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SALVEZZA
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ELLEDICI
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GIACOMO BIFFI
LA CHIESA CATTOLICA e il problema della SALVEZZA
ELLEDICI
Queste pagine si avvalgono ampiamente di quanto è detto in G. BIFFI, La Sposa chiacchierata, Milano 1998, dove la visione ecclesiologica
qui proposta riceve più ampia e completa presentazione.
Internet: www.elledici.org E-mail:
[email protected]
© 2000 Editrice
ELLEDICI-
ISBN 88-01-02070-8
l 0096 Leumann (Torino)
PRESENTAZIONE
La fede in Gesù Cristo, unico Salvatore, e la dot trina secondo la quale fuori della Chiesa non c'è sal vezza sono verità insegnate nella Tradizione e nel ma gistero della Chiesa, come è stato ricordato nella Di chiarazione Dominus Iesus del Cardinale Joseph Rat zinger deli'agosto scorso, ratificata e recentemente anche ribadita da Giovanni Paolo II. Le due afferma zioni vanno sempre poste in connessione con la cer tezza, esplicitamente insegnataci dalla Rivelazione, della divina volontà salvifica universale: nessuno può andare perduto, quale che sia la sua condizione este riore, se non per un suo esplicito rifiuto di Dio e del suo progetto. Sta alla riflessione teologica coglierne il nesso. In questa direzione si sviluppano le lezioni di teologia che anche quest'anno, secondo una ormai lunga tradizione, il Cardinale Giacomo Biffi ha tenu to per i docenti dell'Università di Bologna nel mese di novembre dell'anno giubilare. Entrambe le affermazioni- Gesù, unico Salvato re; non c'è salvezza fuori della Chiesa- suppongono una situazione dell'uomo bisognoso di salvezza. Le domande esistenziali dell'uomo di tutti i tempi, le de bolezze e i fallimenti morali che ne segnano l' espe rienza di vita, lo scacco inevitabile della morte fanno emergere il bisogno di salvezza, di risposte che non possono venire dall'uomo. Nella cultura dei popoli mitologie antiche e filoso-
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fie ricorrenti hanno tentato di offrire delle risposte. Ma al di là di qualche immaginazione e di fantasie più o meno illusorie non sono andate. L a persona di Gesù Cristo, uomo e Dio, morto e risorto, è l'unico evento che ha vinto il regno del male e della morte. Ed è lo stretto legame con Cristo che fa della Chie sa il sacramento universale di salvezza, secondo la felice espressione del Concilio Vaticano II, e fonda l'affermazione risalente all'antichità cristiana: «extra
Ecclesiam nulla salus». In questa prospettiva va però utilizzato per la Chiesa, nota i l Cardinale Giacomo Biffi, non tanto il concetto di società, che mette in primo piano il suo aspetto giuridico, quanto quello mistico di «Corpo e di Sposa» di Cristo.
È la
Chiesa, come «mistero na
scosto da secoli», la Chiesa, in quanto umanità creata in Cristo, raggiunta dall'azione redentrice di Cristo e congiunta dallo Spirito Santo al Signore risorto. L'af fermazione secondo la quale non c'è salvezza fuori della Chiesa si lega essenzialmente all'unica salvezza che viene da Cristo e al rapporto ontologico della Chiesa con Cristo nel quale e per il quale soltanto si può ottenere la salvezza. «Con l'Incarnazione, nota il Concilio Vaticano II, il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»
(Gaudium et Spes, 22) e lo unisce a sé e alla Chiesa, sua sposa e corpo. «Ogni figlio di Adamo è già im magine incoativa di Cristo», osserva il Cardinale Bif fi. In questo modo la salvezza si estende oltre i confi ni istituzionali della Chiesa, qualora senza colpa si ignori il Vangelo e si cerchi sinceramente Dio (cf Lu
men Gentium, 16). In un momento in cui molti tendono a minimizza-
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re le differenze tra le religioni, quasi che una valga l'altra, le riflessioni del Cardinale Giacomo Biffi, co me sempre di grande lucidità ed efficacia, appaiono quanto mai attuali e aiutano anche a cogliere il vero senso della Dichiarazione del Cardinale Ratzinger. C'è un'unica possibilità di salvezza offerta a tutti gli uomini; da essa sono esclusi soltanto quelli che lo vogliono. La salvezza viene da Ges.ù Cristo, si mani festa e si esprime nella Chiesa, suo mistico Corpo e Sposa, alla quale tutti sono ordinati e congiunti in mi sura e modi diversi a seconda della fede, della since rità della ricerca di Dio e della permeabilità alla gra zia santificatrice di Cristo. Bologna, novembre 2000 Mons. FIORENZO FACCHINI Vicario episcopale per l'Università e la Scuola nell"Arcidiocesi di Bologna
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ANNOTAZIONI INTRODUTTIVE
La Dichiarazione Dominus lesus Il 6 agosto 2000 la Congregazione per la dottrina della fede, a firma del suo prefetto il cardinal Joseph Ratzinger, pubblicava la Dichiarazione Dominus /e
sus «circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», che ha avuto nell'opinione pubblica una risonanza abbastanza insolita per questo genere di documenti. Che cosa dice quella Dichiarazione? Intende ri chiamare due certezze che appartengono al patrimo nio della divina Rivelazione.
Prima certezza <
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Seconda certezza «Deve essere fermamente creduto - come dice il Concilio Vaticano Il - che la Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo è il media tore e la via alla salvezza; ed egli si rende presente a noi nel suo corpo che è la Chiesa» (n. 20). La Chiesa quindi, «sempre unita in modo misterioso e subordi nata a Gesù Cristo Salvatore, suo Capo, nel disegno di Dio ha un'imprescindibile relazione con la salvez za di ogni uomo» (ib.). «E questa Chiesa, di cui si parla, come dice ancora il Concilio Vaticano II, sussi ste nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui» (n. 16). Sono affermazioni che possono a giusto titolo esse re definite «elementari» entro il «deposito della fede» (cf 1 Tm 6,20; 2 Tm 1,14). Qualcuno però non è stato di questo parere. In certi ambienti, anche cattolici, al documento è stata data una lettura diffidente più che cordiale, sospettosa più che perspicace. Alcune reazio ni, anche da parte di qualche uomo di Chiesa, hanno offerto una preziosa controprova di quanto esso fosse necessario e urgente nella bella confusione teologica e culturale che affligge la cristianità dei nostri giorni. Alle titubanze e alle obiezioni, che qua e là sono andate affiorando, ha risposto esplicitamente all'An
gelus del l ottobre lo stesso Giovanni Paolo II, che già aveva «ratificato e confermato» la Dichiarazione «con certa scienza e con la sua autorità apostolica»: «È mia speranza che questa Dichiarazione che mi sta a cuore - "approvata da me in forma speciale" -dopo tante interpretazioni sbagliate, possa svolgere final mente la sua funzione chiarificatrice».
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Da più parti si è cercato di trovare nel testo ciò che nel testo non c'è: segnatamente la chiusura a ogni dia logo interreligioso e addirittura l'asserzione che non ci sia possibiltà di salvezza a chi non appartiene so ciologicamente alla Chiesa di Roma. In realtà, le due certezze sopra segnalate sono pro poste non in antitesi ma in connessione irrinunciabile con quella della decisione di Dio di salvare tutti i figli di Adamo: «è necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della Chiesa in ordi ne alla salvezza» (n. 20). Come queste due verità si congiungano e mutua mente si integrino, la Dichiarazione non lo dice. An zi, molto correttamente non lo vuoi dire, perché - una volta elencati i punti che sono obbliganti per tutti non ritiene di dover suggerire risposte alle questioni teologiche liberamente disputate. Intende solo ricor dare «alcuni contenuti dottrinali imprescindibili, che possano aiutare la riflessione teologica a maturare so luzioni conformi al dato di fede e rispondenti alle esi genze culturali contemporanee» (n.
È
3).
appunto il tentativo e il non facile lavoro che qui
vorremmo intraprendere.
«Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» «Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e pre dicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà con dannato"» (Mc
È
16,15-16).
un «detto» riferitoci dalla finale del vangelo di
Marco. La cristianità contemporanea lo ricorda poco
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ed evita di citarlo almeno nella sua integralità: è un fatto che la parola di Dio -esaltata oggi come in nes sun'altra epoca-risulta oggetto ai nostri giorni di nu merose censure, allorché qualche suo asserto sembra non convenire agli assiomi ideologici dominanti. Eppure quello è un «loghion» tra i più limpidi ed esistenzialmente rilevanti di tutto il magistero del Si gnore. In esso il tema della salvezza- onnipresente e per molti aspetti primario nei discorsi e nell'azione di Cristo-è posto in esplicita relazione con due irrinun ciabili componenti della vita ecclesiale: la professio ne di fede e la pratica sacramentale. Sulla relazione appunto tra «salvezza» ed «ecclesialità» ci proponia mo qui di riflettere.
Problema umano e risposta cristiana Va notato in via preliminare che quello della sal vezza non è di per sé un problema soltanto teologico: anche se l'uomo è tentato spesso di aggirarlo o addi rittura di ricusarlo, è anche un problema nativamente umano. Il cristianesimo ritiene piuttosto di essere in grado di offrire la risposta pertinente a una domanda che nei suoi contenuti sostanziali è previa a ogni atti tudine religiosa e a ogni cultura. L'uomo può essere a buon diritto ritenuto un «es sere da salvare». Aspira oggettivamente a essere sal vato, anche quando soggettivamente non ne è nem meno consapevole; vi aspira con la sua realtà più inti ma e più autentica, pur se talvolta è indotto a coltiva re orgogliosamente l'illusione dell'autosufficienza e a inseguire il miraggio dell' autoredenzione. Una serie di fatali insuccessi intristisce e umilia
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anche l'esistenza più fortunata e spiritualmente più ricca. Nell'ambito intellettuale incontriamo ad esem pio l'amarezza di non riuscire ad arrivare al tranquil lo possesso di quelle persuasioni fondamentali - cir ca la nostra origine, il nostro destino, il senso del no stro pellegrinaggio sulla terra - che pure ci appaiono necessarie per dare qualche ragione e qualche valore ai nostri giorni annebbiati e fuggevoli. Neli'ambito della vita morale poi, dobbiamo riconoscere di non essere quasi mai ali'altezza dei nostri ideali: non ci riesce di far coincidere perfettamente nella nostra condotta l' «essere» e il «dover essere».
È un disagio multiforme, da cui l'uomo talvolta si ingegna di evadere, magari barando un po' nel gioco e chiudendo gli occhi sui dati. Così talvolta arriva a convincersi che non c'è traguardo reale all'inconten tabilità della sua sete di conoscenza: il solo approdo possibile e anzi auspicabile- egli si dice- è il dubbio, la relativizzazione di ogni acquisizione intellettuale, in definitiva lo scetticismo. O anche, alla scuola di singannatrice dell'esperienza, abbassa progressi va mente le sue convinzioni etiche primordiali sino a far le coincidere con i propri effettivi comportamenti. Dalla Rivelazione apprendiamo che questa specie di suicidio spirituale - della creatura che non accetta di riconoscere la sua finitezza e i fallimenti che natu ralmente incombono su di lei se è lasciata a sé sola è l'unico serio ostacolo che possiamo porre all'azio ne misericordiosa del «Dio Salvatore»
(Le l ,47: «Dio
mio salvatore», come canta la Vergine Maria); ed è l'unica autopreclusione deli'uomo ad accedere alla salvezza. Con questo significato si possono leggere le terrilO
bili parole del Signore Gesù: «Guai a voi che siete sa zi» (cf Le 6,25); vale a dire: guai a voi che avete spen to artificiosamente in voi ogni fame di verità e di sal vezza. E si capiscono meglio in questa luce le sue ri tornanti polemiche coi farisei, che «presumevano di essere giusti» (cf Le 18,9) e dunque di essere già au tonomamente «salvi».
Lo scacco inevitabile della morte
Da un altro «scacco» è ancor più malagevole che l'uomo possa difendersi, anche se la sua capacità di autoingannarsi è quasi senza confini; ed è la morte. La morte è per noi una disfatta totale: tutto in essa viene vanificato. Il nostro destino appare qui assimi lato a quello dei bruti, sicché c'è in questa nostra fine quasi un'irrisione nei confronti di quanto ci fa diversi e più nobili: la razionalità, l'amore personale, il senti mento della bellezza, l'anèlito a una gioia senza offu scamenti e senza deteriorabilità. Come nota Solovev, «la morte livella ogni cosa e di fronte ad essa l'egoi smo e 1' altruismo sono parimenti privi di senso»
(l tre dialoghi, Edizione Marietti 1975, p. 159). L'appuntamento immancabile con la nostra morte ci dice che la salvezza, oggetto dei nostri intrinseci desideri, non può riguardare soltanto lo spazio dell'e sistenza terrena: deve includere, se non vuoi essere alla fine inconsistente e illusoria, anche una sopravvi venza ultratemporale. Solovev anzi nota che, essendo la morte un «fatto», soltanto da un altro «fatto» di se gno contrario può essere superata. Sicché egli arriva ad affermare che la risurrezione di Cristo, in quanto principio della nostra vittoria sulla morte, è «Una veIl
rità non solo della fede, ma anche della ragione», dal momento che «Se Cristo non fosse risorto... , il mondo ci apparirebbe una cosa assurda, come il regno del male, dell'inganno, della morte» (Sette lettere pa
squali, in l tre dialoghi, p. 257). La salvezza dalla «perdizione» Di più, il Dio che manifesta il suo disegno di amo re e interviene positivamente nella nostra storia, ci ri vela e ci offre una «salvezza totale»: vale a dire, una sublimazione trascendente ed escatologica dell'intera nostra realtà umana. E poiché l'uomo è costitutivamente un «essere li bero», chiamato a scegliere tra due contrari destini definitivi, la salvezza di cui il Padre misericordioso ci parla e ci gratifica è conquista di uno stato di vita sen za termine e di una letizia non insidiabile, che si con trappone a una condizione irreformabile di avvili mento e di pena. «Salvezza» nel cristianesimo è ingresso nella «Vi ta eterna» e nel «Regno dei cieli», come è prospettato continuamente dai discorsi del Redentore; è riapertu ra del «Paradiso», che ci era stato precluso (cf Gn
3,24), secondo la promessa del Signore crocifisso al ladro pentito crocifisso con lui (cf Le 23,43).
La questione teologica La questione, come s'è visto, è primariamente «umana» e «naturale», e insorge in noi indipenden temente dalla nostra fede o dalla nostra incredulità. Ma noi, essendoci proposti di approfondire i rappor12
ti tra Chiesa e salvezza, dobbiamo ovviamente atte nerci a una indagine di natura teologica; la sola d'al tronde che arrivi a una conclusione che appaghi e non deluda. Il nostro problema diventa allora quello di chiari re quali siano i contatti e le intersecazioni tra la «SO teriologia» (cioè la dottrina rivelata sulla salvezza) e la «ecclesiologia» (cioè la dottrina rivelata sulla Chiesa).
«Universale salutis sacramentum» Il Concilio Vaticano II ci offre autorevolmente una buona partenza, quando insegna che «la Chiesa è l'u niversale sacramento di salvezza»: «Ecclesia est uni versale salutis sacramentum».
È una formula che
de
ve essere singolarmente piaciuta ai Padri conciliari, dal momento che la ripropongono sempre identica in tre documenti diversi:
Lumen gentium 48 (21 novem 1964); Ad gentes l (7 dicembre 1965); Gaudium et spes 45 (7 dicembre 1965).
bre
In effetti, appare felice il ricorso, in questo conte sto, all'antica categoria sacramentale, estesa all'inte ra realtà della Chiesa. «Sacramento» indica non solo «segno», ma «segno che opera»; non solo «figura», ma «figura attuativa»; non solo «simbolo», ma sim bolo che è anche possesso «in mysterio>>. La Chiesa quindi, oltre a proclamare l'esistenza di una volontà e di un'azione di riscatto a favore dell'uomo da parte di Dio, entra in questa azione salvifica con una partecipazione emblematica ed ef ficace: è, appunto, «sacramento universale di sal vezza».
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«Extra Ecclesiam nulla salus» L'antica tradizione della dottrina cattolica cono sceva però un altro aforisma: «Extra Ecclesiam nulla salus» («fuori della Chiesa non c'è salvezza»). In che rapporto stanno tra loro queste due diverse espressioni? Va detto subito che esse non sono so vrapponibili: quella del Vaticano II, che si enuncia con locuzione positiva, consente interpretazioni .più sfumate e possibiliste; quella antica, proprio perché negativa, non lascia spazio a nessuna eccezione. Sotto il profilo strettamente linguistico, bisogna obiettivamente riconoscere che le due formule né coincidono né si contraddicono; e così lasciano intat to il problema di merito. Che è appunto il nostro pro blema. Indubbiamente va ammessa e proclamata una in trinseca relazione tra la Sposa di Cristo e la salvezza degli uomini; ma in che cosa precisamente consiste? In termini ancora più espliciti: l'appartenenza alla Chiesa è una strada alla salvezza che è obbligatoria e necessaria per tutti? O è piuttosto un percorso utile ma facoltativo? O, se si vuole, è al massimo una «cor sia preferenziale»?
È ciò che ci
proponiamo di appu
rare. La corretta metodologia Problemi come questi corrono il serio pericolo di essere affrontati con una metodologia non adeguata o non pertinente- di indole, potremmo dire, «politica» - come sarebbe quella che facesse credito alla solle citudine di facilitare il dialogo e la convivenza con quanti sono dichiaratamente estranei alla vita eccle14
siale; sollecitudine «pratica» e «comportamentale» che, quando non è esclusiva, può essere legittima e perfino doverosa, ma è dubbio che possa di solito of frire giusti criteri per il rinvenimento della verità. La verità va ricercata per se stessa: le attenzioni di altra natura non sono di molta utilità. Va ricercata dunque all'interno della «sacra docrina», nella quale si conserva integra e giovane la Rivelazione di Dio, senza che ci abbiamo a preoccupare di ciò che ai no stri giorni è giudicato «politicamente corretto» o di ciò che viene ossessivamente imposto dalle ideologie dominanti.
Struttura della nostra indagine In concreto, articoleremo la nostra investigazione tentando di chiarire successivamente: - che cosa sia la Chiesa nella sua realtà più essen ziale e più incontestabile; - che cosa comporti la «ecclesialità della salvez za»; - che cosa propriamente significhi «appartenenza ecclesiale».
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I
LA REALTÀ DELLA CHIESA
Che cosa è la Chiesa? Lungo il secolo ventesimo, nella predicazione comune e nella catechesi, la realtà della Chiesa è stata variamente presentata e descritta.
Il catechismo di Pio X Per molti decenni i ragazzi hanno mandato a me moria la definizione del Catechismo di Pio X: «La Chiesa è la società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e la dottrina di Gesù Cristo, par tecipano ai suoi sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da lui». Questo testo aveva il pregio di richia mare implicitamente la direttiva, ultima e riassuntiva, impartita dal Signore risorto agli Apostoli secondo la finale del vangelo di Matteo: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osser vare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19). Utilizzando il concetto di «società», questa defini zione metteva in primo piano la natura giuridica della Chiesa; aspetto che è certo incontestabile ma è anche il più esteriore e, per così dire, il più «mondano». Nel la parola di Dio, il «mistero ecclesiale» appare con notato di una originalità e di una ricchezza che qui so no poste in ombra e anzi, a essere schietti, appaiono mortificate.
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Il «Corpo mistico di Cristo» Tra le due guerre, gli studi e la riflessione del ge suita fiammingo Emile Mersch hanno rilanciato nella coscienza della cristianità l'identificazione della Chiesa come «Corpo mistico di Cristo». Era il deciso superamento della visione prevalentemente giuridica, realizzato mediante il recupero del pensiero di san Paolo e di tutta la tradizione patristica. Notiamo che l'introduzione in questo contesto ecclesiologico del l'aggettivo «mistico», che non c'è in san Paolo, era ri tenuto opportuno per evitare la confusione con il cor po individuale di Gesù. Questo approccio al mistero ecclesiale ha ricevuto la sua più convinta e più autorevole «consacrazione» dall'enciclica
Mystici Corporis di Pio XII (1943),
nella quale con chiarezza si afferma che «la Chiesa è il Corpo mistico di Gesù Cristo». Tale modo di guar dare alla Chiesa è nettamente prevalente negli anni immediatamente precedenti il Concilio, e l'ecclesio logia che vi è implicita ispira anche la prima encicli ca di Paolo VI,
Ecclesiam suam (1964).
Il «popolo di Dio» Dopo la Costituzione
Lumen gentium- che ha de
dicato l'intero secondo capitolo al concetto di «Chie sa popolo di Dio»- appunto quest'ultima prospettiva si impone e si generalizza nella cristianità. Non era per altro una novità. Anche il Catechismo Tridentino, citando sant'Agostino, diceva che «Eccle sia est populus fidelis per universum orbem disper sus» (edizione
1891, p. 86: «la Chiesa è il popolo fe
dele che è diffuso nel mondo intero»); espressione
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che è ripresa e perfezionata dal recente Catechismo della Chiesa Cattolica: «Ecclesia est populus quem Deus congregat ex mundo universo» (n. 752: «la Chiesa è il popolo che Dio raduna nel mondo inte ro»). Non era una novità, ma nell'opinione postcon ciliare più divulgata è stata entusiasticamente accolta e conclamata come tale. Bisogna poi osservare che la concezione ecclesio logica della Lumen gentium non si riduce a questa so la categoria né tanto meno suppone una presa di di stanza dalla Mystici Corporis. A questo proposito è significativo che nella Tertio Millennio adveniente
( 1994) Giovanni Paolo II abbia potuto scrivere: «Nel l' Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pie namente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la realtà del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo» (n. 19).
Valutazione critica Possiamo dare un rapida valutazione de Il'odierno prevalere del concetto di popolo di Dio. Riferito alla Chiesa, esso risale agli albori del cri stianesimo e non è mai stato messo in discussione. Ha dunque pieno diritto di cittadinanza nel pensiero cat tolico, e anzi il suo ritorno con una più motivata e convinta consapevolezza va ritenuto positivo e prov videnziale. Essendo una visione primaria ed elemen tare, non può essere in nessun modo trascurata. Ma è appunto una nozione «iniziale»: la Rivela zione divina- in special modo come è documentata dagli scritti paolini- movendo da qui arriva poi ad approfondimenti che dalla sola idea di «popolo» non
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si lasciano rappresentare. Il convincimento di essere il «nuovo Israele» è il dato di partenza; ma l'autoco scienza ecclesiale, come traspare dagli scritti aposto lici, tocca il suo vertice di intensità quando la Chiesa sperimenta la gioia e lo stupore di essere la «Sposa» e il «Corpo» di Cristo. Se si riduce invece tutta la comprensione della Chiesa alla nozione di «popolo di Dio» non è possibi le evitare alcuni inconvenienti teologici gravi e incre sciosi. Il primo è quello di non cogliere nella sua decisiva rilevanza il passaggio dall'Antico al Nuovo Israele: l'uno e l'altro infatti sarebbe qui appellato alla stesso modo. La Chiesa è appunto frutto di questo «passag gio», cioè della «Pasqua del Signore crocifisso e ri sorto», la quale è una svolta decisiva nella storia del la salvezza ed entra a determinare l' indole propria della «nazione santa» (cf l Pt 2,9). In secondo luogo, se si definisce la Chiesa soltan to come «popolo di Dio», Cristo non viene esplicita mente e direttamente chiamato in causa. Né san Pao lo né san Giovanni ci applaudirebbero, essi che dopo una lunga elaborazione alla fine hanno compreso che la «ecclesialità» è in sostanza una intrinseca relazio ne con il Salvatore che sta alla destra del Padre. C'è infine un terzo rischio, che in questi decenni si è rivelato non puramente ipotetico: mettendo in pri mo piano e ritenendo esauriente il concetto di «popo lo», c'è il pericolo di essere indotti a pensare alla Chiesa come a qualcosa di prevalentemente sociolo gico, che ha poca attinenza col «mistero nascosto da secoli» (cf Col 1,26), di cui ci parla la lettera ai Co lossesi. 19
Così è avvenuto- e in molte parti sta ancora avve nendo- che nonostante le intenzioni originarie di non lasciarsi impigliare dall'esteriorità e dal legalismo le questioni ecclesiologiche oggi più dibattute siano di natura sociale e giuridica: il modo di elezione dei ve scovi, il valore da assegnare agli atti delle strutture di partecipazione, la «democraticità» degli organi deci sionali, eccetera. La riflessione dei credenti va disincagliata da que ste secche di «mondanità», perché possa navigare nel mare della gioia e della ammirata contemplazione, che negli animi illuminati non manca di essere susci tata dalla bellezza trascendente del disegno del Padre che si attua nella Chiesa.
Alla scuola di san Paolo A questo fine è utilissimo andare in particolare al la scuola dell'apostolo Paolo, prendendo specialmen te in considerazione il pensiero della sua maturità, quale è espresso dalle così dette «lettere della pri gionìa». In esse egli trascende la realtà visibile e «Sto rica» della Chiesa (che pure gli è ben presente) per cogliere adeguatamente la sua realtà «totale», che per molti aspetti è sovrumana e nascosta. Essa gli si rive la come il «corpo» glorificato del Risorto, il «piero ma» (la «pienezza») di Gesù, dove l'azione santifi cante del Padre per mezzo dello Spirito si realizza senza ostacoli e senza lacune: «Lo ha costituito su tut te le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tut te le cose» (cf Ef 1,22-23).
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Che cosa è la Chiesa Possiamo adesso capire che cosa sia la Chiesa nel la sua verità sostanziale: è la creazione - e segnata mente, per quel che più direttamente ci riguarda, l'u manità- in quanto è stata raggiunta e trasformata dal l' azione redentrice di Cristo, e in quanto dall'effusio ne rinnovatrice dello Spirito Santo è congiunta onto logicamente al Signore risorto. Come si può facilmente intuire, secondo questa visione delle cose la realtà ecclesiale è data da tutto ciò che è toccato e riplasmato dal Salvatore, non da ciò che gli è rimasto disgiunto ed estraneo; da ciò che è stato permeato in vario modo e in varia misura dal fuoco pentecostale, effuso dall'unico Mediatore che sta alla destra del Padre, non da ciò che si è sottratto a questa azione rinnovatrice ed è rimasto freddo, impe netrabile, opaco.
La «ecclesìa» Dali'azione dello Spirito ogni essere- anzi ogni ve lo d'essere, ogni pensiero, ogni inizio di volizione, ogni agire- che è stato raggiunto, purificato e trasformato (e proprio a misura che è stato raggiunto, purificato e tra sformato) è raccolto in una «ecclesìa», cioè in una «convocazione», che determina un'unica vivente realtà. Cominciamo così a intravedere quale sia la «con sistenza» oggettiva della Chiesa e a renderei conto del suo «mistero»: «mistero» è ciò che, eccedendo la no stra finitezza, appunto per questo è in grado di portar la a salvamento. Proprio della Chiesa intesa così cer cheremo di capire quale sia la funzione necessaria in ordine alla salvezza di tutto il genere umano.
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II
LA «ECCLESIALITÀ» DELLA SALVEZZA
Tre necessarie premesse Per accostarsi con correttezza teologica al proble ma della «ecclesialità» della salvezza- e soprattutto per non incorrere in incresciosi malintesi e in critiche non pertinenti- vanno preliminarmente poste al sicu ro tre irrinunciabili verità: la necessità per l'uomo di scampare da una rovina incombente, unitamente alla persuasione che questo è un traguardo che da solo non gli è dato di conseguire; l'esistenza di un unico Salvatore degli uomini, che è Gesù Cristo; l'esistenza in Dio di una volontà salvifica che concerne tutti gli uomini senza eccezioni.
Necessità per l'uomo di una salvezza Al primo convincimento abbiamo già fatto cenno nel discorso introduttivo. Ma è un dato troppo impor tante per non venire qui ribadito. L'uomo comune aspira d'istinto a essere difeso e preservato dalla morte, in particolare quando si rende conto che essa non soltanto appare come l'annienta mento della sua personalità, ma anche come la vanifi cazione di ogni mèta raggiunta, di ogni merito, di ogni ideale. Chi non è ideologicamente intorpidito e 22
reso insensibile, avverte la drammaticità di questa di sfatta che tutti dobbiano subire, e insieme la sua as surdità; addirittura la sente quasi come un'oggettiva ingiustizia.
E la sperimenta con un'angoscia tanto più lanci nante quanto più con gli occhi della carne non gli è concesso di scorgere nessun rifugio possibile. Ma anche antecedentemente al pensiero della mor te, l'uomo comune che non rinuncia
a
pensare si im
batte in un altro motivo di sconforto: egli non può non cercare il senso ultimo delle cose, della vicenda uma na, di se stesso; e dal momento che non gli riesce di trovarlo si sente vittima di una contraddizione.
È
la
contraddizione di una creatura ragionevole che è in balìa dell'insignificanza, e quindi dell'irrazionalità. E da questa contraddizione sospirerebbe di essere libe rato. Infine l'uomo, se onestamente contempla il suo mondo interiore, vuol essere sottratto alla tirannia pungente del male che in passato egli ha compiuto e dal male che, se lasciato a sé solo, prevedibilmente lo vincerà. In sostanza, ha fame di perdono e di grazia.
La «Salvezza eterna» I credenti sanno inoltre che la «salvezza» annun ciata dal Vangelo di Cristo ha sì anche un valenza ter restre, ma ha soprattutto una intrinseca dimensione ultramondana ed eterna. La nostra storia personale non ha un unico sbocco obbligatorio, non ha un lieto fine immancabile come i vecchi cinema americani: duplice è l'esito possibile della nostra avventura, come è significato dalle nitide
23
affermazioni di Gesù (cf Mt 25,34.41; Gv 5,28-29). Abbiamo di fronte a noi una tremenda alternativa: o salvarci o andare perduti; o conseguire o mancare il destino di felicità escatologica che ci è stato assegnato. La posta in gioco, come si vede, è altissima. Perciò la Chiesa nella sua antica preghiera eucaristica è in dotta a supplicare: «Salvaci dalla dannazione eterna e accogliei nel gregge degli eletti» (Canone romano).
L'unico necessario Salvatore Il secondo convincimento pregiudiziale e ineludi bile per chi accoglie la verità del Vangelo si riferisce all'indole assolutamente cristologica della salvezza annunciata ed elargita dali' evento cristiano. Occorre cioè mettere al riparo da ogni esitazione e da ogni am biguità la certezza che Gesù è l'unico necessario Sal vatore di tutti. Nei primissimi giorni di vita ecclesiale, iliuminato e rianimato dal fuoco di Pentecoste, Pietro enuncia il caposaldo esistenziale di ogni non superficiale ade sione alla «buona novella»: «In nessun altro c'è sal vezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, I 2). Specialmente di questi tempi si deve fare attenzio ne che le encomiabili aperture verso le varie forme di religione e il dialogo doveroso con le diverse culture non cristiane non conducano di fatto a scoronare il Fi glio di Dio crocifisso e risorto della prerorogativa, che gli è intrinseca e connaturale, di essere il «Salva tore del mondo» (cf Gv 4,42): del «mondo», cioè del la totalità delle creature personali e delle cose. Da 24
queste aberrazioni il cristianesimo come annuncio ed evento di salvezza sarebbe colpito al cuore e alla fine vanificato. Oggi molti ritengono che non ci sia un solo per corso per accedere al Dio che salva. Sarebbe perciò insostenibile la pretesa di identificare in Cristo l'uni ca via alla redenzione umana. Non è una posizione nuova: alla fine del quarto se colo la troviamo mirabilmente espressa, in polemica con sant'Ambrogio, dal prefetto dell'Urbe Aurelio Simmaco: «Ciascuno ha i propri costumi, ciascuno ha i propri riti; la mente divina assegna alle città culti diversi perché le proteggano; come le anime di colo ro che nascono, così vengono distribuiti ai popoli i geni del loro destino ... Che importa quale sia la dot trina che ciascuno segue per la ricerca del vero? A un così grande mistero non si può giungere per un'unica strada» (Ep. 72a,8-1 0). Il che potrebbe essere sostenibile, tranne nel caso che Dio stesso abbia positivamente stabilito il cammi no necessario per arrivare a lui. Così afferma appunto energicamente la Rivelazione cristiana.
È la
risposta
di Ambrogio al suo illustre interlocutore e parente: «"A un così grande mistero- dice Simmaco- non si può giungere per un'unica strada". Ma ciò che voi ignorate, noi l'abbiamo appreso dalla stessa voce di Dio; e ciò che voi cercate attraverso ipotesi, noi lo co nosciamo con certezza dalla sapienza stessa di Dio e dalla sua verità» (Ep. 73,8). Senza dubbio, questa unicità del percorso salvifico -espresso e compendiato nella realtà di Gesù di Naza ret crocifisso e risorto- non è conosciuta da coloro che ancora non sono stati illuminati dal Vangelo; ma sul 25
piano dell'essere anche costoro, quando si salvano, si salvano in virtù della grazia di Cristo. Analogamente, press' a poco, chi cade da un albero cade in forza della legge di gravità anche se ancora non la conosce.
La «volontà salvifica universale» Allo stesso modo- ed è la terza premessa - non va mai revocata in dubbio o persa di vista la persuasione che c'è in Dio una «volontà salvifica universale». Il Padre «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (l Tm 2,4). Le parabole «della misericordia» ribadiscono questo principio con la concretezza tipica dei discorsi del Si gnore: Dio non si accontenta del cinquanta per cento (cf Le 15,11-32: parabola dei due figli); non si accon tenta del novanta per cento (cf Le 15,8-10: parabola delle dieci monete); non si accontenta neppure del no vantanove per cento (cf Le 15,4-7: parabola della pe cora smarrita). Vuole che il suo amore raggiunga la totalità. Nella visione cristiana è perciò del tutto inaccetta bile anche la semplice ipotesi che un essere spirituale possa andare perduto, se non per sua libera decisione. Nessuno è estromesso dall'azione redentrice e rinno vatrice, assegnata dal Padre al Figlio suo fatto uomo, unicamente in conseguenza di una sua casuale e in colpevole collocazione geografica, etnica o religiosa.
In sintesi Queste tre verità - appunto perché appartengono a uguale titolo al patrimonio della fede- ci aiuteranno a 26
mantenerci sulla giusta strada nel cammino che ab biamo intrapreso. Non dovremo perciò mai perdere di vista né la necessità per l'uomo di sfuggire al nau fragio irreversibile della sua esistenza, approdando definitivamente alla «Sorte dei santi nella luce» (cf Col l , 12); né l'assoluta, indispensabile, universale connessione di questo «approdo» con l'azione riscat tatrice di Cristo; né la certezza che nel progetto divino nessuno va perduto, se non in conseguenza di una sua personale, consapevole e libera chiusura alla miseri cordia del Padre che è offerta a tutti.
L'insegnamento della Chiesa antica Entrando finalmente nel merito del nostro proble ma, va detto che il nesso tra Chiesa e salvezza non ap pare mai contestato nel!'autentica tradizione ecclesiale. Di più, riceve ben presto positivamente alcune si gnificative formulazioni.
È celebre,
ad esempio, l'afo
risma icastico di san Cipriano di Cartagine: «Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre»
(De catholicae Ecclesiae unitate 6). Sant'lreneo approfondisce il discorso, richiaman dosi all'azione dello Spirito Santo: «Nella Chiesa ha posto ... ogni effetto operato dallo Spirito: non ne par tecipano coloro che non accorrono alla Chiesa, pri vandosi essi stessi della vita ... Perché dove c'è la Chiesa, lì c'è anche lo Spirito di Dio; e dove c'è lo Spirito di Dio, lì c'è la Chiesa e ogni grazia»
sus haereses III,
(Adver
24, l).
Anche sant'Agostino esprime la connessione tra Chiesa e salvezza in una contrapposizione tagliente: «Mundus damnatus, quidquid praeter Ecclesiam;
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mundus reconciliatus Ecclesia» (Sermo 96,8: «Il mondo condannato è dato da tutto ciò che è fuori del la Chiesa; il mondo riconciliato-cioè, salvato-è la Chiesa»).
«Extra Ecclesiam nulla salus» Ma la frase più diffusa, fino a essere quasi stereoti pa, è quella che già abbiamo citato: «Extra Ecclesiam nulla salus» («fuori della Chiesa non c'è salvezza»). Essa ricorre in diversi documenti del Magistero, quali: -la professione prescritta ai Valdesi da Innocenza III nel 1208: «Extra unam, sanctam, romanam, catho licam Ecclesiam neminem sal vari credimus» («al di fuori della Chiesa una, santa, romana, cattolica cre diamo che nessuno si salvi»); -il Concilio Lateranense IV nel 1215 contro gli Albigesi: «Una est fidelium universalis Ecclesia, ex tra quam nullus omnino salvatur» («Una sola è la Chiesa universale dei fedeli, al di fuori della quale as solutamente nessuno si salva»); -il Concilio Fiorentino del 1442 nel Decretum pro Jacobitis: «Neminem posse salvari nisi in catholicae
Ecclesiae gremio et unitate permanserit» («nessuno si può salvare se non permane nel grembo e nell'u nità della Chiesa Cattolica»).
Origine della frase Donde nasce il detto-«extra Ecclesiam nulla sa lus»-che non c'è nella parola di Dio? Così come gia ce, risale a Origene nella sua meditazione sulla pro-
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stituta di Gerico, di cui sta scritto nel libro di Giosuè: «Soltanto Raab, la prostituta, vivrà e chiunque è con lei nella casa» (Gs
6, 17). Ed ecco il commento orige
niano: «Fuori di questa casa, cioè fuori della Chiesa, nessuno si salva; se qualcuno sarà uscito fuori, è lui stesso responsabile della sua morte»
homiliae 3.5:
(In Iesu Nave
«Extra hanc domum, id est, extra Ec
clesiam nemo salvatur... »). Ori gene così sentenziava in Egitto, neli' Africa greca. Negli stessi anni, san Cipriano, scrittore latino deli' Africa Proconsolare, enunciava lo stesso princi pio: «Salus extra Ecclesiam non est»
(Epistulae 73,2:
«Fuori della Chiesa non c'è salvezza»).
Le difficoltà della cultura contemporanea
È innegabile che tale
asserto suoni particolarmen
te irritante alla cultura contemporanea. Sicché molti lo espungono dalle loro trattazioni ecclesiologiche, e semplicemente lo trascurano come un residuo caduco di concezioni sorpassate, ormai impresentabile agli uomini del nostro tempo. Ma è davvero encomiabile questa disinvoltura? Censurando un'affermazione tanto ampiamente docu mentata nella tradizione ecclesiale, non si corre il ri schio di relativizzare ogni dottrina, al punto che nes sun insegnamento potrebbe più essere giudicato certo e irrevocabile? Domandiamoci piuttosto: perché il principio ec clesiologico della salvezza incontra reticenza o addi rittura opposizione- più o meno esplicita- non solo nella mentalità mondana ma anche all'interno della riflessione teologica?
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Forse tutto deriva dall'idea che si ha della Chiesa. Se prevale una concezione più o meno inconscia mente avulsa da Cristo e dal suo mistero - se, per esempio, si ha della Chiesa una visione prevalente mente giuridica e sociologica- allora l'avversione a quel principio non solo è naturale, ma può apparire perfino doverosa. Ogni riserva invece cade, se si arri va a pensare la Chiesa primariamente come «Chri stus totus»: allora il consenso diventa logico, pieno, gioioso.
Una prima sostanziale certezza Se, come abbiamo cercato di chiarirci, la «eccle sialità» è nel suo significato proprio e più adeguato intrinseca relazione con Cristo, allora si fa ovvio e gratificante l'asserto che una qualche appartenenza al «Cristo totale» sia - più che una condizione - una connotazione sostanziale della nostra possibilità di salvezza. Possiamo quindi ritenere indubitabile che per rag giungere la salvezza, nell'effettivo ordine di cose pensato dal Padre (che ha al suo centro il Cristo Re dentore), bisogna appartenere alla Chiesa o almeno avere con la Chiesa qualche relazione salvifica. Ma quali possono essere queste relazioni che con nettono in modo salvifico gli uomini al «Corpo di Cristo»?
Precisazioni del Vaticano II Possiamo a questo proposito raccogliere qualche prezioso bagliore di verità dalla meditazione che il
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Vaticano II istituisce sulla problematica che qui ci in teressa. Nella Lumen gentium, dopo aver asserito che «questa Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvez za» (n. 14), il Concilio precisa: «Perciò non potreb bero salvarsi quegli uomini che, pur non ignorando il fatto che la Chiesa Cattolica è stata fondata come ne cessaria da Dio per mezzo di Gesù Cristo, non voles sero però entrarvi o rimanervi» (ib.). E quelli che innocentemente ignorassero questo dato di fatto? La risposta è equilibrata e rasserenante: «Coloro che senza loro colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere fattivamente la volontà di Dio conosciuta attraverso il dettame della coscienza, costoro possono consegui re l'eterna salvezza» (n. 16). Sotto il profilo «morale», soggettivo e concreta mente «esistenziale», la risposta è pienamente soddi sfacente. Sotto i l profilo teoretico e rigorosamente teologico, resta ancora da vedere se non si richieda in ogni caso qualche tipo di legame antologico oggetti vo con Cristo e qualche forma di appartenenza maga ri inconsapevole alla sua Chiesa. In altre parole, si tratta di asseverare se l'antico assioma («extra Eccle siam nulla salus>>) possieda o no, nella realtà profon da delle cose, una sua insuperabile validità.
La «radice» della multiforme realtà ecclesiale La «radice>> di tutto il mistero della creazione re denta e rinnovata, cioè della Chiesa, è l'inserimento nell'intimo della vita divina di Gesù di Nazaret umi-
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Iiato fino alla morte in croce ed esaltato fino alla de stra dell'Onnipotente. Possiamo anzi dire che la «radice» è lui, che es sendo veramente e integralmente uomo è anche l'U nigenito del Padre e il comprincipio della missione del Paraclito. Dal momento che è entrato nel gioco delle relazioni divine uno che è della nostra stirpe e della nostra natura, la vitalità increata ed eterna tra bocca e investe l'umanità intera: appunto questo evento ineffabile è la sorgente di tutta la «ecclesia lità». Poiché lo Spirito unico e unificante, inviato dal Ri sorto, si riversa sulla molteplicità che è propria del creato, innervando la pluralità degli esseri, dei tempi e delle situazioni che caratterizza la nostra «storia», la sua efficacia ha una fenomenologia varia e compo sita, che ora mette conto di prendere almeno somma riamente in esame, al fine di cogliere in tutta la sua verità e concretezza la realtà ecclesiale, frutto della Pentecoste perenne.
La santità interiore dell'uomo La prima realtà che è raggiunta dallo Spirito man dato dal Risorto è il mondo interiore dell'uomo: di ogni uomo, perché non è pensabile che ci sia un figlio di Adamo - cioè una creatura esemplata originaria mente su Cristo - trascurato da questa elargizione del Signore e Salvatore di tutti. Lo Spirito è luce, e viene prima di tutto a poten ziare le nostre capacità conoscitive. Ogni verità, che germogli nell'intelligenza di un uomo, è riverbero del suo fulgore. Perciò è stato detto giustamente- e san
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Tommaso lo ripete più volte- che «ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo» (cf lo Pseudo-Ambrogio, in l Cor XII, 123: «Quidquid ve rum a quocumque dicitur, a Sancto dicitur Spiritu»). Se poi la mente umana sotto questo sole progres sivamente si schiude, viene condotta a poco a poco dallo Spirito alla «verità tutta intera» (cf Gv 16,13); cioè a quella comprensione dell'ordine sopranna turale che è del tutto inconoscibile all'uomo «psichi co», cioè all'uomo lasciato alle sole sue forze intel lettive (cf l Cor 2,14). Lo Spirito è calore di vita ed è lui a suscitare nei cuori ogni positiva aspirazione, ogni impulso di bene, ogni fremito per la giustizia e per la solidarietà, ogni desiderio di elevazione, ogni iniziale atto d'amore. Che se si lascia coinvolgere in questo fuoco, senza opporre una resistenza invincibile, l'anima viene a poco a poco portata alla ricchezza ineffabile della vi ta di carità. Questa nuova capacità di conoscere e di amare, quando arriva a permeare di sé tutto il nostro essere, ci associa agli atti vitali di Dio, ci assimila a lui e, osiamo dire, ci divinizza (cf 2 Pt 1,4). Perciò è detto: «Quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio» (cfRm 8,14).
La libera appartenenza a Cristo Naturalmente questa attività e questa presenza del lo Spirito Santo nelle menti e nei cuori non è un'inva sione arbitraria, che domina e spadroneggia senza ri spettare la libertà di decisione e di orientamento che è propria della creatura spirituale. Al contrario: ogni 33
illuminazione e ogni mozione si attua nel rispetto di quella sinergia di grazia e di libertà che presiede alla nostra vita interiore in ogni suo momento e in ogni suo sviluppo. Tutto ciò si svolge nel mondo interiore dell'uomo, e può avvenire in ogni cuore che non si chiuda a queste sollecitazioni dall'alto, quale che sia la situazione esteriormente percepibile. Lo Spirito di Cristo, che è «santo», è sempre in tutti i suoi effetti «santificatore». Entrare nella strada della salvezza significa lasciarsi coinvolgere in un processo di santificazione presieduto e mosso dal Pa raclito. Come dice san Paolo: «Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito san tificatore» (cf 2 Ts 2, 13); e anche san Pietro nota che siamo stati eletti «mediante lo Spirito che santifica» (cf l Pt 1,2). Essere «salvati» vuoi dire essere «di Cristo»; ed essere di Cristo vuoi dire essere «diventati partecipi dello Spirito Santo» (cf Eb 6,4 ) , come con incisività si esprime la lettera agli Ebrei. «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene» (cf Rm 8,9); e non appartenere a Cristo, è essere estranei a ogni pos sibilità di salvezza.
La santità «soggettiva» La «santità», nel presente ordine di provvidenza, è una presenza divina nelle creature - più o meno in tensa, più o meno radicalmente trasformante - che non si identifica affatto con quella immanenza neces saria dell'Essere infinito e assoluto in tutti gli enti fi niti e contingenti, che è implicita nell'idea stessa di creaziOne. 34
È una «immanenza del divino», che si attua per un libero e ineguale traboccare dell'intima vita trinitaria:
è opera dello Spirito mandato dal Figlio crocifisso e risorto che vive alla destra del Padre. E benché sia una presenza non puramente intenzionale ma anto logica e in sé oggettiva, possiamo qualificarla come «santità soggettiva» nel senso che chiama in causa l'autonoma decisione del soggetto destinatario, e anzi ne postula e include la libera corrispondenza.
La presenza «sacrale» Ma la fantasia inesauribile di Dio ha disposto che tra gli effetti della Pentecoste perenne ci sia anche una santità che- a distinguerla da quella fin qui de scritta- chiameremo «oggettiva». E vogliamo signi ficare con questo termine che la sua permanenza e il suo valore sono per diversi aspetti sottratti all'incerto e volubile coinvolgimento dell'uomo. A semplificare il linguaggio e a evitare confusioni chiameremo «sa cralità» la «santità oggettiva» intesa così. Essa si avvera prima di tutto nella <<Sacra Scrittu ra»: nella Bibbia la verità salvifica è presente con la garanzia dell'autenticità e dell'infallibilità, e resta presente indipendentemente dall'uso più o meno cor retto che gli uomini ne possono fare. Si avvera altresì nelle azioni sacramentali e nei loro effetti permanenti: purché il gesto sia posto nella forma che Cristo ha vo luto, la forza del sacramento non è menomata né dal le cattive disposizioni del ministro umano né dallo squallore esterno del rito. Infine si avvera nella «suc cessione apostolica», che non verrà mai meno fino a che con la venuta del Signore si concluderà l'intera
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vicenda: i successori degli apostoli potranno anche essere inadeguati e perfino indegni, ma la loro mis sione resta «sacra»; resta cioè spiritualmente efficace e non cesserà mai, in virtù dello Spirito che è manda to dal Risorto, di essere obiettivamente portatrice di salvezza.
Il sacerdozio del popolo di Dio Gli elementi «sacri» sono certo di grande rilevan za nel disegno del Padre e ne costituiscono una fortis sima caratterizzazione. Sono, per così dire, la via or dinaria offerta agli uomini perché la trasformazione dei cuori operata dallo Spirito e l'assimilazione alla vita divina possano pienamente avverarsi con la mas sima sicurezza e con privilegiata intensità. Agli occhi di Dio la «nazione santa», il «sacerdo zio regale», il «popolo che egli si è acquistato» (cf l Pt 2,9) è quello che, nella sua più completa attuazio ne, è compaginato dal ministero apostolico, vive con coerenza la vita battesimale, sazia la sua sete di verità alle fonti garantite della parola di Dio. Che poi l'esuberanza dello Spirito sappia spargere semi cospicui di verità e di grazia in ogni cuore, an che il più remoto dalla realtà «sacrale», questo rivela
l' incommensurabilità dell'amore del Creatore per le sue creature e ci dice come siano senza confini l'effi cacia del riscatto operato dall'unico Salvatore e la po tenza rinnovatrice del suo Spirito; ma non pregiudica il «valore» della «Struttura sacrale» nell'ambito del progetto redentivo. L'irradiamento della salvezza nell'universo, di fat to, avviene perché in mezzo alla varietà delle genti,
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che sono poste in situazioni concrete diversissime nei confronti del piano primario di Dio, c'è un «popolo sacerdotale», che offrendo quotidianamente il sacrifi cio della Nuova Alleanza, innalzando le implorazioni ispirategli dal Paraclito che risiede nel cuore dei cre denti, proclamando instancabilmente e gioiosamente il Vangelo, sollecita a favore di ogni essere l'elargi zione della verità e della grazia. Così alla nostra vista, potenziata dali' alto, si di spiega e si manifesta la preziosità, la bellezza, la va lenza cosmica della Chiesa. Questo- chi lo sa coglie re- è il senso autentico del sacerdozio battesimale.
L'unità dell'universo rinnovato La molteplicità degli esseri, la complessità della vita spirituale dell'uomo, la pluralità delle situazioni, nonché la stessa natura discorsiva e inizialmente ana litica del nostro conoscere ci hanno costretti a dare dell'umanità redenta e rinnovata dalla Pentecoste pe renne una presentazione che sembrerebbe delineare una realtà soprannaturale frammentata e dispersa. Ma non sarebbe un'impressione veritiera. Vale ben più ampiamente dell'ambito dei «carismi» l'asserto di san Paolo: «Vi sono diversità di doni, ma uno solo è lo Spirito» (cf l Cor 12,4). Lo Spirito è essenzial mente sintetizzante: tutto raccoglie in unità e tutto ra duna nella comunione salvifica con colui che è la «ra dice» unificante di tutte le cose esistenti, cioè con il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore del mondo. La Chiesa- ecco l'ultimo approdo della nostra ri cerca sulla sua natura sostanziale - è la sintesi reale
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di tutti gli effetti pentecostali; cioè di quanto, per ope ra dello Spirito, a Cristo è vitalmente connesso e assi milato.
È,
se siamo riusciti a spiegarci, l'insieme or
ganico di tutto il «sacro» e di tutto il «Santo». Dopo questa lunga esplorazione si fa probabil mente un po' più chiaro che cosa comporti, nella ve rità delle cose, assegnare alla Chiesa la qualifica di «Cristo totale» e perché appunto nella connessione con il «Christus totus» si possa e si debba indicare la ragione e la causa della «salvezza» umana; una con nessione che, come vedremo, non è univoca e si attua in diversa modalità e diversa misura.
Concludendo Dovrebbe a questo punto essere chiaro il legame che necessariamente sussiste tra la «ecclesialità» e la «Salvezza» di ogni uomo. Abbiamo capito: «extra Ecclesiam nulla salus». Non c'è salvezza possibile al di fuori della Chiesa; che vuoi dire, in concreto: al di fuori del rapporto col Si gnore Gesù che sta alla destra del Padre ed è il princi pio della effusione dello Spirito capace di connettere ogni creatura con Cristo e di dar vita alla «ecclesìa». Ma allora la questione fondamentale diventa: chi è «dentro» e chi è «fuori» della Chiesa? E, prima anco ra, che cosa vuoi dire essere «dentro» e che cosa vuoi dire essere «fuori»? A questi interrogativi cercherà di rispondere il ter zo momento della nostra meditazione teologica.
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III
IL MISTERO DELL'APPARTENENZA ECCLESIALE
L'appartenenza ecclesiale Appartenere o no alla Chiesa - proprio perché è una condizione che si risolve in ultima analisi in quel la di essere o no connessi col Signore Gesù e assimi lati a lui- determina positivamente o negativamente n eli'uomo il suo rapporto reale con la salvezza: è il senso di ciò che siamo venuti dicendo. Ma quali sono le forme e quale la variabile inten sità di questa appartenenza? Sull'argomento della «appartenenza» ecclesiale ci sono prospettive che, pur essendo legittime e utili, so no però insufficienti. Tale è, ad esempio, l'ottica pu ramente giuridica o sociologica o comportamentale. La pertinenza di queste valutazioni è innegabile e la loro rilevanza non è da sottovalutare; ma non qui tro veremo la risposta adeguata e soddisfacente ai nostri interrogativi.
È
necessario che ci si collochi piuttosto entro la
contemplazione dell'intero disegno di Dio: al mistero della «ecclesialità» - che è, come s'è detto, il mistero stesso di Cristo colto nella sua integralità- consegue il «mistero dell'appartenenza ecclesiale». Ed è, ap punto, un «mistero»: la nostra esplorazione si muo-
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verà cioè entro l'ambito della medesima realtà «ecce dente» (la «res») che è il termine ultimo dell'atto di fede e dunque anche l'oggetto proprio della ricerca teologica.
È
«mistero» altresì perché quale sia la «ec
clesialità» effettiva di una creatura umana resta quag giù per larga parte il segreto di Dio. A favorire la chiarezza del nostro dire, gioverà prendere in successiva considerazione prima il grado minimo e, per così dire, la forma più blanda dell'ine renza salvifica nella Chiesa; poi il suo grado massi mo e la sua perfetta attuazione.
Il «grado minimo» La Lumen gentium insegna che gli uomini tutti in virtù di nient'altro che della loro stessa umanità, in dipendentemente dal fatto che abbiano o non abbiano di fatto ricevuto il Vangelo - «sono ordinati al popolo di Dio» (n.
16).
Ed è una verità indiscutibile.
Noi però, alla luce della dottrina cristocentrica, possiamo attribuire a questa primaria e universale «ordinazione» -che in definitiva è attinenza intrinse ca al «Christus totus» -uno spessore molto più con sistente della pura potenzialità o dell'assegnazione a tutti da parte di Dio di un unico soprannaturale desti no. Ogni uomo - essendo stato pensato in Cristo e preordinato a lui - con lui possiede nella sua propria natura un nesso reale inalienabile. Certo, alla radice di tutto questo c'è la libera vo lontà del Padre e l'unità del suo disegno. Ma la vo lontà di Dio non è mai pura intenzionalità che riman ga estrinseca ai suoi oggetti (come è spesso la nostra); e non dà origine a legami di indole meramente «giu40
ridica» o «morale»: le decisioni divine si manifestano sempre in effetti «Ontologici». Ogni figlio di Adamo è già immagine incoativa di Cristo; in questo senso, nessun uomo è estraneo al Si gnore crocifisso e risorto o è totalmente avulso da lui. Senza dubbio è un'immagine solo abbozzata, che at tende e chiede di essere rifinita; di più, è un'immagi ne sfigurata e avvilita dal dominio universale del pec cato: perciò essa anela intrinsecamente (prima ancora che questa «implorazione de Il' essere» si faccia con sapevole e personale) al restauro e alla sublimazione. Sotto questo profilo, di nessuna creatura umana si può mai dire in modo assoluto che «non è di Cristo» (e quindi che sia del tutto sconnessa dalla realtà eccle siale); come del resto di nessuna creatura umana si può dire che sul piano dell'essere non sia congiunta al suo Creatore e non gli appartenga, quale che sia lo sta to di degrado cui possono averla condotta le interiori violazioni aberranti e gli atti perversamente deliberati.
Il «grado massimo» La perfetta appartenenza di un uomo alla Chiesa si ha invece quando il suo rapporto col Signore Gesù nello Spirito Santo è senza lacune e senza allentamen ti, sicché il «ripristino» e la rinnovazione del suo es sere si possono dire compiuti.
È la condizione di chi è oggettivamente configura to a Cristo dal «carattere» impresso in lui dai sacra menti deli' iniziazione; ma al tempo stesso è interior mente trasformato dalla fede, dalla speranza e dalla carità, è nutrito nell'eucaristia dal banchetto sacrifica le che lo incorpora perfettamente a Cristo; e vive-
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con cordiale docilità nei confronti dei pastori, con umile e lieta fierezza, con totale coerenza di compor tamento- neli 'unico gregge affidato dal Signore al l'apostolo Pietro e al collegio dei Dodici. Questo è il caso limi te deli' appartenenza.
È
uno
stato esemplare, che però finché si è pellegrini sulla terra non si avvera mai con assoluta compiutezza. Gli si avvicinano i «Cattolici che vivono in grazia di Dio», e più ancora i santi quando arrivano a praticare in gra do eroico la sequela del Redentore crocifisso e le virtù evangeliche.
A questo traguardo ideale si deve tendere tutti sen za stanchezze: è il cammino del!' ascesi cristiana; cammino che non è mai concluso fino a che varche remo la soglia del Regno dei cieli.
È
da notare che gli elementi che entrano a com
porre l'appartenenza ecclesiale, tutti, per intrinseco dinamismo, mirano ad accendere e ad alimentare l'a more; quell'amore santificante che ha come destina tario suo proprio Cristo; e, in Cristo, sia Dio sia le im magini vive di Dio e di Cristo che sono i fratelli. Ed è questo amore che alla fine, con la sua presenza alme no implicita nell'animo umano, determina il conse guimento della salvezza eterna e anzi ne è una condi zione necessaria.
Le situazioni intermedie Tra il grado minimo e il grado massimo che abbia mo cercato di indicare, si dispiega una gamma prati camente infinita di situazioni, a seconda che l'uno o l'altro dei vari elementi di connessione e di assimila zione con Cristo siano in atto o siano latitanti. A mi-
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sura della rilevanza e della estensione di questi nessi si accresce il «valore» di una persona agli occhi di Dio e «si rende sempre più sicura la sua vocazione e la sua elezione» (cf 2 Pt 1,10). Ovviamente soltanto gli occhi di Dio arrivano davvero a vedere le cose come stanno. Agli occhi umani sono percepibili unicamente quei dati di ap partenenza che hanno una loro connaturale visibilità, come la vita sacramentale, lo statuto canonico dei cri stiani, la pubblica professione di fede.
Nessuno è totalmente «dentro» Dovrebbe risultare chiaro a questo punto che nes suno, finché è pellegrino sulla terra, può convincersi di appartenere alla Chiesa secondo la totalità del suo essere. Noi siamo «nella Chiesa» rigorosamente a mi sura che siamo stati dallo Spirito Santo congiunti e assimilati al Signore Gesù che sta alla destra del Pa dre; e dunque solo in quanto siamo raggiunti -coi suoi effetti di santificazione e di «sacralità»-dall'ef fusione pentecostale. Invece, quanto nei nostri pensieri, nei nostri desi deri, nella nostra sensibilità, nella nostra condotta non è stato ancora permeato dalla luce e dal fuoco del Pa raclito, rimane estraneo al «mistero della ecclesia lità». Ciascuno di noi possiede nel suo universo inte riore ampi continenti sui quali non è ancora stata eret ta la croce; ciascuno di noi-nella sua intelligenza, nella sua volontà, nella sua affettività-ha dentro di sé delle isole di paganesimo dove la Chiesa non è sta ta ancora impiantata. La vita cristiana-cioè la vita battesimale e, in ul-
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tima analisi, la vita eucaristica - si sviluppa attraver so una progressiva «chiesificazione»; vale a dire in un crescente estendersi e rinvigorirsi della nostra trasfor mante connessione con Cristo e con il Padre median te lo Spirito.
Nessuno è totalmente «fuori» Verosimilmente si deve anche ritenere - e in ogni caso è consentito sperare- che non si dia uomo alcu no sguarnito di ogni sia pur tenue valenza ecclesiale e posto interamente al di fuori della realtà del «Chri stus totus». E non solo per la sua natura inalienabile di creatura esemplata sul Figlio di Dio crocifisso e ri sorto, ma altresì per l'azione dello Spirito che «spira dove vuole» (cf Gv 3,8) e sa trarre scintille di verità da ogni intelligenza e sintomi di buona volontà da ogni cuore che non gli sia del tutto impermeabile. L'esuberanza del Dono pentecostale fonda in noi la fiducia in una sua efficacia sugli animi che non sia limitata se non da una ribellione o da una chiusura de liberata. Tutto ciò non deve però far dimenticare che il Pa raclito soltanto nella realtà «sacrale» ha un luogo cer to e identificabile di attività, una vitalità sovrabbon dante, un vigore garantito e immancabile. In un'agri coltura avvalorata da tutto un sistema di canali, di rogge e di roggette, è infallibilmente assicurata l'ac qua necessaria alla sete dei prati: possiamo qui vede re raffigurata l'azione dello Spirito immanente nella struttura «sacrale». Ma poi piove anche sui campi più aridi e più lontani: così, dove vuole e come vuole lo Spirito fa scendere sull'umanità le sue grazie. 44
Responsabilità morale e salvezza Le manchevolezze della inerenza ecclesiale di un uomo- in particolare se riferite all'assenza dei nessi «sacrali» con Cristo mediante lo Spirito - possono coesistere con la buona fede del soggetto e quindi es sere incolpevoli, quali che siano la loro estensione e la loro gravità. Ma nel momento in cui ci si rende conto che l'uno o l'altro elemento - ad esempio la verità della succes sione apostolica, del primato di Pietro, de!l'esistenza dei sette sacramenti, dell'elenco completo dei libri della Sacra Scrittura- è incluso nel piano divino e so stenuto dal divino volere, scatta l'obbligo di coscien za di accoglierlo e di onorario. Diversamente ci si po ne da sé fuori della strada salvifica. Se invece l'incompiutezza dell'appartenenza cat tolica non può essere ricondotta né prossimamente né remotamente alla responsabilità personale, non c'è- come è ovvio- colpevolezza. In questi casi il Signore saprà portare ugualmente a salvezza, facen do in modo che i nessi con Cristo che di fatto già sus sistono suppliscano ai nessi che purtroppo ancora non ci sono. L'oggettiva anomalìa di tali situazioni stimolerà ogni credente a favorirne il più presto possibile il su peramento; vale a dire, ad adoperarsi con tutte le for ze perché il Vangelo di Cristo sia annunciato a tutte le creature (cf Mc 16,15), il progetto del Padre sia inte gralmente reso noto e operante per tutti, la Chiesa Cattolica sia riconosciuta da tutti come l' «universale sacramento della salvezza».
45
L'insegnamento della Lumen gentium A questo proposito, è utile rileggere quanto è chia
ramente insegnato dalla Lumen gentium. «Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa- è un passo che già abbiamo citato -, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il detta me della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna» (n. 16). «Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal mali gno, hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore; oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò per promuovere la gloria di Dio e la salvezza di tutti costoro, la Chiesa, memore del comando del Signore che dice: "Predica te il Vangelo a ogni creatura", promuove con ogni cu ra le missioni» (ib.). «È spinta infatti dallo Spirito Santo a cooperare perché sia mandato ad effetto il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero. Predicando il Vangelo, la Chiesa attira gli udi tori alla fede e alla professione della fede, li dispone al battesimo, li toglie dalla schiavitù deli'errore e li incorpora a Cristo, affinché crescano in lui per la ca rità fino alla pienezza» (n. 17). «La Chiesa prega e lavora nello stesso tempo, af finché la pienezza del mondo intero passi nel popolo di Dio, corpo del Signore e tempio dello Spirito San to, e in Cristo, capo di tutti, sia reso ogni onore e glo ria al Creatore e Padre dell'universo» (ib.).
46
I «battezzati non cattolici» Esiste «un solo battesimo», sicché ogni lavacro «dali'acqua e dallo Spirito» - se è compiuto valida mente - incorpora sempre nel «Christus totus». Quanti perciò sono davvero battezzati- quale che sia la denominazione della comunità nella quale il rito viene celebrato- sono inseriti nell'unica Chiesa del Signore. Ma dall'unica Chiesa non si esce, se non per un atto personale di apostasia o di eresia o di scisma; un atto che deve essere anche soggettivamente colpe vole. Fino a che questa rottura non è consapevolmen te consumata, come si può pensare che il legame bat tesimale oggettivamente sia infranto? «Il battesimo costituisce quindi il vincolo sacra mentale dell'unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di essi sono stati rigenerati. Tuttavia il battesi mo di per sé è soltanto l'inizio e l'esordio, poiché es so tende interamente all'acquisto della vita in Cristo. Pertanto il battesimo è ordinato all'integra professio ne della fede, all'integrale incorporazione nell'istitu zione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine all'integra inserzione nella comunione euca ristica»
È
( Unitatis redintegratio 22).
fatale perciò che l'appartenenza ecclesiale non
si mantenga piena, se la vita battesimale ha poi un se guito sacramentale e catechetico oggettivamente di fettoso. Le varie denominazioni cristiane Un uomo singolo appartiene alla Chiesa a misura che è raggiunto e trasformato dallo Spirito; e dunque la solidità della sua inerenza salvifica è data simulta47
neamente dalla sua santità soggettiva e dalla sua san tità oggettiva. Invece i segni dell'ecclesialità di un'ag gregazione di cristiani stanno nella effettiva consisten za della «sacralità». Una Chiesa è pienamente identificabile come tale, là dove si trovano radunati tutti gli elementi «sacri» necessari e irrinunciabili; e cioè: la successione apo stolica, i sacramenti, la Sacra Scrittura. Quando qual cuno di questi elementi manca o è lacunosamente pre sente, la realtà ecclesiale esteriore risulta alterata in proporzione della manchevolezza che si riscontra. Si potrà parlare di «Chiesa», ma solo per un'analogia più o meno lontana.
È
dunque ben diversa la «verità» e la pertinenza
del termine «Chiesa» (che per cortesia e per consue tudine invalsa non si nega praticamente a nessuna de nominazione cristiana) quando è riferito alle comu nità orientali separate e quando è riferito alle aggrega zioni nate dalla Riforma: nelle prime l'identità eccle siale è quasi completa; nelle altre l'assenza della suc cessione apostolica, la perdita della maggior parte dei sacramenti, l'invalidità della eucaristia e l'incomple tezza dei Libri Sacri attenuano fortemente la loro «ec clesialità» sostanziale.
Preminenza del «segno eucaristico» Dei vari elementi «sacri», quello che è più deter minante in questa questione è senza dubbio l
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È «umanità salvata»; e non è per ope-
ra della miseria umana che possiamo essere riscattati dalla nostra miseria. Tutto ciò vale soprattutto in riferimento all'euca ristia. Perché si dia un vero battesimo la misericordia del Signore ha stabilito che basti l'intenzione del ministro di collegarsi almeno implicitamente alla volontà sal vifica del Padre. Invece per il mistero del «Corpo da to» e del «Sangue versato», che si fa presente sotto i segni del pane e del vino, l'intervento del ministero apostolico è di rigore. Non c'è eucaristia, se non c'è la presidenza del sacerdozio ordinato che collega il rito con il mandato di Cristo. Ma proprio qui, nel sacrificio della Nuova Allean za che è posto nelle nostre mani, sta la manifestazio ne più alta e quasi il compendio di ogni autentica «ec clesialità».
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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Riconoscenza e gioia II guadagno più prezioso di questa indagine labo
riosa - e anzi riassuntivo, per qualche aspetto, di ogni approfondimento che si è potuto raggiungeresta nell'esplicita presa di coscienza della rilevanza della Chiesa nella vicenda umana e nella rinascita in noi di un forte sentimento di gioia e di riconoscenza per l'appartenenza ecclesiale di cui siamo stati grati ficati. L'ecclesiologia del resto non può avere, a ben ri flettere, altra natura che quella di essere una esplora zione ammirata e giubilante del «disegno di ricapito lare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quel le della terra» (cf Ef l , 1 0). E poiché ogni conoscenza- e massimamente la conoscenza approfondita della «res», cioè della realtà totalizzante cui sempre approda ogni atto di fe de- possiede un valore assoluto e in se stessa ha ra gione di fine, ogni ulteriore indagine parrebbe super flua. Ci sembra però che questo modo di accostarci al mistero della Chiesa irradia di fatto una sua luce su tutta la vita cristiana e la colora di sé. Su tutta la vita cristiana: su quella del singolo e su quella delle co munità, sulle opzioni interiori di ogni fedele e sulle scelte operative dei pastori, sull'impegno apostolico e sulle forme corrette di dialogo culturale. 50
Il senso della «comunione cosmica» Il cristiano che si lascia permeare da questa visio ne delle cose acquista la benefica consapevolezza di essere il soggetto e il beneficiario di una comunione trascendente, che coinvolge il cielo e la terra: una consapevolezza senza attenuazioni e senza eclissi. «lo in loro e tu in me» (Gv 17,23): ecco, nella asciutta ed essenziale formulazione giovannea, il se greto, la fonte, la legge intrinseca di questa «koi nonìa». San Paolo non vuoi dire probabilmente altro quan do scrive: «Tutte le cose sono vostre. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (cf l Cor 3,22-23).
È
dunque una «comunione cosmica», nella quale
entrano- con le Tre Persone divine- la Vergine Ma ria, le schiere degli angeli, tutti i figli di Adamo a mi sura che lo Spirito ha suscitato in essi una positiva ri sposta all'amore del Padre; e anzi ogni altra creatura a misura che è stata resa «sacra» dallo Spirito. Il non sentirsi più un frammento, recluso nella sua finitezza e impaurito dalla sua provvisorietà, e il sen tirsi invece rassicurato e dilatato in questa «totalità» è per l'uomo la scoperta di una fortuna non prevista né immaginata. Così rasserenato e spiritualmente arric chito, egli è collocato in uno stato di iniziale felicità, che infallibilmente raggiungerà la pienezza nella vi sione disvelata della vita eterna.
Irrilevanza del numero Per chi si mantiene in questa prospettiva è asso lutamente irrilevante che nella vicenda storica i cri stiani socialmente censibili siano tanti o pochi, accol-
51
ti
0
misconosciuti, prevalenti o in declino. Il «piccolo
gregge» è sempre immenso ai nostri occhi se sono il luminati dalla fede, dal momento che al Padre «è pia ciuto di dargli il suo Regno» (cf Le 12,32). Non sembra anzi assente dal pensiero di Gesù la prospettiva di una forte riduzione del numero verifica bile dei credenti prima che la storia giunga alla sua conclusione. Egli lascia senza risposta l'interrogativo inquietante: «Il Figlio del!'uomo, quando verrà, tro verà la fede sulla terra?» (Le 18,8). Nel «discorso escatologico» preannunzia che «per il dilagare dell'i niquità, l'amore di molti si raffredderà» (cf Mt 24, 12). Dal canto suo, san Paolo prevede che prima del «gior no del Signore» «dovrà avvenire l'apostasìa» (cf 2 Ts
2,3). Alla luce della «comunione cosmica», che è impli cita nel mistero ecclesiale, acquista una certa comicità l'angoscia che talvolta prende i fedeli, di vedersi confi nati quasi in un «ghetto» e di essere marginali nella so cietà dominante: è un curioso «ghetto», dove noi abi tiamo e godiamo col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, con i Cherubini e i Serafini, gli Angeli e gli Arcangeli, con i giusti di tutte le età e con quanti appartengono già mistericamente alla Gerusalemme celeste. In quest'ottica si capisce come non abbiano un inte resse sostanziale le inchieste, i sondaggi, gli «indici di gradimento» circa la Chiesa e il suo insegnamento, cir ca le norme etiche che propone, circa le sue opere e la sua testimonianza. Non dal «mondo» ma dal «Regno» provengono le consonanze o le dissonanze che vanno prese sul serio. E le consonanze o dissonanze dal Re gno si apprendono non mediante le indagini di opinio ne o le ricerche di mercato, ma con l'ascolto della pa52
rola di Dio e di quanti lungo i secoli si sono fatti eco conforme e autorevole della divina Rivelazione. Naturalmente non si vuoi dire con ciò che la cono scenza della situazione e della mentalità prevalente tra i nostri contemporanei sia senza utilità pastorale. Si consiglia soltanto di non dimenticare mai che la «verità» della Chiesa Cattolica, del suo «Credo», del suo magistero morale non è condizionabile dal nume ro delle adesioni e dagli «indici di gradimento». A questo proposito, la frase di Gesù: «Volete andarvene anche voi?» (cf Gv 6,67)- oggi largamente censurata nella cultura teologica e pastorale - dovrebbe tornare a essere illuminante e ispiratrice.
La misericordia gratuita e la miseria pretenziosa Circolano degli equivoci singolari a proposito del le legittime conclusioni che si possono trarre dali'an sia apostolica della Chiesa, dall'immensa volontà sal vifica di Cristo, dallo stupefacente amore del Padre per noi. L'uomo- vedendo che il suo Creatore con tanta passione lo cerca, dispiegando a suo favore la dona zione salvifica del suo Figlio unigenito e l'instanca bile azione pastorale della Chiesa- si immagina che Dio abbia bisogno di lui. E, come avviene a chi è troppo coccolato, si mette a fare il ritroso e l'esoso.
È
un punto che ciascuno di noi deve chiarire bene con se stesso, perché sappia apprezzare giustamente l a straordinaria misericordia del Signore nei suoi con fronti e perché la sua interiore povertà si mantenga umile, sottomessa, non presuntuosa. 53
Certo, la Chiesa, che mi è madre, desidera arden temente la mia partecipazione consapevole e attiva al l'esistenza cristiana, individuale e comunitaria. Ma non ha nessun bisogno di me, lei che è la Sposa appa gata del Signore dell'universo. Sono io che ho un bisogno estremo di stare in comunione con lei, per ché le mie tenebre siano dissolte, perché le mie colpe siano perdonate, perché il mio egoismo lasci il posto alla carità. Certo, Gesù Cristo - che è il mio Salvatore, morto in croce per me - aspetta con fervore che io mi arrenda alla sua grazia e mi innesti in lui come il tralcio alla vi te. Ma sta benissimo anche senza di me, lui che è il Pri mo e l'Ultimo e il Vivente (cf Ap 1,17-18). Sono io che senza di lui non vivo, senza di lui smarrisco il mio de stino, senza di lui non trovo più significato né mèta plausibile al mio enigmatico pellegrinaggio terreno. Certo, Dio- il Padre che mi ha chiamato all'esi stenza per potermi amare - vuole fortemente che io l'adori in spirito e verità (cf Gv 4,23). Ma la sua ina lienabile beatitudine non è neppure scalfita dalla mia eventuale latitanza o dalla mia ribellione. Sono io a non poter trovare felicità lontano da lui, che è il sen so, il fine, la gioia di tutte le cose.
«Nella Chiesa e in Cristo Gesù» «A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni nei secoli dei secoli! Amen» (Ef 3,20-21). 54
INDICE
Presentazione ......................... .
Annotazioni introduttive ............... .
La Dichiarazione Dominus lesus ........... «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» ... Problema umano e risposta cristiana ........ Lo scacco inevitabile della morte .......... La salvezza dalla «perdizione» ............ La questione teologica .................. «Universale salutis sacramentum» ......... «Extra Ecclesiam nulla salus» ........... . La corretta metodologia ................ . Struttura della nostra indagine ........... .
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Il
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14
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15
I. La realtà della Chiesa ................
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16
Il catechismo di Pio X ................... Il «Corpo mistico di Cristo» .............. Il «popolo di Dio» ...................... Valutazione critica ...................... Alla scuola di san Paolo ................ . Che cosa è la Chiesa ................... . La «ecclesìa» ..........................
>> >> >>
16 17 17
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18
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20
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Il. La «ecclesialità» della salvezza ....... .
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Tre necessarie premesse ................. Necessità per l 'uomo di una salvezza ...... . La «salvezza eterna>> ................... . L'unico necessario Salvatore ............. . La «volontà salvifica universale» ......... . In sintesi ............................ .
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22
>> >> >> >> ))
22 23 24
26 26 55
L'insegnamento della Chiesa antica ........
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<<Extra Ecclesiam nulla salus»
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28
Origine della frase ......................
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Le difficoltà della cultura contemporanea
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Una prima sostanziale certezza ............
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Precisazioni del Vaticano II .............. .
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La «radice» della multiforme realtà ecclesiale
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La santità interiore dell'uomo .............
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La libera appartenenza a Cristo ............
»
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La santità <<soggettiva» ..................
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La presenza «Sacrale» ...................
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Il sacerdozio del popolo di Dio ............
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L'unità dell'universo rinnovato ............
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Concludendo ..........................
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III. Il mistero dell'appartenenza ecclesiale
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L'appartenenza ecclesiale ................
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Il «grado minimo» ......................
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Il <
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Le situazioni intermedie .................
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Nessuno è totalmente «dentro» ............
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Nessuno è totalmente <
»
44
Responsabilità morale e salvezza ..........
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45
L'insegnamento della Lumen gentium
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46
I <
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47
...............
Le varie denominazioni cristiane
......... .
»
47
Preminenza del «segno eucaristico» ....... .
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48
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50
Osservazioni conclusive
............... .
Riconoscenza e gioia ................... .
»
50
Il senso della «Comunione cosmica» ........
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51
lrrilevanza del numero
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51
ziosa ..............................
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«Nella Chiesa e in Cristo Gesù» ...........
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.................
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La misericordia gratuita e la miseria preten-
Stampa:
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Colle Don Bosco
Ancora una volta, il Cardinale Giacomo Biffi affronta un tema di contrastata e discussa at tualità: la dottrina secondo la quale fuori della Chiesa non c'è salvezza, come è stato ricordato nella recente Dichiarazione Dominus Jesus del Cardinale Joseph Ratzinger, ratificata e ribadi ta da Giovanni Paolo Il. In un momento in cui molti tendono a minimiz zare le differenze tra le religioni, quasi che una valga l'altra, le riflessioni del Cardinale Giacomo Biffi, come sempre di grande lucidità e efficacia, appaiono quanto mai attuali e aiu tano a cogliere il vero senso della Dichiarazio �e del Cardinale Ratzinger. E lo stretto legame con Cristo che fa della Chiesa il sacramento universale di salvezza. La salvezza viene da Gesù Cristo, si manifesta e si esprime nella Chiesa, suo mistico Corpo e Sposa, alla quale tutti sono ordinati e con giunti in misura e modi diversi a seconda della fede, della sincerità della ricerca e della per meabilità alla grazia santificatrice di Cristo .
ISBN 88·0 1-02070-8
L. 6.000 l € 3, l o
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788801 020700