficiente a operare questo?-Storse la bocca con disprezzo.-Non ha nemmeno i mezzi per allacciarsi le scarpe! Com'è riuscito a farle questo? Ben non disse niente. Non aveva risposte da darle.
Seguì un lungo istante di silenzio mentre la strega lo studiava. Alla fine disse:-Dov'è il medaglione? Me lo faccia vedere! Quando lui non rispose subito, la strega fece un rapido gesto con le dita. Suo malgrado, Ben si ritrovò a estrarre dalla tunica l'emblema brunito per farglielo esaminare. Lei lo fissò per un attimo, fissò di nuovo il suo viso, poi sorrise lentamente, del sorriso di un predatore che adocchia la cena. -Così-bisbigliò. Non disse altro. Era sufficiente. Ben capì all'istante che aveva immaginato quello che gli era stato fatto. Capì che comprendeva la natura della magia che lo aveva trasformato. Il fatto che lo avesse capito lo fece infuriare. Era peggio che essere tenuto prigioniero a quel modo. Avrebbe voluto gridare. Doveva sapere quello che la strega aveva scoperto, e lei non glielo avrebbe detto per niente al mondo. -Lei è patetico, re-fantoccio-riprese la strega, con una voce ancora sommessa ma ora anche insinuante.-E' sempre stato fortunato, non abile. La sua fortuna si è esaurita. Sono quasi tentata di lasciarla com'è. Quasi. Ma non posso dimenticare quello che mi ha fatto. Voglio essere io a farla soffrire per questo! E' sorpreso di rivedermi? Penso che forse lo è. Mi credeva scomparsa per sempre, immagino, entrata nel mondo fatato per morirvi. Che idiota. S'inginocchiò davanti a lui in modo che i loro occhi fossero alla stessa altezza. Nei suoi c'era tanto odio che Ben trasalì. -Ho volato nelle nebbie, re-fantoccio, proprio come mi aveva ordinato, proprio com'ero costretta a fare. La Polvere IO mi teneva assoggettata al suo comando, e non potevo rifiutarmi. Quanto l'ho detestata, allora! Ma non potevo fare niente. Così ho volato nelle nebbie, ma ho volato lentamente, refantoccio, lentamente. Mentre volavo, ho lottato per spezzare l'incantesimo della Polvere IO. Ho lottato con tutte le forze che sono riuscita a radunare! Il sorriso tornò, lento e duro.-E alla fine sono riuscita a spezzare l'incantesimo. L'ho vinto e sono tornata indietro. Troppo tardi, però, re-fantoccio, troppo tardi, perché ero già nel cuore delle nebbie magiche e mi è stato arrecato del danno! Ho sofferto come mai prima di allora; porto ancora le cicatrici di quella sofferenza. Sono riuscita a salvare la vita e ben poco d'altro. Ho dovuto impiegare mesi prima di recuperare anche solo una minima parte della mia magia. Giacevo nella palude, una creatura nascosta, inerme come il più piccolo dei rettili. Ero distrutta, ma non ho voluto cedere al dolore e al terrore. Pensavo soltanto a lei. Pensavo soltanto a quello che le avrei fatto se l'avessi avuta di nuovo fra le mani. E sapevo che un giorno avrei trovato un modo per riportarla da me... Fece una pausa.-Ma non avrei mai sognato che accadesse così presto, idiota che non è altro. Che fortuna incredibile! E' stato il cambiamento a portarla da me, non è vero? Qualcosa nel cambiamento: ma che cosa? Me lo dica, re-fantoccio. Glielo estorcerò in ogni caso. Ben capì che era vero. Non aveva senso tentare di nascondere qualcosa alla strega. Nei vuoti occhi verdi poteva leggere quello che lo attendeva. Parlare era l'unica cosa che lo avrebbe tenuto in vita, e finché era vivo aveva una possibilità. A quel punto le possibilità non erano da scartare alla leggera.
-Sono venuto in cerca di Willow-rispose, spingendo gli gnomi dietro di sé. Li voleva lontano da lì... per ogni evenienza. Doveva tenere gli occhi aperti per l'opportunità giusta. Gli gnomi, tuttavia, continuarono a restargli attaccati come lappole. -La figlia del Signore del Fiume? La silfide?-Lo sguardo della Strega del Crepuscolo era interrogativo.-Per quale motivo doveva venire qui? -Non l'ha vista?-domandò Ben, sorpreso. La Strega del Crepuscolo ebbe un sorriso sgradevole.-No, re-fantoccio. Non ho visto altri che lei, lei e quei suoi sciocchi nanerottoli. Che cosa voleva la silfide da me? Lui esitò, poi trasse un respiro profondo.-Le briglie d'oro. Ecco, era fatta. Meglio dirglielo e vedere se riusciva ad apprendere qualcosa che fare il furbo. Tirare di scherma con la Strega del Crepuscolo era troppo pericoloso. La Strega del Crepuscolo parve sinceramente sorpresa. -Le briglie? Ma perché? -Perché Meeks le vuole. Perché ha mandato a Willow un sogno sulle briglie e su un unicorno nero.-Raccontò in fretta alla strega la storia del sogno di Willow e della decisione della silfide di tentare di scoprire tutto quello che poteva sulle briglie. -Le è stato detto che le briglie erano qui nel Pozzo Infido.- S'interruppe.-Sarebbe dovuta arrivare qui prima di me. -Peccato che non l'abbia fatto-ribatté la Strega del Crepuscolo.-La detesto poco meno di lei. Distruggere la silfide mi avrebbe dato quasi altrettanta soddisfazione che distruggere lei.-Fece una pausa, riflettendo.-L'unicorno nero, eh? E' tornato? Com'è interessante. E le briglie possono domarlo, dice il sogno? Sì, potrebbe darsi. Dopo tutto, sono opera di magia. Ed è a un mago che le ho rubate, anni addietro. La Strega del Crepuscolo rise. Lo osservò, mentre un'espressione astuta s'insinuava nei suoi occhi.-Quei patetici nanerottoli che le appartengono sono stati mandati a rubarmi le briglie? Fillip e Sot stavano tentando di strisciare nella pelle di Ben, ma lui se ne accorgeva appena. Stava pensando a tutt'altro. Se Meeks un tempo aveva posseduto le briglie, ciò significava che il mago probabilmente le aveva usate... forse se n'era servito addirittura per tenere prigioniero l'unicorno nero. L'unicorno gli era forse sfuggito in qualche modo? Il sogno che Meeks aveva inviato a Willow aveva forse lo scopo di recuperare le briglie in modo da catturare di nuovo l'unicorno? In tal caso, che cosa avevano a che fare gli unicorni dei libri magici scomparsi con... -Non si sprechi a rispondere, re-fantoccio-disse la Strega del Crepuscolo interrompendo le sue riflessioni.-La risposta è nei suoi occhi. Questi stupidi roditori si sono intrufolati nel Pozzo Infido proprio per questa ragione, non è vero? Si sono introdotti in casa mia da quei ladri che sono, si sono insinuati qui con le loro zampette da gatto? L'accenno alle zampe del gatto gli riportò d'improvviso alla mente Edgewood Dirk. Dov'era il gatto prismatico? Si guardò attorno prima di riuscire a controllarsi, ma Dirk non si vedeva da nessuna parte. -Cerca qualcuno?-domandò subito la Strega del Crepuscolo. I suoi occhi ispezionarono la foresta buia alle spalle di Ben, taglienti come coltelli.-Io non vedo nessuno-mormorò un attimo dopo.-Chiunque stia cercando, deve averla abbandonata.
Ciò nonostante, lei dedicò ancora un momento ad accertarsi di avere ragione, prima di rivolgersi di nuovo a lui.-I suoi ladruncoli sono patetici quanto lei, re-fantoccioriprese.-Si credono invisibili, ma non vengono visti solo quando io desidero non vederli. In questa malaugurata occasione, sono stati così marchiani nei loro sforzi che non ho potuto fare a meno di vederli. Appena sono caduti nelle mie mani, hanno invocato lei. "Grande Alto Signore; possente Alto Signore!" Che idioti! L'hanno tradita senza che dovessi nemmeno chiederlo. Fillip e Sot tremavano così forte che Ben correva il rischio di cadere. Posò una mano su ciascuno dei due per tentare di offrire loro un po' di rassicurazione. Si sentiva sinceramente dispiaciuto per gli gnomi. Dopo tutto, si trovavano in quel pasticcio per causa sua. -Dal momento che ha me, perché non lascia andare gli gnomi?-chiese improvvisamente alla strega.-Sono creature stupide, come dice lei. Io li ho ingannati per farmi aiutare. Non avevano davvero scelta. Non sanno neppure perché sono qui. -Tanto peggio per loro.-La Strega del Crepuscolo respinse la supplica con un gesto.Nessuno che si metta al suo fianco può farla franca, re-fantoccio.-Levò il viso in alto, mentre i capelli neri ricadevano all'indietro. I suoi occhi scrutarono ancora una volta l'oscurità.-Non mi piace più stare qui. Venite. Si alzò, un'ombra nera che aumentò di dimensioni allargando le braccia. La veste si gonfiò come una vela. Dagli alberi si levò un vento improvviso, freddo e violento, e la nebbia del Pozzo Infido si sollevò fino ad avvilupparli tutti. Lune e stelle svanirono nelle sue tenebre, e ci fu all'improvviso una sensazione di leggerezza, di levitazione. Gli gnomi Va' Via si strinsero ancor più forte a Ben e lui li strinse a sua volta in mancanza di qualcosa di meglio a cui aggrapparsi. Si udì un fruscio, poi silenzio. Ben batté le palpebre per scacciare il freddo e la nebbia, e pian piano la luce tornò. La Strega del Crepuscolo gli stava di fronte, con un sorriso gelido. Nell'aria aleggiavano densi gli odori della palude e della nebbia. La luce delle torce rivelava una fila di sostegni e l'ossatura di tavoli e panche sparsi in una sala vuota. Si trovavano in qualche punto all'interno del Pozzo Infido, nella casa della Strega del Crepuscolo. -Sa che cosa le sta per succedere adesso, re-fantoccio?- chiese lei piano. Lui ne aveva un'idea abbastanza precisa. La sua fantasia stava facendo gli straordinari per elaborare le varie possibilità nonostante i suoi sforzi per tenerla a freno. Pareva che le sue speranze fossero svanite. Si chiese per un attimo come mai Willow non era arrivata lì prima di lui. Non era lì che la Madre Terra le aveva detto di andare? Se non era lì, dov'era? Si chiese che cosa ne era stato di Edgewood Dirk. Il sibilo improvviso della Strega del Crepuscolo lo riscosse dai suoi pensieri.-Devo appenderla a seccare come un pezzo di carne vecchia? Oppure prima fare qualche giochetto con lei? Dobbiamo prendereela comoda, no? Cominciò a dire qualcosa, poi s'interruppe, presa da una nuova idea.-Ma no, ho un'idea migliore! Ho in mente per lei una fine molto più grandiosa e appropriata! Si chinò su di lui.-Lo sa che non ho più le briglie d'oro, re-fantoccio? No? Lo immaginavo. Me le hanno rubate. Sono state rubate mentre ero troppo debole per
impedirlo, mi stavo ancora riprendendo dalle sofferenze che lei mi ha causato! Lo sa chi ha le briglie, adesso? Strabo, re-fantoccio! Il drago ha le briglie magiche, le briglie che mi appartengono di diritto. Che ironia. Lei viene nel Pozzo Infido in cerca di qualcosa che non c'è! Viene incontro al suo destino senza motivo! Il suo viso era a pochi centimetri da quello di Ben, con la pelle tesa sulle ossa, la ciocca bianca fra i capelli neri simile a un saetta d'argento.-Ah, ma mi offre una possibilità di fare qualcosa che altrimenti non potrei fare. Strabo fa incetta di oggetti d'oro, anche se non sa che farsene se non trastullarsi. Non sa apprezzarne il vero valore, soprattutto nel caso delle briglie magiche! Non me le restituirebbe mai, e io non posso prendergliele finché le tiene nascoste nelle Fonti di Fiamma. Ma sarebbe disposto a scambiarle, re-fantoccio. Quasi certamente le scambierebbe con qualcosa che valuta di più. Il suo sorriso fu feroce.-E cosa valuta di più al mondo che una possibilità di vendicarsi su di lei? Ben non riusciva a immaginarlo. Anche Strabo era stato vittima della Polvere IO, e si era congedato da Ben con la promessa che un giorno lo avrebbe ripagato. Ben si sentì sprofondare. Era come essere spinto dalla padella nella brace. Tentò di non far capire alla strega quello che provava, e fallì. Il sorriso della Strega del Crepuscolo si allargò per la soddisfazione.-Sì, re-fantoccio, sarò felicissima di lasciare al drago il compito di distruggerla! Sollevò le mani in un secco turbinio di movimenti, e le nebbie si levarono come al suo comando, il vento gelido riprese a soffiare impetuoso.-Vediamo come se la spasserà Strabo con lei!-gridò, e la sua voce era un sibilo. Gli gnomi Va' Via piagnucolarono e si aggrapparono ancora una volta ai suoi pantaloni. Ben si sentì galleggiare nel vuoto e vide l'abisso cominciare a svanire... Le sterili terre del deserto orientale si stendevano vuote e desolate nella pallida luce del pomeriggio, mentre Questor Thews, Abernathy e Bunion avanzavano di buon passo attraverso cespugli intricati e boschi morti, superando creste e scavalcando gole, attraversando brevi tratti di deserto e aggirando paludi e acquitrini. Avevano camminato tutto il giorno, lottando in ugual misura contro la fatica e il malessere, decisi a raggiungere prima di sera la tana del drago. Doveva essere vicina. Nessuno viveva nelle terre desertiche di Landover, nessuno tranne il drago. Aveva adottato come casa il deserto quando era stato scacciato dalle nebbie magiche secoli prima. Il deserto si addiceva al drago, gli piaceva. Il suo umore trovava un conforto adeguato nella devastazione operata dai capricci della natura, e lui teneva quella vasta distesa tutta per sé. Evitato dagli altri abitanti della valle, era un essere del tutto solitario. Era l'unica creatura della valle - fatta eccezione per Ben Holiday - che poteva andare e venire fra Landover e i mondi mortali. Poteva perfino avventurarsi per un breve tratto fra le nebbie magiche. Era unico, l'ultimo della sua specie, e fiero di esserlo. Non amava in modo particolare la compagnia, dettaglio che non sfuggiva a Questor, Abernathy e Bunion, mentre si affrettavano a raggiungere la bestia prima che facesse ancor più buio.
In ogni caso era già il crepuscolo quando arrivarono finalmente a destinazione. Si arrampicarono sulla cresta di una catena montuosa che si stagliava sul cielo notturno grazie a una luminosità che tremolava e danzava come se fosse viva, e si trovarono a guardare giù nelle Fonti di Fiamma. Le Fonti erano la tana del drago. Si trovavano in fondo a una ripida gola irregolare, un ammasso di crateri che ardevano senza tregua di un fuoco azzurro e giallo in mezzo a un intrico di piante spinose e monticelli di roccia e terra. Alimentate da un liquido raccolto in fondo ai crateri, le fiamme riempivano l'aria di fumo, di cenere e di un puzzo insopportabile di carburante bruciato. Una foschia perenne aleggiava sulla gola e sulle colline circostanti, e ogni tanto dei geyser s'innalzavano nel buio con colpi di tosse roboanti. Videro subito il drago. Era adagiato al centro della gola, con la testa appoggiata all'orlo di un cratere e la lunga lingua che leccava placidamente un getto di fiamme. Strabo non si mosse. Era disteso contro una collinetta di terra, con il corpo mostruoso tutto un ammasso di scaglie, aculei e placche ossee che sembrava quasi far parte del paesaggio. Quando respirava, piccoli getti di vapore s'innalzavano nella notte. La sua coda era avvolta intorno a una formazione rocciosa che sorgeva alle sue spalle, e le ali erano ripiegate all'indietro contro il corpo. Artigli e denti erano anneriti e ricurvi, coperti da pelle incartapecorita e gengive che formavano strani angoli e svolte. Era ricoperto da terriccio e sudiciume che formavano quasi una crosta. Un solo occhio rosso roteò nell'orbita.-Che cosa volete?- chiese il drago in tono irritato. Ben Holiday era rimasto sorpreso che un drago sapesse parlare, ma Ben era uno straniero che non capiva la natura di quelle cose. A Questor e a Bunion sembrava perfettamente normale che il drago potesse parlare, e ancor più ad Abernathy, visto che anche lui era un terrier dal pelo raso che sapeva parlare. -Desideriamo parlarti un momento-propose Questor. Abernathy riuscì a fare un cenno affermativo, ma nello stesso tempo si chiese per quale motivo un essere sano di mente poteva desiderare di parlare con una creatura orribile come Strabo. -Non m'importa niente di quello che desiderate-rispose il drago con uno sbuffo di fumo dalle narici.-M'importa solo quello che desidero io. Andate via. -Ci vorrà solo un momento-insistette Questor. -Non ho un momento. Andate via prima che vi divori. Questor avvampò per la collera.-Vorrei ricordarti con chi stai parlando! Mi devi almeno un po' di cortesia, tenuto conto della nostra vecchia conoscenza! Ora ti prego di essere civile! Come per dare enfasi alla richiesta, fece un passo avanti significativo, una figura da spaventapasseri coperta dalla veste lacera guarnita di nastri, che sembrava poco più che un fascio di stecchi tenuti insieme alla bell'e meglio, stagliato in controluce. Bunion scoprì tutti i denti in un sorriso spaventoso. Abernathy spinse in su gli occhiali sul naso e tentò di calcolare quanto ci avrebbe messo a raggiungere la sicurezza di un cespuglio in ombra alla base della gola dietro di lui. Strabo batté le palpebre e alzò la testa dal fuoco del cratere. -Questor Thews, sei tu? Questor sbuffò.-Certo che sono io.
Strabo sospirò.-Che noia. Se fossi una persona importante, potresti almeno rivelarti una fonte di breve svago. Ma non vali nemmeno lo sforzo che ci vorrebbe per alzarmi e divorarti. Vattene via. Questor s'irrigidì. Ignorando la zampa di Abernathy sulla spalla, fece un altro passo avanti.-I miei amici e io abbiamo affrontato un lungo viaggio per parlare con te, e parleremo con te! Se decidi di ignorare la lunga e onorevole collaborazione fra maghi e draghi, peggio per te! Ma renderesti un grave disservizio a tutti e due! -Stasera mi sembri piuttosto di malumore-ribatté il drago. La sua voce echeggiò in un lungo sibilo, e il corpo serpentino si spostò pigramente contro le rocce e i crateri, facendo schizzare fuoco liquido da una pozza con la coda.-Potrei farti notare che da secoli i maghi non fanno niente per i draghi, quindi non vedo il motivo per rinnovare qualunque collaborazione possa essere esistita un tempo. Che sciocchezze! Potrei anche farti notare che mentre non sussistono dubbi sulla mia condizione di drago, ci sarebbe parecchio da discutere sulla tua qualifica di mago. -Non intendo lasciarmi trascinare in una discussione!- scattò Questor, un po' troppo irritato.-Almeno finché non mi avrai ascoltato fino in fondo. Strabo sputò nell'aria sulfurea.-Dovrei semplicemente mangiarvi, Questor Thews, te e il cane e quell'altro essere, qualunque cosa sia. Un coboldo, vero? Dovrei lanciarvi addosso un getto di fuoco, cucinarvi a puntino e mangiarvi. Ma stasera sono di umore caritatevole. Lasciatemi in pace e perdonerò la vostra sgradita intrusione in casa mia. -Forse dovremmo ripensare...-cominciò Abernathy, ma Questor lo zittì subito. -Il cane ha detto qualcosa?-chiese piano il drago. -No, e nessuno ha intenzione di andarsene!-annunciò Questor, piantando saldamente i piedi per terra. Strabo batté le palpebre.-No? La sua testa incrostata si girò di scatto e le fiamme eruppero dalle fauci. Il fuoco esplose proprio sotto i piedi di Questor Thews e lo fece volare in aria con uno strillo. Bunion e Abernathy si gettarono di lato, incespicando per sfuggire a sassi, terra e getti di fuoco che schizzavano qua e là. Questor ripiombò a terra in un groviglio di vesti e nastri, con le ossa rintronate dall'urto. Strabo ridacchiò, facendo saettare nell'aria la lingua ricurva.-Molto divertente, mago. Molto spassoso. Questor si rimise in piedi, si spolverò i vestiti, sputò una boccata di terra e affrontò ancora una volta il drago.-Questo era del tutto ingiustificato!-dichiarò, lottando per ricuperare la dignità perduta.-Certi giochetti so farli anch'io! Batté di scatto le mani, tenendole tese e allargate. Tentò di fare anche qualcosa con i piedi, ma perse l'appoggio sulla roccia cedevole, scivolò e finì a sedere con un grugnito. Sopra i crateri esplose una luce e una pioggia di foglie secche investì Strabo, prendendo subito fuoco per il calore. Il drago si reggeva la pancia dal ridere.-Dovrei essere soffocato dalle foglie?-ruggì, squassato dalle risate.-Ti prego, mago, risparmiami! Questor s'irrigidì, con il viso da gufo arrossato dall'ira. -Forse dovremmo tornare un'altra volta-azzardò Abernathy con un basso ringhio, dalla sua posizione al riparo di un mucchio di terra.
Ma Questor Thews non voleva saperne. Si spolverò di nuovo gli abiti e si rimise in piedi.-Ridi di me, vero, drago?-scattò.-Ridi di un provetto adepto delle arti magiche? Benissimo, allora... vediamo se riderai di questo! Sollevò entrambe le mani e le intrecciò rapidamente in aria. Strabo si preparava a emettere un altro getto di fiamma, quando una nube temporalesca scoppiò proprio sopra di lui e torrenti di pioggia gli si riversarono addosso.-Ora basta!- ululò, ma in pochi secondi era inzuppato dalla testa alla coda. Il suo getto di fiamma sfrigolava trasformandosi in vapore, e lui ficcò la testa in una delle pozze di fuoco per sfuggire all'acquazzone. Quando la ritirò per respirare, Questor fece un secondo gesto e la pioggia cessò. -Ecco, visto?-disse il mago ad Abernathy, annuendo soddisfatto.-La prossima volta non sarà tanto pronto a ridere.-Poi si girò di nuovo verso il drago.-Piuttosto spassoso anche tu!-esclamò. Strabo sbatté le ali membranose, si scrollò e lo guardò inferocito.-Pare che continuerai a darmi delle seccature, Questor Thews, finché metterò fine ai tuoi giorni oppure ascolterò quello che ti senti in dovere di dire. Ripeto, stasera sono di umore caritatevole. Quindi dimmi quello che senti di dover dire e falla finita. -Grazie infinite!-rispose Questor.-Possiamo venire giù? Il drago adagiò di nuovo la testa sull'orlo del cratere e si stese.-Fate come volete. Questor fece un segnale ai compagni. Pian piano, scesero lungo il fianco della gola e passarono in mezzo al labirinto di crateri e di rocce finché si trovarono a una ventina di metri dal punto in cui riposava il drago. Strabo li ignorò, con gli occhi chiusi, inalando col muso i vapori e le fiamme del cratere sul quale riposava. -Sai che odio l'acqua, Questor Thews-brontolò. -Siamo venuti qui per apprendere qualcosa sugli unicorni-annunciò Questor, ignorandolo. Strabo ruttò.-Leggiti un libro. -Per la verità, l'ho fatto. Parecchi libri. Ma difettano delle informazioni che possiedi tu sugli unicorni. Tutti sanno che unicorni e draghi sono fra le più antiche creature magiche e fra gli avversari più antichi. Ciascuno dei due conosce sull'altro più di chiunque, fata o essere umano. Io devo sapere qualcosa sugli unicorni che nessun altro sa. -A che scopo?-Strabo sembrava di nuovo annoiato -Inoltre, per quale motivo dovrei aiutarti? Tu servi quel detestabile uomo che mi ha indotto con l'inganno a respirare la Polvere IO e poi mi ha fatto giurare di non cacciare più nella valle o fra la sua gente fin tanto che lui restava re. E' ancora re, non è vero? Bah! Certo che lo è, altrimenti lo avrei saputo. Ben Holiday, Alto Signore di Landover! Me lo papperei in un boccone, se mai dovesse rimettere piede alle fonti! -Be', è altamente improbabile che lo faccia. Inoltre, siamo qui per gli unicorni, non per l'Alto Signore.-Questor ritenne prudente non attardarsi sull'argomento di Ben Holiday. Strabo si era dilettato molto a razziare i raccolti e il bestiame della valle prima che l'Alto Signore ponesse un freno. Era un piacere che il drago si sarebbe concesso di nuovo con entusiasmo, e poteva benissimo farlo, un giorno, a giudicare
dal modo in cui Holiday si comportava ultimamente. Ma non c'era motivo di incoraggiare il drago. Questor si schiarì la gola con aria solenne.-Presumo che tu abbia saputo dell'unicorno nero? Gli occhi del drago si aprirono di scatto e la testa si sollevò. -L'unicorno nero? Certo. E' tornato, mago? Questor annuì sobriamente.-Già da qualche tempo. Mi sorprende che tu non lo abbia saputo. Si è fatto un grande sforzo per catturarlo. -Catturarlo? Un unicorno?-Strabo rise, una serie di rudi colpi di tosse e sibili. Il corpo massiccio era scosso dalle risate. -Gli esseri umani catturare un unicorno? Pietoso! Nessuno può catturare un unicorno, mago... perfino tu dovresti saperlo. Gli unicorni sono intoccabili. -Alcuni pensano di no. Il labbro del drago si arricciò.-Alcuni sono idioti. -Allora l'unicorno è al sicuro? Non c'è niente che possa irretirlo, niente che permetta di trattenerlo? -Niente! -Né fanciulle di sicura virtù né chiaro di luna argenteo catturato con una rete magica? -Chiacchiere di comari! -Nessuna magia di nessun genere? -Magia? Be'...-Strabo parve esitare. Questor corse il rischio.-Nemmeno briglie di fili d'oro? Il drago fissò il mago senza parlare. Sul viso della creatura, notò Questor Thews con sorpresa, c'era un'espressione incredula. Si schiarì la gola.-Ho detto: "Nemmeno briglie di fili d'oro?" E fu in quel momento che la Strega del Crepuscolo, lo sconosciuto che sosteneva di essere Ben Holiday e due gnomi Va' Via dall'aria afflitta sbucarono all'improvviso da un vortice di nebbia a poco più di tre metri da lui. CAPITOLO 14 Fuoco e fili d'oro Seguì un momento interminabile in cui tutti si guardarono. Era impossibile dire chi fosse più sorpreso. Gli sguardi si spostavano, s'incrociavano, si spostavano ancora. Sagome alte si rannicchiarono e vesti ampie si gonfiarono. Il sibilo di avvertimento del drago si confuse con quello della strega. Abernathy ringhiò suo malgrado. La notte era scese sulla piccola natura morta con un manto nero che minacciava di inghiottirli tutti. Nel silenzio, si udiva solo il crepitio e lo scoppiettio delle fiamme che danzavano intorno alle pozze di liquido azzurro racchiuse nei crateri. -Tu non sei la benvenuta, qui, Strega del Crepuscolo- mormorò infine Strabo, con la voce ruvida come una raspa di ferro. Si alzò dall'orlo del cratere sul quale stava riposando, assumendo una posizione rannicchiata in guardia, affondando gli artigli nella pietra finché questa s'incrinò e si ruppe. -Non sei mai la benvenuta. La Strega del Crepuscolo rise senza allegria, con il volto pallido rigato d'ombra.Questa volta potrei essere la benvenuta, drago-replicò.-Ti ho portato qualcosa.
Questor Thews si accorse all'improvviso che i due gnomi Va' Via in piedi vicino alla strega e allo straniero che si credeva Ben Holiday non erano altri che Fillip e Sot. Abernathy...!-esclamò sottovoce, ma il cane stava già dicendo: -Lo so, mago! Ma che cosa ci fanno qui? Questor non ne aveva la minima idea. Questor non capiva più niente. La testa massiccia di Strabo si alzò e la lunga lingua saettò in fuori.-Perché disturbarti a portarmi qualcosa, strega? La Strega del Crepuscolo si raddrizzò con grazia, incrociando ancora una volta le braccia.-Prima chiedimi che cosa porto-sussurrò. -Non c'è niente che tu possa portarmi che io desideri. Non serve a niente chiederlo. -Ah, anche se ti porto quello che desideri più di ogni altra cosa al mondo? Anche se ti è gradito? Ben Holiday stava tentando freneticamente di decidere in che modo uscire da quel pasticcio. In quel gruppetto non c'erano amici. Questor, Abernathy e Bunion lo consideravano un impostore e un pazzo. Fillip e Sot, ammesso che credessero ancora in lui, ormai erano interessati soltanto a salvare la pelle. La Strega del Crepuscolo lo aveva lasciato in vita così a lungo al solo scopo di concludere un patto con Strabo, che sarebbe stato fin troppo felice di eliminarlo per lei. Si lanciò attorno occhiate disperate, in cerca di una via di scampo che apparentemente non esisteva. La coda di Strabo sferzò una pazza di fuoco e fece volare fino al cielo una pioggia di fiamme liquide nel buio. Ben si ritrasse. -Stasera sono stanco di giochetti-scattò il drago.-Vieni al dunque! Gli occhi della Strega del Crepuscolo si accesero di scarlatto.-E se ti offrissi l'Alto Signore di Landover, quello che chiamano Holiday? Se ti offrissi questo, drago? Strabo arricciò il naso e irrigidì il muso incrostato.-Accetterei il dono con piacere!sibilò il drago. Ben tentò un passo indietro e scoprì di non riuscirci. Gli gnomi Va' Via erano ancora inchiodati a lui come cavicchi di ferro. Tremavano e borbottavano parole incoerenti, impedendogli nel modo più efficace di fare qualsiasi mossa rapida. Quando tentò di liberarsene senza dare nell'occhio, non fecero che aggrapparsi a lui ancor più forte. -L'Alto Signore è a Sterling Silver!-dichiarò all'improvviso Questor Thews, col viso da gufo che lasciava trasparire l'ira.-Non hai alcun potere su di lui laggiù, Strega del Crepuscolo! Inoltre, libererebbe in un batter d'occhio la valle dalla tua presenza, se dovessi farti vedere! -Davvero?-La Strega del Crepuscolo prolungò quella parola in modo seducente, provocante. Poi avanzò di un passo, inchiodando Questor alla sua ombra con un dito affusolato. -Quando avrò sbrigato i miei affari qui, mago... quando il tuo prezioso Alto Signore non ci sarà più... mi occuperò di te! Ben fissò gli amici con uno sguardo implorante. "Andate via di qui!" tentò di comunicare loro. La Strega del Crepuscolo si rivolse di nuovo a Strabo. Con una mano dalle lunghe unghie afferrò Ben per il braccio e lo trascinò avanti.-Ecco quello che lo stupido mago ritiene tanto al sicuro da me, Strabo! Ben Holiday, Alto Signore di Landover!
Guardalo bene, adesso! E' stata usata la magia! Guarda oltre l'esteriorità che vedrai per prima! Strabo sbuffò con derisione, eruttò un rapido getto di fiamma e rise.-Questo? Questo sarebbe Holiday? Strega del Crepuscolo, tu sei pazza!-Si avvicinò, con il naso che gocciolava.-Questo non gli somiglia nemmeno lontana... No, aspetta, hai ragione, c'è della magia all'opera, qui. Che cosa è stato fatto...-La testa massiccia si abbassò e s'innalzò, e gli occhi si socchiusero e si riaprirono.-Possibile? -Guarda bene!-ripeté ancora una volta la Strega del Crepuscolo, spingendo in avanti Ben con tanta energia che la testa gli scattò all'indietro. Ora tutti guardavano Ben, ma soltanto Strabo vide la verità. -Sì!-sibilò, e la coda massiccia si mosse ancora una volta per la soddisfazione.-Sì, è Holiday!-Le mascelle si aprirono e i denti anneriti scattarono.-Ma come mai soltanto tu e io...? -Perché soltanto noi siamo più antichi della magia che opera questo effetto-disse la Strega del Crepuscolo prevenendo la domanda e rispondendo prima che il drago potesse completarla.-Capisci in che modo è stato fatto? Ben, da quel fenomeno da baraccone che era diventato, non desiderava altro che udire la risposta a quella domanda. Aveva accettato la realtà che non ne sarebbe uscito tutto d'un pezzo, ma detestava pensare che sarebbe morto senza nemmeno sapere come era finito in rovina. -Ma... ma quello non è l'Alto Signore!-dichiarò infuriato Questor Thews, come se tentasse di convincere se stesso prima di chiunque altro.-Non può essere l'Alto Signore. Se questo è... è... allora, l'Alto Signore è... La sua voce si spense, mentre una strana luce di comprensione gli passava sul viso, un'espressione incredula venata di orrore, un'espressione che gridava in silenzio un solo nome: Meeks! Bunion sibilava e gli tirava il braccio, e Abernathy borbottava freneticamente che tutto questo poteva spiegare il comportamento di questo o di quell'altro. Tutti e tre vennero apertamente ignorati dal drago e dalla strega. -Per quale motivo sei disposta a darmelo?-stava chiedendo Strabo alla Strega del Crepuscolo, diffidando ora dell'offerta. -Non ho parlato affatto di "darti" qualcosa, drago-rispose soave la Strega del Crepuscolo.-Desidero scambiarlo. -Scambiarlo, strega? Tu lo odi più di me! Ti ha mandato nel mondo magico e ti ha quasi distrutto. Ti ha segnato con la magia! Perché mai dovresti scambiarlo? Che cosa potrei possedere che tu desideri più di Holiday? La Strega del Crepuscolo sorrise freddamente.-Oh sì, lo odio. E lo voglio distrutto. Ma il piacere sarà tuo, Strabo. Devi soltanto darmi una cosa. Restituiscimi le briglie di fili d'oro. -Le briglie?-La risposta di Strabo fu accompagnata da un sibilo d'incredulità. Tossì.Quali briglie? -Le briglie!-scattò la Strega del Crepuscolo.-Quelle che mi hai rubato mentre non ero in grado di impedirtelo. Le briglie che sono mie di diritto! -Bah! Niente di quello che possiedi è tuo di diritto, meno di tutto le briglie. Le hai rubate tu stessa al vecchio mago!
-Sia come sia, drago, le briglie sono ciò che desidero. -Ah, be', certo, se sono ciò che desideri...-Il drago sembrava esitare.-Ma senza dubbio, Strega del Crepuscolo, ci sono altri tesori in mio possesso che ti farebbero comodo più di un simile giocattolo. Suggerisci qualche altra cosa, qualcosa di maggior valore! La strega socchiuse gli occhi.-Ora chi è che fa giochetti? Ho deciso per le briglie, e sono le briglie che avrò! Per il momento, Ben era dimenticato. La Strega del Crepuscolo lo aveva lasciato andare e lui era scivolato di nuovo alle sue spalle, con gli gnomi sempre aggrappati alle gambe. Mentre ascoltava la contrattazione, sorprese Questor Thews intento a osservarlo con rinnovato interesse. Abernathy sbirciava da sopra la spalla del mago con gli occhiali rigati di fumo, e Bunion lo scrutava da sotto una piega della veste. Tutti stavano chiaramente tentando di capire come poteva essere una persona diversa da quella che appariva. Ben digrignò i denti e fece loro segnali frenetici di allontanarsi, scuotendo la testa. Se avesse gridato, sarebbero finiti tutti fritti! -E' solo che non riesco a capire per quale motivo le briglie ti interessano tanto-stava dicendo Strabo, con il collo ricurvo verso l'alto in modo da dominare la strega. -E io non riesco a capire che differenza faccia!-scattò la Strega del Crepuscolo, drizzandosi anche lei un po' di più. La luce delle fiamme danzava sul suo viso marmoreo.-Non riesco a capire per quale motivo fai tante storie per restituirmi quello che è mio, tanto per cominciare! Strabo sbuffò.-Non sono tenuto a spiegarti niente. - Già, proprio così. Dammi le briglie e basta! - Credo di no. Le desideri troppo. - E tu non desideri abbastanza Holiday!. - Oh, invece sì! Perché non accetti una cassa piena d'oro o uno scettro fatato che tramuta i raggi di luna in monete d'argento? Perché non accetti una pietra preziosa con incise delle rune che apparteneva agli orchi quando il potere della magia era anche loro, una gemma che può far riconoscere la verità al suo possessore? -Io non voglio la verità! Non voglio oro né scettri o nient'altro di quello che possiedi, lucertolone grasso!-Ormai la Strega del Crepuscolo era davvero infuriata, e la sua voce sfiorava l'urlo.-Voglio le briglie! Dammele, altrimenti Holiday non sarà mai tuo! Si spinse in avanti minacciosa, lasciando Holiday e gli gnomi Va' Via indietro di cinque o sei passi. Era il momento in cui Ben era più vicino alla libertà da quando era stato catturato nel Pozzo Infido. Mentre le voci della strega e del drago diventavano più stridule, cominciò a pensare che forse, soltanto forse, esisteva ancora una via di scampo. Staccò Fillip con la forza dalla sua gamba destra, lasciandolo penzolare dalla piega del braccio, e cominciò a staccare Sot dalla sinistra. -Per l'ultima volta, drago-stava dicendo la Strega del Crepuscolo.-vuoi scambiare le briglie con Holiday o no? Strabo emise un lungo sospiro deluso.-Temo di non poterlo fare, cara strega.
La Strega del Crepuscolo lo fissò per un attimo senza parole, poi le sue labbra scoprirono i denti in un ringhio.-Non hai più le briglie, vero? Ecco perché non vuoi scambiarle con me. Non le hai! Strabo sbuffò.-Verissimo, purtroppo. -Ammasso informe di scaglie!-La strega tremava di rabbia.-Che cosa ne hai fatto? -Quello che ne ho fatto è affar mio!-scattò di rimando Strabo, un po' più che offeso. Sospirò di nuovo.-Bene, se proprio vuoi saperlo, le ho date via. -Le hai date via?-La strega era inorridita. Strabo emise nell'aria notturna un lungo, delicato pennacchio di fuoco e lo fece seguire da uno sbuffo di vapore misto a cenere. Gli occhi socchiusi ammiccarono e apparvero per un attimo distanti.-Le ho date a una fanciulla magica che ha cantato per me canti di bellezza e di luce e di tutte le cose che un drago anela di sentire. Nessuna fanciulla cantava per me da molti secoli, sai, e avrei dato ben altro che le briglie per avere una possibilità di perdermi ancora una volta in una musica così dolce. -Hai dato via le briglie per una canzone?-La Strega del Crepuscolo pronunciò quelle parole come per tentare di convincersi che avevano un significato. -Un ricordo conta più di qualsiasi tesoro tangibile.-Il drago sospirò ancora una volta.I draghi hanno sempre avuto un debole per le belle donne, le vergini di sicura virtù, le fanciulle tutte grazia e dolci sorrisi. Esiste un legame che ci unisce. Un legame più forte di quello fra draghi e maghi, potrei aggiungere-osservò rivolto a Questor Thews in un rapido "a parte".-Ha cantato per me, questa ragazza, e in cambio mi ha chiesto le briglie di fili d'oro. Io gliele ho date volentieri.-Sembrò addirittura che sorridesse.Era davvero bellissima, quella silfide. Ben trasalì. Una silfide? Willow! La testa del drago si abbassò verso Ben con solennità. -Una volta ti ho aiutato a salvarle la vita-intonò.-Ricordi? Me lo ordinasti tu, Holiday. La portai in volo fuori da Abaddon fino alla sua casa nella regione dei laghi, dove poté risanarsi. Non mi dispiacque troppo salvarle la vita. Odiavo te, naturalmente: mi avevi costretto a sottomettermi, ma mi piacque abbastanza salvare la silfide. Mi rammentò i vecchi tempi, quando salvare le fanciulle era lavoro di tutti i giorni per un drago. Fece una pausa.-O si trattava di divorarle? Non riesco a ricordare quale delle due cose. Sei un idiota!-sibilò la Strega del Crepuscolo. Strabo inclinò la testa di lato come per rifletterci. Poi la sua bocca si spalancò al punto da rivelare tutti i suoi temibili denti. - Lo pensi davvero? Un idiota? Io? Un idiota più grande di te, strega? Un idiota così idiota da avventurarsi senza protezione nella tana del mio peggior nemico? Il silenzio era tangibile. La Strega del Crepuscolo era impietrita.-Non sono mai priva di protezione, drago. Sta' in guardia. - In guardia? Che strano.-Strabo all'improvviso si arrotolò su se stesso come una molla.-Ho sopportato con pazienza la tua velenosa aggressione, ti ho lasciato parlare quando lo desideravi. Ora tocca a me. Tu sei un'ossuta, patetica parvenza di strega che si crede più potente di quello che è. Vieni qui in casa mia come se ti
appartenesse, mi dai ordini, mi insulti, pretendi cose che non hai il diritto di pretendere e pensi di potertene andare impunemente. Ti sbagli, Strega del Crepuscolo. Se potessi tornare indietro, forse mi terrei le briglie di fili d'oro in modo da poterle scambiare con te per avere Holiday. Forse. Ma non rimpiango niente di ciò che ho fatto, e questo meno di tutto. Le briglie non ci sono più, e io non le rivoglio indietro. Si chinò lentamente in avanti. La voce rude si tramutò in un lento sibilo.-Ma attenta: Ben Holiday è ancora qui, strega! E dato che lo hai portato espressamente per me, penso proprio che dovrei tenermelo, non credi? Le dita della Strega del Crepuscolo sembravano artigli quando le sollevò davanti al viso scarno.-Tu non mi prenderai più niente, drago, né ora né mai! - Ah, ma devi biasimare soltanto te stessa. Hai reso tanto piacevole la prospettiva di distruggere Holiday, che non so resistere al tuo allettamento! Devo averlo io! Spetta a me distruggerlo, briglie o meno. Penso che faresti bene a darmelo, subito! Le fiamme scaturirono dalle fauci del drago e avvolsero la Strega del Crepuscolo. Nello stesso momento, Ben si strappò finalmente Sot dalla gamba sinistra e si lanciò di lato per sfuggire al riverbero del calore e del fuoco. Anche Questor Thews si stava muovendo, tutto braccia e gambe mentre galoppava verso Ben. Bunion lo superò in un lampo, con le orecchie appiattite all'indietro. Abernathy si mise a quattro zampe e si precipitò al riparo dei cespugli. Ben si alzò di nuovo in piedi, sempre stringendo gli gnomi che si lamentavano. Il fuoco di Strabo esplose in alto nel buio, riempiendo l'aria con una pioggia di scintille e di sassi. La Strega del Crepuscolo era rimasta illesa al centro, con le vesti nere che svolazzavano come lenzuola stese al vento, il volto pallido rivolto verso l'alto, gesticolando con le braccia. Il fuoco le scaturì dalle dita e colpì Strabo, che rimase sorpreso. Il drago indietreggiò di scatto, piombando nella pozza di un cratere. -Alto Signore!-gridò Questor Thews per metterlo in guardia. La Strega del Crepuscolo si voltò appena in tempo per essere colpita in pieno dalla forza di un gesto magico di Questor, che avvolse la strega in un turbinio accecante di fiocchi di neve. La Strega del Crepuscolo agitò le braccia furiosa, gridò e gli scagliò contro il fuoco. Lingue di fiamma sibilarono accanto a Ben mentre si gettava di nuovo a terra, schiacciando gli gnomi. Il pelo sul posteriore di Abernathy prese fuoco, e lo scrivano scomparve ululando su per il pendio delle Fonti di Fiamma. Poi Strabo riemerse dal cratere in cui era caduto, ruggendo per il furore. Svolgendo con un balzo le spire del corpo serpentino, annaffiò di fuoco tutto il bacino delle Fonti. La Strega del Crepuscolo reagì, urlando con altrettanto furore, sprizzando fuoco anche lei. Ben era in piedi e correva disperatamente. Il fuoco lo investì, un muro di calore e di dolore incandescente, ma ormai c'era Questor, che compiva gesti frenetici, e uno scudo di una sostanza plastica impenetrabile comparve dal nulla a bloccare il fuoco. Ben tenne le braccia strette intorno agli gnomi Va' Via che si divincolavano e piagnucolavano, e si lanciò in una corsa folle per sfuggire all'inseguimento delle fiamme. Le braccia dure di Bunion lo afferrarono alla cintola e lo aiutarono a issare tutti e tre oltre l'orlo della valle dei crateri. Questor li seguì, lanciando grida di incoraggiamento.
Pochi istanti dopo, raggiunsero l'orlo delle Fonti di Fiamma e passarono inciampando dal calore e dal fumo in mezzo al refrigerio dei cespugli. Tossendo e ansimando, si lasciarono cadere in un groviglio. Abernathy li raggiunse sbucando dal buio. Alle loro spalle, la strega e il drago continuavano indisturbati la loro battaglia privata, riempiendo la notte di urla e di ruggiti. Non si erano neppure accorti che l'oggetto della contesa era fuggito. Ben lanciò rapide occhiate ai compagni. Occhi bianchi lo guardarono di rimando dal buio. Riposarsi in quel momento era una follia, sembravano convenire tutti. La strega e il drago non ci avrebbero messo molto a capire che cosa era successo. Rialzandosi a fatica, scomparvero in fretta nella notte. CAPITOLO 15 La ricerca Poco dopo mezzanotte, Ben e i suoi compagni interruppero finalmente la fuga. Il cielo era diventato nero di nubi temporalesche che si spostavano verso est dai pascoli. Lune e stelle scomparvero come soffiate via dal cielo dai venti improvvisi, il tuono risuonò in lunghi scrosci echeggianti e i fulmini disegnarono nel cielo una rete di pizzo. La pioggia scrosciò subito dopo, dura e fredda, spazzando i deserti come una scopa. Ci fu appena il tempo di trovare riparo in un folto boschetto di pini prima che tutta la terra circostante diventasse invisibile dietro una cortina di nebbia e umidità impenetrabile. La compagnia sedette sotto i rami massicci dell'abete centrale e sbirciò il diluvio attraverso la rete di rami. Il vento investiva gli alberi e i cespugli con raffiche pungenti, e l'acqua cadeva a cascata. Tutto svanì in quel frastuono ininterrotto, e il gruppo di alberi divenne un'isola nell'oscurità. Dopo qualche istante Ben si sedette con la schiena appoggiata al tronco massiccio dell'abete e scrutò gli altri, spostando lo sguardo da una faccia all'altra.-Sono Ben Holiday, sapete-disse infine.-Lo sono davvero. Loro si guardarono con aria interrogativa e poi fissarono lui. -Ci salvi, possente Alto Signore-disse Fillip un attimo dopo, con la voce ridotta a un piagnucolio atono. -Si, ci salvi-implorò Sot. Sembravano ratti annegati, con il pelo insudiciato e impastato dalla pioggia, gli abiti laceri e strappati. Le loro dita si protesero verso le sue gambe. -Ora basta-li ammonì con voce stanca.-Non c'è niente da cui salvarvi. Ora siete in salvo. -Il drago...-cominciò Fillip. -La strega...-cominciò Sot. -Sono laggiù, e con questo diluvio non andranno in giro a darci la caccia. Quando avranno finito di tentare di appiccarsi il fuoco a vicenda e si chiederanno che cosa ci è successo, la pioggia avrà cancellato tutte le tracce del nostro passaggio.- Cercava di mostrarsi più fiducioso di quanto si sentisse. -Non vi preoccupate. Saremo al sicuro. Bunion scoprì tutti i denti e sibilò. Guardava Ben come avrebbe fatto con un fantasma delle paludi errante. Abernathy pareva non volesse guardare affatto Ben.
Questor Thews si schiarì la gola. Ben lo guardò in attesa, e il mago sembrò di colpo incerto su quello che doveva dire.-E' piuttosto difficile-disse infine. Scrutò Ben strizzando gli occhi.-Lei dice di essere davvero l'Alto Signore? La strega e il drago avevano ragione ad affermarlo? Ben annuì lentamente. -E la storia che ci ha raccontato a Sterling Silver... era tutto vero? Lei è stato cambiato in qualche modo dalla magia? Ha perduto la protezione del medaglione? Ben annuì per la seconda volta. -E Meeks è tornato davvero e ha preso il suo posto, e l'ha trasformata così? Ben annuì per la terza volta. Il viso sottile di Questor si contrasse con tanta violenza da dare l'impressione che rischiasse di riportare un danno permanente.-Ma come?-domandò infine.-In che modo è potuto accadere tutto questo? Ben sospirò.-Questa è una domanda da 64 mila dollari, temo. In breve, raccontò ancora una volta lo scontro con Meeks nella camera da letto e la sua trasformazione nello sconosciuto che ora appariva a loro. Li portò fino al momento della sua decisione di dirigersi a sud in cerca di Willow.-E' da allora che la cerco-concluse. -Vedi, te lo avevo detto!-scattò Abernathy. Questor s'irrigidì e guardò lo scrivano dall'alto in basso, con aria di superiorità.-Mi hai detto che cosa?-domandò, contraendo ancor più il viso da gufo. -Che l'Alto Signore non si comportava come l'Alto Signore!-abbaiò quasi Abernathy.-Che c'era qualcosa che non andava! Che niente andava come avrebbe dovuto! Anzi, mago, ti avevo detto molto di più, ammesso che tu ti prenda il disturbo di ricordartelo!-Si tirò su gli occhiali rigati di pioggia. -Ti avevo detto che quei sogni non avrebbero portato altro che guai. Ti avevo detto di non pensare a inseguirli.-Si girò di scatto verso Ben, come un profeta le cui visioni si erano avverate.-Avevo messo in guardia anche lei, non è vero? Le avevo detto di restare a Landover, al suo posto. Le avevo detto che Meeks era pericoloso. Ma lei non ha voluto ascoltarmi, non è così? Nessuno dei due ha voluto darmi ascolto, e ora guardate dove siamo! Starnutì e si scrollò furiosamente spruzzando tutti d'acqua. -Sono spiacente-brontolò, senza averne affatto l'aria. Questor sbuffò.-Immagino che ora ti sentirai meglio? Ben decise di tagliare corto ad altri battibecchi.-Abernathy ha ragione. Avremmo dovuto dargli ascolto. Ma non è stato così, e quel che è fatto è fatto. Dobbiamo lasciarci tutto questo alle spalle. Almeno siamo di nuovo insieme. -Bel vantaggio!-scattò Abernathy, ancora seccato. -Be', qualche vantaggio potrebbe darcelo.-Ben faceva del suo meglio per mostrarsi positivo.-Noi sei insieme potremmo riuscire a combinare qualcosa di più di quanto potrei fare da solo. -Noi sei?-Abernathy squadrò con disprezzo gli gnomi Va' Via.-Lei conta due in più rispetto a me, Alto Signore. In ogni caso, non sono ancora convinto che lei sia davvero l'Alto Signore. Questor Thews è troppo credulone. Siamo stati già ingannati una volta, è possibile che c'inganniamo ancora. Come facciamo a sapere se questa
non è un'ennesima mascherata? Come possiamo sapere che non è un altro dei trucchi di Meeks? Ben ci rifletté per un momento.-Non potete, credo. Dovrete accettare la mia parola. Dovete avere fiducia in me, e nel vostro istinto.-Sospirò.-Credete che Meeks potrebbe ingannare in quel modo Strabo e la Strega del Crepuscolo? Credete che insisterei a sostenere di essere l'Alto Signore se non lo fossi davvero?-Fece una pausa.-Credete che porterei ancora questo? Introdusse la mano sotto la tunica e tirò fuori il medaglione brunito. L'immagine di Meeks brillò umida, riflettendo il bagliore di un fulmine lontano. -Per quale motivo lo porta ancora?-chiese piano Questor. Ben scosse la testa.-Ho paura di liberarmene. Se Meeks ha ragione e gettare via il medaglione sarà la mia fine, chi resterebbe allora per avvertire Willow? Lei non sa niente di quanto è successo. Non sa che i sogni sono stati mandati da Meeks, né del pericolo in cui si trova. Io le voglio troppo bene, Questor. Non posso abbandonarla. Non posso correre il rischio che cada nella mia stessa trappola senza avere nessuno che l'aiuti. Rimasero tutti in silenzio per un attimo, osservandolo. -No, Alto Signore, non può-riconobbe finalmente Questor. Il mago guardò Abernathy.-Il vero Ben Holiday non penserebbe nemmeno a una cosa simile, no?chiese in tono pungente.-Non il vero Ben Holiday. Per un momento Abernathy considerò in silenzio la possibilità, poi sospirò.-No, immagino di no.-Guardò Bunion, che annuì con la faccia da scimmia in segno di approvazione. -Benissimo. Gli altri l'accettano come Alto Signore; lo farò anch'io. -Lo apprezzo-assicurò Ben allo scrivano. -Ma sono ancora convinto che con quattro...-guardò ancora una volta gli gnomi Va' Via-...o sei di noi, non se la caverà meglio di quanto abbia fatto da solo. Che cosa possiamo fare in sei che lei non potesse fare da solo? Gli altri lo guardarono speranzosi. Lui guardò oltre, verso la cortina di pioggia e oscurità, si strinse le ginocchia al petto per ripararsi dal freddo sempre più intenso, e tentò di escogitare qualcosa.-Trovare Willow-disse alla fine.-Proteggerla. Lo fissarono senza parole. -Sentite, il terzo sogno è la chiave di tutto l'accaduto, e le briglie sono la chiave del sogno. Ora Willow ha le briglie, lo sappiamo. Gliele ha date Strabo. Ora sono nelle sue mani, ma che cosa ne farà? -Che cosa, Alto Signore?-chiese Fillip ansioso. -Sì, che cosa?-fece eco Sot. -Le porterà da lei, Alto Signore-rispose subito Questor. Poi fece una pausa.-O almeno da quello che crede sia lei. -Proprio così, Questor-mormorò Ben.-E' quello che il sogno le ha detto di fare ed è quello che farà. Porterà le briglie da me. Ma non sarò io. Sarò Meeks. O meglio, lui sarà Meeks... quello da cui correrà Willow. E allora che cosa le accadrà? -Dobbiamo raggiungerla prima-insistette piano Questor. -Appena smetterà di piovere-aggiunse Abernathy. Ben annuì.-In sei, avremo più possibilità che in uno.
-Bunion avrà più possibilità di dieci volte sei-intervenne Abernathy, con un altro starnuto.-Penso che mi stia venendo il raffreddore-borbottò. -Una volta tanto, Abernathy ha ragione!-esclamò Questor, ignorando l'occhiata di rimprovero del cane.-Un coboldo può correre più in fretta e più lontano di qualunque essere umano. Se c'è qualche traccia della ragazza, Bunion la troverà.-Guardò il coboldo, che mostrò tutti i denti in risposta. -Anzi, Bunion la troverà per noi, potete contarci.-Si strinse nelle spalle.-Appena smetterà di piovere, naturalmente. Ben scosse la testa.-Non possiamo aspettare tanto. Non abbiamo... -Ma dobbiamo-lo interruppe gentilmente il mago. -Ma non possiamo... -Dobbiamo.-Questor gli prese il braccio e lo tenne fermo.-Non si possono seguire le tracce in una tempesta come questa, Alto Signore. Non ci sarebbero tracce da seguire.-Il suo viso da gufo si accostò e nei suoi occhi comparve un calore improvviso.-Alto Signore, lei si è spinto molto lontano da Sterling Silver. E' chiaro che ha sofferto molto. Il suo aspetto fisico, per quanto distorto possa essere, non mente. Si guardi. E' sfinito, esausto. Ho visto mendicanti dall'aspetto più sano, non è vero, Abernathy? -Sembra uno spettro-riconobbe il cane. -Be', in ogni caso ha una brutta cera.-Il mago attenuò il giudizio dell'altro con un sorriso.-Ha bisogno di riposare. Ora dorma. Più tardi ci sarà tempo a sufficienza per cominciare la caccia. Ben scosse la testa con vigore.-Questor, non sono stanco. Non posso... -Io penso che deve-replicò il mago con dolcezza. Una mano ossuta passò per un attimo davanti al viso di Ben, e lui si sentì improvvisamente le palpebre pesanti. Riusciva a stento a tenerle aperte. Sentì una stanchezza invadente risalirgli lungo il corpo e appesantirlo.-Riposi, Alto Signore-sussurrò Questor. Ben lottò contro il comando, si sforzò di rialzarsi, e scoprì di non riuscirci. Una volta tanto, la magia funzionava al primo tentativo. Ben stava scivolando all'indietro contro il tronco ruvido del pino, stendendosi su un letto di aghi di pino. I compagni si avvicinarono. Il viso peloso e occhialuto di Abernathy lo scrutava attraverso un velo di ombre. I denti di Bunion scintillavano come pugnali. Fillip e Sot erano immagini vaghe che ondeggiavano e voci che mormoravano e sembravano allontanarsi sempre più. Lui trovava conforto nella loro presenza, forza e sicurezza: i suoi amici, tutti lì con lui tranne Parsnip... e Willow! -Willow - sussurrò. Pronunciò il suo nome una volta sola e si addormentò. Nel sonno, sognò Willow, e il sogno fu una rivelazione che lo scosse anche nel torpore. Cercava la silfide per le foreste, le colline e le pianure di Landover, una ricerca solitaria che lo attirava come avrebbe fatto una calamita con il ferro. Il paese nel quale viaggiava era familiare e nello stesso tempo sconosciuto, un misto di luci e ombre che ondeggiava con la stessa inconsistenza di un'immagine riflessa sull'acqua. C'erano cose che si muovevano tutt'intorno a lui, ma erano informi e senza volto. Lui era solo, la sua ricerca era apparentemente interminabile e lo portava da un capo
all'altro della valle e poi di nuovo indietro, rapida e sicura nel suo svolgimento ma ugualmente infruttuosa. Ben era spinto da un'urgenza che lo sorprendeva. C'era un'ansia di trovare la silfide che sfuggiva a ogni spiegazione. Era spaventato per lei senza comprendere la ragione della sua paura. Desiderava disperatamente stare con lei, ma la sua disperazione era priva di motivo. Era come se fosse prigioniero delle sue emozioni, che guidavano la sua condotta mentre la ragione era impotente a farlo. Durante la sua ricerca intuiva la presenza di Willow, una vicinanza che lo tormentava. Era come se lei fosse in attesa dietro ogni albero e ogni collina, e gli bastasse solo spingersi un po' più in là per trovarla. La stanchezza non rallentava il suo viaggio; lo sospingeva la forza di volontà. Dopo qualche tempo, sentì delle voci. Gli parlavano sussurrando da ogni dove, alcune in tono di avvertimento, altre di monito. Udì il Signore del Fiume, ancora diffidente sulla vera natura di Ben, stranamente ansioso che fosse trovata la figlia che non riusciva ad amare e che non poteva amarlo. Udì la Madre Terra, che gli chiedeva di ripetere la promessa che aveva fatto di trovare e proteggere Willow, insistendo perché la mantenesse. Udì quel cacciatore solitario e sconfitto parlare ancora una volta in tono spento dell'unicorno nero, del tocco che gli aveva rubato l'anima. Udì Meeks, con la voce ridotta a un sibilo cupo e vendicativo, che prometteva disastri se la ragazza e le briglie d'oro gli fossero sfuggite. Tuttavia continuava la ricerca. E poi udì Edgewood Dirk. Fu la voce del gatto prismatico a rallentare la sua marcia, facendogli capire d'un tratto come fosse diventata frenetica la ricerca di Willow. Si fermò, con il respiro affannoso che gli rimbombava nelle orecchie, il petto che gli martellava. Si trovava in una radura fresca e solitaria nella foresta, un misto di ombre e di luce, di rami intrecciati in alto e muschio fitto sotto i piedi. Dirk era accovacciato su una collinetta in quella radura, fiero, lucente e imperscrutabile. "Perché corre tanto, Alto Signore Ben Holiday?" chiedeva piano Dirk. "Devo trovare Willow" rispondeva lui. "Perché deve trovarla?" insisteva Dirk. "Perché un pericolo la minaccia" rispondeva lui. "Ed è tutto?" Lui esitava. "Perché ha bisogno di me." "Tutto qui?" "Perché non c'è nessun altro?" "Tutto qui?" "Perché..." Ma le parole che cercava non gli salivano alle labbra, sfuggenti come la silfide stessa. C'erano delle parole da pronunciare, lo sentiva. Quali erano quelle parole? "Lei si affanna tanto a orchestrare la sua vita" dichiarava Dirk in tono quasi triste. "Si affanna tanto a far combaciare tutti i pezzi, un enorme puzzle che deve dominare. Ma non capisce per quale ragione ha bisogno di farlo. La vita non è semplicemente forma, Alto Signore; la vita è anche sentimento."
"Io sento" obiettava lui. "Lei governa" lo correggeva Dirk. "Governa il regno, i sudditi, il lavoro e la sua vita. Organizza qui come un tempo organizzava là. Lei ordina. Lei ordina come re così come ordinava da avvocato. La ribalta dell'aula giudiziaria o la politica di corte... non è diverso ora da quello che era prima. Agisce e reagisce con prontezza e abilità. Ma non prova sentimenti." "Tento." "Il cuore della magia sta nel sentimento, Alto Signore. La vita nasce dal sentimento, e la magia nasce dalla vita. Come può capire la vita o la magia, se non ha sentimenti? Lei cerca Willow, ma come potrà riconoscerla se non riesce a capire che cos'è? Cerca con gli occhi qualcosa che essi non possono vedere. Cerca con i sensi e con il corpo quello che essi non possono trovare. Deve cercare con il cuore, invece. Provi, e mi dica che cosa vede." Tentò, ma tutt'intorno a lui c'era un'oscurità che gli impediva di vedere. S'immerse nel profondo di se stesso e trovò passaggi attraverso i quali non poteva passare. Il cammino era bloccato da ostruzioni, ostacoli informi che mancavano di una definizione chiara. Tentò furiosamente di spostarli, cercando a tentoni, spingendo. Poi gli comparve davanti Willow, una visione indefinita ricordata all'improvviso. Era snella e inafferrabile come l'argento vivo, con il viso di una bellezza sconcertante, il corpo che mormorava riecheggiando il suo desiderio. I capelli verdi come la foresta le ricadevano sulle spalle snelle arrivando fino alla vita. La seta bianca si drappeggiava e aderiva come una seconda pelle. I suoi occhi incontrarono quelli di Ben, e lui si sorprese a trattenere il respiro così bruscamente da soffrirne. Lei sorrise, calda e tenera, e il suo mormorio era senza suono nella mente di Ben. Non c'era nessun pericolo che la minacciasse, nessun senso di urgenza in lei. Era in pace con se stessa. Era serena. "Perché corre tanto, Alto Signore Ben Holiday?" ripeteva Dirk da un punto nell'ombra. "Devo trovare Willow" rispondeva di nuovo lui. "Perché deve trovarla?" "Perché..." Ancora una volta non riusciva a trovare le parole. Le ombre cominciavano a infittire. Willow cominciava a svanire fra di esse. "Perché..." Lei sbiadì ancor più, come un ricordo che si dilegua. Lui si sforzava freneticamente di trovare le parole che doveva dire, ma continuavano a sfuggirgli. La sensazione di urgenza tornò, pronta e dura. Il pericolo per la silfide ridiventò reale, come se in qualche modo fosse resuscitato dalla sua indecisione. Tentò di allungare le mani per raggiungerla, ma era troppo lontana, e lui era troppo radicato al suolo. "Perché..." Le ombre erano tutt'intorno, ormai lo avvolgevano nella loro oscurità, soffocandolo nel buio senza fine. Stava uscendo da se stesso. Dirk era scomparso, Willow era poco più di una chiazza di luce e di colore sul nero, che sbiadiva, sbiadiva... "Perché..."
Willow! Si svegliò di soprassalto, alzandosi di scatto dal punto in cui aveva riposato, con le braccia e il dorso madidi di sudore. La notte avvolgeva nel silenzio le terre desertiche dell'est, le nubi velavano il cielo, anche se la pioggia era cessata. I compagni di Ben dormivano tranquilli tutt'intorno a lui, tutti tranne Bunion. Bunion era già partito, cominciando la ricerca di Willow. Ben trasse un respiro profondo per calmarsi. Il sogno di Willow era ancora vivido e netto nella sua mente. Espirò. -Perché... l'amo-completò. Erano quelle le parole che aveva cercato. E capì con terrificante certezza che erano vere. Dopo di che, rimase sveglio per qualche tempo, solo con i suoi pensieri nel silenzio cupo della notte. Più tardi, però, si stancò e ricadde nel sonno. Quando si svegliò di nuovo, era quasi l'alba, il cielo a oriente, oltre il confine della valle, si stava schiarendo di lievi striature di grigio e oro. Bunion non era tornato. Gli altri dormivano ancora. Si girò sulla schiena, guardò l'accampamento inzuppato dal temporale e poi batté le palpebre sorpreso. Edgewood Dirk era comodamente accovacciato su un grosso ramo d'abete a pochi centimetri sopra la sua testa, con le zampe nascoste sotto il corpo liscio, gli occhi socchiusi per difendersi dalla luce. Gli occhi si aprirono mentre Ben lo fissava.-Buon giorno, Alto Signore-lo salutò il gatto. Ben si sollevò appoggiandosi ai gomiti. - Buon giorno un corno. Dove sei stato? -Oh, qua e là. -Più là che qua, si direbbe!-scattò Ben, mentre una buona dose di ira repressa veniva a galla rapidamente.-Mi avrebbe fatto comodo un po' di aiuto, laggiù nel Pozzo Infido, quando sei scomparso in modo così opportuno! Sono stato fortunato a non essere eliminato dalla strega lì su due piedi. E poi mi ha trascinato via nella tana di Strabo per offrirmi a lui come spuntino! Ma tutto questo conta poco per te, non è vero? Grazie tante! -Si accomodi pure-replicò Dirk con calma.-Vorrei rammentarle ancora una volta, comunque, che mi sono offerto come compagno di viaggio, non come protettore. Inoltre, non mi pare che abbia risentito della mia assenza. -Ma avrei potuto risentirne, dannazione!-Ben non seppe trattenersi. Era stufo di vedere il gatto apparire e scomparire come uno spettro.-Avrei potuto finire fritto in olio di drago, per tutto l'aiuto che mi hai dato! -Avrei potuto, avrei dovuto: gli avere e i non avere ridotti a possibilità infinitesimali.Dirk sbadigliò.-Farebbe meglio a smettere di frustare cavalli morti per cercare di spronarne qualcuno vivo. Ben lo fulminò con gli occhi.-Sarebbe a dire? -Sarebbe a dire che ha per la testa qualcosa di più importante che rimproverarmi per i miei torti immaginari. Ben esitò, ricordando all'improvviso il sogno, la ricerca che aveva intrapreso, le briglie d'oro, l'unicorno nero, Meeks e tutto il resto del rompicapo che non riusciva
ancora a capire. Ah, e Willow! Il pensiero della silfide respinse tutti gli altri. "Io l'amo" si disse, tentando di adattare le parole alla sua misura. Le trovò insospettabilmente comode. -C'è chi teorizza che i sogni sono semplici manifestazioni dei nostri pensieri e desideri inconsci-osservò Dirk, come se tenesse una conferenza improvvisata.-I sogni di rado rispecchiano con precisione gli avvenimenti sui quali quei pensieri e quei desideri si formano, ma mostrano in modo molto vivido le emozioni che vi stanno dietro. Ci troviamo coinvolti in situazioni bizzarre e avvenimenti incoerenti, e la nostra tendenza spesso è quella di liquidare i sogni... una reazione d'imbarazzo. Ma nascosto fra i rifiuti del nostro subconscio c'è un nocciolo di verità su noi stessi che va compreso, una verità che a volte ci siamo rifiutati di riconoscere da svegli e che ora esige di essere riconosciuta durante il sonno. Fece una pausa per ottenere un effetto drammatico. -L'amore a volte è una di queste verità. Ben si raddrizzò, fissò quel gatto divenuto per un attimo filosofo e poi scosse la testa.-Tutto questo è in rapporto con Willow?-domandò. Dirk batté le palpebre.-Naturalmente, a volte i sogni mentono e la verità si può trovare soltanto da svegli. -Come il sogno di Miles?-Ben trovava la conversazione del gatto involuta in modo superfluo.-Perché non ti limiti a dire quello che intendi, per una volta? Dirk batté di nuovo le palpebre.-Perché sono un gatto. -Oh, certo.-Di nuovo la solita risposta. -Perché certe cose si devono semplicemente scoprire da soli. -Giusto. -Cosa in cui non si è rivelato molto abile, temo. -Certamente no. -Malgrado i miei sforzi instancabili. -Hmmmmm.-Ben provò l'impulso quasi irresistibile di strozzare la bestia. Per dominare quella tentazione, lanciò invece un'occhiata ai compagni ancora addormentati.-Come mai non sono ancora svegli?-domandò. Dirk si guardò attorno.-Forse sono semplicemente molto stanchi-suggerì in tono amabile. Ben gli lanciò un'occhiata dura.-Che cosa hai fatto, hai usato un po' di magia? Magia delle fate? Come ha fatto Questor con me? E' così, non è vero? -Un pizzico. -Ma perché? Perché disturbarsi, voglio dire? Dirk si alzò, si stirò e saltò giù dal ramo vicino a Ben, ignorandolo volutamente. Cominciò a lavarsi e continuò finché non fu scrupolosamente pulito, con la pelliccia ben arruffata e lisciata di nuovo in modo impeccabile. Poi affrontò Ben, con gli occhi di smeraldo lucenti nella tenue luce dell'alba.-Il problema è che lei non ascolta. Io le dico tutto quello che ha bisogno di sapere, ma pare che lei non senta niente. E' davvero esasperante.-Sospirò forte.-Ho lasciato dormire i suoi compagni per darle una lezione conclusiva sui sogni. La sua comprensione di ciò che è successo dipende in gran parte dalla comprensione del
modo in cui operano i sogni. Ora osservi che cosa succederà quando i suoi compagni si sveglieranno. E cerchi di fare attenzione, stavolta, d'accordo? La mia pazienza sta per esaurirsi. Ben fece una smorfia. Edgewood Dirk tornò ad accovacciarsi. Insieme, attesero che accadesse qualcosa. Un attimo dopo, si riscosse Questor Thews, poi Abernathy e infine gli gnomi. Uno per uno, sbatterono le palpebre per liberarsi dal sonno e si misero a sedere. Allora videro Ben, e soprattutto Dirk. -Ah, buon giorno, Alto Signore. Buon giorno, Dirk-salutò allegramente Questor.Avete dormito bene tutt'e due, spero? Abernathy borbottò qualcosa sul fatto che tutti i gatti sono creature notturne e non hanno bisogno di sonno in ogni caso, neanche i gatti prismatici, e di come sia una perdita di tempo preoccuparsi di loro. Fillip e Sot sbirciarono Dirk come avrebbero fatto con una cena attesa da tempo, senza mostrare la minima traccia di paura. Ben rimase a guardare attonito, mentre la conversazione continuava attorno a lui come se la presenza del gatto fosse perfettamente normale. Nessuno pareva sorpreso che il gatto fosse lì. Questor e Abernathy si comportavano come se la sua apparizione fosse perfettamente prevista. Gli gnomi si comportavano come avevano fatto al loro primo incontro con Dirk; nessuno dei due sembrava ricordare quanto era costata loro l'impazienza di papparsi il gatto per cena. Ben rimase ad ascoltare un momento mentre gli altri chiacchieravano e si affaccendavano, poi guardò confuso il gatto. -Che cosa...? -I sogni, Alto Signore-bisbigliò Dirk, interrompendolo. -Ho lasciato che mi scoprissero in sogno. Ero reale per loro nei sogni, quindi sono reale per loro qui. Non capisce? La verità a volte è semplicemente come la percepìamo, da svegli o in sogno. Ben non capiva. Aveva prestato attenzione, aveva ascoltato secondo le istruzioni, ma continuava a non capire. Che senso aveva tutto quello e che cosa c'entrava con lui? Ma non ci fu altro tempo per meditare sulla questione. Un grido da parte di Abernathy, o meglio una sorta di latrato, attirò l'attenzione di tutti. I rami ai margini del bosco di pini si aprirono e chi apparve, se non Parsnip? Bunion se lo trascinava dietro, inzuppato come lui dal temporale, sfoderando come lui uno di quei sorrisi sinistri che scoprivano i denti da un orecchio all'altro. Parsnip avrebbe dovuto fare la guardia a Willow! Riscuotendosi dalla sua paralisi, si affrettò ad avanzare insieme a Questor e Abernathy per accogliere le piccole creature, si fermò di colpo di fronte all'occhiata dura e sospettosa scoccatagli da Parsnip - che, dopo tutto, non aveva ancora idea di chi fosse - e infine arretrò di un passo su consiglio di Questor. Questor e Bunion confabularono brevemente nel rozzo linguaggio gutturale dei coboldi, con qualche interruzione da parte di Parsnip, e poi Questor si rivolse frettoloso a Ben. -Parsnip ha vegliato su Willow da quando ha lasciato Sterling Silver, Alto Signore, proprio come ha ordinato... fino a ieri. Lei lo ha congedato senza spiegazioni. Quando lui si è rifiutato di lasciarla, lei ha usato la magia ed è fuggita. Nemmeno un coboldo può restare con una silfide, se lei non vuole. Willow ha le briglie d'oro e... e cerca l'unicorno nero.-Lui scosse la testa vedendo l'espressione di Ben e si tirò la barba
bianca, con aria preoccupata.-Lo so. Nemmeno io lo capisco, Alto Signore, e neppure Parsnip. A quanto pare ha deciso di non portare le briglie da lei come ordinava il sogno! Ben lottò per controllare il sobbalzo improvviso del suo stomaco. Che cosa significava, si domandò.-Dov'è adesso?- chiese invece. Questor scosse la testa.-La sua pista porta a nord verso i Monti Melchor.-Esitò.Bunion dice che sembra diretta verso Mirwouk. Mirwouk? Dove erano stati nascosti i libri di magia scomparsi? Perché mai doveva andare laggiù? Ben sentì aumentare la propria frustrazione. -C'è dell'altro, Alto Signore-li interruppe Abernathy con aria solenne, ignorando lo strappo di avvertimento alla manica da parte di Questor.-Strabo e la Strega del Crepuscolo sono a caccia... probabilmente di lei, di Willow e delle briglie. E si dice che un demone... un essere volante enorme, una creatura che non risponde a nessuno, pare... scorrazza per tutta la valle. Bunion lo ha visto ieri notte. -Il cucciolo di Meeks-mormorò Ben, ricordando all'improvviso il mostro che era apparso durante la danza delle ninfe del Signore del Fiume e le aveva distrutte. Il suo viso s'indurì. Edgewood Dirk e la questione dei sogni furono dimenticati. Ora pensava soltanto a Willow.-Dobbiamo raggiungerla prima di loro-annunciò, con una voce che risuonò fiacca perfino alle sue orecchie, mentre soffocava la paura che infuriava dentro di lui.-Dobbiamo. Siamo tutto ciò che ha. Tutti reagirono. Abernathy abbaiò seccamente agli gnomi Va' Via e rimandò i coboldi in esplorazione. Questor posò una mano rassicurante sul braccio di Ben.-La troveremo, Alto Signore. Può contarci. Rapidamente si misero in marcia nelle terre desertiche, lo sconosciuto che era l'Alto Signore, il mago e lo scrivano, i coboldi e lo gnomo. Edgewood Dirk rimase placidamente seduto e li guardò partire. CAPITOLO 16 Mirwouk e i Flynt Willow sentì sul viso il calore intenso del sole di mezzogiorno attraverso i varchi nella foresta e si scoprì d'improvviso assetata. Aggirò con cautela un affioramento di roccia che sporgeva dal pendio sempre più ripido, salì su una cengia di erba alta e cespugli che si perdeva in un boschetto di pini dalle ombre cupe, e si soffermò a guardare indietro. Landover si stendeva ai suoi piedi, una scacchiera irregolare di campi e foreste, di colline e pianure, di fiumi e laghi, di riquadri azzurri e verdi con pennellate di colori pastello inframmezzati come in un tessuto. Il sole si riversava sulla valle da un cielo azzurro e senza nuvole e intensificava i colori al punto che accecavano con la loro luminosità. Willow sospirò. Sembrava impossibile che qualcosa potesse andare male in una giornata come quella. Ormai si trovava nel cuore della regione di Melchor, dopo aver superato il limite delle foreste di querce e l'altopiano sulle colline ricoperte di pini, e si avvicinava già alle cime più alte. Quel giorno il sole era intenso e caldo, là dove l'ombra non ne schermava la luce, e la salita metteva sete. Willow non portava acqua con sé; contava sul proprio istinto per trovare ciò che le serviva. L'istinto non l'aveva servita nelle
ultime ore, da quando aveva lasciato le alture, ma ora sentiva di nuovo che l'acqua era vicina. Ciò nonostante, rimase ancora un attimo dove si trovava, per guardare la valle in silenziosa contemplazione. Lontano, molto lontano a sud, riuscì a intravedere appena un'isoletta velata dalle nebbie che era Sterling Silver, e pensò a Ben. Avrebbe voluto che fosse lì con lei, o che capisse perché non era laggiù insieme a lui. Spinse lo sguardo sulla valle ed ebbe l'impressione di essere sola al mondo. Che cosa faceva lì? Si sentiva oppressa dal peso dei finimenti avvolti in un panno di lana, che portava appesi alla spalla destra, e se li tolse dalla spalla per lasciarli scivolare fra le mani. Un raggio di sole si rifletté luminoso su un'estremità libera delle decorazioni che spuntavano dalle pieghe della copertura. Le briglie di fili d'oro tintinnavano leggermente. Lei le ricoprì e se le passò sull'altra spalla. Le briglie erano pesanti, i fili intrecciati e gli ornamenti erano più ingombranti di quanto avrebbe mai creduto. Le sistemò con cura e si raddrizzò. Era stata fortunata a ottenere che il drago gliele donasse. Tutti quei canti di fate, musica, lacrime e risate, erano stati una magia davvero potente. Strabo era rimasto incantato. Lei era ancora sorpresa che il piano avesse avuto successo. La sconcertava ancora l'aver previsto in qualche modo che avrebbe funzionato. Sogni, visioni e premonizioni: tali erano le vicissitudini che l'avevano guidata in quegli ultimi giorni, come una foglia secca sospinta dal vento. La notte precedente era stato un altro sogno. Corrugò la fronte al ricordo, con il bel viso liscio segnato dall'ansia. La notte precedente, aveva sognato Ben. Un alito di vento le spinse indietro i capelli lunghi fino alla vita e le rinfrescò la pelle. Lei ricordò il bisogno di bere, ma rimase ancora un momento a pensare al suo Alto Signore. Il sogno era stato ancora una volta strano, un misto di realtà e irrealtà, un intreccio di paure e di speranze. Si era imbattuta ancora una volta nell'unicorno, la creatura nascosta nei boschi e nell'ombra, non un demone stavolta, ma un essere braccato, spaventato e solo. Lei lo aveva temuto, ma aveva pianto del suo terrore. Che cosa lo spaventasse non era chiaro, ma lo sguardo che le aveva rivolto era inconfondibile. Vieni da me le aveva sussurrato. Metti da parte il piano di riportare le briglie di fili d'oro a Sterling Silver e all'Alto Signore. Smetti di fuggire di fronte al demone che vedi in me e cerca invece la realtà di ciò che sono. Willow, vieni da me. Con una sola occhiata le aveva detto tutto questo, in modo chiaro, reale... un sogno, e tuttavia reale. E così lei era andata, confidando nel proprio istinto di fata come aveva sempre fatto, convinta che quello solo fra tutti i sensi non poteva essere tratto in inganno. Aveva abbandonato il richiamo del primo sogno che l'avrebbe portata da Ben ed era andata invece in cerca di... Di che cosa? Della verità? -Perché i sogni sono tanto diversi?-s'interrogò sottovoce.-Perché sono tanto confusa? Il sole scintillava su acque lontane e le foglie della foresta s'increspavano al passaggio del vento, ma non le giunse nessuna risposta. Lei respirò a fondo l'aria e si volse. Le ombre della foresta l'attiravano, e lei si lasciò inghiottire. Mirwouk era vicina, si rese conto con sorpresa: non più di qualche chilometro, appena oltre la cima che stava scalando. Il fatto fu registrato per un attimo e poi dimenticato. La larga fascia di sole
meridiano sbiadì in una serie di strisce più strette, e l'ombra fu un refrigerio sulla pelle accaldata. Lei procedeva fra gli alberi della foresta, abeti e larici massicci, in cerca dell'acqua che sapeva nascosta. La trovò presto, un ruscelletto che scorreva dalle rocce in una pozza e di li deviava pigramente in una serie di secche e di cascatelle. Posò con prudenza le briglie sul terreno accanto a sé e si chinò per bere. L'acqua era dolce e gradita alla gola riarsa. Rimase inginocchiata a lungo nel silenzio. I secondi scorrevano trasformandosi in minuti. Quando sollevò di nuovo la testa, l'unicorno nero era fermo di fronte a lei. Il respiro le rimase in gola e lei restò paralizzata. L'unicorno era distante non più di una dozzina di passi, metà in ombra, metà alla luce pallida del sole filtrata dagli alberi. Era una visione di grazia e meraviglia, il corpo snello effimero come il ricordo di un amore, la presenza splendida come la curva di un arcobaleno. Non si muoveva, ma si limitava a guardarla. Il corpo d'ebano con gli zoccoli caprini e la coda di leone, gli occhi di fuoco verde, la vita immortale... tutti i canti di tutti i bardi in tutte le ere del mondo non avrebbero saputo esprimere neanche lontanamente ciò che era in realtà l'unicorno. Willow si sentì lacerare da un impeto di emozione, che mise a nudo la sua anima. Sentì il suo cuore cedere all'estasi. Non aveva mai visto un unicorno e non avrebbe mai pensato che fosse così. Aveva le lacrime agli occhi, e deglutì in modo incontrollabile per dominare le proprie sensazioni. -Oh, bellissima creatura-sussurrò. La sua voce era tanto sommessa che credeva di poter sentire soltanto lei le sue parole. Ma l'unicorno annuì in risposta, e il corno tortile scintillò luminoso di magia. Gli occhi verdi la fissarono con un'intensità nuova e divamparono attingendo a una sorgente interna dell'essere. Willow sentì qualcosa far presa dentro di lei. La sua mano tastò alla cieca il terreno vicino a lei e si posò infine sulle briglie. "Oh, devo averti" pensò. "Devo farti mio!" Ma gli occhi la tenevano immobilizzata e lei non poteva muoversi per mettere in atto la sua volontà. Gli occhi la tenevano prigioniera, e sussurravano qualcosa che ricordava dal sogno. Vieni da me dicevano. Cercami. Lei si sentì scaldare dal calore di quel ricordo e poi ridiventare fresca. Vide il ricordo riflesso nei suoi occhi, nella sua mente e nel suo cuore. Guardò oltre il minuscolo corso d'acqua che scrosciava e gorgogliava sulle rocce nel silenzio della foresta, e quel ruscello le sembrò un fiume insormontabile. Ascoltò il canto degli uccelli sugli alberi, un misto di canti che rallegravano e rincuoravano, e il suono divenne la voce di tutti i suoi segreti rivelati. Sentiva la magia infuriare dentro di lei in onde di insistenza che non avrebbe mai creduto possibili. Non apparteneva più a se stessa; ormai apparteneva all'unicorno. Avrebbe fatto qualunque cosa per lui. Qualunque cosa. Poi, un attimo dopo, era scomparso, svanendo in modo così improvviso e completo che fu come se non fosse mai stato lì. Anzi, si domandò lei, c'era stato davvero? Willow fissò lo spazio che l'unicorno nero aveva occupato, un vuoto di luce mista a ombra, e lottò contro l'intensità del suo dolore.
Aveva visto l'unicorno? Lo aveva visto davvero? Era reale? Le domande la lasciarono stordita. Non riusciva a muoversi. Poi, lentamente, con uno sforzo di volontà, si alzò in piedi, si mise di nuovo in spalla le briglie d'oro e si mosse con tranquilla decisione in cerca delle risposte. Cercò per tutto il giorno. Tuttavia più che cercare seguiva, perché provava la sensazione di essere guidata che non riusciva a spiegare. Saliva attraverso il labirinto di rocce e alberi e cespugli che tappezzavano le alture irregolari dei Monti Melchor e cercava qualcosa che poteva anche non esistere. Le parve di vedere l'unicorno nero parecchie altre volte; soltanto brevi squarci: un fianco di ebano, un occhio di smeraldo, un corno tortile che splendeva per magia. Non le venne in mente che i suoi sforzi potevano essere guidati da una forza maligna. Cercava in preda al delirio e senza alcun rimpianto. Sapeva che l'unicorno era lì, appena al di là della sua portata. Lo sentiva in attesa; lo sentiva spiare. Non conosceva il suo scopo, ma era certa del suo bisogno. La notte la sorprese poco più di un chilometro a ovest di Mirwouk, esausta, ancora sola. Aveva attraversato la foresta che circondava tutt'intorno l'antica fortezza in rovina. Era tornata più volte sui propri passi. Non si era avvicinata all'unicorno nero più della prima volta che lo aveva visto, ma era più decisa che mai a raggiungerlo. All'alba, avrebbe ritentato. Si stese entro un riparo di betulle, strinse al petto le briglie di fili d'oro con il loro involto di lana e si lasciò accarezzare dalla fresca aria notturna. Pian piano la calura del giorno svanì, e la stanchezza le scivolò di dosso. Dormì indisturbata e sognò ancora una volta. Quella notte sognò unicorni bianchi incatenati e impastoiati, che imploravano di essere liberati. Il sogno era come una febbre da cui non voleva liberarsi. Dalle ombre vicine, occhi di fuoco verde la vegliarono per tutta la notte. Anche Ben Holiday e i suoi compagni passarono la notte sui Monti Melchor, seppure ancora a una certa distanza da Mirwouk e da Willow. Erano accampati appena al di sopra delle pendici delle colline che precedevano i monti, ed erano fortunati a essere arrivati così lontano. Avevano impiegato quasi tutto il giorno soltanto per uscire dal deserto, e avevano marciato il pomeriggio e la sera per raggiungere la base delle montagne. Ben aveva insistito. Verso il tramonto i coboldi avevano trovato le tracce di Willow, e Ben pensava che potessero raggiungerla quel giorno stesso. Era stato solo dopo che il buio fitto era sceso e Questor aveva pregato Ben di essere ragionevole che la ricerca era stata temporaneamente abbandonata. Riprese all'alba, e a metà mattina la piccola compagnia si trovava un chilometro circa più in basso di Mirwouk. Fu allora che la situazione cominciò a diventare confusa. La confusione era molteplice. In primo luogo, la pista di Willow conduceva verso Mirwouk. Dato che non stava portando le briglie d'oro a Ben, o a Meeks travestito da Ben, non era molto chiaro che cosa volesse farne. Probabilmente stava cercando l'unicorno nero, anche se non aveva molto senso, dato che nel suo sogno l'unicorno nero era stato una creatura demoniaca che la minacciava, e lei non sapeva ancora che il sogno le era stato inviato da Meeks. Qualunque cosa stesse facendo, andava decisamente verso Mirwouk, ed era a Mirwouk che il sogno aveva portato Questor in
cerca dei libri di magia scomparsi ed era lì che, in effetti, i libri scomparsi erano stati ritrovati. In secondo luogo, i coboldi avevano scoperto che per due volte la pista di Willow tornava su se stessa. Le silfidi erano creature magiche e non avevano la tendenza a smarrire la strada, quindi ciò significava che stava cercando qualcosa o seguendo qualcosa. Ma non c'era nessun indizio su quello che poteva essere. In terzo luogo, Edgewood Dirk era ancora introvabile. Nessuno aveva visto il gatto da quando avevano lasciato il loro riparo due notti prima, dopo il ritorno di Bunion con Parsnip e la notizia del ritrovamento della pista di Willow. Fino a quel momento Ben non aveva fatto molto caso alla scomparsa di Dirk, troppo preso dalla ricerca di Willow per notarlo. Lo scontro con questi altri enigmi, però, lo aveva indotto quasi senza riflettere a voltarsi per cercare Dirk, forse nella vana; speranza di ottenere dalla bestia una risposta chiara, una volta tanto; ma Dirk non si trovava da nessuna parte. Ben prendeva tutto come veniva. Non c'era molto da fare per chiarire la confusione in quel momento, quindi ordinò semplicemente di continuare la ricerca. Incrociarono per la terza volta la pista di Willow a un tiro di sasso da Mirwouk e stavolta i coboldi esitarono. Le nuove tracce erano più fresche delle altre. Dovevano seguirle? Ben annuì e loro obbedirono. A mezzogiorno, avevano quasi completato il giro di Mirwouk e incrociato la pista di Willow per la quarta volta. Ora lei si stava allontanando dall'antica fortezza. Bunion studiò le tracce per alcuni minuti, col viso quasi schiacciato a terra nello sforzo di interpretare le indicazioni. Alla fine annunciò che non sapeva dire quali tracce fossero più recenti. Sembravano tutte molto fresche. I membri della piccola compagnia rimasero fermi un attimo a guardarsi, indecisi. Ben e Questor avevano il viso coperto da un velo sottile di sudore, e gli gnomi Va' Via si lamentavano di avere sete. Abernathy ansimava. La polvere li ricopriva tutti come un velo di nebbia. Gli occhi erano socchiusi per difendersi dal riverbero abbagliante del sole, e le facce erano stravolte e indurite dalla fatica. Erano tutti stanchi e contrariati e stufi di correre in un circolo vizioso. Benché ansioso di continuare, Ben stava meditando a malincuore l'idea di una sosta per il pranzo e un breve riposo, quando un rumore spaventoso lo riscosse di colpo. Era uno schianto di pietre che si spezzavano e crollavano, e proveniva dalla direzione di Mirwouk. Guardò gli altri con aria interrogativa, ma nessuno sembrava ansioso di azzardare ipotesi. -Non sarà male fare almeno un controllo-dichiarò Ben, avviandosi con decisione per indagare, mentre gli altri lo seguivano con differenti sfumature di entusiasmo. Si diressero verso l'alto attraverso il groviglio di cespugli e alberi, guardando le mura e le torri cadenti di Mirwouk apparire fra i rami e innalzarsi davanti a loro. Contro il cielo si stagliavano i parapetti, sbreccati e interrotti, e finestre prive di imposte si aprivano come bocche sdentate. I pipistrelli svolazzavano negli anfratti in ombra e lanciavano richiami acuti. Più avanti, i rumori fragorosi continuavano... quasi come
se qualcosa fosse intrappolato e cercasse li liberarsi. I minuti passavano. La piccola compagnia si avvicinò all'ingresso diroccato della fortezza e si fermò in ascolto. I rumori erano cessati. -Non mi piace neanche un po'-dichiarò Abernathy in tono tetro. -Alto Signore, forse dovremmo...- cominciò Questor Thews, poi s'interruppe vedendo un'espressione di disapprovazione passare sul viso di Ben. -Forse dovremmo dare un'occhiata-finì Ben per lui. E così fecero, Ben in testa, i coboldi un passo indietro, gli altri al seguito. Superarono il portale d'ingresso, attraversarono il vasto cortile esterno e sgusciarono nel passaggio che correva dal muro secondario al cortile interno e alle costruzioni principali. Il passaggio era lungo e buio e puzzava di marcio. Ben arricciò il naso per il disgusto e affrettò il passo. Per il momento c'era ancora silenzio. Ben arrivò in fondo al tunnel precedendo gli altri di una decina di passi e stava pensando fra sé che forse avrebbe fatto meglio a mandare avanti Bunion per dare un'occhiata, quando scorse il gigante di pietra. Era enorme e orribile, una mostruosità quasi informe, rozzamente scolpita, che sembrava l'abbozzo di uno scultore novellino per un omaggio a Ercole. Sulle prime sembrava una statua grottesca, ritta lì al centro del cortile interno in mezzo a una pila di detriti di pietra. Ma poi la statua si mosse, girandosi con uno sforzo poderoso che produsse il suono di una roccia che sfrega contro la roccia, e fu subito evidente che quella particolare statua era vivissima. Ben rimase sbigottito, non sapendo bene che cosa fare. Un tumulto improvviso si levò dal tunnel alle sue spalle, e il resto della compagnia sbucò all'aperto in gran fretta e praticamente lo travolse nella furia di uscirne. Gli gnomi Va' Via non piagnucolavano più; ululavano come gatti malmenati. Abernathy e Questor strillavano tutt'e due insieme, e i coboldi sibilavano e mostravano tutti i denti in una manifestazione inconfondibile di ostilità. Ben impiegò un momento a rendersi conto che non reagivano a qualcosa che vedevano da quella parte del tunnel, ma a qualcosa che avevano visto dall'altra. Ben scrutò in fretta al di là del gruppo in preda alla frenesia, allungando il collo. Un secondo gigante di pietra era entrato nel passaggio e si dirigeva verso di loro con passi pesanti. Questor lo afferrò per il gomito quasi per stritolarglielo. -Alto Signore, quello è un Flynt! Ci ridurrà in polvere se lo lasciamo avvicinare abbastanza... Oooohhh!-In quel momento vide il secondo, che si avvicinava anch'esso a passi pesanti.-Sono in due! Fuggiamo, Alto Signore, da questa parte! I coboldi si stavano già muovendo, guidando il gruppo attraverso il cortile fino a un'entrata che dava nella fortezza vera e propria. Il primo Flynt aveva raggiunto il secondo e tutti e due si diedero all'inseguimento, giganti traballanti che si muovevano come bulldozer. Il gruppetto passò come un bolide dall'entrata e salì al galoppo una rampa di scale. -Che cos'è un Flynt?-chiese Ben a Questor mentre fuggivano.-Non ricordo di averti mai sentito parlare di Flynt! -Probabilmente non ne ho parlato affatto, Alto Signore- ammise Questor, che ormai ansimava forte. La veste s'impigliò nelle ginocchia e per poco non cadde lungo
disteso. -Dannazione!-Si raddrizzò, riprendendo subito a correre. -I Flynt sono un'aberrazione, una creazione della magia antica... mostri di pietra animati. Molto pericolosi! Un tempo erano le sentinelle di questa fortezza, ma credevo che fossero stati tutti distrutti da secoli. Li crearono i maghi. Non pensano, non mangiano, non dormono, vedono e sentono a malapena gli odori, ma hanno un udito finissimo. Il loro scopo esplicito era di tenere gli intrusi alla larga da Mirwouk, ma naturalmente questo accadeva molto tempo fa, quindi chi può sapere quale credono che sia il loro scopo adesso? Mi sembrano piuttosto intenzionati a distruggere tutto. Ugh!-Rallentò per un attimo e riuscì chissà come ad assumere un'espressione di autentica perplessità.-Strano che non li abbia incontrati l'ultima volta che sono stato qui. Ben roteò gli occhi e trascinò il mago in avanti. Arrivarono in cima alla scala e sbucarono su un parapetto che aveva all'incirca le dimensioni di un campo da tennis. La superficie da gioco era costellata di detriti. Non si vedevano arbitri e l'unica altra via d'uscita era una seconda scala all'estremità opposta. Il gruppo si lanciò compatto nella corsa. Quando la raggiunsero, la trovarono bloccata da travi e macigni sufficienti a costruire una serie di tribune per gli spettatori. -Magnifico!-gemette Ben. -Ve lo avevo detto che non mi piaceva!-dichiarò Abernathy con un latrato che sorprese tutti. I Flynt emersero dalla scala opposta, guardarono lentamente in giro e cominciarono ad avanzare verso di loro. Bunion e Parsnip si misero davanti agli altri con un movimento protettivo. Ora toccò a Ben afferrare Questor.-I coboldi non possono fermare quei mostri, dannazione! Escogita qualche magia! Questor avanzò in fretta, con le vesti svolazzanti, l'alta figura ondeggiante come se stesse per rovesciarsi. Brontolò qualcosa di incomprensibile, alzò le braccia al cielo e le abbassò in un grandioso gesto ad arco. Una tromba d'aria scaturì dal nulla, raccolse i detriti sparsi e li scagliò contro i mostri di pietra che si avvicinavano. Purtroppo, la tromba d'aria ne scagliò una parte anche addosso a Questor. I detriti rimbalzarono sui Flynt lasciandoli illesi. Invece su Questor non rimbalzarono: il mago cadde a terra di schianto, svenuto e sanguinante. Ben e i coboldi si precipitarono a tirare indietro il mago per evitargli altri danni. I Flynt continuavano ad avanzare, mentre blocchi di pietra e detriti scricchiolavano come fuscelli sotto i loro piedi massicci. Ben s'inginocchiò ansioso.-Questor! Tirati su! Abbiamo bisogno di te!-Schiaffeggiò disperato il viso del mago, gli strofinò i polsi e lo scrollò. Questor non si muoveva. Il suo viso da gufo era pallido sotto il sangue. Ben balzò in piedi. Isolati, forse, i membri del piccolo gruppo erano abbastanza agili e svegli da sfuggire a quei mostri di pietra. Forse. Ma questo valeva prima dell'incidente di Questor. Nessuno sarebbe scampato tentando di trascinare via il mago, e certamente non erano disposti a lasciarlo. Ben afferrò freneticamente il medaglione e lo lasciò subito andare. Inutile. Ormai lui era una creatura di Meeks, il
medaglione era una imitazione priva di valore. Non poteva ricevere nessun aiuto dalla magia; non poteva convocare il Paladino. Eppure doveva fare qualcosa! -Abernathy! Il naso freddo del cane gli si accostò all'orecchio, e lui si scostò di scatto.-Alto Signore? -Questi giganti non hanno la vista, il gusto o l'odorato ma hanno l'udito, giusto? Sentono qualsiasi cosa? Qualsiasi suono anche vicino a Mirwouk, forse? -Mi risulta che i Flynt possano udire uno spillo che cade a 50 passi, anche se spesso... -Non pensare agli elzeviri!-Ben attirò il cane per guardarlo in faccia, con i lineamenti ricoperti di pelo alla sua altezza, gli occhiali scintillanti al sole.-Riesci ad arrivare al do diesis? Abernathy batté le palpebre.-Alto Signore? -Do diesis, dannazione... sai ululare abbastanza forte da raggiungere il do diesis?-I Flynt erano a non più di una decina di passi.-Allora, lo sai fare? -Non vedo... -Sì o no! Stava scrollando lo scrivano. Abernathy tirò indietro il muso e abbaiò proprio in faccia a Ben.-Sì! -Allora fallo!-gridò Ben. L'intero tetto sembrava tremare. Gli gnomi Va' Via si erano aggrappati ancora una volta a Ben, gridando in coro:-Grande Alto Signore, possente Alto Signore-e gemendo come anime dannate. I coboldi erano accovacciati davanti a lui, pronti a scattare. I Flynt sembravano carri armati all'attacco. In quel momento Abernathy cominciò a ululare. Raggiunse il do diesis al primo tentativo, un ululato agghiacciante che sommerse i gemiti degli gnomi Va' Via e allargò la smorfia sul viso dei coboldi fino a dimensioni mai raggiunte prima. L'ululato s'innalzò e si dilatò, penetrando ovunque con l'intensità di una ulcera gastrica. I Flynt si arrestarono di scatto e portarono con uno schianto le mani massicce ai lati della testa, nel vano tentativo di escludere il suono. Ma questo li raggiungeva implacabile: Ben non avrebbe mai creduto Abernathy capace di una sofferenza così protratta, e loro continuarono a percuotersi per tutto il tempo. Alla fine, il martellamento si rivelò insostenibile, e i Flynt crollarono semplicemente in pezzi. Teste, braccia, torsi e gambe si smembrarono in una pila di macigni inutilizzabili. La polvere si sollevò e tornò a posarsi, e nulla si mosse. Abernathy smise di ululare, e ci fu un attimo di silenzio costernato. Lo scrivano si raddrizzò e fissò Ben senza nascondere il furore.-Non mi sono mai sentito così umiliato, Alto Signore-ringhiò.-Ululare come un cane, davvero! Mi sono degradato in un modo che non avrei mai ritenuto possibile. Ben si schiarì la gola.-Ci hai salvato la vita-osservò semplicemente.-Ecco che cosa hai fatto. Abernathy fece per dire qualcos'altro, s'interruppe e continuò semplicemente a fissarlo con ira, senza parlare. Alla fine inspirò a fondo, espirò, si raddrizzò ancor più,
tirò su col naso, disgustato, e disse:-Quando riavremo quei libri di magia, la prima cosa che dovrà fare sarà trovare un modo per farmi ridiventare un essere umano. Ben si affrettò a nascondere il sorriso che sarebbe stato la sua rovina.-D'accordo. La prima cosa. Raccolsero in fretta Questor Thews e lo trasportarono giù per la scala e fuori da Mirwouk. Non incontrarono altri Flynt. Forse i due ai quali erano sfuggiti erano gli ultimi, pensò Ben mentre si affrettavano a tornare fra gli alberi. -Comunque, è davvero strano che Questor non li abbia visti la prima volta-osservò ripetendo l'osservazione del mago senza rivolgersi a nessuno in particolare. -Strano? Non tanto, se si considera la possibilità che Meeks li abbia messi lì dopo aver avuto i libri, al preciso scopo di impedire a chiunque di rientrare nella fortezza!sbuffò Abernathy. Non volle guardare Ben.-Sul serio, Alto Signore, avrei giurato che potesse arrivarci da solo. Ben incassò l'osservazione in silenzio. Avrebbe potuto arrivarci da solo, ma non lo aveva fatto, quindi che cosa c'era da dire? Quello che non riusciva a immaginare adesso era per quale motivo Meeks avrebbe dovuto disturbarsi a mettere delle guardie a Mirwouk. Dopo tutto, i libri di magia scomparsi erano già in suo possesso! Lasciò cadere quell'interrogativo nel dimenticatoio insieme con tutte le altre domande senza risposta, e si concentrò sullo sforzo di aiutare gli altri a deporre Questor su un tratto erboso all'ombra. Parsnip ripulì il viso del mago dalla polvere e dal sangue e lo fece rinvenire. Dopo le prime cure, Questor si riprese, Parsnip gli medicò le ferite e la piccola compagnia si rimise in cammino. -Stavolta seguiremo le tracce di Willow, per quante possano essere, finché non la troveremo-dichiarò Ben in tono risoluto. -Se la troveremo-borbottò Abernathy. Ma nessuno lo sentì, e si rimisero in marcia. CAPITOLO 17 La scoperta Il calore del sole di mezzogiorno si posò sulle foreste dei Monti Melchor come una coperta soffocante, rendendo tiepide e afose le ombre ricche di refrigerio. La brezza mattutina cadde e l'aria divenne greve e immota. Gli insetti ronzavano seguendo le loro melodie monotone, le foglie pendevano inerti dai rami e gli animali a sangue caldo del bosco riposavano, quieti e pazienti. Si avvertiva un rallentamento del tempo e della volontà. Willow si fermò alla base di una quercia bianca gigantesca, con le spalle oppresse dal peso implacabile delle briglie d'oro che portava a tracolla. Un velo lucente di sudore le copriva la pelle verde pallido del viso e delle mani, e lei teneva le labbra socchiuse, riprendendo fiato a fatica. Camminava fin dal levar del sole, seguendo l'unicorno nero che andava e veniva in schegge di sogno e d'ombra, restando nella sua scia come se fosse un granello di polvere trascinato dal suo passaggio. Aveva attraversato cinque o sei volte tutta la regione dei Melchor intorno a Mirwouk tornando e ritornando di tanto in tanto sui suoi passi, in un viaggio insensato affidato al capriccio e al caso. Ora si trovava a ovest di Mirwouk, a poco più di un chilometro dall'antica fortezza, ma se ne rendeva conto a malapena e, quand'anche si fosse presa il tempo di pensarci,
per lei non avrebbe fatto differenza. Aveva smesso da tempo di curarsi d'altro se non dell'oggetto della sua ricerca. Tutto il resto era diventato irrilevante. Doveva trovare l'unicorno. Doveva conoscere la verità. Lasciò che i suoi occhi si velassero leggermente, al ricordo del sogno della notte precedente, e si chiese di nuovo che cosa significasse. Poi si rimise in piedi e riprese il cammino, una creatura fragile e minuscola fra gli alberi giganti della foresta sui monti, una bambina sperduta. Attraversò lentamente un bosco di pini e larici così fitti che i rami s'intrecciavano fra loro, guardò appena un gruppo di Bonnie Blu poco più avanti e salì un lieve pendio che conduceva a un altopiano erboso. Sceglieva la direzione con passi attenti, ricordando pur nello sfinimento di essere già passata da quella parte... una volta, due volte, di più? Non ne era sicura. Non aveva importanza. Ascoltò il battito del cuore che le pulsava nel collo e nelle orecchie. Era molto forte. Era quasi l'unico suono nella foresta. Divenne la misura di ogni passo che faceva. "Quanto ancora?" si chiedeva, sempre più oppressa dalla calura. "Quando dovrò fermarmi?" Superò la linea del prato, si fermò all'ombra di un acero rosso dai lunghi rami e chiuse gli occhi per sfuggire all'incertezza. Quando li riaprì, l'unicorno nero era fermo di fronte a lei. -Oh!-mormorò Willow. L'unicorno era al centro del prato, incorniciato in una chiazza di sole intenso. Era nero come l'inchiostro, così perfettamente opaco che si sarebbe detto scolpito nelle ombre di mezzanotte. La fronteggiava a testa alta, con la criniera e la coda immobili nell'aria ferma, una statua scolpita in un ebano senza tempo. Gli occhi verdi la fissavano con intensità e dal fondo del loro abisso la chiamavano. Lei si riempì i polmoni di aria calda e umida e si sentì bruciare dall'ardore del sole. Si mise in ascolto. Gli occhi dell'unicorno parlavano in silenzio, immagini catturate e riflesse da sogni ricordati e visioni perdute. Lei ascoltò, e capì. La caccia era finita. L'unicorno nero non sarebbe più fuggito davanti a lei. Era questo il tempo e il luogo a cui era stata guidata. Le restava solo da scoprire perché. Avanzò esitante, aspettandosi ancora a ogni passo che faceva che l'unicorno scomparisse, che scattasse per fuggire. Non lo fece. Si limitò a restare lì immobile, sognante. Lei si tolse di spalla le briglie e le tenne mollemente fra le mani davanti a sé, in modo che l'unicorno le vedesse chiaramente. Il sole danzava sulle tirelle e sui ganci, traendone lampi di luce che penetravano fra le ombre della foresta. L'unicorno attendeva. Willow passò dall'ombra dell'acero rosso al sole del prato, e si sentì avvolgere dal caldo umido. I suoi occhi verde mare annullarono con un battito delle ciglia un velo improvviso di opacità, e lei respinse all'indietro i lunghi capelli. L'unicorno non si mosse. Era arrivata a poco più di tre metri dalla creatura, quando rallentò e si fermò. Non poteva andare oltre. Ondate di paura, di sospetto e di dubbio la travolsero, un coro di mormorii che si tramutarono in un grido improvviso di avvertimento. Che cosa stava facendo? Che cosa pensava? L'unicorno nero portava con sé tanta sventura che nessuno di coloro che gli si erano avvicinati era stato più rivisto! Era il demone dei
suoi sogni! Era l'incubo che l'aveva inseguita nel sonno, dandole la caccia come la morte! Avvertiva il peso dello sguardo della creatura fatata fisso su di lei. Avvertiva la sua presenza come una malattia. Lottò per liberarsene e fuggire, ma non ci riuscì. Combatté disperatamente contro le emozioni che minacciavano di consumarla, e le bandì. Trasse lunghi respiri profondi dall'aria afosa del meriggio e si costrinse a fissare gli occhi di smeraldo della creatura. Sostenne il suo sguardo. In quegli occhi non c'era nessuna traccia di malattia o di morte nemmeno un'ombra di male demoniaco. C'erano gentilezza e calore... e richiesta di aiuto. Lei avanzò ancora di qualche passo. Poi qualcosa di nuovo la rallentò. Fu un lampo di intuizione che le attraversò la mente in un attimo, rapido e sicuro. Ben era vicino, era venuto in cerca di... di che cosa? -Ben?-sussurrò, in attesa. Ma non c'era nessuno. Era sola con l'unicorno. Non distolse lo sguardo dalla creatura, ma intuì lo stesso che erano soli. S'inumidì le labbra e avanzò di nuovo. E di nuovo si fermò. Aveva il petto ansimante.-Non posso toccarti-mormorò all'essere fatato senza macchia, incredibilmente splendido.-Non posso. Se lo faccio, per me sarà la fine. Sapeva che era così. Lo sapeva per istinto, così come aveva sempre saputo. Nessuno poteva toccare un unicorno; nessuno aveva quel diritto. Apparteneva a un regno di bellezza che nessuna creatura mortale doveva mai tentare di trascendere. Aveva vagato per Landover, un frammento di arcobaleno spezzato dalla tempesta, e non avrebbe mai dovuto essere toccato da mani come le sue. Ricordi di leggende e di canti le sussurrarono avvertimenti spezzati Sentì le lacrime scorrerle lungo le guance e il respiro arrestarlesi in gola. "Bellissima creatura, non posso..." E invece lo toccò. Prima ancora di rendersi conto di ciò che stava accadendo, percorse quegli ultimi pochi metri con passi rapidi e meccanici, muovendosi senza pensare a ciò che faceva, tendendo la mano verso la creatura di mezzanotte e posando le briglie di fili d'oro sulla testa in attesa con un gesto gentile, leggero. Mentre lavorava, sfiorò con le dita il muso di seta e quel contatto fu come una scossa elettrica. Sentì il fruscio della criniera contro il dorso delle mani e la sensazione fu satura di meraviglia. Immagini nuove irruppero nei suoi pensieri senza essere invitate, confuse e ancora incomprensibili, ma ugualmente irresistibili. Ormai toccava l'unicorno liberamente, godendo delle sensazioni che scatenava in lei. Le sembrava di non poterne fare a meno. Non poteva smettere. Stava piangendo di nuovo, con tutte le emozioni a nudo, portate alla superficie del suo essere. Le lacrime le scorrevano sulle guance mentre scoppiava in singhiozzi irrefrenabili. -Ti amo-gridò disperata, lasciando ricadere infine le mani quando le briglie furono a posto.-Oh, ti amo tanto, bellissima, meravigliosa creatura!
Il corno dell'unicorno nero splendeva bianco di potenza magica, mentre la creatura sosteneva il suo sguardo, e ora anche lui aveva gli occhi pieni di lacrime. Per un solo istante, furono uniti. Poi il momento passò, e il mondo esterno s'intromise di colpo. Un'ombra enorme e scura passò in alto e si posò a terra sul margine estremo della radura. Nello stesso istante, un gruppo di voci familiari la chiamarono freneticamente per nome dall'altro capo della radura. I suoi sogni presero vita, circondandola con le loro immagini in modo improvviso e terrificante. Mormorii degli ammonimenti che l'avevano guidata fino a quel momento si trasformarono di colpo nella sua mente in grida di costernazione. Sentì l'unicorno nero rabbrividire con violenza vicino a lei vide la magia ardere bianca nel suo corno. Ma l'unicorno non fuggì tra i boschi. Qualunque cosa accadesse, non sarebbe più fuggito. Così era. Nemmeno lei. Rigida, si volse per scoprire il suo destino. Ben Holiday sbucò di colpo dagli alberi nel prato e si fermò così bruscamente che il resto della piccola compagnia che lo seguiva, nell'ansia di restargli vicino, lo urtò e lo spinse in avanti di alcuni passi. Stavano urlando tutti insieme, gridando avvertimenti a Willow che era ferma al centro del prato, con l'unicorno nero al fianco. L'ombra del demone alato era passata in alto un attimo prima, una nube mostruosa contro il sole. Era una vera sfortuna che si ritrovassero tutti proprio in quel luogo e in quel momento, ma del resto la sfortuna più nera sembrava l'unica sorte sulla quale Ben poteva contare. Aveva seguito Willow fino a quel prato dopo essere sfuggito ai Flynt, credendo che il peggio fosse ormai passato, ma ora il demone li aveva trovati. Rivide con gli occhi della mente le ninfe del Signore del Fiume condannate a morte mentre il demone le inceneriva, e pensò alla promessa fatta alla Madre Terra di proteggere Willow. Ma non era in grado di farlo. Come avrebbe potuto proteggere Willow senza il medaglione? Il demone si levò di nuovo in volo, ma non attaccò la silfide o l'unicorno e nemmeno il gruppetto di Ben. Invece si posò lentamente a terra all'estremità opposta della radura, ripiegando contro il corpo le ali membranose, emettendo un respiro sibilante. Ben socchiuse gli occhi per difendersi dal sole. In groppa al demone c'era un cavaliere, ed era Meeks. E Meeks, naturalmente, appariva agli occhi di tutti come Ben. Ben udì mormorii di sorpresa e confusione levarsi da quelli che si affollavano dietro di lui. Vide se stesso scendere lentamente dal demone; e dovette ammettere a malincuore che Meeks sembrava perfettamente identico a lui. I compagni smisero di urlare, assaliti da un attimo di indecisione. Ben si sentiva perforare la schiena dai loro sguardi e intuiva le nubi di dubbio che si addensavano. Aveva detto loro chi era e loro gli avevano creduto, più o meno, fino a quel momento. Ma vedere addirittura Ben Holiday fermo lì di fronte a loro in quel prato era tutta un'altra faccenda... Poi l'unicorno nero lanciò un grido lacerante, un richiamo alto e irreale, e si voltarono tutti. La bestia magica scalpitò e dilatò le narici, con le briglie d'oro che danzavano al sole a ogni movimento della testa delicata. La magia splendeva nel suo corno tortile.
L'unicorno era una creatura dalla bellezza impossibile, e attirò gli occhi di tutti come falene verso la luce. Rabbrividiva, ma non arretrava sotto il peso dei loro sguardi. Sembrava in cerca di qualcosa. Lentamente, Willow volse le spalle all'unicorno e cominciò a guardarsi attorno anche lei. Il suo sguardo era curiosamente vuoto. Ben non era sicuro di ciò che stava accadendo, ma decise quasi all'istante di non aspettare.-Willow!-gridò alla silfide, e i suoi occhi si fissarono su di lui.-Willow, sono io, Ben!-Avanzò di alcuni passi, vide nei suoi occhi che non lo riconosceva e si fermò.-Ascoltami. Ascoltami con attenzione. So che non sembro io. Ma sono io. Il responsabile di tutto ciò che è accaduto è Meeks. E' tornato a Landover e mi ha rubato il trono. Mi ha trasformato in questo. Peggio ancora, ha assunto il mio aspetto. Non sono io quello laggiù, quello è Meeks! Lei si voltò a guardare Meeks, vide il viso e il corpo di Ben e lanciò un breve gemito. Ma vide anche il demone. Fece un passo avanti, si fermò e indietreggiò di nuovo lentamente. -Willow, va tutto bene-le gridò Meeks con la voce di Ben.-Porta l'unicorno da me. Passami le redini delle briglie. -No!-urlò freneticamente Ben.-No, Willow!-Fece ancora qualche passo avanti, fermandosi subito appena Willow riprese a indietreggiare.-Willow, non farlo. E' stato Meeks a mandare i sogni, tutti. Ha il medaglione, ha i libri di magia scomparsi. Ora vuole l'unicorno. Non so perché, ma tu non puoi darglielo! Ti prego! -Willow, fa' attenzione a ciò che vedi-l'ammonì Meeks con una voce tranquilla a ipnotica.-Lo sconosciuto è pericoloso, e la sua magia può confondere. Vieni qui da me, prima che ti raggiunga. Ben era fuori di sé.-Guarda chi c'è con me, in nome di Dio! Questor, Abernathy, Bunion, Parsnip, Fillip e Sot!-Si voltò e fece segno a quelli dietro di lui. Ma nessuno si fece avanti. Nessuno sembrava del tutto sicuro di doverlo fare. Ben sentì una nota di disperazione insinuarsi nella sua voce mentre affrontava di nuovo Willow.-Per quale motivo dovrebbero stare con me, se non fossi quello che dico di essere? Loro sanno la verità!-Si girò di scatto ancora una volta, con l'ira nella voce. -Dannazione, Questor, dille qualcosa! Il mago esitò, parve considerare l'opportunità di fare quello che gli chiedeva Ben, poi si raddrizzò.-Sì, dice la verità. E' lui l'Alto Signore, Willow-disse infine. Dagli altri si levarono sibili sommessi e mormorii di consenso, comprese alcune suppliche:-Ci salvi, grande Alto Signore, possente Alto Signore-da parte degli gnomi Va' Via, che ora si nascondevano dietro le vesti di Questor. Ben si girò di nuovo.-Willow, vieni subito qui! Per favore, vieni! Ma ormai Meeks era avanzato di parecchi passi e mostrava a Ben il suo sorriso più rassicurante.-Willow, io ti amo- le disse.-Ti amo e voglio proteggerti. Vieni qui da me. Quello che lo sconosciuto ti fa vedere non è che illusione. Non gode di nessun appoggio da parte dei nostri amici; sono soltanto immagini false. Se guardi bene, puoi vedere la realtà delle cose. Mi vedi? Sono forse diverso da quello che sono sempre stato? Quelle che senti sono menzogne! Rammenta il sogno! Devi prendere le redini e
portarmi l'unicorno nero per essere al sicuro dai pericoli che ti minacciano. Queste illusioni che si fingono amiche sono i pericoli del sogno! Ora vieni da me, al sicuro! Willow guardava prima da una parte e poi dall'altra, con la confusione che traspariva evidente dal volto. Dietro di lei, l'unicorno nero scalpitava e sbuffava delicatamente, una scheggia d'ombra rimasta intrappolata al sole, trattenuta da legami che nessun altro poteva vedere. Ben era in preda alla frenesia. Doveva fare qualcosa! -Mostrami la pietra runica!-gridò all'improvviso Willow girando la testa di scatto da Ben a Meeks e poi di nuovo indietro.-Fammi vedere la pietra che ti ho dato! Ben si sentì gelare. La pietra runica, il talismano color latte che avvertiva del pericolo imminente.-Non ce l'ho!-rispose disperato.-L'ho perduta quando... -Io ce l'ho qui!-annunciò Meeks trionfante, interrompendolo. Il mago infilò la mano sotto le vesti e tirò fuori la pietra runica, o qualcosa che le somigliava, che ardeva di un rosso intenso. La tenne in alto per farla vedere. -Ben!-disse piano Willow, con un barlume di speranza che traspariva dal viso.-Sei tu?-Ben si sentì lo stomaco sottosopra, mentre la ragazza cominciava ad allontanarsi da lui. - Un momento!-gridò all'improvviso Questor Thews, e tutti si voltarono.-Dev'esserle caduta questa, Alto Signore-osservò in tono serio, avanzando di un passo o due, staccandosi per un attimo dalla veste gli gnomi Va' Via. Tese la mano con la pietra runica che Willow aveva donato a Ben - almeno, la sua magia la faceva sembrare simile alla pietra - e lasciò che tutti la vedessero bene. La pietra brillava di un colore rosso vivo. Ben non era mai stato più riconoscente al mago in vita sua. -Grazie, Questor-gli disse sottovoce. Willow si era fermata di nuovo. Lentamente, indietreggiò da tutti loro, di nuovo in preda all'indecisione. Ora sul suo volto c'era anche paura.-Non so quale di voi è Bendisse piano. -Forse nessuno dei due. Le sue parole rimasero sospese nel silenzio improvviso che seguì. Una paurosa tensione s'instaurò nel prato assolato con la sua scacchiera di figure immobili, ciascuna pronta a muoversi in una direzione diversa, ciascuna tesa per colpire. Willow arretrò verso l'unicorno nero, spostando gli occhi da una pedina all'altra, in attesa. Alle sue spalle, l'unicorno era diventato immobile. "Devo fare qualcosa" si disse ancora una volta Ben, e si chiese freneticamente che cosa. In quel momento, con la sua andatura indolente, uscì dal bosco Edgewood Dirk. Pareva quasi che il gatto fosse uscito a fare una passeggiatina pomeridiana, mentre trotterellava con indifferenza sbucando dagli alberi, scegliendo con circospezione il percorso fra l'erba ruvida e i fiori, tenendo la testa e la coda alta, senza guardare né a destra né a sinistra. Non prestava attenzione a nessuno di loro, pareva quasi che fosse capitato lì per caso. Dirk si avviò direttamente verso il centro della radura, si fermò, lanciò un'occhiata distratta a tutti coloro che vi erano riuniti e si accovacciò. -Buon giorno-salutò. Meeks si lasciò sfuggire un urlo che li fece trasalire tutti, poi gettò indietro il mantello. Il falso aspetto di Ben Holiday ondeggiò come un'immagine riflessa nelle
acque di uno stagno disturbata dal lancio di un sasso e cominciò a disintegrarsi. Willow urlò. La mano ad artiglio del mago si sollevò e si protese, e un fuoco verde si sprigionò puntando maligno verso Edgewood Dirk. Ma il gatto aveva già dato inizio al cambiamento, con il piccolo corpo peloso che aumentava di dimensioni, scintillando, e diventava liscio fino ad apparire cristallino come un diamante. Il fuoco del mago lo colpì e si frantumò, disperdendosi come luce rifratta nell'aria luminosa, inondando gli alberi e l'erba e bruciando la terra. Ben ormai correva disperatamente verso Willow, urlando come un pazzo, ma la silfide era già fuori della sua portata. Con uno sguardo folle, si era addossata all'unicorno nero e aveva afferrato le briglie d'oro che guidavano la creatura fatata. L'unicorno scalpitava e s'impennava, lanciando il suo richiamo acuto e irreale, e scattando avanti e indietro in brevi slanci. Willow si aggrappò alla bestia come una bambina spaventata si aggrappa alla madre, restando impigliata, lasciandosi trascinare nella sua fuga lontano da Ben. -Willow!-urlò lui. Meeks stava ancora attaccando Edgewood Dirk. Le fiammate del primo attacco si erano appena disperse, che il mago colpì ancora una volta. Il fuoco si raccolse e s'inarcò lanciato dalla sua mano come una sfera massiccia, roteando e precipitando nell'aria per esplodere sul gatto. Dirk inarcò il corpo e rabbrividì e la palla di fuoco parve assorbita dalla forma cristallina. Poi il fuoco esplose di nuovo verso l'esterno, ritornando indietro verso il mago in una pioggia di dardi fiammeggianti. Meeks sollevò il mantello come uno scudo, e i dardi furono deviati in tutte le direzioni. Alcuni bruciarono la pelle del demone accovacciato dietro il mago, che ruggì e balzò verso il cielo con un verso raschiante di furore. Fumo e fuoco ardevano dovunque, e Ben avanzò incespicando nella foschia. Alle sue spalle, i compagni lo richiamarono. In alto, il demone alato copriva il sole, con la sua ombra che oscurava il prato come un'eclisse. L'unicorno nero balzò in avanti con un grido, e Willow gli balzò in groppa. Poteva averlo fatto per istinto o per necessità, ma il risultato fu lo stesso: fu trasportata via. L'unicorno superò Ben a una velocità tale che lui lo vide appena. Lo inseguì, ma era troppo lento. Scorse per un attimo la figura snella di Willow aggrappata al suo dorso, e poi sparirono entrambi fra gli alberi. Allora il demone alato attaccò. Si lasciò cadere come un masso sul prato, tuffandosi dal cielo vuoto, con le fiamme che scaturivano dalle fauci. Ben si stese a terra e si coprì la testa. Con la coda dell'occhio, vide Dirk tremolare, ingobbirsi per resistere alla forza del fuoco, assorbirlo e rilanciarlo. Le fiamme colpirono in pieno il demone e catapultarono indietro il mostro. L'aria del prato divenne satura di vapore e di fumo. Meeks colpì ancora, e Edgewood Dirk respinse l'assalto. Il demone attaccò, e il gatto rilanciò il fuoco ancora una volta. Ben si alzò, si gettò a terra, si alzò di nuovo e si diresse barcollando verso il carnaio. Gli giunsero grida e richiami, e immagini fluttuarono nella foschia davanti ai suoi occhi annebbiati dalle lacrime. Tese le mani alla cieca per aggrapparsi a qualcosa, qualunque cosa, e alla fine si fermarono sul medaglione.
Un calore bianco gli bruciò il palmo delle mani. Per un attimo solo, gli sembrò di veder apparire il Paladino, un'immagine sbiadita in lontananza, una figura rivestita dall'armatura d'argento in sella al grande destriero bianco. Poi la visione sparì, una visione che in ogni caso era impossibile. Niente medaglione, niente Paladino, Ben lo sapeva. Si sentì la gola stretta e tossì, soffocando, mentre le fiamme del mago e del demone continuavano a bersagliare Edgewood Dirk e ad essere respinte. Fiori ed erba venivano inceneriti. Gli alberi tremavano e le foglie avvizzivano, il mondo intero sembrava in fiamme. E infine il prato stesso parve esplodere verso l'alto in un immenso, possente colpo di tosse, mentre fumo e fiamme prorompevano dappertutto. Ben si sentì scagliare verso il cielo come un frammento di legna da ardere, volando in un ammasso sgraziato di braccia e gambe, roteando come una trottola. "E' fatta" pensò un attimo prima di ricadere a terra. "Ecco come finisce tutto." Poi urtò contro qualcosa con violenza spaventosa e tutto si oscurò. CAPITOLO 18 La zampa del gatto Ben Holiday riprese i sensi in una radura della foresta ben ombreggiata, che profumava di muschio e di fiori selvatici. Gli uccelli cantavano sugli alberi, con un cinguettio vivace e allegro. Al centro della radura scorreva un ruscello alimentato dai boschi, fra i quali tornava a perdersi. C'era un silenzio che parlava di pace e di solitudine. Ben era disteso su un tratto erboso e guardava in alto verso una rete di rami disposti contro il cielo sereno. Tra le foglie filtrava un raggio di sole. Si raddrizzò con cautela, accorgendosi di avere i vestiti bruciacchiati e le mani e le braccia coperte di fuliggine. Dedicò un momento a controllarsi, in cerca di lesioni permanenti. Non ce n'erano, soltanto lividi e contusioni, ma aveva l'aria di essersi rotolato su un falò. -Si sente meglio, Alto Signore? Al suono della voce familiare si voltò e scoprì Edgewood Dirk accovacciato comodamente su una grande roccia muschiosa, con le zampe ben rannicchiate sotto il corpo. Il gatto socchiuse gli occhi con aria sonnolenta e sbadigliò. -Che cosa mi è successo?-chiese Ben, accorgendosi che quella non era la radura da cui era partito, quello non era il prato dove aveva perso i sensi.-Come sono arrivato qui? Dirk si alzò, si stirò e tornò ad accovacciarsi.-L'ho portata io. E' stata un'impresa, per la verità, ma sono diventato abbastanza bravo a utilizzare l'energia per trasportare oggetti inerti. Non mi è sembrato consigliabile lasciarla disteso in quella radura bruciata. -E gli altri? Che ne è di Willow e... -La silfide è insieme all'unicorno nero, immagino. Non so esattamente dove. I suoi compagni sono stati sparpagliati in tutte le direzioni. L'ultima esplosione li ha fatti volare in aria tutti. E' meglio non ricorrere a una magia del genere. Peccato che Meeks non riesca a capirlo. Ben si liberò da un residuo finale di stordimento e osservò il gatto.-Lui sapeva chi eri, non è vero?
-Sapeva che cosa ero. -Ah. E come mai Dirk? Il gatto sembrò riflettere sulla domanda.-Maghi e gatti prismatici si sono già incontrati in passato, Alto Signore. -E non da amici, presumo? -Di solito no. -Sembrava che avesse paura di te. -Ha paura di molte cose. -Non è solo, in questo. Che cosa gli è successo? -Ha perso interesse allo scontro ed è volato via sul suo demone domestico. E' andato a consultare i libri magici, direi. Crede di avere bisogno del loro potere. Poi tornerà alla carica. D'ora in poi vi darà una caccia senza quartiere, penso. E' meglio che si prepari. Ben si sentì agghiacciare. Pian piano si raddrizzò, sentendo tutte le giunture del corpo allentate.-Devo trovare gli altri-cominciò, tentando di superare con la riflessione il muro di paura e di disperazione che ben presto gli si parò davanti. -Dannazione! Come posso fare?-Si alzò in piedi, rallentò i movimenti, assalito dalle vertigini, e ricadde su un ginocchio. -Come posso aiutarli, d'altronde? Laggiù sarebbe stata la fine, se non fosse stato per te. Tutta questa faccenda mi è sfuggita completamente di mano. Non sono in condizioni migliori del giorno in cui Meeks mi ha scacciato dal castello. Non so ancora per quale motivo nessuno può riconoscermi. Non so ancora in che modo Meeks si è impadronito del medaglione. Non so ancora che cosa vuole dall'unicorno nero. Non so niente più di quanto sapessi prima su quello che sta succedendo! Dirk sbadigliò di nuovo.-Davvero? Ben non lo sentì.-Ti dirò una cosa, da solo non posso affrontare questo problema. Non ho mai potuto. Non serve a niente ingannare se stessi; ho bisogno di aiuto. Farò quello che avrei dovuto fare per prima cosa. Andrò fra le nebbie, medaglione o non medaglione, a trovare le fate. Farò quello che ho già fatto. Le troverò e chiederò loro una magia che mi permetta di tenere testa a Meeks. Mi hanno aiutato con la Strega del Crepuscolo, mi aiuteranno con Meeks. Devono. -Ah, ma questo non è vero-ribatté Dirk.-Le fate aiutano soltanto quando lo vogliono. Lei lo sa, mio caro Alto Signore. Lo ha sempre saputo. Non può pretendere il loro aiuto, può soltanto desiderarlo. La scelta fra dare o rifiutare spetta sempre a loro. -Non importa.-Ben scosse la testa con ostinazione.-Io vado nelle nebbie. Quando le troverò... -Se le troverà-lo interruppe Dirk. Ben esitò, poi arrossì.-Sarebbe piacevole ricevere un po' di incoraggiamento da te, tanto per cambiare! Che cosa ti fa pensare che non le troverò? Dirk lo fissò per un attimo, poi fiutò l'aria. Tutt'intorno, gli uccelli continuavano indifferenti a cantare.-Perché non vogliono che lei le trovi, Alto Signore-rispose infine il gatto. Sospirò.-Vede, loro hanno già trovato lei. Seguì un lungo istante di silenzio mentre Ben e il gatto si guardavano negli occhi. Ben si schiarì la gola.-Che cosa?
Dirk socchiuse gli occhi a metà.-Alto Signore, chi pensa che mi abbia mandato? Ben si sedette di nuovo lentamente, incrociò le gambe e si lasciò ricadere le mani in grembo.-Ti hanno mandato le fate?-Il gatto non disse niente.-Ma perché? Voglio dire, perché te, Dirk? -Vuol dire, perché un gatto? Perché non un cane? Oppure un leone o una tigre? O un altro Paladino, se è per quello? E' questo che intende?-La pelliccia di Dirk si arruffò sulla collottola e lungo l'arco della schiena.-Ebbene, un gatto è tutto ciò che le serve o che si merita, mio caro Alto Signore! Anzi, di più! Io sono stato mandato per risvegliare la sua coscienza, per indurla a pensare. Non sono stato mandato a fornirle la salvezza! Se vuole la salvezza, dovrà trovarsela da solo! Così è sempre stato e così sarà sempre! Si alzò, saltò giù dalla roccia e si avvicinò deliberatamente all'attonito Ben.-Sono stufo di menare il can per l'aia con lei. Le ho detto tutto quello che le serve di sapere per controbattere la magia che è stata usata contro di lei. Ho fatto di tutto, tranne farle sbattere il muso sulla realtà delle cose, e quello non posso farlo! E' proibito. Le fate non rivelano mai la verità alle creature mortali. Ma l'ho salvata durante il viaggio quando aveva bisogno di essere salvato, anche se non ne ha avuto bisogno tanto spesso quanto credeva. Ho vegliato su di lei e l'ho guidata quando ho potuto. Quel che è più importante, l'ho costretta a continuare a pensare, e questo a sua volta l'ha mantenuta in vita!-S'interruppe.-Bene, ormai è tutto finito. E' arrivato il momento di pensare con la sua testa. Ben scosse in fretta la testa.-Dirk, non so proprio... -Mi lasci finire!-scattò il gatto.-Quando mai voi esseri umani imparerete ad ascoltare i gatti?-Gli occhi verdi si socchiusero.-Le fate mi hanno mandato ad aiutarla, Alto Signore, ma hanno lasciato a me la scelta dei mezzi. Non mi hanno suggerito che cosa fare o dire. Non è così che si comportano le fate, e nemmeno i gatti! Facciamo come ci pare in ogni caso e viviamo la nostra vita come dobbiamo. Facciamo dei giochi perché è così che siamo fatti. Giochi da gatti o giochi da fate, è più o meno lo stesso. Il nostro, Alto Signore, è un mondo molto diverso dal vostro. Sollevò una zampa.-Mi ascolti bene, allora. Nessuno ha il diritto di ricevere le risposte ai problemi che lo turbano. Nessuno si vede servire la vita su un vassoio d'argento, gatto o re che sia! Se vuole conoscere la verità, deve trovarsela da solo. Se vuole capire che cosa la tormenta, ci arrivi da sé. Lei si crede immerso in dilemmi insolubili, si crede incapace di liberarsi. La sua identità non esiste più, il suo regno le è stato sottratto. I nemici l'attaccano, gli amici sono perduti. E' una catena di complicazioni in cui gli anelli sono uniti fra loro, Ben Holiday. Tagli un anello, e le catene si spezzeranno! Ma è lei che ha in mano le cesoie, non io, né nessun altro. E' quello che sto cercando di dirle fin dal primo giorno! Capisce? Ben si affrettò ad annuire.-Capisco. La zampa si abbassò di nuovo.-Lo spero. Ora lo ripeterò ancora una volta. La magia contro la quale lotta è una magia d'inganno, uno specchio che altera le verità riflesse e le fa diventare mezze verità e menzogne. Se riuscirà a vedere oltre lo specchio, sarà in grado di liberarsi. Se riuscirà a liberarsi, potrà aiutare i suoi amici. Ma è meglio che si dia da fare!
Si stirò, si voltò, si allontanò di alcuni passi e si voltò di nuovo. La radura nella foresta era ormai silenziosa; perfino gli uccelli sugli alberi tacevano. Il sole continuava a splendere dal cielo sopra di loro, proiettando le ombre punteggiate di foglie e rami sulla radura sottostante, illuminando Ben e Dirk a macchie e a strisce. -Il mago oscuro ha paura di lei, Ben Holiday-suggerì Dirk a bassa voce.-Sa che lei è vicino alle risposte che le servono per liberarsi, e tenterà di distruggerla prima che possa accadere. Io le ho dato i mezzi per trovare le risposte che lo sconfiggeranno. Usi quei mezzi. E' un uomo intelligente. E' un uomo che ha passato la vita a ordinare le vite altrui. Uomo di legge, uomo di potere, ordini la sua, adesso! Si spostò senza rumore verso il margine della radura, senza guardarsi indietro.-Mi è piaciuto il periodo che abbiamo passato insieme, Alto Signore-esclamò rivolto all'indietro. -Mi sono piaciuti i nostri viaggi. Ma per ora sono finiti. Ho altri luoghi dove andare e altri impegni da mantenere. Penserò a lei. E un giorno, forse, ci rivedremo. -Aspetta, Dirk!-lo chiamò Ben, alzandosi di scatto, lottando contro le vertigini che non lo lasciavano. -Io non aspetto mai, Alto Signore-ribatté il gatto, ormai quasi invisibile nell'ombra.Inoltre, non c'è altro che possa fare per lei. Ho fatto tutto quello che potevo. Buona fortuna. -Dirk! -Ricordi quello che le ho detto. E cerchi di ascoltare i gatti, ogni tanto, d'accordo? -Dirk, dannazione! -Arrivederci. E con quel saluto Edgewood Dirk si addentrò nella foresta e scomparve. Ben Holiday continuò a guardare a lungo nella direzione in cui era sparito il gatto, quasi aspettandosi che tornasse. Non tornò, naturalmente, proprio come lui sapeva dentro di sé fin dall'inizio. Era completamente solo per la prima volta da quando era stato scacciato da Sterling Silver, completamente solo e nella peggiore situazione della sua vita. Era privo di identità e di medaglione, e non aveva nessuna idea di come recuperare nessuno dei due. Edgewood Dirk, il suo protettore, lo aveva abbandonato. Willow era scomparsa con l'unicorno nero, continuando a crederlo lo sconosciuto che sembrava. I suoi amici erano sparsi chissà dove. Meeks era andato a consultare i libri di magia e sarebbe tornato fra poco per distruggerlo. E lui se ne stava lì, ad aspettare che accadesse. Era stordito. Gli sembrava di non riuscire a riflettere lucidamente. Tentò di ragionare, di pensare alla prossima mossa da fare, ma tutto sembrava confondersi, i problemi e le necessità lottavano per avere uguali attenzioni nei suoi pensieri. Si alzò con movimenti meccanici, gli occhi spenti, e si diresse verso la sponda del piccolo ruscello. Guardò ancora una volta nella direzione in cui era sparito Dirk, vide soltanto la foresta deserta e si girò di nuovo, assalito da un senso di inerte rassegnazione. S'inginocchiò vicino al ruscello e si spruzzò l'acqua sul viso fuligginoso, strofinandosi gli occhi. L'acqua era ghiacciata, e fu come una scossa per il suo organismo. Se ne spruzzò addosso ancora un po', rovesciandola sulla testa e sulle spalle, facendosi rianimare dal freddo.
Poi sedette sui talloni, con il viso grondante d'acqua e gli occhi sempre fissi sul ruscello. "Ragiona" ammonì se stesso. "Hai tutte le risposte. Dirk ha detto che hai tutte le risposte. Allora dove diavolo sono?" Resistette all'impulso quasi incontenibile di balzare in piedi e lanciarsi a testa bassa fra gli alberi. S'impose di restare calmo. In quel momento sarebbe stato più gratificante agire, avere la sensazione di fare qualcosa, qualunque cosa, piuttosto che restare con le mani in mano. Ma correre in giro senza costrutto non era ciò che richiedeva la situazione; richiedeva riflessione. Doveva sapere quello che faceva, doveva capire una volta per tutte che cosa era accaduto. Anelli di una catena, aveva detto Dirk. Tutti i suoi problemi erano anelli di una catena, tutti uniti fra loro. Tagliane uno, e la catena si spezzerà. Okay, avrebbe fatto così. Avrebbe tagliato quell'anello. Ma quale anello doveva tagliare? Guardò le acque del ruscello, fissando la sua immagine riflessa che tremolava. Una versione distorta del viso di Ben Holiday ricambiò il suo sguardo. Ma era lui, non qualcun altro, non lo sconosciuto che vedevano tutti. Che cos'era che induceva gli altri a vederlo in modo diverso? Una maschera, aveva detto Dirk, e lui stava per scomparire sotto di essa. Si guardò a lungo, poi alzò di nuovo gli occhi, concentrandoli a caso su un gruppetto di fiori selvatici a qualche metro di distanza, guardandoli senza vedere niente. Una magia d'inganno, aveva detto Dirk. Di chi era la magia? Di chi l'inganno? Suo, aveva detto il Signore del Fiume. Si era offerto di aiutarlo, anzi aveva tentato, ma alla fin fine non aveva potuto. La magia in atto era una magia operata da Ben stesso, aveva detto il Signore del Fiume, e soltanto lui poteva spezzarne la morsa. Ma quale magia aveva usato? Tentò di arrivarci col pensiero, ma non ci riuscì. Non gli veniva in mente niente. Si sedette di nuovo sui talloni vicino al ruscello, s'ingobbì fra le ombre della radura fra i monti e lasciò vagare la mente per un attimo. Tutto risaliva a quella notte nella sua camera da letto a Sterling Silver, quando Meeks gli era apparso davanti sbucando dal nulla. Era stato allora che tutto era andato storto e lui aveva perduto il medaglione. Qualcosa strideva nel ricordo, e lui vi si aggrappò futilmente. Aveva perduto il medaglione, aveva perduto la propria identità, aveva perduto la magia, aveva perduto il regno. Una catena di anelli che doveva essere spezzata, pensò. Ricordò lo choc nello scoprire la scomparsa del medaglione. Ricordò la paura. Lo colpì un'idea improvvisa, e un ricordo si ridestò nella sua memoria. Una volta le fate gli avevano detto qualcosa sulla paura. Era stata l'unica volta che gli avevano parlato, ormai molto tempo prima, quando si era addentrato fra le nebbie in cerca della Polvere IO, quando era venuto per la prima volta a Landover ed era stato costretto a lottare per far riconoscere il suo diritto al trono, proprio come stava lottando adesso. Che cos'avevano detto? "La paura indossa molti travestimenti. Devi imparare a riconoscerti, la prossima volta che verrànno a cercarti." Si accigliò. Travestimenti? Maschere? Non c'era molta differenza, rifletté. Si era domandato che cosa significassero quelle parole. Si sorprese a domandarselo di
nuovo in quel momento. All'epoca, aveva pensato che si riferissero al duello imminente con il Marchio di Ferro. E se invece si fossero riferite a quello che gli stava accadendo adesso, alla paura che provava per la perdita del medaglione? Le fate potevano avere previsto quella perdita tanto tempo prima? Oppure l'avvertimento era semplicemente generico, semplicemente... Riguardava la magia di quella terra? Con imbarazzo, frugò sotto la tunica e tirò fuori il medaglione che portava adesso, il medaglione che gli aveva dato Meeks, con il viso duro del mago inciso sulla faccia. Era cominciato tutto li... le domande, i misteri, un susseguirsi confuso di eventi che lo avevano strappato a tutto ciò che aveva di sano per trascinarlo in quel pantano di paura e di dubbio. Com'era potuto accadere, si chiese almeno per la centesima volta? Come poteva avere perduto il medaglione senza saperlo? Come aveva fatto Meeks a togliergli il medaglione, se soltanto lui poteva sfilarselo? Non aveva senso! E anche ammesso che se lo fosse tolto, come mai non riusciva a ricordare di averlo fatto? A meno che non fosse una menzogna! Provò una sensazione improvvisa di vuoto alla bocca dello stomaco. Oh, Dio! A meno che non lo portasse ancora! Qualcosa aveva spinto la sua riflessione un passo più avanti di quanto fosse mai arrivata prima. Gli pareva quasi di vedere le cesoie all'opera sulle catene. Autoinganno, aveva detto Dirk. Magia di sua fattura, aveva detto il Signore del Fiume. Dannazione! Sentì il respiro uscirgli dai polmoni a brevi scatti irregolari per l'eccitazione sentì il cuore martellargli il petto. Era sensato. Era l'unica risposta sensata. Meeks non poteva togliergli il medaglione a meno che non se lo togliesse da solo, ma lui non riusciva a ricordare di averlo fatto, e la ragione per cui non riusciva a ricordarlo era che non se lo era mai tolto! Meeks glielo aveva fatto semplicemente credere. Ma come? Tentò di costruire il ragionamento un passo alla volta. Le mani gli tremavano dall'eccitazione e il medaglione girava freneticamente nella loro stretta. Lui portava ancora il medaglione di Alto Signore di Landover, solo che non se n'era reso conto. Era possibile? La sua mente si spinse in avanti, esplorando le possibilità, parlandogli con voce rapida, incalzante. Portava ancora il medaglione! Meeks lo aveva semplicemente camuffato in qualche modo, facendogli credere che non fosse il medaglione autentico, ma solo un sostituto. Quello avrebbe spiegato per quale motivo Meeks non lo aveva semplicemente eliminato nella sua camera da letto. Meeks aveva paura che potesse ancora apparire il Paladino, che il travestimento fosse troppo nuovo, forse troppo fragile. Ecco perché il mago lo aveva lasciato andare dopo avergli lanciato quello strano avvertimento di non togliersi il medaglione surrogato. Si era aspettato che prima o poi Ben mettesse in discussione quell'avvertimento. Aveva sperato che Ben si togliesse il medaglione e lo gettasse via, credendo di liberarsi. Allora Meeks avrebbe avuto il medaglione per sempre! Gli girava la testa. La lingua, pensò all'improvviso. Come avrebbe potuto comunicare ancora nella lingua di Landover se non avesse portato il medaglione? Questor gli
aveva spiegato molto tempo prima che solo grazie al medaglione poteva comprendere la lingua del paese, scriverla e parlarla! Come mai non ci aveva pensato prima? E Questor... Questor si era sempre chiesto come avesse fatto Meeks a riprendersi il medaglione dai candidati al regno che avevano fallito e rifiutavano di restituirlo volontàriamente. Doveva aver fatto qualcosa del genere! Doveva averli indotti con l'inganno a levarselo, convinti di averlo già perduto. Mio Dio! Poteva essere così? Trasse un respiro profondo per calmarsi. Poteva essere andata diversamente? Arrivò subito a una risposta negativa. Era l'unica spiegazione plausibile. Il demone alato non aveva rinunciato all'attacco alle ninfe del Signore del Fiume, a Elderew, a causa di Dirk: era volato via perché aveva visto il medaglione stretto fra le mani di Ben e aveva avuto paura del suo potere. Il demone aveva capito la verità quando Ben non poteva farlo. La magia aveva mascherato la verità agli occhi di Ben, la magia usata da Meeks quella notte nella sua camera una magia antica, pensò Ben all'improvviso. Era quello che la Strega del Crepuscolo aveva detto a Strabo. Ecco perché soltanto la strega e il drago erano in grado di riconoscerlo! Ma in quale modo operava la magia? Che cosa era necessario per spezzare l'incantesimo? Era stata la stessa magia a cambiare la sua identità? Le domande si accavallavano l'una all'altra nello sforzo di trovare una risposta. Inganno: ecco la parola chiave, la parola che Dirk aveva usato più volte. Meeks doveva aver usato la magia per ingannare Ben, facendogli credere che il medaglione che portava non fosse il suo. E Ben aveva creduto che quell'inganno fosse la verità. Aveva lasciato che l'inganno diventasse suo. Dannazione! Si era costruito da solo la propria prigione. Meeks doveva avergli fatto sognare che aveva rinunciato al medaglione, e lui si era convinto che fosse vero. In tal caso, non doveva essere in grado semplicemente di... Non riuscì a completare il pensiero. Aveva paura di completarlo, paura di poter sbagliare. Trasse un altro respiro profondo. Non aveva importanza completarlo. Quel che contava era soltanto metterlo alla prova. Doveva metterlo alla prova per averne la certezza. Abbassò di nuovo lo sguardo sul ruscello, guardando il suo viso tremolare e cambiare a ogni movimento dell'acqua. La sua maschera, pensò... non per lui, ma per chiunque altro. Si fece forza, poi tenne il medaglione davanti a sé, con le mani strette sulla catena, mentre il ritratto di Meeks dondolava e roteava lentamente, riflettendo la luce del sole in piccoli bagliori di argento opaco. Rallentò deliberatamente il respiro, il battito del cuore e il tempo stesso. Concentrò lo sguardo sull'immagine brunita, osservando il lento movimento circolare, continuando a osservarlo finché il medaglione fu quasi perfettamente immobile. Respinse dalla mente l'immagine che vedeva e la sostituì attingendo dalla memoria il ricordo del Paladino che cavalcava incontro al sole nascente, uscendo dai cancelli di Sterling Silver. Guardò al di là della patina scura e del logorio e dell'argento levigato che aveva davanti. S'immerse tutto nella sua visione. "Ricorda, quello che vedi è tutta una finzione" disse a se stesso. "Solo una finzione."
Ma non accadde nulla. Il medaglione davanti a lui continuava a riflettere l'immagine di Meeks. Lottò per dominare un rinnovato assalto di panico e s'impose di restare calmo. C'era bisogno ancora di qualche cosa. Di qualche altra cosa. La sua mente vagliava, considerando e scartando le possibilità. Continuò a tenere gli occhi fissi sul medaglione. La foresta sui monti era ancora intorno a lui, in un silenzio assoluto, a parte i brevi intervalli di canto degli uccelli e il fruscio del vento tra le foglie. Aveva ragione, sapeva di avere ragione. Bastava spezzare il primo anello, e gli altri lo avrebbero seguito. La catena si sarebbe spezzata, lui sarebbe ridiventato se stesso, il potere del Paladino sarebbe tornato e la sua magia sarebbe stata libera. Doveva solo trovare la chiave. Si fermò a metà del pensiero. Lentamente, le sue dita si spostarono lungo la catena fino al medaglione stesso. Carezzarono leggermente la superficie brunita, poi strinsero il medaglione fra le palme. Gli trasmetteva una sensazione repellente, ma del resto era stato Meeks a volere così. Le sue mani si chiusero. Tenne il medaglione, lo strinse con forza, sentì la sua superficie, l'immagine incisa, e immaginò non Meeks, ma il Paladino che usciva a cavallo da Sterling Silver, andando incontro al sole nascente, incontro a lui. Qualcosa cominciò ad accadere. Il medaglione divenne caldo al tatto, e ci fu un cambiamento appena percettibile nella sensazione che trasmetteva. Lo strinse più forte, tenendo in cima ai suoi pensieri l'immagine che vi sapeva nascosta. Chiuse gli occhi. L'immagine era un raggio bianco che divenne la sua unica luce. Il medaglione scottava, ma lui mantenne la presa. Poteva sentire un lieve spostamento nella superficie, come se qualcosa si staccasse, come se una pelle si sollevasse. Si! Il calore bruciante continuò, poi divampò intenso, si estese a tutto il suo corpo, s'innalzò e si dissolse nell'aria. Tornò la frescura. Ben aprì pian piano gli occhi, poi le dita. Guardò il medaglione che era annidato nel suo palmo. Era lucente e senza patina. Poteva vedersi riflesso nella sua superficie. Aveva davanti agli occhi l'immagine scintillante del Paladino. Si concesse un sorriso larghissimo, quasi ebete. Aveva avuto ragione, dopo tutto. Il medaglione era sempre stato suo. La catena che lo aveva tenuto avvinto era spezzata! CAPITOLO 19 La rivelazione Willow si agitò, tornando in sé mentre usciva lentamente e pigramente fuori del torpore. Il sole era caldo sulla sua pelle, e l'erba alta le solleticava il viso. Batté le palpebre, socchiuse gli occhi nella luce improvvisa, e lasciò che si chiudessero di nuovo. Aveva sognato... oppure no? Aveva volato su una nuvola, cavalcando correnti d'aria che la sferzavano e la spingevano e la trascinavano per tutto il mondo come se fosse un uccello in volo. Batté di nuovo le palpebre, avvertendo la pressione del terreno contro il dorso. Si era sentità così libera. Poi la sensazione di fluttuare la lasciò, e un ritorno improvviso della memoria la svegliò del tutto in modo brusco. Si mise seduta con un sussulto. Non era stato un sogno. C'era stata soltanto la realtà del suo volo con Meeks, con il demone alato, con gli altri...
Il suo corpo fu squassato da un brivido improvviso. Si costrinse a riaprire gli occhi, tenendoli socchiusi per difendersi dal sole. Era seduta in un'ampia radura in un bosco di faggi e pini radi, quasi all'ombra di Mirwouk. Le mura dell'antica fortezza si stagliavano alle sue spalle, una massa alta e irregolare sullo sfondo del cielo pomeridiano. Il pendio che si stendeva ai suoi piedi era punteggiato di fiori, il cui profumo riempiva l'aria umida e immobile. Tutte le montagne intorno a lei erano stranamente silenziose. Spostò lo sguardo. A poco più di tre metri da lei, l'unicorno nero la fissava, con le briglie di fili d'oro ancora fissate intorno alla testa snella. -Ti ho cavalcato-sussurrò lei con voce quasi impercettibile. Il ricordo era un caos di immagini e di sensazioni che la sommersero come un getto di acqua ghiacciata e la sconvolsero con la loro intensità. Si era resa conto appena di quello che faceva quando era saltata sul dorso dell'unicorno, terrorizzata da ciò che accadeva intorno a lei, tentando freneticamente di sfuggire all'orrore della scena. Niente era ciò che sembrava, né Ben, né lo sconosciuto che sosteneva di essere Ben, né quel gatto, niente. Tutt'intorno non c'era altro che fuoco e distruzione... quanto odio! Aveva pensato soltanto a fuggire e qualcosa nel contatto del corpo dell'unicorno contro il suo, mentre le passava accanto, l'aveva attirata. Le mani sulle briglie d'oro, le dita intrecciate alla criniera, sul corpo liscio e intorno al collo snello, il viso stesso premuto contro... Le immagini si formavano e svanivano, sensazioni più che quadri, un soffio di desiderio e di volontà. Riprese fiato con un lieve ansito. Aveva montato l'unicorno nero senza riflettere, e il suo volo - perché di quello si era trattato in realtà - era stato magico. Non aveva provato nessuna sensazione di spazio o di tempo; c'era stata soltanto una intensa sensazione di esistenza. L'unicorno aveva fatto ben altro che allontanarla dal prato. L'unicorno l'aveva allontanata da se stessa, portandola in fondo al proprio essere per farle vedere appieno chi e che cosa era, e poteva essere, finché quel pensiero l'aveva lasciata stordita e piena di meraviglia. L'unicorno le aveva mostrato una trama e un significato della vita che lei non avrebbe mai ritenuto possibili. Era bastato il suo contatto; non c'era stato bisogno di altro. Le vennero le lacrime agli occhi nel ricordare quello che aveva provato. Le immagini ormai erano stranamente annebbiate, ma le emozioni che aveva provato restavano chiare e intense. Com'era stato splendido! Si asciugò le lacrime e lasciò che il suo sguardo incontrasse quello dell'unicorno. Era ancora posato su di lei. Non fuggì come avrebbe potuto fare, come forse avrebbe dovuto. Aspettava semplicemente. Ma che cosa aspettava? Che cosa voleva da lei? Si sentì sommergere dalla confusione. La verità era che non lo sapeva. Fissò gli occhi di smeraldo dell'unicorno nero e desiderò che la creatura fatata potesse dirglielo. Lei doveva sapere. Eccolo lì, quell'essere fiabesco, che attendeva quasi rassegnato mentre lei meditava, aspettando ancora una volta lei... e lei non aveva idea di quello che doveva fare. Si sentì impotente e spaventata. Si sentì stupida. Ma sapeva di non potersi permettere simili sensazioni, e le respinse dalla mente con violenza. Forse Meeks li braccava ancora, probabilmente era così. Quel gatto,
qualunque fosse la sua natura, non avrebbe trattenuto il mago a lungo. Meeks avrebbe dato la caccia a lei, all'unicorno, a tutti e due. Voleva l'unicorno nero, su quel punto lo sconosciuto aveva ragione. Ciò significava che forse lo sconosciuto aveva ragione anche a proposito dei sogni. E questo, a sua volta, significava che lo sconosciuto poteva essere davvero Ben. Una fitta di disperata nostalgia le corse per il corpo, ma lei la respinse subito. Non c'era tempo di pensarci, in quel momento. L'unicorno nero correva un pericolo immediato, e lei doveva fare qualcosa per aiutarlo. Era chiaro che attendeva lei, dipendeva da lei, e si aspettava qualcosa da lei. Doveva scoprire che cosa. C'era una sola via, lo capì d'istinto. Avrebbe dovuto toccare l'unicorno, esporsi alla sua magia. Avrebbe dovuto aprirsi alla sua visione. Respirò a fondo, lentamente, tentando di calmarsi. Il terrore improvviso che provò le diede la nausea. Si proponeva l'inconcepibile. Nessuno poteva toccare l'unicorno e restare se stesso. Nessuno. Oh, sì, lei aveva già toccato la creatura magica, uno sfioramento contro il suo corpo mentre metteva a posto le briglie d'oro e una stretta mentre lo cavalcava per mettersi in salvo lontano da quel prato. Ma entrambe le volte lei era stata appena cosciente di quello che faceva; era stato tutto come un breve sogno prodigioso che poteva non essere mai accaduto. Quello che intendeva fare adesso era del tutto diverso, voluto e deliberato, e avrebbe messo a repentaglio la sua stessa esistenza. Le leggende erano concordi. Gli unicorni appartenevano solo a se stessi, bastava toccarne uno e si era perduti. Tuttavia lo avrebbe fatto ugualmente. La decisione era già presa. L'unicorno nero era più di una leggenda uscita da una favola di mille anni prima, più di un sogno che l'aveva attirata, anche più della realtà del suo essere fisico. Era un desiderio insopprimibile che era parte integrante e innegabile di lei, un mistero che doveva risolvere. Gli occhi di smeraldo della creatura riflettevano i suoi impulsi più segreti. Non poteva tenere nascosto niente di sé, e il suo stesso corpo la tradiva, rivelando che il suo bisogno dell'unicorno era una forza irresistibile. In lei ardeva un desiderio che superava qualsiasi altro avesse mai conosciuto. I pericoli che l'unicorno poteva porre, immaginari o reali, impallidivano di fronte a un tale desiderio. Lei doveva risolvere l'enigma, a ogni costo. Doveva conoscere la verità. Divenne di fuoco e di ghiaccio e si sentì leggera come una piuma, mentre si alzava e avanzava. Tremava, mentre orrore e aspettativa si mescolavano in lei in ugual misura, respingendo ogni razionalità e lasciando soltanto il desiderio. "Oh, Ben" pensò disperata. "Perché non sei qui?" L'unicorno nero aspettava paziente, una statua di ebano nell'ombra punteggiata dal sole, gli occhi fissi in quelli di Willow. La silfide provava la curiosa sensazione che si rispecchiasse in lei sempre, e nello stesso tempo mai, come se fosse il suo desiderio più gelosamente custodito, proiettato all'esterno dalla sua mente. -Devo sapere-sussurrò all'unicorno mentre si fermava finalmente vicino a lui. Lentamente, le sue mani si sollevarono. Il prato, un tempo erboso e costellato di fiori selvatici, era distrutto, un tratto carbonizzato e fumante di terreno sterile in mezzo agli alberi della foresta. Questor Thews era fermo sull'orlo e scrutava inutilmente nella foschia. Era coperto di polvere
e di cenere, la figura alta e curva ancor più miserabile che mai, con le vesti grigie e i nastri di seta colorata bruciacchiati e strappati, gli stivali di pelle da arlecchino graffiati e macchiati. Quell'ultimo scontro di magie fra Meeks, il demone ed Edgewood Dirk lo aveva fatto volare in aria. Era rimasto senza fiato e si era ritrovato appollaiato in equilibrio piuttosto precario sui rami di un antico acero rosso, oggetto di grande divertimento per gli scoiattoli e gli uccelli che avevano lì il loro nido. Abernathy, i coboldi e gli gnomi non si vedevano da nessuna parte. Ben Holiday, Willow e l'unicorno nero erano scomparsi. Questor era sceso dall'acero per andare a cercarli, ma non aveva trovato nessuno. Ora i suoi vagabondaggi lo avevano riportato nel punto in cui li aveva visti per l'ultima volta. E pareva che non ci fosse nessuno neppure lì. Sospirò profondamente, con il viso da gufo segnato dalla preoccupazione. Avrebbe voluto saperne di più su quello che stava accadendo. Ormai accettava che lo sconosciuto che sosteneva di essere Ben Holiday fosse davvero chi diceva di essere; l'uomo che aveva l'aspetto di Ben Holiday era in effetti Meeks. I sogni che Willow, Ben e lui stesso avevano fatto erano in realtà una creazione del suo fratellastro, e facevano tutti parte di un piano più vasto per ottenere il controllo di Landover e della magia. Ma ammettere tutto ciò non gli procurava nessun vantaggio. Non sapeva ancora che cosa c'entrasse l'unicorno e non capiva quale piano Meeks stesse cercando di realizzare. Peggio ancora, non aveva la minima idea su come scoprire tutto questo. Si sfregò il mento barbuto e sospirò di nuovo. Doveva esistere un modo, naturalmente. Lui doveva solo trovarlo. -Hmmmmm-mugolò pensieroso, ma i suoi pensieri non approdarono a nessun risultato. Scrollò le spalle. Bene, non c'era niente da guadagnare a restare da quelle parti Fece per allontanarsi e si trovò faccia a faccia con Meeks. Il fratellastro era tornato al suo aspetto normale, una figura alta e angolosa con i capelli bianchi arruffati e gli occhi duri, spenti. La lunga veste blu scuro gli avvolgeva il corpo come un sudario. Era fermo a meno di quattro metri da lui, appena un passo o due fra gli alberi ai bordi della radura. La mano guantata di nero dell'unico braccio stringeva al petto i libri di magia scomparsi. Questor Thews si sentì una stretta allo stomaco. -Ho aspettato a lungo questo momento-sussurrò Meeks. -Sono stato molto paziente. Decine di pensieri casuali si affollarono alla mente di Questor e si dissolsero, lasciandone uno solo.-Non ho paura di te-disse con calma. Il viso del fratellastro era indecifrabile.-Dovresti averne, Questor. Ora ti credi un mago, ma sei ancora un apprendista. Non sarai mai niente di più. Io possiedo un potere di cui non hai mai nemmeno sognato l'esistenza! Ho i mezzi per fare qualunque cosa! -Tranne catturare l'unicorno nero, a quanto pare-ribatté spavaldo Questor. Gli occhi spenti arsero per un attimo di collera.-Voi non capite niente... tu, Holiday, nessuno. Fate un gioco che non potete vincere e lo giocate male. Rappresentate una seccatura da eliminare.-Il viso pallido e rugoso era una maschera di morte.-Ho subito
l'esilio e la rovina dei miei piani... il tutto provocato da te e da questo re-fantoccio... e nessuno dei due capisce ancora che cosa avete fatto. Siete patetici! La veste scura sembrò torcersi nel punto in cui pendeva vuota la manica sinistra.-Il tuo tempo in questo mondo e in questa vita sta per finire, fratellastro. Sei solo. Quel gatto prismatico non mi minaccia più, Holiday è inerme e abbandonato, la silfide e l'unicorno nero non hanno più un posto dove fuggire. Gli altri tuoi amici sono già miei, tutti tranne il cane, e il cane non ha nessun peso. Questor si sentì sprofondare. Gli altri erano prigionieri.. tutti tranne Abernathy? Ora Meeks sorrideva, un sorriso freddo e vuoto.-Tu eri l'ultima minaccia possibile per me, Questor. E ora sei in mano mia. Questor s'irrigidì, mentre l'ira respingeva la paura.-Non mi hai ancora! E non mi avrai mai! La risata dell'altro fu silenziosa.-Davvero? Inclinò leggermente la testa, e dozzine di ombre scivolarono tutt'intorno a lui uscendo dagli alberi. Le ombre si materializzarono alla luce in piccoli bambini deformi con le orecchie appuntite, i volti avvizziti e i corpi coperti di scaglie. Grugni suini annusarono l'aria della foresta e lingue di serpenti saettarono tra file di denti aguzzi. -I demoni di Abaddon!-esclamò Questor piano. -Un po' troppi perché tu possa fare qualcosa in proposito non ti pare?-Le parole del fratellastro gli giunsero sibilanti cariche di evidente piacere.-Non intendo sprecare il mio tempo con te, Questor. Preferisco lasciarti a loro. I demonietti avevano circondato completamente Questor con gli occhi luccicanti e le lingue ansiose che si leccavano il grugno. Meeks aveva ragione, erano troppi. Ciò nonostante non indietreggiò. Non aveva senso tentare di fuggire. L'unica speranza era coglierli di sorpresa. Erano arrivati a cinque o sei metri da lui, un circolo stretto di piccole facce orribili dai denti aguzzi, quando Questor girò di scatto su se stesso, facendo turbinare le mani, e li fece volare tutti via con un turbine magico. Fumo e vapore scaturirono dal nulla, scagliandoli lontano, e Questor cominciò a ritirarsi disperatamente fra le ombre protettrici della foresta, scavalcando i demonietti che si dibattevano, momentaneamente accecati, come se fossero pozzanghere. Era inseguito da strilli di rabbia. I demoni si rialzarono e si lanciarono all'inseguimento quasi subito. Lui si voltò per affrontarli. Scatenò ancora una volta un'esplosione magica in mezzo a loro, e si dispersero di nuovo. Ma erano tanti! Lo assalivano da ogni parte, vociando e squittendo, aggrappandosi alle sue vesti. Tentò di difendersi, ma era troppo tardi. Erano tutt'intorno a lui e lo trascinavano, inchiodandogli le braccia ai lati del corpo. Lui vacillò sotto il loro peso e cadde. Mani munite di artigli lo afferrarono per i vestiti, poi lo presero alla gola. Lui cominciò a soffocare, non riuscendo a respirare. Lottò coraggiosamente, ma erano in troppi a tenerlo. Lampi di luce gli danzarono davanti agli occhi. Attraverso il groviglio dei demoni scorse solo per un attimo Meeks, che lo sovrastava sorridendo, prima che la vista gli si oscurasse.
Le mani di Willow erano a un palmo dalla delicata testa di ebano dell'unicorno nero, quando lei udì un lieve fruscio di foglie e sterpi, il suono di qualcuno che si avvicinava fra gli alberi. Si scostò di scatto dall'unicorno, sorpresa, diffidente. Un attimo dopo, una testa coperta di pelo ruvido sbucò dal fogliame e scrutò attentamente in giro attraverso occhiali da vista tenuti in parte di traverso da un velo di rami di pino rimastovi impigliato. Era Abernathy. -Willow, sei tu?-chiese lo scrivano incredulo. Scostò i rami rimanenti e avanzò nella radura. I suoi abiti meticolosi erano a brandelli, con la tunica quasi tutta strappata. Gli stivali erano scomparsi. Il pelo era tutto bruciacchiato e il muso sembrava fosse stato immerso in un secchio di cenere. Ansimava affannosamente, e si leccava il naso con la lingua. -Ho avuto giorni migliori, voglio che tu lo sappia-dichiarò.-Forse ne ho visti anche di peggiori, ma non riesco a ricordarmene. Prima vago per tutto il creato in cerca di te e di questo... di questo animale, il cielo sa per quale ragione, perché io davvero non lo so. Poi troviamo non solo te e lui, ma anche Meeks e il demone, poi compare il gatto e c'è un inutile scambio di magie che rischia di appiccare il fuoco a un'intera sezione della foresta, e infine siamo sparpagliati tutti ai quattro venti e nessuno riesce a trovare gli altri! Ingollò una boccata d'aria, emise un lungo sospiro e si guardò attorno.-Hai visto qualcuno degli altri? Willow scosse la testa, turbata.-No, nessuno.-I suoi pensieri erano per l'unicorno, per il bisogno che la consumava, per il desiderio di allungare la mano e di toccare... -Che cosa ci fai qui?-chiese d'un tratto Abernathy, facendola trasalire con il suono della sua voce. Lo scrivano vide la sua costernazione.-C'è qualcosa che non va, Willow? Che cosa fai con l'unicorno? Sai com'è pericolosa quella creatura. Vieni via, adesso. Avvicinati e lasciati guardare. L'Alto Signore vorrà... -Lo hai visto?-chiese lei bruscamente, sentendo il nome di Ben come un'ancora di salvezza alla quale aggrapparsi. -E' vicino? Abernathy si rimise a posto gli occhiali.-No, Willow, non l'ho visto. Si è perduto come tutti noi.-Fece una pausa. -Stai bene? L'ancora di salvezza scomparve. Lei annuì senza parlare. Sentiva il calore del sole pomeridiano, la calura del giorno e l'afa dell'aria. Era in una prigione che minacciava di seppellirla. Il suono degli uccelli e degli insetti svanì nel silenzio, la presenza di Abernathy perse significato e il desiderio dell'unicorno nero la consumò di nuovo. Volse le spalle allo scrivano e tese di nuovo la mano verso la bestia. -Aspetta!-gridò quasi Abernathy.-Che cosa stai facendo, ragazza? Non toccare quella creatura! Non ti rendi conto di quello che ti accadrà? -Stai lontano da me, Abernathy-rispose lei a bassa voce, tuttavia esitò. -Sei pazza come tutti loro?-scattò infuriato il cane. -Sono impazziti tutti? Non c'è nessuno, tranne me, che capisca quello che sta accadendo? I sogni sono una menzogna, Willow! Meeks ci ha portati in questo posto, ci ha indotti con l'inganno a servire ai suoi interessi e ci ha resi tutti idioti! Quell'unicorno probabilmente è un
essere che appartiene a lui. Non puoi sapere quale potrebbe essere lo scopo. Non toccarlo! Lei lanciò una rapida occhiata al cane.-Devo farlo. Ne ho bisogno. Abernathy scattò in avanti, vide lo sguardo ammonitore negli occhi verdi della silfide e si affrettò a fermarsi.-Willow, non farlo! Tu conosci le storie, le leggende!-La sua voce si ridusse a un bisbiglio.-Sarai perduta, ragazza! Lei lo fissò in silenzio per un lungo istante, poi sorrise. -Ma è esattamente questo il punto, Abernathy. Sono già perduta. Le sue mani si sollevarono in fretta e si strinsero intorno al collo dell'unicorno nero. Fu come se la investisse un fuoco freddo. Il fuoco bruciava propagandosi dalle mani alle braccia e in tutto il corpo. Lei s'irrigidì per resistere a quella sensazione e rabbrividì con violenza. Piegò di scatto la testa all'indietro e ansimò in cerca d'aria. Udì Abernathy gridare freneticamente alle sue spalle e poi perse coscienza di lui. Era lì, ma non più visibile per lei. Ormai Willow non vedeva altro che il muso dell'unicorno, una forma disincarnata in uno spazio abissale. Il fuoco la consumava, si mescolava al suo desiderio e lo trasformava in una passione irrefrenabile. Stava perdendo il controllo di sé, cominciando a frantumarsi. Un attimo ancora, e il mondo avrebbe cessato di esistere. Tentò di staccare le mani dal collo della creatura fatata e scoprì di non riuscirci. Era unita all'unicorno. Era tutt'uno con lui. Poi il corno tortile cominciò a splendere per magia di un bagliore bianco, e un caos di immagini irruppe nella sua mente. Vi era un luogo di gelo vuoto. Vi erano catene e fuoco, arazzi bianchi sui quali unicorni balzavano e spiccavano salti, maghi vestiti di scuro e incantesimi lanciati in successione interminabile. Vi erano Meeks, Ben e il Paladino. E infine vi fu un grido carico di tale terrore e desiderio da infrangere le immagini come se fossero fatte di vetro. Liberami! Il dolore di quel grido fu intollerabile per lei. Urlò e l'urlo la fece scattare all'indietro, staccandola finalmente dall'unicorno. Inciampò e quasi cadde... sarebbe caduta, se le braccia di Abernathy non l'avessero circondata subito per sorreggerla. -Ho visto!gemette, e non riuscì a dire altro. Ma il suono del suo grido echeggiava ancora fra gli alberi. CAPITOLO 20 Il combattimento Il grido raggiunse Ben Holiday mentre era inginocchiato da solo nella foresta vicino al minuscolo ruscello, restituito finalmente a se stesso, con il medaglione di Alto Signore di Landover ridiventato uno scintillante prodigio d'argento che cullava delicatamente fra le mani chiuse a coppa, quasi con incredulità. Il grido si levò dagli alberi, un sottile, acuto gemito di angoscia e di paura, e indugiò come il sibilo del vento attraverso i burroni di un canyon nell'aria silenziosa e ferma della montagna. Ben alzò la testa di scatto, tendendo il collo. Quel grido era inconfondibile. Era di Willow.
Balzò in piedi, chiudendo le mani sul medaglione in un gesto possessivo, frugando con gli occhi fra le ombre della foresta come se quello che minacciava la silfide potesse trovarsi là ad attendere anche lui. Si sentì invadere da un misto di paura e di orrore. Che cos'era stato fatto a Willow? Si mosse, si fermò, si girò disperato, e si rese conto di non riuscire a riconoscere la direzione del grido. Gli era sembrato che provenisse da tutte le parti nello stesso tempo. Dannazione! Sicuramente Meeks lo aveva sentito come lui, Meeks e quel demone alato. Forse Meeks aveva già... Stringeva il medaglione con tanta forza che gli segava il palmo delle mani. Willow! Nella sua mente sbocciò una visione della silfide, una creatura fragile e bellissima la cui vita era affidata a lui. Ricordò ancora una volta le parole della Madre Terra che lo investivano della responsabilità di badare che lei restasse sana e salva, e la sua promessa di farlo. Le emozioni lo lacerarono e lo lasciarono scosso e frenetico . Verità alle quali non aveva ancora prestato attenzione gli flagellarono l'anima. Le verità si riducevano tutte a una sola. Amava Willow. Provò un impeto caldo di sorpresa e di sollievo esultante. Per tutto quel tempo aveva rinnegato i propri sentimenti, incapace di venire a patti con essi. Aveva voluto che più nessuno gli fosse vicino dopo Annie, la moglie morta. L'amore portava con sé la responsabilità e la possibilità del dolore e della perdita. Lui non ne aveva voluto sapere, ma i sentimenti erano rimasti, come sempre accade, perché non erano mai stati suoi, fin dall'inizio. La realtà della loro esistenza gli era stata rivelata quella prima notte laggiù nel deserto a oriente, dopo la fuga da Strabo e dalla Strega del Crepuscolo, rivelata in sogno da un dialogo con Edgewood Dirk sulla ragione dell'urgenza della sua caccia a Willow. "Perché corre tanto? Perché deve affrettarsi tanto? Perché deve trovare Willow?" gli aveva chiesto Dirk. "Perché l'amo" aveva risposto lui. Ed era vero... fino a quel momento non si era concesso di pensarci, di rifletterci e di considerare che cosa significava. Ora gli bastarono pochi secondi per farlo. I pensieri, i ragionamenti e le riflessioni passarono tutti insieme nella sua mente in una frazione di tempo appena percettibile. Fu come se tutto ciò che aveva richiesto tanto tempo per arrivare alla soluzione fosse compresso in un solo istante. Ma quell'istante fu sufficiente. Ben non esitò. C'era stato un tempo in cui lo avrebbe fatto, un tempo che ora sembrava lontano mille anni. Lasciò andare il medaglione con l'immagine incisa in argento e se lo fece ricadere sul petto, mentre il sole proiettava schegge di luce nella foresta punteggiata di ombre. Chiamò a sé il Paladino. Una luce apparve e s'intensificò sempre più all'estremità della piccola radura, scacciando le ombre e l'oscurità. Ben alzò la testa, riconoscendola, e nei suoi occhi apparve una scintilla di eccitazione. Aveva pensato di non doverlo fare mai più, lo aveva desiderato, anzi, aveva pregato che non fosse più necessario. Adesso era ansioso che accadesse. Una parte di lui stava già cominciando a disintegrarsi.
Il Paladino emerse dalla luce. Il suo destriero bianco scalpitò e sbuffò. L'armatura d'argento scintillava, con i finimenti e i ganci che tintinnavano. Le armi erano appese al loro posto, pronte all'uso. Lo spettro di un'altra vita e di un'altra epoca era tornato. Ben sentì che il medaglione ricominciava a bruciare sul suo petto, prima ghiaccio e fuoco, poi qualcosa di completamente diverso. Si sentì separare, estrarre dal proprio corpo. Willow! si sentì gridare nel silenzio della mente. Fu il suo ultimo pensiero. Un lampo di luce argentea scaturì dal medaglione e si diresse attraverso la radura verso il Paladino in attesa. Lui si sentì trasportare con esso fino a fondersi con il corpo del cavaliere errante del re. L'armatura gli si serrò attorno, allacciandosi e stringendosi, chiudendosi del tutto. Un guscio di ferro lo circondò, e il ricordo di chi e di che cos'era stato scomparve. La memoria del Paladino divenne la sua, un fiotto di immagini e di pensieri che si estendevano a un migliaio di altri momenti e luoghi, un migliaio di altre vite, tutte di un guerriero il cui valore in battaglia non era mai stato superato, un campione che non era mai stato sconfitto. Ben Holiday era scomparso. Era diventato il Paladino. Notò per un attimo la figura lacera che restava immobile come una statua in riva al ruscello, barbuta e trasandata, un guscio logoro e malconcio. Sapeva che era il re di Landover e liquidò l'argomento. Voltando il destriero bianco, lo spronò oltre i cespugli e il sottobosco fra gli alberi della foresta e scomparve. Il grido di Willow richiamò quasi all'istante Meeks. Comparve dall'ombra delle mura in rovina di Mirwouk in sella al suo demone alato, con la veste scura che svolazzava contro il cielo luminoso del pomeriggio. Il demone si lanciò sul fianco della collina con un sibilo, posandosi pesantemente in mezzo a un gruppo di pini all'estremità opposta. Le ali membranose si ripiegarono contro il corpo di serpente, e le narici lanciarono piccoli sbuffi di fuoco. Dal dorso si levò una nube di vapore. Meeks scivolò lentamente giù dal collo squamoso, con gli occhi duri fissi sull'unicorno nero che scalpitava e sbuffava freneticamente a una quindicina di metri da lui. Nella piega del braccio sano, teneva stretti i libri di magia. Con un gesto protettivo, Abernathy attirò dietro di sé Willow, ancora scossa.-Sta' alla larga da noi, mago-ordinò con coraggio. Meeks lo ignorò. I suoi occhi erano fissi sull'unicorno. Avanzò di alcuni passi, lanciò una rapida occhiata a Willow e Abernathy, guardò di nuovo l'unicorno e poi si fermò. Sembrava attendere qualcosa. L'unicorno danzava e rabbrividiva come se fosse stato già catturato, ma ancora non fuggiva. -Willow, che sta succedendo?-ringhiò Abernathy, in tono incalzante. La silfide riusciva a stento a reggersi in piedi. Scosse la testa, stordita, parlando con voce quasi impercettibile.-Ho visto-ripeté.-Le immagini, tutto... Ma sono... così tante, non posso... Diceva frasi senza senso, ancora in preda allo choc, evidentemente. Abernathy l'aiutò a raggiungere un tratto di erba fiorita e la fece sedere gentilmente. Poi si rivolse di nuovo a Meeks.
-Lei non può farti del male, mago-esclamò, attirando subito l'attenzione di quegli occhi duri.-Perché non la lasci andare? L'unicorno è tuo, se lo desideri, anche se non riesco a immaginare perché. Il cielo sa, se non ha attirato sventure su tutti quelli che lo hanno incontrato! Meeks continuava a guardarlo, senza dire niente. -Gli altri saranno qui a momenti, mago!-dichiarò Abernathy.-Faresti bene ad andartene in fretta. Meeks sorrise con freddezza.-Avvicinati un momento, scrivano-lo invitò a bassa voce.-Forse possiamo discuterne. Abernathy esitò, lanciò una rapida occhiata a Willow, respirò a fondo e si avviò attraverso la radura. Era così terrorizzato che si rendeva conto appena di muoversi. L'ultima cosa al mondo che avrebbe desiderato era andare laggiù dal mago e dal suo demone domestico, eppure era esattamente quello che stava facendo. Raddrizzò la schiena con fierezza, deciso ad andare fino in fondo. In realtà non aveva scelta. Doveva fare qualcosa per aiutare la ragazza, e pareva che quella fosse l'unica possibilità che gli si offriva. La giornata era calda e silenziosa; era una giornata magnifica per fare qualsiasi altra cosa. Abernathy si mosse più lentamente che poté e pregò che gli altri arrivassero prima che il mago lo trasformasse nella sua ultima offerta bruciacchiata. Quando fu a una decina di passi da Meeks, si fermò. Il viso rugoso del mago era una maschera di astuzia e di falso calore. -Più vicino, per favore-sussurrò Meeks. Abernathy capì allora che era condannato. Non ci sarebbe stato scampo per lui. Poteva forse riuscire a rinviare la fine di qualche istante, ma nient'altro. D'altronde, anche qualche istante poteva aiutare Willow. Avanzò di cinque o sei passi e si fermò di nuovo.-Di che cosa dobbiamo discutere?domandò. Il sorriso gelido era sparito.-Perché non della possibilità che i tuoi amici siano qui ad aiutarti fra pochi istanti? Accennò un breve gesto con i libri, e dagli alberi che circondavano la radura emerse un cerchio di piccole figure deformi. Le figure dilagarono dappertutto, accerchiandoli. Brutte facce di porco dai denti aguzzi e dalla lingua serpentina sbuffarono e squittirono avide nel silenzio. Abernathy si sentì drizzare i peli lungo la spina dorsale. Una dozzina di quei mostriciattoli spinsero fuori degli alberi Questor Thews, Bunion, Parsnip e gli gnomi Va' Via. Erano tutti imbavagliati e incatenati saldamente. Meeks si voltò. Il sorriso era tornato.-Pare che i tuoi amici non ti saranno di grande aiuto, dopo tutto. Ma è stato bello da parte tua aspettare che potessero unirsi a noi. Abernathy vide svanire la sua ultima, debole speranza di salvezza. -Corri, Willow!-gridò. Poi, con un ringhio feroce, si lanciò su Meeks. Lo fece con l'idea piuttosto vaga di cogliere di sorpresa il mago e fargli cadere quei preziosi libri di magia, e quasi ci riuscì. Meeks era così occupato a orchestrare l'arrivo del suo piccolo esercito di demoni, che non gli era venuto in mente che il cane potesse decidere di reagire. Abernathy gli fu addosso quasi prima che si rendesse conto di quello che stava
succedendo. Ma la magia controllata da Meeks era rapida come il pensiero, e la evocò subito in suo aiuto. Dai libri di magia si sprigionò una fiamma verde, e uno schermo di fiamme si abbatté su Abernathy. Il terrier dal pelo raso ricadde all'indietro con una capriola giacque immobile, con il pelo bruciacchiato che fumava pigramente. Lo schermo di fuoco che proteggeva Meeks e i libri di magia divampò e si spense. Il mago guardò il punto in cui Willow era accasciata sul terreno e l'unicorno nero aspettava, dalla parte opposta della radura. -Finalmente-sussurrò, con la voce ridotta a un sibilo lento. Rivolse un cenno brusco ai demoni in attesa, e il cerchio cominciò a stringersi. Il silenzio scese sulla piccola radura, quasi che la natura si fosse portata un dito alle labbra e avesse detto al mondo "zitto". Ci fu un istante in cui tutto rallentò. Meeks attendeva impaziente che il cerchio di demonietti si stringesse. Il demone alato sbuffò, con le narici fumanti. Willow stava seduta con la testa china, ancora stordita, i lunghi capelli sciolti sulle spalle come un velo. L'unicorno nero si avvicinò, un passo alla volta, un'ombra uscita dalle tenebre e dolorosamente smarrita alla luce del sole. Abbassò il muso e sfiorò gentilmente il braccio della silfide. Il magico splendore del corno si era scurito. Poi una raffica improvvisa di vento si abbatté sulle cime montuose e fischiò tra gli alberi. L'unicorno alzò la testa di scatto, con le orecchie tese in avanti, e il suo corno risplendette più luminoso del sole. Udiva suoni che nessun altro poteva distinguere, suoni che attendeva da secoli. Alberi, cespugli e sterpi schizzarono via dalla parete di vegetazione della foresta all'estremità settentrionale, come se fossero scagliati in aria da un pugno massiccio. Il vento ululò attraverso l'apertura rimasta, e la luce proruppe in un lampo di un bianco accecante. Meeks e il demone alato si ritrassero istintivamente, e i demonietti si gettarono a terra lanciando squittii. Un rombo di tuono si tramutò in un risuonare di zoccoli, e il Paladino uscì dalla sua esistenza crepuscolare per dare battaglia. Meeks lanciò un urlo di rabbia e di incredulità. I demoni si stavano già disperdendo in tutte le direzioni, travolti dal terrore come se fossero foglie secche spazzate via da una scopa: non volevano saperne di affrontare il Paladino. Meeks si voltò, con i libri di magia stretti saldamente alla veste scura dalla mano guantata di pelle. Strillò qualcosa di inintellegibile al mostro alle sue spalle, e la creatura balzò in avanti sibilando. Il Paladino deviò leggermente, mentre il destriero bianco rallentava appena voltandosi per affrontare il demone. Dalle fauci del demone scaturì il fuoco, che avvolse cavallo e cavaliere mentre si avvicinavano, ma il Paladino attraversò la parete di fiamme e proseguì, con la lancia da combattimento abbassata. Il demone soffiò ancora una volta fuoco, e ancora una volta le fiamme investirono il cavaliere errante. Willow alzò la testa, e vide il cavaliere d'argento e il cavallo sparire tra le fiamme. D'improvviso si sentì risvegliare alla coscienza. Se il Paladino era lì, c'era anche Ben! Le fiamme si levarono a piramide dall'erba della radura e bruciarono gli alberi che la ombreggiavano. Tutto avvizzì in un attimo per il calore incandescente, ma il Paladino
uscì ancora una volta dalle fiamme, con il destriero e l'armatura coperti di cenere e di fumo. Ormai era quasi addosso al demone, tenendo la lancia da battaglia in resta. Troppo tardi il demone si accorse del pericolo, aprendo le ali e tentando di levarsi al cielo. La lancia del Paladino perforò le scaglie e le placche corazzate e penetrò nel petto massiccio. Il serpente-lupo gridò e s'inarcò all'indietro, spezzando la lancia dentro di sé. Tentò di sollevarsi, uno sforzo fiacco e incerto che non riuscì a completare. Poi il suo cuore cedette, e il mostro ricadde a terra. Si abbatté sull'erba carbonizzata, fremette e giacque immobile. Il Paladino interruppe l'attacco mentre il demone agonizzava, allontanandosi bruscamente dal mostro che si dibatteva. Poi voltò il cavallo, estrasse la grande spada e spronò il destriero bianco verso Meeks per concludere il combattimento. Ma stavolta Meeks era pronto per lui. Il vecchio viso duro e rugoso s'irrigidì per la concentrazione, mentre le labbra sottili del mago si ritraevano scoprendo i denti. Qualunque magia fosse in grado di dominare, ora vi stava facendo ricorso. Una maligna luce verde divampò a metà strada fra il cavaliere errante che si avvicinava e il mago in attesa. Meeks lanciò un grido e s'irrigidì. La sua testa scattò all'indietro e la luce verde esplose in mille schegge. Dal cuore del fuoco apparve una fila di scheletri in armatura che montavano cavalcature scheletriche, per metà capre, per metà serpenti. Willow contò. Tre, quattro, cinque... erano sei in tutto. Gli scheletri impugnavano spade e mazze con le mani ossute, senza guanti. Teschi senza elmetto sorridevano con un ghigno fisso. Cavalieri e cavalcature erano neri come la notte. Si voltarono all'unisono e si lanciarono contro il Paladino. Il Paladino spronò per affrontarli. Willow assisteva allo svolgimento della battaglia restando vicino all'unicorno nero. Ormai era tornata in sé, i suoi pensieri erano limpidi. Vide il Paladino e i cavalieri neri scontrarsi in un cozzo di ferro, vide la polvere levarsi turbinando all'impatto e vide uno dei cavalieri neri crollare in un mucchio di ossa sparse. I combattenti voltarono i cavalli e si colpirono di nuovo, e i rumori furono terrificanti. Lei si ritrasse dal combattimento, concentrando i pensieri non sul Paladino, ma su Ben. Dov'era? Perché non era lì? Perché l'Alto Signore di Landover non era vicino al suo campione? Un altro cavaliere nero si abbatté al suolo, con le ossa dello scheletro che si separavano, spezzandosi come ramoscelli secchi sotto gli zoccoli del cavallo del Paladino. Il Paladino si allontanò, girò su se stesso e abbatté un terzo cavaliere, con la grande spada che emetteva lampi argentei descrivendo nell'aria il suo arco micidiale. I cavalieri rimanenti conversero su di lui, martellandolo di colpi, facendo sprizzare clangori metallici e scintille dalla sua armatura, respingendolo. Willow si mise in ginocchio. Il Paladino correva il rischio di essere abbattuto. Poi piccoli scoppi di fuoco verde si accesero sulle ossa dei tre cavalieri neri che erano caduti, e sei nuovi scheletri si alzarono dalla caligine fumosa per unirsi ai compagni. Willow si sentì stringere lo stomaco in una morsa di gelo. Avevano raddoppiato la loro forza. Ormai erano troppi per il Paladino.
Lei balzò in piedi, animata dalla determinazione. Questor, i coboldi e gli gnomi erano ancora legati e inermi, Abernathy era ancora privo di sensi. Meeks li aveva messi tutti fuori combattimento. Non restava che lei per aiutare il Paladino. Non restava nessun altro per aiutare Ben. Sapeva che cosa doveva fare. L'unicorno nero era fermo tranquillamente accanto a lei, con gli occhi di smeraldo fissi nei suoi. Vi splendeva un'intelligenza inconfondibile. In quegli occhi lei poteva leggere che cosa doveva fare, e rispecchiavano quello che già sapeva in fondo al suo cuore. Trasse un respiro profondo, tese le braccia e abbracciò ancora una volta l'unicorno. La magia la pervase all'istante, pronta e ansiosa. Il corpo delicato dell'unicorno rabbrividì per il sollievo, e cominciarono le immagini. Emersero nel bacino della mente della silfide, accavallandosi alla rinfusa. Willow si ritrasse di scatto dalla loro intensità, provò l'impulso di gridare e lo represse. Il bisogno era minore, stavolta, il desiderio più controllabile. Si sforzò di dominarlo. Le immagini allora rallentarono, si ordinarono in una successione regolare e ripresero daccapo. Il misto di dolore e angoscia che le accompagnava diminuì, e la loro luminosità si attenuò fino a raggiungere un grado sopportabile. Lei cominciò a riconoscere ciò che vedeva. Le sue dita accarezzarono il collo serico e delicato dell'unicorno mentre la magia li univa. Una voce si levò in un grido. Figlia delle fate! Liberami! La voce apparteneva all'unicorno e a nessun altro. Qualcosa nell'unicorno era reale, qualcos'altro no. Le immagini apparivano e scomparivano nella mente di Willow, e lei le guardava scorrere. L'unicorno nero cercava la libertà. Era venuto in cerca di quella libertà. Era convinto che l'avrebbe trovata tramite... perché?... tramite Ben! L'Alto Signore lo avrebbe liberato perché l'Alto Signore padroneggiava la magia del Paladino, e soltanto il Paladino era forte abbastanza da controbattere la magia che lo teneva prigioniero, la magia esercitata da Meeks; ma poi non c'era più nessun Alto Signore e l'unicorno nero era rimasto solo in quella terra, cercando, e invece era arrivata Willow, anche lei in cerca, portando le briglie d'oro che il mago aveva creato per domarlo quando si era liberato per la prima volta, tanto tempo prima. L'unicorno aveva avuto paura di Willow e delle briglie, non conoscendo il suo intento, ed era fuggito da lei finché non aveva capito che era buona, che poteva aiutarlo, e che poteva portarlo dall'Alto Signore e farlo liberare. Willow avrebbe riconosciuto l'Alto Signore anche sotto il suo travestimento, quando nemmeno l'Alto Signore riconosceva se stesso... Le immagini ora si susseguivano più rapide, e Willow si sforzò di nuovo di rallentarle in modo che il loro significato non andasse perduto. Aveva il respiro affannoso come se avesse corso a lungo, e il viso coperto da un velo lucente di sudore. La voce gridò di nuovo nella sua mente. Il potere dell'Alto Signore era perduto per lui e quindi per me! Non potevo essere liberato! La voce era quasi frenetica. Le immagini sussurravano in tono incalzante. I sogni che avevano spinto Willow alla sua ricerca erano un misto di verità e menzogne, sogni
inviati nello stesso tempo dal mago e dalle fate... Fate? I suoi sogni erano inviati dalle fate?... Tutto doveva convergere al fine che la verità fosse rivelata e fosse evocato il potere necessario, al fine che il Paladino e il mago potessero scontrarsi e prevalesse il più forte, il più forte che era anche il buono, e allora i libri di magia avrebbero potuto esistere, finalmente e per sempre, avrebbero potuto e dovuto esistere... S'intromise qualcosa, altre immagini, altri pensieri imprigionati nell'unicorno per secoli senza fine. Willow s'irrigidì e le sue braccia si chiusero intorno al collo snello. Sentì l'urlo salire ancora una volta dentro di lei, stavolta incontrollabile, fino alla follia! Vedeva qualcosa di nuovo nelle immagini. L'unicorno nero non era una vita sola, ma molte! "Oh, Ben!" gridò dentro di sé. Fra le immagini c'erano vite che lottavano per liberarsi senza riuscirvi, che anelavano a cose che lei non poteva comprendere in mondi che non riusciva a immaginare. Tremava per l'intensità delle emozioni che la scuotevano. Anime imprigionate, vite tenute al laccio, magia strappata e usata a torto: Ben! Poi apparve un'immagine improvvisa dei libri di magia scomparsi, rinchiusi in un luogo buio, segreto, un luogo saturo dell'odore di un'entità maligna. Vi fu un'immagine di fuoco che divampava da uno di quei libri, ardendo con l'intensità della vita che rinasceva, e da quel fuoco e da quel libro balzava fuori l'unicorno nero, di nuovo libero, che correva dal buio verso la luce, cercando... La voce lanciò il suo grido finale. Distruggi i libri! Il grido era disperato. Il grido era quasi un urlo. Cancellò le immagini; consumò ogni cosa con la sua urgenza. Il dolore che trasmise era intollerabile. Il grido di Willow eruppe finalmente, innalzandosi al di sopra dei rumori del combattimento. La silfide si staccò dall'unicorno nero e barcollò all'indietro, sul punto di svenire per l'intensità dell'esperienza vissuta. Cadde in ginocchio, con la testa bassa per respingere un'ondata di nausea e di freddo. Credette di morire e nello stesso istante capì che non era vero. Sentiva l'unicorno nero rabbrividire in modo incontrollabile accanto a lei. Le parole di quel grido finale le salirono alle labbra in un sussurro.-Distruggi i libri! Si sollevò appena e le gridò oltre il campo di battaglia della piccola radura. Le parole erano come sottili ostie di carta travolte da una tempesta. Il Paladino non le udì, consumato dal furore della battaglia che stava combattendo. Meeks non le udì, con tutta la concentrazione rivolta a dominare la magia che aveva evocato per salvarsi. Questor Thews, Bunion, Parsnip, Fillip e Sot, abbandonati dai demoni che li avevano catturati, erano legati e imbavagliati ai margini della radura. Soltanto Abernathy le udì. Il cane era semisvenuto, e le parole gli sembrarono provenire da un punto esterno alle tenebre dei suoi pensieri. Batté pigramente le palpebre, sentì le parole echeggiare, sentì poi il fragore del combattimento che si svolgeva intorno a lui, e s'impose di aprire gli occhi del tutto. Il Paladino e i cavalieri neri roteavano su se stessi e si colpivano l'un l'altro al centro della radura, un caleidoscopio di movimenti e di suoni. Willow e l'unicorno nero
erano figurine intrappolate all'estremità opposta. Non riuscì a vedere affatto gli altri amici. Ansimò, leccandosi il naso, e sentì un dolore sordo e continuo diffondersi in tutto il corpo malconcio. Ricordò quello che gli era stato fatto e dove si trovava. Pian piano, si girò faticosamente in modo da vedere meglio. Meeks era fermo quasi vicino a lui. Rimasto preso nel combattimento fra il Paladino e i cavalieri neri, il mago era avanzato di quei cinque o sei passi che prima lo separavano dal cane. Le parole echeggiarono ancora nella mente di Abernathy. Distruggi i libri! Il cane tentò di mettersi in piedi e si accorse che il corpo non gli rispondeva. Si lasciò ricadere. Altri pensieri s'intromisero. Distruggere i libri? Distruggere la sua unica possibilità di poter mai ridiventare un uomo? Come poteva anche solo considerare un'ipotesi del genere? Un altro cavaliere fu abbattuto, e si sentì un rumore di ossa spezzate. Il Paladino era incalzato da ogni lato, con l'armatura annerita dalla cenere e scalfita da colpi di spada e di ascia. Stava perdendo la battaglia. Abernathy capì che cosa avrebbe significato per tutti loro, se lui non smetteva di pensare ai suoi problemi personali. Tentò di nuovo di alzarsi e scoprì che ora gli riusciva... ma non del tutto. Il muso gli ricadde in basso in una smorfia di frustrazione. Poi Meeks si spostò ancora, e d'improvviso le sue gambe furono a pochi centimetri dalla testa di Abernathy. Il mago portava delle scarpe morbide; la gamba era scoperta. La smorfia di Abernathy si tramutò in un ringhio. Gli era stata appena offerta la sua ultima occasione. Si lanciò a testa bassa su Meeks, chiudendo le mascelle sulla caviglia del mago, e addentò con forza. Meeks lanciò un urlo di dolore e stupore insieme, alzò di scatto la mano e i libri magici volarono via. Dopo di che, tutto accadde in un attimo. Ci fu un lampo di luce nera che scoccò attraverso la radura, passando oltre il Paladino e i cavalieri scheletrici, oltre le nubi di polvere e gli scoppi di fuoco verde. L'unicorno nero corse più veloce del pensiero. Meeks dimenava freneticamente le gambe, tentando di liberarsi dalle mascelle di Abernathy, tendendo nello stesso tempo la mano verso i libri volati in aria. Abernathy non mollava. Willow gridò, e Abernathy strinse ancor più forte la presa. Poi l'unicorno nero li raggiunse. Balzò in aria, con il corno risplendente di magia, trafisse i libri che roteavano nell'aria, infranse la loro rilegatura come se fosse di vetro e sparpagliò le loro pagine ovunque. Le pagine sciolte svolazzarono verso terra, quelle con i disegni degli unicorni che si mescolavano a quelle con il centro carbonizzato dal fuoco interno. Meeks gridò e si liberò finalmente dalle mascelle di Abernathy. Un fuoco verde si sprigionò dalle sue dita tese e colpì l'unicorno mentre balzava in aria, facendolo ricadere di lato. L'unicorno si torse a mezz'aria, e dal suo corno un fuoco bianco scoccò ad arco contro il mago. Meeks rispose. Il fuoco verde esplose contro l'unicorno, e il fuoco bianco scosse Meeks. Le fiamme correvano alternandosi fra unicorno e mago, aumentando di intensità a ogni nuovo scoppio.
Il Paladino si voltò rapidamente al centro della radura, roteando la spada in un arco che tagliò a metà i cavalieri neri superstiti e sparpagliò le loro ossa. Ormai era quasi una formalità; i cavalieri neri si stavano già disintegrando. La magia che li aveva sorretti aveva abbandonato le loro forme vuote. Si ridussero in polvere all'istante e sparirono. Quindi il Paladino si lanciò verso l'unicorno e il mago, ma non riuscì a raggiungerli in tempo. Il fuoco aveva avvolto Meeks, con una magia troppo forte perfino per lui. Urlò per l'ultima volta ed esplose in una nube di fumo. L'unicorno nero fu circondato dalle fiamme nello stesso momento. Colpito, s'inarcò verso il cielo, balzò in aria e scomparve. Anche il Paladino scomparve. Si allontanò in un bagliore improvviso di luce bianca, che spazzò via la cenere e la polvere e restaurò l'armatura d'argento finché splendette come nuova, tutto nel giro di un istante, e cavaliere errante e luce svanirono semplicemente. Abernathy e Willow rimasero a guardarsi senza parole ai due estremi della radura carbonizzata e deserta. Poi accadde. Lo videro tutti: Willow e Abernathy rannicchiati sul fianco carbonizzato della collina, ancora storditi dalla violenza del combattimento appena concluso; Questor, i coboldi e gli gnomi Va' Via mentre si sforzavano inutilmente di mettersi a sedere, ancora avvinti dalle corde che i demoni avevano usato per imprigionarli; e perfino Ben Holiday che usciva inciampando, senza fiato, dagli alberi della foresta dopo aver corso per tutta la strada dal luogo della sua metamorfosi, senza sapere che cosa gli avesse portato, sapendo soltanto che doveva venire. Videro, e trattennero il fiato tutti insieme per la meraviglia. Cominciò come un vento che turbò la quiete dei monti, dapprima solo un soffio lieve, poi un fragore simile al rombo di un oceano. Il vento si levò dalla terra sulla quale erano sparsi i fogli sciolti dei libri di magia, smuovendo polvere e cenere, attizzando le poche scintille minuscole di fiamma verde che ancora guizzavano fra l'erba del prato. S'innalzò verso il cielo come una tromba d'aria, risucchiando quelle pagine sparse come in una tempesta di neve. Le pagine che erano bruciate ridivennero intatte, con gli orli consumati che si ricomponevano, la superficie ingiallita che ridiventava bianca e levigata. Le pagine che erano piene di disegni di unicorni si mescolarono e si unirono ad esse finché divenne impossibile distinguerle. Un muro di pagine s'innalzò fino al cielo, crepitando e schioccando mentre il vento le sferzava nell'aria. Poi le pagine cominciarono a cambiare. I disegni cominciarono a ondeggiare e flettersi, e di colpo gli unicorni presero vita. Non più immobilizzati in un disegno, cominciarono a correre ai margini dell'imbuto di vento. Erano centinaia, tutti bianchi, tutti in movimento, un turbine di potenza e di velocità. Ormai le pagine e le rilegature dei libri di magia erano scomparse; c'erano soltanto gli unicorni. Volavano nell'aria e lanciavano grida estatiche che sopraffacevano il rombo del vento. Liberi! sembravano dire. Liberi!
Poi la tromba d'aria si frantumò e gli unicorni si sparpagliarono, inondando il cielo sopra la radura fra le montagne di una pioggia di corpi aggraziati, delicati, come fuochi d'artificio esplosi in una pioggia di bellezza incredibile. Gli unicorni si dispersero nel cielo sospinti nell'aria dalla magia della metamorfosi, poi s'innalzarono allontanandosi. Le loro grida rimasero per un attimo sospese nell'aria, poi svanirono nel silenzio. La quiete era tornata a regnare sulle montagne. CAPITOLO 21 La leggenda -Non è mai esistito un unicorno nero-disse Willow. -Esisteva, ma era solo un inganno-ribatté Ben. Questor Thews e Abernathy, Bunion e Parsnip, Fillip e Sot si guardarono l'un l'altro, confusi. Erano seduti all'ombra di una grande quercia veneranda ai margini della radura, e l'odore di terra bruciata che aleggiava ancora nell'aria era un ricordo pungente di tutto quello che era accaduto. Le ultime scintille di fuoco verde si erano spente, ma pennacchi di fumo e particelle di polvere e di cenere fluttuavano ancora senza peso nell'aria assolata del pomeriggio. Abernathy era stato spazzolato, gli altri erano stati liberati dai legacci, e tutti e sei si erano radunati intorno a Ben e Willow, che stavano cercando di spiegare l'accaduto. Non era facile perché nessuno dei due sapeva ancora tutto, quindi mettevano insieme la storia un po' alla volta. -Forse sarebbe più facile se cominciassimo dall'inizio- propose Ben. Si protese in avanti, incrociando le gambe. Era lacero e sporco, ma finalmente tutti lo riconoscevano. Svelando il proprio errore aveva svelato anche il loro. -Molto tempo fa, le fate mandarono a Landover gli unicorni bianchi per un viaggio in alcuni dei mondi mortali. Questo lo sappiamo dalle storie. Gli unicorni erano la forma di magia più riconoscibile che le fate possedessero, e li mandarono in quei mondi dove la fede nella magia era in pericolo di scomparire del tutto. Dopo tutto, deve restare un po' di fede nella magia... per quanto poca... perché un mondo possa sopravvivere. "Ma gli unicorni scomparvero. Scomparvero perché i maghi di Landover li intercettarono e li imprigionarono. Volevano usare per sé la magia degli unicorni. Ricordi, Questor, quando mi hai detto che un tempo i maghi erano una corporazione potente che prestava i suoi servigi al miglior offerente, prima che il re mandasse il Paladino a sistemarli? Bene, scommetto che gran parte di quella magia proveniva dagli unicorni imprigionati, una magia che i maghi avevano incanalato per attingervi. Non so quale magia possedessero all'inizio per intrappolare gli unicorni... una sorta di inganno, direi. Pare che sia il loro trucco preferito. In ogni caso, li catturarono, li trasformarono in disegni e li intrappolarono in quei libri." -Ma non per intero-intervenne Willow. -No, non per intero-convenne Ben.-E' qui che viene il bello. I maghi separarono il corpo dallo spirito di ogni unicorno nell'operare la trasformazione. Imprigionarono il corpo in un libro e lo spirito nell'altro! Così indebolirono gli unicorni e li resero più facili da controllare. Il corpo senza lo spirito non è mai tanto forte. La magia dei
maghi era abbastanza potente da imprigionare ciascuno dei due separatamente; il trucco stava nell'impedire che si riunissero. -Ed era quello il pericolo che Meeks si trovò ad affrontare quando l'unicorno nero fuggì-aggiunse Willow. -Giusto. Perché l'unicorno nero era lo spirito collettivo degli unicorni neri imprigionati!-Ben corrugò la fronte.-Vedete, finché i maghi riuscivano a sostenere la forza delle magia che teneva chiusi i libri, gli unicorni non potevano liberarsi e i maghi potevano attingere alla magia degli unicorni e sfruttarla per i loro scopi. Anche dopo che il re di Landover mandò il Paladino a distruggere la lega dei maghi, anni fa, i libri sopravvissero. Probabilmente furono tenuti nascosti per un certo tempo. Anche in seguito, i maghi che ancora restavano, quelli ormai al servizio del re, fecero attenzione che nessuno conoscesse la reale fonte del loro potere. E i libri passarono da un mago all'altro finché giunsero nelle mani di Meeks. Ben si portò l'indice alle labbra.-Ma nel frattempo era sorto un problema con gli unicorni. Di tanto in tanto, fuggivano. Accadeva qualcosa, i maghi allentavano la vigilanza, e gli unicorni si liberavano. Non accadeva spesso, naturalmente, perché i maghi facevano buona guardia ai libri, ma ogni tanto accadeva. Ogni volta, era la parte dello spirito degli unicorni imprigionati che riusciva a scappare, dato che la magia dello spirito è sempre più forte di quella del corpo. Lo spirito si liberava bruciando le pagine del libro magico che lo tenevano prigioniero e fuggiva. Ma era privo di una vera presenza fisica, era soltanto un'ombra fatta di desiderio e di volontà, una silhouette che acquistava momentaneamente sostanza e vita, e non di più.-Lanciò una rapida occhiata a Willow per avere conferma, e lei annuì.-E poiché era nero di colore, essendo solo un'ombra, veniva generalmente considerato una creatura del male anziché del bene. Dopo tutto, chi aveva mai sentito parlare di un unicorno nero? I maghi, ne sono certo, hanno sparso la voce che l'unicorno nero era un'aberrazione, un essere pericoloso, forse addirittura un demone. Probabilmente hanno dato qualche cattivo esempio per rafforzare quella convinzione. Questo teneva tutti alla larga da lui, mentre i maghi studiavano il modo per catturarlo di nuovo. -Le briglie d'oro furono usate a quello scopo-intervenne Willow, riprendendo il racconto.-I maghi sfruttarono la loro capacità per creare le briglie dopo la prima fuga. Le briglie erano una magia che poteva attirare e trattenere l'unicorno nero, dando ai maghi il tempo di imprigionarlo di nuovo. Veniva sempre catturato in fretta, non restava mai libero a lungo. Veniva rimandato nei libri di magia, le pagine bruciate venivano restaurate e tutto tornava come prima. I maghi non correvano rischi. I libri erano la loro magia più grande, e non potevano rischiare che andassero danneggiati o perduti. Si rivolse a Ben.-Ecco perché l'unicorno nero aveva tanta paura di me, all'inizio. Pur nella sua necessità, era terrorizzato. Io sentivo la sua paura ogni volta che mi avvicinavo e di nuovo, in seguito, quando l'ho toccato. Mi credeva uno strumento dei
maghi che lo avevano imprigionato, non poteva conoscere la verità. Soltanto alla fine, a quanto pare, ha capito che non ero al servizio di Meeks. -Il che ci riporta al presente-annunciò Ben, raddrizzandosi.-Meeks si era impadronito dei libri di magia a sua volta e li aveva usati come tutti i maghi prima di lui. Ma poi il vecchio re morì e tutto cominciò ad andare in rovina. L'unicorno nero non fuggiva da moltissimo tempo, forse secoli, e in tutti quegli anni non c'era stato bisogno delle briglie d'oro. Credo che anche i maghi prima di Meeks abbiano prestato molta attenzione a esse per un po', dato che a quanto pare fu prima dei tempi di Meeks che furono rubate per la prima volta dalla Strega del Crepuscolo. In seguito furono rubate da Strabo e poi fecero avanti e indietro fra i due. Meeks sapeva dov'erano, immagino, ma i libri di magia erano saldamente sotto il suo controllo, e in ogni caso la strega e il mago non conoscevano il vero scopo delle briglie. I guai sono cominciati quando Meeks si è trasferito nel mio mondo per reclutare un nuovo re per Landover e ha nascosto i libri di magia durante la sua assenza. Suppongo che pensasse di non restare lontano tanto a lungo perché succedesse qualcosa, ma le cose non sono andate così. Quando io non mi sono ripresentato strisciando a restituire il medaglione e il Marchio di Ferro non è riuscito a distruggermi, Meeks si è trovato all'improvviso intrappolato laggiù, con i libri di magia ancora nascosti da questa parte. La magia che imprigionava gli unicorni si è nuovamente indebolita durante la sua assenza, e la parte spirituale, l'unicorno nero, si è liberato bruciando le pagine del libro ed è fuggito. -Allora ecco perché il mio fratellastro ha mandato i sogni!-esclamò Questor, mentre una nuova comprensione cominciava a illuminare il suo viso da gufo.-Doveva tornare a Landover, ricuperare i libri nascosti e trovare le briglie d'oro alla svelta. In caso contrario, l'unicorno nero poteva trovare il modo di liberare tutti gli unicorni bianchi, le sue identità fisiche, e la magia sarebbe andata perduta! -Ed è esattamente quello che ha tentato di fare-confermò Willow.-Non solo questa volta, ma tutte le volte che è riuscito a liberarsi. Tentava di trovare l'unica magia che credeva più forte di quella dei maghi... il Paladino! In passato era sempre stato catturato così in fretta da non avere nessuna vera possibilità. Sapeva che il Paladino era il campione del re, ma non riusciva mai a raggiungere il re. Stavolta era certo di riuscirci, solo che non c'era nessun re da raggiungere. Meeks è stato pronto ad agire, una volta scoperto che l'unicorno era fuggito. Ha usato un sogno per attirare Ben fuori da Landover prima che l'unicorno potesse raggiungerlo. Poi è tornato insieme a lui e ha alterato il suo aspetto in modo che nessuno, compreso l'unicorno nero, potesse riconoscerlo. -Penso che mi avrebbe riconosciuto se non fosse stato imprigionato così a lungointervenne Ben.-Le creature magiche più antiche, come la Strega del Crepuscolo e Strabo, erano in grado di riconoscermi, ma l'unicorno aveva dimenticato gran parte della sua magia mentre era prigioniero. -Potrebbe averla perduta anche a causa dell'uso che ne facevano i maghi-aggiunse Willow. -Quella notte nella mia stanza, quando usò la sua magia per trasformarmi, Meeks mi disse che avevo guastato in qualche modo i suoi piani-riprese Ben, tornando
all'argomento della sua identità perduta.-Naturalmente, io non avevo idea di quello che avevo fatto. Non sapevo di che cosa stesse parlando. La verità era che tutto ciò che avevo fatto lo avevo fatto inavvertitamente. Non sapevo che i libri contenessero magia rubata e che, se lui non si fosse trovato a Landover, la magia poteva andare perduta. Cercavo solo di restare vivo. -Un momento, Alto Signore.-Abernathy stava scuotendo la testa confuso.-Meeks ha mandato tre sogni: il suo per assicurarsi un modo di tornare a Landover, quello di Questor Thews per ottenere il possesso dei libri magici nascosti e quello di Willow per ricuperare le briglie perdute. I sogni hanno funzionato come previsto, tranne quello di Willow. Lei ha trovato le briglie, ma non le ha riportate come il sogno le aveva detto di fare. Perché? -Le fate-rispose Willow. -Le fate-fece eco Ben. -Quella prima mattina ho detto che il mio sogno sembrava incompleto, che sentivo di dover sapere dell'altro-spiegò Willow.-Ci sono stati altri sogni dopo quello; in ciascuno, l'unicorno appariva sempre meno demone, sempre più vittima. Le fate mi mandavano quei sogni per guidarmi nella ricerca e insegnarmi che i miei timori erano falsi. Pian piano, sono arrivata a capire che il primo sogno era per qualche aspetto una menzogna, che l'unicorno nero non era mio nemico, che aveva bisogno di aiuto, e che io dovevo prestargli quell'aiuto. Dopo che il drago mi ha dato le briglie d'oro, sono stata persuasa ancor più, da sogni e visioni, che dovevo andare io stessa in cerca dell'unicorno se volevo scoprire la verità. -A me le fate hanno mandato Edgewood Dirk-disse Ben con un sospiro.-Non sono intervenute per aiutarmi direttamente, è naturale, non lo fanno mai per nessuno. Le risposte alle nostre difficoltà devono venire sempre da noi stessi; si aspettano che risolviamo i nostri problemi da soli. Ma Dirk è stato il catalizzatore che mi ha aiutato a farlo, mi ha aiutato a scoprire la verità sul medaglione. Meeks aveva istigato l'inganno che mi aveva indotto a credere di averlo perduto. Dirk mi ha aiutato a capire che ero io ad alimentare quell'inganno, e che se io riuscivo a riconoscere la verità, avrebbero potuto farlo anche altri, ed è esattamente quello che è successo. -Ed è per questo che il Paladino è riuscito a raggiungerci in tempo, a quanto paredisse Questor. -Ed è per questo che i libri di magia sono stati finalmente distrutti e gli unicorni liberati-aggiunse Willow. -E Meeks è stato distrutto-completò Abernathy. -Per l'appunto-convenne Ben. -Grande Alto Signore!-esclamò con fervore Fillip. -Possente Alto Signore!-fece eco Sot. Ben gemette.-Per favore, basta così! Guardò gli altri con aria implorante, ma si limitarono tutti a sogghignare. Era tempo di partire. Nessuno gradiva molto l'idea di trascorrere un'altra notte sui Monti Melchor. Furono d'accordo sul fatto che sarebbe stato meglio accamparsi sulle colline sottostanti.
Così scesero faticosamente dai monti alla luce del pomeriggio, mentre il sole tramontava dietro la cresta occidentale della valle in una cortina di scarlatto e di grigio. Mentre camminavano, Willow rimase indietro accanto a Ben, e lo prese gentilmente sottobraccio. -Che cosa pensi che ne sarà degli unicorni?-domandò un attimo dopo. Ben si strinse nelle spalle.-Probabilmente torneranno fra le nebbie, e nessuno li rivedrà mai più. -Non pensi che andranno nei mondi nei quali erano stati mandati? -Fuori di Landover?-Ben scosse la testa.-No non dopo quello che hanno passato. Non ora. Torneranno a casa dove saranno al sicuro. -Non si è al sicuro nel tuo mondo, vero? -Ben poco. -Non si è molto al sicuro nemmeno a Landover. -No. -Pensi che sia più sicuro fra le nebbie? Ben ci pensò un momento.-Non lo so. Forse no. Willow annuì.-Il tuo mondo ha bisogno di unicorni, non è vero? La magia è dimenticata? -Quasi del tutto. -Allora forse non conta che non si stia al sicuro laggiù. Forse la necessità è superiore al pericolo. Forse almeno un unicorno deciderà di andare comunque. -Può darsi, ma ne dubito. Willow alzò leggermente la testa.-Tu lo dici, ma non ne sei convinto. Ben sorrise senza rispondere. Raggiunsero le pendici dei monti, superarono un vasto prato di fiori punteggiati di rosso per raggiungere un folto di abeti, e i coboldi andarono in esplorazione per stabilire il campo. L'aria si era rinfrescata, e l'avvicinarsi del crepuscolo conferiva alla terra una lucentezza tenue, argentea. I grilli avevano cominciato a frinire, e le oche volavano basse verso un lago lontano. Ben stava pensando a casa, a Sterling Silver, e al calore della vita che lo attendeva laggiù. -Ti amo-disse all'improvviso Willow. Non lo guardò, ma tenne il viso rivolto in avanti mentre pronunciava quelle parole. Ben annuì. Rimase in silenzio per un attimo.-Ero deciso a dirti qualcosa su questo argomento. Tu dici sempre che mi ami e io non riesco mai a dirtelo. Negli ultimi tempi ho pensato al motivo, e immagino che sia perché ho paura. E' come correre un rischio non necessario. E' più facile passare la mano. Fece una pausa.-Ma in questo momento, in questo luogo, non la penso così. La penso in modo del tutto diverso. Quando dici che mi ami, scopro che voglio dirtelo anch'io. Quindi penso che lo farò. Ti amo anch'io, Willow. Credo di averti sempre amato. Proseguirono, senza parlare. Ben si accorse della pressione crescente del braccio di lei contro il suo. La giornata era silenziosa e tranquilla, e ovunque regnava la pace. -La Terra Madre mi ha fatto promettere di badare a te, sai-disse infine Ben.-E' uno dei motivi che mi hanno fatto riflettere su di noi. Mi ha fatto promettere di proteggerti. E' stata molto insistente. Intuì il sorriso di Willow, più che vederlo.-Questo è perché la
Madre Terra sa-disse lei. Ben aspettò che proseguisse, poi la guardò.-Sa che cosa? Che un giorno darò alla luce tuo figlio, Alto Signore. Ben inspirò a fondo ed espirò lentamente. -Oh. EPILOGO Mancavano due giorni a Natale. Il Southside di Chicago era freddo e squallido, la neve caduta la notte precedente era già diventata grigia e spugnosa sui marciapiedi e sulle strade, gli edifici e i caseggiati alti e squadrati erano ombre vaghe in una cortina di fumo e nebbia. Il vapore s'innalzava in nuvolette improvvise dalle grate delle fognature mentre il nevischio fondeva. Non c'era molto movimento. Le auto procedevano lentamente come scarafaggi preistorici con i fari che splendevano come occhi gialli luminosi. I pedoni abbassavano la testa per sfuggire al freddo, col mento affondato nelle sciarpe e nei colletti, le mani ficcate nelle tasche del cappotto. Il tardo pomeriggio squadrava l'avvicinarsi della sera in un silenzio cupo. L'angolo fra Division ed Elm Street era quasi deserto. Due ragazzi in giubbotto di cuoio, un uomo d'affari pendolare e una donna vestita con cura, che tornava a casa dopo aver fatto acquisti, scesero da un autobus e si avviarono in direzioni diverse. Un commerciante si fermò a controllare le serrature sulla serranda della sua bottega di idraulico, preparandosi alla chiusura serale. Un operaio del turno dalle sette alle tre uscì dal Barney's Pub dopo un paio di birre e un'ora di svago per cominciare la faticosa camminata lungo due isolati fino a casa, dove doveva assistere la madre invalida. Un vecchio che teneva in mano un sacchetto della spesa strascicava i piedi lungo il sentiero lasciato nella neve sul marciapiede da una serie di impronte ghiacciate. Una bambina infagottata nella tuta da neve giocava con uno slittino vicino alle scale di casa. S'ignoravano tutti con indifferenza distratta, ciascuno immerso nei suoi pensieri. L'unicorno bianco volò su di loro come una scheggia di luce. Procedeva veloce, come se il solo scopo della sua esistenza fosse fare il giro del mondo in un giorno. Pareva che non sfiorasse mai il terreno, con il corpo aggraziato e delicato che si raccoglieva e si allungava in un unico movimento fluido, mentre passava. In quel movimento era racchiusa tutta la bellezza del mondo, quella che esisteva o che sarebbe mai esistita. Era lì, e un attimo dopo era scomparso. I passanti trattennero il fiato, batterono le palpebre, e l'unicorno era già svanito. Seguì un momento d'incertezza. Il vecchio rimase a bocca aperta. La bambina posò lo slittino e sgranò gli occhi. I due ragazzi abbassarono la testa e bisbigliarono in tono urgente. L'uomo d'affari guardò il bottegaio, che gli restituì lo sguardo. La donna ben vestita rammentò tutte quelle storie di fate che le piaceva ancora leggere. L'operaio pensò all'improvviso al Natale di quando era bambino. Poi l'attimo passò, e tutti ripresero a muoversi. Alcuni camminarono più in fretta, altri più lentamente. Lanciavano occhiate alla strada nebbiosa e deserta. Che cos'era che avevano visto? Era davvero un unicorno? No, era impossibile. Non esistevano esseri come gli unicorni... non nella realtà. E non nelle città. Gli unicorni vivevano nelle foreste. Eppure loro avevano visto qualcosa. Non avevano visto qualcosa? Non era
così? Proseguirono in silenzio, e in ciascuno di loro c'era un po' di calore al ricordo di quello che avevano provato. C'era la sensazione di avere condiviso qualcosa di magico. Portarono a casa con sé quella sensazione. Alcuni di loro la conservarono a lungo. Alcuni la trasmisero ad altri. Fine testo.